Scarica qui il progetto

45
Associazione Encefalon per le Neuroscienze PROGETTO PROGETTO PROGETTO PROGETTO “CAFFE’ ALZHEIMER” “CAFFE’ ALZHEIMER” “CAFFE’ ALZHEIMER” “CAFFE’ ALZHEIMER” Comune di Dronero Educatori di riferimento: Dr. ssa Cristina Capellino Referente del Progetto: Dr. P. G. Zagnoni

Transcript of Scarica qui il progetto

Page 1: Scarica qui il progetto

Associazione Encefalon per le Neuroscienze

PROGETTO PROGETTO PROGETTO PROGETTO

“CAFFE’ ALZHEIMER”“CAFFE’ ALZHEIMER”“CAFFE’ ALZHEIMER”“CAFFE’ ALZHEIMER”

Comune di Dronero

Educatori di riferimento:

Dr. ssa Cristina Capellino

Referente del Progetto:

Dr. P. G. Zagnoni

Page 2: Scarica qui il progetto

2

PREMESSA

Oggi i malati di Alzheimer sono 18 milioni nel mondo, 500.000 in Italia, ma

secondo le stime dell'Alzheimer's Disease International (ADI) il dato è

destinato a raddoppiare entro il 2025 come conseguenza dell'invecchiamento

della popolazione. La demenza colpisce una persona su 20 oltre i 65 anni e

una su 5 oltre gli 80. Eppure il problema è ancora sottovalutato ed a rimetterci

sono sempre più i malati e le loro famiglie.

Sulla base di dati epidemiologici attendibili si è stimato, inoltre, che la

prevalenza dei casi di demenza, a livello di questo quadrante, sia di circa

9.000 pazienti e che nell'A.S.L. 15 i pazienti siano circa 2.000.

Il Sistema Sanitario Nazionale ha sempre privilegiato la cura ospedaliera ma

deve ri-orientarsi verso forme di prevenzione, riabilitazione e mantenimento

del potenziale di autonomia per rispondere, insieme alla rete di assistenza

sociale, all'esigenza dei "cronici" che richiedono un accudimento ed

un'assistenza prolungata con continuità di prestazioni sanitarie e tutelari.

A tal proposito si mira alla costituzione di uno spazio assistenziale

denominato "Caffè Alzheimer" costituito da una rete multifunzionale in cui

malati e parenti si ritrovano in uno spazio informale e "rilassato" per parlare

dei problemi, ricevere un consulto e al tempo stesso sentirsi a casa.

Il primo Alzheimer Cafè è nato il 15 settembre 1997 a Leida in Olanda, da un

progetto dello psicogeriatra olandese Bere Miesen. Oggi, dopo Inghilterra,

Germania, Belgio, Grecia e Australia l'idea "approda" ora in Italia.

La città di Dronero fungerà da centro pilota dei vari centri abitativi che si

prevede instaureranno questa forma di aiuto socio-assistenziale per le

persone affette da M.A. e per loro famigliari.

L'Alzheimer Cafè è un luogo dove malati, familiari, caregivers e volontari

possono incontrarsi, bere una bibita o un caffè insieme e, grazie al confronto

con esperti del settore, ricevere informazioni e scambiarsi esperienze. Un

Page 3: Scarica qui il progetto

3

clima ed un'atmosfera rilassati tra persone coinvolte nello stesso problema

offrono la possibilità di uscire dal tabù che spesso circonda tale malattia.

Per il malato è importante entrare in contatto con persone di cui ci si può

fidare perché sono in grado di capire il suo problema o perché lo condividono,

trovandosi nella stessa sua situazione.

Per il familiare è altrettanto importante poter parlare con persone competenti

da cui ricevere informazioni su come comportarsi, sul significato della

malattia e sulle possibili forme di assistenza attuabili.

1.1 OBIETTIVO GENERALE

Il nostro obiettivo è quello di creare un luogo di ritrovo dove s’incontrano

persone che condividono lo stesso problema di salute.

Questo spazio assistenziale è coordinato da personale qualificato (nello

specifico dalla figura dell’Educatore Professionale specializzato nel trattare

con soggetti affetti da M.A.), coadiuvato da volontari con finalità di auto

mutuo aiuto. I familiari stessi diventano una risorsa per se stessi e per gli altri

pazienti e caregiver coinvolti.

1.2 RUOLO DELL’ EDUCATORE

Il ruolo dell’Educatore Professionale è di essere il punto di riferimento per le

persone che afferiscono al Caffè, il cosiddetto “padrone di casa” che nelle ore

in cui è presente deve:

� ACCOGLIERE � un ambiente per essere familiare deve poter contare

su persone che sappiano ospitare l’utenza con calore mettendola a proprio

agio

� COORDINARE � essere punto di riferimento sia per i malati che per i

caregivers, responsabilizzare i volontari nelle ore in cui non è presente ed

organizzare attività in base ai bisogni dei singoli

Page 4: Scarica qui il progetto

4

� COINVOLGERE � lavorare in rete. La struttura è inserita nella realtà

locale, pertanto è opportuno coinvolgere i vari enti locali, le associazioni di

volontariato e la cittadinanza

� CONSIGLIARE � deve diventare un occhio vigile sulla vita quotidiana

e domestica del malato ed offrire consigli su come relazionarsi a lui quando è

a domicilio

L’intervento dell’Educatore è diretto sia al paziente che al caregiver.

1.2.1 ATTIVITA’ COL PAZIENTE

L’Educatore “offre le proprie competenze professionali cercando di individuare

attività e laboratori che potenzino le loro capacità e risorse residue. La

conoscenza della patologia diagnosticata permette all’Educatore Professionale

di comprendere le reali potenzialità psicofisiche ancora presenti nei soggetti

malati, di definire obiettivi riabilitativi adeguati e di individuare strumenti

idonei al raggiungimento degli obiettivi stessi”.

In base allo scopo da raggiungere, gli interventi di tipo riabilitativo1 possono

essere identificati nelle seguenti categorie:

� manuale-operativa: viene attivata attraverso un lavoro pratico che

richiede soprattutto l’uso delle mani (bricolage, disegno,..) e del corpo

in genere (ginnastica);

� intellettuale: è indirizzata al recupero delle capacità cognitive, quali

lettura, scrittura, memoria;

� psicologico-relazionale: agisce sulla capacità di ogni individuo di definire

il proprio sé ed essere in grado di rapportarsi con gli altri. La capacità di

partecipare alla comunicazione all’interno della relazione di aiuto

consente all’Educatore di ridimensionare gli ostacoli prevalentemente 1 Confronta Allegato I.

Page 5: Scarica qui il progetto

5

emotivi, vissuti dal soggetto in difficoltà e di superare, per quanto

possibile, i condizionamenti che influenzano il modo di viversi e di

vivere;

� espressivo-creativa: comprende sia attività relative all’area operativa

che cognitivo-psicologica. In base all’esperienza acquisita dai soggetti,

facilita la produzione e l’elaborazione di nuove idee e proposte rispetto

alla realtà vissuta favorendo la partecipazione e facendo leva sulla

motivazione” 2.

E’ importante proporre attività di gruppo al fine di favorire la socializzazione e

stimolare la compartecipazione dei pazienti. Coinvolgere tutti potrebbe

inizialmente sembrare la cosa più giusta da fare per non creare differenze tra

gli ospiti. Invece, in base all’esperienza di molti professionisti del campo, è

fondamentale comprendere quanto sia sì importante rendere partecipi tutti i

pazienti, ma sia altrettanto indispensabile attuare interventi individualizzati.

“La biografia del malato di Alzheimer è una biografia che la demenza

distrugge e che l’operatore, non essendo un familiare, deve saper ricostruire.

Tutti dovrebbero riflettere su qual è lo scopo del proprio lavoro. Prendersi

cura non significa solo accudire, sorvegliare, dare assistenza. La cura non può

prescindere da un rapporto tra assistente e assistito, e la buona qualità del

rapporto dipende dalle caratteristiche personali, dal desiderio di conoscere,

dalla condivisione di momenti di vita. E’ necessario un notevole sforzo per

ricomporre il puzzle di una vita che il malato non può più raccontare e per

riadattarsi ogni giorno a una storia che cambia perché sarebbe comunque

cambiata e perché la malattia vi ha assunto un ruolo da protagonista”.3

2 S. MIODINI, M. T. ZINI, L’educatore professionale. Formazione, ruolo competenze., op. cit., p. 31. 3 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 47.

Page 6: Scarica qui il progetto

6

E’ fondamentale adattare le attività ad interessi personali e ad abilità del

passato. Molte persone colpite da Alzheimer amano intraprendere attività che

ricordino il lavoro svolto in passato: una persona vissuta in campagna, ad

esempio, potrà essere ancora felice di occuparsi di piccoli lavori di

giardinaggio come il seminare ortaggi o il piantare fiori, una persona con

l’hobby delle carte, forse, non sarà più in grado di giocare un’intera partita,

ma sarà interessata e proverà piacere a fare qualche piccolo gioco, a

denominare e riconoscere le carte, a contarle, suddividerle per somiglianza,…

E’ bene ricordare che ciò che più conta e ha importanza è il processo e non

tanto l’attività, non il risultato o il prodotto finale ed il segreto sta proprio nel

fare stesso e non in ciò che viene fatto. Se un’attività come stendere,

raccogliere e/o piegare la biancheria viene accompagnata da sorrisi, da

parole, da pettegolezzi amichevoli, da confronti per un lavoro ben fatto, non

importa se i vestiti non sono stati stesi, raccolti e piegati perfettamente.

Come già sottolineato più volte, le attività educative dovrebbero ricordare il

lavoro passato della persona. Questo è il motivo per cui, nei Centri

Riabilitativi, gli Educatori propongono attività di bricolage a chi, per esempio,

è stato un tuttofare, attività di cucina a chi ha svolto l’attività di casalinga,

attività di giardinaggio a chi è stato contadino, attività di cartellonistica a chi

ha avuto la passione per il disegno,…

Spesso si sente dire che i malati di Alzheimer sono come bambini. In effetti,

alcuni loro comportamenti richiamano il modo di fare dei bimbi, tuttavia è

opportuno trattare sempre il paziente come un adulto e proporgli attività

adatte: attività inutilmente infantili possono produrre in lui frustrazione,

umiliazione, depressione e persino rabbia.

Anche il non fare nulla è in realtà fare qualcosa. Restare seduti sul divano e

sulla poltrona, oziare, ascoltare musica o guardare il paesaggio fuori della

finestra può essere positivo per il paziente che trae gioia dalla sua stessa

Page 7: Scarica qui il progetto

7

presenza in una stanza dove gli altri giocano o lavorano, o addirittura dal

passare un po’ di tempo da solo.

E’ basilare rendersi conto che le attività devono sempre essere iniziate da lui

stesso. I pazienti dementi perdono la capacità di dare inizio ad attività ed

anche l’attività progettata nel modo migliore rischia di fallire se la persona

non può iniziarla. Colui che ama disegnare, ad esempio, può ancora amare la

pittura, ma avere grosse difficoltà nel ricordare come si tengono in mano i

colori e come si sparge il colore stesso sul foglio. Spesso un aiuto esterno è

tutto quello che serve per portare a termine un’attività di successo. Colei che

ama occuparsi delle faccende domestiche può ancora aiutare, ma necessita di

qualcuno che la orienti e le illustri il da farsi.

Rispettare i tempi e la volontà altrui sta alla base del lavoro di un Educatore.

La maggior parte delle persone colpite da demenza non accetta di fare

qualcosa che non ama o che non trova interessante o soddisfacente.

Costringere gli ospiti a fare qualcosa contro la propria volontà è un errore:

spesso, per invogliare l’ospite ad intraprendere un’attività, è sufficiente

cominciarla davanti ai loro occhi. A volte basta un gesto per riuscire a

coinvolgere anche il malato più indifferente.

Molti pazienti colpiti da M.A. conservano buone condizioni fisiche pertanto,

traendo vantaggio da ciò, le attività possono includere esercizi fisici,

passeggiate, brevi gite, lavoretti domestici, ecc.

Lavorare con una persona affetta da M.A. non è facile, tuttavia non bisogna

perdersi d’animo: laboratori ed attività ritenuti impossibili spesso sono invece

realizzabili. Provare, osare, mettersi in gioco sono parole chiave con questa

tipologia di utenza: le persone affette da demenza sono una continua fonte di

risorse e di sorprese, per cui è utile interrogarsi sulle aspettative per poi

provare nuove cose.

Le attività devono piacere oltre che alla persona malata anche a chi se ne

Page 8: Scarica qui il progetto

8

prende cura. E’ inutile proporre un’attività che non si apprezza: di certo non si

invoglia il paziente a partecipare in modo attivo e viene a mancare ad

entrambi il piacere di un divertimento, di una sfida, di un’eccitazione o di una

soddisfazione comune!

Inoltre, è fondamentale proporre laboratori brevi, proprio perché spesso le

capacità di attenzione, ormai compromesse, impediscono ad una persona

affetta da demenza di restare coinvolta in un’attività particolarmente lunga

nel tempo. Ci sono giornate in cui si può proporre la stessa attività in più

momenti: anche se durano solamente pochi minuti, queste, alternandole ad

altre, portano i loro frutti!

Per ultimo, le attività possono essere realizzate (e lo sono!) dappertutto e in

ogni momento: non c’è nulla che non possa trasformarsi in un’attività

interessante e piacevole. Ecco cosa significa essere creativi: un quadro può

evocare ricordi; una semplice stretta di mano, ad esempio, può portare ad

una discussione sulla delicatezza della pelle, sui guanti, sui lavori eseguiti a

mano, sugli anelli di fidanzamento, sul matrimonio; una canzone può essere

spunto di conversazione sul proprio cantante o genere musicale preferito, …

1.2.1.1 IL SIGNIFICATO DELLE ATTIVITA’ PER IL MALATO

Lavorando con i pazienti dementi si vengono a scoprire il significato e

l’importanza delle attività, comprendendo ciò che esse rappresentano per

loro.

Partecipare ad un’attività educativo - riabilitativa per il malato vuol dire essere

ancora produttivo. Tutti hanno bisogno di sapere che la propria esistenza è

significativa per qualcuno ed anche coloro che sono colpiti da M.A.

presentano la necessità di sentirsi ancora capaci, competenti ed utili.

Portare avanti un piccolo incarico significa anche aver successo: questi

Page 9: Scarica qui il progetto

9

malati subiscono, a causa della malattia, molti fallimenti, ma parecchie

attività possono aiutarli a godere di nuovi “successi”.

Spesso i pazienti dementi mantengono intatta la capacità di godere di

momenti di gioco, di scherzare, di impegnarsi e di sperimentarsi in attività

ludiche come, ad esempio, fare una partita a carte o a bocce.

Mantenersi attivi vuol anche dire stare e saper stare con gli altri e,

nonostante questi pazienti di solito si sentano più a loro agio in piccoli gruppi,

il loro bisogno di socializzazione e di appartenenza è ancora importante.

Con l’esperienza, ci si rende conto che gli ospiti di cui ci si prende cura non

sono per lo più più in grado di imparare nuove abilità, ma alcuni laboratori

possono contribuire a rinnovarne o mantenerne di vecchie. La soddisfazione e

il piacere vengono dalla partecipazione ad una situazione di ri – educazione e

ri - apprendimento.

1.2.1.2 L’INCONTRO CON I PAZIENTI DEMENTI

“Osservare il comportamento del soggetto e capire come egli percepisce e

come pensa di essere percepito nella relazione con l’ambiente esterno,

consente di conoscere quale considerazione/stima egli abbia di sé, quali sono

i suoi punti forti e quali i punti deboli. Ciò permette anche di definire una

relazione basata sulla reale accettazione dell’utente per quello che manifesta

attraverso il suo comportamento, considerandolo parte attiva dell’interazione

e di favorire una presa in carico individualizzata anche nell’ambito di una

struttura residenziale o nella realizzazione di un intervento di tipo familiare”4.

Concretamente, la prima cosa che si osserva in un malato di Alzheimer è il

comportamento: fin dal primo “contatto” è necessario prestare attenzione ad

ogni piccolo particolare, sforzarsi di conoscere e di comprendere chi si ha 4 S. MIODINI, M. T. ZINI, L’educatore professionale. Formazione, ruolo competenze., Carocci Faber, Roma 2003, p. 65.

Page 10: Scarica qui il progetto

10

davanti, soprattutto quando questa persona non è in grado di comunicare o

di esprimersi correttamente. Spesso si provano disagio, imbarazzo ed anche

un senso di frustrazione perché è difficile (a volte quasi impossibile) riuscire a

capire totalmente questi malati.

Tuttavia, è vero che “ogni comportamento è comunicazione”5: il malato, per

esempio, può non essere in grado di dire che ha caldo, ma continuare a

svestirsi; oppure rifiuta di uscire dalla stanza, perché ha paura di farsi vedere

così dagli altri; oppure appare ansioso verso le cinque del pomeriggio, perché

i suoi “bambini” non sono ancora rientrati da scuola; oppure cade, forse

perché i farmaci che assume gli creano problemi nel mantenimento

dell’equilibrio, o perché non sta bene. “Il fatto che ogni comportamento sia

comunicazione non significa che sia facile capire che cosa comunica”6; inoltre,

è necessario ricordare che il malato può comunque sempre riuscire ad

interpretare o mal intendere le parole ed i gesti di chi ha accanto. Succede

agli operatori, in alcuni frangenti, di non capire perché l’ospite è irritato o

arrabbiato: è necessario rendersi conto che le sue reazioni di rabbia o di

protesta a volte non sono necessariamente rivolte al contenuto delle parole di

chi se ne occupa, ma al modo in cui fisicamente questa persona si pone a lui.

La comunicazione non verbale non è solo un utile aiuto quando le parole non

bastano: attraverso il contatto visivo, la musica, la gestualità, la prossimità

nello spazio, il tono della voce, cioè attraverso il corpo, si comunica molto.

Spesso si sottovaluta l’importanza della comunicazione non verbale e

rischiano di compromettere il loro rapporto con il paziente.

Nelle righe precedenti ho sottolineato l’importanza e il valore della gestualità:

carezze, abbracci, strette di mano sono fondamentali e permettono

quotidianamente di instaurare una relazione con gli assistiti. E’ necessario

5 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 49. 6 Ibidem, p. 50.

Page 11: Scarica qui il progetto

11

diventare creativi, adattarsi alle varie situazioni cercando di utilizzare anche

un nuovo lessico, un vocabolario nuovo, ma familiare alle persone di cui ci si

prende cura: spesso nascono neologismi e sono proprio questi che gli

permettono di conversare e stare in contatto con gli ospiti!

La stimolazione del malato va pertanto a coinvolgere più aspetti:

� AREA LINGUISTICA

La vita del Caffè diventa un modo ed un’occasione per stimolare la persona a

parlare ed a combattere l’isolamento

� AREA FUNZIONALE

Nel Caffè il paziente può godere di una certa autonomia ed essere coinvolto a

livello pratico in ciò che si fa � trovare dei lavoretti che stimolino e potenzino

per quanto possibile le sue capacità residue

� AREA EMOTIVA

Essere coinvolti nelle attività e nella vita di comunità consente al malato di

sentirsi ancora utile (ci sarà un’iniziale valutazione al fine di comprendere le

reali possibilità e capacità del malato per non rischiare di farlo sentire inutile o

incapace)

� AREA COGNITIVA

Il dialogo e le attività svolte con l’utente devono permettergli di raggiungere il

più alto grado di autonomia consentitagli ancora dalla malattia.

1.2.1.3 ATTIVITA’ DI ORIENTAMENTO SPAZIO – TEMPORALE.

Lo scopo di tale attività è cercare di ridurre il disorientamento spazio-

temporale.

� la Rot formale

� la Rot informale.

Page 12: Scarica qui il progetto

12

La più utilizzata pare essere la seconda. Può essere portata avanti da

chiunque si occupi del malato: ogni caregiver, durante il giorno, ricorda al

paziente chi è, dove si trova, che ore sono, cosa succede attorno a lui.

1.2.1.4 ATTIVITA’ DI GIARDINAGGIO

Innaffiare e prendersi cura dei fiori, piantare ortaggi, occuparsi del giardino e

dell’orto può essere un’attività stimolante per il malat, perché lo coinvolge e

stimola tutti i suoi sensi permettendogli di ricordare, di sentirsi ancora utile e

capace.

1.2.1.5 ATTIVITA’ DI CUCINA

L’attività di cucina occupa principalmente le donne, crea molta soddisfazione

sia negli ospiti che nei caregivers e consiste nel preparare la colazione o la

merenda e nella preparazione di cibi (primi, secondi, contorni o dolci)

preconfezionati (e non solo).

Ha come obiettivo il recupero della memoria, della manualità, delle abitudini,

della memoria olfattiva e delle tradizioni.

1.2.1.6 ATTIVITA’ DI VITA DOMESTICA

Anche questo tipo di attività solitamente coinvolge maggiormente le donne,

che amano occuparsi delle faccende domestiche come il lavaggio ed il

riordino delle stoviglie, la preparazione della tavola, la stesura della

biancheria, il rifacimento dei letti.

1.2.1.7 ATTIVITA’ DI SVAGO

Page 13: Scarica qui il progetto

13

Esistono laboratori come quello di cartellonistica (disegnare, colorare,

eseguire collage, ritagliare…), di lettura e commento del giornale, di gioco,

che coinvolgono ed interessano i pazienti.

Tuttavia, per loro è altrettanto importante e significativo sedersi sul divano e

raccontare di sé: molto spesso i loro racconti non rispecchiano veramente i

vissuti, sono fantasie, ma permettere loro di dire, di narrare, di parlare li fa

sentire bene.

Il canto, il ricordo di proverbi o espressioni dialettali, i giochi di memoria (per

esempio nominare gli opposti, i frutti, le città, gli oggetti che si hanno

intorno,…) sono attività che possono essere condotte dall’Educatore e da

qualunque altra persona viva accanto al malato e sono ritenute utili e positive

per i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer. L’obiettivo di tali attività è

quello di mantenere e di riattivare comportamenti comunicativi il più possibile

adeguati.

Anche la partecipazione a feste e momenti di divertimento è necessaria.

Prima si è accennato alla musica: non solo gli anziani amano cantare, ma,

spesso, apprezzano ballare ed anche chi non è più in grado di farlo, gradisce

osservare gli altri farlo.

La musica è molto rilassante per il paziente demente, specialmente per gli

anziani iperattivi e confusi. E’ per questo motivo che nella maggior parte dei

Centri c’è un sottofondo musicale a basso volume.

Per quanto riguarda invece i programmi televisivi, alcuni desiderano vederli,

altri li ignorano, non li riconoscono o ne sono infastiditi.

Grazie alle varie attività ed i poliedrici interventi oggi si riesce a ridurre al

minimo indispensabile la somministrazione farmacologica ed aumenta il

numero delle strutture nelle quali non si utilizza alcun tipo di contenzione

fisica, nonostante i pazienti ospitati spesso siano piuttosto agitati e

Page 14: Scarica qui il progetto

14

fisicamente aggressivi.

E’ la relazione, è il comportamento dell’operatore (e del familiare

adeguatamente formato), che mette prontamente in atto strategie di

intervento quando il demente è agitato, a far sì che il paziente si tranquillizzi.

Occorre distrarre l’ospite, occuparlo, offrirgli nuovi stimoli, isolarlo da ciò che

ha scatenato il comportamento aggressivo: molti di questi frangenti si

risolvono relazionandosi all’ospite in modo adeguato (ad es. risulta utile, in

molte occasioni, portarlo semplicemente a fare una passeggiata).

Attività manuali di manipolazione possono essere utili per permettere

all’ospite di scaricare la sua ansia, ma servono anche a stimolare l’assistito dal

punto di vista funzionale, sociale e neuro-cognitivo.

1.2.1.8 ATTIVITA’ DI BASE

Ogni momento è educativo, ogni istante è educativo. Stimolare il paziente

demente ad alimentarsi autonomamente e a vestirsi da solo costituisce

un’attività che va portata avanti da tutti, familiari ed Educatore.

Per quanto concerne l’alimentazione, c’è l’ospite che non si alimenta o si

alimenta troppo poco, o chi, dopo aver mangiato, vuol mangiare ancora

perché non ricorda di aver mangiato. In quest’ultimo caso può essere utile

consigliare ai familiari di distribuire i pasti nell’arco della giornata in modo che

siano frequenti. Spesso l’ospite confonde le posate, non le usa nel modo

corretto, rovescia l’acqua fuori dal bicchiere, nasconde il cibo, gioca con la

tovaglia e getta per terra tutto ciò che ha di fronte. Ecco allora che risulta

efficace posizionare in mano le posate ed aiutarlo ad iniziare il pasto; usare

stoviglie di plastica (se cadono non si rompono e non costituiscono un

pericolo) e colorate (per la stimolazione visiva); versare l’acqua direttamente

nei bicchieri; sminuzzare il cibo; servire una portata alla volta. E’

Page 15: Scarica qui il progetto

15

fondamentale non imboccare il malato. Inizialmente si deve considerare

positivo il semplice fatto che l’anziano riesca ad alimentarsi da solo anche

parzialmente, per riuscire poi a progredire e riacquisire l’abilità.

Anche tutto ciò che riguarda il vestirsi comporta un’adeguata attenzione. Il

malato spesso confonde i vestiti, non li riconosce, li indossa in modo sbagliato

(si infila la camicia come fosse un paio di pantaloni, si mette la camicia senza

aver tolto il pigiama,…). E’ utile permettere al malato di vestirsi ancora

autonomamente: è necessario, però, per i caregivers adottare degli

accorgimenti, come, ad esempio, guidarlo attraverso stimolazioni verbali,

lasciando gli abiti da indossare in sequenza sul letto.

L’esercizio fisico è importante per chiunque, ma sicuramente ancor di più per

gli anziani affetti da demenza. E’ importante accompagnare il paziente a

passeggiare, non solo perché ciò costituisce un efficace strumento per

mantenere e conservare le abilità motorie, ma perché costituisce un

momento di socializzazione. Inoltre ciò permette all’anziano di mantenere un

ritmo sonno-veglia regolare: se l’ospite viene stimolato di giorno, certamente

sarà stanco e dormirà facilmente di notte.

N.B.

� Le attività descritte possono essere una strategia per ridurre e/o

“tenere sotto controllo” i disturbi comportamentali

� Sono tutte attività che possono essere svolte da un familiare “educato”

e formato a tal fine

Purtroppo vi è il rischio da parte di chi si occupa del paziente di sottoutilizzare

le risorse funzionali residue. Invece, se si osserva attentamente il paziente

demente, possiamo notare come egli possieda ancora delle funzioni che

apparentemente sembrano perse come la capacità di vestirsi, camminare,

Page 16: Scarica qui il progetto

16

lavarsi ed alimentarsi. E’ importante tener presente che non è un beneficio

per il soggetto che qualcuno si sostituisca a lui e, pertanto, è un errore

imboccare il malato che ancora può mangiare da solo, anche se con le mani,

anche se in tempi lunghi, anche se si sporca tutto, o vestirlo ancora quando

riesce ad indossare la camicia e i pantaloni in modo autonomo. Ecco allora

che per il paziente demente è opportuno offrire un’assistenza che abbia come

obiettivo il miglioramento della qualità di vita e il raggiungimento del

massimo livello di autonomia possibile tramite il potenziamento delle capacità

residue.

Gestire una persona anziana affetta da demenza non significa sostituirsi a lei

“facendo le cose al posto suo perché non è più in grado di fare”, bensì

supportarla, sostenendo le funzioni ancora esistenti e compensare la perdita

di abilità che subisce. Ciò significa che il caregiver diventa una “protesi”,

esattamente come la sedia a rotelle ha funzione di supporto per chi non è più

in grado di camminare. Solo così è possibile rallentare la progressione della

malattia e migliorare in modo significativo la qualità della vita dei pazienti.

I dati disponibili negli Istituti di Riabilitazione Geriatrica e nei Nuclei Alzheimer

delle Residenze Protette permettono di affermare che, pur non potendo

arrestare il declino cognitivo-funzionale e comportamentale della demenza, è

tuttavia possibile rallentarne la progressione e migliorare in modo significativo

la qualità di vita dei pazienti.

“È importante ricordare pertanto che, malgrado l’evoluzione progressiva della

malattia, c’è sempre spazio per fare qualcosa, perché il malato viva e possa

vivere con dignità. C’è sempre spazio per tamponare lo stress e conservare

una buona qualità di vita.

Ciò non significa adottare un atteggiamento forzatamente dominato da un

vuoto ottimismo, ma, al contrario, è necessario sapere che, anche per i malati

più gravi, esiste sempre l’opportunità per migliorare le condizioni di vita. Lo

Page 17: Scarica qui il progetto

17

sforzo di creare condizioni che contrastino le sopraggiunte disabilità richiede

affetto, pazienza, ottimismo, fantasia e versatilità; queste qualità vengono

mostrate dalla grande maggioranza dei caregivers che si impegnano affinché

il paziente o il proprio caro possa vivere “comunque” nel migliore dei modi.

L’amore, la generosità, l’affetto e la gratitudine possono essere confermate e

rafforzate, ed il senso di frustrazione attenuato dalla conoscenza della

malattia e da alcuni consigli su come gestire i problemi assistenziali.

L’atteggiamento più corretto deve pertanto evitare da una parte il senso di

disperazione e di impotenza, dall’altra le false speranze.

Durante l’intero decorso della malattia, al fine di limitarne le conseguenze e di

rallentarne l’evoluzione, è possibile ricorrere agli interventi riabilitativi, che

consistono in un complesso di approcci che permettono di mantenere il più

elevato livello di autonomia compatibile con la malattia.

Le manifestazioni cliniche delle demenze, che possono essere oggetto di

specifici interventi riabilitativi, sono molteplici e riguardano i deficit cognitivi

(memoria, linguaggio), i deficit sensoriali (vista e udito), i sintomi depressivi,

le alterazioni del ciclo sonno-veglia (insonnia), le turbe dell’alimentazione, i

deficit motori e la disabilità nelle attività della vita quotidiana.

Le principali strategie e metodiche7 impiegate nel paziente demente sono

molteplici, anche se molte di queste sono ancora poco diffuse.

La riabilitazione con il paziente demente si prefigge il duplice obiettivo di

limitare l’impatto di condizioni disabilitanti e di stimolare le capacità residue, e

le strategie di intervento sono differenti a seconda del livello di gravità della

malattia: le mnemotecniche, la stimolazione della memoria procedurale e la

terapia di Riorientamento alla realtà trovano spazio nelle fasi iniziali della

malattia; la terapia di Reminiscenza e di Rimotivazione nelle fasi iniziali ed

intermedie; la terapia di Validazione nelle fasi intermedie ed avanzate. 7 Confronta Allegato I.

Page 18: Scarica qui il progetto

18

Le tecniche riabilitative per le quali è stata dimostrata una maggiore efficacia

nei pazienti affetti da demenza sono la terapia di Riorientamento nella realtà

(ROT), le terapie basate sulla stimolazione della memoria automatica

(procedurale) e l’impiego di ausili mnesici esterni”8.

8 AA. VV., Non so cosa avrei fatto oggi senza di te. Manuale per i familiari delle persone affette da demenza, Regione Emilia Romagna, Modena 2003, pp. 38 - 42.

Page 19: Scarica qui il progetto

19

1.2.2 ATTIVITA’ COL CAREGIVER

E’ importantissimo il contributo dei caregivers e, allo stesso tempo, è

necessario comprendere quanto anch’essi abbiano bisogno di accoglienza,

ascolto ed attenzione. Uno dei compiti dell’Educatore è proprio quello di

occuparsi del parente, sostenerlo, accoglierlo, coinvolgerlo, al fine di “essere

insieme” nella sua cura.

E’ importante perseverare nell’osservazione e nello scambio di vedute con chi

si occupa dei malati: ogni giorno, ogni ora, ogni minuto è possibile imparare

qualcosa di nuovo: ecco perchè diventano fondamentali il confronto e lo

scambio d’informazioni con i familiari dei pazienti.

Le attività col caregiver si dividono in due gruppi:

1. Aiuti di tipo pratico

2. Sostegno di tipo emotivo

1. Aiuti pratici

� Il Caffé può aiutare il caregiver nella preparazione alle fasi

successive della malattia: chi ha il proprio caro alle prime fasi

della malattia tramite l’osservazione di parenti di pazienti in fasi

più avanzate può capire e prepararsi a quanto accadrà in futuro al

proprio caro

� Il caffè può essere considerato per certi aspetti una sorta di

“Banca del tempo” dove il familiare che ne ha bisogno può

lasciare l’assistito per qualche ora al giorno, certo che un altro

parente glielo assisterà: egli, a sua volta si renderà disponibile per

la volta successiva

Page 20: Scarica qui il progetto

20

2. Sostegno emotivo

� Nel Caffè si cerca di favorire il dialogo tra i caregivers secondo

modalità di aiuto e mutuo auto-aiuto

� Si cerca di facilitare la rielaborazione del proprio vissuto tramite

un dialogo individuale

� Diventa un momento formativo – informativo dove il caregiver

può ricevere chiarimenti sulla malattia, sulla sua evoluzione e su

comportamenti, interventi ed accorgimenti da adottare.

Page 21: Scarica qui il progetto

21

ALLEGATO I

Page 22: Scarica qui il progetto

22

GLI INTERVENTI RIABILITATIVI

Esistono interventi riabilitativi ovvero strategie finalizzate a ridurre l’impatto

della malattia, limitarne le conseguenze e rallentarne l’evoluzione. Tali

approcci permettono al paziente demente di mantenere il più alto livello di

autonomia e di qualità di vita possibili, compatibilmente con le sue condizioni

cliniche.

� La Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT)9

La Rot è una tecnica di riabilitazione psicogeriatrica definita da

James Folsom e Lucille Taulbee nel 1966 che indirizza i suoi

interventi a stimolare le funzioni cognitive del soggetto e con la

quale ci si prefigge di riorientare il paziente confuso rispetto

all’ambiente, al tempo ed alla propria storia personale. In pazienti

affetti da compromissione cognitiva lieve si dimostra efficace nel

rallentare l’evoluzione della malattia migliorando sensibilmente le

risposte dei soggetti alle domande di orientamento.

Il suo costante utilizzo, inoltre, dà un senso e uno scopo all’attività

di chi assiste, cura e promuove un’atmosfera di coinvolgimento

anziché di apatia e di indifferenza.

Esistono due principali modalità di ROT: informale e formale.

La Rot informale prevede un processo di stimolazione continua

che implica la partecipazione degli operatori socio-sanitari e

familiari, i quali, durante i loro contatti col paziente nel corso della

giornata, gli forniscono ripetutamente le informazioni. Fin dal

risveglio è utile comunicare informazioni sul giorno, la stagione, il 9 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 102 - 104.

Page 23: Scarica qui il progetto

23

nome dei familiari. La continua ripetizione di indicazioni e notizie

aiuta il malato a conservarle maggiormente nel tempo.

Tutti coloro che avvicinano il paziente disorientato, siano essi

educatori, infermieri, assistenti, terapisti, medici, parenti,

volontari, dovrebbero sfruttare ogni occasione delle giornata per

mettere in atto questa forma di terapia.

Ogni attività quotidiana costituisce un’opportunità di

conversazione.

Le stimolazioni sensoriali hanno l’obiettivo di coinvolgere nella

loro globalità le capacità ancora integre del soggetto per riportarlo

nel “qui e ora”: si incoraggiano le risposte e le ripetizioni, si usano

le esperienze passate come aggancio al presente o agli eventi

quotidiani.

Sarà accortezza dell’operatore condurre il dialogo in modo

equilibrato tra la difficoltà delle domande e il ridimensionamento

delle risposte scorrette del paziente, al fine di non creare inutili

frustrazioni.

L’operatore deve essere sicuro di avere informazioni aggiornate e

corrette sui pazienti, per esempio dove hanno abitato, la loro età,

le circostanze familiari e gli eventi importanti accaduti.

La Rot formale viene eseguita da uno o più terapisti esperti in una

stanza idonea. E’ organizzata in sessioni di piccoli gruppi (da due

o cinque persone) o individualmente a seconda del grado di

confusione, disorientamento, funzionalità dell’utente demente ed i

pazienti vengono divisi in gruppi omogenei per abilità mentale.

La stanza della terapia deve essere arredata in modo da ricordare

una stanza di un’abitazione, con un orologio con grossi numeri

Page 24: Scarica qui il progetto

24

appeso al muro visibile a tutti, un calendario con foglietti

asportabili quotidianamente che mostri la data corrente e una

lavagna.

L’inizio della sessione è dato dalla presentazione per nome di tutti

i partecipanti, si prosegue introducendo la data, il giorno della

settimana, l’ora, il luogo dove si svolge la seduta (in questo modo

si effettuano delle stimolazioni all’orientamento spazio-

temporale).

Successivamente si passa ai ricordi: gli argomenti ricorrenti per

gli uomini riguardano la guerra (quando è finita la prima guerra

mondiale e la seconda?), lo sport, gli hobbies; per le donne i figli,

la casa,...

E’ importante mantenere lo stesso orario di inizio della sessione e

la durata, per il livello di attenzione richiesto, non deve superare i

30-45 minuti circa. La frequenza varia, a seconda dei centri in cui

viene praticata, da tre a cinque volte la settimana.

La relazione con il paziente deve essere cordiale, disponibile.

Nel gruppo il nome della persona si deve esprimere così come egli

desidera farsi chiamare; il “tu” si rivolgerà quando il paziente è

disposto ad accettarlo. Alcuni soggetti dimostrano un maggiore

formalismo e preferiscono il “lei”, anche se spesso crea

confusione; si può ovviare rivolgendosi ai pazienti chiamandoli con

il proprio nome di persona preceduto da signor o signora.

I successi riscontrati durante una sessione di Rot vanno rafforzati

con accorgimenti o gratificazioni verbali e non verbali. Si dirà

“molto bene”, “è proprio così” e contemporaneamente e

Page 25: Scarica qui il progetto

25

successivamente si annuirà con la testa, con le mani. E’ bene mai

utilizzare rinforzi negativi, come “male”, “ha/hai sbagliato”, meglio

limitarsi a dire che non fa niente se non si ricorda, che non è

importante, oppure facilitare il soggetto nella risposta.

� Gli interventi finalizzati a migliorare la memoria

procedurale (è una memoria di tipo automatico, vale a dire

quella che controlla le normali attività quotidiane) si sono

dimostrati utili nel migliorare i tempi di esecuzione di alcune

attività della vita quotidiana e potrebbero avere favorevoli

ripercussioni sulla qualità di vita del paziente e dei familiari.

� Anche l’impiego di ausili mnesici esterni (diari, segnaposto,

suonerie) si è dimostrato efficace, nei pazienti affetti da malattia

di Alzheimer lieve, nel migliorare la memoria per fatti personali,

per appuntamenti e nel favorire il livello di interazione sociale del

paziente.

� La Terapia di Validazione (Validation Therapy)10 si basa su

un rapporto empatico con il paziente; la comunicazione con il

paziente prevede che vengano accettati la realtà nella quale il

paziente vive ed i suoi sentimenti, anche se questi sono collocati

lontano nel tempo. Si applica al paziente con decadimento

moderato o severo le cui scarse risorse cognitive residue

renderebbero vani i tentativi di riportare il paziente “qui ed ora” e

10 Ibidem, pp. 104 – 107.

Page 26: Scarica qui il progetto

26

permette di comprendere e di gestire i suoi cambiamenti

comportamentali e di origine emotiva.

La Validation Therapy è l’approccio terapeutico sviluppato da

Naomi Feil11 tra il 1963 e il 1980 nell’Ohio. Dopo anni di lavoro

con persone anziane disorientate l’autrice rinunciò al tentativo di

ricondurle alla realtà poiché capì che ritornando al passato i

soggetti disorientati acquistavano il senso della sopravvivenza.

La Validation Therapy è un metodo che propone di:

● restituire la stima di sé;

● ridurre la tensione;

● dare un senso alla vita;

● aiutare e chiarire i contrasti non risolti del passato esprimendo

le emozioni;

● migliorare la comunicazione verbale e non verbale;

● migliorare il portamento e il benessere fisico.

I principi fondamentali sviluppati dalla Psicologia Comportamentale

Analitica e Umanistica sono fondamentali per la comprensione di questa

tecnica. Quando la memoria recente (memoria a breve termine) diventa

debole, le persone molto anziane ripristinano il loro equilibrio

richiamando i ricordi remoti.

I ricordi lontani, ben conservati, persistono nelle persone anziane

disorientate i cui comportamenti hanno dietro di sé una causa legata a

vissuti rimossi nelle fasi precedenti della malattia.

L’autrice nel suo testo riporta la teoria di Erik Erikson degli stadi della

vita e dei relativi compiti. “Nella prima infanzia dobbiamo imparare ad

11 Definizione a cura della Wfot (Federazione mondiale dei terapisti occupazionali), 1999 op. cit. in D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 99.

Page 27: Scarica qui il progetto

27

avere fiducia…Se il neonato non può avere la sicurezza che sua madre

tornerà, non imparerà poi a essere fiducioso…Quando questo bambino

diventerà un uomo anziano che cade perché le sue ginocchia artritiche

non lo sostengono più, accuserà la donna delle pulizie di aver

deliberatamente dato la cera sul pavimento per farlo cadere.”

Il metodo Validation aiuta l’anziano disorientato ad esprimere e

comprendere la sua realtà interiore.

Gli operatori che applicano questo metodo non esprimono giudizi e non

si impongono alla persona cercando di convincerla del presente.

L’empatia è intesa come percezione dell’interiorità del soggetto, come

partecipazione al suo universo personale; essa sollecita l’operatore ad

affinare la sua sensibilità personale per cogliere il mondo interiore del

paziente, rimanendo sempre se stesso.

Per mettere in pratica il metodo è importante:

● conoscere la persona disorientata con la quale si sta lavorando

(relazioni familiari, personalità di spicco, morte di persone importanti,

impieghi e passatempi, importanza della religione, modalità con cui la

persona affronta le crisi, come la persona ha affrontato le perdite

conseguenti la vecchiaia, la storia clinica);

● osservare le sue espressioni verbali e non verbali, il suo

comportamento spontaneo ed emotivo;

● individuare lo stadio di disorientamento e la tecnica più idonea da

usare. Esempi di alcune tecniche sono i seguenti. Nelle fasi iniziali della

malattia, quando sono presenti i primi disturbi dell’orientamento e il

paziente si mostra confuso, è necessario sintonizzarsi con lui ed

esplorare i fatti in questione con domande in merito a “chi?, che cosa?,

Page 28: Scarica qui il progetto

28

dove?, quando?”. Riformulare i concetti ripetendo il “nocciolo” di ciò che

il paziente ha detto usando le sue parole chiave: se afferma che gli

rubano qualcosa (solitamente la biancheria, la borsa…) chiedere

quante volte hanno rubato. Aiutare il paziente a immaginare cosa

accadrebbe se fosse vero il contrario; richiamare i ricordi.

Nelle fasi avanzate della malattia, quando è presente costante

confusione temporale, è indicato usare il contatto fisico (quando è

accettato dal paziente). E’ indispensabile avvicinare il paziente standogli

davanti, entrando nel suo campo visivo, accostarsi lateralmente può

spaventarlo poiché la visione periferica viene meno limitandosi al campo

centrale.

E’ opportuno parlare con tono di voce tranquillo, chiaro, staccando le

parole; usare un linguaggio semplice accompagnato dai canali di

comunicazione non-verbale (gesti, postura…) e risulta utile modulare

una voce rassicurante: toni aspri possono portare il paziente a chiudersi

in sé stesso o a scatti di collera ed aggressività.

Non bisogna agire in fretta, ma occorre informare il paziente di quello

che si sta facendo, in particolar modo durante le azioni passive: quando

lo si sta vestendo, lavando, spostando o posizionando. Dopo aver svolto

il compito, inoltre è positivo ringraziare sempre l’ospite per la

collaborazione.

Rispettare le emozioni e immedesimarsi con il paziente nelle sue

emozioni con l’espressione del volto, la respirazione, il tono della voce.

Può essere utile richiamare alcune esperienze della vita nelle quali si

sono provate le stesse sensazioni.

La terapia di Validazione si applica all’anziano con decadimento

Page 29: Scarica qui il progetto

29

moderato o severo le cui scarse risorse cognitive residue renderebbero

vani i tentativi di riportarlo nel “qui e ora”. L’autrice dedica

un’attenzione particolare anche all’ultimo stadio della malattia da lei

chiamato “Vita vegetativa”.

“Le caratteristiche fisiche di questo stadio sono:

● gli occhi per lo più chiusi, lo sguardo non è focalizzato o è vacuo;

● i muscoli sono atrofici;

● il paziente è abbandonato su una sedia o giace a letto nella

posizione fetale;

● i movimenti sono appena percettibili”

“Le caratteristiche psicologiche sono:

● il paziente non riconosce i parenti prossimi;

● il paziente raramente esprime sentimenti di qualsiasi genere;

● il paziente non inizia attività di alcun genere;

● non c’è modo di conoscere se il paziente ha risolto i suoi problemi.”

Nella fase finale le parole che vengono pronunciate dal paziente sono

sempre più rare e la comunicazione verbale lascia il posto a quella

corporea. “Di fatto le capacità che il soggetto apprende da bambino

vanno via via perdute, nell’ordine esattamente contrario a quello con il

quale sono state acquisite e spesso secondo la stessa tabella di

marcia.”12

Gli operatori che si prendono cura della persona in questa fase della

malattia devono privilegiare un tono di voce rassicurante e il contatto. I

12 T. SMITH, Convivere con l’Alzheimer, Editori Riuniti, Roma, 2001 op. cit. in D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer , op. cit., pp. 104 – 107.

Page 30: Scarica qui il progetto

30

segnali d’intesa con il paziente sono minimi; spesso un contatto visivo, i

movimenti facciali o delle mani e dei piedi o un sorriso possono

rappresentare validi segnali di relazione.

� Nell’ambito degli interventi psicoterapici uno spazio a sé occupa la

Terapia di Reminiscenza (rassegna di vita, rievocazione di

momenti significativi) che si fonda sulla naturale tendenza da

parte dell’anziano a rievocare il proprio passato; il ricordo e la

nostalgia possono essere fonte di soddisfazione ed idealizzazione.

L’obiettivo di questo approccio consiste nel favorire questo

processo spontaneo e renderlo più consapevole e deliberato; nel

paziente demente viene impiegata per il recupero di esperienze

piacevoli della propria vita anche tramite l’ausilio di oggetti o

fotografie.

“La reminiscenza non è solo un raccontare delle storie insieme ad

altri: è riviverle, con-parteciparle in gruppo, emozionandosi ed

usando tutti i sensi. E' cura della relazione, delle tante relazioni,

che abitano ed hanno abitato una vita. E' cura della crisi, standoci

dentro e vivendola fino in fondo, ma trovando anche un modo

positivo, creativo, costruttivo per dare senso al nostro esserci.

Ricordare insieme è una pratica attiva e creativa che può:

• vincere l'isolamento sociale della famiglia, grazie all'espansione

della rete di relazioni significative;

• dar voce a tutti i partecipanti, riconoscendo non solo il bisogno del

malato di essere riconosciuto come persona, ma il bisogno del

carer, altrettanto forte e spesso sottovalutato;

• aiutare a ritrovare o imparare l'ascolto reciproco, la com-

Page 31: Scarica qui il progetto

31

passione, il rispetto per i sentimenti dell'altro;

• far diventare i familiari del malato “consulenti” delle altre famiglie,

scoprendo che si può imparare gli uni dagli altri e darsi sostegno

reciproco;

• ridurre l’effetto stigmatizzante della diagnosi di demenza, che

colpisce non solo il malato, ma tutta la sua famiglia;

• far scoprire la pluralità dei punti di vista su quella che solo

apparentemente è “la stessa malattia”, la stessa situazione,

perché ognuno la vive a modo suo;

• far acquisire competenze attive di cura: dare aiuto, donare le

proprie storie, essere propositivi oltre che chiedere aiuto, ricevere

consigli, mettersi in posizione recettiva (senza tuttavia connotare

di illegittimità questi atteggiamenti comuni);

• aumentare la creatività e la progettualità individuali e familiari,

facendo sperimentare situazioni concrete che possono essere

trasferite nella quotidianità della vita familiare.

Tutto questo significa anche alleviare il peso della cura, la fatica della

crisi e dare quindi un sostegno importante sia per le cure domiciliari, sia

nelle situazioni di ricovero. Grazie alle attività proposte, la famiglia

ritrova un ruolo positivo che le permette di reintegrare la crisi del

proprio funzionamento.

Per reminiscenza si intende un ricordo vago, impreciso nel quale

domina la tonalità affettiva. E’ un processo nel quale emerge un ricordo

o quello che ne resta, sia come il risultato di tale processo. Fare

reminiscenza significa dunque pensare o parlare della propria

esperienza di vita, per condividere le memorie con gli altri e anche per

poter riflettere sul passato. Il contenuto della reminiscenza è sempre

personale e specifico, pertanto rappresenta una via rapida per

Page 32: Scarica qui il progetto

32

conoscere e per apprezzare le altre persone coinvolte.

Quando raccontiamo un ricordo, riveliamo dei piccoli e significativi

dettagli che parlano della nostra vita. Spetta all’educatore,

all’animatore, agli operatori, insomma al conduttore del gruppo,

garantire la tonalità emotiva di base, fare in modo che i partecipanti si

sentano al sicuro e fare in modo che le attività proposte non vengano

mai vissute come dei tentativi di metterli alla prova. Per questo è

importante trattare gli errori commessi dai partecipanti con una vena

umoristica, leggera, che sdrammatizzi la situazione.

Per una persona che soffre di demenza, partecipare ad un gruppo nel

quale si fanno insieme attività nuove e piacevoli, in un’atmosfera di

festa dove l’humour e il sorriso sono di rigore, non può che essere

stimolante. La presenza attiva degli operatori è comunque

fondamentale per suscitare e sostenere l’interesse dei malati nei

confronti di ciò che succede intorno. E’ basilare un’attenzione

personalizzata affinché ciascuno possa davvero partecipare e

contribuire a quello che accade nel gruppo. I conduttori di gruppo non

devono né dovranno aspettarsi risultati miracolosi, ma troveranno

motivo di soddisfazione nel constatare tanti piccoli miglioramenti (per

esempio, il fatto che un paziente già piuttosto deteriorato si mostri

vigile e sereno nel gruppo, anche se non interviene con la parola).

La reminiscenza fa scattare diverse modalità di comunicazione con le

persone affette da demenza. Per farci capire da queste persone è

necessario usare parole, gesti, atteggiamenti corporei e psicologici che

favoriscano la comunicazione ed è fondamentale saper osservare ed

interpretare correttamente i segnali ed i messaggi che a loro volta ci

trasmettono.

Alcune regole consistono:

Page 33: Scarica qui il progetto

33

• nell’utilizzare un linguaggio semplice e dire soltanto una cosa per

volta;

• nel trovare gli stessi modi per dire la stessa cosa per assicurarci di

essere stati ben compresi;

• nell’accompagnare le parole con gesti che aiutino a trasmettere

meglio il significato di quello che viene detto;

• nell’osservare i segnali di comprensione che la persona ci dà ed

interpretarli con immaginazione e creatività.

Saper ascoltare, saper accordare tutta la nostra attenzione e

manifestare interesse per l’altro diventa cruciale con i pazienti dementi.

E’ indispensabile assicurarsi che la persona sia rilassata e si senta

apprezzata e accettata. Per poterci riuscire dobbiamo:

• sederci allo stesso livello del malato;

• rispettare il suo spazio fisico, pertanto non stargli addosso, e

tuttavia favorire il contatto fisico ogni volta che questo sembra

opportuno e appare ben accetto;

• rispettare e accettare quello che la persona dice (per esempio,

evitando di interromperlo, come pure di precederlo quando fa fatica ad

esprimersi);

• lasciare che si possa rimanere in silenzio, senza sentire il bisogno

di colmarlo;

• ricordare quello che la persona ci ha detto e ripeterglielo per

mostrarle che l’abbiamo compreso e memorizzato;

• lasciare alla persona tutto il tempo per potersi esprimere a modo

suo e riconoscere che ciò che dice o comunica ha senso;

• reagire con una partecipazione affettiva adeguata a quello che ci

sta dicendo;

• convalidare il contenuto emotivo di quello che viene espresso,

Page 34: Scarica qui il progetto

34

piuttosto che cercare di focalizzarne il significato letterale o superficiale.

Consapevole dei suoi problemi di memoria, spesso la persona affetta da

demenza teme di non poter produrre dei ricordi. Pertanto, dobbiamo

trovare dei modi per suscitare il ricordo, evitando di porre alle persone

delle domande dirette e fornire al paziente la possibilità di riconoscere

degli oggetti, delle fotografie,…, senza che debba formulare la sua

risposta verbalmente, ma attraverso la mimica, un cenno del capo, un

sorriso,…

Fare reminiscenza è un’esperienza che procura benessere alla persona

che sta evocando i propri ricordi personali, ed anche a quelli che la

ascoltano. La persona anziana malata di demenza prova un grande

piacere nel sentirsi capace di far emergere ricordi passati, che possono

persistere a lungo anche quando quelli di eventi più recenti sono

sfilacciati. La reminiscenza fa rivivere dei periodi della vita nei quali

queste persone erano attive, in buona salute, ha il potere di rievocare i

sentimenti positivi provati allora: fiducia, padronanza di sé, felicità,…

Questo processo permette dunque di lottare contro i sentimenti di

scoraggiamento e di angoscia che affiorano nelle persone ogni volta

che prendono coscienza dei loro deficit intellettivi”13.

� Un’altra tecnica riabilitativa è la Rimotivazione il cui scopo consiste

nella rivitalizzazione degli interessi per gli stimoli esterni, nello stimolare

gli anziani a relazionarsi con gli altri e a discutere argomenti

contingenti.

13 E. BRUCE, S. HODGSON, P. SCHWEITZER, I ricordi che curano. Pratiche di reminiscenza nella Malattia di Alzheimer, Raffaello Corina Editore, Milano 2003, pp. 1-74.

Page 35: Scarica qui il progetto

35

Accanto agli interventi rivolti in modo specifico alle prestazioni mnesiche, è

fondamentale affiancare interventi cognitivi e cognitivo-comportamentali

finalizzati al controllo dei sintomi non cognitivi (cfr. Parte I - Capitolo II).

� Importante è la Terapia Occupazionale14 che orienta i suoi

interventi a mantenere e prolungare nel tempo l’autonomia del

soggetto nelle abilità prassiche e contribuisce ad una migliore

gestione nelle attività della vita quotidiana. Viene definita come il

“trattamento delle condizioni fisiche e psichiatriche che, attraverso

attività specifiche, aiutano le persone a raggiungere il massimo

livello di funzione e di indipendenza in tutti gli aspetti della vita

quotidiana”15. L’aprassia porta il malato di Alzheimer a realizzare

con difficoltà compiti funzionali e gesti precisi, dunque finalizzare i

movimenti ed eseguire compiti in sequenza diventa molto

impegnativo. Le mani non riescono a chiudere il bottone della

camicia, ad allacciare le scarpe, ad aprire una porta, ad afferrare

una forchetta,a chiudere una finestra; per il demente è un

continuo rimandare di intenzioni, di obiettivi piccoli che mai si

concretizzano.

“Eseguire un’attività comprende varie abilità come riconoscere

l’oggetto, seguire una sequenza logica, eseguire dei movimenti

che possono essere automatici o possono essere il risultato di un

pensiero organizzato. Per tali motivi quanto più un’attività è

complessa e strutturata, tanto più sarà difficile per il paziente

14 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., pp. 99 - 102. 15 Definizione a cura della Wfot (Federazione mondiale dei terapisti occupazionali), 1999 op. cit. in D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 99.

Page 36: Scarica qui il progetto

36

portarla correttamente a termine”16. Il grado di difficoltà è

determinato dal tipo di attività (abbigliamento, alimentazione,

igiene personale) e dal livello di deficit cognitivo.

La Terapia Occupazionale considera i bisogni, gli interessi, le

abilità residue ed individua i seguenti obiettivi di intervento:

• mantenere il più a lungo possibile l’autonomia nelle attività

quotidiane non sostituendosi al paziente nelle situazioni in cui è

ancora abile;

• studiare gli adattamenti ambientali intervenendo

sull’ambiente a mano che si modifica il quadro della malattia;

• stimolare interesse e motivazione attraverso attività reali

che mettano il paziente in condizione di esercitare le sue capacità

residue;

• mantenere il massimo livello di funzionalità fisica e mentale;

• adattare gli interventi al livello mentale funzionale.

Due sono le sue aree di intervento:

1. Le attività della vita quotidiana, ovvero tutte quelle attività

umane, personali e sociali, che sono importanti nella vita di ogni

persona e le permettono di sentirsi integrata con l’ambiente di

vita:

• Attività quotidiane per la cura di sé (igiene, abbigliamento,

alimentazione…);

• Attività di cucina e vita domestica;

• Attività di cucito, ricamo, maglia;

• Attività di gioco e svago;

16 B. M. PETRUCCI, Tecniche riabilitative nelle sindromi demenziali, Progetto Alzheimer, Corsi per Operatori, Familiari e Volontari, Alzheimer Italia e ASL 3 Milano op. cit. in D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., pp. 99 -100.

Page 37: Scarica qui il progetto

37

• Attività di musica (canto, ballo, ascolto musicale,…)

• Attività artigianali;

• Attività sociali (parlare, passeggiare, ricordare, pregare).

2. L’ambiente, costituito dagli spazi in cui vive il paziente, dagli arredi e

dagli oggetti che lo circondano, deve essere adattato al fine di orientare

il paziente demente a mantenere il più a lungo possibile la sua

autonomia, evitando situazioni pericolose. L’adozione di interventi

ambientali assume valenza terapeutica fondamentale in condizioni quali

la demenza; le scelte sono condizionate dalle caratteristiche del

paziente, del grado di compromissione, dalla natura e dalla

manifestazione dei disturbi comportamentali. Per favorire l’adattamento

ambientale può risultare utile:

• Eliminare le fonti di pericolo;

• Semplificare al massimo la disposizione degli oggetti riducendo gli

ostacoli (per esempio mobili, sedie o tappeti);

• Evitare o ridurre al minimo i cambiamenti;

• Fornire indicazioni segnaletiche per orientarsi nelle varie stanze

(per esempio la sala da pranzo, bagno, soggiorno,…);

• Fare in modo che le stanze siano ben illuminate ed evitare la

presenza di rumori o di suoni disturbanti, fonti di stress (mantenere

basso il volume del televisore della radio,…);

• Garantire la sicurezza, compensando le inabilità e i disturbi della

memoria e dell’orientamento (per esempio: gli operatori possono

indossare dei distintivi con il nome, il tavolo dove mangia può essere

corredato da un cartellino con il suo nome, …);

I contrassegni di riconoscimento e la segnaletica per l’orientamento

possono essere preparati durante le attività di animazione coinvolgendo

gli stessi pazienti nella realizzazione e permettendo loro di sentirsi utili.

Page 38: Scarica qui il progetto

38

I colori delle pareti, dei pavimenti e degli oggetti (è meglio utilizzare i

colori primari) dovrebbero essere ben contrastati per migliorare la

capacità di discriminazione da parte del soggetto.

Calendari, orologi, oppure una fotografia personale collocata sulla porta

di ingresso della stanza sono certamente altri importanti ausili ambientali

da usare.

Il soggetto affetto da demenza di Alzheimer con grave compromissione

cognitiva e con tendenza al vagabondaggio è sicuramente più al sicuro

se può deambulare in una stanza priva di soprammobili o arredi

ingombranti; al contrario, il paziente con lievi o moderati deficit cognitivi

vive meglio in un spazio il più possibile simile a un ambiente familiare

disponendo di uno spazio personale (il comodino, la poltrona, il posto a

tavola).

Gli interventi finalizzati a modificare l’ambiente in cui il paziente vive

rivestono particolare importanza in quanto consentono una migliore

conservazione dell’orientamento e facilitano il controllo di alcuni sintomi

comportamentali.

Per ultimo ma non per questo meno importante, è bene non dimenticarsi

che la persona confusa spesso non è in grado di riconoscere oggetti o

situazioni pericolose per la salute. A tal fine risulta utile:

● lasciare in vista solo gli oggetti di uso quotidiano (nelle fasi più

avanzate anche gli oggetti quali lo spazzolino o il dentifricio possono

essere usati in modo improprio);

● non lasciare medicinali o prodotti nocivi alla portata di mano.

Page 39: Scarica qui il progetto

39

� La metodologia del Gentlecare17 si orienta al benessere del

paziente attraverso la costruzione di una protesi, di una cura

costituita da spazio fisico, persone e attività. Ogni caso di

demenza di Alzheimer è unico e, poiché la malattia è una

condizione progressiva, i caregivers si trovano a lavorare con

persone che vivono in fasi diverse del loro percorso: i soggetti in

uno stadio iniziale hanno problemi di orientamento nello svolgere

compiti complessi, quelli nelle fasi avanzate sono persone

totalmente dipendenti e bisognose anche per le attività più

semplici.

Le situazioni, i comportamenti e gli atteggiamenti presenti

nell’ambiente che circonda il paziente e nelle persone che si

prendono cura di lui influenzano fino a modificare lo stato di

salute e benessere del soggetto.

Un atteggiamento rinunciatario “Non c’è più nulla da fare” o una

stimolazione eccessiva finalizzata al recupero delle funzioni perse,

compromettono sin dall’inizio qualsiasi azione a favore della

persona affetta da demenza.

Il Gentlecare18, promosso da Moira Jones, è un modello di

intervento protesico che ha come obiettivo il benessere del

paziente e di chi gli sta vicino; esso permette di confrontarsi con

la perdita delle abilità cognitive e sociali proprie del malato di

Alzheimer senza rinunciare a obiettivi di lavoro concreti.

17 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 109 – 111. 18 A. GUAITA, M. JONES, Il Progetto Gentlecare, “Giornale di Gerontologia”, n. 48, 2000; per ulteriori approfondimenti è anche possibile consultare il sito internet www.gentlecare.com in BARBOT D., Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., p. 109.

Page 40: Scarica qui il progetto

40

Parlare di protesi significa fare riferimento a uno strumento o una

struttura artificiale esterna che sostituisce una parte perduta o

deficitaria. Allo stesso principio fa riferimento il modello di

Gentlecare per il quale la protesi di cura è pensata e costruita in

funzione delle caratteristiche del paziente, nel preciso momento

della sua storia personale, per sostenere il suo benessere

funzionale, intellettivo, fisico, psichico ed emotivo.

Fondamentali la conoscenza dell’evoluzione della malattia con i

danni che ne conseguono, le competenze e abilità residue, la

storia biografica del paziente, le sue abitudini, cosa gli piace,

come si presenta, la cura nella presentazione di sé. La raccolta di

questi dati può avvenire attraverso una sinergica collaborazione

dei familiari.

La metodologia di intervento si fonda sulla costruzione di un

ambiente protesico di cura e supporto al paziente nel quale sono

in relazione dinamica tre componenti: PERSONE � SPAZIO

FISICO � PROGRAMMI.

1. Gli operatori che si prendono cura dei pazienti affetti da demenza

devono sviluppare in modo appropriato la loro professionalità, la

capacità di comunicare con il linguaggio verbale e non verbale, la

capacità di osservare, di analizzare e di risolvere i problemi, e non

da ultimo il rispetto e il senso dell’umorismo. Questi elementi

concorrono a motivare gli atteggiamenti e i comportamenti degli

operatori e degli altri caregivers che quotidianamente sono a

contatto con il malato di Alzheimer.

Le persone che curano non sono solo gli operatori socio-sanitari,

ma anche i familiari, i volontari, gli amici ai quali va rivolta la

stessa azione informativa e formativa.

Page 41: Scarica qui il progetto

41

La collaborazione tra lo staff di cura e la famiglia è un elemento

significativo per garantire il benessere del paziente e la continuità

nelle azioni di assistenza; questo obiettivo non è sempre facile da

raggiungere, a volte per la non accettazione della malattia da

parte dei familiari o l’attuazione di comportamenti inadeguati nei

confronti del proprio assistito.

2. Gli elementi caratteristici dell’ambiente sono:

● sicurezza: perché il malato possa muoversi con minor stress

del caregiver;

● familiarità: per facilitare comportamenti sociali adeguati;

● elasticità: per adattarsi ai cambiamenti che caratterizzano ogni

fase della malattia e permettere al soggetto di riconoscersi in un

ambiente a lui idoneo;

● confort: per un ambiente gradevole e non solo protetto.

In sintesi, un ambiente semplice, accogliente, domestico, privo di

barriere architettoniche e che faciliti il riconoscimento da parte del

paziente. Se una stanza è arredata in modo da ricordare una

casa, sarà più facile per la persona disorientata muoversi in un

contesto familiare e sviluppare un miglior livello funzionale.

Nel Gentlecare si dà particolare rilievo anche agli spazi all’aperto,

come il giardino, che favorisce il contatto con gli elementi della

natura, stimolanti nei loro profumi e colori, e al tempo stesso

rilassanti per i soggetti molto compromessi. Sono necessari

percorsi non troppo articolati, privi di barriere architettoniche e

con indicazioni segnaletiche chiare.

3. Si pone l’attenzione ai cosiddetti “Compiti di vita”, tutte

Page 42: Scarica qui il progetto

42

quelle attività che normalmente le persone anziane svolgono nel

quotidiano, come per esempio passeggiare, spolverare, cucire,

riordinare, riparare, pregare, prendersi cura di…

Si devono sviluppare piani di cura che comprendano:

● attività primarie;

● attività necessarie;

● attività significative.

Sono considerate come attività primarie: mangiare, lavarsi,

vestirsi; attività necessarie: riposarsi, dormire, rilassarsi, avere

momenti di privacy; attività significative: tutto ciò che va dal

lavoro allo svago.

Una giornata di normale routine può essere arricchita da tante

occasioni piacevoli e gratificanti, come riempire dei cesti con

gomitoli, oggetti di uso comune, attrezzi da lavoro, disporre fiori e

piante, ordinare la biancheria, apparecchiare la tavola.

Significative anche le attività di carattere espressivo e creativo

come disegnare, cantare, ballare.

Sono importanti gli oggetti di vita della persona e quelli che danno

un carattere familiare e casalingo all’ambiente.

“Questi interventi riabilitativi possono essere applicati sia individualmente che

in gruppo; entrambi gli approcci hanno maggiore probabilità di efficacia se

integrati in un piano che comprenda, oltre ai farmaci, l’educazione della

Page 43: Scarica qui il progetto

43

famiglia o di chi si prende cura del malato. Dal momento che i bisogni del

paziente cambiano nel corso del tempo, è necessario modificare gli approcci

riabilitativi durante la progressione della malattia. La valutazione del clinico è

quindi importantissima nell’assicurare la rilevanza del trattamento”.19

“Nel lavoro quotidiano di cura ed assistenza, ogni operatore è chiamato a

contribuire al “ben-essere” possibile del soggetto, articolando saggiamente le

sue conoscenze professionali nella relazione con l’altro.

Gli approcci riabilitativi suggeriscono strategie di intervento certamente utili

per l’assistenza della persona demente, ma è essenziale una

personalizzazione delle azioni e degli interventi di cura al fine di rispondere in

modo adeguato e il più rispondente ed adeguato possibile ai bisogni della

persona”20.

19 AA.VV., Non so cosa avrei fatto oggi senza di te. Manuale per i familiari delle persone affette da demenza, op. cit., pp. 38-42. 20 D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, op. cit., pp. 111 – 112.

Page 44: Scarica qui il progetto

44

BIBLIOGRAFIA

LIBRI

� AA. VV., Non so cosa avrei fatto oggi senza di te. Manuale per i

familiari delle persone affette da demenza, Regione Emilia Romagna,

Modena 2003.

� D. BARBOT, Fiori sotto zero. Manuale per la formazione degli

operatori addetti all’assistenza dei malati di Alzheimer, Franco

Angeli, Milano 2003.

� V. BELL, D. TROXEL, Il malato di Alzheimer. Manuale per

l’assistenza, Armando Editore, Roma 2001.

� E. BRUCE, S. HODGSON, P. SCHWEITZER, I ricordi che curano.

Pratiche di reminiscenza nella Malattia di Alzheimer, Raffaello

Corina Editore, Milano 2003.

� A. CESTER, P. PIERGENTILI, U. SENIN, La valutazione

multidimensionale geriatria ed il lavoro d’équipe, Ediz. Vega,

Belluno 1999.

� M.G. CHIOZZOTTO, G. ANDREONI, L’anziano e la demenza.

Cause terapie e progetti, Edizioni Vega, Belluno 1998.

� N. FEIL, Il metodo validation. Una nuova terapia per aiutare gli

anziani disorientati, Ediz. Steling e Kupfer, Milano 2000.

� T. FERRERI, L’anziano che si è perso. Il decadimento delle funzioni

cognitivo mentali: prevenirlo e controllarlo, Ediz. Vega. Belluno

Page 45: Scarica qui il progetto

45

1998.

� S. MIODINI, M. ZINI, L’Educatore Professionale. Formazione,

ruolo, competenze, Carocci Faber, Roma 2003.

� C. PETTENATI, P. SPADIN, D. VILLANI, Vademecum Alzheimer,

AIMA.

� T. SMITH, Convivere con l’Alzheimer, Editori Riuniti, Roma 2001.

� O. ZANETTI, M. TRABUCCHI, G. BOSCHI, G. TONINI,

Conoscere e vivere la Malattia di Alzheimer e le altre demenze,

www.italz.it, Federazione Alzheimer Italia 1998.

SITI INTERNET

� www.alzheimer.it

� www.animanziani.it

� www. caregiver.org

� www.centromaderna.it

� www.italz.it

� www.itinad.org

� www.pam.it

� www.terzaeta.com