Settembre 1943 - Giovani alla macchia resistenza zero

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Colombo Incocciati ANCHE IN CIOCIARIA URGE IL REVISIONISMO (Su storia e politica) Edizioni de “il Cittadino”

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Anche in Ciociaria urge il revisionismo di Colombo Incocciati 2007

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Colombo Incocciati

ANCHE IN

CIOCIARIA

URGE IL REVISIONISMO

(Su storia e politica)

Edizioni de “il Cittadino”

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Supplemento al numero di Ottobre 2007

del Periodico “IL Cittadino” Iscr. Trib.le di .Frosinone

n.174 del 29.6.1987 Direttore Responsabile

Colombo Incocciati [email protected]

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Colombo Incocciati

SETTEMBRE 1943

IN CIOCIARIA

Giovani alla macchia

Resistenza zero

Edizioni de “il Cittadino”

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PREMESSA La storia è sempre scritta dai vincitori. Quando due culture si scontrano, chi perde viene cancellato e il vincitore scrive i libri di storia, libri che sostengono la sua causa e condannano quella del nemico sconfitto. Infatti, anche Napoleone ebbe a dire che “Per sua natura, la storia è sempre un racconto da una sola prospettiva” Questa mio “Settembre 1943 e dintorni” è un racconto delle vicende di guerra, verificatesi nella nostra provincia nel 1943 - 1946, vissute da tanti giovani, che furono costretti a rispondere al Bando di Graziani, che intimava ai ragazzi del 1925 di presentarsi alla chiamata alle armi, pena l’accusa di diserzione, da parte del Governo di Salò. Il mio racconto è visto da un’ angolazione diversa da quella, elaborata e ricostruita, a senso unico, dalla storiografia ufficiale, in particolare, nelle due pubblicazioni, patrocinate dalle Giunte di centro sinistra, alla Provincia, nel 1985, ed al Comune di Frosinone, nel 2005: le quali hanno affidato la trattazione del delicato argomento ad autori, ideologicamente vicini agli amministratori che l’hanno commissionata. Ecco perchè in questi anni ho sentito la necessità di rivisitare le vicende di quel periodo, vissute e raccontate, oltre che da me, anche dal confinato politico Gino Conti, nel 1995, nel suo “Io rivoluzionario di professione”; dai fratelli Luciano e Augusto Bartoli, nel “Poveri oscuri eroi” del 2004 (i quali, pur essendo, comunisti i primi due, e socialista l’altro, nelle loro memorie, hanno interpretato in modo più realistico e meno ideologico gli stessi fatti narrati, ma non vissuti, dai ricercatori di regime); nonché le vicende raccontate, dal magistrato di Frosinone Augusto Marini, nel suo recente libro

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“Dalla camicia nera alla toga” ; dal medico di Fiuggi, recentemente scomparso, Giuseppe Rengo, nel suo “Quando ero soldato” del 1997; da Sacchetti Sassetti, nella sua “Cronaca di Alatri del 1943- 1944” ; da Generoso Pistilli, di Fontanaliri, nei suoi “Ricordi di guerra”, e infine dal ricercatore Tommaso Baris, dell’Università di Cassino, nel suo “Il fascismo in provincia dal 1919 al 1940”. In questi ultimi anni, alcuni periodici locali, hanno ospitato numerosi miei saggi sull’argomento, nei quali non venivano esplicitamente menzionati le persone e i luoghi, dove i fatti si erano verificati. Ciò è avvenuto anche per altre storie locali, delle quali però, quando ho dovuto fare i nomi dei protagonisti, ho visto scattare l’ostracismo, non perché trattavo argomenti, di attualità, di politica, e di turismo, di cui mi sono sempre occupato, ma semplicemente perché volevo ricordare la nostra storia in chiave revisionista, di cui vado fiero, e di cui ogni ricercatore farebbe bene a servirsi. Anche perché, tutti, come diceva il politologo liberale Manlio Lupinacci, dovrebbero sentire il dovere di scrivere un libro di ricordi, per lasciare una testimonianza di verità, a carico, o a favore della società del proprio tempo.

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L’AUTORE

Nato a Fiuggi nel 1925, dopo aver vissuto l’adolescenza, inquadrato, come tutti i giovani di allora, nelle file della Gioventù Italiana del Littorio, voluta da Mussolini, soltanto dopo il 25 luglio del 1943 scopre il pluralismo delle idee ed aderisce con convinzione ad un partito laico, d’ispirazione risorgimentale e repubblicana. Nell’ ottobre del 1943, dopo essere stato precettato dal Bando di Graziani, rivolto ai giovani di leva non ancora chiamati alle armi, e dopo essere fuggito dal centro di reclutamento, allestito a Fiuggi Città, nell’Albergo Falconi, poi trasferito nel Convento dei Cappuccini di Alatri, da dove, qualche mese dopo, con altri suoi coetanei riesce ad evadere, e con essi rischia l’accusa di diserzione. Tornato a Fiuggi, e dopo essersi salvato anche dai rastrellamenti delle SS tedesche, alla fine del Gennaio ’44 preferisce darsi alla macchia, e rifugiarsi sulle montagne degli Ernici, intorno a Fiuggi, (proprio come di recente ha raccontato di aver fatto il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nei vicini monti abruzzesi, attribuendosi però la qualifica di partigiano) dove già si trovavano alcuni sbandati dell’Esercito italiano, ma anche ex prigionieri alleati, catturati dai tedeschi sul fronte di Cassino. Insieme ad essi, rimase in montagna fino al 4 Giugno del 1944, quando l’Esercito Alleato, superata la Linea Gustav sul fronte di Cassino, riuscì a liberare velocemente e quasi contemporaneamente, Frosinone, Fiuggi, e la stessa Roma.

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Fu proprio in quel 4 Giugno del ‘44, che l’ autore, rifiutò, insieme ad altro compagno di sventura, Giulio Zangrilli, di iscriversi alla sezione partigiana di Fiuggi, che alcuni loro amici, dicevano di voler costituire, per la zona degli Ernici, nonostante fossero stati, fin quasi alla fine del ‘43, fanatici gerarchi del Regime di Mussolini e fedeli esecutori delle sue decisioni. La ragione di quel rifiuto trovava motivo dalla realtà vissuta in quegli anni dai giovani e dai più anziani, perché tra loro, gli antifascisti veri (che non ebbero mai la disonestà di spacciarsi per partigiani) si contavano sulle dita di una mano ed erano a tutti note le loro idee politiche. Ebbene, è proprio dalla narrazione della “Guerra di Liberazione in Ciociaria”, patrocinata dagli enti provinciali e regionali (nel 1985 e nel 2005) che l’ autore, da giornalista, ha deciso di riscrivere, non solo la storia di quegli anni di guerra, ma anche altre storie, ugualmente pressoché inventate, della sua città e della sua provincia. I saggi da lui pubblicati negli ultimi anni, vengono malamente accolti dagli agiografi di professione, la cui pretesa sarebbe quella di far passare le loro tesi, come verità rivelate, e secondo cui anche la Liberazione della Ciociaria, di 60 anni fa, sia avvenuta, non per opera dell’ Esercito anglo-americano e dei paesi occidentali ma per esclusivo merito dell’antifascismo e della resistenza di casa nostra.

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INTRODUZIONE

L’antifascismo e la resistenza in Ciociaria, sono sorti tra la fine del 1943 e la fine del 1944, per iniziativa di un gruppo, molto ristretto, di ex militari dell’esercito di Badoglio, e di ex studenti universitari; i quali pur essendo partiti negli anni 1941- 42 per combattere la guerra di Mussolini, tornati a casa, dopo l’8 settembre, si erano dati, non alla macchia, come invece furono costretti a fare i giovani della classe 1925 soggetti al Bando di Graziani, bensì alla clandestinità, nascondendosi, chi nei seminari e nelle chiese, sotto la protezione dei vescovi (di Alatri, Ferentino, Veroli e Anagni) chi nella tranquilla e sicura Certosa di Trisulti, dove neppure i tedeschi osavano entrare. A Collepardo infatti, si rifugiarono almeno quattromila persone, tra cui molte famiglie di Frosinone, subito dopo l’11 settembre, quando il capoluogo aveva subìto il primo bombardamento degli aerei anglo-americani. Ebbene, in una “Lettera da Ripi” inviata dagli studenti Raul Silvestri e Nino Salvatori al loro compagno di scuola Silvio Incocciati, riportata più avanti, vi sono nominati altri cinque studenti, maturandi maestri, che con altri del liceo di Alatri e Frosinone, ed ex militari, possono essere considerati il nucleo fondante dell’antifascismo e della resistenza in Ciociaria, che prima del 25 Luglio del 1943, non avevano mai dato alcun segno di vita. Ad Alatri infatti c’erano Vincenzo Papitto e Lino Rossi, ambedue compagni di scuola di mio fratello Silvio, insieme ad Armando Tagliaferri, e ad altri, tra il 1939 e il 1941.

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Il primo, tornato dalla guerra, diventa socialista, il secondo, democristiano, ma entrambi, subito dopo la liberazione, si dichiareranno partigiani, insieme a Giacinto Minnocci, a Don Carlo Ritarossi ed a Carlo Costantini, dopo essersi nascosti, nel seminario di Alatri, sotto la protezione del Vescovo Facchini, che a sua volta era grande amico del Console fascista Ghislanzoni. Ad Alatri, inoltre, c’erano i fratelli Silvestri, Raul, Renzo e Aldo, che con il padre Consalvo, segretario comunale, si erano trasferisti da Ripi. Ma c’erano anche Tullio Pietrobono, Cesare Baroni e Paolo Bufalini, che insieme ai Silvestri, nella clandestinità, diventano comunisti dell’ala stalinista. A Collepardo c’erano Oreste Cicalè, comunista, ma anche Giuseppe Bartoli, socialista di vecchia data, con i due figli gemelli, Luciano (comunista) e Augusto (socialista); i quali, rifugiatisi, anche loro, nel Monastero di Trisulti, vengono, di lì a poco, raggiunti, non solo dai Silvestri, ma anche dal Pietrobono, e da Arnaldo Marzi, figlio di quel Domenico Marzi, eletto deputato prima del Fascismo, che il giorno della Liberazione (4 giugno 1944) in Piazza Garibaldi, applaudito da una folla di comunisti, si auto-proclamerà sindaco di Frosinone. A Collepardo arriva anche il confinato politico, Gino Conti, che, con la fama di rivoluzionario di professione, inviato dal Pci di Roma per organizzare il partito e la resistenza in Ciociaria, dopo appena due mesi, nel febbraio 1944, deve tornarsene a Roma, perché i suoi stessi compagni temevano che la sua presenza potesse provocare

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seri danni alla loro serena e tranquilla vacanza, che dal settembre ’43 si stavano godendo nella Certosa di Trisulti. A Fiuggi inoltre c’erano gli ex fascisti Raffaele Conti e Natalino Terrinoni. Il primo che, partito nel 1936 da Novara, come uomo d’affari, al seguito della guerra coloniale in Abissinia, voluta da Mussolini, anziché fare ritorno nel suo paese d’origine, approda nel 1939 a Fiuggi, per esercitarvi attività di commercio. Il secondo, quale ex Segretario della Gioventù Italiana del Littorio, dopo l’8 settembre del 1943 diventa comunista, e insieme al Conti si dichiara partigiano. A Paliano, c’era il famigerato Enrico Giannetti, che Gino Conti nelle sue memorie descrive, sia come in formatore della Questura di Roma sia come comunista emigrato clandestinamente in Francia nel 1930. Ma arrestato nel 1939, viene restituito alle autorità italiane, che nel 1941 lo assegnano al confino di Ventotene. Da una sua deposizione, resa nel giugno del 1941 nella Questura di Frosinone, affermava, che prima di espatriare in Francia, era rimasto nella clandestinità, per quattro anni, dal momento della fuga da Roma a Torino, precisando che diventò comunista per avere la possibilità di introdursi e di svolgere attività politica nelle file di quel partito. Ed aggiungeva che, avendo lui provocata l’assegnazione al confino di alcuni comunisti, la sua attività venne presto sospettata di collaborazionismo, e a causa di ciò, era stato messo in disparte e guardato di malocchio, nel suo stesso ambiente.

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La Questura di Roma il 17 novembre 1930, scriveva di lui quanto segue: “Il Giannetti che aveva avuto rapporti con quest’ Ufficio emigrò all’estero per timore di rappresaglie dei compagni di fede, che lo sospettarono quale confidente della P.S. in seguito all’arresto di un altro pericoloso comunista. Queste ed altre sono le circostanze che in questo mio Settembre 1943, ho cercato di ricostruire anche su ciò che hanno raccontato i fratelli Luciano ed Augusto Bartoli, che di quelle vicende furono protagonisti sia a Frosinone sia a Collepardo, dove rimasero sfollati fino alla liberazione. Credo che la mia ricostruzione degli avvenimenti accaduti, tra il Settembre 1943 e la fine del 1945, sia utile per confermare che in Ciociaria, non solo non vi è stato alcun consistente movimento partigiano (come lo storico comunista, Gioacchino Giammaria, ha più volte ammesso nei suoi numerosi saggi, finanziati dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune di Frosinone) ma anche che, la tanto decantata liberazione della Città capoluogo, e delle località più importanti della provincia, altro non è stata che una occupazione illegale e violenta del potere, voluta e posta in essere da quei Comitati di Liberazione, che all’ 80% erano guidato da uomini del Pci e nell’altro 20% da uomini della Dc legata al clero. Tanto ciò è vero, che il Colonnello Tenente J.B. Thornill, Commissario per la Provincia del Governo Alleato, con sede in Fiuggi, il 5 luglio 1944, fu costretto ad ordinare la cacciata dei falsi sindaci, arbitrariamente insediatisi nei rispettivi comuni.

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Quanto sopra dimostra che (come scrive, il 23.9.2005, Andrea Ventura sul sito fdcybv.tin.it ) fu il Pci, come partito della guerra civile, ad appropriarsi il merito della lotta partigiana ed a costruire su di esso, insieme a cattolici di sinistra, le basi per imporre la sua egemonia, politica e culturale sulla Repubblica Italiana, nata nel 1946, e sulla nostra Costituzione, nata nel 1948. La vera dissimulazione di questa verità la compie, con onestà, Mirella Serri nel suo libro “I redenti” (Corbaccio Editore) e quando, con l’occasione di studiare la rivista “Il Primato” di Giuseppe Bottai, compie una incursione ed un affondo fatali alla reputazione degli intellettuali di sinistra e comunisti del nostro dopoguerra, che erano quasi tutti ferventi fascisti nel ventennio, spesso antisemiti e filonazisti. “Il disgusto nel leggere quelle pagine” - scrive Ventura – “è enorme! E credo che sia successo solo in Italia questo fenomeno enorme della migrazione in massa dei giovani intellettuali fascisti verso il parito comunista. Certamente non in Germania occidentale. Sotto tutela anglo-americana, e non nel mondo anglosassone che fu il grande avversario sul campo dei fascismi europei, molto limitatamente in Francia.” Insomma Mirella Serri, e dopo di lei Pansa, è riuscita a “bucare” il muro di conformismo e di silenzio imposto da sessant’anni di egemonia culturale della sinistra. Ha potuto farlo perché, come Pansa, proviene dalla sinistra. Perciò è inutile continuare e a ritenere strumentale la pubblicistica della destra, che queste cose le disse molto tempo fa”.

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Nino Tripodi, ad esempio, le documentò ell’indimenticabile volume “Intellettuali sotto due bandiere” pubblicato nel 1980 da Rusconi, e mai ristampato. Si continua a sostenere, per cattiva coscienza, che quel volume producesse nomi e cognomi per denigrare la nuova classe politica, e i nuovi mandarini della cultura di sinistra. Ma anche se fosse questa la motivazione, è incredibilmente di tutt’altra portata la responsabilità morale di quegli intellettuali di sinistra che furono fascisti.

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PERCHE’ IL REVISIONISMO

Nove italiani su dieci aderirono al fascismo Ma dopo la caduta del Fascismo, avvenuta il 25 luglio 1943, quasi tutti rimossero questa verità e lo fecero specialmente coloro che erano stati i gerarchi più in vista del Regime. Molti dei quali passati nelle file antifasciste e partigiane, sono diventati uomini di primo piano dell’Italia democratica, ma in tutte le biografie che hanno dettato ai loro agiografi, iniziano a dare notizie della loro vita soltanto dal settembre 1943 in poi. Le foto che seguono sono la prova di quanto sopra. La maggior parte dei giovani di tutti i paesi della provincia, venivano nei mesi estivi inviati a turno, per un periodo di 15 giorni, nella colonia marina di Serapo, a Gaeta. La colonia, che ospitava da 300 a 400 giovani per volta. Nella sezione documenti di questa pubblicazione vi sono le foto dei raduni dei giovani davanti al grande edificio che li ospitava, del refettorio, con i tavoli della mensa e delle camere dormitorio con tanti letti singoli, e del grande piazzale davanti all’edificio, con i giovani schierati, che formano un fascio littorio e la parola DUX, riferita a Mussolini. Un’altra foto illustra la colonia montana, allestita, alla fine degli anni trenta, in un bosco tra Fiuggi Città e Fiuggi Fonte, con centinaia di giovani in divisa estiva, in occasione della visita del Maresciallo Badoglio che ogni estate veniva a Fiuggi per le cure termali. In questa foto vi sono alcuni gerarchi in divisa e in borghese che dopo il settembre 1943

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si dettero alla clandestinità per uscire fuori il giorno della liberazione del 4 giugno 1944, spacciandosi per antifascisti e partigiani. L’ ingresso della colonia montana con alcuni giovani capi in divisa estiva, che il giorno della liberazione cercavano altri giovani per costituire la Sezione partigiana e le ragazze in divisa da giovani italiane. Poi una foto del raduno fascista nel bosco della Fonte Vecchia, con centinaia di giovani balilla e avanguardisti, in occasione di un’altra visita di Badoglio. Anche qui vi sono capi e capetti della G.I.L. che nel giugno del 1944 dissero di essere partigiani. Infine, l’ edificio del Liceo Ginnasio di Frosinone, dove fino ai negli anni ’39/’41, venivano periodicamente convocati i giovani di tutta la Provincia di Frosinone, per assistere alle lezioni di mistica fascista, che l’intellettuale di turno del Regime impartiva loro, stando in cattedra, con tanto di sahariana nera e cinturone, che era la divisa degli universitari del G.U.F. Anche questi gerarca di primo piano, dopo l’arrivo degli alleati uscirono fuori come capi della resistenza in Ciociaria, e con tale referenza divennero uomini politici di primo piano e parlamentari dell’Italia democratica e antifascista, ma i cui trascorsi politici vengono nelle loro biografie, sistematicamente taciuti.. I documenti che vengono pubblicati, dimostrano visivamente, ciò che Giordano Bruno Guerri nei suoi libri, quando dice che il Fascismo, fu un fenomeno di massa. Accettato con entusiasmo dalla stragrande maggioranza degli italiani e non imposto con la forza, come i professionisti dell’antifascismo hanno fatto credere da 50 anni in qua.

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Anche in Ciociaria Urge il revisionismo, perché anche qui da noi c’è ancora qualcuno che, abituato a scrivere di santi e di beati, considera anche la storia della liberazione (di 60 anni fa) come una verità rivelata ed osa definire, squallidi revisionisti, coloro che invece, avendola direttamente vissuta, tentano di riscriverla, non come l’agiografia catto-comunista ce l’ ha finora propinata, ma semplicemente come le memorie e i diari dei vinti ce l’ hanno lasciata. E tra i vinti di allora, vi sono anche coloro che ritennero di contrastare in modo non violento la occupazione tedesca e per questo anche loro furono perseguitati e giustiziati. Valga per tutti il caso dei “Tre martiri toscani” ai quali di recente le autorità di Frosinone hanno dedicato un monumento in Viale Mazzini dove, il 6 gennaio 1944, furono fucilati dai tedeschi, per diserzione dal fronte di Cassino, dove furono costretti ad andare per effetto del famoso Bando di Graziani. Quei tre giovani fuggirono, pur sapendo che avrebbero rischiato la pena di morte. E pur non facendo parte di qualche formazione partigiana, decisero ugualmente di sottrarsi all’obbligo di aiutare i tedeschi. Quel tragico episodio fu assai significativo, perché dimostrò che non era affatto vero che fossero solo i partigiani antifascisti a boicottare i tedeschi o a combatterli, ma che vi furono tanti altri giovani, che pur essendo cresciuti sotto il regime di Mussolini, subirono i rastrellamenti dei tedeschi e dei repubblicani di Salò. Ma tutti quei giovani, nessuno li ha mai ricordati, solo perché non erano organici alle sparute formazioni (bianche e rosse) dell’antifascismo.

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Tanto è vero che i tre eroi toscani, fucilati a Frosinone nel 1944, sono diventati tali, solo dopo che la resistenza ufficializzata si è appropriata, del loro sacrificio e di una gloria che non le appartiene. A tale proposito ecco cosa si legge ne “ L’ Italia della Guerra Civile” di Montanelli e Cervi (Ed. Rizzoli 1983): “La resistenza fu uno degli episodi ma non il solo e di scarsissimo peso risolutivo sugli avvenimenti A contare molto di più, fu caso mai la resistenza con la erre maiuscola, cioè quella quotidiana e passiva fatta da piccoli e grandi sacrifici, di pazienza e di arrangiamenti e anche di malizie e doppi giochi che gli italiani opposero per sopravvivere a tutto e a tutti” Chi volesse saperne di più sulle verità che la storiografia ufficiale ha nascosto agli italiani per quasi 50 anni, consigliere alcuni articoli, come: “Il sogno revisionista” di Valerio Riva (il Giornale, 1.5.02) -”Revisionismo è una parola d’ordine” di Giuseppe Valencich (Tempo, 28.7.02) - “Una resistenza di eroi e voltagabbana” di Mario Cervi ( il Giornale, 6.3.04); nonché sul sito www.storialibera.it alla voce “Revisionismo storico” si trovano saggi di alcuni storici.

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DIBATTITO SULLA RESISTENZA

Con Giacinto Minnocci Ecco il dibattito che si è aperto nelle pagine della rivista frusinate “Flash Magazine, diretta da Nicandro D’ Angelo, a seguito della pubblicazione, nel luglio 2004, della quinta puntata di “Anche in Ciociaria urge il Revisionismo”. La Rivista veniva invitata a dare spazio a due lettere lunghissime di personaggi, che, pur non essendo stati chiamati in causa dai miei articoli, hanno abboccato subito all’esca che vi era nascosta, dimostrando così di avere la coda di paglia per la denuncia dei fatti che vi si faceva. Le due lettere qui riprodotte sono del Senatore Giacinto Minnocci e di Carlo Costantini di Alatri, i quali entrambi, si attribuiscono meriti partigiani per una resistenza, che in Ciociaria non è mai concretamente esistita, alla quale dicono di aver partecipato, ma continuano a nascondere il buco nero del loro passato fascista. “Signor Direttore - scrive Minnocci - l’ultimo numero di “Flash magazine” contiene ben tre pagine redatte dal noto grafomane Colombo Incocciati, che da decenni và invano alla ricerca di una visibilità politica sempre negatagli; le prime due legate alla contestazione della Resistenza in Ciociaria, la terza ad esibirsi come mosca cocchiera di un revisionismo della recente storia del nostro Paese. In una delle pagine, riferendosi alla resistenza in Alatri, nella quale ho operato, l’ Incocciati sparla di “trascorsi politici” durante il ventennio fascista “di quel partigiano, diventato poi senatore della Repubblica, senza citarmi: ma il riferimento alla mia persona è inconfutabile.” “Ora in verità l’unico mio “trascorso” durante il fascismo,

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consiste nel fatto che ho dovuto obbligatoriamente indossare la camicia nera per discutere la mia tesi di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di Siena. “Vale anche la pena di aggiungere che ricordo bene, essendo mio padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con il compito di impedire che essa venisse assaltata dai fascisti, così come fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare Italiano di Don Sturzo, al quale egli era iscritto. Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un paio di anni contro gli Anglo-Americani in Sicilia buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi con me lo ha condiviso e che è ora vivo e vegeto. Esso è premiato con una croce di guerra al V.M. della quale vado fiero. Liberate Alatri e Roma sono tornato volontariamente sotto le armi ed ho combattuto assieme agli alleati, da paracadutista, per missioni in territorio ancora occupato dai tedeschi e governato dalla Rsi.” Quella testè riportata, è la metà di una lunga lettera auto celebrativa, con la quale il mio interlocutore fa una meticolosa descrizione della sua attività militare, svolta da classico campione del doppio gioco, prima, come combattente della guerra di Mussolini, a fianco dei tedeschi contro gli Anglo-americani; poi, con questi ultimi, combattente contro i tedeschi. Ma nella lettera il Senatore non dà alcuna risposta agli interrogativi ed alle prove documentate, del suo passato fascista.

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Anzi, in una seconda lettera, minaccia perfino di denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione della sua privacy. Questo è il personaggio. Il quale, pur avendo fatto per i suoi meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado fosse stato un intellettuale del Regime, ora, essendo un pensionato d’oro, con 6.590 euro mensili a carico dello Stato, non avverte neppure il dovere di scusarsi né con i suoi elettori, né con i contribuenti.

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La risposta al Senatore “Il Senatore, da sempre abituato a ricevere solo elogi per la sua lunga attività politica (prima come antifascista e partigiano, poi come politico a tempo pieno dell’Italia repubblicana) definisce “grafomane” chi si permette di avere qualche dubbio sui trascorsi politici, suoi e di altri antifascisti, anteriormente al 25 luglio 1943. Ed anziché chiarirli, insieme al suo conterraneo Costantini, entrambi li nascondono nel buco nero del loro passato giovanile; che, a partire dalla metà degli anni venti, fino al 1943, lo hanno certamente vissuto, sotto i gagliardetti di Mussolini. E cosa ti fanno i miei interlocutori? Si dilungano ad occupare due pagine intere di questa Rivista, esclusivamente per enumerare i loro meriti e quelli di altri compagni di lotta, contro il fascismo. Ecco allora, gli interrogativi che da tempo attendono molte risposte, che gli alfieri dell’antifascismo nostrano, non hanno mai voluto dare. Ad esempio, perché non dicono se, da ragazzi hanno attraversato il percorso che ogni giovane doveva fare, per diventare un perfetto fascista? Hanno o no partecipato alle adunate del sabato fascista ed alle manifestazioni che il PNF organizzava nelle piazze e nelle scuole (dalle elementari all’ università) dove non si poteva accedere, se non si chiedeva la tessera della GIL o del GUF? Questi tardivi eroi della lotta al fascismo, nel loro album di famiglia, le hanno o no le fotografie, come quelle che si riproducono qui a lato, come prova che durante il ventennio, nove italiani su dieci erano fascisti? E quale ruolo ricoprivano i meno giovani (come certamente erano i Minnocci, i Costantini, e altri, nei anni ruggenti, quanto meno, dalla metà degli anni trenta, fino agli anni quaranta?

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Erano o no, gerarchi della GIL, che curavano l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure, universitari del GUF, che diventati littori, organizzavano i “ludi juveniles” o i corsi per la preparazione politica dei giovani? Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui invitato, con altri giovani della provincia, al “Liceo Norberto Turriziani” di Frosinone, non trovavammo, a darci lezioni di mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto Minnocci, che, stando in piedi dietro la cattedra, ci accoglieva con tanto di stivali, sahariana nera, e cinturone? Che era la divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti, specialmente se erano diventati littori? Perché il Senatore, nelle sue tante biografie, non ha mai detto questa verità, e soltanto ora, su Flash Magazine di ottobre, ha deciso di fare la seguente ammissione? “Ora, in verità, l’unico mio trascorso durante il Fascismo, consiste nel fatto che ho dovuto obbligatoriamente indossare la camicia nera per la mia tesi di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di Siena” - Non aveva allora, già 24-25 anni? - Inoltre dice: “Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con il compito di impedire che essa venisse assaltata, così come fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don Sturzo, al quale egli era iscritto” Qui viene però da chiedergli: come mai un antifascista di ferro come lui, che, da ragazzo, aveva avuto quella seria motivazione per opporsi al Regime di Mussolini, una volta diventato grande, anziché darsi alla clandestinità e riparare all’estero (come fecero Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive al GUF e va a laurearsi a Siena, indossando proprio la divisa del perfetto fascista?

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Inoltre, che cosa ha fatto durante gli anni di università, e subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice. Dice soltanto che, chiamato alle armi nel 1940, andò a combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra (contro gli anglo-americani) voluta dal fascismo, ed a fianco dei tedeschi. E non dice, se fu una chiamata obbligatoria, o se partì da volontario (come molti studenti del Guf decisero di fare) e quale grado di ufficiale ebbe, prima e dopo il 1943, all’atto del congedo. Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni di vita di un uomo pubblico, come lui, appare quanto meno sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno determinata? Come “il trascorso” che si evince su internet, da “Edicola Ciociara” dove si scopre che il legame del Senatore con il Regime di Mussolini, fu assai profondo, non solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943. Tanto è vero che, fino a quando non diventò politico a tempo pieno, il nostro interlocutore era ancora un funzionario di primo piano dell’Enal. Cioè di quel carrozzone pubblico creato dal Fascismo, per organizzare il tempo libero dei lavoratori, dove venivano sistemati i gerarchi più fedeli del Regime. Anzi, in una seconda lettera minacciava perfino di denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione della sua privacy. Questo il personaggio. Il quale, pur avendo fatto, per i suoi meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado fosse stato un intellettuale del Regime, ed ora, pur essendo un pensionato d’oro, della prima Repubblica, con 6.590 euro mensili, a carico dello Stato, non avverte neppure il dovere di scusarsi con i suoi elettori.

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Con Carlo Costantini Il quale, qualificandosi Segretario Provinciale di Frosinone dell’ Associazione Partigiani Cristiani, scrive al direttore una lunghissima lettera che occupa una pagina formato A4 con caratteri word, corpo otto (cioè piccolissimi) per raccontare minuziosamente la storia dei partigiani dell’alta Ciociaria, con particolare riguardo a quelli cattolici che, per tutto il tempo della clandestinità (iniziato soltanto dal gennaio 1944) si erano nascosti insieme ad un paio di preti nella curia di Alatri, sotto l’ ala protettiva del Vescovo Edoardo Facchini, che lui cita come decorato di medaglia di bronzo per meriti partigiani, che però, era grande amico del Console della Milizia Ghislanzoni, con cui aveva avuto stretti rapporti di collaborazione. Come del resto li ebbero tutte le gerarchie ecclesiastiche con il Regine di Mussolini, che nel 1929 aveva regalato alla Chiesa, il Concordato, che sarà inserito nella Costituzione italiana, grazie ai voti determinanti del Partito comunista Italiano, guidato da quel campione di libertà che era Parlmiro Togliatti. Ecco le cose essenziali che scrive il Costantini: “Ho letto con attenzione l’articolo di Colombo Incocciati sul numero di luglio, di Flash Magazine, cui segue un elenco di articoli e saggi dei “revisionisti” definiti di ala “liberale” in opposizione a quelli catto-comunisti, o azionisti, che sarebbero contrari a qualsiasi revisionismo”. “Poiché tutta la prima parte dell’articolo riguarda la nostra provincia, sento la necessità di esprimere alcune considerazioni. Dissento dall’affermazione di Incocciati, sulla inesistenza quasi assoluta di un movimento partigiano ed antifascista nelle zone di Fiuggi e dell’alta Ciociaria”

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Qui, per non annoiare il lettore, sento il dovere di fermare il suo racconto, perché il Costantini, nel ricostruire la sua storia di guerra, tira fuori tutto l’armamentario della retorica resistenzialeche, per oltre 60 anni, gli italiani si sono dovuti sorbire, come una tiritera infinita, che mira ad accreditare la tesi,secondo cui furono veramente i partigiani cristiani, come lui, il socialista Minnocci, i comunisti, come Pietrobono, Cicalè e i fratelli Silvestri, tutti in nascosti, chi nel seminario di Alatri e chi nella Certosa di Trisulti a combattere i tedeschi e a liberare i paesi dell’alta Ciociaria. Vada a leggersi il Costantini le pagine, da 65 a 77, di questa pubblicazione cosa scrivono i fratelli Bartoli, che pure facevano parte della Banda di Collepardo, che prendeva ordini da quel Gino Conti che, spacciandosi per rivoluzionario di professione, venne in Ciociaria, solo per dettare il suo coraggioso ordine “armiamoci e partite” che i suoi compagni, ex fascisti, si guardarono bene dal rispettare. Ed ecco le risposte da me date, su Flash Magazine dell’ottobre 2004, sia al Minnocci che al Costantini. Al primo: “Il Senatore Minnocci, da sempre abituato a ricevere soltanto elogi per la sua lunga attività politica (sia come antifascista e partigiano sia come politico a tempo pieno dell’Italia Repubblicana) definisce “grafomane” chi si permette di avere qualche dubbio sui trascorsi politici, suoi e di altri antifascisti, anteriormente al 25 luglio 1943. Ed anziché chiarirli, insieme al suo conterraneo Costantini, entrambi li nascondono nel buco nero del loro passato giovanile, che a partire dalla metà degli anni ’20 e fino al 1943, lo hanno certamente vissuto (come il 90% dei giovani di allora) sotto i gagliardetti di Mussolini. E cosa ti fanno i miei interlocutori? Si dilungano ad occupare due pagine intere di questa rivista, esclusivamente

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per enumerare i loro meriti e quelli di altri di lotta contro il Fascismo. Ecco allora gl’interrogativi che attendono molte risposte, e che gli alfieri dell’antifascismo ciociaro non hanno mai voluto dare. Ad esempio, perché non dicono se da ragazzi hanno il percorso che ogni9 giovane doveva fare, se voleva diventare un fascista, come il Regime di Mussolini esigeva?. Hanno o no partecipato alle adunate del sabato fascista ed alle manifestazioni che il PNF organizzava nelle piazze e nelle scuole ( dalle elementari alle università) dove non si poteva accedere se non si chiedeva la tessera della GIL o del GUF? Questi tardivi eroi della lotta contro il fascismo nel loro album di famiglia, le hanno o no le fotografie come quelle che si riproducono in appendice, come prova che durante il ventennio nove italiani su dieci erano fascisti? E quale ruolo ricoprivano i meno giovani (come certamente erano i Minnocci, i Costantini e altri, negli anni ruggenti del Regime) quanto meno dalla metà degli anni trenta e fino agli anni quaranta? Erano o no gerarchi della GIL, che curavano l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure universitari del GUF, organizzavano i “Ludi juveniles” o i corsi per la preparazione politica dei giovani? Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui invitato, insieme ad altri giovani, al Liceo-Ginnasio “Norberto Turriziani” di Frosinone, non trovavamo, tra gli altri, a dare lezioni di mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto Minnocci, che stando in piedi dietro la cattedra ci accoglieva con tanto di stivali, sahariana nera e cinturone, che era la divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti, specialmente se erano diventati “Littori”? (*).

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Perché il Senatore, nelle sue tante biografie, non ha mai detto questa verità, e soltanto ora ha deciso di fare la seguente ammissione? “Ora in verità, l’ unico trascorso politico durante il Fascismo consiste nel fatto che ho dovuto obbligatoriamente indossare la camicia nera per la mia tesi di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di Siena” (n.d.a - Non aveva allora già 24-25 anni?). Inoltre dice: “Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ha avuto da vanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con il compito di impedire che essa venisse assaltata, così come fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don Sturzo, al quale egli era iscritto. “Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un paio di anni contro gli anglo-americani in Sicilia, buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi come me ha condiviso e che ora è vivo e vegeto. Esso è premiato con una croce di Guerra al V.M. della quale vado fiero. Liberata Alatri e Roma sono tornato volontariamentesotto le armi ed ho combattuto assieme agli alleati, da paracadutista, per missioni in territorio ancora occupato dai tedeschi e governato dalla R.S.I.” Dopo questo lungo panegirico su sesto del Senatore, viene da chiedersi, come mai un antifascista di ferro come lui, che da ragazzo aveva avuto quella seria motivazione per opporsi al Regime di Mussolini, una volta diventato grande, anziché darsi alla clandestinità e riparare all’estero (come fecero Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive invece al GUF e va a laurearsi a Siena, proprio con la divisa da fascista?

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Inoltre che cosa ha fatto durante gli anni di università e subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice. Dice soltanto che, chiamato alle armi nel 1940 fino al 1943 andò a combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra (contro gli alleati anglo-americani) voluta dal Fascismo e a fianco dei tedeschi. Ma non dice se fu una chiamata obbligatoria. Oppure se partì da volontario (come moltissimi studenti del GUF decisero di fare) e quale grado di ufficiale ebbe prima e dopo il 1943, all’atto del congedo. Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni di vita di un uomo pubblico come lui, appare quanto meno sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno determinata? Come, ad esempio, il trascorso che si evince su internet, da Edicola Ciociara, dove si scopre che il legame del Senatore col Regime di Mussolini fu assai profondo, non solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943. Tanto è vero che fino a quando non diventò politico a tempo pieno era ancora un alto funzionario dell’Enal. Cioè di quel carrozzone pubblico creato dal Fascismo per organizzare il tempo libero dei lavoratori, dove venivano sistemati i gerarchi del Regime, specialmente se Littori. Proprio per contribuire alla formazione, selezionare i migliori e stimolare la competività, nel 1933, il Partito istituì i Littoriali della cultura e dell’arte, una gara intellettual-celebrativa, che il regime aveva voluto affiancare ai Littoriali dello sport e del lavoro: i candidati, scelti su indicazione dei presidi di facoltà e dei rettori provavano la loro preparazione spaziando dalla storia all’arte, alla

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letteratura, alla musica e finendo inevitabilmente nei saggi di Mistica fascista, la prova più importante per essere qualificati. I vincitori delle competizioni ricevevano il titolo di Littore, medaglione simbolico che però aveva notevoli effetti pratici: rendeva più facile l’ascensione nelle gerarchie professionali e soprattutto in quelle del Partito. Nei Littoriali si distinsero particolarmente i ragazzi che sarebbero poi diventati importanti uomini politici, democristiani, comunisti e…socialisti (come il Minnocci - n.d.a.)” Dal libro “Fascisti” di G.B.Guerri - Mondadori Editori 1995. “Venendo al Costantini che si lamenta del mio revisionismo ‘a senso unico’ e chiede al direttore una sorta di ‘par condicio’, è bene ricordargli che la sola storia a senso unico, sulla guerra di liberazione in Ciociaria, l’hanno scritta proprio coloro che la pensano come lui e, per pubblicarla, nonostante avessero avuto il patrocinio della Regione e della Provincia, con sostanziosi finanziamenti, non si sono mai preoccupati di dare la ‘par condicio’ anche a coloro che la storia di quegli anni, l’hanno vissuta e subita sulla loro pelle; da semplici cittadini e senza ricevere ordini dagli agenti segreti sovietici (come testimonia il comunista Gino Conti nelle sue memorie) e nemmeno senza la protezione dei vescovi e dei parroci di, Alatri, Veroli, Anagni e Fermentino. Così ammette il Costantini nel suo lungo intervento, senza accorgersi che sta rivelando di aver partecipato ad una resistenza all’acqua di rose , che come lui stesso dice, consisteva nel preparare e lanciare, notte tempo, i volantini ciclostilati contro i tedeschi e i fascisti (aggravando anziché favorirla la situazione dei giovani) e nel ritirarsi subito dopo all’interno dei seminari e nelle chiese, dove neppure i tedeschi osavano entrare”.

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“E quando lui dice che “alcuni suoi giovani concittadini, appartenenti al movimento patriottico antifascista, pagarono con le intimidazione e il carcere, prima a Fiuggi, poi ad Alatri” non precisa che furono liberati sani e salvi, per intercessione del Vescovo, e senza che a loro fosse torto neppure un capello. Nel contempo Costantini, mentre racconta le gesta dei “patrioti cristiani” dimentica che una sorte ben più triste toccò non solo a quei tanti giovani (che per lui erano solo il rovescio della medaglia della lotta partigiana) che venivano rastrellati, ogni giorno, e portati a scavare le buche sotto le bombe a Cassino, ma anche la sorte toccata a quei trecento coscritti della classe 1925, i quali rischiando,ogni notte, la pelle per riconquistarsi la libertà, furono dichiarati disertori dell’Esercito di Graziani e con quell’accusa trenta di loro furono poi fucilati. Ai quali ci sono da aggiungere non solo i tre martiri toscani fucilati a curvone di Frosinone, della guardia repubblicana di Salò. Dei quali parleremo più avanti, ma anche la povera donna di Tecchiena che fu impiccata a Fiuggi Fonte, e i fiuggini Carlo Rengo e Angelo Fabiani, il primo giustiziato dai tedeschi in fuga, il secondo, da un “coraggioso partigiano” che volle vendicarsi di una contravvenzione comminata anni prima dal Fabiani, nella sua qualità di vigile urbano” Dopo questa risposta data al Costantini, non volli soffermarmi sulla superficialità, con cui egli respingeva la tesi documentata di Giampaolo Pansa, che nel libro “Il sangue dei vinti” attribuiva alla Resistenza “taluni gravi e sanguinosi fatti verificatisi in Italia dopo il 25.4.1945”. Ora credo sia utile farlo, citando le oneste considerazioni che il collega Carlo D’Amico, cristiano e democratico come il Costantini, ha recentemente pubblicato sul suo libro

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“FIUGGI 1940 - 2000” Quando Carlo racconta del clima che si era istaurato, subito dopo la liberazione a Fiuggi, in “Episodi inconsulti ed epurazioni” dice: “Ecco allora i “coraggiosi partigiani” armati di fucili da caccia assurgere a vindici giustizieri, nella “sicurezza” che in quel momento di improvvisa ed insolita euforia per la riconquistata libertà ognuno potesse provvedere a farsi giustizia da sé.” “Questi atteggiamenti personali - continua D’Amico - erano vieppiù alimentati da una sorta di psicosi collettiva, che voleva ad ogni costo vendicarsi dei “fascisti” anche se tra loro molti si erano comportati correttamente e con umanità. Ma i fascisti tutti dovevano essere giudicati ed epurati. Fascisti erano inoltre anche coloro che, per le loro funzioni di impiegati dello Stato o del Comune, e di altri enti, avevano l’obbligo di servire il regime.” “In questo clima maturò l’uccisione della guardia comunale Angelo Fabiani che avvenne proprio in Piazza Trento e Trieste” Ebbene, che differenza c’è tra questi gravi episodi e gli arresti, che in molti comuni, da Frosinone in su, si verificarono, ad esempio ad Alatri, come si legge nel “Diario di Sacchetti Sassetti” a pag. 63 e seguenti: “Il 4 giugno 1944, con l’arresto di Benedetto Uberti, dell’avv. Arduino De Persiis, ultimo preside della Provincia.” “Il 5 giugno, con l’arresto del maresciallo Americo Tagliaferri, Scappaticci, ex repubblicani e disertori badogliani.” “L’8 giugno, quando Giuseppe Pelloni e Giacinto Minnocci arrestano Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Bruselles, Covino, il Ten. Cristiani ed altri arrestati e portati a Pietra Vairano, in campo di concentramento, Arrigo Berenghi e figlio, fermati e rilasciati a Collepardo.”

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Questo ed altro è accaduto in Ciociaria subito dopo la liberazione, quando i partigiani, anziché esultare, per la riconquistata libertà, insieme alla popolazione ciociara, che in massa accoglieva i liberatori, si sono messi invece, alla caccia di tutti coloro che. per motivi di lavoro, dopo la caduta del regime avevano mantenuto una posizione defilata, in attesa che la guerra finisse e tutto tornasse alla normalità. Per i nostri partigiani la normalità non era accettabile, e attraverso il Cnl da loro stessi creato per occupare tutto il potere, incitavano all’odio e alla vendetta, verso tutti coloro che non raccoglievano i loro proclami e per questo, li additavano come fascisti, “invitandoli alla pala e alla cofana se volevano essere perdonati delle loro azioni”. Un monito ed un invito grottesco, quello del Cnl, perché gli ex fascisti ce li aveva proprio nelle sue file.

..........………

Ed ora dopo il dibattito sulla resistenza, nelle pagine successive riportiamo anche i termini del dibattito che c’è stato a Frosinone, dopo l’attacco che i terroristi islamici hanno portato, l’11 settembre del 2001, alle torri gemelle di New York. Dopo di che, nel II Capitolo,c riprenderemo il discorso sull’antifascismo e la resistenza in Ciociaria.

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Sul terrorismo Dopo gli sfoghi dei pacifisti, apparsi numerosi sulla stampa nazionale (ma anche locale) e quasi sempre, in chiave anti-americana, mi si consenta di intervenire, se non altro per riequilibrare il dibattito sulla guerra in Iraq, che altrimenti rischierebbe di far passare l’idea, che anche gli operatori ciociari della informazione, siano schierati, con le anime belle del pacifismo. Le quali diventano tali, o no global e terzo-mondiste, solo quando in qualcuna delle tante guerre sparse per il mondo, vi siano implicati gli Stati Uniti d’America e da poco (pur non belligerante) l’Italia di Berlusconi. Ma non quando, ad esempio nel 1998, l’Italia di D’Alema (senza l’avallo dell’Onu), si arrogò il diritto di bombardare il Kossovo, per ben 78 giorni. E quando, i sostenitori della pace, come Livia Turco a Porta a porta, fanno sfoggio di citazioni di personaggi importanti, quali Wojtila e Giovanni XXIII, allora c’è da chiedersi perché non ricordino che, nella storia dei papi, ve ne furono molti che, di guerre contro i musulmani ne organizzarono a iòsa e che venivano chiamate eufemisticamente: “Crociate contro gli infedeli”; che somiglia molto al linguaggio oggi usato da Bin Laden e dagli hayatollà dei paesi arabi. Di recente, vi sono stati altri papi che hanno benedetto i gagliardetti di Mussolini, ma anche quelli di Hitler. Del quale, in nessuna manifestazione pacifista, si fa sapere che, fu il capo nazista, nel 1939 ad allearsi con Stalin per occupare la Polonia ed avviare così la Seconda Guerra Mondiale. Quando poi, i sostenitori della pace vengono perfino a ricordarci il messaggio con cui, nel 1983, Sandro Pertini, si rivolse ai giovani, come predicatore di pace, è bene precisare

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che, quel grande antifascista (diventato poi Presidente della Repubblica) rientrò in Italia (da fuoriuscito) soltanto nel 1943. Quando cioè gli anglo-americani, già da giugno, erano già sbarcati in Sicilia. E fu grazie a costoro, più che alla inesistente opposizione partigiana, che il Gran Consiglio del Fascismo, il 25.7.1943, potè decretare la caduta del Regime e il Re Vittorio Emanuele III arrestare colui che da più di venti anni era Capo del Fascismo e Capo del Governo, Benito Mussolini. Il quale però, a guerra finita e contro la volontà degli alleati, il 28 luglio 1943 fu catturato e nell’aprile 1945 assassinato senza processo, dai partigiani, per ordine dello stesso Pertini (socialista) e Luigi Longo (comunista). Questi due uomini, con quel loro macabro ed inutile gesto si sono conquistati sì un posto di rilievo nella Storia di quel 1945, ma soltanto come lugubri primi attori di una Guerra Civile, che in Italia non c’era mai stata. Così infatti Indro Montanelli e Mario Cervi, da testimoni di quel periodo, l’ hanno giustamente raccontata e definita (in un libro di grande successo nel 1983) precisando altresì che, nelle regioni rosse dell’Emilia-Romagna, quella guerra fratricida durò ben oltre il 25 Aprile del 1945. Data nella quale oggi, a distanza di tanti anni, gli antifascisti e i partigiani, (che quel giorno fatidico salirono trionfanti sui carri armati americani) vorrebbero ancora far credere di essere stati loro a liberare l’Italia e non già l’esercito degli anglo-americani. Il riferimento, alla liberazione dell'Italia di 50 anni fa, da parte degli alleati, vale anche per tutti coloro che, con i loro sfoghi contro la guerra in Irak, dimostrano di appartenere a pieno titolo al variegato mondo dei no global e dei pacifisti in pantofole.

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I quali, se li osserviamo attentamente odiano sì, il capitalismo, ma si guardano bene dal rinunciare al benessere ed alle comodità che esso produce. E partendo dalle loro posizioni privilegiate, che ti fanno? Ti scatenano contro l'America una montagna di accuse, dimostrando di avere le stesse convinzioni dei terroristi islamici. E le esprimono, con il livore e l'invidia ideologica di matrice marxista, che tutti i cattivi maestri degli anni 70 hanno sempre riversato contro la più grande democrazia del mondo. Ma se ora a distanza di più di trent'anni anche i giovani di oggi attingono a piene mani dai testi di quei falsi profeti, ciò significa che l’egemonia culturale della sinistra sulla nostra società è ancora forte. E sarebbe ormai urgente avviare un profondo revisionismo, anche nei testi di storia, che quella cultura, è riuscita ad imporre in tutte le scuole dei nostro Paese, come avveniva sotto il Fascismo, ai tempi dei Mínculcop. Se così non fosse i giovani, che non hanno vissuto l’ esperienza della liberazione (portataci dagli alleati) ed a priori rifiutano la verità, non userebbero ancora 1'armamentario ideologico dei pacifisti di allora. I quali, mentre tacevano sui missili russi puntati sull'Europa, invadevano le piazze dei paesi occidentali, urlando slogan, come: "Gíù le maní dal Wietnam" e Via l'Italla dalla Nato.". Urlavano quegli slogan, agitando sempre il libretto rosso diMao o l'effige di Che Guevara e Fidel Castro. Simboli che, con la falce e martello e le bandiere rosse, non mancano mai, neppure nelle marce di oggi. Quasi per far sapere a tutti, che il vero marchio che si nasconde dietro la bandiera della Pace, è sempre quello del Comunismo.

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Anche se tutti sanno che quel marchio (dopo quelli dei Fascismo e dei Nazismo) è stato già sconfitto dagli americani. E se i pacifisti di oggi, pur di sconfiggere gli Usa, credono di poter nascondere dietro la bandiera iridata, anche il marchio del Terrorismo, allora si sbagliano di grosso e si preparino ad ingoiare un’ altra sonora sconfitta. Altro che impero in declino! Intanto i profeti di sventura, si leggano (nel corsivo dei riquadro a fianco) quali sono le speranze degli irakeni e quelle di un altro popolo (da anni sotto l'incubo dei terrorismo) vede aprirsi per il suo futuro (e per il popolo che con lui confina) secondo le dichiarazioni, recentemente rilasciate alla stampa, nell’aprile 2003, da un pacifista convinto, come Simon Peres ex premier israeliano, che ha provato sulla sua pelle l'inganno della teoria del "Porgi l'altra guancia se il nemico ti schiaffeggia".“Questa guerra può aiutare il processo di pace in Medio Oriente.Dobbiamo dimostrare al mondo che esistono delle regole.Non è un mondo selvaggio.Questa guerra è per la modernità.” “Indovinate chi ha espresso queste frasi? Penserete ad un alto esponente del Governo Americano o Inglese. Sorpresa: l’uomo è Simon Peres che da sempre ha il ruolo di colomba israeliana. L’uomo del dialogo, del buon senso, contro tutti i falchi del conflitto tra israeliani e palestinesi. E’ colui che non ha mai approvato apertamente la politica di difesa e di attacco del Governo Sharon, anche nei peggiori periodi dell’Intifada.

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II ANTIFASCISMO RESISTENZA

IN CIOCIARIA

La grande bugia E’ il titolo del libro che Giampaolo Pansa, è venuto a presentare lo scorso anno a Frosinone, dove è stato accolto con grande interesse, perchè con le sue pubblicazioni, ha tolto finalmente la coltre di silenzio sugli anni della guerra civile, che i partigiani comunisti avevano continuato a combattere, a guerra finita, anche dopo il 25 Aprile 1945, non solo contro i repubblicani di Salò, ma anche contro i partigiani non comunisti, e contro cittadini innocenti. L’accoglienza del giornalista è stata calorosa, perché anche qui da no, sono ancora molti gli antifascisti della sinistra cattolica e comunista che considerano la storia della resistenza in Ciociaria, di 60 anni fa, come una verità rivelata ed hanno l’impudenza di definire squallidi revisionisti, coloro che la guerra di liberazione l’hanno vissuta sulla propria pelle, ed ora sentono la necessità di riscriverla, non come l’agiografia antifascista ce l’ha propinata, ma semplicemente come le memorie e i diari dei vinti ce l’hanno lasciata. Tra i vinti di allora, vi furono anche coloro che ritennero di contrastare in modo non violento la occupazione tedesca e per questo furono perseguiti e giustiziati, ma senza provocare rappresaglie alla popolazione civile. Valga per tutti il caso dei “Tre martiri toscani” ai quali di recente le autorità di Frosinone hanno dedicato un Monumento in Viale Mazzini, dove il 6 gennaio 1944,

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furono fucilati dai tedeschi per diserzione dal fronte di Cassino, dove furono portati per effetto del Bando di Graziani, e da dove fuggirono, pur sapendo che avrebbero rischiato la pena di morte. E, pur non facendo parte di qualche formazione partigiana, decisero di sottrarsi all’obbligo di aiutare i tedeschi.

La meglio gioventù sotto il Regime Quel tragico episodio fu assai significativo, perché dimostrò che non era affatto vero che fossero solo i partigiani comunisti a boicottare i tedeschi (non a combatterli perché nessun antifascista ebbe il coraggio di farlo) è invece vero che vi furono tanti giovani che, pur essendo cresciuti sotto il regime di Mussolini, dovettero subire persecuzioni e rastrellamenti sia dai tedeschi sia dai repubbblicani di Salò che li volevano precettare. Ma quei giovani, nessuno li ha mai ricordati solo perché non erano inquadrati nelle sparute formazioni partigiane (rosse o bianche) di un antifascismo, inesistente in tutta la provincia . Tanto è vero che i tre giovani toscani, fucilati a Frosinone nel 1944, sono diventati eroi, solo dopo che la resistenza ufficializzata si è appropriata del loro sacrificio e di una gloria, che non le appartiene, e senza aver accertato quali ideali quei giovani nutrissero verso la Patria, tradita dal Re e da Badoglio, e verso i comunisti italiani che, apertamente schierati con l’Unione Sovietica, non vedevano l’ora di consegnare l’Italia ai partigiani di Tito, come già stavano facendo con l’Istria e la Venezia Giulia. Gli usurpatori di una gloria che non gli appartiene, si sono mai chiesti se la lettera di Pier

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Luigi Banchi, riprodotta sulla Lapide del Monumento sia veramente di un partigiano che scappa per andare a fare il Natale con i genitori, e non a nascondersi in qualsiasi zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni. E sarebbe un atto di un Paese civile, l’aver strumentalizzato a fini di parte, un sacrificio di decine di giovani, che, disorientati dai tragici avvenimenti della guerra, militare e civile) che avevano travolto l’Italia, volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero mai pensato che sulla loro pelle “trucidata” qualcuno potesse apporre il marchio di una ideologia, che era distante anni luce dalla loro idea di Patria? E per finire, gli “storici” nostrani, che nel libro “La Guerra a Frosinone 1943 e 1944” riportando, il racconto che Otello Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia dei disertori repubblicani, perché non ci dicono se hanno trovato un qualsiasi collegamento che quei tre giovani avevano avuto con i partigiani, prima, durante e dopo la loro cattura? E quanti e quali, dei 324 sopravvissuti, sono entrati a far parte della resistenza toscana e ciociara) che, fino al gennaio del 1944, non aveva mai dato segni di vita? E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati poco prima dell’arrivo (tra il 2 e il 4 giugno 1944) degli alleati, non erano anche loro gerarchi del Regime? Dopo gli articoli sulla Resistenza, pubblicati in altro periodico, c’è da chiedersi perché, anche nella nostra Provincia, si vuole accusare di lesa maestà chiunque chieda ai protagonisti della nostra storia recente, di far luce sui loro trascorsi politici. Qualcuno di essi invoca perfino la legge sulla privacy,

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per non rivelare che cosa faceva nei suoi primi trent’anni vissuti sotto il Fascismo, rispetto al quale, soltanto dopo il 25 luglio e l’8 settembre del ’43, ha avuto il coraggio di dichiararsi suo irriducibile oppositore, mentre durante il ventennio, tutti i giovani studenti della sua età, erano considerati come “La meglio gioventù” di allora. Anche al Presidente Carlo Azeglio Ciampi (che Massimo Fini definisce un deciso antirevisionista della resistenza italiana) potrebbero essere rivolte le stesse domande da noi rivolte a Giacinto Minnocci di Alatri (Senatore della Repubblica) ed a Carlo Costantini (Segretario dell’Associazione Partigiani Cristiani, della Provincia di Frosinone). Perché anche nelle biografie del Presidente Ciampi, si parla di lui soltanto dal settembre del ’43, per ricordare che si era rifugiato a Scanno sui Monti dell’Abruzzo (che sono vicini ai Monti Ernici, dove anche noi giovani ciociari ci rifugiammo per sfuggire ai fascisti e ai tedeschi) ma non si dice nulla di cosa facesse da giovane, prima della caduta del Fascismo, sia quando era studente liceale e universitario, sia quando nel 1941 si laureò in lettere alla Normale di Pisa, dove anche lui dovette indossare la divisa del Guf (Giovani fascisti universitari) per conseguire la laurea? E quando fu chiamato per fare la guerra di Mussolini, a fianco dei tedeschi e contro gli anglo-americani, non dovette fare il giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria, come tutti gli ufficiali erano tenuti a fare? Le stesse cose si potrebbero dire sia per l’ex Presidente Scalfaro che si laureò e divenne magistrato sotto il fascismo (e come Pubblico Ministero, dopo la guerra, chiese l’ultima condanna a morte, in un processo a

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Milano) sia per l’attuale Presidente Giorgio Napolitano, che per la prima volta, pur dichiarando recentemente che nel 1942 era iscritto al Guf, subito si affretta a precisare che nel suo gruppo universitario già si ponevano le basi per la lotta antifascista. Così è accaduto a quasi tutti gli uomini politici della prima Repubblica, che si dichiararono antifascisti e partigiani, soltanto dopo l’ 8 settembre1943. Ma la verità di tutte queste bugìe, è che, tra le migliaia di intellettuali che c’erano nelle università e nelle istituzioni, soltanto 12 furono coloro che si rifiutarono di giurare fedeltà al Regime, e nelle biografie dettate ai loro agiografi, non parlano mai dei loro primi 25-30 anni, quando venivano considerati “la meglio gioventù” di allora. Di essa facero parte tutti gli studenti iscritti al Liceo Turriziani di Frosinone, al Liceo Conti Gentili di Alatri ed al Liceo Tulliano di Arpino. Molti di essi, poi si sono potuti iscrivere alle Università e laureare, solo se facenti parte del Guf e solo se si presentavano a sostenere la tesi, con tanto di sahariana nera, stivali e cinturone, che era la divisa d’ordinanza del perfetto fascista. E tra essi vi sono stati anche i nostri deputati eletti dal 1946 in poi Si trovava nelle scuole superiori Come ad esempio il Liceo Norberto Turriziani di Frosinone del quale ecco l’elenco degli studenti che furono dichiarati maturi negli anni dal 1930 al 1945 ed ogni lettore può vedere quali di essi si è laureato, e poi è diventato antifascista e partigiano, facendo carriera, in politica, nel pubblico impiego, e nelle professioni, proprio e soltanto in virtù di quei meriti.

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1929-30: Colletti Giuseppe - De Felice Ennio -Evangelista Benedetto - Trombetta Tito Livio 1930-31 - Cianfoni Umberto - Loreto Vittorio - Frignano Vittorio - Tammaro Nicola - Vitaliani De Bellis Francesco 1931-32 - Angeletti Augusto - Ciuffarella Angelo - De Angelis Giulio - D’Ettore Rocco - Fedele Emilio - Lattanti Arrigo - Massetti Roberto - Pietrandrea Vincenzo - Tomasi Cesare - Tordo Paolo - Violo Raffaele - Quattrobricchi Carlo

1932-33 - De Andreis Giovanni - Donati Lorenzo - Gentili Antonio - Marzi Arnaldo - Miranda Costanza - Quattrocchi Adelmo - Rossi Edoardo - Sinibaldi Giovanni - Valeriani Mario - Vona Mario - Zonfrilli Gennaro 1933-34 - Aversa Gino- Bretoni Vinicio- Cipriani Lorenzo - Consolo Ofelia - De Rosa Adalgisa - Donati Ugo - Fanelli Onorio - Gabrielli Mario - Garofoli Vincenzo - Lala Vanda -.Masetti Aurelio - Nardi Elvira - Pagliei Alvaro - Petrilli Fausto - Tanzini Ennio. 1934-35 - Affiniti Gerardo - Bergamini Hermes - Cianci Alfredo- Chiappini Luigi - D’Alessandro Elena - Fontana Beatrice - Giorni Antonio - Lolli-Ghetti - Alberto- Macciocchi Pietro - Magliocca Giulio - Pagliei Antonio - Peruzzi Luigi - Scala Costantino - Simoni Federico - Tartaglione Velia - Tonnina Aurelio - Turriziani Antonio - Valchera Fernando - Valchera Manlio - Vellucci Nazareno

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1935-36 - Caperna Arnaldo - Cesari Francesco - De Sanctis Cesare - De Sanctis Sante - Di Stefano Vincenzo - Finocchiaro Maria Cristina - Marini Lidia - Maselli Valerio - Orlando Pasquale – Paolini Maria Teresa - Ruggiero Carlo - Schietroma Dante (Dichiaratosi socialista dopo il 25 luglio 1943 e più volte Senatore nella I^ Repubblica) - Serafini Luigi

1936-37 - Alonzi Pietro - Asteriti Marcella - Bartoli Luciano - De Santis Umberto - Facci Alberto – Graziani Gerum - Laisi Fabrizio - Masi Pietro Mariano - Novelli Francesco - Ottavini Dionisio - Pacioni Giulio Cesare - Pagliei Fabrizio - Tribioli Igino. 1937-38 - Battista Francesco - Bevilacqua Mario - Diana Giuseppe - Ferrazzoli Luigi - Franconetti Giulio - Malpassini Colombo - Molinari Alessandro - Pinella Gilda – Quattrociocchi Vincenzo - Ricci Lamberto - Rossetti Filiberto - Silvestri Renzo (dichiaratosi comunista dopo la caduta del fascismo, diventato Sindaco di Fiuggi, negli anni ’60). Valleta Giuseppe Michelangelo - Von Berger Ernesto 1938-39 Arcese Luigi - Bufalini Giorgio - Carfagna Gabriele - Castaldi Edmondo - Celletti Piero - Corsi Angelo -. Diamanti Maurizio - Di Fabio Giovanni - Di Tomassi Dino - Donfrancesco Orlando - Fanfera Livio - Fraia Adriano - Gargani Leonida - Lolli-Ghetti Glauco- Marini Augusto - Pagliei Alfredo - Paniccia Angela - Petrillo Emilio - Ranaldi Giovanni - Silvino Teresa - Spaziani Giovanni - Spaziani Nicola - Stirpe Curzio - Tiberia Roberta - Turriziani Renato- Valchera Guido - Vespasiani Giuliana - Carfagna Giuseppe.

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1939-40 - Anticoli Borsa Cesare - Belvedere Gino – Benettini Elisa - Boffi Lorenzo – Bonomo Roberto – Bruni Tommaso - Carcano Vittorio - Celletti Anna Maria -. Cialone Angela – Ciampelletti Mario - Colasanti Alberto - Collanti Alariga - D’Alessandro Laura - De Castro Antonio - Ferrari Giuseppe - Fiorini Ambrogio - Fischiagrilli Erminio - Manni Renato - Pagliaroli Francesco - Palombo Ermanno – Parente Mario - Perdicaro Scipione - Ruggeri Eralda Scurpa Elena - Sorrentino Lidia – Spaziani Umberto- Squillante Geppino Antonio – Stirpe Lidio - Tribioli Alberto - Valle Luigia - Valletta Ezio - Vona Virginia – Fanti Angela - Menichelli Elsa . 1940-41 - Angelilli Ennio - Boggio Goffredo - Bonanni Giuseppe – Bruti Alberto – Campioni Guerino - Ceci Luisa - Celletti Atonia - Colafranceschi Gino - Cupini Napoleone - De Grazia Mario - Diamante Dante - Donfrancesco Domenico – Ferrante Ottavio - Paglia Pierino - Papetti Marcello - Pascucci Silvio - Perdicaro Maria - Picchi Igino - Pompeo Aurelio - Sacchetti Luigi - Sassano Mario - Sica Gerardo - Spaziani Ernesto - Todini Giuseppe - Tracia Mario Gaetano – Vona Carolina 1941-42 - Ascolano Adalio – Biondi Gino – Bucciarelli Emilio –Ciampelletti Adriana – Ciuffi Giuseppe - De Blasi Renato - De Grazia Giorgio – De Santis Giuseppe - Diana Angelo – Gnagni Carlo - Lunghi Sandro – Marini Giseppina – Masi Pasquale - Minotti Giovanni – Ricci Fernanda - Simone Guelfo - Taggi Ettore - Sorrentino Federico - Truini Alfredo

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1942-43 Anticoli Leonardo - Buccilli Ignazio - Ciampelletti Alberto - Di Girolamo Giovanni - Fortuna Cesare - Riannetti Anna Maria - Giorgi Lido - Gnagni Antonio - Magnotta Williams - Marchesi Sergio - Menichelli Teresa - Milia Salvatore - Pirri Pericle – Ranaldi Anna Maria - Savatoni Pietro - Scaccia Scarafoni Sandra - Sica Giuseppina – Trovini Teresa - Valletta Roberto - Vona Nazarena 1943-44 – Alu Catalda - Aversano Luigi - Creti Donato - Dell’Uomo Pietro – Evangelisti Aurelio - Grande Giuseppe - Grande Maria - Maini Gino - Matteucci Maddalena - Minotti Vincenzo - Moriconi Enrico - Papetti Piero - Rinaldi Alessandro –Sacchetti Giuseppe - Santucci Sergio - Scala Alessandrra- Schietrona Arduino – Sordi Luigi 1944-45 - Bruni Raffaele - Campanelli Maria Dolores - Carfagna Ione Delia - Catozzi Felice - Celletti Giacinto - Frabotta Alberto – Majone Inelio - Martellacci Orazio - Massaroni Michele - Paniccia Camillo – Papa Antonio - Poccia Nicola - Ricci Rinaldo - Salvatori Vincenzo - Savo Gennaro - Sica Aldo - Taggi Vincenzo - Valletta Cesare - Vivoli Antonio.

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LETTERE TRA STUDENTI AD ALATRI

Quando tra loro si chiamavano camerati

Da Raul Silvestri a Silvio Incocciati, Ripi 14.8.1939 XVII “Carissimo Silvio, ho ricevuto la tua cartolina e con molto piacere ho saputo della tua promozione, insieme a quella di Armando e di Vincenzo. Come ormai saprai mi hanno rimandato a ottobre per opera sopra tutto di quella ….prof.ssa di Scienze. Nino come ti dirà lui stesso ha fatto la stessa mia fine. Rossi e Dolly come hanno fatto gli esami? Noi cercheremo di venire qualche giorno a Fiuggi e nel caso ti avvertiremo qualche giorno prima. Rispondi e dammi qualche notizia sulle nostre camerate di Alatri. Cedo la penna e il foglio al camerata Salvatori”. La pagina viene conclusa in altra facciata della lettera, con una breve nota, e firmata, da Nino e da Raul: “Guardando il bollo postale ci siamo accorti che era lungo tempo che ci avevi scritto. Ma se abbiamo tardato a risponderti è stato perché non ci trovavamo a Ripi , dove siamo tornati in questi giorni” La firma di Nino è seguita da: W la peppa !!! W la faccenna !!! W la Faina essenziale” La lettera si chiude con la firma di Raul. E da Nino Salvatori (che utilizza le due pagine interne 1 e 2) “Caro Silvio, come desideravi che scrivessi, così scrivo” (Seguono parole scherzose e poi al 3° capoverso la lettera prosegue) “Quando ho saputo della tua promozione, debbo dirti la verità che mi è dispiaciuto molto, perché anche l’ultima speranza di poterci rivedere è svanita. Però come ti ha già detto Raul, noi tenteremo in ogni modo di venire a farti una visitina a Fiuggi. Se Rossi si trova ancora costà avverti anche lui che ci faccia trovare un po’ di dolci.

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Come già ti ha detto il camerata Silvestri, mi hanno rimandato anche a me a ottobre in scienze e matematica. E non poteva essere altrimenti!!! Salutami tanto Aldo e digli che al campeggio non ci vado più. Ciò significa che, con Aldo, al campeggio della Gioventù Italiana del Littorio, ci sarebbe andato anche Silvio. Il mio commento - Nelle due lettere, vi sono nominati sette compagni di scuola di mio fratello Silvio Incocciati: Armando, Vincenzo, Rossi, Dolly, Nino, Raul e Aldo. Ebbene, per la conoscenza dei fatti, e delle persone che vi si citano, sono in grado di indicare le esatte generalità di sei di essi, che sono: Armando Tagliaferri e Vincenzo Papitto di Alatri, Dolly (o Teodolinda) Terrinoni di Fiuggi, Nino Salvatori e Raul Silvestri di Ripi. Anche del Rossi, ho accertato che il nome fosse Lino di Alatri, nel fare il suo numero di telefono, mi ha risposto la vedova, essendo lui è morto alcuni anni fa, e lei mi ha confermato che anche il marito, che era della classe 1922, si è diplomato maestro nel 1939/40, ma, negli anni successivi, anziché l’insegnante, preferì fare l’impiegato a Frosinone. Così, il Tagliaferri, è quel S.Tenente, Armando caduto ad El Alamein nel 1942, decorato di Medaglia d’argento al valor militare, del quale, il collega Bruno Gatta sul “Quotidiano di Frosinone” del 19.1.2007, nel ricordarne il sacrificio, denunciava l‘oblio in cui il suo paese, Alatri, dopo 60 anni, ancora lo tiene. Il Papitto, ancora vivente, anche lui camerata fino al 1943, dopo l’arrivo degli alleati, è uscito dalla clandestinità, come militante socialista della resistenza ciociara.

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La Terrinoni Dolly (tuttora vivente in Canadà) che pure veniva chiamata camerata dai compagni di scuola, facendo parte di una numerosa famiglia, è rimasta con i fratelli, a gestire l’Albergo Centrale a Fiuggi, e dato che sapeva 4-5 lingue si mise legittimamente a fare da interprete con i clienti dell’albergo, ma anche tra il Comune, i tedeschi e gli anglo-americani, prima e dopo la liberazione avvenuta il 4 giugno 1944. Del Salvatori Nino, non so altre notizie, oltre quella che fosse di Ripi, come lo erano i fratelli Aldo, Raul e Renzo Silvestri. A proposito dei quali, secondo il racconto di Aldo, pubblicato sul libro edìto dal Comune “La Guerra a Frosinone 1943 -1944” si erano trasferiti ad Alatri, perchè il padre Consalvo vi era andato a fare il Segretario comunale. L’ Eroe di El Alamein dimenticato ad Alatri E guarda un po’ questi giovani, che con i loro amici si erano sempre chiamati “camerati”, dal gennaio 1944 in poi, diventano tutti e tre la punta di diamante della resistenza ciociara, ed anziché “camerata”, si fanno chiamare “compagno”. Con questo appellativo, ereditato dai soviet di infausta memoria, senza rischiare nulla, avranno gloria e successo. L’Aldo diventa infatti eroe, con tanto di Medaglia Garibaldina, e viene celebrato più del S.Ten. Armando Tagliaferri, di Alatri, caduto ad El Alamein, a soli 22 anni, decorato con medaglia d’argento al valor militare, ma senza che, nel libro citato, Aldo, e gli “storici”, ingaggiati dal Comune di Frosinone, abbiano sentito il dovere di dedicargli almeno un ricordo.

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Una vera epopea, invece Aldo Silvestri, la dedica a se stesso ed al fratello Raul, ma anche alle bande di antifascisti rossi di Collepardo, di Alatri, di Frosinone, di Ripi, di Veroli e di Paliano e coglie l’occasione per nominarli tutti, volendo con ciò dimostrare che la crema della resistenza ciociara era soprattutto di estrazione marxista-leninista. Questo novello storico però, dimentica di dire che molti compagni, e lui stesso, avendo studiato nel Liceo-Ginnasio di Frosinone, o in altre Scuole Superiori e alle Università, usavano chiamarsi tra loro camerati, e tutti insieme erano considerati “La meglio gioventù” del Regime. Nel racconto di Aldo quegli ex camerati-studenti, li ritroviamo infatti, dopo l’8 settembre, nascosti nelle campagne, lontane da Frosinone, quindi al sicuro dai rastrellamenti. Le Bande partigiane, guidate da ex fascisti Li troviamo infatti nascosti nelle campagne tra Frosinone e Ripi, oppure, nelle diocesi di Veroli, Ferentino, Alatri, ed Anagni, sotto la protezione dei rispettivi vescovi, o a Collepardo, nella Certosa di Trisulti, ed a Fiuggi, nascosti nei retrobottega del Bar Rossi, o nelle case dei pescatori, vicine al Santuario della Madonna della Stella, privo di strada per arrivarvi sia da Fiuggi sia da Ferentino. Infine a Paliano, non si sa dove. Questa situazione di tranquillità, per i compagni in arme contro l’odiato nemico, è confermata dallo stesso Aldo, quando, parlando del fratello Raul dice che, dopo essere stato in guerra, come gli altri della sua età, anche lui diventa resistente antifascista.

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Ed aggiunge: “Le armi a nostra disposizione, che tenevamo nascoste nel granaio e nei camini della Certosa di Collepardo, consistevano in una cassetta di bombe a mano portata da mio fratello Raul, militare tornato dopo l’8 settembre 1943, moschetti e pistole prelevate dalla caserma dei Carabinieri di Alatri e altri moschetti e due fucili mitragliatori recuperati presso l’armeria della Prefettura e trasportati dai fratelli Luciano e Augusto Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio fratello Raul”. Per quanto riguarda il terzo fratello, Silvestri, di nome Renzo, ecco cosa dice di lui Aldo, nel suo racconto: “Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di Frosinone, diretto da Marzi e Spilabotte, con quello di Ripi, dove operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con Alonzi e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti” A commento di queste affermazioni, è doveroso precisare che, anche Renzo era stato studente, alla 3^ classe del Liceo Turriziani di Frosinone (dove conseguì la maturità nell’anno 1937/38) poi all’Università, dal 1939 al 1943, e come tale era obbligato, come tutti, a vestire la divisa del Guf sia per partecipare alle manifestazioni del Regime sia per conseguire la laurea alla Sapienza di Roma. Di queste circostanze ne parla Luciano Bartoli, nelle sue memorie, a pagina 33: “Chiesi notizie a Raul, del fratello Renzo (che lui chiama Romano) il quale aveva frequentato il liceo con me. Romano lo ricordavo anche perché, alto e prestante com’era, la divisa del gruppo universitario fascista, completa di stivali gli dava un’ imponenza e anche un’eleganza che io invidiavo.

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Erano allora i tempi eroici, e ricordo che erano più le volte che lo incontravo in divisa, di quelle che lo incrociavo in borghese.” Anche a Renzo, la condizione di antifascista e partigiano, è stata di grande utilità, non tanto per la professione forense che esercitò in modo egregio, quanto per la carriera politica: se è vero che nel 1960 fu deputato e Sindaco di Fiuggi col Pci, e nel 1964 col Psdi. L’altro compagno di scuola di Silvio Incocciati, che nella lettera firmata da Raul e da Nino, viene indicato col cognome Rossi, è senza dubbio quel Lino, che, dopo aver conseguito il diploma magistrale, ed essere stato fino al 1941 in buoni rapporti con i camerati, Tagliaferri e Incocciati, che partivano per la guerra, lo troviamo, nel diario di Sacchetti Sassetti, in “La cronaca di Alatri sulla occupazione tedesca 1943 - 1944” come facente parte del gruppo cattolico, prima arrestato, e poi rilasciato, su intervento del Vescovo di Alatri, Facchini, verso il Console fascista Ghislanzoni, e per questa insignificante circostanza, come vedremo, diventerà simbolo della resistenza alatrina.

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IL DIARIO 1943 -1944 di Sacchetti Sassetti

Nella parte finale della puntata precedente, citando le date de “La cronaca di Alatri, sulla occupazione tedesca , mi sono soffermato a quella in cui l’autore del diario, riferendosi a Rossi, registra questa scarna notizia: Il 6 dicembre 1943, “Lino Rossi fermato alla Donna, è cappato”. Poi l’autore ne parla di nuovo: Il 27 marzo 1944: “Ore 19 arresto di Lino Rossi del Comitato di Liberazione Nazionale. Gli hanno trovato in camera un numero dell’Unità. Insieme con Escales (terza Liceale) e il Prof. Pedullà, viene condotto a S. Francesco” Poi lo cita altre volte: Il 12 aprile, per dire che “Il Vescoso Facchini ha parlato ieri con il Console Ghislanzoni; dà buone speranze su Lino Rossi e compagni” .Nello stesso diario vi sono molte altre annotazioni, dove si citano nomi e cognomi delle persone, non solo di Alatri, coinvolte nei fatti più significativi che l’autore racconta con le rispettive date con le seguenti note. Il 16 aprile : “Si dice che gli ufficiali repubblicani anziani che si sono presentati, abbiano deciso di dimettersi, quando hanno saputo che debbono partire per il nord di Roma.” Il 19 aprile “ Gli ufficiali internati ai Cappuccini hanno ricevuto l’ordine di partire” Nello stesso giorno troviamo “Lo studente universitario di Fiuggi, Terrinoni, che fermato da un carabiniere per reato politico, viene con questi arrestato, perché è andato con lui in un caffè di Fiuggi ed ha percosso un milite, che di ciò lo rimprovera, e poi è fuggito da Fiuggi col giovane suddetto”.Il quale altro non era che, il Natalino Terrinoni, detto “La Quagliozza” che fino alla fine del

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Regime era stato addirittura Segretario della Gil di Fiuggi, e come tale fotografato in divisa da gerarca fascista, in tutte le manifestazioni del Regime. Delle quali chi scrive ha pubblicato anche su internet le foto che lo stesso Segretario, distribuiva ai giovani. Ed anche lui ritroviamo, come campione della resistenza nell’Alta Ciociarìa, insieme al Prof. Raffaele Conti, e al maestro Papitto, dei quali, il Sacchetti prende nota in questo modo: Il 30 aprile: “Arresto a Fiuggi del Prof. Conti e del maestro Papitto, per misure di polizia pel Primo Maggio”. Ed il Papitto è quel camerata Vincenzo, che Raul e Nino citano, come promosso, insieme ad Armando, nella loro lettera a Silvio. Ebbene, anche lui, dopo l’8 settembre, diventa antifascista e resistente. Mentre il Prof. Conti, che diventerà capo della Banda di Fiuggi e membro del Cnl provinciale (insieme all’ex intellettuale fascista Minnocci, per l’ala militare) è colui che, originario di Novara, dopo aver fatto fortuna in Abissinia, non come legionario, ma come uomo d’affari, nel 1939 approda a Fiuggi per rimanervi, e fino al 25 luglio del 1943 rimane coerente con il suo passato fascista, insieme al citato studente universitario Terrinoni. Tornando a Lino Rossi, il Sacchetti lo cita altre cinque volte, come se fosse l’eroe dei due mondi: Il 1 maggio: “Stamane Lino Rossi è stato trasferito al Convento dei Cappuccini” e in data 4 maggio: “Stamane il Cap. Medico ha visitato Lino Rossi e compagni. Ha protestato pel modo come sono tenuti . Dalle 9 alle 17 hanno potuto passeggiare, vigilati da sentinelle”

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Il 5 maggio: “Gli studenti dei Cappuccini, vanno al Convento di Fiuggi. Lino Rossi e compagni hanno grande libertà nel bosco.” Il 20 maggio: “Questa notte 30 militi dei Cappuccini sono fuggiti. Lino Rossi e compagni rilasciati per insufficienza di prove” E infine: Il 21 maggio: Quasi tutti i soldati repubblicani, senza armi, che dovevano partire stanotte, si sono squagliati. Il resto partirà questa notte per Civita Castellana(‘)” A proposito del Convento dei Cappuccini di Alatri, non posso fare a meno di ricordare che, tra i giovani che vi furono internati all’inizio del 1944, c’ero anch’io, con il mio amico d’infanzia Enzo Girolami, e tanti altri giovani, reclutati o catturati, in tutta la provincia, e concentrati, prima a Fiuggi, poi trasferiti in quel Convento. Dove, anche noi precettati o catturati dal Bando di Graziani, non facevamo che passeggiare per il bosco, dalla mattina alla sera, dato che ci tenevano lì senza far nulla, ma ci sorvegliavano, né più né meno, come i fermati ad Alatri, per motivi politici. Solo che, se fuggivamo noi, rischiavamo di essere fucilati per diserzione (come i tre martiri toscani ed altri 27 su 300, portati a Cassino dai tedeschi) mentre i fermati e trattenuti nel Convento (come Lino Rossi e compagni) avendo nel Vescovo Facchini il loro protettore, in continuo contatto con il Console fascista Ghislanzoni (con il quale, per effetto del Concordato, aveva sempre collaborato) furono trattati con riguardo, e liberati sani e salvi, senza che gli avessero torto, neppure un capello. Ma c’è di più, essendo i giovani di Alatri, quasi tutti studenti, del liceo, delle magistrali, e universitari, non è da escludere che essi (o chi trattava,

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per farli rilasciare) abbiano voluto di dimostrare che anche anche loro erano camerati, e per questo chiedevano di essere rimandati a casa. Lino Rossi infatti, dopo essere stato rilasciato, tornò a nascondersi con altri militanti cattolici, nella curia e nelle parrocchie di Alatri, autodefinendosi poi, tutti partigiani, solo perché, notte tempo, avevano distribuito qualche invito ciclostilato ai giovani, a non presentarsi alla chiamata alle armi. Queste sono le ragioni per cui i giovani arrestati per motivi politici, e liberati grazie all’intervento del Vescovo, non hanno alcun merito da rivendicare, rispetto ai disertori della guardia repubblicana, nella lotta ai fascisti ed ai tedeschi.. I giovani del Bando di Graziani, sin dal gennaio ’44, cominciarono a fuggire dal Convento, per evitare il trasferimento al Nord. E fu così che, in una notte del febbraio ‘44, io ed Enzo Girolami, dopo aver scavalcato il muro di cinta dalla parte del cimitero di Alatri, e camminando nelle campagne di Collepardo, Vico nel Lazio, Guarcino, La Cimetta e Prata Longa, dopo due notti e due giorni arrivammo al pianoro di Capo Le Ripi, vicino a Fiuggi. Rimanendovi fino al maggio 1944, facendo però, ogni sera, ritorno a casa. Queste sono le ragioni che fanno ritenere la vulgata resistenziale, anche in Ciociaria, una vera e propria bugìa, come Giampaolo Pansa dice nei suoi libri. Da parte sua l’Associazione partigiani cristiani, sarebbe ora che cominciasse se ne ha il coraggio, a rivelare, che cosa erano e cosa facevano i suoi dirigenti e i suoi iscritti, ad Alatri ed altrove, quando molti di loro frequentavano il Liceo, le Magistrali e l’Università, e se non avevano

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l’abitudine di chiamarsi camerati. E non faccia fare a noi altri nomi, come quelli che abbiamo trovato nella lettera di Raul e di Nino. A questo punto, c’è da ricordare che tra gli antifascisti del giorno dopo, c’erano molti ex ufficiali, partiti per la guerra, ma nessuno di loro aveva mai osato disertare l’esercito dell’odiato Regime, come invece seppero fare i martiri toscani, fucilati a Frosinone; della cui gloria, pochi anni fa, si sono appropriate le Amministrazioni rosse di Firenze e Frosinone, che, con le relative Associazioni partigiane, non hanno nulla a che fare con l’ideale di Patria che quei giovani repubblicani nutrivano. Ed ora, a distanza di 60 anni, i protagonisti negativi di quegli eventi, nel libro “La guerra a Frosinone 1943 - 1944” dopo la cronaca sulla vacanza da piccoli borghesi, trascorsa a Collepardo e nelle campagne di Ripi, Frosinone e Fiuggi; o al riparo delle curie e delle parrocchie di Alatri, Ferentino Veroli ed Anagni, mentre tacciono sul loro passato fascista (eccezion fatta per Augusto Marini ed Augusto Bartoli, che nei loro libri ricordano di essere stati, l’uno, convinto assertore della Patria, con la divisa del Guf, l’altro, leale combattente in Grecia, con la divisa di sottufficiale) ora invece i bugiardi di ieri, vengono a raccontarci la loro storia di militanti rossi. Ma come vedremo, altra non è che una storia, fatta di prepotenze e di occupazione totalitaria del potere. A cominciare dalla Provincia, conquistata al grido di “Tutti a Palazzo Gramsci”, e a continuare nei comuni, dove, su ordine del Cnl, imposero dappertutto i loro “commissari del popolo” (altro che sindaci) che alle prime elezioni del 1946, vennero spazzati via dal voto popolare.

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Il che dimostra inequivocabilmente che, la prassi e i metodi usati per realizzarla, erano al di fuori di ogni legalità democratica. La stessa prassi, è stata adottata anche di recente, quando con il solito connubio tra cattolici e comunisti, l’attuale unione delle sinistre ha occupato tutte le istituzioni dello Stato, dalla Presidenza della Repubblica, a quelle della Camera e del Senato, pur avendo avuto soltanto il 50 per cento del voto degli italiani.

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III “ LA GUERRA A FROSINONE ”

1943 - 1944

Una storia a senso unico, intrisa di fascismo rosso Nei capitoli precedenti, credo di aver dimostrato che quasi la totalità degli antifascisti, e dei partigiani ciociari, era parte integrante della “meglio gioventù” sotto il fascismo, e fino al 1943 molti di essi si trovavano a combattere la guerra di Mussolini, sui fronti greco -albanese, africa - settentrionale e fronte russo. Soltanto i giovani, dichiarati non idonei al servizio militare, non furono coinvolti nella politica di guerra del Regime. Ora cercherò di riportare ampi stralci delle loro pubblicazioni, per vedere, cosa fecero gli antifascisti dal Settembre ’43, e dal Giugno ‘44, dopo l’arrivo degli anglo-americani. Le versioni dei loro racconti sono due. Quella degli antifascisti di area comunista, e quella di coloro che comunisti non erano, o se lo erano, venivano emarginati, perché contrari ai metodi stalinisti del Pci. Infatti, il libro “La Guerra a Frosinone”ci offre solo la prima versione, che è sfacciatamente di parte, perché affidata da un’ Amministrazione di sinistra, ad un autore di conclamata fede comunista; il quale non essendo coevo di quegli eventi, riferisce “de relato” fatti e circostanze, narrati da altri. Mentre il libro “Poveri oscuri eroi” dì Augusto Bartoli, e le memorie del fratello Luciano, ci offrono una versione assai più credibile, essendo stati tra i protagonisti di quegli eventi, che essi hanno vissuto, anche come

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sottufficiali nell’Esercito italiano; circostanza che non cercano di nascondere, al contrario dei loro compagni stalinisti, che usciti dalla clandestinità nel gennaio 1944, cancellano ogni traccia del loro passato fascista. Intanto, dopo aver accennato alle vacanze, trascorse, da piccoli borghesi, dagli ex fascisti, a Collepardo, o nelle campagne di Alatri, Veroli e Ripi, vediamo come le trascorrevano, gli antifascisti di Frosinone, sempre secondo i loro racconti riportati nel Libro.

Ex militari, i patrioti di Frosinone

A pagina 84 “In una giornata in pieno inverno che già profuma di primavera, l’immagine che si propone allo sguardo è quello di un mirabile scorcio della Ciociaria classica, costituita dai dolci colli abitati, di Torrice, Ripi, Arnara, Pofi e, via via, tutti gli altri, da proporre come elemento per una efficace promozione turistica” Ecco perché ho parlato di vacanze”. A Frosinone, nei giorni successivi all’armistizio, “L’avvertimento” per abbandonare la città, era arrivato estremamente chiaro con il bombardamento dell’11 settembre.” “Giusto il tempo di mettere insieme l’indispensabile e poi…raggiungere, familiari e conoscenti, in diversi comuni, più o meno vicini al capoluogo. Il grosso dei frusinati invece, privilegia le colline di Maniano, San Liberatore e soprattutto la Santissima. Insomma i colli e le valli che da Frosinone si rincorrono verso Torrice”.“Paolino Colapietro (poeta dialettale) ad esempio, privilegia San Liberatore, da dove peraltro è possibile tenere sotto controllo Frosinone.”

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“E della condizione in cui gli sfollati sono costretti a vivere, propone uno spaccato con la sua consueta ironia.” “Purtroppo la stagione particolarmente favorevole (a causa della guerra) ha richiamato sul posto un grandissimo numero di villeggianti ed io arrivato, senza prenotazione, non trovo posto negli alberghi di lusso. Infatti, le case di creta a due piani sono occupatissime. I posti migliori naturalmente sono stati affittati a gente dell’alta aristocrazia (guarda caso, anche qui, fatta di piccoli borghesi antifascisti): il Principe Toccacielo, infatti, ha preso una camera, quattro per cinque, tutta per sé e famiglia di nove persone; lo scantinato di tavolato di ottima qualità, se l’è accaparrato il barone Gianni Caciocavallo”. Al riparo tra gli Ernici e i Lepini. A pagina 87 - “Non tutti i frusinati naturalmente optano per la Santissima e San Liberatore, la cui scelta è forse dettata dalla speranza di una protezione celeste (sic). Alcuni privilegiano appartate località dei Lepini e degli Ernici, confidando, oltre che nella speranza di una maggiore tranquillità, soprattutto nell’ospitalità di amici, parenti, e conoscenti, per un soggiorno, sulla cui durata è impossibile fare previsioni” La scelta fu: Giuliano di Roma: “Dove si recò la famiglia Porcari; ad essa si unì anche la signora Colasanti, vedova Spaziani e il figlio Domenico; affrontarono il viaggio con una carretta per le masserizie, che dovettero trainare a mano. Appena giunti in paese gli abitanti, con il Podestà signor Borza, li accolsero con calore e umanità, e gli procurarono un alloggio provvisorio, dal quale, il giorno stesso, il Podestà li fece sistemare in una casa grande,

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abitata dai proprietari con i quali, col trascorrere dei giorni, stabilirono un rapporto quasi fraterno”. “A Boville Ernica, invece si recò la famiglia dell’avvocato Luigi Carfagna, che secondo il racconto della figlia Alba, non venne alloggiata presso la casa molto grande delle Genovesi, affezionate clienti di suo padre, ma la sera stessa trovarono alloggio nella scuola elementare del Palazzo comunale, anche qui per disposizione del Podestà”. “A Fiuggi, invece, da Frosinone, si recarono soprattutto i dipendenti dello Stato e dell’ Amministrazione provinciale, i cui uffici, vi si erano trasferiti dopo il bombardamento dell’11 settembre” Di Fiuggi, che è il mio paese, parlerò più avanti, soprattutto, perché, durante tutto il periodo della occupazione tedesca, esso, grazie alle numerose strutture alberghiere, di cui già 60 anni fa disponeva, venne utilizzato in vari modi. La Banda di Collepardo Gli sfollati di Frosinone, privilegiarono la zona tra Alatri e Collepardo, che, con la vicina Certosa di Trisulti, fu in grado di accoglierne circa quattromila. “ Tra questi sfollati c’era anche “l’ammonito speciale” Giuseppe Bartoli, costretto, con i suoi familiari ad abbandonare il rifugio nelle campagne di Maniano, per dirigersi, in un primo tempo verso Vico nel Lazio” “A Collepardo (pag. 90) si trasferì tutta la famiglia Bartoli e qui nella certosa di Trisulti, Luciano e Augusto incontrano un ex confinato politico comunista, Gino Conti, con due neofiti, suoi allievi, (Tullio Pietrobono e

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Raul Silvestri) che stava indottrinando, e insieme si danno come obiettivo primario quello di procurarsi delle armi recuperando, intanto moschetti e fucili mitragliatori, da tempo nascosti a Frosinone, in contrada Maniano, nel pozzo della casa, dove era sfollato Domenico Marzi” “L’incontro dei gemelli Bartoli, con i fratelli Silvestri e altri giovani frusinati, per lo più studenti, ma anche ex militari tornati dai fronti di guerra, dopo l’8 settembre, farà assumere una caratteristica tutta “politica” allo sfollamento verso Collepardo e la vicina Certosa” Costoro insieme ai loro coetanei locali, faranno tutti parte della banda partigiana, costituita da una trentina di persone, capeggiate da Oreste Cicalè (che troveremo in prima fila, insieme ai Marzi ed ai Silvestri nel 1944, ad occupare illegalmente il “Palazzo Gramsci”, dove il Cicalè e il padre dei Silvestri, Consalvo, diventeranno, rispettivamente Ragioniere Capo, e Segretario Generale). La Banda, nel territorio, tra Alatri e Fiuggi, si prefigge di sabotare l’occupazione nazista e le strutture repubblicane. L’ingegnere Aldo Silvestri, all’epoca ventenne, ricorda così, quei giorni e quella esperienza: “Dopo aver frequentato il ginnasio a Frosinone, mi ero trasferito ad Alatri, con la famiglia per seguire mio padre, Consalvo Silvestri, chiamato in quella città a ricoprire l’incarico di segretario comunale.” Aldo Silvestri continua “Qui ebbi modo di frequentare il maestro elementare Cesare Baroni (un noto comunista più volte arrestato e malmenato dai fascisti locali) e il confinato politico Paolo Bufalini, che nel dopoguerra sarà tra i massimi dirigenti nazionali del Pci. Il maestro Baroni, al momento della occupazione tedesca di Alatri,

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essendo ricercato dalla milizia repubblichina, trovò rifugio presso la Certosa di Trisulti, dove lo raggiunsi pochi giorni dopo per sfuggire ai continui rastrellamenti e al ‘Bando di Graziani’ Qui ebbi modo di conoscere Oreste Cicalè e il nutrito gruppo di antifascisti di Collepardo. Dopo i primi bombardamenti su Alatri, anche la mia famiglia raggiunse e la certosa di Trisulti, dove numerose erano le famiglie di Frosinone”. “A Trisulti da Roma arrivò anche il comunista Gino Conti, nome di battaglia di Alfredo Bonelli, inviato dal ‘centro’ dal Pci ad Alatri, per organizzare il partito e la lotta di resistenza tra gli internati jugoslavi nel campo di concentramento delle Fraschette.” “Il rivoluzionario professionale’ Conti-Bonelli prese contatto con Baroni e il suo gruppo di giovani e così organizzò il primo nucleo partigiano di quella che diventerà poi la Banda di Collepardo”. “Le armi a nostra disposizione che tenevamo nascoste nel granaio e nei camini della Certosa consistevano in una cassetta di bombe a mano, portata da mio fratello Raul, militare tornato dopo l’8 settembre, moschetti e pistole prelevate alla caserma dei Carabinieri di Alatri e altri moschetti e due fucili mitragliatori, recuperati presso l’armeria della Prefettura, e trasportati dai fratelli Luciano e Augusto Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio fratello Raul”. “Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di Frosinone (a Maniano) diretto da Marzi e Spilabotte. Anche con il gruppo di Ripi, dove (ben nascosto) operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con Alonzi e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti” “Le nostre principali azioni consistevano nel

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sabotaggio degli impianti militari dei tedeschi e dei fascisti; nel lancio di chiodi a tre punte sulle vie di comunicazione, nella diffusione della stampa clandestina, nell’assistenza ai soldati inglesi fuggiti dai campi di prigionia, ed attacchi a gruppi isolati di nazifascisti.” “Negli ultimi giorni di occupazione abbiamo fermato quattro soldati tedeschi e fermato fascisti e collaborazionisti locali, liberando così Collepardo prima dell’arrivo in paese dei militari alleati”. N.d.a. : Davvero eroi, questi piccoli borghesi, che liberano Collepardo catturando dei poveri tedeschi e fascisti, disarmati, e in fuga, dai quali fino ad allora si erano coraggiosamente tenuti alla larga, nonostante tutte le armi che tenevano rigorosamente nascoste nelle cantine e nelle grotte degli bambocci, di cui Collepardo e Trisulti sono piene, e le imbracciano spavaldamente, mentre vittoriosi arrivano i liberatori; che erano gli anglo-americani e non le truppe di Tito che nell’Istria italiana, al posto del nazifascismo, vi portarono il comunismo, come sarebbe certamente accaduto, se, alle elezioni del 1948, avesse vinto il fronte popolare. Ed hanno anche il coraggio di dire che il Comitato di liberazione, appena insediatosi al Comune “distribuì alla popolazione del paese le notevoli quantità di viveri nascosti, nelle case dei possidenti locali, collaborazionisti”. Sin qui l’ epopea delle bande a antifasciste e partigiane, che ne fa la storiografia ufficiale, finanziata dalle giunte rosse, con agiografi, pubblicazioni e convegni, sfacciatamente faziosi, e per gran parte pervicacemente chiusi a qualsiasi diversa interpretazione di quei tragici

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eventi di guerra, specialmente di quella stragrande maggioranza di cittadini, che quegli eventi, furono costretti a subirli, senza atteggiarsi ad eroi, o a martiri, di una qualsiasi ideologìa. Ed allora vediamo, ad esempio, la diversa interpretazione, taciuta nel libro, che ci danno di quei fatti storici, sia Gino Conti, ex confinato politico sia i fratelli Luciano ed Augusto Bartoli, tutti e tre facenti parte del gruppo di Collepardo. Il primo, in un libro autobiografico, pubblicato nel 1995. Gli altri due, nelle rispettive memorie di alcuni anni fa. “Io Gino Conti - Rivoluzionario di Professione” (Tofani editore in Alatri) “Quando fummo liberati, dall’isola Ventotene, partimmo a scaglioni, con mezzi di fortuna, perché il battello che ci collegava con il continente era stato affondato dagli americani alla vigilia della caduta del fascismo”. Lui era diretto a Milano, passando per Roma il 22 agosto 1943 ebbe la pessima idea di andare a salutare Giovanni Roveda, che aveva conosciuto a Ventotene, ma alcuni mesi prima, durante una licenza si era dato alla latitanza, e si trovò ad essere il dirigente più autorevole in libertà, al momento della caduta del fascismo, perché Badoglio lo aveva nominato commissario sindacale, insieme al socialista Buozzi ed al cattolico Grandi. Roveda gli chiese di fermarsi a Roma, dicendogli che aveva bisogno di lui. Nel pomeriggio dell’8 settembre venne annunciato l’armistizio. Il 10 Roma era già occupata dai tedeschi.

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Tutti si erano dati alla macchia. Fino a quella data si trovava senza legami con il Partito comunista romano. La radio diceva che Badoglio stava preparando la fuga verso Brindisi, con la famiglia reale, con il governo e lo stato maggiore. Aveva la sensazione che la città sarebbe stata difesa, perché la consistenza delle truppe tedesche intorno a Roma era scarsa. Gli anglo-americani erano già arrivati a Salerno e la situazione dei tedeschi appariva insostenibile. Con il suo amico Castelli del quale ero ospite, uscirono per strada per vedere e per fare qualcosa: pensavano di incontrare cortei, dimostrazioni, Il giorno dopo, trovarono in giro molto fermento. Tentarono di parlare con i soldati e i civili, in Piazza Indipendenza, e alla stazione, cercando di spiegare la necessità di resistere ai tedeschi, di cacciarli dall’Italia, ma gli sembrava di parlare al vento. Il disorientamento era totale, e non trovarono traccia di organizzazione. Badoglio era già scappato, ma vigeva lo stato d’assedio decretato da lui e il compito delle forze armate italiane era di fronteggiare la popolazione, non di resistere ai tedeschi. Il Conti prosegue dicendo che: “A Roma vi era la direzione del Partito, e la organizzazione locale. Noi dipendevamo da Roveda, quindi dalla direzione del Partito. Ma non era chiaro quale ruolo dovessimo avere. Di fronte a me avevo tre alternative: tornare al nord, restare a Roma, andare al sud. Scelsi di andare al sud, tanto per dimostrare a me stesso di aver saputo prendere una decisione. In realtà ero sotto trauma. Isolato, disorientato, disinformato, in balìa delle

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voci e degli eventi, le mie scelte furono fortemente influenzate dall’emotività del momento e finché rimasi a Roma non misi mai piede fuori di casa, e nemmeno mi facevo vedere alla finestra.” “Oggi dopo trent’anni, mi rendo conto che la mia reale paura non era di incontrare dei poliziotti, ma dei compagni, che, temevo, mi avrebbero proposto di riprendere la mia attività restando a Roma, senza che potessi sottrarmi alle decisioni di Roveda, ed al pressappochismo dei compagni di Roma”. E sì perché un professionista come lui, non poteva sottostare agli ordini di qualcuno, e fu così che decise di venire in Ciociaria. Precisamente presso la cugina Renata, che si trovava sfollata ad Alatri, a metà strada tra Roma e la zona di guerra di Cassino. Qui sentì subito di trovarsi in un mondo diverso, perché vicino alle retrovie del fronte. A Roma i tedeschi erano pochi, Alatri ne era piena. Cominciò a prendere confidenza con l’ambiente. I tedeschi davano la caccia ai giovani. Il fronte intanto si era stabilizzato a Cassino, ed era impensabile poterlo attraversare. Così anche l’operazione sud venne da lui definitivamente accantonata, e decise di rimanere in Ciociaria. Capì, però, che presto ad Alatri non poteva restare. I tedeschi facevano razzie di uomini, e la cosa gli appartiva assai grave perché si credeva che li portassero in Germania a lavorare e solo più tardi si seppe che finivano a scavare le trincee dietro il fronte, da dove presto o tardi scappavano.Con lo stabilizzarsi del fronte l’attività dell’aviazione alleata divenne sistematica.

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Essa dominava il cielo indisturbata, Mitragliava, e spezzonava le strade di giorno, e bombardava di notte le città, o i paesi, dove c’erano i tedeschi. .Prima o poi sarebbe stata la volta di Alatri, ma qui, quando arrivò, lui non c’era più. Aveva deciso di trasferirsi a Collepardo nella Certosa di Trisulti. Appena arrivato decise di cambiare nome. Da Alfredo Bonelli, a Gino Conti. Un nome comune che non avrebbe dato nell’occhio. Trovò però subito una sorpresa, perché i frati offrivano ospitalità solo per tre giorni. Dopo di che, ottenne ospitalità in una famiglia di contadini, nelle vicinanze, dove a sua volta era sfollata con tutto il bestiame, per salvarlo dai tedeschi. In Ciociaria vi erano molti uomini alla macchia, militari meridionali che provenivano dal nord, ma rimanevano imbottigliati prima dalla linea del fronte. Poi c‘erano i prigionieri alleati, che liberati con l’8 settembre, speravano di raggiungere gli anglo-americani. Vi erano poi gli sfollati da Roma, in gran parte militari sbandati. A questi si aggiungevano gli sfollati cacciati dai tedeschi dalla zona del fronte. Infine vi era l’esercito tedesco, che si era insediato un po’ dovunque. Quando il Conti, ai primi di marzo del 1944, lasciò la Ciociaria, la situazione si era fatta drammatica, quindi inadatta a svolgere qualsiasi azione di contrasto contro i tedeschi, ancora ben armati e pronti a reagire a qualsiasi attacco, che non era neppure possibile organizzare, dato il sottosviluppo in cui, secondo lui, tutta la provincia si trovava e dato che, la popolazione dell’epoca era costituita in maggioranza da contadini e da pastori, con modelli culturali preindustriali, tutti analfabeti o quasi, con i quali era impossibile comunicare.

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Politicamente poi, sempre secondo lui, la provincia aveva tradizioni reazionarie. Era una Vandea dello stato pontificio, dove i papi reclutavano le loro truppe. E qui ammette, senza volerlo, una lampante verità, quando ricorda che, durante la sua attività sotto il fascismo, non aveva mai conosciuto dei compagni del posto. La Federazione comunista di Frosinone non era mai esistita, sparpagliati e isolati i pochi comunisti. La popolazione percepiva gli alleati come liberatori, e ciò a lui dispiaceva, perché in attesa del loro arrivo la gente cercava di non irritare i tedeschi. Non gli risultavano infatti tentativi spontanei di resistenza armata; un’ attività partigiana sarebbe stata considerata una follìa, specialmente da parte dei contadini. L’attesismo, cioè l’attesa passiva degli alleati per essere liberati, era generale. E finché lui rimase in Ciociaria, ai tedeschi non era neppure riuscito a creare un apparato locale collaborazionista. Solo alla fine della sua permanenza gli venne annunciato l’arrivo dal di fuori, di una piccola guarnigione repubblichina A Fiuggi: “pochi, forestieri, spaesati e impauriti” gli assicurarono. Lui però non li vide mai. E crede che le sue siano le uniche memorie di un organizzatore della resistenza, nelle quali dei fascisti, e delle loro prepotenze al servizio dei tedeschi, non si parla mai. Ebbene, ciò smentisce clamorosamente la caccia che i partigiani comunisti e cattolici organizzarono subito dopo l’arrivo degli alleati, contro i fascisti e contro i repubblicani di Salò, accusandoli di essere i sicari dei tedeschi, da epurare e condannare, senza appello e senza prove, per pura sete di vendetta.

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La Certosa di Trisulti costituiva secondo lui un punto stabile e sicuro di riferimento, e i frati rappresentavano una fonte di informazione seria ed efficiente, e grazie a loro poté fare la sua base operativa, per la sua attività mobile. Anche se la Certosa si era trasformata in accampamento di profughi. Tra i quali molti militari, di grado e di età diversi. Erano per lo più, ammette, ufficiali di carriera e in parte di complemento. Costituivano un gruppo coeso, ma sentiva molto l’influenza gerarchica ed era orientato verso il re e verso il governo Badoglio. Quindi, i partiti antifascisti (compreso il comunista) non collaboravano con le forze monarchiche, ed erano esclusi dal governo. Con quegli ufficiali non fu possibile alcuna collaborazione politica. Per questo, con loro, non fu possibile organizzare in Ciociaria un’attività militare, e farli partecipare ai Comitati Nazionale di Liberazione, che lui stava creando. Neppure gli internati iugoslavi, che si trovavano nel campo delle Fraschette ad Alatri, riuscì a coinvolgere in alcuna attività. Così giustifica anche questo insuccesso. Nel campo i compagni erano pochi e l’organizzazione di partito era debole. E convenne con loro che non era pensabile utilizzarli per la guerra partigiana, in un ambiente del tutto estraneo. Ma il nostro, a causa della presenza massiccia di tedeschi, dopo aver constatato che, la sua presenza era inutile, e i suoi compagni non si fidavano di lui, perché il suo motto consisteva nell’ “armiamoci e partite” allora decise di tornarsene a Roma. Dove invece era più facile nascondersi, senza uscire mai di casa, come del resto aveva già fatto dopo il 25 luglio 1943, quando il governo Badoglio lo aveva liberato da

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Ventotene, insieme a tutti gli altri confinati politici. Temeva di essere addirittura eliminato dai cattolici del CNL, come testualmente scrive a pagina 56 della sua Memoria: Nel corso della sua attività aveva sempre tenuto presente la possibilità di venire eliminato dai suoi stessi alleati cui poteva dare fastidio. Lui non era del posto, ed era assai facile costringerlo ad abbandonare la zona. Il colpo poteva venire dal Conti Raffaele o dalla Chiesa. Dal Conti perché aspirava ad essere riconosciuto come comandante militare, forse anche come rappresentante del governo libero del sud, e lo percepiva come concorrente. Dalla Chiesa perché, abituata da sempre al dominio incontrastato della zona, poteva vedere con timore il sorgere di un movimento comunista capace di spezzare il suo monopolio. Il nostro rivoluzionario aveva, infatti, appena iniziato i suoi rapporti con Giannetti di Paliano, quando nella seconda metà del febbraio 1944, il Conti lo avvertì con urgenza che era stato individuato e che i tedeschi lo stavano cercando. Come prova gli disse che a Fiuggi esisteva la sua carta d’identità con fotografia. “L’ ha vista lei personalmente?”. Gli chiese “Si, personalmente” rispose. Gino Conti non dissi nulla e se ne andò, perché sapeva che non esisteva nessuna carta di identità intestata al suo nome, ma Raffaele Conti non lo sapeva. Tuttavia, individuato o no, ciò che a lui importava, era che il Conti partigiano cristiano voleva che il Conti comunista la lasciasse la Ciociaria. Il nostro non sarebbe rimasto contro la volontà delle forze politiche del posto con cui doveva collaborare.

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Ormai l’ organizzazione del Partito e della Resistenza (sic!) potevano andare avanti anche senza di lui, con Pietrobono e Silvestri. A questo punto, per inquadrare il personaggio “Gino Conti, la cui tattica preferita era quella sintetizzata dal motto “Armiamoci e partite”, e per far conoscere le imprese eroiche dei due allievi stalinisti (Tullio Pietrobono e Raul Silvestri) che lui, nelle sue memorie, si vanta di aver indottrinato e istruito per la lotta partigiana, lasciamo parlare invece i due fratelli Luciano e Augusto Bartoli di Frosinone (comunista l’uno, socialista l’altro) in quel periodo anche loro sfollati a Collepardo e nella Certosa di Trisulti, insieme agli altri coraggiosi antifascisti e partigiani di Frosinone, di Ripi, di Alatri e di Collepardo. I quali, tornati dalla guerra voluta dal Fascismo, da loro supinamente accettata, con tanto di giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria, e dopo aver combattuto, su tutti i fronti, a fianco dei tedeschi e contro i russi e gli anglo-americani, dopo l’8 settembre ’43, all’arrivo delle truppe di liberazione diventano tutti feroci nemici del Fascismo.

Gli antifascisti del giorno dopo Augusto Bartoli, nel suo saggio “Poveri oscuri eroi” pubblicato qualche anno fa, racconta che “Dopo essere tornato dalla guerra di Grecia gravemente ferito e rimasto, fino all’armistizio dell’8 settembre, in licenza di convalescenza , il 13 luglio 1943 era di nuovo a casa con suo padre. Ma non erano passati neppure dieci giorni che il 22 luglio ebbe la sorpresa di non vederlo rientrare la sera. Lo aspettò tutta la notte e la mattina, recandosi alla Questura, apprese che suo padre si trovava nelle carceri mandamentali.

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Era destino che ogni volta che tornava in licenza di convalescenza dovesse avere la disavventura di assistere alla messa in carcere di suo padre per motivi politici. Era accaduto che il 19 luglio gli anglo-americani avevano bombardato Roma. Ed il padre il 21 ebbe la disgrazia di incontrare un amico di gioventù, squadrista fascista, che gli disse: “Peppino mio, mi sono trovato a San Lorenzo al bombardamento di Roma, che spavento!! E’ stata una esperienza traumatica.” Ma il padre ironico gli consigliò di purgarsi. Lo squadrista a quel punto, andò su tutte le furie. Il giorno dopo, mentre suo padre stava in un bar del centro a fare il suo tre sette serale, sopraggiunse un gruppo di squadristi, e lo portarono nella casa del fascio, dove lo costrinsero a bere un quarto di olio di oliva, perché i “cialtroni” non avevano trovato nessuna farmacia aperta per propinargli il rituale olio di ricino; poi fu condotto nelle carceri mandamentali”. Arrivò fortunatamente il 25 di luglio, con la caduta del Fascismo e l’arresto di Mussolini.Il padre però rimase in carcere e solo il 29 luglio 1943 fu liberato a furor di popolo e portato in trionfo.

L’ Armistizio e lo sfollamento Augusto Bartoli dopo la liberazione del padre tornò a casa euforico, ma si illudeva che con la fine del fascismo la sua famiglia avrebbe ricevuto rispetto, considerazione e riconoscimenti. Infatti non fu così. Perché con l’ armistizio dell’ 8 settembre, e dopo il bombardamento dell’11 che fece gravi danni a Frosinone, dalla città cominciò lo sfollamento della popolazione, verso le campagne circostanti e nei paesi di montagna.

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Il fratello Luciano, anche lui militare fuggiasco, arrivò a casa, portando nelle casse familiari ben 700 lire che era una cifra importante per quel periodo. Pochi giorni dopo il fratello pensò di andare a piedi a trovare una famiglia di parenti (Colasanti) e da questa riuscì ad ottenere perfino un prestito di 6.000 lire che a quel tempo era un patrimonio, tanto è vero che il padre disse che potevano andare avanti per mesi, e pertanto, malgrado il bombardamento non avevamo pensato di sfollare da Frosinone.” Alcun giorni dopo però il padre disse che erano stati invitati da un amico avvocato, in una villa di campagna vicina a Frosinone. Si trasferirono presso di lui, e con il suo unico figlio, stabilirono una buona amicizia. Fu nel terreno circostante che il fratello nascose in un pagliaio due fucili mitragliatori e un certo numero di moschetti modello.38, trafugati dal Distretto Militare di Frosinone, con l’aiuto di alcuni suoi amici. Ora, mentre nelle sue memorie Augusto Bartoli, non cita la località, né la famiglia dell’amico avvocato, a pagina 90 del libro a “Storia di Guerra a Frosinone” si dice chiaramente che, i fratelli Bartoli: “A Collepardo, incontrano l’ex confinato politico comunista Gino Conti, e i due suoi allievi, Tullio Pietrobono e Raul Silvestri, che lui stava indottrinando”, e con i quali “si danno come obiettivo primario, quello di procurarsi delle armi, recuperando intanto i moschetti e i fucili mitragliatori, da tempo nascosti a Frosinone, in contrada Maniano, nel pozzo della casa, dove erano sfollati i Marzi”

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La villeggiatura tra Maniano e Collepardo Durante quel soggiorno, nella villa dei Marzi, la noia indusse i fratelli Bartoli a fare una escursione in alcuni paesi vicini, per andare a trovare quei parenti, che li avevano aiutati con il prestito. Partirono al sorgere del sole e raggiunsero il paese (Collepardo) dove trovarono sfollato quel caro amico (Alberto Colasanti) che li aveva ospitati nella sua villa di Frosinone, durante la mia prima convalescenza di guerra di Augusto, nel gennaio 1941. Come sempre, fu con loro, molto ospitale, e a ricordo dell’incontro, volle che facessero una foto con lui e con Arnaldo (figlio del Marzi) che, a distanza di anni gliela fece avere (ed è qui riprodotta). Nel pomeriggio sempre a piedi andarono a Guarcino, dove trovarono altri sfollati di Frosinone ed altri parenti (ancora i Colasanti) che li fecero pernottare in casa loro. Ripartirono la mattina seguente, e verso il tramonto tornarono nel Casale di Marzi ) accolti dai rispettivi genitori, che vollero essere ragguagliati di tutto. Alcuni giorni dopo accadde che un amico del fratello Luciano (Ottavio Volpe) con il quale aveva trafugato le armi, fosse arrestato, e questo fatto li indusse a trasferirsi in uno dei paesi (Vico nel Lazio) che avevano già visitato. A questo scopo, tornarono nel loro villino, in contrada San Lorenzo di Frosinone a preparare le masserizie da portar via le caricarono sul carretto trainato da un mulo, che il padre aveva noleggiato e partirono verso la località stabilita, dove giunsero nel pomeriggio. Pranzarono nella locanda di Bracalone di lì furono indirizzati presso una

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famiglia che gli dette due locali in affitto, e lì si fermarono. Augusto continua dicendo: “Passavo le giornate disteso in una branda, andavo a pranzare un unico pasto bella stessa locanda, e qualche volta per divagarmi uscivo con mio fratello che cercava compagnia, ma negli incontri che faceva parlava spesso di costituzione di bande armate, ma io lo consigliavo di stare attento a parlare di quelle cose, se volevamo stare tranquilli come gli altri sfollati facevano.”

Gli allievi di Gino Conti A pag.51 – “Costoro, figli di padri fascisti e loro stessi già giovani fascisti, come quasi la totalità degli italiani, stavano apprendendo dal confinato che tutta l’ Italia sarebbe diventata inevitabilmente comunista e che occorreva prepararsi per prendere il potere. Mio fratello aderì anche lui al verbo del confinato politico e si associò al gruppo.” “Primo obiettivo era quello di procurarsi le armi e mio fratello disse dove stavano e che bastava andarle a prendere.” “Tornato al paese mi informò di tutto; cercai di dissuaderlo, ma non ci fu niente da fare. Per evitare il peggio accettai di partecipare al trasporto delle armi. Ero il solo a conoscere come si potessero smontare i fucili mitragliatori. Predisposi l’operazione: mio fratello ed uno dei due allievi comunisti (Raul Silvestri) avrebbe fatto il trasporto dei moschetti mod.38 nella notte; io e l’altro allievo comunista (Tullio Pietrobono) ci saremmo incaricati del trasporto dei fucili mitragliatori”.

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“Pur sapendo di correre qualche rischio, preferivo fare l’operazione di giorno.” “Si doveva scendere a valle, percorrere parecchi chilometri, raggiungere il luogo dove erano nascoste le armi e tornare indietro attraverso la campagna; poi salendo una zona montagnosa, raggiungere la Certosa. Alcuni giorni dopo ebbe inizio l’operazione “trasporto armi”. “Mio fratello era partito il giorno prima. Io, con il neofita comunista (Raul) il giorno dopo, raggiunsi, nella mattinata il luogo dove erano nascosti i due fucili mitragliatori, li smontai entrambi: uno lo misi dentro il mio zaino, l’altro andò nello zaino dell’allievo comunista (Pietrobono)”

Il compagno irriconoscente

A pag. 52 - “Ci incamminammo verso la campagna. Si sapeva che avremmo dovuto attraversare la strada provinciale. Giungemmo nei pressi, in quel momento l’allievo procedeva avanti di qualche metro.” “Era arrivato al limite della strada, quando lo vidi arrestarsi, come per fuggire, notai una pattuglia tedesca che avanzava sulla strada.” “Mi resi subito conto che ci avevano visto; un attimo di esitazione sarebbe stata la morte sicura.” “Lo affiancai con decisione, gli diedi un pugno ad un fianco, scesi nella strada, salutando con la mano romanamente il maresciallo che era in testa, il quale contraccambiò il saluto con un sorriso, attraversai la strada e mi immisi nella campagna circostante.”

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“Il neofita comunista (Pietrobono) fortunatamente mi aveva seguito. Insieme proseguimmo silenziosi, piuttosto emozionati, attraverso la campagna per poi cominciare l’ascesa della zona montagnosa” “Il compagno comunista mi doveva la vita, ma non se ne è più ricordato, né mi ha mai accennato a quel trasporto di armi che facemmo insieme. Mentre arrancavamo, a metà costa vidi mio fratello e l’altro allievo (Raul).” “Li raggiungemmo, e con loro finalmente arrivammo alla Certosa. Ricomposi i pezzi dei due fucili mitragliatori, lasciandoli in custodia ai due neofiti comunisti.” “Lontano vidi per la prima volta il prudente confinato politico (Gino Conti) che ritenne, da vero cospiratore, non avvicinarsi.” “Tornai al Paese con mio fratello, avevo corso il pericolo, se perquisito dai tedeschi, di essere ucciso sul posto; anche mio fratello mi informò di avere una riunione in un luogo isolato con l’ex confinato politico ed i suoi due allievi.” “Sempre con il timore che mio fratello avesse ad affrontare altre pericolose avventure che potessero coinvolgere tutta la famiglia, mi decisi ad andare all’appuntamento, a Collepardo.” L’unica vera azione, contro i tedeschi “Ci incontrammo in un bosco; l’ex confinato politico, dopo un preambolo sulla necessità di opporsi con le armi ai fascisti ed ai tedeschi entrò nei particolari della lotta armata, precisando che io e mio fratello, con i due fucili mitragliatori recuperati, avremmo dovuto attaccare un noto presidio tedesco.”

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“Aggiunse che i due suoi allievi comunisti sarebbero rimasti con lui per fare “Scuola di Partito, questa fu la sua precisa espressione.” “Rimasi di sasso, allibito di fronte a tanto opportunismo; subito replicai che ciò che mi proponeva di fare, era una operazione suicida e semmai avremmo potuto effettuarla con lui in testa e i suoi due allievi comunisti, se volevano proprio suicidarci.” “Mi precisò che poteva solo dirigere la lotta armata, ma non parteciparvi, non avendo, tra l’altro, esperienza di armi. Chiusi il colloquio con parole molto pesanti e che non intendevo prendere ordini da nessuno, qualora dovessi attuare un’azione partigiana.” “Silenzioso si allontanò e i suoi due neofiti comunisti lo seguirono come pecore.” “Il confinato comunista, stalinista, in una sua pubblicazione, apologetica ull’indottrinamento dei due suoi allievi, non ha parlato di questi avvenimenti, pur così significativi, perché come rivoluzionario di professione, non gli risultava utile.” “Tanto è vero che ebbe anche a negare l’azione di fuoco portata a termine dal gruppo da me organizzato.” Infatti nel libro “Io Gino Conti rivoluzionario di professione” si legge: “Ricordo che un giorno Pietrobono mi avvertì che due suoi compagni affermavano di aver condotto un’azione di fuoco notturna, contro automezzi tedeschi. Esaminammo la cosa e concludemmo che quell’azione non ci fu mai stata” “Ecco perché il fantomatico Comando Supremo Rivoluzionario con dimora nella Certosa di Trisulti, in luogo sicuro e di villeggiatura, non diede notizia dell’azione di fuoco.”

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Augusto Bartoli era rimasto sconcertato dal colloquio con l’ex confinato politico comunista al quale avrebbe voluto dimostrare come andava condotta un’azione partigiana, salvaguardando la vita di chi operava nell’azione e dando soprattutto l’esempio. Passò circa un mese e l’occasione gli si presentò verso la prima decade di febbraio del 1944, quando suo fratello Luciano lo mise al corrente che alcuni giovani del Partito d’Azione provenienti da Roma, cercavano chi potesse consigliarli a portare a termine una operazione di fuoco dimostrativa contro i tedeschi, rendendoli edotti della sua esperienza fatta in Albania e sul fronte Greco. S’incontrarono per scegliere le zone lontane dalle abitazioni per evitare rappresaglie su innocenti e discutere i dettagli dell’operazione. Il 22 febbraio doveva essere il giorno dell’operazione. Uscirono dalla riunione che era notte, vigeva il coprifuoco. Improvvisamente imboccarono la via principale, gli fu intimato l’alt da una pattuglia tedesca, e mentre con i mitra spianati venivano portati al comando del presidio, scoppiò un inferno di fuoco. Augusto cercò di mettersi al riparo aggrappandosi alle spalle di un tedesco, gli mormorò dolcemente “Buono tedesco”. La fuga verso l’Abruzzo

Finalmente la sparatoria cessò senza vittime, e un componente del gruppo si era dato alla fuga. Con metodi minacciosi furono portati al Comando, di fronte ad un maresciallo. Mentre aspettavano Augusto ebbe un lampo di genio. Prese dal suo portafoglio la licenza di

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convalescenza di 60 giorni per postumi di ferita riportata in combattimento” e la consegnò al maresciallo, qualificandosi “Ufficiale”. Il tedesco lesse il documento e subito si alzò mettendosi sull’attenti. Gli disse che garantiva per il gruppo e li rimise in libertà. Fortunatamente trovarono un tedesco diverso. Lui ed il fratello avevano deciso di dividersi, dando vita a due gruppi. Augusto insieme ad un giovane alto e robusto con una lunga barba, di cui non conosceva il nome. Il suo vero nome era Alberto De Rocchis di Collepardo, ma lui lo ha saputo nel 1990 quando lo lesse in una pubblicazione della Provincia, dove si parlava di questa operazione partigiana. Il giovane che aveva affiancato suo fratello, si chiamava Ezio Croce. Raggiunsero Pitocco di Vico nel Lazio, che era la località stabilita, e si appostarono sul ciglio rialzato della strada” Tra gli automezzi che passavano sotto di loro, videro una camionetta tedesca, e contro di essa lanciarono le bombe. Dopo il duplice scoppio, si dettero alla fuga. Proseguirono, prendendo la scorciatoia che li portava verso Trevi nel Lazio, che era il posto sperato, per trattenersi sino alla liberazione. Rimasero lì circa tre mesi, ed assistettero alla ritirata dei tedeschi, quando arrivò una colonna di muli, che dopo una breve pausa alle porte del Paese, proseguì verso Filettino per andare in Abruzzo”. “Dopo una settimana, vedendo che in tutta la zona non c’era più la presenza, né dei tedeschi, né dei militi repubblicani, decisero di tornare a Vico nel Lazio,

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dove c’era il padre e con lui fecero i preparativi per rientrare a Frosinone. La città era in gran parte distrutta, ma il loro villino per fortuna non aveva subito alcun danno. Però era occupato da alcuni sfollati, ma si sistemarono subito al piano terra. I padroni della Federazione del Pci

Quando, dopo qualche giorno suo fratello si recò nella sede del Pci, vicino a Piazza Garibaldi, trovò che vi si erano istallati i due allievi dell’ex confinato comunista (Tullio Pietrobono e Raul Silvestri). E’ da notare che i due non avevano mai abitato a Frosinone, ma vi si erano trasferiti per affari politici. Avevano avuto infatti, un’ottima scuola di partito dall’ex confinato politico. Suo fratello ebbe anche la sorpresa di leggere affissa sulla porta d’ingresso la notizia della sua espulsione dal Pci, per “Attendismo” accusa più assurda e mendace non gli si poteva fare, senza neppure contestargli l’imputazione. Oggi Augusto Bartoli, dice che si trattava di puri metodi stalinisti, perché in quel periodo non c’era nemmeno la possibilità di difendersi da simili accuse. Ma ben altro doveva succedere di lì a poco. Ed Augusto così spiega gli eventi successivi: “Qualche settimana dopo a Roma, dove mi ero recato, incontrai alla stazione Termini il giovane che con mio fratello aveva effettuato la menzionata azione di fuoco contro i tedeschi. Mi disse che erano corse su di noi accuse di collaborazionismo con i tedeschi; ne rimasi allibito, anche perché l’interlocutore mi pareva convinto,

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nonostante che lui fosse stato un componente di quell’azione. Era evidente che si fosse lasciato catechizzare, dimenticando che, mostrando al maresciallo tedesco che ci aveva fermato il documento della mia convalescenza, per le ferite riportate, come ufficiale dell’Esercito italiano, salvai lui e l’intero gruppo di fuoco., da chissà quale tragica conseguenza.” Giuseppe Bartoli L’ultimo purgato del Regime “Di ciò ebbi conferma molto tempo dopo, sempre a Roma, dove all’Ospedale del Celio, incontrai un altro ex confinato politico, farmacista della Russi di Frosinone, caro amico di mio padre e di mio fratello. Parlando delle vicissitudini di mio fratello, mi rivelò che lui,inviato dalla Direzione del Pci per dirimere l’espulsione di mio fratello, nella Federazione gli fu dichiarato da due allievi comunisti che i fratelli Bartoli, tra l’ altro, erano stati collaborazionisti dei tedeschi, precisandomi che chiese loro una dichiarazione scritta, per farci arrestare, ma loro si rifiutarono”. “Solo dopo oltre un anno, un certo Buda inviato dalla Direzione Centrale del Partito a dirigere la Federazione comunista, per ristabilire un po’ di legalità, assolse mio fratello da ogni accusa e lo riammise nel Pci. Ma ormai il disegno di estromettere mio fratello dalla vita politica era stato avviato, tanto è vero che contro i calunniatori non vi fu un solo atto di condanna del Pci. Ma per la famiglia Bartoli, non fini così. Una notte fummo svegliati da poliziotti della democrazia antifascista che erano gli stessi del passato regime.”

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“Cercavano armi nella nostra abitazione, rimasero tutta la notte, non avevano alcun mandato di perquisizione, ma non trovarono nulla. Il giorno dopo mi recai nella Questura che aveva la sede nello stesso piano, dove prestavo servizio come impiegato. Chiede di essere ricevuto dal Questore, facendo il mio nome. Appena entrai nella sua stanza, non ebbi neppure il tempo di proferir parola che, con gli occhi fuori dalle orbite, con voce alterata gridò: “Su suo padre abbiamo un dossier grosso così” allargando le braccia. Feci dietrofront e me ne andai in fretta. Spesso mi sono domandato quali fossero le ragioni di quella perquisizione. Certamente il Questore era stato connivente con il federale fascista e dopo la caduta di Mussolini male aveva digerito la “scarcerazione di mio padre imposta a furor di popolo dopo il 25 luglio 1943.” “E nei giorni successivi, dopo aver dovuto liberare mio padre, ebbe lo scorno di incarcerare i fascisti che glielo avevano consegnato, ma, dopo l’ 8 settembre, furono liberati. Egli doveva certamente essere venuto a conoscenza del processo in corso al Tribunale contro gli aguzzini di mio padre, e quindi ad effettuare la perquisizione nella nostra casa, con la speranza di trovare qualcosa per poterci incriminare.” “La storia del suo millantato dossier su mio padre era una falsità bella e buona. Infatti così si deduce dalla sentenza del Tribunale di Frosinone.”

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Inesistenti le azioni partigiane

Ho voluto riportare dettagliatamente ciò che i due fratelli Bartoli hanno narrato nelle rispettive pubblicazioni, per dimostrare come la lotta armata contro i tedeschi, quel ristretto gruppo degli antifascisti di Frosinone, Alatri e Collepardo, che si erano quasi per caso ritrovati sfollati, in un luogo sicuro e di villeggiatura, quale certamente era la Certosa di Trisulti, non ebbe neppure il coraggio di tentarla, nonostante che alla sua guida vi fosse un rivoluzionario di professione, come Gino Conti. Il quale era venuto da Roma su preciso mandato del Pci, per organizzarla, ma senza parteciparvi. L’ unica azione di fuoco che fu messa in atto, ma con scarso successo, fu proprio quella narrata dai fratelli Bartoli, i quali, ironia della sorte, verranno poi accusati dai feroci compagni stalinisti, addirittura di collaborazionismo con i tedeschi e i fascisti e con tale infamante accusa verranno, Luciano espulso dal Partito comunista, ed entrambi emarginati dalla vita politica e civile della città. Tutto ciò nonostante che il padre Giuseppe, fosse stato l’unico vero antifascista di Frosinone e provincia, più volte arrestato e purgato due giorni prima della caduta del Fascismo, da quegli stessi fascisti che, dopo l’8 settembre e la liberazione, diventeranno comunisti e partigiani.

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LA CITTA’ DOPO

Con l’occupazione totalitaria del potere

A cominciare da quella del 1° giugno 1944, quando, come scriverà l’anziano militante comunista Domenico Marzi (cifr.“La Guerra a Frosinone 1943 -1944 pag.133) “Mentre ancora tuonava il cannone e le truppe liberatrici erano giunta nei pressi della collinetta della S.S. Trinità, l’ Amministrazione (sic) prendeva possesso delle baracche abbandonate dagli amministratori fascisti e dagli stessi impiegati e si recava a rendere il benvenuto alle truppe liberatric. Nella baracca di legno eretta proprio di fronte al Santuario, e che da alcuni mesi fungeva da sede municipale, lo stesso giorno, si insedia, come Giunta comunale provvisoria, quello che era stato fino ad allora il Comitato di Liberazione di Frosinone” (Già il nome del Comitato è un falso storico se è vero che il Marzi aveva già detto che ”l’Amministrazione si recava a rendere il benvenuto alle truppe liberatrici) Il racconto nel Libro prosegue: “Fanno parte della Giunta, oltre all’avvocato Domenico Marzi, che la presiede, i comunisti, Serafino Spilabotte, Vittorio Antonucci, e Giuseppe Angelilli, il socialista Antonio Spaziani, il democristiano Cesare Marchioni, e il Parroco di Santa Maria don Luigi Minotti. Il primo atto del Cnl, è un proclama, col quale i cittadini di Frosinone, sono invitati a manifestare “ La nostra ammirazione, alle vittoriose truppe degli alleati che hanno sconfitto a Cassino la roccaforte ritenuta inespugnabile e che con impeto formidabile hanno messo in fuga le orgogliose orde naziste iniziando l’assalto finale contro le bande fasciste e hitleriane”

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E qui viene da chiedersi, con quale pudore gli antifascisti ciociari, da 60 anni in poi, non hanno fatto altro che rivendicare a se stessi, la liberazione della nostra provincia dalle truppe nazifasciste? Mentre è assolutamente vero, che essi, attraverso il seguente comunicato, si siano impossessati, senza legittimità, di tutte istituzioni provinciali e locali.

TUTTI A PALAZZO GRAMSCI

Come al Palazzo d’Inverno

Cittadini “Il C.N.L. , costituito da tutti i partiti antifascisti, in accordo con il Governo Badoglio (fuggito dopo l’ 8 settembre) assume il potere del Comune. Dopo ventidue anni di dittatura fascista, riprende la vita civile. “Chiediamo la vostra collaborazione e la vostra disciplina! Governeremo con giustizia e con assoluta franca onestà! Avanti, cittadini, verso la conquista di u n futuro migliore! Lunga vita agli alleati. Lunga vita alla nostra Italia” E di conseguenza, come si legge nel Libro: “La designazione di Marzi a sindaco della città, da parte del Cnl di Frosinone viene confermata dal nuovo Prefetto Zanframundo(?) con uno specifico decreto.Ma il Sindaco Marzi e la sua Giunta non avevano aspettato la formalizzazione del loro incarico per affrontare gli enormi problemi della città.” “Il Cnl, già nei primi di giugno del’ 44, aveva incaricato l’Ing. comunista Giovanni Carrassi della riorganizzazione dell’attività degli uffici e dei servizi dell’Amm.ne provinciale.

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Dopo la caduta del Fascismo, tra gli altri erano scomparsi dal palazzo, insieme al preside Filippo Berardi ed al federale Augusto Pescosolido, mi molti funzionari e impiegati dell’Ente e della Federazione fascista che ne costituivano il personale. Dopo i primi bombardamenti su Frosinone i dipendenti rilasti in servizio avevano seguito lo spostamento della sede a Fiuggi, avvenuta l’8 novembre del ’43, con meta le 20 stanze della Pensione Iris a Fiuggi Fonte. Ora per far tornare a far funzionare l’ente, Carrassi deve rimettere insieme la diaspora dl personale, ed egli rivolge un appello a tutti i vecchi dipendenti, informandoli che la sede dell’Amministrazione Provinciale è tornata a Frosinone, e che: “Il 4 giugno ad Alatri è stato arrestato l’ultimo “preside” fascista Arduino De Persiis (insieme a B.Uberti)” Il 5 giugno, viene arrestato il maresciallo Americo Tagliaferri e Scappaticci, solo perché ex repubblicani. L’’8 giugno, Giacinto Minnocci e Giuseppe Pelloni, arrestano Carlo Bellincampi nei pressi di Ferentino, ed altri,e che tutti sono tenuti a riprendere servizio. Sempre Carrassi, insieme al solito Marzi, si recano più volte ad Alatri e a Fiuggi, dove risiedono ancora molti dipendenti, per invitarli a tornare a riprendere nel capoluogo. Quasi nessuno però risponde agli appelli, alcuni perché ancora non rientrati dai fronti di guerra e di prigionia, altri perché essendo entrati nell’Ente dopo la sua creazione, avvenuta nel 1927 sotto il passato regime, giustamente temevano la sicura vendetta dei nuovi fascisti.

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ALLA PROVINCIA

Si passa dai fascisti ai comunisti

Infatti, per tutti coloro che non si presenteranno i nuovi padroni adotteranno prima un provvedimento di sospensione, poi il deferimento alla Commissione provinciale di epurazione, che ha la sua sede, guarda caso, nello stesso palazzo, dove già si è sistemata la intera nomenclatura comunista, per la quale, come si legge a pagina 164 “si pone come prioritario il problema di rimpiazzare i vuoti del suo organico”.E che ti fa la nomenclatura rossa, per ovviare a questa difficoltà? Il solito comitato di liberazione mette a disposizione di Carrassi alcuni giovani ex partigiani o reduci dal confino, i quali vanno a costituire così il primo nucleo del nuovo apparato burocratico dell’Ente di Piazza Gramsci. Ma in quali condizioni i nuovi arrivati trovano il Palazzo? Oreste Cicalè (guarda chi si rivede) che poi diventerà ragioniere capo dell’Ente, così racconta il suo primo giorno di servizio: “Innanzitutto mi colpì il fatto che le stanze e i saloni erano completamente privi di qualsiasi arredo. Erano scomparsi, tavoli, sedie ed armadi. Per terra era impressionante vedere sparse sui pavimenti le carte dei vari uffici e della stessa federazione dei fasci.” Il mio commento.

Ed è qui, come ricercatore di storia locale, credo di aver trovato la ragion per cui, non si trovi quasi nulla, del periodo fascista sia a Frosinone sia nei comuni, dove

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subito dopo la caduta del Fascismo si erano insediati, con prepotenza gli antifascisti, o i partigiani, designati dal Comitato di Liberazione a fare i “commissari del popolo”, arbitrariamente chiamati “sindaci”.Ecco perché, in tutti gli uffici provinciali, o comunali che siano, non c’è alcuna traccia, cartacea o fotografica, dei podestà, dei presidi della provincia, e delle scuole elementari e superiori. Oppure dei segretari del fascio locale, e del segretario federale, nei cui uffici c’era certamente una gran mole di documenti e di atti, da cui si poteva ricostruire tutta la storia del ventennio fascista, con tutte le organizzazioni create dal regime, per una infinità di categorie e quasi tutte inquadrate sotto la guida di gerarchi e gerarchetti, nominati in tutti i settori. E quanti elenchi di uomini e donne, dai sei ai sessant’anni, erano giacenti fino al 25 luglio 1943, in quegli uffici provinciali e locali, dai quali venivano regolarmente chiamati a partecipare a tutte le manifestazioni del regime? Le ricerche di Tommaso Baris. E’ l’unico storiografo che è riuscito a trovare molte tracce della nomenclatura fascista in provincia di Frosinone.. Si tratta del giovane docente dell’università di Cassino (contro cui qualche anno fa reagì in modo arrogante il Senatore socialista Minnocci, per le vittime dei marocchini ad Esperia) ma le sue ricerche si sono fermate al periodo 1927 - 1940, a quando, cioè, ai vertici provinciali e locali del regime vi erano molti reduci e combattenti della guerra 1915-18, tra i quali molti ex socialisti, che si iscrivevano al Pnf per motivi di

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affinità ideologica con Benito Mussolini fondatore dei Fasci di combattimento nel 1919, ma anche ex cattolici del partito popolare di Luigi Sturzo, per méro opportunismo politico. Manca ancora nella ricerca del Baris la ricostruzione del Regime 1940 - 1943, quando moltissimi giovani vi aderirono, per gli stessi motivi con cui fino ad allora lo aveva fatto il 90 per cento italiani. Il motivo per cui non si è trovato nulla è che, subito dopo la liberazione, così come è avvenuto al Palazzo Gramsci, a cancellare le tracce del loro passato sono piombati gli stessi fascisti che, solo dopo l’8 settembre sono diventati “antifascisti e partigiani”. Tornando al Palazzo Gramsci di Frosinone, troviamo che il 26 giugno il solito Cnl, nomina Consalvo Silvestri segretario dell’Ente e rafforza il numero dei dipendenti. A dirigere gli uffici, guarda caso, viene chiamato quel Silvestri (padre dei fratelli Renzo, Raul ed Aldo) che fino al 1943 era stato Segretario Comunale, sotto il Fascismo, prima a Torrice, poi ad Alatri.

La famiglia Silvestri, detta Rivolta A proposito dei Silvestri, Luciano Bartoli nelle sue memorie, parlando della famiglia Silvestri (che lui chiama Rivolta) dice: “Allora vidi solo il vecchio, che era segretario comunale ed il cui strombazzato antifascismo, del resto molto recente e connesso agli avvenimenti, era legato a dei dissapori avuti con il segretario fascista del piccolo comune, dove svolgeva il suo lavoro”. Poi prosegue: “Chiesi notizie a Raul (che lui chiama Rolando) del fratello Renzo (che chiama Romano) il quale aveva frequentato il liceo con me.

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Io avevo preso la maturità classica un anno prima. Romano mi era rimasto impresso perché durante l’intervallo delle lezioni, addentava invariabilmente delle fette di pane con una frittata.” E nel ricordarlo sempre con la divisa del Guf dice: “Durante la clandestinità e nelle successive vicende, che vissi con Raul (che lui chiama Rolando) mai lo incontrai.” Seppi che si teneva gelosamente nascosto, forse nei sotterranei dell’Abbazia di Trisulti. Più tardi pensai che la famiglia lo tenesse in salamoia, pronto al lancio, che sarebbe avvenuto dopo la liberazione”.

FINE DEL NAZISMO

Ma in Europa arriva l’Armata Rossa

Gli altri due fratelli Silvestri (che lui chiama Rivolta) erano troppo piccolo perché io me ne interessassi. Mio padre mi disse che lui (Renzo) era di fede monarchica. Alla liberazione lo trovai comunista, anzi lui e Raul (cioè Rolando) erano i padroni della Federazione di Frosinone. Una delle volte che mi recai a Trisulti da mio padre, lo trovai a giocare a tressette, con il vecchio Rivolta (cioè il padre Costanzo). Alla fine del dicembre ’44, a presiedere la Provincia era stato chiamato, l’avvocato Domenico Marzi. Solo il 21 marzo del ’45, però si insedia la Deputazione provinciale composta da Alberto Caperna, Angelo Carboni, Giovanni Carrassi, Costantino Cicchetti, Raffaele Conti, Luigi Montanelli, Claudio Rea, Armando Riccardi, Medoro Pallone, Segretario Generale Claudio Galeno.

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Il 30 maggio 1945 il Comitato unitario delle forze antifasciste nomina a suo presidente il solito Domenico Marzi, che passa da una carica all’altra in modo incredibile, portandosi dietro, come membri delle cosiddette forze antifasciste, uscite dalla clandestinità e come tali inesistenti. Il comitato assume tutto il potere politico che prima era esercitato quasi esclusivamente dai comunisti. Il 15 giugno 1946, diffonde un manifesto rivolto “agli antichi gerarchi fascisti” che invita “i medesimi alla pala e alla cofana” se vogliono essere perdonati delle loro azioni”. Ma guarda un po’, gli ex fascisti, il Comitato ed i partiti che ne facevano parte, ce li aveva, proprio nelle sue file, come i Bartoli, i Carrassi, i Conti, i Silvestri ed altri. Alle ore 0,16 del 9 maggio 1945, all’Istituto militare di Berlino, con la resa totale e definitiva delle forze armate tedesche, firmata, contestualmente, dai comandanti germanici, con quelli dell’ Armata Rossa e delle truppe alleate occidentali, in Europa la seconda guerra mondiale è finita. In Italia la capitolazione dei nazisti aveva determinato lo sfaldamento della Repubblica di Salò e la guerra tra i tedeschi e gli alleati anglo-americani era cessata il 25 aprile. Ma la stessa cosa non si può dire della guerra civile, che dopo l’8 settembre c’era stata tra le milizie di Salò e le formazioni partigiani del Nord, e che durerà per qualche anno, a causa della sete di vendetta che i partigiani di Tito e i comunisti italiani vollero ancora perpetuare, nelle regioni del Nord est, i primi e nel triangolo della morte, in Emilia Romagna, i secondi.

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In chiusura del Libro “La Guerra a Frosinone 1943 - 1944”, a dimostrazione della loro faziosità, gli autori hanno perfino il coraggio di riprodurre su “Il Popolano” della Federazione comunista del 1° Maggio 1945, un titolo che, più esilarante non potrebbe essere:

“I lavoratori sovietici issano su Berlino il vessillo della libertà”

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IV SUL PALAZZO DELLA PROVINCIA

Piombano i comunisti

Dopo aver narrato le vicende delle cosiddette Bande partigiane di Alatri, Collepardo, Frosinone Ripi e Fiuggi, torniamo ora a Frosinone, quando inizia da parte dei comunisti, l’occupazione illegale del potere politico ed istituzionale di tutti gli enti provinciali, e locali (senza avere alcuna legittimazione democratica) a cominciare da quella dell’1 giugno 1944, quando, come scriverà l’anziano militante comunista Domenico Marzi ( cfr. “La Guerra a Frosinone 1943 - 1944 a pag.133): “Mentre ancora tuonava il cannone e le truppe liberatrici erano giunte nei pressi della collinetta della S.S.Trinità l’Amministrazione (sic) prendeva possesso delle baracche abbandonate dagli amministratori fascisti e dagli stessi impiegati e si recava a rendere il benvenuto alle truppe liberatrici “ e ancora “Nella baracca di legno eretta proprio di fronte al Santuario, e che fungeva da sede municipale, si insedia, come Giunta comunale provvisoria, quello che era stato fino ad allora il Comitato di Liberazione di Frosinone (già il nome è un falso storico, se è vero che, poco prima il Marzi aveva detto che l’Amministrazione aveva dato il benvenuto alle truppe liberatrici di Frosinone. Di quella Giunta, facevano parte oltre al Marzi (autoelettosi Sindaco) che la presiedeva, i comunisti Serafino Spilabotte, Vittorio Antonucci, Giuseppe Angelilli, il socialista Antonio Spaziani, il democristiano Cesare Marchioni e il Parroco di S.Maria, Luigi Minotti.

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Il Comitato di Liberazione, come suoi primo atto diffonde un proclama, col quale invita i cittadini: “A manifestare la nostra ammirazione, alle vittoriose truppe degli alleati che hanno sconfitto a Cassino la roccaforte ritenuta inespugnabile e che con impeto formidabile hanno messo in fuga le orgogliose orde naziste iniziando l’assalto finale contro le bande fasciste e hitleriane” Anche qui c’è da chiedersi, con quale faccia gli antifascisti ciociari ancora oggi continuano a rivendicare a se stessi, la liberazione della nostra provincia dalle truppe nazifasciste? Quando, alla luce del seguente comunicato, è vero invece che si sono impossessati, senza alcuna legittimità, di tutte le istituzioni locali, e di una gloria che non gli appartiene.

Cittadini

“Il Comitato Nazionale di Liberazione, costituito da tutti i partiti antifascisti, in accordo con il Governo Badoglio (fuggito dopo l’ 8 settembre) assume il potere del Comune. Dopo ventidue anni di dittatura fascista, riprende la vita civile. “Chiediamo la vostra collaborazione e la vostra disciplina! Governeremo con giustizia e con assoluta franca onestà! Avanti, cittadini, verso la conquista di un futuro migliore! Lunga vita agli alleati. Lunga vita alla nostra Italia” E di conseguenza, come si legge nel Libro: “La designazione di Marzi a sindaco della città, da parte del Cnl di Frosinone viene confermata dal nuovo Prefetto Zanframundo(?) con uno specifico decreto” Ed ancora:

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“Ma il Sindaco Marzi e la sua Giunta non avevano aspettato (sic) la formalizzazione del loro incarico per iniziare a governare la città”. La prima Giunta comunale si riunisce il 23 giugno 1944, e subito si preoccupa “di assicurare una sede agli uffici pubblici, per la ripresa della loro attività e non a caso la delibera assunta ha per oggetto l’istituzione di un ufficio tecnico speciale per la ricostruzione della città” ed ad esso “viene anche dato l’incarico di redigere (addirittura) un nuovo piano regolatore della città che tenga conto delle nuove condizioni in cui si trova il centro urbano e con la stessa delibera vengono nominati Giovanni Carrasi e Armando Vona, rispettivamente come consulente e dirigente dell’Ufficio.” Il primo, guarda caso, sempre comunista (cfr.Libro a pag.152: “Dall’ inizio del 1943 (ancora sotto il regime di Mussolini, è direttore dello stabilimento Bosco Faito (Ceccano) dopo un’esperienza presso l’Ansaldo della sua città natale. E’ il primo presidente del dopoguerra dell’Amministrazione provinciale di Frosinone (giugno-dicembre 1943) sarà poi dirigente provinciale del Pci, fino al suo rientro a Genova nel maggio 1945”. Il secondo democristiano sarà il progettista istituzionale di tutte le amministrazioni successive. ”Tre giorni dopo si decide tra l’altro la creazione di un Ufficio Denunce e Recuperi, con il compito di rintracciare i beni dei cittadini che erano stati saccheggiati, durante i nove mesi di guerra”. “Un ufficio che ha bisogno di personale scelto ed in grado di assolvere il proprio compito, anche nei confronti di coloro che vorrebbero trattenere ad ogni costo quanto erano riusciti a trafugare.

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Affiancano gli impiegati, magazzinieri e facchini, addetti all’ ufficio, nove guardie comunali provvisorie in possesso di porto d’armi, con compiti investigativi e di esecuzione di provvedimenti di recupero” Non a caso a dirigere queste difficili operazioni vengono scelti due ex partigiani, Ottavio Volpe e Ugo Parlanti. Un’ operazione simile, i loro compagni la faranno nel 1945 nel Nord Italia, con il trafugamento dell’ oro di Dongo.In una seduta del 14 settembre, la Giunta, con tutti i problemi che in una città distrutta si dovevano affrontare, si preoccupa invece di cambiare, arbitrariamente, la toponomastica cittadina, allo scopo di porre subito il marchio della ideologia marxista, perfino nelle piazze e nelle strade devastate della città, ancor prima che fossero riparate e che, al mutamento dei nomi, provvedesse un governo legittimato dal voto popolare. “Si pensò di dedicare - scriverà Marzi nella sua relazione di fine mandato - alcune vie e piazze a nomi noti ed oscuri, tutti vittime del fascismo” Ed ecco infatti che il Palazzo dell’Amministrazione Provinciale cambia la sua denominazione da Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, in piazza Antonio Gramsci” Intestano cioè, la Piazza più importante della Provincia, al teorico dell’ “egemonia comunista”, che, considerate le violenze e le vittime da essa provocate in tutto il mondo, passerà alla storia come uno dei peggiori “maitre à pensér” di quella sottocultura. “La piazza del Distretto diventa Piazza Fosse Ardeatine” Cioè dedicata alle stragi dei nazisti, che furono causate dall’ attentato che i Gap comunisti, attuarono in Via Rasella a Roma, uccidendo 32 soldati tedeschi, pur sapendo che il loro Comando sarebbe ricorsi alla rappresaglia, non vietata dalla Convenzione dell’ Aia.

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“La curva Zallocco, cambia in Largo Giovanni Amendola” Ma i cittadini di Frosinone la chiameranno sempre con il suo primo nome. “A due frusinati vittime del fascismo, Angelo Barletta e Francesco Brighindi, vengono intitolati un vicolo di porta Romana e la strada oltre la Provincia, ed ancora Via Sicilia, muta in Via Giacomo Matteotti, e allo Scalo, viale Libia, diventa viale don Giovanni Minzoni”.

L’Apologia della Rivoluzione Russa

“L’inaugurazione delle nuove denominazioni si terrà il 7 novembre del ’44, nella solenne celebrazione della Rivoluzione Russa, quando alle ore dieci tutte la autorità, convocate dall’ Amministrazione comunale, si riunivano in Piazza Garibaldi, ove fu tenuto un comizio nel quale presero la parola i rappresentanti dei partiti di massa” I quali, vista la fine che farà il comunismo, con circa 100 milioni di morti in tutto il mondo (cfr. “Il libro nero del Comunismo” a pag. 6) meritano di essere segnalati alle future generazioni, come i cattivi maestri dell’antifascismo ciociaro. Dopo il comizio si forma un corteo di 4 mila persone che, si reca ad assistere allo scoprimento delle targhe di marmo con le nuove denominazioni. L’Amministrazione decide di ricordare anche i tre martiri toscani con tre croci di marmo sulle loro sepolture provvisorie al curvone del Viale Principe di Piemonte e nel 1947 provvederà a sistemarvi una lapide con incisi i nomi tre giovani, che “In questo luogo sotto il piombo di un plotone di saccardi il 6 gennaio 1944 immolarono la loro giovinezza.”

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Molte polemiche si determineranno in città per l’uso del termine “saccardi”, parola d’epoca medievale significante genericamente “mercenari devastatori”, invece di specificare chiaramente nei tedeschi i responsabili dell’eccidio. Siamo già in piena guerra fredda e la Germania è ora alleata dell’Italia nello schieramento occidentale che si contrappone all’Unione Sovietica.” E sempre i comunisti al Comune, con Domenico Marzi (Sindaco) e Gerardina Morelli (Assessore) nel 2004, faranno erigere nel Piazzale del curvone (diventato Viale Mazzini) un monumento ai tre martiri, sul quale non c’è più il termine “saccardi” ma, giustamente, quello della “ferocia nazista.”

La grande bugia antifascista sui martiri toscani

Ma , la Giunta rossa del 2006 del Sindaco comunista, Domenico Marzi, omonimo del nonno Sindaco nel 1944, con un altro atto di prepotenza, decide di apporre sulla lapide di quei tre giovani toscani, appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana, la sigla dei partigiani rossi dell’ Anpi, anche se con quel martirio essi non hanno nulla di cui appropriarsi). Anche in questa occasione, sorge accesa la polemica da parte di due periodici di Frosinone “il Cittadino” e “Flash Magazine” nel dicembre 2005 e gennaio 2006, i quali con il seguente articolo prendono decisa posizione contro l’ Amministrazione di sinistra, chiedendone la cancellazione dal monumento della sigla comunista dell’Anpi.

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“Le autorità di Frosinone hanno dedicato un Monumento in Viale Mazzini, a tre martiri toscani che furono fucilati dai tedeschi per diserzione dal fronte di Cassino, dove furono costretti ad andare per effetto del Bando di Graziani.. Ma quei tre giovani fuggirono pur sapendo che avrebbero rischiato la pena di morte, e pur non essendosi arruolati in qualche formazione partigiana, decisero ugualmente di sottrarsi all’obbligo di aiutare i tedeschi a combattere i nuovi alleati dell’Italia. Quel tragico episodio fu assai significativo perché dimostrò che non era affatto vero che fossero solo i partigiani antifascisti a boicottare i tedeschi (non a combatterli perché nessuno ebbe il coraggio di farlo) è invece vero che vi furono tanti giovani che, pur essendo cresciuti sotto il regime di Mussolini, dovettero subire persecuzioni e rastrellamenti sia dai tedeschi sia dai repubblicani di Salò che li volevano precettare. Ma quei giovani nessuno li ha mai ricordati solo perché non erano inquadrati nelle sparute formazioni partigiane, di un antifascismo, inesistente in tutta la provincia”. Usurpatori di gloria Tanto è vero che i tre giovani toscani, fucilati a Frosinone nel 1944, sono diventati eroi solo dopo che la resistenza ufficializzata si è appropriata del loro sacrificio e di una gloria che non le appartiene, e senza aver accertato quali ideali essi nutrivano verso la Patria, tradita dal Re e da Badoglio e verso i comunisti italiani, che, apertamente schierati con l’Unione Sovietica, non vedevano l’ora di consegnare l’Italia ai partigiani di Tito, come già stavano facendo con l’Istria e la Venezia Giulia.

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Si sono chiesti se la lettera di Pier Luigi Banchi, riprodotta sulla lapide del Monumento sia veramente quella di un partigiano che scappa per andare a fare il Natale con i genitori, anziché nascondersi in qualsiasi zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni? Ed è un atto degno di un paese civile, l’aver strumentalizzato, a fini di parte, il sacrificio di decine di giovani che disorientati dai tragici avvenimenti della guerra (militare e civile) che aveva travolto l’Italia, volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero mai pensato che sulla loro pelle trucidata qualcuno potesse apporre il marchio di una ideologia che ra distante anni luce dalla loro idea di Patria? E per finire gli storici nostrani, che nel libro “La Guerra a Frosinone 1943 -1944” riportano il racconto che Otello Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia dei disertori repubblicani, perché non ci dicono se hanno trovato un qualsiasi collegamento che quei 324 giovani avevano con i partigiani, prima, durante e dopo la loro cattura? E quanti e quali, dei 321 sopravvissuti, sono entrati a far parte della resistenza (toscana e ciociara) che fino al gennaio 1944 non aveva mai dato dato segni di vita? E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati poco prima dell’arrivo degli alleati (2-4 giugno 1944) non erano anche loro gerarchi del regime? A pag.150: “Altre due strade della città saranno intitolate a due frusinati combattenti nelle formazioni partigiane, a Vincenzo Ferrarelli, Via Cavalli, a Gino Sellari una stradina all’interno delle case popolari in Via Mazzini”.

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Non una, che fosse una sola, di strada del Capoluogo che sia stata dedicata alle truppe alleate (o qualche loro comandante) che lo stesso comunista Marzi definì le vere liberatrici della città di Frosinone. Ma si sa quale sia stata, in tutti i paesi, caduti sotto il regime sovietico, o sotto i loro sicari nell’Europa dell’Est, e nell’Italia degli antifascisti rossi, l’ arroganza e la prepotenza dei comunisti al potere). Barbari e barberini anche a Frosinone

“Il 27 novembre 1944 Domenico Marzi (sempre lui) lascia la carica di Sindaco (sic) per assumere secondo la volontà del Comitato di Liberazione, la presidenza dell’Amm.ne Prov.le, va a sostituire l’ ingegnere Giovanni Carrassi, che era stato nominato presidente dell’ente subito dopo la liberazione dagli stessi comunisti. Il cambio viene effettuato per ordine della federazione provinciale del Pci perché il compagno Carrassi, quale suo membro dovrà rappresentare il Partito nella commissione speciale per l’avocazione allo Stato (sic) dei profitti derivanti da coloro che avevano dato la loro adesione al regime fascista.” Dai quali poteva venir fuori un altro tesoro di Dongo. A pagina 155 - “Già dall’estate del ’44 la vita nella città va riprendendo nelle piazze sgombrate dalle macerie e nei pochi palazzi pubblici, che si sono salvati dalla bufera della guerra, che diventano i luoghi della difficile e convulsa ripresa della vita amministrativa, politica e sociale della città. “Alla Piazza della Prefettura notevolmente danneggiata

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dai bombardamenti, si sostituisce in primo luogo il Piazzale del Distretto. Dove si ricostituisce e ricomincia la sua attività lo stesso Distretto militare, con la chiamata alla leva per il nuovo esercito italiano, mentre lo stabile dell’ex caserma dell’ 81° fanteria viene utilizzato, per una parte dalle scuole medie e superiori, per l’altra dal carcere giudiziario”. A proposito dello stabile dell’ex caserma militare, che si era salvata da decine e decine bombardamenti, a distanza di 62 anni esatti (nel 2006) ci ha pensato un altro Domenico Marzi, Sindaco, a distruggerla e consegnarla alla speculazione edilizia. E qui calza a pennello il famoso aforisma sul sacco di Roma del 1527: “Quello che non fecero i barbari, fecero i barberini” Infatti, sul sacco di Frosinone “Ciò che non fecero, la guerra e Domenico Marzi, nel 1944, lo fece nel 2006, l’omonimo nipote Sindaco” Sulla ex caserma militare, queste le amare considerazioni che l’autrice del saggio “Caramelle e pidocchi” Floriana Curti, ha recentemente affidato a Flash Magazine: “Non mi venite a parlare di carcere perché, provvisoriamente, è diventato tale, otto dieci anni dopo la fine della guerra, quando con l’armistizio dell’8 settembre si chiusero le porte della caserma militare.” “Per me allora bambina, è stato un dolore. Sono cresciuta tra i militari che per anni sono stati ospiti di quelle mura. Il ricordo più struggente, ed è stato l’ultimo, quando li ho visti partire per il fronte russo e nessuno di loro è più tornato.” “Finita così la “Divisione Torino” morirono tutti quei ragazzi di freddo, fame ed in cruente battaglie.”

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“Io bambina li ho visti sfilare sotto casa e piansi. Si è salvata dalle bombe “quella vecchia signora” “Ora, dopo centinaia di anni e tanti ricordi, questi signori moderni vogliono costruire al suo posto ville per i ricchi, mandando all’aria la storia, perché di storia si tratta. Se potessero parlare quelle mura ne avrebbero di cose da raccontare ed i politici che hanno permesso tutto questo si dovrebbero… “vergognare”. “Invece”… via con la ruspa!” Sì, quella caserma da dove partirono quei giovani, senza far più ritorno in Patria, ne avrebbe avute tante di cose da raccontare, di. guerra e di prigionia. Ci avrebbe fatto capire anche il perché, a differenza di altri fronti, da quello russo-sovietico, non sia più tornato il 90 per cento dei nostri prigionieri. E non è forse questo unoi dei motivi per cui i nipotini di Stalin e di Togliatti, nel distruggere la caserma della gloriosa “Divisione Torino” abbiano pensato di cancellare anche queste tracce del loro truce passato? Il vero motivo per cui, anche il 90 per cento dei giovani della Divisione Torino non siano più tornati, facciamolo dire a Maria Teresa Giusti che nella documentata ricerca “I Prigionieri italiani in Russia” (Editrice “il Mulino” 2003) a pagina 53 racconta: “Gli esponenti del Pci a Mosca, in particolare Palmiro Togliatti e Vincenzo Bianco dovevano essere sicuramente informati su quanto era accaduto al fronte e sull’odissea che stavano vivendo i prigionieri loro connazionali. Bianco, in particolare, il cui ruolo politico lo portava a visitare i lager dove si trovavano gli italiani,inviò a Togliatti il 31 gennaio 1943 la ben nota lettera:

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“Ti pongo una questione molto delicata di carattere politico molto grande. Penso che bisogna trovare una via, un mezzo per cercare di porre il problema, affinchè non abbia a registrarsi il caso che i prigionieri di guerra muoiano in massa come è già avvenuto. Non mi dilungo.Tu mi comprendi, perciò lascio a te la forma per farlo” La risposta di Togliatti a Bianco

Fu data il 15 febbraio e diceva. “L’altra questione sulla quale sono i disaccordo con te è quella del trattamento dei prigionieri. Non sono per niente feroce come tu sai. La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso l’Unione Sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un bel numero di prigionieri morirà in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire.” “Anzi. E ti spiego il perché. Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la Guerra di Mussolini e soprattutto la spedizione contro la Russia si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, e il più efficace degli antidoti. I massacri di Dogali e di Adua (nel 1896 in Eritrea - n.d.a) furono uno dei freni più potenti allo sviluppo dell’imperialismo italiano.” Dobbiamo ottenere quindi che la distruzione dell’Armata italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi.” “Ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”

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Nel diario di Georgj Dimitrov (Primo segretario del Comintern) viene registrato l’incontro con Bianco del 16 marzo: “Bianco mi ha informato sul suo viaggio nel campo per prigionieri di guerra di Tiomnikov (n.58 Mordovia) (4.500 italiani, 10.000 romeni, 1.000 tedeschi e altri). Una enorme mortalità. Deficienze nel campo. Impostazioni sbagliate del comandante del campo, ecc. Gli ho chiesto di consegnare una relazione scritta su questa questione per portarla a conoscenza delle relative istante.”Infine, Bianco scrivendo il 24 marzo al generale maggiore Georgij P.Petrov dice: “I prigionieri non avevano scarpe, non potevano lavarsi; per debellare i pidocchi l’amministrazione del lager aveva privato i prigionieri delle giubbe imbottite, invece di sottoporli a disinfestazione.”

Grave grave errore politico

Sui problemi del lavoro A pagina 156 - A conclusione della ricognizione, che nel Libro si fa, dei luoghi dove riprende la vita della città, gli autori mettono in risalto l’importanza sugli uffici del potere, di cui Marzi & Compagni, si sono impossessati come se fosse cosa loro: “Ma il luogo che va prendendo sempre più importanza per la vita politica ed amministrativa è senz’altro il palazzo dell’ Amministrazione provinciale dove, come vedremo, si va concentrando la maggior degli uffici e dei servizi.” Già nei primi giorni dopo la liberazione, gli alleati si erano posti, tra gli altri:

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“Il problema della vita civile e sociale, a cominciare dai problemi del lavoro e dell’attività produttiva.” Il 4 agosto, infatti, entra in vigore l’ordine della Commissione alleata di controllo, riguardante il lavoro e le paghe. Il primo articolo proclamava lo scioglimento delle corporazioni sindacali esistenti e l’ abrogazione di tutte le leggi che le autorizzavano ad operare. Il secondo articolo stabiliva: “Da oggi tutti i datori di lavoro ed i lavoratori potranno creare nuove organizzazioni del lavoro per contratti collettivi e per altri scopi legali da essi desiderati. Lo stesso articolo ufficializzava la creazione dell’ufficio regionale del lavoro e dei relativi uffici provinciali” A pagina 158 - L’intento del Comando alleato, in teoria, sembrava utile e necessario alla nuova situazione che la guerra aveva determinato anche in quel settore della vita economica e sociale dei territori liberati, ma presto si dimostrerà essere stato un grave errore politico, perché con quel provvedimento si andava ad aprire la strada all’egemonìa comunista, attraverso la Cgil, anche nei rapporti di lavoro. Quando, più logico e realistico sarebbe stato rivedere ed aggiornare il funzionamento delle corporazioni esistenti, per aprirle al pluralismo sindacale, al fine di evitare che alcuni di essi diventassero, sindacato di un altro regime, come subito dopo avverrà con la Cgil.

Le zone industriali Ridotte fabbriche di disoccupati Infatti avendo voluto l’abolizione dei sindacati di un regime autoritario, quale era il fascismo si sono di fatto

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aperte le porte ad un sindacato totalitario, di tipo sovietico, quale poi è stata la Cgil fino agli anni ’50. L’ufficio provinciale del lavoro intanto si insedia presso il palazzo dell’Inam, (costruito dal fascismo, come tutti gli edifici più importanti di Frosinone e provincia) e la Cgil si impossessa contemporaneamente del “garage dell’ex caserma dei Vigili del Fuoco in piazza Aonio Paleario, con un comitato provvisorio, composto (come volevasi dimostrare) dal comunista Antonucci, dal socialista Friggi, e dal democristiano Chiappini mentre la carica di segretario unico sarà assunta dal comunista Danilo Riveda. La Federterra, ospitata negli stessi locali, viene affidata alla vendetta dell’ex perseguitato politico Medoro Pallone, che va già organizzando le prime lotte contadine nelle campagne di Frosinone e di tutta la provincia. Ma anche l’Ufficio del lavoro e la Cgil anziché collaborare alla ricostruzione della città distrutta, ed attendere il ritorno di tutti gli uffici pubblici, trasferiti a Fiuggi dopo i bombardamenti sul Capoluogo, si impegnano invece ad esercitare il loro ruolo di pressione sui datori di lavoro, pubblici e privati, che servirà ad esasperare più che a comporre i conflitti di lavoro, e ciò accadeva in quelle zone della provincia dove sarebbe stato necessario favorire la ripresa industriale, e non scoraggiarla. Tanto è vero che quelle zone, da industriali che erano, sono diventate, a causa degli scioperi, veri e propri cimiteri degli elefanti, e fonte continua di disoccupazione.

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Intanto con “il Popolano” di Renzo Silvestri

Arriva “ L’ Epurator”

Con la Commissione provinciale per l’epurazione, con sede nel Palazzo Gramsci comincia subito la politica delle vendette e delle ritorsioni contro tutti quei fascisti che dopo l’8 settembre, anziché accodarsi ai voltafaccia che diventarono antifascisti e partigiani, preferirono appartarsi in attesa che la situazione caotica, che si era creata da Roma in giù, avesse fine. Ed allora da parte dei salvatori della patria, confluiti nel C.N.L. “Prima che pane e farina, prima che casa e lavoro, c’era innanzi tutto l’Epurazione”. Con questo titolo infatti inizia il Capitolo 21, della meticolosa e documentata cronistoria del secondo dopoguerra in Provincia di Frosinone, ricostruita da Costantino Jadecola, in “Mal’aria” (Edizioni Centro Studi Sorani 1998) “E’ l’estate del 1944 e il dramma della guerra è intatto davanti agli occhi di chi è ancora traumatizzato da una tragedia costretto a sopportare suo malgrado quando questa parola, epurazione, che puzza di vendetta lontano un miglio, incomincia a ronzare nell’aria. E proprio “Epurazione” è il titolo di un articolo pubblicato sulla prima pagina del primo numero de ‘Il Popolano”del settembre 1944 a cura della Federazione Provinciale del Partito Comunista Italiano’ Ma guarda un po’, il periodico era diretto da quel Renzo Silvestri che il comunista Luciano Bartoli, nelle sue memorie di qualche anno fa, lo ricordava:

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“Alto e prestante con la divisa del GUF completa di stivali, che gli dava un’ imponenza ed un’eleganza che io invidiavo, come suo compagno di Liceo a Frosinone e di Università alla Sapienza di Roma” (n.d.a. - All’epoca La Sapienza era frequentata anche da mio fratello Silvio, loro coetaneo, prima che partisse per il Fronte Russo, nel settembre 1942, da dove non è più tornato). Ne “il Popolano” l’ex fascista Silvestri, nel rammaricarsi del ritardo con cui opera la Commissione per l’epurazione, proprio lui si mette a dare lezioni di democrazia e di moralità politica ai suoi ex camerati, bollandoli come dei voltafaccia, pronti a salire a volo, sul carro del vincitore. “Infatti in tutti i piccoli e grossi centri, da Frosinone a Fontanaliri, da Ceprano a Sora, da Falvaterra a Ferentino, fascisti e collaboratori dei tedeschi, ripreso coraggio dopo la prima scossa subita dopo l’arrivo degli alleati, si aggrappano ai vecchi posti di comando e manovrano in mille modi per crearsi una.. coscienza adatta all’ora che volge.” “Non solo ma quelli che erano andati su, fianco a fianco con i tedeschi ed i repubblichini fino ad Arezzo, sentita l’aria infida d’oltr’Alpe, ritornano e si presentano negli uffici pubblici e privati, per riprendere quei posti abbandonati allo avvicinarsi della tempesta dell’8 settembre 1943.” “Il fenomeno a cui assistiamo non ci stupisce gran che poiché esso è di carattere generale e non particolare e dovrà aver termine tra non molto, quando le Commissioni per l’epurazione, cominceranno a funzionare anche nella nostra provincia.”

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Ma il nostro ex fascista, udite udite, cos’altro scrive sul n.6 de “il Popolano” dell’aprile 1945, che lui dirige: “Democratizzare gli uffici vuol dire portare nelle Amministrazioni uomini scelti dal popolo, con atto di volontà di popolo; spogliarsi di quell’abito e della vernice di inaccessibilità per ricordarsi di essere figli del popolo, di quel popolo che non può che chiedere avendo tutto perduto.” “Invece si nominano nei comuni e negli uffici uomini dallo spirito gretto, che vedono ancora nell’operaio e nel contadino il servo della gleba e che sbraitano ed urlano. Sono spesso gli uomini di ieri, i servi in livrea del padrone tedesco o fascista; spesso si allontanano quelli che godono della fiducia del popolo per dar posto a questi che il popolo ha condannato. Noi comunisti siamo decisi ad impedire che ciò avvenga, noi vogliamo che contro tutte le manovre della reazione, la nuova democrazia non sia insidiata dai nemici del popolo” Quando lanciava questi anatemi, il comunista Silvestri, insieme al padre Consalvo, ed ai fratelli Raul e Aldo, avevano già occupato militarmente tutti i posti del potere disponibili. A cominciare dalla Federazione del Partito Comunista di Piazza Garibaldi, dove i Silvestri e i Pietrobono, pur non essendo di Frosinone vi si insediarono per primi, e dove il primo atto che fecero fu la espulsione di Luciano Bartoli, con l’ accusa di attesismo e di collaborazionismo dei tedeschi, nonostante che insieme al fratello Augusto Bartoli, fossero stati i soli a portare a termine l’unica azione di fuoco contro i tedeschi, in località Pitocco di Vico nel Lazio, già raccontata, nel capitolo “Poveri oscuri eroi”.

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A continuare, con il padre dei Silvestri, Consalvo, che fu il primo ad essere nominato Segretario Generale della Provincia, subito dopo che i comunisti, partiti da Piazza Garibaldi, con un corteo di circa mille persone al grido di “Tutti a Palazzo Gramsci” e cantando “Bandiera rossa la trionferà”, andarono ad occupare con prepotenza tutti gli uffici che vi si trovavano, celebrando in tal modo, la Rivoluzione d’ottobre, del 1917, ma anche la conquista del Palazzo d’Inverno effettuata in Russia, dai bolscevichi. Dopo di che, oltre a Consalvo Silvestri vi sistemarono i comunisti Giovanni Carrassi, Domenico Marzi ed Oreste Cicalè, senza neppure attendere e rintracciare i vecchi funzionari e dipendenti della Provincia, che a causa dei bombardamenti su Frosinone erano stati costretti a trasferirsi a Fiuggi e in altre località dei Monti Ernici, dove molti cercarono di rifugiarsi. Poi, man mano che passavano le settimane e i mesi, l’occupazione illegale della Provincia, divenne totale. Infatti, già nel dicembre 1944, a presiedere la Provincia fu imposto Domenico Marzi, che ai primi di giugno si era già autonominato Sindaco di Frosinone. Tre mesi dopo, si insediò la Deputazione provinciale, composta da: Alberto Caperna, Angelo Carboni, Giovanni Carrassi (sempre lui) Costantino Cicchelli, Raffaele Conti, Luigi Montanelli, Claudio Rea, Armando Riccardi, Medoro Pallone (segretario Claudio Galeno). Alcuni di questi facevano già parte del Comitato di Liberazione, costituitosi clandestinamente nel gennaio 1944 sotto l’occupazione tedesca, con i soliti: Domenico Marzi e Serafino Spilabotte per Frosinone, Raffaele Conti, per Fiuggi, Cesare Baroni per Alatri, Zanetti e

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Carrassi, per Veroli e con l’adesione di Enrico Giannetti di Paliano. Sempre alla Provincia, si era formato anche un centro di coordinamento militare presieduto, dai comunisti Marzi, Spilabotte e Carrassi, e in esso erano confluite tutte le forze antifasciste, le bande e i gruppi della resistenza che avevano operato in tutto il territorio provinciale. Ma tutti questi organismi, dove entravano e uscivano, come in una giostra del Luna Park, sempre le stesse persone, ognuna con più incarichi e funzioni, in forte conflitto d’interessi tra loro, subito dopo il 25 aprile 1945, entreranno in crisi, perché i comunisti, dopo essersi appropriati delle leve più importanti del potere, difficilmente sono disposti a lasciarle. Del resto, questa sete di egemonìa (e di vendetta) ereditata dal loro filosofo Antonio Gramsci, traspare in modo costante ed ossessivo in tutti i numeri de “il Popolano” soprattutto attraverso gli articoli del suo direttore Renzo Silvestri, che per la ortodossia marxista di cui fa sfoggio continuo, diventerà l’ideologo del Partito. fino al 1953 quando sarà eletto deputato. ed il cui profilo personale, viene così tratteggiato sul sito web del suo paese di nascita, Ripi. “Un signore distinto al pari di un gentleman inglese, sedeva sulle poltrone della Camera dei Deputati e rappresentava tanti elettori di Ripi e del Lazio. Dotato di fine oratoria, cesellatore della lingua italiana, nato a Ripi nel 1919, venne eletto deputato per due legislature, dal 1953 al 1963, nelle file del Pci, poi del Psdi. “Precursore dello strappo con Mosca, militò, successivamente nel Partito Socialdemocratico di Saragat. Ha ricoperto la carica di Sindaco di Fiuggi, ed è stato membro della Corte dei Conti.”

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A posteriori, per tutto ciò che scriveva su “il Popolano” si può ben dire che l’intemerato ideologo comunista, era soltanto un cattivo maestro; perché è proprio per codesti dorati incarichi pubblici, che anche lui figura nel libro nero dei profittatori del regime partitocratico (cfr.Espresso febbraio 2007) che sotto questo aspetto, si è dimostrato peggiore del regime Fascista, che i suoi dirigenti, specialmente al livello locale, li sceglieva “tra i non professionisti della politica, di riconosciuta capacità e probità, e soltanto se, come funzionari onorari, ponessero il massimo scrupolo nella rigorosa gestione del denaro pubblico” .

“il Popolano” (Diretto da Renzo Silvestri)

Sui profitti del Fascismo

Dicembre 1944 - Come si applica la legge a Torino e a…Frosinone: “Si tollera che a Frosinone nella Commissione Speciale per i profitti di regime, il Giudice Caravaggio, adotti un sistema apertamente dilatorio, si tollera che la proprietà del senatore Parodi, noto pescecane fascista, continui ad essere utilizzata dallo stesso senatore, senza nemmeno un sequestro conservativo, malgrado l’esplicita denunzia di uno dei commissari. Si tollera che dopo 5 mesi, né per Pirolli, né per Bergamaschi, né per Zeppieri, né per Perinelli si sia conclusa una pratica qualsiasi.” “Il Popolano” (nono numero del 1945): “Si tollera che il signor Commendatore Guglielmo Visocchi, ex Segretario

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del Fascio di Atina, ufficiale della Mvsn, già duce dell’Opera nazionale Balilla, si trovi ancora a piede libero?” “La cosa non è poi così straordinaria ove si pensi che, nel sud d’Italia i fascisti possono ancora girare liberamente per quelle contrade che hanno contribuito a distruggere, continuare a far quattrini, sfruttando il lavoro degli operai. Ma c’è di peggio. Il Visocchi feroce antagonista del degno collega Bergamaschi, amico intimo e compare del Generale Umberto Ricci, vuol farsi passare oggi per antifascista. Facciamo di meglio: lo segnaliamo alla Questura perché provveda a sgomberare le strade di Atina da questo residuo del passato, per il quale, come per tutti gli elementi della sua risma, la parola democrazia deve significare condanna.” Intanto a pag. 207 di “Mal’aria”, si nota: “con il passare del tempo, si ha come l’impressione che sui profitti del regime, la Commissione non sortisca gli effetti sperati” E ciò accadeva perché di arricchimenti illeciti da contestare a carico dei gerarchi fascisti, si troverà ben poco, anzi nulla, dal momento che la loro attività politica, era a titolo gratuito, e non prevedeva appannaggi e privilegi di natura economica.

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“il Cittadino” (Diretto da Colombo Incocciati)

Sui profitti della partitocrazia Oggi 2007, sotto la Repubblica, fondata sull’Antifascismo e la Resistenza, la musica sui costi della politica è quella che si suonava sul Titanic prima di affondare, perché rispetto agli inesistenti “Profitti di regime” sotto il Fascismo, sono i privilegi, e gli sprechi di questa classe dirigente, la vera vergogna del Paese. Sono di data recente i dati pubblicati, prima dall’Espresso e poi da due giornalisti del Corriere della Sera, dai quali viene fuori che la nomenclatura che ci ha governato finora, è la più pagata del mondo, e che le Istituzioni dello Stato, a tutti i livelli, hanno costi smisuratamente superiori a quelli di tutte le democrazie occidentali. Gli esempi eclatanti di questa situazione, riguardano sia le pensioni d’oro dei parlamentari, sia le spese di gestione e di rappresentanza della massime istituzioni dello Stato come la Presidenza della Repubblica, la Camera, il Senato, e la Corte Costituzionale. . Le pensioni dei parlamentari, attribuite a soli 50 anni, oscillano da euro 3.108 (£. 6 milioni ) mensili, ad euro 9.947 (£. 18 milioni) mensili, rispettivamente, con soli 5 anni di mandato, la prima, e con 35, la seconda. E si tratta di pensioni cumulabili con qualsiasi altro reddito, cosa assolutamente vietata a tutti gli altri cittadini.. Il fenomeno delle pensioni d’oro dei parlamentari, è più esteso e più grave di quello che riguardava i protagonisti di Tangentopoli, dato che non vi sono poi, grandi

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differenze, tra quei campioni del malaffare, e coloro che si arricchiscono con la politica, rubando la buona fede dei cittadini, e di coloro che, per farli eleggere li presentava agli elettori, come campioni di onestà. E come possono giustificarli ed assolverli quei cittadini che, dopo aver lavorato per 35 o 40 anni, senza aspettative, e senza contributi figurativi, si trova in pensione, con 1.000 o 1400 euro mensili? Nella miriade dei signori della politica, che godono di codesti trattamenti dorati vi sono anche i parlamentari ciociari, di ogni partito, anche e soprattutto di quelli antifascisti, che, subito dopo la caduta del Fascismo, si preoccuparono di recuperare i profitti di regime, con ben magri risultati. Ma ora gli italiani scoprono che, anche nella nostra provincia, oltre al deputato comunista Renzo Silvestri, che faceva l’ “Epurator”, vi numerosi altri cattivi maestri di moralità politica, da ricordare: Domenico Marzi senior, Angelo Compagnone, Tullio Pietrobono, Renzo Silvestri, Franco Assante, Emanuele Lisi, Ignazio Senese, Giacinto Minnocci, Dante Schietroma, Romano Misserville, Lino Diana, Gerardo Gaibisso (l’unico a dire che si vergogna di prendere 15 milioni al mese di pensione, ma se li tiene) Augusto Fanelli, Giulio D’Agostini, Paolo Tuffi, Massimo Struffi, Michele De Gregorio, Giuseppe Alveti, Cesare Amici, Lucio Testa ecc. Con i quali è bene ricordare anche i consiglieri regionali, che godono di privilegi e pensioni, simili a quelli dei parlamentari. Ed ora parliamo dei privilegi e degli sprechi, che si verificano nelle più alte istituzioni dello Stato, e che fanno della nostra Repubblica la più corrotta tra tutte le democrazie occidentali.

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Udite, udite, quanto ci costano la Presidenza della Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte Costituzionale. Vediamo cosa ci dice la recensione del libro “La Casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, per la Rizzoli Editore. Contenuto: “Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare eccellenza anche a una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono abiliti dal referendum.”Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni. Spese di rappresentanza dei governatori fin o a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco. Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità impazzite al punto che il Sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il suo collega di una città di 249 mila. Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’auto bleu. La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile ed abbia allagato l’intera società italiana. Storie stupefacenti, numeri di bancarotta, aneddoti spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e ustionanti. Che dovrebbero spingere la classe dirigente a dire: basta!”

EURO 1.927.600.000

Pari a 4 mila miliardi di lire

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E’ la spesa che grava ogni anno sui cittadini, per il mantenimento del Quirinale (217 milioni di euro), la Camera dei Deputati (Un miliardo, 128 milioni e 200 mila euro) e il Senato (582.milioni e 200 mila euro) con relative indennità e rimborsi (Circa 200 mila euro). Tutto ciò significa che le spese dei Palazzi della politica italiana sono quasi pari alla spese dei Palazzi di Francia, Spagna e Inghilterra messe insieme, se è vero che la Spagna (con 696 milioni di euro) sopporta una spesa, pari a 1/3 di quella dell’Italia, la Francia (con 930 milioni) di circa la metà, e l’Inghilterra (con 443 milioni) di 5 volte inferiore a quella dell’Italia. Facendo un passo indietro, nella consultazione del prezioso documento, che Costantino Jadecola ci ha fornito con il suo volume “Mal’aria”, a pagina 72 si legge che, all’inizio del 1945: “Uno dei tanti problemi imposti dalla realtà dell’immediato dopoguerra è quello dell’assistenza ai reduci ed ai prigionieri di guerra”. Sui quali il direttore de “il Popolano” Renzo Silvestri pontifica: “Sarebbe criminale se noi non pensassimo essere nostro dovere fare tutto il possibile per accoglierli degnamente; dobbiamo mobilitare tutte le nostre forze per aiutarli a superare la crisi, per procurare loro alloggio, cibo, indumenti, lavoro; anche attraverso “la tangibile dimostrazione” di una “fraterna solidarietà. Soprattutto - sottolinea Silvestri - paghino una volta tanto i ricchi! Sentano una volta per sempre, questi signori, l’imperativo categorico dell’ora, diano essi una parte delle ricchezze accumulate durante e dopo la guerra, per soccorrere coloro che tutto lasciarono nel vortice della guerra.”

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Il problema però per l’autore di “Mal’aria” non è, giustamente, di mera sopravvivenza per i rimpatriati, ma anche di coloro che non hanno la fortuna di fare ritorno a casa, e si citano, attraverso il Popolano, numerosi casi di prigionieri morti nei campi di prigionia, in Germania, in Jugoslavia, a Brescia, e a Bergamo, ma nessuno di prigionieri morti in Russia. anzi il Popolano scrivendo di questi ultimi, commenta: “Senz’altro migliore è la situazione di quei prigionieri che si trovano ancora (sic) nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e che affidano un saluto per i loro cari e per le loro famiglie ad una delegazione provinciale del Pci recatasi in Russia nell’estate del 1945” e citando i nomi di 6 prigionieri e dei rispettivi paesi d’origine. C’è di più “il Popolano” del dicembre 1945, nel fare il resoconto di un comizio tenuto a Roccadarce, dal “compagno Giannetti” (partigiano della prima ora e membro del C.n.l.. per fare la commemorazione del XX° anniversario della Rivoluzione d’ottobre, coglie l’ occasione per speculare sui prigionieri italiani in Russia, nel modo che segue: “Alla presenza di un foltissimo gruppo di compagni e simpatizzanti, costituisce l’occasione per consentire ad alcuni reduci, molti dei quali liberati dai soldati sovietici, di ricordare riconoscenti il fraterno trattamento ricevuto: ci hanno liberati, ci hanno curato, ci hanno ridati alle nostre famiglie, in ansiosa attesa. Se avessero tardato ancora dieci giorni saremmo tutti morti per i maltrattamenti dei tedeschi.” Per giudicare se sia attendibile o meno queste verità comunista sul trattamento ricevuto dai prigionieri italiani

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in Russia, qui si i riportano i dati che un manifesto che la D.C. affiggeva in tutte le piazza d’Italia prima delle elezioni 18.Aprile 1948, che è la più eloquente testimonianza sulla tragedia dei prigionieri italiani in Russia.

I nostri prigionieri

Negli Stati Uniti 125.000 (tutti tornati)

In Inghilterra e colonie 408.000

(tutti tornati)

In Francia e colonie 37.500 (tutti tornati)

In Russia 80.000

(ritornati solo 12.540)

Perché gli altri non tornano?

La risposta a questo interrogativo fu data da Palmiro Togliatti al suo compagno di Partito il 15 febbraio ed il 3 marzo 1943, che il lettore può rileggersi alle pagine 92 e 93 di questa pubblicazione.

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V GUERRA E DOPO GUERRA

Nella provincia

Fiuggi rischiò la distruzione. Il 9 Settembre 1943 - L’annuncio dell’Armistizio tra l’Italia e gli Anglo-Americani, lo sentii il giorno prima, per radio alla stazione di Alatri, mentre aspettavo il trenino per tornare a Fiuggi. Tra i pochi viaggiatori, che attendevano insieme a me il trenino della Stefer, si avvertì subito un’atmosfera, allo stesso tempo di gioia e di tristezza. I motivi erano facilmente intuibili. La nostra Patria, con quell’annuncio, poneva fine sì alla guerra in cui si trovava dal 10-6-1940 contro la Francia e l’Inghilterra e poi anche contro gli Usa. Ma l’armistizio significava anche che l’Italia si dissociava dall’alleato tedesco, con il quale era entrata in guerra e che da quel momento doveva stare attenta alle reazioni, certamente negative, che la Germania di Hitler avrebbe avuto con noi dopo l’armistizio, che, è d’uopo ricordare, il Governo Badoglio aveva segretamente firmato con le potenze occidentali. L’esercito di Hitler, in quel periodo, si trovava fianco a fianco, con il nostro esercito su molti fronti. Ma anche sul territorio del nostro Paese, a cominciare dalle regioni meridionali, come la Sicilia e la Calabria, dove italiani e tedeschi si erano ammassati per fronteggiare insieme l’invasione dell’Italia da parte degli anglo americani; i quali dopo lo sbarco in Sicilia erano in continua avanzata verso Salerno e Napoli. Nell’Italia Centrale, nella nostra provincia, e a Fiuggi, la situazione era stata alquanto tranquilla, ma dopo l’8 settembre, divenne assai movimentata e piena di pericoli.

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Infatti. proprio il giorno dopo l’Armistizio, e la notte del 9 settembre, Fiuggi rischiò di essere distrutta dagli aerei alleati. E fu quando, una divisione corazzata tedesca dovette invertire la rotta, da sud a nord, proprio perché l’Italia si chiamava fuori dalla guerra, contro le potenze occidentali. E fu quando quella divisione, mentre stava andando in direzione di Frosinone, nel pomeriggio dell’8 settembre si era fermata a Fiuggi. Ricordo come se fosse oggi, la presenza massiccia di quella divisione in Piazza Trento e Trieste. Stavo affacciato con i miei amici sul muretto della chiesa di Santa Chiara, quando vidi arrivare una colonna interminabile di automezzi cingolati e corazzati, ed una quantità enorme di autocarri pieni di soldati tedeschi. L’autocolonna aveva la testa, in Piazza Trento e Trieste, che si stata riempiendo, e la coda sulla strada di Via Diaz, nei pressi della Casa del Maestro. Era quindi lunga un paio di chilometri. Fece sosta nella Piazza del Comune per tutto il pomeriggio, ma poi alla sera, dal tramonto a notte inoltrata, si rimise in movimento per tornare a Fiuggi Fonte, e poi dirigersi verso Colle Borano, da dove, per la strada di Anagni, avrebbe proseguito verso Roma, passando dai Castelli Romani. Frascati e Frosinone bombardate Fu nella notte, tra l’8 e il 9 settembre, che si verificò il bombardamento di Frascati, da parte degli aerei alleati. Il motivo, come si seppe subito dopo, era stato quello di annientare proprio la divisione che era partita da Fiuggi, e che non fu affatto colpita da quel bombardamento, perché doveva essersi fermata nei boschi in prossimità della città di Frascati, che fu invece pesantemente colpita e dovette contare migliaia di morti

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Di qui la deduzione che, se quella divisione, la sera del nove, fosse rimasta in Piazza Trento e Trieste, Fiuggi avrebbe probabilmente subìto la sorte sfortunatamente toccata all’ altra città laziale. Ricordo inoltre chiaramente che la notte tra l’11 e il 12 settembre le sirene della Fonte Anticolana urlarono per interi quarti quarti d’ora, per annunciare il passaggio degli aerei. La quasi totalità della popolazione fu costretta a lasciare il paese per rifugiarsi nelle cantine, o nei pagliai, fuori le mura del centro storico, ma anche in campagna, e negli spazi aperti, lontani dalle abitazioni. Mia madre, senza mio padre e mia sorella Concetta, che non uscivano mai durante gli allarmi aerei, decise di andare, ed io la seguii, dove tante altre famiglie erano già andate, nel piazzale superiore della Villa Comunale. Da lì assistemmo per ore e ore, non solo al passaggio delle fortezze volanti che andavano verso nord, ma anche al terribile bombardamento che quella notte si verificò su Frosinone. Assistemmo insomma ad uno spettacolo di fiamme e di fumo che in continuazione si alzava sul cielo del Capoluogo ed ai tremendi boati delle bombe che, sulla scia dei razzi illuminanti, si abbattevano a grappoli su quella zona, dove l’obiettivo, più che l’ abitato di Frosinone doveva probabilmente essere la stazione ferroviaria, o il campo d’aviazione. Le notizie che giunsero nelle prime ore dell’alba, quando il bombardamento era finito, erano assai tristi, perché si seppe che i danni ingenti erano stati procurati al Centro storico, dove una ventina di cittadini erano rimasti sotto le macerie, mentre la stazione ferroviaria non aveva subito alcun danno.

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Fiuggi: Sede della Provincia I tragici effetti di quel primo bombardamento su Frosinone si videro nei giorni successivi, quando a Fiuggi, cominciarono ad arrivare intere famiglie, che scampate al bombardamento di quella notte, andavano alla ricerca di luoghi sicuri, per affrontare più tranquillamente il prossimo futuro. I frusinati insomma cercavano rifugio sia nelle vicine campagne di Torrice, di Ripi, di Arnara e di Veroli, sia nei paesi montani degli Ernici (Collepardo, Guarcino, Vico nel Lazio, Trivigliano e Fiuggi. In quest’ultimo, in seguito ai bombardamenti che ripetutamente si verificarono sul capoluogo, furono trasferiti anche molti uffici pubblici della Provincia, dalla Prefettura, alla Banca d’Italia, dagli Uffici Finanziari, al Provveditorato agli Studi, e via via tutti gli altri. Col passare delle settimane Fiuggi era diventata come una città aperta, cioè tutelata dalle incursioni di natura militare, aerea o terrestre. Questa sicurezza le venne garantita sia perché si trovava distante dalle importanti vie di comunicazione (Casilina e Sublacense) che i tedeschi preferivano per i loro spostamenti, sia perché le sue strutture ricettive furono trasformate dai tedeschi in veri e propri ospedali; dove vennero ricoverati, non solo i loro soldati feriti al fronte di Cassino, ma anche i soldati feriti, fatti prigionieri, degli eserciti nemici. A questa funzione furono destinati, soprattutto i grandi alberghi, come il Palazzo della Fonte, il Salus e il Silva, sul tetto dei quali vennero dipinte delle grandi croci rosse per evitare che gli aerei li prendessero di mira.

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Ma anche di comandi militari In altri alberghi come il Vallombrosa e l’Universo a Fiuggi Fonte, entrambi circondati dai boschi, i tedeschi cercarono di occultare i comando e gli uffici del Maresciallo Kesserling. Il quale, dirigeva tutte le operazioni del fronte meridionale della guerra contro gli alleati. A Fiuggi città, vennero utilizzati a vari scopi la Casa del Maestro, come centro di prima accoglienza dei civili feriti e degli sfollati da frosinone e dalla zona di Cassino, l’Albergo Falconi, come caserma dei giovani precettati dal Bando di Graziani. L’ex Grand’ Hotel, per sistemarvi l’ Intendenza di Finanza e la Ragioneria dello Stato ed altri uffici della Provincia. All’ultimo piano del Grand’Hotel i tedeschi raccoglievano, per poi smistarli nei campi di concentramento del Nord Italia e della Germania, tutti i soldati dell’esercito alleato, fatti prigionieri nel sud o sul fronte di Cassino. Molti erano inglesi, altri neozelandesi, polacchi ed americani. Fiuggi, oltre agli uffici statali della Provincia si era trasferita anche la Federazione dei fasci di Frosinone, ed il Comando provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana. La quale fu fondata da Mussolini, dopo il suo ritorno dalla Germania, dove era stato ospite di Hitler, che lo aveva fatto liberare dal Gran Sasso d’Italia. La presenza a Fiuggi dell’esercito repubblicano, influì molto come vedremo, sulla sorte dei giovani di leva non ancora chiamati alle armi.

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Il Bando di Graziani

Per la classe 1925 La presenza a Fiuggi della Sezione staccata del Comando Repubblicano di Mussolini, influì negativamente sulla sorte dei giovani di leva. Infatti, fu proprio in quel periodo che furono affissi i primi manifesti, con i quali il Ministro della Guerra, Maresciallo Graziani, intimava ai giovani della classe 1925, a presentarsi ai comandi più vicini, pena l’accusa di diserzione. A Fiuggi le chiamate avvennero in un primo momento presso il Comune, che con appositi elenchi destinava i giovani a soddisfare le esigenze dei tedeschi. I quali si servivano dei giovani per assicurare sia i servizi all’interno degli alberghi da loro requisiti, ma anche la vigilanza su tutte le zone, esterne alle loro strutture che il Comando del Feld Maresciallo Kesserling aveva fatto allestire in molti alberghi di Fiuggi Fonte, come l’Europa, il Vallombrosa e l’Universo, per i servizi militari. Il Palazzo della Fonte, il Salus e il Silva per i servizi ospedalieri, via via che arrivavano i soldati feriti dal fronte di Cassino, dove era stata costruita la linea Gustav, come baluardo all’avanzata degli eserciti alleati. Fu così che molti giovani di Fiuggi, (me compreso) non ancora partiti per la leva, furono precettati: chi per andare a lavorare negli alberghi requisiti, (e non fu il mio caso) chi per fare la guardia alle sedi dove si erano sistemati i tedeschi. Quest’ ultimo incarico venne affidato anche a me, ad Alberico Ludovici e ad Enzo Girolami (miei coetanei.) e tutti e tre fummo impiegati a fare la vigilanza sia alle linee

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telefoniche, intorno al Palazzo della Fonte sia lungo la strada per Frosinone, a Capo i Prati, per fermare, durante gli allarmi aerei, ogni automezzo militare tedesco che vi transitava. A questo punto mi sembra opportuno precisare che, mentre i tedeschi retribuivano i giovani reclutati per lavorare negli ospedali, nessuna retribuzione invece corrispondevano ai giovani destinati ai servizi esterni, forse perché ritenevano che questa vigilanza fosse di competenza delle autorità locali. In un secondo momento, molti di noi furono inquadrati nell’Esercito di Graziani, che aveva ad Alatri il Comando Provinciale, ma a Fiuggi aveva due caserme, una all’Albergo Falconi, a Fiuggi Città e l’altra all’Albergo Reale, a Fiuggi Fonte. Anche questa sorte toccò a me e ad Enzo Girolami, perché, mentre stavamo in Piazza Trento e Trieste fummo avvicinati da due guardie repubblicane, che dopo essersi accertate che eravamo della classe soggetta al Bando di Graziani, ci dissero di seguirli all’Albergo Falconi, dove c’erano altri giovani di Frosinone e provincia, dei quali molti già si trovavano a Fiuggi, come sfollati, ad esempio i Mayer, i Chiappini, i Turriziani ed altri. Dopo una breve permanenza nell’Albergo Falconi, venimmo tutti trasferiti al Convento dei Cappuccini di Alatri, da dove la maggior parte dei giovani precettati (me compreso) nei due tre mesi successivi riuscirà ad evadere, per darsi alla macchia. Facendo un passo indietro, ricordo che quasi tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni vivevano in continuo stato di allarme e di paura. Ciò accadeva perché i tedeschi, dovendo consolidare la resistenza che da soli

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stavano organizzando sul fronte di Cassino, spesso ricorrevano al rastrellamento degli uomini di ogni età, che di solito avveniva, bloccando le uscite dei cinema, oppure facendo dei blitz sulla piazza del Comune. In alcune di queste occasioni, mi trovai direttamente coinvolto, per fortuna senza conseguenze. Infatti in uno dei rastrellamenti che le SS fecero al Cinema Rosa di Fiuggi Fonte, io ed Enzo Girolami (che era diventato ormai mio compagno di sventura ) riuscimmo a fuggire dalla parte posteriore del cinema , attraverso i giardini dell’Albergo Eden, del Moderno e del Palazzo della Fonte, potemmo fare ritorno a Fiuggi Città, passando per la Via Cupa e La Porta del Colle. L’altro rastrellamento in cui rischiai (sempre insieme ad Enzo) di essere catturato dai tedeschi fu quello che si verificò in un pomeriggio dell’ottobre 1943, quando insieme ai nostri coetanei Mario Moro,Temistocle Giorgilli, Carlo D’Amico, Mario Terrinoni ( detto Zampitto) Sabatino Agnoli Tiberio Terrinoni e Anacleto Giorgilli ed altri avevamo preso l’abitudine di andare tutti i giorni sui prati di Capo Le Ripi a giocare a pallone. In quei prati dove avevamo trascorso tanti pomeriggi della nostra fanciullezza, ora vi andavamo essenzialmente per sfuggire ai pericoli che la occupazione tedesca ed il Bando di Graziani comportavano. Le partite che facevamo tra noi, molto spesso cominciavano la mattina e finivano al tramonto. E ciò accadeva anche perché, col passare dei giorni, si univano a noi altri giovani che si erano già rifugiati in montagna, o perché, dopo l’ otto settembre, erano sbandati dell’esercito italiano, o perché erano ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, come quelli allestiti

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nell’ex Grand’Hotel di Fiuggi e ad Alatri in località “Le Fraschette” per i profughi della Libia. Ad un certo punto gli ex prigionieri erano diventati così numerosi e di diverse nazionalità (inglese, neozelandese, polacca ed americana) che a volte potevamo giocare partite come Italia - Inghilterra o Italia-.Prigionieri alleati.

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Fiuggi città aperta

E ospedaliera Verso la fine di ottobre del 1943 la situazione a Fiuggi, dopo un paio di mesi di occupazione tedesca non fu più precaria ed allarmante, ma fu, in un certo senso più chiara e prevedibile. Fiuggi insomma per il solo fatto di essere stata trasformata in città ospedaliera ed a sede di quasi tutti gli uffici della Provincia, potè, alla fine, salvarsi sia dai bombardamenti che dalle rappresaglie tedesche; le quali, in altre località dell’Italia centrale e settentrionale, si andavano invece verificando. Lo stesso clima di tranquillità non lo vivevano invece i giovani che dovettero forzatamente mettersi al servizio del Comando tedesco, prima per sorvegliare, di giorno e di notte, le linee telefoniche ed elettriche degli alberghi requisiti, poi per segnalare, con apposite bandierine, l’arrivo degli aerei alleati ad ogni mezzo tedesco ed italiano che si trovasse a transitare sulla strada per Frosinone, in località Fontanelle a Capo i Prati. Ma i giovani vengono precettati E fu proprio in quelle perlustrazioni che alcuni di noi giovani rischiammo di lasciarci la pelle. Ad esempio, il turno di “guardiafili” come la lettera del Comune ci definiva, io lo facevo in coppia, con Alberico Ludovici, ed era un turno di quattro ore per notte. Dopo di che, venivamo sostituiti da altre coppie di giovani. Il tratto che dovevamo sorvegliare era quello compreso, tra la

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“Ghiacciaia” e l’ingresso principale del Palazzo della Fonte. Si trattava di circa seicento metri che dovevamo percorrere ininterrottamente per tutta la durata del turno. Lo scopo era quello di evitare alle linee elettriche e telefoniche del “Palazzo” eventuali atti di sabotaggio, o intralci al passaggio dei mezzi tedeschi sia all’ingresso principale sia a quello secondario. Senonché già dalle prime sere ci rendemmo contoche ci facevano fare i turni senza mezzi di difesa, o per scoraggiare chiunque ci avesse attaccato. Pensammo allora di munirci di due grossi bastoni di castagno e tenendoli ciascuno di noi sulla spalla destra, camminammo sicuri di poterci difendere. Appena arrivati all’ingresso del “Palazzo” con quei bastoni sulle spalle, come se fossero dei fucili, mettemmo sul chi va là proprio la sentinella tedesca; la quale credendoci due sabotatori puntò subito contro di noi il suo mitra e la torcia elettrica per illuminarci. Il pericolo era gravissimo: sarebbe bastata una nostra pur lieve mossa sbagliata, per farci scaricare addosso la raffica dei proiettili che la sentinella stava per far scattare. Per fortuna, prima di premere il grilletto il tedesco illuminò con la sua torcia il nostro braccio sinistro ed in un attimo, dalle fasce che portavamo, capì che eravamo “guardiafili” e fu la nostra salvezza. La sentinella che con la parola “raus”, ci aveva intimato l’alt, abbassando il mitra, ci fece capire che potevamo andare. La seconda occasione in cui corremmo un altro rischio, fu quando, io ed Enzo Girolami fummo mandati di giorno a segnalare, sulla statale che porta a Frosinone, l’arrivo degli aerei alleati, ai mezzi tedeschi ed italiani che transitavano su quella strada.

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Erano le 11 di mattina, quando sentimmo il rombo di aerei da caccia provenienti dal cielo di Alatri e di Fumone. Sulla via Prenestina stavano transitando alcune camionette ed un carro pieno di tedeschi. Sbandierammo subito la bandierina, ed i mezzi che stavano passando si fermarono immediatamente. Da essi scesero una ventina di soldati che di corsa raggiunsero le buche che i giovani reclutati avevano scavato. Le buche erano quattro o cinque; a distanza di cinquanta metri l’una dell’altra.In pochi secondi si riempirono di tedeschi e quando, pure io ed Enzo, stavamo per raggiungerne una, la trovammo occupata. Intanto gli aerei che avevano visto il movimento dei mezzi e degli uomini, si abbassarono a volo radente per mitragliarci, ma a fuggire eravamo soltanto noi due perché, avendo trovato le buche occupate, volevamo raggiungere il bosco di Caiano, per cercare di ripararci. Nel frattempo un solo aereo era rimasto ad inseguirci e quando si stava abbassando per mitragliarci di nuovo, eravamo già arrivati a nasconderci dietro un grosso albero di castagno ed a salvarci. E concentrati ad Alatri Dopo tutte le vicende e le traversie che fummo costretti a subire dal settembre 1943 in poi, dopo essere stati reclutati nella caserma allestita a Fiuggi Città, nell’albergo Falconi, fummo obbligati a seguire il comando della Guardia nazionale repubblicana ad Alatri, dove avremmo dovuto attendere la sorte, che i fascisti stavano preparando per tutti i giovani di leva.

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Nel convento dei Cappuccini, dove ci portarono, trovammo tanti altri giovani della provincia di Frosinone, che attendevano di conoscere il loro destino. Anche lì si diceva che saremmo partiti verso il Nord, in quanto il fronte di Cassino, nonostante la strenua difesa dei tedeschi, stava per essere sfondato. Fu in questa prospettiva che cominciò a farsi in noi, l’idea di darci alla macchia, come già altri erano riusciti a fare senza tante difficoltà, dal momento che ogni mattina all’appello delle guardie repubblicane, mancavano in media quattro-cinque giovani. Così facemmo, io ed Enzo Girolami, quando durante una notte di fine marzo, approfittando della luna che illuminava tutta la zona, ci demmo alla fuga, e dopo aver scavalcato il muro del convento, dalla parte del cimitero, ci trovammo nella campagna vicina a Collepardo. Erano le due di notte e dopo aver camminato circa tre ore tra gli uliveti nelle campagna di Collepardo e di Vico nel Lazio, ci ritrovammo alle cinque del mattino, nei pressi della stazione di Pitocco, e trovammo rifugio in una casa abbandona di contadini. Il giorno seguente attraverso le campagne di Trivigliano e Torre Caietani giungemmo a Fiuggi, verso sera nella zona di Caiano. Con la fuga diventano disertori Dopo la fuga dall’esercito repubblicano, a Fiuggi siamo rimasti nascosti per alcuni giorni, io nella casa di mio nonno Serafino, dietro la Chiesa di S.Pietro, Enzo Girolami a casa sua, pochi metri più avanti. Dopo pochi giorni, dato che i tedeschi continuavano a fare i rastrellamenti, Enzo decise di tornarsene a Roma, dove era più facile nascondersi ed io tornai a casa, con

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l’intento di starci soltanto la notte; perché di giorno sapevo che potevo raggiungere i miei coetanei a Capo Le Ripi, dove andavamo quasi tutti i giorni a giocare a pallone. Così infatti feci fino alla fine di maggio, quando cioè stavano per arrivare gli alleati ed i tedeschi ed i repubblicani di Salò si stavano ritirando verso Roma.

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A FIUGGI

E IN CIOCIARIA

GIOVANI ALLA MACCHIA

RESISTENZA ZERO

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Giovani alla macchia

Resistenza zero A questo punto del mio racconto, devo dire, a testimonianza della verità storica del periodo di occupazione tedesca, di Fiuggi e dei dintorni, che gran parte della popolazione, ma soprattutto i giovani ricercati ed inseguiti dai tedeschi, mai avevamo avuto sentore che nella zona esistessero dei partigiani attivi ed organizzati. Né erano pervenuti loro appelli o inviti (diretti o indiretti) ad aggregarsi a qualche gruppo di concittadini, che pure si sapeva fossero nascosti e come tali timorosi di uscire allo scoperto. Tanto più che alcuni di essi, essendo vicini di casa, avevano tutte le occasioni e le possibilità di coinvolgerli in qualche attività. Gli unici compagni di sventura che invece avevano modo di incontrare erano altri fiuggini, precettati dai tedeschi per lavorare negli alberghi; oppure altri giovani che erano sfuggiti ai rastrellamenti delle S.S. Neppure nelle zone di montagna (tra Capo Le Ripi e le campagne tra Torre Caietani e Trivigliano) dove pure c’erano profughi sfollati dalla zona del cassinate e da Frosinone, non si era mai notato uno solo di coloro che, dopo l’arrivo degli alleati, usciti dalla clandestinità, dicevano di essere stati partigiani ed invitavano altri giovani a iscriversi alla sezione di Fiuggi, che loro stavano per aprire. Ma quasi tutti i giovani di quella età, nonostante le peripezie passate durante l’occupazione, rifiutarono di aderire a quegli inviti proprio perché sapevano perfettamente che la resistenza a Fiuggi non era mai concretamente esistita.

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Anche perché i meno giovani, che dicevano di avervi partecipato, erano proprio coloro che, fino alla caduta del Fascismo, erano stati fanatici gerarchi del Regime e che solo dopo l’8 settembre si erano per paura nascosti nel retrobottega di qualche bar a Fiuggi Fonte, oppure nelle casette dei pescatori alla Madonna della Stella, lontane dai pericoli dell’occupazione. Comunque il rifiuto dei giovani di Fiuggi ad accettare la qualifica di partigiano, che gli ex gerarchi andavano loro offrendo, derivava dalla consapevolezza di non aver partecipato ad alcun movimento clandestino, di cui potessero poi vantarsi, ma di avere soltanto subìto gli eventi, come del resto quasi tutti gli italiani dopo l’8 settembre, avevano fatto specialmente nell’Italia centrale. L’ ammissione dello storico Giammaria. L’inesistenza quasi assoluta di un movimento partigiano ed antifascista nella zona di Fiuggi e dell’alta Ciociaria, viene del resto apertamente riconosciuta nel volume “Guerra di Liberazione in Ciociaria” pubblicato dall’Amministrazione Provinciale di Frosinone nel 1990. Nel quale, già nella premessa, al capitolo “Un bilancio provvisorio” il ricercatore Gioacchino Giammaria, di nota e conclamata fede comunista, quasi rammaricandosi di ciò che è costretto ad ammettere, così scrive sul ruolo della popolazione ciociara, nella guerra tra tedeschi ed alleati: “Altra domanda che ci poniamo è sul ruolo del popolo in guerra. E’ scontato che fece da spettatore agli eventi bellici, perché fu coinvolto nei combattimenti e distrutto dalla necessità di cercare gli alimenti”.

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“I ciociari hanno nella gran parte cercato di scampare alla morte, solo pochissimi hanno combattuto, si sono schierati per l’uno o per l’altro, anche se di questi il gruppo più consistente combatté per il Regno, oppure per la nuova democrazia”. Con tali considerazioni l’autore lascia intendere, e quasi gliene dispiace, che i ciociari abbiamo cercato solo di scampare alla morte e quei pochi che si decisero a combattere lo fecero, o per salvare la monarchia, o per spianare la strada ad una vera democrazia, cosa che a lui comunista ovviamente non andava bene, perché l’autore cercava di accreditare la tesi che, i più decisi nella lotta contro i tedeschi, non fossero la popolazione civile, nè i partigiani che facevano riferimento all’esercito di Badoglio o ai partiti democratici, bensì i comunisti. Questa tesi è in parte vera, perché, mentre la gran parte dei cittadini non vedeva l’ora di liberarsi di ciò che rappresentava il passato per costruire un’Italia (dove la pace e la democrazia fossero la condizione essenziale) quelle sparute frange di comunisti e socialisti che si schierarono contro, lo fecero più per creare una società di tipo marxista e non per ridare all’Italia la libertà che il Fascismo le aveva sottratto. Ed è questo che (secondo molti storici e politici di area liberaldemocratica o cattolico-liberale) è stato il vizio di origine che ha offuscato la resistenza italiana. Ex gerarchi i nostri partigiani

Ma a questo punto, occorre dire che, per fortuna la libertà in Italia si è potuta conservare, solo grazie ai partiti democratici di centro (Dc-Pri-Psdi-Pli);

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i quali, sconfiggendo i marxisti del Fronte Popolare (Pci e Psi) alle prime elezioni politiche del 18.4.1948, evitarono al nostro Paese di finire nel blocco dei paesi comunisti (guidati dall’Unione Sovietica) nei quali la libertà è arrivata soltanto nel 1989. Questa è la verità storica di quegli anni, che ora, anche gli ex Gli alleati del Fronte Popolare apertamente ammettono; a tal punto che, arrivati al Governo del Paese, fanno addirittura la guerra (con la NATO) contro l’ultimo dittatore del comunismo europeo (Milosevic). A pagina 49, del volume “Guerra di Liberazione in Ciociaria” ecco cos’altro scrive il già citato Gioacchino Giammaria: “Nella zona (di Fiuggi) troviamo anche un gruppo di partigiani attivi e collegato col C.N.L. di Roma, sotto la guida del Gen. Bencivenga che agisce con le bande di Acuto, Anagni, Paliano, ecc. Fanno parte di tale banda validi partigiani come Raniero Marazzi, Natalino Terrinoni, ed il Prof. Raffaele Conti.” Per la verità c’è da precisare che le notizie, su quel gruppo di partigiani di Fiuggi, il ricercatore Giammaria deve averle riprese, pari pari, senza verifica alcuna, dal volume “Storia di Fiuggi” pubblicato nel 1979 dal notaio Giuliano Floridi. Il quale a sua volta non può averle verificate di persona, perché a Fiuggi, in quegli anni non è mai vissuto, e le “gesta” di quei validi partigiani deve averle sicuramente apprese, negli anni successivi, direttamente dagli interessati. I quali però, di se stessi, avevano taciuto alcuni piccoli particolari, dei loro rispettivi “curriculum”, perché, i primi due, erano stati i gerarchi più in vista del regime, e il loro capo, Raffaele Conti, originario di

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Novara, dopo essere andato in Abissinia, come civile, a cercare fortuna, nel 1939 dopo averla trovata, approdò a Fiuggi, e fino all’ultimo professò la stessa fedeltà al Fascismo degli altri due. Ma di questi loro trascorsi politici, nessun cenno si trova nelle citate pubblicazioni. Neppure di altri partigiani di Alatri e di Frosinone si risale ai loro trascorsi politici, ad esempio di quel partigiano, diventato poi senatore della Repubblica, il quale fino alla caduta di Mussolini, i giovani balilla e gli avanguardisti di della Ciociaria se lo ricordavano con la divisa da gerarca, come intellettuale del regime, che dava lezioni di mistica fascista al liceo Ginnasio di Frosinone. Oppure di quei deputati e sindaci di alcuni comuni ciociari e pontini che fino al 1943 erano stati sempre in orbace, camicia nera e cinturone.

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In una Fiuggi affamata

Numerosi i casi da “Schindler’s List” Per l periodo che va dall’8 settembre ‘43 fino all’arrivo degli alleati, avvenuto il 4 giugno 1944, la situazione, anche sotto l’aspetto alimentare era, a Fiuggi, assai preoccupante. “La fame incombeva paurosa e minacciosa e l’assillo di ogni giorno era la ricerca del cibo”. Così giustamente scriveva Carlo D’Amico, sul Fiuggi del marzo 1994. Per tale motivo, aiutare gli altri richiedeva enormi sacrifici e poteva farlo soltanto chi aveva qualche provvista di generi alimentari, o chi aveva dei risparmi, che però, con la svalutazione galoppante era difficile dare in cambio per la ricerca del cibo. Ogni acquisto ormai avveniva solo attraverso l’antico uso del baratto che prevedeva lo scambio di cosa con cosa. Cioè di cose utili a chi comprava, con altre utili a chi vendeva. Lo scambio che si verificava con più frequenza era, tra chi produceva, o possedeva, generi di prima necessità (come grano, granturco, olio, vino, latte, patate, sale, etc.) che li scambiava con altri di cui era sprovvisto (come carne, legumi, conserve, marmellate, alici e surrogati di caffè, cioccolato o zucchero). Ma lo scambio più classico e più diffuso era tra chi possedeva il grano, il granturco e i cereali in genere e voleva in cambio le relative farine. Il baratto sul grano che era l’unico genere che a Fiuggi si produceva in una certa quantità, aveva incentivato la

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ricerca e l’uso di macinelli di ogni tipo, come quelli del caffè, o della carne, con i quali si evitava il baratto e si otteneva un prodotto grezzo più della crusca, ma ben più nutriente di essa. Anche se non tanto appetibile al gusto e alle esigenze di chi era abituato ad ottenere dai cereali farine più o meno raffinate sia per la pasta che per il pane. Tutto ciò accadeva soprattutto dopo l’8 settembre, quando cioè il razionamento dei generi alimentari da distribuire alle famiglie in base ai bollini applicati alle tessere, si era arenato proprio perché era venuta a mancare la materia prima. Mancavano cioè i rifornimenti sia ai centri di raccolta sia a quelli della distribuzione. E se di tanto in tanto arrivava qualche carico di derrate alimentari, queste si assottigliavano, o scomparivano, per poi ricomparire nel mercato nero, a prezzi sbalorditivi. Solidarietà verso i profughi militari e civili. Eppure, in una situazione come quella descritta, a Fiuggi c’erano famiglie che cercarono di aiutare, in qualche modo, sia i soldati italiani, sbandati dopo l’8 settembre sia gli sfollati del cassinate o del frusinate, che numerosi si erano rifugiati a Fiuggi. I profughi ebrei da Roma Vi furono anche famiglie che aiutarono i profughi ebrei, che dopo essere stati a Fiuggi negli anni precedenti, per le cure termali o per turismo, vi erano tornati, o vi erano rimasti, per sfuggire alle rappresaglie che i tedeschi facevano a Roma, dopo gli attentati terroristici, tipo quello di Via Rasella.

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Del gruppo di ebrei che trovò riparo e protezione, prima nell’Albergo Vittoria, del fascista della prima ora Costantino Ambrosi, e di altri gruppi ospitati nelle case di Marcello Fiorini, Maria Luisa D’Amico, e Virginia Pomponi, ne ha parlato per la prima volta l’amico Carlo, qualche anno fa, sempre sul “Fiuggi” ed il ricordo di quegli episodi ha suscitato nei fiuggini non solo l’apprezzamento per chi ha portato alla luce, dopo tanti anni, ma anche un sentimento di riconoscenza verso coloro che si erano prodigati e sacrificati per aiutare gli altri, senza chiedere premi o medaglie a nessuno, e senza che nessuno degli storici della “Lotta di Liberazione in Ciociaria” si era mai premurato di ricordare.

L’ “Agata List’

E gli sfollati da Frosinone e Cassino Nel riportare alla luce quegli episodi di ebrei nascosti e salvati da un fascista, Carlo D’Amico, giustamente accostava l’evento alla lista che un imprenditore tedesco, in Germania, aveva compilato per salvare dallo sterminio quasi 1.000 ebrei e rievocata dal Regista Spielberg nel film “Schindler’s List.”Ebbene, fu proprio questo titolo che Carlo dava al suo articolo a sollecitare in me il ricordo di quella lista che anche mia madre, Agatina Alessandri, aveva compilato a suo modo, dopo l’8 settembre 1943, per un solo marinaio d’Italia, sbandato, e per una sola famiglia, sfollata di Roccasecca essendo stata lunga circa nove mesi, è come se fosse stata una lista di 10, 100 o 300 tra militari e civili italiani sottratti ai disagi della guerra e della fame.

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Quella lista mia madre l’aveva compilata, con l’aiuto dei coniugi Isolina Moretti e Francesco Manovale, dando aiuto ed ospitalità sia al marinaio sbandato che alla famiglia di Roccasecca, dal settembre del ‘43 al 4 giugno 1944.Ma c’erano stati altri episodi di ospitalità nelle case dei fiuggini, dove erano stati accolti sfollati e profughi provenienti dalle zone del cassinate e del frusinate. I quali, attraverso il centro di accoglienza istituito alla Casa dei Maestro, dove venivano inizialmente alloggiati, almeno fino a quando gli ospiti non trovavano, di loro iniziativa, una migliore sistemazione. Molti fiuggini certamente ricorderanno i nomi di famiglie venute in quel periodo di guerra, anche per effetto dei trasferimento da Frosinone degli uffici della Provincia. Dal capoluogo, ad esempio, le famiglie Mayer, Turriziani, Chiappini, Baldaccini, Bragaglia, Rea, Catucci, Russo, Scerrato, Valente, Spaziani, Spilabotte, Straccamore, Giansanti, Colasanti, Zeppieri. Da Cassino: Baggi, Fraioli, Mancone, Sudano Vallerotonda, Vizzaccaro, Zagaroli. Ebbene, i componenti di queste famiglie, di tanto in tanto incontrati dopo la guerra a Fiuggi, o nelle loro città, hanno sempre manifestato una certa gratitudine per la cordiale ospitalità qui ricevuta, ma anche per la tranquillità e la sicurezza che qui trovarono, soprattutto in virtù dello “Status” di città ospedaliera che Fiuggi ebbe in quel periodo. Alcuni episodi di arricchimento illecito, da parte di coloro che praticavano le borsa nera, non mancarono, ma erano inevitabili data la carenza delle derrate alimentari. Nella primavera del 1944, dopo la lunga attesa che gli alleati fecero per riprendere più attivamente le operazioni

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sul fronte di Cassino, il passaggio degli aerei da bombardamento (o “Fortezze Volanti”) sull’Italia centrale, era sempre più frequente. 500 fortezze volanti precedono l’arrivo degli alleati Più di una volta, io ed i miei amici ci siamo cimentati (dalla Piazza o dal muro di fronte alla farmacia o dell’Albergo Excelsior) a contare tutti gli stormi di aerei che passavano sulle nostre teste. Ebbene, tra la mattina e il tramonto, durante la giornata, facendo turni di quattro o cinque ore per volta, abbiamo contato da dieci a dodici stormi di cento aerei ciascuno, per un totale di circa 500 aerei da bombardamento, che dai cieli del centro sud si dirigevano verso il nord d’Italia e forse nei Balcani e in Europa. Ciò avveniva in previsione della decisiva avanzati sui fronti di Cassino e di Anzio, che gli alleati si preparavano ad effettuare e gli aerei con il loro carico di bombe dovevano distruggere ogni ostacolo ed ogni resistenza che poteva rallentare o compromettere La conclusione della “Campagna d’Italia”, come gli americani la definivano. E fu così anche a Fiuggi, come nel resto dell’Italia ancora occupata dai tedeschi, dovemmo, nostro malgrado, diventare i testimoni oculari di una guerra, certamente non voluta dagli italiani, ma senz’altro supinamente subita, specialmente da quella classe dirigente, che poi si scoprì essere antifascista o monarchica, al solo scopo di mantenere quel potere che per vent’anni aveva condiviso con Mussolini.

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E fu così che sulle nostre teste e sulle nostre città ogni giorno passavano aerei che andavano a scaricare tonnellate di bombe, non solo su obiettivi militari ma anche su strutture civili. Avveniva allora ciò che oggi avviene sui Balcani, dove le democrazie occidentali, pur di abbattere i dittatori di turno, non ci pensano due volte ad inviare migliaia di aerei per bombardare, anche popolazioni innocenti. E tutto ciò non mi sembra giusto. Eppure, nella seconda guerra mondiale sia da una parte (Germania, Italia e Giappone) che dall’altra (Inghilterra, Russia e Stati Uniti) si sono mandati al massacro milioni di esseri umani, solo perché le rispettive dirigenze politiche non vollero fermare, sul nascere, sia le incertezze di alcune nazioni democratiche sia le prepotenze delle dittature fasciste e comuniste. Ma se un organismo come l’O.N.U., oggi, non è in grado di risolvere, o di evitare, alcun conflitto tra i popoli, è perché nel suo statuto non prevede una norma semplicissima, che escluda, dal novero dei paesi civili, quei paesi che si reggono sui regimi dispotici e autoritari e quindi non degni di essere aiutati, né in pace né in guerra.

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Dal Fascismo alla Democrazia Anche la Ciociaria si adegua

Ogni uomo è libero di credere in una idea e ad essa dedicare le migliori energie sia fisiche che intellettuali. Ma ogni uomo è libero anche di ricredersi ed accarezzare subito dopo un’altra fede sia politica che religiosa. Così hanno fatto molti di noi nati o cresciuti negli anni venti e trenta di questo secolo. Negli anni in cui nel nostro Paese l’ideale fascista ebbe la sua fortuna a tal punto da gestire per un ventennio sia la cosa pubblica che la vita privata di tutti. Ebbene, dal 1922 fino al 25.7.’43, quasi tutti gli italiani erano stati fascisti, ma dopo la caduta di Mussolini, perché sfiduciato dal Gran Consiglio del suo Regime, quasi nessuno ammetteva di esserlo stato, e molti uscirono allo scoperto per dire che erano stati antifascisti e come tali rivendicavano un premio. Così avvenne che anche a Fiuggi, dopo l’ingloriosa e inaspettata caduta di Mussolini, i primi a prendere le distanze dal loro Capo, furono proprio coloro che, per quell’idea e quel partito si erano impegnati più di altri, fino alla fine. Salvo poi a transitare, armi e bagagli, nelle file antifasciste, pur avendo fino ad allora indossato divisa nera e stivaloni. Questa, si può dire, la storia di molti nostri concittadini, specialmente se anziani. I quali solo all’arrivo degli alleati (cioè dal 4.6.1944) uscirono fuori per far sapere che erano tutti e da tempo antifascisti o partigiani ed invitavano i giovani (ex balilla ed avanguardisti) ad entrare nelle file dei nuovi partiti.

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Ai cui vertici, guarda caso, c’erano sempre loro, non più con la camicia nera, ma con quella bianca o rossa, di democristiani e comunisti. Sì, perché i fascisti più anziani, che erano diventati tali, per scelta (non per obblighi scolastici) aderirono subito, non ai partitini (laici o liberali) con i quali si sarebbe potuta costruire una repubblica di tipo svizzero, o americano, bensì ai due partiti “chiesa”, che erano appunto la Dc e il Pci ed alle rispettive cellule partigiane. Si badi bene, la loro scelta di cambiare idea e casacca subito dopo l’arrivo degli alleati, può essere giustificata e rispettata, ma ci è sembrato strano che nei libri in cui si pretende di fare la storia di quel periodo, e si citano nomi e cognomi degli antifascisti dell’ultima ora, non si sia accennato neppure larvatamente ai precorsi politici ed alle radici che essi avevano avuto fino a qualche mese prima. A questo punto, c’è da dire anche un’altra verità e cioè che anche noi giovani eravamo tutti fascisti ed a distanza di tanti anni non vorremmo che qualcuno ce lo ricordasse. Ma eravamo fascisti inconsapevoli. Prima, perché nelle scuole, nelle piazze, alla radio e sui giornali ci veniva inculcata solo quell’idea e poi perché credevamo che fascismo significasse verità e libertà. Credevamo: a quella verità, perché era la sola che ci veniva propinata; a quella libertà perché era l’unica con cui si potessero esaltare quegli ideali che, sin dall’infanzia, ci venivano inculcati, come la religione e la patria. Il pluralismo delle idee, una scoperta per i giovani Credevamo a tutto questo, senza sapere che di ideali ce ne potevano essere altri sia politici che religiosi ed anche profondamente diversi. La scoperta di tutto ciò, noi giovani, la facemmo solo dopo il 25.7.1943.

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Quando cioè, caduto Mussolini, sulla Piazza di Fiuggi, ad esempio, sentivamo parlare oratori di tutte le tendenze, che proponevano tante altre idee, fino ad allora neppure immaginabili. Fu così che maturò in me il convincimento che, per essere liberi di scegliere un’idea politica, occorresse conoscere prima le idee degli altri e comunque quelle esistenti nella società e gli uomini che le propugnavano. Un’altra cosa riuscii a capire (ed avevo 18 anni) e fu quella che libertà significa poter dire correttamente ciò che si ha in mente e senza che altri potessero offendersi, oppure punirti per ciò che avevi detto o pensato. Capii anche che ognuno di noi (e non solo i capi o i gerarchi) potevano parlare in pubblico, senza che le autorità potessero impedirlo. Ciò avvenne soltanto dopo il 25.7.43, perché solo in quel periodo si poteva parlare male di Mussolini e del Fascismo, ma non del Re e della Monarchia, perché chi criticava quest’ultima veniva denunciato. Così infatti avvenne al Direttore Provinciale delle Poste, Ferraiolo, che per aver tenuto un discorso nella sala del Comune, contro la Monarchia ed a favore della Repubblica, prima del Referendum, venne destituito dall’incarico di Direttore e privato dello stipendio per molti anni. In ogni caso dai comizi che giornalmente sentivo in Piazza o nel Salone comunale, capii subito che per i giovani di poca esperienza politica, c’era finalmente la possibilità di avere più chiare le idee, per scegliere qualcosa di diverso dal fascismo e dal comunismo.

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Dalla Patria tradita nasce la Repubblica E fu in base a queste considerazioni che, nel 1945, si fece strada in me l’idea di aderire ad un partito politico, in cui fosse possibile coltivare le idee di libertà, in senso lato. E fu così che, avendo saputo dal mio amico Carlo D’Amico, che il Direttore delle Poste, Ferraiolo, aveva intenzione di aprire una sezione del P.R.I., decisi di appoggiare quell’iniziativa ed insieme ad altri amici, come Checchino Lazzari, Francesco Lentini, Remo Torelli, Loreto Santesarti e Luigi Simeoni, costituimmo, di lì a poco, la prima sezione di un partito democratico a Fiuggi. E perché il P.R.I. dicemmo tra noi? Perché, dopo che la Monarchia aveva tradito la Patria, prima con la dittatura fascista e poi con l’avallo alla guerra di Mussolini, era giunta l’ora di pensare ad una repubblica, dove il Presidente fosse eletto dal popolo, come negli Stati Uniti e in Svizzera. Scegliemmo il P.R.I., anche perché si ispirava agli Ideali del Risorgimento, propugnati da uomini come Mazzini e Garibaldi, che già nel 1848 auspicavano gli Stati Uniti d’Europa e come Cattaneo, che era il vero teorico del federalismo.

Ma anche le delusioni E qui é il caso di fermarsi, nel rivisitare i percorsi della memoria dal 1945 in poi, perché, altrimenti, dovrei dire delle delusioni ricevute da chi ci ha governato, dopo l’avvento di questa Repubblica. La quale non è stata affatto come quella che Mazzini e Cattaneo ci avevano fatto credere e perché essa non è stata mai rispettosa della sovranità popolare.

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E’ stata la copia conforme di un regime oligarchico, dove, non la volontà dei cittadini, ma quella dei partiti, ha ispirato e regolato la vita del nostro Paese. Basti pensare ai numerosi referendum traditi, alle più svariate maggioranze politiche, chiaramente indicate dagli elettori, ma di volta in volta rovesciate: per stabilire come, da una classe politica che ci ha governato per oltre 50 anni e che purtroppo, salvo una breve pausa nel 1994, continua a governarci allo stesso modo e con gli stessi uomini. Un solo riconoscimento si può dare al sistema democratico, più che agli uomini che lo hanno gestito, ed è quello, peraltro previsto dalla nostra Costituzione, di averci risparmiato la perdita della libertà e la partecipazione del nostro Paese a qualche altra guerra di aggressione, come invece era avvenuto in precedenza con la Monarchia e con il Fascismo. E non è stata poca cosa, specialmente se si pensa a tutte quelle famiglie italiane che, come la mia, ha dovuto subire la perdita: dello zio materno, Colombo Alessandri, aspirante allievo ufficiale nella 1^ guerra mondiale (1915-18) con medaglia d’argento al v.m. ; del proprio genitore, Biagio Antonio Incocciati, di ritorno dalla 1^guerra mondiale, e invalido, dalla guerra in A.O.I., infine del fratello, Silvio Incocciati S.Ten. nella campagna di Russia (1942-43) dichiarato disperso dal gennaio ’43, e mai tornato. Sono state tutte guerre volute, guarda caso: dalla Monarchia, la prima, e dal Fascismo e dal Re, la seconda e la terza. A conclusione di questa prima rivisitazione ritengo di poter condividere appieno l’idea che in ogni monumento ai caduti, sia chiaramente inciso il motto “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, che Bertold Brecht lanciò contro tutte le guerre.

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Gli ebrei a Fiuggi Sul giornale “Fiuggi” del giugno 1994, il collega D’Amico racconta la vicenda di alcuni cittadini romani, di religione ebraica che, dopo l’8 settembre si rifugiarono a Fiuggi. Di ciò gli va dato atto, perché senza questa testimonianza quasi nulla si sarebbe saputo di quei cittadini di Roma che, essendo stati ospiti negli alberghi di Fiuggi, prima della guerra, vi sono poi tornati, come sfollati, dopo il bombardamento alla stazione di San Lorenzo e, come ebrei, dopo l’attentato dei Gap comunisti, contro un battaglione tedesco, in Via Rasella a Roma. Sul ruolo di “operatore della causa umanitaria” che Carlo si attribuisce, c’è da fare quale osservazione, perché alla fine del suo racconto, egli pubblica il “lasciapassare” del Comando tedesco, datato quattro giorni prima dall’ arrivo degli alleati. E lo fa dicendo che numerosi ebrei, a causa delle leggi razziali erano già schedati e perseguitati, ma trovarono riparo a Fiuggi, prima nella Pensione “Littoria” a Fiuggi Fonte, gestita dal “fascista ante marcia” Costantino Ambrosi. Poi alla contrada Monticiglio nella casa di Maria Luisa D’Amico. I cognomi delle famiglie nascoste dall’Ambrosi erano: Sabatello, Di Veroli, Piperno, Shiunnach Spizzichino ed altre. Il collega ricorda quando quelle famiglie, dovettero fuggire nottetempo perché un ufficiale tedesco, aveva perso un portasigarette d’argento proprio nei pressi della Pensione, e in tutta fretta, a piedi, attraverso il Fosso del Diluvio si trasferirono in quella contrada. Dell’operazione ne fu investito il locale commissariato di P.S. guidato dal maresciallo Bazzoffi.

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quale onde permettergli di operare a favore verso gli ebrei, gli fece assegnare dal Comando Tedesco, un lasciapassare (*) con il quale veniva indicato come taglialegna alle dipendenze della ditta D’Agostino operante nei boschi tra Fiuggi e gli Altipiani di Arcinazzo.” Questo era il permesso rilasciatogli dal Comando tedesco di Fiuggi, che l’autore riproduce in fotocopia: (*)“Standortcommandantur-Fiuggi-O.U.-Den.1.4.1944- Lasciapassare a D’Amico Carlo, quale taglialegna alle dipendenze della Ditta D’Agostino, operante nei boschi tra Fiuggi e gli Altipiani di Arcinazzo. Der Sta dortkommandant: Rittmester – gul tig bis 31.5.44” Come si vede, l’autore, pubblicando la copia del rinnovo del lasciapassare, ottenuto dal Comando Tedesco il 31.5.1944 ( cioè a 4 giorni dall’arrivo degli alleati) rivela di aver ottenuto il permesso per fare il taglialegna, non “per operare liberamente a favore della causa umanitaria” (termine allora inesistente, inventato dai pacifisti di oggi). Appare pertanto dubbio che egli abbia potuto con quel permesso fare l’ operatore a favore degli ebrei, quando è a tutti noto che i tedeschi consideravano nemici tutti coloro che cercavano di aiutarli.

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Nella Fiuggi occupata Solidarietà ed accoglienza Nel riportare alla luce quegli episodi di ebrei nascosti e salvati da un fascista, Carlo D’ Amico giustamente accostava l’evento alla lista che un imprenditore tedesco, in Germania, aveva compilato per salvare dallo sterminio quasi mille ebrei e rievocato dal regista Spielberg ndel film “Schindler’s List’” Ebbene, fu proprio questo titolo che Carlo dava al suo articolo a sollecitare in me il ricordo di quella lista che anche mia madre, Agatina Alessandri, aveva compilato, a modo suo, dopo l’8 settembre 1943, con l’aiuto dei coniugi Isolina Moretti e Franceschino Manovale, dando aiuto ad un solo marinaio d’Italia, sbandato, ed a una sola famiglia, sfollata di Roccasecca. Essendo durata nove mesi quella lista è come se avesse sottratto ai disagi della guerra e della fame, 10, 100, 300, tra militari e civili italiani. E fu quando, dopo qualche giorno dalla dichiarazione d’armistizio che il Governo Badoglio aveva annunciato alla radio, verso sera i due coniugi si presentarono a casa mia, per perorare la causa di due giovani militari, venuto a Fiuggi, perché sorpresi dall’armistizio nei pressi di Roma. Erano entrambi pugliesi. Uno di Taranto e conosceva il marito di Isolina. L’altro di Bari, il quale aveva dei parenti a Fiuggi. Isolina pensò di venire da mia madre perché la nostra casa di S.Stefano era abbastanza grande per ospitare più persone, e la richiesta fu quella di accogliere i due giovani per alcuni giorni in

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attesa che potessero proseguire verso il sud e raggiungere, con qualsiasi mezzo le loro città. Mia madre aderì subito alla richiesta perché sperava, e lo disse apertamente, che anche mio fratello Silvio, disperso in Russia gal gennaio 1943, avrebbe potuto trovare in quel lontano paese qualche famiglia ospitale (o come si dice oggi, uno Schindler russo) che lo avesse salvato dalla fame, dal freddo, e dalla deportazione in Siberia. Fu in base a queste considerazioni che il marinaio Aldo Carrino di Taranto, fu accolto in casa nostra, mentre il compagno di Bari, avendo dei parenti a Fiuggi, sarebbe andato presso di loro. Intanto i giorni di quel triste settembre passavano lenti, uno dopo l’altro, ma le occasioni per proseguire nel sud i due giovani non le trovarono mai. Il marinaio, rimase a casa mia, tranquillo e protetto, anche perché la generosità di mia madre (dovuta al dolore per la sorte del figlio disperso) lo stimolò a rimanere presso di noi fino alla fine della occupazione tedesca, che cessò il 4 giugno 1944. L’altro giovane militare, dopo essere stato ospitato solo per pochi giorni dai suoi parenti, decise di arruolarsi nelle liste dell’esercito repubblicano, in via di formazione, e vi rimase fino all’arrivo degli alleati. Di quel periodo ricordo pure che in una parte della nostra casa, mia madre dette rifugio anche ad una famiglia di Roccasecca (di cognome Fraioli) costituita da madre e quattro figli (dai sei ai 12 anni) la quale aveva il marito in guerra e fu costretta a sfollare dalla sua casa di campagna, perché i tedeschi gliel’avevano requisita. Con riferimento alla situazione del marinaio Carrino, il paradosso fu che, mentre lui, pur lontano dalla famiglia

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veniva nascosto e protetto dai pericoli e dagli stenti, io ed i miei coetanei di Fiuggi eravamo invece soggetti a tutti i rischi di quel particolare periodo. Tra i quali, i rastrellamenti, da parte dei tedeschi, e la chiamata alle armi, da parte del maresciallo Graziani, quale Ministro della Guerra del Governo di Salò. La chiamata avvenne infatti con un apposito bando, soprattutto per la classe 1925, pena la fucilazione, o la deportazione in Germania per i renitenti. Qui di seguito trascrivo una parte della lettera con la quale, da Taranto, il marinaio Carrino ringraziava la famiglia Incocciati-Alessandri: “Taranto 27 luglio 1944 - Gent.ma famiglia Incocciati, dopo oltre due mesi, eccomi a voi per darvi mie notizie. Comprendo che anche voi eravate in pensiero alla mia partenza, ma la provvidenza divina mi ha aiutato durante il viaggio. Per primo voglio esprimere a tutti voi la gratitudine per quello che avete fatto per me e spero un giorno di potermi sdebitare. Tanto ho parlato di voi e ne parlo tuttora, in particolare del vostro caro Silvio e spero che un giorno non lontano anche lui vi riabbraccerà. Saluti anche da parte dei miei familiari, vostro aff.mo Aldo Carrino. P.S. Gustavo ( che era il suo compagno di sventura ) trovasi a casa sua e sono in corrispondenza con lui.

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VI LE SCOMODE VERITA’

di Giuseppe Rengo Dalla Guerra di Spagna alla Liberazione Ecco cosa accadeva a Fiuggi dagli anni 1936-37, quando il Fascismo si imbarcò nella guerra di Spagna, e poi nella seconda guerra mondiale. E’ preziosa, la testimonianza che di quel periodo ha lasciato il cittadino medico Giuseppe Rengo; il quale può considerarsi un protagonista di primo piano nella storia di Fiuggi, degli ultimi 60 anni. La ricostruzione di tutti quegli anni la troviamo nelle sue memorie, pubblicate come inserto speciale sul giornale “Fiuggi” del Giugno 1998, nelle quali racconta la sua esaltante esperienza di vita, professionale e civile, sempre vissuta, come lui stesso afferma, con senso del dovere e lealtà agli ideali in cui credeva. Prima, da studente universitario alla Sapienza di Roma; poi da ufficiale medico, chiamato a servire i valori che il Governo dell’epoca intendeva difendere nella guerra di Spagna, contro le mire egemoniche del comunismo sovietico, e dove proprio mentre soccorreva un soldato ferito, rimase lui stesso ferito. Infine, da protagonista, a partire dagli anni ’40, nei vari settori della vita fiuggina, sia come medico condotto ed uomo di punta del fascismo locale sia come operatore sanitario alle Terme ed al Comune, ma anche nel settore privato, allorquando aprendo un ambulatorio multi-specialistico a Fiuggi Fonte, dotava la città di una struttura sanitaria, che insieme alla clinica S. Elisabetta

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poi dismessa) neppure il S.S.N. è stato mai in grado di creare. Questi i motivi per cui mi sembra utile e doveroso riportare ampiamente le esperienze di guerra e di vita che Giuseppe Rengo ha descritto nelle sue memorie, con la speranza che esse (unitamente ad altre raccolte nel presente volume) siano pubblicate integralmente dall’Istituto di Credito, da lui presieduto per molti lustri, dal momento che lo stesso istituto, in questi ultimi anni, è diventato assai munifico nel patrocinare altre iniziative editoriali.

“Quando ero soldato”

E’ il titolo del libro che l’autore avrebbe preferito dare alle sue memorie, quando nel 1998 nel raccontare le vicende della sua vita, le volle anticipare sul periodico fiuggino: “Ho letto con interesse articoli di periodici e relazioni in opuscoli che descrivono episodi dell’ultima guerra verificatesi nel nostro territorio. Sono scritti da persone che all’epoca erano bambini o adolescenti. Poiché in quel tempo ero già adulto e titolare di incarichi di responsabilità, ho deciso di scriverne anch’io. Alla fine dello scritto espongo avvenimenti che per 54 anni ho tenuto gelosamente segreti e che solo ora mi decido a rivelare. Il giudizio finale lo affido al lettore” Il racconto della sua vita che l’autore fa in prima persona, viene qui, per ragioni di spazio e di forma, riportato, di tanto in tanto, in modo impersonale e riassuntivo, senza che siano alterati i fatti e le persone che vi sono menzionati. A cominciare da quando, egli,

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tornato dalla Spagna nel 1939, dopo vari ricoveri ospedalieri per le ferite riportate, in Italia fu ricoverato per controlli all’Ospedale Militare di Napoli. Dopo i vari esami gli fu accordato un assegno rinnovabile, fin quando nel 1951 gli venne assegnata una pensione vitalizia di 5^categoria per esiti “f.a.f. (ferite da arma da fuoco) alla regione parietale sinistra” Dimesso dall’Ospedale di Napoli, quando arrivò a Fiuggi, alla stazione delle ferrovie vicinali, fu accolto come un eroe da una folla di cittadini e dalla banda musicale al suono della marcia reale e giovinezza. Dopo essere tornato nella casa paterna di fronte al Monumento ai caduti, cominciò a dedicarsi alla professione di medico civile, che nei quattro anni passati (1935-39) dopo la laurea non aveva mai esercitato. La nomina a medico condotto gli venne data per sostituire il titolare Dr.Savino, da poco scomparso. In quegli anni sia il medico sia i medicinali erano tutti a pagamento, meno che per gl’iscritti all’elenco dei poveri. Nessuno lo pagava e solo pochissimi gli regalavano qualche uovo o salume fatto in casa. Il compenso, dice, si riduceva a circa 1000 lire mensili di stipendio, ma non diceva che in quegli anni, una canzonetta popolare dal titolo “se potessi avere mille lire al mese” lasciava intendere che lo stipendio di quell’ importo non era poi così basso). In quegli anni, però il medico condotto doveva intendersi di medicina, di ostetricia, oculistica, dermatologia, odontoiatrìa ecc. A Frosinone era segretario federale Fascio il dr. Arturo Rocchi, cioè l’ufficiale, ricoverato nell’ ospedale in Spagna, che Rengo aveva fatto rimpatriare.

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La permuta della macchia d’oro Rocchi sentito il Prefetto, venendo a Fiuggi gli propose di fare il Segretario Politico al posto di Landino Verghetti, assicurandogli lo avrebbe sostituito non appena a Fiuggi venisse a scemare la discordia che si era scatenata con la permuta che il Comune ( con il Podestà Carlo Falconi e Landino Verghetti segretario) aveva concluso con il Rag. Giustino Samtesarti, per lo scambio di un terreno di proprietà di questi (costituito da una piccola scarpata a ridosso della Fonte Vecchia, ove attualmente c’è il vivaio) con l’intera contrada denominata “l’ammacchiaturo” che si estendeva intorno all’Albergo Vallombrosa, e per la quale a Fiuggi scoppiò una vera sommossa popolare, e con decine di carabinieri venuti da Frosinone a calmare gli scontri che registrarono fermi, feriti e numerosi arresti. Per il Federale Rocchi, Rengo non poteva quindi sottrarsi al dovere di salvare il suo Paese dal caos che si era creato. Assumendo la carica di Segretario, trovò la popolazione così ripartita: oltre il 90% pagavano ogni anno la tessera del partito, anche se la maggioranza non sapeva neppure che cosa fosse il Fascismo, ma lo facevano per avere accesso ai pubblici impieghi; il restante 10% era di non tesserati, o perché abulici, o perché antifascisti. Dei tesserati, circa una ventina, per lo più con la qualifica di marcia su Roma, e sciarpa littorio, erano facinorosi, prepotenti, pronti a distribuire manganellate e somministrare olio di ricino, oppure l’invio di qualche avversario al confino di polizia. Tra questi c’erano Angelo Zucconi, imbiachino, Annibale Cicciaccorda,

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falegname, Gabbani e Quirino Fanali, muratori. A sera, dopo il lavoro, si ritrovavano nelle osterie per mandar giù qualche foglietta di vino, accompagnata da pane e formaggio. Si intrattenevano parlando male di Mussolini, dei fascisti e si scambiavano qualche foglio della stampa antifascista che riuscivano a rimediare. Il salto dei voltagabbana Dopo l’”escursus” sulla vita quotidiana da segretario politico, dal 1940 (esprimendo le sue riserve sulla guerra voluta da Mussolini , contro la Francia e l’Inghilterra, e fianco della Germania di Hitler) arriva alla caduta di Mussolini (avvenuta il 25 luglio 1943) quando il 26 luglio un ufficiale dei Carabinieri che lui riteneva amico perché ogni tanto gli chiedeva favori per la sua carriera, si presentò con la scorta e perquisì la sede del Fascio e la sua abitazione, non trovando nulla di censurabile. Il 27 ritirò le carte della sezione nascoste nel ripostiglio e le bruciò. Nei giorni successivi non subì alcun affronto, da parte di amici e camerati, ma dovette constatare che, mentre prima tutti cercavano di avvicinarlo, ora quando attraversava la piazza, molti si allontanavano e fuggivano. Un giorno alcuni qualificatisi fascisti gli contestarono persecuzioni e fastidi. Chi per avergli risposto in ritardo ad una domanda, chi di non avergli ammesso il figlio alle colonie estive che il Partito organizzava per i figli dei meno abbienti. Ad un certo punto con un annuncio pubblico fece sapere ai neo convertiti che finalmente aveva capito che, di fascisti a Fiuggi c’era solo lui e la folla che durante i comizi

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riempiva la piazza e le strade di accesso, al grido di “Viva il Duce”, o “Eia Eia Alalà” era fatta di fantasmi. Il numero dei voltagabbana, che dopo essere stati attivisti del regime, e ora si dichiaravano antifascisti perseguitati,rappresentava la quasi totalità. L’armistizio e il capovolgimento di fronte Arrivato l’ 8 settembre, egli continuò a svolgere l’attività di medico condotto. Ma con l’Armistizio dichiarato dal Governo Badoglio, vi fu il capovolgimento del fronte. Furono giorni tremendi, perché dopo l’annuncio di Badoglio i reparti armati si disfecero in una baraonda indescrivibile, e i tedeschi si scatenarono in una caccia incontrollata, con uccisioni, ferimenti e rastrellamenti. Ancora una volta uscirono fuori i camaleonti che si dichiaravano fascisti leali e filo tedeschi, mai antifascisti, mentre altri di dichiararono antideschi da sempre e partigiani. Non mancarono ripensamenti con passaggi da una parte all’altra, secondo la convenienza del momento. Con il passare dei giorni la situazione si andò stabilizzando.Gli alleati erano fermi a Cassino sulla Linea Gustav, difesa con tenacia dai tedeschi. Il traffico, da e per Cassino, si svolgeva, per lo più sulla Casilina. Fiuggi risultava decentrata poiché la Via Prenestina era poco trafficata, e lo scarso movimento, da e per Subiaco e Tivoli, passava per Gurcino o per Piglio, dato che la strada da Fiuggi agli Altipiani di Arcinazzo non esisteva.

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Intanto a Fiuggi i tedeschi organizzarono subito negli albergi Palazzo della Fonte e Salus, due ospedali, al servizio del fronte di Cassino. Mentre nell’Albergo Universo, vicino alla Stazione delle Vicinali, una loro base per i militari in servizio, in quegli ospedali. All’Albergo Plinius, ora San Marco, in Corso Nuova Italia aprirono una casa di tolleranza per i loro militari. Data la presenza degli ospedali e la posizione decentrata in cui si trovava, Fiuggi fu dichiarata “città ospedaliera” ed enormi croci rosse furono dipinte sui tetti di tutti gli albergi adibiti ad ospedale. A questo punto c’è da dire che i tedeschi rispettarono abbastanza le norme di guerra. Non vi fu pertanto il passaggio massiccio di mezzi militari e di truppe, come avveniva sulla Casilina e un po’ meno sulla Sublacenze.

Nei grandi alberghi, ospedali e uffici militari e civil Alcune batterie antiaeree, furono invece piazzate a Colle Borano e ad Altre zone di Acuto. Questi sono i motivi per cui Fiuggi non ha subito veri e propri bombardamenti, ma solo danni da qualche granata, diretta agli aerei alleati in ricognizione. Alla Casa del Maestro funzionava un ospedale civile, dove venivano ricoverati i civili colpiti da febbre malariche, per lo più provenienti dal cassinate, ma anche i malarici locali perché provenienti dalla zona del Lago di Canterno dove le zanzare avevano colonizzato gli acquitrini. Le acque del Lago vennero poi prosciugate, e con l’uso del DDT importato dai soldati americani la malaria, in poco tempo scomparve.

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Nel Grand’Hotel erano alloggiate le donne maltesi con i bambini, sfollate da Malta durante la guerra, ma i loro erano internati al campo profughi in località “Le Fraschette” di Alatri. In altri alberghi furono insediati numerosi uffici provinciali, che dopo i bombardamenti effettuati dagli alleati sul Capoluogo, dall’ 11 settembre in poi, decisero di trasferirsi tutti a Fiuggi, essendo questa località, a Nord di Frosinone, dotata di notevole capacità ricettiva (peraltro inutilizzata per gran parte dell’anno) la sola in grado di ospitare in gran numero, e senza tanti problemi, uffici e famiglie in cerca di un rifugio sicuro. All’Albergo Igea, si erano insediate la Prefettura e la Questura. Mentre le famiglie degli impiegati trovarono sistemazione nelle abitazioni private. Casa di tolleranza, all’Hotel Plinius Giuseppe Rengo per la sua qualità di medico condotto, ebbe dai tedeschi un salvacondotto e gli assegnarono anche piccoli quantitativi di benzina, perché l’unica macchina disponibile era quella in loro possesso. Parlando del Plinius, nelle sue memorie dice: “Fui incaricato della vigilanza igienica sulle prostitute. Accettai quell’incarico con tanta paura, anzitutto perché trovavo strano che con i tanti medici militari tedeschi in servizio nei loro ospedali, si fossero rivolti a me. Temevo che qualche militare, contraendo una malattia venerea, avesse dato a me la responsabilità per non aver vigilato sulla salute delle prostitute. Scongiuravo perciò le donne del Plinius a fare uso di acqua, sapone e disinfettanti, onde evitarmi gravi conseguenze”.

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A questo punto egli descrive la situazione fiuggina, poco prima, e subito dopo la liberazione, avvenuta il 4 giugno 1944, che è la parte più interessante per rivedere, in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico. Il professore partigiano, dall’A.O.I a Fiuggi A pagina 15, Giuseppe Rengo, comincia con un argomento che definisce molto scottante e del quale si riserva di scrivere il seguito alla fine della narrazione. Così, parlando di Raffaele Conti, che ancora oggi viene segnalato dalla storiografia, uno dei protagonisti della resistenza ciociara, dice: “In un anno che può risalire al 1938-39 si trasferì da Novara a Fiuggi un distinto signore che portando sempre la farfalla, si qualificò, come professore di liceo in pensione, ed aprì a nome della moglie, Gloria Fasola, a Fiuggi Fonte, un negozio di alimentari, con annesso forno per il pane, in fondo al portico di destra della centralissima Piazza Spada. Riuscì a farsi molti amici a Fiuggi Fonte con cui si incontrava spesso nel vicino Caffè Rossi. Dopo la caduta del Fascismo (n.d.r. durante il quale era andato in A.O.I. non come legionario della Mvsn, ma come civile, in cerca di quel posto al Sole, e lo trovò facendo fortuna) fondò la sezione della D.c. e ne fu il primo segretario. Durante l’occupazione tedesca circolavano voci che lo affermavano capo del gruppo di partigiani che si andava costituendo, con base proprio nel centralissimo Caffè Rossi. Si diceva che fossero una trentina che si armavano grazie ai lanci degli aerei alleati.

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Inoltre, girava per Fiuggi un signore che si qualificava come generale Padovani, datosi alla macchia dopo il fuggi fuggi dell’8 settembre, che era in collegamento con il gruppo del professore.” Il padre del Rengo, Sabatino, informava il figlio, che, sistematicamente i rappresentanti dei partigiani di Fiuggi passavano nei vari negozi a reclamare i viveri per i militari alleati, dispersi nel territorio, ma lui rappresentava le grandi difficoltà che aveva nel distribuire gli alimenti senza il ritiro dei bollini che dovevano essere consegnati agli uffici comunali, per il recupero della merce. Il “ pizzo” dei partigiani Il Sabatino si lagnava anche del generale Padovani, il quale passando nella sua tabaccheria, sceglieva le sigarette delle migliori marche e se ne andava senza pagare e senza ringraziare. Ma il figlio Giuseppe, essendo stato segretario del Fascio locale, rispondeva al padre che, al fine di evitare sicure ritorsioni contro la famiglia, sarebbe stato meglio soddisfare quelle richieste, riducendo magari i quantitativi da consegnare. Giuseppe, dei pochi incontri che ebbe con il professore dice: “Io che ero fresco di studi, seguiti con profitto al Liceo Conti Gentili di Alatri, notai che faceva citazioni di classici latini, italiani e greci sbagliate o imprecise, ma pensai che la confusione fosse dovuta all’età.” Poi dice che riparlerà del professore dopo aver scritto della morte del fratello Carlo. Della quale dice che: “Mentre ero in una grotta con la famiglia, vicina al

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cimitero, venne a trovarmi la moglie del Prefetto che si era insediato con il suo ufficio all’Albergo Igea di Fiuggi Fonte. Era li dottor Arturo Rocchi di Cassino che avevo conosciuto in Spagna a “El Pinar” e lo aveva fatto rimpatriare.” “Dopo lo rividi a Fiuggi e nella nuova veste di segretario federale del Fascio, venne a propormi la nomina di segretario politico, per porre riparo alla famigerata “permuta della macchia d’oro” che tante proteste aveva sollevato a Fiuggi.” “La moglie del Prefetto, Olga, era una distinta ed abile signora genovese, e venne da “Ruccaccio” dove mi trovavo sfollato, e mi chiese a nome del marito se intendevo seguirli al Nord all’ arrivo degli alleati” “Risposi che, per me, significava una chiara dimostrazione di colpa, dilazionando di pochi giorni l’incontro con i vincitori.La signora annotava in un quaderno tutto ciò che dicevo” Aggiunsi che ormai eravamo alla fine di una guerra insensata, nella quale Mussolini si era cacciato per seguire passivamente le direttive di Hitler. Io parlavo e la signora scriveva tutto.” “Per la situazione locale ”consigliavo di evitare di far dare la caccia ai militari alleati dispersi e di non dare retta ai fascisti facinorosi, di cui facevo i nomi e la signora scriveva” “Ci salutammo scambiandoci gli auguri. Ma quel quaderno della signora Olga, come dirò, fu uno dei pilastri della mia salvezza e fortuna.” Il 3 Giugno 1944, Giuseppe racconta che di mattina presto si recò al Comune in cerca di qualche autorità

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alla quale chiedere aiuti per il fratello Carlo, che il giorno prima era stato catturato dai tedeschi e portato a piedi scalzi dietro un mulo verso Arcinazzo, perché accusato di aver sparato ad un sergente tedesco nei pressi del Cimitero. L’occupazione illegale del Comune Nell’Ufficio del Sindaco trovò il professore con la farfalla, e questo gli fece capire che il giorno precedente non stava preparando l’accoglienza alle truppe alleate, ma aspettava la notte per dare l’assalto al Comune, in modo da occupare con i “valorosi” compagni, i posti di comando, assegnandosi le varie cariche, secondo i piani da loro elaborati, nelle serate trascorse al Caffè Rossi “a banchettare” con quei viveri estorti ai negozianti, col pretesto di devolverli ai militari alleati. L’occupazione del Comune da parte del professore auto-nominatosi Sindaco, viene definito dal Rengo: “Il capitolo più nero e vergognoso della storia di Fiuggi, che merita una dettagliata trattazione perchè ne siano informate le nuove generazioni.” Alla richiesta di notizie sulla cattura del fratello, il professore ripose che aveva finito di parlare con il Vaticano e gli era stato assicurato che il fratello era vivo, benché ferito. Disse pure era stato consegnato ai rappresentanti della croce Rossa, affinché provvedessero ad effettuare, in territorio neutrale, uno scambio con i con i tedeschi, secondo le norme della Convezione di Ginevra. Il Rengo capì che si trattava di un ragionamento poco credibile, e deluso fece ritorno a casa.

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Qui trovò la fidanzata di suo fratello con lo zio, che catturato anche lui, i tedeschi lo avevano liberato la mattina presto mentre Carlo venne trattenuto per essere processato. La donna martire di Tecchiena Intanto il suo racconto continua dicendo che mentre si avvicinava l’arrivo degli alleati, una mattina i tedeschi portarono una donnetta che impiccarono in un palo della linea elettrica delle ferrovie vicinali, di fronte all’Albergo Igea. Dato che la ferrovia era da tempo in disuso lasciarono il cadavere della povera donna esposto per alcuni giorni, di fronte alla sede della Prefettura. Si diceva che fosse di Trivigliano o di Vico nel Lazio e le attribuivano tutta una serie di atti ostili contro i tedeschi. Cosa non vera, perché un parente della vittima, incontrando pochi mesi dopo il medico Rengo, lo informò dei fatti realmente accaduti. Si trattava di Angela Maria Rossi, che abitava a Tecchiena, dopo l’incrocio della strada verso Frosinone. Un pomeriggio ospitò una gruppo di soldati tedeschi che consumando una merenda, mangiarono molte ciliegie e bevvero una quantità di vino. Alla fine accompagnarono la donna, che si recava a mungere le vacche. Bevvero tanti bicchieri di latte appena munto. Nella nottata alcuni di loro accusarono disturbi intestinali. Al loro comando indicarono la donna che li aveva ospitati accusandola di averli avvelenati. Immediatamente una squadra prelevò la donna e la condusse di fronte alla Prefettua per impiccarla e dare un avvertimento alla popolazione.

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Il fratello trucidato dai tedeschi, lui arrestato dai partigiani Il 4 Giugno 1944, nella casa al Monumento, Giuseppe Rengo, di mattina ricevette la visita di un carabiniere che lo invitò a seguirlo in caserma. Il maresciallo gli disse che doveva trattenerlo in stato di fermo, in attesa che gli alleati decidessero della sua sorte, per effetto di una denuncia firmata da diverse persone che lo accusavano di attività fascista faziosa e filo-tedesca. Passò alcuni giorni con altri fermati negli scantinati, dove di notte venivano rinchiusi nei pozzetti, che erano piccole celle senza finestre, sporche, umide, e percorse da topi. Da casa sua gli mandavano il cibo e la biancheria. Seppe che le persone fermate con lui, dovevano essere trasferite nei campi di concentramento in Italia, in India, in America, in Gran Bretagna e altrove. Seppe inoltre che presso Salerno nella ex Certosa di Padula stavano allestendo un campo dove forse anche lui era destinato ad andare insieme agli altri. Dopo qualche giorno un carabiniere, dalla finestra della caserma, lo invitò a salire nell’ufficio del comandante. Certo che lo avrebbe portato a Padula, disse ai compagni di avvisare i suoi familiari. Nell’ufficio del Comandante, trovò, allineati dietro la scrivania, un ufficiale molto alto in divisa alleata ed al suo fianco un signore in borghese che era l’interprete ed a sinistra il maresciallo. L’ufficiale iniziò il discorso in inglese e lui pensava che gli stesse contestando le accuse, in base alle quali veniva trasferito al campo di concentramento. Ma il signore in borghese, traducendo in italiano, presso a poco diceva che:

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“A nome del comando militare alleato, sono venuto a chiederle scusa per l’errore che è stato commesso rinchiudendola in questa caserma lei è una persona per bene e nostra amica”. “Da questo momento è libero. La prego di collaborare con i nostri uffici di Fiuggi, per fornire tutte quelle notizie di cui avessero bisogno” Tornò di corsa a casa e quando i suoi dal balcone lo videro arrivare scoppiarono a piangere. L’unico a rimanere muto era stato il padre perché, di suo fratello Carletto, dopo la sua cattura, non aveva saputo più niente. Liberato dagli alleati, epurato dagli ex fascisti La mattina seguente il dottor Rengo (così è stato sempre chiamato dai cittadini di Fiuggi) si recò al Comune per riprendere l’ attività di medico condotto ed ufficiale sanitario, ma nel suo ufficio trovò un altro medico, il dottor Pasqualino Di Girolamo, che gli disse di essere stato messo a quel posto dal “Sindaco partigiano”. Passando nell’Ufficio del “Sindaco” infatti, trovò il professore con la farfalla, comodamente sprofondato nella poltrona sindacale. Alla domanda del Rengo, il professor Conti, con “sicumera” rispose che il comando partigiano di Fiuggi nell’insediarsi alla guida della città, aveva deciso di esonerarlo dal servizio per i suoi precedenti fascisti e filo-tedeschi. Allora lui corse all’Igea, dove si era insediato il Comando alleato, e riferì dell’accaduto e l’ufficiale dopo aver scritto un lungo

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testo lo consegnò all’interprete, pregandolo di accompagnare il Rengo, al Comune, per conferire col Sindaco. L’inteprete era di Frosinone,. Il tenente colonnello era canadese ed essendo capo dei servizi di sicurezza alleati del fronte di Cassino, era impegnato ad aprire uffici nei territori conquistati. Lamentava che in alcune località veniva letteralmente assaliti da persone che dichiarandosi antifascisti e partigiani di vecchia, cercavano di ottenere favori per loro e ritorsioni per i nemici fascisti. Il tenente colonnello la sua sede nei locali dell’Igea, prima occupata dal Prefetto Rocchi, fuggito al Nord al seguito dei tedeschi. Nei cassetti della scrivania trovò il quaderno nel quale la signora Olga aveva trascritto il colloquio che aveva avuto con Rengo nella casa vicina al cimitero, ed aveva consegnato al marito. L’ufficiale, facendosi tradurre lo scritto, aveva appreso che il ragionamento del dottor. Rengo era di persona seria, che in fondo nutriva sentimenti di amicizia verso gli alleati, e disapprovava il comportamento dei tedeschi e dei fascisti.Inoltre i maltesi già rinchiusi al Grand’Hotel di Fiuggi Città, e liberati dagli alleati, prima di imbarcarsi negli aerei che li riportavano in Libia, avevano consegnato al loro comando una denuncia dettagliata per i maltrattamenti e i furti che i due gestori suocero e genero del Grand’ Hotel avevano commesso ai loro danni, svuotando persino i pacchi che pervenivano loro dall’America e Gran Bretagna, tramite la Croce Rossa internazionale.

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Nel loro esposto i maltesi, mentre facevano i nomi dei commercianti che li derubavano di denaro e di oggetti preziosi, concludevano il loro esposto, affermando che l’unica persona che si era compenetrata delle loro sofferenze era stato il dr. Rengo che li aveva assistiti come medico e come uomo, sobbarcandosi perfino la funzione di portalettere, da e per il campo profughi delle Fraschette di Alatri, dove la Croce Rossa aveva sistemato gli uomini di quelle famiglie. Il tenente colonnello canadese, forte del contenuto del quaderno della signora Rocchi, si fece accompagnare dall’interprete alla caserma dei carabinieri di Fiuggi Città, e nel chiedere notizie sul conto del Dr.Rengo, notò che i denuncianti erano i due gestori del Grand’Hotel ed i partigiani di Fiuggi, dei quali il Colonnello era già in possesso di notizie affatto rassicuranti. Per questi motivi l’Ufficiale alleato dispose subito la scarcerazione del Rengo, facendolo accompagnare al Comune dall’interprete con l’ ordine scritto del comandante che presso a poco diceva quanto segue: Riassunto come medico condotto “Il Comandante dei servizi di sicurezza alleati ordina al Sindaco di Fiuggi, di riassumere immediatamente in servizio il Dr.Rengo Giuseppe e di corrispondergli contemporaneamente tutti i compensi dovutigli fino ad oggi, ordina inoltre al Sindaco di consegnare alla persona che gli recapiterà il presente ordine, una dichiarazione scritta e firmata di assicurazione della esecuzione completa ed immediata di quanto ordinatogli.”

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Quando l’interprete tradusse al professore con la farfalla il contenuto scritto, per la prima volta il fascista Rengo, lo vide sbiancare e perdere la consueta “sicumera” Scrisse l’assicurazione richiestagli, chiamò il ragioniere e fece scrivere il mandato di pagamento, e convocando il Dr.Di Girolamo lo invitò a restituire il posto al suo titolare. Dopo questa ennesima triste avventura il Rengo torna a casa con lo scopo di trovare un po’ di serenità e dedicarsi nuovamente al lavoro di medico. Conclude dicendo: “Dopo le ristrettezze della guerra assaporai i gusti di tanti alimenti conservati in scatola. Tornarono dalla macchia i fascisti non faziosi di Fiuggi e dintorni, ricordo Pierino Perinelli di Acuto. Il Sergente del Comando alleato, preposto al servizio di sicurezza , con la mia collaborazione esaminò a fondo il comportamento dei due gestori del Grand’Hotel, anche a seguito della denuncia dei maltesi liberati, inviò la Polizia Militare Alleata che tradusse genero e suocero al campo di concentramento di Padula. Lì trascorsero quasi tre anni nel luogo dove avrebbero voluto fossi rinchiuso io. In quel campo fu anche confinato Adelmo Della Casa, proprietario del Palazzo della Fonte e concessionario delle Terme”. (N.d.a. - a proposito di Della Casa, c’è da segnalare che pur essendo ebreo, i fascisti non lo avevano mai perseguitato. Ma subito dopo la liberazione furono i partigiani bianchi e rossi, ex fascisti, a denunciarlo come collaborazionista dei tedeschi). Intanto però i servizi di sicurezza alleati andavano esaminando la posizione dei partigiani fiuggini che si erano autonominati amministratori e con prepotenza si erano insediati al Comune.

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Sia per le cattive notizie sul loro comportamento, come partigiani, sia per la disamministrazione comunale, fatta di favori a se stessi e ad amici, e ritorsioni ai nemici, furono invitati dagli alleati a farsi da parte e vennero sostituiti, prima con il democristiano Paolo Pietrobono, come commissario, poi su imposizione del Comitato di Liberazione, fecero nominare sindaci, il comunista Natalino Terrinoni, il repubblicano Francesco Lentini, e Luigi Papa, come commissario. Infine, il comunista Angelo Zucconi, sempre imposto come Sindaco dal C.n.l. provinciale. Di questo organismo, il cui nucleo originario fu creato alcuni mesi prima dell’arrivo degli alleati, da ex fascisti (di Alatri, Fiuggi. Ripi, Frosinone e di Collepardo) facevano parte sia il professore, con la farfalla, sia lo studente universitario Natalino Terrinoni, che dopo l’8 settembre si dichiararono antifascisti e partigiani me nessuno di essi era stato eletto con voto popolare, perché alle prime elezioni amministrative avvenute nel Marzo 1946, fu eletto Sindaco, Gualtiero Alessandri, con 1282 voti, quale capolista del Partito più votato che era la D.C. insieme a 11 consiglieri di maggioranza, mentre con la lista di minoranza del Partito Comunista con 1.054 furono eletti due soli consiglieri (tra cui il Terrinoni) e vennero spazzati via, in quasi tutti i paesi della Provincia, i candidati imposti dal Cnl. Il martirio del fratello Carlo Ed è qui che Giuseppe Rengo racconta la tragica sorte toccata al fratello più giovane, per mano di tedeschi in fuga il giorno prima dell’arrivo degli alleati.

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Il 2 giugno 1944, di mattina presto andarono a svegliarlo informandolo che un gruppo dit tedeschi, in ritirata, avevano catturato il fratello, lo avevano malmenato selvaggiamente, gli avevano tolto le scarpe, caricata sulla spalle una mitragliatrice e lo spingevano verso gli Altipiani di Arcinazzo. Con lui portarono lo zio della fidanzata senza maltrattarlo. Poco prima un sergente del gruppo che montava a cavallo era stato ferito da un proiettile che gli aveva fratturato la mandibola. Alcuni avevano soccorso il sottufficiale e trasportato alla Clinica S.Elisabetta, mentre gli altri si erano scagliati contro il fratello, lo avavano perquisito e gli avevano trovato una pistola ancora calda e mancante di un colpo. Per questo era stato massacrato. Lui corse a casa e informò i genitori i suoi genitori. La madre si precipitò alla clinica gestita dalle suore tedesche e chiese della superiora e di suor Germana, che lavorava come infermiera. La inutilità dei partigiani Lui corse a Fiuggi Fonte pensando che i 30 partigiani che si diceva fossero bene armati e combattivi, intervenendo attraverso Piglio, potevano arrivare agli Altipiani, prima dei tedeschi che stavano camminando a piedi su strabelli di montagna, trascinando il fratello scalzo e ferito grave. Avrebbero potuto liberarlo, dato che i partigiani potevano essere una trentina ed i tedeschi soltanto 5 o 6, e in fuga. Nel famigerato Caffè Rossi trovò il professore con la farfalla ed altre persone che si diceva fossero partigiani. Raccontò l’accaduto, offrendo la sua macchina e si dichiarò pronto a pagare tutte le spese.

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Il professore con “sicumera” gli disse che non poteva distogliere nemmeno uno dei partigiani perché erano tutti impegnati nei preparativi di accoglienza delle truppe alleate che era già nella campagna. Intanto, dopo la liberazione e successive denunce il Rengo fu convocato a Frosinone dinanzi al tribunale per la epurazione dei fascisti. Il tribunale era presieduto da un magistrato, affiancato dai rappresentanti dei vari partiti politici: comunisti, socialisti, democristiani azionisti, liberali. Si trattava per la maggioranza di ex fascisti, voltagabbana, che cercavano di far dimenticare il loro passato infierendo sugli imputati, cioè sui vinti. Portò con sé le dichiarazioni dei maltesi e degli alleati, ma fu determinante la testimonianza di Zucconi, Potini ed altri antifascisti autentici e onesti che vollero andare con lui a Frosinone, per deporre suo favore. Il Rengo fu prosciolto da ogni accusa. Anche in quel periodo fuori del tribunale incontrò un gruppetto di persone con Arduino De Persiis simpatico avvocato di Alatri, fascista fino alla morte et ultrà. Tutti lamentavano le persecuzioni subite dal fascio. Arduino per sfotterli sentenziò. “Purtroppo erano tempi in cui gemevano tutti sotto la tirannide” (Il De Persiis lo troveremo più avanti, quando Sacchetti Sassetti annoterà sul suo: “Diario di Alatri” 4 giugno 1944: “Arresto di Benedetto Uberti e dell’Avv.De Persiis ultimo preside della Provincia”) Il Rengo intanto proseguiva le ricerche di suo fratello, ma le notizie che gli venivano date rimanevano tutte inattendibili.

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Finchè Agostino Moriconi (in compagnia di Carlo Germani, amici del fratello) andò .da lui e chiamandolo in disparte gli disse che al mattino da cacciatore accanito si era recato negli Altipiani con altro cacciatore del posto, il quale gli aveva detto che lungo la strada per Subiaco tra le rocce ai piedi del Monte Scalambra dove lo aveva portato, avevano fucilato e massacrato un povero ragazzo e trascinandolo sfinito di fronte ad un anfiteatro roccioso lo aveva ucciso a colpi di fucile e di mitra. Il giorno dopo Rengo, recatosi con alcuni amici in quel luogo, aveva trovato i resti di un giovane dilaniato da animali randagi. E da alcune ossa spezzate ed il cranio forato in più punti, unitamente ad altri resti come l’ anello d’argento con incastonato lo stemma in oro del “Tercio” che aveva portato dalla Spagna e regalato al fratello ed un frammento del maglione di lana, riconosciuto dall’amica di famiglia Fermina Zangrilli, che glielo aveva lavorato a mano, si convinse che il ritrovamento del povero Carletto, poteva considerarsi certo. Di qui il piccolo monumento che la famiglia ha eretto sul luogo con la seguente motivazione: “ Carlo Rengo Fiuggi 20.1.1915 Altipiani di Arcinazzo 3.6.1944. Aveva appena compiuto 31 anni, quando all’alba del 2.6.1944, gli ultimi soldati tedeschi in ritirata lo catturarono sulla montagna di Fiuggi, incolpandolo di un atto di ostilità compiuto contro un loro graduato. Gli tolsero le scarpe, gli caricarono sulle spalle un pesante ordigno bellico e lo costrinsero a percorrere a piedi nudi il doloroso sentiero che porta Agli altipiani di Arcinazzo. Dopo una serie di torture bestiali, lo condannarono a morte e lo fucilarono il 3 giugno 1944, mentre le truppe alleate entravano a Fiuggi.”

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Giuseppe Rengo, dopo aver raccontato in modo dettagliato e esauriente la sua vicenda umana, militare e civile, che qui è stata riassunta, conclude, commentando così il comportamento tenuto in quel periodo dai rappresentanti dell’antifascimmo fiuggino: “Dopo i miei incontri con il capo partigiano di Fiuggi,e dopo il mio arresto e successiva liberazione, ho appurato che il personaggio ed i suoi adepti quando si riunivano al bar Rossi, il loro tempo lo occupavano: 1) a compilare l’elenco delle persone che all’arrivo degli alleati dovevano essere rinchiuse nei campi di concentramento, venivano accusati di fascismo i loro nemici personali, nonostante che essi stessi fossero stati fino all’ultimo i più fanatici assertori del Regime. 2) a compilare l’elenco dei posti che dopo la fuga dei tedeschi, ciascuno di loro si auto-eleggeva ad occuparli nel Comune. 3) a descrivere con tutti i particolari le azioni partigiane da ciascuno di loro eseguite a danno dei tedeschi. Anche se i trattava di imprese inventate di sana pianta, ma per le quali chiedevano medaglie e riconoscimenti al valore partigiano. E’ talmente vero ciò che scrive Rengo nelle sue memorie che proprio da Fiuggi, partì un severo monito dal Comandante alleato, appena un mese dopo la liberazione, contro il vergognoso comportamento di questi pseudo difensori della libertà e della giustizia sociale.

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Il Colonnello Thornhill caccia i falsi sindaci Ecco il documento che fa piazza pulita della vulgata antifascista e partigiana, sulla quale la classe politica della prima Repubblica (in Italia, a Fiuggi e in Ciociaria) ha fondato le sue fortune politiche ed economiche, con cui tuttora pretende di governare. Al Tenente Colonnello J.B. Thornhill , commissario per la provincia di Frosinone del governo militare alleato, bastò poco più di un mese, per rendersi conto della situazione. Ed il 7 luglio 1944 da Fiuggi inviava questo messaggio ai sindaci autoelettisi della provincia: “Desidero richiamare la vostra attenzione sul fatto che un gruppo di individui che si chiamano partigiani stanno esercitando autorità in questa provincia senza esserne autorizzati. Non è necessario fare nomi ma questo stato di cose deve cessare subito Gli alleati conoscono ed apprezzano il buon lavoro svolto dai partigiani durante la occupazione tedesca in questa parte d’Italia. Ora però se i partigiani mano davvero la loro patria e intendono di continuare a combattere i tedeschi, dovrebbero arruolarsi nell’esercito italiano; altri invece, dovrebbero ritornare immediatamente sui loro passi per andare a lavorare la terra e ricostruire le loro case distrutte.D’ora in avanti gli ordini impartiti dai partigiani non saranno esguiti nè da voi né da altri funzionari provinciali. Nessuno di loro ha l’autorità per dare ordini.Ogni funzionario che eseguirà ordini emessi da costoro sarà punito così come sarà punito chi ha emesso tali ordini”

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“Siamo informati che alcuni partigiani non hanno consegnato le armi, come dettato dal proclama n.1 del Governo militare alleato. Poiché essi, così come gli altri cittadini, non hanno alcun diritto di esserne in possesso sarà loro dato tempo fino al 31 luglio del corrente anno per consegnare le armi e le munizioni in loro possesso. Dopo tale data chiunque avrà violato il suddetto proclama sarà arrestato e punito.Qualcuno di voi sta usando i partigiani come guardie municipali o per servizi di pulizia facendo indossare loro delle fasce speciali al braccio. Tutto ciò deve cessare immediatamente e tutte queste fasce dovranno essere consegnate prima del 312 luglio del corrente anno. Dopo tale data le persone che porteranno ancora queste fasce non autorizzate e se con esse eserciteranno autorità saranno punite e se vi occorrono guardie municipali e desiderate utilizzare qualcuno in tale incarico, nulla vi vieta di farlo, anche se si tratta di partigiani: in tal caso però dovranno portare al braccio una fascia autorizzata con la scritta “Civil Police”Notificherete a tutte le persone il contenuto di quest’ordine e, facendone una copia, potrete affiggerla in Comun, così da poter essere letta da tutti. I partiti politici non hanno nessun diritto e nessuna autorità di dettare legge o dare ordini a qualsivoglia funzionario per cui tutti gli sforzi, in tal senso da parte di questi partiti devono essere ignorati. Almeno per il momento, in questa provincia, il Governo militare alleato è l’autorità suprema e deve essere riconosciuta da tutti come tale.”

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A questo punto egli descrive la situazione fiuggina, antecedente e successiva alla liberazione, avvenuta il 4 giugno 1944, che è la parte più interessante, per rivedere, in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico. I profughi maltesi, al “Grand ’Hotel” Prima di concludere la parte delle memorie di Giuseppe Rengo, mi sembra utile riferire sulla presenza a Fiuggi di molti profughi oriundi maltesi, che durante la guerra dichiarata il 10 giugno 1940, dall’Italia all’ Inghilterra, arrivarono dalla Libia, per essere internati in campi di concentramento, come sudditi britannici. Le donne e i bambini furono rinchiusi al Grand’Hotel, gli uomini al campo de “Le Fraschette” ad Alatri. Riprendo l’argomento dei profughi maltesi, perchè proprio di recente l’Associazione Partigiani cristiani di Alatri, presieduta dal solito Carlo Costantini, ha voluto attribuire alla leggenda resistenziale, il merito della tutela e dell’ assistenza alle vittime del fascismo, per strumentalizzare ai propri fini, anche quella tragica vicenda, con il marchio salvifico dell’antifascismo, Come se fossero stati i partigiani ad aiutare quegli sfollati. I quali, se uomini, rimasero concentrati, fino all’arrivo degli Alleati, nel campo delle Fraschette di Alatri, se donne, o bambini, al Grand’Hotel di Fiuggi Città, senza che la cosiddetta resistenza alatrense e fiuggina, pur sapendo che la gestione di quei due campi, dal 25 luglio del ’43, era stata affidata a personaggi di dichiarata fede antifascista, non fece nulla per denunciare le condizioni di disagio in cui quegli sfollati si erano trovati a Fiuggi e ad Alatri.

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Le cronache dell’epoca registrano invece, che la mala gestione del Grand’Hotel di Fiuggi, fu possibile grazie al tacito connubio che essa aveva con il gruppo dei partigiani fiuggini, guidati dal professore con la farfalla; e che la condizione dei profughi alle Fraschette di Alatri, all’infuori di qualche innocua visita pastorale del Vescovo Facchini, nessuna iniziativa concreta venne mai presa in loro favore dal gruppo dei partigiani, né bianchi né rossi, nascosti nella sua diocesi. Eppure il Vescovo era amico di vecchia data del Console Ghislanzoni, con cui, in virtù del Concordato, aveva avuto stretti rapporti prima e dopo la caduta di Mussolini. Orbene, nonostante che in quei campi, le condizioni disumane degli sfollati derivassero soprattutto da chi li aveva gestiti, i responsabili del Grand’Hotel di Fiuggi, dopo l’arrivo degli Alleati, vennero subito denunciati, arrestati e condannati, non dai partigiani. Per quanto riguarda invece, le condizioni degli internati alle Fraschette di Alatri, non risulta che sia avvenuta la stessa cosa, né su iniziativa degli antifascisti “del giorno dopo”, di cui i comitati di Liberazione, locale e provinciale, erano pieni, né dai sindaci nominati dagli stessi Cnl. Ecco altri particolari, riferiti dal Rengo sui profughi maltesi alloggiati al Grand’ Hotel di Fiuggi Città. “L’affidamento della relativa gestione, non fu decisa dall’ autorità fascista, ma fu indetta una gara, dietro un compenso in denaro che in base alle presenze degli internati si dovevano: fornire i pasti, dei quali era specificata la quantità e la qualità; provvedere alle pulizie ed al ricambio della biancheria. La gara fu vinta da due persone: suocero e genero. Il primo aveva lavorato per molti anni in Usa, dove aveva fatto fortuna.

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Al punto che, tornato a Fiuggi, aveva costruito l’Albergo Plinius, ora S.Marco. I due gestori non si erano mai iscritti al Fascio e vantavano questa loro merito dichiarandosi antifascisti da sempre, ma soltanto dopo il 25 luglio del 1943. Grazie anche a questa loro etichetta, approfittarono per trattare le famiglie maltesi in maniera ripugnante. Pasti scarsi e qualità scadentissima, pulizie ignorate. Le povere donne, per il trauma della deportazione, non avevano più le mestruazioni ed erano costernate nel timore di essere incinte. Si aggiungeva la denutrizione e la sporcizia. Acquistavano da alcuni negozianti qualche alimento per sfamare sé e i bambini; in cambio venivano depredate del poco denaro di cui disponevano, delle fedi nuziali, catenine e braccialetti d’oro. Il Rengo era il loro medico, e fino al 25 luglio del 1943, anche segretario politico. Vedeva con angoscia la situazione di quella povera gente: donne e bambini dimagrivano sempre di più. Entrando nelle loro stanze avvertiva un odore nauseante. Come medico condotto ed ufficiale sanitario segnalava gli abusi al medico provinciale, il quale per evitare di prendere le difese di persone schedate come nemiche, faceva orecchi da mercante. Come segretario politico la sua situazione era imbarazzante, e si limitava a tenere su il morale di quelle povere donne, prospettando loro che presto sarebbero state liberate dalle loro truppe. Nel frattempo cercava di rimediare le medicine per curare le frequenti malattie. Pensò di scrivere un esposto al Prefetto e al Federale denunciando gli abusi dei due gestori e le condizioni disumane nelle quali tenevano gli internati.

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Ma non potendo firmare come segretario poltico, fece firmare l’esposto da alcune persone amiche e fidate, tra cui il padre Sabatino, che era stato sempre di sentimenti socialisti. Con la caduta del Fascismo, i maltrattamenti ai maltesi del Grand’ Hotel aumentarono, soprattutto da parte dei due gestori, che subito proclamavamo ai quattro venti la loro costante militanza antifascista. Dopo l’8 settembre con il capovolgimento del fronte, conobbe, nel suo ufficio all’ Albergo Universo, un maresciallo tedesco che controllava i movimenti dei militari al Plinius. Diventarono amici e si scambiarono varie confidenze, sulla ormai certa sconfitta della Germania che si stava profilando.Gli parlò dei maltesi alloggiati al Grand’Hotel e delle condizioni in cui si trovavano. Dai magazzini dell’Universo gli fece assegnare per le famiglie maltesi piccoli quantitativi di aspirina per le febbri, di pomata allo zolfo per la scabbia, e di petrolio per combattere i pidocchi. In quella e tante altre occasioni notò la scarsezza di mezzi a disposizione dei tedeschi: viveri, medicinali, munizioni, macchinari, eccetera, in confronto delle sterminate scorte di cui disponevano gli alleati, che osservò dopo il loro arrivo. Il maresciallo gli diceva che, per sua esperienza, i momenti più brutti della guerra per i civili erano quando si imbattevano con le retroguardie di reparti militari in avanzata. Gli disse che quando sarebbe arrivato quel momento, lo avrebbe avvisato perché si mettesse al riparo con la famiglia.

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Pochi giorni prima dell’entrata degli alleati infatti gli riferirono che a casa era passato un maresciallo tedesco per avvertirlo del pericolo imminente. Mentre le donne maltesi con i bambini soggiornavano al Grand’Hotel, i loro uomini erano internati alle Fraschette di Alatri. Poiché la loro corrispondenza era soggetta a censura militare le loro lettere, o non arrivavano, oppure venivano consegnate con molto ritardo. Il Rengo per aiutarli segretamente ritirava le lettere delle mogli ai mariti e, con la scusa di visite mediche e consegna di medicinali si recava in macchina ad Alatri e dava e ritirava la posta. A questo punto per avere più chiara la situazione di ciò che accadde a Fiuggi, anche per i profughi maltesi, prima e dopo il 25 luglio 1943, sarebbe bene che il lettore vada a rileggersi, dall’ inizio, le preziose memorie del Rengo alle pagine precedenti.

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VACANZE FORZATE NELLE SCUOLE

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Vacanze forzate nelle scuole Il passaggio degli aerei alleati, nel cielo delle regioni centrali e meridionali dell’Italia, era così frequente, che ogni attività della vita civile doveva essere interrotta o sospesa, subordinatamente alla intensità con la quale le incursioni aeree, alleate o tedesche, venivano effettuate, nei territori della provincia. Così avveniva, ad esempio, per le scuole di ogni ordine e grado (primarie, secondarie o superiori) per il semplice fatto che, a causa dei pericoli derivanti dai rastrellamenti di civili, o dai mitragliamenti che ogni giorno si verificavano sulle strade statali, provinciali e comunali, da Roma in giù, fino a Cassino, nessuna struttura pubblica poteva garantire la funzionalità delle istituzioni scolastiche, e la sicurezza dei cittadini che se ne servivano. E così avveniva, tra l’ottobre del 1943 e l’ottobre del 1944, allorquando dovevano riaprirsi le scuole, con gli insegnanti, gli studenti, ed il personale amministrativo costretti, loro malgrado, a fare le vacanze forzate, perché difficile era per tutti dedicarsi al lavoro ed allo studio in Paesi (come Alatri,Anagni,Veroli, Frosinone, Ferentino, Sora, Arpino e Cassino) dove si trovavano gli istituti del ginnasio, liceo, magistrali, e professionali, nei quali affluivano studenti e insegnanti da ogni parte dell’Italia centro-meridionale. “Vacande forzate” infatti è il titolo del 40° capitolo che il collega giornalista aquinate, Costantino Jadecola, dedica al precario funzionamento di una istituzione come quella scolastica.

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“Tentare di fare un quadro omogeneo della situazione, per tutto il territorio provinciale, è praticamente impossibile”. Così infatti egli descrive le difficoltà di quel forzato blocco delle attività nel settore, dovute soprattutto alla diversità delle situazioni provocate dalla guerra. “Appare comunque a dir poco un miracolo che, ad esempio, a Cassino, completamente distrutta dai bombardamenti, già nell’ agosto del 1944, a due mesi appena dalla fine della battaglia, cominciano le lezioni nelle scuole elementari ed il 1° ottobre riprende metodico il lavoro degli insegnanti in locali improvvisati, o in baracche provvisorie; vi accedono bambini denutriti mancanza di cibo, o per l’imperversare della malaria. Il maestro T. Saragosa dirige le scuole elementari sparse un po’ dovunque nella campagna di Caira, S.Angelo e Cassino; in Sant’ Elia ha sede la scuola Media diretta dal Prof. Giuseppe Di Zenzo, con 35 alunni. A Veroli, invece, anche nei mesi che per il cassinate sono più drammatici, i riflessi della guerra non sembrano creare preoccupazione più di tanto”. “Vediamo infatti spulciando il registro dei verbali, redatti dal segretario D. Augusto Tarquini, cosa accade al Regio Istituto Magistrale” di cui è preside il prof. Giovanni Lombardo, il 15 febbraio 1944, ovvero il giorno in cui gli alleati bombardano il Monastero di Montecassino. In quel giorno, infatti, “si è adunato il Consiglio di classe della IV inferiore per procedere allo scrutinio del secondo trimestre. Gli insegnanti riferiscono sullo svolgimento dei programmi e sulla volontà degli alunni, i quali, noncuranti dei continui allarmi e bombardamenti aerei, fanno del loro meglio per rispondere con diligenza alle premure dei professori”.

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Anche a Veroli si verifica qualche bombardamento, ma ciò pare non turbi l’attività scolastica: non a caso, nella riunione del consiglio di classe della Prima Superiore, il 29 febbraio, il preside Lombardo fa “un vivo elogio per il calmo comportamento degli insegnanti nel bombardamento del 17 marzo, nel collegio dei professori del giorno 20, considerato che “il Provveditore lascia arbitri sul da farsi il Preside e i professori” Il segretario Cruciali annota che gli allarmi e le incursioni che di frequente si ripetono nella zona non consentono di tenere ulteriormente aperta la scuola. Tuttavia l’attività scolastica non pare cessare del tutto, se il 20 aprile si ha notizia di un altro collegio di docenti ed il 4 maggio ci sono addirittura gli scrutini per i quali, si precisa, la Commissione ha usato una ragionevole larghezza nell’approvazione di tutti gli alunni, dato lo stato di guerra e dato che essi furono i soli a presentarsi agli esami. Ma chi erano quegli alunni? Giuseppe Belletti, Lavinia Angeletti Catanossi, Leda Diamanti, Aldo Iocchi, Italo Lanucara, Giovanni Mazzoleni, Luciana Mella, Sara Prilli, Marina Rinna, Celeste Sirizzotti. “Nella riunione del 7 maggio, il preside partecipa agli insegnanti che “ a causa delle continue incursioni aeree, la prudenza consiglia di fare gli esami nei locali del seminario”. E’ l’ultima volta in cui si fa cenno alle interferenze belliche sull’attività scolastica che, di fatto, proseguirà per tutta l’estate con lo svolgimento di varie sessioni di esame”. Ebbene, in una di quelle sessioni, anche chi scrive questo “Settembre 1943 e dintorni” avrebbe dovuto presentarsi agli esami di maturità magistrale, ma che fu impossibilitato a sostenere, perchè a causa dei mitragliamenti che quasi

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ogni giorno si verificavano sulla statale 155, il camion su cui viaggiava, fu attaccato dagli aerei da caccia delle forze alleate, e i passeggeri insieme ad altri studenti della zona furono costretti a saltare dal camion, per nascondersi nel bosco tra Trivigliano e Pitocco, da cui uscirono subito dopo, sani e salvi, ed il camion pur non essendo stato colpito da alcun proiettile, per ragioni di sicurezza non fu fatto proseguire. Neppure gli esami di abilitazione magistrale che l’ autore, nell’anno successivo decise di sostenere, a Pontecorvo, non ebbero esito positivo, perché in quella località, che registrava i perniciosi effetti della malaria, il nostro che si presentava agli esami con 40 gradi di febbre. fu consigliato dai professori a rimandarli nella sessione di settembre. Anche in questa occasione, però, avendo egli contratto lo stesso morbo appena arrivato nella località, dovette di nuovo rinunciare agli esami.

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VII ALTRE OCCUPAZIONI

(e vendette )

Ad Alatri - Nel Diario (di Sacchetti e Sassetti): Il 3 giugno 1944 - Mattino: Antonio Colella con una bandiera rossa vuol farla da padrone della città. Il Vescovo ha contrasti con lui. Benedetto Uberti, ardente fascista è minacciato e costretto a rifugiarsi presso Vicero. Al balcone del Municipio, sventola la bandiera rossa. Il Commissario Prefettizio Esonerato. Comanda Cesare Baroni comunista. Il Tenente Aceti rischia di essere linciato. 4 giugno – Arresto del maresciallo Americo Tagliaferri, e Scappatici, ex repubblicani e disertori badogliani. Tolte le tre bandiere del Municipio, americana, inglese e tricolore, rimane quella rossa. 8 giugno – Il dottor Giuseppe Pelloni e il dottor Giacinto Minnocci arrestano Carlo Ballincampi, presso Ferentino. Bruxelles, Covino, il tenente Cristiani ed altri, arrestati e portati a Pietra Vairano, in campo di concentramento. Arrigo Berenghi e figlio, fermati e rilasciati a Collepardo. 13 giugno - Anche Berenghi figlio, viene rilasciato per mancanza di prove. Rimossa la lapide delle Sanzioni. Affisso il manifesto della Giunta municipale (autonominatasi) data 6 giugno, firmata da P. Luigi Pietrobono (Presidente onorario (sic), prof. Carlo Minnocci Sindaco, agric. Vincenzo Evangelisti, geom.Giovanni Culla, prof. Oreste Marinucci, notaio Giuseppe Pelloni. La Giunta invoca la collaborazione dei cittadini, l’oblìo degli odi di parte e loda le Nazioni Alleate per gli aiuti dati.

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Viene l’avv. Marzi, nuovo Sindaco ( autonominatosi) di Frosinone. 14 giugno - Giovanni Carrasi nuovo preside (idem) della Provincia, avvisa che l’Amministrazione Provinciale è tornata a Frosinone e che tutti gli impiegati debbono tornare a Frosinone, non più tardi del 19.giugno. Mattino: esumata la salma della moglie del capitano, morta al Colle il 22 maggio. Pomeriggio: esumato anche il capitano e trasportato al Cimitero. Il Sindaco ordina la consegna ai Carabinieri,. di armi, munizioni e radio-trasmittenti. Pomeriggio: distribuzione di un volantino, diretto agli antichi gerarchi fascisti e invitante i medesimi “alla pala e alla cofana” se vogliono essere perdonati delle loro azioni. F.to Il Comitato di Liberazione della Provincia di Frosinone. 17 giugno – Della deputazione provinciale fanno parte (sempre gli stessi, nominati da chi?-n.d..a): D.Angelo Menicucci, Cesare Baroni, il prof. Conti, ecc. Attilio Ceci arrestato per ragioni poltiche. Affisso un manifesto “Proclama agli Italiani” f.to dal “Comitato Esecutivo Provinciale del Partito Comunista” in data 15 giugno, analogo a quello del Psiup del 15 giugno, incitante a prendere le armi contro i tedeschi. I soldati alpini lo stracciano in Piazza, perché stanchi, non vogliono più combattere. Si bisticciano con un gruppo di comunisti. 18 giugno – Arresto di Camillo Papitto, già Segretario Politico del Fascio. Un giovane col pennello scrive sui muri. “Evviva l’Esercito Alleato! A morte i traditori fascisti” e sotto la falce e martello. 20 giugno - Vincenzo Torrice ha scritto al Comando

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inglese una lettera in lingua inglese, in cui denuncia che, il 22 novembre 1942, quando fu maltrattato nella Casa del Fascio, l’attuale Sindaco (Carlo Minnocci) faceva parte del Direttorio del Fascio locale. La denuncia, dovuta a risentimenti personali, non è stata presa in considerazione. (N.d.a. - Decisione di comodo e alquanto sbrigativa specialmente se si considera che il Sindaco, sotto il Fascismo, nella sua qualità di Preside del Liceo Conti Gentili di Alatri, aveva l’abitudine di riunire, nella sua stanza, ad inizio dell’anno, i nuovi studenti, per invitarli a prendere la tessera del Fascio, per evitare di essere espulsi. La circostanza mi è stata spesso ricordata da alcuni suoi alunni, tra cui il Prof. Giuseppe Onorati, proprietario dell’ Albergo Europa, ancora in vita, ogni qualvolta si parlava di antifascismo e di resistenza, ad Alatri e a Fiuggi). Denunzia di Antonio Colella contro Giovanni Ceci, quale favoreggiatore dei tedeschi. 23 giugno – Il Corso Vittorio Emanuele, poco a poco si rianima. Galuppi, Piacitelli riparano i negozi. Anche il Caffè Bitileno viene riparato. A Tecchiena non vogliono manifesti comunisti. 24 giugno - Riunione in Alatri del C.n.l. provinciale. L’on. Marzi insedia la sede del Pci (al piano nobile del Liceo). 25 giugno - Atro manifesto del volante del Pci ai contadini, promettente la terra. Diffidenti i contadini , arrabbiati i proprietari. 27 giugno - Viene il prof. Conti di Fiuggi (N.d.a. Leggasi i trascorsi del personaggio al Cap. 8 pag.35 e seguenti) per ingaggiare volontari che combattano a fianco degli alleati. Si apprende che è stato ordinato l’arresto del Col. Righini. Circola Guido Di Fabio.Il Pci. requisisce i mobili del Fascio.

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29 giugno – Si apprende che nella Giunta Municipale al posto di Giovanni Culla è entrato Tullio Pietrobono del P.C. 4 luglio - Il Ten. Aceti, proveniente da Lecce, donde era stato rilasciato, perché ancora non pervenute le imputazioni, per le quali il giugno era stato arrestato in Alatri, per opera di Baroni e Pedullà, consigliatisi prima col Vescovo Facchini, viene di nuovo arrestato. 5 luglio - Il Ten.Aceti rilasciato. Baroni protesta e minaccia di far rilasciare tutti gli altri internati di Alatri. Il prof.Conti e il canonico Menicucci membri del Comitato di Epurazione degli insegnanti fascisti (ex gerarchi ecc.) Il Ten. Aceti, il 7 luglio, sarà di nuovo arrestato dagli Inglesi. Pianto della fidanzata. 13 luglio - Il Sindaco con un suo manifesto dattiloscritto, comunica una circolare del Comando Inglese (Col.Thornhill?), che vieta ai partigiani di arrogarsi diritti che non hanno, e l’invita, se hanno voglia di collaborare, di entrare nell’esercito, ovvero ad attendere ai lavori dei campi (cioè alla zappa e a la vanga che essi invece volevano dare ai fascisti -.n.d.a) e di ricostruzione di case.

A Fontanaliri Dopo aver esaminato il periodo di guerra, tra la caduta del Fascismo (25 luglio 1943) e la liberazione da parte degli alleati ( 4 giugno 1944) nelle zona tra Frosinone, Alatri e Fiuggi, dove la vulgata antifascista fa credere, che vi sarebbero stati gruppi organizzati di partigiani (lo storico Giammaria dice invece che le azioni di contrasto contro i tedeschi, furono inesistenti), in questo capitolo si ricordano i fatti accaduti a Fontanaliri, dove c’era il Polverificio militare

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. In questa zona, poco distante dal fronte di Cassino, la presenza dei tedeschi era massiccia, ma qui la resistenza che il cosiddetto “Comitato armato” aveva promesso di fare, con tanto di atto, sottoscritto l’8 settembre da 41 persone, è rimasta lettera morta, fino all’arrivo degli alleati. Ecco infatti, cosa racconta Generoso Pistilli (che dopo la guerra sarà amministratore e sindaco per molti anni) nella sua “Storia di Fontana Liri” a cura del Comune.: Il 25 luglio 1943, con la caduta del Fascismo nel Paese, così com’era stato per il suo avvento, non si registrò niente di particolare.Il giorno dell’Armistizio, invece, alcuni cittadini di varia estrazione politica, costituirono un “Comitato armato di resistenza” Le truppe tedesche fino allora alleate, dovendo da sole sostenere il peso della guerra, disarmarono con rapidità i reparti militari italiani, ed occuparono in breve gli impianti industriali e gli uffici pubblici, imponendo le loro leggi di guerra. Anche il Polverificio venne immediatamente occupato, e smantellato per inviare i macchinari in Germania.. I tedeschi requisirono pure quasi tutte le abitazioni di Fontana Liri inferiore, per insediarvi comandi, alloggi per truppe, magazzini e servizi. Nelle palazzine “Alloggi” già abitazioni di ufficiali e funzionari del polverificio, installarono un ospedale, con accanto un cimitero di guerra. La popolazione civile, per sfuggire ai rastrellamenti, e soprattutto per evitare le incursioni aeree, sfollò verso Fontanaliri superiore e la zona montuosa tra Arpino, Santopadre e Roccadarce. Anche mille anni prima le popolazioni per sfuggire alle invasioni barbariche, avevano abbandonato la piana per rifugiarsi sulle colline.

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Nel 1943 il periodo di sfollamento si prolungò per nove interminabili mesi, poiché i tedeschi, nel frattempo si erano attestati a Cassino sulla Line Gustav, per contrastare ad oltranza l’avanzata degli eserciti alleati. Delle istituzioni pubbliche non rimase nulla, perché il podestà Battista, per non collaborare con i tedeschi si era reso irreperibile. In data 31 ottobre 1943, il Comitato armato di resistenza, si trasformò in “Comitato comunale antifascista”, e riuscì ad ottenere dal Prefetto Rocchi la nomina di Antonio Giannettii, membro dello stesso e Commissario del Comune. . Nel dicembre 1943, ricorda Pistilli, i registri dello stato civile e l’archivio comunale furono portati a Fontana Liri Superiore e sistemati nella chiesa di Santa Croce. Fontana Liri, fu teatro di molte incursioni aeree, a causa della presenza nel territorio di molti presidi tedeschi e di mezzi bellici di ogni genere. Il 4 gennaio 1944 le popolazione di Fontana Liri e di Arpino furono scosse da una notizia raccapricciante: una pattuglia tedesca aveva trucidato quattro giovani che, non potendo raggiungere i loro paesi, al di là del fronte, si erano rifugiati in un vecchio casolare in località Forcella. Erano il tenente Luigi Di Vicino e il ragioniere Felice Sanità, già in servizio al polverificio, e i militari Pasquale Barretta e Michele Bonavolontà, già appartenenti al locale distaccamento militare. Dalla cima della contrada Le Cese, Pistilli aveva potuto osservare i 32 bombardamenti che arrecarono al paese ed al poleverificio danni ingenti. Ed il 15 febbraio 1944, anche il carosello di fortezze volanti che dalle 9,20 alle 12,20, scaricarono tonnellate di bombe sull’Abbazia di Montecassino, distruggendola completamente.

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Un mese dopo vi fu il bombardamento della città di Cassino, che sembrò il preludio allo sfondamento del fronte da parte degli alleati, ma non era così, perché la grande offensiva iniziò il 15 maggio, quando fu occupata Cassino e, tre giorni dopo, le truppe polacche del generale Abders, conquistarono la vetta, con il Monastero di Montecassino, che i bombardamenti avevano ridotto ad un cumulo di rovine.Da quel momento tutto il fronte si mise in movimento e gli alleati iniziarono la grande avanzata che li portò il 4 giugno a Roma. In circa nove mesi, annota Pistilli, i tedeschi ebbero 22.000 morti, gli alleati ben 230.000. La sera del 28 maggio per effetto del cannoneggiamento sul territorio, furono falciati da un colpo di cannone i coniugi Luigi Pistilli e Domenica Patriarca. In quello stesso pomeriggio due soli tedeschi fecero saltare uno dopo l’altro tutti i ponti, i caselli e le stazioni della ferrovia Roccasecca-Avezzano. L’unico ponte a rimanere in piedi, fu quello più grande nei pressi della stazione ferroviaria, i cui piloni erano già stati minati, ma fu risparmiato perché doveva servire alla ritirata delle retroguardie tedesche. A questo punto viene da chiedersi, dove fossero quei 41 partigiani, che lo stesso 8 settembre si costituirono in “Comitato armato di resistenza”. Poi trasformato in “Comitato comunale antifascista” su iniziativa dell’ antifascista Arturo D’ Innocenzo, che era appena tornato dal fronte balcanico” e della cui attività si fa cenno nel volume “Contributo alla storia del nostro Paese” nel modo seguente: i componenti del Comitato si richiamano politicamente ai partiti politici tornati alla ribalta o appena costituiti; ci sarà anche una scissione all’interno del Comitato tra i vari esponenti politici, alcuni dei quali

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decisero di collaborare ulteriormente con la “Banda armata” Il Comitato, si attribuisce il recupero di armi presso il Polverificio e nella postazione a Le Cese, ormai abbandonata; aiuta quaranta ex prigionieri alleati, controlla i movimenti dei tedeschi e compie alcune azioni. Ma non precisa quali, e di quale natura. Una cosa certa è che, quando due tedeschi, pochi giorni prima di ritirarsi, decisero di minare e far saltare uno ad uno i ponti e le stazioni della ferrovia, codesti uomini coraggiosi erano uccel di bosco. Dopo l’ingresso degli alleati, il D’Innocenzo, dichiaratosi antifascista, con l’appoggio del Comitato, ottenne con decreto prefettizio la nomina a Sindaco, pur essendo fino ad allora vissuto a Roma, e nominò Vice Sindaco un vecchio antifascista Angelo Casciano, maestro, allora ottantenne. La Giunta municipale era formata da quattro assessori effettivi e due supplenti, e come primo atto, dispose che la sede comunale tornasse a Fontana Liri Superiore; invitò i carabinieri della locale stazione a lasciare il Paese e istituì contemporaneamente una polizia partigiana di quattordici elementi regolarmente armati e stipendiati; nominò un giudice del popolo; esonerò dall’incarico il medico condotto, e inviò nel campo di concentramento di Padula (Salerno) un alto ufficiale, già in servizio nel polverificio e il Commissario prefettizio del periodo di occupazione; riempì le carceri del governo locale di intellettuali periferici e benpensanti, in attesa che il tribunale del popolo lì giudicasse; revocò la licenza ai commercianti, colpevoli di aver fatto sparire e venduto alla borsa nera i generi alimentari, razionati nel periodo di guerra;

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organizzò squadre di operai per i lavori urgenti da eseguirsi nel territorio comunale. Creò insomma una Giunta autoritaria e paramilitare, il cui unico scopo, più che il governo del paese, era quello di eliminare dalla vita civile tutti gli avversari politici. In una nota a margine, a pagina 233 della sua “Storia di Fontanaliri” Generoso Pistilli, ricordando il periodo in cui quella Giunta, senza legittimità democratica assunse il potere, dice che fu certamente tra i più burrascosi e discutibili di tutta la storia del Paese. Per fortuna, dopo quel periodo di confusione e di illegalità, determinato dalla prepotenza con cui gli antifascisti, occuparono il potere, anche a Fontana Liri arrivò l’ordine del Commissario alleato, Col. Thornihill, per la provincia di Frosinone, con il quale si imponeva la cessazione immediata dell’esercizio del potere da parte di gruppi di individui che si chiamavano partigiani, la consegna delle armi, a qualsiasi titolo detenute, la proibizione di usare i partigiani come guardie municipali e per servizio di polizia. In virtù di ciò non essendo stati rispettati gli ordini impartiti il 31 luglio, nel dicembre 1944, l’Amministrazione e il Sindaco furono destituiti dalla Prefettura di Frosinone e fu nominato commissario prefettizio Claudio Lucchetti, un grande invalido di guerra. La legalità sembrava ristabilita, ma il 26 dicembre seguì il paradossale tentativo da parte di pochi facinorosi di reinsediare con forza l’ex Sindaco D’Innocenzo, attraverso una ben orchestrata manifestazione popolare, in Piazza Santo Stefano, ma le autorità politiche e militari furono irremovibili e per il sindaco destituito, e per i suoi collaboratori, non vi fu nulla da fare.

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Così ebbe termine dopo sette mesi la “Repubblica” di D’Innocenzo, e la funzione di Commissario prefettizio riprese a svolgerla Claudio Lucchetti. E’ di qualche anno fa, un’altra pubblicazione su Fontana Liri, durante il periodo di guerra 1943-1945, col titolo “Contributo alla Storia del nostro Paese” nella quale vi sono raccolte numerose testimonianza di chi, quel periodo lo visse in prima persona, e di chi lo ricorda attraverso le memoria dei loro genitori e dei loro nonni o dei loro amici più anziani. Ebbene nelle cento pagine e più di dette testimonianze, in una sola si parla di “Presenza partigiana a Fontanaliri”. Si tratta di una ventina di righe, in cui si fa cenno a quel “Comitato armato di resistenza”, che come abbiamo visto rimase sulla carta fino all’arrivo degli alleati, e si fece vivo soltanto dopo la liberazione, con la triste e squallida esperienza della cosiddetta “Repubblica” messa in piedi da quell’antifascista venuto da Roma, appena tornato dal fronte greco albanese, ma finita in malo modo, perché ritenuta, illegittima e pericolosa, dallo stesso Commissario alleato, che aveva il compiuto di vigilare sulla corretta gestione dei Comuni e della Provincia. .

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EPILOGO

1945 L’Unità antifascista è già in crisi

A pagina 159 - Nel libro, dopo quella del sindacato rosso si fa l’apologìa dei tre maggiori partiti del fronte antifascista Dc, Pci e Psi. E il Prefetto Zanframundo dopo meno di tre mesi dalla liberazione, redige un rapporto sulla situazione politica, registrando che è il Partito comunista a primeggiare, per attivismo e numero di iscritti. Infatti è l’unica forza politica ad aver aperto una propria sede nella città e il 10 settembre è il primo a tornare in piazza, dopo oltre 20 anni, quando i suoi militanti tengono il primo comizio politico del dopo guerra, in Piazza Garibaldi, con il segretario della sezione cittadina, con il Sindaco Marzi e un inviato della direzione nazionale. A ricostituire la sezione cittadina del Pci, che intanto ha fissato la propria sede nel Palazzo Cagiano al n.49 di Piazza Garibaldi, si ritrovano con il solito Marzi, molti vecchi militanti dell’epoca prefascista, come Vittorio Antonucci, e Arcangelo Silvestri, ed una decina di coloro che si sentivano perseguitati. A questi però si aggiunge una nuova generazione di giovani comunisti come: Tullio Pietrobono, Arnaldo Marzi, Oreste Cicalè, i fratelli Raul, Aldo e Renzo Silvestri e Canili Riveda, Antonio Grande, Luciano Bartoli, Antonio Fiacco, Mario Brighindi, Gustavo Grande ed altri ancora più giovani. Nel Partito socialista, oltre a Luigi Valchera, che gli inizi del secolo scorso era stato uno dei precursori del movimento socialista in Ciociaria, ridanno vita alla sezione

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cittadina, una decina di compagni anziani e giovani tra cui Antonio Grande, Giuseppe Bartoli, Carlo Federico, Edmomdo La Serra, e i fratelli Alberto e Cesare Facci. Nella Democrazia Cristiana di Frosinone, oltre all’avvocato Giacomo De Palma, già del Partito Popolare di Don Sturzo, una decina tra anziani e giovani tra cui Angelo Maria D’Agostini, G.B.Longhi Bracaglia, Armando Vona, Vittorio Valle, Anna Cristofari e don Luigi Minotti. Degli altri partiti operanti al livello nazionale, sulla scena locale, appaiono il Partito d’Azione con l’avvocato Armando Riccardi, il Partito Liberale, con l’avvocato Giovanni Ferrante e il Partito Repubblicano con il farmacista Renato Gabrielli che da poco ha riaperto la sua farmacia allo Scalo. A proposito del Pri c‘è da dire che esso, non avendo voluto accettare per motivi ideologici, di riconoscere il ruolo che gli alleati, dopo l’accordo di Salerno, assegnavano alla Monarchia per accompagnare il passaggio dell’Italia dal vecchio regime alla democrazia, non entrò a far parte del C.N.L. e non si rese complice di nessuna delle decisioni, spesso arbitrarie ed illegittime, che il Comitato assunse prima e dopo l’arrivo degli alleati. Tutti i partiti, secondo il rapporto del Prefetto, solo raramente danno vita a manifestazioni separate: preferiscono manifestazioni e comizi unitari, e sono mossi da forte spirito di collaborazione nel lavoro di ricostruzione della democrazia e delle sue articolazioni. Questo spirito unitario durerà per tutto l’anno successivo, ma nel luglio del 1945, il Prefetto rivela che sono i partiti di estrema sinistra che tendono ad imporre la loro supremazia.

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A conclusione di questa mia ricostruzione della situazione di guerra e del dopoguerra, nella zona nord della Provincia, dove secondo la vulgata antifascista, avrebbe operato, anche prima dell’8 settembre, un attivo e consistente movimento partigiano, ritengo utile riportare (a conferma di quanto da me sostenuto) la introduzione, con la quale lo storico Gioacchino Giammaria, esamina la consistenza di quel movimento, sui “Quaderni della resistenza laziale” per conto della Regione Lazio, in occasione del XXX Anniversario della guerra di liberazione. N.8 Roma 1975: “La completa mancanza di storiografia sul periodo, escluse alcune pubblicazioni apologetiche e i brevi accenni nella storiografia locale, e l’estrema scarsità delle fonti documentarie, accessibili rendono difficile la storia di questa area laziale nel nostro secolo. In particolare uno studio esauriente del fascismo e dell’antifascismo, in Ciociaria, all’attuale stato della documentazione, è quasi impossibile tentarlo. Per stendere questo lavoro mi sono servito della scarsa pubblicistica e di pochi documenti raccolti presso amici e compagni. Allo stato attuale, questa è una ricerca su poche realtà, documentate appena in modo sommario. Manca a questo lavoro soprattutto la documentazione della parte avversa, fascista e tedesca che non ho potuto reperire.”

La Ciociaria e la Resistenza locale.

“L’ambiente naturale poco si presta alla concentrazione di bande armate: montagne non eccessivamente scoscese, ma percorse da una infinita rette di sentieri; il territorio fittamente popolato. Inoltre dopo l’8settembre la provincia di Frosinone si trova a ridosso della prima linea e quindi

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tutti i paesi vengono occupati da comandi, presidi, istallazioni militari e caserme tedesche, a sostegno del fronte cassinese. Non facile l’ambiente sociale: a causa dello sbandamento dell’8 settembre la popolazione pensa alla sopravvivenza. Gli antifascisti poco numerosi e in genere ex militari, dei disciolti partiti (e dello stesso partito fascista, prima dell’8 settembre - n.d.a.) non prendono l’iniziativa che nei momenti successivi. Nella prima fase si registra uno spontaneo movimento di giovani e di militari sbandati. Manca l’organizzazione. Solo successivamente alcuni centri si collegano fra loro e con Roma, ma con contatti sporadici. Non esistono comandi militari e formazioni permanenti. Le iniziative politico-militari antifasciste sorgono in zone defilate e non sui paesi lungo le strade principali. La scarsità delle azioni militari e la poca incisività dell’azione antifascista è dovuta: 1) La provincia presenta un massiccio concentramento di forze tedesche, che impediscono concentramenti militari agli antifascisti; 2) La scarsa coscienza politica e la inesperienza militare sono alla base della inefficienza dell’azione; 3) I gruppi e i partiti resistenziali mancano di un collegamento permanete; 4) L’azione partigiana in Ciociaria ha tempi ristretti, per cui non ha potuto svilupparsi e organizzarsi.” Come si vede, lo Giammaria dice tutto questo, per non dire, in poche parole, che “La resistenza in Ciociaria, non è mai esistita.”

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BIBLIOGRAFIA Montanelli-Cervi:-“L’Italia della Guerra civile” ( Rizzoli 1983). Guerri G.B. - “Fascisti” (Mondatori 1995). Petacco Arrigo - “L’Armata scomparsa” (Mondadori 1998). Autori vari - “Il libro nero del Comunismo” (Mondadori 2000). Bigazzi-Zhirnov:“Gli ultimi 28 italiani in Russia” (Mondatori “Annuario 1929-01“Il Liceo Turriziani Frosinone” (Bianchini). Vespa Bruno: “Storia d’Italia,.da Mussolini a Berlusconi” (Mondadori 2004). Pansa Giampaolo-“La grande bugia”(Sperling & Kupfer 2006). Battista Pier Luigi - “ Cancellare le tracce” (Rizzoli 2007). Marini Augusto - “Dalla camicia nera alla toga” (Sovera 2006). Baris Tommaso - “ Il Fascismo in provincia” (Laterza 2007). Autori vari - “Il capitalismo rosso” (Panorama 2006) “Quaderni della Resistenza Laziale” (Regione Lazio 1975). “Guerra di liberazione in Ciociaria”(Amm.Prov.le 1985).

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Missori Maurizio: “Gerarchie e statuti del Pnf” (Bonacci 1986). Federico e Jadecola - “La Guerra a Frosinone 1943-44” (Comune di Frosinone 2005). Sacchetti Sassetti - “Cronaca di Alatri 1943-44” (Isalm 1969). Bartoli Luciano - “Scritti politici” (Abbazia Calamari 1991). Bonelli Alfredo:“Io Gino Conti, rivoluzionario di professione” (Tofani 1995). Rengo Giuseppe: “Quando ero soldato” (Giornale Fiuggi 1998). Caperna Umberto:“Ricordi di guerra 1943-44” (Edigraf 2004). Curti Floriana: “Caramelle e pidocchi” (Bianchini 2004). Bartoli Augusto: “Poveri oscuri eroi” (Prodotto in proprio)

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www.storialibera.it Se si vuole saperne di più sulle verità di quel periodo che la storiografia ufficiale ha nascosto agli italiani per quasi 50 anni, sul sito predetto, alla voce resistenza, vi sono i saggi di alcuni revisionisti della nostra storia. Antonio Socci e Galli Della Loggia “Che storia è questa” Sergio Romano “Ebbene sì sono revisionista” Giordano Bruno Guerri “Fascisti il regime degli italiani” Luca Gallesi “Il revisionismo avanza a sinistra” Ugo Finetti “La resistenza cancellata” Roberto Beretta “Pansa: la resistenza lavi i panni sporchi”. Inoltre, nutrita è ormai la schiera dei revisionisti, quasi tutti di area liberale, perché quelli di area catto-comunista o azionista, difficilmente sono disposti ad abiurare i dogmi della storiografia ufficializzata. Pertanto può essere utile ed istruttivo ricordare che, tra i revisionisti possono essere annoverati: Benedetto Croce - Renzo De Felice - Luca Canali - Valerio Riva Mentre tra gli antirevisionisti si possono tranquillamente mettere: Giorgio Bocca - Carlo Azelio Ciampi - Nicola Tranfaglia - Armando Cossutta e tutti quegli intellettuali e uomini della sinistra di questi ultimi 60 anni, che sul mito dell’ antifascismo e della resistenza hanno costruito la loro fortuna e le loro carriere politiche.

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DELLO STESSO AUTORE SU STORIA E POLITICA

“Anche da noi urge il revisionismo”

“Simbolismo e totemismo, i veri significati della Festa delle Stuzze (Feb.1980 - Giornale Fiuggi). “Un falso storico in Via Maggiore” (Feb.1991-Giornale Fiuggi). “Guida storico-turistica: Fiuggi e i suoi dintorni” (con disegni e grafici dell’autore, a puntate - Giornale Fiuggi -1991-92); “Nessun rammarico a Fiuggi per la mancata venuta di Gorbaciov” (Gen.1991 - Giornale Fiuggi). “ Settembre ’43 e dintorni nell’alta Ciociaria” (a puntate 1998-99-2000 - Giornale Fiuggi). “La Porta dell’olmo era il simbolo della libertà, per questo fu abbattuta” ( 2003 - Il Cittadino - Flash Magazine) “A 90 anni dalla nascita, Fiuggi torna all’anno zero”. (Ott.2001- Giornale Fiuggi). “Perché la casa degl’jafricano in Via Maggiore, era l’antica chiesa di S.Domenico? (2003 - Il Cittadino - Flash Magazine).

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“In nessuna storia locale si dice che nel 1867 anche in Anticoli vi fu una Giunta garibaldina” (2003 Radio Centro Fiuggi).* “Soltanto dal 1872 al 1910 Anticoli acquisì la denominazione…di Campagna” (2003 Radio Centro Fiuggi). *

“A Frosinone: “Errata la posizione del Monumento a Nicola Ricciotti” (2004 – Flash Magazine). “Le incredibili accuse dell’Inquisizione contro Aonio Paleario” (2004 - Flash Magazine). “Sono ancora tra noi i nostalgici del marxismo” (1991 -Frosinone extra). “1942-1948: La tragedia dell’Armir e i prigionieri italiani in Russia” (2001 - Giornale Fiuggi). “Libri faziosi nelle scuole” (1983 - “Il Tempo”). “Come ti raccontano De Gasperi nelle scuole” (1983 - “La Voce Repubblicana”). “Luigi e Costantino Severa - Due maestri artigiani, dimenticati dagli enti locali (religiosi e civili)”. (Ott.1991 -Giornale Fiuggi). “Benito Ambrosi.Un camerata libertario”(1994-Giornale Fiuggi).

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“Anche in Ciociaria urge il revisionismo”(2004-Flash Magazine). “Sotto il Fascismo: Nove italiani su dieci, erano inquadrati sotto il Regime Fascista” (2004 - Flash Magazine). “Dic.’43-Giu.’44: Giovani alla macchia resistenza zero” (2004 -Flash Magazine). “Gli antifascisti del giorno dopo, eroi della Resistenza” (2004 -Flash Magazine). “1944-45: Anche in Ciociaria, l’Italia fascista si scopre democratica” (2004 -Flash Magazine). “1946: Dall’Italia tradita nasce la Repubblica” (2004 -Flash Magazine). “1946-1948: Gl’italiani volevano la libertà, non il comunismo” (2004 - Flash Magazine). “Aprile 1948: L’Italia si salva dalla cortina di ferro” (2004 -Flash Magazine). “1875.: “Serafino Alessandri, primo Maestro di Anticoli di Campagna” (Lug.2002 - Giornale Fiuggi - Il Cittadino) “La vita e i primati del maestro Alessandri”(2002-Giornale Fiuggi).

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“Due lapidi da rimuovere, a Fiuggi, in Via Maggiore e a Piazza Silone”* (Giu.2002 –“il Cittadino”). “Dopo i loro costosi note-book (con progetti miliardari) i nostri blok-notes (a costo zero) (2002 “il Cittadino”) * “Le cattedrali nel deserto della Giunta Celani”. (2002 “il Cittadino”* “Il Centro storico muore” (2003 “il Cittadino” “Sgarbi ha ragione: salviamo le nostre città dagli architetti” (2003 – “il Cittadino”* “Ma furono davvero Maestre Pie, le sorelle Faioli? (2003 Risposta a Giampiero Raspa sul Giornale Fiuggi). “Due lapidi da rimuovere in Via Maggiore e in Piazza Silone” (Giu. 2002 – “il Cittadino”) * “A Fiuggi. Le cattedrali nel deserto del Sindaco Celani” (Sett.2003 – “il Cittadino”.* “La Vera Storia delle Sorelle Faioli e della Istruzione Elementare in Anticoli”(Giu. 2004-Vol. a cura de “il Cittadino”).* “Risposte e precisazioni a Giampiero Raspa (agiografo) ed a Renato Riccioni (postulatore) sulle Sorelle Faioli”(Apr. 2005 - Vol. a cura de “il Cittadino”).

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“A Fiuggi. Insaziabili più che mai i barbari del cemento” (Ago.2005 -“il Cittadino”). “A Fiuggi. Il sacco urbanistico del territorio continua” (Sett.2006 –“il Cittadino”). “Tutti illegali i progetti in c.a. dei geometri?” (Cfr. Ordinanza Tar Latina n.320 -29.4.2005 – da ”il Cittadino” Feb..2007). “Fiuggi dice: No grazie, al faraonico palacongressi Calatrava! (Marzo 2007 . “il Cittadino”). “Appello agli storici, ai giornalisti, contro le facili canonizzazioni dei santi e dei beati”. (Suppl. al numero di Aprile 2007 de “il Cittadino”.).. N.B.-.Degli articoli con l’asterisco, qualche organo di stampa ha rifiutato, oltre ai testi, anche i titoli che venivano segnalati indicati per un’apposita pubblicazione. Questo, l’ l’incredibile motivo del rifiuto: “I nostri lettori, sono orgogliosi di quella che ormai considerano la loro storia. Perché deluderli?”

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INDICE Premessa…..……………………………………………...I Cap. I - Perché il Revisionismo………….……Pag……1 1) Nove italiani su dieci aderirono al Fascismo, anche in Ciociaria. 2) Dibattito sulla resistenza, con Giacinto Minnocci e Carlo Costantini. 3) Con il senatore Minnocci, per ricordargli che, soltanto dopo l’8 settembre ’43 si dichiarò antifascista e partigiano, ma ha sempre taciuto del suo trascorso politico: quando ad esempio, da intellettuale del Regime, al Liceo Turriziani di Frosinone era solito impartire ai giovani (me compreso) lezioni di mistica fascista. 4) Con il Costantini, per ricordargli che, da partigiano, era comodamente nascosto nella curia di Alatri, e che i cosiddetti patrioti cristiani, arrestati e concentrati nel Convento dei Cappuccini, furono liberati sani e salvi per intercessione del vescovo Facchini, che a sua volta, era amico del Console Ghislanzoni. Cap. II - Antifascismo e Resistenza in Ciociaria...Pag.16 1) Per dirla con Giampaolo Pansa. “Una grande bugìa”: perché “La meglio gioventù sotto il Fascismo” si trovava nelle scuole e nelle università. 2) Di essa facevano parte quasi tutti gli antifascisti e i partigiani che si sono dichiarati tali, soltanto dopo l’8 settembre, e per quella loro qualità, dal 1946 in poi, hanno fatto carriera anche in questa Repubblica.

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L’hanno fatta, chi come deputato, chi come ministro, chi perfino come Presidente della Repubblica. Tra i quali, il democristiano Scalfaro, l’azionista Ciampi e il comunista Napoletano. 3) Lettere tra studenti ad Alatri: quando tra loro si chiamavano camerati. 4) La medaglia garibaldina al partigiano comunista Aldo Silvestri e l’eroe dimenticato di El Alamein, S.Ten. Armando Tagliaferro. 5) Le Bande di Alatri, Collepardo e Fiuggi, guidate da ex fascisti. 6) I partigiani, bianchi e rossi, nascosti nelle curie e nei conventi, furono gli ideatori dei comitati di liberazione, locali e provinciale, ma dal Convento di Alatri, furono costretti a fuggire soltanto i giovani, precettati dal Bando di Graziani. Cap. III – “La Guerra a Frosinone 1943 - 1944.….....37 1) Una storia a senso unico, intrisa di fascismo rosso. 2) Ex militari di Mussolini e di Badoglio, i “patrioti” di Frosinone. 3) La Banda di Collepardo e il rivoluzionario Gino Conti. 4) Gli antifascisti del giorno dopo, suoi allievi, diventano marxisti-leninisti - Ma l’unica azione di fuoco contro i tedeschi, fu portata a termine dai fratelli Augusto e Luciano Bartoli a Pitocco, poi fuggiti verso l’ Abruzzo. 5) Nelle loro memorie, le vicende del padre Giuseppe, ultimo purgato del regime, e le rivelazioni sui padroni della Federazione del Pci. 6) La Città dopo, e l’occupazione totalitaria del potere. 7) Tutti a Palazzo Gramsci. alla Provincia, si passa, dai fascisti ai comunisti. 8) Le ricerche sul Fascismo di Tommaso Baris. 9) La famiglia Silvestri, detta Rivolta. 10) Fine del Nazismo, ma in Europa arriva l’Armata Rossa.

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Cap. IV - Su Frosinone liberata………………………74 1) Piombano i comunisti: e con loro, l’apologia della rivoluzione Russa e la bugìa sui martiri dello stradone. 2) Barbari e barberini, anche a Frosinone. 3) La Ragazza di Via Quintino Sella, denuncia la demolizione dell’ ex Caserma della Divisione Torino. 4) La tragedia dei prigionieri in Russia e la cinica risposta di Togliatti. 5) I gravi errori della Cigl sui problemi del lavoro: le industrie del Liri, a causa degli scioperi, diventano fabbriche di disoccupati. 6) Anno 1944: con “il Popolano” diretto da Renzo Silvestri, arriva l’ “Epurator” sui profitti del regime. 7) Anno 2007: con “il Cittadino” diretto da Colombo Incocciati, la denuncia dei profitti, ben più gravi, di questa Repubblica. Cap. V - Guerra e dopo Guerra, nella Provincia…..102 1) Fiuggi: Nel settembre 1943, dopo aver rischiato la distruzione, diventa Sede provvisoria della Provincia. 2) Il Bando di Graziani, per la classe 1925. 3) Giovani alla macchia - Resistenza zero. 4) L’Agata’s List’, gli ebrei da Roma, e gli sfollati da Frosinone e Cassino. 5) I profughi maltesi e tripolini, al Grand’Hotel di Fiuggi ed alle Fraschette di Alatri. 6) Vacanze forzate e studi interrotti per gli studenti. 7) Dal Fascismo alla Democrazia: anche la Ciociaria si adegua. 8) Anno 1946: Dalla Patria tradita nasce la Repubblica: ma anche le delusioni. 9) I sacrifici dimenticati.

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Cap. VI - Le scomode verità del medico di Fiuggi Giuseppe Rengo ..…………………………………….137 1) Quando era soldato: dalla Guerra di Spagna alla Liberazione. 2) La permuta della macchia d’oro, a Fiuggi. 3) Il salto dei voltagabbana. L’Armistizio e il capovolgimento di fronte. 4) Grazie ai suoi alberghi, Fiuggi si salva dai bombardamenti. 5) Il Professore antifascista, dall’A.O.I. a Fiuggi. 6) Il “Pizzo” dei partigiani e l’occupazione illegale del Comune. 7) Il fratello Carlo e la donna di Tecchiena, trucidati dai tedeschi. 8) Lui, liberato dagli alleati, epurato dagli ex fascisti. 9) Il Colonnello J.B.Thornhill, caccia i falsi sindaci dai comuni.

Cap.VII – Altre occupazioni e vendette……………..162 1) Ad Alatri - Nella “Cronaca della occupazione tedesca (1943 -1944) di Sacchetti Sassetti” numerose le violenze dopo la liberazione. 2) Il 3 Giugno 1944: Al Comune comanda Cesare Barone comunista - Il Tenente Aceti, presso Porta S.Pietro, rischia di essere linciato. 3) Il 4 Giugno: Arresto dell’ Avv. De Persiis, ultimo preside della Provincia - Il Prof. Carlo Minnocci è nominato Sindaco (Ma è quello stesso che Vincenzo Torrice denuncerà al Comando Inglese, quando il 22 novembre 1942, fu da lui, maltrattato nella Casa del Fascio). 4) Il 5 Giugno: Arresto del maresciallo Americo Tagliaferri, e Scappaticci, soltanto perché ex repubblicani e disertori badogliani.

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Tolte dal Municipio le bandiere: americana, inglese e tricolore. Rimane quella rossa. 5) L’8 Giugno: Il dott. Giuseppe Pelloni e il dott. Giacinto Minnocci, arrestano Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Brusselles, Covino, Ten. Cristiani ed altri portati a Pietra Vairano. A Fontana Liri - Nella storia di Generoso Pistilli…..166 In questa zona, poco distante dal fronte di Cassino, la presenza dei tedeschi era massiccia. Ma qui la resistenza che il “ Comitato armato” aveva promesso di fare, con tanto di atto sottoscritto l’8 Settembre 1943 da 41 persone, fino all’ arrivo degli alleati, rimase lettera morta - Tanto è vero che, quando due tedeschi poco prima di ritirarsi decisero di minare e far saltare, uno ad uno, i ponti e le stazioni della ferrovia, quegli uomini coraggiosi erano diventati uccel di bosco. Cap.VIII - Epilogo…………………….........................172 1945 - L’ unità antifascista già in crisi. Ne “La Ciociaria e la Resistenza Locale” lo storico Gioacchino Giammaria, concludendo la sue ricerche con questa frase “L’azione partigiana in Ciociaria a causa dei tempi ristretti, non ha potuto svilupparsi e organizzarsi” non fa che confermare la tesi, anche da me più volte sostenuta, secondo cui “ La Resistenza in Ciociaria non è mai concretamente esistita”

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Bibliografia……………….…………………………177 Dello stesso autore……….………………………….180 Indici……………………………..………………….186

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L’AUTORE LASCIA QUESTO SAGGIO

DI STORIA LOCALE AI SUOI CONCITTADINI

COME TESTIMONIANZA DI VERITA’ SPERANDO CHE ALMENO I GIOVANI

TROVINO IL CORAGGIO DI SCOPRIRLA E DI RIAFFERMARLA

PROSEGUENDO LE RICERCHE SULL’ANTIFASCISMO

E LA LIBERAZIONE IN CIOCIARIA CHE LA VULGATA RESISTENZIALE

PER MOTIVI IDEOLOGICI E DI TORNACONTO POLITICO

HA DELIBERATAMENTE MISTIFICATO

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