Senigallia La Città Futura anno 2 N°2 settembre 2012

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la Città Futura S E N I G A L L I A http://www.lacittafutura.info info: [email protected] Settembre 2012 Anno II Numero 2 diffusione gratuita di Roberto Primavera E’ opportuno che Sindaco e Assessori ritornino nelle frazioni e nei quartieri di Senigallia, come fecero all’inizio del loro mandato, per un confronto franco coi cittadini. Tra gli effetti della crisi economica e finanziaria in atto c’è anche quello, assai rilevante, delle drammatiche difficoltà di bilancio degli enti locali e, tra questi, in modo particolare dei Comuni chiamati a fornire ai cittadini una gran parte dei servizi di cui le comunità locali necessitano per il loro benessere. Queste difficoltà si sono aggravate a partire dal 2010 con la serie di manovre varate dal governo Berlusconi, che pure continuava a negare cocciutamente la gravità della situazione economica del pa- ese. In un crescendo di cui ancora non si intravvede la fine, anche il governo Monti ha promulgato una serie di manovre – dal Salva Italia del dicembre 2011 ai più recenti provvedimenti di spending review, che impongono ulteriori sacrifici agli enti locali, sacrifici ormai non più sostenibili. Sostanzialmente le manovre statali, con l’obiettivo di ridurre l’inde- bitamento complessivo del paese agiscono, nei confronti degli enti locali, attraverso due leve fondamentali: drastica riduzione dei tra- sferimenti erariali e inasprimento del patto di stabilità. Bastano pochi numeri per capire come, nel giro di pochissimi anni, la situazione finanziaria del Comune di Senigallia si sia aggravata , passando da un bilancio sano e assolutamente solido ad una dram- matica difficoltà a garantirne gli equilibri (rischio disavanzo). Rispetto ad un volume di entrate correnti di circa 48-50 milioni, i tra- sferimenti erariali sono passati (per effetto dei tagli) da 9,5 milioni nel 2010, a 7,6 milioni nel 2011, a 4,8 nel 2012. Di converso gli obiettivi imposti dal patto di stabilità si sono fatti sempre più pressanti, con un crescendo oramai non più sostenibile: obiettivo programmatico 2010: 1,3 milioni; obiettivo programmati- co 2011: 1,7 milioni; obiettivo programmatico 2012 e 2013: 4,7 mi- lioni. Con molti meno soldi (i tagli) il Comune di Senigallia deve riuscire a centrare obiettivi di risparmio che sarebbero stati difficilissimi anche a risorse invariate. Le conseguenze: difficoltà di cassa (pagamenti degli stipendi, pa- gamenti dei fornitori), difficoltà a garantire il livello quantitativo e qualitativo dei servizi, impossibilità (per effetto del patto) di pagare le imprese cui è stata affidata la realizzazione delle opere pubbliche, paralisi degli investimenti con i conseguenti effetti depressivi sull’e- conomia locale (imprese e lavoratori). Ma soprattutto, a questo punto, si fa molto serio il rischio di sfonda- mento del patto di stabilità, che comporterebbe sanzioni pesantis- sime tra cui ulteriori tagli dei trasferimenti da parte dello stato nei confronti del nostro comune. Perciò s’impone la necessità di un confronto tra amministratori e cit- tadini prima delle prossime scelte di bilancio, che si preannunciano purtroppo difficili e forse anche dolorose. Ciò che bisogna evitare è di spingere un pezzo di città contro l’altro come, per esempio, qualcuno ha tentato recentemente di fare, in modo irresponsabile, proponendo di tagliare le risorse destinate al sostegno dell’offerta turistica, dimenticando che su di essa si regge la nostra economia. Sarà invece doveroso perseverare nella riorganizzazione e recupero di efficienza della macchina comunale, puntando anche alla com- pressione delle spese di funzionamento, ma difficilmente ciò sarà sufficiente. Potrebbe essere pertanto inevitabile rivedere le moda- lità di gestione ed erogazione dei servizi comunali, compresi quelli a carattere sociale, con l’obiettivo di ridurne i costi pur senza intac- carne qualità e quantità. Da riconsiderare, in questo quadro, anche i criteri di compartecipazione alla spesa da parte degli utenti tenendo fermo il principio di equità per cui chi ha di più deve essere chiama- to a contribuire maggiormente. Laddove non si riuscisse in questo sforzo, di cui, ripeto, devono essere resi consapevoli e partecipi i cit- tadini, il rischio è quello, deprecato, di dover agire sulla leva fiscale o di dover rinunciare ad alcuni servizi. L’auspicio è che, in una fase così difficile, le forze politiche tutte, pur nel rispetto della diversità dei ruoli tra maggioranza di governo ed opposizione, sappiano eserci- tare la propria funzione in modo responsabile concorrendo alla co- struzione di soluzioni che aiutino la città a superare le difficoltà del momento e alla conservazione di quella coesione sociale che è uno dei beni più preziosi su cui si fonda la nostra comunità. Aria brusca foto di Francesco Bontempi IN QUESTO NUMERO raffineria Api. disabili. Nuove Energie Urbane. paesaggio. graffiti. acquapubblica. Undicesimaora. agricoltura Bio. dune. storia. operai Api. Volpini. La Duca. Landi. Centanni. Fior. Salata. Bomprezzi INTERVISTE

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IN QUESTO NUMERO raffineria Api. disabili. Nuove Energie Urbane. paesaggio. graffiti. acquapubblica. Undicesimaora. agricoltura Bio. dune. storia. INTERVISTE: operai Api. Volpini. La Duca. Landi. Centanni. Fior. Salata. Bomprezzi

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la Città FuturaS E N I G A L L I A

http://www.lacittafutura.info info: [email protected] Settembre 2012 Anno II Numero 2

la Città Futurala Città Futuradiffusione gratuita

di Roberto Primavera

E’ opportuno che Sindaco e Assessori ritornino nelle frazioni e nei quartieri di Senigallia, come fecero all’inizio del loro mandato, per un confronto franco coi cittadini. Tra gli eff etti della crisi economica e fi nanziaria in atto c’è anche quello, assai rilevante, delle drammatiche diffi coltà di bilancio degli enti locali e, tra questi, in modo particolare dei Comuni chiamati a fornire ai cittadini una gran parte dei servizi di cui le comunità locali necessitano per il loro benessere. Queste diffi coltà si sono aggravate a partire dal 2010 con la serie di manovre varate dal governo Berlusconi, che pure continuava a negare cocciutamente la gravità della situazione economica del pa-ese. In un crescendo di cui ancora non si intravvede la fi ne, anche il governo Monti ha promulgato una serie di manovre – dal Salva Italia del dicembre 2011 ai più recenti provvedimenti di spending review, che impongono ulteriori sacrifi ci agli enti locali, sacrifi ci ormai non più sostenibili. Sostanzialmente le manovre statali, con l’obiettivo di ridurre l’inde-bitamento complessivo del paese agiscono, nei confronti degli enti locali, attraverso due leve fondamentali: drastica riduzione dei tra-sferimenti erariali e inasprimento del patto di stabilità. Bastano pochi numeri per capire come, nel giro di pochissimi anni, la situazione fi nanziaria del Comune di Senigallia si sia aggravata

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passando da un bilancio sano e assolutamente solido ad una dram-matica diffi coltà a garantirne gli equilibri (rischio disavanzo). Rispetto ad un volume di entrate correnti di circa 48-50 milioni, i tra-sferimenti erariali sono passati (per eff etto dei tagli) da 9,5 milioni nel 2010, a 7,6 milioni nel 2011, a 4,8 nel 2012. Di converso gli obiettivi imposti dal patto di stabilità si sono fatti sempre più pressanti, con un crescendo oramai non più sostenibile: obiettivo programmatico 2010: 1,3 milioni; obiettivo programmati-co 2011: 1,7 milioni; obiettivo programmatico 2012 e 2013: 4,7 mi-lioni. Con molti meno soldi (i tagli) il Comune di Senigallia deve riuscire a centrare obiettivi di risparmio che sarebbero stati diffi cilissimi anche a risorse invariate. Le conseguenze: diffi coltà di cassa (pagamenti degli stipendi, pa-gamenti dei fornitori), diffi coltà a garantire il livello quantitativo e qualitativo dei servizi, impossibilità (per eff etto del patto) di pagare le imprese cui è stata affi data la realizzazione delle opere pubbliche, paralisi degli investimenti con i conseguenti eff etti depressivi sull’e-conomia locale (imprese e lavoratori). Ma soprattutto, a questo punto, si fa molto serio il rischio di sfonda-mento del patto di stabilità, che comporterebbe sanzioni pesantis-sime tra cui ulteriori tagli dei trasferimenti da parte dello stato nei confronti del nostro comune. Perciò s’impone la necessità di un confronto tra amministratori e cit-tadini prima delle prossime scelte di bilancio, che si preannunciano

purtroppo diffi cili e forse anche dolorose. Ciò che bisogna evitare è di spingere un pezzo di città contro l’altro come, per esempio, qualcuno ha tentato recentemente di fare, in modo irresponsabile, proponendo di tagliare le risorse destinate al sostegno dell’off erta turistica, dimenticando che su di essa si regge la nostra economia. Sarà invece doveroso perseverare nella riorganizzazione e recupero di effi cienza della macchina comunale, puntando anche alla com-pressione delle spese di funzionamento, ma diffi cilmente ciò sarà suffi ciente. Potrebbe essere pertanto inevitabile rivedere le moda-lità di gestione ed erogazione dei servizi comunali, compresi quelli a carattere sociale, con l’obiettivo di ridurne i costi pur senza intac-carne qualità e quantità. Da riconsiderare, in questo quadro, anche i criteri di compartecipazione alla spesa da parte degli utenti tenendo fermo il principio di equità per cui chi ha di più deve essere chiama-to a contribuire maggiormente. Laddove non si riuscisse in questo sforzo, di cui, ripeto, devono essere resi consapevoli e partecipi i cit-tadini, il rischio è quello, deprecato, di dover agire sulla leva fi scale o di dover rinunciare ad alcuni servizi. L’auspicio è che, in una fase così diffi cile, le forze politiche tutte, pur nel rispetto della diversità dei ruoli tra maggioranza di governo ed opposizione, sappiano eserci-tare la propria funzione in modo responsabile concorrendo alla co-struzione di soluzioni che aiutino la città a superare le diffi coltà del momento e alla conservazione di quella coesione sociale che è uno dei beni più preziosi su cui si fonda la nostra comunità.

Aria bruscafoto di Francesco Bontempi

IN QUESTO NUMEROraffineria Api. disabili. Nuove Energie Urbane. paesaggio. graffiti.acquapubblica. Undicesimaora. agricoltura Bio. dune. storia. operai Api. Volpini. La Duca. Landi. Centanni. Fior.Salata. Bomprezzi INTERVISTE

2 Senigallia la Città Futura settembre 2012lavoro e ambiente

Intervista tre voci l’Api raccontata dagli operai

Noi, scudi umani

Senigallia la Città FuturaDirettore Responsabile Giulia AngelettiDirettore Editoriale Roberto Primavera

Hanno collaborato a questo numero:

Editore:“La Città Futura Associazione Culturale”VIA Mamiani 27 - 60019 Senigallia(AN)

C.Fisc. P.IVA 02508000425Iscrizione al Registro del Tribunale di Ancona n° 6 dell’anno 2011

Stampa: Rotopress International srl - via Brecce 60025 Loreto (AN)

Argomento: “Apragmosìne”, o “Della Disoccupazione”.

Persone del Dialogo: Socrate, in-tervistatore, con Trasibulo, Simo-nide, Glaucone, operai.

Luogo: davanti all’API, un pome-riggio di inizio settembre.

Socrate. Prendiamo due date come estremi del nostro ragionamento: il 2003, anno dell’accordo per la ri-conversione, e il 2011, anno dell’ac-cordo per il rigassifi catore. Cosa è successo in questo intermezzo che ha eluso la prima previsione e sta in-vece realizzando la seconda?Trasibulo. In mezzo c’è che l’azien-da fa quello che le pare, ma è anche vero che la politica le permette tutto e i sindacati pure. Si spiega così la gi-ravolta del PEAR, [Piano Energetico Ambientale Della Regione Marche, n.d.r.], che prima dispone la produzio-ne decentrata e distribuita dell’energia e favorisce una specie di dismissione o riconversione, poi consente all’API una concentrazione massima di produzio-ne di energia. Una buona politica che resta solamente sulla carta. Simonide. In mezzo c’è la Centrale di Cogenerazione, che utilizza gli scarti della raffi neria per fare energia elet-trica: la defi niscono white rafi nery, ma lì di bianco non c’è proprio niente: si prendono i residui della raffi nazione che sono bitumi e altra robaccia, ven-gono gassifi cati e sparati dentro una turbina. Questa roba qui, si chiama syngas, un gas di sintesi al quale ven-gono tolte l’H2S, i metalli pesanti e le altre cose impure con una tipologia di impianti che non fa bene per niente venirne a contatto. Ci sono voluti anni prima che mettessero dei dispositivi a tutela dei lavoratori. Trasibulo. Insomma, loro hanno que-sta centrale e quello che mi dà fastidio è che la Regione, invece di concertare una riconversione, da un giorno all’al-tro ha detto sì al rigassifi catore. “Noi sappiamo fare solo questo”, ha dichia-rato di recente l’azienda tagliando la strada a ogni possibile riconversione dell’attività in altro. Non mi pare però che sia tanto così: per esempio il con-te Brachetti Peretti si è intrippato con

i vini, ha chiamato tutti gli esperti migliori per fare il Pollenza, il Pio IX: dunque se ha voglia di fare cose di-verse rispetto alla raffi nazione le può anche fare. Anche nell’ultima assem-blea in vista della cassa integrazione si è detto: “Riconvertiamo, noi lavo-ratori sappiamo fare tante cose, mica solo la raffi nazione”; il conte Brachetti Peretti però ha detto: “No, no, io sono nato petroliere e rimango petroliere”. Ma è la Regione il problema, che per anni dice alla popolazione “adesso ba-sta”, “adesso basta” - guarda caso sotto l’onda emotiva che segue un incidente - ma il problema è sempre quello: che questi signori sanno che col ricatto occupazionale possono continuare a smerdare il mondo intero e non gliene frega niente. Non ti sta bene così? Allo-ra chiudo. Ti metto in cassa integrazio-ne quattrocento operai più quelli delle ditte che fanno mille e passa. E poi ve-diamo chi la vince.

Glaucone. Noi ci mettiamo a protesta-re, e ancora una volta è una protesta strumentalizzata: come quella volta che sono andati a manifestare sotto la Regione a favore del rigassifi catore: io ed altri non eravamo d’accordo, per-ché non esiste. Io non posso andare a manifestare per te padrone che mi dici

di andare in piazza, e quando invece ci vado per me chiami i Carabinieri. Anche tra i lavoratori c’è confusione. Io non posso andare a manifestare per una cosa che non so neanche quanti operai impiega. Lì arriva una nave, sca-rica, attacca una manichetta e arriva il gas qua da noi: ci vorranno quattro persone, tre… Adesso siamo centinaia di persone che lavorano lì e vai in piaz-za per ridurre il personale? Perché tu non sai qual è il piano aziendale. Pensa quanto siamo coglioni: però siamo an-dati tutti lì.Socrate. Una volta, parlando con amici, dicevamo che trattano i la-voratori come scudi umani: perché quanto più l’Azienda crea le condizio-ni per mettere i dipendenti in prossi-mità del licenziamento, tanto più si vale della loro protesta, nelle piazze, per la strada; la loro presenza ester-na, col problema familiare che si por-ta dietro, si traduce in consenso di chi assiste verso causa dell’Azienda, che è quello di esserci comunque e a qual-siasi costo… Glaucone. Eh sì. Anche le proteste che stanno facendo adesso, secondo me anche in questo caso, l’API ti lascia fare perché è sempre un uso strumentale degli operai. Hanno bloccato il cari-co delle autobotti, ma è una sciapata perché tu lo blocchi la mattina alle 5, fermi il camionista che non può carica-re gasolio, benzina, bitume e poi alla fi ne ti stufi perché stai lì otto ore e lui il giorno dopo carica più di prima. L’API ti fa vedere che ti lascia fare, perché se vuole ti denuncia e ti manda a casa. Ma anche in questo caso gli fa gioco: fan-no vedere che c’è crisi, che chiudiamo, e quindi vuole gli operai per strada: per quali interessi non lo so, se ha qual-cos’altro in mente. Ma io sono convin-to che anche stavolta tu operaio non manifesti per te, perché poi alla fi ne di te faranno quello che gli pare. Tutti per la strada a bloccare il traffi co: ma io non sono un vigile urbano che regola il traffi co. Io devo fermare gli impianti, non la gente che va a lavorare. Basta pochissimo. Basterebbe seguire le pro-cedure alla lettera per creare problemi alla fabbrica. Per dire, se vuoi ottenere

qualcosa.Socrate. Ma a che serve bloccare la produzione? Tanto tra poco chiudono la ra� nazione e bloccano loro l’im-pianto!Trasibulo. Sì, però è diverso, loro fi no a dicembre vogliono andare avanti perché la centrale che hanno adesso, l’IGCC, è equiparata alle rinnovabili e prendono i contributi statali delle rinnovabili, CIP6, che da dicembre fi niranno. Comunque sì, Brachetti Peretti vuole chiudere con la raffi na-zione; perché lui con la raffi nazione ci guadagna comunque, ma non come prima. Se prima, per dire, guadagna-va 100, adesso guadagna 60 e si con-sidera in rimessa. Chiuderà, ma se gli fermi gli impianti adesso a lui gli dai fastidio. Alla fi ne del 2012 invece non gli dice più niente perché non avrà più i contributi. Solo per la cessazione dei CIP6 l’azienda percepirà 380 milioni di euro e comunque manderà a casa 400 operai. Per dirtene una, c’è stata un’assemblea determinatissima, dove tutti erano leoni: “Basta, facciamoci sentire, blocchiamo gli straordinari”. Beh, l’altro giorno, che hanno fatto la manutenzione alla centrale della coge-nerazione, ci è arrivata addirittura una lettera di complimenti perché quelli hanno avviato l’impianto dodici ore prima rispetto alla procedura. Allora, dove cavolo vuoi andare con gente così? Per difendere cosa, poi? Il posto di lavoro? Di uffi ciale si sa che il 31 dicembre la raffi neria sospende l’at-tività; ci sarà la fermata degli impianti, poi la bonifi ca; dopo il congelamento degli impianti per un anno veramente non si sa se riprenderà o no: perché l’impianto già funziona poco quando va, fi guriamoci cosa comporterà dopo un anno di fermo. Che poi è più perico-loso quando è fermo che quando è in marcia, paradossalmente.Quello che mi dispiace è che gli operai non ci hanno capito niente. La possibi-lità di farsi valere ci sarebbe anche: se segui alla lettera le procedure – e ce ne sono diecimila per ogni roba – fermi tutto. Se per fare una manovra ci vuole tot tempo, loro invece corrono, si arra-

battano, ritornano dalle ferie per fare i doppi turni; ma allora cosa vuoi pre-tendere? Perché poi il personale, quan-do c’è il riavviamento alla fermata della centrale, non basta per quanto è risica-to. L’ultima volta che hanno ridotto il personale ne hanno mandati via 98 – e tra l’altro nell’accordo, anche questo non rispettato, c’era che “alla riduzione del personale seguirà il miglioramento degli impianti, tra un anno…” Ma qua-le miglioramento, ma quale anno: non hanno fatto niente. Ci sono le valvole serrate col fi l di ferro, ragazzi, questa è la realtà. Glaucone. Di anni ne sono passati due; ma il sindacato s’è risvegliato solo adesso che Brachetti Peretti ha annun-ciato la cassa integrazione. Ma dove sei stato tutto questo tempo? Noi lavoria-mo su impianti sempre più vecchi e il personale è sempre più ridotto, dove c’erano quattro addetti adesso ce ne sono tre; dove ce n’erano tre adesso ce ne sono due. Simonide. È così dappertutto, in Italia. In Germania, negli altri posti - tanto noi li sentiamo i camionisti - è tutta un’altra cosa; e già lo vedi da loro: la scaletta di accesso al camion, i cavi, la cintura di sicurezza: lì non lavori se non hai tutto quello che ci vuole, non ti fanno entrare. Qui è una baraonda. E poi cosa succede: viene giù un dirigen-te una volta ogni sei mesi e comincia a dire “questo non va bene, quello non va bene”, e poi la colpa è sempre del camionista o dell’operaio… Ma le cose sono sempre quelle: non cambiano un cazzo, non spendono una lira… È que-sta la politica lì dentro. Perché a livello ambientale, a livello di sicurezza, loro ti dicono che hanno investito ma… è vero? Perché se senti loro spendono dieci milioni, venti milioni, quaranta milioni di euro… Trasibulo. Ma sono gli impianti di pro-duzione quelli che fanno fare i soldi. Anche l’impianto nostro: hanno detto che adesso miglioreranno, rinnoveran-no, non lo so: io spero che sia vero; già rispetto agli inizi di cose ne hanno fat-te per il miglioramento, gli analizzatori ambientali, tante cose bisogna dire; ma anche perché a livello regionale i comitati, le associazioni dei cittadini, insomma, gliele hanno imposte. Quan-do vengono i controlli non sono effi ca-ci, anche lì quanti ammanicamenti… Le certifi cazioni poi sono una cosa allucinante: tu vieni lì, paghi e gli esiti favorevoli sono scontati. Io non penso che la certifi cazione vada fatta in quel modo. Un ente di controllo dovrebbe venire alla quattro di notte, control-lare come lavori e poi dire quello che è; non che io pago per farmi dire che sono bravo, perché è questo che suc-cede. Che poi alla fi ne i miglioramenti in cosa consistono? Dai una pitturata, fai le strisce per terra e un po’ più di cartellonistica, ma l’impianto è sempre quello. Sai che giorno arrivano, è un po’ come una visita uffi ciale: “Ci faccia-mo belli oggi, mi raccomando”, e poi il giorno dopo tutto ritorna come prima.Socrate. Le linee di produzione attua-li sono dunque ra� nazione di carbu-ranti e elettricità da cogenerazione…Glaucone. Vedi, questa raffi neria ha avuto sempre prodotti ad alto tenore

Leonardo Badioli Leonardo Barucca

Alberta CardinaliRoberto Curzi

Nausicaa FileriCarlo Girolametti

Alessia Girolimetti

Giordano ManciniMauro MorandiNiki MorgantiFrancesca PaciMaurizio PasquiniEnrico PergolesiRoberto PolverariVirginio Villani

queste 2 pagine sull’Api sono a cura

di Leonardo Badioli

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 3ambiente e lavoro

Inganni della proprietà e insipienza della politica

L’estinzione dell’Api operaia

di zolfo, che altre raffi nerie non voglio-no, perché noi abbiamo impianti mol-to spinti, quindi una forte produzione di bitumi, di gasolio. Arrivano queste navi, le pagano una cazzata, perché nessuno le vuole, è più la mondezza che altro, loro fanno soldi con una roba che pagano pochissimo; non solo: pri-ma ci fai la benzina e tutto quello che ti serve, poi gli scarti li gassifi chi e ci fai l’energia elettrica: un sacco di soldi, e poi prendi anche i contributi statali e non garantisci neanche l’occupazione.Socrate. Parlando di riconversione. A voi pare sia tempo scaduto so si po-trebbe ancora riaprire la questione?Simonide. Beh, certo, è tardissimo. Quelle cose andavano fatte anno dopo anno e non a strappi dopo la spinta emotiva degli incidenti. Qua invece si è cercato di non far vedere all’esterno qual’è la realtà, perché se no la gente si arrabbia, se no chiudiamo, se no i posti di lavoro… alla fi ne hai fatto muro, ma chi rimane fuori è sempre l’operaio e il padrone intanto ha fatto i cavoli suoi alla grande. Perché non hai mai det-to: qua voglio mantenere il posto di lavoro ma in condizioni di sicurezza e di rispetto dell’ambiente. Hai detto in-vece: andiamo avanti comunque sia. Il risultato è questo: quando c’era da re-agire il sindacato non ha fatto niente, quando c’era da difendere le posizioni aziendali e schierare gli operai ci sono sempre andati, e questo è il risultato. Così lui dice: “Vedi? qualsiasi roba fac-cio a questi gli sta bene; gli diminuisco il personale e loro fanno scioperi che non sanno di niente e gli impianti fon-damentalmente non li fermano”. Quin-di…Socrate. Quando gli impianti si sono fermati, dopo un anno ci sono pro-blemi per riavviarli? E durante l’anno poi avremmo una manutenzione co-stosissima senza produzione…Simonide. Non so. Lui dice che riapre “se riprende il mercato, se, se se”…

Socrate. Ma quegli accordi sull’occu-pazione che avevano fatto l’Azienda con la Regione erano dunque così fragili, così aleatori? S’era deciso che si sarebbe mantenuto lo stesso livello occupazionale per dieci anni…Trasibulo. Il problema è che non hai strumenti per fargli rispettare gli ac-cordi, e se li hai non li usi… Loro per esempio hanno una grossa rete distri-butiva. La raffi nazione non gli convie-ne più per un sacco di motivi: i minori guadagni, i problemi del lavoro, la po-polazione, gli ambientalisti… invece importano la benzina raffi nata e tutto, hanno lo stoccaggio lì e via vanno. Non solo non hanno paura: a loro gli gira anche meglio…Socrate. Rispetto alla situazione dell’ILVA, per esempio, qui manca l’a-zione della Magistratura.

Glaucone. Eh, quelle cose lì hanno avuto un tempo. Ma anche quando ci sono stati incidenti mortali s’è trovato il modo di dare la colpa a chi li ha su-biti…Socrate. Le Marche sono terra di concordia, mi pare di capire. Grazie comunque a voi per la disponibilità e per il contributo del vostro pensiero.

Nessuna particolare premura del Presidente della Regione Mario Spacca aveva accompagnato il percorso di migliaia di lavoratori di aziende marchigiane verso la disoccupazione; ma per quelli dell’API il Governatore di Fabriano deve avere provato una speciale tenerezza. Non solo, infatti, si preoccupava di salvare i loro posti di lavoro nell’ambito dell’accordo per il rigassifi catore, ma addirittura ci te-neva a ricordare che proprio l’occupazione era lo scopo principale del consenso dato all’API per realizzarlo. A noi è sempre parsa non lo scopo, ma la giustifi cazione. Operai come scudi uma-ni, operai come foglie di fi co. Sotto, pura volontà imprenditoriale e una politica troppo sensibile ai poteri forti. In realtà, a partire dal protocollo d’intesa sottoscritto ai tempi del presidente D’Ambrosio nel 2003, la politica della Regione s’era tutta votata al fi ne di perse-guire l’obiettivo di “uno sviluppo industriale che confi gurasse il sito sempre più come polo energetico ambientalmente avanzato anziché come raffi neria petroli-fera tradizionale”, e questo specifi camente per garantire “ambiente”, “sicurezza” e “occupazione”1. Ma già nel 2007 l’istruttoria del gruppo di esperti nominato dalla stessa Regione per ridefi nire quel programma doveva prendere atto del sostan-ziale fallimento dell’operazione2. L’anno scorso, poi, fu defi nito il nuovo accordo per il quale addirittura la Regione entrava come socia dell’API nella rigassifi cazione; in quel testo si prevedeva l’im-pegno dell’API a “mantenere, per almeno 10 anni, i livelli occupazionali comples-sivi (…) pari a 380 unità lavorative all’esito delle azioni di miglioramento e delle relative ottimizzazioni di personale”3; ma fu necessaria un’integrazione dell’As-semblea Legislativa per vincolare l’intesa sull’occupazione a qualche obbligo di rispetto da parte della proprietà. L’integrazione stabiliva appunto di “impegnare il Presidente della Giunta a negare l’intesa della realizzazione di un rigassifi catore” qualora non si fosse raggiunto l’accordo sulla bonifi ca del luogo: riqualifi cazione e riconversione delle attività produttive, impatti ambientali, e sicurezza per i lavo-ratori “unitamente alla salvaguardia dei posti di lavoro”4.Per parte sua, l’API comincia ad assolvere al suo impegno come peggio non po-trebbe annunciando, 8 giugno 2012, la sospensione per un anno delle attività di raffi nazione e la messa in cassa integrazione per 300 operai addetti alla raffi nazio-ne più 40 della centrale IGCC5 che dovrebbe essere riconvertita a metano rigassi-fi cato. Tra le motivazioni rese dall’azienda per questi provvedimenti ci sono i sei mesi necessari per adattare questa centrale, e in quanto al resto si invoca la crisi di mercato. Nessun accenno a cosa verrà dopo il 2013: vedremo, dipende, non sappiamo ancora, aspettando un improbabile miglioramento della situazione di concorrenza con i raffi natori dei paesi emergenti. Del resto la crisi della raffi nazio-ne è invocata ovunque in Italia, dove Tamoil chiude a Cremona, TotalErg chiude a Roma, Eni chiude a Porto Marghera e sospende per 12 mesi a Gela. Per tutta risposta da parte operaia ci si esercita secondo propensione al pessimi-smo della ragione o all’ottimismo dei desideri (l’intervista qui a fi anco, dove gli operai per ovvia cautela sono chiamati coi nomi di un dialogo di Platone, ne dà buona prova); a partire dal fatto, però, che il fermo degli impianti suona sempre lugubre, non solo all’API, ma anche alla ILVA, alla ALCOA e dovunque il provvedi-mento viene assunto: perché tutti sanno che tenere fermi gli impianti è spesso più pericoloso che tenerli attivi, e che la chiusura temporanea rende dubbio il loro riavvio. Ma è questo che i lavoratori temono che possa succedere: la rigassi-fi cazione e il turbogas elettrico non avrebbero più bisogno di gran parte di loro. Situazione non impossibile da decifrare, che nemmeno l’anno scorso poteva sfuggire alla comune osservazione. E se è sfuggita alle autorità politiche e sin-dacali, non è però sfuggita a questo periodico artigianale che è La Città Futura. Non per nulla nel suo numero zero dell’aprile 2011, Marcello Mariani concludeva in punta di logica di sue considerazioni: “Sorge il dubbio che l’uso dell’isola off -shore per la rigassifi cazione comporti o preluda ad una dismissione delle attività di raffi nazione”. Controllare per credere6. Del resto il mondo di chi non vuol vedere è sempre contraddetto da cassandre annunciatrici di sciagure. Cassandra, nel mito, premonì i troiani sull’inganno del cavallo di legno: non le dettero retta e sapete come andò a fi nire. Anche Niklas Luhman7 conferma in un’intervista il paradosso degli ecologisti, sostenendo che “hanno inutilmente ragione”. Cassandre noi che già agli inizi degli anni ottan-ta manifestavamo davanti all’API con cartelli che portavano scritte parole come “chiudere” e “delocalizzare”; e poi, con la nostra maturazione (e comunque in lar-go anticipo su quella della politica) “riconvertire il lavoro in altro lavoro”. A quel tempo avevamo contro tutti: Sindacati, Regione, Comune, lavoratori stessi, che ci bollavano come “i soliti ambientalisti amici dei canarini che vogliono riportarci ai tempi del fucile a pietra”. Uno sguardo alla stampa dell’epoca, per dire la consapevolezza di quegli anni. La domanda che ci ponevamo era: “Se chiude l’API, dove andranno a fi nire quelli che ci lavorano?” La risposta: “Chiudere l’API è un buon aff are, tenerla aperta si-gnifi ca invece pagare costi non coperti da benefi ci. E’ vero in tanti casi e anche qui. Ci sono esternalità valutabilissime, che formerebbero voci attive in un piano di riconversione dell’area verso altre attività. Certo i lavoratori chiedono garan-zie, e non abbiamo oggi né piani né progetti di riconversione. E’ ora di pensaci; chiediamo agli enti pubblici e ai sindacati, con la dovuta energia, di misurarsi col problema8”. Era il 5 giugno 1991 quando noi scrivevamo queste cose. Adesso, secondo de-cennio del XXI secolo, è il mercato che delocalizza il lavoro, non noi. Il mercato in-ternazionale e quello degli opportunismi interni. Sono passati 21 anni e nessuno si è veramente misurato col problema. Avessero fatto il giusto, saremmo riusciti

a governare le transizioni in modo equilibrato e senza traumi per l’economia e per i lavoratori. Probabilmente alla fi ne dell’anno prossimo avremo la risposta defi nitiva. Ma se la raffi neria chiude non avremo vinto noi che chiedevamo la chiusura e la riconversione: nessuno può essere contento di fare deserto dove prima c’era lavoro, anche se quello era un lavoro che creava deserto. Il paesaggio industriale allora era sporco, ma vivo; adesso è una mostra a cielo aperto della no-stra incapacità di governare le trasformazioni economiche. Chi visita l’Italia oggi vede una waste land, un paesaggio sopraff atto dagli eventi che gli sono passati sopra. Chi vuole prendere atto in modo sinottico e convincente vada in treno da Marotta ad Ancona: da lì si vede tutto quello che è stato e quello che sarà per lungo tempo. Lo sfacelo delle aree industriali non più attive e quello delle aree in corso di disattivazione, nessuna bonifi ca o quasi, nessuna riconversione per un nuovo uso, nessuna prospettiva immaginabile per molti anni. E quello che resta di tanti operai che una volta si aff rettavano ai cancelli. Oggi i ragazzi sono tutti al bar a spendere gli ultimi spiccioli di questa civiltà.Ebbene: l’Assemblea Regionale ha dato al Presidente dei Marchigiani la possibi-lità di recedere da accordi che portano alla disoccupazione. Il Presidente la usi. Controlli l’inadempienza dell’azienda e receda dal proposito di rendere noi tutti soci del declino del lavoro. E’ tardi, ma noi ci siamo ancora, e il paesaggio umano resta ancora il più bello. Esca una buona volta dalla sua mentalità industrial-nove-centesca e prepari un evo di decostruzione attiva. Trasformi le esternalità negati-ve in vantaggio per tutti. La concentrazione di energia vettoriale non è l’aff are di una regione micronizzata quale è la nostra. Non serviva al nostro vivere raffi nare idrocarburi in dimensione transregionale quando ancora ci lavoravamo: servirà ancora meno quando fi nalmente ci avranno espulso tutti dal lavoro. Creda nel Piano Energetico che ha voluto, fatto apposta per noi cittadini, e punti forte sulle vere energie rinnovabili: il lavoro sta lì, e non sulle false rinnovabili e sui combu-stibili fossili che tra l’altro non sono nemmeno nostri. Ancora si può, Presidente. Ancora si può.

1. Protocollo d’intesa tra Regione Marche ed Api Raffi neria S.p.A., 30.06.2003. www.mclink.it/MF8408/Documenti/Regione/Documenti/ProtocolloRegioneApi.pdf2. Si intende qui “fallimento strategico”, e non solo occupazionale, ma tant’è. Così gli esperti nominati dalla stessa Regione a defi nire uno “Schema di sviluppo strategico alternativo agli attuali assetti economico-territoriali dell’area della raffi neria e delle aree circostanti”, assunto poi dalla Delibera della Giunte Regionale Marche n. 579 del 4 giugno 2007. Il documento concludeva dicendo che “il rapporto istauratosi tra Regione e Api e rifl esso nel Protocollo 2003 […] è sostanzialmente fallito nella sua visione strategica”. Segnalazione da Loris Calcina in www.cittadiniincomune.net/2011/01/24/comprensorio-energetico-api3. Delibera n. 977 del 6 luglio 2011: “Schema di accordo tra Regione Marche e Gruppo API – Intesa nel procedimento di autorizzazione relativo al terminale off -shore di riclassifi cazione GNL di Falconara Marittima. 4. Assemblea Legislativa delle Marche, Risoluzione del 19 maggio 2011, riportata in allegato alla Delibera n.977 del 6 luglio 2001 di cui alla nota precedente.5. IGCC, Integrated Gasifi cation Combined Cycle. A Falconara è l’impianto per la produzione di energia elettrica in cogenerazione con gli scarti di produzione nei dei bitumi e idrocarburi, di cui si parla nell’intervista a fi anco. Questo modo di produzione può godere di incentivi statali in quanto assimilato alle rinnovabili, fi no alla fi ne di quest’anno. Questo motivo può spiegare la chiusura dell’impianto annunciata a partire dall’inizio dell’anno prossimo.6. Marcello Mariani, Terminale di rigassifi cazione: rischi a mare, in La Città Futura, n. 0, p. 5, aprile 2011. Consultabile in www.lacittafutura.info7. Niklas Luhman, sociologo e fi losofo tedesco (1927-1998) è autore, tra altre opere, di Comunicazione ecologica, ed. Franco Angeli, 1992. 8. Leonardo Badioli, Come chiudere una raffi neria, in Cattive Notizie, numero unico pubblicato il 5 giugno 1991. L’intero articolo in www.ilpuntodisvolta.blogspot.com

8 settembre 2004 - Alle 7:15 esplode l’aerea deposito bitumi della raffi neria api di Falconara, causando la morte di un camionista

4 Senigallia la Città Futura settembre 2012

Intervista Fabrizio Volpini Assessore ai Servizi Sociali

Disabili: la res(s)a dei conti

welfare

Anno Utenti Ore com-plessive erogate

Ore annue pro-capite erogate

2000 39 21.132,00 542

2001 45 24.066,50 535

2002 52 25588,00 492

2003 55 24.055,50 437

2004 61 25.552,00 418

2006 61 25.244,50 413

2007 67 34.173,00 510

2008 81 41364,50 510

2009 96 51.110,00 532

2010 113 57.852,00 511

2011 126 64.678,00 519

di Alessia Girolimetti

L’accaduto in breve, prima di addentrarci nel vivo dell’argomento: gli Uffici dell’Assessorato ai Servizi Sociali si sono accorti a giugno di non avere le risor-se sufficienti per poter mantenere inalterato il ser-vizio di assistenza educativa garantito fino a quel momento ai portatori di handicap.L’immediata conseguenza è stata un taglio del ser-vizio con un doppio impatto: le famiglie dei ragazzi si sono trovate con un servizio ridotto e i dipendenti di H MUTA, la cooperativa sociale che ha in appalto il servizio, hanno subito una riduzione dell’orario di lavoro.Con questa premessa cerchiamo di entrare nel me-rito, con l’Assessore Fabrizio Volpini.Nel corso di un incontro con le famiglie Sin-daco e Assessore hanno riconosciuto le re-sponsabilità dell’Amministrazione ed è stata decisa la costituzione di un tavolo di lavoro, che si è riunito per la prima volta il 20 agosto. Erano presenti i rappresentanti delle famiglie coinvolte, dell’ANFAS, dell’H MUTA e dell’Am-ministrazione Comunale, per concertare una riorganizzazione del servizio, verosimilmente a partire dal prossimo anno.Cosa si dovranno aspettare le parti coinvolte? Come verrà in sostanza riorganizzato il servi-zio?Vorrei aggiungere degli elementi per completare il quadro. L’Area Vasta ha la titolarità della pro-grammazione degli interventi nei confronti dei disabili. I piani educativi di intervento (PEI) sono realizzati da unità valutative1, équipes composte da specialisti: psicologi, assistenti sociali, neurop-sichiatri infantili, fisiatri, medico legale (a volte). Vengono inviati sia alle scuole che al Comune per una programmazione integrata con il sostegno inviato dall’Ufficio Scolastico Provinciale. Partendo da una disponibilità di bilancio per il servizio, immutata rispetto allo scorso anno, si è avuto modo di verificare, già nel mese di aprile, che le ore destinate al servizio nel primo seme-stre sarebbero state lievemente superiori rispet-to a quelle del primo semestre del 2011. Tuttavia, per fare una previsione attendibile e per ipotizza-re qualsiasi intervento, era necessario attendere le proposte del piano estivo e del successivo pia-no per l’anno scolastico 2012-2013, che parte con l’inizio della scuola. Quando il 20 maggio ci sono state trasmesse le nuove richieste, è emersa una situazione di dif-ficile sostenibilità rispetto alle effettive dispo-nibilità finanziarie. Allora gli uffici, su mandato dell’Amministrazione, hanno invitato le famiglie per scusarsi delle modalità e dei tempi della co-municazione, sicuramente non idonei, oltre che per avviare un rapporto di conoscenza ed inter-locuzione.Tornando alla domanda, il futuro ha un solo faro, quello dell’appropriatezza delle prestazioni. Con la rivisitazione e riorganizzazione del servizio si intende cercare di dare la prestazione più giusta per quel problema in quel determinato contesto, tenendo conto delle compatibilità generali, che non sono solo economiche. Solo un tipo di pre-stazione del genere è efficace ai fini dell’obiettivo dell’assistenza e del recupero di alcune funzioni nell’ambito della disabilità.Alcuni casi con disabilità consolidate, in cui pre-vale solo l’aspetto della non autosufficienza e con

un’età tale per cui il discorso del recupero delle capacità residue non ha più senso, hanno biso-gno di un altro tipo di assistenza, più materiale e caratterizzata da costi minori rispetto a quelli che comporta un educatore.In certi momenti della giornata di alcuni disabili poi, il servizio potrebbe essere organizzato in pic-coli gruppi anziché individualmente, diventando così anche più educativo e socializzante. Appropriatezza secondo me è sinonimo di quali-tà degli interventi e non significa necessariamen-te risparmio.All’incontro del 20 agosto l’Amministrazione, su richiesta delle famiglie e delle forze sindacali, si è impegnata ad attuare il piano invernale così come programmato dalle équipes dell’Area Vasta 2 fino al 31 dicembre. Ciò comporterà un repe-rimento di risorse ingenti, di circa 160.000 euro. Tutti gli assessori dovranno fare economie sui singoli capitoli.

Il budget riservato all’assistenza educativa ai portatori di handicap si è rivelato insufficiente rispetto alla domanda. Perché? Come è possi-bile che di anno in anno questi casi aumentino in misura tale da non permettere un facile e rapido riaggiustamento dei conti?Come emerge dalla tabella, lo sforamento del nu-mero di ore è avvenuto sia a causa dell’aumento del numero di casi, che per l’aumento del monte ore assegnato a ciascuno. Il programma infatti viene realizzato all’inizio di ciascun anno scolasti-co per il piano invernale e alla fine per quello esti-vo, ma poi si possono inserire nel servizio anche altri casi in corso d’anno.A Senigallia, dal 2000 al 2012, si è passati da 30 a 139 casi di portatori di handicap, un numero di gran lunga superiore rispetto a quello di una città molto più grande come Ancona.Una delle interpretazioni è che il nostro sistema di welfare, efficace e consolidatosi negli anni, rap-presenti un polo attrattivo. Ci sono casi di cambi di residenza di persone che addirittura vengono da fuori Regione per attingere ai servizi. Molti

altri Comuni, infatti, non forniscono l’assistenza educativa domiciliare.Finora il nostro Comune ha sempre rispettato le ore stabilite dalle commissioni e non a caso a Senigallia la media annua delle ore di assistenza domiciliare procapite è di circa 500 l’anno. Ad An-cona sono circa 250, a Fabriano sono circa 400 e a Jesi circa 300. Le commissioni operano all’interno di ogni di-stretto. La Valle del Misa e quella del Nevola fan-no parte di un unico distretto che dà indicazioni a tutti i Comuni che ne fanno parte. A Senigallia la metà del bilancio dei servizi sociali è impegnata nella disabilità, pur essendoci tantis-simi altri casi di fragilità: anziani, anziani malati di Alzheimer, malati psichiatrici, nuove povertà, ecc.Il Comune sembra essere un soggetto su cui ri-cadono i piani di intervento decisi dalla sanità pubblica sulla base di una diagnosi funzionale con cui viene conteggiato il numero di ore at-traverso criteri esclusivamente sanitari. Come potrebbe essere superata questa condizione di passività?Non spetta a noi fare le leggi, ma è nostro compi-to applicarle e magari far notare l’inadeguatezza di norme in un contesto sociale che ha subito ne-gli ultimi anni mutamenti profondi.Con la legge attuale è necessario un percorso condiviso.Il modello potrebbe essere quello della Comunità Nilde Cerri: si tratta di un servizio residenziale che ospita otto ragazzi malati psichici, fortemente vo-luta dall’Amministrazione Comunale, insieme alle famiglie, ex I.R.A.B. (Istituti Riuniti di Assistenza e Beneficienza), terzo settore e volontariato (Asso-ciazione Primavera).L’accesso a questa struttura è in capo ai medici e agli operatori del Dipartimento di Salute Menta-le, al quale si affiancano gli assistenti sociali del Comune e gli operatori della cooperativa con l’in-tento di rispettare le finalità e gli obiettivi decisi in maniera corale. Sono fondamentali il dialogo e la condivisione, per questo si è formato un tavolo di confronto che ha già svolto la prima riunione con tutti i sog-getti sopracitati, che si sono messi a disposizione per progetti specifici al fine di intercettare dei bisogni. Questo tavolo ha il compito di tracciare un percorso, dentro il quale può essere possibile immaginare modifiche di alcuni e limitati aspetti del servizio.Non sono mancate le critiche per i provvedi-menti assunti: né sulle modalità di comunica-zione dell’errore; né sull’ipotesi prospettata di rivedere il servizio all’insegna della compar-tecipazione alla spesa delle famiglie che ne hanno la possibilità; né sull’intenzione di rive-dere i servizi personalizzati nel senso che ci ha appena spiegato. Il risparmio non può essere l’unico criterio per la riorganizzazione. Le fa-miglie coinvolte possono essere rassicurate?E’ stato un provvedimento forte e non graduale, applicato per le motivazioni di cui ho già parlato e in modo unilaterale direi, anche perché i rap-presentanti delle famiglie e le associazioni del settore per anni sono stati lontani. Proprio per questa non conoscenza delle famiglie ho dato immediata indicazione di incontrarle tutte, con lo scopo di spiegare le ragioni del provvedimento e di conoscerle.La bussola non è il budget né il risparmio, ma

l’appropriatezza. Alla prima riunione del tavolo sono emerse alcune proposte, tra cui quella della compartecipazione alla spesa, secondo il princi-pio che chi ha di più può partecipare in misura maggiore. Tra l’altro si è in attesa della nuova for-mulazione dei criteri e dei parametri delle ISEE, sulle quali sta lavorando il Governo nazionale.Adesso c’è una piccolissima quota di comparteci-pazione, meno di un euro all’ora. Il nostro servizio è universalistico, quindi viene rivolto indistinta-mente, senza esclusione di quanti non siano in possesso di certificazione di gravità come avvie-ne in altri Comuni. Non sono previste liste di atte-sa e dal punto di vista reddituale non c’è alcuno sbarramento in uscita. L’inappropriatezza genera costi e anche mancanza di qualità.Dalla questione è emersa probabilmente una scarsa rappresentanza delle famiglie. Chi le rappresenta realmente? Pochi in questi anni, anche per mia responsabilità, sono stati gli incontri con le famiglie che usufru-iscono di questo servizio. Diversi incontri ci sono stati con l’ANFAS, associazione storica da sempre impegnata per la difesa dei diritti dei disabili. Con quest’associazione abbiamo affrontato più volte il problema del periodo di apertura della Comu-nità Alloggio, altro importante servizio attivato dall’Amministrazione Comunale per rispondere alle esigenze di alcune famiglie di disabili. Questa vicenda che ha coinvolto emotivamente un po’ tutti può essere utile se produce un ritorno del protagonismo delle famiglie su questo tema. Ho salutato con piacere la nascita di un comitato in rappresentanza delle famiglie, con il quale in-tendiamo confrontarci nelle prossime settimane. Il risvolto più positivo di questa vicenda è questo nuovo protagonismo.Credo che su certi temi, come quello della disabi-lità e della malattia in generale, la dialettica politi-ca dovrebbe abbassare i toni, l’approccio dovreb-be da parte di tutti essere più sobrio, rispettoso della sofferenza e alcune volte della solitudine del disabile e della sua famiglia. L’azione dovreb-be essere di aiuto e di sostegno.Questo per il futuro intendo fare nel ruolo e nell’incarico che ricopro.

1 UMEE (Unità Multidisciplinare per l’Età Evolutiva)

L’intervista integrale su www.lacittafutura.info

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 5

Intervista Giuseppe La Duca e Gabriele Landi

Cooperative socialiuno slancio oltre il bilancio

welfare

a cura di Alessia Girolimetti

Abbiamo girato alcune domande scritte ai rappre-sentanti delle due cooperative sociali che operano nel nostro territorio. Ci hanno risposto in maniera concertata Giuseppe La Duca, Presidente della Co-operativa H Muta e Gabriele Landi, Presidente della Cooperativa Casa della Gioventù.

In un momento di contrazione della spesa pubblica rispetto alle politiche sociali, anche gli Enti Locali sono costretti ad operare dei ta-gli o quantomeno a razionalizzare la spesa e ciò comporta sicuramente gravi disagi ai cit-tadini.Che ruolo ha la cooperazione sociale nel siste-ma del welfare locale e quale apporto sentite di poter dare per far sì che i cittadini più vul-nerabili possano subire il meno possibile la conseguenza dei tagli delle risorse pubbliche?La mission delle cooperative sociali senigalliesi nasce dallo Statuto stesso, da cui emerge che lo scopo è quello di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’in-tegrazione sociale dei cittadini; in particolare si prefiggono di promuovere e gestire forme di ser-vizio sociale e socio-sanitario alle persone in sta-to di bisogno, anche in convenzione con Comuni, ASUR o altri Enti Pubblici.La gestione è orientata a garantire lo sviluppo di occupazione e professionalità, assicurando la tra-sparenza e la puntualità negli adempimenti con i soci, gli utenti e i clienti. Le cooperative senigalliesi, nell’interpretare un ruolo territoriale attivo, da anni redigono il Bilan-cio Sociale, la cui stesura annuale rende visibile ciò che viene fatto e il valore aggiunto delle scel-te effettuate.Le cooperative gestiscono servizi a favore dell’in-fanzia , dei diversamente abili , dei malati di men-te e degli anziani .L’approccio che il Pubblico intende utilizzare nei confronti del terzo settore è fondamentale, con-siderato il rischio dell’instaurarsi di meri rapporti strumentali guidati dalla sola finalità di conteni-mento dei costi.Sul fronte delle azioni programmate e concreta-mente realizzate, sono da segnalare alcune espe-rienze che hanno visto la stretta interazione sui territori tra strategie pubbliche e private con il reciproco concorso di finanziamenti e di proget-tualità: ci riferiamo ad esempio alla realizzazione, nell’ultimo decennio, della Comunità Protetta “M.Nilde Cerri” per malati di mente a Senigallia e alla Comunità per Minori “L’Orizzonte“ a Ostra.Per svolgere i diversi servizi che l’Amministra-zione affida loro in convenzione, le coopera-tive sociali del nostro territorio impiegano soci lavoratori regolarmente retribuiti . Come sono improntati i rapporti di lavoro all’inter-no delle cooperative sociali? Come funziona la remunerazione del servizio prestato in questo tipo di appalti?

Innanzitutto è bene ricordare che la cooperativa sociale è un’impresa costitutivamente caratteriz-zata dallo scopo mutualistico e senza fini di lucro.

Nel nostro settore esiste ormai da 20 anni il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro), che regola sia la parte normativa sia la parte econo-mica.Vale la pena ricordare che per essere contraenti della Pubblica Amministrazione è obbligatorio rispettare i contenuti contrattuali del CCNL. Più in generale è possibile che a parità di mansio-ni il CCNL del pubblico impiego possa essere più remunerativo del nostro, ma ciò può solo signifi-care che a lungo andare le parti si impegneranno verso un generale miglioramento della situazio-ne. Inoltre non possiamo non ricordare che la stortura storica tra il costo generale del lavoro e il netto in busta paga è una questione su cui tutte le parti sociali da decenni cercano di trovare una soluzione.Nella nostra Regione la cooperazione sociale si è sempre impegnata a versare i contributi pre-videnziali sulla reale retribuzione maturata dai lavoratori dipendenti, rifiutandosi di applicare i cosiddetti salari convenzionali che permettono di versare i contributi su prestazioni minori del reale. Questo è un meccanismo perverso, che pe-nalizza la previdenza dei lavoratori.E’ bene soffermarsi anche su un ulteriore con-cetto: una cosa è il costo del lavoro che rappre-senta il totale delle voci riconosciute ai lavoratori dipendenti (lavoro ordinario – 13^ mensilità, fe-rie, tfr, ecc.) e la relativa copertura contributiva ed assicurativa, una cosa è la retribuzione lorda della prestazione, che è determinata dalle tabelle contrattuali, da cui vengono dedotte le voci con-tributive ed erariali a carico dei dipendenti e che determinano la retribuzione netta, un’altra cosa ancora è il tariffario regionale delle prestazioni dei servizi alla persona che include, oltre quelle già illustrate, le spese di gestione di un servizio.Per ultimo vorremmo cogliere l’occasione per

ricordare che le regole dell’erogazione dei ser-vizi sociali che sono state applicate negli ultimi vent’anni sono nate da tavoli regionali cui han-no partecipato i rappresentanti del sindacato, dell’associazionismo delle famiglie degli utenti, degli enti locali, e della cooperazione sociale in cui era fortemente rappresentata quella senigal-liese. Questo insieme di regole ha per esempio stabilito che gli affidamenti venissero assegnati non al massimo ribasso, ma in base a criteri e pa-rametri tecnici in cui il peso economico rappre-sentasse non più del 30 o 40% dell’offerta. Inoltre è stato stabilito che l’offerta economica non an-dasse a discapito del costo del lavoro.La presente situazione di crisi economica e finanziaria ha prodotto, tra gli altri effetti, la drastica riduzione delle risorse assegnate agli Enti Locali, a titolo di trasferimenti era-riali, per lo svolgimento delle loro funzioni fondamentali. Anche i fondi nazionali per il fi-nanziamento delle politiche sociali sono stati pesantemente tagliati e, in alcuni casi, addirit-tura azzerati. Come e quanto il nostro sistema di welfare sta risentendo della riduzione delle risorse per il suo finanziamento? Quali pro-spettive intravvedete per il mantenimento di un adeguato sistema di protezione sociale in uno scenario così radicalmente mutato?Non riteniamo che la riduzione dei fondi statali per il sociale sia semplicemente la conseguenza della crisi economica: il taglio dei trasferimenti governativi ebbe inizio nel 2008, quando ancora la crisi veniva negata. È in corso un vero e proprio attacco mortale al sistema di protezione sociale. Nonostante questo atteggiamento da parte dello Stato centrale, va riconosciuto ai nostri Enti Lo-cali di aver fronteggiato la situazione in maniera responsabile, coprendo i tagli con risorse prove-nienti dai propri bilanci.

I sacerdoti del liberismo, cioè gli stessi che hanno provocato la crisi con oltre 30 anni di politiche liberiste, ci spiegano che la soluzione sta nell’au-mento della concorrenza, perché accrescendo la competitività cresce l’efficienza. Crediamo che sia vero l’esatto contrario: nel welfare non è aumen-tando la competizione che si migliora la qualità, ma aumentando la cooperazione tra i soggetti del territorio.Un altro aspetto su cui iniziare a sperimentare insieme consiste nel reperire risorse per il sociale da fonti diverse da quelle convenzionali pubbli-che, come Fondazioni di Comunità, Fondazioni Bancarie, Fondi Europei. Da qualche mese, come Consorzio Solidarietà, abbiamo iniziato una spe-rimentazione che consiste nel recuperare soldi al sociale attraverso la gestione di “casette per l’acqua”. In buona sostanza stiamo proponendo a soggetti pubblici e privati del territorio di far-ci installare a nostre spese le casette per l’acqua, destinando il ricavato (una volta recuperato l’in-vestimento e le spese di gestione) a progetti so-ciali. Certo si tratta di una sperimentazione e sicu-ramente non può rappresentare l’unica strategia. Come cooperazione territoriale, in rappresentan-za delle Centrali Cooperative Provinciali, stiamo ragionando sulla sperimentazione di un modello economico alternativo, attraverso l’avvio di un Distretto di Economia Solidale e accompagnare le istituzioni e le imprese locali nella sperimen-tazione di modelli di consumo più sostenibili e solidali che valorizzino il territorio nel suo com-plesso.Come H Muta, convinti che la riduzione delle ri-sorse debba portare ad una appropriatezza degli interventi e ad una riorganizzazione dei servizi per evitare tagli alle prestazioni ed un peggio-ramento della qualità dei servizi, abbiamo re-centemente aderito al progetto salute nazionale di Legacoop “La persona al centro della rete del benessere”, una proposta integrativa all’inter-vento pubblico, articolata in una rete di servizi socio-assistenziali, sanitari e mutualistici diffusi sul territorio.Crediamo che solo dal confronto, dalla messa in comune di competenze ed expertise diverse, dal-la contaminazione ed ibridazione dei punti di vi-sta... in una parola dalla cooperazione, si possano individuare insieme delle vie d’uscita.

1 Sviluppo di asili nido e di servizi integrativi.2 Attività di sostegno di tipo domiciliare e scolasti-co, attività in centri diurni e di avvicinamento alla residenzialità in una prospettiva di distacco dal nu-cleo familiare. 3 “Servizio Sollievo” per persone con capacità di au-tonomia personale. Le finalità sono: ascolto e acco-glienza, sostegno psicologico per utenti e familiari, inclusione sociale e lavorativa. Per soggetti con uno stato di malattia psichica perdurante e stabilizzata, associata ad una sfavorevole condizione socio-am-bientale, vi è la possibilità di un servizio residenziale in comunità.4 Interventi socio-assistenziali direttamente a casa della persona bisognosa.

L’intervista integrale su www.lacittafutura.info

6 Senigallia la Città Futura settembre 2012urbanistica

di Roberto Curzi

Sembra facile.Ormai da decenni è sempre più raro trovare in lungo e in largo in questo nostro strano paese, programmi amministrativi che non propongano una maggiore partecipazione democratica nelle scelte del governo della città. Urbanistica e Bilan-cio i maggiori indiziati, ma non solo. Il vocabola-rio connesso a queste buone pratiche è di sicuro eff etto e in campagna elettorale rende bene, Po-litically Correct, moderno ma con radici antiche. Più raro invece trovare buone applicazioni di que-sta, talvolta onesta, aspirazione. Ancor più raro trovare infi ne meccanismi che producano eff etti-va partecipazione.L’impegno di questa amministrazione, fortemen-te voluto da “la Città Futura”, nel campo della partecipazione nelle scelte urbanistiche si è a Se-nigallia sviluppato intorno all’iniziativa “Nuove Energie Urbane”, strumento complesso e sicura-mente ambizioso specialmente perché si pro-pone di aprire nuovi spazi di condivisione dove spesso in passato si è sviluppata una acerrima confl ittualità.E’ assolutamente necessario in via preventiva intendersi sui termini. Se “Partecipazione” é il coinvolgimento consapevole, diretto e responsa-bile dei cittadini alle decisioni che condizionano il destino presente e futuro della comunità, allora bisogna dare senso ad ogni singolo aggettivo che vi è contenuto.La partecipazione senza conoscenza è un eser-cizio vuoto. Anche nelle scelte più semplici è ri-chiesto un minimo di conoscenza della materia di cui si deve decidere, questo è ancor più vero in urbanistica, disciplina complessa come comples-se sono le materie che è chiamata a disciplinare. Sembra quindi naturale che tra i moduli costi-tuenti l’iniziativa largo spazio sia dedicato alla formazione e all’informazione.L’iniziativa si avvale dei fondamentali contributi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) Mar-che e del dipartimento di Architettura e Pianifi ca-zione del Politecnico di Milano

Vediamo ora di aff rontare con l’Arch. Claudio Centanni Presidente dell’INU Marche la com-plessità di questi primi passaggi in un ottica di rapporti tra urbanistica e amministrazione della cosa pubblica sulla diffi cile strada della parteci-pazione:Tanti credono che il governo dell’urbanistica richieda un buone dose di decisionismo, alcu-ne amministrazioni, nei limiti della legge, la praticano. Molti esempi importanti di urbani-stica europea del passato sono frutto di deci-sioni di pochi, talvolta espressione di regimi totalitari. E’ davvero più bella e funzionale la città democratica e partecipata? La questione del decisionismo vs democrazia è all’interno della disciplina urbanistica materia complessa, di norma ritengo che i processi de-mocratici e partecipati siano alla fi ne quelli più effi caci in quanto anticipano i confl itti che ogni decisione sulla città inevitabilmente comporta. Naturalmente i tempi dei processi partecipati sono all’inizio più lunghi, ma se producono con-divisione costituiscono dei formidabili accelera-tori nella fase di realizzazione delle scelte di Pia-

no, che in caso contrario rischiano di non essere attuate.Oggi la condivisione di informazioni attraver-so il web sembra aprire nuovi spazi di parteci-pazione democratica, in molti campi la rete ha rinnovato un autentico spirito civico, qualche volta ha aperto uno spazio di sola delazione; anche il forum si apre a questi strumenti, con quali risultati?

Tutti i processi partecipativi, proprio perché de-mocratici devono essere gestiti e condotti in maniera trasparente da ambo le parti, ovvero sia dalle amministrazioni che li promuovono ma anche dei soggetti che vi partecipano, siano essi semplici cittadini o stakeholders. Generalmente si deve evitare che la partecipazione diventi sem-plice rivendicazione, che alla fi ne è sintomatica di un disagio ma non contribuisce alla costru-zione di soluzioni. In questo caso aver abbinato il processo di partecipazione ad un processo di informazione tramite i seminari, ha fatto in modo che il forum diventi eff ettivamente il luogo della discussione sia al momento della presentazione dei temi che successivamente come feed-back della discussione Le molteplici esperienze di partecipazioni a li-vello nazionale sono spesso state contamina-te da un generalizzato scetticismo, come pos-sono la democrazia e l’urbanistica riformarsi al punto da essere nuovamente credibili nei confronti dei cittadini?Non è suffi ciente “fare” partecipazione per ga-rantire la qualità di un processo urbanistico, anzi penso che si debba applicare il concetto di effi -cacia anche all’interno dei processi partecipativi, che non possono quindi essere condotti fi ne a se stessi. Il defi cit di credibilità dell’urbanistica deri-va da una parte dal fatto di essere una disciplina complessa e quindi di comunicazione, dall’altra dall’aver gestito, specialmente nel dopoguerra, enormi interessi economici non sempre in ma-niere trasparente. Tuttavia sono convinto che

l’introduzione di processi partecipativi e di forme di democrazia, sebbene fondamentali, non siano da soli suffi cienti rinnovare il Piano, che deve ri-tornare a svolgere un eff ettivo ruolo progettuale nella vita di una città e non costituire più solo un sistema di regole per la sua gestione.

Vediamo ora con gli architetti Marika Fior e Ste-fano Salata, Ricercatori presso il Dipartimento di Architettura e Pianifi cazione del Politecnico di Milano, di approfondire il tema del Riuso, del consumo del suolo nell’ottica di un rinnovamento del modo di fare Urbanistica a partire da questa iniziativa:Nella storia italiana i rapporti tra urbanistica e politica non sono sempre stati profi cui come sarebbe stato necessario, con la prima spesso al servizio della seconda, nonostante una loro ineludibile contiguità. Una vicinanza inelimi-nabile, a partire dai termini linguistici e i loro etimi. Urbs e polis defi niscono entrambi la cit-tà, pur con signifi cati diversi: l’urbs romana esprime la funzionalità dell’organismo urba-no; domina invece nella polis greca il senso di comunità sovrana insediata nella città. Urba-nistica e Politica dunque, entrambe fi glie del-la città nei suoi molteplici aspetti. Quali sono i passi irrinunciabili per rendere responsabile e possibilmente fecondo il rapporto tra questi termini?Probabilmente non esiste una ricetta che mescoli equilibratamente i due ingredienti principali per il buon governo del territorio: la volontà politica e il sapere urbanistico. La storia ci insegna, infatti, che non basta un buon Piano per fare una bella città e contemporaneamente se le capacità am-ministrative non sono supportate da una solida conoscenza e capacità tecnica molti sforzi sareb-bero vanifi cati. È chiaro, quindi, come la soluzio-ne perfetta sia “amministrare l’urbanistica” per dirla con le parole di un grande maestro italiano, ovvero off rire strumenti tecnici validi a una classe dirigenziale sensibile, consapevole, lungimiran-

te nonché capace di gestire con una visione di lungo periodo le scelte per la propria città. Intra-prendere un approccio al governo del territorio più cosciente e responsabile è certamente ciò che nel prossimo futuro attende amministratori e urbanisti ma con loro anche i diretti cittadini. Questo signifi ca dover ammettere da tutti i fron-ti, da quello tecnico a quello politico, da quello imprenditoriale a quello sociale, che molte delle scelte fi no ad ora condotte hanno compromes-so la vivibilità nelle nostre città. Quando decen-ni addietro il maestro di cui si parlava praticava realmente l’amministrazione dell’urbanistica, il dibattito culturale era nutrito quotidianamente di temi legati all’urbanistica a dimostrazione del fatto che cittadini e politici erano costantemente concentrati a discutere e interrogarsi sulle sorti del proprio territorio e delle città. Oggi, invece, l’urbanistica non è certo all’ordine del giorno nel dibattito politico e ha generalmente sfi orito il suo fascino per molti degli abitanti. Contemporanea-mente, però, all’urbanistica si chiede di risolvere i più svariati problemi legati all’inquinamento ambientale, al traffi co, alla qualità architettonica dei sistemi urbani, alla depauperazione del pae-saggio, ecc… probabilmente ridare centralità ad alcuni temi nelle scelte politiche e culturali aiu-terebbe l’urbanistica a risolvere molte delle que-stioni che oggi affl iggono il territorio. È chiaro quindi che la partecipazione attiva dei cittadini, e quindi delle parti politiche, sia indispensabile per giungere a soluzioni condivise in cui trovano un equilibrio gli interessi sociali, ambientali ed eco-nomici.

Parliamo di consumo del territorio, i dati na-zionali ci forniscono uno scenario inquietante con le superfi ci urbanizzate di molte città che negli ultimi 50 anni sono più che raddoppia-te. In urbanistica (come per altro in economia) è sembrata prevalente l’idea di una crescita senza confi ni, e per di più una crescita senza qualità e senza prospettive. Oggi le muta-te condizioni economiche e demografi che rendono quelle prospettive assolutamente innaturali e riportano al centro il tema della sostenibilità dei processi, un tema però che sempre meno sembra essere una scelta etica e sempre più una stringente necessità. Come si può trasformare una crisi immobiliare in una opportunità? È davvero la riqualifi cazione l’u-nica strada?Eff ettivamente la riqualifi cazione urbana è la via maestra da perseguire nell’aff rontare il problema del consumo di suolo. Ancor più corretto sarebbe interpretare la riqualifi cazione urbana come “l’al-tra faccia della medaglia” del consumo di suolo, ovvero una via indiscutibilmente necessaria per intraprendere il riuso e la densifi cazione urbana quali alternative all’espansione. Il problema del consumo di suolo è ancora più insidioso se con-siderato alla luce di una dinamica demografi ca ed economica tendenzialmente regressiva, ed è perciò che da fenomeno fi siologico diventa una patologia della città contemporanea. Da un lato l’approccio alla limitazione del consumo di suolo passa attraverso alcune necessità irrinunciabili, quali ad esempio una legge nazionale sul gover-no del territorio che tratti le problematiche del re-siduo di Piano, che ponga un orizzonte strategico di consumo del suolo nazionale e che istituisca

Forum Nuove Energie UrbaneVerso un’urbanistica

(maggiormente) partecipata

Federico OlivaClaudio Centanni

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 7urbanistica

di Virginio Villani(presidente Italia Nostra)

Nell’ottobre 2011 si è costituito formalmente il “Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Pa-esaggio”, un aggregato di associazioni e cittadini di tutta Italia, che intende perseguire un unico obiettivo: salvare il paesaggio e il territorio italia-no dalla deregulation e dal cemento selvaggio. Il movimento nazionale si articola in coordinamen-ti regionali e quello marchigiano si è costituito lo scorso inverno con l’adesione di tutte le associa-zioni ambientaliste e dei vari comitati esistenti nel territorio, una rete regionale di 85 associazio-ni di diversa scala e storia (associazioni presenti a livello nazionale ma anche comitati locali) e sin-goli cittadini distribuiti su tutto il territorio mar-chigiano, organizzati in cinque coordinamenti, uno per ciascuna Provincia.La prima importante iniziativa che il Forum mar-chigiano intende mettere in campo è una propo-sta di legge di iniziativa popolare per la tutela del paesaggio, lo sviluppo ecocompatibile ed il governo partecipato del territorio regionale, con modifiche alla l.r. n. 34/1992 (norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territo-rio), alla l.r. n. 18/2008 (norme in materia di comu-nità montane e di esercizio associato di funzioni e servizi comunali) e con abrogazione della l.r. n. 13/1990 (norme edilizie per il territorio agricolo). La proposta è stata depositata a giugno presso i competenti uffici regionali ed ha superato l’esa-me di ammissibilità. La legge intende in sostanza mettere fine alla lunga stagione della dissipazione speculativa dei nostri beni comuni, quella che ha fatto crescere negli ultimi decenni la superficie cementificata del 274% a fronte di una popolazione residente aumentata del solo 15%, che nel 38% dei Comuni ha costruito interi quartieri in zone ad alto rischio ambientale, che ha fatto delle Marche una delle regioni d’Italia con la più alta percentuale di pan-nelli fotovoltaici installati a terra anche in zone ad economia rurale di qualità e ad alto valore pae-saggistico, che sta facendo delle Marche un nodo della speculazione nazionale ed internazionale per l’ acquisizione e lo stoccaggio del gas, per la produzione di energia da combustione (rigassifi-catori e biomasse) e per la sua distribuzione at-traverso megaimpianti quali l’elettrodotto Terna da 380.000 Volt. I Comuni finora hanno impostato i loro piani ur-banistici sull’espansione delle città, occupando e quindi compromettendo ampie porzioni di suolo agricolo fertile, piuttosto che puntare sul recu-

pero e riuso di edifici esistenti vuoti o obsoleti e sulla riqualificazione e riabilitazione di aree urba-ne dismesse. I punti qualificanti della proposta di legge sono:

A – riconoscere come primario principio fonda-tivo della nuova legge, da inserire all’art. 1, che il territorio, l’ambiente ed il paesaggio costitui-scono “beni comuni”, appartenenti all’intera col-lettività regionale, a cui associare valore sociale e culturale (e non solo economico) e quindi da considerare nel loro insieme “patrimonio non alienabile e inscindibile”;B – introdurre il principio della partecipazione, reale e non solo dichiarata, delle comunità locali alle scelte di governo del territorio da rendere ob-bligatoria, effettiva e strutturata attraverso la co-dificazione di metodologie in parte già sperimen-tate con successo o in fase di sperimentazione in altre regioni italiane e soprattutto in paesi euro-pei dove sono ormai consolidati metodi avanzati di urbanistica partecipata; C – raggiungere l’obbiettivo di “consumo suolo zero”, tramite il congelamento delle aree po-tenzialmente edificabili dei PRG vigenti attraver-so una specifica norma di legge o ancor meglio attraverso la rapida adozione del nuovo Piano Paesaggistico Regionale (PPR), ancora in fase di predisposizione dal 2008;D – dichiarare la decadenza dei diritti edificato-ri, introducendo il termine prescrittivo di cinque anni sulla validità dei diritti di edificabilità delle aree libere, attuali e futuri, decorso il quale, in assenza di interventi edilizi (leggasi stipula della convenzione urbanistica), la destinazione d’uso delle aree stesse torna ad essere quella agricola o comunque esse perdono la capacità edificatoria.E – aprire la strada ai Piani Strutturali Interco-munali (o piani d’area vasta) che mettano fine ai Piani Regolatori autarchici e autoreferenziali, in-troducendo la cogenza della pianificazione inter-comunale per ambiti omogenei da individuare a cura dei Piani Territoriali di Coordinamento (PTC), previa opportuna concertazione tra Province e Comuni, sentita la Regione (salvo modifiche del-le rispettive). A tal fine i PTC devono individuare quali siano i temi di valenza territoriale (mobilità, energia, servizi, impianti e attività strategiche, gestione dei fiumi e delle risorse idriche, tutela delle aree naturali, ecc.) che necessitano di una programmazione concertata e per i quali deve essere attivata una pianificazione strutturale in-tercomunale; quest’ultimo è un nuovo strumen-to che per la maggioranza dei casi può sostituire il piano strutturale comunale, da rendere obbli-gatorio solo per i Comuni di maggiore dimensio-ne (p. es. oltre i 15.000 o 20.000 abitanti).

Proposta di legge

In difesa del paesaggio

meccanismi fiscali di disincentivazione nell’utiliz-zo di suoli liberi; dall’altro il consumo di suolo si combatte agendo alla scala locale promuovendo attenzione e responsabilizzazione nell’utilizzo e nella trasformazione dei suoli. Rispetto a questo punto va detto che il Comune di Senigallia si è distinto proprio per essere stato uno dei pochi esempi ad aver coraggiosamente affrontato il tema della riduzione dell’edificabilità prevista dal Piano Regolatore mediante una variante urbani-stica. La via alla riduzione del consumo di suolo a Senigallia è già intrapresa e sta ora allo strumen-to del PORU avviare, simultaneamente, la strada del riuso e della riqualificazione del patrimonio esistente.La Regione Marche dopo lunghi travagli ha prodotto la legge istitutiva del PORU (Pro-grammi operativi per la riqualificazione urba-na) come strumento di trasformazione degli spazi urbani. Qualcuno si attendeva altro, una nuova legge urbanistica con nuovi strumenti e principi fondativi innovativi in grado di dare ai Comuni maggiore capacità di organizzare e proteggere il territorio e il paesaggio, perché questa scelta apparentemente al ribasso e quali risultati è lecito aspettarsi?Sicuramente una nuova legge regionale è auspi-cabile, se non altro per sostituire un modello di pianificazione rigido e ormai obsoleto (il PRG), con uno più adatto a governare il sistema terri-toriale che è notevolmente cambiato, soprattutto per il fatto che è divenuto impossibile affrontar-lo alla scala locale attraverso una sommatoria di tanti strumenti urbanistici spesso non coordinati. Rispetto ad altre Regioni italiane che già da anni hanno apportato sostanziali modifiche e aggior-namenti alle proprie leggi regionali, la Regione Marche sta traguardando, con leggero ritardo, la propria nuova Legge in materia di governo del territorio. Ricordiamo, però, che neppure a livello nazionale si è giunti a rinnovare la legge urbani-stica (risalente ancora al 1942) o a istituzionaliz-zare strumenti ormai consolidati nelle pratiche urbanistiche locali come ad esempio la perequa-zione urbanistica. In questo contesto normativo, dunque, dobbiamo sforzarci di sfruttare al mas-simo le potenzialità offerte dalla nuova legge regionale 22/2011 che ha istituito il PORU. Non dobbiamo caricare di aspettative questo stru-mento, che non è stato pensato come un piano generale per tutta la città, ma finalizzato a inter-venti puntuali e circoscritti capaci di dare nuova qualità ad ambiti urbani ormai sottoutilizzati o degradati. Il compito assegnato al PORU è quello di riportare l’attenzione sulla città esistente, sulle sue parti più trascurate o incongruenti alle quali donare nuova linfa e un nuovo ruolo all’interno delle dinamiche urbane, ottenendo contempo-raneamente sia la riqualificazione della città esi-stente, sia la limitazione allo spreco di una risorsa preziosa come il territorio agricolo o naturale.Fare urbanistica in tempi di crisi impone qualche riflessione in più. Le realizzazioni di grandi interventi di recupero urbano sem-brano procedere a rilento, nei più prevale un attendismo esasperante nell’attesa che si ri-presentino le condizioni per una nuova bolla immobiliare. È verosimile pensare che una crisi strutturale di questa portata possa pas-sare senza modificare in niente il meccanismo

immobiliare? Quale ruolo dovrebbe avere in questo senso l’Urbanistica e quindi la Politica?L’azione urbanistica ha sempre avuto una finalità pubblica, anche quando l’esito principale della pianificazione era regolamentare l’attività priva-ta. Ciò che entra in crisi, dunque, in una genera-le stagnazione economica dovuta proprio allo scoppio di una bolla immobiliare, non è solo il mercato edilizio privato, ma tutto il sistema della città pubblica. In assenza di risorse economiche da investire sul territorio rimangono bloccati sia gli interventi privati sia la manutenzione e la gestione dei servizi e delle attrezzature pub-bliche. Per questo sembra fondamentale, in un lento e faticoso processo di ripresa economica, responsabilizzare tutti gli attori che agiscono sul territorio e comprendere come ognuno pos-sa contribuire a migliorarlo. Se l’urbanistica e la politica hanno il compito di stimolare processi di riconversione urbana, parallelamente imprese e cittadini devono essere consapevoli che gli edifici non sono eterni e che devono continuamente es-sere mantenuti e ammodernati in termini di sicu-rezza e risparmio energetico. E se la qualità degli spazi e delle attrezzature pubbliche deve essere un diritto dei cittadini, l’urbanistica e la politica devono sinergicamente agire per ottenere delle risorse da reinvestire nella costruzione/manu-tenzione della città pubblica. Come sappiamo le risorse per implementare le dotazioni collettive sono oggi sempre meno disponibili, ma alcune strade sono percorribili, come ad esempio sti-molare processi di densificazione di alcuni am-biti (soprattutto quelli degradati) a fronte della cessione di altre aree da dedicare a spazi pub-blici verdi o attrezzati; o attivare meccanismi di prelievo della rendita fondiaria da reinvestire nel miglioramento della città pubblica. Sicuramente i margini di guadagno delle operazioni immobi-liari pre-crisi non saranno gli stessi del dopo-crisi, questo probabilmente comporterà la selezione di alcuni operatori e l’immissione di nuovi in gra-do di stare nel mercato con margini di guadagno ridotti ed a costi minori, tramite l’utilizzo di ma-teriali meno costosi, il riciclo, il riuso. Dopodiché anche l’urbanistica dovrà orientarsi a governare sempre più micro-trasformazioni anziché grandi interventi urbani, gestendone comunque gli esiti in termini di qualità architettonica, ambientale e paesaggistica.

Una riflessione conclusiva che può servire ogni qual volta si tenta un esercizio reale di demo-crazia. La partecipazione che fornisce maggiori risultati apparenti è quella fatta attraverso sog-getti di mediazione (associazioni, sindacati, por-tatori di interessi diffusi), tanti cittadini amano delegare, preferiscono non impegnarsi in prima persona, i motivi possono essere i più vari, a volte comprensibili, altre meno. In generale si avverte una sfiducia verso una reale possibilità di inci-dere sulle decisioni. Vale la pena di domandarsi: quanto ho concretamente fatto io, amministrato-re, cittadino, persona interessata perché questa fiducia rimanesse viva, e quanto invece affinché questo senso dell’agire civile sprofondasse nel più becero qualunquismo?

Le interviste complete si possone leggere su: www.lacittafutura.info

foto di Roberto Polverari

l’urbanistica e la politica devono sinergicamente agire per ottenere delle risorse da reinvestire nella costruzione/manutenzione della città pubblica

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8 Senigallia la Città Futura settembre 2012artistiartisti

Un ber gusto romanoTutta la nostra gran zodisfazzionede noantri quann’èrimo regazziera a le case nove e a li palazzide sporcajje li muri cor carbone.Cqua ddiseggnàmio o zziffere o ppupazzi,o er nodo de Cordiano e Ssalamone:llà nnummeri e ggiucate d’astrazzione,o pparolacce, o ffi che uperte e ccazzi.Oppuro co un bastone, o un zasso, o un chiodo,fàmio a l’arricciatura quarche sseggno,fonno in maggnèra c’arrivassi ar zodo.

Quelle sò bbell’età, pper dio de leggno!Sibbè cc’adesso puro me la godo,e ssi cc’è mmuro bbianco io je lo sfreggno.Giovanni Gioacchino Belli, 22 giugno 1834

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 9artisti

foto di Roberto Polverari

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10 Senigallia la Città Futura settembre 2012acqua

L’acqua del sindaco è un’antica tradizione italiana: o bene “co-mune” o munifi cenza del princi-pe. Ma vendere l’acqua attraver-so una società per azioni non è l’aff are dei cittadini.

Di chi è l’acqua del sindaco? Del Comu-ne: dunque dei Cittadini, si dovrebbe dire. Ammesso che Comune e Cittadini siano la stessa cosa. E’ una forte tra-dizione italiana quella della gestione pubblica dell’acqua, che ci viene dall’e-tà comunale1. Il sindaco di Senigallia, poi, nei primi anni sessanta fu tra i “lungimiranti” che diedero vita al Con-sorzio di Gorgovivo, al fi ne che i suoi amministrati fossero serviti della buo-nissima acqua di quella fonte2. E’ solo il 1 aprile del 2004 che Gorgovivo va a costituire Multiservizi S.p.A; in questo modo, se prima il servizio idrico era ge-stito da un’azienda speciale, ossia da un ente strumentale senza fi ni di lucro, adesso diventa una società per azioni la cui ragione sociale è, come scritto all’articolo 5 del suo statuto, “vendere l’acqua”. Una S.p.A. solo pubblica, della quale i Comuni azionisti mantengo-no la totalità del pacchetto azionario. Dunque roba nostra: ammesso e non concesso che S.p.A. pubblica e Comuni siano la stessa cosa.Insomma, l’acqua del sindaco si mette in aff ari. Quali aff ari? Non è facile co-gliere le intenzioni. Ci sono quelle a rilevanza sociale e quelle un po’ meno dichiarate: tenere sotto controllo ta-riff e e investimenti e fornire il servizio anche dove economicamente non conviene; garantire entrate (5,5 euro per ogni cliente servito, secondo il contratto di servizio3) ai comuni che ne sono soci; competere col privato da posizioni privilegiate sul mercato dei servizi pubblici; mantenere una burocrazia di estrazione politica; schi-vare l’obbligo del rendiconto pubblico; eventualmente attrarre investitori, op-pure predisporre una struttura pronta per traghettare capitali pubblici e “ca-pitale organico” (ossia i burocrati stes-si) verso il privato.

Dialoghi post/referendari

Chi governa l’acqua pubblica?

Nausicaa Fileri con Leonardo Badioli

Noi cittadini coltiviamo spesso corretti pensieri e buoni sentimenti. Non solo adot-tiamo comportamenti virtuosi: ce ne infervoriamo, e cerchiamo di diff onderli come speranza di salvezza dal privilegio e dall’inciviltà. Allora decliniamo le ragioni dell’ac-qua pubblica, lodiamo la qualità di quella del rubinetto, propugniamo l’idea che l’acqua sia un bene prezioso e dunque da difendere contro gli eccessivi consumi, e nello stesso tempo chiediamo che la fornitura soddisfi le necessità economicamente e senza dispersioni. Tutte queste proposizioni sono come una religione per quelli che ci credono, e a dire la verità ci credo anch’io. Però in un altro modo, soprattutto quando comincio a pormi qualche domanda:

La scarsità dei beni è una caratteristica fonda-mentale del mercato. Più ancora della siccità, il cattivo governo ha reso l’acqua rara e preziosa, dunque vendibile sul mercato. Avremo presto distributori d’acqua al posto di quelli di benzi-na? Concretamente, l’acquedotto di Gorgovivo entra in fun-zione nel 1986. La sua acqua a quel tempo ha requisiti ottimali: durezza totale di 21-22 gradi francesi; cloruri per una concentrazione di 20 mg/litro; i nitrati addirittura tra i 2-3 mg/litro. Al confronto l’acqua che bevevamo prima era veramente scadente. In più dall’anno precedente, a causa dei decreti che fi ssavano a 50 mg./litro la concen-trazione massima dello ione nitrato nelle acque ad uso potabile, l’acqua dei pozzi vallivi risultava non più pota-bile. Un bel vantaggio dunque avere Gorgovivo rispetto a quei comuni che, non avendo aderito al Consorzio, dove-vano piazzare le autobotti in fondo al paese per fornire di acqua potabile i loro abitanti. Non si può certo aff ermare che l’acquedotto di Gorgovivo sia stato concepito per questo, ma è un fatto che in quegli anni tutto il sistema idrico per uso domestico si resse sui 1.515 litri al secondo che arrivavano per caduta da quella sorgente presso Ser-ra San Quirico. Almeno per i Comuni che potevano averla. Per gli altri c’era solo acqua ai nitrati, quando non anche all’atrazina.Però con Gorgovivo ci siamo viziati. Non solo noi cittadini che contavamo su un fl usso inesauribile di acqua buona per ogni possibile uso domestico e anche non domestico: anche i poteri pubblici. A partire da quel momento, infat-ti, non volendo i poteri pubblici mettere mano a risanare l’agricoltura, causa prima dell’inquinamento delle acque superfi ciali che alimentavano gli acquedotti locali, il mer-cato dell’acqua cominciò a realizzare il suo sogno incon-fessabile: rendere l’acqua potabile scarsa e perciò stesso vendibile. Abbandonò al loro destino quasi tutti i pozzi di fondovalle e concentrò l’interesse sulla captazione da sorgenti di acque profonde, avventurosamente defi nite “fonti primarie” in neolingua tecnica. L’acqua di Gorgo-vivo divenne “preziosa” in quanto particolarmente pura e in quanto “non inesauribile”. Ed è questo è lo snodo: la scarsità, potenziale o attuale, dell’acqua come risorsa. Gli economisti sono ben consapevoli del rapporto simbioti-co scarsità-mercato: “La scarsità è un fatto centrale dell’e-sistenza”, aff erma il premio Nobel Herbert A. Simon nel 1989. “Dato che le risorse – terra, denaro, energia, tempo, attenzione – sono scarse in rapporto all’uso che ne faccia-mo, la razionalità deve assumersi il compito di distribuirle. Nello svolgere tale compito le discipline economiche gio-cano un ruolo centrale”4. Simon non mette tra gli esempi l’acqua e l’aria: qualcuno che sia particolarmente studio-so sa spiegare il perché? Ha scritto troppo presto?

Acqua pubblicaRispettare il referendum di Carlo Girolamettie Enrico Pergolesi (Consiglieri comunali La Città Futura)

Senigallia è tra le città delle Marche che più hanno contribuito al successo del referendum, secondo cui l’acqua è un bene comune privo di rilevanza economica e non determina guadagni per chi la gestisce. La Città ha raccolto 4000 fi rme, si è costituito un forte e numeroso comitato a sostegno del referendum e la stragrande maggioranza dei cittadini ha votato a favore.L’amministrazione e il consiglio comunale hanno sostenuto tale volontà dei Senigalliesi con modifi che dello statuto, delibere, mozioni, ecc., eppure la Multiservizi s.p.a. continua a gestire l‘acqua come se il referendum non ci fosse stato!Il risultato referendario doveva tradursi in azioni concrete, come quella di garantire (da parte del gestore direttamente o per intervento dei comuni) 50 lt. pro-capite gratuiti al giorno ai cittadini inadempienti indigenti. E soprattutto doveva escludere il 7% di interesse sul capitale investito dal gestore, come previsto dal quesito referendario. Di tutto ciò non c’è traccia nelle “bollette” di Multiservizi.Strumentalmente si è sostenuto che occorresse una disposizione governativa!Il recente pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittime le disposizioni di legge emanate dal governo Berlusconi (art. 4 legge fi nanziaria-bis 2011) e sostenute dal governo Monti, con le quali si era tentato di reintrodurre l’obbligo della privatizzazione dei servizi pubblici nonostante il referendum, ha ribadito il rispetto della volontà popolare e dato più forza all’applicazione concreta dell’esito referendario.Noi della “Città Futura” riteniamo che la vera partita si giochi sulla natura del gestore, in quanto la gestione pubblica dell’acqua non trova il suo strumento migliore in una s.p.a. per quanto a capitale pubblico come la Multiservizi, che prima del referendum serviva a ritardare la privatizzazione dell’acqua. Questa scelta oggi è inadeguata perché la gestione pubblica dell’acqua non va intesa solo come gestione economico-organizzativa, ma deve coinvolgere utenti, associazioni, comitati, amministratori di un dato territorio. Inoltre gi interessi di una s.p.a. sono diversi da quelli di una gestione pubblica, perché la ragione sociale della Multiservizi s.p.a. è “vendere l’acqua” e paradossalmente se si risparmia l’acqua, se ne vende di meno e aumenta il prezzo!Se a gestire la risorsa idrica è una società per azioni, questa avrà più interesse ad individuare nuovi pozzi nell’Appennino, anziché la bonifi ca dei pozzi di fondovalle inquinati da una agricoltura scriteriata. Non cercherà il recupero dell’acqua disponibile e sarà poco propenso a considerare l’acqua risorsa e problema di tutto un territorio.In ultimo, una s.p.a. non ha l’obbligo del rendiconto pubblico!Per queste ragioni e dopo 5 commissioni consiliari, la “Città Futura” cercherà di coinvolgere tutta la maggioranza in un ordine del giorno che impegni il Sindaco a chiedere all’assemblea di Multiservizi il rispetto dell’esito referendario senza ulteriori indugi e ad intraprendere le iniziative necessarie per la gestione della risorsa idrica con una azienda speciale pubblica consortile, perché l’obbiettivo non è “vendere l’acqua”, ma coinvolgere nella gestione di questo bene comune tutto il territorio, inteso come cittadini con le loro organizzazioni e come ambiente con le sue ricchezze e necessità.

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 11acqua

Come la mentalità privatistica e le convenienze politiche rendono l’acqua sempre più rara e “preziosa” Come noi possiamo impedire che avvenga La gestione pubblica dell’acqua è importante ma non suffi ciente a ga-rantire che il paesaggio idrico venga conservato per il prossimo futuro. Cosa succede quando un gestore pubblico si comporta come fosse un privato? A chi fa comodo la siccità? A nessuno, natu-ralmente. Contribuisce però a determinare la scarsità della risorsa, e quindi a renderla ancora più apprezzabile al mercato. Gorgo-vivo, che nel tempo ha toccato un numero elevato di comuni, dà segni di stanchezza. Anche qualitativamente la sua acqua non è più la stessa di trent’anni fa: ne è testimone l’accresciuta durezza, che da 22 gradi fran-cesi ha ormai passato i 30, con gran soddi-sfazione dei calcoli renali. In tutto questo la siccità fa la sua parte, ma noi (società e isti-tuzioni) siamo facendo il resto. Non diamo però la colpa a Simon, che infatti ci tiene a precisare: le risorse sono scarse “in rappor-to all’uso che ne facciamo”. Pervenuti all’attuale livello di scarsità - più o meno indotta dal clima o da cattiva stra-tegia - dell’acqua disponibile, immagino che se l’acqua avesse un governo, questo governo potrebbe decidere di migliorare tutta l’acqua che c’è e che per anni l’agri-coltura ha reso non potabile (“l’uso che ne facciamo”) in modo da aumentarne la di-sponibilità ad usi plurimi e nel contempo ridurre la dipendenza dalle fonti primarie. Se invece è Multiservizi a governare l’ac-qua, il suo pensiero non va aff atto al risa-namento dei pozzi, ma a nuove captazioni da fonti primarie nel preappennino. Quella di Multiservizi S.p.A. è una tipica risposta industrialista (ossia semplifi cata) a un pro-blema ambientale (ossia complesso). La sequenza è crisi/rilancio - nuova e più pro-fonda crisi/nuovo e più spericolato rilancio. E che sia Multiservizi a reggere il gioco è del tutto evidente: in una recente comu-nicazione la nostra S.p.A. si mette a ber-lusconeggiare proponendo ai cittadini di stringere un patto5. Un patto dei cittadini col gestore? Non è che per caso vi siete montati la testa? Noi siamo i cittadini, cara S.p.A. solo pubblica, ossia i soggetti primi della democrazia: voi chi siete? uno stru-mento nostro, di nostra proprietà, sia pure mediata da rappresentanza e da quote di partecipazione. Allora? Che patto avimm’a fa? E’ facile pensare che una simile arro-ganza non sarebbe permessa se il governo dell’acqua fosse quello che noi abbiamo eletto a governare la vita nostra. Ma è con questa supponenza che, in con-creto, il gestore pubblico pensa di preve-nire possibili crisi di fornitura del servizio idrico: un prospetto di spesa elevatissimo da aff rontare attraverso prestito bancario per servire entro il suo orizzonte tempora-le una domanda supposta crescente. Il suo orizzonte temporale è il 2030; poi qualche santo provvederà a governare quello che sarà rimasto. Anche niente. Oppure molto poco ad altissimo prezzo.

Paradossi e pseudoconcetti del pensiero intubato. Ecco come l’i-deologia della merce riesce a mi-nare i fondamenti logici del no-stro pensiero e in questo modo si fa strumento di dominio sulle nostre vite. Tutto questo il gestore giustifi ca chia-mandolo “rispondere al fabbisogno”. Bisognerebbe sapere cos’è il fabbiso-gno. In Italia la disponibilità media di acqua è 237 litri al giorno, la media europea è di 165. Qual è il fabbisogno? E cos’è il fabbisogno per una società per azioni? Non certamente quello che viene rilevato come eff ettivo “bisogno” della popolazione6, quanto il fatturato in rapporto al servizio fornito + il fat-turabile in rapporto a un possibile au-mento della fornitura entro un tempo determinato. Nel caso di un servizio a tariff a, le deliberazioni comunali se-guono e non precedono le esigenze espresse dal gestore. Bisogna dire che le campagne a favo-re di un uso consapevole dell’acqua hanno avuto una loro effi cacia, ma che nonostante questo negli ultimi tempi abbiamo avuto aumenti tariff ari mol-to consistenti (a proposito: di quanto esattamente?); e non è chi non veda un paradosso nel fatto che noi risparmia-mo l’acqua e quella aumenta di prezzo proprio perché se ne è venduta meno. Del resto la didattica di Multiservizi S.p.A. ha qualcosa di grottesco. Deciso ad occupare tutto lo spazio che la poli-tica gli lascia, il gestore - governatore si mette a maneggiare concetti che non gli competono e che forse nemmeno possiede: ne altera i termini, li storce, li falsifi ca, li rende ineffi caci. Come quan-do l’ingegnere Stefano Fanesi tenta di smerciare il “ciclo idrico integrato” per un ricalco del ciclo naturale: “Il gestore segue il ciclo dell’acqua. La prende là dove si trova, pozzi e sorgenti, la sol-leva fi no ai serbatoi, da qui li immette nella rete di distribuzione che arriva ai rubinetti; raccoglie l’acqua usata nella rete fognaria, la trasporta ai depuratori da quali esce in condizioni tali da poter essere restituita all’ambiente”. Questo scrive, per concludere poi con l’equiva-lenza “ciclo naturale dell’acqua = ciclo natura–uomo–natura”7. A gente come questa, che pensa argutamente (sen-titi più volte) che “ogni acqua lasciata è persa” non sarà il caso di ricordare che l’acqua non passa sul territorio per senza niente, ma al contrario è quella la sua natura, che irrora le colture, fa vivere la fauna e la vegetazione, rinfre-sca l’ambiente, rifornisce il subalveo, si autodepura, provvede a trasportare i materiali adatti al ripascimento delle spiagge e fa un sacco di altre cose che scorrendo dentro i tubi non riesce a fare?

I luoghi comuni dei beni comuni. E’ un dramma collettivo quello di utilizzare slogan e concetti che ci vengono im-beccati per secondi fi ni. Soltanto un esercizio di critica molto serrato può permetterci di cogliere l’inganno del quale ci facciamo ignari promotori.Ho detto che ci credo anch’io; ma ogni volta che usiamo un’espressione o uno slogan che riguarda l’acqua in un simile contesto mi vie-ne a dir poco l’orticaria. “L’acqua è un bene prezioso”: ma certo! Vo-gliamo però ammettere che l’aggettivo “prezioso” suona diverso se a pronunciarlo è Francesco d’Assisi (“utile et humile et pretio-sa et casta”) o il consiglio di amministrazione di una S.p.A., sia pure pubblica e in odore di santità? “L’acqua è l’oro blu”: e come no? Ma quanto può piacere una simile frase a una multi-nazionale che sostiene nei congressi che il business dell’acqua non è un’opzione? For-se faremmo meglio a dire che l’acqua non vale niente, nel senso che nessuna somma al mondo potrebbe compensarne la mancanza: proprio come l’aria, non vale niente perché è indispensabile alla vita. Un altro paradosso se parliamo di consu-mo dell’acqua, perché inavvertitamente assimiliamo l’idea che l’acqua sia un consu-mo, esattamente come qualsiasi merce che consumiamo e che si consuma generando rifi uti. Ma in eff etti l’acqua non si consuma: si utilizza; e tutta l’acqua che noi utilizziamo poi viene restituita. Gli stock idrici comples-sivi restano comunque inalterati. Il problema è che ne utilizziamo troppa e la utilizziamo male, tanto da non permettere agli acquiferi di ricaricarsi e al ciclo di rinnovarsi. Mettiamo a rischio la sua rinnovabilità.Si è parlato già tanto di diff erenziare l’acqua8. Il risultato consiste in due tuboni costati mi-liardi di lire o milioni di euro, e poco altro: i 17 kilometri per la fertirrigazione ereditati da Multiservizi giacciono inutilizzati tra Se-nigallia e Bettolelle; l’acquedotto industriale di Jesi-Monsano è anch’esso praticamente inutilizzato perché non si è trovato il modo di determinare tariff e più competitive di quelle dell’acqua di Gorgovivo. Alla luce dell’espe-rienza le doppie reti idriche sono una spe-ranza morta subito sul nascere, nemmeno da parlarne se vogliamo essere seri.

Di che vita vivremo o di che morte moriremo. Malgrado i recenti referendum sull’acqua, è tuttora possibile che l’acqua fi nisca in mano privata; o che venga comunque gestita in modo privatistico. Prendersi cura del territo-rio è, in realtà, garantire che il ciclo dell’acqua si rinnovi.La sola soluzione per avere disponibilità dell’acqua nel futuro prossimo e remoto è quello di prendersene cura. Di tutta l’acqua, non solo quella di che passa per i tubi. E migliorarla, e renderla tutta potabile. Questo signifi ca prima di tutto la necessità di disporre di un bilancio idrico. Per esempio. noi marchigiani potabiliz-ziamo meno di altri: soltanto il 26% a fronte di altre regioni che arrivano oltre il 34%. Ah, ma noi abbiamo Gorgovivo. Appunto: e tanta acqua inquinata, e fi u-mi senza acqua9. L’obiettivo può essere perseguito e raggiunto attraverso una forte regìa pubblica, dove la gestione è importante, ma solo a condizione che non simuli quella privata né dal punto di vista economico-organizzativo né, più ancora, da quello del rispetto delle funzioni plurime che l’acqua svolge in ambito naturale. Ci vorrà l’intelligenza di ciascuno, utenti, associazioni, comitati, singoli amministratori a ogni livello, per mettere a punto un simile programma, e la forza di tutti per ottenere che venga attuato senza scarti o diversioni. Ci vorrà un controllo totale sulle captazioni e una conoscenza idrogeologica più piena. Tutte le amministrazioni (compresa l’Autorità Marit-tima che negò il suo contributo al recupero di acque seconde per i lavaggi portuali) dovranno misurarsi con questo problema. Si potranno di utilizzare le politiche agricole europee a vantaggio del miglioramento delle acque inquinate dall’agricoltura; bisognerà che la pro-grammazione di ogni attività che impiega acqua sia misurata sulla sua disponibilità complessiva, e non il contrario; bisognerà che i campi recuperino l’umidità di un minimo di sostanza organica pedologica. Diser-bare signifi ca inaridire.Di che morte moriremo, poi, è più facile preventivare, che non riconvertire la politica a una logica di rispar-mio e di condivisione. La nostra multiservizi confi nan-te, Hera, è la prima indiziata ad inghiottirci. Società privata derivata da una quarantina di municipalizzate emiliane, è l’unica S.p.A. privatizzata che nell’espande-re la propria attività non elimina, ma ingloba i consi-gli di amministrazione della società assorbita. Si vede che ci tiene a mantenere la rete politica. Va da sé che i nostri, se non possono viaggiare da soli, troverebbero un posto in prima classe nella nuova organizzazione. Forza amici dell’acqua, forza comitati referendari, forza cittadini di Isaura, città invisibile dai mille pozzi: abbia-mo ancora molto da fare!

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1 Si veda ad esempio, di Paolo Buonora, 1994, La valle umbra. Genesi e trasformazione di un sistema idraulico (secoli XVI-XIX), Proposte e ricerche, Ancona.2 In realtà l’idea di captare Gorgovivo era stata già intuita e proposta a inizio novecento ma accantonata a causa di un rilevato inquinamento batteriologico super� ciale (Rossano Morici).3 Multiservizi, una S.p.A. pubblica alla gestione di un bene comune, a cura dell’ing. Stefano Fanesi, 2009. 4 H.A.Simon, 1989, Le Scienze dell’Arti� ciale, Il Mulino, Bologna, come cit. in Francesco Trombetta, 2004, Il Glossario dell’Auto-organizzazione, Donzelli, Roma. 5 Si veda il periodico di Multiservizi Noi per voi, febbraio 2012. 6 Secondo la publicazione di Multiservizi cit. alla nota 3, una famiglia media di 4 persone utilizza 180 m3 di acqua all’anno per lavastoviglie, lavatrice, bagno, giardino eccetera, e 1 m3 all’anno per bere e cucinare. Nonostante questi dati sembrino assai rudimentali, si può considerare la grandezza delle proporzioni: solo 1/180 dell’acqua che Multiservizi destina all’uso domestico richiede la qualità elevata dell’acqua di Gorgovivo. 7 Fanesi, Multiservizi, cit.8 Anche in questo l’Italia ha un cuore antico. Si veda nuovamente La valle umbra, cit. , a p. 35 come a Foligno in età comunale si provvedesse a di� erenziare l’acqua per alimentazione e usi domestici da quella per energia motrice e per difesa militare. 9. Mariangela Paradisi, Questione di charme, Corriere Adriatico, 23 agosto 2012.

12 Senigallia la Città Futura settembre 2012lavoro

di Leonardo Barucca con Roberto Primavera

L’appuntamento è per le dieci e mezzo, l’uffi cio della Caritas Dio-cesana è quello nei locali della Curia in piazza Garibaldi, è il 29 agosto, c’è la Fiera, per parcheggiare mi tocca arrivare quasi alla piscina del Vivere Verde. Ma è una bella giornata, sono partito per tempo e passeggiare per Senigallia mi piace. Allora perché questo senso di spaesamento e di inquietudine? Attraverso il parco della Pace. C’è il nonno che insegna ad andare in bici al nipotino, ne incrocio un attimo lo sguardo e nei suoi occhi mi sembra di leggere la stessa ansia indefi nita che provo io. “E’ la mia immaginazione” mi dico, ma ecco che immagino proprio quel-lo che sta pensando: “Povero nipote mio. Il futuro non è più quello di una volta”. Fantasia, è solo una bella frase ad eff etto che qualcuno in qualche città ha scritto su un muro, io l’ho letta, citata da qualche parte, e continua a ronzarmi in testa senza sosta. Si però perché adesso mi sembra di leggere, sotto i portici e poi in piazza del Duomo, negli sguardi un po’ spiritati dei bancarellari senza clienti, le stesse domande timorose? Ma che vogliono? Lo chiedono a me?:“Mi dispiace signori, non lo so come andremo a fi -nire, c’è la crisi, tutto sta cambiando. Siamo stati presi alla sprovvista. Chi pensava che sarebbe successo davvero. Lo so: il futuro non è più quello di una volta”.Mentre salgo gli scaloni di marmo che portano agli appartamenti del Vescovo “Senti che bel fresco qui, muri spessi”, provo a concen-trarmi, ma … “Questa è la Chiesa Cattolica, roba solida, che sfi da i se-coli, i millenni. Ricchezza. Mi sa che ci sono rimasti solo loro ad avere i soldi …” Basta. La sede della Caritas è nell’ammezzato. Sono le 10 e 25 e non sta bene arrivare in anticipo, cinque minuti per raccogliere le idee: sono qui per incontrare, assieme a Roberto Primavera, Giovanni Bomprezzi, il vicedirettore della Caritas senigalliese, è già passato un anno e mezzo dall’intervista che gli facemmo per il numero 0 del giornale, già allora la crisi mordeva, ma in questo tempo, cer-to non lungo, sembra che molto sia cambiato. Ogni giorno se ne sente una nuova: quella ditta è fallita, quel negozio ha chiuso, quel parente ha perso il lavoro, quell’altro è lì lì per perderlo. L’impres-sione è che tutto stia per precipitare, che stia per arrivare un gran botto. Ecco, loro qui hanno la lente che rovescia l’immagine, la fo-tografi a della società dal basso, la prospettiva degli ultimi. Per que-sto siamo tornati, ma soprattutto questa volta vorremmo capire, e raccontare sul giornale, la nuova cosa che sta facendo la Caritas, “Undicesimaora” si chiama, ho la brochure in mano, rileggo:

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale, uscito ancora verso l’undicesima ora trovò degli operai in piazza e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?” “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna” (Matteo 20 6-7)

Non ho molta dimestichezza con le parabole ma mi sembra chia-ro: il tema è il lavoro, l’undicesima ora, infatti, sono le cinque del pomeriggio, quando ne manca solo una alla fi ne della giornata la-vorativa, ma il caritatevole padrone della vigna dà un lavoro anche agli ultimi arrivati, quelli che ormai non avrebbero più ragione di speranza. Signifi ca che la carità migliore non è fare l’elemosina ma dare un lavoro.Nel frattempo è arrivato Roberto, dieci e trentatre, suoniamo il campanello.

E’ già mezz’ora che ascoltiamo Giovanni. Con lui ci sono due sue collaboratrici che seguono il progetto: Laura Alesi e Giulia Colosio. Ettore Fusaro è nello stanzino accanto, ma ascolta e ogni tanto in-terviene anche lui quando si tratta di snocciolare dati. Parla soprat-tutto Giovanni, ma si percepisce un entusiasmo condiviso. E’ un sogno che avevano da 10 anni, racconta, ora fi nalmente lo stanno realizzando. I drammatici eff etti della crisi hanno messo il “turbo” all’idea. Un’idea molto semplice, l’uovo di Colombo: si tratta di aiu-tare le persone bisognose non con del denaro in elemosina ma dando loro la possibilità di guadagnarselo con un lavoro. “Sempre

più spesso le persone che si rivolgono a noi ci supplicano: non ci date un aiuto economico, fateci fare qualcosa”. La dignità, questo chiedono soprattutto le persone, ci dice Giovanni, e ci racconta che c’è un mutamento profondo: una volta c’erano quelli, i “furbet-ti”, che “Non pagatemi la bolletta, datemi i soldi”, ora, da almeno due anni, e nell’ultimo ancora di più, stiamo toccando il fondo del disagio sociale e le persone che si rivolgono alla Caritas sono tante e di tutti i tipi. Quando si perde il lavoro non è solo che viene a mancare il reddito per il sostentamento, si perde l’identità socia-le, la fi ducia in se stessi e nel futuro, la dignità. Le ripete un sacco di volte Giovanni queste parole: “dignità”, “dignitoso”, come ripete spesso che certo non si sognano di risolvere con questo progetto il problema occupazionale, è un piccolo passo nella direzione giu-sta, qualcosa di limitato che però può e vuole crescere. Parlerebbe per ore sulle motivazioni e il senso di Undicesimaora, si vede che è “preso” e che ci crede. Ma noi vogliamo capire cos’è concreta-mente, come è organizzata, come si regge, come funziona: dati e numeri.Allora ci spiegano per bene. Undicesimaora è una Cooperativa so-ciale di “tipo B” - cioè può svolgere attività di vario genere (agricole, turistiche, industriali, commerciali, di servizi) al fi ne di inserire, dal punto di vista lavorativo, persone svantaggiate - diversa quindi da quelle di “tipo A” che possono invece gestire esclusivamente servi-zi socio-sanitari ed educativi. Già qui c’è una prima strettoia ci spie-ga Laura: in Italia tra le “persone svantaggiate” non è compreso, per esempio, un disoccupato di lunga durata e nullatenente con fi gli a carico, anche se una direttiva europea andrebbe nel senso di ricomprenderlo. Ho capito: per essere considerato svantaggiato il pover’uomo dovrebbe almeno andare un po’ fuori di testa, darsi all’alcool o alle droghe pesanti, augurarsi qualche ulteriore sfortu-na insomma.Comunque Undicesimaora, nata da una collaborazione tra la Fon-dazione Caritas Senigallia ONLUS e la Fondazione Maria Grazia Balducci Rossi ONLUS, è una cooperativa regolarmente costituita che parte prima di tutto dall’agricoltura, col progetto “Orto e vi-gneto solidali”, diversi ettari di terreno, di proprietà della Curia e di Tommaso Rossi, messi a disposizione. Terreni che prima erano sot-toutilizzati, seminativi estensivi, ora sono in corso di riconversione all’agricoltura biologica. Orti e frutteto: hanno già piantato 1100 piante da frutto ed è già trascorso il primo dei tre anni che servono per ottenere la certifi cazione Bio. Nel frattempo comunque pro-ducono, consumano in proprio e vendono. “Ecco”, penso mentre l’ascolto, “qui è come messa a nudo l’economia nella sua essenza: c’è un bisogno, in questo caso il cibo, c’è il terreno per produrlo, c’è gente

che non ha un lavoro e quindi nemmeno i soldi per comprarlo quel cibo. Basterebbe mettere insieme le tre cose. Sembra facile. Ovvia-mente non è.” Certo l’esperimento è possibile anche perché i terreni sono messi a disposizione gratuitamente, quindi il tutto si regge sempre sulla carità in fi n dei conti, diffi cile immaginare che sia una cosa riprodu-cibile “al di fuori”, senza la sottostante ricchezza e organizzazione della Chiesa Cattolica. Però non è detto. Esiste infatti tutto un mon-do che si sta muovendo, tra G.A.S e agricoltori biologici locali (ne parliamo nella pagina accanto) e da cosa nasce cosa. Con questo tipo di realtà, ci dicono, sono in rapporto e cercano di fare rete. Nonostante l’agricoltura sia un settore da cui è sempre più diffi cile ricavare reddito, il biologico e il locale sono in espansione. Alcu-ne tessere per comporre il puzzle di quel Distretto di Economia Solidale, di cui parliamo spesso e volentieri, cominciano davvero ad essere visibili, questo progetto è indubbiamente una di queste tessere.In ogni caso la fi nalità principale di Undicesimaora è il lavoro. La scelta dell’agricoltura, e di questo tipo: orti, vigne e biologico, è proprio perché lo scopo non è economico, anche se puntano, a regime, alla auto-sostenibilità del progetto, le scelte delle attività (in questo caso delle colture) sono fatte in ragione del maggior nu-mero possibile di manodopera impiegata. Dal varo del progetto, poco più di un anno, sono state assunte, per periodi temporanei e a rotazione, circa 20 persone, il numero di quelle impegnate contemporaneamente varia ovviamente in ragione delle stagioni, attualmente sono 10. Chi lavora per la cooperativa diventa socio oppure, se per periodi brevi, viene assunto come dipendente, nell’uno e nell’altro caso secondo tutte le regole: contributi, infor-tuni, malattia, disoccupazione, ecc.A progetto completamente sviluppato, secondo una proiezione fatta da Giovanni, le persone assunte contemporaneamente po-trebbero essere 50 e per una durata media dell’impiego di 8 mesi. Qui allora ci dobbiamo far spiegare perché, ottimismo per otti-mismo, non è previsto che possano diventare impieghi stabili. Il motivo è proprio che la fi nalità della Caritas è di aiutare le persone in diffi coltà per un periodo limitato. Questo per due motivi, ci spie-gano: il primo è che l’aiuto è fi nalizzato a far superare l’emergenza, cercando di rimettere in grado le persone di gestirsi autonoma-mente e in maniera non protetta nella società; il secondo è che, se “stabilizzassero” le persone che aiutano, in breve ne resterebbero fuori per mancanza di risorse molte altre. In questo caso le “risorse” sono i posti di lavoro “inventabili”, con tutto l’ottimismo di questo mondo non è pensabile che Undicesimaora risolva il problema oc-cupazionale.

Quando alla fi ne usciamo è mezzogiorno e un quarto. Ho, dentro il registratore, un’ora e mezzo di conversazione. Impossibile rac-contare tutto, anche se di molte altre cose interessanti ci sarebbe da dar conto, come gli altri progetti e attività che compongono o comporranno Undicesimaora: La Bottega del signor Nessuno, per esempio, dove si aggiustano e rimettono in circolo mobili vecchi (ne abbiamo parlato nel numero 0); o una “cicloffi cina”, in collabo-razione col Comune, per il recupero delle bici abbandonate, insie-me alla gestione della “punzonatura” delle biciclette cittadine per scoraggiarne il furto; l’ipotesi di gestire un agriturismo e un ostello per giovani ecc. Poi anche diffi coltà e problemi ovviamente: la bu-rocrazia, il costo del lavoro, cioè il cosiddetto “cuneo fi scale”. Poi le percentuali e i rapporti tra immigrati e italiani, anche qui aspetti negativi e positivi. Molto altro davvero.Però una cosa mi è rimasta impressa e appena in strada già ci ri-penso: quei casi di alcune persone che erano depresse, sfi duciate, “a terra”, psicologicamente e fi sicamente, e che attraverso questa possibilità sono “rifi orite”. Si presentano, così ci hanno raccontato, puntuali alle sei del mattino, per lavorare la terra, con lo sguardo limpido che dà l’orgoglio di aver riacquistato un posto e un ruolo nella società.Mi gardo attorno, la Fiera è più animata a quest’ora. Qua e là mi sembra di scorgere qualche timido sorriso.

Undicesimaora gli orti della Caritas

Coltivare la dignità in tempo di crisi

foto di Gianluca Rossetti

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 13agricoltura

La sporta del “benvivere”

Chilometri zero

Germogli di economia solidale

● Catering, Feste e Sagre Sostenibili prodotti compostabili, biologici, equosolidali e a Km 0

● Stampa in carta riciclata di manifesti, brochure, giornali. Risme A4

● Energie Rinnovabili e risparmio energetico

● Distributori per caffè, bevande e snack equo&bio

● Informatica Sostenibile software libero

● Autocostruzione, housign sociale, co-housing

Info: Consorzio Solidarietà – ONLUS 338/89.87.154 – www.consorziosolidarieta.it [email protected] – http://www.facebook.com/consorzio.solidarieta

di Giordano Mancini

Tutto il lavoro e le attività connesse ai GAS, a La Fonte ed ai bio-abbonamenti hanno evidentemente un valore proprio, ma nello stesso tempo sono parte di un discorso e di un progetto più grande che cerca la sua rea-lizzazione nella costruzione di un Distretto di Economia Solidale (DES). Da circa due anni, con tutte le diffi coltà insite nella grandezza del progetto, è stato promosso da REES Mar-che un tavolo per l’avvio di un DES nella valle del Misa e del Nevola. Il modello ed i metodi nati all’interno della REES, hanno lo scopo di raff orzare l’economia solidale e di prossimità a livello territoriale, per questo l’estensione del DES è limitata alle valle formata dai due fi umi che vanno dal comune di Arcevia a quello di Senigallia. Si è scelto di operare in un territorio storica-mente collegato e relativamente omogeneo per cultura e tradizioni, con l’obiettivo di con-nettere le diverse iniziative presenti, allo sco-po di fare “massa critica” e di aumentare la visi-bilità della nuova forma di economia solidale che cerchiamo di promuovere. Questo andan-do anche oltre il settore alimentare. La nostra valle è ricca di ogni genere di piccole imprese e di artigiani che operano nell’edilizia, nell’ab-bigliamento, nell’energia, nel settore della pesca ed in tanti altri ambiti connessi ai nostri bisogni. C’è già gran parte di ciò che serve per una fl orida economia locale. Rob Hopkins del movimento delle Transition Town direbbe che il nostro è un territorio potenzialmente “resi-liente”, ovvero capace di reggere a shock eco-nomici e a picchi di scarsità come quello del petrolio, già iniziato da tempo. Anche le per-sone meno sensibili ai temi del sociale e del rispetto dell’ambiente, dovrebbero rendersi conto dell’importanza economica delle cosid-dette fi liere corte e a km zero. Se, ad esempio, spendo 100 euro in un qualunque supermer-cato, meno del 10% dei miei soldi rimarrà sul territorio: ovvero quello che il supermercato gira sotto forma di stipendi ai suoi impiegati. Il 90 % dei soldi lascia il territorio sotto forma di logistica appaltata, acquisto di prodotti fatti altrove, ricavi aziendali, ecc.. Quando invece acquisto presso un produttore locale, il 90% della ricchezza resta sul territorio! La produ-zione è locale, la logistica quasi assente e i ricavi restano sul posto. Solo il denaro neces-sario all’acquisto ed alla manutenzione delle attrezzature, del computer tramite il quale in genere si eff ettua l’ordine e pochi altri “spic-cioli” lasciano la valle. Assistiamo poi a paradossi che vedono ad esempio la Terra e il Cielo, la più antica coo-perativa di agricoltori bio delle Marche con sede a Piticchio, vendere in altre parti d’Italia e soprattutto all’estero, più dell’80% dei 7.800 quintali di ottima pasta bio prodotti. I GAS del-la valle sono i principali consumatori locali di quella pasta bio. Questo mentre la nostra valle ogni anno consuma in media 24.000 quintali di pasta, quasi tutta importata da altri luoghi, di qualità inferiore e spesso pure più cara! Ha senso che a Tokio mangino la Pasta de La Terra e il Cielo e bevano acqua di Frasassi, mentre noi importiamo acqua minerale dalla Francia e

pasta (non bio) dalla Romania? Quanto petro-lio dovremo bruciare e quanta CO2 dovremo immettere in atmosfera prima di diventare più saggi? Oltre ai promotori ed ai facilitatori della REES, uno dei soggetti più attivi del tavolo DES è certamente Paolo Manoni, banchiere ambu-lante di Banca Etica. Dal suo osservatorio privi-legiato ha potuto osservare la ricchezza di ini-ziative di economia solidale presenti nella val-le e ha sentito forte l’esigenza di fare in modo che tali realtà si incontrassero ed iniziassero a collaborare. Infatti accade che non sempre i vari soggetti impegnati nell’economia solida-le si conoscano, anche se operano nello stesso territorio. Così ci si è accorti che alcune verdu-re bio che La Fonte era costretta a cercare a qualche decina di km di distanza, erano dispo-nibili in loco presso la Cooperativa Sociale 11° ora, impegnata nell’impiego di persone svan-taggiate e/o portatori di handicap nell’agri-coltura biologica. Abbiamo scoperto che nella valle è stato avviato un progetto per il “mocas-sino a km zero” e che un imprenditore impe-gnato nel settore della maglieria stava crean-do un campionario di capi bio tinti al naturale, anche con il famoso Guado di Borgo Pace. In città da tre mesi è aperto “qb” (quanto basta), un negozio dove i valori sono quelli del pro-dotto locale, sfuso, biologico e solidale. Il ne-gozio è stato avviato da una decina di ragazzi della cooperativa RiDotti bene. L’iniziativa va ad aggiungersi ad altre 3 realtà che vendono prodotti a fi liera corta, equo e solidali e bio-logici. Si sta avviando nella valle un progetto per il ripristino della coltivazione della canapa da fi bra. Poi abbiamo produttori d’olio, di for-maggi, di vino e allevatori di mucche e capre bio e tanto altro ancora.E’ molto importante però che accanto alle fon-damentali iniziative basate sulla gratuità e sul volontariato di cui si è detto sopra, emergano e si consolidino in fretta iniziative di economia solidale in grado di generare anche lavoro nell’area dei servizi connessi alla distribuzione ed al commercio locale. Gran parte delle per-sone che costituiscono i GAS e La Fonte hanno conseguito nel tempo una loro consapevo-lezza. Chi non ha fatto gli stessi percorsi può non essere così disponibile al volontariato ed al lavoro gratuito. Oppure sono impegnati in altre attività sociali. Mentre ai negozi come “qb”, “Alcatraz” o “La terra e il cielo”, presidiati da persone pagate per il loro lavoro, accedono anche numerosi clienti che non appartengo-no all’area del consumo critico e consapevole, i GAS sono formati solo da un certo genere di fruitori. Questa modalità mantiene stabi-le, quindi scarsa (marginale?), la domanda di prodotti generati dall’economia solidale. A volte mancano i prodotti, perché non c’è ab-bastanza domanda da rendere conveniente la produzione. I GAS sono formati da persone impegnate direttamente e gratuitamente nei servizi connessi agli acquisti, quindi non si fa proselitismo e ciò rallenta lo sviluppo dell’eco-nomia solidale. La Fonte è il punto di snodo e di possibile evoluzione dell’attuale model-lo. Il DES può fornire punti di aggregazione e progetti per aumentare la massa critica e la visibilità dell’economia alternativa al sistema dominante.

di Alberta Cardinali

La Fonte, è un’associazione di promozione sociale giovanissima. Si è costituita il 30 marzo del 2012 ma è nata in un terreno fertile, quello dei Gas - Gruppi di Acquisto Solidale del territorio della val Misa e Ne-vola. I gas che ne fanno parte sono il Gas San Silve-stro, il Gas Senigallia, il Gas Misa e Nevola e il Gas La città della Luce. Inoltre, soci de La Fonte, sono anche produttori e fruitori che ritengono che attraverso una rete di rapporti umani, prima che economici, si trovino le strade percorribili per risolvere problemi legati alla pesante crisi attuale e per andare invece verso il “benvivere”. La Fonte ha come fi nalità princi-pali di promuovere il consumo critico e i progetti di fi liera corta e di sostenere i produttori locali, attra-verso l’acquisto diretto dei loro prodotti, cercando di garantire un’equa remunerazione. Proprio perché La Fonte vuole sostenere i piccoli produttori biolo-gici locali, lo scorso anno è nato il Patto solidale Bio-cassetta per la verdura e il Patto bio-sporta per la frutta. Attraverso questi Patti Solidali i produttori e i fruitori stabiliscono un impegno reciproco. I fruitori acquistano in maniera continuativa e settimanale per tutta la durata della stagione. I produttori s’im-pegnano a produrre cibi di alta qualità e biologici e a consegnarli il giorno della raccolta o poche ore dopo. L’impegno reciproco dà garanzie ad entrambe le parti. Ai produttori dà la sicurezza di vendere ciò che producono, evitando sprechi e perdite di gua-dagno, inoltre il prezzo concordato insieme è equo, normalmente più alto di quello raggiungibile nel mercato convenzionale. Per quanto riguarda i fru-itori, attraverso il patto bio-cassetta e bio-sporta, essi hanno la garanzia che i prodotti siano di alta qualità, biologici e locali. Non fanno quindi centi-naia di chilometri e non stazionano a lungo in cel-le frigorifere dopo essere arrivati immaturi e senza sapore. La diff erenza tra il biologico locale e il cibo che si acquista comunemente nei supermercati, è evidente a chiunque ne assaggi anche un solo una piccola quantità. Noi tutti abbiamo diritto al cibo sano, cibo che non ci ammali, ma che anzi ci faccia

bene, che ci nutra e non solo riempia. Questo, è un diritto basilare per i nostri fi gli, per le nostre fami-glie, per noi tutti. Con il Patto solidale bio-casetta e bio-sporta, noi cerchiamo di ottenere il meglio per tutte le parti coinvolte, per i produttori, per noi fruitori ed anche per l’ambiente e per le comunità locali, incremen-tando il lavoro sul territorio. La chiusura delle pic-cole aziende, attente alla biodiversità, ha come con-seguenza la crescita e lo sviluppo delle produzioni monocolturali che trasformano il nostro paesaggio in distese monotone che incidono in maniera allar-mante sulla nostra salute, causando un eff etto ne-gativo sulla qualità dell’habitat umano e animale e sulla vita di noi tutti. Lungo questo percorso, e dalla consapevolezza di condividere obiettivi e fi nalità comuni, tra La Fonte e i Gas è nata una collaborazio-ne sempre più stretta con il CEA “ Bettino Padovano”, Centro di Educazione Ambientale riconosciuto dalla rete regionale INFEA. Il Cea appoggiando progetti e iniziative dei Gas e dell’associazione La Fonte, con-tribuisce alla crescita e allo sviluppo di queste realtà. Infatti presso il Cea, La Fonte ha la propria sede e il suo punto logistico per la distribuzione settimanale dei prodotti freschi, frutta, verdura, formaggi, latti-cini, pane. L’economia solidale è un percorso nuovo per tutti, diffi cile, impegnativo, perché ci siamo abi-tuati a credere che con il denaro possiamo risolvere tutto. Al denaro abbiamo affi dato la responsabilità delle nostre scelte pensando che con esso pote-vamo avere la salute, la sicurezza, la felicità, ed ora questi tempi ci dicono che dobbiamo riprenderci delle responsabilità, tutti, nei confronti di tutti. Non ci sono altre strade, forse perché il denaro è sempre meno, perché questo sistema, dove regnano il libe-ro mercato e la globalizzazione, si sta sgretolando. In questo sgretolarsi vediamo delle grandi oppor-tunità per tutti noi. Possiamo però coglierle e realiz-zarle solo se ci tiriamo su le maniche e assumiamo insieme la responsabilità delle nostre scelte ed azio-ni e entriamo concretamente in un nuovo modo di vivere, più consapevole, più collaborativo e solidale, più ecologico, più comunitario e improntato al bene comune e al benvivere collettivo.

I Bio-abbonamenti de La Fonte

14 Senigallia la Città Futura settembre 2012ambiente

L’ecosistema dunale

Spiaggia viva e vegeta

c’è vita

sulla sabbia

il progetto di tutela

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75) Giglio di mare (Pancratium maritimum)7) Fioritura di Silene colorata

di Niki Morganti

La spiaggia segna il confine tra la terra emersa e il mare. In questa tipologia di ambiente, apparentemente priva di vita, trovano posto invece numero-se specie viventi, tra le quali animali e piante sono tra le più evidenti. In particolare le formazioni che maggior-mente si notano sono le dune, dossi di sabbia ricoperti da vegetazione psam-mofila (così si chiamano le piante adat-tate a vivere sulla sabbia). La formazio-ne delle dune è principalmente dovuta all’azione del vento, che trasporta la sabbia, e delle piante, che trattengono i granelli di sabbia trasportata appunto dal vento. In un lento e paziente pro-cesso, da piccoli cumuli di sabbia si arriva alle vere e proprie dune che, se lasciate progredire, possono arrivare anche a decine di metri di altezza. L’ecosistema dunale, dunque, è costitu-ito da piante e animali che si sono adat-tati a vivere in questa difficile tipologia di ambiente: terreno incoerente, alte temperature, siccità, salinità e vento costante sono i fattori che maggior-mente condizionano la vita sulla spiag-gia. E per poter vivere sulle dune, pian-te e animali hanno adottato particolari accorgimenti per far fronte ai fattori sopraccitati. Ad esempio la Medica dei litorali ha un portamento strisciante in modo da offrire meno parti possibili al vento, la Calcatreppola (4) ha foglie lucide e rigide per disperdere meno ac-qua possibile, la Gramigna delle spiag-ge ha radici profonde per ancorarsi al terreno e cercare acqua, il Papavero delle spiagge (1) ha foglie carnose che sfrutta come riserve d’acqua. Tra gli animali presenti nell’ambiente dunale, due sono tra i più rappresen-tativi: il Fratino (6) e il Rospo smeraldi-no (3). Il primo è un uccello che ha la particolarità di fare i nidi sulla sabbia e sulla ghiaia delle spiagge, in genere in presenza di vegetazione: le uova sono mimetiche e rimangono adagiate su piccole buche sulla sabbia o ghiaia; anche il colore del piumaggio risulta mimetico e quando si avvicina un pe-ricolo al nido, gli adulti mostrano una

parata particolare in modo da attirare l’attenzione su di sé e non sulle uova. I pulcini dopo pochi minuti dalla nascita sono già in grado di correre e scappare di fronte a un aggressore. Il Rospo sme-raldino è un anfibio che si è adattato a vivere in ambienti di acqua salmastra, come ad esempio i fossi in spiaggia e i laghetti retrodunali (quando erano presenti anche a Senigallia). Ha abitu-dini notturne e già dal tramonto lo si può osservare girovagare in spiaggia nei pressi dei fossi; è più piccolo rispet-to al classico “ciambotto” e deve il suo nome alle varie macchie verdi che gli dipingono il corpo. Da questa breve descrizione si capi-scono subito quali siano i problemi e le minacce a cui va incontro l’ecosistema dunale e le sue componenti. Il turismo di massa, le errate pratiche di pulizia dell’arenile e dei fossi, la presenza di animali domestici durante il periodo di riproduzione della fauna sono tra le cause principali della distruzione delle dune e della sua flora e fauna. Queste minacce sono state recepite dall’U-nione Europea in due direttive che ha emanato a tutela dell’ambiente: in par-ticolare la Direttiva “Habitat” inquadra le dune e la loro vegetazione tra gli habitat da salvaguardare, precisando che per alcune tipologie, come quelle presenti a Senigallia, andrebbero istitu-iti i Siti di Interesse Comunitario (SIC). Anche il Rospo smeraldino è presente nella Direttiva “Habitat” tra gli anfibi che necessitano di misure di tutela. Il Fratino è presente nell’allegato I della Direttiva “Uccelli”, vale a dire tra le spe-cie per le quali sono previste l’istituzio-ne delle Zone a Protezione Speciale (ZPS): nello specifico, questo animale è considerato un indicatore della salu-te dell’ambiente dunale, in quanto per nidificare necessita della vegetazione psammofila. In parole povere la pre-senza del Fratino testimonia la buona qualità dell’arenile, con presenza di ve-getazione, poco inquinamento e pre-senza di cibo (si nutre di piccoli crosta-cei, insetti e altri invertebrati, ossia la base della catena alimentare). Tutelare il Fratino significa, quindi, proteggere il suo ambiente e quindi anche le dune.

di Niki Morganti

Il Comune di Senigallia sostiene da tre anni il Progetto di Ripri-stino e Gestione dell’Ambiente Dunale Senigalliese, promosso dallo Studio Naturalistico Diato-mea con la collaborazione del Gruppo Società e Ambiente. Il progetto ha come obiettivi il ripristino morfologico delle dune dove queste non sono più presenti, essenzialmente nella spiaggia libera di Cesanella, at-traverso la tutela e la gestione delle piante dunali in modo da favorire il processo naturale di formazione delle dune stesse; la tutela delle dune esistenti attraverso una “recinzione” con corda e paletti; la tutela delle specie floristiche e faunistiche di interesse conservazionistico su tutto il litorale, il contenimento/eliminazione della “zaganetta” (scientificamente chiamato Cen-chrus incertus), pianta esotica e infestante originaria del nord America, e la promozione del-la biodiversità autoctona delle dune. A questo scopo si intende gestire in maniera corretta i fossi in spiaggia; garantire la fruizione balneare della spiaggia ponen-do dei limiti alla sviluppo della vegetazione, sensibilizzare i tu-risti, i bagnanti e i residenti dei lungomari sull’ecosistema duna-le e incentivare una fruizione tu-ristica sostenibile della spiaggia. Dopo tre anni dall’avvio del progetto si vedono alcuni buo-ni risultati, come le prime dune embrionali in alcuni tratti del litorale a Cesanella, l’aumento delle specie di piante dunali con l’arrivo della Erba kali, della Cu-tandia maritima, della Enula (2) e la diffusione della Calcatreppola (4) e del Papavero delle spiagge (1). Anche il Fratino è in positi-vo: i monitoraggi e la tutela dei nidi e dei pulcini hanno portato ad un aumento del numero di

coppie (ora sono circa 20-25, il numero più alto delle Marche) e dei pulcini che riescono ad arri-vare ad età adulta. Il Rospo sme-raldino viene tutelato attraverso la pulizia dei fossi solamente dopo che i girini sono diventati “rospetti”, e anche loro stanno bene e si stanno diffondendo su altri fossi (sono ottimi “ammaz-za zanzare”). Turisti, bagnanti e operatori balneari si stanno mo-strando sempre più sensibili alla tutela delle dune e della vita su di esse, anche se non mancano ancora resistenze da parte di al-cuni di essi. Infine, le zaganette si stanno riducendo sempre più: la diffu-sione di questa pianta è dovuta inizialmente alla globalizzazione (proviene dal nord America, pro-babilmente rimasta attaccata a vestiti o cose e poi diffusasi in Europa) e poi alle errate pratiche di pulizia dell’arenile che si ef-fettuavano fino a 4 anni fa. L’uso della fresa non faceva altro che favorire la zaganetta, in quanto distruggeva tutte le altre pian-te e gli lasciava campo libero: i semi di questa pianta sono mol-to resistenti e possono rimanere quiescenti anche per qualche anno. Il sistema migliore per eliminarla, o per lo meno conte-nerla, ma che necessita di tem-po, è il taglio selettivo con de-cespugliatore prima che metta i semi spinosi. Dopo aver appli-cato per tre anni questo metodo la pianta è sensibilmente calata sia come numero di piante che di aree dove è presente. Attual-mente, l’amministrazione si sta adoperando anche per parteci-pare al bando LIFE della UE con un progetto di tutela del Fratino (e quindi anche delle dune) in-sieme ad altri partner della costa adriatica: se il progetto verrà fi-nanziato, dal 2013 ci saranno per quattro anni risorse economiche maggiori per migliorare quello che già di buono è stato fatto.

settembre 2012 Senigallia la Città Futura 15radiciStoria quinta puntata secolo xv dai Malatesti ai della Rovere

Senigallia porto franco e signoriadi Maurizio Pasquini

Ci eravamo lasciati preannunciando la fine della signoria di Sigi-smondo.La sua crescente potenza (intanto si è annesso anche Montemar-ciano) suscita la diffidenza di Federico di Montefeltro, passato al servizio del re di Napoli, nemico del signore riminese per un pre-cedente “sgarbo” e un debito di 50.000 ducati mai ripagato. La minaccia congiunta delle truppe del Montefeltro e del Piccinino induce Sigismondo ad accettare la mediazione di papa Pio II Pic-colomini e a cedere in pegno al Papa Senigallia, Mondavio e Mon-temarciano. Ma Sigismondo non rispetta i patti, rioccupa i territori ceduti e si allea con gli Angioini contro il re di Napoli. Il papa lo richiama all’ordine, ma senza alcun esito e quindi lo scomunica. Si arriva persino ad accusarlo di essere un usurpatore, in quanto “bastardo” cioè figlio illegittimo di Pandolfo III. Nel 1461 Sigismondo riesce in un primo tempo a sconfiggere le truppe fedeli al Papa comandate da Pierpaolo da Forlì unite a quelle di Federico da Montefeltro. Nel 1462 riconquista Senigallia e la fortifica pronto a resistere alle forze di Federico che, unito alle truppe di Napoleone Orsini, assedia la città. Il Malatesta vede la possibilità di una sconfitta e cerca di ritirarsi, ma nella notte del 25 agosto del 1463 viene attaccato e sconfitto mentre cerca di at-traversare il fiume Cesano ed il suo esercito viene distrutto. Il 5 ottobre le forze pontificie entrano in città. Sigismondo riuscirà a mantenere Rimini, per intercessione dei Veneziani, vi morirà il 9 ottobre del 1468.A due mesi dalla sconfitta di Sigismondo e dopo aver conquistato Fano, il 25 ottobre Federico da Montefeltro entra in Senigallia e prende possesso della città. Ed è proprio in questo periodo che i fanesi chiedono al papa che la diocesi di Senigallia venga annessa alla loro. Ma Pio II nel mese di novembre concede il feudo seni-galliese a suo nipote Antonio Piccolomini duca di Amalfi. Non si ricorda particolarmente questa signoria, sia per la sua estraneità alle tradizioni locali sia per la brevità: infatti alla morte del papa la città si ribella al Piccolomini insieme a Mondolfo, San Costanzo e Mondavio. Con l’elezione del nuovo papa Paolo II gli ambascia-tori senigalliesi, come ormai era prassi, anche dopo rivolte contro la stessa Chiesa, inviano a Roma i segni della loro devozione e con l’intercessione del vescovo di Perugia ottengono i privilegi che vanno sotto il nome di “Convenzione Vannucciana” dal nome del Vescovo di Perugia Giacomo Vannucci. In questa convenzio-ne, oltre che ribadire l’immediata e totale soggezione della città alla Chiesa, si concede la facoltà di nominarsi gli amministratori, la sede di tribunale di seconda istanza sia civile che criminale, l’esen-zione delle tasse per i raccolti di grano e biade, la concessione del sale a prezzo calmierato, la completa separazione della città dalla Marca (la città rimane solo soggetta al Papa), la facoltà di battere moneta, la reintegrazione nel contado senigalliese dei castelli di Ripe, Roncitelli, Monterado, Scapezzano, Tomba, la celebrazione della fiera franca, la cancellazione dei dazi del porto facendo dive-nire Senigallia porto franco. Tutto ciò dà un notevole impulso alla vita economica della città, tanto che la Cronaca Passeri parla di “un gran trionfo” e l’Albertini riporta che per le favorevoli condizioni economiche si stabiliscono in città molte nuove famiglie prove-nienti dalla Lombardia e dalla Romagna.Ma questo periodo di pace e prosperità ha breve durata. Nel 1468 muore Sigismondo Pandolfo Malatesti: il figlio Roberto, che se-condo gli accordi avrebbe dovuto rendere il vicariato di Rimini al papa, si rifiuta di attenersi ai patti, si allea con Federico da Mon-tefeltro, duca di Urbino, ed il 30 agosto 1469 sconfigge le truppe pontificie. Il Malatesti riprende così possesso del suo vicariato. Ma il papa invia in città Costanzo Sforza che riesce a difendere Seni-gallia dalle mire di Roberto. E’ un periodo, come spesso altri, molto confuso fino a che con la morte di papa Paolo II e l’elezione di Si-

sto IV si riesce a trovare un accordo che vede il Malatesti lasciare Rimini.Il 27 novembre del 1472 una terribile alluvione sommerge la città. L’anno dopo il papa invia a Senigallia un suo commissario, Ottavia-no da Montepulciano, il quale nell’espletare i suoi compiti creerà non pochi problemi alla città. Anzi alcuni sostengono che l’opera-to di questo Ottaviano sia stato finalizzato a legittimare la nuova signoria di Giovanni della Rovere, nipote del papa. Ma andiamo per ordine.Ricordate che Sigismondo aveva concesso facilitazioni e terreni a chi voleva trasferirsi in città da altre regioni: ebbene queste facili-tazioni avevano sì ripopolato la città, ma avevano ridotto l’esten-sione dei terreni a pascolo che rendevano molti scudi in tasse alla Chiesa. Per recuperare questo calo esattoriale il commissario pose la questione se a pagare dovessero essere i nuovi arrivati o addi-rittura se abolire il privilegio malatestiano. Ciò provoca dei taffe-rugli contro il commissario, tanto che alcuni cittadini si recano a Montemarciano a chiedere aiuto al Piccolomini che arriva in città con un’ottantina di uomini armati. Nei tafferugli che ne seguono si lamenta anche un morto: tale Bartolomeo Mercuri. I facinorosi assaltano la Rocca che resiste. Il gonfaloniere chiede aiuto ai ca-stelli vicini. Scapezzano rifiuta mentre accorrono Ripe, Roncitelli e Monterado. Il Piccolomini venuto a conoscenza di ciò ed anche del possibile arrivo di soldati da Fano, se ne ritorna a Montemar-ciano. L’occupazione non è durata neppure un giorno. In questo clima di tensione ed incertezza Giovanni della Rovere, che riceve l’investitura nella signoria dal papa suo zio, viene accolto come pacificatore. Nello stesso periodo il papa nomina Federico da Montefeltro duca

di Urbino e il 10 ottobre sua figlia Giovanna viene fidanzata con Giovanni della Rovere che viene nominato “Vicario in temporabili-bus” di Senigallia e Mondavio. I futuri suocero e genero prendono subito possesso delle città e il 23 ottobre del 1474 le loro truppe entrano in città al comando del capitano Giangiacomo Baviera. Il 28 si insedia Gottifredo Resti da Cesena luogotenente di della Rovere. Ma non passa un anno che Giovanni viene chiamato da suo zio a Roma col titolo di prefetto di Roma e duca di Sora, titoli appar-tenenti a suo cugino Leonardo morto improvvisamente. Ed è a Roma che Giovanni si sposerà nel 1478. La coppia tornerà a Seni-gallia l’anno dopo accolta con tutti gli onori. Questa figura è innegabilmente una delle più rilevanti nel panora-ma politico senigalliese: molti storici accomunano il della Rovere a Sigismondo Pandolfo Malatesti quali padri della città, ma sarà proprio con Giovanni che Senigallia è inserita di fatto tra le signo-rie italiane per peso economico e importanza strategica. Grazie a lui riprendono i lavori in città: la bonifica delle paludi a sud (nel 1479 inizia lo scavo di un “fosso grande” per far defluire le acque stagnanti), la ripalificazione del porto fino al ponte e il rifacimen-to di molta pavimentazione cittadina. Iniziano i lavori di amplia-mento della rocca con la costruzione dei suoi appartamenti ed i 4 torrioni così come li vediamo oggi, e la costruzione del ponte che la collega alla piazza. Inizia anche la costruzione di un suo palazzo: probabilmente in via Mastai, tra via Gherardi e via Cavour dove possiamo ancora ammirare il suo stemma gentilizio sul muro esterno. Giovanni è il primo duca a risiedere a Senigallia e questo contribuisce sicuramente a creare un legame più stretto tra lui ed i senigalliesi (al tempo del Malatesti Senigallia era pur sempre sotto le dipendenze di Fano). Questo contribuirà ad aumentare l’impor-tanza della nostra città, facendola considerare quasi uno stato au-tonomo come tante altre importanti signorie d’Italia. Dobbiamo inoltre a lui il riordino legislativo con la compilazione degli statuti riuniti nei “volumi degli statuti di Senigallia e di Mondavio” e del completamento del catasto rustico. Nel 1491 fa iniziare i lavori per il convento e la chiesa delle Grazie opera che non avrà la fortuna di vedere compiuta. Per chi volesse approfondire la figura di Gio-vanni della Rovere rimando a M. Bonvini Mazzanti, Giovanni della Rovere, ” ed. 2G, Senigallia 1983. Giovanni morirà il 6 novembre 1501 a soli 44 anni. Il giorno dopo viene proclamato “signore di Senigallia” suo figlio Francesco Maria. Ha solo 11 anni. Il governo della città viene affidato a sua madre “prefettessa”. Ma un periodo poco piacevole si sta prospettando. Una controversa figura sta per condizionare la nostra storia: quella di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, detto il Valentino dal suo titolo di Duca di Valentinois, conferitogli dal re di Francia Luigi XII. Non ci avventuriamo sulla personalità e sulle molteplici gesta di questo capitano di ventura sul quale si è scritto moltissimo, per primo il Macchiavelli che lo cita nel suo “Il Principe” specialmen-te al cap.VII, e ne fa una cronaca puntigliosa nelle lettere scritte quando era al suo seguito. Il Valentino era sostanzialmente un ca-pitano di ventura, il suo fine era quello di conquistare territori per lo stato pontificio ed anche quello di costituirsi un suo proprio do-minio, come tanti capitani di ventura dell’epoca. Il Borgia protetto dall’appoggio del padre-papa e forte di un esercito di mercenari svizzeri ed anche di truppe francesi si muove nell’intento di cre-arsi un suo proprio dominio, contro i signori delle città dello stato pontificio: i Montefeltro, i Varano di Camerino, i Fogliano di Fermo, i Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, i Baglioni di Perugia, i Riaro di Imola e Forlì, i Bentivoglio di Bologna ecc. Riesce praticamente a conquistare tutta la Romagna e con l’inganno anche il ducato di Urbino. Il duca Guidobaldo fugge col piccolo Francesco Maria e si rifugia a Modena presso suo cognato Francesco Gonzaga. Il Valen-tino si impossessa di tutte le Marche, compresa la nostra città, che subirà le conseguenze delle sue gesta come vedremo più avanti.

Francesco Maria della Rovere Raffaello - Galleria degli Uffizi Firenze

16 Senigallia la Città Futura settembre 2012