STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

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1 Dipartimento di Scienze Politiche Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Tesi di Laurea Cattedra di Studi Strategici STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI DELLA QUESTIONE AEREA ALL’IMPIEGO TATTICO E STRATEGICO DELL’AVIAZIONE RELATORE Prof. Germano DOTTORI CANDIDATA Virginia Elydia CORBELLI Matr. 627502 CORRELATORE Prof. Gregory ALEGI Anno Accademico 2019/2020

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Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali

Tesi di Laurea

Cattedra di Studi Strategici

STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO:

DAGLI ALBORI DELLA QUESTIONE AEREA ALL’IMPIEGO

TATTICO E STRATEGICO DELL’AVIAZIONE

RELATORE

Prof. Germano DOTTORI

CANDIDATA

Virginia Elydia CORBELLI

Matr. 627502

CORRELATORE

Prof. Gregory ALEGI

Anno Accademico 2019/2020

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Ai miei amati Nonni ed angeli custodi, Aldo e Antonia, ovunque siate ora.

A mia Madre, roccia della mia vita.

Nella speranza di avervi finalmente resi orgogliosi.

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INDICE

INTRODUZIONE……………………………………………………………….. …………….. 6

CAPITOLO PRIMO

1. Evoluzione del potere aereo. Dagli albori della questione aerea alla nascita delle

aeronautiche militari

1.1. Alle origini dell’aeronautica: dalle prime “macchine volanti” agli aeroplani………………. 10

1.2. La nascita della questione aerea…………………………………………………………….. 14

1.3. La Prima guerra mondiale…………………………………………………………………… 17

1.3.1. Il contributo dell’aviazione italiana contro gli austriaci…………………………….. 25

1.4. Il potere aereo nel periodo tra le due guerre………………………………………………… 32

1.4.1. La nascita delle aeronautiche militari……………………………………………….. 34

1.4.1.1. La Luftwaffe………………………………………………………………… 35

1.4.1.2. La Royal Air Force………………………………………………………….. 36

1.4.1.3. La Regia Aeronautica……………………………………………………….. 38

1.4.1.4. L’aeronautica militare sovietica (Voenno-vozdušnye sily)…………………. 39

1.4.1.5. L’aviazione giapponese…………………………………………………….. 40

1.4.1.6. La United States Army Air Force…………………………………………… 42

CAPITOLO SECONDO

2. Teorici e dottrine del potere aereo

2.1. Teorici e dottrine della guerra aerea………………………………………………………… 44

2.2. Giulio Douhet e la teoria del dominio dell’aria……………………………………………… 45

2.3. Sostenitori e detrattori del pensiero di Douhet………………………………………………. 52

2.4. Oltre Douhet: Mecozzi, Trenchard, Mitchell……………………………………………….. 54

CAPITOLO TERZO

3. Le conferenze sulla regolamentazione della guerra nei cieli e i laboratori della guerra aerea

3.1. La Conferenza di Washington………………………………………………………………. 60

3.2. La Conferenza di Ginevra ………………………………………………………………….. 62

3.3. La guerra d’Etiopia………………………………………………………………………….. 63

3.4. La guerra civile spagnola……………………………………………………………………. 72

CAPITOLO QUARTO

4. Il potere aereo nella Seconda guerra mondiale

4.1. Il potere aereo nella Seconda guerra mondiale……………………………………………… 78

4.2. La Campagna di Polonia e la Campagna di Norvegia………………………………………. 79

4.3. La Campagna di Francia ……………………………………………………………………. 82

4.4. La Campagna d’Inghilterra………………………………………………………………….. 84

4.5. Il fronte orientale: l’Operazione Barbarossa………………………………………………… 87

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4.6. La guerra del Pacifico……………………………………………………………………….. 89

4.7. L’avvento dell’era atomica. Il potere aereo nell’era nucleare………………………………. 91

4.8. Geopolitica del potere aereo nel secondo dopoguerra: Renner e de Seversky……………… 95

4.9. Il potere aereo nella dottrina occidentale e in quella sovietica………………………………. 99

CAPITOLO QUINTO

5. Il potere aereo in funzione operativa

5.1. L’impiego tattico del potere aereo statunitense nella Guerra di Corea……………………… 102

5.2. La forza aerea statunitense nella Guerra del Vietnam……………………………………….. 105

5.2.1. Il potere aereo si spoglia della concezione “mitica” attribuitagli dai teorici della guerra

aerea………………………………………………………………………………….. 108

5.3. La Guerra dei Sei Giorni e la Guerra dello Yom Kippur……………………………………. 110

CAPITOLO SESTO

6. L’evoluzione e l’uso del potere aereo post Guerra Fredda

6.1. La prima guerra del Golfo…………………………………………………………………… 113

6.2. La guerra del Kosovo………………………………………………………………………... 116

6.3. La guerra in Libia……………………………………………………………………………. 119

CONCLUSIONI………………………………………………………………………………… 123

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………….. 126

DOCUMENTI E PUBBLICAZIONI………………………………………………………….. 134

SITOGRAFIA…………………………………………………………………………………… 137

RIASSUNTO……………………………………………………………………………………. 138

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Introduzione

Alla base del presente elaborato vi è la volontà di andare alla radice di uno degli

elementi più importanti dei conflitti contemporanei, ovvero il potere aereo, tracciandone

la storia e l’evoluzione.

Partendo dagli albori dell’aeronautica, passando per la nascita della questione

aerea e della nozione di “dominio dell’aria”, si giungerà a delineare lo sviluppo del

concetto di “potere aereo” sino al suo impiego tattico e strategico nel contesto di alcuni

fra i più significativi teatri di guerra contemporanei.

Se può risultare semplice intuire cosa s’intenda per “potere aereo”, decisamente

più difficile è trovare una definizione scientifica per tale concetto. Si potrebbe ricorrere

alla definizione che ne dà il documento inglese AP3000 British Air Power Doctrine,

secondo cui «il potere aereo è la capacità di proiettare le forze militari nell’aria o nello

spazio con o da una piattaforma aerea che, a sua volta, opera al di sopra della superficie

della terra». Benché si tratti di una definizione per lo più didattica, che non tiene conto

dell’onnicomprensività del termine, può essere utilizzata come punto di partenza.

Dai primi successi di volo dei fratelli Wright nel 1903, sino alla costruzione dei

primi velivoli a motore e il loro impiego nel primo conflitto mondiale, la progressiva

conquista della terza dimensione – quella dell’aria – ha comportato un mutamento

radicale nello scenario internazionale; non soltanto ha reso obsoleti i confini geografici,

aprendo nuove frontiere mai esplorate prima e scardinando le dottrine geopolitiche e

geostrategiche che fino a quel momento avevano influenzato i rapporti tra i Paesi, ma nel

corso del tempo ha anche cambiato totalmente il modo di concepire e di condurre le

guerre.

Parallelamente alla nascita del potere aereo, si è sviluppata anche una dottrina del

potere aereo, alimentata ed affinata dagli studi di numerosi teorici della guerra aerea, che

tra il primo e il secondo dopoguerra ha condotto gradualmente le potenze alla creazione

di una forza aerea autonoma e indipendente da quelle di terra e di mare.

L’aviazione è andata via via acquisendo sempre più centralità nello svolgimento

delle operazioni militari, tanto da assumere ruoli strategici e tattici di grandissima

rilevanza – e spesso risolutivi – nel contesto dei conflitti contemporanei. A tal proposito,

per comprendere meglio l’importanza dell’elemento aereo, si andrà a presentare più nel

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dettaglio il ruolo che il potere aereo ha giocato nelle guerre di Corea, Vietnam, Sei Giorni,

Yom Kippur, Golfo, Kosovo e Libia.

Le motivazioni che mi hanno spinta a trattare il tema del potere aereo per la mia

tesi di laurea derivano strettamente da interessi ed esperienze personali. Ho sempre nutrito

una grande attrazione verso il mondo militare e ho trovato in questo argomento di tesi la

perfetta sintesi tra due delle mie passioni: quella per l’aviazione e quella per la storia

militare.

La scelta è stata altresì influenzata dall’esperienza che ho avuto l’onore di

intraprendere circa tre anni fa con l’Esercito Italiano. Ho infatti trascorso un periodo di

intensa formazione teorica e pratica presso la Scuola di Fanteria di Cesano, il Centro

Addestramento Paracadutismo di Pisa e la base militare Villaggio Italia di Belo Polje in

Kosovo. E’ stata una delle esperienze più preziose che io abbia mai abbracciato, sia a

livello formativo che umano. Ho vissuto tale opportunità con il massimo dell’entusiasmo

e della gratitudine, e ho potuto godere di insegnamenti unici che hanno sfamato, ma anche

ulteriormente alimentato, le mie propensioni e miei interessi. Soprattutto, ho avuto modo

di sperimentare da vicino e vivere la realtà di KFOR e di un teatro operativo nonostante

tutto ancora “caldo” come quello del Kosovo, le cui vicende e i cui luoghi segnati dagli

avvenimenti storici, hanno contribuito ad influenzare la scelta dell’argomento.

L’obiettivo del presente elaborato è quello di cercare di ricostruire il lungo

percorso del potere aereo, quello che l’ha portato, oggi, a ricoprire un ruolo fondamentale.

Ho voluto iniziare questo lavoro dall’archè, dalle macchine volanti e dai palloni

aerostatici, insomma dalle origini dell’aeronautica, per poter meglio comprendere gli

immensi progressi tecnologici che hanno condotto alla creazione di mezzi aerei sempre

più strabilianti, capaci di superare la classica dicotomia forza terrestre-forza navale,

imporsi sulla scena e divenire addirittura elementi essenziali della guerra. Ho messo in

evidenza le eccezionali peculiarità del potere aereo ma anche i suoi difetti, i suoi successi

ma anche le sue sconfitte, sottolineando alcuni punti di criticità. Al termine di questo

lungo tracciato, l’elaborato mira a proporre una chiave di lettura del ruolo attuale del

potere aereo scevra da qualunque entusiasmo acritico, riconoscendo la grande valenza

autonoma strategica – spesso risolutiva – del potere aereo ma, allo stesso tempo, la

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necessità che in determinati contesti esso sia in grado di operare in sinergia con gli altri

livelli di potere (terrestre e navale), sottolineando il valore di un approccio interforze.

.

La tesi è articolata in sei capitoli.

Il primo capitolo inizierà con un breve excursus storico sulle origini

dell’aeronautica a partire dai primi esperimenti di macchine volanti, passando per i palloni

aerostatici, fino alla costruzione dei primi velivoli più pesanti dell’aria. In seguito sarà

affrontata la nascita della questione aerea, emersa parallelamente alla conquista della

terza dimensione (l’aria), e l’impiego dell’aviazione nella sua funzione meramente

ricognitiva e di supporto all’esercito nel corso della Prima guerra mondiale. Infine,

saranno evidenziati i grandi traguardi raggiunti dall’aviazione nel periodo tra le due

guerre e la conseguente nascita delle prime aeronautiche militari, vale a dire le prime

forze aeree indipendenti dal controllo dell’esercito.

Il secondo capitolo si concentrerà sulla dottrina del potere aereo e sulle teorie della

guerra aerea, trattando nello specifico autori come Douhet, Trenchard, Mitchell e

Mecozzi. Verranno messe in evidenza eventuali analogie, differenze e contrasti tra gli

autori e in che misura i loro studi abbiano rivoluzionato il modo di concepire l’aviazione

da quel momento in poi.

Nel terzo capitolo si tratteranno le prime Conferenze sulla regolamentazione della

guerra nei cieli, in particolare la Conferenza di Washington e la Conferenza di Ginevra,

e i laboratori della guerra aerea a cavallo delle due guerre mondiali, ovvero la guerra

d’Etiopia e la guerra civile spagnola.

Il quarto capitolo sarà incentrato sull’impiego del potere aereo nel corso delle

campagne della Seconda guerra mondiale, in particolare nelle campagne di Polonia,

Norvegia, Francia, Inghilterra, nonché sul fronte orientale con l’Operazione Barbarossa.

Si passerà poi ad illustrare il potere aereo nella guerra del Pacifico e il conseguente

avvento dell’era atomica, con la nuova funzione aggiunta del potere aereo, quella

nucleare. Infine, si esporranno le teorie geopolitiche del potere aereo di Renner e de

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Seversky e la differenza del ruolo affidato all’aviazione dalla dottrina occidentale e da

quella sovietica.

Il quinto capitolo approfondirà l’utilizzo del potere aereo in funzione operativa,

focalizzandosi su alcuni tra i conflitti più importanti avvenuti nel periodo della Guerra

Fredda, ovvero la Corea, il Vietnam, la guerra dei Sei Giorni e la guerra dello Yom

Kippur.

Nel sesto ed ultimo capitolo verranno trattati l’evoluzione e l’uso del potere aereo

post-Guerra Fredda, più specificatamente nell’ambito delle guerre del Golfo, del Kosovo

e della Libia.

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CAPITOLO PRIMO

1. EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO. DAGLI ALBORI DELLA

QUESTIONE AEREA ALLA NASCITA DELLE AERONAUTICHE

MILITARI

1.1. Alle origini dell’aeronautica: dalle prime “macchine volanti” agli

aeroplani

Il desiderio di volare ha affascinato gli uomini sin dall’antichità. Già alcuni

filosofi pitagorici avevano tentato di realizzare oggetti in grado di spiccare il volo,

passando per l’inventore berbero Abbas Ibn Firnas che, nell’875, anticipando di mille

anni i fratelli Wright, costruì una “macchina volante” ispirandosi al naturale volo degli

uccelli, con la quale si lanciò da una torre di Cordova – impresa che gli valse il

riconoscimento come uno dei padri dell’aviazione –. La macchina volante in questione

era un rudimentale “ornitottero”, ovvero un marchingegno composto da ali mobili che

sfruttava il movimento meccanico del pilota per consentire il volo. L’ornitottero più

famoso è però certamente quello di Leonardo da Vinci (1452–1519), nonché il primo

progettato seguendo un approccio ingegneristico, difatti era azionato da un complesso

meccanismo di archi e funi.

Nel Seicento, l’inglese Robert Hooke e l’italiano Giovanni Alfonso Borelli

capirono che i muscoli dell’uomo non erano sufficientemente forti per sostenerlo in aria

senza l’aiuto di qualche motore1. Ma soltanto un secolo più tardi, e precisamente nella

seconda metà del Settecento, si supereranno le limitazioni intrinseche delle prime

macchine volanti e il sogno di volare diverrà realtà. Nel 1782, infatti, il fabbricante di

carta Joseph Montgolfier diede inizio ad una serie di esperimenti con palloni gonfiati ad

aria calda, ottenuta facendo bruciare della carta sotto il pallone stesso. Nel 1783, insieme

al fratello Etienne, realizzò finalmente il primo pallone aerostatico in grado di sollevarsi

da terra portando a bordo un piccolo equipaggio, il quale prese il nome di “mongolfiera”2.

1 Sulle origini dell’aeronautica cfr. B. COLLIER, Storia della guerra aerea. Dai pionieri della

ricognizione ai reattori supersonici, Milano, Mondadori, 1974, pp. 7 sgg.; G. DICORATO (a cura di),

Storia dell’aviazione, Milano, Fabbri, 1973; R. ABATE, Storia degli aerei, Milano, La Sorgente, 1964 2 B. COLLIER, op. cit.

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Fu proprio con i palloni aerostatici che ebbe inizio la fase pioneristica

dell’evoluzione della guerra aerea, caratterizzata dai primi tentativi di utilizzo dei velivoli

in chiave bellica. Degna di nota, in tal senso, fu la nascita del Corpo di Aerostati francese

– a tutti gli effetti il primo corpo militare aeronautico della storia –. Composto da palloni

particolarmente robusti alimentati da un grande generatore, esso si distinse nella Battaglia

di Fleurus del 1794, permettendo ai francesi di vincerla nel giro di poche ore grazie

all’importanza tattica delle osservazioni aeree. Alla fine del 1862, nell’ambito della

guerra di secessione, le forze dell’Unione disponevano di diversi palloni costruiti

espressamente per scopi militari. Gli aerostati furono utilizzati anche dai britannici nel

Sudan nel 1885 e dagli italiani in Eritrea nel 1887 e nel 1888, passando dall’alimentazione

ad aria calda all’alimentazione a gas.

Interessante sottolineare come, già nel 1670, il gesuita Francesco Lana de Terzi3,

anticipando di secoli la questione del bombardamento delle città, avesse predetto la

possibilità di una guerra aerea, immaginando una “nave volante” che avrebbe potuto

attaccare città, castelli e persino navi sganciando proiettili, bombe o aprendo il fuoco4.

Nel 1897 l’ingegnere austriaco David Schwartz creò la prima aeronave rigida del

mondo, il cui involucro era composto di alluminio in fogli su una struttura tubolare in

alluminio; a partire da tale esperimento, altri progettisti si cimentarono nella costruzione

– più o meno fortunata – di aeronavi rigide, semirigide o flosce. Nacquero, inoltre, i primi

club aeronautici5.

Va osservato che sia i palloni aerostatici sia, successivamente, i dirigibili, furono

inizialmente – e per lungo tempo – adibiti a funzioni prevalentemente ricognitive e

d’osservazione6. La centralità di tale ruolo fu evidenziata anche da due italiani: il capitano

Lo Forte, che nel 1884 scrisse un articolo dal titolo “L’Aeronautica e le sue applicazioni

militari”7, e l’ingegnere Giovanni De Rossi, che nel 1887 pubblicò il libro “La

locomozione aerea. Impiego dei palloni in guerra”8. Entrambi gli autori individuarono

3 Professore di matematica e fisica, noto per la sua opera “Prodromo ovvero saggio di alcune

invenzioni nuove”, Brescia, Rizzardi, 1670 4 T. HIPPLER, Bombing the People: Giulio Douhet and the Foundations of Air-Power Strategy,

1884 – 1939, Cambridge, Cambridge University Press, 2013 5 In particolare, nel 1898 fu fondato a Parigi l’Aéro Club di Francia e nel 1866 fu fondata in

Inghilterra una Aeronautical Society 6 Vedasi anche, sull’argomento, G. DICORATO, op. cit., pp. 9 sgg. 7 F. LO FORTE, L’Aeronautica e le sue applicazioni militari, in “Rivista di Artiglieria e Genio”,

vol. III, 1884 8 G. DE ROSSI, La locomozione aerea. Impiego dei palloni in guerra, Lanciano, Carabba, 1887

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nella ricognizione sul campo di battaglia e nella rapidità dei collegamenti con i comandi

terrestri le doti essenziali dei primi mezzi volanti9.

Si dovrà attendere il XX secolo perché i veicoli comincino ad essere impiegati in

tutte le loro potenzialità belliche. Nel corso del primo ventennio del Novecento, infatti, i

nuovi dirigibili (aerostati di forma allungata) furono impiegati nell’ambito della guerra

italo-turca del 1911 e poi, soprattutto, nella Grande Guerra10. Tuttavia, essi palesavano

ancora notevoli criticità dal punto di vista tecnico. Il problema principale di questi mezzi

era dato dalla difficoltà di vincere la resistenza dell’aria e, conseguentemente, di

impiegare in modo efficace i timoni di direzione11.

Una svolta decisiva si ebbe con l’introduzione dei motori a scoppio nell’aviazione.

Tanto l’aeronautica civile quanto quella militare poterono così avvalersi di dirigibili di

ottima qualità, realizzati con struttura rigida in alluminio, tra cui vanno annoverati in

primo luogo i tedeschi Zeppelin, ideati dal conte Ferdinand von Zeppelin e dalla ditta

costruttrice “Luftschiffbau Zeppelin GmbH”12. Nel 1900 egli portò a termine la

costruzione di un’aeronave lunga quasi 130 metri e fornita di due motori marini Daimler,

migliorandola nel 1905 grazie all’utilizzo di motori più potenti. Ideò poi un’ulteriore

versione di aeronave lunga 137 metri che offrì all’esercito tedesco, e concesse l’uso di

alcune delle sue aeronavi per scopi commerciali13. Ben presto la produzione e l’impiego

di aerostati si diffusero in tutta Europa, dove di particolare qualità fu la produzione

italiana. Fra i maggiori progettisti spiccano figure di primo piano come quelle di

Forlanini, Usuelli, Schio e, per quanto concerne l’impiego propriamente militare dei

dirigibili, i capitani Ricaldoni e Crocco. Questi ultimi, nel 1908, idearono il dirigibile

semirigido tipo P, prodotto in una serie di modelli via via più efficienti che diedero ottima

prova di sé tanto nella guerra italo-turca del 1911 quanto nella Prima guerra mondiale

(1915-1918)14.

Nonostante l’indubbio miglioramento che i progressi tecnologici avevano

9 G. GARELLO, L’idroaviazione italiana nella Grande Guerra, in “Storia Militare”, n.198, 2010 10 Vi furono lunghe discussioni sulla maggiore utilità militare del dirigibile o dell’aeroplano. Tali

diatribe si risolsero a favore del secondo nel corso della Grande Guerra. 11 Cfr. M. VAN CREVELD, The Age of Airpower, New York, Public Affairs, 2011, pp. 7 sgg.

12 Per approfondimenti sul lavoro di Zeppelin cfr. J. TOLAND, The Great Dirigibles. Their

Triumphs and Disasters, Dover, New York, 1972 13 Nel giro di pochi anni i dirigibili commerciali Zeppelin trasportarono circa 35000 passeggeri e

furono usati anche per addestrare soldati e marinai a manovrarli in aria e sul suolo. 14 Per una dettagliata ricostruzione dell’aeronautica italiana cfr. P. FERRARI (a cura di),

L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 15 sgg.

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apportato al dirigibile, quest’ultimo sarebbe stato ben presto reso obsoleto dall’avvento

del suo grande rivale, l’aeroplano, che fu realizzato a partire dai pionieristici esperimenti

dei fratelli Wright nel 190315. Accadde così che l’aerostato – definito come oggetto “più

leggero dell’aria” – venne definitivamente soppiantato dall’aeroplano, che, al contrario,

era un mezzo “più pesante dell’aria”16.

L’invenzione dell’aeroplano segnò una delle più straordinarie rivoluzioni

tecnologiche dell’umanità. Come ha osservato opportunamente Angelucci, «quando, nel

1903, i fratelli Wright compirono il primo volo di una macchina alata17 non

immaginavano di certo che ne sarebbe derivata un’accelerazione senza precedenti alla

storia dell’uomo e che il dominio dell’aria avrebbe, profondamente, cambiato il modo di

condurre le guerre»18. Dopo aver ottenuto il brevetto nel 1906, i fratelli Wright strinsero

accordi con le industrie europee di Gran Bretagna, Francia e Germania per la produzione

dei loro aerei e motori, e diedero inizio ad una serie di voli dimostrativi in giro per

l’Europa. In particolare Wilbur Wright effettuò più di un centinaio di voli, realizzando

anche alcune acrobazie che destarono grande stupore tra tutti gli astanti19.

Ben presto le nazioni europee fecero a gara nella costruzione e nel lancio di

velivoli sempre più sofisticati e perfezionati. Una posizione di primato la ricoprì, nella

prima decade del Novecento, la Francia, con grandi progettisti e costruttori come Voisin,

Delagrange, Ferber, Blériot, Farman, etc.20. Gli incessanti progressi del volo in Francia

furono ulteriormente confermati quando Blériot riuscì per la prima volta ad attraversare

la Manica in aeroplano21.

Non meno arditi furono gli italiani. Il primo aeroplano di costruzione interamente

italiana fu progettato e realizzato a Torino nel 1908 dall’ingegnere Aristide Faccioli. Si

trattava di un triplano propulso da un motore a quattro cilindri ed otto stantuffi con due

15 Sui fondamentali esperimenti dei fratelli Orville e Wilbur Wright, cfr. O. WRIGHT-W.

WRIGHT, La storia delle origini dell’aeroplano, Roma, Armando, 2014, pp. 3 sgg. 16 R. TREBBI, I segreti del volo, Milano, Hoepli, 2013, pp. 12 sgg. 17 Si trattava di un aliante sperimentato da Wilbur Wright sulla spiaggia di Kitty Hawk, una

cittadina nella Carolina del Nord. Successivamente, i fratelli Wright costruirono tre aerei a motore,

denominati “Flyer”, “Flyer II” e “Flyer III”, dotati di motori sempre più potenti. 18 G. ANGELUCCI, Douhet e la teoria del dominio dell’aria, in G. Angelucci-L. Vierucci (a cura

di), Il diritto internazionale umanitario e la guerra aerea. Scritti scelti, Firenze, Firenze University Press,

2010, p. 25 19 B. COLLIER, op.cit., pp. 51-52 20 Sull’aeronautica francese nel corso del primo ventennio del Novecento, cfr. W. RALEIGH, The

History of the War in the Air (1914-1918), Londra, Coda Books, 2016, pp. 29 sgg. 21 G. FIOCCO, Dai fratelli Wright a Hiroshima. Breve storia della questione aerea (1903 – 1945),

Roma, Carocci, 2002

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eliche controrotanti. Il 13 gennaio 1909 decollò per la prima volta dall’ippodromo di

Mirafiori, pilotato dal figlio dell’ingegnere, Mario Faccioli. Appena un mese dopo, nel

febbraio del 1909, sorgeva a Roma la prima scuola di volo, il Club Aviatori, che nel 1911

– in significativa concomitanza con lo scoppio della guerra italo-turca – fu trasformata in

scuola militare. Qui Wilbur Wright in persona addestrò due tenenti, Mario Calderara e

Umberto Savoia, che divennero i primi due italiani brevettati piloti di aeroplano.

La guerra italo-turca vide l’uso sistematico di aeroplani da parte dell’esercito

italiano. Il mezzo “più pesante dell’aria” fu impiegato con successo con finalità

esplorative sul territorio nemico e, altresì, per bombardare da lontano le postazioni

avversarie, sebbene le funzioni di tipo offensivo fossero nei primi aerei decisamente

minoritarie e ancora tutte da sviluppare22.

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, la nazione che disponeva della flotta

aerea meglio organizzata era senza dubbio la Francia, che nell’estate del 1914 contava 22

squadriglie aeree composte da 142 aeroplani. Nettamente inferiore, per numero di

velivoli, era l’aeronautica inglese, che contava non più di quattro squadroni per un totale

di 50 apparecchi. L’Italia, da parte sua, contava nel 1914 non più di 70 velivoli, contro i

100 dell’Austria e i 240 della Germania. Le potenze minori, invece, registravano numeri

decisamente meno rilevanti23.

1.2. La nascita della questione aerea

Come accennato in precedenza, gli aeroplani a motore furono usati in funzione

bellica per la prima volta in occasione della guerra italo-turca (o guerra di Libia) del 1911.

In quell’anno ancora non si poteva parlare né di dottrina del potere aereo24 e né tantomeno

di aviazione strategica. Questo non deve sorprendere, poiché non esistevano forze aeree

22 Sul ruolo avuto dall’aviazione italiana nella Guerra di Libia, cfr. P. FERRARI, op. cit., pp. 307

sgg.; G. FINIZIO, Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet (1914-1916), Roma, Youcanprint, 2017,

pp. 48 sgg.; T. BRINATI-U.FISCHETTI-S.STEFANUTTI, L’aeronautica, gli aerei e le battaglie aeree.

L’epopea del volo dalle origini ai giorni nostri, Varese, Demetra, 1998, pp. 9 sgg. 23 Per un quadro organico dell’evoluzione storica dell’aeronautica militare e della guerra aerea nel

corso del primo ventennio del Novecento, cfr. B. COLLIER, op. cit., pp. 47 sgg. 24 E’ opportuno chiarire cosa s’intenda per “dottrina”. La dottrina deriva da tre fonti: gli

insegnamenti della storia della guerra, la teoria sviluppata a partire dal pensiero strategico e i progressi

tecnologici. In particolare, la dottrina del potere aereo stabilisce le norme alla base dell’impiego del potere

aereo, come si è evoluta l’arma aerea, quali sono le sue potenzialità e in che modo influenza la strategia e

la politica di difesa nazionale.

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indipendenti e la tecnologia non aveva raggiunto livelli tali da consentire lo sviluppo di

velivoli che avessero una valenza anche strategica25. Il corpo di spedizione italiano era

composto da una piccola sezione aerea che, sotto il comando del capitano Carlo Piazza,

svolse importanti funzioni di ricognizione e sperimentò il lancio di piccole bombe sugli

accampamenti militari avversari26. A seguito di tali raid, però, la Sublime Porta denunciò

gli italiani per aver colpito un ospedale. Nonostante non vi fossero prove a sostegno di

quell’affermazione, non si potè escludere la possibilità che fosse stata casualmente

bombardata una tenda usata per ospitare i feriti27.

Questa controversia sollevò la cosiddetta “questione aerea”, ovvero l’esigenza di

comprendere se e in quale misura un bombardamento aereo potesse essere considerato

lecito secondo le leggi internazionali. Facendo un passo indietro, già nel corso della prima

conferenza dell’Aja del 189928, su impulso del governo russo, era stato affrontato il tema

del bombardamento dal cielo, nonostante questo fosse ancora in una fase embrionale. In

proposito, si decise di vietare tale pratica e di continuare a monitorare l’evoluzione della

guerra aerea. Successivamente, nella seconda conferenza dell’Aja del 1907, era stato

nuovamente discusso il tema del bombardamento; l’effetto fu quanto disposto dall’art. 25

della Convenzione del 1907, che vietò «di attaccare o di bombardare, con qualsiasi

mezzo, città, villaggi, abitazioni, o edifizi che non siano difesi»29. Sembrava dunque che

accampamenti militari, porti militari, arsenali e depositi militari potessero considerarsi

obiettivi legittimi di bombardamenti. In caso di attacco a luoghi difesi, l’art. 26 prevedeva

che «il comandante delle truppe d’assalto, prima d’intraprendere il bombardamento, e

salvo il caso di assalto di viva forza, dovrà fare tutto quanto sta in lui per avvertirne le

autorità»30. Dalla presenza di queste disposizioni si evince come, sin dall’inizio, si pensò

25 Per “strategia” s’intende il modo in cui le forze armate vengono impiegate per raggiungere scopi

militari e, di conseguenza, anche politici. 26 Per un maggiore approfondimento sulla guerra di Libia, cfr. I primi voli di guerra nel mondo.

Libia MCMXI, Ufficio storico dell’Aeronautica militare, Roma, 1951, pp. 7 sgg. 27 Cfr. B. COLLIER, op.cit., p. 58 28 Lo scopo di tale conferenza, convocata dallo zar Nicola II di Russia, era di discutere i principi

del diritto bellico al fine di raggiungere una durevole e reale pace e, soprattutto, di limitare il progressivo

sviluppo degli armamenti. L’accordo sul disarmo non fu raggiunto, ma furono firmate diverse convenzioni

sulla regolamentazione della guerra terrestre e marittima, sull’uso di proiettili, sul lancio di esplosivi da

palloni aerostatici e sulla risoluzione delle controversie internazionali. In seguito a quest’ultima, fu creata

la Corte permanente di arbitrato dell’Aja. 29 Per il testo completo della Convenzione, cfr.

https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/65159_co

nvenzione4.pdf; ultima consultazione 23 settembre 2020 30 Ibidem

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16

alle temibili conseguenze dell’impiego dell’arma aerea e si sentì il bisogno di

disciplinarlo con un codice di comportamento riconosciuto, a cui poter fare riferimento

in caso di necessità. Tali prescrizioni furono talvolta violate, ma in generale furono

accettate come vincolanti dalle forze in guerra.

Nel 1910, sempre nell’ambito delle discussioni sulla regolamentazione della

guerra aerea, l’Istituto per il diritto internazionale di Bruxelles, impegnato nel

promuovere l’umanizzazione dei conflitti, nominò una commissione di studio sulla

questione aerea. All’interno di tale gruppo si formò subito una spaccatura tra chi

considerava l’aeroplano un’arma assimilabile a quelle tradizionali e chi, invece, riteneva

necessario battersi per scongiurare la militarizzazione dei cieli31. Al termine di un lungo

dibattito, si approvò la mozione per cui «La guerra aerea è permessa, ma a condizione di

non presentare per le persone o le proprietà della popolazione pacifica dei pericoli più

grandi della guerra terrestre o marittima»32.

Tornando alla guerra del 1911 – intrapresa pochi mesi dopo la ratifica della

mozione dell’Istituto – le gesta dell’aviazione sabauda provocarono qualche imbarazzo

tra i pacifisti italiani che avevano appoggiato l’impresa libica, o quantomeno che non

l’avevano osteggiata33. Ma non sussistendo un vero e proprio divieto di bombardamento

dal cielo, l’Italia non aveva violato alcun trattato internazionale; ormai era chiaro che, in

assenza di un accordo tra le potenze, nulla avrebbe potuto impedire il diffondersi

dell’arma aerea34. Da quel momento in poi, l’impiego dell’aeroplano in guerra fu

costantemente accompagnato da numerose polemiche, che vedevano contrapporsi chi, da

una parte, non voleva eliminare l’importanza del lato militare dell’aviazione bloccandone

lo sviluppo, e chi, dall’altra, dava voce alla necessità di impedire che una magnifica

rivoluzione come il volo umano si trasformasse in una minaccia per la civiltà.

31 Cfr. G. FIOCCO, op.cit., p. 17 32 Cfr. Annuaire de l’Institut de Droit international, vol. XXIV, Parigi, Pedone, 1911, p. 346 33 Cfr. G. FIOCCO, op.cit., p. 18 34 Ibidem

Page 17: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

17

1.3. La Prima guerra mondiale

La Prima guerra mondiale fu certamente un evento di importanza decisiva per

l’evoluzione tecnologica degli aeroplani come strumenti bellici35. Se si fa un raffronto tra

la tecnologia aerea alla vigilia del grande conflitto e la tecnologia aerea dopo il 1918, si

osserva un divario notevole. Alla vigilia del conflitto, infatti, pur essendo stato

saltuariamente utilizzato come strumento di bombardamento – ricordiamo ancora la

guerra italo-turca del 1911 –, l’aereo svolgeva primariamente funzioni ricognitive e

ausiliarie alle forze di terra e di mare. La sua velocità media era di 80-120 chilometri

orari, il suo raggio d’azione scarso, e ciò, appunto, ne imponeva un uso soprattutto come

mezzo di osservazione delle postazioni avversarie36. Inoltre, era ancora uno strumento di

tela e legno, privo di strumentazione di bordo e di funzioni offensive. Svolgeva i suoi

compiti ricognitivi anche grazie all’ausilio prezioso della fotografia aerea. Saranno

proprio le urgenze belliche del primo conflitto mondiale a determinare un profondo

sviluppo della tecnologia aerea, insieme con il netto aumento della produzione di velivoli.

Tutto ciò avvenne in tempi rapidissimi. Nel 1918, il vecchio aereo con le

caratteristiche anzidette era oramai del tutto obsoleto a fronte dei modernissimi caccia,

che potevano raggiungere una velocità anche di 200 km/h e che, oltre ad essere dotati di

mitragliatrici, svolgevano funzione di bombardieri, potendo trasportare fino ad una

tonnellata di bombe. Finalmente, dunque, la funzione offensiva diveniva una prerogativa

cruciale dei velivoli bellici. Anche il raggio d’azione coperto dai nuovi aeroplani era

incomparabilmente più ampio di quello dei vecchi velivoli.

Come si è detto, non fu soltanto l’evoluzione tecnologica a subire

un’accelerazione vertiginosa sotto la pressione delle esigenze belliche, ma anche la

quantità della produzione aumentò a dismisura. Infatti, nel corso dei cinque anni della

Prima guerra mondiale tutti i Paesi che presero parte al conflitto produssero,

complessivamente, circa 180mila aeroplani. Una cifra straordinaria se si considera che,

dai primi del Novecento fino alla vigilia della Grande Guerra, a livello mondiale erano

stati prodotti non più di 10mila aerei37.

35 Sui progressi delle forze aeree durante la guerra cfr. G.W.F. HALLGARTEN, Storia della corsa

agli armamenti, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 94-97 36 Cfr. M. VAN CREVELD, op.cit., pp. 15 sgg.; B. COLLIER, op.cit., pp. 61 sgg. 37 Cfr. T. D. CROUCH, Wings. A History of Aviation from Kites to the Space Age, New York,

Norton & Company, 2014, pp. 171 sgg.

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18

Sul finire del conflitto, la Germania contava circa 5mila aeroplani, esclusi i

dirigibili Zeppelin – gran parte dei quali, a causa della loro vulnerabilità, erano andati

distrutti nel corso dei tentativi infruttuosi di bombardare a tappeto l’Inghilterra38 e, per

questo, le loro missioni erano state sospese dai tedeschi, favorendo l’utilizzo dei

bombardieri pesanti Gotha –; la Francia contava circa 4.500 velivoli; l’Inghilterra 4.900;

l’Italia poco meno di 2mila e l’Austria circa 1.300. Se si fa un raffronto con le cifre della

vigilia della guerra, il divario è immenso. Iniziava, inoltre, a farsi largo una concezione

tipologica degli aerei, che venivano denominati e progettati a seconda della loro differente

struttura e finalità bellica. Accanto all’aviazione da bombardamento si profilava così

anche l’aviazione da caccia, e da queste era distinta tanto l’aviazione da ricognizione

quanto l’aviazione di osservazione del tiro. Parimenti, anche il personale militare addetto

all’aviazione aveva notevolmente sviluppato le sue capacità e competenze, in una misura

difficilmente immaginabile solo fino a pochi anni prima.

Come vedremo in seguito, la neonata “guerra aerea”39 – che avrebbe segnato in

profondità tutti gli eventi bellici successivi – diede impulso ad una serie di nuove

teorizzazioni circa il “dominio dell’aria” come requisito imprescindibile per raggiungere

la vittoria nella guerra contemporanea (ci si riferisce qui prevalentemente alle teorie di

Giulio Douhet40, di cui si dirà in dettaglio più oltre)41. Eppure, nonostante i grandi

successi che l’aviazione aveva conseguito nel corso della Grande Guerra, perdurava il

preconcetto che, tutto sommato, essa non fosse altro che uno strumento ausiliario

dell’esercito e della marina. Le prese di posizione di Douhet ebbero, in quest’ottica,

un’importanza capitale. Attestandosi su una posizione vicina a quella che già in

precedenza avevano sostenuto politici e militari come David Lloyd George42 e Jan

38 Cfr. R. ROBISON, Droni nel cielo. Storia degli aeromobili a pilotaggio remoto, Roma,

Youcanprint, 2017, pp. 49 sgg. 39 Sul concetto di “air war”, cfr. P. S. MEILINGER, Air War. Theory and Practice, Londra, Frank

Cass, 2003, pp. 1 sgg. 40 Il Generale Douhet fu uno dei pionieri nell’impiego delle forze aeree in Italia e iniziò a

tratteggiare il concetto di “aeroplano potente”, primo passo verso le sue teorie sul bombardamento

strategico. 41 Per un quadro d’insieme cfr. G. ANGELUCCI, op.cit. 42 Politico britannico che, dopo l’attacco tedesco al Belgio del 1914, si schierò subito a favore

dell’intervento in guerra. Nel 1915 divenne Ministro delle Munizioni, nel 1916 Ministro della Guerra e,

pochi mesi dopo, Primo Ministro. Diede un nuovo ed energico impulso al conflitto, al termine del quale fu

tra i massimi artefici della pace di Versailles. Per un approfondimento sul suo contributo strategico alla

Prima guerra mondiale, cfr. D. FRENCH, The Strategy of the Lloyd George Coalition 1916-1918, New

York: The Clarendon Press, Oxford University Press, 1995

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19

Smuts43, egli vide con chiarezza come il ruolo che il futuro prossimo avrebbe riservato

alle forze aeree nella guerra contemporanea fosse destinato a crescere e a diventare

addirittura cruciale. Non soltanto, cioè, gli aerei avrebbero contribuito alla vittoria delle

truppe terrestri e navali, ma avrebbero ben presto raggiunto risultati bellici decisivi in

piena autonomia44.

La nascente guerra aerea non rappresentò un evento decisivo soltanto

nell’evoluzione della guerra contemporanea e nelle congiunte teorie belliche: tutta

l’opinione pubblica, infatti, fu vivacemente sollecitata e affascinata dalle imprese

eccezionali compiute dai grandi aviatori, i cosiddetti “assi dell’aviazione”, che

abbondarono presso tutti gli eserciti belligeranti. In effetti, non poteva esservi contrasto

più netto tra la monotonia e la stasi della guerra di posizione imposta dalle trincee e

l’originalità, l’arditezza e l’imprevedibilità delle azioni compiute dai grandi aviatori45.

Dapprima essi furono addirittura privi del paracadute, motivo per cui risultò rimarchevole

lo spirito di sacrificio che rivelarono in servigio al loro Paese. Volavano soprattutto di

notte, con l’ausilio di bussole o delle stelle, esattamente come i naviganti delle ere

premoderne; la necessità di volare nottetempo era imposta, specialmente agli inizi della

guerra mondiale, dalla scarsa velocità degli aerei, che durante il giorno, a causa di ciò,

sarebbero stati facilmente bersaglio della contraerea avversaria.

Anche la poesia, l’arte e la letteratura sentirono in profondità il mito degli aviatori

e l’ideale di un’azione bellica libera, incondizionata ed eroica; si pensi, ad esempio, a

Gabriele d’Annunzio, il quale a più riprese celebrò nei suoi componimenti la tecnologia

e la velocità dell’attività aerea46, o Filippo Tommaso Marinetti e i futuristi, che negli aerei

da guerra videro uno dei contrassegni salienti della modernità che avanzava mandando in

frantumi tutti i vecchiumi della tradizione47. Lo storico Bernhard Siegert, a proposito del

43 Durante la prima guerra mondiale, in seguito agli attacchi aerei tedeschi su Londra, il

maresciallo Jan Smuts fu il primo a sostenere la necessità per il Regno Unito di creare una forza aerea

indipendente con un proprio stato maggiore. 44 B. COLLIER, op.cit., p. 123 45 Sull’antitesi, tanto cara all’opinione pubblica del tempo, tra guerra di trincea e guerra aerea

(statica, logorante, sordida la prima; libera, imprevedibile, eroica la seconda) cfr. W. RALEIGH, op.cit.,

pp. 61 sgg. 46 Ad esempio l’Alcyone del 1903, in cui il mito di Icaro ricorre frequentemente a simboleggiare

la conquista dei cieli da parte dell’uomo, o il romanzo del 1910 Forse che sì forse che no, in cui l’aeroplano,

insieme all’automobile, diventa un mezzo per l’espansione dell’Io. 47 Su queste tematiche si veda l’approfondita analisi svolta da F. ESPOSITO, Fascism, Aviation

and Mythical Modernity, Londra, Palgrave-MacMillan, 2015, pp. 100 sgg.

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20

celebre volo su Vienna di d’Annunzio48 e, in generale, a proposito della risoluta difesa

ideologica e insieme lirica fatta dal Vate della guerra aerea, ha parlato della presenza, nel

grande letterato abruzzese, di un “poetic douhetism”49.

Non si insisterà mai abbastanza sugli straordinari miglioramenti tecnologici che

gli aerei registrarono tra il 1914 e il 1918. Gli aerei ricognitori degli esordi, in legno e

tela, proverbiali per la loro lentezza ed insicurezza, furono soppiantati da ricognitori assai

più veloci, sicuri ed efficaci. Ma fu soprattutto nell’aviazione da caccia che si registrarono

i più notevoli progressi: i nuovi caccia erano monoposto e con mitragliatrice in dotazione.

Se in un primo tempo, infatti, la mitragliatrice era affidata allo stesso pilota,

successivamente essa venne sincronizzata con il movimento dell’elica, così da non

distogliere il pilota dalle sue funzioni di guida50. Non meno rilevante fu l’avanzamento

che la tecnologia aerea conobbe in quel periodo anche per quel che riguarda l’impiego di

materiali. Proprio nel corso della Grande Guerra vide la luce il primo aereo interamente

metallico, opera dei tedeschi. Anche i motori andarono incontro ad ulteriori migliorie,

divenendo sempre più potenti ma nel contempo sempre più leggeri rispetto al passato.

È innegabile che la Prima guerra mondiale sia stata il conflitto in cui la rivoluzione

tecnologica, che aveva avuto inizio già intorno alla metà dell’Ottocento, trovò una larga

e persino esasperata applicazione51. Si è detto, infatti, che tutte le guerre combattute sino

ad allora si erano svolte su due dimensioni: la dimensione terrestre e quella navale. Con

la Grande Guerra si introducevano ben altre due dimensioni: una, naturalmente, quella

della guerra aerea, e un’altra, quella della guerra al di sotto delle acque, condotta grazie

ai sommergibili52.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: quali sono state le necessità, dal punto di

vista militare e strategico, che hanno fatto comprendere l’importanza insostituibile

dell’utilizzo degli aerei in chiave bellica? Un autore come Curami ha osservato

48 Il 9 agosto 1918 8 Ansaldo S.V.A., a bordo di uno dei quali vi era d’Annunzio con il capitano

Natale Palli, compirono un’impresa senza eguali, ideata dallo stesso poeta: partendo dal Campo di

Aviazione di San Pelagio (Padova), volarono indisturbati sino a Vienna, dove riuscirono ad abbassarsi a

una quota inferiore agli 800 metri e a lanciare 50.000 copie di un volantino preparato da d’Annunzio e

350.000 copie di un secondo volantino scritto da Ugo Ojetti. In entrambi si invitavano i viennesi alla resa.

Tale impresa, totalmente inoffensiva, ebbe una vastissima eco sia in Italia che all’estero, tanto che la stessa

stampa austriaca accolse con favore l’iniziativa e riconobbe il valore di d’Annunzio. 49 Cfr. F. ESPOSITO, op.cit., p. 101 50 Cfr. P. S. MEILINGER, op.cit., pp. 2 sgg. 51 Cfr. P. FERRARI (a cura di), La grande guerra aerea (1915-1918), Valdagno, Rossato, 1994 52 Ivi, pp. 71 sgg.

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21

opportunamente che la prima e fondamentale necessità che ha determinato l’impiego

degli aerei e, nel contempo, l’accelerata evoluzione tecnologica dell’aeronautica militare,

era legata all’indispensabilità di poter osservare dall’alto il nemico53. In passato, questo

lo si poteva fare solo in forma estremamente limitata, osservando cioè il nemico da

un’altura; il che significava, inevitabilmente, disporre di un panorama ristretto. Il sogno

dei militari di ogni epoca, invece, era sempre stato quello di poter vedere il nemico “oltre

la collina”54. Quanto questa facoltà fosse preziosa e determinante è confermato dal fatto

che diversi successi – o, all’opposto, insuccessi – bellici furono dovuti proprio a tale

possibilità o impossibilità. Caso paradigmatico quello della battaglia di Waterloo, dove

Napoleone venne sconfitto anche per il fatto che non fu in grado di vedere, e dunque di

attaccare, le truppe delle forze armate avversarie poiché queste si erano attestate sul

rovescio di alcune pieghe del terreno55.

Ciò spiega la ragione per cui, in primis, i compiti spettanti all’aeronautica militare

furono di tipo ricognitivo. Non è un caso, infatti, che all’inizio della Grande Guerra il

protagonista del volo aereo fosse di fatto l’ufficiale osservatore. Il pilota era considerato

una sorta di accompagnatore o di “chauffeur” dell’aria, la cui funzione consisteva

semplicemente nel supportare il militare che avrebbe dovuto svolgere il suo compito

ricognitivo. Naturalmente, dalla mera ricognizione all’impiego di aerei con funzione

propriamente offensiva, il passo era breve. Già dalla fine del Settecento, ossia già dalle

guerre della Rivoluzione francese e poi napoleoniche, si era intuito che, oltre

all’osservazione e ricognizione dall’alto, era possibile anche compiere efficaci operazioni

di offesa dai cieli. Si ricordi ad esempio che, nel 1849, nel corso della campagna d’Italia,

il feldmaresciallo Radetzky utilizzò delle mongolfiere per colpire la riottosa Venezia56.

Il ruolo minoritario che, all’inizio della Grande Guerra, caratterizzò le forze aeree,

non è da imputarsi tuttavia esclusivamente al livello tecnologico ancora incipiente che, a

quel tempo, l’aeronautica si trovava a dover scontare. Tra le resistenze vi erano anche, e

forse soprattutto, remore e pregiudizi di altro genere. Ci si rendeva sicuramente conto che

53 A. CURAMI, L’aeronautica, in G. Rochat (a cura di), La storiografia militare italiana negli

ultimi vent’anni, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 79-80 54 Cfr. J. LUVAAS, The Military Legacy of the Civil War. The European Inheritance, Lawrence,

University Press of Kansas, 1988, pp. 41 sgg. 55 Cfr. A. MASSIGNANI, La Grande Guerra: un bilancio complessivo, in P. Ferrari (a cura di),

La grande guerra aerea (1915-1918), cit., p. 268 56 Cfr. J. LUVAAS, op.cit., pp. 41 sgg.

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22

l’ingresso massiccio dell’aeronautica nei nuovi conflitti avrebbe inevitabilmente

rivoluzionato l’assetto tradizionale della guerra, e per tale ragione l’aeronautica veniva

vista con scetticismo o addirittura avversata da parecchi militari e politici, specialmente

di orientamento conservatore. Interessante, da questo punto di vista, la dichiarazione che

solo otto mesi prima della fine del conflitto mondiale, nel marzo 1918, Eugenio Chiesa –

a quel tempo Commissario per l’Aeronautica – rese in un documento ufficiale. Scriveva

Chiesa che «al principio della nostra guerra, pochissimi erano coloro – nello stesso

ambiente militare – che credessero nell’aviazione: questa si impose solamente, poco per

volta, con la dura realtà dei fatti»57.

Dunque la guerra aerea trovò dapprima un’accoglienza tiepida, che si fece

calorosa a poco a poco. Sempre Chiesa fa un’altra affermazione di grande importanza, in

cui appare con chiarezza come il limitato utilizzo, all’inizio della Grande Guerra, di forze

aeronautiche, fosse dovuto in primis proprio alla tenacia dei preconcetti nutriti contro di

essa negli ambienti conservatori. Secondo Chiesa, «il maggior numero di inconvenienti

nel periodo di preparazione sono stati dovuti al fatto che i preposti all’aviazione in Italia

– salvo l’eccezione di Douhet – sono stati non degli entusiasti, ma dei trascinati a

rimorchio dell’evidenza man mano maturata»58. Emerge da questo passo il ruolo di

antesignano che ricoprì Douhet, le cui teorie si andranno presto ad illustrare. Gli altri, del

tutto scettici all’inizio, dovettero letteralmente essere trainati “al rimorchio” dai successi

irresistibili che man mano le forze aeree conseguivano, imponendosi come uno strumento

semplicemente irrinunciabile per la guerra moderna.

Certo, al principio della guerra mondiale molte operazioni aeree che oggi

apparirebbero quasi banali presero un sapore avventuroso: così l’opinione pubblica

recepì, ad esempio, un semplice volo di ricognizione che d’Annunzio compì da Asiago a

Trento nel 191759, soltanto un anno prima del famoso volo su Vienna. Ben presto, tuttavia,

apparve chiaro a tutte le parti in conflitto che il ruolo dell’aviazione poteva andare ben al

di là del compito, in sé prezioso, della ricognizione. Gli Austro-ungarici, ad esempio,

presero in considerazione la possibilità di recare offesa dal cielo con il loro progetto volto

a distruggere le opere di bonifica nelle zone di Rovigo e di Ferrara – operazione che fu

poi abbandonata perché apparve troppo pericolosa, dal momento che, tra l’andata e il

57 Citato in A. MASSIGNANI, op.cit., p. 269 58 Ivi, pp. 269-270 59 P. FERRARI (a cura di), La grande guerra aerea (1915-1918), cit., pp. 101 sgg.

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23

ritorno, avrebbe impegnato gli aerei per circa trecento chilometri60 –.

Quel che è certo è che l’affermarsi dell’aeronautica nella Grande Guerra fu

caratterizzato da scontri aerei dal sapore puramente tattico-operativo. Gli aerei furono

usati per la prima volta in numero consistente in appoggio ad eserciti sul campo di

battaglia quando la Germania si trovò impegnata, nel 1914, nella guerra sui due fronti

orientale e occidentale61. Successivamente, gli aerei tedeschi sorvolarono Londra nel

maggio del 191562, in quello che fu probabilmente il primo impiego strategico dell’aereo

della storia. Fu l’inizio di una serie di missioni che sarebbero culminate nei raid pesanti

del 191763. I tedeschi furono anche i primi ad introdurre cannoni ad alzo molto elevato,

progettati per colpire i ricognitori nemici, ma non riuscirono ad impedire la ricognizione

fotografica64. Essa era, per molti aspetti, più efficace dell’osservazione diretta, poiché le

fotografie aeree fornivano dati oggettivi più attendibili degli appunti di un osservatore,

soggetto ad errori; inoltre, potevano essere riprodotte in più copie e studiate in modo

dettagliato dagli ufficiali65.

A partire dal 1915, tutti gli schieramenti che nel corso della Prima guerra mondiale

ricorsero al bombardamento aereo si resero ben presto conto di quanto fosse difficile

colpire con precisione gli obiettivi prefissati: un’analisi dei bombardamenti compiuti da

aerei britannici e francesi nei primi mesi del 1915 rivelò che, su 141 missioni, soltanto tre

volte era stato effettivamente colpito l’obiettivo con successo66.

Fin dall’inizio, gli attacchi tedeschi all’Inghilterra avevano provocato forti

reazioni e richieste di rappresaglie, appoggiate, tra gli altri, da importanti testate

giornalistiche e dal famoso scrittore Arthur Conan Doyle67. Ma c’era anche chi si era

60 Ivi, p. 274 61 B. COLLIER, op.cit., p. 61 62 Le città europee iniziavano così a sperimentare la logorante realtà degli allarmi e delle notti

trascorse in rifugi di fortuna. A Parigi, ogni cittadino doveva rispettare una serie di prescrizioni durante i

raid nemici. I proprietari di locali adibiti a rifugio collettivo dovevano assicurare l’accesso a questi spazi

per tutta la durata dell’emergenza, e gli inquilini di primi piani erano invitati ad ospitare i vicini dei piani

superiori in caso di pericolo, poiché i piani alti erano più esposti agli effetti delle bombe. A Londra, il

governo promosse l’utilizzo delle stazioni della metropolitana come rifugio in caso di attacco. 63 G. FIOCCO, op.cit., p. 21. Oltre all’Inghilterra, gli aerei tedeschi bombardarono anche Parigi

con circa novanta attacchi aerei tra il 1917 e il 1918, che provocarono oltre 200 vittime. 64 Tale tipo di ricognizione avvenne dapprima con macchine fotografiche tenute in mano dagli

aviatori, poi con apparecchi appositi dotati di un alloggiamento predisposto nell’aereo. 65 B. COLLIER, op.cit., p. 72 66 Sui problemi della precisione nei raid cfr. J.M. SPAIGHT, Air Power and the Cities, Londra,

Longmans/Green and Co., 1930, pp. 177 sgg. 67 G. FIOCCO, op.cit., p. 22

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schierato contro l’ipotesi di reazione, affermando la necessità di non abbassarsi allo stesso

livello dei tedeschi, dal momento che uccidere dei civili innocenti solo per rispondere agli

atti delittuosi tedeschi sarebbe stato crudele. Le polemiche raggiunsero il culmine nel

1917, quando gli attacchi aerei tedeschi divennero sempre più frequenti ed efficaci. A

quel punto, vi furono effettivamente delle ritorsioni: il 14 aprile una squadra di velivoli

francesi e inglesi attaccò Friburgo, provocando a sua volta la morte di alcuni civili. Tale

iniziativa scatenò non poche proteste e malcontenti.

Tuttavia, in Inghilterra iniziava a farsi strada l’idea che una guerra aerea,

sfruttando tutte le potenzialità dell’arma aerea, avrebbe permesso di portare il conflitto

oltre il logorante stallo delle trincee, mettendo fine alla “guerra di posizione” una volta

per tutte. Da quel momento in poi prevalse questa linea, e i raid sulle città tedesche

divennero sempre più frequenti, superando ormai il limite della semplice ritorsione68. In

più, prese presto piede l’idea del bombardiere come arma autonoma, tanto che Lloyd

George nominò un comitato speciale per lo studio della difesa dei cieli; quest’ultimo,

presieduto da Smuts, raccomandò in un rapporto la creazione di un’aeronautica militare

indipendente accompagnata dalle seguenti parole, che riconoscevano ormai la crescente

importanza dell’arma aerea:

«Forse non è lontano il giorno in cui le operazioni aeree, con la loro devastazione dei

territori nemici e la distruzione di centri industriali e popolosi su vasta scala, potrebbero diventare

le principali operazioni di guerra, rispetto alle quali le più tradizionali forme di intervento militare

e navale risulterebbero secondarie e subordinate»69.

L’essenza della teoria di Lloyd George e Smuts era che il controllo di un corpo di

bombardieri strategici avrebbe permesso al governo di condurre azioni di guerra

indipendenti dall’esercito e dalla marina, e che queste azioni si sarebbero potute

dimostrare decisive70. Fu così che, il 1° aprile 1918, venne costituita la Royal Air Force

(RAF), il primo esempio nella storia di forza aerea indipendente.

Un mese dopo, nel maggio del 1918, nacque anche la U.S. Army Air Service

68 Ivi, p. 24 69 Cfr. E. M. EMME, Some Fallacies Concerning Air Power, in “The Annuals of The American

Academy of Political and Social Science”, 1955, p. 14 70 B. COLLIER, op.cit., p. 101

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americana, che, sotto il comando tattico del colonnello William Mitchell – il quale aveva

le idee chiare sulla strategia e la tattica da applicare –, passò all’offensiva bombardando

e mitragliando i campi d’aviazione e le linee di comunicazione71.

1.3.1. Il contributo dell’aviazione italiana contro gli austriaci

Per tutto il 1915, incontestabilmente, l’Austria-Ungheria ebbe a disposizione

forze aeree nettamente superiori rispetto a quelle italiane: a fronte di 23 squadriglie

italiane, infatti, vi erano ben 48 squadriglie austriache. Ma si trattava di una condizione

di vantaggio che non sarebbe stata destinata a durare a lungo. A partire dal 1916, infatti,

i successi dell’aviazione italiana contro gli austriaci si fecero sempre più palpabili: il 12

febbraio di quell’anno, per la prima volta nel corso di un combattimento, un velivolo

austro-ungarico venne abbattuto dalle forze aeree italiane dell’aviazione da caccia72.

Sempre nel corso del 1916 venne ulteriormente perfezionato e applicato, tanto dagli

italiani quanto dagli austro-ungarici, il principio del cosiddetto bombardamento

strategico. Gli austriaci avevano sottoposto a bombardamento diverse città italiane e gli

italiani risposero con successo con il bombardamento della città di Lubiana il 18 febbraio

1916, sulla quale furono lasciati cadere 1800 kg di bombe73.

Un ulteriore passo in avanti nell’affermazione del ruolo delle forze aeree del

nostro esercito si registrò nel 1917, allorché il generale Cadorna ufficialmente individuò

quelli che, a suo avviso, erano i tre compiti fondamentali e irrinunciabili dell’aviazione,

vale a dire: ricognizione, caccia ed offesa74. La ricognizione, allora, manteneva pur

sempre un ruolo preminente. Tuttavia, tra il 1917 e il 1918 le funzioni di caccia e di offesa

cominciarono ad affermarsi e, sia pur lentamente, a divenire quelle decisive. A partire

grossomodo dalla metà del 1917 le unità aeree di combattimento presero ad intervenire

nella lotta che si svolgeva a terra attaccando bersagli terrestri a bassa quota con bombe,

bombe a mano e mitragliatrici75.

Per comune ammissione degli storici, il 1917 rappresentò una svolta in riferimento

agli equilibri del fronte italiano. Gli Alleati, infatti, avevano fornito all’esercito del nostro

71 Ivi, pp. 104-105 72 Cfr., sul tema, F. PORRO, La guerra nell’aria, Milano, Mondadori, 1995, pp. 85 sgg. 73 Cfr. A. MASSIGNANI, op.cit., p. 206 74 P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., pp. 278 sgg. 75 F. PORRO, op.cit., p. 137

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26

Paese aerei particolarmente avanzati dal punto di vista tecnologico – Nieuport 17 e SPAD

S.VII –. Conseguenza di ciò fu la netta superiorità delle forze aeree italiane rispetto a

quelle austro-ungariche. Consapevolezza, peraltro, che non tardò ad affermarsi presso i

protagonisti, se è vero che lo stesso generale Cadorna, in un’istruzione diramata nel

giugno 1917, asseriva trionfante che «l’aviazione che ci sta di fronte è ormai nettamente

inferiore alla nostra»76.

Solo due mesi dopo, nell’agosto 1917, si ebbe la prova effettiva della veridicità di

queste parole. Precisamente dal 17 agosto al 15 settembre, gli austriaci portarono avanti

un’offensiva mediante l’uso di 12 squadriglie da ricognizione, 1 squadriglia di

bombardamento e 4 squadriglie da caccia, congiuntamente a 3 reparti di palloni

aerostatici; quest’offensiva fallì per via, appunto, della netta inferiorità delle forze aeree

austriache rispetto a quelle italiane. Si pensi che, solo dal 16 al 24 agosto, gli aerei italiani

lanciarono circa 100 tonnellate di bombe, provocando la distruzione al suolo di 150 aerei

austro-ungarici77. Durante tutto il periodo di questa offensiva si fronteggiarono 200 aerei

e dirigibili. È accertato che solo nella giornata del 19 agosto 1917 entrarono in azione 229

aerei, che salirono a 261 il giorno successivo e, il 22 agosto, arrivarono ad una cifra

complessiva di 250. Insomma, in tutto il periodo agosto-ottobre 1917, ci si attestò intorno

ai 200 aerei al giorno circa78. Non ci si deve dimenticare, tuttavia, che la superiorità

italiana fu dovuta all’indiscutibile apporto dato da unità francesi, inglesi e americane, le

quali fornirono all’esercito italiano appoggio non soltanto a terra79.

Anche gli austriaci, da parte loro, nonostante le condizioni di svantaggio in cui si

trovavano, non rinunciarono a fare il più largo uso possibile delle loro forze aeree.

Particolarmente aspri furono i combattimenti che videro protagonisti gli austriaci e gli

italiani tra il 10 e il 16 di agosto. Il 12 agosto furono registrati cinque abbattimenti di aerei

italiani; il 15 agosto altri cinque aerei italiani sarebbero caduti sotto il fuoco nemico e,

infine, tra il 18 e il 28 dello stesso mese, vi sarebbero stati altri dodici aerei abbattuti.

Nel corso dell’undicesima battaglia sull’Isonzo le forze aeree austro-ungariche

effettuarono più di mille voli. Nonostante tale dispiegamento di forze, l’aeronautica

76 Cfr. Ivi, p. 139. 77 Cfr. B. DI MARTINO, Guerra aerea. Vicende ed immagini dell’aviazione italiana sugli

altopiani veneto-trentini, Valdagno, Rossato, 1999, pp. 43 sgg. 78 Cfr. F. PORRO, op.cit., pp. 90-91; B. DI MARTINO, op.cit., p. 45 79 Cfr. ivi, pp. 58 sgg.; L. CONTINI, L’aviazione italiana in guerra, Milano, Marangoni, 1974,

pp. 27 sgg.

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27

italiana risultò di gran lunga più incisiva: aerei italiani come i Caproni svolsero, in quel

periodo, numerose incursioni, scopo delle quali era anche appoggiare direttamente i

combattimenti a terra.

Man mano che la tecnologia rendeva sempre più efficienti ed affidabili gli aerei,

in concomitanza i dirigibili e i palloni aerostatici perdevano rilevanza. Le loro capacità

ricognitive – e altresì offensive – si rivelarono inevitabilmente inferiori rispetto a quelle

degli aerei a motore. Nel caso in cui il vento, per citare un esempio, fosse rimasto al di

sotto dei 15 metri al secondo, un pallone della capacità di mille metri cubi, benché dotato

di motore, avrebbe potuto consentire un’osservazione per un raggio non superiore a 15-

20 chilometri. Evidentemente, la limitata mobilità di questi mezzi fu, anche solo per la

fase ricognitiva, una delle ragioni del loro ineluttabile declino80.

Anche quella che fu, storicamente, la più cocente disfatta subita dell’esercito

italiano durante la Grande Guerra – la Rotta di Caporetto (ottobre-novembre 1917) –, nota

anche come Dodicesima Battaglia dell’Isonzo, vide un importante ruolo svolto dalle forze

aeree austro-ungariche81. Furono schierate 15 compagnie da ricognizione, 4 da caccia e 1

da bombardamento, oltre, come già si è visto, a 3 compagnie di palloni da parte degli

austro-ungarici. I tedeschi parteciparono con 6 compagnie, dando appoggio agli imperiali.

Nonostante la superiorità dell’aviazione italiana, la disfatta di Caporetto colse di sorpresa

anche le forze aeree del nostro Paese, che a loro volta vennero coinvolte precipitosamente

nella ritirata. È appurato, infatti, che gli aerei dovettero rapidamente tentare di ritirarsi

dagli aeroporti che erano stati travolti dalla potente avanzata austriaca. Essi furono

abbattuti oppure, perlopiù su iniziativa individuale dei piloti, finirono per ritrovarsi

impegnati in combattimenti occasionali82. Le perdite materiali furono ingenti. Stando a

dati statistici forniti dalle autorità italiane, sino al 15 novembre ebbero luogo 70

combattimenti, l’esito dei quali fu l’abbattimento di 39 velivoli avversari83.

Dopo Caporetto, comunque, si segnalano importanti episodi di valore da parte

delle forze aeree italiane. Il 26 dicembre si verificò il bombardamento diurno ad opera

80 P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., p. 281 81 Su Caporetto, sulle sue valenze militari e altresì sulle importanti ripercussioni politiche che ebbe

specialmente in Italia, cfr. P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, Milano,

Mondadori, 1999 82 Cfr. R. GENTILLI-P. VARRIALE, I reparti dell’aviazione italiana nella Grande Guerra,

Roma, USSME, 1999, pp. 25 sgg. 83 Cfr. B. DI MARTINO, op.cit., pp. 43 sgg.; L. CONTINI, op.cit., pp. 66 sgg., oltre agli importanti

dati offerti da R. GENTILLI-P. VARRIALE, op.cit., pp. 25 sgg.

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degli austro-ungarici sulla città di Istrana – bombardamento che fu giustificato come

rappresaglia contro l’incursione che il giorno di Natale era stata fatta sugli aeroporti

tedeschi dalle forze aeree italiane –. Il bombardamento di Istrana suscitò la reazione

italiana, che si tradusse in una battaglia aerea di ampie proporzioni che vide il decollo,

sotto il bombardamento dei nemici, dei caccia tricolori, i quali distrussero dodici aerei

austriaci senza subire alcuna perdita84.

La storiografia è unanime nel sottolineare l’importanza, anche morale, di questo

episodio, che rivelava come l’Italia stesse rialzando finalmente il capo dopo lo scacco di

Caporetto85. Già solo la prima settimana di dicembre, infatti, l’aviazione si distinse nel

colpire le concentrazioni delle truppe avversarie e i loro centri logistici, con l’impiego di

non meno di 250 aeroplani86. Sempre secondo dati offerti da fonti italiane, nel corso

dell’intero 1917 si ebbero non meno di settecento combattimenti aerei, l’esito dei quali

fu l’abbattimento di almeno 190 velivoli austro-ungarici87.

L’appoggio che gli Alleati diedero alle forze aeree del nostro Paese fu

determinante non soltanto dal punto di vista materiale, per via della fornitura di uomini,

aerei, munizioni e strumentazione, bensì anche nella ridefinizione di strategie e

procedure, specialmente per quanto riguardava le attività di ordine ricognitivo.

A partire da fine anno gli austro-ungarici misero mano ad una generale

riorganizzazione del loro esercito, incluse le stesse forze aeronautiche. La strategia che

da allora iniziò a svilupparsi fu quella del bombardamento terroristico, effettuato

nottetempo. Si ricordano le incursioni che il 26 gennaio le unità aeree austro-ungariche

compirono ai danni di installazioni militari italiane a Mestre, Castelfranco Veneto e

Treviso, dove nel complesso furono sganciate oltre 21 tonnellate di bombe88. Operazioni,

queste, in cui giocarono un ruolo importante anche le forze tedesche. Pronta fu la reazione

italiana contro questi atti terroristici: la stazione di Innsbruck venne presa di mira, il 20

febbraio, dall’aeronautica tricolore; quattro giorni più tardi, gli austro-ungarici risposero

attaccando a loro volta gli aeroporti di Trevignano, Castello e Treviso. Il 26 febbraio si

84 Su Istrana e le conseguenze che ebbe cfr. L. CONTINI, op.cit., pp. 137 sgg. 85 Cfr. G. ALEGI, La battaglia aerea di Istrana: 26 dicembre 1917, in “Storia Militare”, n. 5,

Febbraio 1994, pp. 41-48 86 L. CONTINI, op.cit., pp. 138 sgg. 87 P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., p. 284; G.

ALEGI, op. cit., pp. 47 sgg. 88 Ivi, p. 138

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29

registrò un’altra offensiva italiana contro Bolzano, Trento, Cles, Calliano e

Mezzolombardo. Come è facile notare, fu un continuo botta e risposta, per cui ad attacchi

di una parte rispondeva la controffensiva dell’altra.

Nel 1918 si verificò una sensibile evoluzione tecnologica e strategica degli aerei

italiani: i Caproni iniziarono sistematicamente a compiere operazioni di bombardamento

anche durante il giorno. Tali missioni diurne venivano svolte in formazione anche

avvalendosi dell’ausilio protettivo della caccia, indizio inequivocabile di una rinnovata

capacità di controllo dell’aria. Va rilevata una sempre più stretta sinergia tra funzione

offensiva e funzione ricognitiva, difatti i bombardamenti svolti di giorno presupponevano

il ricorso alle fotografie, che venivano scattate tanto prima quanto dopo i bombardamenti

stessi; questo consentiva anche di quantificare i danni effettivamente provocati, laddove

in precedenza, durante bombardamenti svolti soprattutto nottetempo, l’effettiva entità dei

danni arrecati rimaneva vaga e, in molti casi, fantasiosa89.

È stato osservato opportunamente come questo impiego sistematico delle forze

aeree contribuisse al delinearsi di un inquietante scenario di “guerra totale”90. Aspetto

totalizzante, quello del conflitto mondiale, che è confermato anche dal diretto

coinvolgimento dei civili in molte occasioni e, per quanto concerne la guerra aerea, con

particolare riferimento ad un episodio significativo, ovvero l’attacco che uno Zeppelin

isolato effettuò su Napoli l’11 marzo. Sul capoluogo campano furono scaricate quasi 7

tonnellate di bombe, con danni ingenti – perfino dal punto di vista psicologico – sulla

popolazione, che ne rimase terrorizzata. Quell’episodio confermò definitivamente che

non vi erano spazi entro i confini nazionali che si potessero ragionevolmente considerare

sottratti al possibile intervento dei nemici91.

In generale, Caporetto fu una dura lezione per tutto l’esercito italiano. Si

procedette subito anche ad una riorganizzazione dell’aeronautica italiana e ad un riassetto

generale anche dei suoi dirigenti. Il Comando Supremo dell’Aeronautica, ad esempio,

assunse la denominazione di Comando Superiore di Aeronautica, al capo del quale fu

posto il generale Bongiovanni. Sempre per effetto e conseguenza della disfatta di

Caporetto, si definirono altresì una serie di norme riguardanti le modalità attraverso cui

sarebbe dovuto essere espletato il servizio di ricognizione, che fino ad allora non era stato

89 Cfr. P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., p. 6 90 Ivi, p. 285 91 Cfr. A. MASSIGNANI, op.cit., pp. 284 sgg.

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30

sottoposto a norme severe e si fondava sull’intesa di tipo personale tra i comandi di terra

e quelli aerei92.

Il 1918 fu un anno di intensi scontri aerei, tra cui l’attacco degli austro-ungarici

su Mestre del 12 marzo, il cui obiettivo era la distruzione dei centri abitati93. E proseguiva,

intanto, il solito “gioco” di attacchi e contrattacchi, azioni e rappresaglie. Al

bombardamento di Mestre fece seguito un intensificarsi dei bombardamenti da parte

italiana, sempre con il valido appoggio degli Alleati, che sovente operavano insieme agli

italiani sui Caproni94.

In giugno l’Impero austro-ungarico tentò un’ultima offensiva aerea, ma si

confermò ancora la netta superiorità delle forze aeree italiane. Solo nella prima quindicina

del mese esse abbatterono circa altri 60 aerei nemici95.

Si giunse, così, alla decisiva battaglia del Solstizio (15 giugno 1918), cui le forze

aeree italiane diedero un apporto cruciale. Si stima che per quell’evento bellico fossero

stati predisposti 553 aerei, cui si aggiunsero 100 velivoli alleati (221 caccia, 56

bombardieri, 276 ricognitori, nonché 80 aerei inglesi e 20 francesi)96. Fonti ulteriori,

tuttavia, hanno modificato al rialzo questi dati. Secondo Gentili e Varriale, gli aerei

italiani sarebbero stati non meno di 64797. L’aviazione imperiale, dal canto suo, avrebbe

avuto a disposizione 623 aerei, il che significava una condizione di sostanziale parità con

il nemico98. Il contributo dell’aviazione nella battaglia del Solstizio fu decisivo in quanto

i bombardamenti si concentrarono su obiettivi strategici come ponti e passerelle,

impedendo al nemico il passaggio del Piave. Solo nella prima decina di giugno

l’aeronautica italiana abbatté 5 palloni e oltre 70 aerei austro-ungarici99.

Nella fase terminale della Grande Guerra, insomma, le perdite austro-ungariche –

anche dal punto di vista delle forze aeree – furono ingenti. Ma in quel periodo, in

particolare il 19 giugno, sul Montello perse la vita anche Francesco Baracca, ucciso da

92 L. CONTINI, op.cit., pp. 137 sgg. 93 Cfr. anche la monografia di W. S. FITCH, Wings in the Night. Flying the Caproni Bomber in

the World War 1, Nashville, The Battery Press, 1989, pp. 131 sgg. 94 F. PORRO, op.cit., p. 285 95 Cfr. Ministero della Guerra, L’esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918). Vol. V. Le

operazioni del 1918, Roma, USSME, 1980, pp. 650 sgg. 96 F. PORRO, op.cit., p. 286; L. CONTINI, op.cit., pp. 164-165 97 R. GENTILLI-P. VARRIALE, op.cit., pp. 30 sgg. 98 F. PORRO, op.cit., p. 285; L. CONTINI, op.cit., p. 161. Cfr., inoltre, R. GENTILLI-P.

VARRIALE, op.cit., p. 30 99 Cfr. L. CONTINI, op.cit., pp. 170 sgg.

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31

un cecchino austriaco nel corso di uno dei suoi voli. Fu la scomparsa di colui che sarebbe

stato considerato, in assoluto, il più grande asso dell’aviazione italiana e mondiale,

destinato come tale ad entrare nella leggenda100. Anche gli austro-ungarici persero il loro

maggiore “asso”: il tenente Crawford, il quale vantava sino ad allora 32 vittorie in scontri

aerei101.

Secondo una stima complessiva, tra gennaio e giugno 1918 le forze aeree austro-

ungariche avrebbero ingaggiato contro quelle italiane non meno di 1.750

combattimenti102. Fu in quel periodo, anche in seguito alle ingenti perdite subite, che

l’aviazione austro-ungarica iniziò a fare un uso sistematico dei paracadute. Occorreva

escogitare misure che tutelassero la vita degli aviatori, preziosi soldati addestrati, e che

ne rafforzassero il morale. Così, a partire dal settembre 1918, tutti i piloti austro-ungarici

disposero di un paracadute. I documenti a nostra disposizione confermano che vi furono

lanci di emergenza tanto dagli aerei quanto, soprattutto, dai palloni, anche se non di rado

con esito mortale103.

Indiscutibile, nell’ultima fase del conflitto, fu la superiorità delle forze aeree

italiane su quelle austro-ungariche. In diverse occasioni gli aerei italiani effettuarono con

grande successo bombardamenti concentrati su obiettivi strategici e ricognizioni ardite,

spesso anche nelle più lontane retrovie imperiali, e si resero protagonisti di imprese

uniche che ne sancirono una supremazia non solo bellica, ma anche di “immagine”.

Ricordando nuovamente, a tal proposito, il celebre volo su Vienna di d’Annunzio, fu

proprio lo “spirito di cavalleria” degli italiani a rifulgere in quell’occasione. In sostanza,

il messaggio che d’Annunzio intendeva veicolare attraverso i volantini lanciati sulla

capitale, era: avremmo potuto bombardare liberamente la vostra grande città ma non

l’abbiamo fatto, astenendoci dal tenere lo stesso comportamento che gli austro-ungarici

ebbero a più riprese in Italia, allorché non esitarono a bombardare proditoriamente anche

i piccoli centri104. Questo gesto fu, senza dubbio, uno smacco enorme per l’Austria-

Ungheria, e contribuì in parte al rafforzamento di una situazione non propriamente

favorevole per l’Impero.

100 Su Baracca e, in generale, sugli assi dell’aviazione italiana, oltre a tutta la bibliografia

precedentemente citata, cfr. P. MELOGRANI, op.cit., pp. 216 sgg. 101 Cfr. F. PORRO, op.cit., pp. 331 sgg. 102 Cfr. W. S. FITCH, op.cit., pp. 101 sgg. 103 F. PORRO, op.cit., pp. 348 sgg. 104 P. MELOGRANI, op.cit., pp. 193 sgg.

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1.4. Il potere aereo nel periodo tra le due guerre

La Prima guerra mondiale, come si è visto, diede un impulso decisivo allo

sviluppo dell’aviazione. Ma si sbaglierebbe a ritenere che essa promosse soltanto

l’aviazione militare. Anche l’aviazione commerciale e quella civile trassero beneficio dai

progressi fatti dall’aviazione militare nel corso della Grande Guerra.

Nel maggio 1919 il tenente Albert Cushing Read, aviatore della marina degli Stati

Uniti, effettuò il primo volo transatlantico a tappe, da Terranova105 a Lisbona, a bordo di

un idrovolante Curtiss106. Un mese dopo, i britannici John Alcock e Arthur Whitten

Brown furono protagonisti del primo volo transatlantico diretto senza scalo da Terranova

a Galway, pilotando un bombardiere Vickers Vimy107. Nell’estate dello stesso anno

società inglesi, olandesi, francesi e tedesche offrivano servizi a pagamento di trasporto

passeggeri o posta tra le capitali europee108. Nel 1927 un aereo all’avanguardia, costruito

con una struttura mista di metallo e legno, con un motore di circa 220 cavalli, denominato

“Spirit of Saint Louis” – dalla città americana ove era stato progettato e costruito –,

decollò da New York e giunse a Parigi, accolto da una folla festante, dopo circa 33 ore di

traversata. Il pilota, lo statunitense Charles Lindbergh, entrò nella leggenda

dell’aviazione109. Molti altri sono gli episodi e i protagonisti che si potrebbero menzionare

per evocare i fasti dell’aviazione commerciale e civile dell’epoca. In generale, tutto il

periodo che va dal 1918 agli albori della Seconda guerra mondiale vide il susseguirsi

senza sosta di traversate e trasvolate compiute da aerei che diventavano sempre più

potenti ed affidabili. La trasfigurazione mitologica che aveva accompagnato, rivestendoli

di un’aura di leggenda, i grandi assi dell’aviazione militare durante il primo conflitto

mondiale, accompagnava ora anche le gesta dei protagonisti dell’aviazione civile. Tra

questi vale la pena ricordare anche l’italiano Francesco De Pinedo, con la sua trasvolata

dell’Atlantico del 1927 a bordo del “mitico” idrovolante Savoia-Marchetti S.55,

protagonista di celebri trasvolate oceaniche e simbolo del progresso tecnologico italiano

105 Isola canadese dell’Oceano Atlantico 106 B. COLLIER, op.cit., p. 114 107 Ibidem 108 Ibidem 109 S. M. GRAY, Charles A. Lindbergh and the American Dilemma. The Conflict of Technology

and Human Values, Bowling Green, Bowling Green State University Popular Press, 1988, pp. 12 sgg.

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33

nei primi anni del fascismo110. L’aeroplano, nonostante fosse ancora un mezzo rumoroso

e privo di comfort, iniziava ad essere visto come un veicolo utile per viaggi rapidi; e,

benché il primo dirigibile commerciale tedesco di quel periodo, il Graf Zeppelin, avesse

stabilito nuovi livelli di comfort e durata del volo, ormai la reputazione degli aeromobili

stava crescendo inesorabilmente.

Vennero inoltre perfezionati, all’epoca, gli idrovolanti, dove risultati di eccellenza

li raggiunsero gli italiani. Basti richiamare la grande impresa che, in occasione del

decennale della fondazione della Aeronautica Militare Italiana, fu compiuta da due

formazioni di Savoia-Marchetti S.55: la traversata dell’Atlantico in formazione.

Percorrendo oltre 20mila chilometri, questi idrovolanti giunsero da Roma a New York e

fecero ritorno nella capitale italiana. A capo delle squadriglie vi era uno dei gerarchi di

spicco del regime fascista, il generale Italo Balbo.

I grandi progressi compiuti dall’aviazione civile e commerciale, tuttavia, non

furono altro che un interludio fra grandi conflagrazioni belliche. Difatti, dopo la Prima

guerra mondiale e prima dello scoppio della Seconda, alcuni importanti conflitti videro

nuovamente l’aviazione militare in primo piano: la guerra d’Etiopia, la guerra fra Cina e

Giappone e la guerra di Spagna111.

Il periodo immediatamente successivo alla Grande Guerra fu caratterizzato anche

da una fase di pace forzata nelle relazioni internazionali. In seguito al Trattato di

Versailles del 1919, infatti, si cercò innanzitutto di promuovere il disarmo di tutte le

potenze, per evitare il verificarsi di un nuovo conflitto mondiale. In particolare, le potenze

vincitrici imposero alla Germania delle rigide condizioni112, poiché una Germania

disarmata non avrebbe potuto turbare la pace in Europa per un lungo periodo. I francesi,

seppur non convinti del fatto che, grazie a quella pace, avrebbero ottenuto la sicurezza

cui anelavano, avevano più da guadagnare dall’evitare una guerra piuttosto che dallo

scatenarne un’altra. Gli inglesi apportarono significative riduzioni ai bilanci della marina,

dell’esercito e dell’aviazione, abolirono le difese aeree e ridussero le difese costiere113.

110 Cfr. M. VAN CREVELD, op.cit., pp. 39 sgg. 111 F. DELLA PERUTA, Storia del Novecento, Torino, Loescher, 1991, pp. 116 sgg. 112 Secondo le clausole del Trattato, i tedeschi furono costretti a rinunciare alla maggior parte delle

loro navi da guerra, a più di 15.000 aeroplani, a 27.000 motori per aerei e a tutti i dirigibili. Per sei mesi

veniva fatto divieto ai tedeschi di produrre o importare aeroplani o motori per aerei. Inoltre, dal 1922 al

1926 furono imposti limiti alle dimensioni degli aerei da essi costruiti. 113 B. COLLIER, op.cit., p. 115

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34

Ma le speranze di attuare una generale diminuzione degli armamenti furono presto

infrante dal rifiuto, da parte degli Stati Uniti, di ratificare il trattato di pace. Questo causò

la rottura degli impegni contratti dalle potenze vincitrici, tanto che i francesi, preoccupati

per il venir meno di ogni garanzia contro la Germania, decisero di mantenere il loro

esercito e una considerevole forza aerea ad appoggiarlo.

Nel primo dopoguerra conobbe un impulso senza precedenti anche la riflessione

politico-militare circa la portata e gli scopi della guerra aerea. Molti esperti militari e

uomini politici italiani, europei e d’oltreoceano – tra i quali il generale Giulio Douhet –

continuarono ad evidenziare l’importanza dell’aviazione. Produssero, inoltre, importanti

scritti e trattati in cui, da varie angolazioni critiche, venivano esaltate le potenzialità

ancora inespresse e, in generale, il significato della guerra aerea nel contesto delle altre

modalità belliche. L’idea di fondo, sostenuta soprattutto da Douhet, era quella per cui la

guerra aerea avrebbe finito per primeggiare su tutte le altre forme di guerra, assumendo

per certi versi i caratteri di guerra “totalizzante”, e il bombardiere sarebbe diventato

l’elemento risolutore dei conflitti114.

1.4.1. La nascita delle aeronautiche militari

A cavallo delle due guerre si rafforzarono gli insegnamenti appresi sul campo di

battaglia. Questo periodo è considerato come uno dei più fertili nell’evoluzione

dell’aviazione. Le potenze sentirono fortemente la necessità di dotarsi di una propria forza

aerea indipendente, consce del fatto che, da lì in poi, tutte le future guerre sarebbero state

combattute anche in aria. Sicuramente contribuirono alla nascita delle prime aeronautiche

militari anche gli studi di alcuni teorici della guerra aerea, tra cui in particolare l’italiano

Douhet, che sarà approfondito più avanti.

In questo lasso di tempo, inoltre, si susseguirono imprese memorabili, in cui si

distinse anche l’Italia: nel 1926 un monoplano Macchi vinse la coppa Schneider; nel 1930

Italo Balbo volò con 12 idrovolanti Savoia-Marchetti da Orbetello a Rio de Janeiro e, nel

1933, con 24 idrovolanti da Roma a Chicago; nel 1927 Charles Lindbergh compì la prima

traversata dell’Atlantico in aeroplano a bordo dello Spirit of St. Louis, volando da New

York a Parigi in sole 33 ore; nel 1929 il dirigibile tedesco Graf Zeppelin effettuò un volo

114 G. FIOCCO, op.cit., p. 31

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35

senza scalo da Friedrichshafen a Tokyo, con a bordo venti passeggeri, in appena quattro

giorni; e ancora il Generale americano Mitchell, con un gruppo di bombardieri, riuscì ad

affondare ben sei navi corazzate115. Il “potere aereo” – o meglio, “dominio dell’aria”, dal

momento che il termine airpower fu introdotto solo all’inizio degli anni Quaranta da

Alexander de Seversky – iniziava così a sviluppare tutte le sue potenzialità e capacità

dimostrando, ancora una volta, di poter fare la differenza.

1.4.1.1. La Luftwaffe

Dopo la sconfitta patita nella Prima guerra mondiale e le durissime restrizioni che

gli Alleati imposero al riarmo tedesco, nel corso degli anni Venti e poi negli anni Trenta,

l’aviazione della Germania crebbe straordinariamente per quantità e qualità, dapprima in

modo clandestino116. Infatti, già a partire dal 1925 venne fondata l’organizzazione

paramilitare denominata “Deutsche Verkehrsfliegerschule”, tramite la quale venne

segretamente avviata nella Repubblica di Weimar la formazione di piloti militari

servendosi degli aerei civili. Questa politica di segretezza fu definitivamente abbandonata

nel momento in cui prese il potere Adolf Hitler; sotto gli auspici del Führer venne

ufficialmente istituita, nel 1935, la Luftwaffe, la nuova forza aerea tedesca, il cui comando

fu affidato a colui che sarebbe divenuto uno dei più importanti gerarchi del futuro Reich:

il delfino di Hitler Hermann Göring117. Come vedremo più avanti, cruciale si rivelò il

contributo che la Luftwaffe apportò, specialmente durante i primi anni del secondo

conflitto mondiale, alla causa tedesca, concorrendo in maniera decisiva al buon esito di

quella che Hitler e gli strateghi del regime nazionalsocialista definirono Blitzkrieg, ovvero

“guerra lampo”118.

Le forze aeree tedesche furono impiegate con successo anche nella guerra civile

spagnola, nel corso della quale ebbero modo di affinare le loro tecniche e sviluppare

ulteriormente i velivoli a disposizione. Così, alla vigilia della Seconda guerra mondiale,

115 B. COLLIER, op.cit., pp. 123-124 116 Cfr. G. DICORATO (a cura di), op.cit., p. 625 117 Sulla discussa figura di Göring, che fu alla fine processato e condannato a morte a Norimberga,

cfr. D. IRVING, Göring. Il maresciallo del Reich, Milano, Mondadori, 1989, e A. READ, Alla corte del

Führer. Göring, Goebbels e Himmler. Intrighi e lotta per il potere nel Terzo Reich, Milano, Mondadori,

2006 118 B. COLLIER, op.cit., pp. 134 sgg.

Page 36: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

36

la Luftwaffe risultava essere l’aviazione più potente al mondo: nel 1939 si calcola che

contasse oltre 4mila aerei operativi, di cui circa 1.200 bombardieri, 350

cacciabombardieri a tuffo, circa 800 caccia, 400 caccia pesanti e oltre 450 velivoli da

trasporto. Il personale in essi impiegato contava, includendo anche i tecnici di terra, non

meno di due milioni di uomini119. Tutte le formazioni operative e unità dalla Luftwaffe

erano organizzate in quattro flotte aeree, denominate Luftflotte, indicate rispettivamente

con i numeri 1, 2, 3 e 4120. Ciascuna delle Luftflotte era composta tanto da formazioni

operative quanto da formazioni direttive, e ognuna di esse aveva il compito di inviare in

una determinata area specifiche unità operative con tutti i mezzi e i rifornimenti del

caso121.

Va detto che l’effettiva capacità distruttiva della forza aerea nazista fu enfatizzata

anche da un’efficace propaganda messa a punto dal regime, che indusse non di rado gli

stessi nemici a sopravvalutarne la pericolosità122.

1.4.1.2. La Royal Air Force

Istituita nel 1918 in seguito alla fusione dei Royal Flying Corps con lo scopo di

bombardare la Germania, la Royal Air Force è la forza aerea indipendente più antica al

mondo. Fu verosimilmente la più potente tra le forze armate britanniche della Seconda

guerra mondiale, ed è ancora oggi la quinta forza aerea in tutto il mondo. Essa dimostrò

in più occasioni il valore di un servizio aereo indipendente piuttosto che subordinato a

quelli di mare e di terra, per esempio nella Battaglia d’Inghilterra del 1940 o negli efficaci

bombardamenti sulla Germania. Alla fine della Prima guerra mondiale, la forza aerea

inglese aveva già acquisito esperienza e capacità nella difesa nazionale, nella

cooperazione militare e, limitatamente, nel bombardamento strategico. La RAF conobbe

poi un poderoso sviluppo nel corso degli anni Trenta, quando, cioè, era ripresa senza

mezzi termini la corsa agli armamenti in tutta Europa: vennero incrementati gli squadroni,

predisposte ingenti riserve, costruiti ulteriori bombardieri e create le cosiddette shadow

factories, che sarebbero potute essere rapidamente convertite in fabbriche di produzione

119 E. R. HOOTON, Luftwaffe at War. Gathering Storm (1933-1939), Londra, Allan, 2007, p. 24 120 B. COLLIER, op.cit., p. 161 121 T. D. CROUCH, op.cit., pp. 39 sgg. 122 R. G. GRANT, Il volo. 100 anni di aviazione, Novara, De Agostini, 2003, p. 176

Page 37: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

37

di aeromobili in caso di guerra123.

Durante la Seconda guerra mondiale, la RAF svolse un ruolo fondamentale

soprattutto in funzione difensiva, allorché essa assunse il compito di difendere i cieli della

Gran Bretagna contro la Luftwaffe tedesca nel 1940; se i tedeschi non arrivarono ad

invadere la Gran Bretagna, fu certamente grazie alla grande opera difensiva della sua

forza aerea. Del resto, l’assoluta crucialità del contributo apportato dalle forze armate

britanniche fu riconosciuta dallo stesso premier anglosassone, Winston Churchill, il

quale, in un celebre discorso tenuto alla House of Commons nell’agosto 1940, dopo che

il pericolo dell’invasione germanica era stato sventato, disse, con una delle sue efficaci e

taglienti formule: «Mai, nel campo dei conflitti umani, così tanti dovettero così tanto a

così pochi»124.

Ma la Royal Air Force non si distinse esclusivamente per funzioni difensive; non

meno rilevanti, infatti, furono anche gli usi offensivi dalla forza aerea. L’attività svolta in

particolare dal Bomber Command diede impulso ad un capillare bombardamento

strategico ai danni della Germania. Ricordiamo che il Bomber Command venne

appositamente istituito nel 1936 e che, nel corso del secondo conflitto mondiale, effettuò

quasi 400mila voli, colpendo obiettivi militari nonché città e centri industriali della

Germania e, in generale, dei territori che la Wehrmacht e i suoi alleati occupavano.

Ancora una volta è la lezione di Douhet che, seppur implicitamente, continua ad

echeggiare da questi eventi. Gli attacchi, infatti, furono prevalentemente notturni ed è

evidente che essi furono organizzati anche con lo scopo di piegare la società civile. Ciò

si evince in particolare dalle incursioni ai danni di Dresda e Amburgo, che ebbero luogo

mediante una strategia di attacchi a tappeto condotti nottetempo che si rivelarono

particolarmente efficaci proprio per l’estrema e meticolosa precisione con cui le tecniche

di bombardamento della RAF vennero attuate125.

L’efficacissima funzione difensiva messa in atto nel corso della Battaglia

d’Inghilterra del 1940 gettò le premesse per una non meno efficace, quantunque silenziosa

e, all’apparenza, inoperosa, attività di difesa svolta dalla Royal Air Force negli anni della

Guerra Fredda. La RAF, in quel periodo, si fece carico eminentemente della difesa della

Gran Bretagna e, in generale, dell’Europa continentale contro potenziali attacchi da parte

123 J. A. OLSEN, Global Air Power, Washington, D.C., Potomac Books, Inc., 2011, p. 24 124 J. BUCKLEY, The RAF and Trade Defence (1919-1945), Londra, Ryburn, 1945, pp. 199 sgg. 125 Ivi, pp. 206 sgg.

Page 38: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

38

delle forze armate del blocco socialista. Il deterrente nucleare del Regno Unito, inoltre,

fu in larga misura mantenuto proprio dalla RAF126.

Si conta che, al principio del secondo conflitto mondiale, in termini di consistenza

numerica la Royal Air Force fosse circa la metà della Luftwaffe127, ma difficilmente

uguagliabile fu il livello di integrazione che essa seppe mantenere con le altre forze

armate di terra e di mare; gli inglesi furono fautori non già dell’assoluto e unilaterale

primato delle forze aeree, bensì, piuttosto, dell’integrazione e sinergia armonica di tutte

e tre le forze armate: aeree, terrestri e marittime128.

1.4.1.3. La Regia Aeronautica

All’inizio della Seconda guerra mondiale, tra le principali potenze dell’Asse,

l’Italia era quella che certamente contava i mezzi minori, tanto in termini di uomini quanto

in termini di strumenti. Basti pensare che la Luftwaffe contava circa due milioni di

uomini, mentre la Regia Aeronautica disponeva di poco più di 100mila effettivi e gli aerei

effettivamente adibiti al combattimento non erano forse più di 2mila129. Situazione

singolare se si considera che l’aviazione italiana, nel corso del primo conflitto mondiale,

aveva conosciuto un notevolissimo sviluppo ed era stata considerata, almeno fino alla

metà degli anni Trenta, come una delle migliori al mondo. Tuttavia, a causa della

concorrenza delle altre aviazioni, queste caratteristiche d’avanguardia furono perse

dall’Italia.

Sul piano strettamente storico-cronologico ricordiamo che la Regia Aeronautica

fu, insieme alla Regia Marina e al Regio Esercito, una delle tre forze armate del Regno

d’Italia, e che essa venne istituita con apposito decreto regio nel 1923. Fino a tutto il

periodo antecedente alla Seconda guerra mondiale, come già detto, l’aviazione italiana fu

considerata all’avanguardia a livello mondiale. Vi sono autori, infatti, che sostengono che

l’Italia abbia contribuito in maniera decisiva a quella che è stata definita “l’età dell’oro”

dell’aviazione: ci si riferisce in particolare alle crociere aeree compiute dagli Italiani, alla

126 Ivi, pp. 303 sgg. 127 Cfr. G. DICORATO, op.cit., pp. 133 sgg. 128 Cfr. ivi, pp. 469 sgg. 129 Per un quadro d’insieme cfr. P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del

Novecento, cit.

Page 39: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

39

loro partecipazione alla Coppa Schneider130 e agli impieghi strettamente militari

dell’aeronautica italiana nel corso della Guerra d’Etiopia (1935-1936) e della Guerra

civile spagnola (1936-1939), ove la forza aerea diede il suo contributo al successo della

fazione antirepubblicana tramite l’Aviazione Legionaria, costola appositamente costituita

per dare sostegno alle truppe guidate da Francisco Franco131.

Purtroppo, allo scoppiare della Seconda guerra mondiale le forze armate italiane

non erano assolutamente pronte ad affrontare un conflitto di tale portata; la Regia

Aeronautica, poi, si presentava decisamente debole a livello di risorse, uomini e mezzi.

Nonostante dunque i suoi successi e le sue eccellenti prestazioni nel periodo tra le due

guerre, l’industria aeronautica italiana non era stata in grado di rimanere al passo con le

altre potenze.

1.4.1.4. L’aeronautica militare sovietica (Voenno-vozdušnye sily)

Al principio della Seconda guerra mondiale, si conta che l’aviazione sovietica

fosse, sul piano quantitativo-numerico, la più grande del mondo132. Fu fondata – come

del resto molte delle forze militari aeronautiche europee – nel corso della Prima guerra

mondiale, nel 1918, e rimase operativa fino al 1991, anno di dissoluzione dell’Unione

Sovietica. Come si è detto, dal punto di vista degli apparecchi questa forza armata fu la

più grande del mondo fino a tutti gli anni Trenta: si conta che gli apparecchi a sua

disposizione oscillassero tra i 10mila e i 15mila. Vastissimo, inoltre, era l’impiego delle

risorse umane: non meno di quattro milioni, se oltre ai soldati in pianta stabile si

considerano anche i riservisti che venivano coscritti per un periodo di 24 mesi133.

L’aviazione russa si articolava in cinque comandi dotati di una loro autonomia: la

cosiddetta aviazione di prima linea o aviazione frontale; l’aviazione strategica,

denominata anche aviazione a lungo raggio; la guardia nazionale, ovvero il comando più

importante dell’aviazione; l’aviazione della Marina o aviazione navale e, da ultimo,

l’aviazione dell’esercito o aviazione da trasporto134.

130 F. PRICOLO, La Regia Aeronautica nella Seconda Guerra Mondiale, Milano, Longanesi,

1991, pp. 113 sgg. 131 Ivi, pp. 139 sgg. 132 G. DICORATO (a cura di), op.cit., p. 545 133 Ivi, pp. 173 sgg. 134 Ivi, pp. 301 sgg.

Page 40: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

40

Gran parte degli aeroplani a disposizione delle forze aeronautiche russe

appartenevano all’aviazione frontale, che ne aveva un numero non inferiore a 3mila. La

concezione russa dell’aviazione non prevedeva l’unilaterale e assoluto primato delle forze

aeree sulle forze militari terrestri e navali, bensì, al contrario, la stretta cooperazione e

sinergia di tutte e tre le dimensioni, con quella aerea però sempre subordinata alle altre

due. Infatti, i circa 3mila aeroplani a disposizione dell’aviazione frontale avevano il

compito di fornire supporto alle truppe di terra oltre che contrastare la contraerea e,

naturalmente, distruggere l’aviazione nemica. Dato che l’Unione Sovietica si estendeva

come un vero e proprio impero, la prima linea era a sua volta suddivisa in una serie di

sottocomandi che corrispondevano ad altrettante forze aeree, stabilite in altrettanti Paesi

facenti parte dell’Unione Sovietica (Bielorussia, Ucraina, Georgia, etc.).

La dimensione di supporto difensivo della prima linea era poi integrata dalla

funzione offensiva svolta dal secondo dei comandi autonomi dell’aviazione russa,

l’aviazione strategica, che si articolava a sua volta in tre sottocomandi ulteriori: due di

questi erano localizzati nei pressi del fronte occidentale; un altro, invece, spostato vero il

fronte orientale135. Si ritiene che allo scoppio della Seconda guerra mondiale l’aviazione

strategica si avvalesse di circa 1000 unità. Il terzo dei corpi autonomi, nonché quello

fondamentale, era la guardia nazionale, da cui dipendevano tutte le unità superficie-aria.

Vi era poi l’aviazione navale, che si avvaleva di oltre 70mila uomini e di circa 12mila

aeroplani e che agiva appunto in stretta sinergia con le forze di mare. Infine, quinto ed

ultimo dei corpi autonomi, l’aviazione dell’esercito, il cui compito era principalmente

quello di fornire assistenza per il trasporto di truppe e riserve strategiche e, in generale,

di svolgere le attività logistiche necessarie136.

1.4.1.5. L’aviazione giapponese

Finora abbiamo considerato esclusivamente, tra le forze aeree che svolsero un

ruolo determinante nella guerra mondiale, le nazioni occidentali. Ma che dire

dell’Oriente? Occorre fare riferimento a quella che è stata la maggiore potenza orientale

della Seconda guerra mondiale, vale a dire il Giappone. È noto che il Giappone si schierò

135 Ivi, p. 139; B. COLLIER, op.cit., pp. 318 sgg. 136 Cfr. G. DICORATO (a cura di), op.cit., pp. 131 sgg.

Page 41: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

41

a fianco delle potenze dell’Asse nel dicembre 1941, quando già da parecchi anni era in

corso il conflitto con la Cina. Ciò non è casuale in riferimento alla guerra aerea e alle

forze militari: fu proprio in seguito al conflitto con la Cina che l’aviazione militare

nipponica conobbe uno sviluppo straordinario. Oltre alla Cina, il Giappone si vide

coinvolto anche nel conflitto con l’Unione Sovietica, quando quest’ultima gli dichiarò

guerra nel 1945. L’evoluzione dell’aeronautica militare giapponese, infatti, si caratterizza

in quegli anni proprio per la messa a punto e l’impiego di modelli da combattimento in

primis in grado di operare in climi estremamente rigidi e, in generale, dotati di autonomia

ridotta. Sta di fatto che nel 1941, nel momento in cui il Giappone entrò in guerra al fianco

delle potenze dell’Asse, i velivoli a disposizione dell’Esercito erano circa 1.500, dislocati

tra varie aree: Giappone, Cina, Filippine, Manciuria e Siberia137.

Gli anni Trenta furono un periodo di grande rivolgimento all’interno

dell’aeronautica militare giapponese. Il Paese trasse ispirazione soprattutto

dall’esperienza svolta all’estero da molti militari giapponesi e fu così che la forza

aeronautica del Giappone divenne imponente e, soprattutto, incentrata sul principio della

sinergia e cooperazione tra forze navali e forze aeree. Si può parlare, in proposito, di una

vera e propria forza aeronavale, essendo talmente stretti i rapporti tra forze aeree e forze

marittime che ben difficilmente si sarebbero potuti considerare separatamente. Nel 1941

la marina giapponese aveva a disposizione nove portaerei, sulle quali erano imbarcati

oltre 400 aeroplani, articolati in 5 squadre d’attacco. L’Esercito imperiale giapponese

contemplava, al suo interno, l’aeronautica, dunque quest’ultima non era una forza armata

autonoma.138

Man mano che gli anni passarono, tuttavia, il ruolo che le forze aeronavali

giapponesi svolgevano in seno alla guerra divenne sempre più limitato. La pressione

esercitata dagli statunitensi, portando all’affondamento di molte delle portaerei

giapponesi, relegò di fatto l’aviazione navale ad un ruolo sempre più secondario. Fu anche

per questa ragione che, specialmente verso la fine della guerra, si moltiplicarono i gesti

disperati dei cosiddetti kamikaze.

137 Ivi, p. 565. 138 Cfr. H. SAKAIDA, Japanese Army Air Force Aces (1937-1945), Oxford, Osprey, 1997, pp. 39

sgg.

Page 42: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

42

1.4.1.6. La United States Army Air Force

Durante l’intero svolgimento del secondo conflitto mondiale l’aviazione

statunitense non fu mai indipendente: ritroviamo qui un dualismo per certi versi simile a

quello che abbiamo visto a proposito del Giappone. Da un lato, infatti, vi era un’aviazione

di Marina che era parte integrante della United States Navy; dall’altro lato, vi era una

United States Army Air Force, che era invece parte integrante dell’Esercito139.

Per paradossale che ciò possa apparire, gli Stati Uniti furono alquanto lenti nel

promuovere un’aeronautica militare autonoma, nonostante essi, storicamente, fossero

all’avanguardia in tale campo grazie alle pionieristiche scoperte dei fratelli Wright140.

Certamente gli Stati Uniti furono, tra le nazioni intervenute nel corso della Prima guerra

mondiale, una delle più evolute dal punto di vista militare e tecnologico. Eppure la loro

forza aeronautica, a quel tempo, era in uno stato di sviluppo ancora embrionale. Ben

pochi, infatti, furono gli aerei che realizzarono; per giunta, questi velivoli venivano molto

spesso costruiti in base a licenze rilasciate dal Regno Unito141. E non è tutto: abbiamo

avuto modo di vedere come, sia negli scritti dei teorici sia nella prassi operativa

dell’aeronautica della maggior parte delle nazioni europee, le forze aeree venissero ben

presto configurandosi alla stregua di una forza militare autonoma e addirittura preminente

rispetto alle altre forze armate. Gli Stati Uniti, invece, da questo punto di vista rivelarono

un trend inverso: si dovrà attendere addirittura il 1947, dunque il termine del secondo

conflitto mondiale, affinché l’aeronautica si costituisca una forza armata indipendente.

Ad ogni modo, specialmente nel corso degli anni Trenta, gli Stati Uniti si resero

sempre più conto dell’assoluta indispensabilità per la guerra contemporanea di una forza

aerea competitiva e ben organizzata; ecco allora per quale ragione, in quel periodo,

l’aeronautica statunitense compì passi da gigante. L’ottima qualità dei caccia che gli

americani seppero progettare si rivelò quantomeno paragonabile, se non superiore, agli

omologhi realizzati dalle aeronautiche delle principali nazioni europee. Gli Stati Uniti si

collocarono in una posizione nettamente avanzata specialmente per quanto riguardava la

costruzione di bombardieri con funzionalità strategiche (in ciò, comunque, si deve

139 G. DICORATO (a cura di), op.cit., pp. 411 sgg. 140 Cfr. R. G. GRANT, op.cit., p. 76 141 G. DICORATO (a cura di), op.cit., pp. 411 sgg.

Page 43: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

43

ravvisare ancora una volta l’influsso dell’aeronautica britannica)142.

Ma se apprezzabili furono i progressi che l’aeronautica statunitense conobbe nel

corso del primo decennio degli anni Trenta, addirittura straordinari furono i suoi

avanzamenti nel triennio 1939-1941. Un così formidabile sviluppo riguardò in primis la

forza aerea dell’Esercito statunitense, la United States Army Air Force143. Si consideri,

infatti, che se al principio del 1939 gli Stati Uniti contavano circa 2.500 aerei e 20mila

uomini, nell’estate del 1941 i militari impiegati erano divenuti oltre 150mila. Per quanto

concerne il numero dei velivoli, questo era salito a 7mila144. Al principio degli anni

Quaranta, gli americani potevano vantare autentici velivoli d’avanguardia come il Bell P-

39 Airacobra, il Curtiss P-40, il North American P-51 Mustang e il bombardiere a lungo

raggio Boeing B-17 Flying Fortress145.

Gli Stati Uniti, naturalmente, erano anche una potenza marittima, dato che

l’oceano lambisce entrambi i lati, Est ed Ovest, del Paese. Ciò spiega per quale ragione –

in maniera non dissimile dai giapponesi – cercassero di sviluppare una peculiare sinergia

tra forze navali e forze aeree e si impegnassero, per questo, nella costruzione di grandi

portaerei. Tra le più famose: USS Enterprise, USS Yorktown, USS Ranger, USS

Saratoga, USS Lexington146.

142 R. G. GRANT, op.cit., pp. 178 sgg. 143 G. DICORATO (a cura di), op.cit., p. 568 144 M. VAN CREVELD, op.cit., pp. 173 sgg. 145 R. G. GRANT, op.cit., p. 202 146 Ivi, p. 171

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44

CAPITOLO SECONDO

2. TEORICI E DOTTRINE DEL POTERE AEREO

2.1. Teorici e dottrine della guerra aerea

I progressi tecnologici dell’aviazione militare portarono ad un ripensamento

complessivo del concetto stesso della guerra: le forze aeree diventavano esse stesse il

nucleo fondamentale della guerra contemporanea. Inoltre, il crescente dibattito sulla

relazione tra tecnologia e dottrina – chi viene prima? Chi delle due influenza l’altra? –

vide contrapporsi numerosi studiosi della guerra aerea. Molti di questi si espressero in

favore del primato della dottrina sulla tecnologia, poiché compito della ricerca

tecnologica è quello di trovare soluzioni tecniche adatte a raggiungere gli scopi

individuati dalla dottrina e di saperle poi adeguare e sviluppare, a seconda delle esigenze,

nel corso delle operazioni belliche; nessun conflitto è uguale al precedente poiché in

ognuno si distinguono necessità diverse, pertanto la tecnologia deve andare di pari passo

con le indicazioni strategiche della dottrina147.

Comunque, l’idea secondo cui, all’interno della guerra “totale”, le forze aeree

avrebbero dovuto avere un ruolo sempre più decisivo, non fu soltanto una persuasione

dettata dalla concreta pratica bellica, ma anche un assunto elaborato teoricamente da vari

autori. La guerra aerea fu, infatti, oggetto di approfondite teorie e polemiche accanite, che

si tradussero in alcuni dei più importanti testi che la teoria della guerra contemporanea

abbia prodotto. Gli autori – o anche “teorici della guerra aerea” – che con i loro studi

hanno contribuito allo sviluppo della dottrina del potere aereo, sono stati spesso

emarginati al loro tempo, e il valore della loro riflessione è stato compreso ed apprezzato

soltanto diversi anni dopo. Di questi si tratterà nei paragrafi che seguono.

147 Un chiaro esempio di quanto affermato è riscontrabile nell’evoluzione della tecnologia e del

ruolo dell’aeroplano vista nei paragrafi precedenti: da semplice mezzo di ricognizione complementare ai

palloni aerostatici e con scarse dotazioni tecniche nel periodo pioneristico, a mezzo in grado di lanciare

bombe rudimentali, fino a mezzo con ottime capacità e prestazioni in quanto a velocità, raggio d’azione ed

elevazione, in grado di apportare un decisivo contributo allo svolgimento di una guerra, al pari del potere

terrestre e navale. Come vedremo, poi, durante la Seconda guerra mondiale il potere aereo dimostrerà

appieno la sua forza strategica autonoma ed essenziale.

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45

2.2. Giulio Douhet e la teoria del dominio dell’aria

Un fervente sostenitore dell’arma aerea, nonché della predominanza della dottrina

sulla tecnologia, fu il generale Giulio Douhet (1869-1930), uno dei più grandi strateghi

italiani di tutti i tempi – benché, come spesso accade in questi casi, la sua grandezza non

sempre fu riconosciuta in vita148 –. Le elaborazioni teoriche di Douhet sull’importanza

del dominio dell’aria non nacquero da una riflessione puramente astratta, ma derivarono

dall’osservazione diretta delle cose militari. Egli, infatti, era un ufficiale del genio militare

oltre che un ingegnere; laureatosi presso il Politecnico di Torino, da subito mostrò un

interesse persistente nei confronti della problematica puramente tecnologica del volo,

arrivando a considerare la possibilità di applicazione del volo alla guerra. In giovane età,

quando ancora era tenente, nel corso della guerra libica del 1911, egli aveva assistito al

primo impiego bellico di aeromobili italiani, che diede luogo a quelli che sono considerati

i primi bombardamenti aerei della storia, e fu incaricato di stendere alcuni rapporti tecnici

sull’aviazione italiana nel corso del conflitto149. Anche successivamente, durante la

Grande Guerra, Douhet si occupò di redigere alcune relazioni tecniche, in particolare sui

bombardamenti aerei che gli austriaci avevano compiuto su Veneto e Lombardia,

riguardo ai quali ci ha lasciato un parere molto dettagliato150.

Frutto di questa prolungata riflessione a contatto con alcuni dei più rilevanti eventi

bellici del Novecento, fu la sua opera più importante: Il dominio dell’aria, pubblicata nel

1921 e considerata all’unanimità un classico del pensiero militare moderno, più volte

tradotta in varie lingue e discussa criticamente da molti autori. Il “dominio dell’aria” di

cui Douhet parla non è soltanto una locuzione per definire una strategia militare, ma rivela

un’acuta intelligenza politica di come si andassero trasformando i rapporti bellici del

mondo contemporaneo. Ricollegandosi ad intuizioni che già autori come Lloyd George e

Smuts avevano elaborato nel corso della Prima guerra mondiale, egli riteneva fosse

oramai imminente il periodo in cui le forze aeree si sarebbero dovute svincolare dal ruolo

di mero sussidio fin lì svolto per divenire la forza militare decisiva, conseguendo in piena

148 Cfr. M. PIVA, La tomba dimenticata di Giulio Douhet, in “Aeronautica”, n. 3, 2008 149 Cfr. A. D. HARVEY, Bombing and the Air War on the Italian Front (1915-1918), in “Air

Power History”, n. 5, 2000, pp. 112 sgg. 150 Tutti gli studi dedicati all’aeronautica di Douhet sono stati ristampati, congiuntamente alla sua

opera principale dal titolo Il dominio dell’aria, nella silloge G. DOUHET, Il dominio dell’aria e altri scritti,

Roma, Aeronautica Militare, Ufficio Storico, 2002

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46

autonomia risultati fondamentali per la vittoria151. Nell’ambito di un conflitto bisognava

perseguire, quindi, la superiorità aerea tramite la conquista della cosiddetta “terza

dimensione”, ovvero l’aria, dove il potere aereo avrebbe potuto esprimere al massimo

tutta la sua forza strategica.

Divisa in quattro parti, l’opera in oggetto metteva in risalto quale fosse “la nuova

forma della guerra” a seguito della rivoluzione tecnologica dell’aeronautica. In

particolare, secondo Douhet, il dominio dell’aria come caratteristica saliente della

potenza vincitrice, portava con sé una serie di conseguenze estreme. Dominare l’aria – si

legge testualmente in Douhet –,

«vuol dire mettersi in grado di esplicare contro il nemico azioni offensive di un tale ordine

di grandezza, superiore a tutte quelle che mente umana poté immaginare; vuol dire mettersi in

grado di tagliare l’esercito e la flotta nemica dalle loro basi, impedendo loro non solo di

combattere, ma di vivere; vuol dire proteggere in modo sicuro e assoluto tutto il proprio territorio

e il proprio mare da tali offese, mantenere in efficienza il proprio esercito e la propria flotta,

permettere al proprio Paese di vivere e di lavorare nella tranquillità più completa; vuol dire,

insomma: vincere»152.

Dominio dell’aria significava una guerra totale, senza limiti, che tuttavia portava

con sé una serie di implicazioni che destarono non poco scandalo presso coloro che, per

primi, recensirono il trattato del Generale italiano153. Tutti i concetti e i principi

fondamentali della guerra tradizionale, in virtù dell’intervento delle forze aeree, uscivano

rivoluzionati e stravolti. Il concetto stesso di “campo di battaglia” – per fare un esempio

particolarmente significativo – perdeva completamente i suoi connotati tradizionali e si

disponeva, sosteneva il Generale, a ricevere significati completamente nuovi. Il campo di

battaglia delle guerre del futuro, infatti, sarebbe stato limitato esclusivamente dai confini

delle nazioni belligeranti154. Era, questo, il concetto di “guerra totale” che molti altri

scrittori militari e politici avrebbero poi teorizzato nel corso del Novecento, anche sulla

151 Per un quadro d’insieme del pensiero di Douhet, cfr. B. COLLIER, op.cit., pp. 123 sgg. Inoltre,

un’efficace caratterizzazione critica della personalità, della biografia e del pensiero di Giulio Douhet è

contenuta nella voce di G. ROCHAT, Giulio Douhet, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, 1992, vol.

41, p. 503 152 G. DOUHET, op.cit., p. 16 153 Cfr. B. COLLIER, op.cit., p. 123; G. ROCHAT, op.cit. 154 G. DOUHET, op.cit., pp. 20 sgg.

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scia delle suggestioni ricavate dal trattato di Douhet, ma non sempre citandolo come

sarebbe stato doveroso155. Guerra totale, per Douhet, significava una guerra che

condizionava tutti gli aspetti della società civile, nessuno escluso; ragion per cui veniva

meno quella separazione tra vita civile e vita militare, zone di guerra e zone sottratte alla

guerra, che la tradizione militare e strategica assumeva come indiscussa. L’intero spazio

sociale, geografico e urbano diveniva potenzialmente scenario di operazioni belliche. La

rilevanza di queste riflessioni sta nel fatto che, come si è anticipato, esse trascendono di

gran lunga l’aspetto puramente strategico e, sia pure implicitamente, formano una visione

propriamente politica della nuova guerra in quanto “guerra totale” o, come anche la

definiva Douhet, “guerra integrale”156.

Anche la demarcazione, chiara sino a tutto l’Ottocento, tra civili e militari, veniva

meno nella teorizzazione della guerra contemporanea incentrata sul domino dell’aria. Da

un lato, infatti – osservava Douhet –, tutti i cittadini degli Stati belligeranti sarebbero

divenuti almeno potenzialmente dei combattenti (più tardi si sarebbe detto dei partigiani);

dall’altro lato, proprio per questo, tutti sarebbero stati potenzialmente bersaglio delle

ostilità nemiche. Pertanto il bombardamento di case, fabbriche, officine, etc. sarebbe

stato, da quel momento in poi, un aspetto essenziale e imprescindibile della guerra

contemporanea. Ecco allora per quale ragione alcuni autori, tendenzialmente critici nei

confronti di Douhet, hanno parlato della teorizzazione di una vera e propria forma di

“terrorismo di Stato”157. Douhet, in effetti, arriva a teorizzare nella forma più cruda ed

estrema il realismo politico, disinteressandosi senz’altro del diritto internazionale

umanitario: è lui ad affermare che la capacità di coinvolgere e sottoporre i civili alla

guerra rappresenta la chiave di volta della vittoria. Scrive Douhet: «Chi bombarda le città

meglio e prima dell’altro, avrà ragione dell’altro”»158. Si è parlato, a questo proposito,

con tono fortemente riprovatorio, di un Douhet “apologeta del terrorismo di Stato”159.

Senza prendere posizione su questo punto, sta di fatto che, quantomeno implicitamente,

si consolida in Douhet una chiara visione di una guerra contemporanea che fa venir meno

155 Sull’importanza del pensiero militare di Giulio Douhet nel corso del Novecento cfr. anche C.

JEAN, Guerra, strategia e sicurezza, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 35 sgg. 156 Sul concetto di “guerra integrale” resa possibile dal potere aereo, cfr. G. FINIZIO, op.cit., pp.

24 sgg. 157 Cfr. G. ANGELUCCI, op.cit., p. 47 158 Ibidem. Cfr. anche G. DOUHET, op.cit., pp. 7 sgg. 159 Ibidem

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tutte le demarcazioni e delimitazioni tradizionali: parlare di guerra significava ormai

aprire il campo ad una guerra totale e al conseguente rischio di una devastazione integrale,

che vedeva esposti in primis proprio i civili – come di fatto la Seconda guerra mondiale,

in quanto “guerra civile”, si sarebbe incaricata di dimostrare –.

Al di là della cornice generale di interesse geopolitico, i capisaldi essenziali della

teoria strategico-militare del dominio dell’aria rivendicata da Douhet sono

fondamentalmente tre: concentrazione dello sforzo; autonomia della forza aerea;

combattenti160. Snoccioliamo uno per uno questi tre punti:

- Concentrazione dello sforzo. È stato osservato come, con questo principio,

Douhet avesse osato rovesciare i presupposti essenziali della teoria della guerra che un

secolo prima Carl von Clausewitz aveva delucidato nel suo trattato Della guerra (1832).

L’idea di fondo di Clausewitz era che, in maniera naturale, le azioni belliche difensive

prevalessero rispetto a quelle offensive: concezione, questa, che a lungo aveva ispirato

teorici della guerra e militari. Ora, la concezione “integrale” di guerra che a Douhet viene

ispirata dal dominio dell’aria comporta, appunto, il rifiuto di questo assunto: proprio

grazie alle possibilità offerte dal bombardamento aereo strategico, le operazioni offensive

divenivano sempre più micidiali, risolutive ed efficaci. Un’efficace offensiva la si poteva

ottenere mediante ciò che è stata definita da lui “concentrazione dello sforzo”. Occorreva,

cioè, che si ottenesse «la concentrazione massiccia della potenza di fuoco su determinati

punti decisivi alla conduzione delle ostilità»161. A questa conclusione Douhet approdava

anche per via della constatazione di come, nella guerra contemporanea, azioni veramente

risolutive condotte per terra o per mare divenissero sempre più problematiche e sempre

meno decisive. Anche per questo, allora, il dominio dell’aria si confermava nel suo ruolo

assolutamente ineludibile.

- Autonomia della forza aerea. Questo punto è già emerso a più riprese in

precedenza. Era convinzione irremovibile di Douhet che le forze aeree non dovessero

essere ridotte al rango di mero sussidio o ausilio rispetto alle forze terrestri e marittime,

ma che dovessero avere una loro autonomia di azione, muovendo dal presupposto per cui

il cielo rappresentava un teatro di operazioni belliche indipendenti rispetto a quelle

terrestri e a quelle marittime. L’aviazione militare, allora, doveva essere impiegata in

160 G. ANGELUCCI, op.cit., pp. 27 sgg. 161 Ibidem

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missioni specifiche secondo una programmazione di impiego autonoma e, in ogni caso,

inconfondibile e distinta rispetto a quella delle forze armate terrestri e marittime.

- Combattenti. Giungiamo qui, forse, all’aspetto veramente cruciale di tutta la

teorizzazione di Douhet. L’idea della guerra aerea come “guerra totale” o “integrale”

risiede nel fatto che le forze aeree non soltanto acquisivano un rilievo autonomo, ma

divenivano addirittura decisive ai fini della vittoria. Il dominio dell’aria, come già detto,

non aveva limiti né confini, diversamente dal mare e, ancor più, dalla terra; esso si

rivelava un teatro di guerra assolutamente indipendente e per ciò stesso cruciale, su cui

era indispensabile programmare l’offensiva strategica e concentrare gli sforzi. Dominare

l’aria significava estromettere da questo elemento il nemico: letteralmente, come afferma

Douhet, impedirgli di volare, conservando esclusivamente per se stessi tale facoltà. Nella

guerra integrale, l’intera popolazione avrebbe potuto essere coinvolta come soggetto

belligerante attivo e, nel contempo, come bersaglio passivo delle operazioni militari

nemiche. Obiettivi della guerra contemporanea diventavano città, opifici e industrie, così

da spezzare il nerbo della produttività industriale del nemico e le sue risorse economiche,

fiaccando nel contempo – come Douhet osserva con spregiudicato realismo – anche le

risorse morali della società civile. Per raggiungere questo obiettivo nel modo più sicuro

ed efficace, bisognava fare ancora una volta affidamento sul mezzo aereo: solo colpendo

dall’alto in modo strategico, infatti, sarebbe stato possibile distruggere i centri urbani e

industriali e, allo stesso tempo, gettare nella disperazione la popolazione, primo passo per

la resa del nemico162.

Un’altra importante riflessione emerge dal confronto con le concezioni

geopolitiche e militari di von Clausewitz, di cui, ancora una volta, il pensiero di Douhet

appare come l’esatta antitesi163. Clausewitz era ancora fermo all’idea che la guerra fosse,

in fondo, un duello in grande svolto non tra due individui, bensì tra due eserciti. Duello

che si doveva svolgere secondo determinate regole prestabilite, al termine del quale

sarebbe stato subito chiaro chi era il vincitore e chi lo sconfitto. Non è un caso che

Clausewitz, sfiorando il paradosso, arrivasse addirittura ad osservare che la guerra, per

certi versi, è simile ad un gioco, vale a dire ad uno scontro svolto sulla base di regole

esplicite e condivise. Scrive, infatti, che «nella gamma intera delle attività umane, la

162 Sullo spregiudicato amoralismo della teoria della guerra di Douhet cfr. G. ANGELUCCI,

op.cit., pp. 47 sgg. e G. ROCHAT, op.cit., p. 119 163 Cfr. C. JEAN, op.cit., pp. 19 sgg.

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guerra è quella che più assomiglia al gioco delle carte»164. Douhet, al contrario, si trova a

svolgere le sue riflessioni in un periodo storico che vede una formidabile accelerazione

della tecnologia anche e soprattutto nel campo dei mezzi di offesa. La guerra a carattere

totale prevedeva che non vi fossero “regole cavalleresche” di sorta; per questo, la

problematica del diritto internazionale umanitario è senz’altro messa da parte da Douhet,

che da questo punto di vista pare, piuttosto, un teorico del “terrorismo di Stato”165. La

guerra, allora, non è nulla di simile ad un “gioco”. Al contrario, qualsiasi regola è

suscettibile di essere violata, purché ciò porti alla vittoria. La concezione che Douhet

aveva della guerra era di tipo tecnologico e strettamente scientifico: l’attività bellica era

il frutto di quella che egli definiva “scienza della guerra” – evidentemente memore di

concezioni positivistiche tardo ottocentesche –, ossia della capacità della scienza e della

tecnologia di pervadere e trasformare nel profondo ogni aspetto della vita sociale, ivi

inclusa l’arte militare166.

La fiducia che Douhet ripone nel mezzo aereo è assoluta. Egli non ha dubbi, e

questo convincimento ricorre più volte nelle pagine de Il dominio dell’aria: se l’aviazione

militare venisse adeguatamente sviluppata, dal punto di vista organizzativo, tecnologico

e strategico, di per sé essa sarebbe in grado di assicurare la vittoria. Proprio perché l’offesa

proveniva dal cielo ed era come tale imprevedibile, la difesa era idealmente impossibile.

Le forze di terra, infatti, si muovono con velocità inimmaginabilmente inferiore rispetto

a quella delle forze aeree, e di conseguenza sono destinate non solo a soccombere rispetto

a queste, ma anche a non poter svolgere un’azione contraerea realmente efficace. Pertanto

il destino della guerra contemporanea non si giocava sulla terra, non si giocava nei mari,

bensì quasi esclusivamente nei cieli. Ecco la ragione per cui era fondamentale

impossessarsi del “terzo elemento”, estromettendone l’avversario.

Dagli anni Trenta in poi, dopo la sua morte, Douhet ebbe tanti sostenitori ma

anche tanti detrattori. Tra i sostenitori vi sono coloro i quali hanno apprezzato la sua

straordinaria capacità di intuire l’importanza dell’elemento aereo nel contesto della guerra

contemporanea. Tra i detrattori vi sono solo coloro i quali hanno messo in evidenza la

pressoché totale assenza di remore umanitarie che caratterizzò il pensiero del Generale

italiano. Davvero per lui la guerra non era un gioco che si fondava su regole condivise e,

164 C. VON CLAUSEWITZ, Della guerra, Milano, Mondadori, 2009, pp. 216 sgg. 165 L’espressione, già menzionata in precedenza, è riportata in G. ANGELUCCI, op.cit., p. 47 166 Su guerra e scienza in Douhet cfr. G. ANGELUCCI, op.cit., p. 28

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soprattutto, eticamente ispirate.

I progressi della tecnologia avevano irrevocabilmente mutato il volto della guerra,

così come i criteri che fino a tempi relativamente recenti erano stati decisivi per stabilire

la vittoria o la sconfitta negli scontri bellici. Scriveva Douhet:

«In ordine al conseguimento della vittoria, avrà certamente più influenza un

bombardamento aereo che costringa a sgomberare qualche città di svariate centinaia di migliaia

di abitanti che non una battaglia del tipo delle numerosissime che si combatterono durante la

Grande Guerra, senza risultati di apprezzabile valore»167.

L’idea della guerra come “duello in grande” in cui si fronteggiano in campo aperto

due eserciti usciva così alquanto ridimensionata. Anche la demarcazione, cara al diritto

internazionale umanitario, tra mezzi bellici leciti e illeciti, legittimi e vietati, perdeva ogni

valore agli occhi di Douhet, il quale aveva assistito, in Africa, all’uso spregiudicato di

armi chimiche.

Molteplici furono le reazioni, sia in positivo che in negativo, che l’opera di Douhet

scatenò. Non soltanto egli si trovò a concordare con alcuni dei più rilevanti teorici della

guerra suoi contemporanei, come Renner e de Seversky, di cui diremo più oltre, ma si

trovò anche ad anticipare le riflessioni che, molti anni dopo, conclusa la Seconda guerra

mondiale, lo scrittore e militare americano Bernard Brodie produsse circa la necessità di

abbinare sistematicamente arma nucleare e vettore aereo (in effetti, se si pensa alle bombe

atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, si fa chiara la giustezza delle teorie di

Douhet: il Giappone fu definitivamente messo in ginocchio proprio grazie alla forma più

estrema di guerra aerea). In aggiunta, le riflessioni di Douhet hanno avuto il merito di

anticipare le analisi che l’economista statunitense Thomas Schelling elaborò al principio

degli anni Sessanta – quasi quarant’anni dopo l’apparizione del trattato di Douhet – circa

la necessità, in guerra, di attuare operazioni punitive secondo una strategia denominata

“contro città” (vale a dire l’indispensabilità di procedere a bombardamenti a tappeto dei

centri abitati, così da spezzare il morale della società civile e indurre quest’ultima a

chiedere al governo la resa).

Un autore come Angelucci si è spinto oltre nell’individuare le suggestive

167 G. DOUHET, op.cit., p. 92

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ascendenze esercitate su vari autori dal pensiero di Douhet nei decenni successivi.

Opportunamente, egli fa anche il nome del grande giurista e politologo tedesco Carl

Schmitt, che specialmente in opere come Il concetto discriminatorio di guerra168 e Teoria

del partigiano169 sviluppò nuclei tematici molto simili a quelli introdotti da Douhet

riguardo alla guerra totale come caratteristica propria della contemporaneità, dovuta

all’aggiungersi, alle due tradizionali dimensioni della terra e del mare, dell’elemento

dell’aria; per di più, lo stesso Schmitt introdusse la figura ambigua del “partigiano” come

una sorta di tipologia intermedia tra il militare di professione della tradizione e il civile,

proprio con l’intento di mostrare come, nella guerra contemporanea, la demarcazione tra

militari e civili venisse oramai meno170.

2.3. Sostenitori e detrattori del pensiero di Douhet

Le reazioni che gli studi di Douhet hanno provocato sono state, come prevedibile,

ambivalenti. Non vi è dubbio che egli abbia saputo cogliere la profonda portata innovativa

della rivoluzione tecnologica che aveva investito la guerra contemporanea, rendendola

integrale, e che aveva determinato l’ascesa del ruolo dell’aeronautica; tuttavia, non sono

mancati critici sottili, i quali, pur senza negare il valore e l’importanza dell’opera di

Douhet, hanno ritenuto di dover ridimensionare l’enfatizzazione del ruolo cruciale che

l’aviazione avrebbe nel decidere le sorti della guerra. Questi teorici sono stati portati a

muovere delle obiezioni anche rilevanti alle tesi di Douhet. In primis, hanno osservato

come l’aviazione militare, per quanto giochi sempre un ruolo cruciale, molto spesso non

abbia avuto di per sé un’efficacia determinante ed esclusiva. Non sarebbero rari i casi,

cioè, in cui gli attacchi aerei, anche quando riusciti, non abbiano determinato la vittoria,

bensì, al contrario, siano stati piuttosto apripista e prodromi di una serie di azioni belliche

ulteriori, di stampo più tradizionale, condotte via mare o via terra. Paradigmatiche, in

tempi a noi più vicini, le operazioni belliche che hanno avuto luogo durante la Prima

guerra del Golfo in vista della liberazione del Kuwait ad opera di una coalizione di forze

internazionali, e che, appunto, hanno richiesto, dopo l’intervento dell’aviazione militare,

168 C. SCHMITT, Il concetto discriminatorio di guerra, Roma-Bari, Laterza, 2008 (versione

originale Die Wendung zum diskriminierenden, Berlino, Duncker & Humbolt, 1938) 169 C. SCHMITT, Teoria del partigiano, Milano, Adelphi, 2005 (versione originale Theorie des

Partisanen. Zwischenbemerkung zum Begriff des Politischen, Berlino, Duncker & Humbolt, 1963) 170 G. ANGELUCCI, op.cit., p. 30

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quello di forze di mare e di terra171.

Non sono mancati, per contro, pareri opposti, i quali hanno inteso mostrare quanto

altri eventi bellici recenti si siano invece lasciati perfettamente ispirare dalle teorie

elaborate da Douhet parecchi decenni prima. È il caso, ad esempio, della campagna della

NATO contro la Jugoslavia per la liberazione del Kosovo nella primavera del 1999.

L’intervento aereo, secondo questi osservatori, è stato assolutamente decisivo per la

risoluzione del conflitto in chiave antijugoslava. Sicché – afferma l’autore Angelucci –

saremmo qui in presenza di una prova incontrovertibile della validità delle previsioni

elaborate da Douhet, dal momento che – prosegue lo studioso – «fu proprio il potere aereo

a costringere alla resa le forze jugoslave del regime di Milosevic a causa dei ripetuti e

prolungati attacchi che ne avrebbero infranto la volontà e la capacità di resistenza»172.

Ad ogni modo, è indiscutibile che non pochi scrittori militari e strateghi, a

tutt’oggi, continuino a professare la loro ammirazione nei confronti di Douhet e

dichiarino di trarre ispirazione dai suoi scritti: persino alcuni strateghi cinesi, come Qiao

Liang e Wang Xiangsui, hanno avuto modo di parlare, nella seconda metà degli anni

Novanta, della guerra contemporanea come di una “guerra senza limiti” – nozione che,

chiaramente, sarebbe una sorta di riedizione della “guerra totale” teorizzata a suo tempo

da Douhet –, termine che ricorre esplicitamente nelle pagine dei due studiosi cinesi. Altri

autori ancora, pur criticando il “terrorismo di Stato” professato da Douhet, hanno per altro

verso messo in luce le profonde capacità anticipatrici del Generale italiano.

Si potrebbe discutere a lungo su tutte le obiezioni e contro-obiezioni; esse, in ogni

caso, già con la loro stessa presenza, sono conferma della persistente vitalità e rilevanza

delle teorie di Douhet, seppur elaborate in un contesto storico e sociale così lontano da

quello attuale. Anche il successivo timore suscitato dalla minaccia nucleare, a ben

considerare, appare indirettamente una conferma dell’assoluto primato del dominio

dell’aria: i casi di Hiroshima e Nagasaki ne sono la prova inconfutabile.

171 Ibidem 172 Ibidem

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54

2.4. Oltre Douhet: Mecozzi, Trenchard, Mitchell

Giulio Douhet non fu certamente l’unico degli scrittori militari che si occuparono

della portata innovativa della guerra aerea. Alcuni di questi proposero concezioni della

guerra aerea per certi versi simili alle sue, pur arrivandovi per strade proprie e con

argomentazioni originali. Abbiamo già avuto modo di osservare come l’opera principale

di Douhet, Il dominio dell’aria, fosse stata tradotta in più lingue. Essa fu discussa, tra gli

altri, dallo scrittore e militare americano William (Billy) Mitchell, con il quale peraltro

Douhet sviluppò una ricca relazione epistolare173. Anche in Gran Bretagna si intrattennero

vivaci discussioni del suo libro; gli inglesi, tuttavia, preferirono seguire le concezioni di

un altro teorico, Sir Hugh Trenchard, che approfondì in particolare il tema del

bombardamento strategico e fu uno dei padri della Royal Air Force.

Fra i tanti aspetti delle concezioni teoriche di Douhet, quello che più stimolò

l’attenzione degli altri teorici, italiani e non, fu – oltre la sua idea per cui la forza aerea

dovesse rappresentare un corpo indipendente in posizione di primato – l’assunto per cui

la funzione offensiva – il bombardamento – fosse il compito principale che spettava

all’aviazione, la quale solo secondariamente poteva essere impiegata con finalità

ricognitive; visione nettamente in contrasto con quanto era accaduto nelle guerre del

primo ventennio del Novecento, dove, come abbiamo visto, si iniziò con l’impiego

ricognitivo degli aerei, per poi scoprire gradualmente la rilevanza propriamente offensiva

dell’aviazione militare. Il bombardamento deve avere carattere strategico per Douhet, e

dunque essere bombardamento a tappeto. L’aviazione non deve curarsi dei bersagli

piccoli: sono i bersagli grandi che vanno presi di mira, con l’avvertenza che il bersaglio

che viene preso di mira deve essere completamente distrutto, contando sull’effetto morale

oltre che sull’effetto materiale di siffatta operazione.

Le prime reazioni alle teorie di Douhet si ebbero in Italia, in particolare con gli

scritti di un altro generale e teorico dell’aviazione, Amedeo Mecozzi (1892-1971), che

già era stato un asso dell’aviazione nella Prima guerra mondiale e che, forte delle sue

esperienze belliche maturate sul campo, divergeva da Douhet proprio nel rivendicare

l’utilizzo dell’aviazione in un senso fondamentalmente tattico. Certamente egli

173 Cfr. G. FIOCCO, op.cit., pp. 116 sgg.

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55

convergeva con Douhet sulla necessità di fare dell’aviazione una forza armata

indipendente e di prestigio; tuttavia, per quanto concerne gli scopi che la nuova arma

doveva conseguire, le differenze rispetto a Douhet risaltano vistosamente, tanto che

Mecozzi è considerato da molti “l’anti-Douhet”. Per Douhet le forze aeree rappresentano

un’armata indipendente, e questa indipendenza porta il teorico militare a svalutare, in

sostanza, le due restanti forze militari, quelle di mare e quelle di terra. Da questo punto

di vista, la posizione di Mecozzi è più prudente: egli ritiene che le forze terrestri e

marittime seguitino a svolgere un ruolo insostituibile anche nella guerra contemporanea.

Anch’egli parla di “guerra totale”, tuttavia il significato che attribuisce a tale locuzione è

diverso rispetto a quello di Douhet. Secondo Mecozzi, la guerra contemporanea è da dirsi

“totale” nel senso che ad essa prendono parte, oltre che le forze aeree, anche le forze

terrestri e quelle marittime, con ruoli non meno significativi: vi deve essere, cioè, una

stretta sinergia delle tre forze, in maniera armoniosa, evitando che una delle tre prenda il

sopravvento sulle altre, proprio perché tutte e tre hanno la stessa dignità e importanza.

Come ha osservato Paniccia, nel rivendicare il carattere totale della guerra odierna

«Mecozzi la definiva come un tutto unico, quindi guidata da un’unica visione strategica,

in cui ogni forza armata operava in armonia con le altre verso un fine comune»174. Nel

rivendicare questa visione, Mecozzi fa riferimento anche ai dati della Grande Guerra

appena conclusa (egli scrisse la maggior parte dei suoi articoli soprattutto negli anni

Venti)175. I maggiori danni al nemico – puntualizza Mecozzi – non sono stati prodotti dai

grandi bombardieri, come Douhet sostiene; al contrario, è stata la caccia e soprattutto

l’artiglieria antiaerea a produrre i più rilevanti danni, sia materiali che morali, agli austro-

ungarici176.

Il concetto di “guerra totale” di Mecozzi si distacca da quello di Douhet anche per

un altro aspetto importante. Abbiamo detto come Douhet non esiti, con spregiudicato

machiavellismo, a farsi alfiere di una sorta di “terrorismo di Stato”, ritenendo che

l’obiettivo principale dei bombardamenti debba essere la popolazione civile, poiché tra

civile e militare non vi è più distinzione di principio nella guerra contemporanea. Al

174 A. PANICCIA, Trasformare il futuro. Nuovo manuale di strategia, Milano, Mazzanti, 2017, p.

29 175 Mecozzi iniziò a scrivere articoli sull’aeronautica appena finita la prima guerra mondiale, sul

giornale “Il Dovere”, il cui direttore era lo stesso Douhet; ben presto, però, le sue idee entrarono in contrasto

con quelle douhettiane, sino ad arrivare, nel 1927, a formulare un attacco diretto alle teorie di Douhet. 176 A. PANICCIA, op.cit., p. 30

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contrario, Mecozzi afferma che ogni azione bellica debba avere come obiettivo principale

bersagli precisi e utili alle forze armate del nemico piuttosto che i centri demografici.

Mecozzi si allinea, così, ad una posizione di tipo classico, come quella approfondita da

Clausewitz. Ad onor del vero, Mecozzi non fa leva su argomentazioni astrattamente

umanitarie, ma il cuore del suo ragionamento è strettamente tecnico, puramente militare.

Egli ritiene che attacchi indiscriminati, portati su vaste superfici variamente distruggibili,

non sarebbero risolutivi al fine della vittoria. Dunque, piuttosto che puntare sulle aree

urbane, il bombardamento aereo avrebbe dovuto svilupparsi secondo una tattica di

precisione, indirizzandosi, cioè, su ben determinati obiettivi militari e industriali.

A tal proposito si deve a Mecozzi la teorizzazione del concetto di “volo rasente”,

con il quale egli genialmente anticipa le teorie, molto più tarde, sulla penetrazione a bassa

quota. L’idea di fondo risiedeva nel fatto che un numero ridotto di aerei, volando ad alta

velocità ma tuttavia tenendosi alla minima quota possibile, avrebbe potuto introdursi nello

spazio aereo nemico distruggendo obiettivi militari selezionati contando sull’effetto

sorpresa177. Anche su questo punto, dunque, vi era netta antitesi tra Douhet e Mecozzi; il

primo, infatti, proponeva una visione completamente differente, sostenendo che la

penetrazione nello spazio nemico aereo dovesse avvenire ad alta quota e, per giunta,

dovesse essere compiuta da ampie masse di bombardieri.

La riflessione di Mecozzi, essendo vissuto molto più a lungo di Douhet, lo ha

condotto ad interessanti evoluzioni specialmente dopo la Seconda guerra mondiale, nella

seconda metà degli anni Quaranta. Dopo aver assistito ai disastri di Hiroshima e Nagasaki,

trasse da quegli eventi conferma ulteriore dell’inumanità dei bombardamenti strategici.

Da qui nacque l’ultimo suo scritto, considerato il suo testamento spirituale: Guerra agli

inermi ed aviazione d’assalto178, in cui, di fronte al grande sviluppo della missilistica

intercontinentale, egli ribadisce che il bombardamento strategico non solo è inutile ai fini

della vittoria militare ma, altresì, contrario alle universali leggi dell’umanità. Egli, quindi,

oltrepassa il machiavellismo e lo spregiudicato realismo politico di Douhet e milita per

recuperare, accanto alle istanze della vittoria, anche quelle dell’umanità e della pietà per

gli inermi.

Volgendo lo sguardo ai teorici di altri Paesi, non si può non fare il nome di Sir

177 Ivi, p. 31 178 A. MECOZZI, Guerra agli inermi ed aviazione d’assalto, Roma, Artigrafiche Scalia, 1965

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Hugh Trenchard (1873-1956). Questi può essere considerato, a buon diritto, il “Douhet

inglese”, anche per via della precisa concordanza di alcune sue visioni con altrettanti

concetti fondamentali del Generale italiano. Divenuto comandante generale, nel 1915,

dell’aviazione dell’esercito inglese – il neocostituito Royal Flying Corps –, Trenchard

accompagnò all’azione pratica e militare anche una sistematica riflessione teorica in

materia di aviazione militare e guerra aerea. Durante il primo conflitto mondiale,

interpellato dal Governo inglese circa la possibilità di realizzare una difesa di tipo aereo

contro i dirigibili e i bombardieri tedeschi, Trenchard rispose negativamente: mancando

una rete di avvistamento efficace, a suo giudizio un sistema difensivo che si basasse sugli

aerei sarebbe stato impossibile179. Ciò significava, allora, che la sola difesa concretamente

attuabile dovesse avere natura preventiva (nel linguaggio militare e strategico di oggi si

parlerebbe di “contraviazione”). Tale difesa preventiva, nell’idea di Trenchard, avrebbe

avuto il carattere di attacco diretto contro i campi di volo tedeschi e, soprattutto, contro

le città tedesche, sottoposte a sistematico bombardamento strategico.

Appaiono così subito chiare le analogie del suo pensiero con quello di Douhet e,

nel contempo, la sua distanza rispetto a Mecozzi, strenuo sostenitore del bombardamento

di precisione verso cui Trenchard nutriva un esplicito scetticismo. Il bombardamento

indiscriminato di intere aree urbane, già sostenuto da Douhet, trova così un altrettanto

risoluto fautore in Trenchard; questa tattica avrebbe avuto successo ancora durante la

Seconda guerra mondiale, allorché, per esser certi di aver distrutto una fabbrica, si usava

procedere a quello che veniva definito area bombing, vale a dire il bombardamento

sistematico, a tappeto, di tutta l’area urbana circostante180.

Ma non si esauriscono qui le affinità di Trenchard con Douhet. Come il suo

mentore italiano, il militare e teorico inglese si batté strenuamente affinché l’aviazione

militare costituisse una terza e indipendente armata181: il che avvenne, anche dietro sua

diretta intercessione e pressione, nel 1918, quando vide la luce la Royal Air Force (RAF),

che di fatto fu a lungo la prima aviazione indipendente, nella quale lo stesso Trenchard

ebbe l’onore di essere nominato Capo di Stato Maggiore. Secondo la sua idea, in molte

179 Ibidem 180 A. PANICCIA, op.cit., p. 40 181 Paradossalmente, fino al 1917 Trenchard aveva considerato folle l’idea di una forza aerea

indipendente come mezzo per mettere fine alla guerra. Quando, però, gli fu affidato il comando proprio di

un corpo di bombardieri strategici destinato al bombardamento della Germania, egli tornò sui suoi passi e

si schierò a favore di un’azione aerea indipendente, divenendone uno dei maggiori sostenitori e promotori.

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circostanze la RAF avrebbe dovuto letteralmente sostituire le forze navali e di terra182,

svolgendo le operazioni in modo più efficace e ad un costo minore in termini economici

e di feriti. Con l’appoggio di Churchill, allora Ministro della Guerra e dell’Aria,

Trenchard mise in pratica tale concetto nei territori inglesi nel Medio Oriente e lungo la

frontiera nordovest per tutti gli anni Venti, servendosi della RAF invece che dell’esercito

per controllare le aree più vaste e remote183. Anche lui vedeva nella forza aerea l’elemento

risolutivo, al di sopra delle altre forze armate.

Un altro importante teorico della guerra aerea è l’americano William (Billy)

Mitchell. In maniera del tutto analoga a Douhet, Mitchell non esita a dichiarare il primato

della forza aeronautica rispetto alla forza militare terrestre e a quella marittima,

affermando altresì che la prima debba essere autonoma rispetto alle altre due. È noto che

Mitchell conobbe personalmente Douhet e ne studiò approfonditamente l’opera

maggiore184. Certamente, nei suoi scritti di strategia ed arte militare si ritrovano molteplici

punti di consonanza con quelli del Generale italiano. Oltre all’idea dell’autonomia e

superiorità della forza aerea, vi è anche l’idea dell’indispensabilità del bombardamento

strategico protratto ad oltranza. Anche per Mitchell fondamentale è la geostrategia, per

cui è necessario bombardare non soltanto gli obiettivi militari, ma anche le infrastrutture.

Egli non sposa tuttavia il crudo realismo politico e militare di Douhet: non vi è, cioè, nelle

sue pagine riferimento all’essenzialità, per piegare il nemico, di fiaccare il morale dei

cittadini mediante la guerra aerea. Il tema del terrore seminato nella popolazione è

assente. Ritiene, però, che lo scontro sul piano strettamente militare non sia sufficiente: è

appunto alle infrastrutture tecnologiche, industriali, etc. che bisogna puntare, mediante le

forze aeree, per far capitolare definitivamente il nemico185.

La lungimiranza con cui Mitchell diede risalto alla centralità della guerra aerea è

confermata, in particolare, da quella che è forse la sua più celebre presa di posizione:

l’impressionante previsione che, già nella prima metà degli anni Venti, fece del futuro

disastro di Pearl Harbor, o meglio della possibilità che, attraverso il Pacifico, forze armate

182 Trenchard promosse l’innovativo concetto di “sostituzione”, conosciuto anche come “controllo

dell’aria”. 183 Cfr. DR. ALAN STEPHENS, In search of the knock-out blow: the development of air power

doctrine 1911-1945, Air Power Studies Centre, febbraio 1998 184 A. PANICCIA, op.cit., p. 40 185 P. J. HUGILL, La comunicazione mondiale dal 1844. Geopolitica e tecnologia, Milano,

Feltrinelli, 2005, p. 24

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59

giapponesi potessero prendere di mira le coste statunitensi. Nel 1924, infatti, dopo aver

svolto una visita ufficiale alle Filippine e alle Hawaii, Mitchell tenne a Washington una

conferenza dai toni decisamente profetici. Affermò quanto segue:

«Le sorti della prossima guerra verranno decise dalla forza aerea. Oggi le nostre capacità

di offesa dall’aria sono irrisorie, ma ancora più trascurabili sono le nostre possibilità di difesa

dagli attacchi dall’aria, soprattutto dalle nostre basi navali. Quella di Pearl Harbor, che

rappresenta la chiave del dominio del Pacifico, è completamente sguarnita. Io prevedo che un

giorno i bombardieri in quota, quelli in picchiata e gli aerosiluranti di una potenza straniera

decollati da portaerei, coleranno a picco le nostre navi alla fonda. L’attacco sarà sferrato senza

preavviso una mattina di domenica e la potenza a cui alludo sarà il Giappone»186.

Implicitamente, in questa dichiarazione ritroviamo una serie di elementi che ci

riconducono alla lezione di Douhet. In primis, l’idea che nella guerra contemporanea non

vi siano effettivi confini dei campi di battaglia se non quelli dell’intero globo terracqueo

– sarebbe stato dunque possibile attraversare l’intero Pacifico avvalendosi di portaerei per

scatenare l’attacco e provocare il terrore nel cuore della patria nemica –; poi, ancora una

volta, l’idea dell’assoluta superiorità degli attacchi sferrati dall’alto rispetto a qualsiasi

altra forma di operazione bellica di terra o di mare; e, naturalmente, l’assunto che la guerra

aerea si fondasse anzitutto sul bombardamento, sull’offensiva, sia pure con l’ausilio e il

supporto marittimo delle portaerei – elemento assente nella riflessione di Douhet e

introdotto in maniera originale dallo stesso Mitchell –.

L’attacco di Pearl Harbor venne effettivamente sferrato, come da lui anticipato

nella conferenza di Washington, proprio sul far dell’alba di domenica 7 dicembre 1941:

quell’evento bellico avrebbe stravolto l’andamento della Seconda guerra mondiale187.

186 R. IACOPINI, La battaglia che cambiò la Seconda Guerra Mondiale: Pearl Harbor, Milano,

Mondadori, 2013, p. 103 187 Per un quadro d’insieme sul significato militare e politico di Pearl Harbor, cfr. P. HERDE,

Pearl Harbor, Milano, Rizzoli, 1986

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60

CAPITOLO TERZO

3. LE CONFERENZE SULLA REGOLAMENTAZIONE DELLA GUERRA

NEI CIELI E I LABORATORI DELLA GUERRA AEREA

3.1. La Conferenza di Washington

Il carattere di “guerra integrale” che si andava delineando con lo sviluppo della

guerra aerea, ormai anche ampiamente teorizzato da autori come Douhet, rese chiaro

quanto non fosse più sostenibile la distinzione tra civili e militari. Tutti, da quel momento

in poi, compresi i non combattenti, sarebbero stati coinvolti nei conflitti. I bombardamenti

avrebbero anche avuto un forte peso psicologico sulle popolazioni, scoraggiando

qualsiasi tentativo di resistenza. Scrive Douhet a tal proposito:

«[…] E se, nella seconda giornata, altri 10, 20, 50 centri vengono colpiti, chi potrà ancora

tenere le popolazioni smarrite dal gettarsi alle campagne, per sottrarsi dai centri che costituiscono

i bersagli del nemico? Necessariamente un dissolvimento deve prodursi, un dissolvimento

profondo di tutto l’organismo, e non può mancare di giungere rapidamente il momento in cui, per

sfuggire all’angoscia, le popolazioni, sospinte unicamente dall’istinto della conservazione,

richiederanno a qualunque condizione, la cessazione della lotta»188.

La prospettiva dell’affermazione di una guerra di questo tipo poneva rilevanti

problemi etici, per esempio: si sarebbe dovuta lasciare mano libera ai bombardieri o si

sarebbe dovuto difendere il rispetto dei diritti dei civili? Alla luce di ciò, il primo

confronto sul tema del fattore aereo fu rappresentato dalla Conferenza di Washington del

1921. Nell’ambito di questa, venne costituito un sottocomitato aeronautico con il compito

di redigere un rapporto sul disarmo aereo e sulle regole di conduzione della guerra nei

cieli189. Per quanto riguarda il disarmo aereo, però, la discussione fu deludente; non si

188 G. DOUHET, op.cit., p. 40 189 Cfr. MINISTERO DELLA GUERRA, COMANDO SUPERIORE D’AERONAUTICA,

UFFICIO NOTIZIARIO, L’aeronautica alla conferenza di Washington, Roma, Stabilimento poligrafico

per l’amministrazione della guerra, 1922, pp. 19-20 e MINISTÈRE DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES,

Documents diplomatiques, Conference de Washington (Juillet 1921-Février 1922), Paris, Imprimerie

Nationale, 1923, p. 34

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61

raggiunse alcun risultato concreto, dal momento che nessuna potenza intendeva legarsi le

mani. Il disarmo aereo fu ritenuto quindi impraticabile: i governi non volevano provocare

danni al libero sviluppo dell’aviazione civile, pertanto non ritenevano opportuno prendere

decisioni vincolanti190. L’unico tentativo che riuscì al riguardo fu quello di porre dei limiti

al tonnellaggio delle flotte di portaerei e al dislocamento di singole portaerei. Così Gran

Bretagna, Francia, Italia, Giappone e Stati Uniti accettarono di non potersi dotare di

portaerei che dislocassero più di 33mila tonnellate ciascuna191. Gli americani e i

giapponesi, disponendo di portaerei più grandi, riuscirono a sviluppare efficienti caccia,

aerosiluranti e bombardieri in picchiata per le portaerei192.

Per quanto concerne, invece, la regolamentazione della guerra aerea, dietro

proposta del sottocomitato venne formata una commissione di giuristi per studiare le

modifiche da apportare alle leggi di guerra193. Era evidente come, ormai, le attuali norme

del diritto internazionale non fossero più adeguate agli sviluppi che la tecnologia bellica

aveva registrato in quegli anni. Gli orientamenti in merito alla questione aerea erano

discordi; come abbiamo visto, già prima del 1914 alcuni avevano sostenuto la necessità

di abolire l’arma aerea, salvo che per scopi di ricognizione, poiché il progresso

tecnologico avrebbe reso inaccettabile la terribile capacità di distruzione dei bombardieri.

Al contrario, altri si erano pronunciati favorevolmente riguardo al proseguimento

dell’utilizzo degli aerei in funzione bellica, poiché essi avevano ancora grandi potenzialità

da sviluppare e sarebbero diventati elementi cruciali nella risoluzione dei conflitti. Tra le

altre cose, i futuri belligeranti non avrebbero mai rinunciato ad un’arma così efficace.

Pertanto, invece di imporre dei rigidi divieti che nessun Paese avrebbe mai

rispettato, la commissione formata a Washington volle cercare un compromesso tra i

criteri umanitari e la realtà della guerra aerea194; fu così che elaborò un regolamento di 62

articoli nel quale veniva proibita qualsiasi forma di bombardamento terroristico della

popolazione civile195. Era invece concesso il bombardamento di obiettivi militari,

190 G. FIOCCO, op.cit., p. 34 191 B. COLLIER, op.cit., p. 121 192 Ivi, p. 122 193 G. FIOCCO, op.cit., p. 36 194 Ibidem 195 In particolare, l’art. 22 recitava: «Il bombardamento aereo eseguito con lo scopo di terrorizzare

la popolazione civile, di distruggere o danneggiare la proprietà privata di carattere non militare, o di colpire

non combattenti, è proibito». Per evitare il ripetersi delle tragedie dell’ultima guerra, sarebbe stato

necessario osservare tale disposizione. Cfr. “The American Journal of International Law”, Supplement

1923, Official Documents, pp. 249-250

Page 62: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

62

comprese le industrie belliche. Questo causava, però, un altro dilemma etico: le industrie

che producevano armamenti erano spesso situate nei centri urbani o a ridosso di quartieri

operai; come potevano gli aviatori, sorvolando una città a grande altezza, magari di notte,

bombardare con precisione un obiettivo specifico, senza causare gravi danni anche alla

popolazione civile? In che modo essi avrebbero dovuto valutare di volta in volta le

conseguenze di ogni loro azione?

Probabilmente, fu anche per queste difficoltà che il progetto della Conferenza di

Washington naufragò, non venendo sottoscritto dalle potenze stesse che l’avevano voluto.

Oltre a ciò, ci si era resi conto che i vantaggi dell’arma aerea erano troppo grandi per

rinunciarvi; un codice umanitario della guerra aerea non sarebbe mai stato preso sul serio,

e ogni scrupolo morale sarebbe venuto meno fin dalle prime ore del conflitto

successivo196.

3.2. La Conferenza di Ginevra

Dopo il duro disarmo imposto alla Germania a Versailles, e i lavori dall’esito fallimentare

della Conferenza di Washington, ci si aspettava un ulteriore e decisivo passo in direzione

del disarmo da parte delle potenze vincitrici. Per questo si guardava con speranza alla

futura conferenza sul disarmo, che avrebbe affrontato ancora una volta il problema aereo.

I lavori della Conferenza di Ginevra iniziarono nel 1932 in un clima già teso: in

quel periodo, infatti, venivano pubblicizzati, tra l’opinione pubblica, i rischi di una guerra

aerea senza regole e la tragicità dell’arma aerochimica, vedendo nell’abolizione del

bombardiere l’unica soluzione197. Compito dei governi era, in tale contesto, quello di

trovare un compromesso tra le tante posizioni e le possibili soluzioni.

Il primo passo venne compiuto dai francesi, che proposero di creare una forza

aerea internazionale. Il progetto fu subito ostacolato dai tedeschi, dal momento che la

Francia si riservava di mantenere le sue forze aeree, pur mettendole a disposizione della

causa, e questo avrebbe effettivamente aggirato le richieste di parità aerea198. Il governo

francese presentò un secondo piano, in base al quale la pratica del bombardamento

196 G. FIOCCO, op.cit., p. 38 197 Cfr. A. MARSHALL, Chemical Warfare and Disarmament, in “Nature” 129-906, giugno 1932,

p. 810 198 G. FIOCCO, op.cit., p. 50

Page 63: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

63

sarebbe stata proibita e speciali unità aeronautiche avrebbero assicurato il controllo;

inoltre, onde evitare ulteriori polemiche, gli stessi francesi sarebbero stati disposti a

rinunciare in modo permanente ai propri aeroplani. Neanche questa iniziativa, tuttavia,

riscosse il successo sperato.

Un altro problema degno di attenzione riguardava l’aviazione civile, più nello

specifico la necessità di assicurare che i moderni aerei civili non venissero riconvertiti per

scopi militari199. La questione veniva posta soprattutto dai francesi, timorosi di

un’imminente – benché inverosimile nel breve termine – aggressione tedesca.

Oltre alla Francia, altra protagonista dei negoziati ginevrini fu l’Inghilterra. Tra

gli inglesi si fronteggiarono due schieramenti opposti: da una parte, i cosiddetti “falchi

douhetiani”200, fautori della guerra aerea; dall’altra, i sostenitori del disarmo aereo, per i

quali era necessario giungere in tale sede ad un accordo internazionale per impedire i

futuri orrori della guerra aerea. Dopo una serie di botte e risposte e di proposte avanzate

ora dall’una ora dall’altra parte – non senza il verificarsi di tensioni –, si giunse alla

conclusione che l’unico modo per garantire la sicurezza contro gli attacchi aerei a

tradimento fosse l’avere a disposizione una flotta di bombardieri pronti a condurre

un’adeguata azione di rappresaglia. Il 5 marzo 1933 il comitato governativo per il disarmo

decise ufficialmente di abbandonare ogni proposito di abolizione dell’aeronautica

militare o di controllo dell’aviazione civile. Ancora una volta, insomma, tramontava la

possibilità di trovare una soluzione concreta al problema aereo.

3.3. La guerra d’Etiopia

Grazie all’esperienza e ai progressi tecnologici maturati durante la Grande Guerra,

l’apporto dato dall’aeronautica italiana durante il conflitto etiopico fu significativo201.

L’azione delle forze aeree italiane si svolse in circostanze particolari poiché,

innanzitutto, si trovò davanti un nemico naturalmente assai poco progredito da un punto

di vista militare, strategico e tecnologico, che non poteva di conseguenza opporre

all’esercito italiano delle forze aeree all’altezza. Venne a mancare, dunque, il primo

199 Ibidem 200 Ivi, p. 51 201 Per un quadro d’insieme organico, sia politico sia militare, della guerra di Etiopia, si veda la

monografia di N. LABANCA, La guerra d’Etiopia (1935-1941), Bologna, Il Mulino, 2015

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64

ostacolo che solitamente l’aeronautica militare deve prevedere durante un conflitto,

ovvero la presenza di forze aeree nemiche considerevoli. Nondimeno, però,

all’aeronautica italiana si palesarono molti altri ostacoli ed impedimenti. Le basi

nazionali, ad esempio, erano molto lontane, da qui l’urgenza di attivarsi per la creazione

di basi locali. Inoltre il clima inclemente, dato dalla struttura montuosa del terreno e

dall’altezza sopra il livello del mare, comportava un elevato livello di rarefazione

dell’atmosfera, causa di altrettante difficoltà per le operazioni da compiere in volo202.

Se si guarda a quelli che furono gli impieghi effettivi dell’aeronautica militare nel

corso della guerra d’Etiopia, per certi versi essi confermarono le previsioni teoriche, già

avanzate nel corso degli anni Venti da Douhet, circa il primato della guerra aerea sulle

altre guerre e la sostituzione della prima tipologia di guerra alle seconde. Grazie alle sue

forze aeree, infatti, l’esercito italiano riuscì a tenere sotto controllo le mosse del nemico,

costringendolo ad effettuare quasi esclusivamente spostamenti nottetempo. La libertà di

manovra degli etiopi fu compromessa notevolmente. Incisivo fu anche il ricorso al fuoco

dall’alto tramite bombe e mitragliatrici. Testimonianze italiane della guerra etiopica

rammentano che, talvolta, al solo apparire delle squadriglie aeree italiane, interi nuclei

dell’esercito avversario si disperdevano spontaneamente203.

Le forze aeree italiane ostacolarono i rifornimenti alle forze nemiche ed

esercitarono un attivo controllo su pozzi e guadi; una vera e propria opera di sorveglianza

continua e di disturbo, che seppe trasporsi anche in azioni tattiche di ampio respiro. Non

di rado, infatti, l’aviazione si rivelò efficace nell’inseguire le masse militari africane in

rotta, sostituendosi a quella che in passato era la tipica azione di inseguimento svolta dalla

cavalleria – il che conferma, come vedremo in seguito, quanto radicate fossero nella prassi

bellica contemporanea le teorie di Douhet circa il primato dell’aviazione –204. Preziosa,

inoltre, si rivelò l’opera di rifornimento dall’alto prestata a favore delle unità avanzate.

Intere divisioni in marcia furono vettovagliate in questo modo, vincendo le asperità di un

terreno arduo, su cui non sarebbe stato possibile attuare né carreggi né someggi205.

Dall’alto pioveva ogni sorta di viveri (sacchi di farina, bevande, vivande, etc.),

nonché casse di munizioni ed armi. In alcuni casi fu possibile impiegare le forze aeree

202 Sull’aeronautica in Etiopia si veda l’importante studio di R. GENTILLI, L’aeronautica in Libia

e in Etiopia, in P. Ferrari (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., pp. 301 sgg. 203 Ivi, pp. 311 sgg. 204 P. FERRARI, L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., pp. 268 sgg. 205 Ibidem

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65

anche per il trasporto di bestiame e, naturalmente, per scopi sanitari, provvedendo allo

sgombero rapido di malati e feriti. Se si fa un confronto sommario fra l’utilizzo delle forze

aeree nella guerra d’Etiopia, con quello che fu l’impiego dell’aeronautica nel corso della

Prima guerra mondiale – da parte degli italiani e non solo – si comprende quanto tangibili

fossero stati i progressi; non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche da quello

strategico e funzionale, data la grande varietà e duttilità di impiego che le forze aeree

avevano oramai raggiunto. Durante la campagna dell’Africa orientale, l’aereo fu

adoperato anche come mezzo per spostare interi reparti di truppa. Trasporti che, in alcuni

casi, interessarono addirittura interi battaglioni (esperimento, questo, che sarebbe stato

ripetuto alcuni anni più tardi, in occasione dell’occupazione del territorio albanese

nell’aprile 1939)206.

Già da questo quadro emerge il ruolo assolutamente centrale che le forze aeree

svolsero nelle operazioni militari in Africa orientale. Tale posizione di primato,

purtroppo, assume connotati anche assai deplorevoli, se si pensa ai crimini di guerra che,

come la storiografia più avvertita ha incontestabilmente dimostrato da alcuni decenni a

questa parte, gli eserciti italiani commisero nel continente nero.

Durante le prime fasi dell’aggressione italiana, l’aviazione svolse soprattutto

compiti di ricognizione, come avvenne sul fiume Tacazzè e sulla città di Macallè. Al di

là delle funzioni di osservazione, vettovagliamento, trasporto di uomini, merci, bestiame,

etc., all’inizio del conflitto si affermò anche un’altra funzione, che può essere definita

“funzione ideologica”207. Dai cieli, infatti, gli aerei potevano far piovere letteralmente di

tutto: vettovaglie, bombe, armi, ma anche messaggi e volantini. Oltre al celebre e già

menzionato volo di d’Annunzio su Vienna, un uso “ideologico” delle forze aeree si

riscontra anche nel corso della guerra etiope, allorché il generale Emilio De Bono – che

Mussolini volle al comando dell’esercito coloniale nella prima fase del conflitto – diede

l’ordine alle forze aeree di far piovere su villaggi e centri abitati dei volantini, allo scopo

di creare malumori e divisioni nel fronte interno avversario208.

206 Sull’occupazione italiana dell’Albania cfr. M. BORGOGNI, Tra continuità e incertezza. Italia

e Albania (1914-1939). La strategia politico-militare dell’Italia in Albania fino all’operazione “Oltre Mare

Tirana”, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 256 sgg. 207 Sulla “funzione ideologica” dell’aeronautica militare, cfr. G. DICORATO (a cura di), op.cit.,

pp. 201 sgg. 208 Cfr. S. BELLADONNA, Gas in Etiopia. I crimini rimossi dell’Italia coloniale, Vicenza, Neri

Pozza, 2015, pp. 111 sgg.

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Ma ben presto tutte queste funzioni, caratteristiche della prima fase del conflitto,

furono oltrepassate e integrate da un più concreto e massiccio impiego bellico

direttamente caldeggiato da Mussolini, il quale ordinò a De Bono, peraltro ricalcitrante,

di compiere – citazione testuale di Mussolini – un “balzo in avanti” nell’impiego delle

forze aeree in Etiopia209. I bombardieri che furono schierati tra la fine di novembre 1935

e gennaio 1936 furono oltre un centinaio: «Un complesso offensivo superiore persino – è

stato osservato – a quello che l’Italia avrebbe schierato nella Seconda guerra mondiale

sui fronti belga, russo e nordafricano. Di contro, l’aviazione etiopica era dotata di un

numero incomparabilmente misero di aerei e ancor più scarso di piloti (molti dei quali

stranieri)»210.

Un così massiccio dispiegamento di forze non tardò a produrre i suoi effetti. Dopo

la sostituzione del riluttante De Bono con Badoglio, il 6 dicembre ebbe inizio una delle

più poderose azioni aeree dell’intera guerra, il bombardamento terroristico di Dessiè,

dove in quel periodo risiedeva il negus. La città venne attaccata da 18 aerei Caproni con

esplosivi e spezzoni incendiari, generando conseguenze rovinose per la popolazione211.

Una larga eco di riprovazioni suscitò specialmente, in tutto il mondo civile, il

coinvolgimento dell’ospedale nei bombardamenti. In verità, questa fu solo una delle tante

operazioni contrarie al diritto internazionale umanitario compiute durante le campagne

africane: divenne sempre più evidente l’impotenza delle democrazie occidentali davanti

all’incessante ascesa del bombardiere e alla conseguente sconfitta dello ius in bello212.

Se si è parlato, giustamente, di un primato della guerra aerea nelle campagne

africane e di uno svolgimento delle operazioni belliche spesso in collisione con i principi

umanitari, ciò è dovuto anche al fatto che l’aviazione italiana fece un uso sistematico di

gas tossici, che furono certamente tra le principali cause della sconfitta etiope213. Un ruolo

fondamentale nella guerra chimica condotta dagli italiani in Africa lo ebbe la bomba C-

500T. Questa bomba, sganciata dagli aerei, esplodeva a circa 250 metri di altezza,

209 G. DICORATO (a cura di), op.cit., p. 204 210 S. BELLADONNA, op.cit., p. 112 211 G. FIOCCO, op.cit., p. 112 212 Il negus Hailè Selassiè denunciò a Ginevra i raid dell’aviazione italiana contro il suo popolo e

pose l’attenzione sul grave pericolo che correva l’intero meccanismo della sicurezza collettiva. Con ogni

speranza umanitaria ormai abbandonata, accettando quella situazione si andava creando un precedente

pericoloso. L’assemblea della Società delle Nazioni non ascoltò tale monito, aprendo di fatto la strada a

violazioni sempre più massicce del diritto umanitario. 213 P. FERRARI (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento., cit., pp. 268 sgg.

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sprigionando una pioggia di gocce corrosive dal caratteristico odore pungente, simile a

quello della mostarda. Tale composto chimico era l’iprite, uno dei gas più utilizzati nella

guerra chimica, altresì definito “gas mostarda”214 proprio in ragione del suo odore:

« […] Circa l’efficacia dell’aggressivo liquido, si può dire che esso agisce principalmente

per contatto delle goccioline sulla pelle degli individui colpiti. Il contatto ha luogo anche

attraverso gli indumenti di qualsiasi natura essi siano (lana, tela, cuoio, ecc) se chi li indossa,

appena si accorge di essere colpito, non abbia l’avvertenza di liberarsene. […] L’effetto

dell’aggressivo liquido non è immediato. I primi sintomi si manifestano dalle 6 alle 12 ore dopo

che l’individuo è stato colpito. Dopo 12-24 ore si manifestano le prime lesioni che, se la superficie

colpita è grande, sono gravissime e che, ad ogni modo, sono di lentissima guarigione anche se la

superficie colpita è piccola»215.

In Italia fu preventivato l’acquisto di oltre 4.600 bombe C-500T. In Africa

orientale ne giunsero, fino a tutto il 1936, circa 3.300, ripartite tra Somalia ed Eritrea,

sebbene nel corso di quell’anno la capacità produttiva degli stabilimenti italiani fosse

enormemente aumentata, giungendo fino a 18 tonnellate al giorno216.

Come fosse vissuta dagli stessi protagonisti l’azione svolta dall’aeronautica

militare italiana, è chiarito da importanti testimonianze, tra cui spiccano alcune memorie

di Alessandro Paolini, Ministro della cultura popolare durante il fascismo. Ricordando i

suoi voli sui cieli d’Africa insieme a Galeazzo Ciano, egli scriveva:

«Grande è l’entusiasmo quando apprendiamo che avremo il privilegio di portare per primi

il tricolore sul cielo di Adua. Indico i due batuffoli bianchi a Ciano e a Casero che sono ai posti

di pilotaggio. Mano alzata, Ciano mi fa segno di tenermi pronto a bombardare. Siamo a un

migliaio di metri di quota, diretti al ghebì. Affacciato alla botola che si apre sull’abisso turchino

e verde, regolo il puntamento e poso il pollice sul bottone dello sgancio elettrico delle bombe.

Ciano abbassa la mano; premo il bottoncino d’osso. Seguiamo tutti con gli occhi il precipitare

della bomba. Si sa che al suo scoppio – solitario su quest’altipiano remoto e poco praticato, in

mezzo a un villaggio di nome famoso ma di misero aspetto – per uno straordinario concorso di

214 S. BELLADONNA, op.cit., pp. 113 sgg. 215 Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, Fondo AOI, cart. 176,

fasc.1 216 S. BELLADONNA, op.cit., pp. 116 sgg.

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68

circostanze il mondo intero tende l’orecchio»217.

Il regime fascista tentò di far passare sotto silenzio l’uso dei gas, ma le accuse

contro i metodi di guerra italiani erano fondate e le conseguenze degli stessi troppo

evidenti218. Di fatto l’iprite fu il fattore tattico decisivo del conflitto, che permise di

abbreviarlo di anni219.

Nel febbraio 1936 i gas, quantomeno sul fronte nord, non furono più impiegati.

Vi è tuttavia ragione di ritenere che ciò non fu dovuto a motivazioni di ordine strategico-

militare, bensì meramente politico. Il 2 marzo, infatti, si sarebbe riunito il Comitato dei

Diciotto per discutere le sanzioni che la Società delle Nazioni avrebbe dovuto comminare

a chiunque violasse le regole del diritto internazionale umanitario, anche con l’impiego

di armi chimiche. L’ordine del giorno prevedeva, tra le più pesanti sanzioni ai danni

dell’Italia, l’estensione dell’embargo al petrolio: il che si sarebbe tradotto, nel nostro

Paese, in una crisi semplicemente irreversibile. Se le indagini avessero confermato

l’impiego dei gas, la comunità internazionale avrebbe dovuto fermare quel metodo di

guerra. I rappresentanti britannici del Comitato portarono avanti una linea dura nei

confronti dell’Italia, ma si scontrarono spesso con l’ostruzionismo francese. Il 9 aprile,

un sottocomitato di giuristi creato per l’occasione riconobbe che non vi erano procedure

ufficialmente riconosciute da seguire in caso di violazione delle norme belliche; pertanto,

i delegati si limitarono soltanto ad elaborare un telegramma che chiedeva ai belligeranti

di porre fine a tutte le violazioni in corso220.

Le sanzioni verso l’Italia non entrarono dunque in vigore – anche grazie, come

già menzionato, all’efficace intervento positivo della Francia a sostegno dell’Italia221 – e

gli attacchi aerei a base di gas ripresero indisturbati. Verosimilmente, Mussolini e i suoi

generali poterono sfruttare il fatto che l’attenzione della Società delle Nazioni, ad un certo

punto, fu dirottata verso eventi di gravità maggiore: il 7 marzo Hitler aveva radicalizzato

la sua contestazione del Trattato di Locarno e si accingeva alla militarizzazione della

217 Ivi, pp. 69-70 218 Per approfondimenti cfr. A. DEL BOCA (a cura di), I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra

d’Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 1996, pp. 17-48 219 G. FIOCCO, op.cit., p. 116 220 Ivi, p. 121 221 Per approfondimenti sulle complesse relazioni politico-diplomatiche tra Italia e Francia fino a

tutto il 1936, cfr. la monografia di F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 nella

politica estera di Mussolini, Roma, Carocci, 1984, pp. 219 sgg.

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69

Renania222.

Storicamente, la conquista dell’Etiopia culminò nella proclamazione dell’Impero

a seguito della presa di Addis Abeba. Il ruolo cruciale che l’aviazione italiana aveva

ricoperto nel raggiungimento di questa vittoria fu subito esaltato dall’opinione pubblica,

dalla stampa e dalla propaganda politica, anche per via del fatto che dell’aviazione

avevano fatto parte, in qualità di ufficiali, alcuni membri della famiglia del Duce223.

Ma la forza militare aerea italiana fu giudicata anche con una profonda

ambivalenza, soprattutto all’estero, dove i bombardamenti chimici avevano provocato

indignazione in larghi strati dell’opinione pubblica. D’altronde, la cosiddetta “guerra

chimica” era stata opera proprio della nostra aviazione, che per prima aveva mostrato al

mondo l’uso dell’aeroplano moderno in campo militare, facendo dell’Etiopia «un

gigantesco laboratorio della guerra terroristica»224. Certo è che la Regia Aeronautica

aveva sistematicamente e ripetutamente violato i princìpi bellici umanitari ed

inevitabilmente ciò si tradusse in una violenta campagna anti-italiana da parte della

stampa estera, specie anglosassone e americana; questo anche perché la visibilità della

guerra aerea era stata macroscopica. Come è stato infatti opportunamente osservato da

Gentilli, «gli aeroplani non si possono nascondere: nessun inviato poteva sapere se gli

Ascari o le Camicie Nere distruggevano un villaggio, ma se una bomba cadeva per sbaglio

nei pressi di un ospedale da campo, tutti i giornali di Gran Bretagna e Stati Uniti parlavano

dei “crimini degli aviatori fascisti”»225.

A questo punto, vale la pena tracciare un bilancio della funzione svolta dalla Regia

Aeronautica nella Guerra d’Etiopia. Abbiamo visto come, a partire dal primo conflitto

mondiale, l’aeronautica andò rendendosi sempre più autonoma rispetto all’esercito e,

anzi, secondo le teorizzazioni del generale Douhet e di altri autori affini, essa avrebbe

dovuto finire per inglobare all’interno dei suoi piani strategici ogni altro aspetto della

guerra contemporanea. Ma nella Guerra d’Etiopia tutto questo non si verificò affatto: la

guerra combattuta dagli aerei non ebbe ruolo autonomo, bensì fu risolutamente posta al

servizio dell’esercito (il cui comando era affidato a Pietro Badoglio). Ciò significava che

i compiti assegnati alle forze aeree erano sostanzialmente di sussidio alle truppe di

222 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, op.cit., pp. 113 sgg. 223 Cfr. R. GENTILLI, op.cit., pp. 317 sgg. 224 G. FIOCCO, op.cit., p. 117 225 R. GENTILLI, op.cit., pp. 317-318

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70

terra226. Per Badoglio, l’aeronautica non era dal punto di vista strategico un’arma

radicalmente innovativa, che avrebbe dovuto mutare complessivamente l’assetto della

guerra configurando in essa una terza dimensione assolutamente prioritaria. Per il

Generale, infatti, “aeronautica” significava semplicemente artiglieria con raggio più

lungo e, in ultima analisi, intendenza alata. Per lui le forze aeree non erano se non «mortai,

cavalleggeri e carretti casualmente con le ali»227. Lo stesso Badoglio, del resto, in un

importante documento come la sua monografia dal titolo “La Guerra d’Etiopia”228,

redatta a ridosso della proclamazione dell’Impero, esplicitamente asseriva:

«All’aviazione io affidavo il compito che le forze terrestri non potevano più assolvere:

quello di inseguire le colonne nemiche»229.

Lungi, tuttavia, dall’ottica di Badoglio, l’intenzione di sminuire la rilevanza del

ruolo giocato dall’aviazione nei cieli di Etiopia. Scriveva sempre il Generale:

«L’aviazione italiana in Etiopia, assicurando rapide vittorie e rapide conquiste, ha mutato

radicalmente le tradizionali norme tattiche della guerra coloniale»230. Non era certamente

una visione retrograda: tuttavia, se si pone a raffronto con quella di Douhet, ne scaturisce

un’antitesi netta e, soprattutto, in Badoglio, una lungimiranza senza dubbio minore. Che

con la guerra nei cieli si introducesse una terza dimensione bellica, tale da stravolgere la

guerra come conosciuta fino a quel momento rendendola “guerra totale”, era una delle

consapevolezze che a Badoglio, almeno per il momento, sfuggivano. Tuttavia, egli era

portato ad asserire che nel futuro l’aviazione sarebbe stata impegnata in compiti sempre

nuovi, avrebbe dato contributi sempre più importanti e decisivi, sicché a buon diritto essa

doveva essere definita “l’arma dell’avvenire”231.

L’aeronautica italiana, anche dopo la proclamazione dell’Impero, continuò a

svolgere una funzione in senso stretto militare insostituibile. Le fu infatti attribuito un

compito di presidio coloniale e una funzione permanente di polizia. Così, se durante la

guerra etiopica le forze aeree italiane avevano operato su una direttrice di non più di 400

chilometri, da Asmara a Dessié, dopo la disfatta dell’Etiopia e con un potenziale rimasto

226 Cfr. P. PIERI – G. ROCHAT, Badoglio, Torino, UTET, 1974, pp. 99 sgg.; L. PIGNATELLI,

La guerra dei sette mesi, Milano, Longanesi, 1992, pp. 33 sgg. 227 R. GENTILLI, op.cit., p. 318 228 P. BADOGLIO, La guerra d’Etiopia, Milano, Mondadori, 1936 229 Ivi, pp. 79 sgg. 230 Ivi, p. 119 231 Ivi, p. 110

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71

immutato, esse si trovarono a dover offrire copertura aerea ad un territorio enormemente

più vasto, dal momento che la sua estensione era pari a 20 paralleli e 20 meridiani232. Per

fronteggiare tale situazione, fu ideata la creazione di una pluralità di basi aeree a carattere

autosufficiente (tra le quali Imi, Javello, Irgalem, Gondar). Sempre Badoglio, nel testo

dianzi menzionato, ci offre un quadro chiaro di quale fosse il compito che le forze aeree

italiane svolgevano anche dopo la proclamazione dell’Impero:

«Il vastissimo territorio è controllato per intero dalle nostre squadriglie […]. L’Impero

etiopico è suddiviso in settori aeronautici opportunamente adattati ai governi costituiti: in ogni

settore esiste una serie di campi base e di campi di manovra perfettamente attrezzati […]. Le forze

aeree dell’impero africano, forti di qualche centinaio di apparecchi, tenuti sempre in efficienza

con mezzi e con riserve già predisposti in sito, costituiscono una massa aerea di primo ordine,

destinata a un peso preponderante in qualsiasi contingenza a venire, anche improvvisa»233.

È possibile cogliere anche il rovescio della medaglia dei successi vantati dalla

propaganda ufficiale italiana. Di fatto, queste parole lasciavano trapelare

un’interpretazione dell’aeronautica italiana alla stregua di una sorta di mero presidio

coloniale. Le visioni strategiche relative alla poderosa guerra che si andava preparando in

Europa sembravano, dunque, escludere un ruolo centrale dell’aviazione – e ciò proprio

mentre i teorici, come a breve si vedrà, attribuivano un ruolo assolutamente cruciale e

insostituibile alle forze aeree in ogni guerra a venire –. Era come se politici e militari

italiani escludessero per l’aeronautica tricolore qualsiasi visione strategica di portata

oceanica. Non è un caso, infatti, che anche gli stanziamenti di fondi previsti per

l’aeronautica italiana, subito dopo la fine della guerra in Etiopia, si ridussero

drasticamente. Se nel 1936-1937 lo stanziamento per l’aeronautica italiana dell’Africa

orientale era stato di 600 milioni (114 dei quali rappresentavano un contributo del

Ministero delle Colonie), nel successivo anno 1937-1938 esso scese drasticamente a 231

milioni234.

Ancora una volta è possibile avvertire il divario esistente tra la propaganda di

regime, tesa ad enfatizzare il ruolo dell’aeronautica e a promettere stanziamenti, e la ben

232 R. GENTILLI, op.cit., pp. 322-323 233 P. BADOGLIO, op.cit., pp. 116 sgg. 234 R. GENTILLI, op.cit., pp. 323-324

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più prosaica realtà dei fatti. Il Duce soleva ripetere che un’aviazione imperiale, degna

della nuova realtà politica creata dagli sforzi espansionistici italiani, era oramai una realtà

che sarebbe divenuta ancor più forte e potente. Questo rimase, per lungo tempo, soltanto

un proclama ad effetto cui non tennero dietro i fatti. Ecco anche il motivo per cui, per il

servizio svolto nell’Africa orientale, l’aviazione non conseguì grandi onori militari.

Inoltre il fuoco della propaganda, nel frattempo, si stava spostando sulla Spagna. Era,

cioè, nei cieli iberici che ora si costruivano le carriere e si accumulavano medaglie.

3.4. La guerra civile spagnola

Terminata la sua attività in Etiopia, la guerra aerea si spostò in Spagna, dove si

svolse essenzialmente in due fasi: la prima, più breve, ebbe luogo tra l’agosto e l’ottobre

1936; la seconda, assai più lunga, ebbe inizio dal periodo immediatamente successivo e

si protrasse fino al 1939, vale a dire fino alla fine del conflitto235.

Nella prima fase delle operazioni belliche aeree emerse subito la superiorità

tecnica del fronte nazionalista, anche grazie agli aiuti di cui i golpisti poterono avvalersi,

soprattutto da parte di tedeschi e italiani. Il 6 agosto, infatti, sbarcarono a Cadice 36

velivoli tedeschi: 6 caccia biplani Heinkel He 51 e 30 Junkers Ju 52. Le funzioni

logistiche di trasporto furono decisive già in questa primissima fase del conflitto, dal

momento che grazie a questi velivoli tedeschi fu possibile trasferire sul continente

sostanziosi reparti del cosiddetto “esercito d’Africa spagnolo”.

Quanto ai contributi italiani in questa prima fase, essi corrisposero a 10

bombardieri S.81 partiti dalla Sardegna il 30 luglio, con la funzione di contrastare

soprattutto la flotta spagnola che per lo più era rimasta fedele al regime repubblicano,

rendendo di fatto impossibile l’intervento navale contro i golpisti. Si può tranquillamente

sostenere che il contributo nazi-fascista in questa fase, se si considera l’intero triennio

della guerra civile, fu forse in assoluto il più rilevante per la causa dei golpisti spagnoli.

Non bisogna dimenticare che il cosiddetto Alzamiento del 18 luglio 1936 era riuscito in

vaste aree del Paese, ma era significativamente fallito proprio nelle città più importanti

(Barcellona, Madrid, Valencia, Bilbao), anche per via dell’adesione solamente parziale

della Guardia Civil e dell’esercito, che si erano divisi al loro interno, schierandosi a favore

235 Cfr. A. EMILIANI – G. F. GHERGO, Nei cieli di Spagna, Milano, Apostolo, 1986

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oppure contro il colpo di Stato.

Dopo la Prima guerra mondiale, la guerra civile di Spagna fu cartina di tornasole

di quanto rilevante fosse oramai divenuto il ruolo delle forze aeree in qualsiasi guerra. La

Repubblica spagnola, infatti, fu soffocata in tre anni di aspro conflitto, che alla fine

portarono all’instaurazione della dittatura. Se non ci fosse stato un così tempestivo aiuto

da parte tedesca e italiana, il golpe non sarebbe mai stato possibile.

Gli aviatori tedeschi vennero inquadrati in un’apposita legione denominata

“Condor”236. Gli aviatori inviati dal regime fascista, invece, dapprima operarono

camuffati come membri della Legione straniera, ossia mercenari. Sta di fatto che sia gli

uni sia gli altri rimasero indiscutibilmente padroni del campo fino a tutto l’ottobre 1936.

Nel contrastare la resistenza repubblicana, si distinse in particolare l’aviazione italiana.

Fra i velivoli utilizzati, vale la pena ricordare il famoso Fiat C.R.32: un biplano da caccia

del 1934, dotato di due mitragliatrici con 400 colpi ciascuna, che grazie ai modesti carichi

alari poteva compiere prestazioni acrobatiche notevolissime237. Contro questi Fiat,

l’aviazione repubblicana non poté contrapporre se non degli antiquati Delage 52, senza

nemmeno la possibilità di avvalersi dell’appoggio dell’aviazione straniera, dato

l’isolamento di cui soffrì in questa prima fase del conflitto. Francisco Franco non fu nelle

condizioni di poter organizzare un vero e proprio blocco navale che impedisse il

rifornimento alle forze repubblicane resistenti, ma a ciò supplì l’aviazione che, con i suoi

bombardamenti intensivi di porti e navi, esercitò un vero e proprio “blocco aereo”,

contribuendo in maniera decisiva alla vittoria delle forze nazionaliste spagnole238.

Si entra così in quella che è stata definita, in riferimento alla guerra aerea, la

seconda fase della guerra civile spagnola (novembre 1936 – aprile 1939)239. In questa fase

il panorama generale iniziò a cambiare, anche perché il soverchiante primato italo-tedesco

a sostegno dei golpisti iniziò ad essere contrastato dall’arrivo delle prime brigate

internazionali, manifestazione dell’antifascismo europeo (di cui fecero parte gli stessi

236 Cfr. R. H. WHEALY, Hitler and Spain. The Nazi Role in the Spanish Civil War, Lexington,

The University Press of Kentucky, 1989, pp. 101-102 237 In seguito al suo impiego nella guerra civile spagnola, questo aereo si guadagnò il titolo di uno

dei migliori biplani prodotti. 238 Per un quadro aggiornato della Guerra civile spagnola cfr. A. BOTTI (a cura di), Guerra civile

spagnola, Milano, Corriere della Sera, 2016; A. BEEVOR, La Guerra civile spagnola, Milano, Rizzoli,

2010; T. HUGH, Storia della Guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1964 239 Cfr. L. CEVA, L’aeronautica nella Guerra civile spagnola, in P. Ferrari (a cura di),

L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, cit., pp. 337 sgg.

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74

italiani e tedeschi).

Questa parte della guerra si aprì con pesanti incursioni sulla città di Madrid da

parte dell’aviazione italo-tedesca. Non mancarono, anche qui, forti accuse contro le

modalità di bombardamento, ma la guerra aerea non si arrestò. Tristemente nota fu

l’incursione aerea dell’aprile 1937 compiuta dall’Aviazione Legionaria italiana e dalla

Legione Condor tedesca con potenti ordigni esplosivi e proiettili incendiari di alluminio

sulla città basca di Guernica – evento reso poi celebre dalla grande tela omonima di

Picasso –. Scelsero per attaccare un lunedì, giorno del mercato settimanale, così che fosse

presente una grande concentrazione di persone. Questo raid così spietato si inquadrava

all’interno delle operazioni nel nord della Spagna della primavera-estate 1937 (nell’area

di Santander, Bilbao e Durango)240 e costituì un vero e proprio esperimento di guerra

totale, una sorta di banco di prova specialmente per la giovane Luftwaffe. Nonostante

Francisco Franco negasse ogni coinvolgimento dei nazionalisti nella distruzione di

Guernica, attribuendone invece la responsabilità ai “rossi” stessi (che avrebbero così

potuto screditare il nemico), la maggior parte dell’opinione pubblica si convinse subito

che si fosse trattato di deliberato terrorismo di matrice nazionalista.

Nella seconda fase della guerra civile spagnola si assistette ad un complessivo

mutamento di fisionomia, non soltanto per quanto concerneva la guerra aerea. I

nazionalisti assunsero la qualifica di “franchisti”, dal momento che, tra i vari capi golpisti

che avevano condotto le operazioni sino a quel momento, Franco era asceso ad una

posizione di indubbia preminenza – tanto che nel novembre 1936 egli riuscì a farsi

nominare Generalissimo, nonché Capo dello Stato –. Sul lato repubblicano, un ruolo

cruciale fu svolto dagli aiuti sovietici, che si tradussero nell’intervento di aerei come i

biplani Polikarpov I-15, in grado di competere validamente con i Fiat italiani. Di fronte a

quanto accadeva in Spagna, si registrò una vera e propria paralisi delle democrazie

europee ed occidentali. La conseguenza della massiccia presenza sovietica nel conflitto

fu, nel maggio 1937, la formazione del Governo Negrín, in virtù del quale la Repubblica

assunse un carattere progressivamente socialista241.

Dopo la battaglia dell’Ebro, che si svolse dal luglio all’ottobre 1938, la

Repubblica era oramai sul punto di capitolare. In particolare gli aiuti sovietici si andarono

240 Cfr. A. BEEVOR, op.cit., pp. 172 sgg. 241 Cfr. T. HUGH, op.cit., pp. 199 sgg.

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progressivamente diradando, soprattutto per via dell’ostacolo rappresentato dalle forze

aeree italiane e tedesche e dai sommergibili italiani. Questo si spiega anche alla luce dei

grandi mutamenti che stavano intervenendo nella politica europea del tempo; difatti, le

pulsioni espansionistiche naziste nell’Europa centrale e orientale tra il marzo 1938 e il

marzo 1939 indussero Stalin ad un mutamento di prospettiva che si tradusse, infine, nel

patto di reciproca non belligeranza con Hitler e nel conseguente abbandono della causa

spagnola.

Come già successe in Etiopia, anche nella guerra civile spagnola le forze aeree si

resero protagoniste di azioni contrarie al diritto internazionale umanitario – ombre, anche

assai intense, che sempre accompagnarono le luci della guerra aerea del Novecento –.

Oltre al menzionato bombardamento di Guernica, ad esempio, allorché fu presa

Barcellona nel gennaio 1939, i resti dell’esercito repubblicano, insieme a quasi mezzo

milione di profughi civili, furono costretti a ritirarsi al di là dei Pirenei. Un esodo di

proporzioni immani che ebbe tragiche conseguenze specialmente per i civili, i quali, con

la speranza di giungere in Francia e trovare ospitalità presso i campi per rifugiati che ivi

venivano allestiti, erano intanto sottoposti ai bombardamenti dal cielo delle forze aeree

italiane e tedesche242. Due mesi più tardi, il 28 marzo, capitolò anche Madrid e Francisco

Franco dichiarò terminata la guerra.

Numerosi furono, in quei mesi, i dibattiti delle democrazie occidentali sul

carattere totalizzante della guerra aerea in Spagna, a partire dalla tragedia di Guernica.

Da una parte, molti condannarono senza mezzi termini la spietatezza dell’aviazione italo-

tedesca, accusandola di terrorismo e chiedendo a gran voce la conduzione di un’inchiesta

internazionale da parte della Società delle Nazioni. Dall’altra parte, molti altri non furono

disposti a sottoscrivere le accuse di terrorismo e portarono all’attenzione pubblica esempi

di altrettanti bombardamenti effettuati dall’aviazione repubblicana, nonché il fatto che,

durante la Grande Guerra, anche gli inglesi, che ora si dicevano indignati, avevano

bombardato chiese e campanili per eliminare posti di osservazione nemici243. Spettò

comunque al Primo Ministro inglese Eden il compito di tirare le somme della disputa:

egli riconobbe la gravità di quanto accaduto a Guernica ed esternò il timore che quello

potesse rappresentare un precedente. L’uso smisurato del bombardiere costituiva un

242 Ivi, pp. 300 sgg. 243 G. FIOCCO, op.cit., p. 147

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pericolo per tutta l’Europa e, pertanto, sarebbe stato opportuno avviare un’inchiesta

internazionale sulla vicenda di Guernica. Tuttavia, in un clima quasi surreale di ipocrisia,

ancora una volta la battaglia contro la guerra aerea si rivelò persa in partenza244.

Dall’esame delle vicende spagnole emersero problemi strategici nuovi ai quali

non si era mai pensato prima. Ad esempio, si iniziò ad intuire che il bombardiere di

precisione in picchiata sarebbe stato presto sostituito dal bombardamento ad alta quota e

che il ricorso ad attacchi aerei dal mare, dove era più difficile organizzare una rete

d’avvistamento, sarebbe diventato sempre più frequente245. Inoltre, bisognava anche

considerare il valore psicologico dell’arma aerea: quali effetti aveva sul sistema nervoso

della popolazione civile e dei tanti operai che, con spirito di sacrificio, continuavano il

loro lavoro nelle industrie militari, nonostante il suono delle sirene? Per i sostenitori della

forza distruttrice del bombardiere, l’opera di logoramento svolta dagli aeroplani

provocava una pressione e uno stress tali nella popolazione da far sviluppare un rifiuto

della guerra, dimostrando così che un’efficace supremazia aerea poteva condurre più

velocemente alla vittoria246. Secondo altre testimonianze, invece, la tesi

dell’insostenibilità psicologica dei raid era infondata: esempio lampante, in tal senso,

poteva essere l’assedio di Barcellona, durante il quale la resistenza popolare si era

dimostrata accanita anche davanti agli attacchi più intensi247; addirittura, i trasporti

avevano continuato a circolare regolarmente, i cinema e i caffè erano rimasti aperti e la

gente si riuniva ogni giorno in strada per commentare i danni dell’ultima incursione248.

Questo tipo di reazione – dato dalla rassegnazione, dall’assuefazione ma anche dalla

fierezza di combattere per una giusta causa – dimostrava l’inconsistenza dell’assunto di

una fragilità psicologica delle masse sottoposte a bombardamenti.

I civili spagnoli morti nei bombardamenti furono circa 15mila, cifra che

rappresentava soltanto il 4 per cento del numero totale delle vittime del conflitto249;

l’aeroplano era quindi ancora lontano dal rappresentare la prima causa di morte in

244 Cfr. P. PRESTON, La guerra civile spagnola (1936-1939), Milano, Mondadori, 1999, pp. 123-

124 245 G. FIOCCO, op.cit., p. 152 246 Cfr. G. L. STEER, Lessons of the Spanish War, in “The Spectator”, 23 luglio 1937, p. 138 247 Cfr. T. HUGH, op.cit., p. 549 in cui afferma che «molti feriti, dalle loro barelle, esortavano col

pugno chiuso la gente a resistere». 248 Cfr. G. FIOCCO, op.cit., p. 153 249 Ivi, p. 157

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guerra250, con buona pace dei profeti dell’arma aerea.

250 Emblematico il caso del Generale inglese Fuller, il quale, giunto in Spagna, osservò che i

bombardieri avevano provocato danni insignificanti, e si meravigliò davanti alla tranquillità dei civili

nonostante gli allarmi.

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CAPITOLO QUARTO

4. IL POTERE AEREO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

4.1. Il potere aereo nella Seconda guerra mondiale

Ancor più che nella Grande Guerra, nella Seconda guerra mondiale l’aviazione

svolse un ruolo assolutamente fondamentale, a partire dagli esordi sino alle battute finali

del conflitto. In qualsiasi teatro di combattimento furono presenti aeroplani, e questi

furono impiegati senza esclusione di colpi da tutte le nazioni in lotta. Si videro, infatti, gli

aeroplani svolgere, di volta in volta, le funzioni più disparate: di bombardiere (tattico,

strategico e in picchiata); di cacciabombardiere e caccia; di trasporto; di collegamento; di

ricognizione; di aerosilurante e pattugliatore marittimo, proprio per limitarsi agli aspetti

più essenziali251. Non vi è dubbio, insomma, che le sorti della Seconda guerra mondiale

furono profondamente influenzate dall’aviazione, in primo luogo perché l’aereo venne

adoperato come bombardiere e dunque – in ottemperanza, si potrebbe dire, alle teorie di

Douhet e dei suoi seguaci – fu deputato alla distruzione strategica di centri industriali e

infrastrutture, oltre che del morale delle popolazioni; in secondo luogo, perché l’aereo

diede un suo fondamentale contributo anche allo svolgimento delle offensive di terra e di

mare.

Douhet, Mitchell e – come vedremo più oltre – de Seversky avevano rivendicato

la tesi per cui marina ed esercito erano, se non obsoleti, comunque destinati ad un ruolo

secondario. La sicurezza degli Stati – e in primo luogo degli Stati Uniti, se ci atteniamo

soprattutto alle teorizzazioni di Mitchell – avrebbe dovuto poggiare sulla forza aerea,

quantunque basata a terra o in mare mediante portaerei252. Tali teorie sembravano essere

state confermate proprio da tutte le operazioni di bombardamento dell’Italia contro

l’Etiopia, nonché nel corso della guerra civile spagnola, della guerra sino-giapponese e

nella prima parte della Seconda guerra mondiale. Eppure, come si vedrà nel dettaglio, pur

senza negare l’autonomia dell’aviazione, si osserva come, nella Seconda guerra

mondiale, la forza aerea abbia potuto espletare le sue funzioni solo nel quadro di una

251 G. DICORATO (a cura di), op.cit., pp. 118 sgg. 252 B. R. SULLIVAN, Miti e realtà del potere aereo dopo il 1945. La prospettiva americana, in

P. Ferrari (a cura di), L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento., cit., pp. 441 sgg.

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cooperazione con le forze di terra e di mare. Il bisogno di portare avanti operazioni

congiunte divenne evidente all’inizio della Seconda guerra mondiale; nessuna delle

potenze belligeranti, in quel momento, era pronta ad attuare tali operazioni, ma furono

costrette dalle circostanze ad imparare rapidamente.

Non sempre, nel corso della storia, la jointness – ovvero la cooperazione tra le

forze militari – è stata vista come necessaria; anzi, talvolta addirittura è stata ritenuta non

auspicabile.

Durante la Seconda guerra mondiale la collaborazione tra le forze di aria, terra e

mare è divenuta indispensabile proprio a causa dello svilupparsi del potere aereo. Essendo

ormai chiaro come l’aeroplano fosse essenziale nella conduzione delle operazioni sia a

terra che in mare, la dimensione dell’aria non poteva più essere ignorata e non si poteva

più negare l’importanza di un’azione militare congiunta e coordinata. Ovviamente,

l’avvicinamento tra le forze ha causato dei disaccordi e delle tensioni, se non altro perché

soldati, marinai e aviatori hanno diverse idee e punti di vista sulla natura della guerra,

sulla conduzione di un conflitto, sulle strategie da attuare, sulla dottrina da seguire, etc.

Queste diverse interpretazioni hanno certamente influenzato l’utilizzo dell’aeroplano

nelle operazioni svolte durante la Seconda guerra mondiale, ma in ogni caso il potere

aereo si è rivelato cruciale in ognuna di quest’ultime (anche se quasi mai davvero

risolutivo, escludendo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki).

4.2. La Campagna di Polonia e la Campagna di Norvegia

I primi due anni del secondo conflitto mondiale furono caratterizzati, per lo più,

dalla lotta tra la Luftwaffe e le forze alleate.

Nell’agosto 1939 iniziò a girare la voce che Hitler avesse intenzione di sferrare a

breve un attacco contro la Polonia. Questa fuga di notizie spaventò non poco gli stessi

capi militari tedeschi, convinti fino a quel momento che non avrebbero dovuto affrontare

nessun conflitto rilevante prima del 1942253. Compiere un simile gesto avrebbe significato

entrare in guerra anche contro Francia e Gran Bretagna, ritrovandosi impegnati su ben

due fronti contemporaneamente, ma Hitler si dimostrò deciso nel perseguire la sua idea

di un blitzkrieg (guerra.-lampo) per affondare la Polonia; anzi, il 23 agosto firmò a Mosca

253 B. COLLIER, op.cit., p. 161

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80

il patto russo-tedesco e ordinò ufficialmente l’invasione della Polonia, prevista per il 1°

settembre.

La Germania utilizzò, per il bombardamento sulla Polonia, assetti tattici anziché

strategici, a causa del divieto – derivante dalle dure condizioni del Trattato di Versailles

– di costruire motori potenti in grado di trasportare e sganciare grosse quantità di ordigni

esplosivi; per questo si dedicò alla costruzione di bombardieri tattici come il noto JU-87

Stuka. Alla campagna di Polonia furono assegnate due Luftflotte, le quali già nel giro di

due giorni annientarono l’aviazione polacca; successivamente, esse si dedicarono ad

appoggiare le forze terrestri, sia direttamente tramite bombardamento su truppe nemiche,

sia indirettamente bombardando strade e ferrovie, depositi di munizioni, fabbriche di

armi, etc. In seguito ai pesanti attacchi aerei, al bombardamento di Varsavia e all’avanzata

delle truppe tedesche e russe, la Polonia si arrese entro la fine del mese. Le prestazioni

della Luftwaffe in Polonia attirarono l’attenzione di molti osservatori: ormai era evidente

la portata della potenza aerea tedesca.

In seguito all’attacco alla Polonia, come previsto Francia e Gran Bretagna

dichiararono guerra alla Germania. Tuttavia, le due potenze non erano in grado di avviare

un’offensiva sul fronte occidentale, per questo cercarono di guadagnare più tempo

possibile per raccogliere le loro forze e affrontare il Terzo Reich. Si verificò quindi un

periodo di stallo nelle operazioni militari di terra (Sitzkrieg, ovvero guerra seduta), tanto

che, fino alla primavera del 1940, solamente la Luftwaffe si vide impegnata in qualche

missione di tipo aeronavale, nel lancio di volantini propagandistici o nel compimento di

raid sul Regno Unito. Questi raid provocarono contrasti tra la Luftwaffe e la marina

militare tedesca, essendo quest’ultima timorosa di ritorsioni britanniche, che raggiunsero

il culmine quando la Luftwaffe affondò per sbaglio due cacciatorpediniere tedeschi. Vi

furono, poi, diversi scontri aerei sopra la linea Maginot tra la Luftwaffe e l’Armée de l’air

francese.

Nella primavera del 1940 la situazione si sbloccò. L’alleanza stretta da Hitler con

l’Unione Sovietica costituiva sempre più motivo di grande preoccupazione e ormai non

c’era più tempo da perdere; gli Alleati iniziarono a cercare la soluzione migliore per

fermare la Germania. Dopo molte riflessioni sul da farsi, arrivarono a considerare la

possibilità di rivolgere la loro attenzione al Nord Europa, precisamente alla Norvegia,

poiché quest’ultima costituiva per la Germania la maggior fornitrice di minerale di ferro,

Page 81: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

81

materiale utilissimo nella produzione di armi. Nonostante la Norvegia si fosse dichiarata

neutrale, gli Alleati erano convinti che, compromettendo i rifornimenti di ferro alla

Germania ed assicurandoseli per sé, sarebbero riusciti ad arginare il pericolo tedesco; per

tale ragione Winston Churchill ordinò alla Royal Navy di piazzare delle mine esplosive

nelle acque territoriali norvegesi, in modo tale da spingere i cargo tedeschi carichi di ferro

destinato alla Germania verso il mare aperto, per intercettarli e distruggerli lì.

Così, nell’aprile 1940, la Royal Navy iniziò effettivamente a piantare esplosivi

nelle acque territoriali norvegesi. A quel punto Hitler, preoccupato di non poter più avere

accesso al ferro, iniziò a sviluppare un piano per occupare sia la Norvegia che la

Danimarca, in modo da proteggere l’accesso al Baltico ed assicurarsi che il commercio

del ferro rimanesse intatto. La sua idea era quella di un attacco rapido, su larga scala e

poderoso; tuttavia, la Germania non era ancora avvezza alle operazioni militari congiunte,

tanto che, nel cercare di coordinare l’azione delle tre forze, sorsero non pochi problemi.

Durante la campagna, i comandi dell’aria, della terra e del mare finirono per ricevere gli

ordini separatamente, dimostrando tutta la debolezza intrinseca della mancanza di

sinergia tra le forze.

Nonostante ciò, il piano di Hitler si svolse con successo: le due principali basi

aeree danesi furono subito sfruttate dalla Luftwaffe per trasportare truppe e rifornimenti

verso la Norvegia254 ed utilizzate come trampolino per i bombardieri a lungo raggio; dopo

solamente un giorno, la Danimarca si arrese e le cinque città portuali più importanti della

Norvegia, assediate da circa 1000 aerei, 6 divisioni dell’esercito, truppe di superficie ed

un battaglione di paracadutisti, capitolarono255.

Al tempo della campagna di Norvegia, le operazioni militari congiunte erano nella

loro fase embrionale, per questo non si concretizzarono in modo appropriato. Tanto i

tedeschi quanto gli Alleati non riuscirono ad istituire un comando che gestisse la

cooperazione interforze; ci furono ordini contrastanti riguardo una stessa operazione e

l’intelligence non fu in grado di trasmettere informazioni accurate sui numeri e le

posizioni dell’aviazione nemica256. Gli Alleati, poi, formarono due task force

indipendenti al fine di rioccupare Trondheim e Narvik, ma le operazioni a Trondheim si

254 Si stima che la Luftwaffe riuscì a trasportare quasi 3000 truppe tedesche in Norvegia,

effettuando così il più grande trasporto aereo di tutta la guerra. 255 P. S. MEILINGER, op.cit., p. 132 256 Ivi, p. 135

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82

rivelarono un disastro, anche perché la base aerea più vicina si trovava a 600 miglia di

distanza e quindi la RAF non potè intervenire; a Narvik la situazione fu invece meno

negativa per gli Alleati, ma solamente perché, trovandosi molto a Nord della Norvegia,

anche la Luftwaffe ebbe difficoltà ad agire in quella zona così inospitale.

Il successo della Germania in Norvegia si deve esclusivamente al fatto che la

Luftwaffe possedesse la superiorità aerea; il Consiglio dei Ministri inglese credeva che la

superiorità in mare avrebbe permesso ai britannici di giungere dalle coste ed agire in

Norvegia tranquillamente, ma la Luftwaffe già dominava lo spazio aereo sopra il litorale.

Senza il controllo dell’aria, e quindi della superficie sottostante, era impossibile per gli

Alleati condurre operazioni decisive. Nel giro di due settimane essi si videro costretti ad

evacuare le loro forze dalla Norvegia, anche perché, nel frattempo, era scoppiata la

Battaglia di Francia (maggio 1940) e la campagna di Norvegia perse conseguentemente

di importanza.

4.3. La Campagna di Francia

In seguito ai successi riportati in Polonia e in Norvegia, Hitler percepì l’esigenza

di impiegare finalmente la propria forza militare anche sul fronte occidentale. In

particolare, i suoi piani prevedevano l’occupazione del Belgio e dei Paesi Bassi, e

successivamente l’attacco alla Francia, in modo da colpire al cuore gli Alleati. Alla vigilia

dell’attacco, le unità corazzate tedesche risultavano nettamente rafforzate: erano 10 e

comprendevano 2600 carri armati, contro i 2400 francesi e britannici. Gli Alleati non

possedevano, dunque, una forza corazzata di contrattacco adeguata a quella dei

tedeschi257. La Luftwaffe contava 51 squadriglie in più rispetto a quelle possedute

all’inizio della guerra e un totale di ben 2.200.000 uomini. La superiorità tedesca era

evidente anche in aria: la Germania mise in campo circa 1700 bombardieri, 1200 caccia,

650 ricognitori, 470 aerei da trasporto e 50 alianti258. Da parte loro, i francesi furono in

grado di utilizzare soltanto 150 bombardieri, 700 caccia e non più di 400 ricognitori. I

britannici, invece, 500 aerei e 250 caccia259.

Il 10 maggio 1940 ebbe inizio la Campagna di Francia. Seguendo il piano

257 B. COLLIER, op.cit., pp. 185-186 258 Ivi, p. 186 259 Ibidem

Page 83: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

83

strategico denominato Sichelschnitt (“colpo di falce”), la Wehrmacht impiegò sul fronte

occidentale tre gruppi d’armate: il Gruppo d’armate A, che, dopo aver attraversato il

Lussemburgo, sfondò contro ogni previsione le difese francesi nelle Foreste delle

Ardenne e giunse sino alla Mosa, per poi dirigersi sulla Manica; il Gruppo d’armate B,

che invase nel frattempo il Belgio e i Paesi Bassi; e il Gruppo d’armate C, che tenne una

posizione difensiva lungo la linea Maginot. Il Corpo di Spedizione Britannico e l’esercito

francese, appoggiati da alcune divisioni belghe e olandesi, si trovarono in netta inferiorità

numerica davanti alle divisioni tedesche, e rimasero sorpresi dalla rapidità e

dall’efficienza dell’attacco tedesco, di cui avevano sottovalutato le potenzialità. Oltre a

ciò, come abbiamo ricordato dianzi, la Germania dominava anche l’aria: l’aviazione

tedesca effettuò ingenti bombardamenti sulle basi aeree francesi e olandesi, distruggendo

aerei al suolo e in cielo, nonché su città come Rotterdam e su postazioni nemiche. Ancora

una volta, il dominio dell’aria fu determinante per la riuscita delle azioni militari. I

tedeschi riuscirono a smentire le previsioni alleate, secondo le quali essi avrebbero

impiegato almeno dieci giorni per superare i canali e i fiumi olandesi. Tra le altre cose, la

Germania diede vita anche alla prima operazione aviotrasportata della storia: il 10 maggio

stesso, paracadutisti e corpi di fanteria aviotrasportata vennero paracadutati su obiettivi

chiave sia in Belgio che in Olanda, agevolando così l’avanzata del Gruppo d’armate B.

Gli attacchi aerei tedeschi sulla Francia aumentarono in intensità e frequenza nei

giorni successivi, raggiungendo il culmine nel pomeriggio del 13 maggio, quando per

diverse ore ondate di bombardieri in quota e in picchiata si alternarono nel

bombardamento continuo di postazioni di artiglieria e di fanteria260. I francesi non furono

in grado di schierare nessun caccia che abbattesse o mettesse in fuga gli aerei tedeschi e

gli incessanti bombardamenti di quelle ore fiaccarono notevolmente il morale dei soldati,

molti dei quali alla loro prima esperienza di guerra. L’attacco combinato di aviazione,

Panzer e truppe d’assalto permise ai tedeschi di portare avanti con successo l’azione

militare, frantumando diverse divisioni Alleate. L’artiglieria e la fanteria francesi,

numericamente inferiori e spesso mal equipaggiate, senza alcuna copertura aerea, si

ritirarono in modo disordinato di fronte all’avanzata tedesca; gli uomini erano

chiaramente in preda ad un attacco di panico di massa e scapparono col consenso degli

260 Ivi, p. 195

Page 84: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

84

ufficiali stessi261.

Ormai stremati dai bombardamenti tedeschi, i Paesi Bassi si arresero il 15 maggio.

Il forte belga di Eben-Emael, considerato uno dei più imprendibili d’Europa, fu occupato

nel giro di 30 ore dai soldati tedeschi, atterrati con degli alianti sulla sua copertura. La

situazione iniziò a farsi preoccupante anche a Parigi, dove il governo francese stava già

bruciando gli archivi e preparando l’evacuazione della città. La Francia aveva ormai

utilizzato la maggior parte delle divisioni della riserva strategica e l’inferiorità dei soldati

francesi, a livello di numeri ed equipaggiamenti, era netta in confronto alle truppe

tedesche. Nonostante gli attacchi di successo a Sud, lanciati da De Gaulle il 17 e 19

maggio, le armate tedesche riuscirono ancora una volta ad affermare la propria superiorità

e costrinsero il colonnello ad arretrare. Il 20 maggio, i Panzerkorps giunsero sulla Manica

praticamente indisturbati; pochi giorni dopo, le città di Boulogne e Calais caddero in

mano ai tedeschi. Il Belgio si arrese il 28 maggio.

I francesi persero ogni speranza di vittoria, considerato anche che le forze

britanniche stavano ormai evacuando il continente, e il 10 giugno il governo francese si

trasferì a Bordeaux, dichiarando Parigi città aperta. Il 14 giugno i tedeschi entrarono nella

capitale transalpina e il 25 giugno la Francia firmò l’armistizio con le potenze dell’Asse.

4.4. La Campagna d’Inghilterra

La battaglia d’Inghilterra fu il primo scontro interamente combattuto da forze

aeree. I bombardamenti aerei vi conobbero la loro massima intensità. Esso vide

contrapporsi la Luftwaffe e la Royal Air Force, con una limitata partecipazione della

Regia Aeronautica. I primi attacchi furono lanciati dalla Germania, con lo scopo di

condurre il Regno Unito alla resa in brevissimo tempo: Hitler era certo che l’armistizio

fosse imminente.

Se, fino a quel momento, la Luftwaffe aveva agito per lo più in funzione tattica

fornendo supporto all’esercito, adesso era giunto il momento di operare in modo

indipendente e di guadagnare la superiorità aerea sull’aviazione britannica sfruttando le

teorie del bombardamento strategico di Douhet; bisognava, dunque, concentrarsi non

261 Ivi, p. 196

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85

sulla linea del fronte, ma sulla distruzione di obiettivi strategici, quali fabbriche, ferrovie,

ponti, aeroporti e centri di produzione aeronautica. Come forze in campo, i tedeschi

organizzarono tre Luftflotten, ognuna delle quali predisposta al bombardamento di una

specifica area dell’Inghilterra.

Dopo il netto rifiuto da parte di Churchill delle proposte di pace tedesche, nel

luglio 1940, la Luftwaffe diede inizio ai bombardamenti, dapprima sulle navi lungo la

Manica, sui convogli di rifornimento e sui porti; successivamente, i bombardamenti si

spostarono sugli aeroporti della costa, su quelli intorno a Londra, sulle fabbriche

aeronautiche e sulle infrastrutture della RAF. La Luftwaffe si stava sostanzialmente

attenendo ai piani, ma i forti contrasti che sorsero tra i suoi comandanti riguardo la

strategia dell’azione portarono questi ultimi a commettere gravi errori. A ciò si aggiunse

un servizio d’informazione sull’apparato difensivo britannico molto impreciso e

frammentato, che non permise alla Luftwaffe di ricevere informazioni chiare e aggiornate

sull’organizzazione della difesa della RAF e che più volte le fece erroneamente credere

di aver ridotto il Comando Caccia al limite delle forze.

Da parte sua, il Regno Unito contava su un apparato organizzativo di comando e

controllo molto complesso: prima di tutto venivano rilevati i nemici in arrivo grazie alle

stazioni radar; successivamente, il Corpo Avvistatori li seguiva da terra tramite dei

binocoli; infine, tutte le informazioni venivano trasmesse alla Sala Operativa del

Comando Caccia. Da qui, gli ufficiali impartivano gli ordini del caso, dirigendo l’azione

della RAF in base ai ragguagli sulle posizioni e sui movimenti dei tedeschi262. Nonostante

in questo sistema di difesa emergessero delle pecche – quali errori di interpretazione dei

dati radar, impossibilità per il Corpo Avvistatori di seguire i nemici durante la notte o con

il mal tempo e difficoltà nelle comunicazioni radio tra Sala Operativa e RAF –, il

Comando Caccia della RAF riuscì comunque ad operare con elevata efficienza, al

contrario della Luftwaffe che iniziava ad indebolirsi.

La Luftwaffe adottò la tattica di utilizzare delle ridotte formazioni di bombardieri

scortate da vicino da numerosi caccia. Il problema di una simile decisione tattica fu che i

caccia, notevolmente più veloci dei bombardieri, si videro invece costretti a volare alla

medesima quota e velocità di questi, circostanza che condusse a gravi perdite tra i caccia

262 A tal proposito, determinante fu la decifrazione delle comunicazioni radiofoniche segrete dei

tedeschi tramite la macchina Enigma, che permise agli inglesi di conoscere in anticipo i piani d’incursione

della Luftwaffe.

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86

stessi. Nonostante ciò, i caccia tedeschi si dimostrarono eccezionali e i loro piloti

altrettanto formidabili.

Per quanto riguarda la RAF, nella Campagna d’Inghilterra si distinsero i caccia

Spitfire e Hurricane. I primi, più veloci ed agili, furono preposti all’attacco dei caccia di

scorta tedeschi; i secondi, più lenti, furono preposti all’attacco dei bombardieri, anche se

non di rado si scambiarono i ruoli. La tattica inglese consistette nel lanciare attacchi

continui contro i nemici, in modo da disgregare le formazioni dei loro bombardieri e finirli

uno ad uno.

In seguito ad un periodo di feroci combattimenti, in cui la Luftwaffe prese di mira

più di 30 aeroporti inglesi e la RAF subì ingenti perdite, la notte del 24 agosto i

bombardieri tedeschi sganciarono, seppur per errore, delle bombe su Londra. La notte

successiva, su ordine di Churchill, gli inglesi bombardarono a loro volta Berlino, dando

il via ad un vortice crescente di bombardamenti contro le rispettive città. A partire dal 7

settembre, quasi ogni notte i tedeschi avviarono una serie di raid aerei su Londra, sia

contro obiettivi militari ma anche bombardamenti indiscriminati, definiti dei veri e propri

bombardamenti terroristici, che coinvolsero la popolazione civile di Londra, Liverpool,

Coventry ed altre città. Questo fece sì che i bombardamenti fino a quel momento effettuati

sugli aeroporti diminuissero notevolmente, tanto da lasciare alla RAF, che ormai si

credeva ad un passo dalla sconfitta, l’inaspettata possibilità di riprendere fiato e di

riorganizzare le proprie basi. La RAF rispose quindi ai bombardamenti su Londra in modo

pronto ed efficace, schierando forze decisamente superiori a quanto si aspettasse la

Luftwaffe, che, come abbiamo detto, pagava anche lo scotto delle gravi lacune nello

spionaggio tedesco. Inoltre, la distanza delle basi aeree tedesche da Londra fu un altro

motivo di grande svantaggio. Il cambio di tattica deciso da Hitler fu cruciale nel concedere

agli inglesi tempo prezioso per la preparazione della controffensiva, ma deleterio per la

Luftwaffe, la cui superiorità numerica non si rivelò sufficiente a spuntare la battaglia.

Una volta divenuta chiara l’impossibilità di neutralizzare la RAF, il 19 settembre

Hitler rinunciò al piano d’invasione dell’Inghilterra263, pur ordinando il prosieguo dei

263 Dopo la resa della Francia, Hitler era convinto che anche la Gran Bretagna avrebbe chiesto la

pace. Per spingerla alla resa, decise di programmarne l’invasione, attribuendo a tale piano il nome in codice

Unternehmen Seelöwe, ovvero “operazione Leone marino”. Il piano prevedeva che la Luftwaffe dovesse

annientare la RAF e distrarre la Marina inglese dalla Manica, così da permettere alle divisioni della

Wehrmacht di sbarcare indisturbate sulla costa e penetrare in Inghilterra.

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87

blitz aerei su Londra e su altre città sino al maggio 1941264. Anche la Regia Aeronautica,

a partire da ottobre, contribuì all’offensiva contro gli inglesi, schierando in particolare 75

bombardieri FIAT Br 20, 100 caccia FIAT Cr 42 e G 50 e alcuni aerei da ricognizione265.

Tutti questi velivoli, comunque, non diedero alcun apporto significativo: per un motivo o

per un altro, infatti, si rivelarono nettamente inferiori agli Hurricane e agli Spitfire inglesi.

Con lo spostamento dell’attenzione tedesca sul fronte orientale nel maggio 1941,

la battaglia d’Inghilterra giunse praticamente al termine, sancendo la vittoria inglese e la

prima disfatta tedesca; disfatta che segnò un punto di svolta, dal momento che arrestò

l’ondata di sconfitte iniziata con l’invasione della Polonia e donò nuova speranza alle

forze Alleate.

4.5. Il fronte orientale: l’Operazione Barbarossa

Dopo l’umiliante rovescio nella battaglia d’Inghilterra Hitler, che aveva già in

mente di invadere l’Unione Sovietica, ritenne che fosse giunto il momento di

concretizzare i suoi piani. Tra le altre cose, egli non aveva ancora abbandonato il

proposito di una pace con gli inglesi, e pensò che un’invasione dell’Unione Sovietica

avrebbe convinto la Gran Bretagna ad accordare la pace ai tedeschi in chiave

anticomunista. Invece, una volta dichiarata guerra all’Unione Sovietica, la Gran Bretagna

si alleò con l’URSS, in un insolito sodalizio capitalismo-comunismo.

La guerra contro l’URSS ebbe inizio il 22 giugno 1941. Le truppe tedesche

invasero l’Unione Sovietica attraverso la parte di territorio polacco sotto il suo controllo,

impiegando lo stesso numero di divisioni che avevano usato sul fronte occidentale nel

1940 e circa 3000 aerei di supporto alle avanzate delle armate su Leningrado, Mosca e il

bacino del Donec266. L’Armata Rossa disponeva di meno di 1500 carri armati, affidati ad

equipaggi quasi del tutto inesperti. Per quanto riguarda i velivoli, l’URSS poteva contare

su un gran numero di aerei, ma la loro maggioranza era ormai obsoleta. Inoltre, le

comunicazioni erano rudimentali e i radar assolutamente non paragonabili a quelli

264 Tra il 15 novembre 1940 e il 16 maggio 1941 la Luftwaffe compì, tra le principali, 14 incursioni

su Londra, 8 su Liverpool, Birmingham e Plymouth, 6 su Bristol , 5 su Glasgow, 4 su Southampton, 3 su

Portsmouth e Manchester e una seconda incursione su Coventry. Complessivamente, tra il 7 settembre 1940

e il 16 maggio 1941, circa 19.000 tonnellate di bombe furono sganciate su Londra e nei dintorni. 265 B. COLLIER, op.cit., p. 234 266 Ivi, p. 320

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88

utilizzati dai tedeschi.

La tattica della Luftwaffe consistette in primis nell’immobilizzare l’aviazione

sovietica, e successivamente nell’appoggiare le forze di terra durante gli attacchi agli

obiettivi sul campo, nonché nel compiere voli di ricognizione267. Nel momento in cui i

tedeschi avviarono finalmente l’offensiva forzando la linea di demarcazione, si

ritrovarono davanti un’Armata Rossa impreparata e spaesata. Per questo, soltanto nel

corso del primo giorno, gli aerei russi distrutti furono 1200. La Gran Bretagna promise

all’Unione Sovietica tutto il possibile aiuto materiale ed economico, inviandole tra le altre

cose molti dei suoi velivoli e carri armati; inoltre, s’impegnò nel fornirle una grande

quantità di materie prime, mentre gli Stati Uniti le fornirono numerose quantità di

manufatti268.

Dopo due settimane di interruzione degli attacchi da parte dei tedeschi, a causa

del sopraggiungere della pioggia e della neve, i russi riuscirono però a guadagnare il

vantaggio nell’aria. Furono favoriti dal fatto di poter disporre di basi permanenti con piste

di decollo e atterraggio sgombre da neve e ghiaccio da cui far partire caccia e bombardieri,

mentre i piloti dei caccia tedeschi erano impossibilitati al decollo per via del rischio di

atterraggi difficoltosi in campi d’aviazione coperti di ghiaccio, che avrebbero provocato

ingenti danni ai propri velivoli269. I tedeschi non potevano permettersi di perdere velivoli,

poiché disponevano di pochissimi pezzi di ricambio e la Luftwaffe non era abbastanza

equipaggiata per affrontare determinate condizioni. Nonostante un’efficace

controffensiva russa, che allontanò i tedeschi da Mosca, e nonostante l’imminente inverno

russo, Hitler proibì la ritirata generale ed insistette nel mantenere la linea difensiva. Ma

le truppe tedesche iniziarono a soffrire gravi disagi a causa delle rigidissime temperature

presenti in teatro: non possedevano indumenti ed equipaggiamenti adatti, i veicoli

cingolati non riuscivano a mettersi in moto a causa del gelo, le armi tendevano a bloccarsi

spesso per lo stesso motivo e il carburante per i veicoli veniva utilizzato per accendere

fuochi270. Il freddo e la debolezza fisica e mentale fiaccarono completamente gli uomini.

Anche la Luftwaffe, ormai, versava in condizioni pessime: alla fine del 1941 alcune unità

erano in grado di utilizzare soltanto meno di un terzo dei loro aerei ed altre unità, rimaste

267 Ivi, p. 323 268 Ivi, p. 326 269 Ivi, p. 328 270 Ivi, p. 329

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89

totalmente a secco di velivoli ed equipaggi, furono addirittura sciolte271. La Luftwaffe

non era più in grado di dare supporto aereo alle truppe di terra operanti in Russia. Come

se non bastasse, nell’estate del 1942 alla RAF si aggiunse la forza aerea statunitense

(USAAF). I B-17 Flying Fortress americani, tuttavia, subirono ingenti perdite, in quanto

sprovvisti di corazzatura e con serbatoi non in grado di auto sigillarsi in caso di

perforazione. Solo con l’introduzione, nel 1944, del P-51 Mustang, fu possibile ridurre

notevolmente gli abbattimenti.

I successivi fallimenti tedeschi e gli attacchi aerei britannici e americani sulla

Germania sul fronte occidentale, costrinsero la Luftwaffe a ritirare i propri velivoli dal

fronte orientale nel maggio 1945.

4.6. La guerra del Pacifico

Negli anni Venti e Trenta, il Giappone conobbe una progressiva militarizzazione

che gli permise di modernizzare e riorganizzare il suo esercito. Non fu creato un corpo di

bombardieri indipendente, ma le forze aeree rimasero destinate all’appoggio delle forze

navali e terrestri. Nel 1941 l’esercito giapponese poteva contare su circa 1500 aerei.

Prescindendo dalle motivazioni politiche alla base di una tale decisione, poiché

non hanno rilevanza ai fini di questo lavoro, il 7 dicembre gli aerei giapponesi raggiunsero

e bombardarono la flotta statunitense ormeggiata a Pearl Harbor, affondando tutte le navi

corazzate ivi ancorate, distruggendo 350 aerei americani e uccidendo molti tra marinai,

soldati e marines. Fu «la più impressionante impresa aerea cui il mondo aveva mai

assistito»272. Nonostante i gravi danni arrecati, però, i giapponesi mancarono gli obiettivi

di maggiore importanza strategica: infatti né le portaerei americane – nascoste agli

attacchi aerei poiché in riparazione o in missione – né i depositi di carburante furono

bombardati; tale contingenza si rivelò decisiva, in seguito, nell’accelerare la sconfitta del

Giappone.

L’Impero nipponico confidava nelle proprie possibilità di vittoria, dal momento

che la sua Marina possedeva la miglior forza aeronavale dell’epoca, equipaggi con un alto

livello di addestramento, mezzi eccellenti ed un servizio di spionaggio efficiente.

271 Ivi, p. 330 272 Ivi, p. 349

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90

Dall’altra parte, comunque, anche gli Stati Uniti possedevano una forza aeronavale tra le

più potenti al mondo, e soprattutto potevano contare sulle loro straordinarie capacità

industriali. Le portaerei svolsero un ruolo importante in questo conflitto: grazie ad esse

era possibile estendere la portata e l’efficacia degli attacchi aerei nonché penetrare in

profondità, motivo per cui si assistette alla trasformazione del potere navale in potere

aeronavale. Le portaerei divennero per l’avversario l’obiettivo fondamentale da

annientare.

La tattica del bombardamento strategico, utilizzata con successo dagli americani

nel teatro europeo, non fu praticabile nel Pacifico a causa delle grandi distanze. Gli

americani, infatti, disponendo del B-17 – ovvero un bombardiere non abbastanza

autonomo da raggiungere le città giapponesi e tornare alle proprie basi o portaerei –, a

parte il raid su Tokyo dell’aprile 1942 non riuscirono mai a costituire una reale minaccia

per i giapponesi. La situazione cambiò nel 1944 con l’introduzione di un nuovo

bombardiere, il Boeing B-29 Superfortress, caratterizzato dal doppio del raggio d’azione

del precedente B-17. Tuttavia non bastarono gli attacchi aerei nel cuore dell’Impero né le

devastanti bombe incendiarie di cui gli americani si servirono a partire dal 1945 a fiaccare

il morale e la resistenza dei giapponesi, i quali continuarono a lottare strenuamente e a

difendersi dal bombardamento strategico dei B-29 americani anche grazie alle valorose

azioni dei kamikaze.

La svolta decisiva arrivò nell’estate del 1945, quando gli americani misero a punto

la bomba atomica. A porre definitivamente fine agli slanci di resistenza del Giappone ci

pensò il primo ordigno nucleare della storia sganciato sulla città di Hiroshima il 6 agosto,

seguita dopo pochi giorni dalla città di Nagasaki. Entrambi gli attacchi provocarono

gravissime perdite tra la popolazione, per non contare tutte le persone che morirono negli

anni successivi a causa degli effetti devastanti delle radiazioni. Fu proprio in

quell’occasione che il potere aereo fece esattamente ciò che aveva promesso negli ultimi

25 anni: terminare la guerra il più velocemente possibile. Il Giappone non poté fare altro

che arrendersi, con una capitolazione che segnò la fine della Seconda guerra mondiale e

l’inizio dell’età nucleare, caratterizzata dal nuovo ruolo del potere aereo come vettore

nucleare.

La Seconda guerra mondiale riaccese il dibattito tra i sostenitori e i detrattori del

bombardamento strategico. Gli studiosi che mettevano in dubbio l’utilità del

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91

bombardamento strategico affermavano che le offensive aeree inglesi e americane non

erano bastate a scuotere la perseveranza della Germania nel continuare la guerra e che gli

attacchi alle fabbriche giapponesi di aerei erano falliti. Inoltre, i bombardieri a lungo

raggio si erano dimostrati mezzi imprecisi. I sostenitori del bombardamento strategico,

invece, ribatterono che i bombardamenti a tappeto e gli attacchi mirati erano stati cruciali

nell’annientare obiettivi strategici in Germania e si erano rivelati efficaci soprattutto in

Giappone. Questa differenza di pensiero si riversò anche nel tipo di costruzioni aeree: i

Paesi sostenitori della natura strategica dell’aereo resero le forze aeree indipendenti e

canalizzarono la loro attenzione sulla produzione di bombardieri a lungo raggio. Gli altri

Paesi, invece, si concentrarono sulla natura tattica dei velivoli, essendo questi considerati

mezzi di supporto tattico subordinati all’esercito e alla marina.

4.7. L’avvento dell’era atomica. Il potere aereo nell’era nucleare

Nel loro libro “Airpower in the Nuclear Age”273, il maresciallo Michael J.

Armitage e il comandante R. A. Mason sostennero che il potere aereo rappresentasse il

fattore dominante del secondo dopoguerra. Difatti, la Seconda guerra mondiale aveva

provato che, sia in superficie che in mare, nessuna operazione militare su larga scala

avrebbe potuto avere successo se non supportata dalle forze aeree. In realtà, il vero fattore

dominante del secondo dopoguerra furono le armi nucleari, che da quel momento in poi

avrebbero influenzato e dominato il pensiero strategico. Il lancio delle prime bombe

atomiche, effettuato sulle città di Hiroshima e Nagasaki, segnò la nascita della cosiddetta

“era atomica” – termine coniato dal giornalista americano William L. Laurence dopo aver

assistito in prima persona ai bombardamenti – e attribuì agli Stati Uniti il primato

nucleare. Fu subito chiaro che le armi nucleari avrebbero reso le forze armate,

specialmente quelle americane che le avevano dispiegate ed utilizzate per prime, le

invincibili padrone del mondo. Per questo motivo molti ufficiali delle forze aeree

americane presero a sottolineare l’importanza di rendere il potere aereo indipendente dal

controllo dell’esercito e trasformarlo in un servizio autonomo, alla stregua di tutti gli altri

Paesi. Cosa che avvenne effettivamente nel 1947 con la creazione della United States Air

273 M. J. ARMITAGE - R. A. MASON, Airpower in the Nuclear Age, Urbana, University of

Illinois Press, 1983, pp. 1-19

Page 92: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

92

Force (USAF). L’esercito americano, invece, determinato a servirsi anch’esso delle armi

nucleari, occupò una fabbrica tedesca di missili V-2, localizzando inoltre il gruppo di

esperti che aveva lavorato alla loro costruzione e portandolo negli Stati Uniti. Il team,

guidato da Wernher von Braun, sviluppò missili per gli Stati Uniti dal 1948 al 1955.

Dopo il lancio delle bombe atomiche iniziò a diventare evidente che le armi

nucleari avrebbero cambiato radicalmente il modo di combattere le guerre e le

motivazioni alla base di quest’ultime. Il più grande sostenitore di questa verità fu Bernard

Brodie, stratega militare americano e autore di molti importanti lavori che influenzarono

il dibattito sulle armi nucleari per oltre cinquant’anni e che gli valsero il soprannome di

“the American Clausewitz”. In particolare, in “The Absolute Weapon”274, Brodie anticipò

lo sviluppo della dottrina della “massive retaliation”275 (“rappresaglia massiccia”), che

divenne centrale nella strategia nucleare americana degli anni Cinquanta.

Lo sviluppo e la diffusione delle armi nucleari appariva ormai un processo

inevitabile: nel 1949, soltanto quattro anni dopo Hiroshima e Nagasaki, anche l’Unione

Sovietica riuscì a costruire il suo primo ordigno atomico, eguagliando gli Stati Uniti. Si

andò così configurando quel sistema di potenze che avrebbe caratterizzato tutto il periodo

della Guerra Fredda (1947-1991), ovvero il bipolarismo, e che vide per 45 anni gli Stati

Uniti e l’URSS in posizioni dominanti.

Per diverso tempo dopo il 1945, l’aviazione strategica si configurò come unico

vettore nucleare, confermando la concezione classica douhetiana della guerra aerea276.

Ma con l’intensificarsi degli esperimenti nucleari delle due superpotenze e, soprattutto,

la progettazione del primo missile balistico intercontinentale da parte dell’URSS e il

lancio dello Sputnik nello spazio, la dimensione dei nuovi conflitti si spostò sul piano

missilistico e spaziale. La guerra nucleare e la guerra spaziale si sostituirono alla guerra

aerea.277

Durante tutta la Guerra Fredda, in una competizione nucleare e spaziale continua,

274 B. BRODIE, The Absolute Weapon: Atomic Power and World Order, New York, Harcourt,

1946 275 Strategia nucleare coniata dal segretario di Stato americano Dulles nel 1954 che prevedeva, in

caso di un attacco nemico, una risposta massiccia di forza sproporzionata rispetto all’attacco subito. Tale

strategia aveva come scopo quello di dissuadere qualunque altro Stato dall’attaccare per primo, per paura

di una ritorsione. 276 Cfr. COL. F. BOTTI, Dalla strategia aerea alla strategia spaziale, in “Informazioni della

difesa”, 2/2000, p. 45 277 Ibidem

Page 93: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

93

le due superpotenze migliorarono costantemente i propri arsenali nucleari. Nel 1954 il

segretario di Stato dell’amministrazione Eisenhower, John Foster Dulles, coniò il termine

“rappresaglia massiccia” in riferimento alla minaccia comunista rappresentata

dall’URSS. In particolare egli affermò l’importanza primaria della difesa locale e della

sicurezza collettiva, per cui un eventuale passo falso da parte dell’Unione Sovietica

avrebbe scatenato una ritorsione massiccia da parte degli Stati Uniti. Questa strategia fu

resa pubblica proprio con lo scopo di fungere da deterrente e risultò credibile in quanto

gli Stati Uniti possedevano numerosissime basi sul territorio americano e in Europa,

mentre l’URSS non disponeva di vettori nucleari con raggio sufficiente a raggiungere

l’America.

Ma la progettazione dei primi missili balistici intercontinentali da parte dell’URSS

e il successo del lancio nello spazio dello Sputnik – che assegnò il primato spaziale ai

sovietici nel 1957 – ribaltarono la situazione e, per la prima volta, resero concreta la

possibilità di una guerra nucleare tra le due superpotenze. A tal proposito, in quel periodo

si sviluppò un’altra dottrina, quella della “distruzione mutua assicurata”, secondo la quale

ad ogni attacco nucleare da parte di un Paese sarebbe inevitabilmente corrisposto un

contrattacco nucleare da parte del Paese colpito; questo tipo di scontro non avrebbe

ovviamente portato nessuna vittoria, ma soltanto distruzione in entrambi i Paesi, motivo

per cui le due superpotenze si astennero sempre dal far scoppiare una guerra nucleare.

Tutto il periodo della Guerra Fredda si svolse quindi sul filo del rasoio, con

l’incubo costante del nucleare, e vide alternarsi l’incessante lotta al riarmo e i tentativi di

controllo degli armamenti tra Stati Uniti e URSS. Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi

non furono mai interrotte durante la Guerra Fredda, sebbene ci volle molto impegno per

mantenerle. In seguito alla crisi dei missili di Cuba del 1962, che quasi causò lo scoppio

di una guerra nucleare – sfiorata anche nel 1948 con la questione del blocco di Berlino –

, la corsa agli armamenti nucleari rallentò drasticamente e le due superpotenze

compresero appieno gli esiti catastrofici che un possibile scontro nucleare avrebbe

comportato; in ambito NATO la dottrina della distruzione mutua assicurata venne

abbandonata in favore della dottrina della risposta flessibile278. Le trattative sul disarmo

che ebbero inizio a partire dagli anni ’60 – salvo una battuta d’arresto nel periodo dal

278 Strategia militare adottata negli anni ’60 dal presidente Kennedy, secondo la quale si sarebbe

dovuto rispondere ad ogni minaccia o attacco in modo adeguato e proporzionale, graduando e controllando

l’escalation.

Page 94: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

94

1979 al 1985 a causa di un deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e URSS –,

portarono ad importanti accordi sulla limitazione degli armamenti: il SALT I (1972), il

protocollo anti missili balistici (1972), il SALT II (1979), il trattato INF (1987), il trattato

START I (1989) e il trattato START II (1993).

La fine della Guerra Gredda nel 1989 pose fine alla gara spaziale, ma fece

emergere l’importanza strategica del missile a media gittata, considerato nelle teorie

occidentali il sostituto dell’aereo strategico279. Tale missile divenne un’arma operativa a

tutti gli effetti, raggiungendo un’autonoma valenza strategica: preciso, invulnerabile, più

economico rispetto all’avanzata tecnologia dell’aereo, avrebbe anche evitato i numerosi

abbattimenti degli aerei in guerra e la conseguente cattura dei piloti280. Sostanzialmente,

nel mondo occidentale la combinazione satellite spaziale-missile venne a rappresentare il

fattore strategico predominante sui tre elementi classici del conflitto (forza navale, forza

terrestre, forza aerea).

Nonostante ciò, la jointness tra forze d’aria e forze terrestri rimase una parte

essenziale della guerra moderna. Il potere aereo, durante la Guerra Fredda, ricoprì un

ruolo importante in molte occasioni. Ad esempio, nella guerra di Corea la difficile azione

delle truppe di terra fece affidamento sul supporto aereo, che permise di contenere i Nord

Coreani e di controbilanciare la superiorità numerica delle forze cinesi281; la guerra del

Vietnam rafforzò l’idea che il potere aereo fosse indissolubilmente legato al potere

marittimo e a quello terrestre, considerato che la combinazione tra le quattro forze (US

Navy, US Army, US Air Force e US Marine Corps) giocò un ruolo cruciale nel conflitto;

ed ancora, l’impiego del potere aereo da parte di Israele nell’appoggiare le truppe di

superficie fu un fattore determinante per il suo successo nel 1967 e nel 1973. In entrambe

le guerre, infatti, il potere aereo apportò un contributo considerevole all’esercito

israeliano, sia a livello difensivo che offensivo.

L’originaria funzione del potere aereo rimase quindi essenziale; ma accanto ad

esso si sviluppò, come abbiamo visto, una nuova dimensione del potere, quella spaziale.

279 COL. F. BOTTI, op.cit., p. 46 280 Ibidem 281 D. JORDAN, Air and space warfare, in Understanding modern warfare, Cambridge,

Cambridge University Press, 2016, p. 266

Page 95: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

95

4.8. Geopolitica del potere aereo nel secondo dopoguerra: Renner e de

Seversky

Lo sviluppo dell’arma aerea e missilistica del secondo dopoguerra non fu solo ed

esclusivamente un fatto pragmatico. Al contrario, si trattò di uno sviluppo accompagnato

e, in molti casi, preparato e condizionato, da concomitanti riflessioni di ordine teorico,

che anticiparono i possibili sviluppi che il potere aereo avrebbe percorso. L’innovazione

apportata dall’aeronautica in campo militare fu talmente pervasiva e profonda che le

teorizzazioni – possiamo dire di “prima generazione” – degli studiosi di strategia aerea

(Douhet, Mitchell, Trenchard) o di strategia nucleare come Brodie282, sebbene di

importanza cruciale, non furono le sole. Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, venne

elaborata un’altra serie di teorie, relative alle forme d’impiego dell’immenso potenziale

degli aerei nelle guerre future, in seguito alla comparsa delle armi nucleari. Questa volta,

ad occuparsene furono alcuni studiosi di geopolitica – i teorici di “seconda generazione”

– tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, alimentando una vera e propria

“mistica del potere aereo”283.

Tradizionalmente, la geopolitica è definita come quella disciplina che studia il

rapporto tra potere politico e spazio geografico, e in che misura il secondo influenzi il

primo. Fino a quel momento, lo spazio geografico aveva fatto riferimento esclusivamente

alle due dimensioni di terra e mare; ma dall’avvento del potere aereo, con la conquista

della cosiddetta terza dimensione, quella dell’aria, e anche di quella spaziale grazie alle

armi atomiche e ai missili intercontinentali, lo spazio geografico preso in considerazione

si era inevitabilmente trasformato. Per cui, sebbene le prime teorie geopolitiche dei primi

del Novecento non contemplassero in alcun modo l’aeroplano – a quei tempi nella sua

fase embrionale e considerato, come abbiamo ampiamente visto, per lo più un mezzo di

ricognizione senza alcun potenziale autonomo e strategico –, nel secondo dopoguerra le

cose cambiarono. Tra le maggiori teorie geopolitiche sul potere aereo del periodo

troviamo senz’altro quelle di George Renner e Alexander P. de Seversky,

La peculiare concezione della strategia bellica aerea di de Seversky – strategia che

egli lega strettamente a principi di geopolitica – è illustrata soprattutto nella sua opera

282 B. BRODIE, Strategy in the Missile Age, Princeton, Princeton University Press, 1959 283 C. JEAN, Manuale di geopolitica, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 42-43; cfr. E. A. COHEN,

The Mystique of US Air Power, in “Foreign Affairs”, gennaio-febbraio 1994, pp. 109-124

Page 96: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

96

maggiore, “Victory Through Air Power”, che vide la luce nel 1942284. Per comprenderla

meglio, occorre prima prendere le mosse da un altro teorico che fu suo precursore e i cui

pensieri furono accolti e sviluppati da de Seversky. Si tratta dell’americano George

Renner, il quale, a sua volta, sviluppò le sue teorie in materia di strategia aeronautica

secondo un’originale concezione geopolitica.

Renner sostenne che la nascita del potere aereo non soltanto aveva comportato un

rivolgimento radicale negli assetti della guerra contemporanea, ma aveva avuto anche

ripercussioni profonde sullo scenario geopolitico: la tradizionale contrapposizione fra

terra e mare si era affievolita e i cosiddetti heartlands285 erano ormai diventati due, uno

negli Stati Uniti e l’altro nell’URSS, entrambi raggiungibili solo tramite l’Oceano

Artico286.

Come anticipato, questa tesi fu ripresa e sviluppata da de Seversky. Anche per lui

il potere aereo aveva mutato il volto della geopolitica contemporanea, specialmente in

considerazione del fatto che gli aerei erano ormai in grado di percorrere grandi distanze

in tempi relativamente brevi. L’intero mondo, secondo de Seversky, doveva essere diviso

in due grandi aree o circles (“cerchi”)287; tali cerchi avevano come centro i cuori

industriali degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, e come raggio la distanza che poteva

essere coperta dai bombardieri strategici288. Ora, se agli Stati Uniti spettava il dominio

dell’emisfero occidentale, all’URSS sarebbe chiaramente andato il dominio dell’emisfero

euro-asiatico289. La potenza di entrambe queste realtà geopolitiche, o cerchi, era analoga.

Per gli Stati Uniti, secondo de Seversky, sarebbe stato sconveniente creare basi aeree al

di fuori dei propri confini, poiché per poterle difendere sarebbe stato necessario accollarsi

oneri pesanti sia in termini finanziari che di personale290. La potenza aerea occidentale,

quindi, avrebbe dovuto essere concentrata tutta entro i confini degli Stati Uniti, e, al più,

in Gran Bretagna, Paese legato all’America per comunanza di tradizioni linguistiche e

284 A. DE SEVERSKY, Victory Through Air Power, New York, Simon & Schuster, 1942 285 Termine coniato dal geografo Sir Halford Mackinder in riferimento alla zona centrale

dell’Eurasia, vale a dire il territorio compreso tra il Volga, il Fiume Azzurro, l’Artico e l’Himalaya,

corrispondente all’incirca alla Russia centro-meridionale e alle zone limitrofe. Secondo le sue teorie

geopolitiche, l’heartland costituiva il cuore di tutti i territori, e chi l’avesse controllato avrebbe potuto

comandare il mondo. 286 C. JEAN, Geopolitica del mondo contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 173 sgg. 287 A. DE SEVERSKY, Potenza aerea: chiave della sopravvivenza, Milano, Garzanti, 1953, p.

240 288 C. JEAN, Manuale di geopolitica, cit., p. 43 289 C. JEAN, Geopolitica del mondo contemporaneo, cit., p. 171 290 C. JEAN, Manuale di geopolitica, cit., p. 43

Page 97: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

97

culturali e che – secondo una precisa definizione di de Seversky – rappresentava «l’unico

avamposto difendibile dell’Occidente»291.

Già nel 1942, quando gli esiti del secondo conflitto mondiale non erano ancora

prevedibili, apparve chiaro a de Seversky che i fascismi sarebbero caduti e che il mondo

sarebbe stato letteralmente spartito nei due grandi poli di influenza, appunto i due cerchi,

formati da Stati Uniti e URSS. Come ha osservato, tra gli altri, Carlo Jean, de Seversky

arrivò a prefigurare la peculiare realtà della Guerra Fredda292. Tale visione, acuta e

lungimirante, venne tuttavia compensata – per così dire – da una singolare miopia

riguardo l’importanza dell’egemonia americana, che sarebbe stata celebrata in tutto il

mondo occidentale dopo il termine del secondo conflitto mondiale. Secondo alcuni autori,

de Seversky si era richiamato implicitamente, rinnovandone presupposti e contenuti, alla

“dottrina Monroe”, che rivendicava la necessità che gli Stati Uniti non si impegnassero

in conflitti al di là dei propri confini e conducessero una politica estera soprattutto di tipo

difensivo293. Questa dottrina, pronunciata da James Monroe al Congresso nel dicembre

1823, mirava a ribadire l’assunto della supremazia statunitense in tutto il continente

americano e l’assoluta intolleranza, da parte americana, di qualsiasi ingerenza o

intromissione delle potenze europee negli affari americani; allo stesso modo, affermava

la volontà degli Stati Uniti di non inserirsi in alcuna disputa o controversia che riguardasse

le potenze del vecchio continente. Vi sarebbero, dunque, alcuni elementi di analogia tra

la dottrina Monroe e le dottrine di de Seversky in ragione del fatto che quest’ultimo,

esaltando il potere aereo e svalutando quello navale, non concepiva basi aeree al di fuori

dei confini americani e riteneva assolutamente non utile la creazione di basi oltremare,

dichiarandole superflue e controproducenti294.

L’aviazione strategica, insomma, secondo de Seversky era l’elemento

fondamentale della guerra contemporanea; le flotte navali erano semplicemente da

considerarsi oltrepassate e solo la potenza aerea avrebbe deciso, in futuro, della vittoria o

della sconfitta di uno Stato in guerra. È evidente la tendenza a non prendere in debita

291 A. DE SEVERSKY, Potenza aerea: chiave della sopravvivenza, cit., p. 241; C. JEAN,

Manuale di geopolitica, cit., p. 43 292 C. JEAN, Geopolitica del mondo contemporaneo, cit., pp. 171 sgg. 293 Cfr. W. R. MEAD, Il serpente e la colomba. Storia della politica estera degli Stati Uniti

d’America, Milano, Garzanti, 2005, pp. 113 sgg., e M. MARIANO, L’America nell’Occidente. Storia della

dottrina Monroe (1823-1963), Roma, Carocci, 2013 294 Ibidem

Page 98: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

98

considerazione neanche quel ruolo cruciale che in varie occasioni, nel corso della Seconda

guerra mondiale, avevano svolto le navi portaerei. Egli non intendeva, in ogni caso,

sminuirne in assoluto l’importanza, quanto piuttosto ridimensionarla, considerandola,

cioè, uno stadio intermedio che l’evoluzione tecnologica e militare avrebbe reso

senz’altro obsoleto. Sempre nel suo libro, de Seversky scriveva che le basi oltremare, le

portaerei e le flotte erano state indispensabili solo perché non si era ancora giunti al punto

di rafforzare l’autonomia dei bombardieri; quando a ciò si fosse giunto, il potere navale

avrebbe dovuto svolgere mere funzioni di supporto295. Ciò presupponeva l’idea per cui i

bombardieri sarebbero dovuti essere di dimensioni e potenza tali da avere una grande

autonomia, così da poter colpire anche prescindendo da basi oltremare e, appunto,

prendendo il volo soltanto da basi situate all’interno dei confini nazionali296.

Quest’analisi ci consente di evidenziare le “ombre” delle teorie di de Seversky –

sottolineate a più riprese dai critici –, fondamentalmente riconducibili a

quell’“isolazionismo aereo” che trapela con ogni chiarezza dal suo pensiero297. Il fatto

che la vittoria degli Alleati avrebbe potuto e dovuto tradursi in una grande egemonia

americana sull’intero mondo occidentale – e non solo sul continente americano –,

sfuggiva alla sua attenzione. Egli non teneva conto della realtà politica, non

comprendendo l’importanza per gli Stati Uniti di proiettarsi oltre i propri confini al fine

di convincere gli europei a cercare la loro sicurezza nell’Alleanza atlantica piuttosto che

in un eventuale accordo con l’URSS298. Anzi, era proprio la presenza militare americana

nelle realtà europee che egli riteneva superflua e persino deleteria. Nella sua visione

geopolitica la componente militare, e innanzitutto aerea, prendeva il sopravvento sulla

visione politica. Come risulta anche da alcuni passi della sua opera principale, Victory

Through Air Power, quella che egli chiama in modo spregiativo la “disseminazione” di

basi aeree al di fuori dei confini statunitensi sarebbe risultata verosimilmente un

deterrente assai scarso e, addirittura, sarebbe stata una miccia in grado di far esplodere

una nuova polveriera, prefigurando una possibile terza guerra mondiale299.

295 Cfr. A. DE SEVERSKY, Potenza aerea, chiave della sopravvivenza, cit., pp. 131 sgg., e P.

PARET, Makers of Modern Strategy: from Machiavelli to the Nuclear Age, Princeton, Princeton University

Press, 1986, pp. 303 sgg. 296 Cfr. A. DE SEVERSKY, Potenza aerea, chiave della sopravvivenza, cit., pp. 113 sgg. 297 Sull’isolazionismo aereo cfr. C. JEAN, Geopolitica del mondo contemporaneo, cit., pp. 183

sgg. 298 C. JEAN, Manuale di geopolitica, cit., p. 43 299 P. PARET (a cura di), Guerra e strategia nell’età contemporanea, Torino, Marietti, 2007, p.

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Nonostante quindi le loro teorie avessero ad oggetto il potere aereo, di cui

compresero appieno la forza e la centralità – a differenza delle teorie geopolitiche

classiche dei primi decenni del Novecento (Mackinder, Mahan, Spykman, etc.) –, De

Seversky e Renner appaiono ai nostri occhi come uomini del passato non proiettati al

futuro, poiché non compresero come l’inespugnabilità dell’heartland fosse un concetto

strettamente legato alla tecnologia di quel tempo e destinato quindi ad essere superato;

difatti, l’incessante sviluppo della tecnologia avrebbe – e così è stato – modificato

drasticamente la geostrategia: non sarebbero più esistiti confini naturali e tutto il mondo

sarebbe stato coperto dal raggio d’azione degli aerei.

4.9. Il potere aereo nella dottrina occidentale e in quella sovietica

La dottrina del potere aereo, in più di cento anni da quel primo volo dei fratelli

Wright a Kitty Hawk, si è evoluta incessantemente di pari passo con gli sviluppi della

tecnologia. Se con riferimento alla Prima guerra mondiale ancora non si poteva parlare di

potere aereo, considerato che gli aerei erano visti per lo più come mezzi di supporto e

ricognizione proprio a causa degli scarsi progressi tecnologici e dei limiti oggettivi degli

aeromobili, nel corso della Seconda guerra mondiale gli aerei risultarono notevolmente

migliorati: il potere aereo dimostrò allora le sue potenzialità, assumendo finalmente

rilevanza e imponendosi come elemento necessario di un conflitto. Con la nascita

dell’arma nucleare, poi, esso assume ancora più centralità, in quanto, oltre alle sue

tradizionali funzioni, l’aereo acquisisce anche quella di vettore degli ordigni nucleari. Le

teorie di Douhet, Mitchell e Trenchard vedono così realizzarsi quella supremazia aerea a

lungo preconizzata.

Durante la Guerra Fredda, tale supremazia spettò soltanto a due superpotenze,

l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, i due poli di quel sistema bipolare che avrebbe

permeato il mondo per poco meno di mezzo secolo. Ma pur riconoscendo e condividendo

entrambi l’importanza del potere aereo, vi è tuttavia una differenza sostanziale nel ruolo

che le due superpotenze gli attribuirono, riconducibile ad ideologie contrapposte.

Nella dottrina dei Paesi occidentali, il potere aereo era l’elemento risolutivo di un

14

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conflitto; quindi non solo era decisivo, ma anche in grado di influenzare le sorti della

guerra. La dottrina occidentale vedeva nell’aereo una forza operativa che andava ben oltre

la mera funzione di supporto alle forze terrestri: al mezzo aereo venne attribuito un vero

e proprio ruolo strategico e non fu più considerato accessorio ai poteri terrestre e navale,

ma loro pari. Tale visione fu largamente influenzata dalle teorie di Douhet e degli altri

teorici sostenitori dell’aviazione strategica, dal momento che anche il bombardamento

aereo assunse un grande valore strategico. Fu proprio da queste considerazioni che nacque

l’idea – e l’esigenza – di dar vita ad una forza armata autonoma, conclusione a cui

giunsero tutti i Paesi occidentali, seppur con tempistiche differenti. Sta di fatto che, alla

fine del secondo conflitto mondiale, ogni Paese occidentale possedeva la sua aviazione,

cui era affidato appunto un ruolo strategico.

Molto diversa era la situazione dall’altro lato della cortina di ferro. La dottrina

sovietica del potere aereo conobbe un progresso discontinuo e fu fortemente influenzata

dall’ideologia politica per più di sessant’anni300. Dal momento che l’URSS era un Paese

per la maggior parte privo di sbocchi sul mare, e l’obiettivo primario del governo era

quello di diffondere il comunismo, la sua principale componente militare si sviluppò e

concentrò nelle truppe terrestri, sulle quali gravava l’onere di difendere i confini

nazionali301. A differenza dei Paesi occidentali, dunque, la dottrina sovietica considerava

l’esercito come l’elemento fondante della difesa, e vedeva la forza aerea come un fattore

essenziale ma, comunque, subordinato, il cui ruolo – di tipo tattico anziché strategico –

era quello di supportare l’esercito nelle sue operazioni di superficie. La dottrina del potere

aereo, in questo caso, fu plasmata in base alle necessità dell’ideologia sovietica, senza

fare i conti con la realtà delle enormi potenzialità strategiche dell’aereo; per questo motivo

l’Unione Sovietica non rese mai la forza aerea sovietica una forza armata indipendente302.

C’è da dire che il successo della coalizione occidentale nella Guerra del Golfo del

1991 e la dissoluzione dell’URSS segnarono un punto di svolta per la forza aerea

sovietica: per la prima volta, la gerarchia militare accettò la realtà di una pervasiva terza

dimensione costituita dall’aria e dallo spazio e riconobbe la necessità di dotarsi di una

forza aerea indipendente che facesse riferimento ad una propria dottrina303. La forza aerea

300 J. A. OLSEN, op.cit., p. 217 301 Ivi, pp. 179-180 302 Ivi, pp. 187-188 303 Ivi, p. 218

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russa, a partire da quel momento, mise più da parte l’ideologia, del resto tramontata, e si

lasciò influenzare piuttosto dalle esigenze della sicurezza nazionale e dalle iniziative

strategiche.

Attualmente, la dottrina aerea russa è quasi del tutto allineata alle dottrine del

potere aereo delle principali forze aeree del mondo304.

304 Ibidem

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102

CAPITOLO QUINTO

5. IL POTERE AEREO IN FUNZIONE OPERATIVA

5.1. L’impiego tattico del potere aereo statunitense nella Guerra di Corea

La Guerra di Corea fu uno degli episodi più significativi della Guerra Fredda. Il

mondo intero parve sul punto di cadere in un nuovo conflitto globale, ulteriormente

aggravato dalla possibilità d’impiego di armi nucleari.

La Corea degli anni Cinquanta è un Paese spaccato in due: a nord del 38° parallelo,

l’Unione Sovietica aveva creato la Repubblica democratica popolare di Corea sotto il

controllo di Kim Il-sung, mentre a sud di tale parallelo una commissione delle Nazioni

Unite aveva fondato la Repubblica di Corea, affidata al leader Syngman Rhee e posta

sotto l’influenza degli Stati Uniti. Fra le due parti vi era, come intuibile, una certa

tensione, tanto che il commercio tra loro era completamente paralizzato305. Pur

desiderando entrambe una riunificazione della penisola, non vi era tuttavia concordanza

sulle modalità da attuare per raggiungere tale scopo.

Il casus belli fu, nel giugno 1950, un tentativo d’invasione da parte della Corea

del Nord comunista – appoggiata da carri armati e aerei prodotti in Russia – ai danni della

Corea del Sud. L’intento di Kim era quello di un blitzkrieg per occupare il Sud nel giro

di pochissimo tempo. L’esercito sudcoreano, addestrato e rifornito dagli Stati Uniti ma

privo di carri armati, aerei o artiglieria pesante, subì gravi perdite e Seul capitolò il 28

giugno306.

Gli Stati Uniti non potevano lasciar cadere una tale sfida; pertanto, chiesero ed

ottennero dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU una prima risoluzione per il cessate il

fuoco immediato e successivamente una seconda, grazie alla quale sedici Paesi307 delle

Nazioni Unite inviarono le proprie forze armate a sostegno della Corea del Sud.

La guerra iniziò con qualche difficoltà: la forza aerea americana, di recente

indipendenza – l’USAF –, visto il successo del concetto di bombardamento strategico

305 B. COLLIER, op.cit., p. 420 306 Ivi, p. 422 307 Australia, Belgio, Canada, Colombia, Etiopia, Filippine, Francia, Grecia, Lussemburgo, Nuova

Zelanda, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti, Thailandia, Turchia e Unione sudafricana.

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103

nella Seconda guerra mondiale, aveva canalizzato tutte le sue risorse ed attenzioni verso

il perseguimento della capacità strategica in vista di una guerra nucleare. Sul piano tattico

vi erano quindi molte lacune. Il generale americano MacArthur si trovò così a disporre di

truppe deboli, mal addestrate e distanti più di 500 chilometri dal fronte, motivo per cui si

dovettero mettere a sua disposizione 1200 aerei del corpo aereo americano dell’Estremo

Oriente308.

Considerato che l’economia della Corea del Nord era di tipo agricolo e

caratterizzata dunque da scarsi impianti industriali, i B-29 statunitensi, attraverso una

serie di ripetuti bombardamenti, distrussero integralmente le fabbriche dei nordcoreani

nel giro di poche settimane309. Ma le vere esigenze della guerra si dimostrarono essere

altre, per cui i velivoli americani assunsero anche la funzione di appoggio aereo

ravvicinato alle forze terrestri e di interdizione per impedire i rifornimenti di armi,

carburante, munizioni etc. ai nordcoreani. Fu proprio la combinazione di questi due tipi

di operazioni aeree, improntate ad un utilizzo tattico dell’aereo, che costrinse finalmente

le forze nordcoreane a ritirarsi sopra il 38° parallelo.

Si susseguirono una serie di attacchi, ora da una parte ora dall’altra, che ad un

certo punto resero quanto mai palpabile il pericolo di una degenerazione in senso nucleare

del conflitto in seguito all’intervento diretto della Cina310. Infatti il generale MacArthur,

offuscato dal desiderio di vincere a tutti i costi quella guerra, assestando così un pesante

colpo al comunismo, violando le disposizioni di Washington elaborò un piano che

prevedeva la distruzione di obiettivi strategici sia in Cina che in Corea tramite l’utilizzo

di ordigni nucleari. Fortunatamente, il pericolo fu scongiurato grazie all’intervento della

Casa Bianca, che rimosse e sostituì MacArthur.

Nella guerra di Corea si assistette ad un confronto tra Stati Uniti e URSS anche

nel campo della tecnologia aeronautica. Innovativo, sotto questo punto di vista, fu lo

scenario che si aprì nelle battaglie aeree condotte a sud del fiume Yalu – nei pressi del

confine tra Cina e Corea del Nord – tra la nuova generazione di velivoli americani (F-80

Shooting Star, F-84 Thunderjet e, soprattutto, F-86 Sabre) e il russo Mikoyan-Gurevich

MiG-15 (nome in codice NATO “Fagot”). Qui si ebbero, infatti, le prime battaglie di

caccia a reazione nella storia dell’aviazione, tanto che quella zona prese il nome di Mig

308 B. COLLIER, op.cit., p. 422 309 M. HASTINGS, La guerra di Corea, Milano, Rizzoli, 1990, pp. 136 sgg. 310 S. H. LEE, La Guerra di Corea, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 66 sgg.

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104

Alley. I caccia più all’avanguardia a disposizione degli americani erano gli F-86,

decisamente superiori ai pur eccellenti MiG-15 russi, che costituirono comunque

avversari temibili soprattutto per la notevole rapidità di accelerazione, la velocità di salita,

l’eccellente capacità di combattimento ad alta quota, la capacità di supportare un

armamento pesante e la possibilità di decollare e atterrare anche su piste di lunghezza

ridotta311.

Anche il trasporto aereo svolse un ruolo importante in Corea nell’assicurare tutti

i rifornimenti necessari alle truppe americane.

Una grande differenza la fece anche il tipo di addestramento dei piloti: quelli

americani erano veterani della Seconda guerra mondiale, con tanta esperienza nel volo e

nella conduzione di operazioni di guerra; quelli nordcoreani, invece, erano piloti con una

scarsissima conoscenza dell’aereo, che erano stati addestrati in modo piuttosto blando

dall’Unione Sovietica.

La guerra di Corea mise però in luce alcuni problemi nell’utilizzo che si fece del

potere aereo: in primis, il bombardamento a tappeto da parte dei B-29 americani non

aveva avuto effetti così evidenti sul nemico, tanto che alcuni storici affermarono di non

esser mai riusciti a trovare prove concrete della morte anche di un solo nordcoreano312;

in secondo luogo, i bombardamenti dei bersagli industriali non si erano rivelati così

efficaci nel destabilizzare un esercito come quello nordcoreano, che non si serviva di

trasporti motorizzati e aveva bisogno soltanto di pochissime tonnellate di rifornimenti al

giorno; in terzo ed ultimo luogo, era emersa la debolezza di un coordinamento non proprio

efficiente tra le truppe di terra, che richiedevano un appoggio ravvicinato, e le forze aeree,

che si concentravano invece sugli attacchi alle linee di comunicazione nemiche nelle

retrovie313.

Questi problemi derivarono certamente da scelte errate. Come affermò il generale

statunitense Matthew B. Ridgway314, «Uno degli errori principali commessi durante la

guerra di Corea nacque dalla pretesa di fondare la nostra strategia su quelle che

credevamo fossero le intenzioni del nemico, senza tener conto di ciò che sapevamo sul

311 Cfr. Ivi, pp. 121 sgg. 312 B. COLLIER, op.cit., p. 423 313 Ibidem 314 Il Generale Ridgway prese le redini dello United Nations Command in seguito alla deposizione

del Generale MacArthur, e si distinse nella guerra di Corea riuscendo a riequilibrare la situazione.

Page 105: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

105

potenziale di cui esso disponeva effettivamente»315. In effetti, nonostante fosse chiaro che

la Cina sarebbe stata perfettamente in grado di invadere la Corea, MacArthur non prese

mai in considerazione una tale evenienza, basando i propri calcoli sul presupposto – errato

– che “nessun militare di buon senso”316 avrebbe impegnato le sue forze lungo il confine

nordcoreano.

Inoltre in molti, al tempo della guerra in Corea, erano convinti che le forze aeree

potessero compiere miracoli, bloccando completamente i rifornimenti del nemico, ma

isolare il campo di battaglia si era dimostrato impossibile: l’aviazione infatti, benché

avesse salvato gli americani dal disastro e permesso l’intervento delle Nazioni Unite,

aveva pur sempre i suoi limiti, nonostante alcuni non li volessero riconoscere317.

5.2. La forza aerea statunitense nella Guerra del Vietnam

La partecipazione degli Stati Uniti nella Guerra del Vietnam iniziò nel 1962 e si

concluse nel 1973. La guerra si svolse prevalentemente nel Vietnam meridionale e si

concretizzò in uno scontro tra la Repubblica del Vietnam, nata dopo la Conferenza di

Ginevra del 1954 e posta sotto l’influenza degli Stati Uniti, e il Vietnam del Nord, che

godeva invece dell’appoggio di Unione Sovietica e Cina per via del suo orientamento

comunista318. Il conflitto vide l’impegno americano crescere sempre di più nel corso degli

anni, passando dall’iniziale fornitura di appoggio militare, allo spiegamento di enormi

quantità di forze terrestri, navali e aeree, in quella che viene definita un’escalation.

I bombardamenti di tipo propriamente strategico da parte degli americani

iniziarono ad aver luogo soltanto in una fase assai più avanzata del conflitto, vale a dire

dal 1964, quando il Presidente Lyndon Baines Johnson ordinò la prima operazione bellica

dell’USAF (operazione Barrel Roll) in risposta ad un precedente attacco nordvietnamita.

Da quel momento in poi si susseguirono numerose operazioni che videro

protagonisti i velivoli americani: bombardamenti sulle postazioni nemiche, attività di

interdizione ai rifornimenti e di supporto alle forze di superficie, attacchi mirati a

315 M. B. RIDGWAY, Guerra sul 38° parallelo, Milano, Rizzoli, 1969, p. 221 316 Ibidem 317 Ivi, p. 222 318 Per un inquadramento generale di questa lunga e sanguinosa guerra si veda S. KARNOW,

Storia della guerra del Vietnam, Milano, Rizzoli, 2000; F. FITZGERALD, Il lago in fiamme. Storia della

guerra in Vietnam, Torino, Einaudi, 1974

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106

sopprimere i sistemi di difesa avversari e missioni di tipo “diplomatico” – come la famosa

Rolling Thunder – per forzare l’avversario verso il negoziato e abbatterne il morale,

condotte senza alcun tipo di limitazione all’utilizzo del potere aereo. I mezzi aerei

impiegati in tali operazioni dalla US Air Force e dalla US Navy furono i

cacciabombardieri A-6, F-4 e F-105319.

Come già in Corea, anche nel caso del conflitto vietnamita le previsioni di de

Seversky circa la necessità di potenziare all’estremo i mezzi della guerra aerea evitando,

nel contempo, di impiegare basi al di fuori del territorio americano, furono disattese dalle

autorità politiche e militari. In entrambi i conflitti, infatti, si rivelò di importanza cruciale

l’apporto delle navi portaerei. Nel caso specifico del Vietnam, furono impiegate

complessivamente 17 portaerei, di cui 11 risalivano agli anni Quaranta e furono pertanto

sottoposte ad un globale ammodernamento in occasione dell’inizio del conflitto. Ad esse

si aggiunsero, successivamente, 6 portaerei costruite ex novo, assai più grandi e moderne,

fra cui una a propulsione nucleare, la USS Enterprise320.

Le necessità di riparazione, di rifornimento e di turnazione degli equipaggi fecero

sì che soltanto un terzo di tutte queste portaerei d’attacco potesse essere

contemporaneamente operativo in mare. Del resto, le portaerei americane erano schierate

anche nel Mediterraneo, nel Mar dei Caraibi e nel Nord Atlantico per via della posizione

di preminenza geopolitica degli Stati Uniti, il che, appunto, non rese possibile il loro

impiego sinergico nel corso del conflitto vietnamita. Ciò nonostante, pur trovandosi

distanti dal teatro di guerra, alcune di esse riuscirono ad offrire un validissimo contributo

alle operazioni di bombardamento.

Con un tale allestimento, e benché il bombardamento strategico fosse iniziato solo

nella seconda fase del conflitto, la potenza offensiva aerea di cui gli americani

disponevano era dunque davvero ingente.

Sullivan scrisse, a proposito dell’utilizzo strategico del potere aereo in Vietnam:

«A dispetto di quella che poteva essere la sua effettiva utilità per gli Stati Uniti nella

guerra in Vietnam, il potere aereo della Marina venne impiegato per condurre, con aerei

progettati per ruoli tattici, una campagna di bombardamento strategico contro il Vietnam

del Nord»321.

319 Cfr. S. KARNOW, op.cit., pp. 333 sgg. 320 F. FITZGERALD, op.cit., pp. 139 sgg. 321 B. R. SULLIVAN, op.cit., p. 446

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107

Gli storici concordano nel ritenere poco felice la decisione di avvalersi di aerei da

appoggio tattico della US Air Force all’interno della campagna di bombardamento

strategico del Vietnam del Nord322. I cacciabombardieri, infatti, dovevano compiere

molteplici missioni al fine di poter sganciare lo stesso tonnellaggio di bombe che un B-

52 avrebbe potuto sganciare con un solo attacco.

La conseguenza di tale scelta fu che gli aviatori della US Navy, della US Air Force

e del Marine Corps si videro costretti a realizzare molte più operazioni di quelle che

avrebbero dovuto compiere se gli stessi obiettivi fossero stati presi di mira sempre e solo

dai bombardieri strategici. Si calcola che essi sganciarono sul Vietnam del Nord un

quantitativo di bombe così ingente che il loro tonnellaggio complessivo risultò doppio

rispetto a quello sganciato dalla US Army Air Force sulla Germania nel quadriennio

1942-1945323.

Il risultato di questo massiccio sforzo fu indubbiamente pagato a caro prezzo dalle

forze americane, tanto da divenire una ferita indelebile nella memoria degli americani:

migliaia di caccia americani vennero distrutti e centinaia e centinaia di piloti furono

catturati o uccisi; molti dei veterani, invece, riportarono gravi traumi sia fisici che

psicologici.

Anche l’insuccesso della campagna aerea Rolling Thunder, la più lunga e

disastrosa campagna mai condotta dalle forze aeree americane, il cui obiettivo sarebbe

stato quello di piegare definitivamente il Vietnam del Nord, costò caro agli Stati Uniti.

Tale campagna fallì per diversi motivi: innanzitutto, per via delle frequenti interruzioni

dei bombardamenti e delle numerose aree interdette al bombardamento a causa di divieti

politici e diplomatici, per cui la campagna si trovò ad essere sospesa e ripresa più volte e

ciò contribuì ulteriormente a diminuirne l’efficacia – anche perché, durante gli stop, il

regime di Hanoi ne approfittava per rinforzarsi, riparare i danni subiti e migliorare

l’efficienza del proprio sistema di difesa aerea324 –; altro motivo, analogo agli errori già

commessi nella guerra di Corea, fu che i continui bombardamenti sulle scarsissime

industrie nordvietnamite servirono solo ad indebolire e sfiancare l’USAF, rivelandosi nel

concreto inutili dal momento che le industrie nordvietnamite non rappresentavano

assolutamente un bene primario del Paese; inoltre, come già in Corea, cruciale fu

322 S. KARNOW, op.cit., pp. 149 sgg. 323 F. FITZGERALD, op.cit., pp. 122 sgg. 324 B. R. SULLIVAN, op.cit., pp. 446-447

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108

l’assenza di un’appropriata strategia d’azione che tenesse conto delle reali possibilità di

reazioni inaspettate, come in questo caso furono quelle dei Vietcong; infine, forse la

ragione più importante: il potere aereo è, in fin dei conti, impotente nei confronti della

guerriglia.

Infatti il regime di Hanoi, avvalendosi delle consulenze e del supporto di Unione

Sovietica, Cina e Nord Corea, non rimase certo a guardare. A poco a poco, dal principio

della guerra in avanti, esso mise in atto un sistema di difesa aerea sempre più capillare,

incentrato sull’impiego sistematico di migliaia di cannoni antiaerei, missili terra-aria

guidati da un sofisticato sistema radar. Particolarmente efficienti, dal punto di vista

tecnologico, furono gli aerei messi a disposizione dai sovietici: i MiG-19 e i MiG-21, che

rimpiazzarono i MiG-15 e i MiG-17 della Guerra di Corea e che si distinsero per la loro

estrema maneggevolezza e rapidità.

Ad ogni modo, non tutto andò per il verso sbagliato per gli americani: grazie al

trasporto aereo, e in particolare agli elicotteri, fu possibile supportare logisticamente le

basi americane in Vietnam; la funzione di ricognizione aerea si confermò fondamentale;

infine, l’attività di interdizione riuscì a bloccare gran parte dei rifornimenti alle truppe

nordvietnamite.

5.2.1. Il potere aereo si spoglia della concezione “mitica” attribuitagli dai teorici

della guerra aerea

Bisogna fare una considerazione: la campagna di bombardamento sistematico

aveva provocato certamente un numero considerevole di distruzioni in Vietnam, ma gli

ostacoli di natura diplomatica e politica avevano impedito di sottoporre ad un

bombardamento ininterrotto i territori nordvietnamiti, non potendo così in alcun modo

rendere la guerra una guerra totale; ciò dimostra quanto fosse fondata su basi

essenzialmente “mitiche” la concezione che rivendicava il primato assoluto e unilaterale

dell’aeronautica, illustrata in particolare da Douhet e da quegli scrittori militari che ne

avevano seguito le orme. Tale concezione douhetiana, pur geniale e destinata ad influire

in profondità sulle concezioni teoriche posteriori della guerra, aveva il difetto di

“assolutizzare” il fattore aeronautico attribuendogli una valenza “totale” che, in concreto,

nello svolgimento di una guerra, esso non avrebbe mai potuto avere. Ciò perché non

Page 109: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

109

soltanto vi sono, oltre alla componente aerea, anche quella marittima e terrestre, ma altresì

perché la guerra, in fondo, altro non è se non la prosecuzione della politica con altri

mezzi325.

Tra guerra e politica da un lato, e guerra e diplomazia dall’altro, vi sono dunque

frontiere mobili: un rapporto di osmosi e compenetrazione reciproca, non già di

esclusione, come invece le premesse teoriche del discorso di Douhet prevedevano.

Come ha osservato Sullivan in merito, «Con il senno di poi, ora appariva ovvio

che i profeti del potere aereo avevano sviluppato le loro teorie in reazione alla moderna

guerra d’assedio condotta dalle maggiori potenze industriali sul fronte occidentale, su

quello italiano e su quello di Salonicco nel 1914-1917»326. E ancora,

«Si potrebbe sostenere che la guerra civile spagnola e la guerra cino-giapponese

prefigurassero i conflitti che si sarebbero sviluppati dopo la Seconda guerra mondiale in Corea,

Vietnam e nel Golfo per il fatto che una o entrambe le parti, in quella guerra, dipendevano per i

loro rifornimenti da aerei militari provenienti dall’esterno rispetto al teatro dello scontro. Di

conseguenza un osservatore preveggente degli anni Trenta avrebbe potuto capire che del

bombardamento strategico si sarebbe potuto fare un uso limitato contro un nemico che faceva

assegnamento su armi importate da altri Paesi. Ma persino un osservatore così lungimirante

difficilmente avrebbe potuto prevedere sia le armi nucleari sia i missili balistici, per non parlare

dell’uso combinato che se ne sarebbe fatto vent’anni dopo»327.

A distanza dunque di alcuni decenni, emergeva con chiarezza la contraddizione

fra le teorie della guerra aerea, che aspiravano a valere in forma assoluta, e la realtà delle

guerre successive, assai più circoscritta e influenzata da molteplici fattori.

Impossibile perciò non concordare con la conclusione, dal sapore paradossale, del

discorso di Sullivan: «Per ironia, la tecnologia aveva permesso la nascita delle teorie di

Douhet e altri solo per poter continuare la sua rapida evoluzione, rendendo così ben presto

obsolete le teorie del potere aereo»328.

Ad ogni modo, per quanto la rivoluzione tecnologica e il mutare degli scenari

geopolitici abbiano dimostrato una serie di “deficit” inerenti alle teorie del potere aereo,

325 C. VON CLAUSEWITZ, op.cit. 326 B. R. SULLIVAN, op.cit., p. 447 327 Ibidem 328 Ibidem

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110

sarebbe ingiusto ritenerle completamente errate o prive di significato. Esse, infatti, sono

nate da una constatazione fondamentalmente giusta, ossia l’intuizione della straordinaria

rilevanza che il potere aereo avrebbe assunto e che il futuro, difatti, ha confermato.

5.3. La Guerra dei Sei Giorni e la Guerra dello Yom Kippur

Parallelamente alla Guerra del Vietnam, si svolse anche la cosiddetta Guerra dei

Sei Giorni (5-10 giugno 1967), facente parte del più ampio conflitto arabo-israeliano.

Questa guerra, durata letteralmente sei giorni, vide Israele fronteggiare le forze

congiunte di Giordania, Siria ed Egitto. Si risolse con la vittoria di Israele ed ebbe un

effetto decisivo nel contesto dei conflitti arabo-israeliani, poiché rafforzò nettamente la

supremazia di Israele in quell’area, anzitutto allargando in maniera significativa

l’estensione territoriale del Paese.

Si è trattato di un conflitto i cui esiti hanno condizionato profondamente i

drammatici sviluppi della questione palestinese, come ancora oggi vediamo329.

La rilevanza imprescindibile del potere aereo uscì più che mai confermata da

questa guerra, in cui la netta vittoria israeliana si spiega proprio a partire dall’incredibile

successo degli attacchi fulminei delle sue forze aeree al suo inizio.

La decisione di aprire le ostilità fu presa da Israele dopo un lungo addestramento

dei suoi piloti e un’attenta preparazione; per gli israeliani era fondamentale, a livello

strategico, distruggere in tempi rapidissimi le forze aeree siriane ed egiziane, per evitare

che esse, a causa della vicinanza dei confini, potessero replicare agli attacchi. Per questo

motivo si può dire che la strategia adottata da Israele fu quella di un attacco preventivo,

con il fine di conquistare la superiorità aerea essenziale anche nell’appoggio alle

operazioni delle truppe di superficie330.

Così, all’alba del 5 giugno, gli israeliani lanciarono l’”operazione focus”, un

attacco aereo a sorpresa di vaste proporzioni talmente intenso che, nel giro di poche ore,

distrusse completamente le forze aeree nemiche. Le forze aeree israeliane si

concentrarono in particolare sull’attaccare le basi aeree avversarie, così da abbattere i

329 Per un quadro d’insieme si veda P. G. DONINI, I paesi arabi, Roma, Editori Riuniti, 2003, pp.

136 sgg.; M. B. OREN, La guerra dei Sei giorni. Giugno 1967: alle origini del conflitto arabo-israeliano,

Milano, Mondadori, 2003 330 Cfr, E. O’BALLANCE, The Third Arab-Israeli War, Londra, Faber & Faber, 1972

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111

velivoli direttamente a terra. In totale Israele neutralizzò 300 velivoli nemici. Questa

mossa vincente spianò la strada alle successive vittorie che l’esercito israeliano conseguì

a terra331: la campagna terrestre che si svolse nei restanti giorni del conflitto permise ad

Israele di occupare Gerusalemme, Hebron e tutta la Cisgiordania.

Da questo conflitto emerge un aspetto importante, ovvero il successo dell’azione

integrata di forze aeree e forze terrestri, con il potere aereo che fu indispensabile nel creare

le condizioni per la successiva avanzata terrestre. Anche questa volta, se si confrontano

le teorizzazioni sulla guerra aerea di Douhet, Trenchard e Mitchell con la realtà della

guerra, appare evidente come il potere aereo non acquisì un carattere totalizzante: non

tradusse, cioè, la guerra in una guerra totale dominata esclusivamente dagli aerei – il che

avrebbe presupposto, ad esempio, massicci attacchi aerei sui centri industriali e sulle

popolazioni civili, lasciando soltanto ridotti margini d’intervento alle truppe di terra –, al

contrario esso costituì un elemento sì essenziale, ma comunque non sufficiente di per sé

ai fini della vittoria; la carta vincente israeliana risiedette proprio nell’eccellente

coordinazione e cooperazione tra potere aereo e forze terrestri.

Sei anni dopo, nell’ottobre 1973, si svolse un’altra guerra che vide il potere aereo

israeliano come protagonista: la cosiddetta Guerra dello Yom Kippur, in cui furono

nuovamente coinvolti Israele, Siria ed Egitto. Il conflitto prese le mosse dalla volontà di

Egitto e Siria di recuperare i territori perduti nel 1967.

L’attacco, anche questo a sorpresa, venne effettuato il 6 ottobre, ovvero il giorno

dello Yom Kippur, la più sacra festività ebraica durante la quale i fedeli devono dedicarsi

alla preghiera e al digiuno. La scelta del giorno non fu ovviamente casuale, poiché in

questo modo siriani ed egiziani accrebbero le difficoltà della difesa israeliana.

Gli egiziani arrivarono da Ovest, oltrepassando il Canale di Suez ed entrando nel

Sinai, mentre i siriani attaccarono le alture del Golan. Nei primi giorni le perdite israeliane

furono ingenti, tanto che il Paese si convinse di essere sul punto di cedere, ma nel giro di

una settimana riuscì a riorganizzarsi: gli Stati Uniti di Nixon accolsero le richieste di aiuto

del Primo Ministro Golda Meir e, a partire dal 14 ottobre, avviarono l’operazione Nickel

Grass, creando un ponte aereo strategico per trasportare armi e rifornimenti vari ad

Israele.

Tra le altre cose, gli americani fornirono agli israeliani alcuni velivoli di ultima

331 Cfr. A. SHLOMO, Arab-Israeli Air Wars (1947-1982), Jerusalem, Ospray, 2001, pp. 199 sgg.

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112

generazione, gli F-4 Phantom II, grazie ai quali i piloti israeliani riuscirono a contrastare

efficacemente gli attacchi dei missili terra-aria delle forze arabe.

L’esercito israeliano, da parte sua, attraversò in senso inverso il canale di Suez e

distrusse tutte le batterie antiaeree arabe che avevano impedito all’aviazione di agire

indisturbata, dimostrando ancora una volta l’importanza di una sinergia tra forze di terra

e forze aeree.

Dopo una settimana di scontri durissimi, il 22 ottobre l’ONU approvò una

risoluzione che imponeva il cessate il fuoco, invocando la fine delle ostilità tra Israele ed

Egitto. Nonostante ciò, gli egiziani distrussero ancora nove carri armati israeliani, e in

tutta risposta le truppe israeliane decisero di portare a termine ciò che avevano iniziato:

raggiunsero la Terza Armata egiziana ad ovest del Canale di Suez, a soli 100 chilometri

dal Cairo, e l’accerchiarono completamente, tagliando tutti i rifornimenti umanitari ai

soldati egiziani ormai stremati, nel deserto, senza cibo né acqua. A quel punto, gli Stati

Uniti adottarono altre due risoluzioni che imponevano il cessate il fuoco immediato,

esercitando forti pressioni su Israele affinché si fermasse e non distruggesse la Terza

Armata egiziana.

Il 25 ottobre sia Israele che Egitto deposero ufficialmente le armi.

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113

CAPITOLO SESTO

6. L’EVOLUZIONE E L’USO DEL POTERE AEREO POST GUERRA

FREDDA

6.1. La prima guerra del Golfo

Al termine della Guerra Fredda, con il collasso dell’Unione Sovietica, lo scenario

internazionale iniziò a mutare profondamente e il potere aereo divenne ancora più

rilevante.

Ciò è evidente, soprattutto, nella guerra del Golfo del 1991 e nella guerra per il

Kosovo del 1999. Entrambi i conflitti dimostrarono quanto le forze aeree potessero essere

non solo decisive, ma anche risolutive. Inoltre, a partire da questi eventi bellici, si aprì

nuovamente l’antico dibattito sull’effettiva capacità del potere aereo di portare da solo

alla vittoria.

La guerra del Golfo332 segnò un punto di svolta nella concezione del potere aereo,

il momento in cui tutte le lezioni apprese nei precedenti conflitti vennero definitivamente

superate e si fecero strada nuovi riferimenti per la dottrina del potere aereo333.

Nella guerra del Golfo fu la componente aerea a dominare l’intera strategia

statunitense, seppur sempre ben integrata con le altre forze. Inizialmente si pose un

problema circa l’organizzazione del command and control334, ovvero se affidare tale

funzione ad un controllo centralizzato o a più comandanti. Alla fine, vinse la soluzione –

sostenuta fermamente dall’USAF – del controllo centralizzato; si provvide dunque a

costruire una struttura unica cui partecipassero i vari comandanti delle forze aeree,

terrestri e navali, creando una perfetta sinergia fra i tre elementi. Il potere aereo assunse

332 Ricordiamo, brevemente, che fu una guerra combattuta nel 1991 tra Stati Uniti e Iraq in seguito

all’invasione e all’occupazione, da parte di quest’ultimo, del Kuwait. Gli Stati Uniti intervennero in difesa

dell’Arabia Saudita e per ripristinare lo status quo. 333 E’ nell’ambito di questa guerra che nascono alcuni elementi rivoluzionari della dottrina, come

ad esempio la definizione di categorie di obiettivi, della priorità da assegnare a ciascuno di essi e delle fasi

della campagna aerea. 334 Letteralmente “comando e controllo”, si tratta dell’esercizio dell’autorità e della direzione, da

parte di un comandante appropriatamente designato, nei confronti delle forze a lui assegnate per il

compimento di una missione.

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114

il compito di coordinare e gestire tutti gli assetti aerei e decidere in che modo utilizzarli

al meglio.

La prima operazione militare americana – che tecnicamente anticipò la guerra del

Golfo – fu l’”operazione Desert Shield”, la più grande operazione di posizionamento

logistico a carattere offensivo-difensivo dalla fine della Seconda guerra mondiale. Grazie

a questa operazione, le forze americane riuscirono a far arrivare in Arabia Saudita, per

via aerea, terrestre e navale, ingenti aiuti: centinaia di migliaia di uomini, migliaia di

tonnellate di armamenti, decine di migliaia di tonnellate di viveri, munizioni, portaerei,

incrociatori, sommergibili nucleari, uno stormo di caccia F-15 Eagle e tutto il necessario

utile all’approvvigionamento di una poderosa forza militare335. All’operazione

contribuirono anche molte altre nazioni.

Desert Shield avrebbe dovuto svolgere funzioni di deterrenza, ma una volta

conclusa la fase di schieramento delle unità, il 16 gennaio 1991 l’Iraq si rifiutò di

abbandonare il Kuwait; da qui la decisione degli Stati Uniti di passare all’attacco.

L’operazione Desert Shield si trasformò allora nell’”operazione Desert Storm” –

peculiare il passaggio dal termine “shield”, scudo, ad indicare la funzione per lo più

difensiva dell’operazione, a “storm”, tempesta, emblematico di un’offensiva poderosa –.

Fu così che ebbe ufficialmente inizio la guerra del Golfo.

La campagna aerea pianificata dagli Stati Uniti nell’ambito dell’offensiva prese il

nome di “Instant Thunder”, volutamente simile a quello della disastrosa operazione

Rolling Thunder del Vietnam, in un tentativo di esorcizzazione dei fantasmi del passato,

ma anche per evidenziare la differenza rispetto al bombardamento graduale della Rolling

Thunder; infatti, l’operazione Instant Thunder si prefigurava come una campagna aerea

furiosa, rapida e massiccia, al fine di conseguire tutti gli obiettivi nel minor tempo

possibile e con il minor costo in termini di vite e danni collaterali336.

Il potere aereo aveva come primo compito quello di assicurarsi la conquista della

superiorità aerea, in modo tale da interdire all’Iraq l’utilizzo di mezzi aerei e facilitare le

operazioni delle truppe di terra. Gli attacchi aerei si concentrarono prioritariamente sui

cosiddetti “centri di gravità” (COG, Centers of Gravity), ovvero i punti più deboli e di

335 Ibidem 336 LT COL J. V. MARTIN, Victory from above. Air power theory and the conduct of operations

Operation Desert Shield and Desert Storm, Alabama, Air University Press, 1994, p. 53

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115

maggior rilevanza strategica del nemico. In proposito, il colonnello Warden sviluppò un

modello basato su degli anelli concentrici, ognuno rappresentativo di un centro di gravità

avversario: le forze militari di terra, la popolazione civile, le infrastrutture civili e militari,

i centri industriali e, infine, il più importante, la struttura di comando337.

Figura 1. Modello dei cinque anelli (Centers of Gravity) del colonnello John Warden. Fonte: jstor.org

Gli aerei americani fecero più di 1000 uscite al giorno, un numero impressionante

che comportò enormi sforzi ma assicurò il criterio “op tempo”338. Gli Stati Uniti si

servirono anche di altre armi quali, ad esempio, le “bombe intelligenti”339, i missili da

crociera, le bombe a grappolo e le bombe “taglia margherite”340.

L’attività aerea si dedicò poi anche alle operazioni di contraviazione offensiva,

focalizzandosi su attacchi mirati ai campi di volo e ai siti radar e missilistici iracheni,

arrivando poi a compiere con stupefacente successo attacchi sui quartieri generali del

comando, da cui dipendeva il sistema di difesa iracheno. In ultima battuta, l’aviazione

fornì supporto diretto alla campagna terrestre, Desert Sabre.

337 Ivi, p. 50 338 Nella dottrina dell’USAF, questo criterio indica la capacità di condurre operazioni ad alta

intensità per un tempo prolungato. 339 Bombe guidate progettate per colpire con precisione uno specifico bersaglio e minimizzare i

danni a ciò che è al di fuori del loro obiettivo. 340 Bombe in grado di spianare una sezione di bosco di 1500m.

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116

Questo piano d’azione permise di portare avanti anche le altre missioni in

superficie e in mare aumentandone sensibilmente le possibilità di successo, e contribuì a

creare un senso di vulnerabilità nel nemico341.

Il potere aereo fu essenziale in tutte le sue funzioni: offensiva, difensiva e di

interdizione. Fu in grado di porre le condizioni necessarie per una vittoria rapida contro

l’esercito iracheno. La sua attività si focalizzò su un’offensiva massiccia che gli assicurò

il controllo dell’aria e il danneggiamento dei centri di gravità strategici e operativi del

nemico.

Il potere aereo si rivelò quindi il fattore dominante e decisivo, anche se non

condusse da solo alla vittoria: esso fu integrato con le operazioni di terra e fu questo a

sancire il successo dell’intera azione.

6.2. La guerra del Kosovo

Dopo la guerra del Golfo, scoppiò la crisi dei Balcani, con la dissoluzione dell’ex

Jugoslavia. Questa crisi era il sintomo di un mondo che cambiava in seguito al tramonto

del sistema bipolare che, per quasi cinquant’anni, aveva governato lo scenario

internazionale. Senza più alcuna influenza da parte della disciolta Unione Sovietica, i

Paesi a rischio instabilità, che prima erano in un certo senso mantenuti stabili dal timore

nutrito nei confronti di Mosca, iniziarono a palesare tutte le loro situazioni problematiche.

La Federazione Jugoslava si frammentò, dando inizio ad una serie di secessioni

concatenate, che alla fine implicarono violenze diffuse e contrapposte campagne di

pulizia etnica.

In un contesto già così teso, nel 1999 si svolse la guerra del Kosovo. Diverse sono

le cause attribuibili al conflitto. Senza dubbio il “neighbour effect” giocò un ruolo

fondamentale nell’avvio delle ostilità, dal momento che le precedenti guerre nell’area

avevano diffuso un’instabilità generale nella regione del Kosovo che aveva

progressivamente alimentato i nazionalismi delle etnie serbe ed albanesi342.

341 LT COL J. V. MARTIN, op.cit., p. 54 342 AA.VV., The Role of Italian Fighter Aircraft in Crisis Management Operations: Trends and

Needs, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2014, p. 42

Page 117: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

117

Nel 1996 ebbero inizio i contrasti tra il Kosovo Liberation Army (KLA)343 e le

truppe jugoslave. Essi si trasformarono presto in un’escalation di violenza che sfociò

nell’uccisione di decine di civili. Nel gennaio 1999, dietro le pressioni della NATO, si

compì un tentativo di negoziazione promosso dal Contact Group (Stati Uniti, Russia,

Regno Unito, Francia, Italia e Germania) che, però, fallì a causa dell’abbandono del

tavolo delle trattative da parte della Federazione Jugoslava344. La NATO decise allora di

intervenire militarmente nel conflitto.

La campagna aerea del Kosovo, denominata Operation Allied Force, iniziò il 24

marzo 1999 e si protrasse per 78 giorni di intensi bombardamenti. La decisione

dell’intervento fu presa, a detta della NATO, per evitare la catastrofe umanitaria che stava

imperversando in Kosovo, e dopo aver tentato, per più di un anno, di risolvere il conflitto

con mezzi diplomatici345.

La strategia militare mirava a costringere le forze paramilitari fedeli a Slobodan

Milosevic ad abbandonare il Kosovo, a fermare la repressione degli albanesi kosovari e a

ridurre al minimo il numero di vittime (danni collaterali). Nei primi giorni del conflitto,

la NATO concentrò i suoi sforzi nella distruzione del sistema di difesa aereo jugoslavo;

dopo dieci giorni di campagna aerea, però, i risultati non erano soddisfacenti: le difese

jugoslave non erano state seriamente danneggiate e Milosevic non appariva propenso ad

aprire un negoziato346.

A quel punto, la NATO decise di modificare la sua strategia, indirizzando i suoi

attacchi alle linee strategiche di comunicazione e tagliando i rifornimenti energetici della

Jugoslavia. Iniziò anche a cooperare con le truppe dell’UCK per le operazioni terrestri

effettuate direttamente sul suolo del Kosovo.

Il cambio di strategia si dimostrò vincente, in quanto dopo più di due mesi di

bombardamenti continui Milosevic si vide costretto ad accettare un accordo. In realtà, sia

lui che la NATO erano ormai stremati dalla situazione, sulla quale iniziava a pesare molto

anche l’opinione pubblica e il morale della popolazione, ormai esasperata. Questo aspetto

343 UÇK (Ushtria Çlirimtare Kosovës), organizzazione paramilitare kosovaro-albanese. 344 Non a torto secondo Henry Kissinger, poiché l’accordo previsto poneva delle condizioni

inaccettabili per uno Stato sovrano. Si trattava, più che altro, di una provocazione diretta a giustificare

l’avvio della guerra. 345 AA.VV., op.cit., p.43 346 IISS, NATO’S campaign in Yugoslavia, in “Strategic Comments”, vol. 5, n. 3, April 1999, pp.

1-4

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118

richiama alla mente e conferma ciò che Douhet affermava riguardo la capacità del

bombardamento strategico di minare lo stato d’animo di una popolazione, sfiancandola a

tal punto da provocare nelle persone un rifiuto assoluto della guerra. Fu proprio quello

che accadde in Kosovo.

La guerra civile del Kosovo terminò ufficialmente nel giugno 1999, in seguito alla

firma degli accordi di tregua di Kumanovo. Da quel momento in poi, la NATO Kosovo

Force (KFOR) fu impiegata in Kosovo per scopi di peace-keeping e stabilizzazione del

territorio.

Nell’operazione Allied Force il maggior contributo venne apportato dagli Stati

Uniti, con circa 800 velivoli; tra i Paesi europei fu invece la Francia a dare il maggior

apporto347. Anche l’Italia fornì una partecipazione significativa: si conta che, da marzo a

giugno 1999, intervenne nel conflitto schierando 50 aerei – tra cui F-104, Tornado, AMX

e AV-8B – con una media di 1022 uscite al giorno348, costituendosi come il terzo maggior

contributore in termini di dispiegamento di velivoli. E’ interessante sottolineare il fatto

che praticamente tutti i velivoli della NATO partirono da basi italiane, per cui senza

l’appoggio logistico dell’Italia sarebbe stato pressoché impossibile portare avanti air

strikes ad alta intensità.

Nello svolgimento della campagna aerea si acquisì come prima cosa la superiorità

aerea attraverso operazioni di contraviazione offensiva. Vennero impiegati diversi assetti

dei velivoli: missioni di soppressione della difesa aerea nemica tramite attacchi sui siti

radar e missilistici, velivoli di guerra elettronica per interferire con i radar e le

comunicazioni, aerei cisterna per il rifornimento in volo, velivoli radar per controllare lo

spazio aereo, ed altro ancora. Inoltre, i velivoli adottarono il metodo della penetrazione

ad alta quota, condotta spesso di notte, in modo tale da rimanere al di sopra di eventuali

minacce come missili spalleggiabili e altre armi di piccolo calibro; cosa che permise loro

di non subire perdite.

Si pose molta attenzione alla questione dei danni collaterali, che influenzò la scelta

degli obiettivi, il tipo di armamento da impiegare e il modo di rilascio dell’armamento349.

Di conseguenza, per gli obiettivi sensibili – cioè ad alto rischio di danni collaterali – si

347 RAND, Research Brief, Operation Allied Force – Lessons for Future Coalition Operations, pp.

1-2 348 AA.VV., op.cit., p.45 349 GEN. S. A. A. FORNASIERO, Operazioni aeree nei Balcani: quali insegnamenti?, in

“Informazioni della difesa”, 3/2000, p. 28

Page 119: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

119

utilizzarono armamenti di alta precisione. Nonostante però quasi tutti i velivoli

statunitensi possedessero un armamento di precisione, molti furono gli errori commessi

con l’effetto di provocare la morte di centinaia di civili in varie aree del Kosovo.

La risposta jugoslava fu piuttosto massiccia e una volta l’aviazione di Belgrado

riuscì addirittura ad abbattere un F-117A dell’USAF, pur trattandosi per lo più di un colpo

di fortuna.

Nella guerra in Kosovo, come è evidente, il potere aereo svolse ancora una volta

un ruolo cruciale. Fu protagonista assoluto del conflitto e, per la prima volta, l’impiego

di bombardamenti aerei portò da solo il nemico ad accettare buona parte delle condizioni

che gli si voleva imporre: le profezie di Douhet e dei suoi segaci si concretizzarono.

Emerse in tutta la sua evidenza anche la concezione di Clausewitz, già incontrata nel

corso di questo elaborato, secondo cui la guerra altro non è che la continuazione della

politica tramite altri mezzi; difatti, una volta falliti i tentativi politici di risoluzione della

controversia, si affidò ai militari il compito di continuare tale processo con l’aggiunta di

altri mezzi. La campagna aerea in Kosovo si concluse senza vittime alleate350.

6.3. La guerra in Libia

Le ragioni dell’intervento multinazionale in Libia sono ancora controverse e

oggetto di studi e analisi da parte di esperti e giuristi351. Francia, Regno Unito e Stati Uniti

ricoprirono il ruolo politico principale nell’avviare le operazioni militari, e in particolare

l’impegno delle forze armate statunitensi fu indispensabile nell’avvio dell’intervento

internazionale e nella conduzione della prima fase della campagna in Libia352. Altre

tredici nazioni si unirono alla coalizione – tra cui l’Italia –, nonostante fossero scettiche

sulle implicazioni di lungo termine della guerra sulla stabilità libica353.

350 Ivi, p. 26 351 A proposito di questo dibattito, cfr. N. RONZITTI, NATO’S Intervention in Libya: A genuine

action to protect a civilian population in mortal danger or an intervention aimed at regime change?, in

“The Italian Yearbook of International Law”, vol. 21, 2011, pp. 3-21 352 AA.VV., op.cit., p. 53 353 Ibidem

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120

Sembra, comunque, che la ragione umanitaria abbia caratterizzato il fattore

principale d’intervento354, anche se, come vedremo, si sono presto fatti strada alcuni dubbi

al riguardo.

Ufficialmente, le operazioni militari furono intraprese in risposta ad eventi

accaduti durante la ribellione libica, nel contesto di una più ampia agitazione in Medio

Oriente e Nord Africa. L'insurrezione era iniziata dopo una serie di proteste e rivolte

contro il regime di Muammar Gheddafi nel febbraio 2011. Le proteste, in particolare

nell'area di Bengasi, Beida e Derna, erano sfociate in una ribellione armata che si era

diffusa in tutto il Paese con l'obiettivo di rovesciare il governo in carica355. Il governo

libico rispose con una repressione talmente violenta che provocò forte indignazione nella

comunità internazionale: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU reagì con una risoluzione

che prevedeva l’embargo totale sulle armi dirette verso il Paese nordafricano, il

congelamento dei beni delle persone individuate in una lista allegata (per lo più parenti

di Gheddafi stesso ed esponenti del governo libico), il divieto di spostamenti imposto a

Gheddafi, nonché il rispetto del diritto internazionale umanitario356.

Il 17 marzo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò un’altra risoluzione, che

imponeva il cessate il fuoco a Gheddafi, stabiliva una no-fly zone sui cieli libici e

consentiva ai Paesi della coalizione internazionale coinvolti nel conflitto l’utilizzo di

qualunque mezzo – anche della forza – per proteggere i civili dalle forze lealiste di

Gheddafi357, con l’unico limite del divieto di procedere ad un’occupazione militare.

Questo punto in particolare può essere considerato il primo esempio di applicazione

pratica della dottrina della responsibility to protect358.

Il 19 marzo, in seguito al perpetrarsi degli attacchi libici in violazione alle

risoluzioni ONU, i leader di Stati Uniti, Regno Unito e Francia diedero inizio alle prime

operazioni militari, nella cornice di una Coalition of the Willing.

354 Ivi, p. 54 355 Ibidem 356 Risoluzione 1970/2011, 26 febbraio 2011, https://www.undocs.org/S/RES/1970%20(2011);

ultima consultazione 23 settembre 2020 357 Risoluzione 1973/2011, 17 marzo 2011, https://www.undocs.org/S/RES/1973%20(2011);

ultima consultazione 23 settembre 2020 358 Secondo questa dottrina, qualunque Stato della comunità internazionale ha la responsabilità di

proteggere la popolazione di uno Stato qualora questo non sia in grado di prevenire o porre fine alle

violazioni dei diritti fondamentali nei confronti della popolazione stessa.

Page 121: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

121

Le prime attività consistettero in una serie di ricognizioni aeree dello spazio aereo

libico da parte di alcuni caccia francesi, che successivamente attaccarono quattro mezzi

corazzati dell’esercito libico situati a Bengasi359 (“operazione Harmattan”), e

proseguirono con il lancio di più di un centinaio di missili da crociera Tomahawk da unità

navali americane e inglesi (cacciatorpediniere lanciamissili, sottomarini nucleari e navi

d’assalto anfibie), operazione che prese il nome di “operazione Odyssey Dawn”. Anche

la RAF, nello stesso giorno, dispiegò missili contro obiettivi militari libici.

Come accadde per la guerra del Kosovo, anche stavolta l’Italia mise a disposizione

della coalizione internazionale le proprie basi aeree, precisamente 7, fornendo un grande

appoggio logistico e strategico, nonché centinaia di piloti, 1000 marinai e diverse unità

navali.

Nei giorni successivi continuarono i bombardamenti da parte delle aviazioni della

coalizione internazionale, nell’ambito dei quali i velivoli svolsero tanto funzioni

offensive quanto di ricognizione e deterrenza.

Il 23 marzo la NATO intervenne nelle acque internazionali di fronte alla Libia –

non potendo accedere alle acque libiche senza un mandato – per assicurare l’effettivo

rispetto delle due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Questa operazione prese il nome

di “operazione Unified Protector”. Vennero schierati velivoli e navi con l’obiettivo di

perquisire tutte le imbarcazioni sospette, in modo da garantire l’osservanza dell’embargo

sulle armi, mentre il comando della no-fly zone e i bombardamenti aerei rimasero

prerogativa della coalizione internazionale.

Il 31 marzo la campagna militare passò sotto l’egida della NATO, che racchiuse

in un unico comando le operazioni legate agli obiettivi delle due risoluzioni.

I raid proseguirono ed aumentarono di intensità, prendendo di mira non soltanto

il campo di battaglia, ma anche Tripoli e i centri nevralgici del potere del Rais. Questa

strategia ci riporta a quella sorta di “diplomazia coercitiva” adottata anche nella guerra

del Kosovo, allorché si alzò la pressione sul leader Milosevic per indurlo al tavolo

negoziale.

359 https://www.defense.gouv.fr/fre/air/actus-air/libye-debut-des-operations-aeriennes-francaises;

ultima consultazione 23 settembre 2020

Page 122: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

122

In maggio si giunse alla conquista da parte della NATO di Tripoli, Sirte e gran

parte della Libia. Il conflitto si concluse in ottobre con la morte di Gheddafi per mano dei

ribelli.

L’operazione Unified Protector non fu un intervento militare così imponente

rispetto allo standard della NATO: la coalizione effettuò una media di soltanto 100 sortite

al giorno, di cui solo la metà erano di attacco. Paragonata alle operazioni svolte, ad

esempio, in Kosovo nel 1999, appare evidente la differenza di portata tra le due campagne

aeree.

La guerra di Libia del 2011 confermò ulteriormente il ruolo essenziale e strategico

del potere aereo, sia in chiave prettamente offensiva che di deterrenza, nel conseguire gli

obiettivi stabiliti dalla politica. Esso svolse il suo compito di porre fine al conflitto in

tempi rapidi e con le minori perdite possibili. E’ proprio in questa guerra, infatti, se

confrontata con le precedenti, che si registra il minor numero di vittime civili; questo

perché i bombardamenti di precisione funzionarono nel colpire gli obiettivi specifici,

limitando i danni collaterali.

Accanto a quella propriamente offensiva, si rivelarono fondamentali anche la

funzione di ricognizione – in quanto permise di acquisire immagini aeree preziose

dell’area delle operazioni – e quella di rifornimento in volo – divenuta poi indispensabile

in tutti i conflitti successivi, nonostante non tutte le forze aeree ne dispongano –.

Il potere aereo si dimostrò di nuovo un elemento imprescindibile ed efficace nel

condurre al successo, grazie alla neutralizzazione delle forze aeree nemiche e dei punti

strategici della potenza avversaria. Nel caso specifico della Libia, però, rimase aperta una

questione controversa: se l’obiettivo della missione NATO fosse stato quello di

proteggere la popolazione civile dai crimini contro l’umanità commessi dal governo

libico, la sola morte di Gheddafi non sarebbe potuta bastare di per sé a garantire la

salvezza della popolazione; infatti, gli abusi nei confronti dei civili continuarono anche

dopo la sua morte360. Se è vero, quindi, che l’intervento si concluse con una vittoria sul

piano militare, dall’altro lato esso non portò realmente a termine l’obiettivo di proteggere

i civili. Questo lasciò qualche dubbio sull’effettiva ragione dell’intervento NATO.

360 Cfr. G. BARTOLINI, L’operazione Unified Protector in Libia e la condotta delle ostilità, in

“Rivista di diritto internazionale”, 4/2012

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123

Conclusioni

Questo lavoro ha cercato di ripercorrere le fasi fondamentali della nascita del

potere aereo, a partire dai primi impieghi di mera ricognizione aerea nella guerra italo-

turca del 1911, sino all’incredibile sviluppo tecnologico conosciuto dai velivoli e al loro

conseguente impiego tattico e strategico in alcuni significanti conflitti contemporanei.

L’evoluzione del potere aereo è stata senza dubbio molto rapida: in poco più di

cento anni dalla prima alzata in volo di un “velivolo più pesante dell’aria”, gli aerei sono

passati dal non poter rimanere in aria per più di cinque minuti alla capacità di compiere

un volo di più di un giorno; da una velocità di appena 160 km/h ad una velocità di più di

3mila km/h; e anche la capacità di carico è sensibilmente aumentata, facendo sì che già

dalla fine degli anni Sessanta gli aerei potessero trasportare missili (un esempio lampante

è la guerra del Vietnam). I bombardieri, grazie allo sviluppo di bombe intelligenti, sono

arrivati a poter distruggere ogni obiettivo con il lancio di un solo ordigno, quando in

passato sarebbero state necessarie più di una dozzina di bombe per raggiungere lo stesso

risultato.

Le teorie della guerra aerea di autori come Douhet, Trenchard e Mitchell hanno

affiancato il processo di sviluppo tecnologico dell’aereo, ponendo grande attenzione sulla

funzione del bombardamento strategico del potere aereo come unico mezzo in grado di

conseguire la vittoria in un conflitto. L’affermarsi del potere aereo è tuttavia avvenuto

non senza l’emergere di alcune criticità: ad esempio, c’è stato un momento storico in cui

la potenza distruttrice del bombardamento strategico, che si andava delineando con

chiarezza in quel periodo, ha suscitato molto timore nell’opinione pubblica, portando a

vari tentativi di disarmo aereo e regolamentazione della guerra nei cieli come le due già

trattate Conferenze di Washington (1921) e di Ginevra (1932). Entrambe, però, hanno

fallito nel loro tentativo di abolizione delle aeronautiche militari e di regolamentazione

della guerra aerea, poiché tutte le potenze iniziavano già a comprendere la grandiosità

dell’arma aerea e l’impossibilità di farne a meno. Si trattava del periodo immediatamente

antecedente allo scoppio della guerra d’Etiopia e di quella civile spagnola, in cui, come

si è avuto modo di esaminare, si è fatto un uso massiccio – e poi aspramente condannato

– dell’arma aerea, tanto da poter essere definite i primi laboratori della guerra aerea.

Page 124: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

124

Durante le campagne della Seconda guerra mondiale, il potere aereo ha avuto

l’occasione di mostrarsi in tutta la sua efficacia e potenza, ma è stato con i primi

bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki che il suo ruolo è iniziato a diventare

ancora più centrale, assumendo anche quello di vettore dell’arma nucleare.

In seguito alla disamina di alcune delle maggiori guerre degli ultimi anni (Corea,

Vietnam, Sei Giorni, Yom Kippur, Golfo, Kosovo e Libia), che hanno visto un ingente

dispiegamento di forze aeree, è stato possibile rilevare nella pratica il contributo

fondamentale che esse hanno apportato alla riuscita delle operazioni militari. In queste

occasioni, il potere aereo è stato in grado di condurre al raggiungimento degli obiettivi in

tempi rapidi e con il minor numero di perdite possibili. Seppur accompagnato da alcune

polemiche nel corso del tempo, è innegabile che l’impiego del potere aereo abbia fatto la

differenza e sia divenuto un elemento oramai imprescindibile dei conflitti.

E’ facile dunque intuire quanto il potere aereo si sia andato costituendo come un

fattore decisivo e, talvolta, addirittura risolutivo, nei conflitti che hanno contraddistinto

gli scenari internazionali degli ultimi anni. Esso si è trovato a confrontarsi sin da subito

con il potere militare terrestre e il potere marittimo, i due elementi che fino alla comparsa

della terza dimensione avevano caratterizzato ogni guerra; dall’essere inizialmente

subordinato al potere terrestre, con funzioni prettamente ricognitive e di supporto, il

potere aereo è arrivato ben presto a guadagnare una sua autonomia strategica e ad imporsi

tra le forze armate, in un momento di svolta in cui si stavano superando i riferimenti delle

teorie geopolitiche classiche. Così l’antica contrapposizione tra potenza di terra e potenza

di mare, che aveva a lungo governato le relazioni tra gli Stati e le loro scelte strategiche,

si è dimostrata obsoleta con l’irruzione sulla scena del potere aereo. Ora le dimensioni

diventavano tre: navale, terrestre ed aerea, e non vi era predominanza dell’una sull’altra.

Proprio su questo punto le teorie di autori come Douhet si possono ritenere inesatte: pur

assodato che il potere aereo sia essenziale nelle sue funzioni strategiche e tattiche – così

come il bombardamento strategico –, che spesso renda concretamente possibili le

operazioni di terra e di mare grazie alla conquista della superiorità aerea, e che le teorie

degli studiosi di guerra aerea siano state fondamentali e rivoluzionarie nello sviluppo di

una dottrina aerea, tuttavia si è anche osservato, in diverse occasioni, che il solo potere

aereo non può, di per sé, essere sufficiente al raggiungimento della vittoria; in molti casi

(come, ad esempio, nel corso delle campagne della Seconda guerra mondiale) esso è

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125

risultato vincente solo quando operante in perfetta collaborazione e sinergia con le altre

due dimensioni del potere, terrestre e navale.

Da un altro punto di vista, però, bisogna riconoscere che il potere aereo è stato

anche in grado di agire da solo, di svolgere, cioè, anche in autonomia un ruolo spesso

decisivo. Ma questo non perché sia da ostentare una sua presunta superiorità sugli altri

due poteri, ma perché in alcuni tipi di conflitto il potere aereo è risultato e risulta essere

il mezzo più appropriato di cui servirsi. A tal proposito, come si ha avuto modo di vedere

ad esempio nel caso del Kosovo e della Libia, il potere aereo è stato in grado di offrire

una risposta flessibile al carattere asimmetrico del conflitto, dimostrando le sue grandi

capacità di adattamento. In certi casi, quindi, grazie alle sue peculiarità, può risultare

preferibile l’impiego del potere aereo rispetto a quello delle altre forze militari, come ad

esempio quando, nelle prime fasi di un conflitto, è di cruciale importanza annientare in

prima battuta il potenziale bellico del nemico al fine di annullarne la capacità di risposta,

o anche quando si voglia costringerlo al negoziato. Per questo motivo, anche l’approccio

interforze, che tendenzialmente è quello preferibile, può avere dei limiti, in quanto in

determinati casi il potere aereo risulta essere il mezzo più idoneo e addirittura risolutivo

nello svolgimento di un conflitto.

Con l’avanzamento della tecnologia e la comparsa del potere spaziale, anche la

sinergia tra potere aereo e potere spaziale è divenuta vitale nella conduzione di conflitti,

specialmente se si pensa al grandissimo valore dell’intelligence che si può ricavare dalle

piattaforme aeree e spaziali e che è parte fondamentale della pianificazione militare, e

ancora alla tecnologia spaziale di cui oggi si può disporre, come l’utilizzo del GPS, che

si è talmente tanto integrata nelle operazioni militari ordinarie da non poterne più fare a

meno.

Nello scenario internazionale attuale, guardare al passato è sicuramente

importante: le lezioni apprese nei teatri operativi degli ultimi anni sono fondamentali nel

comprendere gli errori commessi – riconducibili soprattutto ad errori di strategia – ma è

necessario anche non lasciarsi condizionare dalle esperienze passate e saper adottare

strategie d’azione diverse per ogni conflitto, impiegando le tre forze militari a seconda

delle caratteristiche del teatro, identificando di volta in volta i mezzi più idonei al

conseguimento degli obiettivi e mantenendo sempre il passo con l’incessante evoluzione

tecnologica dei mezzi bellici.

Page 126: STORIA ED EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO: DAGLI ALBORI …

126

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138

RIASSUNTO

Alla base del presente elaborato vi è la volontà di andare alla radice di uno degli elementi più

importanti dei conflitti contemporanei, ovvero il potere aereo, tracciandone la storia e l’evoluzione.

Partendo dagli albori dell’aeronautica, passando per la nascita della questione aerea e della nozione

di “dominio dell’aria”, si è giunti a delineare lo sviluppo del concetto di “potere aereo” sino al suo

impiego tattico e strategico nel contesto di alcuni fra i più significativi teatri di guerra contemporanei.

Se può risultare semplice intuire cosa s’intenda per “potere aereo”, decisamente più difficile

è trovare una definizione scientifica per tale concetto. Si potrebbe ricorrere alla definizione che ne dà

il documento inglese AP3000 British Air Power Doctrine, secondo cui «il potere aereo è la capacità

di proiettare le forze militari nell’aria o nello spazio con o da una piattaforma aerea che, a sua volta,

opera al di sopra della superficie della terra». Benché si tratti di una definizione per lo più didattica,

che non tiene conto dell’onnicomprensività del termine, può essere utilizzata come punto di partenza.

Dopo gli esperimenti delle prime “macchine volanti”, il 1783 fu l’anno in cui i fratelli

Montgolfier riuscirono finalmente a realizzare il primo pallone aerostatico in grado di sollevarsi da

terra portando a bordo un piccolo equipaggio. Fu proprio con i palloni aerostatici che ebbe inizio la

fase pioneristica dell’evoluzione della guerra aerea, caratterizzata dai primi tentativi di utilizzo dei

velivoli in chiave bellica. I palloni aerostatici furono infatti utilizzati con successo, ad esempio, nella

Battaglia di Fleurus del 1794 e nella guerra di secessione del 1862, passando dall’alimentazione ad

aria calda all’alimentazione a gas. Nel 1897 arrivò la prima aeronave rigida del mondo.

Sia i palloni aerostatici che, successivamente, i dirigibili, furono inizialmente – e per lungo

tempo – adibiti a funzioni per lo più ricognitive e d’osservazione. I nuovi dirigibili furono impiegati

nell’ambito della guerra italo-turca del 1911 e, soprattutto, nella Grande Guerra, sebbene palesassero

ancora notevoli criticità dal punto di vista tecnico. Una svolta decisiva si ebbe con l’introduzione dei

motori a scoppio nell’aviazione, grazie ai quali tanto l’aeronautica civile quanto quella militare

poterono avvalersi di dirigibili di ottima qualità. Ben presto le nazioni europee fecero a gara nella

costruzione e nel lancio di velivoli sempre più sofisticati e perfezionati.

Nonostante il miglioramento che i progressi tecnologici avevano apportato al dirigibile,

quest’ultimo sarebbe stato ben presto reso obsoleto dall’avvento del suo grande rivale, l’aeroplano,

realizzato a partire dai pioneristici esperimenti dei fratelli Wright nel 1903. Accade così che

l’aerostato, definito come oggetto “più leggero dell’aria”, venne soppiantato definitivamente

dall’aeroplano, che, al contrario, era un mezzo “più pesante dell’aria”. L’invenzione dell’aeroplano

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139

segnò una delle più straordinarie rivoluzioni tecnologiche dell’umanità e cambiò profondamente il

modo di condurre le guerre.

La guerra italo-turca del 1911 vide l’uso sistematico di aeroplani da parte dell’esercito

italiano: il mezzo “più pesante dell’aria” fu impiegato con successo con finalità esplorative sul

territorio nemico e per bombardare da lontano le postazioni avversarie, sebbene le funzioni di tipo

offensivo fossero nei primi aerei decisamente minoritarie. In quell’anno ancora non si poteva parlare

né di dottrina del potere aereo e né tantomeno di aviazione strategica, in quanto non esistevano forze

aeree indipendenti e la tecnologia non aveva raggiunto livelli tali da consentire lo sviluppo di velivoli

che avessero una qualche valenza strategica.

La cosiddetta “questione aerea” fu sollevata proprio nell’ambito della guerra italo-turca, in

seguito alla sperimentazione, da parte italiana, del lancio di piccole bombe sugli accampamenti

militari avversari; si pensò da subito alle temibili conseguenze dell’impiego dell’arma aerea e si sentì

l’esigenza di comprendere se e in quale misura un bombardamento aereo potesse essere considerato

lecito secondo le leggi internazionali. Da quel momento in poi, l’impiego dell’aeroplano in guerra fu

costantemente accompagnato da numerose polemiche, che vedevano contrapporsi chi, da una parte,

non voleva eliminare l’importanza del lato militare dell’aviazione bloccandone lo sviluppo, e chi,

dall’altra, dava voce alla necessità di impedire che una magnifica rivoluzione come il volo umano si

trasformasse in una minaccia per la civiltà.

La Prima guerra mondiale fu un evento di importanza decisiva per l’evoluzione tecnologica

degli aeroplani come strumenti bellici e per il notevole incremento nella loro produzione. Alla vigilia

del conflitto l’aereo era ancora uno strumento di tela e legno privo di funzioni offensive, e la sua

velocità media e il suo raggio d’azione erano scarsi, per questo svolgeva primariamente funzioni

ricognitive e ausiliarie alle forze di terra e mare. Ma le urgenze belliche del primo conflitto mondiale

determinarono un profondo sviluppo della tecnologia aerea, che portò, nel 1918, alla creazione di

modernissimi caccia che resero obsoleti i vecchi aerei; potevano raggiungere velocità inimmaginabili

fino a quel momento, avevano un ampissimo raggio d’azione e, oltre ad essere dotati di mitragliatrici,

svolgevano funzione di bombardieri. Finalmente la funzione offensiva diveniva una prerogativa

cruciale dei velivoli bellici.

La neonata “guerra aerea”, che avrebbe segnato in profondità tutti gli eventi bellici successivi,

diede anche impulso ad una serie di teorizzazioni circa il “dominio dell’aria” come requisito

imprescindibile per raggiungere la vittoria nella guerra contemporanea; le prese di posizione di

Douhet ebbero, in quest’ottica, un’importanza capitale. La guerra aerea fu un evento decisivo anche

per l’impatto che ebbe sull’opinione pubblica, la quale fu sollecitata e affascinata dalle imprese

eccezionali compiute dai grandi aviatori, i cosiddetti “assi dell’aviazione”. Anche la poesia, l’arte e

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140

la letteratura sentirono in profondità il mito degli aviatori e l’ideale di un’azione bellica libera,

incondizionata ed eroica; si pensi, ad esempio, a Gabriele d’Annunzio, il quale a più riprese celebrò

nei suoi componimenti la tecnologia e la velocità dell’attività aerea, o Filippo Tommaso Marinetti e

i futuristi, che negli aerei da guerra video uno dei contrassegni salienti della modernità che avanzava

mandando in frantumi tutti i vecchiumi della tradizione. Tutte le guerre combattute sino ad allora si

erano svolte su due dimensioni: la dimensione terrestre e quella navale. Con la Grande Guerra

s’introdusse una terza dimensione: quella dell’aria.

Il ruolo meramente ricognitivo, e quindi secondario, che all’inizio della Grande Guerra

caratterizzò le forze aeree, non è da imputarsi soltanto al livello tecnologico ancora incipiente, ma tra

le resistenze vi erano anche e soprattutto remore e pregiudizi di altro genere. Con la consapevolezza

che l’ingresso massiccio dell’aeronautica nei nuovi conflitti avrebbe inevitabilmente rivoluzionato

l’assetto tradizionale della guerra, essa era vista con scetticismo o addirittura avversata da molti

militari e politici di orientamento conservatore. Dunque, la guerra aerea trovò dapprima

un’accoglienza tiepida, che si fece calorosa man mano che le forze aeree conseguirono irresistibili

successi. Anzi, ben presto, nel corso della Prima guerra mondiale, prese piede l’idea del bombardiere

come arma autonoma, tanto che i politici e militari britannici Smuts e Lloyd George raccomandarono

la creazione di un’aeronautica militare indipendente dall’esercito e dalla marina.

A partire dal 1916, nell’ambito della guerra aerea tra aviazione italiana e aviazione austriaca,

venne perfezionato e applicato, sia dall’una che dall’altra, il principio del bombardamento strategico,

e le funzioni di caccia e di offesa cominciarono ad affermarsi accanto a quella di ricognizione.

La Prima guerra mondiale diede un impulso decisivo allo sviluppo dell’aviazione militare, ma

anche l’aviazione commerciale e quella civile trassero beneficio dai progressi dell’aviazione militare.

Infatti, per tutto il periodo dal 1918 all’inizio della Seconda guerra mondiale, si susseguirono senza

sosta traversate e trasvolate compiute da aerei sempre più potenti ed affidabili.

Nel periodo tra le due guerre, alcuni esperti militari e uomini politici come Douhet

continuarono ad evidenziare l’importanza dell’aviazione e le sue potenzialità ancora inespresse,

ritenendo che la guerra aerea avrebbe finito per primeggiare su tutte le altre forme di guerra. Questo

periodo è da considerarsi uno dei più fertili nell’evoluzione dell’aviazione, tanto che le potenze

iniziarono a sentire la necessità di dotarsi di una propria forza aerea indipendente. Fu così che

nacquero le prime aeronautiche militari, ovvero le prime forze aeree indipendenti dall’esercito e dalla

marina. In Germania, nel 1935, nacque la Luftwaffe; nel Regno Unito, nel 1918, la Royal Air Force

(che si distinse soprattutto per il livello di integrazione che seppe mantenere con le altre forze armate

di terra e di mare, promuovendo non già l’assoluto e unilaterale primato delle forze aeree ma,

piuttosto, la sinergia armonica di tutte e tre le forze armate); in Italia, nel 1923, la Regia Aeronautica;

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141

e infine, nell’URSS, nel 1918, la Voenno-vozdušnye sily. Per quanto riguarda l’aviazione statunitense,

invece, essa rimase subordinata all’esercito e alla marina (così come quella giapponese) e divenne

una forza indipendente (United States Air Force) soltanto nel 1947.

I progressi tecnologici dell’aviazione militare portarono ad un ripensamento complessivo del

concetto stesso della guerra. Vari autori elaborarono teoricamente l’idea secondo cui, all’interno della

guerra totale, le forze aeree avrebbero dovuto avere un ruolo sempre più decisivo. I cosiddetti “teorici

della guerra aerea”, dunque, scrissero alcuni dei più importanti testi che la teoria della guerra

contemporanea abbia prodotto, contribuendo allo sviluppo della dottrina del potere aereo. Uno di

questi teorici fu il generale Giulio Douhet, uno dei più grandi strateghi italiani di tutti i tempi. Nella

sua famosa opera Il dominio dell’aria del 1921, ricollegandosi a Smuts e Lloyd George, egli riteneva

che le forze aeree si sarebbero dovute presto svincolare dal ruolo di mero sussidio fin lì svolto per

divenire la forza militare decisiva nel conseguimento della vittoria. Per Douhet, “dominio dell’aria”

significava esplicare contro il nemico azioni offensive sempre più micidiali, risolutive ed efficaci,

quindi mettere in atto una “guerra totale”, che condizionasse tutti gli aspetti della società civile e

facesse venir meno la separazione tra vita civile e vita militare, coinvolgendo anche la popolazione

come soggetto belligerante oltre che come bersaglio passivo. Ecco perché alcuni autori parlarono

della teorizzazione di una vera e propria forma di “terrorismo di Stato”. Anche il concetto di “campo

di battaglia” perse tutti i suoi connotati tradizionali, dal momento che il campo di battaglia delle

guerre del futuro sarebbe stato limitato solamente dai confini delle nazioni belligeranti. L’opera di

Douhet, come prevedibile, suscitò reazioni controverse. I suoi detrattori osservarono come

l’aviazione militare, per quanto cruciale, molto spesso non avesse avuto di per sé un’efficacia

determinante, ma piuttosto fosse servita da apripista per una serie di azioni belliche ulteriori condotte

via mare e via terra. I suoi sostenitori, invece, confermarono che il potere aereo si fosse dimostrato

assolutamente decisivo per la risoluzione dei conflitti, come accaduto ad esempio nella guerra del

Kosovo del 1999.

Oltre Douhet, altri furono gli autori militari che si occuparono della portata innovativa della

guerra aerea. Tra questi si ricordano, in particolare, Mecozzi, Trenchard e Mitchell. Mecozzi,

considerato l’”anti Douhet”, divergeva dal generale italiano nel rivendicare l’utilizzo dell’aviazione

in un senso tattico e nel ritenere che le forze terrestri e marittime continuassero a svolgere un ruolo

insostituibile nella guerra contemporanea; nella sua idea, vi doveva essere una stretta sinergia delle

tre forze, evitando che una delle tre prendesse il sopravvento sulle altre. Mecozzi definiva la “guerra

totale” come un’unica visione strategica in cui ogni forza armata operasse in armonia con le altre e

sosteneva che l’azione bellica dovesse avere come obiettivo principale bersagli precisi e utili alle

forze armate del nemico piuttosto che i centri demografici. Trenchard, al contrario, può essere

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142

considerato il “Douhet inglese”. Anche lui sosteneva il bombardamento indiscriminato di intere aree

urbane e la necessità che l’aviazione militare costituisse una terza e indipendente armata. Mitchell fu

un altro fautore dell’opera douhetiana: egli sosteneva l’indispensabilità del bombardamento strategico

protratto ad oltranza e non esitò a dichiarare il primato della forza aeronautica rispetto alle altre due

forze e l’importanza della creazione di una forza aerea autonoma.

Il carattere di “guerra integrale” che si andava delineando con lo sviluppo della guerra aerea

rese evidente quanto non fosse più sostenibile la distinzione tra civili e militari. I bombardamenti

avrebbero avuto un forte peso psicologico sulle popolazioni. La prospettiva di una guerra di questo

tipo poneva rilevanti problemi etici, motivo per cui vennero convocate due Conferenze sulla

regolamentazione della guerra nei cieli: la Conferenza di Washington del 1921 e la Conferenza di

Ginevra del 1932. Entrambe si conclusero con esito fallimentare – a parte l’elaborazione di un

regolamento che avrebbe proibito il bombardamento terroristico della popolazione civile – dal

momento che nessuna potenza intendeva legarsi le mani rinunciando ai vantaggi dell’arma aerea.

Nel 1935 ebbe inizio la guerra d’Etiopia, in cui le forze aeree italiane si dimostrarono

fondamentali nella vittoria e nella conquista dell’Etiopia svolgendo funzioni di ricognizione, di

osservazione, di vettovagliamento, di trasporto, di interdizione dei rifornimenti ai nemici e di

bombardamento, sebbene non ebbero un ruolo autonomo ma di sussidio rispetto all’esercito. L’anno

successivo, nel 1936, scoppiò la guerra civile spagnola, che fu cartina di tornasole di quanto rilevante

fosse ormai divenuto il ruolo delle forze aeree; infatti, senza il sostegno delle aviazioni tedesca ed

italiana, che piegarono la Repubblica spagnola nel giro di tre anni, il golpe non sarebbe mai stato

possibile.

Ancor più che nella Grande Guerra, nella Seconda guerra mondiale l’aviazione svolse un ruolo

assolutamente fondamentale. In qualsiasi teatro di combattimento furono presenti aeroplani,

impiegati senza esclusioni di colpi da tutte le potenze in lotta. Essi svolsero le funzioni più disparate:

di bombardiere tattico e strategico; di cacciabombardiere e caccia; di trasporto; di collegamento; di

ricognizione; di aerosilurante e di pattugliatore marittimo. Le sorti della Seconda guerra mondiale

furono profondamente influenzate dall’aviazione, anche se quest’ultima poté espletare le sue funzioni

solo in collaborazione con le forze di terra e di mare. Questo fu particolarmente evidente nelle

Campagne di Polonia, Norvegia, Francia, Inghilterra e sul fronte Orientale. La guerra del Pacifico

segnò un punto di svolta, in quanto gli americani, nel 1945, misero a punto la bomba atomica e

sganciarono così il primo ordigno nucleare della storia su Hiroshima e Nagasaki, dando ufficialmente

inizio all’era atomica e aggiungendo all’aviazione una nuova funzione, quella di vettore dell’arma

nucleare. L’aviazione strategica svolse questo ruolo per diverso tempo dopo il 1945, ma con la

progettazione del primo missile balistico intercontinentale e il lancio dello Sputnik nello spazio da

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143

parte dell’URSS, la dimensione dei nuovi conflitti si spostò sul piano missilistico e spaziale. La guerra

nucleare e la guerra spaziale si sostituirono alla guerra aerea e il missile a media gittata iniziò ad

essere considerato, nelle teorie occidentali, il sostituto dell’aereo strategico.

Con il prefigurarsi del bipolarismo, la supremazia aerea spettò soltanto a Stati Uniti e URSS,

che avevano però visioni diverse – riflesso di ideologie contrapposte – del ruolo da attribuire al potere

aereo. In particolare, nella dottrina dei Paesi occidentali il potere aereo era l’elemento risolutivo del

conflitto, quindi assunse un vero e proprio ruolo strategico e non fu più considerato accessorio agli

altri poteri. La dottrina sovietica del potere aereo, invece, attribuiva al potere aereo un ruolo tattico di

supporto alle truppe terrestri, che costituivano l’elemento fondante della difesa. Questo perché,

essendo l’URSS un Paese per la maggior parte privo di sbocchi sul mare, la sua principale

componente militare si era sviluppata e concentrata nelle truppe terrestri, su cui gravava l’onere di

difendere i confini nazionali.

Dal momento che, con la comparsa della dimensione dell’aria e di quella spaziale, lo spazio

geografico della geopolitica si era trasformato, alcuni studiosi di geopolitica elaborarono un’altra

serie di teorie sul potenziale degli aerei nelle guerre future in relazione alla comparsa delle armi

nucleari, in particolare George Renner e Alexander de Seversky. Il primo sostenne che la nascita del

potere aereo avesse avuto profonde ripercussioni sullo scenario geopolitico, per cui la tradizionale

contrapposizione fra terra e mare si era affievolita e i cosiddetti heartlands erano diventati due, uno

negli Stati Uniti e uno nell’URSS. Allo stesso modo, de Seversky era dell’idea che il potere aereo

avesse mutato il volto della geopolitica contemporanea, e che l’intero mondo dovesse essere diviso

in due grandi aree o “cerchi”, che avevano come centro i cuori industriali degli Stati Uniti e dell’URSS

e come raggio la distanza che poteva essere coperta dai bombardieri strategici. Secondo de Seversky,

però, gli Stati Uniti avrebbero dovuto concentrare la loro potenza aerea entro i propri confini, evitando

di creare basi aeree oltremare – a suo parere superflue e controproducenti –; il punto debole della

teorizzazione di questo “isolazionismo aereo” fu che non tenne conto del fatto che, dopo la Seconda

guerra mondiale, l’egemonia americana avrebbe coinvolto tutto il mondo occidentale, non soltanto il

continente americano, pertanto sarebbe stato impossibile astenersi dal condurre conflitti al di fuori

dei confini.

Alcuni importanti esempi dell’utilizzo del potere aereo in funzione operativa nel periodo della

Guerra Fredda si possono riscontrare nella guerra di Corea, del Vietnam , dei Sei Giorni e dello Yom

Kippur. In tutti questi conflitti, nonostante alcuni errori di strategia commessi, il potere aereo

confermò ancora una volta la propria centralità, ma allo stesso tempo emerse anche l’importanza di

una jointness tra forze d’aria, forze terrestri e forze navali: nella guerra di Corea, la difficile azione

delle truppe di terra fece affidamento sul supporto aereo (ruolo tattico), che permise di contenere i

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nordcoreani e di controbilanciare la superiorità numerica delle forze cinesi svolgendo anche una

funzione di interdizione per impedire i rifornimenti di armi, carburante, munizioni e quant’altro ai

nordcoreani; in Vietnam, la combinazione tra le quattro forze (US Navy, US Air Force, US Army e

US Marine Corps) e l’utilizzo di portaerei giocò un ruolo cruciale nel conflitto; ed ancora, l’impiego

del potere aereo da parte di Israele nell’appoggiare le truppe terrestri fu un fattore determinante per il

suo successo nel 1967 (guerra dei Sei Giorni) e nel 1973 (guerra dello Yom Kippur). In entrambe le

guerre, infatti, il potere aereo apportò un contributo considerevole all’esercito israeliano, sia a livello

difensivo che offensivo.

Per quanto riguarda il periodo post-guerra fredda, venne fatto un uso massiccio di forze aeree

nelle guerre del Golfo, del Kosovo e della Libia: nella guerra del Golfo fu il fattore aereo a dominare

l’intera strategia statunitense, seppur ben integrato con le altre forze, e svolse funzioni di

bombardamento, di interdizione, di contraviazione offensiva e di supporto alle truppe di terra; nella

guerra del Kosovo, il potere aereo svolse funzioni di bombardamento, di interdizione e di

contraviazione offensiva, e per la prima volta portò da solo il nemico ad accettare buona parte delle

condizioni che gli si voleva imporre; nella guerra di Libia, infine, il potere aereo svolse funzioni di

ricognizione dello spazio aereo libico, di bombardamento e di deterrenza, e pose fine al conflitto in

tempi rapidi e con le minori perdite possibile. Difatti, fu proprio in questa guerra che, se confrontata

con le precedenti, si registrò il minor numero di vittime civili; questo perché i bombardamenti di

precisione funzionarono nel colpire gli obiettivi specifici, limitando i danni collaterali.

E’ facile, a questo punto, intuire quanto il potere aereo si sia andato costituendo come un

fattore decisivo e, talvolta, addirittura risolutivo, nei conflitti che hanno contraddistinto gli scenari

internazionali degli ultimi anni. Esso si è trovato a confrontarsi sin da subito con il potere militare

terrestre e il potere marittimo, i due elementi che fino alla comparsa della terza dimensione avevano

caratterizzato ogni guerra; dall’essere inizialmente subordinato al potere terrestre, con funzioni

prettamente ricognitive e di supporto, il potere aereo è arrivato ben presto a guadagnare una sua

autonomia strategica e ad imporsi tra le forze armate, in un momento di svolta in cui si stavano

superando i riferimenti delle teorie geopolitiche classiche. Così l’antica contrapposizione tra potenza

di terra e potenza di mare, che aveva a lungo governato le relazioni tra gli Stati e le loro scelte

strategiche, si è dimostrata obsoleta con l’irruzione sulla scena del potere aereo. Ora le dimensioni

diventavano tre: navale, terrestre ed aerea, e non vi era predominanza dell’una sull’altra. Proprio su

questo punto le teorie di autori come Douhet si possono ritenere inesatte: pur assodato che il potere

aereo sia essenziale nelle sue funzioni strategiche e tattiche – così come il bombardamento strategico

–, che spesso renda concretamente possibili le operazioni di terra e di mare grazie alla conquista della

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superiorità aerea, e che le teorie degli studiosi di guerra aerea siano state fondamentali e rivoluzionarie

nello sviluppo di una dottrina aerea, tuttavia si è anche osservato, in diverse occasioni, che il solo

potere aereo non può, di per sé, essere sufficiente al raggiungimento della vittoria; in molti casi (come,

ad esempio, nel corso delle campagne della Seconda guerra mondiale) esso è risultato vincente solo

quando operante in perfetta collaborazione e sinergia con le altre due dimensioni del potere, terrestre

e navale.

Da un altro punto di vista, però, bisogna riconoscere che il potere aereo è stato anche in grado

di agire da solo, di svolgere, cioè, anche in autonomia un ruolo spesso decisivo. Ma questo non perché

sia da ostentare una sua presunta superiorità sugli altri due poteri, ma perché in alcuni tipi di conflitto

il potere aereo è risultato e risulta essere il mezzo più appropriato di cui servirsi. A tal proposito, come

si ha avuto modo di vedere ad esempio nel caso del Kosovo e della Libia, il potere aereo è stato in

grado di offrire una risposta flessibile al carattere asimmetrico del conflitto, dimostrando le sue grandi

capacità di adattamento. In certi casi, quindi, grazie alle sue peculiarità, può risultare preferibile

l’impiego del potere aereo rispetto a quello delle altre forze militari, come ad esempio quando, nelle

prime fasi di un conflitto, è di cruciale importanza annientare in prima battuta il potenziale bellico

del nemico al fine di annullarne la capacità di risposta, o anche quando si voglia costringerlo al

negoziato. Per questo motivo, anche l’approccio interforze, che tendenzialmente è quello preferibile,

può avere dei limiti, in quanto in determinati casi il potere aereo risulta essere il mezzo più idoneo e

addirittura risolutivo nello svolgimento di un conflitto.

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