Sergio Solmi critico militante. Un itinerario nella letteratura italiana del Novecento

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La scrittura di Sergio Solmi è esemplare della più seria ‘critica militante’, da intendersi come attenzione prevalente alla contemporaneità e da esercitarsi nei luoghi ‘necessari’ del dibattito letterario (in primis sulle pagine delle riviste), senza mai venir meno ai doveri di precisione e rigore che si richiedono allo studioso. Quest’indagine ricostruisce accuratamente in quattro capitoli un profilo del Solmi italianista.

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Antonio Giampietro

SERGIO SOLMI CRITICO MILITANTE

Un itinerario nella letteratura italiana del Novecento

Stilo Editrice

Officina

Direttore:Daniele Maria Pegorari (Univ. di Bari)

Comitato sCientifiCo internazionale:Rino Caputo (Univ. di Roma Tor Vergata)

Pietro Cataldi (Univ. stranieri di Siena) Domenico Cofano (Univ. di Foggia)

Luigi Fontanella (State Univ. of New York) Giuseppe Langella (Univ. Cattolica di Milano)

Bart Van den Bossche (Univ. di Leuven)Stefano Verdino (Univ. di Genova)

Zosi Zografidou (Univ. di Salonicco)

ISBN 978-88-6479-069-5© stilo eDitriCe 2012www.stiloeditrice.itFinito di stampare nel mese di novembre 2012Presso Global print, Gorgonzola (MI)

SOMMARIO

ritratto su misura 9

introDuzione. Dall’intervento al saggio.la letteratura Come interesse «non professionale» 11

i. il saggio Come metoDo 291. Una fedeltà impossibile: Benedetto Croce 372. Una ragione antisistemica: teoria, critica e filosofia francese 543. Un magistero critico. Debenedetti, Montale, Serra, Cecchi 634. Da Gobetti alla neoavanguardia: la critica marxista 805. Una critica «non premeditata»: estetica e teoria letteraria 93

II. nel Cuore Di un seColo. solmi e le riviste 1011. Il periodo torinese: da «Cronache latine» al «Baretti» 111 2. Lo sguardo europeo: «Solaria» e il «Convegno» 1213. Un testimone/attore privilegiato: l’esperienza indipendente degli anni Trenta 1304. Una costellazione multiforme e varia: il militante/maestro, le inchieste e la riflessione 136

appenDiCe. prospetto Delle riviste alle quali solmi ha Collaborato 147

III. la preDilezione per la poesia 153 1. Alle origini della lirica del Novecento 166 2. L’autentica poesia di Montale 186 3. Melodia e meditazione pura. Saba e Ungaretti 196

4. La lirica moderna e Quasimodo 208 5. L’ideale della poesia 216

IV. l’universo Della prosa 223 1. Prosa lirica e romanzo 230 2. Il gusto per la narrazione. Moravia e Vittorini 240

3. Agli albori di una letteratura rinnovata. Svevo e Pavese 2494. Gli anni della riflessione 260

bibliografia ragionata 265

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Ritratto su misura*

Sono nato a Rieti il 16 dicembre 1899, da genitori modene-si. Mio padre, morto giovanissimo nel 1912, fu quell’Ed-mondo Solmi che pur ebbe il tempo di lasciare una così profonda orma negli studi leonardeschi. La vocazione allo scrivere è stata la sola che abbia profondamente sentita, fin dalla prima infanzia. Ho conosciuto le rapide illusioni e combustioni dei precoci. Che poi abbia seguito la impre-vista e imprevedibile carriera del legale bancario, fa parte di quelli che sogliono chiamarsi i «casi della vita» (ma, più che casi, originali curvature del destino), ed è più che mai spiegabile, almeno esteriormente, per quanto mi riguarda, trattandosi di un ragazzo orfano, povero e precocemente sbalestrato in esperienze brucianti.

Dalla mia situazione «eccentrica» ho tratto tutti gli svan-taggi e i vantaggi possibili. Gli svantaggi si possono facil-mente immaginare, e sono stati, e sono, assai pesanti. I vantaggi, si possono compendiare essenzialmente nel fatto che ho scritto sempre, e soltanto, quello che mi piaceva scrivere, ed ero spinto a scrivere, quando avevo il tempo di scrivere. Non posso, quindi, invocare alcuna scusante ai miei errori e alle mie debolezze.

Quella stessa posizione «eccentrica», e la mancanza di un interesse materiale, mi hanno pure consentito di po-termi disinteressare completamente della collocazione e dell’esito delle mie poche scritture, rimaste per la più gran parte disperse per le riviste letterarie. Che la critica sia stata prodiga o avara, giusta o ingiusta nei miei confronti, non posso dire, perché credo che uno scrittore non abbia il diritto di autogiudicarsi, come pure di sollecitare giu-dizi. (Quanto posso tuttavia confessare, è che in essa mi sono scarsamente riconosciuto, sia nelle sue riserve, sia, e soprattutto, nei suoi elogi).

Che poi, nel profondo del cuore, non nutrisca anch’io ambizioni, e magari le più sconfinate, ciò che probabil-mente è di tutti, non posso certo negare. Così come sono

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pure rassegnato a che esse non vengano soddisfatte. Di una sola cosa ho però sempre avuto orrore, ossia delle am-bizioni mediocri.

Con tutto questo, ho persino avuto dei premi letterari. Nel 1949, ex aequo con Alfonso Gatto, il premio Saint-Vincent per la poesia; nel 1950 (se non erro) il premio Montparnasse per i miei saggi francesi. Infine nel 1959, dal Comune di Frascati, un premio per una mia vecchia poesia del 1925, premio consistente in cento litri di vino Frascati, di primissima qualità. È il premio che ho gradito più di tutti, e che sto ancora assaporando: l’autentico vino della gloria.

*in Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Soda-lizio del Libro, Venezia 1960, p. 396, ora in s. solmi, Poesie, meditazioni e ricordi, a cura di G. Pacchiano, Adelphi, Milano 1983-1984, t. II: Medita-zioni e ricordi, pp. 302-303.

INTRODUZIONE

DALL’INTERVENTO AL SAGGIO. LA LETTERATURA COME

INTERESSE «NON PROFESSIONALE»

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Ho letto i poeti, ma, più che i poeti, pensatori, saggisti e romanzieri di ogni tempo e paese. Adolescente, su di un quadro classicistico, ebbi la rivelazione dei simbolisti francesi, e, subordinatamente, dei vociani e dei futuristi. Lessi in quegli anni lontani, probabilmente fraintenden-doli, Schopenhauer e Nietzsche. Sui vent’anni, subito dopo la prima guerra, subii l’influsso dell’idealismo ita-liano, soprattutto di Croce, integrato da filosofi e scritto-ri come Bergson, Alain, Valéry. Fra i classici ho sempre prediletto Leopardi. Forse anche per questo non rimasi insensibile, negli anni della mia formazione, al contem-poraneo esperimento della «Ronda», che mi confermava in una vocazione, in un certo senso, «neoclassica», inte-sa soprattutto come difesa contro l’urgenza sentimenta-le, distacco e ironia. Sono invece rimasto estraneo all’er-metismo in cui ravvisavo un corrispondente italiano del surrealismo francese, però destinato, per forza di cose, a restar confinato su un piano unicamente letterario. Più tardi, mi sono interessato a settori nuovi della cultura mo-derna, come la psicanalisi, e, più di recente, al fenomeno della fantascienza. Non essendomi mai fatto un mestiere dello scrivere, non mi sono mai specializzato in alcunché, se non, in una certa misura, per un’antica consuetudine, nella letteratura francese. Salvo un periodo, in giovinezza, di «critica militante», mi sono mantenuto sempre libero di leggere quanto più mi attraeva, e, con gli anni, le mie curiosità sono andate crescendo, mentre le conclusioni, anche provvisorie, sempre più si allontanano1.

1. s. solmi, Risposta a un questionario, in iD., Letteratura e società. Saggi sul fantastico. La responsabilità della cultura. Scritti di argomento storico e politico, a cura di G. Pacchiano, con una nota biografica di R. Solmi, Adel-phi, Milano 2000, pp. 384-390: 386-387; quattro cartelle e mezzo rimaste inedite contenenti le risposte di Solmi a un questionario proposto nel 1969 dal prof. Michele Ricciarelli, allora docente di italiano presso l’Università di Buffalo (New York), e direttore della rivista «Forum Italicum»; la domanda specifica suonava pressapoco così: Quali sono stati nei suoi anni verdi i poeti e gli scrittori che hanno avuto maggiormente significato per lei, ve ne sono ancora oggi, stranieri o italiani?