STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale,...

96
FUTURA Donne in viaggio STORIE DI VITA MIGRANTI a cura di Michela Zucca Isabella Marchino Alessandra Amori

Transcript of STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale,...

Page 1: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

FUTURA

Donne in viaggioSTORIE DI VITA MIGRANTI

a cura diMichela Zucca Isabella Marchino Alessandra Amori

Page 2: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Si ringrazia Paola Aluisi, Carlo Andreoli,Arianna Barbanera, Paola Marchino, Renato Montagnolo, Daniele Piselli, Paolo Pupo,Marco Spallaccini, Cristina Vicarelli.

Libro prodotto nell’ambito de “La valigia di cartone. Storie e culturedei popoli migranti”, progetto realizzato con il contributo della Regione Umbria, cofinanziato dal Comune di Montegabbione in collaborazione con il Comune di Monteleone d’Orvieto.

© 2011, Futura soc. coop.

Via S. Penna, 89 - PerugiaTel. 0755280146 - Fax 0755280148www.futuraco.it - info @futuraco.it

ISBN 88-95132-97-1

Il materiale contenuto in questa pubblicazionenon è coperto da copyright, la riproduzione e la diffusione, con qualunque mezzo, sonolibere ed incoraggiate a condizione di citare la fonte e le autrici.

COMUNE DI MONTEGABBIONE

COMUNE DI MONTELEONE D’ORVIETO

Page 3: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Storie di vita migranti

23 • Beatrix Ebeling

29 •Aurora Husca

35 •Victorita Pletoeanu

39 •Bizari Manushaqe

43 •Dallandyshe Gjana

47 •Nataliya Shevchuk

53 •Lyudmyla Hrabovetska

59 •Juliana Zarb

65 •Ngalula Kabulanda Marie Therese

71 •Miriam Melo Rincon

75 ••Maria Amparo Lopez Molleon

81 •Gina Stella

87 •Giuseppa Stella

93 •Rosa Vanni

5 “La valigia di cartone”Storie e culture dei popoli migrantiDamiano Stufara

7 Una valigia piena di sogniOdeta Grillo

9 Donne che vanno, donne che vengonoMichela Zucca

Sommario

Page 4: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane
Page 5: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

“La valigia di cartone”STORIE E CULTURE DEI POPOLI MIGRANTI

Damiano Stufara

“Vanno, vengono, ritornano... e ogni tanto si fermano” cantavaFabrizio De Andrè descrivendo il naturale movimento delle nu-vole; nuvole bianche o nere, piccole o grandi ma comunque im-pegnate nell’evoluzione del tempo e nel susseguirsi dellestagioni. Nubi animate a cui può essere assimilata un’identità;scorrendo le pagine di questa pubblicazione sembra quasi natu-rale che le nubi abbiano il nome di Juliana, Marie Therese, Rosa,Nataliya, Lyudmyla, Beatrix, Giuseppa e le altre donne che conle loro storie di vita, vita vera, stupiscono ed emozionano.Un moto perpetuo quello delle nubi, che subisce accelerazioni,cambi di origine e destinazioni ma che comunque appartieneall’essenza delle nubi così come a quella dell’essere umano; cosìRosa, Giuseppa e Gina, che per necessità hanno lasciato i loroaffetti a Montegabbione per andare in Svizzera, lo stesso hannofatto Miriam, che ha lasciato la Colombia, Marie Therese natae cresciuta in Congo.Migrazioni intese come movimenti di genti, dunque, che dasempre caratterizza l’esistenza dell’essere umano; movimentooriginato dalla voglia di conoscenza, di migliorare la propria con-dizione economica, sociale e culturale, ma soprattutto e semprepiù di frequente nel corso degli ultimi anni, dalla necessità digarantire la propria sopravvivenza e quella dei propri figli. E proprio partendo dalla costatazione della storicità di questo

5Damiano Stufara

fenomeno si resta interdetti nel momento in cui si assiste all’at-teggiamento allarmistico e di terrore di chi, in maniera del tuttostrumentale, rappresenta le migrazioni come un evento ecce-zionale, senza precedenti, che mette a repentaglio l’incolumitàdelle nostre comunità. Di eccezionale può esserci la contingenza temporale e la portatadel fenomeno, ma a fare dell’eccezionalità un evento ancora piùdrammatico per i migranti e destabilizzante per il paese di de-stinazione è l’incapacità istituzionale di governare il momentodi necessità; incapacità o non volontà ovviamente. Accanto adun’azione politico - istituzionale tenace e costante che obblighii governi nazionali ad assumere politiche migratorie rispettosedei diritti umani tanto negli stati di origine quanto in quelli didestinazione, fondamentale è l’agire locale, la promozione dimomenti di confronto sociale e culturale che faccia emergere leaffinità e le similitudini che avvicinino in maniera empatica idiversi sentire. Le simili abitudini accomunano i linguaggi e fungono da mo-menti di sintesi da cui origina in maniera naturale la curiosità deldiverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studiodei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane nel mondo”nell’ambito del Progetto del Comune di Montegabbione.In tale contesto la possibilità di avere uno sguardo di genere rap-

Page 6: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

presenta un’ulteriore ricchezza; l’immigrazione al femminile èun fenomeno relativamente recente, determinato dalle mutatecondizioni dei paesi di origine e di arrivo; oltre che dalla nascitadi nuove povertà, un fattore determinante è certamente la cre-scente domanda da parte dei paesi europei di servizi domestici edi cura alla persona. In questa esperienza, che Odeta Grillo inquesta stessa pubblicazione descrive come “radicale e dramma-tica”, assume per le donne un ulteriore elemento, quello del ri-schio della doppia discriminazione in ragione della loroappartenenza di genere e ad una nazionalità diversa da quella delpaese di accoglienza; particolarmente toccante in merito a questariflessione è la descrizione della difficile esperienza del partoavuta in Svizzera, nel racconto di Giuseppa.Desidero concludere questa mia breve riflessione rappresen-tando il sincero apprezzamento per il lavoro svolto dal Comunedi Montegabbione, da tutte le persone che con passione, sensi-

6 Damiano Stufara

bilità e professionalità hanno lavorato all’ideazione e alla realiz-zazione di questo splendido lavoro, che prima di essere una pub-blicazione di grande utilità formativa, informativa e disensibilizzazione, rappresenta un momento di intima contami-nazione e crescita.Per ringraziare sentitamente, infine, le donne che coraggiosa-mente e con un senso di responsabilità certamente superiore allamedia, hanno messo a disposizione i propri vissuti di esperienzepersonali, di dolore e gioia, i propri ricordi preziosi. Mi permettodi fare un augurio, che rappresenta anche un doveroso impegno,utilizzando ancora una volta un’immagine usata da Odeta: au-guro a noi tutti e tutte che le migrazioni possano quanto primaoriginare da atti di volontà anziché da stringente necessità, eche ad ogni caro luogo di nascita possa corrisponderne uno di“ri-nascita”, in cui siano sempre garantiti i diritti che tutelanola nostra essenza di esseri umani.

Foto di Guido Urbani

Page 7: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

L’immigrazione rappresenta un esperienza radicale e dramma-tica nella vita di tanti noi, a qualche livello potrebbe essere pa-ragonabile ad una sorta di lutto, dove la perdita più grandesembra essere la lontananza dalla propria terra e i propri cari.Rinunciare alle proprie certezze, alle proprie radici, per trovarnealtre. È grazie a questa iniziativa che emerge il coraggio delledonne e delle loro scelte e dove si dà voce al loro silenzio, dovesi evidenzia la volontà di sentirsi protagonisti della propria vita.Accogliere la generosità di chi racconta, l’esperienza di un viag-gio dentro le emozioni, diventa un’esperienza di viaggio pertutti quelli che lo condividono.Esistono i luoghi di nascita, dove si è cresciuti e dove ci sono gliaffetti di sempre. Esistono luoghi di rinascita: dove si vive unanuova vita fatta spesso di scelte difficili e sacrifici. E’ in questiluoghi di rinascita che si costruiscono i nuovi affetti, una nuovafamiglia e una seconda casa. Non potrei dirlo meglio di quantonon racconti Manushaqe della sua esperienza migratoria: “noi cisentiamo a casa, come se fossimo nel nostro Paese”. L’iniziativa delComune è un momento di incontro dove si può sentire e acco-gliere la solitudine di Miriam: “gli stranieri sono bene accolti anchese la comunità in genere non è molto unita, manca un po’ d’affetto, unpo’ d’amore reciproco o anche semplicemente un sorriso”. È grazie aquesto spazio di racconto che si incontra il passato con il pre-

7Odeta Grillo

sente, la nostalgia con la speranza, i ricordi con i sogni per il fu-turo. A proposito di nostalgia, Nataliya dice: “Più di tutto mimanca la terra: alberi da frutto, fiori in primavera. Io qui, quando possotocco la terra, senza guanti e mi sento bene. Non capisco come fanno lepersone qui a vivere senza terra… Io vorrei qui in Italia più fiori, piùrose. Ho un piccolo pezzo di terra, l’ho vangato”. Creare degli spazi di incontro e riflessione rappresenta per stra-nieri e italiani la possibilità di dare e ricevere ascolto, ascolto ri-volto a chi non sempre ha la voce per parlare. Raccontare èquindi, affermare la propria storia, permettendo a queste donnedi recuperare la dignità e la possibilità di essere riconosciuti dal-l’altro. Accogliendo e sostenendo queste donne nel difficile per-corso migratorio, permettiamo a loro di scrivere una nuovapagina della storia di vita, una pagina fatta di sogni e aspettativeper il loro futuro e quello delle loro famiglie. Mi piace citare atal proposito una frase di Aurora, che esattamente descrive que-sto pensiero: “Per il futuro ci auguriamo tutto il bene del mondo. Midispiace per i miei genitori, mi dispiace per loro che devo stare qui, mala mia vita è qui. Anche mio marito la pensa così. Il figlio cresce e luinon tornerà mai là e io non lo posso abbandonare. Ormai è qui, lastrada è fatta per lui ma anche per noi”.Prima di concludere, mi auguro che iniziative come questa, por-tate avanti con entusiasmo e fiducia, possano svilupparsi ulte-

Una valigia piena di sogniOdeta Grillo

Page 8: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

8 Odeta Grillo

riormente ed essere sempre più frequenti con spazi di approfon-dimento.In conclusione, vorrei rivolgere un ringraziamento particolareall’amica Alessandra, per avermi dato la possibilità di narrare econdividere il mio percorso reale e quello interiore verso l’Italia.Un altro ringraziamento a lei e Isabella per aver dato vita a que-sta iniziativa affinché, attraverso la mia storia, quella di Manu-shaqe, Nataliya, Miriam, Aurora... possano ritrovarsi e sentirsiparte di questa comunità altre donne che intraprendono i diversiviaggi della loro vita.

Page 9: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Quando sono arrivata sono scesa e non ti dico che spettacolo orrendo:uomini ci aspettavano con il pisello di fuori al parcheggio. Io me nevolevo tornare via, ma dove sono capitata. L’autista mi ha fermato emi ha tranquillizzato e mi ha portato fino dalla mia amica.

Una sera di notte mi sono sentita seguita da un uomo e questo miha tirato fuori il coso e me lo ha fatto vedere... una paura che nonti dico... ma questo non lo scrivere, non mi ci far ripensare...

Evidentemente, dal versante maschile (e non importa la nazio-nalità di provenienza…: qui sono uomini sia italiani che stra-nieri, e così la controparte femminile) la donna che parte, chelascia la sua famiglia di origine per andare a lavorare fuori, chenon è accompagnata da un marito, ha una sola merce da offrire:quella. E tanto vale che lo capisca fin da subito. E se non l’haancora capito, le faccio vedere bene a che cosa può servire…In effetti, molto è cambiato nella storia dell’immigrazione fem-minile in Italia, da vent’anni a questa parte: da una prima ricercacondotta per la Regione Lombardia nel 19941, emergevano spessomotivazioni conseguenza di un evento traumatico, non di radodi origine sentimentale. In Italia cercavano un’affermazioneumana e professionale: ma, se non si sposavano, il sogno di“uscire dal limbo” della precarietà di un lavoro poco gratificante,

Una notte alle quattro suona il telefono: era mia figlia. Siccome nellafamiglia dove lavoravo c’erano bambini piccoli, a me dispiaceva diessere chiamata di notte e quindi le ho detto, in modo che mi sentisserogli altri: “Ma che mi chiami a quest’ora, sei pazza? Ci sentiamo domanimattina” e le ho riattaccato il telefono. Ho dovuto farlo, sono una per-sona seria, rischiavo di perdere il lavoro se loro pensavano che non lofossi. Poi non ho più dormito perché mi chiedevo come mai mi avessechiamata a quell’ora. La mattina dopo ho telefonato e non mi rispon-deva. Era stata violentata da un pugile, l’ha legata al letto e siccomeera ubriaco, l’ha violentata con un vibratore. Lei lo ha denunciato, no-nostante gli avessero detto di non farlo, perché era un pugile famoso.Ora è in carcere. Sono stata malissimo, capisci cosa abbiamo passato?

Questa è una delle testimonianze che abbiamo raccolto duranteil lavoro di campo, in cui abbiamo intervistato donne straniereimmigrate a Montegabbione, ma anche donne italiane che dal-l’Umbria si sono spostate verso una delle mete tradizionali del-l’emigrazione italiana: la Svizzera. Volevamo capire se cin-quant’anni di distanza temporale, la diversità di provenienza edi meta (da dove vengo per andare dove), avessero costituitouna differenza vera nell’accoglienza e nella vita di queste donne.Ecco i risultati: cinquant’anni, e molte migliaia di chilometri,separano queste testimonianze.

9Michela Zucca

Donne che vanno, donne che vengonoMichela Zucca

Page 10: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

sottopagato, insicuro restava solo un miraggio. Qualche voltariuscivano a fare qualcosa che valorizzava la loro persona, e glistudi che avevano fatto: ma è per poco tempo. Subito dopo, ri-piombavano nel precariato più nero. Quasi sempre, rimanevaforte la prospettiva del ritorno in patria. Ma nessuna riferiva distorie di violenza, simili a quelle riservate alle donne di più re-cente, o di più antica, immigrazione.Perché, se una differenza è possibile riscontrare, fra le storie divita di ieri, di oggi e dell’altro ieri, e che accomuna le vicende

10 Michela Zucca

personali più recenti e le più antiche (l’emigrazione verso laSvizzera delle donne di Montegabbione e Monteleone) è la vi-cinanza delle motivazioni. Mentre le giovani sudamericane divent’anni fa partivano per inseguire un sogno, e per cercare unasocietà meno patriarcale, per realizzarsi nel lavoro, le contadineumbre degli anni ’60 e le ragazze di oggi, europee o meno, simettono in viaggio per sfuggire alla miseria. E questo i maschilo capiscono al respiro: sono donne che non possono difendersi,che devono subire il ricatto. Che si lasciano tutto dietro alle

Foto di Edo Cinfrignini

Page 11: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

11Michela Zucca

spalle. Che non hanno scelta. Sanno bene che alcune di loro sa-ranno costrette alla prostituzione. E loro sono lì, disponibili acomprare la merce. Cambia invece, e molto, la visione del popolo ospite, sia che sitratti di svizzeri, che di italiani. Le signore umbre che hanno trascorso un lungo periodo della pro-pria esistenza in Svizzera non hanno conservato nessun tipo dirapporto con il paese che le ha ospitate per così tanto tempo;anche quando sono state trattate bene, anche quando uno stra-niero ha letteralmente dato il sangue per poter salvare un figlio. Siritrovavano solo fra loro, solo fra loro facevano festa, non invita-vano mai nessuno di fuori. Quando potevano, vivevano anche fraloro. Si sentivano maltrattate e discriminate, immerse in un con-testo razzista anche se poi, al contatto diretto con gli stranieriche le ospitavano sulla proprio terra (per esempio sul lavoro), nonsubivano nessun tipo di azione negativa, e riferiscono di esserestate trattate bene quando lavoravano, e negli uffici pubblici, dovenon hanno dovuto pagare niente per l’assistenza medica (cosache, probabilmente, in quel periodo in patria non sarebbe certosuccesso). In complesso il giudizio verso il popolo ospite – inquesto caso, gli svizzeri – è decisamente negativo. Nessun rapportodi amicizia vera, impensabile, un matrimonio misto. Ritroviamo lo stesso tipo di atteggiamento con le emigrate di ven-t’anni fa. Gli italiani, in queste storie di vita, non ci fanno certouna bella figura: il minimo che si dice di loro è che “hanno tutto esi lamentano”. Danno troppa importanza alle apparenze, vizianoi figli, pensano solo alle cose materiali, “non fanno niente per lapropria città”. Poche le eccezioni: fra queste, “i ragazzi di sinistra egli artisti”. A volte, ci si riunisce apposta “per parlar male degli ita-liani”. I tentativi di inserimento falliscono; “rimani comunque stra-niero, e, quando scoprono che non sei di qua, cambiano la tonalitàdella voce”. Le relazioni amorose sono difficili, molte volte falli-mentari. Vanno meglio quelle amicali, anche se non di molto. So-litamente, ci si ritrova con altri stranieri, accomunati dalla stessasorte. La nostalgia della terra di origine non passa mai.

Sembra invece che adesso, con grande difficoltà, i sentimenti ele reazioni verso il popolo ospite stiano lentamente cambiando.Non c’è nessuno che riferisce di isolamento totale: se è vero checi si frequenta più spesso fra connazionali, e che, specialmenteper alcune nazionalità, come quella albanese o romena, le tra-iettorie di ingresso in Italia passano in maggioranza per canalifamiliari, è altrettanto vero che non c’è nessuno che non possacontare su amicizie italiane. In alcuni casi, si tratta di rapportiprofondi: anche di relazioni che portano al matrimonio e allacostituzione di nuovi nuclei familiari, con la presa in carico deifigli di relazioni precedenti da parte del marito italiano. Famiglieche durano nel tempo, molto più di quelle italiane: perché, mal-grado i pregiudizi, i matrimoni fra stranieri, o fra italiani e stra-nieri, sono più stabili di quelli fra italiani e italiani2. E quelle cheriescono a riunire marito e figli sotto uno stesso tetto, magaridopo anni di sforzi, parlano di loro con grande affetto; e così lesignore che hanno trovato un nuovo partner italiano, spessodopo storie allucinanti di violenza. C’è da chiedersi se siano realmente cambiati i tempi, e quindi sitratti di situazioni generalizzabili anche in altri contesti: oppurese esistano differenze di partenza.

Grandi città, piccoli paesiL’immigrazione è solo l’ultimo atto di un dramma “inciso a ca-ratteri di fuoco e di sangue” (lo scrisse Marx nel lontano 1867)della storia dell’umanità: la formazione, e l’estensione su scalaplanetaria, del sistema capitalistico e delle sue contraddizioni.Dramma che si va estendendo in maniera incontrollabile, senzache nessuno riesca a porvi rimedio. Le cause sono sempre lestesse, da secoli: la preghiera “A fame, peste et bello libera nosDomine” non ha ancora trovato nessuna risposta che riesca afrenare l’esodo dei popoli in fuga dai flagelli biblici. Fra il 1840 e il 1940 circa un quinto della popolazione europea(qualcosa come 50 milioni di persone) si trasferiscono oltreoceanoin cerca di fortuna. Si tratta in gran parte di gente che viene da

Page 12: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

12 Michela Zucca

piccoli paesi di montagna: a parità di condizioni di vita, chi hascelto di imbarcarsi non sono stati i proletari e sottoproletari ur-bani, o gli abitanti delle pianure e delle coste: sono stati i mon-tanari, che venissero dalle Alpi o dagli Appennini. Eredi di unacultura pastorale e nomade, che considerava normale lo sposta-mento. Perché l’erranza, l’abitudine al viaggio, la capacità di sop-portare la solitudine per lungo tempo, di misurarsi con lo “spaziovuoto” (la prateria d’alta quota, il pascolo, la foresta, …), consi-derato parte del proprio universo territoriale, insostituibile ebello anche se pericoloso, l’abilità di parlare più lingue e di rico-noscere immediatamente il proprio simile, come anche la mar-ginalità, talvolta volontaria, l’isolamento, la disponibilità a darerifugio al perseguitato, non sono solo condizioni imposte da unambiente difficile, o reazioni di difesa ad una società ostile chetanta la conquista e l’assimilazione. Sono coordinate culturali,che distinguono i popoli di montagna e dei piccoli paesi. Subito dopo il secondo conflitto mondiale, però, la direzione diquesta trasmigrazione epocale si inverte: nel 1950 il saldo mi-gratorio complessivo tra l’Europa e il resto del mondo è già po-sitivo. Il vecchio continente comincia ad importare manodoperaa basso prezzo dai paesi del Sud del mondo. Questo processo interessa in misura diversa, nel tempo e nellospazio, le nazioni europee. In un primo tempo, investe le aree apiù antica industrializzazione, più ricche e più sviluppate, tra-dizionale meta di migranti da zone più povere: Francia, Svizzera,Belgio, Regno Unito, Germania Ovest, Svezia, verso cui si diri-gevano, da decenni, ingenti masse che provenivano dall’Italia,dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Grecia, dalla Iugoslavia, maanche dall’Irlanda, dalla Polonia e dalla Finlandia diventano lenuove mete della speranza. Poi il movimento si estende ad altripaesi dell’Europa centro settentrionale, rimasti, per lungo tempo,esportatori di forza lavoro: Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia. Dagli anni ’70, il flusso migratorio comincia a riguardare anchequelle aree che tradizionalmente erano sempre stati punto di par-tenza di gente in cerca di un futuro migliore. E che, in parte, in

alcune zone, lo sono ancora: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Oggi gli immigrati stranieri costituiscono il 7,5% della popola-zione italiana. La maggioranza degli immigrati stranieri si concentra nelle ottoaree metropolitane della penisola. I capoluoghi di provincia italiani con la più alta percentuale distranieri residenti sul totale della popolazione, al 1º Gennaio2011, sono nell’ordine3: Brescia (19,0 %), Reggio nell’Emilia(17,0 %), Piacenza (16,6 %), Milano (16,4 %), Vicenza (16,0 %),Prato (15,1 %), Bergamo (15,0 %), Modena (14,7 %), Padova(14,4 %), Parma (14,2 %).Secondo molte ricerche di sociologi stranieri che si sono trovati,negli anni scorsi, ad affrontare questo problema diverso tempoprima di noi, la “soglia di rischio” sarebbe da collocarsi attornoal 5 per cento di presenza di immigrati rispetto alla popolazioneautoctona; e la “soglia problematica” quando si va oltre il 10 percento.Dalla metà degli anni ’80, inoltre, si sono riscontrati fenomenipreoccupanti. In primo luogo, un aumento delle immigrazioni più “proble-matiche”, quelle che provengono dai paesi più poveri e più di-stanti culturalmente da noi: il Maghreb, l’Africa centrale e delSud, l’Estremo Oriente: che sono anche quelle più appariscenti.Una difficoltà sempre maggiore, da parte del mercato del lavoro,ad assorbire i nuovi flussi, che causa la crescita della disoccupa-zione, della sotto occupazione, dei “mestieri” precari e irregolari,dell’accattonaggio.Un aumento dei legami fra immigrazione e malavita più o menoorganizzata, soprattutto per quanto riguarda lo spaccio al mi-nuto di stupefacenti, che, in molte aree urbane, è ormai mono-polizzato da alcune comunità, come quelle dei senegalesi e deimaghrebini.Un aumento, fra la popolazione straniera, della marginalizza-zione e delle difficoltà di inserimento nel tessuto sociale italiano,con conseguente crescita della criminalità comune, prima per

Page 13: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

13Michela Zucca

piccoli reati contro il patrimonio, e adesso anche di reati piùgravi, sia verso i connazionali che verso gli italiani, che incidonofortemente sull’immaginario collettivo, e inducono reazioni acatena di rifiuto e di intolleranza che stanno diventando sempremeno controllabili (e controllate).Cambia la situazione se invece che una grande città si analizzanoi piccoli paesi della provincia italiana che, in moti casi, hannouna presenza di immigrati pari a quella degli ambiti metropoli-tani, e che hanno superato di gran lunga la soglia di rischio? Nei paesi, il sistema di valori condiviso è parzialmente diversorispetto a quello metropolitano e globalizzato: ciò che vienevalutato ed molto apprezzato è la volontà a “farsi le cose dasoli”: ovvero la disponibilità al lavoro manuale nella ristruttu-razione della casa, nel mettere in ordine il giardino, nel farsil’orto, e possibilmente, anche al lavoro comune. Esiste la co-scienza chiara, anche se non espressa, che la propria cultura diorigine è materiale, legata alla terra e al lavoro fisico, e perquesto disprezzata dai “cittadini”, che hanno sempre consideratoincivili gli abitanti delle montagne e i contadini anche perchécostretti a lavori pesanti. Quando si vede qualcuno che “si dàda fare”, scatta immediatamente il meccanismo della solidarietàcostruito sulla fatiche di millenni: gli sforzi vengono capiti efanno subito avanzare nella stima collettiva. Una volta, unuomo che lavorava a fianco di uno che non aveva niente dafare, si ritrovava ben presto in compagnia. Perché già il trovarsisenza “niente da fare” era considerato un po’ “vergognoso”; esoprattutto, il non far niente “vicino ad uno che lavora”, speciese quello era un vicino di casa che aveva bisogno, era più chesufficiente ad essere considerato “uno che ha poca voglia di la-vorare”, uno dei peggiori difetti in assoluto della civiltà tradi-zionale. Altro fattore chiave nei meccanismi di inclusione è dato dalladisponibilità al lavoro comune: pensiamo per esempio alle strut-ture di protezione civile, alla Croce rossa, ai Vigili del fuoco vo-lontari… Ci sono poi le feste annuali, in cui “chi vuol star den-

tro” deve prestare il proprio aiuto: ed è sempre benvenuto, daqualunque parte venga. Dal “dare una mano” di tanto in tanto,si passa poi alla partecipazione alle associazioni di volontariatostabile, e al governo del territorio: il consiglio comunale peresempio. Gli unici consiglieri comunali stranieri non siedonocerto nelle giunte metropolitane… Alla prova dei fatti, malgrado una chiusura apparente, le piccolecomunità si sono rivelate più ospitali e più pronte all’accoglienzadi gente di cultura ed etnia diversa di molte città. Nel corso diuna ricerca sui piccoli comuni alpini, che però può essere facil-mente estesa a contesti simili di montagna e campagna anchese in Italia centrale, l’integrazione degli stranieri si è rivelata de-cisamente meno problematica4. Il “grado di integrazione” degli stranieri è stato misurato in basea queste variabili:

Foto di Guido Urbani

Page 14: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

14 Michela Zucca

• la percentuale di immigrati sulla popolazione totale;• la presenza o meno di un lavoro stabile, legale, che consenta

di fare progetti per il futuro;• l’alloggio in una casa decorosa, con contratto di affitto rego-

lare;• la possibilità di ricongiungimento familiare e l’effettiva pre-

senza della famiglia;• la partecipazione alla vita del paese.Gli stranieri intervistati e di cui si ha notizia lavorano stabil-mente, con contratti regolari di assunzione, e non sono clande-stini. Alcune ragazze dell’Est facevano la stagione negli alberghi,ma non erano in nero. Se ci si accontenta di un lavoro manuale,è facile guadagnarsi da vivere (il Trentino importa manodoperadi bassi profilo professionale come, d’altronde, gran parte delNord Italia), e normalmente si viene messi in regola un po’ perdovere etico un po’ per non “avere rogne”. Quindi, a differenzache in contesti metropolitani, le condizioni i lavoro medie sonomigliori e il rispetto della legalità e dei diritti sindacali è più alto. Stessa cosa per quanto riguarda le condizioni abitative. Tuttigli immigrati vivevano in appartamenti decorosi; non sono stateriscontrate quelle situazioni di coabitazione, di sfruttamentodella loro condizione con richieste di affitti fuori misura per po-sto letto, che sono così frequenti nelle città. In più, gran partedi loro aveva potuto far arrivare la famiglia. In questo caso, i vi-cini avevano contribuito alla loro sistemazione, regalando sup-pellettili e legna (la legna nelle comunità alpine mantiene unalto valore simbolico, consente anche l’integrazione). Alcuni diloro, dopo qualche anno di soggiorno, si sono comprati la casa:e come per gli italiani, l’azione di stabilizzazione della residenzaè stata giudicata con favore. Invece, quando alcune famiglie sisono trasferite altrove, i vicini hanno espresso dispiacere e ram-marico perché se ne sono andati via. Ma è avvenuto anche ciò che spesso è considerato impossibile –almeno in tempi brevi – nei contesti metropolitani: la parteci-pazione attiva alla vita del paese. Nelle città, gli immigrati sono

più numerosi come numero assoluto, e riescono a ritrovarsi ingruppi divisi per etnie: in realtà però i loro contatti con gliitaliani sono ridotti, limitati allo stretto necessario e alla sferadel lavoro. In città, gli immigrati, normalmente, non conosconoi vicini di casa e si tengono a distanza da loro per paura di essererifiutati; non si mescolano e, anche quando i bambini frequen-tano la stessa scuola, il tempo da condividere si ferma alle oredi lezione. L’integrazione nei paesi avviene, come per gli italiani, sulla di-sponibilità al lavoro. È premiata la disponibilità alla fatica: vi-ceversa, quando ad una delle famiglie era stata regalata unastufa a legna, che è rimasta sulla strada perché nessuno di lorol’aveva portata in casa (una cucina economica è pesante da por-tar su per le scale!), era risuonato qualche rimbrotto (subito so-pito in verità e superato di gran lunga dalle lamentele per quandolo stesso nucleo aveva deciso di trasferirsi fuori dal comune).Ciò che viene penalizzato non è tanto l’appartenenza etnica,quanto la non disponibilità al lavoro. Quando gli immigratisono disponibili a “dare una mano” nelle feste del paese, ciòviene molto apprezzato; in alcuni comuni, già da anni si orga-nizzano delle “cene etniche” a cura degli stranieri residenti. Iloro figli entrano senza problemi a far parte delle attività e delleassociazioni: la polisportiva, l’oratorio quando c’è; e senza scan-dalo né lamento da parte di alcuno (anche se sono islamici efrequentano un luogo dichiaratamente cattolico). I vicini li aiu-tano: ed è proprio fra i giovani e le donne che si innescano di-namiche di scambio che portano all’integrazione.

Montegabbione“Imparate a fa i conti, sennò il padrone vi frega!”5

Intorno agli anni Cinquanta la popolazione di Montegabbionesfiorava i tremila abitanti.L’attività principale era ancora la mezzadria e la ricchezza stavanella famiglia patriarcale “molte braccia per lavorare la terra deipadroni”...

Page 15: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

15Michela Zucca

Dall’inizio degli anni ’50 con il sindacalista Di Vittorio, si aprironograndi lotte di dignità, inizialmente per l’abolizione dello stano delgrano. A Montegabbione Marchino Bruno organizzò i contadini chestavano sotto il suo stesso padrone ad una forma di protesta e perNatale, il pollo che doveva essere portato al padrone, fu portato al-l’Ospedale di Città della Pieve per i malati. Questo fu molto apprezzatodall’ospedale, una volta non era come adesso che tutto è garantito.Poi ci fu la battaglia del 3% (divisioni 53% al contadino, 47% alpadrone) sempre sotto la guida di Marchino, e qui ci fu un’asprabattaglia a Montegabbione: per esempio i contadini quando sitrebbiava in segno di protesta mettevano la bandiera rossa sopra ilmitule (palo intorno al quale si faceva il pagliaio) che i carabiniericercavano di togliere la notte, ci furono denunce e anche qualchemanganellata!Erano gli anni della Polizia di Scelba e a metà anni ’50 fu spuntatala battaglia del 3%.Poi ci fu la rivendicazione dell’8% sul guadagnodel bestiame. Infatti succedeva questo: il padrone ritirava tutto epoi le sementi venivano divise a metà, il padrone comprava il be-stiame, il contadino le governava. Il guadagno ricavato dal bestiameveniva diviso a metà. I contadini chiedevano che sul bestiame ilguadagno fosse l’8% in più per il contadino perché c’era più lavoro.Negli anni ’60-’70 anche questa battaglia fu vinta.La zona del Colle, guidata da Marchino, fu la prima zona in cui icontadini comprarono i poderi con il mutuo trentennale della casacontadina (che era presente fin dagli anni ’50, ma i padroni nonvendevano...). All’inizio i poderi rendevano poco e le famiglie nu-merose non riuscivano a viverci. Negli anni ’50 ci furono i primi emigrati. Dopo la grande gelatadel ’56, l’emigrazione diventò di massa, tanto è che a Montegab-bione rimasero i nonni e i figli. L’emigrazione spopolò Montegab-bione, tutte le categorie, e colpì maggiormente i contadini all’80%,ma anche artigiani e operai (al 20%). L’80% dell’emigrazione èstata rappresentata fra il ’55 e fine anni ’60 dai giovani delle famigliemezzadrili. Partirono perché la povertà con la mezzadria era tanta.Si emigrò con la speranza di poter costruire ed avere una casa pro-

pria, rientrare dignitosamente in Italia, conoscere altri popoli (inSvizzera non c’eravamo solo noi, ma turchi, greci, spagnoli...). Era-vamo le prime generazioni alla ricerca del mondo, allora la Svizzeraera lontana anni luce.I giovani che emigravano, se appartenevano alla stessa famigliaprendevano le ferie a turno. Uno tornava per la falciatura del fieno,uno per la raccolta delle olive, uno per la mietitura... in modo danon lasciare soli i propri genitori nelle faccende più importanti delpodere. Noi restavamo legati alla terra. Siamo fuggiti dalla grandepovertà che la mezzadria aveva creato.

Per cinque anni questa gelata ha messo in ginocchio l’olivicolturae tutto l’indotto collegato.Inizia l’esodo di massa dalle campagne, dove in pochi anni ri-mangono vecchi, bambini e donne, molte delle quali diventanole cosiddette vedove bianche. Bambini e ragazzi cresceranno ve-

Page 16: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

16 Michela Zucca

dendo il padre una volta all’anno e appena possibile lo segui-ranno nell’emigrazione. All’inizio si pensava a quattro cinqueanni di sacrificio, invece poi l’emigrazione verso la Svizzera èdurata anche oltre 15 anni. Le mogli raggiungevano i mariti inSvizzera mentre il ritorno al podere si fa sempre più lontano.L’abbandono delle terre è ormai irreversibile: l’ottanta per centodelle famiglie di Montegbabione vengono coinvolte nell’emi-grazione. Questo fenomeno segna definitivamente il calo de-mografico di Montegabbione che perde i due terzi dei suoi abi-tanti proprio a partire dagli anni ’50. La Svizzera e in particolareBasilea, diventa meta della quasi totalità degli emigranti mon-tegabbionesi. La permanenza massiccia di montegabbionesi aBasilea si protrae fino alla metà degli anni ’806.

Arrivano i capelloni…Nelle parole di Renato Montagnolo Sindaco di Montegabbionedal 1980 al 1990:

All’inizio degli anni ’80 in uno dei più bei casolari agricoli a confinecon il Comune di Piegaro, nonché delle due province, nella zonadenominata “Vocabolo Le Piagge”, arrivò una vera e propria coloniadi cittadini della Germania, circa 30. Si parlò subito di sessantottinitedeschi; le forze dell’ordine li tennero per lungo tempo sotto con-trollo e le domande che ci si ponevano era: “Da dove scappano?Cosa cercano?”In realtà erano i giovani del ’68 che fuggivano però dalle grandicittà industrializzate e inquinate della Germania e “La Piaggia” ri-sultò la risposta più estrema da loro desiderata.La loro prima paura fu la possibile bitumatura della strada comunaleche collega Montegiove alla Piaggia. Capelloni, anticonformistiestremi, fecero irrigidire la popolazione indigena per come si presen-tavano in paese così come uscivano dalla stalla del bestiame o dai la-vori in campagna, tanto che come Sindaco li convocai per chiedereloro più dignità visiva in segno di rispetto dei nostri cittadini.Si costituirono in cooperativa agricola e aderirono alla lega coopera-

tiva umbra. Come Sindaco iniziai a fargli visita spesso e ogni voltami incuriosivano sempre di più, mi accorgevo che c’era dell’interes-sante da capire, soprattutto nell’ottica della loro integrazione e comepotevano essere una novità positiva per Montegabbione.Tra loro vi erano pastori, falegnami, artigiani delle vecchie tradi-zioni locali, professori universitari; il livello di cultura generale erasicuramente ad un livello superiore a quella indigena, io li hosempre definiti una immigrazione anticonformista e culturale,una immigrazione atipica e molto diversa dall’immigrazione deipopoli sottosviluppati e poveri, così come l’ho vissuta anche io inSvizzera. Sicuramente stentammo a capire che era l’inizio di un’erache stravolgeva la storia di Montegabbione. Da paese di forte emi-grazione a paese di immigrati. A quegli eventi fecero seguito ancheimmigrati olandesi, australiani, inglesi e altri tedeschi con le stessecaratteristiche; poi è arrivata l’immigrazione tradizionale anchequi nel normalissimo Montegabbione.È stata un’immigrazione che ha investito e recuperato la granparte delle nostre case agricole della vecchia mezzadria, producendoun paesaggio più attraente e salvato una parte della nostra storiasenza stravolgere l’ambiente.E venne il tempo che i loro figli arrivarono all’età scolastica e ciòaccelerò l’integrazione soprattutto a Montegiove ove fu subito ca-pito che quei ragazzi allungavano la vita della scuola di quella fra-zione, ridotta ormai ad una unica pluriclasse elementare.Per il Comune si pose un problema, quello della lingua, che avevadue potenzialità: imparare l’italiano ai tedeschi e il tedesco agliitaliani. La prima è andata in porto la seconda no. C’era anche l’in-tento di non far mancare ai ragazzi tedeschi la storia e la lingua dellapropria nazione.Andammo in Regione e lì incontrammo il Dott. Casenghi respon-sabile del settore istruzione regionale, il quale capì immediatamentele potenzialità della situazione, così propose il “progetto intercul-tura” e con lui lo costruimmo insieme nella scuola.Si poté insegnare la lingua e la cultura tedesca con due maestre te-desche che risiedevano al “Le Piagge”. Il progetto ebbe anche una

Page 17: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

17Michela Zucca

risonanza nazionale come primo e unico esperimento ed anche inGermania, ed ogni anno si organizzava presso il castello di Mon-tegiove un convegno sull’intercultura finanziato dalla Regione eorganizzato dal Comune.I referenti di quella comunità erano professor Karl Ludwig Shibele la dott.ssa Beatrix Ebeling, ormai “italiani”... Non vi è dubbioche quell’esperienza ha segnato uno sviluppo culturale all’interanostra comunità e ci ha preparato ad accogliere con meno ansial’immigrazione storica.

Ma soprattutto siamo stati il primo Comune che ha eletto a con-sigliera la Dott.ssa Ebeling, una tedesca amministratrice in un Co-mune italiano dove aveva scelto di emigrare.

Un piccolo caleidoscopio di culture diverseL’istituto di ricerca guidato dal sociologo Giuseppe De Rita, ilCNEL, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, ha indi-cato in Montegabbione uno dei paesi ideali in cui vivere. Unprimato riconosciuto al piccolo borgo dell’orvietano soprattutto

Page 18: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

18 Michela Zucca

per il modello sociale e di sviluppo su cui si basa. Montegabbionecostituisce infatti un piccolo mondo a sé stante in cui convivonoormai da decenni in grande equilibrio culture e lingue diverse. Il paese costituisce un piccolo caleidoscopio di culture diverse.A Montegabbione il 18% della popolazione residente è compostada immigrati stranieri, contro il 7,5% della media italiana. Ciòcostituisce quasi il triplo della media italiana e quasi il doppiodella così detta “soglia di rischio”. Malgrado il normale razzismoquotidiano, che sicuramente non può essere eliminato in pochianni, si può dire però che proprio a Montegabbione appare ecla-tante la capacità di un piccolo paese di accogliere persone diculture e provenienze diversi.Ma questo modello, unico in Italia, si basa su lunghi decenni dilavoro. Ecco il racconto di un altro Sindaco, Marco Spallaccini,in carica dal 1999 al 2009:

Il nostro paese si è andato via via trasformando da paese di emi-grazione a paese di immigrazione.Vengo da un’esperienza che vanta già 20 anni di intercultura equindi abbiamo trasformato questa capacità, adattandola anchenella scuola alle necessità del momento. Oltre alle lingua straniereclassiche, francese e inglese, si è insegnato anche il tedesco e l’al-banese, rispettivamente ai tedeschi e albanesi che ne fanno richiestatramite esperti in lingua madre.Abbiamo elaborato anche il progetto accoglienza a scuola, cioè ibambini stranieri che non parlavano l’italiano venivano accolti dauna persona che faceva da interprete.Abbiamo anche integrato il discorso scolastico nella società conaltre iniziative, come la “Festa Europa” che venne fatta con tutti icittadini stranieri residenti con lo scambio in questo caso dellacultura eno-gastronomica, protratta poi nella “festa del pane”. Quelgiorno furono fatte da donne albanesi, ucraine tedesche, file di pane,ossia un elemento che unisce tradizionalmente queste culture.Poi con la legge 285/96 si sono istituiti i centri di aggregazionegiovanili e qui abbiamo lavorato molto con progetti per la fascia

adolescenziale e preadolescenziale con i ragazzi stranieri, che so-prattutto bambini, costituiscono la maggioranza che abita nelcentro storico. Basti pensare che il centro ha un nome tedesco“Frei Geist” (spirito libero) che conserva tutt’ora, e che attualmenteè un centro ancora molto frequentato per progetti sull’interculturache di anno in anno si sono arricchiti.Tutto ciò ha permesso di allacciare rapporti che non si interrom-peranno mai, che fanno parte di un colloquio continuo con le co-munità straniere.Poi fu istituito uno sportello dell’immigrazione, in un progetto diambito di tutti i Comuni dell’Orvietano, in base al D.Lgs. 286/98per cercare di dare una risposta a problematiche specifiche legateal lavoro, alla casa, ai permessi di soggiorno...Il rapporto fra immigrati e popolazione locale è stato buono, ancheperché nella totalità delle famiglie qui c’è una forte esperienza diemigrazione e questo ha in qualche modo agevolato il rapportocon l’immigrato.Avremmo voluto comprare, se ci fossero stati fondi sufficienti,dei volumi in lingua madre albanese, romena, tedesca, russa, daconservare in biblioteca per legare culturalmente queste comunitàa quella nostra, per non farli mai rimanere a sé stanti. Purtropponon ci siamo riusciti, a parte qualche dizionario; ci auguriamo chequesto si possa attuare in futuro.Nel 2000 nella lista di maggioranza è stata eletta nel ConsiglioComunale di Montegabbione, Beatrix Ebeling prima consiglieratedesca a sedere su uno scranno italiano. Questa elezione ha portatoun notevole contributo dal punto di vista umano e culturale perla comunità di Montegabbione.Non so se si è ottenuta una vera integrazione, perché credo chesia un fenomeno molto complesso. Certo è che occorre lavoraresulle cose più semplici e noi come Amministrazione ci abbiamoinvestito molto, e da un punto di vista sociale e culturale i risultatisono stati eccellenti.

Oggi il Comune di Montegabbione continua ad intraprendere

Page 19: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

19Michela Zucca

il percorso di partecipazione attiva delle comunità straniere allavita istituzionale del paese, con l’istituzione della Consulta Co-munale dell’Immigrazione, organo con poteri propositivi versol’Amministrazione. L’attuale Sindaco Andrea Ricci, membro delConsiglio per l’Emigrazione della Regione Umbria, spiega:

È il primo Comune dell’Orvietano a dotarsi di uno strumento chepermette la partecipazione attiva degli immigrati alla vita ammi-nistrativa. A Montegabbione è come fare il giro del mondo graziealle 20 nazionalità diverse che oggi sono presenti! Con il progettosull’immigrazione “La valigia di cartone. Storie e culture dei popolimigranti” si sono creati punti di incontro fra immigrati e autoctonisu temi che da sempre sono comuni per i popoli di ogni parte delmondo: i giochi, il pane, i viaggi… con momenti di scambio e ar-ricchimento culturale reciproco, guidati anche dalla convinzioneche “Conservare la cultura di origine degli immigrati aiuta l’inte-grazione con la nuova cultura di adozione”7.Anche nella scuola di Montegabbione, che non a caso rientra neiprogetti speciali della giunta regionale come “Centro risorse di-dattico-educativo per l’incontro fra culture” si insegna oltre chel’italiano ad albanesi e romeni, anche la lingua madre albanese eromena. Questo rappresenta un gesto di accoglienza verso i bam-bini stranieri, ma soprattutto dà loro la possibilità di non perderei legami con il proprio paese d’origine, nella speranza che si possarealizzare il sogno, ambito da molti di loro ma forse poco cono-sciuto da noi, di tornare nella propria terra.

I filoni dell’immigrazione e dell’emigrazione si intrecciano nel no-stro Comune. Per questo abbiamo voluto valorizzare il legame sto-rico fra Montegabbione e Basilea, uniti da un filo di ricordi maanche dal fatto reale che una parte d’Italia è lì: con la Manifesta-zione “Montegabbione Woche”, organizzata in collaborazione conARULEF Umbria, si è cercato di portare un pezzo di Umbria, Mon-tegabbione in questo caso, agli emigrati italiani a Basilea, ricor-dando i sapori e i profumi della loro terra di origine, per mezzo di

un evento di promozione territoriale che mostrasse anche alla cul-tura che li ha accolti la ricchezza culturale (Mostra di Montegab-bione Fotografia e diffusione degli eventi culturali), territoriale (ilnostro bosco, La Scarzuola, Castello Montegiove, il borgo di Casteldi Fiori...) e gastronomica (degustazione di prodotti montegab-bionesi).

Un dato importante che emerge dai racconti dei nostri emigrati èl’arricchimento portato alla cultura svizzera con la nostra emigra-zione, soprattutto sotto l’aspetto di vita sociale: i tavolini al-l’aperto, le serate ludiche, la gastronomia, i costumi... atestimonianza ancora una volta della celebre citazione inerente lagrande emigrazione italiana in Svizzera “Volevamo braccia, sonoarrivati uomini”8. Con questa Manifestazione si è valorizzato ilruolo che gli emigrati italiani hanno rivestito e rivestono tutt’ora,quali straordinari ambasciatori del Territorio.

Foto di Osvaldo Mencarelli

Page 20: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

20 Michela Zucca

1 Michela Zucca, Storie di vita - immigrazione a Milano, 1994, www.michela-zucca.net2 Caritas e Migrantes, Immigrazione: dossier statistico 2010, Idos, Roma, 2010,pp. 133-140: Famiglie miste in Italia, fra matrimoni, nascite, separazioni e divorzi.3 ISTAT, Popolazione straniera residente al 1° gennaio per età e sesso,http://demo.istat.it/strasa2010/index.html4 Michela Zucca, Le Alpi. La gente, Centro di ecologia alpina, Trento, 2007.5 Intervista a Renato Montagnolo realizzata il 17 ottobre 2011. La frase è diBruno Marchino, Sindaco di Montegabbione per 19 anni, dal 1956 al 1975,imprenditore agricolo e in prima linea per far ottenere i diritti e le terre aicontadini, e per far abolire la mezzadria

6 P. Pupo, Emigrazione e immigrazione a Montegabbione (Provincia di Terni): et-nografia di una trasformazione. Tesi di laurea a.a.2003-2004; A. Artedia, Dagliemigranti agli immigrati: 1948-2008. I flussi migratori in Umbria nei primi sessantaanni della Repubblica Italiana. Gli esempi di Gualdo Tadino e di Montegabbione,Regione Umbria-Arulef.7 Traute Taeschner, professoressa di psicologia del linguaggio e della comu-nicazione alla Sapienza “Università di Roma”.8 Max Frisch, scrittore e architetto svizzero-tedesco (1911-1931), come in-tellettuale di spicco volle sempre mantenere un atteggiamento fortementecritico nei confronti della politica della Svizzera.

La scuolaNel panorama della condizione di vita di un immigrato in Italia,possiamo individuare un punto positivo: la scuola. Specie per ledonne.“Imparare la lingua” è solo una scusa per frequentare un corso diformazione: spesso (anche nella mia esperienza!) molti studentiparlavano l’italiano meglio di molti italiani stessi. La scuola èvista in primo luogo come una risposta a necessità diverse: di al-fabetizzazione nella nostra e nella madre lingua (non nel caso deisudamericani, comunque); di conoscenza e informazione sullasituazione italiana: sui servizi, la storia, la cultura del nostro paese.Gli stranieri, anzi, sono veramente ansiosi di entrare in possessodi una memoria storica sui fatti, le cose, i luoghi, le persone chepuò donare un senso di appartenenza ad una nuova patria.La scuola assume un alto valore simbolico, oltre che strumentale:molte di queste donne, nei paesi di origine, ne sono state escluse;e qui trovano la scusa giusta per poterci andare. L’esclusionelinguistica di cui sono vittime tende ad aumentare la loro mar-ginalità culturale, economica e sociale: e di questo sono benconsce, molto di più dei connazionali maschi.Il corso di italiano diventa il luogo del riscatto dalla propriaemarginazione, il posto in cui conoscenze, nozioni, capacità ri-servate a pochi possono diventare patrimonio comune. Si tra-

sforma in punto di incontro fra donne, migranti anch’esse; congli altri stranieri; con gli italiani, rappresentati, nella stragrandemaggioranza dei casi, da un’altra donna: l’insegnante. Ci si fadegli amici, si esce insieme la domenica, si va al cinema, allemostre, a visitare la città: si interscambiano esperienze, pareri,culture diverse: si ridiventa esseri umani. Si smette di essere “ladonna” o “la baby sitter” o “quella che fa le pulizie” per tornaread essere quello che si era prima di partire.E se il bisogno esplicitato quando ci si iscrive a scuola riguardal’apprendimento della lingua, il bisogno reale, espresso in un se-condo tempo, ma molto più urgente, è quello di incontro, disocializzazione, e anche di tentativo di integrazione. Si trattadell’unico momento “pubblico” riconosciuto che la nostra societàdestina agli immigrati, unica opportunità per incontrarsi con lanostra cultura. Il tempo della formazione svolge un’altissimafunzione a livello di riconsiderazione di sé, soprattutto quando“fuori” ci si sente considerati come esseri inferiori. Centro di consulenza e di aiuto per iniziare a muoversi nellacomplessità delle nostre regole economiche, sociali, vitali, luogoin cui si apprendono le regole della sopravvivenza occidentale,la scuola diventa il centro in sui si può condividere una culturafondata sulla partecipazione, la solidarietà, la difesa del propriomodo di intendere il mondo.

Page 21: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Storie di vita migranti

Page 22: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Beatrix

Page 23: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata a Berlino nel 1949 da ge-nitori giovani: mio padre aveva 25

anni, mia madre 24.Era appena finita la guerra: abbiamo vis-suto a Berlino per 5 anni e poi ci siamotrasferiti a Francoforte dove ho fatto lascuola fino al liceo, cioè fino a 19 anni.Ho due fratelli. I miei si sono separatiquando io avevo 14 anni ed essendo rea-listica sono rimasta con mia madre. Unodei miei fratelli è andato a studiare aFrancoforte e l’altro non ha studiato. Miopadre era laureato, mia madre era infer-miera. La separazione dei miei genitori miha dato l’idea che la famiglia non ha unruolo forte nella vita. Ho dato aiuto allamamma perché era giù di morale; lei nonè mai stata una brava casalinga, avevamodonne in casa che ci davano una mano,per lavare, stirare...Dai 14 ai 19 anni il clima a casa era un po’pesante a causa della separazione; i ma-schi erano i preferiti da mio padre e io mi

trovavo in mezzo. In quel periodo hofatto tanto sport, studiavo flauto, fre-quentavo club di volleyball, andavo a ca-vallo: erano gli alimenti che mi dava miopadre e io utilizzavo i soldi così. Ne davamolti ai miei fratelli e qualcosa lasciavaanche per me e io li spendevo così. Miopadre guadagnava bene, aveva un’agen-zia di pubbliche relazioni.Ho ripetuto una classe al liceo linguisticoper questa situazione in casa. Nel frat-tempo a Francoforte è scoppiata la rivo-luzione degli studenti e mio fratello,quello più grande, è andato con loro, maio non volevo vivere questa situazione dibrutalità e ho scelto di vivere a Magonza,città in cui c’era un’ottima università mala situazione era più calma.Questo evento ha separato me e mio fra-tello che mi vedeva come conservatrice.Ho studiato Lettere e mi sono laureata;ho fatto il dottorato anche lavorando. Eramolto dura. Ho dovuto lavorare perché

23Beatrix

Nata nel 1949 a Berlino (Germania)Due volte divorziata, un figlio

Beatrix Ebeling LA DONNA FUORI DAGLI SCHEMI

Page 24: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

mio padre è fallito nel lavoro. InsegnavoLettere nel triennio del liceo, perché nonavendo fatto pedagogia non potevo inse-gnare a studenti sotto i 18 anni (in Ger-mania è così).Sono stata attrice di teatro della scuolasuperiore, e ho interpretati ruoli da pro-tagonista; la scuola mi pesava, l’univer-sità no. È stato il periodo più allegro dellamia vita, amicizie, viaggi... Della scuolanon ho più amici, dell’università sì.I miei sogni sono connessi con la profes-sione. Volevo diventare medico e andare

in Africa; poi volevo diventare modella,poi dopo aver studiato all’università vo-levo diventare giornalista e fare l’inviatada New York.

[ ]Il fallimento di mio padre mi ha costrettoa trovare un lavoro, non avevo scelta esono rimasta a insegnare lì a Wiesbaden.Insegnare è una cosa che mi viene natu-rale, non lo vedo come una professione,

ma come un lavoro leggero. A 30 anni hopensato di avere un figlio, un po’ fuoridalle regole. Ho cercato un padre adatto,che portasse i geni che io non ho: piùserio, più dritto nel seguire una linea...L’ho trovato e ho fatto questo figlio. Holasciato quest’uomo e dopo due anni hotrovato un’altra persona con cui mi sonotrovata bene. La mia famiglia mi avevacircondata perché avevo il bambino e mistavano molto addosso. Un giorno si sui-cidò mia cognata, quando mio figlioaveva due anni, e mio fratello, il più pic-colo, venne a vivere con me (quello piùgrande era venuto in Italia quando avevo25 anni per motivi politici, non si trovavapiù bene in Germania).Si innamorò di mio figlio e abbiamo vis-suto insieme per 5 anni. Mi dava unamano e alla fine ha buttato fuori mio ma-rito perché mi picchiava. Sono cresciutain un ambiente pacifico, la mia famigliaera ben educata; quando lui ha alzato lemani per la terza volta l’ho buttato fuorie non ne ho voluto più sapere.Poi abbiamo passato tre anni particolar-mente belli. Con l’aiuto del Sindacatosono stata eletta dai colleghi presidentedel collegio docenti, ma ho avuto fortiscontri con il direttore che non mi accet-tava. Voleva buttarmi fuori, ma non po-teva almeno per tre anni. Al quarto annomi sono detta: “me ne vado volontaria-mente, ma voglio un indennizzo” e cosìabbiamo patteggiato e ho lasciato la

24 Beatrix

A 30 anni ho pensato di avere un figlio, unpo’ fuori dalle regole. Ho cercato un padreadatto, che portasse i geni che io non ho...

Page 25: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

scuola. Mio fratello che era molto fanta-sioso, ha fondato una ditta che organiz-zava mostre ed altre eventi ad alto livelloe mi propose di fare le pubbliche relazioniper lui.Abbiamo lavorato insieme per due anni;era difficile, molto più facile viverci chelavorarci.

[ ]Allora ho cambiato e ho collaborato conun mio amico che lavorava in un’agenziapubblicitaria: mi sono occupata di testi.Scrivevo sui film, sugli eventi e ho lavo-rato tantissimo. Vedevo i film in inglese,e facevo le schede del film e degli autoriin tedesco. Ho lavorato così per 5 anni(mio figlio aveva dai due ai sette anni); ioavevo una ragazza del Trentino che pen-sava al bambino e in cambio imparava lalingua. Poi mia madre ha smesso di lavo-rare ed è venuta da me e mi ha dato unamano. Io viaggiavo molto, ero elegantis-sima, sempre in forma... per molti anniho avuto sogni terribili di dover tornare afare quel lavoro. Ero terrorizzata perché èstato un periodo molto frenetico. Miamadre mi disse: voglio vedere tuo fratelloin Italia, possiamo andare da lui? Lui giàviveva in Umbria, con la comunità tedesca,alla Piaggia, località di Montegabbione.Io non avevo voglia di passare le vacanzein questo posto un po’ hippy e non sa-

pevo per la verità neanche dove stessel’Umbria. Presi una mappa e poi siamopartiti. Siccome la casa alla Piaggia eramolto modesta, abbiamo preso un appar-tamento a Montegiove (frazione di Mon-tegabbione) perché quella era troppo“rurale”, diciamo così. Nelle tre case dellaPiaggia c’erano 20 adulti e 10 bambini.Tutti mi parlavano di Karl Ludwig che vi-veva lì e insegnava a Francorforte. Luiconsegnava i regali a mia madre da partedi mio fratello quando ancora stavamo inGermania. Ci siamo conosciuti il secondo

giorno che sono arrivata, ed è stato “colpodi fulmine”, come dicono qui.Un mese dopo ho pensato di venire inItalia; ho chiesto a mio figlio che dovevacominciare la scuola. Ho sciolto tutto,casa, tutto, un’intera vita e sono arrivatainsieme a mia madre e mio figlio il primogennaio.Quindi mia madre era a Montegiove e iosono entrata in questo gruppo omogeneoma anche molto chiuso, almeno per me.Mi sono trovata malissimo principal-mente per tre motivi: non avevo mai vis-

25Beatrix

Io viaggiavo molto, ero elegantissima,sempre in forma...

Page 26: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

suto in campagna, non avevo mai avutoa che fare con gli animali, non avevo maivissuto in gruppo.Mio fratello non era molto contento diquesta scelta che avevo fatto, perché luinon voleva legami con la famiglia. L’altrofratello mi diceva di tornare in Germania.Io dissi: lasciatemi in pace, io provo a vi-vere qui, questa è la mia decisione.Mio figlio si trovava benissimo. A scuolaerano in 9 come fratelli, abitava in cam-pagna all’aperto, non gli sembrava vero!La vita per lui è cambiata in modo piace-vole, invece per me i primi due anni sonostati pesanti. La casa era sempre piena digente, la vita era vivace. Ho provato adimparare a fare l’orto, a trattare gli ani-

mali, ma c’erano sempre ostacoli; quelloche facevo non piaceva o all’uno o all’al-tro. Facevano sempre meglio di me.Così sono arrivata al punto di dire: que-sta vita non fa per me, devo trovare unasoluzione. La relazione con il mio compa-gno funzionava ma non sapevo che la-voro fare.Mi sono buttata sull’italiano e conun’amica che aveva un vigneto ho scrittodepliants in tedesco promuovendo pro-dotti locali. Ho fatto la traduttrice ancheper il tribunale di Orvieto. Ho fatto l’im-bianchino con mio fratello, ho accuditoun professore tedesco che era malato, hoinsegnato nelle medie in un progetto in-tercultura a Montegabbione ed era moltopiacevole con le insegnanti, anche se ilcompenso era sotto il livello di una donnadelle pulizie. Ho iniziato a dare ripetizioniper le superiori. Dopo volevo studiare me-dicina (sempre per quel sogno di fare ilmedico in Africa), mi sono preparata perl’esame d’ingresso ma sono arrivata 26esima, ne prendevano 25! Meglio così, chice l’avrebbe fatta a studiare altri 6 anni!!Invece un giorno il nostro veterinario michiese il motivo per cui avrei voluto faremedicina e alla mia risposta mi presecome assistente quando operava gli ani-mali. Mi è piaciuto tantissimo.Nel ’96 sono arrivati i vicini che avevanodei bambini in affidamento dalla Germa-nia. Sono ragazzi tedeschi che vengonomandati nelle famiglie che hanno un mi-

nimo di istruzione e normalmentestanno due anni e hanno problemi psico-logici, di droghe, di uso di armi, sonostate violentate... Io pensavo di averchiuso con l’insegnamento, invece ho ini-ziato a insegnare a casa. Prima a uno, poia due, tre... Dopo quattro anni erano di-ventati troppi per continuare ad inse-gnare in casa e nel 2000 ho preso una casain affitto a Tavernelle perché era unpunto più raggiungibile da tutti che vive-vano sparsi nei paesi vicini.Il 2000 è stato un anno strategico per me:mi sono separata dal marito, sono stataeletta nel consiglio comunale di Monte-gabbione, ho cominciato il lavoro profes-sionale, mio figlio di 19 anni è tornato inGermania a frequentare l’università.

[ ]Libertà assoluta. Mi sono sentita mestessa, ho avuto di nuovo indipendenzaeconomica, indipendenza da mio figlio,indipendenza da mio marito, accetta-zione di me da chi mi stava intorno. Misono messa a disposizione della cittadi-nanza. Sono uscita da quel gruppo cheper me era chiuso, o almeno io lo vedevocosì: mi mancavano le amicizie, i con-tatti, la conoscenza della vita intorno e aMontegiove.Una signora per me molto importante èstata la Gilda che venendo da Roma si

26 Beatrix

Mi sono messa a disposizione della citta-dinanza. Sono uscita da quel gruppo cheper me era chiuso...

Page 27: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

sentiva un po’ straniera a Montegiove ecapiva bene la mia situazione. Lei mi hainsegnato un po’ di italiano. C’erano lefeste, erano tutti gentili e disponibili,forse mi aiutava il fatto che mia madreera lì, così come i bambini, e quindi nonmi vedevano come un’estranea. Questomi ha facilitato l’ingresso nelle case diOsvaldo, Mara, Caciotto...Mio figlio è mezzo italiano e mezzo te-desco. Le tracce della sua crescita quisono ovvie. Nel 2000 all’Università inGermania non riusciva a scrivere in tede-sco; è andato al Goethe Institute chie-dendo un corso di tedesco scritto. Hafatto il corso e ancora oggi i testi più im-portanti me li passa e glieli correggo io.Io penso in italiano; sono nata tedesca,vivo in Italia, sono cittadina europea esto benissimo. Capisco bene la mentalitàitaliana, ho un feeling su come pensano,perché si arrabbiano, posso capirli manon sono come sono io, per questo nonchiedo la cittadinanza italiana.Ho dovuto rinunciare alla vita conforte-vole di città che qui trovo con difficoltà.Mi manca il teatro, la possibilità di usciree trovare una situazione più movimentata.Avrei bisogno di “vita quotidiana” intorno,tipo quella in cui sono vissuta per 38 anni.

[ ]Il mio futuro? Per altri cinque anni farò

questo lavoro. Poi penso che andrò inIsraele per collaborare con organizzazioninon governative Israele-Palestina. Questopotrebbe essere un punto del mio futuro.Ma non lascio l’Italia! La Germania nonmi attira, sono strani per me; dopo ilcrollo del muro di Berlino si sta svilup-pando come una nazione qualsiasi. Nonmi sento di condividere la vita attuale diquel Paese e non mi interessa. L’unicocontributo che dò è il voto alle elezionipolitiche nazionali.Non ho mai pensato di tornare indietro;né dopo due né dopo ventidue anni. Inquesti venti anni sono cresciute le rela-zioni qui.Per mio figlio io auguro che possa diven-tare autonomo, mi auguro le cose banali,perché lui farà la sua storia. Con mio fi-glio ho fatto un contratto (molto diver-tente) di dieci punti che dettano le normesulle nostre sovrapposizioni.Ho imparato a vivere in modo più mode-sto, ho cercato di abolire il consumismoesagerato, ho imparato a superare le feriteemozionali facendomi aiutare da altragente, imparando a fidarmi.Vivere più lentamente, sviluppando af-fetto per la natura.Ogni mattina quando mi alzo e apro lafinestra sul territorio di Montegabbione,mi guardo intorno e penso di essere in unvero paradiso (anche se non sono moltocattolica), penso che per me questo è unregalo, quello di vivere qui.

27Beatrix

noi e voiLa relazione di amicizia vera non c’è.Non c’è lo scambio di ospitalità quo-tidiana; manca la leggerezza. Sonostata invitata a matrimoni, comunioni,occasioni, ma non c’è il rapportostretto, il vivere in modo festoso quo-tidianamente. L’80% della popolazioneè così con tutti noi, forse per paura diagire in modo non abituale, forse la pi-grizia di apprendere qualcosa di un’al-tra cultura. Ho trovato amici, nontanti, quattro amici stretti e fuori dalgruppo e poi sei tedeschi. Ora vivo inambito internazionale, conosco moltiinglesi e tedeschi della zona. Condividocon gli amici la cultura, la lingua, leidee politiche.

Non ho mai pensato di tornare indietro; nédopo due né dopo ventidue anni.

Page 28: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Aurora

Page 29: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Petresti è una frazione di Foscani,una cittadina grande il doppio di

Fabro. La mia mamma fa l’operaia inun’industria tessile, mio padre è operaioin una fabbrica di macchine agricole.Hanno sempre lavorato lì, ancora adessolavorano dodici ore al giorno e prendonocentocinquanta euro al mese. È dura. Perfortuna vivono in una casa loro, ma i soldiservono lo stesso. Mia madre ha fatto unliceo che specializzava nel cucito, perchéda noi c’era Chauchesku: se facevi lascuola e ti specializzavi poi trovavi lavoroper quello per cui avevi studiato. Anchemio padre ha fatto un liceo con specializ-zazione nelle macchine agricole e quindiha trovato lavoro in quel settore.Chauchesku me lo ricordo poco perchéero piccola: ho bene in mente la tesseradel pane con la quale avevi diritto a duefette di pane al giorno, un chilo di zuc-chero a settimana e così via tutto razio-nato per i generi alimentari.

Andavo d’accordo con i miei genitori,erano severi ma una cosa normale. Ho unfratello e mia madre pensava a noi, allacasa e lavorava. Lavorando tutto il giornosi organizzava nelle faccende domestichee noi stavamo con la nonna e con la zia.I miei genitori sono stati la mia guida, maanche mia nonna È molto religiosa, oraha novantasette anni, è un amore. Nonci mancava niente, avevamo e abbiamoanche ora la casa e la terra, gli animali, in-somma una fattoria, ci pensa più chealtro mio padre, da noi è tutto pianeg-giante, non come qui.Passava il pullman ogni dieci minuti e ciportava a scuola nel capoluogo, Foscani.Andavo bene, non avevo difficoltà, maiavuto problemi. Ho frequentato quattroanni di liceo forestale e poi sono rimastaincinta e quindi ho smesso. Mio zio lavo-rava il legno e loro mi hanno spinta a sce-gliere questo liceo. Queste scuole eranodappertutto, anche nelle città piccole, le

29Aurora

Nata nel 1980 a Petresti (Romania)Sposata, un figlio

Aurora Husca LA DONNA CHE NON SI FERMA MAI

Page 30: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

città più grandi avevano anche l’univer-sità. Non mancava niente, l’inverno eramolto freddo, raggiunge i -20°C, l’estateinvece è come qui.

[ ]Ho conosciuto mio marito ai tempi delliceo, ci siamo sposati e sono felice con lui.Non avevo grandi sogni, mi accontentavodi quello che avevo. Dopo sposata sonoandata a vivere a Foscani, è nato il bam-bino e mi sono occupata della famiglia. Ioe mio marito siamo cresciuti insieme, nonlavoravamo, lui faceva piccoli lavoretti. Ciaiutavano i miei genitori e sua madre cheera venuta a lavorare in Italia ci mandavai soldi, mentre la roba da mangiare la pren-devo a casa dei miei. Ci aiutavano i geni-tori da entrambe le parti, fino a quandomio marito ha deciso di venire in Italiaperché aveva la mamma e il fratello. Miasuocera sta a Perugia tutt’ora e mio co-gnato vive a Chiusi. Abbiamo deciso cosìperché ad un certo punto abbiamo pen-sato di voler fare le cose da soli: ad un certopunto nella vita uno dice “basta”.Noi siamo cresciuti da soli perché miamadre lavorava e quindi ci lasciava; èforse per questo che anche qui io preferi-sco fare da sola, non voglio troppo aiuto.A me piace molto aiutare gli altri, però iopreferisco fare da sola, non amo che mistiano sopra.

30 Aurora

Non avevo grandi sogni, mi accontentavodi quello che avevo...

Page 31: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Mio marito è in Italia da nove anni, è ar-rivato a gennaio. All’inizio siamo stati se-parati quattro mesi, è stato bruttissimoper noi che eravamo abituati a stare sem-pre uniti, anche al bagno insieme... Poisiamo venuti io e il bambino, abbiamopreso l’aereo perché il bimbo aveva dueanni, era piccolo. Mia suocera ha trovatolavoro sia a mio cognato che a mio ma-rito, a lavorare nel taglio del bosco.

[ ]Sono arrivata con un visto turistico chevaleva tre mesi. Ero felice di aver ritro-vato mio marito. Per una settimanaavevo tutto prenotato, perfino l’hotel,ma io sapevo che sarei rimasta più alungo. Ho dormito nel capanno dove dor-miva mio marito, c’erano le formiche edho trovato uno scorpione nel letto. Perfortuna ci sono stata solo una notte.Ci siamo trasferiti a Faiolo in affitto doveabbiamo vissuto un anno e mezzo. Per luiquesto lavoro nel bosco era duro, l’Aulinera il suo rinforzo mattutino: capiraiprima facevamo la vita di città e poisiamo arrivati qui a spaccarci la schiena.Voleva l’Italia?! E l’ha trovata...Non si riusciva comunque ad andareavanti, il lavoro era pesante.In poco tempo ho imparato la lingua, al-l’inizio quando ero a Faiolo avevo laBruna che mi veniva a trovare, una si-

gnora di una certa età, molto brava, miparlava, mi capiva.Appena arrivata mi sembrava che il cielofosse caduto sopra di me. La lingua? Hocercato di comunicare sempre e ognigiorno mi entrava in testa, più stai con lepersone e più la impari, poi con la tv,viene naturale.

Poi sono venuta a vivere a Montegab-bione e dopo un anno e mezzo lui hacambiato lavoro, ora fa il muratore.Dopo i tre mesi della validità del per-messo di soggiorno sono stata clande-stina; non avevo il lavoro, non potevolavorare perché il bimbo era piccolo. InItalia non mi rilasciavano il permesso di

31Aurora

Ho dormito nel capanno dove dormiva miomarito, c’erano le formiche, ho trovato unoscorpione nel letto.

Page 32: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

soggiorno; a mio figlio sì perché era pic-colo, ma a me no, non c’è stato verso.Così sono stata clandestina per due anni,mi nascondevo, non mi facevo vedere piùdi tanto e poi ho deciso di tornare in Ro-mania all’ambasciata italiana per chie-dere il permesso di soggiorno per l’Italia.Ma non è stato facile: partivo da Foscanialle tre di notte per arrivare all’amba-sciata alle otto e nonostante avessi l’ap-puntamento, la fila era talmente lunga

che non mi ricevevano quando era il mioturno. Così me ne dovevo tornare a casae riprendere l’appuntamento e ricomin-ciare. Ho fatto questo per due mesi! Èstata durissima, io ero là e mio figlio emio marito qui, era da ammazzarsi, comesi fa a dimenticare? Pensavo di andare etornare velocemente, invece sono stata lìdue mesi; il Natale l’ho passato io in Ro-mania e mio figlio e mio marito qui. Allafine sono riuscita ad ottenere il permesso

di soggiorno per un anno e a quel puntopoteva essere rinnovato alla questura diOrvieto. Quando sono tornata è statauna gioia!

[ ]Dopo che mio figlio ha iniziato l’asilo, hodeciso di lavorare: ho trovato un impiegoin un ristorante e quindi abbiamo decisodi comprare casa; invece di pagare l’af-fitto, paghiamo il mutuo. Io non mifermo mai, lavoro tutto il giorno, tutta lasettimana, ma sono felice così. Non rie-sco a stare ferma.I rapporti fra noi due sarebbero stati glistessi, sia che stessimo ancora in Romaniapiuttosto che qui. Il figlio studia, è bravo;gli mancano un po’ i nonni, solo per que-sto vorremmo tornare. È attaccato a loro,andiamo a trovarli ogni due anni, perchédue settimane là ci costano duemila euro.Non ce lo possiamo permettere piùspesso, abbiamo il mutuo da pagare.Ho dovuto rinunciare alla mia famiglia.Loro l’hanno presa male anche perchéanche mio fratello poi è venuto in Italia,adesso è a Roma. Là il lavoro c’è ma è sot-topagato e i generi alimentari principali,latte, uova carne, costano più di qui.I miei sogni ora sono quelli di pagare lacasa, guadagnare per mio figlio e la salute.Per il resto non chiedo nulla, sto bene cosìcome sto.

32 Aurora

Io non mi fermo mai, lavoro tutto il giorno,tutta la settimana, ma sono felice così.

Page 33: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiCon noi si sono comportati tutti benee mi hanno rispettata, forse di più gliitaliani che i romeni. Anche oggi sedovessi chiedere aiuto, mi rivolgerei adun italiano piuttosto che un romeno.Ho due amiche qui in Italia, Morena eDaniela, ci lavoro insieme, sono comedue sorelle, sono stupende. Frequentogli italiani abitualmente, mangiamo in-sieme, ceniamo insieme. Ci lavoro e cipasso bei momenti. Mi sento integrata,per me non c’è differenza. Per me isoldi non valgono niente, per me sonoimportanti le parole e il rispetto.

Non tornerei là, ci vado perché ci sono imiei genitori. Il figlio cresce e lui non tor-nerà mai là e io non lo posso abbando-nare. Ormai è qui, la strada è fatta per luima anche per noi. Forse in vacanza...Rifarei quello che ho fatto, cominciandoda zero su tutte le cose. I romeni che ven-gono in questa casa mi dicono “Beati voiche avete la casa” e io gli dico “Guarda

che non è che è caduta dal cielo...” Sonocontenta di quello che abbiamo fatto dasoli, non abbiamo accettato un cente-simo da nessuno.Per il futuro ci auguriamo tutto il benedel mondo. Mi dispiace per i miei geni-tori, mi dispiace per loro che devo starequi, ma la mia vita è qui. Anche mio ma-rito la pensa così.

33Aurora

Page 34: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Victorita

Page 35: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata a Vaslui in Romania:abitavo con la mia famiglia in una

piccola casa in campagna.Mi chiamo Victorita ma a casa fin daquando ero piccola mi chiamavano Lisa:così mi chiamava mio padre. La mia fa-miglia è molto numerosa, siamo sette fra-telli e mio fratello più grande ha diecianni più di me. Io sono la più piccola e lasorella con cui sono stata sempre più le-gata è Lucia che è poco più grande di me.Mio padre era vasaio e mia madre casa-linga. Sono andati a scuola entrambi mahanno frequentato la scuola elementareche da noi dura quattro anni come glialtri cicli scolastici. Ho vissuto un’infan-zia serena con la mia famiglia. Per andarea scuola io ed i miei fratelli facevamo ognimattina tre km a piedi, perché il pulminonon c’era. Questo sempre, anche quandoc’era la neve e lì nevicava molto e spesso.Poi ho frequentato la scuola superiore dielettrotecnica, una sorta di liceo con spe-

cializzazione; dovevo fare sempre tre kma piedi per arrivare alla stazione dei pul-lman che mi avrebbe portato a scuola incittà. E quei tre km anche per uscire conle amiche... ero abituata a camminarecosì tanto! Tutti eravamo abituati abi-tando in campagna. Per andare in disco-teca camminavamo anche per 15 km:c’era il lago e dovevamo fare tutto il giroperché la discoteca stava dall’altra parte.Eravamo un gruppo di amici, ragazzi e ra-gazze, camminando chiacchieravamo, ri-devamo: era divertente!Finita la scuola ho fatto un corso per di-ventare cuoca e poi ho lavorato in un ne-gozio di abbigliamento a Vaslui. Hoconosciuto Ivano quando frequentavo illiceo: abbiamo fatto sempre tanta stradaper vederci! Ci siamo sposati nel 2002 enel 2003 è nato Theodor. Vivevamo acasa di Ivano, in campagna con mia suo-cera. Poi ho smesso di lavorare perché Va-slui stava diventando una città povera,

35Victorita

Victorita Pletoeanu LA DONNA CHE SI SENTE BAMBINA

Nata nel 1979 a Vaslui (Romania)Sposata, un figlio

Page 36: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

non c’erano più soldi e il negozio dove la-voravo ha dovuto chiudere.

[ ]Una mia amica era emigrata a Città dellaPieve e si trovava bene, aveva un buon la-voro da badante. Ho iniziato a pensare al-l’idea di partire e le ho chiesto di aiutarmi

a trovare un’occasione di lavoro ancheper me. Questa opportunità si è presen-tata dopo poco tempo: una ragazza ro-mena che era amica della mia amica elavorava come badante a Monteleone,doveva allontanarsi per un periodo cosìio sono venuta in Italia a sostituirla.Avevo paura di partire per un Paese lon-tano, lasciando mio marito e mio figlio,ma c’era la crisi in tutto il mio Paese e

anche la nostra famiglia ne risentiva.Sono partita con la prospettiva di unavita migliore. Sono arrivata a Monte-leone di notte, ad aprile 2010. Il primoimpatto è stato un po’ strano. In paesec’era molto silenzio, era tutto tranquillo,buio. Mi sono chiesta se ci abitasse qual-cuno, sembrava un paese fantasma.Avevo paura, non parlavo una parolad’italiano.

36 Victorita

La gente pensava che io capissi l’italiano eche facevo apposta a dire che non capivo, main realtà non era così: non capivo davvero!

Page 37: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiAdesso siamo tranquilli, siamo serenitutti e tre insieme. Qui, come in Roma-nia, le persone non sono tutte uguali.Ci siamo fatti qualche amico. All’inizioappena sono arrivata e anche quandomi ha raggiunto Ivano, c’era fra la po-polazione un po’ di diffidenza, ma poiè andata meglio. Alessandra mi hadetto che ci sono tanti romeni a Mon-teleone ma io non ne conosco tanti:solo una coppia con cui siamo piùamici, poi una ragazza e un ragazzo chelavorano con mio marito. Quello cheservirebbe per le persone che arrivanoqui in Italia è l’aiuto per imparare l’ita-liano: sarebbe più facile integrarsi.

La gente pensava che io capissi l’italianoe che facevo apposta a dire che non ca-pivo, ma in realtà non era così: non ca-pivo davvero! La signora anziana dovelavoravo, Lina, stava sempre zitta, equando mi telefonavano la nuora o il fi-glio, io avevo imparato dal suono le do-mande che mi rivolgeva: “Ha mangiato?Sta bene?” E io rispondevo sempre conun “sì” o con un “no”. Ho faticato moltoper imparare l’italiano. Dopo tre mesi la ragazza che sostituivo ètornata e sono andata a lavorare una set-timana a Massa Martana. Lì però il la-voro era abbastanza difficile perchépurtroppo il vecchietto che accudivo eraun po’ matto. Comunque sono rimastacon lui solo una settimana poi sono tor-nata a Monteleone e ho ricominciato alavorare dalla stessa signora perché l’altraragazza era andata via definitivamente.Mi trovavo bene a lavoro con la famigliadella signora Lina. Certo, mi sentivo unpo’ sola, mi mancava la mia famiglia enon uscivo quasi mai.

[ ]A dicembre finalmente mi ha raggiuntomio marito: i figli di Lina, che sono statigentili e disponibili, gli hanno trovato unlavoro come muratore. E quindi ci siamoritrovati, però non abbiamo potuto an-cora portare con noi Theodor perché non

eravamo sicuri dei nostri rispettivi lavori.Lui stava con la nonna e andava a scuola:stava bene. Certo, ci mancava molto. Ioil pomeriggio spesso dopo il lavoro an-davo ai giardini a giocare con gli altribambini: giocavo anche io a nascondino.Mi piace giocare: mi sento un po’ bam-bina. Dopo che purtroppo la signora Linaè morta io sono riuscita a trovare un altrolavoro e Ivano ha continuato a lavorareed avere più sicurezza. Così abbiamo de-ciso di portare anche Theodor, il nostro“tesorino” a Monteleone. Qui a Monteleone quello che mi mancadi più è un po’ di vita, è tutto molto si-lenzioso, noioso, sempre la stessa vita, lastessa routine lavoro e casa. Ma adessoabbiamo nostro figlio, siamo più tran-quilli: stiamo insieme noi tre e stiamobene. Domenica siamo andati al centrocommerciale: ci siamo stati fino al pome-riggio, abbiamo mangiato e fatto shop-ping.Della Romania mi manca la mia mammae la mia famiglia: mio padre purtropponon c’è più. Al momento però non vogliotornare, è troppo presto. Io ed Ivano vo-gliamo rimanere qui a Monteleone, co-struire la nostra vita, far crescere Theodorqui Italia e dargli le migliori possibilitàper crescere. I miei sogni? Sono tutti permio figlio: vorrei che sia bravo e che di-venti una persona importante.

37Victorita

Io il pomeriggio spesso dopo il lavoro an-davo ai giardini a giocare con gli altribambini: giocavo anche io a nascondino.

Page 38: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Manushaqe

Page 39: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata nel 1970 a Tirana ma lamia famiglia viveva a Voro, una

piccola cittadina di campagna. Miamadre era casalinga e mio padre lavoravacome ragioniere per le aziende agricole: iosono la più piccola di 6 figli. Ho vissutoun’infanzia serena anche se la vita incampagna non era facile. La scuola eralontana ed io ed i miei fratelli facevamomolta strada a piedi per raggiungerla. Lescuole medie erano ancora più lontane.Con la pioggia arrivavamo fradici e c’erasolo una stufa a legna per asciugarci. Miopadre spesso lavorava lontano: me lo ri-cordo tornare sulla via di casa che erabianca e a volte piena di fango, con la bi-cicletta sulle spalle. Lo aspettavamo conansia perché ci portava dei regali. Hoavuto una famiglia semplice ma moltounita. Le superiori le ho fatte a Tirana. Ciandavo in pullman e seguivo il corso adindirizzo veterinario che mi piaceva mol-tissimo. Dopo le superiori ho lavorato

qualche mese in uno studio veterinariocon grande soddisfazione. Sognavo diavere un giorno un studio veterinariotutto mio. Poi ho lavorato in un magaz-zino agricolo ed in quel periodo ho cono-sciuto mio marito che già lavorava inItalia e tornava ogni tanto in Albania.

[ ]Mia nonna era siciliana ed ha sposatomio nonno che era albanese: da allora havissuto sempre in Albania ed i suoi figlisono nati lì. Lei ha insegnato a tutti l’ita-liano ma quando c’era il regime non erafacile mantenere i contatti con l’Italia:non poteva neanche mandare delle let-tere. Mia sorella era la più brava dellascuola ma non poteva andare all’Univer-sità proprio perché avevamo questanonna italiana. La dittatura era terribile:limitava molto la nostra libertà in tanti

39Manushaqe

Bizari Manushaqe LA DONNA CHE NON HA RIMPIANTI

Nata nel 1970 a Tirana (Albania)Sposata, due figli

Sono arrivata di notte: Monteleone mi èsembrato un po’ triste. Io pensavo fosseuna città!

Page 40: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

china andammo a piedi a Città dellaPieve: il ginecologo (Michele Saporito)che neanche ci conosceva ci riportò a casacon la sua macchina. Mi è rimasto tantoimpresso che un dottore, primario di unospedale facesse un gesto così. Ma tantepersone mi hanno dimostrato il loro af-fetto: Mariettina mi ha fatto addiritturale nottate in ospedale quando ho parto-rito, la signora Germana mi guardava ilbambino quando andavo a lavorare.Anche quando ho avuto problemi dopola nascita della mia seconda figlia, Ervisa,che ha dovuto anche subire delle opera-zioni, molti mi hanno dimostrato aiutoe solidarietà: Paola mi ha aiutato in tuttii modi, come fosse mia sorella; Massimoogni mattina portava Enrico a scuola.Ora è tutto passato ma questi gesti e que-ste persone non li dimenticherò mai enon solo per l’aiuto oggettivo che mihanno dato nei momenti di difficoltà maper l’affetto che mi hanno dimostrato.Penso che i soldi siano importanti ma ilrispetto e l’accoglienza lo sono ancora dipiù.Non ho rimpianti: sono venuta in Italiaper amore, ancora in Albania non c’erastata la grande crisi del 1996. Sono serenacon la mia famiglia ed avere una vita se-rena è tutto ciò che credo sia importante.Un piccolo sogno ce l’ho: mi piacerebbeche la passione di mio marito di dipingerepossa essere valorizzata e che lui possafare una mostra tutta sua.

modi. I ragazzi non potevano avere i ca-pelli lunghi; le ragazze non potevano por-tare jeans troppo attillati. C’era povertàpoiché era un sistema isolato dagli altripaesi.Nel 1993 mi sono sposata e nel 1994 sono

venuta in Italia qui a Monteleone d’Or-vieto dove mio marito lavorava già dadue anni presso una ditta edile. Sono ve-nuta con un permesso per venire a tro-vare i miei zii in Sicilia e poi ho fatto ilricongiungimento familiare. Quandosono partita ero già incinta di due mesi dimio figlio Enrico. Ero molto preoccupatadi questa partenza ma contenta perchésarei stata più vicina a mio marito. Comeimmaginavo l’Italia? In realtà credevochissà che! Sicuramente immaginavo unavita più facile e agiata. Sono arrivata dinotte: Monteleone mi è sembrato un po’triste. Io pensavo fosse una città!

[ ]I primi tempi sono stati un po’ difficili:stavo sempre a casa poiché non cono-scevo la lingua e mio marito lavoravatutto il giorno. Devo dire però che ci sonotante persone che mi sono state vicine emi hanno accolto con grande affetto. Lamoglie del datore di lavoro di mio marito,la signora Anna Maria mi ha aiutato edato affetto come fossi sua figlia maanche diverse altre persone mi hanno di-mostrato affetto e mi sono sentita ac-colta. Mi ricordo che ero incinta di cinquemesi e per fare il controllo in ospedale ioe mio marito che non avevamo la mac-

40 Manushaqe

Un piccolo sogno ce l’ho: mi piacerebbe chela passione di mio marito di dipingerepossa essere valorizzata e che lui possafare una mostra tutta sua.

Page 41: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiMi sono davvero sentita accolta daquesta comunità ed ora dopo tantianni io e la mia famiglia ci sentiamoben inseriti. Anche i nostri figli hannomolti amici. Tornare in Albania? Certo il desiderio è tanto ma d’altraparte stiamo ben qui: i nostri figli sononati qui e ormai anche noi ci sentiamoa casa come se fossimo nel nostropaese.

41Manushaqe

Page 42: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Dallandyshe

Page 43: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata il 24 Giugno 1974 aKukës: una cittadina né grande né

piccola, un po’ più grande di Montegab-bione. Mio padre faceva il geologo, avevastudiato all’università, mia madre facevala cuoca al ristorante e pensava ai figli ealla casa. Lei ha fatto le medie e poi hafrequentato un corso di sei mesi e avevaun diploma da cuoca.Ho 3 fratelli e 2 sorelle, due sono piùgrandi di me e gli altri sono più piccoli.Con i miei genitori avevo rapporti buoni,non erano severi, ho passato l’infanzia aKukës e poi a Tirana dove mio padre la-vorava e dopo lui è andato in pensione.Giocavo con le mie amiche e con mio fra-tello più piccolo. Ho frequentato lemedie e un anno di superiori, poi ho ab-bandonato ed ho fatto un corso di seimesi per realizzare i tappeti. Con questodiploma ho trovato subito lavoro inun’azienda di tappeti, a 15 anni già lavo-ravo. I tappeti li facevo a mano e lavo-

ravo dalle sette di mattina alle quattro dipomeriggio tranne la domenica.L’adolescenza l’ho passata lavorando finoa 17 anni. Non avevo aspirazioni partico-lari, forse sognavo di incontrare l’uomodella mia vita, quello sì, di conoscere lapersona giusta.E così è stato, a 17 anni ho conosciutoMefail che dall’89 veniva in Italia a lavo-rare. Lui abitava in Macedonia, ma laparte macedone albanese. Per arrivare inItalia doveva attraversare per forza l’Al-bania, il pullman passa da lì; si era fer-mato a fare un giro a Tirana e ci siamoincontrati. Questo a marzo. A giugno cisiamo sposati. La festa di matrimoniol’abbiamo fatta in Macedonia, a Gostivar,nella città di mio marito. Dopo un annoe mezzo è nato Dorart; è nato a giugno eMefail ad agosto è tornato in Italia a la-vorare. Poi è nato Jaumin. Io e i miei duefigli abbiamo continuato a vivere in Ma-cedonia con mia suocera e i miei cognati,

43Dallandyshe

Dallandyshe GjanaLA DONNA CHE “STAVA SEMPRE

DENTRO”

Nata nel 1974 a Kukës (Albania)Sposata, tre figli

Page 44: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

in una casa in campagna. Vivevamo dallaterra, senza troppe pretese. Ogni casa lìha un pezzo di terra per il sostenta-mento: mucche, galline, orto. Mefail con-tinuava a lavorare in Italia, veniva inMacedonia solo due volte l’anno, ad ago-sto e a Natale.

[ ]

Il 13 Giugno è nato Argjend, mio maritoera in Italia. Quando torna ad agosto glidico di preparare i documenti anche anoi, che anche noi volevamo venire qui inItalia. Lui mi dice: aspetta un po’ che cre-scono i figli.Quando mio cognato si è sposato ed è ri-masto a vivere lì, allora Mefail ha decisoche potevo venire. In realtà lui non vo-leva che lasciassi sola sua madre, e lo ca-pisco. Tutti i miei figli sono nati lì.

Nel 2002 mi fa il permesso di soggiornoper due anni e poi, nel 2004 fa la carta disoggiorno per tutti e quattro. Sono an-data ad Orvieto, in questura a fare i do-cumenti, mi hanno preso le impronte,ma non mi sono fatta troppe domande.Per me era naturale: l’importante era riu-scire a stare vicino a mio marito.Da un certo punto di vista mi è dispia-ciuto lasciare il mio paese, perché ho amicie parenti, ma non potevo più sopportareche noi stavamo lì e lui stesse di qua. Iosono albanese e Mefail è di Macedonia, maè albanese di Macedonia. La Macedonia è“formata” da tre parti: quella a nord vicinoalla Bulgaria, quella a sud vicino alla Greciae quella a est vicino all’Albania. La Mace-donia non esiste di per sé: è l’aggregazionedi queste tre nazionalità. Oggi non sap-piamo più cosa siamo, lì è un macello. Unlitro di olio (di semi ovviamente, d’oliva selo sognano: noi non abbiamo olivi, ètroppo freddo e importarlo costa troppo)costa 2.50 euro mentre qui costa un euro.A fronte di uno stipendio che lì è di 7 euroal giorno... quando lavori...

[ ]I miei fratelli sono venuti in Italia primadi me, a Roma. Ora due sono qui e uno èa Firenze.

44 Dallandyshe

L’importante era riuscire a stare vicino amio marito.

Mia sorella mi ha raccontato che negli ul-timi 4-5 anni gli italiani portano là in Al-bania fabbriche di scarpe, ma al mesedanno un salario di 150 euro.

Page 45: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiSiamo in Italia e noi vogliamo starequi. Qui sono tutti bravi con noi; nonho mai sentito parole contro di noi,contro i miei figli. Le donne mi diconodi loro che sono bravi ed educati. Nonfrequento gli italiani, i miei vicini sonopersone bravissime, la Giovanna a voltemi chiama per cogliere il rosmarino quisotto, con la Monica facciamo quattrochiacchiere. Gente impagabile. Mitrovo bene, ma non ho amiche italiane.Montegabbione non lo cambio conniente, è un paese tranquillo, non c’èrumore, nessuno dice male dei mieifigli. Loro stanno bene qui, però ancheloro non vedono l’ora che arrivi l’estateper tornare in Macedonia, al nostropaese che è alto come Montegabbione,ma è più freddo perché è ai piedi di unamontagna di duemila metri.

Anche in Albania non c’è lavoro, le cittàsono piccole, non ci sono attività e se letrovi, è una miseria. Per le donne è ancorapiù difficile trovare lavoro. Mia sorella miha raccontato che negli ultimi 4-5 annigli italiani portano là in Albania fabbrichedi scarpe, ma al mese danno un salario di150 euro.L’attività principale resta l’agricolturaper uso familiare. In molte famiglie gli uomini vanno inGermania e in Italia, sempre con i docu-menti. Solo che in Germania uno puòpartire, va a vedere se lì c’è il lavoro, poitorna e decide. In Italia no. In Italia sevuoi venire devi avere già il lavoro.Quindi per forza ti devi appoggiare aqualcuno che conosci e che è già in Italia.Qui si viene quando hai la certezza ditrovare un lavoro, altrimenti è un ri-schio. Un nostro amico lo scorso anno ha por-tato i suoi due fratelli che hanno lavoratoqui per tre mesi, poi è scaduto il visto;hanno telefonato in questura convinti diandare a prendere il permesso di sog-giorno e li hanno espulsi perché il vistoera scaduto da due mesi e non se n’eranoaccorti. Espulsi: per cinque anni non pos-sono venire più in Italia. Non erano de-linquenti, lavoravano. Mio marito ha chiesto la cittadinanzaitaliana per sè e i nostri figli. Speriamobene. Io la prendo appena posso, nel2012, se abbiamo i soldi.

[ ]Sono arrivata regolare, come ricongiungi-mento e sono sempre stata qui a Monte-gabbione. Il primo mese per me è statadurissima, ho pianto sempre. Stavo sem-pre dentro, non conoscevo nessuno,stavo con i figli, Mefail partiva la mattinae tornava la sera. Poi piano piano ho ini-ziato a reagire, i figli hanno iniziato lascuola e ho cominciato ad ingranare. Miomarito è da 20 anni che è in Italia: Bari,Pescara, Roma, Bologna... ma come aMontegabbione non è stato bene in nes-sun posto. Più di tutto mi manca la famiglia, con lemie sorelle mi sento spesso. Ma non è lastessa cosa.Io vorrei lavorare per fare una casa tuttanostra là in Macedonia. Vorrei ma nonposso, ho tre figli che vanno a scuola. Iocasa la voglio fare là, quella è la mia terra,è sempre la mia terra.Tornerei indietro, perché lì ci sono nata ecresciuta; se ci fosse il lavoro per noi tor-neremmo subito.Per i miei figli sogno una casa indipen-dente, là.

45Dallandyshe

Il primo mese per me è stata durissima, hopianto sempre.

Page 46: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Nataliya

Page 47: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Mio padre era autista del pul-lman, mia madre contadina.

Avevano frequentato la scuola media. Houn fratello più piccolo che sta a San Pie-troburgo. Abbiamo la terra, coltiviamopatate, bietole, grano, abbiamo mucche,maiali e polli.Il babbo è stato molto severo con me;non mi ha mai dato uno schiaffo, bastavauno sguardo. Eravamo molto educati, an-davo in chiesa, religione ortodossa. Lamamma è stata come un’amica per me,da piccola ero gelosa di mio fratello, misembrava che lo riempivano di atten-zioni.Il paese era abbastanza grande, in pia-nura, c’era un fiume, un bel bosco dovenoi andavamo a cercare i funghi. L’in-verno era freddo, la temperatura arrivavaa 30 gradi sotto zero; ora il clima è cam-biato, arriva solo a -16, c’è meno freddo emeno neve. Quando ero piccola c’era cosìtanta neve che non si passava, ora pensa

che siamo andati a gennaio e non c’eraneve, incredibile quanto è cambiata lastagione. Mia madre aveva due sorelle etre fratelli, la mia nonna ha perso il ma-rito in guerra e mia madre ha curato isuoi fratelli e le sue sorelle, fino a quandonon sono cresciuti e sono diventati indi-pendenti: solo allora si è sposata. C’eratanta povertà, c’è ancora. Ci sono fami-glie che non ti dico in che condizioni vi-vono. Dopo la fine dell’Unione Sovietica,nel 92, l’Ucraina si è resa indipendente.Una mattina ci siamo alzati e abbiamoscoperto di non avere più soldi in banca,la nostra moneta non valeva più niente.Ci hanno detto che i conti erano bloccati,ma noi abbiamo subito capito che i soldinon c’erano più. Allora abbiamo iniziatoa vendere mucche, latte (chi lo aveva),maiali, grano. Le aziende pagavano glioperai con zucchero, farina, riso. È statoun periodo terribile. In città questo pe-riodo è finito prima, nei paesi è durato di

47Nataliya

Nataliya ShevchukLA DONNA CHE HA IMPARATO

IL GIAPPONESE

Nata nel 1964 a Shezenivka (Ucraina)Vedova, una figlia

Page 48: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

più. La nostra sopravvivenza è legata allaterra; per mangiare avevamo tutto, il pro-blema era il resto: luce, gas, telefono.

[ ]In ospedale si iniziò a pagare qualunquecosa, prima nell’URSS non si pagavaniente. La gente non si ribellava perchéaveva paura, perché è cresciuta nella di-

sciplina di Stalin. La scuola era gratis, cosìcome il pranzo a scuola. Ci siamo trovatisenza soldi e con tutte le spese aumen-tate. Zezenivka era un paese piccolocome Faiolo, i miei genitori abitavano lìe ci sono rimasta fino a quando non misono sposata. A sei anni potevo andarecon le mucche al pascolo, ne avevo trerosse con i vitelli. Sono cresciuta lavora-trice e poi ho iniziato a ricamare, mi hainsegnato mia madre. Mi piaceva molto,

ora non ho il tempo. La scuola mi pia-ceva, andavo bene, era gratis compresa lacolazione e il pranzo. Andavo anche perforza a mangiare, perché tutti dovevamomangiare. Alle otto di mattina si facevaginnastica, poi alle nove lezione. Tuttidovevano fare ginnastica. Ho studiatofino alle superiori, poi sono andata a SanPietroburgo: volevo andare in istituto,studiare Tecnologia. Appena arrivata hovisto studenti neri, mi sono spaventata e

48 Nataliya

La gente non si ribellava perché avevapaura, perché è cresciuta nella disciplinadi Stalin.

Page 49: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

sono voluta tornare a casa. Sono fuggitaperché era la prima volta in vita mia cheli vedevo, quando mai si vedevano nel no-stro paese? Anche in TV si vedeva sologente nostra. Mi padre mi disse: “Comefacciamo ora?” Allora mi ha portato inun collegio commerciale femminile perimparare a cucinare per i generali e l’hofinito, durava due anni e mezzo.Ho studiato fino a 17 anni. Le mie ami-che abitavano vicino a me, andavamo acercare i fiori e quando c’erano cercavamoi funghi. La sera stavamo insieme, balla-vamo per la via e suonavamo e balla-vamo. Abbiamo imparato a suonare lafisarmonica. Un giorno andavamo dauno, un giorno da un altro e facevamo lefeste. Ora è finito tutto.Quando ho finito la scuola media ho po-tuto andare in discoteca. Era la disciplina.Mi ricordo come adesso: un ragazzo miha chiesto di ballare, ma è entrato un mioinsegnante e io l’ho lasciato sul colpo. Poipiano piano ho finito la scuola superioree potevo andare in discoteca il sabato e ladomenica. C’era un ragazzo a cui forsepiacevo, ma non ne ero sicura perché ioancora non mi rendevo bene conto.Avevo paura di tutto, forse perché conmio padre non si poteva discutere diniente. Avevo paura di quello che pote-vano andargli a dire e poi mi terrorizzavalo sguardo. E sono stata sempre timida.Mi voleva molto bene, per questo mi haportato a San Pietroburgo “per farmi fare,

diceva lui, una vita migliore, non da con-tadini”.

[ ]Il mio sogno era di andare a scuola a stu-diare. Io facevo ginnastica e vincevoanche dei premi alle gare di sci, a basketa pallavolo. Volevo andare a scuola di sci,ma era lontano. Mio padre non mi hamandato perché diceva: “Questo ti dà so-stegno una decina di anni e poi? Invecefare la cuoca ti assicura per tutta la vita,perché da mangiare c’è sempre qualcosa”.Io facevo la cuoca in un ristorante aMosca, lo Stato mi aveva trovato lavoro.Poi però sono dovuta tornare da miamadre perché soffriva di pressione alta.Sono tornata, lavoravo in un ristorante aKremenez e pensavo alla famiglia, 3giorni lavoravo, 3 giorni riposavo; avevoun appartamento in affitto. Facevoavanti e indietro: 25 km con il pullman e5 km a piedi ogni volta con le valigie.Ho incontrato mio marito lì al ristorante,anche lui aveva studiato a San Pietro-burgo, ci siamo sposati e siamo andati avivere con i suoi genitori, a Kremenez.Dopo un anno è nata mia figlia. I genitoridi mio marito stavano abbastanza bene,avevano la lavatrice, il bagno. Pensa cheda noi ancora oggi non c’è il metano, ab-

biamo dato i soldi allo stato ucraino perallacciarlo, ma sono spariti e non cihanno dato la rete. Mia madre ancoraoggi non ha la lavatrice. Io e lui stavamoabbastanza bene, non ci mancava niente.Ho cambiato lavoro perché iniziavano acalarmi lo stipendio (circa 50 dollari almese). Io e la mia amica Ann abbiamo la-vorato in un forno perché ci pagavano ildoppio, 100 dollari. Si facevano dei turnimassacranti: sette giorni si lavorava digiorno, sette di notte e sette riposo.Quando lavoravo di notte, tornavo a casae c’era da fare tutto: due tre ore si ripo-sava, poi preparavo il pranzo, la cena, pu-livo, poi i campi... Era un lavoro terribile,tanto caldo e fumo.Ad un certo punto anche qui hanno ini-ziato ad abbassarmi lo stipendio, nel 2000circa. I prezzi aumentavano e gli stipendidiminuivano.Mio marito ha iniziato ad ammalarsi, ser-vivano soldi per le cure perché la sanitànon passava più niente. E quindi insiemea questa mia amica Ann ho iniziato a ma-turare l’idea di partire. Abbiamo pensatoall’Italia perché alcuni nostri amici eranogià qui e ci dicevano che danno da man-giare e da dormire senza pagare niente epagano bene come badante. Ho fatto unvisto turistico per l’Italia, mia figlia avevaquindici anni e l’ho lasciata con mio ma-rito malato. Lei così giovane pensava alui. Non avevo detto a mia madre che ve-nivo in Italia, ma che ero in Cecoslovac-

49Nataliya

Questo ti dà sostegno una decina di annie poi? Invece fare la cuoca ti assicura pertutta la vita, perché da mangiare c’è sem-pre qualcosa.

Page 50: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

chia: sarebbe stata in pensiero pensan-domi così lontana. Loro andavano tutti ifine settimana a trovare mia madre.

[ ]La mia amica Olga stava a Faiolo comebadante. Mi disse “vieni, ti dò un posto ioe poi vediamo”. L’autista mi ha accompa-gnato fino a Faiolo. Olga poi è andata alavorare a Montegiove e mi ha lasciato ilsuo posto. Sono arrivata il 1° aprile e il 4

ho iniziato a lavorare. Sono stata fortu-nata. Frasconi Domenico e Maddalena mihanno preso come una figlia, mi dicevano“Tu sei il mio sole”; a settembre avevo giàil contratto da badante. Ho impiegatoquattro mesi per imparare la lingua anchese la comprendevo quasi da subito. Misono trovata molto bene. Mi hanno inse-gnato a cucinare, la cucina italiana è di-versa da quella Ucraina; se ero in difficoltàchiamavo Olga e mi facevo spiegare.Nel 2005 mia figlia un giorno mi ha chia-mato dicendomi che mio marito era peg-

giorato e dopo due mesi sono andata là.Le mie amiche che abitavano qui mihanno aiutata molto. È stato il momentopiù brutto della mia vita; mia figlia stu-diava al collegio e quindi servivano soldi,per mio marito una puntura mi costavatrecento euro. Però mi sono decisa, ho la-sciato il lavoro con la speranza di ritro-varlo e sono rimasta là due mesi. Lui èmorto. Sono rimasta con mia figlia unmese; lei si è sposata in Comune ed è ri-masta a vivere lì e io sono tornata in Ita-lia per sostenerla economicamente, a leie a mia madre che prende sessanta eurodi pensione. Io mando là la roba con ilpullman e i soldi. Mia figlia ha una bam-bina, suo marito lavora, ma con lo stipen-dio riesce solo a coprire le spese. Lorovivono nella mia casa, che è anche la loro;ci sono meli, ciliegi, prugne.

[ ]In Comune a Montegabbione, prima dipartire, ho conosciuto Peppe mentre pre-paravo i documenti per tornare inUcraina. Quando sono tornata ci siamoritrovati. Lui mi ha fatto prendere la pa-tente, ero la più vecchia del corso, ero de-moralizzata; lui mi diceva: “ce la fai, ce lafai” e alla fine ho passato l’esame, sonostata la più brava e lui mi ha aspettatocon un mazzo di fiori. Era sicuro che cel’avrei fatta. Mi ha trovato lavoro a fare

50 Nataliya

Vieni, ti dò un posto io e poi vediamo.

Non mi dicevano mai di riposarmi.

Page 51: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiIo vorrei qui in Italia più fiori, più rose.Ho un piccolo pezzo di terra, l’ho van-gato. Più di tutto mi manca la terra: al-beri da frutto, fiori in primavera. Ioqui, quando posso tocco la terra, senzaguanti e mi sento bene. Non capiscocome fanno le persone qui a viveresenza terra.

le pulizie a Città della Pieve in una villagrande e lavoravo dalla mattina alla sera.Il ritmo era stressante, dimagrivo a vistad’occhio, mi mancavano gli zuccheri, nonce la facevo. Sono svenuta più volte. Nonmi dicevano mai di riposarmi.Ho chiesto loro un permesso per tornarea casa perché nasceva la mia nipotina.Peppe voleva venire con me e così siamopartiti. Lui insisteva che con la cartad’identità sarebbe potuto andare ovun-que. Invece è stato fermato alla frontiera,ed è tornato indietro, mentre io sono pas-sata in Ucraina... A casa mia abbiamofatto festa perché ero tornata. Dopo duemattine sentiamo suonare alla porta: eraPeppe. Lui mi aveva trovata.E gli è piaciuta casa mia, ma fuori il pae-saggio gli sembrava incredibile perché imercati erano per strada e non si rispet-tavano le norme igieniche. Gli piacevache eravamo in pianura...Siamo andati dai miei amici e ci siamo di-vertiti tanto. Siamo tornati in Italia condue giorni di ritardo e la padrona si è ar-rabbiata tantissimo con me. Io tremavotutta. Allora Peppe mi ha portato via, acasa sua e mi ha detto “Cerchiamo unaltro lavoro”. Un amico gli telefonò di-cendogli che cercavano una persona in unnegozio che parlasse il russo con i turistia Fabro. Sono andata, mi hanno assuntae lavoro ancora lì. Mi trovo bene, ho im-parato anche il giapponese, c’è un’amicache ho conosciuto lì.

Con il lavoro con gli italiani mi sono tro-vata molto bene, mi vogliono tutti bene.Con i vicini va bene, con gli altri italianici vediamo soprattutto in occasione dellefeste, l’estate.Peppe pensa sempre di portare mia figliae mia nipote l’estate un mese al mare epoi pensa a far eseguire i controlli sanitarialla bambina, lì costano troppo e poi nonci sono macchinari come qui.Io mando là i soldi e mia figlia tiene siste-mata la casa. Io dico sempre a Peppe:“non sappiamo come sarà domani, comesarà qui. Se ci dovesse servire possiamotornare di là”.Da quando la realtà in Ucraina è peggio-rata sono le donne a partire perché gli uo-mini sono depressi, bevono, si sonoabbandonati, e poi le donne possono tro-vare lavoro meglio degli uomini, unacasa, una famiglia.Il domani? Bella domanda. Non ci pensoadesso. Non so come sarà domani. APeppe dico che quando peggiorerà tor-niamo in Ucraina, lì ho la terra.Mio marito è stato un bravo uomo, tor-nassi indietro rifarei le stesse scelte, sonostata fortunata. Ho amici che mi raccon-tano, non hai idea di quello che passano.Mi auguro per mia figlia e mia nipotetanta felicità, dico loro che devono esseregentili e avere rispetto per le persone piùgrandi di loro. E che devono lavorare, de-vono imparare.

51Nataliya

Page 52: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Lyudmyla

Page 53: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Imiei nonni erano contadini. Dopo laseconda guerra mondiale mio nonno

è rimasto in città; mia nonna avevaquattro maschi e una femmina, miamadre. Dopo la guerra sono andati incittà con tutti i figli. Io sono cresciuta in-sieme ai nonni. La mia infanzia è statastupenda perché i miei nonni mi hannodato molto amore. Ero molto legata aloro, come una figlia, io infatti porto ilcognome di mio nonno. Avevano fattola scuola elementare. Nell’infanzia sonostata molto bene, per dieci anni andavoa corsi di ballo, scherma, tennis da ta-volo. I miei riferimenti erano i nonni,aspettavo sempre i miei genitori ma li ve-devo ogni tre anni, perché la miamamma mi aveva avuta ancora adole-scente ed era partita per Mosca per an-dare a lavorare come capocuoca di unatrattoria per lavoratori e il mio babbo eracapitano di secondo grado su una naveda pesca.

Siccome li vedevo raramente, ho soffertomolto per questo. All’inizio pensavo chetutti i bambini vivessero con i nonni, poiinvece ho capito che non era così. Dopole scuole superiori ho fatto l’università:Economia e Commercio.A scuola facevo sport e tutti i corsi eranogratuiti. Mi piaceva la poesia e la lettera-tura russa. Era tutto gratuito, perfinol’università. Io studiavo e lavoravo; ilgiorno lavoravo, la sera andavo all’univer-sità e poi studiavo. Riuscivo a studiare.

[ ]Tu pensa che avevo la famiglia, avevo unfiglio di un anno, studiavo, lavoravo e fre-quentavo l’università.Ho conosciuto mio marito ad un campoestivo, io avevo quattordici anni e lui se-dici. Lui studiava fisica, era molto bravo.Era il mio primo amore, mi sono sposata

53Lyudmyla

Lyudmyla Hrabovetska LA DONNA CHE HA FATTO

L’UNIVERSITÀ

Nata nel 1955 a Chernivtsi (Ucraina) Due figli, divorziata, risposata in Italia

Avevo la famiglia, avevo un figlio di unanno, studiavo, lavoravo e frequentavol’università.

Page 54: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

a diciannove anni, a venti è nato mio fi-glio e dopo cinque anni mia figlia.Durante l’università, lavoravo in un ma-gazzino molto grande che rivendeva elet-trodomestici. Spedivo materiale nell’interaprovincia, organizzavo le spedizioni edero responsabile di tutto il materiale cheera una grande quantità. Quando mia fi-glia aveva dieci anni e il figlio quindici,mio marito è morto. Aiutava una donnacon la carrozzina a salire su un filobus, ilcappotto gli si è impigliato nella ruota delfilobus, la porta si è chiusa e lui non cel’ha fatta a liberarsi.Dopo mi sono sposata una seconda volta,lui era militare. Nel 1989 il magazzino hachiuso perché le fabbriche per risparmiarenon si servivano più del magazzino, for-nivano direttamente i negozi. Mi sonotrovata senza lavoro. A quel punto hopensato che avrei potuto aprire un’atti-vità per conto proprio e così ho fatto, ge-stendo tre negozi di generi alimentariassumendo delle commesse. Non eramale, mio figlio si è sposato, ha finito distudiare ed è entrato nella carriera mili-tare. Mia figlia invece doveva ancora fi-nire gli studi e l’università allora eradiventata a pagamento.

[ ]Io ho deciso di partire per non far man-care niente ai miei figli, per farli vivere

bene, perché i tempi erano diventati dif-ficili dopo la Perestroika. E da lì che è in-iziato il nostro declino. L’URSS era forte,l’America con Gorbaciov ha rovinatotutto. C’è stata la svalutazione del rublo,dalla mattina alla sera. Con i soldi con cuiprima potevi comprare una macchina,poi ci compravi solo un chilo di salame.La gente si buttava dalla finestra. Lagente non si ribellava perché non c’era lamentalità: c’era la fiducia nello Stato. Noinon apprezzavamo quello che avevamo,noi abbiamo rovinato tutto. Abbiamorovinato perché non abbiamo apprez-zato. C’era il resto del mondo che ci eranascosto; c’era il nostro paese e fuori c’erail buio. Sembrava chissà cosa ci fossefuori... Sentivamo “libertà”. Ma che sig-nifica “libertà?!” Le nostre donne orasono libere che hanno lasciato tutto?!?Siamo emigrati in tutto il mondo perriuscire a far vivere i nostri figli e i nostrimariti: Germania, Belgio, Israele, Italia...Ad un certo punto noi abbiamo pensatodi non partecipare alla vita pubblica per-ché tanto avrebbero deciso senza di noi;noi ci siamo tirati fuori dalla vita democ-ratica e allora a quel punto hanno vera-mente deciso senza di noi. Volevamo lalibertà, ma cosa è la libertà? Gli spettacolipornografici in televisione? Prima non sivedevano, dopo li vedevano tutti, perchéerano liberi di vederli, di vedere quelloschifo...Poi è arrivato il tempo, il 1992, in cui

54 Lyudmyla

L’America con Gorbaciov ha rovinato tutto.

Page 55: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

mezzo Paese aveva i soldi e mezzo era indebito. Allora si è sviluppato il racket. NelPaese c’era un casino.

[ ]La mia vita è sempre stata molto attiva.Quando sono arrivata qui, nei primitempi, mi sembrava che la vita non fossepiù la mia ma quella di un’altra persona. Quando sono partita ho lasciato tutto:una figlia che non aveva ancora diciottoanni, un figlio sposato e con un bambino.Ogni donna del suo paese ha una storiaunica, perché lascia tutto lì.Quando sono partita mia figlia ha pen-sato “Posso fare quello che voglio” ma su-bito dopo ha capito di aver perso ungrande appoggio, perché io ero lontana.Pensa che al mese pagavo trecentomilalire solo di telefonate, perché li chiamavospesso, volevo sapere come stavano. Noisiamo molto legati con la famiglia e congli amici. Quando sono arrivata il mioobiettivo era stare in Italia due anni, gua-dagnare soldi e tornare indietro.Ho provato prima ad andare in Israeledove c’era una mia amica. Lì però non miaccettavano il visto perché avrei dovutoavere un appoggio sicuro, e il suo non erasufficiente perché era lì solo da sei mesi equindi non mi poteva dare garanzia.Sono arrivata con un visto turistico.C’era una maestra in Ucraina che era

stata in Italia, lei cercava donne che vo-levano venire in Italia. Mi aveva detto diportare i soldi per quindici giorni, tempoin cui una persona a cui ci affidava, ciavrebbe trovato lavoro. Mi fidavo di lei,perché sapevo dove abitava nella miacittà e quindi casomai sapevamo dovecercarla. Sapevamo di donne che si trova-

vano male, ma pensavamo “a loro è suc-cesso, a me non succederà”.Siamo partiti in pullman, eravamo sedici.La capo è partita con noi fino a Roma eci diceva che non si sarebbe mossa fino aquando l’ultima donna non avrebbe tro-vato lavoro. Siamo stati da un avvocato,Gianfranco, e abbiamo pagato trecento

55Lyudmyla

Sapevamo di donne che si trovavano male,ma pensavamo “a loro è successo, a menon succederà”.

Page 56: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

dollari e siamo andati a Ostia, in un cam-ping abbiamo affittato dei bungalow.Abbiamo visto il mare ed eravamo felici,abbiamo fatto il bagno nonostante fosseil 25 ottobre; mi sono tuffata ed ho ini-ziato a nuotare, il mare era caldo. Pensa-vamo con tanta speranza che in quindicigiorni avremmo trovato il lavoro. Madopo tre giorni i carabinieri hanno arre-stato Gianfranco e noi siamo rimastisenza lavoro a metà strada. La nostracapo ci ha portato ad Ostia da una donnache aveva casa in affitto e ci siamo fer-mate per cercare lavoro. Questa donnami ha chiesto se ero capace di fare l’infer-miera e se ero disposta ad andare in mon-tagna: io le ho detto di sì. Avevo fatto uncorso di un anno di “infermiera di casa”sempre quando era gratuito.Quindi il 6 novembre 1998 sono arrivataa Montegiove perché un’ucraina che la-vorava lì aveva chiamato questa signoradi Roma.

[ ]Dopo un anno e mezzo che mancavo dacasa, mio marito mi ha lasciato perchénon è riuscito a sopportare la lontananzada me. Io quando me ne sono andataavevo fiducia in lui, non avrei mai pen-sato che non ce la facesse; pensavo di ri-tornare insieme a lui dopo due anni qui.Poi i signori Mescolini, da cui lavoravo,

56 Lyudmyla

Dopo un anno e mezzo che mancavo dacasa, mio marito mi ha lasciato...

Page 57: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiNoi prima dell’89 eravamo abituatitroppo bene. Qui in Italia c’è una grandedifferenza sul senso della vita rispetto acome lo pensiamo noi: da noi non esi-steva mandare i propri genitori all’ospi-zio: tutti lavoravano ma li accudivamolo stesso. Qui in Italia mi chiedono: “Macome avete fatto?” “Abbiamo fatto!”.Mi sono fatta velocemente amici italiani,tutti molto bravi, mi hanno sempreaiutato. Non so se dicevano male dietrole spalle, ma si sono mostrati sempremolto disponibili. La famiglia Mescoliniè stata per me come la mia famiglia: mihanno aiutato ad ottenere il permessodi soggiorno e non dimenticherò maiquello che hanno fatto per me.

sono morti ed io sono andata a lavorarenel salumificio dove poi ho conosciutoSestilio.Lui è stato molto coraggioso con me, per-ché per me non esisteva nessun uomo,non avevo più fiducia in nessuno. ConSestilio avevo scambiato giusto due pa-role mentre si lavorava e mi sono licen-ziata perché volevo andare a Milano. Poic’era il pranzo del Primo Maggio, offertodal datore di lavoro e ci sono andata persalutare tutti. Sestilio mi ha detto di re-stare con lui, che lui non voleva restaresolo. Mi ha detto “proviamo a vivere in-sieme”. Io ho pensato “Questo è pazzo”,però non volevo ferirlo perché era statosincero. Mi sono presa tre giorni per pen-sare. La mia amica Tania mi ha detto“Chi ti aspetta a casa? Prova! Casomaivieni da me”. Ho provato, ha funzionatoe dopo un anno ci siamo sposati. Sonomolto contenta, è una persona eccezio-nale. Chi lo ha conosciuto dice che sonofortunata e che mi sono meritata unuomo così bravo. La sua famiglia mi haaccolto bene, la figlia, le sorelle, la nipote.Lui vuole bene ai miei figli, io penso sem-pre a loro, cerco di aiutarli.Nei posti in cui ho lavorato ho avuto con-tatti con molte persone, però non homolto tempo per intrattenere i rapporti.Ho avuto sempre buoni rapporti perchéle persone mi vogliono bene. Con i vicinisono legata, non ho problemi.Dell’Ucraina mi manca tutto, ma non

immagino più la mia vita senza l’Italia.Qui mi sento a casa, anche se mi man-cano la mia terra e i miei parenti. Noi co-nosciamo meglio l’Italia oggi che il nostroPaese. Quando andiamo là siamo ospiti,non conosciamo la politica; di là siamopersi.Qui abbiamo più amicizie perché con iltempo ne abbiamo fatte molte. Sonomolto legata ad amiche ucraine che vi-vono in Italia e a Montegabbione, maanche con italiani.Il futuro è un’incognita. Stò bene adesso,poi vedremo. L’importante è che i mieifigli e nipoti stiano bene e non abbianobisogno di me. È questo il mio pensieropiù grande, la vita è dura.Io qui compro per loro e quando vado inUcraina compro per me e Sestilio.Non posso stare senza l’Italia, mi man-cherà sempre sia la terra che gli italiani.Auguro ai miei figli di avere una vitacome l’avevo io prima di partire, primadella Perestroika. I miei figli qualche van-taggio l’hanno potuto avere, hanno vis-suto la scuola quando ancora era gratis,ma quelli che sono venuti dopo hannovissuto e vivono nella ristrettezza. Mi au-guro per i miei figli e in generale per tuttele persone, di non dover mai lasciare lapropria terra!

57Lyudmyla

Page 58: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Juliana

Page 59: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Io inizierei dicendo che mio bisnonnoJean Zarb che abitava a Malta di na-

zionalità inglese è andato in Egitto nel1860 accompagnando De Lesseps a PortoSaid per la costruzione del Canale diSuez, quale suo medico privato. Il Canaleè stato completato nel 1868.Lui si è sposato e ha avuto 9 figli fra cuimio padre Renè, nato nel 1894, che a suavolta si è sposato con Mary Cassar, miamadre, maltese, anche lei in Egitto.Hanno avuto 6 figli e io sono la più pic-cola, nata nel 1937. Vivevamo a PortoSaid, mio padre era armatore di navi emia madre stava a casa con i figli. Miopadre ha studiato dai gesuiti nel Libano,mentre mia madre nulla, avevo una fami-glia patriarcale.Abbiamo fatto lì una vita di grandissimolusso, avevamo il cuoco, la lavandaia, laservitù al completo: una vita da colonia-listi. Mi ricordo che veniva un nero unavolta al mese che si metteva in giardino

e puliva tutta l’argenteria. Non ci man-cava niente, la guerra a Porto Said nonl’abbiamo sentita, c’è stato solo un bom-bardamento, dopo il quale siamo andatia Il Cairo per sicurezza, ma siamo tornatidopo poco tempo.L’infanzia l’ho passata in un ambientemolto bello; essendo la più piccola eroanche la più coccolata dai miei genitori;mio padre mi diceva che ero il bastonedella sua vecchiaia. I miei due fratellisono stati arruolati uno nell’armata in-glese a Tripoli (aveva 20 anni) e l’altro aRoma (a 16 anni). Io avevo tre anni. L’al-tro fratello è andato a Il Cairo alla scuolainglese, poi in Inghilterra in un college, ilBrighton College, e poi ha frequentato ilTrinity College di Dublino.Lui a casa non c’è stato più, io sono rima-sta sola. Lui ha 7 anni più di me e siamostati sempre molto legati. Mia sorella hasposato un capitano inglese ed è andatain Inghilterra e sta ancora lì. Il terzo fra-

59Juliana

Juliana Zarb LA DONNA DI MONDO

Nata nel 1937 Porto Said (Egitto)Sposata, tre figli

Page 60: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

tello era impiegato nella Compagnia delCanale di Suez, ed è l’unico che si è spo-sato ed è rimasto a vivere a Porto Said.Ho frequentato le scuole francesi fino a14 anni e poi sono andata in collegio inInghilterra per finire le scuole.Quando mio fratello dopo cinque anni ètornato ha conosciuto a Il Cairo Ruby,tedesca, e si sono sposati.Lei era il mio punto di riferimento e cipassavo molto tempo. I miei genitorierano molto severi e lei mi assecondava.

Mi veniva a prendere e mi portava al ci-nema. Nell’infanzia avevo la governante,Elene e tantissime amiche.La scuola inizialmente nel college ingleseera dura. D’estate tornavo in Egitto e perNatale andavo da mia sorella a Cobham(nel Surrey). I primi anni è stata moltodura, poi ho ingranato.Dai 14 ai 19 anni ho vissuto lì, tornandoin Egitto regolarmente.

[ ]A 19 anni sono tornata in Egitto e c’èstata la guerra (gli Inglesi, i Francesi eIsraele attaccarono il canale di Suez), nel1956.Mio padre mi diceva sempre: tu devi fareuna scuola di segretariato perché non sisa mai nella vita. A me sembrava una fol-lia: a che mi serviva? Avevo tutto, avevostudiato, a cosa mi sarebbe servita unascuola per “qualcosa di pratico”? Me l’hafatta fare per un anno e si è rivelata poila mia salvezza!Non avevo sogni allora, vivevo alla gior-nata. In Egitto c’era una vita piena diconferenze, concerti, una vita fatta di cir-colo. Ho fatto 12 anni di pianoforte (da5 a 14 anni in Egitto, ed è stata moltodura) poi dai 14 ai 19 in Inghilterra e lì erameno dura perché ero molto brava. Oranon suono più, il piano l’ho portato viaperché qui non mi entra, ho troppi mo-

bili, però mi manca. Dovrei riportarlo,che dici?!C’è stata la guerra in Egitto e hanno cac-ciato gli inglesi e quindi, essendo inglesiabbiamo perso tutto (le navi di mio papà,ecc...). Tutti gli inglesi sono stati costrettiad andarsene.Mio fratello con la moglie Ruby sono an-dati in Australia nel 1956 e hanno rag-giunto l’altro fratello che stava lì dal1949, un fratello è andato a Parigi perchéera con la Compagnia del Canale.

[ ]A questo punto io e i miei genitori siamoandati in Inghilterra; io non ci volevostare perché non mi piaceva. Stavamo dauno zio. Volevo venire in Italia a tutti icosti.Come avevo conosciuto l’Italia? Ognianno quando vivevamo in Egitto face-vamo due mesi di vacanza; un mese lopassavamo sul lago di Como, a Brunate eun mese giravamo tutta l’Italia e anchela Francia. Questo anche perché il caldodi luglio e agosto in Egitto è insopporta-bile.Quindi a me piaceva molto l’Italia, mamio padre ha detto no!Nel 1957 uno zio parlando con mio padrelo ha rassicurato dicendogli che a Milanoc’era la Bocconi con un pensionato vi-cino. Mio padre è venuto a vedere, ha

60 Juliana

Mio padre mi diceva sempre: tu devi fareuna scuola di segretariato perché non si samai nella vita.

Non lo so perché, sono innamorata del-l’Italia

Page 61: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

parlato con la direttrice che non ti dicocos’era... e sono rimasta lì a studiare edormivo lì.Nel frattempo loro in Inghilterra sonoandati ad abitare in un posto molto belloper gli anziani e hanno ricevuto risarci-menti dal governo inglese. Io sono volutatornare su e lui a quel punto ha compratoun palazzo perché non mi poteva tenerenelle residenza per anziani... e siamo statiin un appartamento di questo palazzomolto bello. Ci sono stata due mesi, mapoi sono voluta tornare in Italia; non loso perché, sono innamorata dell’Italia.Sono tornata in Italia e con una mia com-pagna egiziana che abitava nella “casadelle laureate” in via Respighi 8, ho ini-ziato praticamente la mia vita. Ho tro-vato un impiego alla Borsa Americana“Bache”, parlando bene le lingue (inglese,francese, italiano e anche arabo, maquello non mi serviva).

[ ]Non ho mai subito abusi, mi sapevo di-fendere eventualmente! Il mio obiettivo era divertirmi e guada-gnavo più di un direttore di banca.Accanto alla “Casa delle laureate”, dovec’era la direttrice Sannino, che era unapeste, c’era una “Casa Albergo”. Mentreda noi c’era solo una camera con il bagno,lì c’era il bar e ristorante. Andavo lì a

mangiare e ho conosciuto un architettodi Gubbio, con il quale mi sono fidan-zata. Poi mi sono innamorata di Bepi chestudiava ingegneria. Loro si sono presi apugni per me una notte dietro al tribu-nale e la Sannino l’ha saputo e mi ha cac-ciata.Ricordo con molta ansia la mia infanziae adolescenza in Egitto, non riesco a ri-prendere le foto di quel periodo lì. E misento male a vedere che cosa succede orain Egitto. Non ci posso pensare, non civoglio pensare. Invece da questo mo-mento della mia vita in poi sono disin-volta, non ho problemi a parlarne.Sono stata in una stanza a casa di una fa-miglia. Abbiamo deciso di sposarci perchéero incinta, nel 1963. Io ho scritto ai miei(nel frattempo mio padre era morto) e luiha scritto ai suoi che erano in Libia daglianni ‘20.Mio fratello Carlo dall’Inghilterra mi ri-sponde e mi dice: tu vieni in Inghilterra,fai il bambino e poi se vuoi ti sposi; l’-hanno presa tranquillamente. Io gli ho ri-sposto “No, mi voglio sposare”.I suoi invece hanno detto “con una put-tana inglese non vogliamo avere a chefare. Se ti sposi interrompiamo tutti irapporti”. Lui disse “Io mi sposo”.I suoi l’hanno abbandonato, ha smesso distudiare e ha iniziato a lavorare. Abbiamopreso un appartamento e nasce Adrianae appena nata i miei suoceri si sono riav-vicinati. Quindi siamo partiti, siamo an-

61Juliana

Il mio obiettivo era divertirmi e guada-gnavo più di un direttore di banca.

Page 62: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

dati a Tripoli e abbiamo conosciuto tutti.I suoi genitori avevano comprato 6 ap-partamenti a Cologno Monzese , uno perfiglio, e volevano a tutti i costi che Bepitornasse a Milano per finire gli studi e cheio restassi a Tripoli con la bambina. In-vece Beppe non ha ripreso gli studi, iodissi che non mi separavo da lui e siamoandati a Cologno Monzese. Dopo pochimesi aspetto Rodrigo. Quando è nato ionon lavoravo, perché come facevo condue figli? Così siamo tornati a Tripoli nel1966, fino al 1969. Barbara è nata a Tri-poli nel 1968.

[ ]Nel 1969 scoppia la rivoluzione libica.Avevo tre figli. Il governo libico confiscòtutti i beni degli italiani, non avevo unalira. Era contro gli italiani: “da questo mo-mento tutto quello che avete ce lo doveteconsegnare” e chiamavano in ordine alfa-betico. Ero terrorizzata, con tre bambini.Una volta ero in macchina con i figli, mifermarono con il fucile puntato, i miei figlisotto il sedile e mi salvai perché gli parlaiin arabo. Me ne volevo andare in Inghil-terra, ma non avevamo soldi per partire.Andai all’ambasciata inglese e l’ambascia-tore mi disse che mi avrebbe aiutato e miavrebbe fatto il biglietto. Bepi aveva unacollezione di francobolli e mi disse: “chiedise la puoi portare con te”.

Io gli ho parlato di questa collezione cheavevo nascosto, se la potevo portare conme. Lui mi disse: “portare no, ma se unoviene da me e si dimentica un pacco, ioho il dovere di mandarglielo con il cor-riere diplomatico. Venga a prendere i bi-glietti e si dimentichi un pacco sul miotavolo”.E così ho fatto. Ho preso l’aereo con i trefigli e Carmen, la bambinaia, e sono an-data a Londra da mia madre. Bepi è rima-sto giù, lui non poteva partire fino aquando non aveva consegnato tutti i suoibeni.Io avevo ritardo nelle mestruazioni, male telefonate dalla Libia erano censurate;dopo due giorni sono arrivati i francobollie allora dissi a Bepi: “Sono arrivate” (dop-pio senso con le mestruazioni), e lui “Ah,questa volta non sei incinta”.In Libia lui è stato 5 mesi, non ha potutoraggiungermi; andavano in magazzino esigillavano tutto per poi consegnarlo epoi quando avevano finito entro 24 orecon il timbro del consolato italiano te nedovevi andare.Il consolato ha pagato il biglietto e Bepiè venuto a Londra.

[ ]A Londra abbiamo comprato casa ven-dendo un brillante di mia madre e cisiamo stati due anni.

62 Juliana

Nel 1969 scoppia la rivoluzione libica.Avevo tre figli.

A Londra abbiamo comprato casa ven-dendo un brillante di mia madre...

Page 63: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiNoi abbiamo tutti un certificato diprofughi e quindi siamo protetti; comecategorie protette, i figli sono entratinei luoghi di lavoro con questi certifi-cati. Qui ho rapporti ottimi con tuttele persone che conosco; l’Italia è unamia seconda natura perché è da tantianni che io ho scelto l’Italia. L’affinitàche ho con gli italiani è al 100%. Noivolevamo vendere e andare a Milano,ma i figli non hanno voluto che noivendessimo qui a Montegabbione.

Poi ho iniziato a dire che volevo tornarein Italia perché Bepi, grazie alla sua colle-zione di francobolli, aveva iniziato a fareil commerciante di francobolli e facevasempre Milano-Londra.Avevo tantissimi amici a Milano. Quindisiamo tornati.I miei figli li abbiamo iscritti alle scuoleitaliane e io ho cercato fra le mie amicheinsegnanti se riuscivo a trovare un lavoroe grazie a quel diploma che mio padre miaveva fatto prendere, sono riuscita ad in-segnare inglese al liceo nel 1972.I genitori di Bepi, risarciti dallo Stato Ita-liano, dopo che sono tornati a Romahanno comprato questa azienda a Mon-tegabbione.Noi ogni anno venivamo a Montegab-bione dal 1972 e un giorno in questa casa,che allora era un fienile, dicevo “che belloquesto fienile” e mia suocera “ti piace, selo vuoi, prendilo e lo rimetti a posto”.Bepi aveva l’attività che non gli andavamolto bene e quindi è venuto in questaazienda agricola. Io non potevo venireperché mi mancavano due anni per an-dare in pensione (ci si andava con 19anni, 6 mesi e 1 giorno) e per raggiungerlomi mancavano 2 anni.Lui è venuto da solo e io sono stata a Mi-lano con i figli e poi l’ho raggiunto e i figlisono rimasti su.Per me i figli sono molto importanti,averli su è l’unica rinuncia, perché sennòsto benissimo qua.

Ora sono sistemati; ho cinque nipoti, sitrovano bene. Sono radicati. Io penso chevivono bene lì.Uno avrebbe voluto vivere in Australia egli piace moltissimo Montegabbione. La mia aspirazione massima è di avere ifigli accanto.Non ho mai pensato di tornare indietro,devo vivere oggi. Tutto quello che hofatto lo rifarei.Il prezzo? Il prezzo da pagare è da unpunto di vista economico; in tempi di ri-strettezza economica non ci si può per-mettere di stare con i miei figli e la miafamiglia quando e quanto vorrei.Vorrei per i miei figli una vita più tran-quilla di quella che ho avuto io. Vorreiche le loro famiglie siano unite, e chesiano uniti fra loro tre, Adriana, Rodrigoe Barbara. Spero poi che i loro figli nondiano problemi importanti. Inoltre nellamia vecchiaia non voglio essere un pesoper loro.Ho fatto tanti cambiamenti che io sonoabituata a tagliare e sto così, e deve an-dare bene così.

63Juliana

Page 64: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Marie Therese

Page 65: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Mio padre era infermiere, avevaun diploma, e mia madre fa-

ceva l’animatrice per le donne: le aiutavaa cucinare e a pulire. Anche se le donnelo sapevano fare, lei insegnava un altromodo di farlo perché qualcuno lì non hamai avuto una casa, allora non sapevaneanche pulirla. Per esempio le case nonhanno vetri e quindi le donne non sape-vano pulirli dove c’erano e si trovavano alavorarci. Lei ha fatto la scuola elemen-tare, credo dalle suore.I miei genitori si volevano molto bene.Noi figli avevamo un amore per loro, sisono sacrificati per farci studiare tutti,sette figli e tutti abbiamo studiato finoalla maturità, addirittura alcuni ancheall’università. Mio padre è morto a di-cembre del 1983 e mia madre ad agostodel 2003. Abitavamo prima in una cittàgrande, ma quando c’era la guerra di in-dipendenza del Congo nel 1960, ci siamotrasferiti a Kananga; ero molto piccola e

noi sentivamo la guerra. Siamo rimasti lìdue anni e poi siamo tornati perché nellanostra provincia rischiavamo di essere uc-cisi.Non siamo rimasti nella grande città per-ché c’era la guerra e quindi siamo andatiin un villaggio, Kabue. Lì eravamo al si-curo. Mio padre faceva l’infermiere allesuore, loro ci hanno dato la casa e siamorimasti lì a vivere tutti insieme. Mia so-rella piccola abita ancora in quel villaggio.Le suore erano di Nizza, adesso ci sono leSuore Immacolata di Maria, ma fino al1962 erano unite.La mia mamma faceva tutto per noi, leiera la padrona di casa; per farci studiarevendeva piccole cose, lavorava nei campi.Lei era contadina, si coltivava arachidi,mais, fagioli.La mia infanzia l’ho passata a Kabue. Ioamavo mio padre, tutto quello che facevami sembrava perfetto. Tu pensa che cisono animali che le donne non possono

65Marie Therese

Ngalula Kabulanda Marie Therese

LA DONNA DI DIO

Nata nel 1953 a Muji-Mayi (Congo)Nubile, suora

Page 66: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

mangiare nel Congo, per esempio il ma-iale non si poteva mangiare perché nellatradizione era visto come l’animale moltosofferente quando partoriva e si dicevache se lo mangiavi, quando partorivi sof-frivi allo stesso modo. Ma per quanto eroinnamorata di mio padre, quando luimangiava il maiale, lo mangiavo anch’io.Lo preparavo e lo mangiavo e i miei geni-tori mi dicevano “Ma cosa fai?!”, mi rim-proveravano.

[ ]Allora io dicevo a mia madre “Non ti pre-occupare, io o divento militare o diventosuora, quindi lo posso mangiare”.Volevo essere una persona indipendente,avevo questo nella mia testa: se diven-tavo militare, pensavo, non mi sposo eresto al servizio della mia patria. Poi eroconsapevole di avere questa caratteristicadi servire gli altri. E pensavo: se mi sposonon posso fare quello che voglio, devosempre chiedere il permesso a mio ma-rito, se sono sola posso fare quello che vo-glio senza disturbare nessuno.Ho frequentato la scuola elementare, lamedia, la maturità, e poi l’università. Misono laureata in Pedagogia. Ho studiatoin francese, perché in Congo abbiamoquattro lingue: lo swahili (lo capisco manon lo conosco), il lingala (che invece co-nosco), il kikongo (parlato dai giovani,

66 Marie Therese

Non ti preoccupare, io o divento militare odivento suora...

Page 67: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

non lo conosco), il tshiluba (che è la mialingua). Una persona si capisce da sud anord con il francese, la lingua che cihanno portato i nostri colonizzatori belgi.Andavo all’università a Kinshasa, la capi-tale del Congo. Ci andavo con l’aereo e cistavo tutto l’anno. Quando ero piccola,insieme agli altri bambini facevamo deilavori per le suore del convento; anchedurante le vacanze della scuola mediaquelli che restavano in collegio. Quandofacevo le medie e la maturità studiavamoin un paese che si chiama Mikalai e nellevacanze tornavamo a Kabue e aiutavamosempre le suore. Prima di ritornare a Mi-kalai le suore mi facevamo sempre i re-gali, per esempio una sottana. Io volevodiventare come loro, avevo un impulso,dicevo “beate loro”. C’erano dei ragazziche mi chiedevano di sposarmi, ma poidicevo a mia madre che non volevo. Leimi diceva, preoccupata: “Figlia mia, staischerzando, oppure?”Un anno prima di finire la maturità sonoandata dal mio direttore spirituale e luiha iniziato a guidarmi.

[ ]Dopo la maturità ho lavorato due annicon le suore per aiutare i miei genitori afar studiare i miei fratelli e le sorelle piùpiccole. Quando anche la minore ha fi-nito sono entrata in convento, a 19 anni.

Ci ho pensato, avevo questo sogno di di-ventare suora.Avevamo amicizie a scuola, nella primaeravamo in dieci ma io sono l’unica cheha fatto la maturità. Alcuni non avevanosoldi, altri non avevano famiglia. Sonofortunata e ringrazio i miei genitori. Que-sto titolo di studio mi ha aiutato perchémi sono laureata e poi sono stata presidein un liceo con più di trecento alunni, pernove anni. Poi per cinque anni i miei su-periori mi hanno affidato l’incarico dianimatrice delle donne di tutta la diocesi,riunite nell’associazione B.T.K., “Donnein cammino per la promozione sociale ela dignità personale”. Sono stata nomi-nata maestra delle novizie per formare leragazze.Il nostro carisma è la disponibilità,l’umiltà, e la carità che devono accompa-gnare la nostra vita spirituale per serviregli orfani e gli anziani.Dopo questa esperienza la Madre generalee il suo Consiglio hanno deciso che do-vevo venire in Italia. È stato un atto di ob-bedienza. Sarei dovuta venire per fare unanno sabbatico, per fare un corso specialee poi un master in psicologia di consulta-zione all’Istituto Regina Apostolorum aRoma. Sono partita e sono venuta aRoma dalle suore di Santa Maria Bam-bina, di fronte al Vaticano.Ho fatto questo corso di due anni congioia e volevo ritornare nel Congo; man-cavano appena pochi mesi quando è arri-

67Marie Therese

Quando anche la minore ha finito sono en-trata in convento...

Page 68: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

vata la chiamata della madre superiore.Io volevo ritornare a casa.Invece un prete congolese che stava aMontegabbione (e c’è tutt’ora) avevamandato una richiesta alle suore delCongo per assistere anziani nella “CasaSanta Rosa” di Faiolo. Don Agostino e lasuora superiore si misero d’accordo, ionon sapevo niente. La madre mi chiamòe mi disse di venire qui.Prima di venire in questa zona, io ne

ignoravo l’esistenza. Mi sono trovata quiper confrontarmi con un altro popolo eun’altra cultura.

[ ]Sono arrivata con un visto di studio e laparrocchia di Montegabbione, che ha pa-

gato il mio viaggio dal Congo a qui, miha aiutato a prendere il visto religioso,che dura due anni.Scade ad agosto, non riesco a prendere unpermesso di soggiorno perché non ho uncontratto di lavoro vero e proprio, ma esi-ste una convenzione. I preti invece hannoil permesso di soggiorno.Ho lasciato la mia congregazione, i mie fra-telli e le mie sorelle, i mie amici. Il mioobiettivo era quello che la Congregazionemi aveva chiesto, e cioè due anni in Italia epoi tornare. Invece sono passati nove anni.Mi sono fatta degli amici subito, io nonho problemi per l’integrazione. Fre-quento abitualmente gli italiani e ho fa-miglie italiane che mi sono amiche. Dueper esempio sono di Livorno, le ho cono-sciute e San Giovanni Rotondo e spessomi vengono a trovare.Le donne di Faiolo sono molto disponibilie ho con loro un bel rapporto, come vicinidi casa.Con Carlo Andreoli mi confido; se c’è unproblema lui mi aiuta. A Pasqua del 2004mi ha scritto un biglietto di auguri moltoprofondo con Santa Rosa raffigurata “Èlei, Santa Rosa la titolare originale dellacasa in cui vivi che ha consentito l’esodoe dunque la Pasqua, dall’Africa a... Faiolo,l’ultimo villaggio del mondo, il più pic-colo, il più sconosciuto. Ma quello dellanostra missione pasquale”.Vorrei tornare con le mie consorelle giùin Congo; è vero che sono la responsabile

68 Marie Therese

Non riesco a prendere un permesso di sog-giorno perché non ho un contratto di lavorovero e proprio, ma esiste una convenzione. Ipreti invece hanno il permesso di soggiorno.

Page 69: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiDa noi si diceva che una persona biancapensa solo a sé, è egoista, è individual-ista e pensa solo alla sua famiglia. Nonti dà niente se non paghi, questa era lanostra convinzione. Quando sonovenuta mi si sono aperti gli occhi.Anche nel convento a Roma non avevomolti soldi, e le suore mi hanno aiutato,loro pagavano una parte per me. Alloraho pensato che la nostra convinzionenon era vera. E ancora di più quandosono arrivata qui, con le persone di qui,soprattutto con le donne di Faiolo. C’èuna stima e un affetto reciproco. Iosono loro riconoscente e sento l’amoreche hanno verso di me.qui, ma anche altri hanno bisogno di me

e io di loro. Mi mancano i miei nipoti, neho trentacinque e cinque pronipoti.Sono ritornata in Congo dopo sette anni,sono l’unica suora delle famiglia. È statauna festa, ho trovato tutto cambiato, imiei nipoti li ho visti cresciuti. Ho un le-game molto profondo con la mia famiglia,che va al di là della separazione fisica.Io qui vorrei fare qualcosa per i giovanicon lo scopo di aiutare gli altri. Sono an-data a Bari e ho visto che i giovani fannomolto per la parrocchia, vorrei fare que-sto anche qui, se loro accettano.

E poi vorrei fare qualcosa con le donneper le donne del Congo, così che io possodire quando sarò vecchia: “Ecco questo èil ricordo delle donne di Montegabbioneper le donne del Congo”. Vorrei che ledonne di qui si esprimessero su cosa vor-rebbero fare per le donne del Congo.Il futuro? Non dipende da me. C’è l’ob-bedienza. Io dico solo “Signore ti ringra-zio! Mi hai fatto riposare un anno aRoma”... ed è stato un bene perché qui, aFaiolo, c’è da fare con gli anziani. Io corrotutto il giorno e loro mi dicono: “Arrival’uragano!”.

69Marie Therese

Page 70: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Miriam

Page 71: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata in Colombia nella citta-dina di Obando Valle il 17-09-

1972. Sono la quinta di nove fratelli.Dopo la mia nascita la mia famiglia si tra-sferì in campagna. Eravamo molto po-veri, ogni anno a noi figli veniva fatto uncompleto nuovo di vestiti e scarpe chedoveva durare tutto l’anno.La scuola era lontana: io ed i miei fratellici svegliavamo alle 4 del mattino, anda-vamo a prendere l’acqua poiché in casanon c’era acqua corrente, studiavamo epoi alle 6.30 partivamo per andare ascuola. Ci voleva un’ora a piedi. Miamadre era molto severa ma nella famigliacomandava mio padre. Nella nostra cul-tura la donna si deve occupare dei figli edella casa e ancora oggi molti uomini lapensano così: per questo non volevo spo-sare un colombiano.Dopo la terza elementare, a 11 anni,avevo già la necessità di cercare di aiutarela mia famiglia e di essere autonoma e

sono andata a lavorare come domesticanella famiglia di un’amica in città.Lì lavoravo molto e uscivo ogni tanto. Hoconosciuto un ragazzo e a 14 anni sono ri-masta incinta. Ero ormai indipendente, luiera il mio fidanzato ma dopo il parto luinon ha voluto riconoscere la bambina so-stenendo che non era sua. Sono tornata acasa ma i miei genitori non mi hanno vo-luto così sono andata a vivere dai mieinonni che anche se poverissimi mi hannogarantito almeno un tetto sulla testa. Sonostati giorni duri, non avevamo da mangiaree non avevo latte per la bambina. Ungiorno mio fratello Marcos è venuto a tro-varmi e vedendomi così ha deciso di ripor-tarmi a casa anche contro la volontà di miopadre. Mia madre era felice! Ha ucciso lagallina più grande per me. Mio padre par-lava ma amava molto la mia bambina; infondo io ero la sua figlia prediletta.Dopo 40 giorni dal parto sono tornata alavorare come domestica portandomi die-

71Miriam

Miriam Melo Rincon LA DONNA CHE NON SAREBBE

STATA POVERA PER SEMPRE

Nata nel 1972 ad Obando Valle (Colombia)Un figlio colombiano ed uno italiano, sposata in Italia

Page 72: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

tro la bambina e cercando di organiz-zarmi tenendola lì. Per un po’ ha funzio-nato perché mangiava e dormiva maappena è stata più grande sono cominciatii problemi e io non sapevo più cosa fare.Mia madre alla fine mi ha visto in quellecondizioni ed è venuta a prenderla perprendersene cura a casa. Io tornavo a casaa vederla ogni 15 giorni.

[ ]Intanto ero ancora innamorata del padredi mia figlia ma lui a 17 anni decise disposarsi con un’altra donna. Quando glichiesi il perché, lui mi disse che eravamoentrambe troppo poveri e non avevamofuturo. Quella fu per me come una sfida,da quel giorno pensai che non sarei stata

povera per sempre e ho lottato con tuttele mie forze per essere migliore e garantireun futuro a mia figlia.Intanto nella mia famiglia nacquero altridue fratelli. Quando dopo poco miopadre si ammalò tutti noi più grandi ciprendemmo l’impegno di mantenere ecrescere i fratelli e di aiutare mia madre.Ho lavorato tanto, giorno e notte, com-prando poco a poco dei mobili per la no-stra casa, vestiti per i miei fratelli, anchela tv. Ma ogni anno preparavo la valigiae pensavo di andare via dalla Colombia.Avevo quasi 18 anni e a mia madre dicevo“Mamma un giorno mi voglio sposare manon con un colombiano… andrò via e misposerò a trent’anni e avrò anche unaltro bambino”. Mia mamma rispondeva“Sogna, sogna che sognare non costaniente”. Ma io ero determinata e pensavoche il mio sogno si sarebbe avverato.Nel frattempo ho avuto un fidanzato te-xano che mi ha cambiato un po’ la vitaperché aveva molti soldi e mi faceva vi-vere bene ma poi ho capito che era immi-schiato in brutti affari e ho capito chenon vale la pena rischiare per avere soldi.E mia figlia, Diana Marcela, cresceva. Eramolto brava a scuola e le piaceva moltolo sport ma mia madre era severa e nonvoleva farla uscire. Ad un certo puntosono iniziate le liti anche con i miei fra-telli, così ho deciso di andare via.Avevo comprato con i miei risparmi unpiccolo chiosco, solo quattro mura senza

niente dentro. Siamo andati li. Dormi-vamo e mangiavamo seduti a terra e digiorno vendevo pane, latte, birra…Davanti al chiosco c’era una casa moltocarina che mi piaceva molto, con una fac-ciata molto bella... la guardavo sempre epromettevo a me stessa che un giornol’avrei comprata.

[ ]Ma non era facile vivere nel chiosco, cosìquando un giorno un’amica che era ve-nuta in Italia mi ha detto di venire perchési stava bene e si diventava ricchi, io hopreso la decisione di partire.Sono venuta in Italia con la carta d’invitoe con l’idea di tornare al più presto a casa.Per i soldi del biglietto abbiamo messoun’ipoteca sulla casa di mia cognata.La realtà al mio arrivo non era quella chemi immaginavo. Sono arrivata a Treviso,era freddo, non avevo vestiti pesanti, nonsapevo la lingua, non avevo soldi. La miaamica mi ha ospitato solo per poco dicen-domi che dovevo cavarmela da sola. Hopianto tanto al telefono con mia sorellama non potevo tornare. Ho sofferto lafame ma poi delle persone gentili si sonoprese cura di me e ho trovato lavoro comebadante.Dopo sei mesi sono venuta a Perugiadove ad una serata con delle amiche hoconosciuto Walter che adesso è mio ma-

72 Miriam

Da quel giorno pensai che non sarei statapovera per sempre...

Per i soldi del biglietto abbiamo messoun’ipoteca sulla casa di mia cognata.

Page 73: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiGli italiani mi hanno accolto bene, nonho avuto difficoltà a fare amicizie. Stobene a Monteleone, gli stranieri sonobene accolti anche se la comunità ingenere non è molto unita… manca unpo’ d’affetto, un po’ d’amore reciprocoo anche semplicemente un sorriso.

rito. Siamo sposati da 10 anni e abbiamoun bambino, Tommaso, e malgrado deiproblemi iniziali adesso siamo una coppiafelice. Dopo 5 anni che ero in Italia è ve-nuta qui mia figlia. Ha fatto qui la scuolae adesso è in Spagna dove ha avuto unabambina con un ragazzo colombiano edio sono diventata nonna a 37 anni.Sono tornata in Colombia due anni emezzo dopo il matrimonio insieme a miomarito. Mia sorella abitava in affitto in

quel periodo nella casa che avevo semprevoluto comprare. Dentro non era cosìbella come sembrava da fuori ma miomarito ha detto che avremmo potuto ri-metterla a posto.Così mi ha fatto questo magnifico regalo!L’abbiamo comprata e ristrutturata tuttae adesso è una bellissima casa a due piani.Non so se ci andremo a vivere…Tornerei volentieri in Colombia ma solose avessi tanti soldi da riuscire a viverci.

73Miriam

Page 74: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Maria

Page 75: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Mio padre era impiegato al Mini-stero delle opere pubbliche, la

mamma era proprietaria di un ristorante aValencia. Ho vissuto lì, è una grande città.I miei genitori avevano frequentato le ele-mentari, sapevano leggere bene e scrivere.I rapporti fra noi andavano bene e male,come un rapporto normale genitori-figli.Eravamo tre sorelle, mia madre pensavaalla casa che era sopra il ristorante e noila aiutavamo sempre a cucinare, a servire,prima di andare a scuola montavamotutti i tavolini; sono cresciuta così.I miei riferimenti erano le mie nonne, abi-tavano vicino a noi, io facevo la spesa perloro, mi davano sempre i soldi e noi cicompravamo i lecca lecca. Ho studiatofino alle medie e poi ho frequentato unascuola di taglio e cucito, le mie nonne miinsegnavano a mettere le pezze agli abiti,una volta si mettevano sempre e io avevoimparato benissimo.Poi mi sono messa a lavorare in una fab-

brica dove facevano i vasetti per gli yo-gurt; più tardi invece ho trovato lavoroin una fabbrica metalmeccanica, facevole pulizie e il servizio mensa. Ci sonostata una decine d’anni e mi trovavobene. Avevo tante amicizie, sei amici livedo ancora, ne combinavamo di tutti icolori, andavamo in tre sul motorino. Ilpoliziotto ancora me lo dice quando lo in-contro, che lo abbiamo fatto tribolare.

[ ]Mio padre era molto geloso, non volevache uscissi con nessuno, ma comunquenon c’era problema perché io non mi vo-levo legare. Ho voluto essere libera, nonvolevo che nessuno mi comandasse. Poiho avuto un ragazzo che giocava a pal-lone e dopo ho conosciuto Sandro. Avevotanti sogni, tipo andare a ballare, a sciare,andare a cavallo...

75Maria

Maria Amparo Lopez Molleon

LA DONNA CHE È EMIGRATA

DUE VOLTE

Nata nel 1951 a Landete (Spagna)Sposata, sei figli

Ho ballato tanto, con Sandro ho ballatotantissimo, poi lui si è bloccato e io non hoballato più perché io ballo bene solo con lui.

Page 76: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Io ho ballato tanto, con Sandro ho bal-lato tantissimo, poi lui si è bloccato e ionon ho ballato più, perché io ballo benesolo con lui. Ho lavorato come una so-mara, ma non mi è mai piaciuto staresolo in casa, mi è piaciuto anche diver-tirmi. Ho conosciuto Sandro nel ’73. Luigià da tre anni stava in Svizzera perchévedeva che gli altri suoi conoscenti gua-dagnavano. È venuto in Spagna per le va-

canze di Natale e mi ha conosciuto per-ché è stato a mangiare nel mio risto-rante. È rimasto quindici giorni e poi èandato via; io pensavo che non lo avreipiù visto, invece lui è tornato. La primavolta che è venuto è stato un colpo difulmine, poi... la tempesta!! Ci vede-vamo due volte l’anno e ci scrivevamosempre le cartoline. Ci siamo sposati il28 dicembre del ’75 in Spagna, sono ve-

nuti qua i suoi fratelli Ugo e Natale e poiil 3 gennaio del ’76 ci siamo sposati qui aMontegabbione e siamo stati con i suo-ceri dieci giorni e poi siamo andati inSvizzera insieme. Sandro mi aveva trovato lavoro come as-sistente delle persone anziane in ospe-dale, ero in regola. Lui faceva il ferraiolo,nell’edilizia. Avevamo un appartamen-tino, noi eravamo annuali, non stagio-

76 Maria

Page 77: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

nali. Ho pensato di andare in Svizzeracon lui perché che senso aveva stare lui làe io qua; era meglio stare tutti e due in-sieme. Mi sono lasciata indietro tanto: lamia famiglia, il mio cibo... ho cambiatoogni cosa, le mie abitudini... Io andavo almio lavoro, ho rispettato tutti e loro mihanno rispettato. Dove lavoravo era unposto dove c’erano molti tedeschi, io misono trovata male perché non sapevocome mangiavano loro. Dovevo imparare contemporaneamentea cucinare italiano e tedesco e a parlareitaliano, con Sandro, e tedesco lì... era undisastro!

[ ]Anche quando facevo assistenza eratutto a motti, ho imparato poco la lin-gua, eppure ci sono stata due anni. Sonorimasta incinta di Cristian, il servizio sa-nitario era gratuito, ho dovuto prenotarela camera dell’ospedale sei mesi prima,sono stata seguita bene e il parto è statomolto veloce. Io avevo tanto latte, lì locompravano il latte per chi non lo aveva.All’ospedale l’ho venduto, ma poi a casalo tiravo e lo buttavo. Cristian l’ho por-tato al nido quasi subito perché io dovevolavorare, poi l’ho portato in Spagna e l’holasciato con i miei genitori e ogni mese loandavo a vedere... mi ero fatta degli amicisvizzeri perché io ero sempre allegra loro

mi accettavano, però non sono rimasta incontatto con nessuno.Noi volevamo prendere il ristorante ed èper questo che intanto abbiamo portatogiù in Spagna il figlio… per me è statotanto doloroso. Dopo qualche mese siamoandati in Spagna anche noi e abbiamo ge-stito noi il ristorante dei miei genitori. Erocontenta di tornare in Spagna. Siamostati quattro anni in Spagna, Gianni ènato lì; poi siamo tornati in Italia.

In quel periodo in Spagna, Franco morì equindi avendo noi entrambi la cittadi-nanza italiana dopo il matrimonio avve-nuto in Italia, non eravamo regolari.Sembra assurdo, io nata in Spagna, tro-varmi clandestina lì... in quello che consi-dero il mio Paese... Cercavamo di metterciin regola ma mancava sempre qualche do-cumento. In quel periodo i soldi ci basta-vano per vivere però non per mettere vianiente. Pagavamo tutto, comprese il servi-

77Maria

Ho imparato poco la lingua, eppure cisono stata due anni.

Page 78: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

zio sanitario. Avevamo un dottore che erabravo, ci faceva le ricette senza dover pa-gare, ma lui morì, motivo in più per par-tire. Allora Sandro decise di tornare inItalia e prese in affitto una casa a Monte-gabbione, pagando un anno anticipato perfermarla, poi ha cercato lavoro, l’ha tro-vato ed è tornato. Io vedevo che lui sof-friva tanto in Spagna, a parte per il fattodi essere irregolare, ma perché non riuscivapiù a stare con la sua famiglia.Ho lasciato il ristorante, abbiamo presotutto e con un camion pieno di mobilisiamo tornati in Italia. Ho pensato fra mee me: “un’altra volta in Italia... ma al-meno lì sarò regolare”. Mi sono appog-giata ai miei suoceri, ormai un po’ lalingua la sapevo. Loro mi hanno aiutatoe mi volevano bene, se c’era qualcosachiedevano sempre di me...I primi anni sono stata bene, facevo ilmio lavoro, pulivo nelle case, facevo lenottate di assistenza...I figli andavano a scuola e poi li portavocon me. In Italia ho fatto altri quattrofigli. Dopo Luca e Alex, dicevo sempreche non avrei smesso di fare figli finchénon arrivava una femmina per avere unrapporto da donna a donna, da madre afiglia, un aiuto per il domani. All’età diquarantatré anni, quando pensavo ormaidi essere in menopausa, sono rimasta in-cinta di un parto plurigemellare di cuisono sopravvissuti Matteo e Caterina.Adesso sono nel pieno dell’età adolescen-

78 Maria

Page 79: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiHo avuto subito amici perché io nonsono cattiva, a volte le critiche eranotante e io zitta non ci sto... come si sasuccede nei piccoli paesi. Tante per-sone sono sincere, ma tante no.Io sto bene qui, Sandro non mi priva difare niente. Io lavoro tutti i giorni, mauna volta all’anno voglio tornare inSpagna. Per vedere le mie sorelle, i mieiamici, per parlare la mia lingua, permangiare il mio cibo. Io per venire quiho rinunciato a tutto, alla mia lingua,alla mia terra, al mio cibo, al mio mododi ballare; se qui metto la mia musicae mi sentono, pensano che sono matta.Io sto bene qui, se c’è la salute c’ètutto, se c’è l’allegria c’è tutto.A Montegabbione adesso mi sembrache ci sono tanti stranieri, anche iosono straniera, però loro vanno a lavo-rare anche per cinque euro l’ora, io no.Ci sono tante persone che sono bravee altre meno brave, come noi. Anchenoi siamo stati emigranti, ma più ilpaese è grande e peggio è, qui per esem-pio lavorano tutti e fra di loro si aiu-tano ed esercitano un controllo: nonfanno entrare chi potrebbe minacciarequesto equilibrio con la gente di qui.

ziale, c’è un po’ di conflitto normale, peròvedremo per il futuro...

[ ]Con sei figli è stata dura, io ero sola, San-dro lavorava dalla mattina alla sera, iosono stata severa con loro. Gli ultimi duefigli sono stati con la Gaetana, che chia-miamo Tata, l’abbiamo amata e lei li haaccuditi anche meglio di me, è stata unadi casa, una di noi. Non avevo tempo peril superfluo, non ho fatto mancare loroniente, quando avevano fame sapevanoche da mangiare c’era, ma non ho mai cu-cinato separato o li ho rincorsi con la for-chetta in mano, anche perché non avevotempo, come facevo con sei figli?! Li horesi indipendenti da piccoli, da bambinisapevano cucinare e ho insegnato loroanche a cucire, ad attaccare i bottoniquando si staccavano.Adesso mi sono iscritta alla “danza delventre” perché mi piacciono gli sport, hofatto tre anni di karaté e vado a cavallo;la mia cavalla è morta, forse non ce la fa-ceva più a sopportare il mio peso! Io fac-cio sport perché mi piace l’aria, mi civuole aria, io voglio fare.I miei figli lì avrebbero forse più opportu-nità perché Valencia è grande. Il miosogno più grande adesso è di fare una cro-ciera con Sandro, io e lui da soli per quin-dici giorni, senza nessun altro!

Io ho rapporti con loro, scherziamo, li hoaiutati a cercare un lavoro perché ven-gono da me che sanno che sono stranierae sono qui da tanti anni.Il razzismo c’è e parecchio, in Italia e aMontegabbione; lo sento anche nei mieiconfronti, nonostante io sono italiana puraperché ho marito italiano, quattro figli sonoitaliani. Qualche volta cucino spagnolo, hoinsegnato anche ai miei figli, però io adessomi sento italiana perché tutto intorno a meè italiano. Però a me piace conoscere le altreculture e far conoscere la mia.Come straniero devi sopportare tantecose.

79Maria

Non avevo tempo per il superfluo...

Page 80: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Gina

Page 81: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Imiei genitori erano contadini e allorac’erano i padroni. Il mio babbo è

morto a trentatré anni nel 1940 dopoun’operazione allo stomaco e non è so-pravvissuto. Io avevo dodici anni. Luiqualcosa avrà studiato, non lo so, lamamma invece a scuola non c’è andata.Siamo rimasti in famiglia col nonno checi ha guidato e con la mamma e i mieifratelli, eravamo cinque figli, siamo natia distanza di due anni l’uno dall’altro.Io ero la più grande e avevo la famigliasopra alle spalle. Andavamo tanto d’ac-cordo, ma la vita era faticosa, siamo sem-pre stati a Montegabbione. La mammapensava per la casa e un po’ alle bestie,ma maggiormente ci pensavo io, ero ioche aiutavo mio nonno. Attaccavo ilcarro dei buoi da sola, lo scioglievo, cari-cavo il carro dell’erba da sola, i sacchi digrano li sollevavo come fossero piume:pensavo al podere.Ho fatto la terza elementare, neanche l’ho

finita perché c’era da fare, da lavorareanche se i padroni portavano via ognicosa. Volevano tanti polli, tante uova, sifacevano le divisioni della lana... Veniva illoro operaio a prendere l’agnello, mentrele uova e i polli glieli dovevamo portarenoi. Di bestie avevamo i buoi per lavorarela terra, i maiali e le pecore. Avevo da la-vorare la terra, non avevo tempo per stu-diare, io la terra l’ho cavujata. La miaamica era la Serena Barbanera, ci siamovolute tanto bene, ma comunque io sonostata sempre amica con tutti. Nel 1946 misono fidanzata con Gostino. Lo cono-scevo da prima che andasse a fare il mili-tare, dopo lui è stato prigioniero di guerraper tre anni, ché non sapevano se eramorto o vivo... per carità...

[ ]Il mio pensiero era solo quello di lavorare

81Gina

Gina StellaLA DONNA DELLA TERRA

Nata nel 1928 a MontegabbioneVedova, due figli

Dove si andava?! Senza una lira, senzaniente, ho lavorato solo la terra e basta.

Page 82: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

giù per i campi, dove si andava?! Senzauna lira, senza niente, ho lavorato solo laterra e basta.Nel 1951, il 26 ottobre ci siamo sposati esono andata a vivere a casa sua. C’ave-vamo ancora il padrone fino al 1954 cheabbiamo preso il podere. La padronaLemmi vendeva e chi voleva poteva com-prare, era un riscatto in cinque anni. Noilo abbiamo preso e siamo diventati colti-vatori diretti. Marchino Bruno ci ha aiu-

tato, perché lui ci capiva, lui c’era intrigato;ha fatto tante riunioni, anche insieme aGostino, erano uomini intelligenti. E poi alColle si consigliavano l’uno con l’altro,quando si ammazzava il maiale si stavatutti insieme quelli del Colle, si giocava, siballava, era bello...Quando abbiamo preso il podere perònon avevamo più né la stalla né i magaz-zini, c’era rimasta solo la stalla dei maiali;la terra c’era ma non c’era altro, i soldi

non c’erano. Prima c’era il padrone chegarantiva, ma ora non c’era più. AlloraGostino partì per la Svizzera nel ’56 e ionel ’57. Io avevo già un figlio, Piero, l’holasciato a sette mesi e là sono rimasta in-cinta di Mauro. Sono tornata, lui è natoqui e per un anno sono stata qui e poisono tornata in Svizzera. È stata dura.Quando siamo partiti, abbiamo riunito lafamiglia e abbiamo deciso tutti insieme,vivevamo con i due fratelli di Gostino econ le mie cognate, ossia tre fratelli, trecognate e cinque figli nella stessa casa eabbiamo vissuto insieme per trentacin-que anni. Anche adesso, anche se viviamoognuno per conto nostro, ci consigliamouno con l’altro, collaboriamo sempre percercare le soluzioni.I figli li ho lasciati alle mie cognate men-tre ero là; ci hanno pensato loro, lavo-rando la terra, facendo grandi sacrifici emandando avanti il podere. L’obiettivoche avevamo quando siamo partiti era diguadagnare qualcosa, sennò chi ci sarebbeandato?!Io sono andata là così, non avevo il con-tratto di lavoro, per tre mesi ci potevostare, poi al consolato mi hanno dettoche dovevo andare via da Basilea se nontrovavo il lavoro. Avevo un’amica fran-cese che aveva sposato un mio parente equindi lei mi ha portato in Francia perotto giorni e nel frattempo Gostino mi haportato il permesso dalla padrona e sonorientrata, lavorando in un caffè-tavola

82 Gina

Page 83: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

calda, dove precedentemente ci lavoravala Fernanda, una signora di Montegab-bione che rientrò.

[ ]Io ci ho lavorato per dieci anni, sono stata

una delle prime donne a partire, per noici ha pensato Enrico Pellegrini: Monte-gabbione l’ha fatto andare là tutto lui. Lacasa l’abbiamo trovata da noi, su un pa-lazzo, era una cameretta dove dormivo efacevo da mangiare con un fornellinoelettrico sopra al tavolo, il bagno in co-mune con altre cinque famiglie. Torna-vamo a Montegabbione una voltaall’anno, sempre da dicembre a gennaio,

83Gina

Tornavamo a Montegabbione una voltaall’anno, per dieci anni questa vita qui, lostrazio era quando si ripartiva, lasciare ifigli, la famiglia... ma qui c’era solo laterra, non c’era altro.

Page 84: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

per dieci anni questa vita qui, lo strazioera quando si ripartiva, lasciare i figli, lafamiglia... ma qui c’era solo la terra, nonc’era altro.In grazia di Dio non ho mai subito vio-lenze, né abusi, mi hanno rispettato. Lapadrona mi voleva tanto bene. I primi

tempi ero sottocuoca insieme ad unacuoca che parlava italiano. Con i piattinon ci capivo niente, rubavo con gli occhiper capire, non parlavo la lingua ma ca-pivo tutto! Dicevo qualche parola, matanto non mi serviva perché io stavo incucina e mi pagavano a mesata. Io man-

giavo lì quando facevo i turni e quindiriuscivamo a mandare a casa i soldi perposta, a volte indumenti e qualche cioc-colatino, ma di questo poca roba. Cisiamo sempre scritti le lettere con la miafamiglia, i figli andavano a scuola. Io glisvizzeri li ho trovati cordiali, mi sono tro-vata benissimo, ma solo con quelli concui lavoravo perché in giro con loro nonci andavo, parlare non parlavo, quindi...fuori dal ristorante niente più. Avevo soloun’amica austriaca con la quale lavoravoinsieme e un’altra cuoca a cui volevomolto bene.Io dopo il lavoro andavo a casa, ci vede-vamo con gli altri italiani, con noi di qui.Eravamo tanti, un palazzo di cinque-seipiani e alla domenica stavamo sempre in-sieme, andavamo a fare qualche passeg-giata. Avevamo il servizio sanitario manon lo so se si pagava, io fortunatamentenon ne ho avuto bisogno di niente; daldottore non si pagava, le medicine pensodi sì.Ho deciso di ritornare perché la mammastava per morire, prima io e poi Gostinol’anno dopo. Non ho conservato nessunaamicizia perché alla fine al ristorante erorimasta da sola.

84 Gina

Page 85: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiIo gli svizzeri li ho trovati cordiali, misono trovata benissimo, ma solo conquelli con cui lavoravo perché in girocon loro non ci andavo… Non mi sonofatta amici svizzeri, solo italiani, solonoi di Montegabbione.Adesso non frequento stranieri, non liconosco. Vedo che a Montegabbione cene sono tanti, le donne con i figli nelcentro storico del paese. Non pensotanto bene di loro, perché non mi piac-ciono, a pelle non mi piacciono. Non loso perché, non te lo so dire. Qualcunodi loro sarà bravo, ma ce ne sono pochicosì, non ho paura di loro, ma non mipiacciono per nessuna maniera.Loro sono venuti per guadagnare qual-cosa, sennò non ce venivano, sennò sta-vano a casa loro. Dalla Giulia adesso èvenuta una badante Romena, per il mo-mento è brava. Lei è fuggita perché lì isoldi non ci stanno e perché il marito lapicchiava e la maltrattava perché beveva.Lei qui fa quello che noi facevamo là.Io penso che di razzismo ce n’è tanto,altroché! C’è anche a Montegabbione,non ci possiamo vedere uno con l’altro,fra di noi anche peggio che con glistranieri.

85Gina

Page 86: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Giuseppa

Page 87: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Imiei genitori erano contadini e poimio padre ha fatto il falegname e mia

madre è stata sempre casalinga. Siamo 7figli, 5 femmine e 2 maschi, io sono nataal Colle. Eravamo una famiglia numerosainsieme agli altri zii. Poi il mio babbo è an-dato via da casa. A noi ci ha aiutato tantomio zio Morando, che era rimasto al Colle,la mattina mia madre andava là e gli davale uova e quello che aveva per mangiare.Poi lei ha lavorato al forno del paese, lavo-rava da mezzanotte alle dieci della mat-tina. Andava anche “ad opera” la mattina,per mantenere sette figli, ma non ci hannofatto mancare niente.I miei genitori qualcosa di scuola avevanofatto, ma non me lo ricordo però sape-vano leggere e scrivere. Mia mamma ciaiutava nei compiti a casa e ci insegnava,anche mio padre era molto intelligente. Irapporti fra noi erano ottimi, con tutti ifratelli, ci volevamo e ci vogliamo moltobene. Siamo stati sempre insieme, molto

uniti, anche con Geremia, mio cuginocon il quale sono stata molto attaccata.Noi abbiamo sempre vissuto a Monte-gabbione, mio padre ha fatto la casa dasolo, nonostante fosse falegname, oggistudiano studiano e poi...Lei faceva la mamma, e i sacrifici sonostati tanti per andare avanti. Sono cre-sciuta a Montegabbione e i miei riferi-menti erano loro e la Sora Giselda. Iofacevo le faccende da lei, anche quandoero piccola, solo che poi è venuta la mae-stra Augusta dicendomi che dovevo an-dare a scuola invece di lavorare perchédovevo arrivare fino alla quinta. A scuolami trovavo bene, solo che ero somara, nonmi piaceva studiare, allora non capivoquello che studiavo. La mattina prima diandare a scuola andavo a fare il fastellodella legna per scaldarci, era buio e non cela facevamo, era fatica.Poi c’era il catechismo e ci si doveva an-dare prima dell’inizio della scuola, alla

87Giuseppa

Giuseppa StellaLA DONNA CHE VOLEVA TORNARE

A MONTEGABBIONE

Nata nel 1939 a Montegabbione Vedova, un figlio

Page 88: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

mattina, due volte la settimana. Arriva-vamo a scuola già stanchi e allora nonc’avevo voglia.La mamma la sera ci faceva fare la pasta,noi non arrivavamo al tavolo e ci mettevaun banchetto sotto i piedi e ci faceva ma-neggiare la pasta e la torta sotto al foco.Quando avevo tredici anni sono andata aRoma. Mi ci ha mandato il babbo, erouna delle più grandi. A Roma stavo conun signore con due figli, stavo con loro

facevo la dama di compagnia e facevo ladomestica. Loro mi volevano mandare ascuola, ma io non ci sono voluta andaree dopo mi hanno fatto fare un corso di ta-glio e cucito da una sarta. Con loro cisono stata nove anni, fino a quandoavevo ventidue anni. Mi sono trovatabene, mi aiutavano e mi hanno insegnatotante cose. Lui si buttò dalla finestra delquinto piano, mentre io una mattina erouscita per fare la spesa. Morì sul colpo.

Diceva sempre che voleva tornare a Mon-tegabbione, ma i figli non ce lo potevanoportare, lavoravano ed erano molto im-pegnati nel PCI, non riuscivano a viverea Montegabbione. Non si sa perché si èbuttato, ma il suo sogno era quello di tor-nare a Montegabbione.Ho seguitato a stare a servizio in quellacasa per altri tre-quattro anni, andavo acucire dalla sarta. Non mi facevanouscire, niente amicizie né amori. Qualche

88 Giuseppa

Page 89: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

volta la domenica mi facevano fare unapasseggiata con la Virginia, una ragazzadi Montegabbione che era anche lei a ser-vizio a Roma, ed era più grande di me;con lei mi ci mandavano.

[ ]

Il mio sogno era quello di tornare a Mon-tegabbione. Loro mi cercavano il fidan-zato, ma io non volevo nessuno perchévolevo tornare a Montegabbione, perchélì c’erano i miei genitori, e le mie sorelle eio gli ho voluto sempre tanto bene.Tommaso lo conoscevo da quando eropiccola, lui aveva dieci anni più di me. Ioe lui un giorno abbiamo fatto il comparee la comare a Walter, un nostro nipote eda lì ci siamo fidanzati e poco dopo, nel

’62 ci siamo sposati. Lui lavorava già inSvizzera e ogni tanto tornava. Prima diandare all’estero era sempre giù a casaMarchino ad aiutare con le bestie, siscambiavano le faccende fra contadini.Poi emigrò insieme a suo fratello Gae-tano, era il più piccolo di 5 fratelli e i ge-nitori erano morti quando lui era piccolo,una volta hai visto...C’è stato per diciannove anni, è andatoper lavorare, ce li ha portati Enrico. Erano

89Giuseppa

Il mio sogno era quello di tornare a Mon-tegabbione. Loro mi cercavano il fidan-zato, ma io non volevo nessuno perchévolevo tornare a Montegabbione, perché lìc’erano i miei genitori, e le mie sorelle...

Page 90: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

in tanti di Montegabbione. All’inizio erastagionale, dopo è diventato residente.Quando mi sono sposata sono andata làcon lui e ci sono stata per nove anni.Lui era regolare e mi ha portato là con unpermesso temporaneo, poi sono stata tremesi senza lavoro e dopo l’ho ritrovato.Stavo in una fabbrica con il datore di la-voro: era un italiano ed erano una quin-dicina di Montegabbione su trenta operaiin totale. Lavoravamo in un’industria tes-sile, io tagliavo le stoffe insieme a duedonne svizzere. Come lavoro mi sonotrovata bene, mi hanno rispettata, le duesignore parlavano italiano. Quando eroincinta e stavo male, quando non c’era ilpadrone mi facevano riposare, mettermiseduta... sono state brave.

[ ]Mio figlio è nato di sette mesi, nessunomi aveva detto niente del parto e poi nonmi aspettavo di partorire così in anticipo.Così si sono rotte le acque e di corsa ab-biamo preso un taxi e il travaglio è avve-nuto lì; io mi scusavo perché avevosporcato tutta la macchina, ma mi ri-cordo che il tassista non ha voluto niente.Quando sono arrivata all’ospedale Mircoera bello che nato. Era piccolo, pesavameno di due chili, e ha avuto bisognodelle trasfusioni, è stato in incubatrice.Dithe, un signore svizzero, compagno di

Virginia che anche lei era emigrata inSvizzera ci ha aiutato molto con la lin-gua. Il sangue invece ce l’ha dato unosvizzero, il datore di lavoro di Tom-maso... io sono stata graziata dalla vita,lo dico sempre.All’inizio quando sono arrivata, vive-vamo in una stanzetta molto piccola, conun fornellino elettrico e il bagno in co-mune con altre quattro famiglie. Fortu-natamente le altre famiglie erano tuttiparenti nostri, le mie sorelle, della mia fa-miglia: piano piano eravamo emigrati inmolti.Noi abbiamo trovato un appartamentoperché avevamo la residenza e allora cel’hanno dato, sennò non avevi diritto,stavi come le bestie.La sanità per noi residenti era gratuita.Mio marito capiva e parlava meglio di mela lingua, io invece parlavo poco, però locapivo. Non l’ho mai imparata anche per-ché non mi piaceva starci, perché io vo-levo tornare a Montegabbione. Noimandavamo i soldi in Italia per fare lacasa, ma dopo la nascita di Mirco non la-voravo; andavo il sabato a pulire gli ufficie Tommaso stava col figlio.

[ ]La sera avevo paura per strada, perché ci

90 Giuseppa

Il sangue invece ce l’ha dato uno svizzero,il datore di lavoro di Tomaso...

Noi eravamo “a riccio”, sempre fra noi ita-liani, facevamo i giochi, stavamo insiemeper le feste, per Carnevale. Con loro no,non ci stavamo.

Page 91: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiIo non dico mai male degli stranieri qui,perché a noi ci guardavano come cani.Sono la prima a salutarli perché so cosasignifica lasciare la famiglia ed essereguardati male. Non posso sentire parlaremale di loro. Lì ogni cosa che capitava eche succedeva la colpa era degli italiani,come succede ora qui per gli stranieri.Sul lavoro tutto bene, ma nella societàc’era differenza nei nostri confronti. Gli stranieri qui nel mio paese ci sono,non li frequento, quando li vedo ciparlo, ma niente altro. Però non possodire niente di nessuno, di loro pensobene, sono persone, sono umani, e glisbagli li facciamo tutti, indipendente-mente se sei straniero o italiano. Pensoche ci sono molti stranieri qui, soprat-

dicevano “gli zingari”. Ci chiamavanocosì forse perché parlavamo forte, loro in-vece erano precisi. “Zingari” era la parolapiù bella che ci dicevano, ci dicevano cheeravamo tutti zozzi e ladri, non lo so per-ché. Con me personalmente no, però sisentiva, anche nei negozi si vedeva che tiguardavano male. Sul lavoro no, però ingiro sì. All’inizio erano un po’ ignoranti,pensavano: “Ci levano il lavoro a noi”.Ho avuto solo gli amici con cui lavoravoe quel signore che ci ha dato il sangue perMirco. Con lui siamo stati in contatto, èvenuto anche qui. Mi ricordo che in Sviz-zera ci invitava a vedere il Festival di SanRemo, lui e la moglie sono stati sensibilicon noi. Anche un altro capo di Tomasoera bravo con noi, è venuto anche lui qui,anche se noi non siamo mai andati a casasua.Questi sono stati gli unici svizzeri concui avevamo contatti. Noi eravamo “ariccio”, sempre fra noi italiani, facevamoi giochi, stavamo insieme per le feste, perCarnevale. Con loro no, non ci stavamo.

91Giuseppa

tutto tanti bambini, ma meglio così,sennò chiudevamo le scuole, la posta, inegozi, tutto. Non vengono trattati bene, come noiquando eravamo là; loro sono poracci oggicome lo ero io allora.Se c’è razzismo? Sì, sì, sì e tantissimo. Serubano: sono gli stranieri! mi viene il ner-voso solo a pensarci... Non so come nonsi vergognano di quanto sono razzisti,non li posso sentire. Anche a Montegab-bione, dappertutto. Tanti anche qui di-cono sempre male di loro, e io li difendo.Mi guardano male, ma non mi importaio li difendo lo stesso. Mi sento dire: ven-gono i delinquenti, e io dico che non èvero. Mi guardano male ma io li difendo,a me non me frega, io li difendo!

Page 92: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Rosa

Page 93: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Sono nata qui a Monteleone. Abi-tavamo in una casa di campagna

con la mia famiglia e le famiglie dei 4 fra-telli di mio padre. L’ambiente in cui io emio fratello siamo cresciuti era semplicema sereno. I miei genitori erano conta-dini: mio padre aveva fatto le scuole ele-mentari, mia madre solo un anno discuola. Io sono andata a scuola a SantaMaria (allora c’era la scuola!) ed ho fattofino alla IV elementare. La mattina anda-vamo a scuola ed il pomeriggio nei campia pascolare i maiali. Dopo la scuola sonoandata ad imparare a cucire ed a 14 anniho iniziato a cucire in una maglieria. Leamiche le vedevo più che altro quandoandavo a messa. Qualche volta andavo alcinema con i miei genitori e qualche voltaa ballare con mia madre alle feste nellecase oppure a Fabro, dove ora c’è la torre-fazione. Lì c’era una grande salone e avolte facevano anche degli spettacoli diteatro. Crescendo è venuta la necessità di

farsi il corredo, così a 18 anni sono andataa lavorare a Chiusi dove facevo le puliziee guadagnavo un po’ di soldi con cui aiu-tavo anche i miei genitori. A 23 anni hosposato Luigi che abitava qui a SantaMaria e che conoscevo fin da piccola. Luifaceva il muratore ma poco dopo la suaditta fallì così nel 1964 decidemmo dipartire per la Svizzera, a Losanna, nelcantone francese dove viveva già mio co-gnato, per avere migliori occasioni di la-voro. Partì prima mio marito per trovarecasa e dopo 4 mesi sono partita anch’ioquando mio marito già aveva comin-ciato a lavorare con mio cognato. Sonopartita abbastanza contenta: avevamobuone prospettive, un appoggio in miocognato.

[ ]93Rosa

Rosa VanniLA DONNA CON LA BANDIERA

Nata nel 1939 a Monteleone d’Orvieto Sposata, un figlio

Quando eravamo in Svizzera mio maritoera segretario del PCI a Losanna. Venivanoa casa i parlamentari: io facevo da man-giare per tutti.

Page 94: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

All’arrivo Losanna mi sembrò bellissima,ordinata, piena di fiori. Siamo stati ac-colti bene: ho trovato gente amabile egioviale. All’inizio ho lavorato in fabbricapoi ho smesso ma ho avuto un tratta-mento buono e dignitoso. C’era molto ri-spetto sia da parte nostra che da parteloro. Noi non davamo nessun problema;loro ci trattavano bene. Ho fatto subito

amicizia con gli italiani immigrati: c’eraun “circolo italiano”, organizzavamofeste, c’erano anche servizi utili comel’asilo. Dopo un po’ ho fatto anche ami-cizie svizzere: ho mantenuto i contattiper un po’ telefonicamente, ora è passatotempo. Quando eravamo in Svizzera miomarito era segretario del PCI a Losanna.Venivano a casa i parlamentari: io facevo

94 Rosa

Page 95: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

noi e voiNon frequento stranieri perché non neho occasione: magari venisse da questeparti qualche svizzero per parlare unpo’ francese. Penso che gli stranieri aMonteleone siano il 10% della popo-lazione, e in Italia il 70%, considerandoquelli irregolari non censiti… Non loso, penso che ognuno è diverso: c’èquello bravo, quello meno bravo equello disgraziato. Il rispetto viene dalrispetto, qualcuno si pone bene ed è un

gran lavoratore, qualcuno invece no. Noisiamo stati accolti bene in Svizzera per-ché ci siamo comportati con rispetto edabbiamo lavorato seriamente. Tanti ital-iani sono stati mandati via perché nonhanno tenuto questo comportamento.Non sono a contatto con molte personee non percepisco razzismo qui a Mon-teleone. A me in generale non piace criti-care, tutte le persone devi conoscerlepersonalmente.

95Rosa

da mangiare per tutti. Giuliano Pajettaera di casa; quasi come uno di famiglia.Anch’io partecipavo alle attività del par-tito soprattutto per le feste dell’Unità.Con le altre donne organizzavamo la cu-cina, cantavamo, sfilavamo con le ban-diere: era bello! Siamo stati in Svizzera 15 anni. Sono tor-nata solo nel 1967 per partorire mia figliaDanila, più che altro per far piacere allafamiglia. Dopo 50 giorni sono tornata aLosanna dove siamo rimasti fino al 1979quando abbiamo deciso di tornare. Quiavevamo costruito la casa e Danila ormaiera grande, faceva la prima media; doposarebbe stato difficile tornare.Quando siamo arrivati in Italia c’è vo-luto un po’ di tempo per riambientarsi;ci chiedevamo se avevamo fatto bene atornare. La Svizzera era bella e severa:non si poteva buttare niente a terra,tutto era pulito ed in ordine, i servizierano efficienti. A noi piaceva il modo incui era gestita la vita. Qui era tutto di-verso. Mio cognato è rimasto là, ormaisono 50 anni.

Page 96: STORIE DI VITA MIGRANTI...Storie di vita migranti 23 ... diverso in maniera costruttiva e gioviale, come accade dallo studio dei “Giochi del Mondo” e “il pane del mondo, il pane

Stampato nel mese di novembre 2011da Futura soc. coop. di Perugia