Sassi e piume - asi-pisa.it · 2 Psicologa specializzanda presso il Centro Senologico AOUP Da circa...

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Sommario 3 Editoriale (Edna Maria Ghobert) 4 Le parole curano (Valeria Camilleri, Emanuela Pluchinotta) 6 Inquadramento clinico del paziente metastatico (Andrea Fontana, Ilaria Bertolini, Claudia De Angelis, Lucrezia Diodati) 8 Carcinoma mammario metastatico: cosa significa cronicizzare la malattia (Elisabetta Landucci) 10 Il processo di metastatizzazione nel tumore della mammella (Cristian Scatena) 13 Immunoterapia (Andrea Michelotti) 15 Le Cure Palliative: l’Hospice come risposta relazionale e clinica ai bisogni della persona (Angela Gioia) 18 Raffreddamento del cuoio capelluto per prevenire l’alopecia da chemioterapia (Liana Martinelli) 19 Progetto «Artemisia»: un percorso integrato alla fisioterapia tradizionale (Ilaria Grella, Eleonora Trifirò) 22 Meditazione e pratiche psicofisiche della Medicina Cinese: una risorsa importante anche per il malato oncologico (Maestro Alfredo Albiani) 27 Estetica Oncologica. Quando l’estetica incontra la terapia e migliora la qualità di vita delle persone in cura per una patologia oncologica (Angela Noviello) 28 Mi curo di Me… (Siria Peretti) 30 La rete oncologica toscana: principi fondanti e nuove prospettive (Gianni Amunni) 31 Il coraggio di testimoniare la propria esperienza. Comunque vita (Maria Luisa Domenichini) 33 Letto per voi. L’incontro di Bodo Kirchhoff (Liana Martinelli) 34 Myanmar, il paese dalle mille pagode (Olimpia Ronga) 37 Andiamo al cinema (Maria Giovanna Guarguaglini) 38 I sapori della tradizione. Quinoa a colori (Tiziana Centonze) 38 … comunque belle (Gohar Sargsyan) 39 http://la vostra posta In copertina: Milena Moriani, olio su tela, 145 x 170 cm www.milenamoriani.com Sassi e piume Rivista di informazione senologica n. 5/2018 Direttore responsabile Tomaso Strambi Redazione Liana Martinelli Olimpia Ronga Edizioni ETS s.r.l. Piazza Carrara, 16-19 I-56126 Pisa Tel. 050/29544 - 503868 Fax 050/20158 [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54 I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] Questo numero è stato chiuso in redazione il 15 gennaio 2018 Autorizzazione del Tribunale di Pisa n. 13/13 del 25.11.2013

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Sommario3 Editoriale (Edna Maria Ghobert)

4 Le parole curano (Valeria Camilleri, Emanuela Pluchinotta)

6 Inquadramento clinico del paziente metastatico (Andrea Fontana, Ilaria Bertolini, Claudia De Angelis, Lucrezia Diodati)

8 Carcinoma mammario metastatico: cosa significa cronicizzare la malattia (Elisabetta Landucci)

10 Il processo di metastatizzazione nel tumore della mammella (Cristian Scatena)

13 Immunoterapia (Andrea Michelotti)

15 Le Cure Palliative: l’Hospice come risposta relazionale e clinica ai bisogni della persona (Angela Gioia)

18 Raffreddamento del cuoio capelluto per prevenire l’alopecia da chemioterapia (Liana Martinelli)

19 Progetto «Artemisia»: un percorso integrato alla fisioterapia tradizionale (Ilaria Grella, Eleonora Trifirò)

22 Meditazione e pratiche psicofisiche della Medicina Cinese: una risorsa importante anche per il malato oncologico (Maestro Alfredo Albiani)

27 Estetica Oncologica. Quando l’estetica incontra la terapia e migliora la qualità di vita delle persone in cura per una patologia oncologica (Angela Noviello)

28 Mi curo di Me… (Siria Peretti)

30 La rete oncologica toscana: principi fondanti e nuove prospettive (Gianni Amunni)

31 Il coraggio di testimoniare la propria esperienza. Comunque vita (Maria Luisa Domenichini)

33 Letto per voi. L’incontro di Bodo Kirchhoff (Liana Martinelli)

34 Myanmar, il paese dalle mille pagode (Olimpia Ronga)

37 Andiamo al cinema (Maria Giovanna Guarguaglini)

38 I sapori della tradizione. Quinoa a colori (Tiziana Centonze)

38 … comunque belle (Gohar Sargsyan)

39 http://la vostra posta

In copertina:Milena Moriani, olio su tela, 145 x 170 cmwww.milenamoriani.com

Sassi e piumeRivista di informazione senologican. 5/2018

Direttore responsabileTomaso Strambi

RedazioneLiana MartinelliOlimpia Ronga

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Questo numero è stato chiuso in redazioneil 15 gennaio 2018

Autorizzazione del Tribunale di Pisa

n. 13/13 del 25.11.2013

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EditorialeEdna Maria GhobertPresidente ASI

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Care amiche, cari amicimentre si raccolgono gli articoli che comporranno

il quarto numero della nostra rivista il cui focus ri-guarda il tumore metastatico, l’associazione sta lavo-rando per la realizzazione del convegno «Belle fuoriper guarire dentro» e quindi mi viene spontaneo uti-lizzare questo tema prima di lasciarvi alla lettura dellepagine che seguono e che, da anni ormai, sono curateda professionisti attenti e sensibili alle problematichelegate al tumore al seno.

Io vi parlerò di ciò che, rispetto alla gravità dellapatologia, può sembrare banale e superficiale e che,invece, ha il potere di spaventare quasi più della stessamalattia perché, anche se siamo state donne non par-ticolarmente attente alla nostra immagine, donne suf-ficientemente sicure di se stesse da non passare trop-po tempo davanti ad uno specchio, la percezione delcambiamento estetico a cui sappiamo di andare in-contro si presenta devastante da subito.

Nella nostra storia, con i nostri impegni familiari elavorativi c’è la visita senologica come sempre, comeprevisto, solo per scrupolo, a cadenze puntuali perchécrediamo nella prevenzione così come crediamo, anzisiamo certe, che ogni controllo ricalchi la situazionedella visita precedente, niente di nuovo, un niente dadichiarare poiché ci riteniamo inattaccabili.

Ognuna di noi si ripete «mi controllo perché così sideve fare, mi controllo per scrupolo perché la preven-zione è il frutto di un’educazione culturale a cui ade-riamo senza riserve, ma il tumore viene alle altre, anoi no figuriamoci…».

E invece… si!E siamo qui, davanti ad un medico che ci sta dicen-

do che abbiamo il cancro e che, con tutta la sua corte-sia e sensibilità ci sta illustrando il percorso studiatoper noi, ma la nostra testa è altrove: perdita dei capel-li, pallore, rush cutanei, alcuni dei segni della malattia,che, per chiunque ci incontrerà, rappresenteranno unrimando continuo alla condizione di malata, urlandociò che non vorremmo dire.

Praticamente un manifesto! Anche se gli anni sono passati ricordo molto bene

quei momenti, di cui successivamente mi sono anchevergognata, quella sensazione di aggressione che pre-varicava la serietà della malattia, quello schiaffo datoalla mia femminilità perché, se è vero che non amavogli specchi, ero ben consapevole del mio essere fem-

minile come requisito innato e sempre presente nellamia quotidianità, così come ero ben conscia che ilmio aspetto, segnato dalla malattia, avrebbe consen-tito a chiunque di profanare il mio pudore e la miariservatezza.

In questi anni di volontariato ho avuto modo di ve-dere le mie stesse sensazioni vissute da decine e decinedi donne alcune delle quali arrivano a pensare di esse-re un oggetto rotto, spesso avvertendo una progressi-va perdita della loro identità di donna.

L’esperienza ci ha insegnato come questo sia il mo-mento per rinforzare e migliorare quella che è statadefinita self compassion, una sorta di autocompassio-ne che, come una risorsa interna, porta comprensionee gentilezza nei confronti di noi stesse.

Infatti durante la sofferenza emotiva questa speciedi benevolenza riflessiva risulta in grado di influenzarepositivamente la nostra capacità di affrontare i rapidi enegativi cambiamenti dell’immagine corporea causatidal trattamento del tumore mammario con una signi-ficativa riduzione della sofferenza emozionale.

Da qui l’attenzione al nostro aspetto e all’esteticaoncologica il passo è breve, anche se solo fino a pochianni fa era impensabile considerare un trattamentoestetico come un «sollievo» alle terapie oncologiche.

Oggi, grazie a queste specifiche cure estetiche èpossibile ridonare il sorriso alle pazienti in cura che-mioterapica e offrire loro un sostegno utile per af-frontare le difficili implicazioni della malattia, cometestimoniano i feedback estremamente positivi fornitida chi vi si è già sottoposto.

Ecco la ragione per la quale la nostra associazioneintrodurrà a breve un servizio di estetica all’interno

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del reparto in modo che, accanto alle terapie oncolo-giche, esista la possibilità di pensare al proprio aspet-to, alla propria bellezza, alla propria femminilità no-nostante il tumore.

Le donne, potendo contare su specifici trattamentiestetici eseguiti da personale appositamente formato,avranno un supporto importante in un momentoparticolarmente delicato, di conseguenza, mitigandogli effetti collaterali delle terapie, miglioreranno non

solo il proprio benessere generale, ma la qualità dellapropria vita.

Ogni donna mantenendo un po’ delle sue sicurezzefarà arretrare di un passo la violenza con la quale ilcancro ci vorrebbe sottomettere e se come associazio-ne non possiamo impedire il gran rumore che i capellifanno quando cadono tutte insieme potremo dire«cancro… mi hai scelta, ti ho ospitato, ora accomoda-ti e non lasciarmi niente di te!!»

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Le parole curanoValeria Camilleri1, Emanuela Pluchinotta21 Psichiatra e psicoterapeuta, psico-oncologa presso

il Centro Senologico AOUP2 Psicologa specializzanda presso il Centro Senologico AOUP

Da circa mezzo secolo, grazie allo sviluppo della bio-medicina scientifica, si è dato un grande risalto ai risul-tati ottenuti negli ospedali e nei laboratori, legati adun’idea di medicina basata sulle evidenze. Tutto ciò,spesso tralasciando l’importanza dell’esperienza del pa-ziente e la sua narrazione, la cui rilevanza all’internodella clinica è diminuita a tal punto quasi da scompari-re (Giarelli, 2005), e portando a quello che Bobbio(2010) ha definito come il ‘paradosso della salute’, ecioè il fatto che nonostante le persone stiano meglio ri-spetto a qualche decennio fa, nei paesi occidentali au-menta l’insoddisfazione nei confronti della medicina.

È ormai un dato di fatto che di fronte alla stessadiagnosi di malattia e alla medicina basata sulle evi-denze che accompagna le varie fasi della terapia, il vis-suto di ogni donna, la sua storia, il bagaglio di mecca-nismi cognitivi ed emotivi visibili, così come di quellipiù intimi e spesso ‘non rivelati’, rendano ciascunaesperienza di malattia assolutamente unica e soggetti-va, modificando l’impatto della diagnosi, della malat-tia e del percorso di cura in generale. La definizione diMedicina Narrativa (Narrative Medicine) ha fatto lasua comparsa nella letteratura scientifica alla fine deglianni ’90. Le radici storiche di questa disciplina vannoricercate nel terreno fertile della Harvard MedicalSchool degli anni ’80, dove predominavano l’approc-cio ermeneutico e fenomenologico e dove questa di-sciplina è nata grazie all’opera di due psichiatri ed an-tropologi, Arthur Kleinman (1980) e Byron Good(1994;1999). Questi Autori considerano la medicinacome un sistema culturale, un insieme di significatisimbolici che modellano la realtà clinica e l’esperienzache ne fa il soggetto malato. Tuttavia, è solo nel 2006che Rita Charon, medico, fondatrice e direttrice ese-cutiva del Programma di Medicina Basata sulla Narra-zione, presso la Medical School della Columbia Uni-versity di New York, porta il paradigma della narra-

zione all’interno della pratica clinica. Il punto di vistadella Medicina narrativa è centrato sulla persona, ca-ratterizzata da una storia individuale originale ed uni-ca, una rete di relazioni sociali, un contesto di vita benprecisi, una maggiore o minore capacità di reagire allasofferenza, alla disabilità, alla possibilità di morire(Malvi, 2011). Ammalarsi infatti, non significa soltan-to soffrire fisicamente e assistere alla trasformazionedel proprio corpo, ma anche vedere stravolte le pro-prie abitudini quotidiane, il lavoro, le amicizie, gli af-fetti. Non a caso, la malattia è stata definita come una«rottura biografica». Una frattura nella trama esisten-ziale individuale, un evento inatteso, che rompe laquotidianità ed al quale si fatica ad attribuire un senso.

La Medicina narrativa può essere inserita all’inter-no delle medical humanities, un movimento mal tra-dotto come umanizzazione delle cure che intravede, afianco ad un importante sviluppo della ricerca medi-ca, degli strumenti di diagnostica e della nuova farma-cologia, un altrettanto importante studio in parallelosulla capacità di riconoscere l’importanza delle scien-ze umane, della comunicazione e della relazione traprofessionisti e pazienti, come strumenti altrettantoindispensabili alla cura e capaci di dare sollievo anchein casi di malattie inguaribili o croniche. Narrare è unmodo fondamentale per conferire senso all’esperien-za umana. Il neurologo Daniel Dennet afferma che:‘Come i ragni tessono ragnatele, così gli uomini co-struiscono storie’ (Lodge, 2009). La logica narrativaopera in maniera diversa dal pensiero digitale e com-putazionale e viene utilizzata ogni qualvolta vogliamocomprendere gli eventi collocandoli nel tempo. È gra-zie ai meccanismi temporali che la narrazione si strut-tura con una trama, con un significato, per dire qual-cosa di noi, del passato e delle aspettative future. Per ilpaziente ogni interazione con un’infermiera o con unmedico può rappresentare un’occasione per ricevere

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informazioni rassicuranti, conforto o sollievo oppure,se la relazione è gestita in modo inappropriato, puòtradursi in sconforto e maggiore sofferenza fino alladisperazione (Goleman, 2001).

La buona pratica medica richiede quindi, da partedei professionisti della salute, «competenza narrati-va», la capacità di riconoscere, assorbire, interpretaree comprendere le storie e i drammi degli altri. GuidoGiarelli, presidente della Società Italiana di Sociologiadella Salute (SISS), in modo provocatorio, affermache «La Medicina Narrativa non esiste, esiste solo labuona o la cattiva medicina, la buona sa usare le nar-razioni, la cattiva no». Per implementare questa ideadi pratica clinica è necessario quindi riscoprire, a fian-co delle competenze tecniche dei professionisti dellasalute, anche quelle emotive. Alla base di tutto vi è unatteggiamento mentale che si basa sulla consapevolez-za di sé, che si concretizza nella capacità di osservare ilproprio pensiero e le proprie emozioni, nell’abilità ariconoscere i propri biases cognitivi ed emotivi (e nel-la volontà di cambiarli) nonché in un atteggiamentodi attenzione nei confronti del paziente e del suo am-biente. Questo atteggiamento mentale del professio-nista dovrebbe comprendere lo sviluppo di intelligen-za emotiva, una maggior tolleranza alla diversità e allaambiguità, un atteggiamento di profondo rispettoverso i pazienti con un senso di responsabilità nei loroconfronti e in quelli della società. Ciò produrrebbe lacapacità di aver cura degli individui che si rivolgonoper ricevere risposte ai bisogni di cura, e soprattutto lapossibilità di lasciarsi coinvolgere da un punto di vistaemotivo.

Negli ultimi anni, grazie anche agli studi di neuro-biologia, l’atteggiamento culturale nei confronti dellasfera delle emozioni si è modificato, con la tendenza aconsiderarle non più componenti irrazionali, ma

aspetti intelligenti della vita (Mortari, 2009). Questoatteggiamento mentale sopra descritto (la consapevo-lezza dei propri pensieri, delle proprie emozioni) e leconseguenti abilità comportamentali, richiedono pri-ma di tutto di essere apprese e di prenderne familia-rità fino a farli diventare un’abitudine mentale piutto-sto che una questione di tempo cronologico. Dallanostra esperienza una buona parte dei professionistidella cura che hanno scelto la professione come ‘mis-sione’ sono aperti ad apprendere tali strumenti, anchein vista di una vita professionale più soddisfacente,minor stress, più ampio benessere e motivazione sulluogo di lavoro. Grazie ai più recenti studi sulla mentesappiamo che molti cambiamenti sono possibili, sem-pre più attenzione è stata rivolta a questi temi e abbia-mo strumenti e conoscenze da investire su abilità re-lazionali e narrative per promuovere la salute. I trai-ning formativi in questi ambiti sono auspicabili inparticolare per i giovani in formazione, all’internoquindi di ambiti accademici istituzionali, come le uni-versità, i corsi di laurea e le scuole di specializzazione.L’esperienza della Medical School della ColumbiaUniversity di New York è il caposaldo di questo lavo-ro. Oltre ai percorsi istituzionali, l’invito è che possa-no esserci progetti inseriti nei piani formativi delleaziende sanitarie e ospedaliere, promossi tra gruppimultidisciplinari di professionisti già inseriti nei con-testi di cura. La proposta di attività formative può as-sumere diversi formati e modalità, sempre finalizzataa promuovere una buona pratica clinica basata, oltreche sulle evidenze scientifiche, anche sugli elementitipici della medicina basata sul paziente e sulla narra-zione ed essere di maggior beneficio nel ridurre quin-di la sofferenza dei pazienti.

Lo psichiatra Eugenio Borgna (2014) nel suo libroLa fragilità che è in noi scrive:

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…In un bellissimo libro di David Khayat, grande oncologo francese, è radicalmente sottolineata l’importanza psicologicae umana delle parole che si rivolgono ai pazienti, e che ne rispettano, o ne lacerano, la dignità e la fragilità. La chirurgia, laradioterapia e la chemioterapia sono ovviamente strumenti essenziali di cura dei tumori, ma ad esse è necessario aggiunge-re, egli sostiene, un altro strumento: quello delle parole. Le parole che si dicono, come quelle che si ascoltano; le parole che sicondividono, che ci uniscono, che riconfortano, o quelle che feriscono. Le parole sono dotate di un immenso potere: sono ingrado di aiutare, di indicare un cammino, di recare la speranza, o la disperazione, nel cuore dei malati che, nel momento incui scendono nella voragine della sofferenza, hanno un infinito bisogno di dare voce alle loro emozioni e al loro dolore, che èdolore del corpo, e dolore dell’anima. Quante persone ferite dalla malattia sono lacerate dalle parole troppo violente, troppodure, troppo inumane, che i medici rivolgono loro. Una diagnosi comunicata in un corridoio o a una segreteria telefonica,un gesto ambivalente che lascia presagire indifferenza o preoccupazione, uno sguardo sfuggente nel momento di risponderea una domanda: tutto può causare angoscia e disperazione. Così, è necessario scegliere parole che possano essere subitocomprese, e che non feriscano. Questo è il compito, non facile ma necessario, di chi cura: creare relazioni umane che consen-tano al malato di sentirsi capito e accettato nella sua fragilità, e nella sua debolezza. Come dice ancora David Khayat: eglimai avrebbe potuto pensare, all’inizio della sua carriera di oncologo, che nella pratica clinica le parole gli sarebbero stateutili come gli strumenti scientifici, ma è stato così; e la parte più importante dell’insegnamento, che egli avrebbe lasciato ineredità ai suoi allievi, sarebbe stato quello di ancorarsi, nella cura, alla bellezza morbida e plastica delle parole: al loro pote-re terapeutico. Sulla scia di quali gentili parole è possibile dire a una paziente che la sua vita è in pericolo, e che sarà forsepossibile salvarla, ma a costo di gravi mutilazioni? Le parole non sono incolori, non sono uniformi, non sono semplici e, solose sgorgano dal cuore e dal silenzio, solo se sono fragili e gentili, umbratili e arcane, lasciano una traccia profonda nell’ani-ma di chi sta male, e chiede aiuto divorato dall’angoscia e dalla disperazione. Ma le parole, certo, non bastano: se i pazientihanno la sensazione che non si sia avuto il tempo di ascoltarli, di comprenderli, di prendere coscienza delle loro sofferenze,penseranno che non tutto sia stato fatto per essere loro di aiuto».

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Inquadramento clinico del pazientemetastaticoAndrea Fontana1, Ilaria Bertolini2, Claudia De Angelis2, Lucrezia Diodati21 Dirigente Medico di I livello presso la U.O. Oncologia Medica 2 Universitaria della AOUP2 Specializzanda nella U.O. Oncologia Medica 2 Universitaria dell’AOUP

Le neoplasie maligne della mammella occupano ilprimo posto per incidenza nel sesso femminile (30%di nuove diagnosi all’anno) e si collocano al secondoposto in ordine di mortalità (15%) dopo il tumore delpolmone (26%).

La malattia mostra una notevole variabilità geogra-fica essendo una patologia prevalentemente dei paesieconomicamente più sviluppati: si passa da un tassodi incidenza di 27 casi/100000 donne nell’Africa Cen-trale e nell’Asia Orientale a 92 casi/100000 donne nelNord America.

Le statistiche italiane più recenti sono in accordocon quanto riportato negli Stati Uniti, pur mostrandouna notevole variabilità tra Nord e Sud. Si è stimatoinfatti che nel 2015 sul territorio nazionale ci sianostate 48.000 nuove diagnosi di carcinoma mammariofemminile, che corrispondono al 30% del totale dellediagnosi di tumore maligno.

Tuttavia, dagli anni novanta ad oggi, si sta assisten-do ad una lieve, ma costante, riduzione della mortalitàcome probabile conseguenza della maggiore diffusio-ne dei programmi di screening nazionali che favori-scono una diagnosi e quindi un trattamento tempesti-vo della malattia oltre che ad un indubbio migliora-mento delle terapie mediche.

Solo il 7% dei tumori della mammella si presentaall’esordio come malattia metastatica; nella maggiorparte dei casi essa viene diagnosticata in pazienti conpregressa storia di neoplasia mammaria già trattata infase precoce (circa il 30% delle pazienti N- (linfonodinegativi) e il 70% di quelle N+ (linfonodi positivi)presenta a 10 anni una ripresa di malattia).

Il carcinoma della mammella è una malattia etero-genea e pazienti con tumori apparentemente similiper caratteristiche clinico-patologiche possono pre-sentare un decorso clinico diverso. Nella pratica clini-ca, la valutazione immunoistochimica dello stato deirecettori per gli estrogeni e per il progesterone e diHER2, permette di individuare grossolanamente 3sottogruppi fenotipici di carcinoma mammario, chehanno una rilevanza clinica, prognostica e implica-zioni terapeutiche importanti: abbiamo quindi i tu-mori ormono-sensibili (che presentano positività peril recettore estrogenico e/o progestinico), i tumoriHER2 positivi ed i tumori cosiddetti triplo negativi(che non presentano positività ne per i recettori or-monali ne per HER2).

Il rischio di recidiva è differente in base al sottotipobiologico che si associa anche a una diversa preferen-za per la sede di recidiva: maggior rischio di metastasiossee ed ai tessuti molli nelle neoplasie ormonosensi-bili e maggior rischio di recidiva cerebrale ed agli or-gani interni (fegato, polmone) nei tumori triplo nega-tivi e nei tumori HER2 positivi.

Gli obiettivi generali del trattamento della malattiametastatica sono rappresentati dal prolungamentodella sopravvivenza, dal ritardare o ridurre la compar-sa dei sintomi, migliorare la qualità di vita e solo incasi selezionati ottenere la guarigione.

La scelta della terapia sistemica verrà effettuata te-nendo conto delle caratteristiche biologiche del tu-more (stato di ER, PgR, HER2 e Ki67) e delle caratte-ristiche cliniche, come estensione della malattia, sedidi malattia (viscerali e non), intervallo libero di malat-tia, precedenti trattamenti, comorbidità, Performan-ce Status e preferenze della paziente.

Nelle pazienti con tumori ormono-sensibili edHER2 negativi, in assenza di crisi viscerale o di signi-ficativa compromissione funzionale d’organo, la or-monoterapia deve essere considerata la prima opzio-ne di trattamento. La terapia ormonale è infatti ingrado di fornire sopravvivenze simili a quelle ottenu-te con chemioterapia, con un minor numero di effet-ti collaterali e con una migliore qualità di vita. La te-rapia ormonale, non deve quindi essere percepita co-me un trattamento meno efficace rispetto alla che-mioterapia solo perché non induce effetti collateraliimpegnativi.

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Gli studi clinici e l’esperienza ci confortano nell’u-tilizzo di questa strategia in prima battuta. Inoltre,nell’ultimo anno, l’introduzione di una nuova classedi farmaci (gli inibitori del ciclo cellulare come adesempio palbociclib e ribociclib) in associazione allaterapia ormonale, ha permesso di ottenere risultatipotenzialmente migliori rispetto alla chemioterapiastessa.

Il trattamento ormonale dovrebbe essere prosegui-to (anche con linee di terapia successive) fino a quan-do è possibile considerare la malattia ormonosensibi-le. La scelta del trattamento (solo ormonoterapia op-pure combinazione di ormonoterapia e farmaci targe-ted – come inibitori del ciclo cellulare o di mTOR) di-pende essenzialmente dall’entità della precedenteesposizione a farmaci ormonali, oltre che dalle carat-teristiche cliniche della malattia e della paziente (inparticolare lo stato menopausale).

Le pazienti con tumore mammario metastaticoHER2 positivo possono presentare contestuale ormo-no-positività e pertanto potrebbero essere potenzial-mente candidabili ad un trattamento ormonale. Vadetto tuttavia che la presenza di HER2 è spesso indicedi una relativa ormono-resistenza e per questo risultaimportante associare un trattamento «mirato» antiHER2 all’ormonoterapia o alla chemioterapia che ri-sulta essere l’unica opzione, invece, nel caso di malat-tia HER2 positiva ma ormono-negativa. Anche inquesto particolare gruppo di neoplasie si è assistitooggi ad un miglioramento delle possibilità di cura le-gate soprattutto all’introduzione di nuovi anticorpi.

Infine la malattia HER2 negativa ed ormono-nega-tiva (cosiddetta triplo negativa), che corrisponde acirca il 10-15% della casistica globale di tumori al se-no, presenta sicuramente la situazione più difficile datrattare, in quanto l’unica arma ad oggi disponibile ri-sulta essere la chemioterapia. Numerosi, tuttavia, so-no gli studi ed i farmaci in sperimentazione in questosottogruppo clinico.

Se si esclude la malattia HER2 positiva in cui il trat-tamento chemioterapico che si accompagna alla tera-pia anti HER2 è relativamente standard e vincolatodall’evidenza scientifica degli studi clinici, nelle altresituazioni si può tranquillamente affermare che nonesista una sequenza ottimale o standard nella sceltadel tipo di chemioterapia.

Risulta, quindi, importante considerare oltre aiprecedenti trattamenti chemioterapici preventivieventualmente utilizzati ed il «carico di malattia» an-che le preferenze della paziente. In alcune situazioni sipuò infatti optare per trattamenti meno aggressivi perquanto riguarda gli effetti collaterali (per esempionon alopecizzanti) o per trattamenti somministratiper via orale.

In sintesi si può affermare che il tumore al senometastatico non rappresenti un’unica entità clinica.Assieme alla variabilità individuale (età e comorbi-dità), all’estensione della malattia (la presenza di sin-tomi o disturbi), vanno considerate anche le caratte-ristiche biologiche della malattia stessa. In casi sele-zionati l’esecuzione di una biopsia a livello della sedemetastatica può mostrare un assetto recettoriale or-monale o di HER2 diverso del primitivo e può quin-di aiutare il clinico nella scelta della migliore terapia.

Ancora una volta la discussione con la paziente ela valutazione attenta delle sue richieste ed aspettati-ve rimangono di centrale importanza nella scelta del-la miglior terapia. Poiché obiettivo principale deltrattamento della paziente con diagnosi di neoplasiamammaria metastatica risulta essere la cronicizza-zione della malattia e contemporaneamente il man-tenimento di una buona qualità di vita lavorativa e direlazione.

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Bibliografia

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Carcinoma mammario metastatico:cosa significa cronicizzare la malattiaElisabetta LanducciDirigente medico presso U.O. Oncologia Medica 1Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana - Istituto Toscano Tumori

Il carcinoma mammario metastatico (la parola me-tastasi deriva dal greco meta, al di là e stasis, stato, po-sizione) definito anche come stadio IV della neoplasiamammaria è un tumore che dalla sua sede primaria siè diffuso ad altre parti del corpo distanti attraverso lavia linfatica e/o ematica. In generale le pazienti meta-statiche sono il 20/30% di tutti i casi di carcinomamammario. Si presenta tale ab inizio nel 7% dei casi,quindi in circa 34000 donne in Italia; nella maggio-ranza dei casi viene diagnosticato in pazienti con pre-cedente storia di neoplasia mammaria spesso già trat-tata con terapie neo/adiuvanti. Il 30% delle pazienticon linfonodi negativi alla diagnosi ed il 70% delle pa-zienti con linfonodi positivi hanno una recidiva a 10anni e il rischio di ripresa di malattia varia nel tempoin funzione del sottotipo biologico ed è associato aduna diversa sede di metastatizzazione.

Il carcinoma mammario non è una malattia singolama eterogenea per cui tumori simili hanno in realtà ca-ratteristiche clinico patologiche diverse con diversaprognosi. In base alle caratteristiche molecolari sonostati identificati quattro sottotipi di carcinomi invasivi:– «Luminali A»: neoplasie con espressione di recet-

tori ormonali a buona prognosi.– «Luminali B»: neoplasie che esprimono i recettori

ormonali ma hanno un rischio maggiore di recidi-va per alto indice proliferativo correlato a altaespressione dei geni di proliferazione.

– «Her 2 positivi»: presenza di Her 2 iperespresso.– «Basal like»: neoplasie senza espressione dei recettori

ormonali e di Her 2 e un’aumentata espressione dellecitocheratine mio epiteliali basali (CK5/6 e CK 17).Nell’ambito di questi sottotipi c’è poi un’ulteriore

eterogenicità.Nella pratica clinica esistono 4 sottogruppi immu-

nofenotipici identificabili tramite l’analisi immunoi-stochimica dello stato recettoriale, Her 2, Ki67:– Luminali A: recettori positivi, Her 2 negativi e bas-

so indice proliferativo.– Luminali B / Her 2 negativi: recettori ormonali po-

sitivi, Her 2 negativo ed alta attività proliferativa.– Luminali B / HER 2 positivi: recettori ormonali po-

sitivi, Her 2 iperespresso ed qualsiasi attività proli-ferativa.

– Her 2 positivi (non luminali): Her 2 iperespresso erecettori negativi.

– Triplo negativi: recettori negativi e her 2 negativo.

In base alle caratteristiche cliniche il carcinomamammario metastatico può essere definito a rischiobasso di mortalità definibile come «malattia indolen-te» se ha un lungo intervallo libero da malattia (> 24mesi dal termine della terapia adiuvante) e/o se ha co-me sedi di metastasi le ossa / tessuti molli, e/o se il nu-mero delle lesioni ripetitive è limitato. Ad alto rischiodi mortalità cioè la cosiddetta «malattia aggressiva»se è presente ad esempio una «crisi viscerale» definitacome uno stato di severa disfunzione d’organo a rapi-da evoluzione e a rischio di morte imminente (es lin-fangite polmonare diffusa, insufficienza epatica o re-spiratoria meningiosi neoplastica) e/o se sono presen-ti un elevato numero di metastasi in diversi organi e/oin caso di breve intervallo libero di malattia dai tratta-menti adiuvanti (< 12 mesi).

Gli organi più spesso colpiti dalla metastatizzazio-ne sono il polmone, il fegato, le ossa e il SNC.

Le ripetizioni scheletriche sono il sito più comunedi metastatizzazione per il carcinoma mammario. Lesedi più comuni sono la colonna vertebrale, le coste, ilcranio, il bacino, gli omeri e femori. In circa il 20-30%dei casi sono la prima sede di ripresa di malattia e sonointeressate nel 60% dei casi di neoplasia metastatica.

Le metastasi ossee possono essere «litiche» quandola distruzione dell’osso è più rapida rispetto alla rico-struzione o «addensanti» (o blastiche) quando la for-mazione di nuovo osso è più veloce rispetto alla di-struzione.

I sintomi più frequenti sono: dolore osseo, fragilitàe fratture, compressione del midollo spinale, insuffi-cienza midollare, ipercalcemia. In generale il sintomoche porta più frequentemente a diagnosticare la pre-senza di metastasi ossee è rappresentato dal dolore oda fratture patologiche.

Gli esami strumentali che vengono richiesti per ve-rificare la presenza di metastasi ossee sono la scinti-grafia ossea o PET e, se necessari ulteriori approfon-dimenti, anche TC mirate o RM.

Il trattamento delle metastasi ossee prevede diversitipi di terapie che possono essere integrate tra loro; te-rapie farmacologiche (chemioterapia/ormonotera-pia/farmaci per prevenire/trattare le fratture, terapie abersaglio molecolare), radioterapia, chirurgia ortope-dica. Il tipo di trattamento varia in base alla storia cli-nica della paziente e alle caratteristiche molecolaridella neoplasia.

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I polmoni sono la seconda sede più frequente dimetastasi del tumore alla mammella; rappresentanola prima sede di ripresa di malattia nel 5-15% delledonne con carcinoma mammario.

Nella maggior parte dei casi la malattia viene dia-gnosticata durante i controlli per sintomi sospettiquali tosse insistente talvolta associata ad emoftoe, di-spnea per sforzi lievi, fatigue, anoressia. Se le metasta-si coinvolgono inoltre la pleura o il pericardio posso-no provocare la formazione di versamento in tali sedi,così da comportare da un punto di vista sintomatolo-gico difficoltà nella respirazione.

Gli esami strumentali per accertare la presenza dimetastasi polmonari sono principalmente la TC deltorace e talvolta la PET. Se non dirimenti altri accerta-menti più approfonditi sono la broncoscopia e la bio-psia delle lesioni TC guidata.

Il trattamento delle metastasi polmonari è essen-zialmente farmacologico e dipende dalle caratteristi-che biologiche delle metastasi, dal numero, sede, di-mensioni. Le terapie farmacologiche comprendonochemioterapia, ormonoterapia, farmaci a bersagliomolecolare. In casi selezionati (es. metastasi singole)una possibile opzione terapeutica può essere la chi-rurgia o la radioterapia stereotassica.

Il fegato è un’altra delle sedi più comuni di metasta-si da carcinoma mammario. In circa il 3/10% delle pa-zienti rappresenta la prima sede di ripresa di malattia.

Le metastasi epatiche possono rimanere indolentiper molto tempo e nella maggioranza dei casi vengo-no diagnosticate con l’ecografia dell’addome chespesso viene richiesta durante il follow up. I sintomipiù frequenti, se presenti, sono la nausea, anoressia,dolore addominale, anemia, ittero e in caso di interes-samento peritoneale comparsa di ascite cioè liquidolibero in cavità addominale.

Gli esami strumentali di verifica della presenza dimetastasi epatiche sono: esami ematici di funzionalitàepatica ed ecografia addominale. Se non sufficientiesami di secondo livello sono rappresentati da RMaddome, TC addome, PET.

Talvolta, poiché facilmente eseguibile, si effettua labiopsia della metastasi epatica per rivalutare i para-metri biologici (Recettori ormonali e status di HER 2)che nel 15-20% dei casi circa possono subire una va-riazione rispetto al tumore primitivo.

Il trattamento delle metastasi epatiche che princi-palmente consiste in trattamenti terapie farmacologi-ci (chemioterapia/ ormonoterapia/farmaci a bersagliomolecolare) può in casi selezionati, a seconda del nu-mero e della sede delle metastasi, avvalersi di terapiechirurgiche locali quali la chirurgia classica, la terapiaablativa e l’ablazione con radiofrequenza.

La possibilità di sviluppare metastasi cerebrali è va-riabile in base alle caratteristiche biologiche di malat-tia; le pazienti con carcinoma mammario Her 2 posi-tivo hanno un rischio maggiore rispetto alle altre, se-guite poi dalle pazienti con neoplasia triplo negativa.

Negli ultimi anni l’incidenza è aumentata per verosi-mile aumento della sopravvivenza delle pazienti concarcinoma mammario metastatico.

I sintomi variano in relazione alla sede coinvolta.Molto frequente è la cefalea associata a nausea (40-50% dei casi di metastasi cerebrali) causata dall’edemaperilesionale; ci possono essere poi disturbi motori,alterazioni della personalità, disturbi della motilità fi-ne, dell’equilibrio, della vista, del linguaggio. Talvoltapossono manifestarsi crisi epilettiche, neuropatie pe-riferiche, confusione mentale, incontinenza, altera-zioni della deglutizione.

Gli esami strumentali diagnostici di metastasi cere-brali sono la TC cranio con mdc e la RM con mdc.

La presenza di metastasi cerebrali richiede semprediscussioni multidisciplinari che coinvolgono l’onco-logo, il neurochirurgo e il radioterapista per la miglio-re scelta terapeutica. Il trattamento infatti dipende dalnumero delle lesioni, dalla sede, delle dimensioni edalla storia clinica della paziente.

Le possibili opzioni terapeutiche sono rappresen-tate infatti dalla chirurgia, dalla radioterapia e dallaterapia farmacologica variamente associate.

Le terapie (chemioterapia, ormonoterapia, immu-noterapia) hanno come obiettivo di impedire la proli-ferazione di nuove cellule tumorali in altri organi e al-lo stesso tempo di ridurre le masse metastatiche pre-senti e quindi di prolungare la sopravvivenza, di alle-viare i sintomi migliorando la qualità di vita e in casiselezionatissimi la guarigione.

Per definire gli obbiettivi del trattamento della ma-lattia metastatica e per la scelta del tipo di terapia de-vono essere considerate le caratteristiche biologiche ecliniche della malattia unitamente al performance sta-tus e alla preferenza delle pazienti.

Il carcinoma mammario metastatico è una malat-tia curabile anche se nella stragrande maggioranza deicasi non è guaribile. Il termine curabile significa che lamalattia può essere tenuta sotto controllo medianteterapie che la possono addirittura mandare in rispo-sta (remissione) completa per lunghi periodi di tem-po. Quando ciò avviene non vuol dire che la malattiaè guarita perché le metastasi tendono a ripresentarsi.

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Il termine anglosassone «metavivor», che è unacrasi tra metastatic e servivor, è stata forgiata per defi-nire «chi vive col carcinoma mammario metastatico»e negli Stati Uniti è da tempo iniziata una campagnadi sensibilizzazione delle coscienze pubblica e scienti-fica a favore di queste pazienti.

A differenza della carcinoma mammario in stadioprecoce (early stage) che è considerata una malattiaguaribile e dove le terapie neo/adiuvanti vengono ef-fettuate a scopo «preventivo» per ridurre il rischio chela malattia possa ripresentarsi, il carcinoma mamma-rio metastatico è una neoplasia per la quale le terapiehanno lo scopo di «cronicizzare la malattia» cioè con-vivere con la malattia mantenendo una buona qualitàdi vita anche per molti anni. In medicina sono moltele malattie che possiamo ritenere inguaribili ma che sipossono cronicizzare; per esempio il diabete o l’iper-tensione. La patologia «cronica» è una malattia checomporta utilizzo di terapie per diversi periodi ditempo, esami strumentali di controllo, visite oncolo-giche periodiche, cambiamenti fisici continui, consi-derando che viene messa in discussione tutta una se-rie di progetti di vita che spesso devono essere modifi-cati o a cui si debba addirittura rinunciare.

Anche gli effetti collaterali delle terapie talvolta im-pauriscono le pazienti, anche se oggi, grazie ai pro-gressi in capo di ricerca scientifica, i trattamenti sono

sempre più tollerabili e gestibili nei reparti oncologiciove sono presenti servizi di ambulatori dedicati pro-prio ed esclusivamente alla gestione delle tossicità daterapia.

Mentre fino a pochi anni fa avevamo a diposizionesolo pochi trattamenti, negli ultimi anni si sono svi-luppati nuove molecole sempre più mirate, le cosid-dette «target therapy» che hanno rivoluzionato la sto-ria naturale del carcinoma mammario metastatico.

Sono attualmente in corso inoltre studi con l’im-munoterapia tumorale anche nel carcinoma mamma-rio metastatico. Alcuni utilizzano immunomodulato-ri che attivano la risposta immunitaria contro il tu-more in ionoterapia, altri studi combinano questi far-maci con la chemioterapia e con agenti fisici quali laradioterapia soprattutto nei pazienti con tumoriHER2 positivi e triplo negativi.

Infine va considerato naturalmente il risvolto psi-cologico che una malattia cronica può creare. L’atten-zione deve essere focalizzata sulle attività sociali, ri-creative e produttive, utilizzando gli spazi liberi da sin-tomi. La visione della malattia, date le nuove tecnichedi terapia, non è obbligatoriamente quella che separala guarigione nel senso di eradicazione, da una parte, el’esito negativo dall’altra, ma è possibile concepire lun-ghi periodi di vita con una malattia controllata in ma-niera continua o ciclica da interventi terapeutici.

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Il processo di metastatizzazione nel tumore della mammellaCristian Scatena Anatomopatologo, Anatomia Patologica Universitaria 1, AOUPAllievo della scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Cliniche e Traslazionali, Università di Pisa

Le metastasi (dal greco meta = al di là, e stasis = stato,posizione, quindi trasposizione, cambiamento di sede) so-no impianti di cellule maligne lontani dal tumore. Tantopiù questo è aggressivo (a rapido accrescimento e di grandidimensioni) maggiore è la possibilità che metastatizzi. Ladiffusione dei tumori può avvenire per via linfatica ai linfo-nodi regionali, per via ematica agli organi come polmone,fegato, osso e cervello, o per via diretta nelle cavità pleuricao peritoneale (1).

Nel tumore della mammella la disseminazione at-traverso i vasi linfatici rappresenta la via più comunedi metastasi ed il coinvolgimento linfonodale segue lanaturale via di drenaggio linfatico: i tumori che na-scono nei quadranti esterni, ad esempio, diffondonoprevalentemente ai linfonodi ascellari; al contrario,quelli dei quadranti interni possono diffondere pre-valentemente ai linfonodi della catena mammaria in-

terna. Tumori aggressivi come quelli che presentanoamplificazione dell’oncogene HER2 (cosiddetti tu-mori HER2 positivi) più frequentemente di altri me-tastatizzano per via linfatica ai linfonodi regionali e,talora, per via ematica agli organi a distanza come ilcervello.

La diffusione per la sola via ematica è invece moltofrequente nei tumori cosiddetti triplo-negativi. Que-sti tumori non esprimono i recettori per gli Estrogenio per il Progesterone e non presentano l’amplificazio-ne dell’oncogene HER2, rappresentando una malattiamolto aggressiva perché a crescita veloce, per la qualeoggi non esistono terapie a bersaglio molecolare spe-cifiche (2).

Raramente il tumore della mammella diffonde di-rettamente nelle cavità corporee, come quella pleuri-ca o peritoneale. Questa modalità di disseminazione

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è tipica del tumore lobulare, che può diffondere ai tes-suti vicini per continuità o a distanza in filiere unicel-lulari o, non raramente, in cellule singole.

La capacità di dare metastasi è un meccanismocomplesso, caratterizzato da una successione di nu-merosi eventi (raggruppati nel termine «cascata meta-statica») quali l’interazione con il tessuto normaleadiacente, l’ingresso nei vasi linfatici e/o ematici, ilcircolo nel torrente linfatico e/o ematico e, infine, lacapacità di insediarsi nei linfonodi regionali o in or-gani lontani (vedi Figura). Il tumore acquisisce talecapacità nel tempo, mentre cresce, accumulando alte-razioni genetiche «chiave» (3).

Invasione del tessuto adiacenteLe cellule si distaccano dal tumore grazie alla ridu-

zione dell’espressione di molecole di adesione (comeE-caderina) e si fanno strada nel tessuto adiacente de-gradando le proteine della matrice extracellulare (ex-tracellular matrix, ECM nell’acronimo inglese) graziead enzimi specifici quali le metallo-proteasi, la cate-psina D e l’urochinasi attivatrice del plasminogeno. Iprodotti di degradazione della ECM come il collagenee la laminina insieme ad alcuni fattori di crescita co-me il fattore di crescita insulinico di tipo 1 e 2 (InsulinGrowth Factor, IGF nell’acronimo inglese) possiedo-no attività chemotattica (e per questo definiti chemo-chine), sono capaci cioè di attrarre a sé le cellule tu-morali favorendone l’avanzamento nel tessuto. Inol-tre, l’invasione dei tessuti è promossa anche dal pro-cesso di transizione epitelio-mesenchimale nel qualele cellule tumorali riducono l’espressione di alcunimarcatori epiteliali come la E-caderina e iperesprimo-no quelli mesenchimali come la vimentina e l’actinamuscolare liscia. Tali cambiamenti sembrerebbero fa-vorire lo sviluppo di un fenotipo migratorio, essenzia-le per la metastatizzazione. In particolare, la perdita diespressione della E-caderina sembra essere un eventoessenziale nella transizione epitelio-mesenchimale, etale meccanismo è promosso dall’attivazione di duegeni conosciuti come SNAIL e TWIST e che agisconoda repressori della trascrizione del DNA (4).

Ingresso nei vasiPer poter entrare nel circolo le cellule tumorali,

raggiunti i vasi linfatici e/o ematici, degradano lecomponenti principali della membrana basale che ri-veste le loro pareti, come il collagene di tipo IV e la la-minina; tra l’altro, in questo modo generano anchenuovi siti di legame con le pareti stesse dei vasi, indu-cendo l’adesione e la successiva penetrazione.

Circolo nel torrente linfatico e/o ematicoUna volta in circolo, le cellule tumorali possono es-

sere distrutte da numerosi meccanismi tra cui lo

stress meccanico, la morte cellulare programmata (oapoptosi) stimolata dalla perdita di adesione e le dife-se immunitarie innate e adattative. Tuttavia, per so-pravvivere le cellule tumorali tendono ad aggregarsitra loro (cosiddetta adesione omotipica) e, nei vasiematici, con alcune componenti del sangue come lepiastrine (cosiddetta adesione eterotipica). La forma-zione di questi aggregati può favorire la sopravviven-za delle cellule tumorali, riuscendo in questo modo adeludere le difese immunitarie, e la successiva capacitàdi impianto. Le cellule tumorali possono inoltre lega-re ed attivare fattori della coagulazione, causando em-bolia polmonare o cerebrale.

Insediamento a distanzaL’arresto e l’uscita dai vasi di emboli tumorali in

sedi distanti implicano l’adesione alle pareti dei vasi,seguita dalla fuoriuscita attraverso la membrana ba-sale. Nel processo sono coinvolte anche le molecoledi adesione (integrine e recettori per la laminina) egli enzimi proteolitici descritti in precedenza. Le che-mochine hanno un ruolo molto importante nellascelta della sede della metastasi. Alcune cellule tumo-rali, per esempio, esprimono CXCR4, recettore delfattore di crescita stromale di tipo 1 (Stromal DerivedGrowth Factor 1, SDF1 nell’acronimo inglese); infat-ti, recenti studi sperimentali mostrano come il bloccodel legame tra CXCR4 e SDF1 riduca l’insorgenzadelle metastasi linfonodali e polmonari (5). Inoltre,

Da Robbins e Contran, Le basi patologiche delle malattie (VIII ed.2010).

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alcuni organi bersaglio possono liberare chemochineche richiamano le cellule tumorali (come IGF 1 e 2).Al contrario, un tessuto può rappresentare un am-biente non permissivo, ovvero un terreno sfavorevoleper la crescita delle cellule metastatiche: i muscolischeletrici, ad esempio, pur essendo ben vascolariz-zati per cause ancora poco chiare sono raramente se-de di metastasi (1).

Il processo di metastatizzazione appare perciòmolto complesso, lungo e irto di ostacoli. Studi con-

dotti sul topo e sull’uomo rivelano che sebbene ognigiorno vengano messe in circolo milioni di cellule tu-morali il numero di metastasi risulta relativamentebasso. Infatti cellule tumorali si possono riscontrarefrequentemente nel sangue e nel midollo emopoieticodi pazienti con tumore della mammella che non han-no e non avranno presumibilmente mai una malattiametastatica clinicamente rilevabile (6).

Dunque, per nostra fortuna, un processo moltoinefficiente.

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Bibliografia

(1) Kumar V., Abbas A.K., Fausto N., Aster J.C. (2010),Robbins and Cotran - Pathologic Basis of Disease, 8th

ed, Elsevier. (2) Yao H., He G., Yan S. et al. (2017), Triple-negative

breast cancer: is there a treatment on the horizon?,Oncotarget, 8 (1): 1913-1924.

(3) Scully O.J., Bay B.H., Yip G., Yu Y. (2012), Breast can-cer metastasis, Cancer genomics & proteomics, 9 (5):311-320.

(4) Peindao H. (2007), Snail, ZEB and bHLH factors intumor progression; an alliance against the epithelialphenotype?, Nat Rev Cancer, 7 (6): 415-428.

(5) Epstein R.J. (2004), The CXCL12-CXCR4 chemotac-tic pathway as a target of adjuvant breast cancertherapies, Nature reviews Cancer, 4 (11): 901-909.

(6) Fidler I.J. (2003), The pathogenesis of cancer meta-stasis: the ‘seed and soil’hypothesis revisited, Naturereviews Cancer, 3 (6): 453-458.

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ImmunoterapiaAndrea MichelottiU.O. Oncologia Medica 1 - Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

La ricerca studia da tempo la possibilità di sfruttareil sistema immunitario nella terapia contro il cancroma è degli ultimi anni la possibilità di disporre nellapratica clinica di armi in grado di agire su diversi tipidi tumore.

Con questa modalità di trattamento si utilizza il si-stema immunitario del paziente allo scopo di combat-tere il cancro. Questo vuol dire che in quel paziente ilsistema immunitario non ha funzionato perfettamen-te ed ha permesso lo svilupparsi di una neoplasia.L’immunoterapia agisce rendendo il sistema immuni-tario in grado di riconoscere come estraneo il tumore,provocando quindi una reazione più forte e più mira-ta verso il tumore stesso.

Il sistema immunitario, in termini molto semplici,è un insieme di organi, tessuti, cellule e sostanze ingrado di proteggere il corpo dai germi e dalla possibi-lità che questi provochino delle infezioni. Il sistemaimmunitario è in grado di riconoscere i normali com-ponenti dell’organismo ma attacca ogni elemento chenon riconosce come proprio quali i microrganismi oanche le cellule tumorali.

Ovviamente il sistema immunitario ha dei limitinella sua abilità di eliminare cellule tumorali ed infattianche organismi con un sistema immunitario perfet-tamente funzionante possono sviluppare il cancro.Questo perché le cellule tumorali non sono ricono-sciute come estranee oppure la reazione immunitarianon è abbasatanza forte da eradicarle. Inoltre è talvol-ta lo stesso tumore che può produrre delle sostanze ingrado di mettere fuori uso il sistema immunitario del-l’ospite. Proprio per superare questo problema la ri-cerca ha cercato il modo per favorire il riconoscimen-to delle cellule tumorali come estranee e anche di po-tenziare l’effetto dell’immunità.

In questo breve articolo mi limiterò a parlare solodi alcune delle strategie di immunoterapia utilizzatenella cura del cancro: gli anticorpi monoclonali, gliinibitori dei check-point immunitari ed infine un bre-ve cenno ai vaccini.

Il sistema immunitario attacca ciò che riconoscecome estraneo mediante la produzione di anticorpispecifici. Questi non sono altro che delle proteine ri-volte verso una proteina specifica chiamata antigene.Una volta legato l’antigene si attiva una serie di eventiche porteranno alla distruzione delle cellule o dei mi-crorganismi che veicolano quell’antigene.

In laboratorio possono essere prodotti anticorpispecifici verso un singolo antigene in grande quantità

chiamati: anticorpi monoclonali. Uno di questi anti-corpi monoclonali è per esempio il trastuzumab.Questo anticorpo è utilizzato in un particolare tipo dicarcinoma della mammella che esprime la proteinaHER2 sulla superficie delle sue cellule. Il blocco diHER2 con l’impiego di anticorpi monoclonali si èmostrato particolarmente efficace nella cura del carci-noma mammario in quanto questo recettore attivauna serie di eventi a cascata che condizionano la repli-cazione e lo sviluppo di queste cellule tumorali. Tra-stuzumab si lega a questo antigene specifico di mem-brana e attraverso il suo blocco inibisce lo sviluppodelle cellule. Esiste però anche un effetto di tipo im-munitario: infatti l’attacco di trastuzumab allo speci-fico antigene sulle cellule tumorali attiva una una ri-sposta immunitaria anticorpale verso queste stessecellule che porta alla loro distruzione. Non sappiamol’importanza relativa dei due meccanismi ma l’effettoimmunitario è sicuramente molto importante.

Gli anticorpi monoclonali, inoltre, possono essereresi più attivi coniugandoli con delle specifiche tossi-ne quali chemioterapici o sostanze radiotttive. In que-sto modo si cerca di sfruttare l’anticorpo oltre che perla sua azione diretta anche per veicolare specifica-mente verso il tumore una tossina. Lo scopo è quellodi preservare al massimo le cellule sane che non espri-mono quel recettore o lo esprimono in maniera moltolimitata. Attualmente, sempre nel caso di carcinomadella mammella HER2 positivo, vi è la possibilità diutilizzare un anticorpo monoclonale anti HER 2 co-niugato con una tossina chiamata emtasine. È questoil farmaco chiamato TDM-1 utilizzato correntementee con ottimi risultati nel carcinoma mammario meta-statico HER2 positivo.

Un altro importante gruppo di immunoterapicisono i cosiddetti check point inibitori. Vediamo agrandi linee come agiscono. L’attivazione dell’immu-nità prevede meccanismi di controllo allo scopo dievitare possibili reazioni autoimmuni verso tessutinormali. Un meccanismo utilizza molecole poste suilinfociti che hanno bisogno di essere attivate (o inatti-vate) perché si attivi la risposta immunitaria: si trattadei cosiddetti «check-point». In molti casi le celluletumorali usano questi check-point per evitare di esse-re attaccate dal sistema immunitario. Esistono dei far-maci che agiscono bloccando questo meccanismo dimascheramento delle cellule neoplastiche: si tratta difarmaci che hanno come bersaglio PD-1 e PDL-1.PD-1 è una proteina check-point posta sulla superficie

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dei linfociti T che blocca la risposta immunitariaquando si lega con il suo ligando PD-L1 posto su unacellula normale dell’organismo evitando una reazioneautoimmune. Le cellule tumorali possono disporre dielevata espressione di PD-L1 e quindi possono bloc-care la risposta del sistema immunitario verso di lorolegando PD-1 e quindi facendosi riconoscere dal si-stema immunitario come una cellula normale. Anti-corpi monoclonali che si legano a PD-1 o PD-L1 bloc-cano questo meccanismo di riconoscimento e riatti-vano la risposta immunitaria verso il tumore. Tra iPD-1 inibitori ricordo Pembrolizumab e Nivolumabattualmente utilizzati in varie patologie neoplastichequali: melanoma, neoplasie del polmone, della vesci-ca, del rene, delle neoplasie della testa e del collo e nellinfoma di Hodgkin. Sono in corso studi anche in al-tre patologie. Tra i PD-L1 inibitori ricordo: atezolizu-mab, avelumab, durvalumab sviluppati nel carcinomadella vescica, nel carcinoma del polmone e in alcuniparticolari neoplasie cutanee oltre ad essere in studiosu numerose altre neoplasie, compreso il carcinomamammario.

Tra i check-point inibitori ricordo infine Ipilimu-mab che si lega alla proteina CTLA-4 che si trova sullasuperficie di alcuni linfociti T. Il blocco di CTLA-4riattiva la risposta immunitaria contro le cellule tu-morali. Questo farmaco è utilizzato principalmentenella cura del melanoma.

Non affronterò in questo breve articolo il proble-ma degli eventi avversi provocati da questa classe difarmaci che, per quanto così selettivi, agendo sul siste-ma immunitario provocano gravi tossicità che devo-no essere prontamente riconosciute e trattate e che

sono affatto diverse dai noti eventi avversi della che-mioterapia classica.

Per quanto riguarda infine i vaccini mi limiterò aparlare della possibilità di utilizzare questa modalitàdi cura per prevenire la comparsa del cancro. Mi rife-risco in particolare al vaccino anti HPV (Human Pa-pilloma Virus). Alcuni ceppi di HPV sono ricono-sciuti come causa delle neoplasie della cervice uterina,dell’ano e del faringe. In questo caso il vaccino nonagisce direttamente sul tumore ma nel prevenire l’in-fezione da parte di questi virus a loro volta responsa-bili del cancro. Quindi questi vaccini sono utilizzabilisolo in quelle forme tumorali in cui come nel caso del-l’HPV la causa è legata ad un’infezione. Purtroppomolte delle più comuni forme tumorali non ricono-scono una causa precisa in un’infezione e quindi que-sta metodologia di prevenzione è legata solo ad unapiccola ma comunque importante tipologia di cancro.Un’ampia copertura della popolazione con il vaccinoanti HPV potrà comunque portare ad una eradicazio-ne del carcinoma della cervice uterina.

L’immunoterapia presenta al suo interno variemodalità. Di queste alcune sono già ampiamente dif-fuse mentre per la gran parte si tratta di trattamentiancora in fase di sperimentazione. La ricerca in que-sto campo è stata molto rapida e così pure il passaggioin clinica. Il trattamento di alcune neoplasie quali adesempio il melanoma è completamente modificatonel giro di mesi e continuamente vi sono nuovi dati invari tipi di tumore. Si tratta di una materia in rapidaevoluzione che apre nuove prospettive nella cura delcancro e che vedremo ampliarsi nel corso dei prossi-mi anni in tutte le principali patologie oncologiche.

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Le Cure Palliative: l’Hospice come risposta relazionale e clinica ai bisogni della personaAngela GioiaResponsabile Hospice ADCP - USL 5 Pisa

Le Cure Palliative, che si occupano in «maniera at-tiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia chenon risponde più a trattamenti specifici», hanno co-me scopo il raggiungimento della miglior qualità divita possibile per i pazienti in una parte del percorsodi malattia in cui diventa di fondamentale importan-za il controllo del dolore e di altri gravi sintomi, comela difficoltà a respirare, la nausea ed il vomito noncontrollato e la necessità di supporto psicologico, so-ciale e spirituale. A questo scopo vengono utilizzatiquei mezzi e quelle cure che possono essere offerti inqualsiasi reparto di medicina interna, ma ritagliatisui bisogni del paziente in quel momento. Predomi-na l’appropriatezza terapeutica che deriva dall’atten-ta valutazione della persona e del bisogno suo e dellafamiglia.

L’intervento degli operatori, pertanto, si differen-zia da altre discipline mediche per il fatto che intervie-ne sul sintomo per il raggiungimento della migliorqualità di vita possibile, dovendo dare per assodatoche gli sforzi siano concentrati sulla cura della perso-na avendo già dovuto abbandonare l’obiettivo di gua-rire la malattia.

Sappiamo di vivere in una cultura necrofoba cheavrebbe l’obiettivo di annullare la morte all’orizzon-te. Pur evento così decisivo, la morte non viene quasimai nominata, si usano perifrasi, eufemismi; pro-nunciare questa parola può attivare sventure, evocarescenari nefasti ed allora rimane una certa amarezza,la sorpresa ed un senso di solitudine nel momento incui tocchiamo con mano che la società non vede e siorganizza per non vedere e si ritrae, delegando la sof-ferenza umana ai professionisti dell’assistenza e dellacura.

Ma la frequentazione del mistero della morte,dell’Oltre non è indolore neanche per noi operatori, èun difficile allenamento con la nostra intimità, con lenostre difese, le paure e le fragilità più profonde.

Dunque ci vuole coraggio a stare in relazione conl’Oltre: noi operatori siamo chiamati a metterci co-stantemente in discussione e a superare i pregiudizi,assumendone consapevolezza perché, diversamente,rischiamo di essere d’ostacolo alla conoscenza dell’al-tro. Perdersi per ritrovarsi, perdere il riferimento a sestessi e recuperare un dialogo interiore che ospita l’al-tro dentro di noi e che ci mette in guardia dalla tenta-

zione sottile del rapporto paternalistico, che può assu-mere le forme benevolenti del supporre di conoscerenoi il bene dell’altro, nella mera applicazione di tecni-che e linee guida che neutralizza, in un affaccendataindifferenza, la fragilità di chi si affida a noi.

Le nostre personali idee sulla vita e sulla sofferenzaci limitano e ci possono allontanare dalla compren-sione dei bisogni espressi dalla persona che stiamo in-contrando: il bisogno della nostra completa presenza.Troppo spesso entriamo in contatto con l’altro con lamente ancora assorbita dalle nostre vicende personali,oppure così occupati dalle nostre idee, aspettative esoluzioni preconcette da non lasciare spazio al suovissuto. Al contrario essere presenti, rispettare il mo-do diverso di pensare, in un dialogo in cui accettiamodi essere scossi, trasformati, poiché le domande del-l’altro sono le nostre, mettono alla prova i nostri modidi pensare, le nostre scelte di vita e ci risvegliano ri-spetto alle nostre personali perdite.

Con le cure palliative siamo dentro a una granderivoluzione!

Le priorità vengono capovolte: si tratta di dare va-lore alla vita privilegiando la qualità del tempo che re-sta da vivere, si tratta di attribuire più importanzaall’«essere» che al «fare», cosa che può avvenire solo sesi accettano serenamente i limiti e si considera la mor-te come quel fattore ineluttabile su cui si fonda la vita.

È da qui che può iniziare la realistica percezione dicome le cure palliative riconoscano il valore della vita,operando per lenire il dolore, la sofferenza e promuo-vere la speranza nel presente. Le cure palliative si oc-cupano di modificare le condizioni delle persone dicui ci prendiamo cura, anche per le piccole cose, inmodo che esse riescano a dare un senso e a chiamarevita anche la condizione di malattia avanzata.

Le cure palliative «vogliono coprire il malato nellasua interezza, comprendendo la sua dimensione fisicae quella psicologica, ma anche spirituale e sociale» esono da intendersi «non solo come terapia del dolore,trattamento efficace dei sintomi, ma come medicinache permette a ciascuno di modellare la cura in armo-nia con la proprio concezione di vita (e di morte)»(Spinsanti, 2009).

Personalmente ritengo che le Cure Palliative pos-sano essere rappresentate da alcuni versi di una poesiadi Galway Kinnel:

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Il BoccioloSimboleggia tutte le coseAnche quelle che non fioriscono,perché ogni cosa là fiorisce, da dentroper auto benedizione;benché a volte sia necessarioreinsegnare a una cosala sua grazia,mettergli una mano sulla fronteal fioree ripetergli con le parole ed il contattoche è bello,finché non fiorisce da dentro, per auto benedizione.

Ritengo che le cure palliative possano offrire untempo prezioso, possano rendere questo tempo anco-ra più prezioso nella libertà che ognuno ha di viverlo,di recuperare ricordi di un tempo passato che diven-tano significanti del presente «finché non fiorisce dadentro, per auto benedizione».

Il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliati-ve e alla terapia del dolore all’interno dei percorsi assi-stenziali sanitari costituisce un obiettivo prioritariodel Piano Sanitario Nazionale 2011/2013 ed è specifi-camente tutelato dalla legge 38 del 15 marzo 2010.Inoltre la Regione Toscana, da sempre attenta alle ne-cessità delle persone fragili, ha recepito la normativanazionale in materia con la Delibera 199 del 17.3. se-gnando un ulteriore passo in avanti verso il riconosci-mento istituzionale della fase di fine della vita comecondizione che merita un’attenzione ed uno specificosostegno sociale e sanitario.

Per rispondere ai bisogni delle persone importan-te e strategica è l’organizzazione della rete di curepalliative che coinvolge l’Ospedale, il Domicilio, lestrutture territoriali e l’Hospice, struttura sanitariache persegue il fine di migliorare la qualità di vita deisuoi ospiti attraverso la cura, in modo particolare deisintomi e del dolore sia di natura fisica che psicologi-ca e spirituale. L’hospice è un luogo dove il pazientetrova la massima assistenza e dove la vita viene valo-rizzata sempre, anche permettendo il rientro al pro-prio domicilio.

Le 10 stanze di degenza vengono indicate con no-mi di fiori con pareti tinteggiate a tinte tenui e tendag-gi colorati per rendere l’atmosfera domestica e ripo-sante. Ogni stanza è dotata di letto elettronico, appa-recchio telefonico, televisore, aria condizionata, filo-diffusione, e attrezzata con poltrona letto per i fami-liari. La struttura è dotata inoltre di una grande salautilizzata oltre che come sala relax anche per eventi difamiglia, ricordo ancora l’apertura dei regali dell’Epi-fania di un pargoletto di 4 anni che con stuporeesclamò: ma questo è un posto meraviglioso!

L’hospice assicura la collaborazione di figure pro-fessionali come specialisti medici di settore, psicolo-go, terapista della riabilitazione, assistente spirituale,assistente sociale, il volontariato, e quante altre figuresono necessarie.

Il medico di famiglia, regista e responsabile clinicodei percorsi territoriali, è l’anello di congiunzione trail malato e la sua famiglia da un lato, e il gruppo mul-tidisciplinare dall’altro. Attiva il Gruppo dell’assisten-za domiciliare e cure palliative per la presa in caricodel paziente in domiciliare, o per il ricovero in hospi-ce. Il curante fornisce informazioni preziose sulla ba-se delle conoscenze acquisite sul suo assistito e sullasua famiglia ed è un aiuto importante per l’instaurarsidi una corretta e soddisfacente comunicazione con ilmalato e la sua famiglia.

Dal marzo 2009 ad oggi l’Hospice si è «preso cu-ra» di 2428 persone, ovvero di altrettante famiglie,rispondendo anche ai loro bisogni, in un momentodi così grande fragilità, contrastando i sintomi dellamalattia ed impegnandosi nel far rientrare a domici-lio i pazienti, essendo presente anche un servizio di fi-sioterapia atto a migliorare il benessere e preservarel’autonomia dei pazienti quando possibile. Il fisiote-rapista assicura l’intervento riabilitativo ai degenti, ilsupporto al degente per garantire la motricità, le fun-zioni viscerali, circolatorie e respiratorie residue, laprevenzione del danno terziario e controllo dei decu-biti, la consulenza al personale per la movimentazioneo la richiesta di visite specialistiche fisiatriche o orto-pediche per pazienti complessi.

Un ruolo centrale viene giocato dalle attività di so-stegno psicologiche che sono tese al rilevamento e al-la presa in carico dei bisogni emergenti nei pazienti,nei care-giver, negli operatori e nei volontari. Le atti-vità di supporto psicologico si articolano in manieradifferenziata, in modo da soddisfare le richieste pro-venienti dalle tre aree di utenza: pazienti, familiari,operatori.

Colloqui con i pazienti vengono effettuati sia almomento del ricovero, sia durante il periodo di de-genza. Il tipo di paziente che afferisce alla struttura èfisicamente molto provato. Prevalgono sensazioni ge-nerali di affaticamento, spesso è presente sopore e lacomponente cognitiva risulta quasi sempre non inte-gra e in progressivo stato di deterioramento. Sonopresenti quindi evidenti criticità che ostacolano, inmolti pazienti, l’avvio di un vero e proprio percorsopsicologico (nell’accezione convenzionale) e la prose-cuzione del medesimo. I colloqui vengono effettuatiquando le condizioni generali (psicologiche) dei pa-zienti non risultino così compromesse da renderneimpossibile la realizzazione.

In seguito ad un ricovero in Hospice i familiaripossono sperimentare oltre alla disperazione per legravi condizioni di salute del paziente, sensazionid’impotenza, di perdita di controllo degli eventi e del-la situazione circostante, certamente provano soffe-renza e rabbia per l’impossibilità del paziente di gua-rire. Interventi precoci e tempestivi di sostegno psico-logico hanno la possibilità di sostenere l’elaborazionedel lutto e il riadattamento psicosociale, prevenendo-ne l’evoluzione patologica.

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Nei casi in cui all’interno della famiglia siano pre-senti minori la risonanza emotiva può essere moltodiversa. I bambini che hanno subito un lutto possonopresentare disturbi nel rendimento scolastico, ag-gressività, oppure possono avvertire un senso di ab-bandono che non riescono a perdonare, oppure seavevano un rapporto conflittuale con il parente cheviene a mancare sviluppano sensi di colpa di frontealla sua morte. Nell’Hospice dell’azienda USL 5 di Pi-sa, oltre allo psicologo per gli adulti, è prevista la fi-gura di uno psicologo, anche a domicilio, per il sup-porto ai minori durante il ricovero di un familiare(genitore o figure genitoriali, pensiamo alle famiglieallargate dove rivestono importanza determinante inonni) e durante il percorso del lutto successivo allamorte del paziente.

L’obiettivo del progetto è fornire un sostegno psi-cologico ai minori dei pazienti ricoverati, che possadare risposta all’emergenza del lutto imminente peruna prevenzione della psicopatologia del lutto anchenel sostegno al percorso scolastico. Di concerto con ifamiliari, vengono stabiliti tempi e modalità della va-lutazione domiciliare del bambino o dell’adolescente.Si sottolinea l’importanza che riveste nel progetto ladecisione di incontrare il bambino in un luogo perlui sicuro come la propria casa, riconoscendo in talmodo la diversità dei bisogni del minore rispetto al-l’adulto. Vengono utilizzati l’osservazione psicologi-ca, strumenti psicodiagnostici e colloqui di sostegnopsicologico, condivisi con il genitore, per valutare lereazioni emotive, cognitive, comportamentali delbambino e favorire in lui risposte adeguate alla realtàe alle sue capacità. Viene offerto supporto ai familiari(anche telefonico) durante la comunicazione, per-mettendo il bilanciamento fra il diritto dei bambiniad essere informati e il rispetto della difficoltà di ac-cettare informazioni dolorose. L’espressione dell’e-motività viene utilizzata come indicatore della capa-cità del bambino di dare un senso agli eventi e di ve-dere accolti i suoi bisogni in ogni fase del processo diadattamento alla nuova situazione. È prevista anchela consulenza alla scuola che rappresenta oltre al con-testo familiare il principale luogo di relazione delbambino.

Il supporto psicologico per i minori non è un ele-mento a se stante ed isolato, ma integrato come partedi un processo che prevede la presa in carico totaledella famiglia ed in particolare della sofferenza del ge-nitore sopravvissuto. Quest’ultimo rappresenta piùche mai un riferimento per i bambini e, nonostante ledifficoltà, deve continuare ad essere in grado di pren-dersi cura di loro e dei loro bisogni, sostenuto dagli al-tri parenti e dal contesto sociale in cui la famiglia vive.

Una preziosa risorsa per l’Hospice sono i volontaridell’Associazione Oncologica Pisana (AOPI), l’Asso-ciazione Amici di Antonella (ADA), l’AssociazioneCure Palliative Pisa «Il Mandorlo», Fondazione AR-PA, «Non più Sola», Fondazione Faro e «Gli Amicidell’Elfo. La rete delle associazioni supporta significa-tivamente il percorso di cure palliative con medici,psicologi e servizi aggiuntivi.

Fondazione ARPA, in ricordo di Amos Martellac-ci, tutore del M° Bocelli, con il supporto dell’Associa-zione «Il Mandorlo» promuove dal 2011 «I pomeriggimusicali in Hospice» ed il progetto «Lettura in Hospi-ce» insieme a fondazione Teatro Verdi, che vede coin-volta tutta la città rappresentata quest’anno da tutte lescuole superiori di Pisa, grazie all’encomiabile orga-nizzazione della prof.ssa Prato Rosanna. La musicanon è solo ascolto, quanto piuttosto un abbraccio de-licato che si realizza muovendo ricordi e rievocazioni,aprendo alle emozioni dei suoni e dei colori.

Grazie ad un impianto di amplificazione anche ipazienti ed i parenti che rimangono nelle stanze pos-sono godere della musica dal vivo.

Il progetto di letture e musica iniziale, grazie all’as-sociazione AsteroideA, si è evoluto in «Letture in Ho-spice: un Sorriso che Cambia la Vita». L’aspetto inno-vativo ed attuale del progetto si realizza nel coinvolgi-mento delle scuole secondarie superiori della città diPisa e provincia, grazie ad AsteroideA (http://asteroi-dea.it/). Gli studenti di una classe delle scuole supe-riori, a turno, insieme agli insegnanti, portano unalettura, un brano musicale o una canzone in dono aipazienti dell’Hospice di Pisa. I ragazzi vengono pre-parati al loro ruolo e alla loro funzione dagli inse-gnanti, con il coinvolgimento, se richiesto, della psi-cologa dell’Hospice: scelgono con cura e preparano illoro intervento in ambito scolastico, commentandodurante gli incontri anche le motivazioni delle loroscelte, consapevoli che leggeranno a persone di cuipotrebbero incontrare lo sguardo, offrire e ricevereun sorriso e ad altre dietro una porta chiusa, personeche potrebbero ascoltare ma anche non ascoltare.

«Il proporre ai giovani, che solitamente si sentonominacciati ma anche attratti dall’idea stessa di morte,un percorso che ha nell’incontro con la sofferenza ed ilmorire il suo momento non solo triste, ma più alto edanche pieno di Vita, obbliga quanti s’impegnano in ta-le progetto a calarsi dentro se stessi, per conoscersi escoprire nella capacità di relazione con gli altri la bel-lezza più grande dell’essere creatura umana» (R. Prato,

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2017). I giovani con la loro energia, il cicalio allegro,attraverso le letture e la musica reinterpretata o scrittaper l’occasione, incontrano le persone presenti in Ho-spice, degenti e familiari, con immagini che risveglia-no ricordi sopiti e disegnano storie già conosciute ototalmente nuove, ed i sorrisi donati e ricevuti diven-tano, per gli uni e per gli altri, fonte di una relazione

nuova e di nuova vita, nella lotta contro la sofferenza.Nel 2017 hanno partecipato al progetto 8 scuole supe-riori di Pisa ed il Laboratorio di Teatro FondazioneTeatro Verdi con la presenza in hospice di un centi-naio di ragazzi. I risultati di questo percorso e le testi-monianze dei ragazzi possono essere visualizzati nelseguente link http://asteroidea.it/eventi/.

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Raffreddamento del cuoio capellutoper prevenire l’alopecia da chemioterapia Liana Martinelli

Una diagnosi di carcinoma mammario è sempreun momento doloroso anche per le persone più razio-nali e più forti e provoca, a vari livelli, uno sconvolgi-mento della propria vita. Le donne sanno che la pro-babilità di sopravvivenza è alta, malgrado questo ilpercorso che si trovano a dover affrontare induce an-sia e l’inizio di una terapia adiuvante, quale può essereuna chemioterapia con i texani e le antrocicline o altriagenti citotossici, aumenta il disagio e la sofferenzapsicologica perché è noto che queste terapie si accom-pagnano alla perdita dei capelli o alopecia nella mag-gior parte dei casi. Questo fatto è mortificante, è comeperdere parte della propria dignità, e la possibilità dipreservare i propri capelli, la propria immagine, puòessere di grande aiuto durante il percorso terapeutico.

Per questo intorno agli anni ’70 del secolo scorso inUSA e UK sono stati sviluppati sistemi per prevenirel’alopecia indotta dalle cure chemioterapiche basatisulla possibilità di raffreddamento del cuoio capelluto.Infatti la protezione dall’alopecia per raffreddamentoè una conseguenza della vasocostrizione con riduzio-ne del flusso di sangue nel cuoio capelluto e del ridottometabolismo nei follicoli piliferi, impedendo così l’as-sorbimento degli agenti chemioterapici.

Due tipi di cappucci di raffreddamento vengono ti-picamente usati: cappucci congelati che devono esseresostituiti ogni mezz’ora, o sistemi di raffreddamentoche fanno circolare continuamente i liquidi refrigerantiin una cuffia durante l’intera sessione di chemioterapia(Paxman System, Dignicap System). Questi sistemi ri-chiedono cuffie morbide che possano aderire bene alcuoio capelluto in modo da assicurare un raffredda-mento uniforme. Richiedono inoltre un monitoraggiocontinuo della temperatura in modo da mantenerla co-stante durante tutto il trattamento alla temperatura dilavoro, di solito 3-5 gradi centigradi. Infatti lo scarsosuccesso dei sistemi di raffreddamento utilizzati in pas-sato era proprio dovuto alla difficoltà di mantenere un

raffreddamento costante. È poi necessaria una fase dipre-raffreddamento, della durata di circa 20-30 minuti,prima dell’infusione del farmaco, e un una fase di post-raffreddamento, della durata di circa 30-120 minuti, aseconda del trattamento farmacologico.

Il trattamento richiede pertanto uno spazio dedi-cato, una adeguata organizzazione del reparto, vista ladurata del trattamento, personale infermieristico ade-guatamente preparato anche per informare sulle pro-cedure e tempistiche e fornire i consigli base quali ades. evitare l’utilizzo di prodotti aggressivi sui capelli,indossare abiti caldi o altro.

Un punto delicato può essere la selezione delle pa-zienti candidate a questo trattamento. Negli studi finoad ora avviati in generale vengono escluse quelle pa-zienti con precedente storia di alopecia, precedentechemioterapia, malattia autoimmune associata a ca-duta di capelli, patologie epatiche o grave disfunzionerenale, esposizione ad altri farmaci che possono cau-sare alopecia.

Il raffreddamento del cuoio capelluto è stato utiliz-zato in più di 30 paesi e in Europa è stato usato per pa-recchi decenni, mentre negli Stati Uniti l’uso ne è statolimitato dalla FAD (Food and Drag Administration) fi-no al 2015 quando la FAD ha autorizzato soltanto ilDigniCap dopo che Rugo H et al (J. Clin. Oncl. 33,2015) hanno studiato gli esiti clinici del sistema Digni-Cap al variare del regime chemioterapico e hanno ri-scontrato successi fin oltre il 70% dei casi (Dean=0,1,2).I successi vengono valutati mediante la scala Dean chemisura la perdita dei capelli (hair loss) per valutare l’ef-ficacia del metodo di raffreddamento: Grado 0: nessu-na perdita di capelli (hl=0); Grado1: 0 fino al 25% diperdita di capelli (0<hl<25%); Grado 2: perdita di ca-pelli >25% ma <50% (25%<hl<50%); Grado 3:50%<hl<75%; Grado 4: hl>75%. Si considera che il trat-tamento abbia successo fino al grado 2, infatti la perdi-ta dei capelli risulta visibile quando è superiore al 50%.

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Tali sistemi di raffreddamento sono stati inizial-mente oggetti di controversia in relazione al rischiodi metastasi del cuoio capelluto, a seguito della ridot-ta esposizione al farmaco per la diminuzione dellaperfusione sanguigna del cuoio capelluto. Tuttaviaun’accurata analisi degli studi pubblicati ha permes-so di superare questi timori. Esistono infatti vari stu-di volti a valutare l’efficacia anche a lungo terminedel procedimento ed eventuali eventi avversi associa-ti. I due più recenti studi pubblicati sul Journal ofAmerican Medical Associationo (Nangia J., Wang T.,Osborne C., et al. JAMA 2017, 317 (6): 596-605; Ru-go HS, Klein P, Melin SA, et al. Jama 2017,317(6):606-614]) hanno confermato l’efficacia delDigniCap scalp cooling system per diminuire l’alope-cia in pazienti sottoposte a trattamenti chemiopera-pici. La percentuale di donne che è andata incontroad una perdita di capelli pari o inferiore al 50% è ri-sultata essere del 66% nel gruppo sottoposto alla pro-cedura e dello 0% nel gruppo di controllo. Gli autorihanno inoltre trovato che il raffreddamento delcuoio capelluto durante la chemioterapia era ben tol-lerato ed era associato anche ad un miglioramentodegli indicatori della qualità della vita.

E in Italia?A mia conoscenza gli ospedali di Avellino e Carpi

sono stati i primi ad usare un sistema di raffredda-mento del cuoio capelluto (sistema Paxman, realizza-to in UK). A Carpi è stato fatto uno studio che ha evi-denziato una percentuale di successo pari al 56%. Re-centemente il sistema Paxman scalp cooling è statointrodotto anche all’Ospedale Sant’Anna di Torino.

All’IEO (Milano) è in corso uno studio sull’effica-cia del DigniCap system. Da Novembre 2014 a Mag-gio 2016, sono state reclutate 109 pazienti affette dacarcinoma mammario in età compresa tra i 29 ed i 66anni. Di queste 74 hanno finito il trattamento: 30 con

alopecia di grado G1, 27 con alopecia di grado G2, 17con alopecia di grado G3-G4, quindi un successo to-tale del 77% contro un 23% di insuccesso.

Altri centri si sono successivamente dotati di que-sto sistema di raffreddamento del cuoio capelluto, peresempio Roma (Policlinico Gemelli) dove è in corsouno studio, Brescia (Spedali Civili, Fondazione Po-liambulanza), Trieste (Ospedale Maggiore), Padova(Istituto Oncologico Veneto), Fano (Ospedale SantaCroce), Brindisi (Ospedale Perrino) e recentementeOspedale di Biella.

Le speranze sono molte, ma deve essere sempre benchiaro che il successo non è al 100% e che non tutte lepazienti sono in condizioni di poter seguire questotrattamento, oltre al fatto che non tutte sono disposte arimanere per quasi tre ore col capo ad una temperatu-ra così bassa o sono in grado di tollerarla. In ogni mo-do le testimonianze delle donne che sono riuscite a se-guire questo trattamento anche con successo parzialesono a favore di questo percorso, che riconoscono nonessere semplice, ma che può aiutarle a continuare lapropria vita sociale e lavorativa, a sopportare meglio lachemioterapia e a ripartire più velocemente.

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Progetto «Artemisia»: un percorso integrato alla fisioterapia tradizionale Ilaria Grella, Eleonora Trifirò Fisioterapiste specializzate in idrokinesiterapia

Artemisia è un progetto di fisioterapia in acqua perdonne che hanno subito un intervento di chirurgia acausa di un tumore al seno. Nasce dall’incontro tral’Associazione Senologica Internazionale e due fisio-terapiste pisane, la dott.ssa Ilaria Grella e la dott.ssaEleonora Trifirò, specializzate in riabilitazione nellachirurgia del tumore al seno ed idrokinesiterapia. In

un panorama di attività proposte dall’associazione ditipo ludico e ricreativo l’intento è quello di offrire an-che un servizio di tipo specialistico che sia però alter-nativo rispetto ai trattamenti riabilitativi classici.

L’associazione senologica internazionale ha dato ilvia definitivo alla prima edizione del progetto nell’ot-tobre del 2017 grazie al prezioso contributo della Far-

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macia dei Borghi della dott.ssa Giuseppina Mariani,della Misericordia di Navacchio e della piscina «LaFornace» a Mezzana-Colignola, Pisa. I tre sponsorhanno creduto da subito in questa iniziativa ed hannopermesso al progetto di concretizzarsi fornendo unpercorso che si contraddistingue dagli altri trattamentifisioterapici per due elementi fondamentali: il settingriabilitativo (la piscina) ed il lavoro in gruppo il cui va-lore è stato ampiamente dimostrato in letteratura.

Con il migliorare delle tecniche chirurgiche degliultimi anni (sempre meno invasive) è cresciuto di paripasso anche il bisogno di creare dei protocolli riabili-tativi aggiornati ed efficaci. Si è resa inoltre necessariala presa in carico anche a medio e lungo termine delledonne che a seguito dell’intervento subiscono un in-sulto sia fisico che psicologico in quella parte del cor-po da sempre simbolo dell’identità femminile e dellasessualità della donna.

La riabilitazione multidisciplinare è raccomandatadal Consiglio dell’Unione Europea con la Carta Euro-pea per i diritti del malato Oncologico (2014) ed inItalia dal F.A.V.O. che, con il Libro Bianco, è statal’antesignana della battaglia per far comprendere alleIstituzioni che la riabilitazione specifica per malati eex malati era, nei fatti, un diritto negato.

È noto come un intervento di mastectomia o diquadrantectomia, con o senza dissezione ascellare(seguita o meno da radioterapia o chemioterapia), siaspesso responsabile di sequele motorie e psicologicheche necessitano un intervento riabilitativo integrato.La paziente viene seguita in fase acuta e subacuta dalmedico senologo, dal chirurgo plastico, dall’oncolo-go, dal fisiatra e dal fisioterapista del reparto e questola fa sentire protetta ed accudita, le vengono insegnatigli esercizi da svolgere a domicilio e le precauzioni datenere per le prime 6 settimane dopo l’intervento.Viene educata a riconoscere i primi segni e sintomidella axillary web syndrome e del linfedema e vienetrattata nel caso in cui si instaurino questo tipo dicomplicanze. Le viene spiegato come e quando puòcominciare ad eseguire gli esercizi di rinforzo. Il brac-cio recupererà. Sarà in grado di fare tutto quello chefaceva prima. Le viene consigliato di fare esercizio fi-sico con costanza. Ma cosa succede davvero dopo?

Specialmente nel caso in cui venga effettuata unadissezione ascellare si può andare incontro a linfede-ma del braccio. Il gold standard del trattamento riabi-litativo proposto per queste condizioni è quello che sidefinisce «trattamento fisico combinato»: linfodre-naggio, bendaggio compressivo, esercizi e follow up.

Spesso però troviamo altri tipi di problematiche: icosiddetti cordini provocati dalla axillary web syn-drome, il dolore alla ferita, all’ascella, al torace, la pre-senza di aderenze cicatriziali. La donna può assumereposture scorrette sia della spalla che della colonna cer-vico-dorsale, può avere rigidità muscolare, ipotrofia edeficit di forza del braccio, perdita del corretto sche-ma corporeo. È frequente tra le donne la sensazione di

avere «un cuscinetto, una compressa di cotone, uncartone duro sotto l’ascella, qualcosa di non apparte-nente al proprio corpo»; formicolii, intorpidimento,pesantezza del braccio e/o dell’avambraccio. Non daultimo bisogna considerare l’atteggiamento psicologi-co con cui la persona reagisce all’intervento: pensia-mo alle contratture miotensive da stress o agli atteg-giamenti di difesa della parte lesa che portano a ipo-mobilità, per non parlare della paura che a volte ladonna ha nel toccarsi ed effettuare un adeguato auto-massaggio delle cicatrici, dell’eventuale protesi e dellezone di tensione e di dolore. Inoltre non sempre èmotivata a fare gli esercizi necessari in autonomia,spesso anche per timore di far troppo o troppo poco.

Questa sintomatologia può scomparire in pocotempo, ma se non precocemente trattata può evolvereverso un dolore cronico ed una limitazione del movi-mento più o meno invalidante. È normale che talvoltavi siano delle sequele, la cosa importante è saperle rico-noscere ed affrontarle, se necessario con l’aiuto di un fi-sioterapista che oltre a fornire il proprio sapere clinicopuò dare alla persona sicurezza e tranquillizzarla.

Il progetto Artemisia di idrokinesiterapia è un pro-getto di prevenzione terziaria, che ha come fine siaquello di ridurre le complicanze ed i problemi postidalla patologia primaria e dalle sequele di un tratta-mento invasivo sia di educare a sani stili di vita. Lamission è quella di creare un ponte tra la fisioterapia el’attività fisica generica.

La prima edizione è durata tre mesi, il progetto èpartito ad ottobre 2017 per concludersi a dicembre2017, con un impegno di due volte la settimana.

Ma che cos’è l’Idrokinesiterapia? Può essere assimi-labile ad una generica attività di nuoto o acqua gym? Larisposta è no. L’idrokinesiterapia è una vera e propriabranca della fisioterapia che utilizza le proprietà fisichedell’acqua a scopo terapeutico e riabilitativo. Ogni eser-cizio proposto in acqua si basa sulla valutazione inizialedel fisioterapista ed è adattato alla paziente, favorendoprocessi di apprendimento e possibilità di reclutamen-to di fibre motorie che solo l’ambiente microgravitarioe l’attento lavoro possono ottimizzare.

L’acqua racchiude infinite possibilità di lavoro, aseconda del momento e della situazione particolaredella persona sarà possibile modificare il piano ditrattamento, lasciando più spazio o al rilassamento edalla presa di coscienza del proprio corpo nella sua glo-balità (in caso di pazienti molto algiche o con scarsaconfidenza con l’acqua), o al rinforzo, lo stretchingdella muscolatura e l’incremento della resistenza. Lostrumento acqua è inoltre importante per una ripresadi contatto col proprio corpo che può e deve riabili-tarsi e favorisce un lavoro di consapevolezza mirato afare emergere le risorse personali.

Il lavoro di gruppo e la condivisione con degli in-terlocutori che condividono lo stesso percorso di vitafavorisce la socializzazione e aiuta la persona a nonsentirsi sola. Per questo sono state proposte sedute in

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piccoli gruppi (massimo 5 donne). Gli obiettivi che inmodo molto generico possono essere raggiunti sono:– recupero della percezione dello schema corporeo;– accettazione e nuova consapevolezza di un corpo

che è cambiato, ma che è ancora capace di provaresensazioni positive;

– riduzione o prevenzione dell’edema dell’arto colpito;– riduzione o prevenzione delle limitazioni del ROM

dell’arto colpito e della colonna vertebrale cervico-dorsale;

– riduzione della pesantezza dell’arto;– prevenzione e risoluzione del dolore;– prevenzione neuriti associate;– riduzione della fatigue;– miglioramento della condizione psicologica attra-

verso la condivisione ed il confronto con le altrepartecipanti.Non bisogna saper nuotare per partecipare, uno dei

primi obiettivi sarà l’adattamento acquatico, la risolu-zione del dolore, l’accettazione e armonizzazione dellapercezione del nuovo schema corporeo. In questo mo-do si creerà una situazione di complicità e affidamentoal mezzo acquatico ed alle proprie capacità di movi-mento sotto la guida attenta delle fisioterapiste.

La donna in acqua si mette «a nudo», si confronta,è costretta a vedersi e «sentirsi», riesce ad eseguire conpiù facilità e meno dolore i movimenti richiesti, puòvivere il momento della terapia anche come un gioco.

La gestione di piccoli gruppi ha inoltre un duplicevantaggio: offrire a chi vi partecipa un’attività acco-gliente e di relazioni educando i partecipanti, nel cor-so delle sedute, a diventare indipendenti ed anzi ad es-sere «insegnanti» per i nuovi arrivati. Lo scopo é di

avviare ciascuno alla conquista dell’autonomia nellagestione del proprio problema e di educare la personaal movimento, nella speranza che questo la renda mo-toriamente più consapevole e pronta ad affrontareun’attività fisica di tipo ludico con costanza, dati an-che i risultati in letteratura sui benefici di questa nellaprevenzione di innumerevoli patologie.

Questa esperienza ci ha dato non solo la giusta mo-tivazione a proseguire il nostro lavoro, visti i risultatiottenuti (di seguito anche alcune testimonianze delledonne coinvolte), ma ci ha anche sollecitato a svilup-pare nuove forme di intervento vista la complessitàche questo lavoro ci mette davanti. L’intenzione, dun-que, per le prossime edizioni è quella di integrare lapratica riabilitativa in acqua con dei momenti di scrit-tura espressiva. Come suggerito dalla letteratura, lascrittura degli aspetti emozionali si riflette non solosul benessere psicologico ma anche su quello fisicodelle persone ad esempio riducendo il dolore e mi-gliorando gli indici posturali.

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Testimonianze

«Carcinoma invasivo di tipo cibriforme. Non ho pen-sato che la mia vita potesse aver fine, piuttosto temevo glieffetti che la malattia avrebbe avuto sulla mia vita e suquella dei miei cari.

Il confronto con gli esiti degli interventi che ho subitoè immediato. Parlare con chi ha vissuto la tua stessa espe-rienza non è sempre confortante.

Un giorno, un’amica mi informa che l’ASI propone unprogramma di idrokinesi terapia rivolto al recupero diesiti di interventi al seno.

Partecipo. Il conforto lo trovo lì. Le fisioterapiste miascoltano, individuano un programma adatto alle mie esi-genze, mi rassicurano quando provo dolore e, se necessa-rio, modificano il programma. Non provo mai l’incertezzadi fare troppo o troppo poco come quando facevo gli eser-cizi (prescritti dal reparto di fisioterapia) a casa, da sola.

C’è poi un altro aspetto che non avevo considerato. Lanecessità di dover indossare un costume da bagno ti co-stringe a mettere in mostra un corpo che necessariamentesi è modificato dopo l’intervento. La prima volta che le fi-

sioterapiste mi hanno chiesto conferma del lato da tratta-re mi è spuntato un sorriso e ho capito che il difetto eraamplificato dal mio disagio.

Ad oggi non ho terminato con il programma di idroki-nesi ma i risultati sono grandi, importanti. Molte mieamiche non hanno recuperato la totale mobilità del brac-cio forse perchè non hanno avuto a mia stessa opportu-nità. Chi può dirlo.

Domenica sono andata in barca a vela e, dopo quasi unanno, sono riuscita a manovrare come prima, prima dellamalattia.

Le fisioterapiste erano con me, in amicizia. Sono certache i risultati ottenuti abbiano regalato anche a loro unapiccola soddisfazione. Per me è stata gioia pura.

Grazie di cuore».V.

«Buon giorno, sono P. e sono una paziente di Senologia.Sto attualmente partecipando al corso di fisioterapia in

acqua.Ho aderito al progetto perché dopo l’operazione, in

cui ho subito mastectomia e SA, non avevo recuperato la

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Bibliografia

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mobilità del braccio: certi movimenti erano limitati, so-prattutto a livello della spalla e della scapola (spostavo tut-to in blocco).

Sono circa 2 mesi che vado regolarmente, alcune volteesco molto stanca, sento che il braccio o le mie scapolehanno lavorato, sensazioni che comunque passano nel-l’arco di una giornata, altre volte sento il braccio sciolto eleggero, e se faccio delle bracciate a nuoto (che uso pervedere quanto il braccio sia ‘libero’) mi accorgo che de-terminati movimenti sono più naturali e fluidi rispetto aprima.

Inizialmente avevo paura che uno sforzo eccessivoavrebbe fatto gonfiare il braccio, ma questo non è mai suc-

cesso, neanche quando ha lavorato molto, anzi si è sgon-fiato anche a livello del gomito, dove era leggermente in-grossato.

Gli esercizi sono mirati al singolo individuo e conti-nuamente corretti se risultano troppo pesanti, questo per-ché le fisioterapiste sono molto attente alla risposta dellapaziente e cercano di proporre sempre un lavoro adeguatoalle esigenze personali.

Inoltre è un momento di tranquillità, una pausa in pia-cevole compagnia, anche quando fa un “freddo cane” inacqua!! O come direbbe mio cognato argentino: “Non c’èneanche un gatto sulla spiaggia”».

P.

Meditazione e pratiche psicofisichedella Medicina Cinese: una risorsa importante anche per il malato oncologicoMaestro Alfredo Albiani Fisioterapista esperto in tecniche integrate e medicina cineseMaestro di Yoga, Qigong, Taijiquan, MeditazioneDocente per lo Yoga ed il Tuina nel corso di Medicina Integrata di 1° livello all’Università di Siena

«la superiorità del medico sta, non nel trattare sempli-cemente la malattia, ma nell’educare la società e nel con-tribuire ad indirizzare nel giusto verso, le intenzioni dellepersone».

Un po’ di storiaDa più decenni, in Europa, sempre più capillar-

mente, sono presenti diverse varietà di discipline psi-co-somatiche collegate all’antica Medicina Cinese:quella dei Daoisti (Taoisti).

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Almeno tremila anni avanti Cristo i Daoisti getta-rono le fondamenta di quello che oggi si chiama, ge-nericamente, Qigong, sviluppando tecniche e metodida un’eredità la cui origine si perde nella notte deitempi, nel periodo protostorico dell’antica Cina, altempo degli Sciamani.

Le loro ricerche e pratiche hanno dato origine allaMedicina Classica e Tradizionale e a tutta la culturaCinese, in quanto il Daoismo è un’altissima sintesi difilosofia, scienza medica, conoscenze naturistiche ediscipline psico-fisiche, che ricerca il ripristino contecniche e metodi, che furono chiamate coltivare lavita, dell’armonia tra «l’essere umano vero» e ciò chelo circonda.

Fu per questo che nacquero e si svilupparono, at-traverso gli anni, moltissime tecniche di meditazionee di movimento corporeo cosciente, di cui oggi fannoparte il Qi Gong ed il Taijiquan.

Da quando sono comparse in Occidente questepratiche sono state talvolta sradicate dalla cultura chele ha originate per cui in alcuni contesti sono insegna-te in modo inadeguato, come forme di ginnastica dol-ce, prive dei loro principi e delle loro caratteristicheessenziali di pratiche volte a promuovere l’incremen-to e la circolazione dell’energia interna, la vitalitàdell’intero organismo, che si traduce nella capacità ditornare in salute e restarci.

Se divulgate in tal modo, prive degli elementi fon-danti, queste pratiche perdono il significato e lo scopoe non potranno mai esprimere le loro potenzialitàche, invece, è quello che ricerchiamo.

Avere incontrato nei miei quasi 45 anni di pratica edi studio molti maestri con formazione classica e tra-dizionale mi ha permesso di esplorare profondamen-te queste discipline nella loro integrità e completezza.

Per evitare ogni malinteso va subito detto che quel-lo di cui parliamo nasce da osservazioni ripetute epassate attraverso moltissime generazioni di maestri emedici, osservazioni che hanno subìto un progressivosviluppo e chiarificazione, eliminando sempre più ac-curatamente quello che era frutto di fantasie e super-stizioni, attraverso un metodo che possiamo definirebenissimo, razionale ad impronta scientifica.

A differenza della nostra cultura, quella Daoista, dacui hanno origine queste metodiche, usa un modo dilettura dei fenomeni dell’universo ed in particolare

delle funzioni organiche nel corpo umano, di tipoanalogico. Ciò ha portato alla formazione di una co-noscenza ricca e complessa che ritroviamo nella Me-dicina Cinese Daoista e nelle sue discipline motorieper la salute e la crescita interiore, Qigong e Taijiquan.

Per capire il valore di questa cultura medica, si de-ve tenere presente che nella medicina Cinese si cono-sceva da almeno 2500 anni che la temperatura delcorpo variava durante le 24 ore, (in Europa è stato vi-sto alla fine del 1800); che già molti secoli fa si davavalore all’igiene del corpo e alla protezione dell’am-biente, idee che abbiamo appreso in Occidente dopomolti secoli.

Qui di seguito alcune date interessanti della storiadella medicina cinese:– 1123 a.C. - Divisione del personale medico in quat-

tro categorie: dietisti, medici internisti, chirurghi,veterinari.

– 206 a.C. - Tutto ciò che ha a che fare con il cibo de-ve essere pulito.

– 206 a.C. - L’esercizio facilita l’assorbimento dellesostanze essenziali dei cibi, promuove la circola-zione del sangue e previene le malattie.

– Scoperta della circolazione sanguigna.– 581 d.C. - Meglio adoperarsi per mantenersi in

buona salute piuttosto che sottoporsi a cure medi-che.

– 1271 - Sviluppo della teoria crono-biologica.– 960-1279 - Sviluppo della pratica della vaccinazio-

ne anti-vaiolosa. Utilizzo delle croste seccate diret-tamente insufflate nel naso.

– 1693-1771 - La lunghezza della vita di una personaè già fissata alla nascita, solo uno stile di vita conso-no ai principi, può portare a termini i giorni stabi-liti.Nel sito archeologico di Mawangdui venuto alla lu-

ce nel 1971, si sono trovati testi di pediatria, ginecolo-gia, dermatologia, igiene sessuale datati almeno 500anni a.C. Compare un famoso rotolo con una tavoladi disegni raffiguranti quarantaquattro tra uomini edonne di età differente impegnati in esercizi diDaoyin con a fianco delle illustrazioni, la spiegazionedell’esercizio e delle malattie che cura!

Come funzionaI termini più spesso utilizzati in medicina cinese

sono: Qi, Dao (Tao), Yin Yang, Jingluomai (canali emeridiani), punti energetici e soprattutto si parla diequilibrio. È un linguaggio con il quale si impara a de-scrivere e costruire una lettura binaria dei fatti edeventi del mondo (Yin Yang).

Questi emblemi della medicina cinese rendonoperfettamente l’idea dell’alternanza ritmica, senza so-sta, di ogni evento e manifestazione ed hanno una for-za concettuale che travalica i propri confini, tanto cheil fisico Niels Bhor, avendo rilevato sorprendenti ana-logie tra queste teorie e la propria interpretazione della

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meccanica quantistica, una volta nominato baronetto,adottò come suo, il simbolo del Taiji.

Il corpo strutturale organico, secondo la medicinaDaoista, è visto come un flusso di funzioni, ininter-rotte, tra di loro collegate ed interdipendenti (cosa og-gi confermata dal paradigma medico attuale dellaPNEI e dall’epigenetica).

Tradotto, quindi, in termini moderni possiamo di-re che abbiamo ereditato arti e discipline psico-fisi-che, neuromotorie-propricettive, con metodi di auto-coscienza, di auto controllo e auto sviluppo ed unagrande quantità di esercizi respiratori e motori,profondi e controllati.

Con essi, attraverso una attenta esplorazione, per-cezione e guida delle attività fisiologiche, si favorisce ilripristino degli equilibri psichici, nervosi, endocrinied immunitari.

A tutto questo si arriva in una corsia preferenziale,con il recupero cosciente della postura originale, cheporta un miglioramento delle funzioni immunitarie,nervose, endocrine, propricettive ed esterocettive edelle capacità di autoriparazione e di mantenimentodell’equilibrio organico ottimale (omeostasi). La qua-lità della vita migliora a tutti i livelli ed a tutte le età eda ogni condizione di partenza. Gli obiettivi finalipossono cambiare a seconda dello stato di salute dacui si parte e dalla continuità o meno della pratica.

QigongLa denominazione Qigong è della fine del 1800 e si

usa prevalentemente con il significato di controllareil Qi, termine che, quando si applica nell’ambito del

corpo umano, intende ed indica le funzioni di un sin-golo organo, di un sistema o dell’organismo totale, aseconda del contesto: funzioni fisiologiche, cardia-che, respiratorie, digestive, emotive, cognitive…).Quindi con Qigong si intende tutto ciò che ci permet-te di modificare il flusso del Qi, e quindi le funzioni,attraverso il nostro organismo, volontariamente edintenzionalmente.

Così, con queste arti, quando le portiamo a supera-re il livello di mera attività fisico-ginnica, si ottengononotevoli cambiamenti positivi in tutta la persona enella comunità cui si appartiene.

Per quanto possa sembrare strano, di fatto, conun’attenta ed accurata postura, si otterrà un migliora-mento progressivo della fisiologia organica che vienepercepita dalla persona come un aumento della sere-nità, stabilità emotiva, forza fisica, resistenza e flessi-bilità. Questo è originato dal complesso intreccio direlazioni fra tutti i sistemi che mantengono in vita unorganismo.

Il nostro organismo è costantemente sollecitato acontinui e ripetuti adattamenti sociali, climatici, sto-rici, lavorativi, personali… Se non riusciamo ad adat-tarci, veniamo portati ovviamente e regolarmente amodificare la postura: una persona triste non ha lastessa postura di una felice. Se queste modifiche simantengono a lungo e sono in disaccordo con il buonfunzionamento dell’organismo, ecco che compare ildisturbo emotivo, fisico cognitivo, stanchezza, irrita-bilità, abbattimento emotivo, ansia, acne, dismenor-rea, impotenza… preparando il terreno a patologiepiù pesanti,

Nel Qigong e nel Taijiquan, tramite l’apprendi-mento di nuove capacità bio-meccaniche, si portanoalla coscienza le tensioni fisiche arrivando, con il tem-po, ad eliminarle coscientemente. Così esercitando lapercezione di sé stessi con continuità ed attenzioneaccurata, coltivando lo stato di calma emotiva, chia-rezza mentale, forza, resistenza e flessibilità fisica, sifavorisce lo sviluppo di nuovi stati di coscienza arri-vando a migliorare i rapporti tra esterno ed interno.

Il metodo nella praticaVi sono moltissime possibilità di scelta tra i vari

esercizi di Qigong. Quelli che propongo appartengo-no ai metodi Daoyin, Yangsheng, Tuna, Zuo Chan eNeidan.

Daoyin significa Condurre e guidare e le sue tecni-che, molto semplici nell’esecuzione, hanno lo scopoprimario di riottenere la postura migliore che consen-ta agli organi di funzionare al meglio senza ostacolimeccanici. Durante l’esecuzione degli esercizi, si con-duce l’attenzione (è fondamentale!) lungo i vari setto-ri del corpo, si aiuta con i gesti e l’atto respiratorio amuovere i liquidi ristagnanti, che possono causare al-terazioni funzionali. In questo modo si rimuovono idepositi di cataboliti (tossine del metabolismo) e si

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rimettono in circolo in modo che arrivino ai vari or-gani emuntori, reni, colon, pelle e polmoni e possanoessere espulsi dal corpo.

Yangsheng, o Nutrire/Coltivare la vita, è un in-sieme di esercizi di interiorizzazione, leggermente piùcomplessi, che aiutano a ripulire gli organi emuntorifavorendo la disintossicazione organica insieme a unaaccurata igiene alimentare ed una gestione attentadelle emozioni e delle idee.

Con Tuna si intende un principio che racchiude erinforza quelli descritti sopra e cioè buttare via il vec-chio per accogliere il nuovo a partire da un migliora-mento della capacità respiratoria. La respirazione è ilponte verso le attività che si svolgono autonomamen-te e attraverso esercizi opportuni possiamo esplorarleed imparare a migliorarle evitando che entrino inazione inadeguatamente.

Gli esercizi di Zuo Chan, Meditazione seduta,comprendono esercizi raffinati di ascolto di sé chepermettono una condizione di tranquillità totale, fat-to che favorisce e attiva le funzioni dei sistemi di auto-guarigione, di riparazione e di rimessa a regola d’arte.

Il Neidan, Alchimia interiore è il percorso co-sciente di crescita personale che porta sempre più lapersona alla conoscenza di sé, sviluppando un gran-de grado di presenza a sé stesso, di continua consa-pevolezza.

Tutte queste metodiche sono compresenti in ogniincontro e si usano i principi sfumando gradatamenteda una all’altra in una sequenza di esperienze grade-voli che portano, chi un po’ prima, chi un po’ dopo, a

scoprire il valore delle proprie capacità e l’utilità diqueste metodiche.

Chi può praticarle?Queste tecniche possono essere praticate da tutti e

si possono praticare in piedi, seduti o distesi adattan-do gli esercizi alle varie condizioni che si possono ri-scontrare nei differenti casi.

Nel caso di una malattia oncologica, sono impor-tantissime tecniche e metodiche che, affiancando lecure convenzionali necessarie, prima, durante e do-po, danno un miglioramento notevole alla qualitàdella vita del paziente (medicina integrata). Questo èsostenuto anche dai vari studi pubblicati negli ultimianni di ricerca: attenuazione talvolta anche completadi molti sintomi delle chemioterapie come la nausea,la xerostomia e la fatigue. Si ha una crescita più velo-ce dei capelli, si ottiene uno stato emotivo e di vita-lità così forte che alcune persone hanno detto di nonaccorgersi nemmeno di essere sottoposti alla che-mioterapia. Migliora la respirazione, la digestione el’evacuazione, la voglia di muoversi, di avere una vitasociale.

Cambia completamente, in meglio, la qualità dellavita.

Queste tecniche e metodiche sono importanti an-che nel campo della prevenzione primaria.

Nella mia esperienza ho visto che, tra chi ha prati-cato un tale stile di vita, assiduamente, la comparsa dimalattie importanti è stata minima.

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Sono metodiche fondamentali per gli operatori sa-nitari e i caregiver per evitare il burnout e mantenerela capacità professionale sempre al massimo.

In conclusione, si possono insegnare principi, stilidi vita ed esercizi a tutti a partire dall’età di tre, quat-tro anni formando persone capaci di conoscersi e farescelte sagge e salutari.

Chi inizia giovane non solo ha una salute più forte,ma riesce molto meglio nello studio, nello sport, nellavoro, nei rapporti e in genere nella vita, dato che lapersona conoscendosi ha più coscienza dei propri li-miti e riesce a superare momenti di difficoltà fisica,emotiva e mentale in modo flessibile.

È questo che permette una vita più serena, vissutamaggiormente nel presente, in modo più completo inogni momento e fase della nostra esistenza. Si rac-chiude tutto questo nella frase Chang Shen Pu Lao,Vivere a lungo senza invecchiare.

Anche a Pisa a Novembre 2017 è partito un corsoda me tenuto di meditazione daoista e qigong, con ilpatrocinio dell’Ospedale Santa Chiara indirizzato alledonne che hanno subito mastectomia. L’iniziativa èinserita all’interno di uno studio clinico, organizzatodal Dott. Filippo Bosco e dalla Dott.ssa Valeria Ca-milleri, sull’impatto di un programma di pratichemente-corpo sulla qualità della vita delle pazienti af-fette da Carcinoma mammario afferenti al Centro Se-nologico di Pisa.

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Per maggiori informazioni: [email protected]

347 2626607

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Estetica OncologicaQuando l’estetica incontra la terapia e migliora la qualità di vita delle persone in cura per una patologia oncologica

Angela NovielloDirettore Italia Coordinatore Europa Oti Oncology Esthetics

«Dottore perderò i capelli? Questa la frase ricor-rente che segue ancora oggi la consegna della diagnosidi una malattia oncologica.

Per questa domanda nel corso degli anni psicologie medici si sono confrontati con l’intento di poter ri-spondere in modo concreto alle esigenze dei pazientiche fino a pochi anni fa potevano apparire solo super-ficiali e frivole. Gli effetti collaterali derivanti dalle te-rapie come chemioterapia, radioterapia e chirurgiacolpiscono in modo più o meno accentuato l’esterio-rità delle persone, infatti perdita e aumento di peso,perdita di capelli, ciglia e sopracciglia, pallore, mutila-zioni, occhiaie e rush cutanei possono talvolta genera-re sentimenti negativi che influenzano la percezionecirca la propria identità. Oggi l’Estetica Oncologica,declinazione dell’estetica nata in Italia nel 2013, inter-viene come Trattamento Complementare a supportodelle tradizionali terapie convenzionali con il fine dialleggerire gli effetti collaterali delle cure a beneficiodi una migliore qualità della vita.

In Italia ogni anno ci sono circa 370.000 nuove dia-gnosi di tumore di cui 200.000 (54% circa) uomini e170.000 (46% circa) donne. In futuro nel corso dellavita si prevede che un uomo su due e una donna su treincontreranno la malattia. Le nuove terapie sono pro-mettenti e si calcola che oggi il 60% dei pazienti so-pravvive diventando «malato cronico». Il tumore nonè più considerato solo come malattia terminale, lepersone imparano a convivere con la malattia e perquesto necessitano sempre di più di un approcciomultidisciplinare che le accompagni per tutta la dura-ta delle cure.

Come può essere di supporto l’Estetica Oncologica? L’Estetica Oncologica è una nuova specializzazione

in ambito estetico che ha origini lontane, nasce infattipiù di venti anni fa in Canada ad opera di Morag Cur-rin che, con passione, pazienza e determinazione, af-fiancata da personale medico ed infermieristico, è riu-scita a mettere a punto nel tempo un metodo «OTIOncology Esthetics»per poter trattare da un punto divista estetico, in totale sicurezza, le persone in curaoncologica. Le estetiste spesso si trovano a dover af-frontare le proprie clienti che si ammalano o che han-no incontrato la malattia nel corso della vita, e oggicon la formazione opportuna sono in grado di poteressere di enorme supporto accompagnandole prima,durante e dopo il loro percorso di cura. I pazienti non

sempre sanno di poter essere sottoposti ad un tratta-mento estetico SICURO eseguito da professionistiadeguatamente formati, non sanno quali informazio-ni trasmettere all’operatore e nel dubbio di non poteressere trattati (fatto ancor più grave) negano la pre-senza della malattia e delle cure stesse, mettendo a ri-schio sé stessi, la propria salute e l’operatore.

È molto utile poter diffondere l’importanza e l’effi-cacia di questo tipo di approccio, una vera rivoluzionein ambito estetico e certamente una vera rivoluzionein ambito medico che aspira oggi alla presa in caricoglobale del paziente. I trattamenti devono essere sem-pre infatti eseguiti a seguito di avallo da parte del me-dico oncologo curante. Questa nuova disciplina perpoter essere praticata deve essere abbracciata con pro-fessionalità e avendo rispetto per le rispettive compe-tenze e i rispettivi ruoli. È esclusa l’improvvisazione, ènecessario apprendere tutte le informazioni e la mo-dalità di approccio al «cliente», siano esse di naturapratica che psicologica. Un trattamento eseguito conil cuore ma senza la preparazione adeguata potrebbeessere causa di spiacevoli effetti collaterali indesidera-ti. Il trattamento deve essere sempre personalizzatoper il singolo paziente e ad ogni singola seduta. Ognipersona necessita di trattamenti personalizzati secon-do la propria storia clinica. Le persone in cura posso-no essere sottoposte a diversi trattamenti quali: tratta-menti viso, trattamenti corpo, massaggi, trattamentimani e piedi, make up, camouflage, dermopigmenta-zione e richiedere consulenze dermocosmetiche par-ticolarmente utili per gestire nel quotidiano tutti glieffetti indesiderati a carico della pelle.

Sono tante le informazioni relative anche al corret-to uso del cosmetico che necessita durante le fasi di te-rapia e che deve essere selezionato con attenzione. Lacute in generale si sensibilizza notevolmente e neces-sita pertanto di cure dedicate. I prodotti possono alle-viare la disidratazione, nutrire e proteggere la pelle;delicati rituali quotidiani possono fare davvero la dif-ferenza nella gestione e nella prevenzione dell’insor-gere di numerosi inestetismi. La professionista benpreparata è in grado di esaminare la pelle e verificarela presenza di possibili anomale neoformazioni cuta-nee che possono meritare un indagine più approfon-dita eseguita dal dermatologo. Inoltre educa i propri«clienti» alla corretta esposizione solare e alle necessa-rie precauzioni.

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I benefici che inizialmente possono apparire mar-ginali impattano sulle emozioni, sullo stato psicologi-co e sulla qualità di vita in modo straordinario. Du-rante i trattamenti il contatto può essere di confortospesso più di una parola, studi scientifici hanno dimo-strato inoltre la sua abilità nel diminuire la sensazione

del dolore, diminuire l’ansia, rilassare il corpo e lamente generando sentimenti di fiducia e speranza.Nel corso delle sedute le piccole confidenze vengonoaccolte serenamente nella consapevolezza di essereascoltati e compresi.

Oggi è possibile usufruire di tali trattamenti secon-do diverse modalità, le Associazioni, per esempio, han-no accolto con entusiasmo l’importanza di tale suppor-to psicosociale e stanno investendo moltissimo nell’im-plementazione di laboratori di Estetica Oncologica al-l’interno di diverse strutture ospedaliere e non.

In alcune strutture ospedaliere i trattamenti sonocompletamente gratuiti per il paziente che ne usufrui-sce, in Italia sono già quasi 300 le Professioniste Certi-ficate OTI Oncology Esthetics distribuite su tutto ilterritorio nazionale che si sono specializzate e cheoperano, con avallo dei medici, all’interno delle lorostrutture, in questo caso privatamente. È possibileconsultare il sito www.oti-italy.com per trovare l’este-tista più vicina.

Mi curo di Me…Siria PerettiPresidente di «Mi Curo di Me»

… nel pieno della mia malattia ho trovato la bel-lezza nella ferita… della mia Anima, l’ho accettata evestita con i colori dell’arcobaleno… con questi colo-ri è nato «MI CURO DI ME» orgogliosa di indossarequesto Vestito e grata a tutte le persone che hannopartecipato alla realizzazione della cucitura…

Gli appuntamenti della vita purtroppo prima o poiarrivano per tutti e riguardano vari aspetti, dalla sferarelazionale a quella finanziaria. Molte volte però sitratta della salute. Chi la perde per una seria malattia,ma anche chi indirettamente ne è coinvolto, (fami-glia, figli, genitori ecc.) cambia immediatamente lapropria scala di valori e individua quali sono le coseimportanti e quali vanno ridimensionate, scoprendo ireali fondamenti della vita…

In caso di cancro o melanoma, (il mio intruso) giàall’apparire della parola la gente fa un passo indietrorabbrividendo (o sparendo). Anche se poi si scopreche sono in tanti ad aver attraversato quel guado e chemolti, oggi moltissimi sono riusciti a superarlo e aconvivere con questa malattia. La guerra ancora no,ma molte battaglie sono state vinte. All’inizio ci siconcentra soprattutto sulla lotta per la sopravvivenzae solo più tardi ci si accorge che la malattia e i tratta-menti hanno lasciato il loro segno non solo dentro ma

anche fuori, nell’aspetto esteriore: perdita di capelli,calo o aumento di peso. Di conseguenza cambia an-che l’immagine che ognuno ha di sé, quella rappre-sentazione mentale che ci facciamo del nostro corpo eche in situazioni normali soggiace all’equazione im-magine di SÉ positiva uguale a buona autostima, im-magine di SÉ negativa uguale cattiva autostima.

Quindi nel pieno della malattia ho imparato aprendermi «Cura di Me «, cosa che ho voluto estende-re a donne e uomini per imparare a portare con disin-voltura il cambiamento che la malattia ci ha dato inmodo vincente…

«Mi curo di me» è un progetto ambizioso e pienodi ottimismo, rivolto a persone che, come me, hannoaffrontato e affrontano una malattia oncologica senzamai perdere fiducia nella vita.

Ho ideato e realizzato un team di professionistiche, con lo spirito di una squadra vincente, «allena» ilpaziente oncologico a prendersi cura di Se stesso: lamalattia è solo una sfida, l’occasione per una nuovavita, in cui il corpo e la psiche devono trovare un nuo-vo equilibrio, una nuova bellezza.

È importantissimo far riacquisire un’identità fisicaal paziente oncologico: l’estetica oncologica rappre-senta lo strumento indispensabile per donare una ve-ra bellezza in questa fase dell’esistenza. Il corpo, solo

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se ben curato, dona un’immagine di serenità e sicu-rezza anche in momenti difficili e può dare la forzaper superare questi cambiamenti.

Mi Curo di Me ha come obbiettivo di informaredurante i nostri incontri i pazienti oncologici dal pun-to di vista estetico, promuovendo il benessere e laqualità della loro vita prima durante e dopo la terapia.La finalità della nostra figura «Socio Estetista» e deinostri trattamenti complementari non è quella diguarire ma di prendersi cura sotto il profilo estetico.

Il nostro compito negli incontri che facciamo è farseguire ai pazienti qualche piccolo accorgimento nelquotidiano, è quello di informarli anche sui cosmeti-ci, cosmeceuti e prodotti per la cura della pelle. Lamaggior parte dei prodotti presenti sul mercato non èadatta per i pazienti oncologici, soprattutto quandosottoposti a terapia e per alcuni anche durante il pe-riodo di recupero.

Pertanto durante e subito dopo le terapie oncologi-che consigliamo l’uso di prodotti privi di profumi, pa-rabeni, diazolidinyl, urea, dea, tea, siliconi,glicoli, al-col, alluminio, borotalco, vitamina c (durante la tera-pia) ecc.

Altro punto importante è prendersi cura delle cica-trici che necessitano di attenzioni quotidiane. Dopocirca una settimana dall’intervento vengono rimossi ipunti e la cicatrice appare gonfia, arrossata, dolente.Ci vogliono circa sei mesi per avere l’esito definitivodella cicatrizzazione del tessuto, si consiglia di deter-gere, lenire e proteggere massaggiando delicatamentele cicatrici (2/3 volte al giorno). È opportuno chiedereal proprio medico quando cominciare e quale prodot-to utilizzare, di solito si inizia dopo circa 4 settimanedall’intervento, Solitamente germe di grano, aloe, ro-samusheta possono essere un ottimo supporto in que-sta delicata fase dove fastidio, dolore, prurito o tensio-ne cutanea possono generare non solo un disagioestetico ma anche psicologico. Prendersi cura dellapelle durante la chemioterapia, coccolare la nostrapelle ogni giorno è fondamentale, i danni derivati dal-la chemioterapia non possono essere evitati ma inter-venire prima, durante e dopo è fondamentale percontenerne gli effetti.

Ricopre un fondamentale ruolo una detersione eidratazione quotidiana, è importante prediligere pro-dotti cosmetici per il proprio biotipo cutaneo (pelledisidratata, alipica, seborroica, oleosa, ecc)

Noi consigliamo un rituale mattina per rimuoverei residui delle secrezioni cutanee notturne, la sera unrituale viso per togliere tutte quelle sostanze che si so-no depositate nel corso della giornata sul nostro visocome smog, make up, ecc. Per il corpo consigliamouna doccia quotidiana con le stesse regole nella sele-zione di prodotti per il viso.

L’alopecia, la perdita parziale o totale dei capelli, èl’effetto più temuto della chemioterapia, cadono i ca-pelli ma possono cadere anche le sopracciglia e i pelinel resto del corpo, anche qui consigliamo shampoodelicato.

Possono verificarsi numerosi effetti indesiderati acarico delle unghie, si possono presentare pigmentate,fragili, spesse, distrofiche (alterate, deformi) dicromi-che, ed essere oggetto di infezioni batteriche o fungineche possono determinarne il completo distacco.

Sindrome mano /piede noto come eritrodisestesiaè una forma di tossicità cutanea causata dalla assun-zione di alcuni chemioterapici e si presenta con gon-fiore delle dita, eritemi, desquamazione e possibileconseguente formazione di vescicole e fessurazioni siaalla mano che ai piedi, associato ad intorbimento conalterazione della sensibilità accompagnato da dolore eformicolio. Sono da evitare le temperature elevate, losfregamento, le costrizioni, il contatto con il detersi-vo, consigliamo l’uso dei guanti e la detersione è pre-feribile a base oleosa, consigliamo anche di applicarequotidianamente creme grasse.

Molto importante è anche la cura della pelle du-rante la radioterapia, consigliamo di preparare unmese prima del trattamento la pelle con prodottiidratanti e lenitivi, di evitare l’esposizione al sole du-rante e dopo e di attendere almeno 6 mesi dall’ultimaseduta.

Il nostro obbiettivo estetico complementare alle te-rapie oncologiche è una rivoluzione… numerosi sonoi trattamenti di cui possiamo beneficiare in una curaper patologia oncologia.

Bisogna affidarsi a mani esperte e a persone ade-guatamente formate.

Qui non è consentita l’improvvisazione, ogni sin-golo trattamento è estremamente personalizzato e ri-visto ogni qualvolta trattiamo la stessa persona.

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La rete oncologica toscana: principi fondanti e nuove prospettiveGianni AmunniDirettore ITT - Istituto Toscano Tumori

La regione Toscana ha scelto, ormai da quasi 20anni di dotarsi per l’oncologia di un sistema a rete, diun modello cioè in cui tutti i servizi dedicati alla pre-venzione, alla ricerca e alla cura dei tumori costitui-scono una squadra unitaria, chiamata Istituto Tosca-no Tumori.

Le domande che il paziente si pone al momentodella diagnosi (sono nel posto giusto? è stato sentito ilparere di tutti gli specialisti? la cura è quella più adattaal mio caso? ci sono terapie più nuove che vengonodalla ricerca?) sembrano dimostrare un forte bisognodi certezza e la necessità che, all’interno del sistema, cisiano scelte di qualità e omogenee.

Mentre un istituto tradizionale si pone l’obiettivodi garantire prestazioni efficaci a chi accede a quellastruttura, un sistema a rete ha il dovere di pensare aprocedure efficaci, ma soprattutto omogenee per l’in-tera popolazione.

L’oncologia presenta oggi alcune criticità che devo-no essere affrontate: rischio di disequità negli accessi;multidisciplinarietà non sufficientemente strutturata,incertezze su tempestività e appropriatezza; disconti-nuità tra ospedale e territorio; innovazione non sem-pre garantita; problemi ingravescenti di sostenibilitàeconomica. Il modello a rete, la squadra in cui ciascu-no svolge un ruolo utile e condiviso, è in grado di ri-spondere meglio a queste problematiche. Oggi si par-la molto di reti, ma talvolta senza chiarezza e operati-vità; occorre invece lavorare con forza perché tutte leattività presenti nel territorio, dall’ambulatorio peri-ferico alla struttura di alta specializzazione, siano uninsieme strutturato in cui ogni pezzo è complementa-re all’altro in un «puzzle» in grado di favorire sinergie,condividere la casistica, garantire la continuità di cu-ra, rendere fruibile, quando necessaria, l’alta specia-lizzazione e l’innovazione, promuovere politiche diprevenzione primaria, secondaria e terziaria. La mis-sion dell’ITT recita «insieme per capire, prevenire ecurare il cancro; la Toscana per garantire a tutti la cu-ra migliore». Ne deriva un modello organizzativo ca-ratterizzato da oltre 20 punti di accesso (CORD) dacui partono percorsi assistenziali condivisi dall’interosistema dei professionisti che collocano il pazientenella sede più opportuna in funzione della comples-sità della sua problematica oncologica.

In questi anni si sono realizzate una serie di azioniche hanno fatto crescere il nostro modello anche nelconfronto con altre realtà extraregionali e che sono ri-

conducibili alla valorizzazione della rete, alla creazio-ne di infrastrutture e servizi, alla modulazione dei no-di della rete in funzione della complessità della pato-logia. Sono state azioni di valorizzazione della reteoncologica la copertura di zone carenti per questaspecialità, la dotazione di un modello organizzativocomune in tutti i nodi (CORD, GOM…), la produ-zione di raccomandazioni cliniche condivise e l’anali-si con specifici indicatori dei livelli di omogeneità del-le procedure mediche, il sostegno mediante finanzia-mento pubblico di progetti di ricerca diffusa nel terri-torio. Un sistema a rete si rafforza, anche nel sostegnoche viene dai professionisti e dagli utenti, se riesce aprodurre infrastrutture o servizi che sono possibiliproprio perché la» squadra» produce di per sé un va-lore aggiunto. Appartengono a quest’ultima categoriaalcune significative azioni: un laboratorio di ricerca dibase (CRL) con tre sedi a Firenze, Pisa e Siena i cui ri-cercatori sono stati reclutati su bandi internazionali; ilcentro di coordinamento delle sperimentazioni clini-che per favorire la diffusione di trials clinici di valen-za regionale; l’estensione del Registro Tumori a tuttala regione; gli appuntamenti periodici in multivideo-conferenza in cui tutti i professionisti condividonoesperienze, ricerche, aggiornamenti; il numero verdeper l’oncologia come strumento di supporto per il pa-ziente e la sua famiglia sia nelle criticità psicologichesia nell’orientamento diagnostico terapeutico.

In una rete oncologica evoluta i nodi non possonoessere tutti uguali, ma anzi ci deve essere da parte deiprogrammatori la capacità di modulare l’organizza-zione in funzione dei dati epidemiologici e delle di-versa complessità della casistica. Già dal 2010 la Re-gione Toscana ha incaricato ITT di prevedere, di con-certo con le aziende sanitarie, l’individuazione di spe-cifiche «unità di competenza» per le patologie oncolo-giche meno frequenti o ad elevata complessità. Si trat-ta di tumori (quali quelli del pancreas, i neuroendo-crini, del surrene e i GIST) per i quali è fondamentaleconcentrare la casistica regionale in strutture che ab-biano volumi adeguati, particolare expertise dei pro-fessionisti e adeguata dotazione tecnologica. In questaottica anche il tema dell’innovazione (diagnostica eterapeutica), che assume in oncologia valore empati-co e mediatico, trova nella rete una opportunità diutilizzo appropriato. La disponibilità dell’intera casi-stica regionale, la condivisione delle indicazioni daparte dei professionisti, la operatività di una organiz-

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zazione coerente consente di meglio programmare gliinvestimenti, di intercettare i bisogni reali, di garanti-re accessi periferici (equità) e utilizzo appropriato se-condo solidi criteri scientifici che escludono le leggi dimercato. In questo senso anche i temi, oggi partico-larmente pressanti, dei costi economici delle cure on-cologiche trovano in un sistema a rete maggiori op-portunità d’intervento a partire dalla condivisionedelle scelte da parte dei professionisti, e, soprattutto,dalla necessità di offrire messaggi omogenei ai pa-zienti in grado di coniugare innovazione, equità, qua-lità e sostenibilità del servizio sanitario pubblico euniversale. Investire sulla vera innovazione, distin-guere tra costi diversi per indicazioni sovrapponibili,negare «eticamente» cure inutili, richiedono la perce-zione da parte del paziente dell’esistenza di una squa-dra forte, aggiornata e capace di condividere sceltetalvolta difficili.

In questi anni la rete oncologica Toscana si è con-solidata ed ha visto sia i professionisti che i decisoripolitici collaborativi e sinergici, con attese sempremaggiori, rafforzate anche dal fatto che sia a livellonazionale che europeo si è prodotta una forte spintaverso questo modello. In Toscana, anche sull’ondadella riforma del SSR che ha ridotto il numero delleAziende Sanitarie, si è colta l’opportunità di aggrega-zione in campo oncologico e di azioni di rafforza-mento, sia sul piano dello «stato giuridico» che dellaeffettiva capacità di governo dei percorsi di cura. È at-tualmente in fase di discussione (proposta di leggedella Giunta Regionale al vaglio delle commissioni delConsiglio) la costituzione di un nuovo ente (Istituto

per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica)che nasce dalla fusione di ITT e ISPO.

Si apre così una nuova prospettiva che risponde,tra le altre, a due esigenze principali: riunire in un’u-nica istituzione la prevenzione con la cura e la ricercain campo oncologico, in modo da sottolineare la ne-cessità di tenere insieme e favorire l’integrazione diquesti tre momenti; creare una istituzione comuneper l’oncologia, dotata di stato giuridico, all’internodella quale tutte le Aziende Sanitarie, tutti i diparti-menti oncologici si impegnino alla definizione di unprogramma condiviso in questo settore, portandociascuno un contributo utile e coerente. Ci sono dun-que quelle condizioni per rafforzare i principi su cui ènato l’ITT e che hanno caratterizzato il ruolo peculia-re di ISPO: la centralità del paziente in un sistema chesi fa carico dei suoi bisogni complessivi, attivando inmaniera coordinata il contributo di tutti gli attori se-condo criteri di appropriatezza, qualità e sostenibilità.

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Il coraggio di testimoniare la propria esperienza Comunque vita

Maria Luisa Domenichini

Tardi anni Settanta. «Stagno delle rane» venivachiamata la piazza ancora sterrata e sconnessa dove siergeva il palazzetto della locale ASL. A dirigerla erauna ginecologa tutto pepe impegnata nella battagliadi diffondere su larga scala lo screening mammografi-co obbligatorio per le donne sopra i 40 anni. Ne spie-gava lei stessa l’opportunità, a me che mi ero trasferitadi recente in quella cittadina della cintura milanesedove si sperimentavano pratiche innovative. Eravamogiovani e piene di energie. Il sol dell’avvenire si pre-sentava davanti in tutto il suo fulgore.

Un decennio più tardi la pratica era diventata rou-tine anche nella metropoli dove nel frattempo ero tor-

nata. Gli inviti dell’Assistenza Sanitaria si susseguiva-no ogni due anni, magari con minore puntualità eprecisione, comprensibili vista la scala ora più ampia.Il solito appuntamento di prammatica era talora se-guito dalla prescrizione di ulteriori esami di ap-profondimento: ripetute telefonate per fissare i nuoviappuntamenti, file in ospedale… Confesso che qual-che volta ho approfittato delle défaillance nella «chia-mata alle armi» per saltare il turno. Se ci ripenso, allaluce del poi…!

Oggi tutto un mondo è cambiato. Nuovo compa-gno, nuova casa, altra città e regione.

Come «pacchetto» con la richiesta di residenza

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arriva subito la convocazione per lo screening mam-mografico. Che tempestività! Ormai dal 2000 loscreening è diffuso su scala nazionale ma qui arrivanoben puntuali… Lo vivo come un bel segno di apparte-nenza alla comunità pisana.

Mi fanno rifare l’esame: all’ambulatorio c’è unalunga fila di donne. Passa più di un mese. E l’esitoquando arriva? Sono inquieta.

Ecco arrivare infine la convocazione. La rispostavogliono darmela direttamente in ospedale. Mi ci recoinsieme al mio compagno. Lui, ciglia aggrottate, è de-ciso. Anche lui vuole essere della partita, essere messoal corrente. Di riscontro, io ci tengo a esprimergli tut-ta la mia volontà di condividere anche questo. Ho fi-ducia in lui. L’infermiera mi chiama in disparte da so-la e mi legge asciutta il referto: carcinoma. Fabio michiede di conoscere l’esito, tergiverso un po’ mante-nendomi sulle generali, edulcoro la pillola: in qualchemodo lo vorrei proteggere dalla realtà. Mi tallona,non c’è scampo. Sorrido, infine glielo dico chiaro cheè una cosa maligna. Ecco la minestra scodellata sulpiatto, niente viene nascosto a nessuno e questo cirassicura. Per ulteriori spiegazioni sono indirizzata auna dottoressa. Scelgo di farlo entrare al colloquio.L’ho al mio fianco e l’averlo coinvolto (lo sarebbe co-munque) rafforza il nostro legame: insieme siamo ingrado di affrontare quel che ci aspetta. Prima dell’o-perazione è necessario fare degli esami, le probabilitàdi uscirne sono buone e, ci dicono, per un buon esitodelle cure è importante reagire positivamente. Unoscatto di debolezza però non manca. Porco cane, miribello alla sorte. La mia vita deve avere comunque laprecedenza. Non voglio farmi operare subito, primavoglio andare in Sardegna a trovare mia figlia lontana.Nessun problema, mi rassicura, prima ci sono tutti gliaccertamenti del caso e anche qui c’è una coda da ri-spettare. L’ospedale è affollato di persone in attesa:siamo tutte donne con lo stesso problema.

Allora non sapevo che il tumore al seno fosse cosìdiffuso. Le statistiche ci dicono che colpisce una don-na su 8, e donne sempre più giovani, (un uomo su598) con una sopravvivenza media dopo 5 anni dalladiagnosi del 87% che diminuisce dopo 10 anni dalladiagnosi. La medicina fa continui passi in avanti esperiamo che i risultati negativi diminuiscano ancora,visto che nel settore oncologico i tumori al seno rap-presentano la causa prevalente di mortalità femmini-le. Le file di donne negli ambulatori aumentano per-ché aumenta il numero di donne sottoposte a scree-ning. È tutta una corsa contro il tempo per il progres-so scientifico ma anche per la sensibilizzazione socialeal problema. Negli ambulatori di Senologia tra donneci comunichiamo notizie, esperienze, racconti di vitediverse. Arma appuntita contro le nostre paure nellabattaglia per la vita è l’informazione. E il male altrui,talvolta grande, fa ridimensionare il proprio. L’ho vi-sto soprattutto in seguito, in sala di attesa di radiolo-gia, incontrando i casi più diversi, storie di vite, cia-

scuna con un volto. Il personale, dalla segretaria alleinfermiere, è disponibile e gentile. Una bibliotechinaè in bella mostra nella sala d’attesa e altri libri si pos-sono chiedere in prestito presso l’Associazione Seno-logica Internazionale, aperta di mattina. Le sue inizia-tive sono numerose. L’Associazione si chiama inter-nazionale perché impegnata ad estendere il proprioraggio di azione in una dimensione più vasta del no-stro paese. In Kenia per iniziativa del reparto direttodalla dr.ssa Roncella è stato fondato un ospedale at-trezzato soprattutto contro varie patologie femminili.

L’operazione? Credevo, chissà perché, che non sa-rei sopravvissuta. Ad assistermi è voluta venire dallaSardegna mia figlia. Alle sue mani è stata affidata lagestione di casa. La notte dell’operazione e quella pre-cedente lei ha potuto dormire in una poltrona nellamia stanza: due letti e un bagno. Che c’è di meglio? Inattesa che l’anestesia facesse effetto, chiacchieravo conun tecnico del settore. Molto preparato, veniva da untirocinio in Inghilterra. Al risveglio mi ha comunicatosorridendo che era tutto finito: l’operazione era anda-ta bene. Nessun problema ai linfonodi che apparivanopuliti: per ogni evenienza ne avevano asportati quat-tro. Non sentivo alcun dolore né l’avrei sentito perqualche giorno ancora.

Ma il dolore è venuto poi e talvolta ancora si fasentire.

Venne a visitarmi la primaria dottoressa Roncellacon tutta la sua equipe, compreso il medico a lei vici-no, dr. Ghilli, che mi aveva operato. In mezzo a tuttaquella gente davanti al mio letto lei sembrava unachioccia orgogliosa della sua figliolanza. In seguitouna mia amica mi raccontò che la Roncella ha sempredimostrato una straordinaria resistenza in sala opera-toria, sempre lucida ed efficiente anche nelle circo-stanze più difficili.

Dopo due giorni ero a casa, con un programma dicure da fare. La ferita era pulita. Se volevo recuperarel’uso di mani e braccia ora gonfie la strada era una sola:esercizi ed esercizi di sollevamento e trazione braccia,apri e chiudi le mani. Volevo tornare quella di prima?Pazienza il dolore. Ad aiutarmi a drenare i liquidi miprescrissero anche farmaci naturali e chimici in mix.Oggi sono soddisfatta, il recupero è pieno. Il problemapiù grosso? Alla radioterapia, seguita non senza unacerta apprensione, durante un periodico colloquio dicontrollo le oncologhe aggiunsero un farmaco antitu-morale, il Femara, che presentava effetti collaterali pe-santi: non solo dolore alle articolazioni (e passi: con unpo’ di buona volontà i movimenti si fanno ugualmen-te) ma dispareunia, ovvero dolore nei rapporti col miocompagno. Ero molto arrabbiata perché questo inci-deva pesantemente sulla qualità della mia, della nostravita. Avrei voluto evitarne l’assunzione e qualche voltadi nascosto ho tralasciato di prendere il farmaco. Ar-rabbiata contro l’universo mondo, confesso di averfatto una sorta di sciopero. Fabio se ne accorse; inter-venne pesantemente. Se i medici avevano ritenuto

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opportuno prescrivermelo, è chiaro, professionalmen-te avevano avuto le loro brave ragioni. Mise in dubbiola mia serietà. Soprattutto pretendeva l’impegno peruna vita vissuta insieme la più lunga possibile. Nessu-na discussione. E io ho obbedito, a malincuore, unadelle poche volte nella mia vita in cui sono stata obbe-diente. Forse perché confortata dall’amore.

Speranza di risolvere il problema era quella batte-ria di esami e controlli a cui mi potevo appellare ognisei mesi. Dopo un ulteriore esito buono, infine gli on-cologi mi hanno prescritto un altro antitumorale, unpo’ meno efficace forse ma meno devastante quantoad effetti collaterali.

Per recuperare pienamente esistono diversi mezzi edavanti a me sta una strada di riabilitazione piena. Ric-ca di informazioni e di stimoli, la rivista «Sassi e piu-me» mi ha aiutato molto. È importante sapere di nonessere l’unica a provare le varie sensazioni e conoscerequali rimedi possono esser messi in atto. La frustrazio-ne e il senso di impotenza si curano così. Siamo since-ri: è inevitabile sentirsi depresse quando non siamo

nella solita forma, quando non riusciamo ad esserepienamente attive. Ho una testarda volontà di vivere,ma è inutile farsi di sé un’immagine da Supergirl. Ladepressione è un pericolo. Allora è importante metter-si in rapporto con le altre persone, comunicare. E sonograta a tutti coloro che ho avuto intorno.

Grazie.

Letto per voiL’incontro di Bodo Kirchhoff(Neri Pozza Ed., traduzione di Riccardo Cravello)

A cura di Liana Martinelli

Il romanzo è stato vincitore del «Deutscher Buch-preis 2016», il più importante premio letterario tede-sco. Racconta, dialogo dopo dialogo con una scritturaasciutta, a volte ironica, un innamoramento, un desi-derio di nuova vita tra due persone non più giovani esole. Lui, Julius Reither, è l’ex proprietario di una pic-cola casa editrice in sofferenza che ha da poco liquida-to perché è sempre più difficile trovare buoni libri.Col ricavato ha potuto lasciarsi alle spalle la città e tra-sferirsi nell’appartamento con vista sui prati e suimonti nell’alta valle del Weissach, sul confine alpino,con l’intento di godersi la pensione in solitudine.

Lei, Leonie Palm, ex proprietaria di un negozio percappelli è stata costretta a chiudere perché c’eranosempre meno facce per i suoi cappelli, vive nello stes-so complesso di Reither, scrive ed è presidentessa diun circolo letterario.

Il titolo, l’incontro, con l’articolo determinativo,esprime «un ché di fatale e la fatalità si può solo subi-re, si può solo accettare, è il pugno che ti colpisce asorpresa in pieno cuore, o anche la mano che ti pren-de semplicemente per mano».

L’incontro tra Reither e Leonie avviene in una fred-da serata di primavera, con ancora la neve sui prati. Lei

va all’appartamento di Reither perché vuole chieder-gli un parere sul libro che ha scritto e che lui ha presodalla biblioteca attirato dalla copertina e dopo avereindugiato a lungo dietro la porta si decide a bussare.Lui apre e si trova ad ammirare il viso della visitatrice,«di quelli che fanno pensare a come doveva essere pri-ma, bello da lasciare sconcertati, semplicemente per ilfatto che aveva ancora qualcosa di sconcertante, congli occhi di un grigio azzurro, i capelli raccolti in altoalla meglio, color guscio di pistacchio».

C’è da subito sintonia, attrazione tra due animecon un passato doloroso che a poco a poco emerge.Per lei si tratta di un matrimonio fallito e di una figliache si è lasciata morire, sdraiata al freddo accanto adun lago, per lui di una figlia non nata, non voluta e diun amore finito. Si innamorano durante il viaggio de-ciso di impulso anche se uno sapeva a stento chi eral’altro. Viaggiano senza fretta, dapprima verso il lagoAchensee per aspettare sulle sue rive che sorga il sole,poi verso il sud, verso l’Italia senza una meta ben pre-cisa. I ricordi delle passate scelte, che comunque re-stano un fatto, riemergono nel loro peregrinare versola luce, verso la speranza di un nuovo amore, di unaseconda occasione. C’è l’abbagliante ed eterna bellezza

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della Sicilia malgrado l’assedio del turismo invadente,ci sono altri incontri, fatale quello con una bambinaprobabilmente clandestina che li segue senza mai par-lare.

Parallelo al loro c’è un altro viaggio dal sud verso il

nord, quello dei profughi che fuggono dalla fame o dal-le guerra alla ricerca di una vita più dignitosa o sicura.

Gli incontri casuali con questa diversa realtà sifanno sempre più ravvicinati, fino a quello col giova-ne nigeriano che da più di un anno è in fuga con lamoglie e la piccola nata durante il viaggio. Quasi unasacra famiglia dove l’amore è assoluto, generoso, fi-ducioso, quello che forse Reither avrebbe voluto, mache è sempre stato incapace di realizzare, per egoi-smo, per incapacità di abbandonarsi completamente,per fatalità.

Si inizia a leggere e si è presi come da un incanta-mento, una malia sottile accompagna tutto il roman-zo, le vicende si snodano in una atmosfera sospesa,ma gli avvenimenti ad un certo punto non sono piùcontrollabili e come in un crescendo rossiniano si ar-riva all’epilogo, alla fine di quella che sarebbe potutadiventare una storia d’amore con un futuro in due eche ancora strazia il cuore di Reither.

Myanmar, il paese dalle mille pagodeOlimpia Ronga

Sono appena atterrata in Birmania e mi colpisce ve-dere tanti uomini che indossano il longyi, sono pochigli uomini che indossano i pantaloni. La nostra guida cimostra come viene indossato, è possibile creare ancheuna tasca per riporre soldi e documenti, è fresco e leg-gero, asseconda i movimenti e nessuno porta le mutan-de. Può servire anche da asciugamano e da lenzuolo,basta avere nel bagaglio due longyi e il gioco è fatto!

Quasi tutte le donne che incontro hanno la facciagialla, a volte sulle guance ci sono dei disegni elabora-ti, dei riccioli di giallo. È il tanakà, una pasta ricavatadalla corteccia di un albero che serve a proteggere dalsole e che schiarisce la pelle, facendo sentire le donneprobabilmente più belle. Anche i bambini piccolihanno spesso il tanakà sulle guance.

Yangoon è una città grande, il traffico è sostenutoma non caotico, la grande pagoda Shwedagon sullacollina è spettacolare e grandissima, affollata da fedelie da turisti, sfavillante d’oro sotto il sole e ancor di piùcon le luci che si accendono dopo il tramonto. Moltipregano e fanno offerte, gruppi di bambini con la tu-nica marrone e di bambine con la tunica rosa accom-pagnati dai monaci sostano davanti ai templi e into-nano canti.

Il buddismo è praticato ovunque, migliaia di tem-pli e pagode e stupa costellano il paesaggio, con le lo-

ro campane ora bianche, ora dorate disegnano nelverde un percorso spirituale. Il Myanmar è davvero ilpaese dalle mille pagode. Nella piana di Balan aspet-tiamo il tramonto per vedere nella luce che muore lecentinaia di pagode che sorgono nella pianura acca-rezzate dai raggi morbidi del sole che creano l’illusio-ne di un miraggio.

Il palazzo reale di Mandalay ci accoglie con le statuea grandezza naturale dell’ultimo re e della regina solen-nemente seduti, maestosi e quasi ieratici all’ingresso.

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Il complesso ricorda in piccolo la città proibita di Pe-chino, gli edifici sono perfettamente conservati, i luo-ghi di incontro e di preghiera sono immersi nel silen-zio, la vita della corte è finita.

A pochi chilometri dall’antica capitale Amarapurasi trova il famoso ponte di U Bein, il più lungo ponterealizzato in legno di tek che collega le sponde del lagoa un importante pagoda distante tre chilometri. È unameta di turismo locale affollatissima, tutti voglionosalire sul ponte che si erge nel niente. Sotto la struttu-ra imponente c’è un fotografo che scatta le foto di unmatrimonio. La sposa indossa un abito bianco di stileoccidentale, lo sposo un abito nero. Ci fermiamo adosservare, pronti ad augurare ogni felicità ma scopria-mo presto che si tratta di un set fotografico per una ri-vista, gli sposi sono modelli immortalati in una «loca-tion» di grande attrattiva.

Ci imbattiamo invece nel ricevimento di un veromatrimonio in un ristorante, gli sposi indossano il co-stume tradizionale, lo sposo ha uno strano copricapoa forma di banana di un incredibile color albicocca.All’ingresso del ristorante sono situati due banchettidove vengono consegnati i regali, pacchi voluminosi obuste con i soldi. Durante il rinfresco uno spettacolodi marionette allieta gli ospiti e soprattutto i bambiniche si affollano sotto al palco.

Raggiungiamo via fiume l’immensa pagoda di Min-gun, un opera grandiosa di un re megalomane mai ter-minata e in parte distrutta dal terremoto del 1838. Laleggenda vuole che un indovino avesse predetto la finedel regno prima che la pagoda venisse finita e così èstato. Poco lontano si trova la più grande campana dibronzo del mondo sotto cui si può entrare e che i gio-vani colpiscono all’interno con un mazzuolo produ-cendo un suono sordo e ovattato. Nei pressi dell’im-barcadero è sorto un villaggio poverissimo, sporciziaovunque, cani magri e spelacchiati si aggirano sullastrada, capanne di paglia sbilenche trovano posto tragli alberi di una jungla polverosa, i sacchetti di plasticadell’immondizia imbrattano anche le rive del fiume.

Attraversiamo il paese in pullman, pochi villaggisparsi nelle campagne, le case sono per lo più di

bambù intrecciato, stuoie resistenti e anche decorati-ve, nei corsi d’acqua le persone lavano le stoviglie, ipanni, se stessi. Ci fermiamo a visitare le numerose pa-gode dove si entra sempre a piedi nudi, all’interno c’èsilenzio, c’è fresco, le statue del Budda sono circondateda fiori e da offerte, le persone sostano in silenzio,qualche volta pregano e a volte attaccano minuscolifoglietti d’oro sulle statue per acquistare merito, permostrare la loro devozione. In alcuni templi ci sonospazi dedicati ai Nat, geni tribali che bisogna ingra-ziarsi con offerte e inchini, sono spiriti protettori chepossono anche diventare malevoli e creare danni. Avolte incontriamo la processione dei monaci che si fer-mano davanti alle case con le ciotole in mano e aspet-tano che i fedeli le riempiano di riso. Si può acquistaremerito facendo la carità, sostenendo i monasteri e imonaci, costruendo o riparando gli edifici di culto ecosì facendo ci si aspetta che la prossima reincarnazio-ne sia migliore. Quando il nostro pullman si ferma perun guasto in aperta campagna ci imbattiamo in unpiccolo villaggio, uno spaccato della vita agricola nellaBirmania fuori dalle rotte turistiche. Case spaziose fat-te con le stuoie dove si dorme e si mangia, la cucinacon i fuochi e la latrina con il secchio con l’acqua sonofuori in piccole costruzioni in muratura. Sull’aia at-trezzi antichi, fuochi spenti, fascine accatastate. Unaragazza seduta per terra confeziona sigarette arroto-lando le foglie verdi di tabacco, le donne chiacchieranoe sgusciano legumi sull’uscio delle case, gli uomini gui-dano i carri trainati dai i buoi. La pagoda è a pochi pas-si. Le donne sono gentili ma anche curiose, ci chiedo-no le sigarette confezionate e ci danno in cambio le lo-ro foglie arrotolate. Il villaggio sembra fuori dal tempoma la televisione nelle case c’è.

I bambini tornano a piedi dalla scuola con le cartel-le di stoffa colorata a tracolla, camminano a gruppettichiacchierando e scherzando, ridono, sembrano felicianche se a volte devono percorrere diversi chilometriper arrivare a casa. Ci fermiamo e facciamo salire sulpullman una dozzina di bambini, regaliamo loro lafrutta e le caramelle e dopo cinque chilometri li fac-ciamo scendere, sono quasi arrivati, sorridono con-tenti e riprendono il cammino.

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La povertà è diffusa, prova ne è che la nostra guidabirmana ha l’abitudine di far confezionare dai risto-ranti dei pacchetti con il cibo che noi non abbiamomangiato e di regalarli alle persone che incontriamolungo la strada. Un regalo sempre gradito, accolto congrandi ringraziamenti. C’è molta speranza che le cosecambino, la vittoria della «Signora» ha aperto uno spi-raglio ma tutti sanno che è troppo presto per vedere ilcambiamento.

A Loikaw, il paese delle donne giraffa ci sono po-che case di legno e bambù e qualche bancarella per ituristi. Qualche bambino gioca a palla sulla strada

sterrata. Le donne più anziane hanno veramente ilcollo più lungo e gli anelli d’ottone che lo cingonobrillano come oro. Le donne più giovani e le bambinesi mostrano con gli anelli al collo ma questi non sonofissi, esiste un meccanismo per aprire e chiudere lacollana che la sera viene tolta. È come per gli indianid’America che indossavano i loro costumi per i turi-sti, anche i tempo delle donne giraffa è finito.

Sul lago Inle a 900 metri d’altezza i pescatori re-mano con un lungo bastone azionato da una gamba egettano le reti con le mani. Nei villaggi sulle sponde cisono le case, palafitte di legno, i ristoranti, le imman-cabili pagode, i laboratori dove si tessono i tessuti,anche la pregiatissima seta di loto che viene ricavatadallo stelo del fiore da ragazze sedute per terra, abilis-sime nell’estrarre la fibra che verrà filata e tessuta suitelai a mano manovrati dalle donne. Le merci sonotrasportate dalle barche, anche qui vediamo soprat-tutto donne al lavoro. Le tante etnie presenti in Bir-mania si riconoscono per i copricapi di diversi colorie fattura che riparano le donne dal sole cocente. Uo-mini al lavoro ne vediamo veramente pochi. Neicampi, nei negozi, nei mercati, nei laboratori artigia-ni sempre donne giovani e meno giovani, a volte ado-lescenti. Poche sorridono, la vita deve essere dura perle donne in Birmania.

Il viaggio è finito, mi resta l’impressione di aver fat-to un salto indietro nel tempo in una realtà contadinache non ho mai conosciuto se non dai racconti deinonni, è ora di tornare a casa dove per quanto ci si la-menti ancora della mancanza di parità la condizionedelle donne è infinitamente migliore.

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Apprezzo molto Marco Giallini come attore e Pao-lo Genovese come regista: mi sono piaciuti in «Perfet-ti sconosciuti» e ho deciso di andare a vedere subito«The Place», sperando di trovare anche questa voltaun buon film. Non sono stata delusa, l’ho trovato in-teressante e molto ben recitato. È un film di interpreti(c’è una strepitosa Giulia Lazzarini) e un po’ teatrale,nel senso che tutta la vicenda potrebbe svolgersi su unpalcoscenico.

Il film è ambientato interamente in un unico luo-go, un tavolo nemmeno troppo appartato di un localeanonimo, il The Place del titolo, probabilmente unatavola calda. A questo tavolo siede sempre un uomo(Valerio Mastandrea) né giovane né vecchio, serio etriste, e a lui si rivolgono alcune persone per chiederela realizzazione di un loro desiderio: ritrovare la salu-te, per sé o per una persona cara, ritrovare dei soldi,un amore e perfino tornare a sentire Dio. Perché l’uo-mo sconosciuto esaudisce i desideri. Ma non è come ilgenio della lampada, che non chiede niente in cam-bio, e nemmeno come il diavolo, che vuole in cambiol’anima. Non è detto chi sia l’uomo, non si conoscenemmeno il suo nome, né perché sia proprio lì a svol-gere proprio quel ruolo.

Ad ogni richiesta di desiderio l’uomo consulta lasua voluminosa agenda e chiede alla persona sedutadavanti a lui di portare a termine un compito partico-lare, spesso una brutta azione, proprio brutta, ancheviolenta e che procurerà sofferenza ad altri. Il miglio-re dei compiti assegnati è di rimanere incinta, ma è ri-volto a una suora. Si può scegliere se accettare o no,l’uomo lo ripete spesso ai suoi avventori, ma in caso dirifiuto il desiderio non si realizza.

È un film sul libero arbitrio? Forse. Di sicuro po-ne una domanda difficilissima: fino a che punto sia-mo disposti ad arrivare per ottenere quanto deside-riamo? Quanta sofferenza si è disposti ad infliggeread altri affinché la nostra sofferenza termini? Mi hafatto pensare a certe pagine del romanzo 1984, diGeorge Orwell, quando il protagonista, in cella, perevitare l’ennesima terribile tortura risponde «fatelo alei». Lei è la sua amata, imprigionata anch’essa. Horicordato anche il rifacimento televisivo del film«Un mandarino per Teo» in cui il protagonista, cheera Gino Bramieri, deve decidere se far morire unmandarino cinese, e ricevere in cambio molti soldi,oppure no.

La domanda non è nuova, l’idea non è originale e

in alcuni momenti i colloqui sono ripetitivi, talvoltabanali. Credo che sia voluto, per sottolineare quantosia banale e ripetitivo il male. All’accusa di essere unmostro l’uomo risponde «diciamo che do da mangia-re ai mostri» e fa venire i brividi.

Il film si è ispirato (qualcuno dice che sia stato pro-prio copiato) ad una serie nordamericana del 2010,«The Booth at the End» che non ho visto, ma ci sonosempre nuovi modi di porre domande vecchie!

L’uomo misterioso ha toni pacati, da burocrate di-rei. Non è coinvolto più di tanto, almeno in apparen-za, e i compiti che assegna, per quanto terribili, non listabilisce lui perché li legge sulla sua agenda. Sullastessa agenda prende appunti quando le persone gliparlano, soprattutto quando descrivono nei partico-lari, guidati anche dalle sue domande, le azioni pro-gettate e compiute (o non compiute) e le sensazioneprovate, con la consapevolezza che è stata loro la scel-ta di compierle e del modo in cui compierle. Potreb-be essere noioso un film quasi solo di parole e sguardima si scopre che le storie delle singole persone sonointrecciate tra loro perché i compiti da svolgere met-tono in contatto i richiedenti e i compiti di uno sonotalvolta in conflitto, o in opposizione, con i compitidi un altro. Non viene mostrata alcuna azione: è tuttoraccontato, con molti dettagli, dai clienti dell’uomomisterioso.

Le storie non finiscono tutte bene e non è dato sa-per se l’uomo misterioso ha un fine, se vuole (o deve)anche lui realizzare un desiderio tramite le richiesteche fa alle persone che lo cercano.

La barista del locale (Sabrina Ferilli) cerca di fareamicizia con l’uomo e lui all’inizio è infastidito, ri-sponde a mala pena alle domande. Lei insiste, prova aindovinare, chiede perché sembra così stanco e cosìsolo. L’uomo, alla fine del film, quasi sorride e chissàche succederà, o non succederà, se sarà realizzato ildesiderio della ragazza che cerca l’amore con la amaiuscola.

A una domanda della barista:«Ma tu credi in Dio?»L’uomo risponde:«Credo nei dettagli» e mi è venuto in mente il detto popolare ‘Il diavolo

è nei dettagli’. Mi sono chiesta se questa risposta sug-gerisce che l’uomo misterioso sia un diavolo. Chissà,ma in questo caso sarebbe proprio un povero diavolo,estenuato da un lavoro spossante.

Andiamo al cinemaMaria Giovanna Guarguaglini

The PlaceRegia di Paolo Genovese (2017)Durata 1h 45min

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La quinoa è un alimento ipocalorico privo di gluti-ne con elevate proprietà nutrizionali, originaria delSud America. Digeribile, fonte di proteine vegetali,contiene fibre e minerali come Fosforo, Magnesio,Ferro, Zinco e grassi insaturi. Ottima per accompa-gnare verdure.

Ingredienti per 2 personequinoa 150 gacqua 300 gcurcuma polvere 1 cucchiaiocarote 2peperone rosso 1zucchine 2olive nere una manciatauova 2spinacini freschi 200 golio e sale q.b.coppa pasta media grandezza

Cuocere la quinoa per circa 15 minuti in acqua sa-lata e curcuma. Scolarla e passarla sotto acqua fredda.

Tagliare a cubetti le zucchine, il peperone, le carotee saltare in padella con poco olio, poco sale, a fiammasostenuta; saltare a parte gli spinacini con poco olio.

Cuocere le uova per 3 minuti dall’inizio dell’ebolli-zione dell’acqua.

Condire la quinoa con le verdure e impiattare nelcoppo pasta. Adagiare al centro l’uovo aperto a metàcosì da far espandere il tuorlo morbido e completarecon un cucchiaio di spinacini.

VinoProsecco Superiore di Valdobbiadene, 11% servire

fresco.È un vino DOCG con caratteristiche organoletti-

che morbide e sfumate. Vino di vitale eleganza e pro-fumi fruttati, floreali. La zona di produzione si esten-de in tutto il Nord Est italiano, sotto le Dolomiti.

I sapori della tradizioneQuinoa a colori

Tiziana Centonze

In questo numero vi parlerò della curcuma. La cur-cuma è una spezia molto usata in cucina che ha pure unpotere curativo e utili proprietà cosmetiche. Per più di1000 anni è stata utilizzata per curare le ferite e le don-ne lo usano da sempre per i trattamenti cutanei. È mol-to efficace nel trattamento e nella prevenzione dell’ac-ne, infatti rimuove il grasso in eccesso ed apre i poriostruiti che causano acne e brufoli, la sua proprietà an-tibatterica uccide i batteri responsabili dell’acne.

Maschere per la pelle del viso alla curcuma

1. Maschera per il viso alla curcuma

½ cucchiaino di polvere di curcuma2 cucchiaini di polpa di banana ridotta a purea½ cucchiaino di miele

Mescolare bene tutti gli ingredienti fino a far diven-tare cremosa la miscela. Applicare la pasta sul viso e sulcollo, lasciandola per circa 30 minuti. Risciacquare.

La curcuma ammorbidisce la pelle e la nutre convitamine e minerali, esfolia delicatamente le cellulemorte, riduce i grandi pori. Il miele idrata, nutre e lu-brifica la pelle. La banana contiene il potassio e la vita-mina che idratano la pelle e aiutano a far scomparirele cicatrici dell’acne e le macchie scure, inoltre contri-buisce a dare luminosità alla pelle.

2. Maschera per il viso alla curcuma ed agrumi

1 cucchiaino di polvere di curcuma1 cucchiaino di limone / succo d’arancia1 cucchiaino di miele

Mescolare tutti gli ingredienti fino ad ottenere unapasta liscia. Applicare la pasta sul viso e sul collo, la-sciandola per circa 30 minuti. Risciacquare.

La vitamina C presente nel limone/arancia previe-ne le macchie scure e creando collagene mantiene latonicità e la tensione della pelle.

… comunque belleGohar Sargsyan

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3. Maschera per il viso alla curcuma per la pelle secca1 cucchiaino di polvere di curcuma1 cucchiaino di latte intero o panna1 cucchiaino di mieleMescolare bene tutti gli ingredienti fino a far diven-

tare cremosa la miscela. Applicare la pasta sul viso e sulcollo, lasciandola per circa 30 minuti. Risciacquare.

La panna o latte intero sono ricchi di acqua, grassie proteine che possono ricostituire i fattori idratantinaturali perduti dalla pelle secca. Risulta quindi essereuna maschera estremamente idratante e lenitiva, ingrado di ridonare luminosità alla pelle.

Il miele e la curcuma sono pieni di antiossidanti,ottimi per rallentare l’invecchiamento.

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http://la vostra postaCare Lettrici e cari Lettori,la rivista dedica uno spazio alle vostre lettere. Potrete, se volete, raccontarci le vostre esperienze, segnala-

re e raccontarci un libro che vi è particolarmente piaciuto o che vi ha aiutato a superare momenti difficili,segnalarci situazioni problematiche che eventualmente avete incontrato, comprese quelle di natura giuri-dica, fare domande e chiedere informazioni.

L’indirizzo e-mail a cui potete inviare la vostra posta è: [email protected]

Saremo lieti di ospitare le vostre richieste e le vostre impressioni e di rispondere alle vostre lettere. Qualsiasisuggerimento che possa aiutarci a migliorare la rivista e renderla così meglio fruibile sarà per noi prezioso.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo 2 poesie delle lettrici.

Preghiera. La VitaFare qualcosa per vivere

provare a controllare il ritmo della vita.La vita che ci dà prove da affrontare.

Ma vivere ogni attimo, ogni istante di poesia.Valutare quello che abbiamodi bello nella nostra vita.

Solo apprezzando questo, si può vivere in pace, in tranquillità,

felici con se stessi.Tutto l’amore che ci circonda,

i nostri figli che sono parte di noi,la natura che è così bella.

L’amore di un uomo verso una donna e viceversa.L’amore di tutto l’universo.

Sentire l’amore per la nostra terra.In qualunque posto siamo nati.Non rinnegare mai se stessi.Anzi amando noi stessi.

La vita è bella, la vita è sacra.Viviamo questa vita, viviamolasino in fondo, nel bene e nel male

nella felicità e nel dolore che essa ci da.Credere (di qualunque religione noi siamo).

Credere in qualcosa, in qualcuno.Essere, corpo, spirito, divinità.O comunque amare tutto e tutti

con infinito amore.La vita ci è stata data ed essa va rispettata

se vogliamo che essa rispetti noi.Perché dobbiamo sapere che siamo noi

a guidare e dirigere sulla strada giusta la nostra vitaTutto dipende da noiLe nostre opere di bene,

le nostre ambizioni, i nostri successima anche la nostra bontà, umiltà, sensibilità,

che dà valore alla nostra vitaAmiamo la nostra vita perché essa ci ama.

Clara De Luca

CateneLe catene sono quello che noi stessici mettiamo o permettiamo a coloro

che amiamo di mettercele

Le catene possono essere i pregiudizii divieti che ci vengono imposti

Le catene possono essere i nostri fallimentiLe nostre paure interiori

Ma dobbiamo imparare a viverela nostra vita e liberarci dalle catene

che ci siamo messi

Solo così potremo dire di essere liberie potremo volare in alto

verso una nuova vita e nuovi orizzonti

Michela Giunchiglia

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Anche il web può darci una mano. Alcune socie, navigando in rete, hanno trovato utili i seguenti siti che volentieri segnaliamo:

www.favo.it(Federazione Italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia)

www.aimac.it(Associazione Italiana Malati di Cancro)

www.europadonna.itwww.kousmine.net

Vi segnaliamo anche il seguente blog:

http://lottare-vivere-sorridere-d.blogautore.repubblica.it/

Ringraziamo la Banca Popolare di Lajatico per il sostegnoerogato per la pubblicazione del presente numero della rivista

Con il patrocinio del Comune di Pisa

Con il patrocinio

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