SOCIETÀ E COMUNICAZIONE DI MASSA...Comunicazioni di massa Lo sviluppo di prospettive teoriche ad...
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SOCIETÀ
E COMUNICAZIONE
DI MASSA
Prof. Giovambattista Fatelli
Toronto, Natale 1926
Les Miserables, Capitol Theatre, Sydney 2015
Dal popolo alla folla
Comunicazioni di massa
Lo sviluppo di prospettive teoriche ad ampio raggio sulla
comunicazione non può naturalmente aver luogo se non
esistono «sistemi comunicativi» stabili di una certa mole,
che, con il considolidarsi di strutture organizzate, di
continuità produttive e di pubblici permanenti,
condurranno in breve all’affermazione del concetto di
«comunicazioni di massa».
Società di massa
Imprese comunicative di questo genere non sono neppure
concepibili prima che la società abbia assunto la
fisionomia che viene definita “di massa”. Poiché è in un
ambito di così vaste dimensioni che si verifica l’incontro tra
la società moderna e l’idea di comunicazione, occorre
preliminarmente riflettere sul concetto di massa.
Claudia Rogge, Dividuum, Camouflage I
La massa
Il termine “massa” impasta infatti
una serie di concetti che consentono
di capire meglio come è stata
interpretata fino ai giorni nostri la
gran parte dei processi comunicativi.
La massa
Sebbene una vera e propria società di massa si affermi solo nella prima metà del Novecento e le sue interpretazioni principali invadano il dibattito pubblico dopo la seconda guerra mondiale, le idee di fondo su cui si articolano sono in circolazione già nel corso dell’Ottocento.
Charles Thévenin, La prise de la Bastille, 1793
1848, Moti popolari a Berlino
La massa
Fino al ’700, infatti, il termine è usato per indicare in
modo generico, secondo l’etimologia, un insieme vasto e
indistinto. Si diffonde nel linguaggio sociologico e storico
nel corso dell’800 e acquista gran parte del suo moderno
significato attraverso il collegamento irreversibile con i ceti
inferiori e gli strati sociali più poveri della popolazione.
Baraccopoli di Mathare Valley, periferia di Nairobi
La massa
L’idea di base è che, mentre le persone di un certo rango
possono fruire di uno spazio personale che disegna confini
precisi per la loro individualità, come se avessero un alone
intorno, quelle di rango inferiore si ammassano l’un l’altra
in habitat contrassegnati da crescente promiscuità e
sporcizia che è difficile non associare al degrado morale.
Le folle rivoluzionarie
Questo legame istintivo fra «massa» e «inferiorità sociale» è rinforzato da un insieme di fattori: la massiccia presenza della folla nelle varie fasi della Rivoluzione francese, l’accalcarsi del proletariato industriale nelle città, il sorgere dei movimenti di rivendicazione sociale, l’ascesa parallela delle classi medie nell’economia e nella politica.
Gérard Depardieu è Danton nell’omonimo film di Andrzej Wajda (1983)
Popolo e folla
A partire dalla Rivoluzione
francese, l’archetipo del valore
sociale e politico dell’azione
popolare, la riflessione delle
“nuove” scienze umane sui
comportamenti collettivi
abbandona pian piano il concetto
di “popolo”, generoso sul piano
morale ma troppo impreciso su
quello sociologico, per individuare
infine nella “folla” un nuovo punto
di riferimento per l’analisi.
New York, luglio 1863. La folla attacca il giornale Tribune durante i draft riots, Illustrated London News
Hippolyte Taine (1828-1893)
In Francia assume un carattere fondativo l’opera di Taine sulla rivoluzione francese (Origines de la France contemporaine 1876-1894), che utilizza i concetti di “lotta” e “regressione”, scrivendo pagine memorabili sulla psicologia dei giacobini.
Le folle rivoluzionarie
«Per la natura umana l’onnipotenza improvvisa e la licenza di uccidere sono un vino troppo forte; vengono le vertigini, l’uomo vede rosso, e il suo delirio si completa con la ferocia. Perché la caratteristica di un’insurrezione popolare è che, nessuno non obbedendo a nessuno, le passioni malvagie vi sono libere quanto le passioni generose, e gli eroi non vi possono frenare gli assassini».
Robespierre nel film Danton (Andrzej Wajda, 1983)
L’ottimismo positivista
Sul piano socio-scientifico, il pensiero politico ottocentesco, ispirato al “positivismo”, concepisce inizialmente la base politica della nuova società industriale sulle ali del fervore per l’ideologia liberista, che trionfa promettendo l’ampliamento della democrazia e uno sviluppo economico illimitato.
25 febbraio1848, Lamartine di fronte al Municipio di Parigi rifiuta la bandiera rossa per il tricolore
L’ottimismo positivista
L’invenzione della “società” - lungo una linea di pensiero che va da Saint-Simon a Spencer, passando per Comte – assume una posa euforica, mettendo in evidenza l’enorme gradino che ormai divide l’ancien régime dalla società “moderna”, la cui valutazione è abbondantemente «drogata» dalla generale fiducia nel progresso.
Christal Palace, Londra
L’ottimismo positivista
La stessa nascita della sociologia deriva dall’evidenza che la “nuova” società è superiore e più complessa e i primi apostoli della scienza sociale nutrono la ferma convinzione che la sua spinta dinamica sia sufficiente a risolvere ogni problema, fidando nella disponibilità di strumenti razionale e di livelli di organizzazione sempre più efficaci.
L’ottimismo positivista
Nell’ambito di una visione organicistica ispirata a una sorta di provvidenza laica, anche gli ostacoli più gravi come la insorgente “questione sociale” (durezza dei ritmi industriali, miseria delle plebi) potranno essere superati grazie a un atteggiamento collaborativo e interclassista.
L’ottimismo positivista
La visione ottimista, che nei primi sociologi è ancora un
atto di fede nelle potenzialità della società industriale,
trova una sponda nel diffuso “scientismo” e – grazie al
successo del pensiero di Spencer, dell’evoluzionismo e poi
del darwinismo sociale – si trasforma addirittura in
un’ipotesi “scientifica” di “sviluppo universale”.
La massa
Ma, col perdurare e poi con l’acuirsi del conflitto sociale, il
termine massa esalta la sua particolare ambivalenza, con una
connotazione che diventa positiva o negativa a seconda
dell’apprezzamento per l’azione delle forze popolari nella
vita pubblica, specialmente nei momenti di maggiore visibilità
(agitazioni e lotte sociali, moti rivoluzionari, ecc.).
Il dottor Jekyll (Rouben Mamoulian, 1931)
La massa
Restando ferma la connessione con il fermento delle
moltitudini e la protesta popolare, l’accezione positiva si
concentra nella tradizione socialista e radicale, che rinvia
alla solidarietà della classe operaia, all’organizzazione
per gli scopi collettivi o alla resistenza all’oppressione.
La massa
Dal punto di vista delle classi “privilegiate” o comunque dell’establishment, invece, la parola massa finisce per assumere sfumature anche molto negative, che rinviano a una “folla” rozza e violenta che, senza una sua precisa volontà, è la preda ideale per le lusinghe dei demagoghi e dell’irrazionalità.
Londra, 1888. Sciopero delle fiammiferaie
La massa
Comunque, oltre le connotazioni prettamente politiche, la
carica negativa del termine trova alimento anche sul piano
generale della legittimità e della razionalità dell’azione
sociale, in cui l’individualismo del pensiero occidentale
sfoga la sua ostilità all’azione collettiva e disordinata. La
“massa” assume quindi i tratti poco lusinghieri di gruppo
disorganizzato e amorfo, che annulla identità e raziocinio.
Disordini all’Astor Place Opera-House, New York 1849
Marlon Brando è Marco Antonio in Julius Caesar (Joseph L. Mankiewicz,1953)
Le folle rivoluzionarie
Lungo un asse che va da Taine a Le Bon, la riflessione sul piano storico e sociale struttura l’immagine di una società in cui aumenta spaventosamente la quota di individui sradicati, capeggiata da condottieri abili nello sfruttare i processi simbolici e irrazionali, che in seguito formerà l’ossatura di concetti come società di massa, totalitarismo e media effects.
Si vengono formando così la scenografia, i personaggi e la drammaturgia elementare che daranno luogo alla rappresentazione delle proprietà comunicative degli attori sociali e degli effetti che si possono generare negli intervalli fra coloro che si candidano a «gestire» la comunicazione e il loro uditorio, tra la fornitura di prodotti culturali nuovi e le trasformazioni sociali tra la circolazione delle informazioni e la formazione della volontà politica.
Napoleone III
Società e comunicazione di massa 2
Turning point
Turning point
Nella seconda metà dell’Ottocento, però, lo sviluppo della società borghese incontra anche gli inevitabili limiti che derivano dalle contraddizioni irrisolte e dalla difficoltà a guidare una corsa verso il progresso che ha innescato un mutamento sociale apparentemente inarrestabile e liberato energie non sempre controllabili.
Industrializzazione
I processi di industrializzazione e urbanizzazione iniziano ad assumere risvolti traumatici, resi più evidenti dall’acuirsi della questione sociale e dalla recessione economica (sovrapproduzione, caduta dei prezzi e taglio dei salari) che tra il 1873 e il 1896 affligge l’economia mondiale e sarà superata solo alla fine del secolo da una “seconda” rivoluzione industriale.
La fabbrica d’armi Krupp a Essen durante la prima guerra mondiale
Antagonismo sociale
Le crisi economiche mettono in luce le forme sempre più radicali e organizzate dell’antagonismo «proletario» e il loro potenziale distruttivo. In un periodo di diffusione del marxismo e di forte crescita del movimento socialista, si surriscalda la “questione sociale” nelle regioni industriali, con sabotaggi, scioperi e rivolte dai toni incendiari, brutali repressioni operate da polizia ed esercito, attentati anarchici che alimentano la catena della violenza.
Le «classi pericolose»
Quest’incapacità rinverdisce – grazie a una mentalità ottusa e una pubblicistica gretta - l’identificazione dei lavoratori, spesso in condizioni miserrime, con la massa indistinta dei vagabondi e dei malfattori.
Le «classi pericolose»
Nella percezione borghese, infatti, si cristallizza la confusione tra classi lavoratrici delle grandi città e classi pericolose, che le impasta in un insieme indistinto caratterizzato dal bisogno, dall’indisciplina e dalla «diversità» morale. Lo stesso termine «proletariato» non ha il significato attuale e non rimanda tanto a caratteri professionali, economici o politici quanto a una condizione nomade, barbara e selvaggia.
Il famigerato libro di Honoré Antoine Frégier
Le «classi pericolose»
Le vicende della Comune di Parigi dopo la guerra franco-
prussiana del 1870 impressionano la società europea e le
atrocità compiute autorizzano, nella descrizione dei
comportamenti delle folle, termini derivanti dalla
patologia medica come “convulsioni” e “follia collettiva”.
Maximilien Luce, Paris Street in May 1871 (The Commune), 1905 (Museo d’Orsay, Parigi)
Comportamenti collettivi
A destare scalpore e reclamare attenzione «politica» non
è solo la bellicosità dei gruppi antagonisti che, ma anche
la loro «diversità», rispetto sia ai comportamenti
individuali, ancora inclusi in un modello razionale, sia alla
normale condotta quotidiana, entrambi facilmente
disciplinati dall’inibizione e dal normale controllo sociale.
Cadaveri di comunardi
Comportamenti collettivi
I comportamenti collettivi insomma si esprimono in forme nuove e partoriscono modelli di azione sociale irriducibili alla normalità, che richiedono di essere valutati con metodi nuovi.
Crisi politica
Questa situazione getta ombre inquietanti sull’applicazione sociale dell’idea di progresso illimitato e ricaccia sullo sfondo la prospettiva di una società organicamente integrata. Vedendo più lontano il traguardo della completa simbiosi tra funzioni specializzate, la società capitalista è presa dallo sgomento di nutrire in seno le forze in grado di sovvertirla, mentre la lettura “integrazionista” e filantropica dell’evoluzione sociale proposta dal liberalismo viene oscurata da quella “dialettica” avanzata dal marxismo.
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, 1901 (Milano, Museo del Novecento)
Una società «inclusiva»
L’allargamento delle basi sociali indotto dalla produzione industriale complica la soluzione del problema, poiché non consente di «ignorare» semplicemente fasce così vaste di popolazione e nello stesso tempo non sopporta l’ipotesi di una reazione repressiva violenta e prolungata.
Torino, settembre 1864. I militari sparano sulla folla che manifesta. Cinquanta morti e centinaia di feriti
Visione mostruosa
Così, non potendo espellere i ceti operai, ma neppure assimilarli o controllarli efficacemente, la connotazione delle masse popolari si sviluppa dentro una visione mostruosa e disordinata del corpo sociale.
New York, 1874. La polizia reprime una manifestazione di disoccupati in Tompkins Square Park
Visione mostruosa White Zombie, di Victor Halperin, (USA 1932)
Una società «inclusiva»
Per contenere le spinte sociali che generano più
inquietudine devono pertanto essere individuati nuovi
strumenti di lettura e d’intervento, maggiormente in
sintonia con l’ampliamento della base politica.
Metropolis (Fritz Lang, 1927)
Cooptazione delle masse
Vengono così avviati processi più lenti, tesi ad assorbire il disagio tramite un’apposita legislazione sociale e a contenere le aree di dissenso mediante una complessa cooptazione politica all’insegna del nazionalismo, che propugna soluzioni cesariste e anticipa le forme di mobilitazione di massa attivate successivamente dai regimi totalitari.
1915, D’Annunzio tiene un’arringa interventista
Cooptazione delle masse
Le folle - cioè il carattere collettivo e “autonomo”, a tratti antagonistico, dei comportamenti sociali - diventano quindi un elemento di centrale importanza, in primis per la loro valenza socio-politica, sotto il profilo della governance, del controllo sociale e della gestione del consenso.
Folla in Union Square, New York, negli anni 10
Il controllo sociale
I nuovi strumenti di partecipazione politica risentono in modo decisivo dello spostamento dell’asse del controllo sociale, che abbandona lentamente gli atteggiamenti più brutali e cerca un nuovo baricentro nella cattura del consenso, obiettivo che per ovvie ragioni rinsalda l’interesse sociale per i fenomeni di «acculturazione».
Édouard Manet, Le Fifre, 1866 (Museo d’Orsay, Parigi)
Il controllo sociale
La necessità di allestire strumenti di controllo adeguati, in gran parte alternativi alla forza, si incastra sul finire del secolo, in coincidenza con la crisi del positivismo, con la ricerca di un quadro di riferimento teorico per comprendere la nuova situazione che coinvolge gran parte del pensiero sociale dell’epoca, snodato lungo tre direttrici principali:
• La forma del legame sociale
• Le conseguenze della
democrazia politica
• L’astrattezza scientifica
dell’individuo
Le scienze sociali
Insieme alla sociologia generale, si muovono quasi tutte le scienze sociali, nell’intento di distillare i caratteri precipui della società moderna, che secondo molti appare dominata proprio dall’anomia e dall’impersonalità.
Misha Gordin, New Crowd, 2004
Le scienze sociali
L’antropologia tenta di
tracciare una fisionomia
credibile dei fenomeni
devianti, proponendo forme
di prevenzione e trattamenti
specifici.
Calco in cera, Museo Lombroso di Torino
Le scienze sociali
La psicologia clinica e sperimentale, per spiegare i
comportamenti più anomali e violenti (e cercare anche di
ridurli a più miti consigli), con studiosi come Jean-Martin
Charcot e Théodule-Armand Ribot sposta l’attenzione sui
fattori inconsci del comportamento umano.
Le scienze sociali
La statistica e le altre scienze sociali «esatte» tentano nel
frattempo di individuare, secondo un’ottica «riduzionista»,
procedure di ingegneria sociale che rendano più semplice
e automatica l’amministrazione delle questioni sociali.
Nuovi concetti
In questo tourbillon, dopo le “convulsioni” e la “follia
collettiva”, assumono rilievo i concetti di imitazione sociale,
contagio morale, suggestione ipnotica, in attesa che in Gran
Bretagna emerga la nozione di istinto gregario e che
Freud, temendo uno stop o un’inversione del cammino della
civiltà, colleghi l’irriducibilità degli antagonismi sociali a
immagini arcaiche come quella dell’orda primitiva.
Ripensare la democrazia
La politica liberale, che alla
palingenesi del socialismo
scientifico ha contrapposto a
lungo i tentativi di pianificare
lo sviluppo di una società
democratica da allargare
progressivamente, inizia a
lacerarsi fra utopie radicali e
tentazioni dispotiche.
Alexis de Tocqueville (1805-1859)
Ripensare la democrazia
Su questo versante, infatti, le scienze sociali rincorrono le
torsioni autoritarie della prassi democratica, più o meno
improvvisate, valorizzando elementi come la violenza, il
mito, lo «slancio vitale» o il ruolo delle élite.
Ripensare la democrazia
«Il sindacalismo rivoluzionario tien vivo nelle masse lo spirito di lotta proletaria e non prospera se non dove si sono prodotti scioperi notevoli o violenti (…). Se si vuole seriamente discutere di socialismo (è necessario) cercare quale sia l’azione propria della violenza nelle attuali condizioni sociali».
(Georges Sorel, Considerazioni sulla violenza, 1908)
Psicologia delle folle
le difficoltà a concepire la società come un tutto armonico che una provvidenza laica indirizza verso gli stessi obiettivi, toglie vigore ai progetti e agli strumenti politici «liberisti» di una casta borghese che non riesce più a garantire l’“assimilazione” delle classi sociali. Il destino della società profila perciò all’orizzonte un legame sempre più diretto con la natura capricciosa delle folle, che peraltro appaiono sensibili alla leadership di personalità anomale, nevrotiche o folli.
Adolf Hitler, militare durante la Prima guerra mondiale
L’individuo astratto
Un ultima direttrice riguarda la necessità di ampliare la fondazione scientifica dello studio dei fenomeni sociali (cui ormai vanno strette sia la semplice analogia organicistica che il debito verso altre discipline più accreditate), alla ricerca di nuovi strumenti per superare il gap apertosi fra le azioni degli individui e le proprietà dell’insieme sociale.
Svolta comunicativa
Queste tre linee hanno anche una traduzione a livello comunicativo, rispettivamente nella tematizzazione del «consumo culturale» (anche quando ancora non si chiamava così) come un legame in cui l’aspetto empatico e rituale cede il passo a quello commerciale, basato sul contratto; nella proposta di una generica «evasione» aliena da ogni profondità e impegno morale.
Svolta comunicativa
E infine nello sfruttamento di modalità prevalentemente atomizzate e fino a un certo periodo anti-comunitarie, che nel complesso delineano una struttura di diffusione centralizzata (broadcast) e la considerazione del pubblico come un gregge da manipolare.
Psychologie des foules
Nei meandri di questo
passaggio (in cui è già
palese la crisi del
positivismo ma non
ancora delineata la
forma della democrazia
di massa) si inserisce la
fortunata proposta
interpretativa di
Gustave Le Bon.
Gustave Le Bon (1841–1931)
Psychologie des foules
La sua famosissima opera,
Psychologie des foules, del
1895, influisce sulla
generazione che si
dichiara antipositivista e
scopre le illusioni e gli
inganni insiti nel mito del
progresso, collegando il
suo pensiero a quello di
Michels, Pareto, Sorel.