SportPeople 2011-15

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S p o r t p e o p l e n 1 5 / 2 0 1 1 A I n q u e s t o n u m e r o :

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Spor tp eopl e n 1 5 / 2 0 1 1

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In questo numero:

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Citazioni e

a poesia prudente

e gli uomini prudentiduranosolo lo stretto necessarioper morire tranquilli(Charles Bukowski, Verità)

Una cosa che adoro è confrontarmi con i miei amici di curva. Gente di ogni parte d’Italia, nord e sud, uomini che ancora credono in qualcosa. Sono ultras, disposti a combattere per niente; la domenica allo stadio così come nella vita di tutti i giorni. Il problema negli anni ‘70 era che c’erano troppi giovani idealisti, oggi il guaio è che ce ne sono troppo pochi. C’è rimasto un solo, vero, grande ideale ad accomunarci tutti. E questo ideale si chiama curva. In tanti professano la famigerata “mentalità” e si riempiono la bocca di belle

parole, ma secondo me la “mentalità ultras” non esiste. Da sempre, nel nostro mondo, ogni schieramento fa il suo gioco e porta acqua al suo mulino. Mi viene da pensare agli indecifrabili ultras scaligeri e alla goliardia che da sempre li ha contraddistinti dalle altre tifoserie. Controcorrente. Come controcorrente andavano le B.A.L. livornesi, caparbie e orgogliose più delle cinquanta e passa diffide dopo un “esproprio proletario” in uno dei tanti autogrill del paese. Potrei elencarne molti altri: i pionieri doriani e i loro bandieroni, le torciate dei pescaresi, i copricurva della gloriosa “Fossa dei Leoni” Milan che fu, oppure le coreografie dei salernitani, vere e proprie opere d’arte che nulla avevano da invidiare ad un opera di Caravaggio. Erano altri tempi, e un altro calcio.Eppure, qualche nostalgico ancora resiste. Qualcuno disposto a lottare per quello in cui crede. Ci guardano la domenica entrare in curva dai tornelli e ci dicono: “siete pochi”, e noi rispondiamo “non siamo pochi, siamo tutti”. Oltretutto, falcidiati dalle diffide preventive (giunte�

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�in soccorso delle tristementi famose “diffide mirate ad personam”). Siamo quelli che sventolano orgogliosi il nome di Gabriele, perché Gabriele non è solo un simbolo, Gabriele è il sussurro, leggero ma ostinato, di una ragione che afferma: “ci avete sempre additato, ma vi siete dovuti ricredere; i cattivi non siamo noi”. Ed è questo che abbiamo sempre voluto dire: la curva è l’unico sano luogo di aggregazione che ancora resiste nel nostro paese. Non ci siamo mai professati degli stinchi di santi, lungi da noi che di santo non abbiamo nemmeno l’unghia del mignolo. Discuto con Marco, un ultras perugino, degli ultimi avvenimenti nel nostro mondo. Tra una mail e l’altra, mi annuncia che lo faranno fuori per i prossimi tre anni. Perché ha professato liberamente le sue idee e ha portato avanti la sua lotta, che è quella di tutti noi, contro la tessera del tifoso. Penso che chi ancora oggi si ostina a vivere la curva, non abbia bisogno di un orologio al polso né di tenere il portafoglio in tasca. Siamo nati liberi e ribelli, di certo non furbi. Se fossimo nati furbi non

andremmo a prenderci scazzi penali per manifestare contro una tessera assurda e anticostituzionale. Non saremmo sottoposti a perquisizioni in casa nel bel mezzo della notte, e non vedremmo le nostre madri piangere mentre ci portano via. A noi servono stimoli forti, noi viviamo di emozioni profonde. Non ci accontentiamo di facebook, ragazza e una vita tranquilla. Nei primi anni ‘90 molti gruppi (in primis i partenopei) esponevano lo stendardo con scritto E.A.M.: estranei alla massa lo siamo sempre stati e sempre lo saremo. Se preferite possiamo citare i leccesi (che a loro volta citarono Guccini) e lo striscione “scusate non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”. Ci vorrebbero tutti precisi in fila, magari incravattati e con tanto di codice a barre, ma sappiamo tutti che questo non avverrà mai. “Oggi è nel ribelle l’uomo sano” è un aforisma che non piace a tutti, perché tendenzialmente è usato negli ambienti di destra. Invece, bando alle etichette ed ai luoghi comuni, credo che questa frase rappresenti perfettamente ciò che noi�

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�siamo.

Brecht disse “ci sedemmo dalla parte del

torto perché tutti gli altri posti erano

occupati”. Continuo ad andare in curva

ogni domenica e sono sempre più

convinto che quei posti, “dalla parte della

ragione” dove sono seduti gli altri,

dovrebbero spettare a noi. Invece ci trovo

seduti crumiri, approfittatori, lecchini,

confidenti, compiacenti e soprattutto i

furbi.

E allora godiamoci questi ultimi anni che ci

sono rimasti e viviamoli da incendiari,

sempre fieri delle nostre idee, che tra

qualche anno parecchi diventeranno

“pompieri” e baratteranno la lotta in

cambio di pay-tv e un frigorifero sempre

pieno. Per nostra fortuna ci saranno le

nuove generazioni che combatteranno al

loro posto. La mia paura è, però, che più

passeranno gli anni e le generazioni, e più

saremo in meno, anche se spero di

sbagliarmi, ma quello che vedono i miei

occhi sono valori effimeri, l’i-pod, il touch

screen e le tecnologie virtuali in

sostituzione dei valori veri come amicizia

e unità.

Il presagio di Orwell nel suo libro “1984”

era esatto: siamo immersi totalmente nel

“Grande Fratello” e sono tanti, troppi, gli

sguardi che ci spiano. Ad oggi in molti

ritengono imprescindibile, per la

sopravvivenza del nostro movimento, il

giusto connubio tra pensiero e azione:

riuscire ad agire tenendo sempre acceso il

cervello. I movimenti di massa, cui hanno

partecipato i nostri padri e che hanno

segnato la genesi del nostro,

appartengono (purtroppo) al passato,

dobbiamo farcene una ragione.

Cerchiamo, per quanto possibile, di stare

lontani da “occhi indiscreti”. Un amico di

Nola mi regalò un loro adesivo con scritto

“mai apparire� ma far fatti e poi sparire”.

Ritengo la mente che ha partorito questa

frase, geniale.

Testo di Travax.

Foto di Valerio Poli.

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Serata a forti

artita delicatissima visto l’avvicinarsi del

finale di campionato, e pubblico che, ovviamente, risponde alla grande. Il Milan è decisamente su di giri dopo che nell’ultimo turno di campionato si è sbarazzato dei cugini interisti ed ha fatto un grosso passo in avanti nella corsa alla conquista dello scudetto, mentre la Fiorentina, che viene fuori da un buon periodo di risultati, deve cercare di inseguire quella vittoria che darebbeprestigio, fiducia nei propri mezzi e, soprattutto, punti utili per entrare nelle coppe europee. Pubblico delle grandi occasioni anche se il Parterre di Fiesole non si allinea al grande evento, indicendo uno sciopero contro il caro-biglietti e rimanendo per tutta la partita fuori dallo stadio Artemio Franchi. I “Non tesserati”, nei giorni precedenti la partita, hanno inviato una lettera all’ad viola Mencucci in cui spiegano che la rinuncia all’abbonamento non è un atto di

disamore o boicottaggio verso la società Fiorentina ma solamente una presa di posizione contro l’introduzione della tessera del tifoso. Alla società chiedono di valutare bene il prezzo dei biglietti, soprattutto quelli di curva che in questa serata costano la bellezza di 28 euro. Non è certamente un prezzo che invita le famiglie ad andare allo stadio ma tant’è, il crollo degli spettatori negli stadi italiani indovinate a chi viene imputato? L’assenza del gruppo dei Non Tesserati si fa sentire e vedere: nel Parterre il colore è tendente a zero ed i cori che vengono dettati dalla parte superiore non sempre son seguiti con la necessaria verve. Nonostante questo, ad onor del vero, la Fiesole offre comunque un bel colpo d’occhio: i trentamila spettatori si fanno vedere e sentire ed alla fine lo sciopero è organizzato e seguito solo dallo zoccolo duro. Tra le due tifoserie non è mai corso buon sangue, anche se la storia ci racconta di episodi che hanno dimostrato la maturità reciproca dei due schieramenti:penso soprattutto allo scioglimento�

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�della Fossa dei Leoni, salutato dalla Fiesole con uno striscione che certo avrà fatto piacere ai rossoneri. I pessimi rapporti rimangono e l’Osservatorio non si fa certo scappare l’occasione per vietare la vendita dei biglietti nella regione Lombardia, anche se, naturalmente, a questo provvedimento sono esclusi i possessori della tessera del tifoso. I milanisti, è risaputo, hanno accettato quasi compattamente la tessera del tifoso e quindi la presenza degli ultras rossoneri non è in dubbio, e, a ben vedere, la loro è una trasferta dai grossi numeri, perché oltre a riempire il formaggino trovano posto anche in Curva Ferrovia,opportunamente divisi dal resto dei tifosi viola da una lunga fila di steward. L’arrivo dei tifosi milanisti avviene con largo anticipo rispetto all’inizio della gara ed immediatamente in balaustra viene appeso lo striscione “Curva Sud” con alla sua destra lo stendardo “Assenti presenti”. Ma pian piano tutto il settore viene coperto di pezze e striscioni rossoneri e, almeno visivamente, sembra di essere tornati a qualche anno fa quando per appendere la

propria pezza non bisognava faredomanda in carta da bollo alla questura di

turno.Inizia il classico riscaldamento delle squadre ed anche il settore riservato agli

ospiti comincia ad andare su di giri: si parte con un coro per la squadra poi, come mi è già capitato di sentire in

diverse occasioni, gli ultras rossoneri dedicano un coro per ogni giocatore che veste la maglia, compreso il secondo

portiere Marco Amelia. Sull’altro versante ci si limita a fischiare l’ingresso in campo dei milanisti mentre�

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...all’ingresso della squadra viola parte l’odiosa musica sparata dalle casse,anche se applausi e cori ce la fanno a farsi spazio. I milanisti si fanno notare per le tante bandiere a due aste che alzano ripetutamente durante il riscaldamento della squadra, tante sono per i singoli giocatori, altre sono delle sezioni sparse in tutto lo stivale. Ovviamente presente la sezione Toscana, l’immancabile striscione Roma mentre la sezione di Torino si fa notare per delle belle due aste e per le t-shirt bianche che emergono chiaramente nella macchia rosso-nera. Prima dell’ingresso in campo delle due squadre lo stadio Franchi tributa un lungo applauso alla Fiorentina Primavera, che contro la Roma ha vinto la Coppa Italia di categoria: in Fiesole spunta anche uno striscione di ringraziamento per i ragazzi e per mister Buso, ma in generale a far felici squadra e tecnici sono gli applausi che i trentamila di fede viola elargiscono senza esitazioni. Da segnalare, che quando la squadra esce dal campo, la Fiesole ha parole di miele verso i ragazzi che, si

spera, saranno il futuro della societàgigliata. Finalmente è il momento dell’ingresso in campo delle squadre e, come da tradizione, la Fiesole organizzauna sciarpata mentre gli ospiti optano per bandiere e bandiere a due aste. Nel settore occupato dai rossoneri spunta uno striscione ironico che ricorda la sconfitta dell’Inter in Champions League ad opera dello Shalke 04: “Ska(l)kerati”. Mi sistemo sotto il settore occupato dai milanisti e dopo la gran euforia del prepartita, a cantare costantemente rimane il gruppo sopra lo striscione�

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�Curva Sud, anche se i presenti nel formaggino accompagneranno spesso i cori. Il tifo dei rossoneri è di qualità, i cori si alzano potenti ed a tratti c’è una buona partecipazione. Anche per quanto riguarda il colore, la tifoseria rossonera va ampiamente sopra la sufficienza, con le due aste che vengono alzate nei momenti di stanca della partita.Che il tifo degli ospiti sia buono lo capisco dal momento che la Fiesole riesco a sentirla solamente in rare circostanze,malgrado veda le braccia alzarsi per far partire i treni e le bandiere sventolare senza soste, segno che il mutismo non è proprio di casa. La partita si mette bene per i rossonerivisto che, dopo neanche dieci minuti,Seedorf segna il gol del vantaggio sfruttando un errore della difesa gigliata. I milanisti aumentano l’intensità dei cori e qualche battimano è davvero ben fatto. I cori degli ospiti sono tutti rivolti alla squadra, si chiede ripetutamente la vittoria e non si manca di offendere senza tanti giri di parole l’ex mister Leonardo, passato sulla sponda nerazzurra del Naviglio. Le due tifoserie non fanno mistero di sopportarsi poco o niente, ed i cori offensivi che si scambiano sono abbastanza numerosi, con i milanisti che allargano il raggio delle loro offese all’ex Gilardino ed al mister Mihajlovic. I rossoneri espongono pure una bandiera marcata Collettivo Autonomo,probabilmente un bottino di guerra del passato, prendendosi una bella dose di fischi dai vicini viola della Ferrovia, che in questa serata si sbattono tanto ma riescono a farsi sentire raramente visti i numeri che possono mettere sul tavolo i milanisti.Il primo tempo finisce con una doccia gelata per il pubblico di casa, infatti l’inarrestabile Pato riesce a raddoppiare e a far storcere il naso a gran parte del pubblico del Franchi, che mal digerisce il primo tempo offerto dalla squadra viola. La ripresa si apre con uno striscione del CAV che ricorda un amico scomparso:“Nessuno muore sulla Terra finchè vive nel cuore di chi resta�Truciolo ti siamo vicini nel ricordo di Alessandro” firmato “I tuoi amici del Cav ‘78”.

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Ora, sotto la Fiesole, faccio fatica asentire i milanisti, anche se continuo a vederli in movimento e intuisco che il tifo non accenni a calare. In Fiesole si accende anche qualche torcia, i cori s’innalzano con buona continuità, anche se non canta tutta la curva, come ai bei tempi, ma solo la zona centrale. Tanti cori per la squadra, qualcuno di offesa verso i milanisti,Galliani e suo figlio. Non manca qualche polemica verso la classe arbitrale, specialmente in un paio di occasioni in cuigli attaccanti viola subiscono, secondo il pubblico, qualche “attenzione” di troppo da parte dei difensori milanisti. In un crescendo di partecipazione, in Fiesole viene esposto lo striscione “Milan: se Ruby non vale!” ed a seguire un coro che questa volta prende di mira il presidente Berlusconi ed i suoi passatempi col gentil sesso. Un fumogeno acceso, qualche altra torcia che colora clandestinamente la curva e tanti cori per la squadra infiammano la Fiesole, che vede la luce a dieci minti dal termine quando Vargas accorcia le

distanze con un tiro dalla distanza. L’espulsione di Ibrahimovic sul finire della partita fa sognare il Franchi, ma il risultato sorride alla squadra di mister Allegri che può continuare la propria corsa verso il titolo. Da segnalare che proprio sul filo di lana entrano nel Parterre i Non tesserativiola, eseguono alcuni cori, sventolano un paio di bandierine e guadagnano l’uscita insieme al restante pubblico. Il prossimo appuntamento dei viola? La Juventus, inutile aggiungere altro.

Testo e foto di Valerio Poli.

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Foto di Fabio Mitidieri.

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Foto di Fabio Mitidieri.

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A Livorno ambiente

Anticipo serale di serie B, si gioca di

venerdì ed affrontare un viaggio da Crotone a Livorno in un giorno lavorativo non è proprio il massimo. Ormai i calendari della Lega ci hanno abituato a tutto un po’, ormai non fa più neanche notizia un anticipo o un posticipo in orarioe giorno insolito, ormai la Dea televisione si è impossessata violentemente del gioco calcio rendendo schiavi tifosi e sportivi,specialmente chi non vuol essere etichettato ancora come cliente ma solamente come sostenitore della propria maglia e della propria città. Le società di calcio fanno orecchie da mercante e versano lacrime di coccodrillo: da un lato sono a fianco di chi vorrebbe tornare al sano e vecchio calcio di una volta, con tutte le partite alla domenica pomeriggio, dall’altra parte, però, firmano contrattisempre più vantaggiosi con la pay-tv di turno. Fino a quando? Fino a che il calcio diventerà sport d’elite e non più

popolare, fino a quando i bambini saranno più attratti dall’hockey su prato (con tutto il rispetto per i praticanti di questo sport) che da un pallone, fino a quando qualcuno si stancherà di trascorrere i pomeriggi su una poltrona fantozziana pronto a schizzare in piedi ad una rete dell’idolo di turno, potendo dividere la sua felicità solocon il gatto che tiene ai piedi. Onore perciò a chi in barba alla televisione segue la squadra, onore a chi preferisce le sane emozioni dal vivo rispetto a quelle del piccolo schermo, onore a chi preferisce socializzare che estraniarsi dalla realtà per i fatidici novanta minuti di gioco, onore ai venticinque crotonesi che si presentano a Livorno senza tessera. A Livorno, dopo gli ultimi risultati negativi, tira aria di contestazione: nonostante il cambio di allenatore, da Pillon a Novellino, la squadra non ha saputo rialzarsi e questa sera ha l’ultima occasione per rientrare nella lotta per i play off. Per capire il momento negativo della squadra labronica, ma soprattutto del pubblico di fede amaranto, basti pensare che�

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�stasera non ci sono neanche mille paganti, una cifra davvero ridicola pensando al bacino d’utenza della città e al suo passato fatto di ben altri numeri. Se in altre occasione il pubblico locale aveva aspettato la fine della partita per contestare squadra, dirigenza edallenatore, questa sera i presenti si prendono un bell’anticipo mettendo i pensieri su stoffa ed attaccando due striscioni alla vetrata della curva nord; uno è il classico “Spinelli vattene”, l’altro è più articolato ma richiama ugualmente in causa il patron: “La gestione della ‘tua’squadra è la vergogna della nostra città”. Non c’è che dire, il Livorno, per far rifiorire il feeling con il pubblico ha un solo risultato a sua disposizione, anche se il Crotone non vuol lasciar troppa stradaperché non vorrebbe ritrovarsi a lottare per i play out. Stadio con larghi vuoti e crotonesi che prendono posto in curva sud, dietro la pezza “Giorgio vive” e dietro lo striscione usa e getta “Ciao Nuccio”. Si compattano fin da subito, divisi dal pubblico locale da un nutrito cordone di steward anche se tra

le due tifoserie fila tutto liscio come l’olio, ed iniziano a farsi sentire nel momento dell’ingresso in campo delle squadre. I crotonesi sanno scaldare l’ambiente, i loro cori sono i soli che si alzano in tutto lo stadio, la curva nord si astiene dal tifo e non pronuncia parola. Gli ospiti partono contestando la tessera del tifoso, poi passano a salutare Nuccio ed infine dedicano un coro al bomber Cutolo, autore anche in questa serata, di una partita gagliarda. La partenza degli ospiti è veramente buona, chiedono alla squadra di lottare�

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�e accompagnano i loro cori con frequenti battimani; a livello di colore non offrono molto, una bandiera sventolata di tanto in tanto ed una sciarpata abbozzata ma mai eseguita alla perfezione. Dopo un avvio molto buono calano d’intensità, mantenendosi comunque su livelli più che sufficienti; le pause ci sono ma visti inumeri in questione sono anche inevitabili. Se in curva nord regna il più assoluto silenzio, l’unica notizia degna di nota è lo striscione a centro curva che saluta Vittorio Arrigoni, il pacifista ucciso barbaramente a Gaza. Lo striscione viene contornato da numerose bandiere della Palestina, a confermare quanto la curva nord resti molto attenta al sociale. I crotonesi vivono il loro momento di gloria alla mezz’ora quando, grazie ad un rinvio sbagliato dell’estremo difensore amaranto, l’attaccante Djuric gonfia la rete facendo gioire la ventina di ospiti presenti. Il primo tempo si chiude con il Crotone avanti di una rete e con il pubblico locale che saluta la propria squadra con una selva di fischi. La ripresa riprende con il solito ritmo della prima frazione: i crotonesi si danno un bel daffare per farsi sentire e cantano sempre a favore della squadra, non dimenticando i diffidati e le problematiche comuni al mondo ultras.Il pubblico locale perde via via sempre più la pazienza e quando il Crotone arriva al raddoppio si scatena la rabbia dell’intero stadio, che prima contesta la squadra e poi lascia l’impianto in segno di sdegno. In curva nord c’è chi scende nella zona inferiore per contestare società, squadra ed allenatore mentre i più audaci pensano di riscaldare l’ambiente intonando cori a favore dell’idolo Igor Protti, giocatore che con la maglia amaranto ha scritto pagine importanti facendo innamorare, sportivamente, migliaia di tifosi. Il Livorno segna un gol qualche secondo prima del triplice fischio finale dell’arbitro e la festa è tutta di marca crotonese, con gli ultras che vengono omaggiati di magliette e pantaloncini. Per loro ottima prova,mentre gran il pubblico di casa lascia lo stadio in un mix di delusione e rabbia.

Testo e foto di Valerio Poli.

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Derby d'Abruzzo n questa tipica domenica primaverile si

assiste ad uno dei derby d’Abruzzo del girone B della Seconda Divisione: si affrontano Celano e L’Aquila, una partita dagli antichi valori visto l’odio profondo che c’è tra marsicani e aquilani, quindi mi aspetto una partita abbastanza calda sugli spalti e non verrò deluso. Dal capoluogo giungono con largo anticipo circa 400 sostenitori, tutti con mezzi propri, che si posizionano nei Distinti. I vari RBE e 1999 appendono le loro pezze ed iniziano a farsi sentire giànel pre-partita. All’ingresso delle squadre in campo eseguono una bella sciarpata,contornata da tutte le loro bandiere,ripetuta a più riprese durante la gara.Prova buona ma leggermente sottotono nel primo tempo, daranno poi vita ad unaseconda frazione davvero emozionanteche ha fatto rivivere un po’ di quello che una volta era il vero spirito ultras. Tanti anche i battimani e continui i cori. Per quanto riguarda invece i marsicani,nel settore laterale della tribuna è�

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�presente un manipolo guidato dai vecchi del Mads, che danno fondo a tutte le loro risorse per farsi sentire, e ci riescono anche, nonostante il numero esiguo. Cori vecchi e nuovi, battimani e una bella sciarpata impreziosiranno la loro prestazione. Non smettono mai di cantare nonostante il passivo. Il loro secondo tempo è caratterizzato da numerosissimi cori offensivi che, se all’inizio raccoglievano indifferenza, con il passare dei minuti daranno luogo ad una disputache durerà fino all’ultimo minuto. Presenti con i ragazzi di Celano anche gli amici di Castel di Sangro. La gara termina con uno 0-2 in favore degli aquilani che festeggiano con la squadra il consolidamento in zona play-off, mentre sale la rabbia dei ragazzi di Celano che non vedono una vittoria da ormai troppe settimane. Si segnala a fine partita un tentativo di avvicinamento delle due tifoserie, controllato dalle forze dell’ordine. Nulla di particolare da aggiungere.

Testo e foto di Massimiliano Forletta.

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Lode al calcio e al

empre più spesso per scegliere in quale

campo e quali tifoserie fotografare, più che consultare il calendario calcistico,guardo le determinazioni dell’Osservatorio e del Casms. Parecchie sono le partite in cui l’assenza di tifoserie ospiti rende del tutto vana ogni speranza di trovare almeno un minimo da immortalare, visto già che le disposizioni su striscioni, materiale coreografico e artifici pirotecnici hanno reso il contornodello spettacolo calcistico più simile ad una tabula rasa: hanno fatto il deserto e l’hanno chiamato pace, diceva Tacito. Detto ciò, in questa domenica, l’assenza assoluta di qualcosa di decente nelle categorie maggiori mi spinge a far capolino nei meandri del calcio, in Serie D, per assistere alla trasferta della Jesina e dei suoi tifosi in quel di Cesenatico, incuriosito dai racconti e dalle immagini della loro precedente sortita a Rimini, e per conoscere dunque meglio una realtà...

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�mai vista prima dal vivo. All’esterno vedo un buon movimento ma una volta dentro non noto troppo fermento: buona parte del gruppo si attarda ancora fuori quando il calcio d’inizio s’approssima, poi prendono finalmente il loro posto con qualche minuto di ritardo, cominciando a posizionare gli striscioni mentre in campo sono già iniziate le ostilità. A parte “Vecchie maniere” e “Vecchia guardia” che erano già da lungo tempo esposti, cominciano a vedersi tutti gli altri striscioni e stendardi: “Ultras Jesi”, “SS Jesi 1927”, “Riccardo sempre con noi”, “Ultras liberi”, “Leones Jesi”, i goliardici “Mai una gioia” e “Odio la terna”, per finire con un drappo con il leone all’interno di uno scudo e uno con “1927” dentro i quadranti di una croce biancorossa e un personaggio che ricorda il Mister Enrich. La prima cosa che subito ritengo degna di nota è il loro numero: quasi 200, di cui un po’ meno della metà, un’ottantina circa, sono quelli che si adoperano fattivamente e continuativamente a sostegno della squadra.

Tamburo e megafono, l’aria che si respira è quella del calcio di una volta, aria che gronda passione, e non credo sia solo imputabile al caso se una tifoseriacosiddetta dilettantistica muova numeri pari a tante di categoria superiore: i divieti e le televisioni stanno ammazzano la passione per il calcio, ma se è utopistico pensare alla loro eliminazione, non lo è sicuramente ripensare il pallone, riavvicinarlo alla gente, e non in malato senso voyeristico e passivo, bensì ricucendo il legame tra squadre e tifosi, il senso di comunità, il lato aggregativo che l’onda violenta e contraria di legislatori e magnati televisivi sta facendo venir sempre più meno. Ripensare insomma ad una più pacifica convivenza tra le parti: non dico rimettere di nuovo il tifoso al centro del mondo del calcio, ma almeno non metterlo ai margini, non vessarlo con orari e giorni improponibili, mille burocratizzazioni e terrorismo mediatico ai limiti dell’isteria collettiva quello sì. Venendo alla stretta attualità e al tifo canoro espresso, ovviamente gli jesini ci mettono un po’ a sistemare�

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�tutto, compattarsi e carburare con la voce, ma quando entrano a regime sono davvero piacevoli da sentire ed offrono un bel campionario di cori per la maglia, per gli ultras e contro la repressione. Pur non sostenendo direttamente i calciatori in campo con cori dedicati ai singoli, sono però molto vicini alla squadra, partecipando emotivamente e rincarandola dose nei momenti di bisogno, tanto da venir premiati poco dopo la mezz’ora dalla rete del proprio attaccante Invernizzi. La gioia è smodata, ma dura davvero poco visto che Valente di testa segna l’1-1.Dalla tribuna di casa, da cui è assente qualsiasi forma di tifo, un singolo si isola e accende una torcia: un elemento di folklore alquanto inatteso e intonato al resto del pubblico come un rutto a pieni polmoni in una chiesa. I ragazzi di Jesi, come non hanno mai desistito fino a raggiungere il vantaggio, così continuano a crederci e a tifare nonostante il pareggio. Colgo anche per un attimo l’ebbrezza di poterli descrivere con l’aggettivo “divini” quando continuano a cantare anche dopo il fischio dell’arbitro

che manda tutti negli spogliatoi, ma dopo qualche minuto si e mi fanno rendere conto di essere umani anche loro, e tirano il fiato concedendosi un po’ di riposo. In verità nicchieranno fino a qualche momento dopo l’inizio del secondo tempo, ma riprendono poi gradatamente il ritmo e tornano a cantare e a dare corpo al proprio tifo con frequenti battimani ed aggiungendo alla loro buona prestazione, una bella sciarpata. La loro squadra però non affronta la seconda frazione con pari grinta (influenzando, di rimando, anche il loro�

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�tifo che alla lunga e progressivamente

perderà man mano di vigore) e finisce

anzi con cedere il campo ai meno quotati

e forse più motivati padroni di casa, che

intuiscono che hanno forse più fame di

punti per uscire dai bassifondi e trovano

meritatamente il vantaggio al 24’ per poi,

dieci minuti più tardi, guadagnarsi e

realizzare il rigore che arrotonda in

maniera impietosa il parziale.

Gli ultras che fino a quel momento

avevano creduto nell’impresa, cercano di

punzecchiare nell’orgoglio i propri atleti

invitandoli a tirar fuori il “carattere”,

diciamo così, ma le richieste rimarranno

inascoltate, per questo il bel quadrato

iniziale andrà sfilacciandosi fino a quando

il tifo risulterà molto sporadico e poco

potente. Arriva il triplice fischio senza altre

novità e senza che il finale poco

convincente intacchi un tifo che

comunque, e in definitiva, mi piace molto

e mi porti a considerare questi jesini come

una bella realtà che vale la pena di essere

rivista all’opera, appena le coincidenze la

incroceranno ancora con la mia strada. Anche la squadra rende l’applauso dicommiato e ringraziamento alla propria tifoseria, seppur avrebbero potuto onorarne meglio le pretese con una prova più grintosa in campo. A margine, lo stesso tifoso solitario, saluta la vittoria del Cesenatico con un’altra torcia, mentre la squadra, tra l’altro, ignora lui ed il resto del poco pubblico romagnolo: la Dea Eupalla a volte sa essere davvero ingiusta.

Testo e foto di Matteo Falcone.

[email protected].

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Lotta con i fatti,

initi tutti i sei turni infrasettimanali, al

Rimini manca da recuperare la gara di Bojano, per la quale la Lega opta almeno per un giorno festivo. Si gioca il 17 marzo, 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e all’ingresso dei giocatori in campo viene suonato l’inno di Mameli. Le condizioni climatiche peggiorano di minuto in minuto, tanto che anche per noi fotografi è veramente difficile continuare a scattare sotto la pioggia e il forte vento. Dalla Romagna, al seguito del Rimini, almeno 50 unità tra Curva Est e club organizzati, ma, come già successo ad Atessa, anche oggi i ragazzi della Est hanno opposto un netto rifiuto alla richiesta di 10 � per il biglietto, rimanendo fuori e seguendo il match da una rete laterale dello stadio.Dal settore di casa, dove è posizionata una decina di tifosi locali, capite le intenzioni degli avversari, sono partiti cori di sfottò, inneggianti anche a squadre

rivali tipo Teramo o Cesena. Nell'intervallo poi, gli ospiti sono riusciti ad entrare indisturbati dal lato della tribuna, e sono andati direttamente a chiedere spiegazioniper quei cori, accomodandosisuccessivamente in tribuna coperta, dove hanno continuare a cantare e tifare per i colori biancorossi, colorando con una sciarpata l’ennesima trasferta vissuta a modo loro.Per la cronaca, il Rimini ne rifila 3 al fanalino di coda Bojano,matematicamente retrocesso.

Testo e foto di Gilberto Poggi.

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Pareggio in

R ispetto alla mia ultima presenza a

Sant’Antonio Abate qualcosa si è mosso: in città l’atmosfera-partita si sentiva e la dimostrazione la si ha già da uno striscione posizionato su un muro delcentro cittadino, che invitava la popolazione ad accorrere allo stadio per sostenere i giallorossi. Sarà lo scontro diretto per la salvezza, sarà il derby, ma i tifosi allo stadio sono molti di più, infatti le presenze saranno circa 500. Gli Ultras Sant’Antonio sono il solito gruppetto di 30 persone, pochi ma veramente buoni, colorati, chiassosi e molto compatti. Sparano qualche petardo e sostengono la squadra fino al 95’. Sul fronte ospiti ho finalmente qualcosa da dire, ma non più di tanto: mi aspettavo molto di più dalle “zebrette” battipagliesi, presenti in 25/30 persone. Non so quanti di questi siano ultras “effettivi” e quanti tifosi normali, ma cantano per solo per i

primi venti minuti, poi si addormentano

inspiegabilmente dopo il gol del

momentaneo vantaggio degli abatesi, per

poi risvegliarsi dopo il gol del definitivo 1-1

dei bianconeri. Tra i cori più gettonati tra i

battipagliesi ci sono quelli contro gli ultras

della Turris e quelli pro angresi, loro storici

gemellati.

Da segnalare qualche scaramuccia tra

tifosi battipagliesi e abatesi ma nulla di

particolarmente importante.

Testo e foto di Emilio Celotto.

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Davanti alle telecamere di RaiSport (a cui

gli ultras acesi hanno dedicato uno

striscione) la squadra di casa centra la

quinta vittoria di fila. Decisiva la doppietta

di Senè, a segno al 27’ del primo tempo e

al 50’ della ripresa, complice un erroraccio

del portiere La Malfa. Da Noto una

cinquantina di presenti.

Foto di Salvatore Lamarca

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Brutto 0-0 per l’Arezzo in una giornata tipicamente primaverile. Curva come sempre colorata, che trova stimoli anchecon una squadra oramai salva ma relegata in un campionato che non si addice ai fasti del passato. Presente Luca Zingaretti: il popolare attore e dirigente amaranto, era in tribuna nella speranza di festeggiare la matematica salvezza.

Foto di Alessandro Falsetti.

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In parvis

na comunità di 2000 abitanti, un gruppo

di amici e una squadra di pallone. Era il 2006 quando la Polisportiva Caldari, società calcistica con un discreto passato nei campionati dilettantistici abruzzesi, siritrova a disputare lo spareggio per salire nel campionato di prima categoria abruzzese.“Che si fa? Attrezziamo il tifo? Si parte?” Esi partì.Cori, bandiere, petardi, tamburi di latta e una quarantina di persone al seguito. La partita va male ma i ragazzi in campo avevano fatto il loro dovere e si continuò acantare fino a dopo la partita, per strada, fuori gli spogliatoi. Nessuno avrebbe immaginato che da quella esperienza improvvisata sarebbero nati gli “Sconvolts”. Non più tifosi occasionali ma un vero e proprio gruppo ultras che negli anni è aumentato e maturato, arrivando ad essere sempre presente, in maniera�

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�organizzata, in casa e in trasferta.Molti di loro si sono fatti le ossa nella curva del Pescara, tra Cherokee, OrgiaTotale e Pescara Rangers. Lo stampo è quello, si vede e si sente; in aggiunta un pizzico di genio e goliardia “locale”. Vicende comuni a tanti altri gruppi e tifoserie di provincia, ma speciali se si pensa al campionato di militanza e al bacino d’utenza di questa contrada. Una storia straordinaria, quindi, che tocca il picco massimo il 10 aprile 2011, per il big match di Prima Categoria tra Caldari e Ripa Teatina: la prima guida la classifica, gli altri la rincorrono da mesi. Insomma, è la cosiddetta partita che vale una stagione.Una settimana di preparazione per la coreografia, cento persone in curva, tonnellate di fumogeni, battimani, sciarpate, bandiere che sventolano e gole che cantano ininterrottamente per 90 minuti e oltre. Un sostegno che ha trovato i momenti più alti proprio quando il Caldari è andato in svantaggio. Uno spettacolo mai visto in queste categorie (almeno qui in Abruzzo): senza cadere nella�

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�autoreferenzialità, questa curva è un

luogo dove si respira mentalità, quella

vera.

Chi è ultras lo sa, lo capisce.

Per la cronaca la partita finisce 1 a 1 col

più classico dei gol segnato dal beniamino

dei tifosi e un rigore sbagliato dagli ospiti

al novantacinquesimo minuto, proprio

sotto la curva di casa.

Le tante persone accorse a vedere la

partita e quei “fantomatici” Sconvolts,

hanno avuto da assistere ad uno

spettacolo sbalorditivo.

Proprio mentre l’escalation di restrizioni,

divieti, schedature varie e imposizioni

televisive danno “mazzate” all’intero

movimento italiano, è qui, su gradinate

come questa, che si tiene ancora acceso

l’ultimo barlume di resistenza ultras.

Testo di Marco Giangrande.

Foto di M. Giangrande,

M. Bomba e S. Cupido.

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Ti piace

G li ultras moderni, quelli che vivono di

coerenza e mentalità e che hanno ovviamente studiato il “codice non scritto”, sarebbero disposti a fare un patto con il diavolo pur di tornare in squallide categorie come la Promozione o magari, per i più “fortunati”, l’Eccellenza; io invece, che purtroppo non ho soldi da spendere per comprare codici e manuali per diventare un vero ultras, sarei disposto a diventare Satana in persona e dare questa noiosa Promozione in cambio di una svenduta, o venduta a seconda dei punti di vista, Serie C1 o C2 dove, nonostante divieti, lotta alla tessera, ai tesserini e ai tesserati, battaglie contro calcio moderno, pay-tv, telepiù sky e chi più ne ha più ne metta, il livello è sicuramente più alto. Tutta questa premessa per dire che solo la domenica pomeriggio, poco prima di partire, siamo riusciti a sapere con certezza dove avrebbe giocato l’Altamura

che, per chi non lo sapesse, si scontrava, ma solo sul campo, contro l’ottava squadra, rionale ovviamente, di Bari, che non avendo uno stadio proprio gira per la Puglia in cerca di ospitalità.Fieri e orgogliosi partiamo alla volta dell’ennesima trasferta per macinare km di fede e passione, e per sostenere con “coerenza e mentalità” la nostra squadra e la nostra città, non certo questi luridi mercenari che, dopo aver lavorato sui cantieri in settimana, si divertono a giocare nella Promozione pugliese, ma si sa, gli ultras sostengono la maglia e la�

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�città e mai i giocatori�

Compatti ci muoviamo verso Molfetta

speranzosi, da veri ultras, di incontrare

avversari con i quali scontrarci,

ovviamente tutto all’insegna dell’estrema

lealtà, ma lungo il tragitto, fatta eccezione

per qualche donnina dai facili costumi, di

nemici nemmeno l’ombra (a questo punto

devo chiedermi, ma i tifosi avversari non ci

affrontano per paura o perché ci

snobbano? Ai posteri l'ardua sentenza).

Il viaggio scorre tranquillo e ordinatamente

incolonnate, le ben tre macchine al

seguito, di cui una non piena, arriviamo a

destinazione, dove stranamente

all’ingresso non troviamo sanguisughe

disposte a spillarci qualche euro per

assistere al solito match tra scapoli e

ammogliati, quindi felici e sorridenti ci

dirigiamo verso il nostro settore, ma

scopriamo che la partita non si disputerà

perché la Federazione pugliese avanza un

credito nei confronti del Valenzano

Japigia.

Noi comunque, sempre con “coerenza e

mentalità”, montiamo gli striscioni manco

fossimo carpentieri, sosteniamo noi stessi

e la maglia, e dopo aver aspettato il

fischio dell’arbitro, che per regolamento ha

atteso 45 minuti prima di decretare la fine

di una partita mai iniziata, torniamo a casa

per questa bella e soprattutto facile

vittoria, ma questa volta lungo il tragitto

non incontriamo più le belle donnine di

prima.

Testo e foto di Michele D’Urso.

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Derby Duc(ov)ale

A rriva proprio nel momento giusto, questo

derby ovale della provincia di Parma, incastonato com’è tra il week-end di Heineken Cup appena passato, che con lospettacolo dei quarti di finale non ha deluso le attese, e il prossimo fine settimana, pasquale, con un Aironi-Leinster di Magners League (che potrete seguire sul prossimo numero) che per gli appassionati delle zone intorno a Viadana, ma non solo, significa vedere “dal vero” una delle più grandi squadre dell’emisfero Nord, i cui trequarti sono, in definitiva, i titolari della Nazionale Irlandese.Derby della provincia, dicevo, perchénonostante entrambe le nuove squadre riportino il nome di Parma nella denominazione ufficiale, la Celtic Leagueha portato con sé la fine di Rugby Parma e GrAn come entità a sé stanti; in estate sono nate due nuove realtà, i Crociati, espressione della fusione tra Rugby Parma e Noceto, e il GranDucato, che nel nome ricorda il GrAn, fusosi con Colorno...

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�e satellite degli Aironi.

C’è una grande rivalità tra le due

compagini, una rivalità che posso

comprendere, sana, ma che mi sembra a

tratti esagerata, specialmente nella

sguaiata esultanza finale dei Crociati (così

vi ho già svelato il finale...) e che mi

ricorda, in brutta copia, certe scene

calcistiche che, temo, qualcuno tenti di

imitare.

Ciò detto, la giornata è fresca, con un bel

sole primaverile, la cornice di pubblico è

interessante (2.000 spettatori circa, niente

male per una gara di Eccellenza)

e la gara, di per sé, è anche piuttosto

interessante.

Per me, che fin da inizio stagione ero

molto scettico sul livello che il massimo

campionato italiano avrebbe raggiunto

dopo l’uragano celtico, è un’ulteriore

piacevole sorpresa, e una notizia positiva

in chiave-Nazionale Italiana, perché se

cresce il livello del campionato interno ne

beneficiano le due franchigie di Magners,

che il prossimo anno avranno anche

maggiore esperienza, e appunto gli

Azzurri, che in questi due campionati

devono necessariamente crearsi un bacino di professionisti interessanti cui attingere, come capita del resto in tutte le nazioni più “evolute” dal punto di vista ovale.Due parole sulla gara sono doverose: il crollo fisico verticale palesato dal GranDucato nella ripresa è la chiave di lettura secondo me più efficace, senza nulla togliere alla concretezza dei Crociati che, chiuso il primo tempo sotto nel punteggio e nella mentalità, hanno approcciato la ripresa con piglio deciso, conquistando, con la vittoria odierna, 4 punti fondamentali per la corsa verso la post-season, la “Coppa del Ducato” che era in palio, e centrando la doppietta di successi, bissando quello della gara di andata, negli scontri diretti contro i rivali. Perde il GranDucato, che a meno di miracoli saluta i playoff, e con essi la possibilità di partecipare alla prossima Challenge League: ai Crociati manca un punto, e non dovrebbe essere un’impresa centrare l’Europa per il secondo annoconsecutivo.

Testo e foto di Matteo Mangiarotti.

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Recensione del libro

Titolo: Cuore di cuoio;Autore: Cosimo Argentina;

Editore: Fandango – Tascabili;

Prezzo: 10 �.

e, come me, anche voi siete cresciuti in

un rione di periferia, non importa che si tratti di una città grande o piccola, del Nord o del Sud, e soprattutto se avete vissuto almeno un po’ per le strade del vostro quartiere, al fianco dei vostri inseparabili compari, respirando i gas di scarico delle auto e la polvere di qualche campetto scalcinato mentre si disputavano partite di calcio epiche e interminabili (chissà poi perché tutte sempre decisive�); e ancora, se avete trascorso la vostra adolescenza nutrendovi di pane & pallone, imparando a memoria tutte le facce, i nomi e i dati anagrafici dei giocatori raffigurati sugli album dei calciatori Panini, e se avete trascorso gli intervalli a scuola tra una

lezione e l’altra confrontandovi con i vostri amici su questa fondamentale e spinosa materia di studio� beh, allora amerete questo libro proprio come ho fatto io. E vi appassionerete alle avventure di Camillo Marlo, detto Krol, adolescente della periferia di Taranto nella seconda metà dei turbolenti anni ’70, che assieme ai suoi inseparabili compari (la sua vera famiglia!) dai soprannomi tanto improbabili quanto geniali (Ciccano Magellano, Tapp’ ‘Mmoch’ e Sigare Ngule su tutti!), ci accompagnerà in questo piccolo viaggio attraverso un breve ma intenso periodo della sua giovane vita, così simile a quella che ognuno di noi ha vissuto. Tutto questo è “Cuore di cuoio”, romanzo di formazione ambientato nella periferia di una delle principali città industrializzatedel Sud, quella Taranto in cui ErasmoIacovone, autentico ed indimenticabilegenio che sfortunatamente e troppo prestoci ha lasciati, faceva sognare migliaia di cuori rossoblu, che grazie alle sue prodezze sognavano di raggiungere quel paradiso (calcistico) fino ad allora�

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�appannaggio del solo capoluogo di regione. Ma come spesso capita ai sogni, anche questo finirà per svanire con la prematura scomparsa del centravanti rossoblu.Attraverso gli occhi di Krol e dei suoi compari scopriremo le due facce del mondo del pallone di quel periodo; da una parte il calcio giocato, quello delle sfide tra amici e, soprattutto, delle aspirazioni e delle aspettative di Krol, giovane promessa della formazione Allievi del Taranto, con un grande futuro pronto ad attenderlo appena dietro l’angolo; dall’altra il mondo del tifo, perché Krol e i suoi compari sono, prima di tutto, grandi tifosi della squadra rossoblu, la squadra della loro città, e come tali la sostengono e la seguono in casa e in trasferta; anzi, non mancano in questo romanzo espliciti riferimenti all’allora nascente fenomeno ultras, da cui il nostro Krol è fortemente affascinato e attratto, tanto che il desiderio di poter diventare un protagonista della curva nord del vecchio stadio Salinella è forte almeno quanto quello di poter diventare, un giorno, un famoso

giocatore di serie A. E così, muovendosi tra gli strani personaggi che popolano il quartiere, tra scorribande nei luoghi alieni della Taranto-bene e i tanti espedienti per sopravvivere alle gabbie nelle quali famigliari e scuola vorrebbero imprigionarli, i nostri eroi cominciano a vivere anche le prime esperienze post-adolescienziali (le prime sbronze, i primi amori e i relativi approcci col sesso) che ben presto li condurranno dall’assoluta spensieratezza dell’adolescenza ad una nuova stagione della loro vita, ma sempre mantenendo ben salda quella sacrosanta scala di valori per cui le ragazze “venivano dopo gli amici e dopo il pallone; un terzo postoonorevole, direi” e, soprattutto, venivano sempre e tassativamente ribattezzate con i nomi delle squadre di calcio straniere. Alla fine, le 221 pagine di “Cuore di cuoio”scorrono via veloci, fin troppo, lasciandoci con un interrogativo irrisolto: chissà dove sono oggi i compari, e chissà se ce l’hanno fatta�

Testo e Foto di Giangiuseppe Gassi.

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