Stamani porto i vestiti a lavare e parto per New York
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8/6/2019 Stamani porto i vestiti a lavare e parto per New York
http://slidepdf.com/reader/full/stamani-porto-i-vestiti-a-lavare-e-parto-per-new-york 1/1
ROMA - Il 3 febbraio del2001, forte di un budget ditre milioni e cinquecento-mila lire, dopo aver portato imiei vestiti a lavare, messoin ordine la stanza e rattop-pato un completo di linobianco, compravo un bi-glietto aereo per New YorkCity con la prospettiva di rei-niziare “from scratch”.L’ipod ancora non esisteva,solo un quinto dei miei amiciaveva un indirizzo e-mail eRoma mi stava lobotomiz-
zando ogni spiraglio.L’unico elemento che rim-piango di quel periodo eral’uso consistente del telefonofisso. Quel misterioso brividoche ti percorreva la schienaquando squillava il telefono emamma bussava alla tuaporta dicendoti: “E’ per te…”le ragioni del mio decollo fu-rono 2. La prima defla-grante: l’essere stato par-cheggiato in panchina per 8mesi in una grande produ-zione televisiva romanadopo aver diretto una seriedi documentari in giro per ilmondo trasmessi da RAI-DUE: inserito in pianta sta-bile dall’anziano produttore,
ero in seguito stato allonta-nato da un ragazzo dell’en-tourage. La seconda, fu l’at-teggiamento con il quale vidiun mio concittadino romanobere il caffè.Fu l’evento interruttore,“The straw that breaks thecamel’s back”, e ne rimasicosì turbato da sentire il biso-gno di fissare in un disegno(vedi scarabocchio sulla pa-gina del mio diario) ciò cheavevo da sempre percepitoma mai coagulato in pen-sieri: il modo sconsolato colquale ricurvi su noi stessi,dopo aver compiuto un pic-colo gesto in una piccola taz-zina, portiamo alla bocca 20piccole gocce di liquido nerodolciastro e le buttiamo giùsenza speranza, pavida-mente. E ciò accade di mat-tina, nel momento cioè, incui ci si dovrebbe alzare dalletto come giganti.
A Roma ero giunto a unaconclusione: per poter lavo-rare con continuità o dovevogestire un bar oppure cono-scere qualcuno. Bar non neavevo, e tutti i qualcuno a cuivolevo presentarmi vivevano
in feudi inaccessibili i cuiponti levatoi erano costante-mente alzati. Di quando inquando trovavo qualcheponte levatoio abbassato persbaglio e irrompevo all’in-terno della proprietà, ma ilsalvacondotto per rimaneredentro era di sancire i mieimovimenti all’interno diun’aurea mediocritas, penal’esser fulminato dall’invidiadelle corti, impegnate conlungimirante protervia nelmantenimento dello statusquo. Tradotto: se mostravodi esser bravo o avere perso-nalità ero fottuto.In Italia, era più facile imbat-termi e fare amicizia aPiazza Navona con DavidLynch, consegnare personal-mente un soggetto a OliverStone (e avere da lui una let-tera di risposta entro duesettimane) o ottenere il per-messo di soggiorno sul set diStar Wars a Caserta per stu-diare l’illuminotecnica di Ge-orge Lucas. L’ambiente ro-mano del settore era invecesuper elitario e impenetra-bile.
Partii dunque per NY conbudget risibile, restai per 2mesi, interagii col mondo.Per un turbinio incredibile diavvenimenti mi inserii conslancio nella società newyor-kese e nel giro di quattro set-timane conoscevo più per-sone lì di quante ne fossi riu-scito a conoscere in Italia du-rante una vita. La mattinauscivo su Seaman street (Uptown Manhattan) bran-dendo un tazzone di caffèbollente zuccherato, bibi-tozzo ripugnante ma neces-sario per battere le folated’aria ghiacciata secca chemi sferzavano il volto. Te-nere in pugno un caffè nondelizioso come quello ita-liano in un tazzone enormemi dava una postura fisicapiù agguerrita che silenzio-samente influiva giornodopo giorno su quella men-tale: quando incedi tenendoin mano qualcosa che partepesante ma diventa leggero,il tuo stesso atteggiamentopsicologico cambia…Lagiornata non iniziava più conun sorsetto e poi speriamo
che me la cavo ma con mo-vimenti ampi e un “let’smake it happen!”
A Manhattan la meccanicadelle conoscenze era fluidis-sima, scoprii che per cono-scere qualcuno non avevobisogno di conoscere nes-suno e mi muovevo senzainerzie all’interno di un tes-suto sociale ignoto dove lagente era contenta di cono-scermi perchè ero la novità;un ambiente dove il nuovo,l’absolute beginner o chi fal-
liva e ricominciava da zero,erano visti come risorse datestare o senza esagerazioni:come manna dal cielo.
Alzavo il telefono e riuscivo aparlare con chiunque, senzabisogno di essere presentatoda, e lavoravo senza bisognodi ricambiare il favore per.Ero sbigottito, mi sentivo a
metà strada tra il Neo di Ma-trix e l’Alice nel paese dellemeraviglie , con la sola ecce-zione che il bianconiglio lotenevo ben stretto al guinza-glio e di piegar cucchiai pro-prio non ne avevo inten-zione.L’esperienza finii. Tornato inItalia, sarei poi dovuto ripar-tire per NY e iniziare un la-voro all’ONU con la WorldYouth Alliance esattamenteil giorno undici Settembrema un avvenimento che rac-conterò solo a voce a chi saràinteressato mi tenne provvi-denzialmente lontano dal ve-dere crollare le torri. Lamela mi aveva cambiato persempre, e mio fratello Luizne fu talmente scosso da pre-garmi qualche anno dopo difarlo ospitare a NY per potergodere anche lui di un pe-riodo sabbatico. Sistemail’architetto nel Bronx, a farsile ossa, a studiare l’inglese ea lavorare come grafico inuna compagnia di mor-moni…Una specie discherzo, per temprare l’ex
PR discotecaro ora rinoma-tissimo development mana-ger milanese e uno dei mi-gliori uomini che conosca.
Al contrario di quanto sa-rebbe logico pensare, questaimpagabile esperienza oltreoceano non ha diminuito diun millimetro il mio amoreper l’Italia ma semplice-mente mi ha aperto gli occhisu una realtà strutturale chepativo senza comprenderecome affrontare. Le cose nelBel Paese (“Famolo pure
brutto”, direbbe mio padre)dopo dieci anni non sonocerto cambiate, e specchiettodi tornasole ne è Sanremo,rito tribale italiano dove esi-ste ancora l’indecente spar-tiacque psicologico fra “i Big”e le “nuove proposte”.L’Italia è dunque una societàfeudale avanzata, bisogna
averlo chiaro in mente manon farsene una ragione: ilventenne che si affaccia sulmondo del lavoro viene vistocome elemento destabiliz-zante, non è una ricchezza, èun virus che non deve en-trare in circolo. Se invecevuole mettersi in proprio puòaprire una S.r.l. ma subiràuna tortura medioevale im-pietosa (meglio e più tute-lante aprire una LTD a Lon-dra). Bisogna, dicevo, averloben chiaro…Per ora siamouna società feudale avan-zata. Comunichiamo con chigià conosciamo…E in modostitico.La ragione storica di una piùsemplice economia di rela-zione americana risiede nelfatto che nella terra di Co-lombo tutti arrivarono nellostesso momento e dovetteroguardarsi in faccia per ca-pire chi fossero e chi potevafare cosa…Mi immagino undialogo dell’epoca: “Tu chisei?” ” Sono Charlie e vengodall’irlanda e tu?” ” Sono Ro-berto, vengo da Napoli”
”Che sai fare Bob? ” “Io? Ilcaffè, so tutto sul caffè, e tuCharlie?” Io costruiscoponti. Ok, Bob…Bingo!ascolta, ho un’idea di busi-ness geniale …Apriamo unbar su un ponte, non l’hamai fatto nessuno…”
Anche nei film…La gentevuole e va a vedere film conattori totalmente sconosciutiperché…beh, perché sononuovi, c’è l’eccitazione di an-dare a scoprire esseri umaniche non conosci, che se sono
stati scelti è perché beh, èperché devono essere bra-vissimi…Ogni volta che rientro in Ita-lia sento invece sempre la-menti , mi sembra di assi-stere a una permanenteguerra civile: ancora si di-scute di sinistra, di destra, diterzi poli, di convergenze pa-
rallele e tutto ciò con un at-teggiamento che evoca soloquell’odore di muffino che ri-stagna intorno ai cappottidelle vecchie vedove con fi-glia nubile al seguito.Ecco dunque il concettochiave per buttare giù que-sta società feudale avanzata:ECONOMIA DI RELAZIONE,ECONOMIA DI RELAZIONE,ECONOMIA DI RELAZIONE.Economia di relazione chenasce anche da un sempliceatto come quello di non farfinta che quell’ e-mail chehai ricevuto da cinque giorninon sia mai arrivata.C’è eccome, aprila e ri-spondi: rispondi sempre e siigeneroso, vai a conoscere losconosciuto che bussa, po-trebbe accadere qualcosa distraordinario.Facciamo quindi accaderequalcosa di straordinario enon solo su Faccialibro.Con amore e gratitudine peril paese dove sono nato, peri suoi 150 anni d’unità.
Manuel de Teffé
“Stamattina porto i vestiti a lavare e poi parto perNew York”: Storia di come scoprii l’Economia di relazioneUn racconto di nuova emigrazione in occasione dei 150 anni d’Unità d’Italia
ITALIANI NEL MONDOL’ITALIANO
MERCOLEDI’ 23 FEBBRAIO 2011
PAGINA
7
NOTE SULL’AUTOREChi è Manuel de Teffé
Manuel de Teffé è un regista italiano di 38 anni che lavora prevalentemente all'estero.E’ figlio di l'Anthony Steffen (Antonio de Teffé), nato a Rio de Janeiro,attore di numerosi westernspaghetti, ma anche aiuto regista, regista, sceneggiatore e produttore. Il nonno fu ambasciatoredel Brasile a Roma per un lungo periodo.
Attualmente vive in Germania, a Colonia, con moglie e una figlia di due anni.Perché ha scritto questo racconto“Il mio obiettivo è di testimoniare le condizioni esatte che portano gran parte dei nostri conna-zionali ad andare all'estero per poter lavorare.Non è un canto d'accusa, piuttosto un monito affettuoso verso il nostro paese in occasione dei150 anni di unità nazionale, dove sottolineo la chiave più elementare per uno sviluppo econo-mico immediato”.