San Giovanni e Apocalisse

161
FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO - CATANIA - Chiar.mo Prof. ATTILIO GANGEMI _______ _______ Ezio Coco Anno Accademico 2005 / 2006 ESEGESI NT: S. GIOVANNI E APOCALISSE APPUNTI DELLE LEZIONI

description

San Giovanni e Apocalisse

Transcript of San Giovanni e Apocalisse

Page 1: San Giovanni e Apocalisse

FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

- CATANIA -

Chiar.mo Prof. ATTILIO GANGEMI

_______

_______

Ezio Coco

Anno Accademico 2005 / 2006

ESEGESI NT:

S. GIOVANNI E APOCALISSE

APPUNTI DELLE LEZIONI

Page 2: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

2

Page 3: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

3

Giovedì 06 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

L’opera giovannea comprende:

1. Quarto vangelo 2. Le tre lettere di Giovanni 3. L’Apocalisse.

L’analisi interna di questi scritti rivela che essi non sono da attribuire alla stessa

mano. Probabilmente somiglianze e differenze suggeriscono che la prima lettera [è la più

importante] sia l’opera di una persona che riflette sul quarto vangelo, mentre l’Apocalisse

rivela tutt’altra mano. Un’altra osservazione suggerisce che nessuno dei tre scritti sia da at-

tribuire all’apostolo Giovanni. Qui riproponiamo una distinzione che altre volte abbiamo

proposto tra autore ecclesiale ed autore letterario. L’autore ecclesiale colui che trasmette

alla Chiesa con la sua autorità apostolica; l’autore letterario è quello che concretamente

scrisse l’opera. [in questo corso ci occuperemo del quarto vangelo (da pagina 1 a pagina

145), giovedì alla 5a ora ci occuperemo dell’Apocalisse (da pagina 146 a pagina 161), men-

tre non tratteremo le tre lettere di Giovanni].

Il quarto Vangelo, per un verso, si ricollega alla tradizione primitivo-evangelica,

per l’altro invece diverge. Diverge nella struttura, nei contenuti, circa il 70% infatti è e-

sclusivo del quarto evangelista [ad esempio: Le nozze di Cana, l’incontro con Nicodemo,

l’incontro con la Samaritana, il discorso di Gesù a Cafarnao, la resurrezione di Lazzaro],

esclusiva giovannea e poi la sezione che va dal capitolo 13 al capitolo 17.

D’altra parte nella sua struttura di fondo coincide con quella dei Vangeli sinottici.

Possiamo infatti proporre il seguente schema di confronto:

VANGELI SINOTTICI GIOVANNI 1) Trilogia degli inizi

a) Giovanni il battista b) Battesimo c) Tentazioni

1) -------------------------------- a) il Battista b) il Battesimo [ripresa di ele-menti ma non narra il battesimo]

2) Ministero in Galilea 2) Attività pubblica di Gesù [capp. 1-12] 3) cammino verso Gerusalemme 3) --------------------------------- 4) ministero in Giudea 4) attività privata 5) narrazione della Passione 5) Narrazione della Passione 6) racconti post-pasquali 6) racconti post-pasquali

Page 4: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

4

Come possiamo percepire? Giovanni concorda nel fare iniziare la sua narrazione

dal Battista, anche se, lui risale alla preesistenza eterna del logos e presenta in Battista

principalmente come testimone.

Concorda nel distinguere due parti dell’attività di Gesù, ma tale distinzione è diver-

sa: non è più geografica ma si distingue in pubblica e privata: vedremo infatti come Gio-

vanni non segue lo schema dei sinottici che presentano Gesù verso Gerusalemme, ma al

contrario Giovanni rivela un cammino inverso: dalla Giudea alla Galilea.

Concorda nella narrazione della Passione, anche se all’interno di essa presenta con-

tenuti del tutto diversi. [Ad esempio solo Giovanni ci narra dell’incontro con Anania o An-

na, ma non parla del processo anche se non lo ignora].

Infine Giovanni concorda nelle narrazioni post-pasquali, anche se i racconti sono

diversi.

Queste osservazioni rivelano che Giovanni riprende uno schema evangelico meno

elaborato di quello dei Vangeli sinottici, anche se, presenta una teologia più sviluppata e

rivela di essere stato scritto verso la fine del primo secolo.

Pure i contenuti giovannei, in parte si ricollegano alla tradizione sinottica, ma in

parte no. Ci sono dei racconti che si ricollegano ai racconti sinottici. Qui il problema è

quello di vedere caso per caso [non si possono dare definizioni in genere], soltanto sia

qualche esempio: Giovanni narra nel capitolo 9 la “guarigione del cieco nato”, estende

questa narrazione per ben 41 versetti, però in tale narrazione egli sembra ricollegarsi

all’episodio narrato dal capitolo 8 di Marco, ciò è suggerito dall’elemento dello sputo: in

entrambi gli evangelisti si tratta di un cieco, in entrambi gli evangelisti Gesù sputa, ma

mentre secondo Marco, Gesù sputa negli occhi, secondo Giovanni sputa a terra. Questi e-

lementi da una parte rivelano una certa dipendenza di Giovanni dalle tradizioni sinottiche,

dall’altra rivelano l’autonomia del quarto evangelista che presenta gli episodi in maniera

sua originale. Nel capitolo 9, per esempio, l’evangelista più che narrarmi un miracolo di

Gesù, vuole descrivere l’esperienza spirituale dell’autore stesso.

Lo stesso si può dire del capitolo 10, “il buon pastore”, che presenta una elabora-

zione autonoma, ma che ha anche un legame con i sinottici, basti pensare, per esempio alla

parabola del pastore che ha cento pecore e và in cerca di quella smarrita. La prospettiva

giovannea però è del tutto diversa.

Giovanni concorda in altri episodi, per esempio la “moltiplicazione dei pani” [cap.

6], “l’unzione di Betania” [cap. 12], “l’ingresso di Gesù a Gerusalemme”.

Page 5: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

5

Altri episodi non li narra, ma non li ignora. Matteo e Marco parlano per esempio

della vocazione dei primi quattro discepoli [Pietro e Andrea, e i due figli di Zebedeo]. Gio-

vanni pure narra la vocazione di quattro discepoli: nei primi due concorda, anche se inverte

l’ordine [Andrea e Pietro], discorda negli altri due: non parla dei figli di Zebedeo, bensì di

Filippo e di Natanaele. Giovanni non narra la preghiera di Gesù al Getsemani, ma non la

ignora e infatti la sminuzza e introduce qui e lì i vari elementi [a riguardo c’è un articolo di

tre anni fa su Synaxis].

Giovanni non narra del processo davanti al sinedrio, ma non lo ignora, citiamo sol-

tanto un passaggio: cap 11, dove Caifa dichiara: «bisogna che uno solo muoia per il popo-

lo…», il capitolo 10, poi, il buon pastore, per poterlo comprendere, deve essere ambientato

nello schema dei due processi dei giudei, quello davanti ad Anania che narra, e quello da-

vanti al sinedrio che non narra.

Non potevamo dare un quadro completo sulla relazione tra Giovanni ed i sinottici,

anche perchè il problema non si pone in maniera generica, ma si pone testo per testo. Ciò

ci dice che l’evangelista si sentì libero di fronte ai fatti tramandati e il suo scopo, come del

resto anche per i sinottici, non era quello di dare una cronistoria, ma quello di delineare at-

traverso i racconti una particolare figura di Gesù.

Restando ancora nell’aspetto di un confronto generico tra Giovanni ed i sinottici

notiamo anzitutto un’assenza: Giovanni a differenza dei sinottici non riferisce nessuna pa-

rabola di Gesù, mentre le parabole nei sinottici hanno un’importante momento catechetico.

Giovanni invece presenta alcune immagini mediante le quali egli descrive la fisionomia di

Gesù. Ne notiamo alcune:

1- Io sono il pane vivo disceso dal cielo [6]; 2- Io sono la luce del mondo [8,12]; 3- Io sono la porta delle pecore [10,7]; 4- Io sono il pastore quello autentico [10,11]; 5- Io sono la Resurrezione e la vita [11,25]; 6- Io sono la via, la verità e la vita [14,6]; 7- Io sono la vita e voi i tralci [15,1].

Ognuna di questa espressioni ha una suo significato fondamentale, ma adesso ci li-

mitiamo soltanto ad indicarle dal punto di vista della similitudine che viene usata. Possia-

mo anche come similitudine citare 12,24: «se il chicco di grano caduto a terra non muore,

rimane solo…».

Page 6: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

6

Un’altra assenza importante è quella della istituzione. Giovanni non la narra perché

la sua prospettiva è molto più ampia, cioè tutto il Vangelo si colloca nella prospettiva di un

grande banchetto ed è errato identificare il racconto il racconto della istituzione con

l’episodio della “lavanda dei piedi”, quel episodio di un significato profondissimo è un

momento del banchetto, ma non si identifica con l’Eucarestia. In Giovanni abbiamo infatti

il testo di 12,2 dove l’evangelista scrive: «����������� ��������������»: «fecero un ban-

chetto», che introduce l’episodio dell’unzione di Betania, in 13,2 introduce l’espressione:

«�������� ��������» che è del tutto sbagliato tradurre «mentre cenavano», perché

l’espressione alla lettera deve essere tradotta: «mentre diveniva il banchetto». Il soggetto

non sono i discepoli ma il banchetto, e l’azione non è mangiare, ma divenire. Per avere

l’azione di mangiare bisogna attendere 21,13, dove Gesù dice ai discepoli: «venite, man-

giate» e l’evangelista narra: «viene Gesù, prende il pane e lo dà a loro». Di conseguenza

12,2 rappresenta l’inizio di un banchetto: “fecero”, 13,2 indica la sua continuità, il culmine

è da cercare nel capitolo 21.

Ci sono i miracoli, ma diversamente narrati. I miracoli giovannei sono:

1- Cana [l’acqua in vino]; 2- La guarigione del figlio di un funzionario Reggio [Cap. 4]; 3- La guarigione del paralitico alla piscina Betsada [Cap. 5]; 4- I pani [cap. 6]; 5- Il cieco nato [cap. 9]; 6- La resurrezione di Lazzaro [cap. 11].

In Giovanni abbiamo pochissimi episodi che con coincidono con l’abbondanza dei

sinottici, dove ci sono anche sommari di guarigioni. Giovanni narra pochi episodi emble-

matici, ma ricchissimi di significato teologi-

co. Nei vangeli sinottici ci sono i discorsi di

Gesù, basti pensare ai cinque importanti di

Matteo, a cominciare dal discorso della

montagna. Nei sinottici abbiamo discorsi

positivi, cioè Gesù propone; in Giovanni ab-

biamo moltissimi discorsi di Gesù [capp.

5,7,8,10], ma spesso in violento contrasto

con i giudei.

Page 7: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

7

STRUTTURA DEL VANGELO DI GIOVANNI

Per cogliere la struttura del Vangelo partiamo dalla struttura di due capitoli rispetti-

vamente il capitolo 12 e il capitolo 13. Ci riferiamo a questi capitoli perché il capitolo 12

può essere considerato il culmine della prima parte [1-12] e il capitolo 13 l’inizio della se-

conda parte [13-21].

Prima di proporre la struttura di questi due capitoli stabiliamo un confronto tra due

episodi di questi capitoli, precisamente tra 12,1-8 [l’unzione di Betania] e 13,1-5 [Gesù che

lava i piedi].

Nell’unzione di Betania, “Maria unge i piedi di Gesù e li asciuga con i capelli”.

Nell’episodio della lavanda dei piedi “Gesù lava i piedi dei discepoli e li asciuga con un

asciugatoio con cui era cinto”. Come possiamo vedere queste due azione hanno delle so-

miglianze e delle differenze. Nel primo episodio Gesù è oggetto di una azione da parte di

una donna; nel secondo episodio Gesù è soggetto di una azione verso i discepoli.

Si ottiene il seguente schema:

Donna � Gesù Discepoli � Gesù

Emerge una triade nel Vangelo di Giovanni che troviamo altre volte: a Cana c’è la

donna-madre ed i discepoli; nel capitolo quarto c’è la donna-non madre con Gesù e i di-

scepoli erano andati a comprare cibo; presso la croce di Gesù c’è la donna-madre e il di-

scepolo.

Confrontando l’azione della donna verso Gesù e quella di Gesù verso i discepoli

avremmo il seguente confronto:

donna Gesù Discepoli Ungere i piedi Lavare i piedi Asciugare con i capelli Asciugare con l’asciugatoio

Nella prima parte dell’azione abbiamo in comune il destinatario “i piedi”, ma di-

verge l’azione: “ungere”; “lavare”. Nella seconda azione i due episodi coincidono

nell’azione, non nel mezzo. In entrambi gli episodi è menzionata la figura di Giuda:

Page 8: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

8

nell’azione di Maria, Giuda è introdotto con la sua critica, nella seconda azione

l’evangelista nota che Satana aveva gettato nel cuore di Giuda di Simone di tradire.

Questo confronto ci dice dal punto di vista strutturale che i due episodi non sono

autonomi ed indipendenti, ma sono due parti di una azione globale più ampia dove si de-

scrive la relazione della donna a Gesù e dove si descrive la relazione di Gesù ai discepoli.

Sabato 08 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

Tiriamo una conclusione: l’azione di Maria sui piedi di Gesù e l’azione di Gesù sui

piedi dei discepoli sono due parti di un tutt’uno che però l’evangelista smembra. Smem-

brandole l’evangelista fa dell’una il culmine della prima parte, dell’altra ne fa l’inizio della

seconda parte.

Passiamo così a individuare la struttura del capitolo 12 e poi quella del capitolo 13.

IL CAPITOLO 12

Si articola in cinque parti strutturate nel seguente modo:

1- versi 1-11: l’unzione di Betania; 2- versi 12-19: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme;

3- versi 20-36a 4- versi 36b-43: l’incredulità dei giudei;

5- versi 44-50: il giudizio.

Queste cinque parti gravitano attorno alla parte centrale. Da questa parte centrale si

muovono due linee: una ascendente: ingresso a Gerusalemme � unzione di Betania; l’altra

discendente: incredulità � giudizio di condanna. Per comodità possiamo riproporre sche-

maticamente nel seguente modo:

1- unzione di Betania; 2- ingresso a Gerusalemme;

3- parte centrale; 4- incredulità;

5- giudizio.

Page 9: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

9

La parte centrale è molto complessa e comincia con l’episodio nei versi 20-22 della

venuta dei greci che salendo per la festa, per adorare, vogliono vedere Gesù. Segue poi uno

sviluppo gravitante a due verbi fondamentali: glorificazione di Gesù [versi 24-28]; i versi

29-32, gravitano invece attorno al tema della esaltazione. Il capitolo 12 come tematica glo-

bale gravita attorno ai due aspetti di Gesù: glorificazione ed esaltazione. Dalla glorifica-

zione di Gesù partono due linee, una ascendente verso l’incontro sponsale del glorificato

[unzione di Betania], incontro sponsale che passa attraverso l’accoglienza [ingresso a Ge-

rusalemme] e la linea ascendente verso il giudizio che passa attraverso l’incredulità. Sono

le due linee che si muovono attorno al Signore glorificato, due linee già sinteticamente

proposte, benché in diversa prospettiva in 12,32: «adesso è il giudizio di questo mondo,

adesso il principe di questo mondo è gettato fuori [giudizio] ed io quando sarò innalzato

da terra, attirerò tutti a me [attrazione]».

Conclusione: Il capitolo 12 gravita attorno al tema centrale della glorificazione di

Gesù e la sua esaltazione.

IL CAPITOLO 13

Si articola in sei parti, o più precisamente una più cinque, perché la prima parte, di

indole totalmente narrativa, serve piuttosto come premessa alle parti seguenti.

Azione di Gesù che lava i piedi dei discepoli e li asciuga;

1- [versi 6-11]: triplice dialogo tra Pietro e Gesù «Signore tu a me lavi i piedi?...» 2- [versi 12-20]: monologo di Gesù con i discepoli gravitante attorno al tema dello «����������»1;

3- [versi 21-30]: il problema del traditore; 4- [versi 31-35]: monologo di Gesù con i discepoli gravitante attorno alla nozione di «�������» [comandamento]. In questa parte domina la figura del «�������» del Signore;

5- [versi 36-38]: duplice attenzione tra Pietro e Gesù.

Riassumendo le cinque scene, disposte secondo uno schema concentrico, sono de-

scritte le posizioni di tre personaggi di fronte all’opera di amore di Gesù. In 13,1, frase che

1 Il termine «���������» indica una realtà concreta [�], una realtà concreta che viene mostrata [���] avendola messa sotto [�����], ed indica la bella copia che il maestro mette sotto gli occhi degli alunni perché copino su quel modello. Questa parola ci dà la prospettiva di Gesù maestro.

Page 10: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

10

probabilmente riprenderemo leggiamo: «prima della festa di pasqua, Gesù sapendo che

era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano

nel mondo, a compimento li amò [cioè portò al massimo grado l’opera di amore]».

Il testo di 1,5 descrive attraverso l’azione simbolica di lavare i piedi l’opera di amo-

re di Gesù. Detto in parole povere, l’opera di amore attraverso l’azione di lavare i piedi

raggiunge i discepoli e li coinvolge in essa. Ecco allora l’atteggiamento dei tre personaggi:

1. Gesù [seconda e quarta parte]: dall’opera di amore sgorga un insegnamento e un comando per i discepoli;

2. Pietro [prima e quinta parte]: il problema di Pietro che passa attraverso il rin-negamento e culmina nel capitolo 21 dove Gesù gli chiede tre volte se lo ama;

3. Il traditore [terza parte]: colui che rifiuta, sotto l’influsso satanico l’opera di amore compiuta da Gesù.

Mentre il capitolo 12 conclude la prima parte, il capitolo 13 inizia la seconda parte.

Partendo dal capitolo 12 risaliremo ai capitoli precedenti, partendo dal capitolo 13 scende-

remo ai capitoli seguenti.

CAPITOLI 1-12

Notiamo anzitutto una inclusione letteraria tra 1,4-5 e poi anche 1,7 in relazione a

12,35 e anche 12,46.

[*] 1,4-5: «in Lui vita era, e la vita era la luce del mondo. La luce splende nella tenebra e la tenebra non poté sopraffarla»;

[**] 1,7: «Egli venne per rendere testimonianza alla luce [Giovanni] per-ché tutti credessero per mezzo di lui»;

[***] 12,35: «ancora per poco tempo la luce è con voi, camminate finché avete la luce perché la tenebra non vi sorprenda»;

[****] 12,46: «Io come luce nel mondo sono venuto perché chi crede in me, non rimanga nella tenebra»;

Questi testi, all’inizio e alla fine della prima parte costituiscono una inclusione let-

teraria a tutta la prima parte.

All’interno di questa prima parte possiamo individuare quattro sezioni, stiamo pro-

cedendo a ritroso: indichiamo le quattro sezioni, poi continueremo a ritroso: 1- [1,2,12]; 2-

[2,13-5]; 3- [6-7]; 4- [8,12-12,46]. Come appare da questo schema abbiamo saltato i versi

Page 11: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

11

8,1-11: questi versi contengono l’episodio della donna adultera, questo episodio è critica-

mente incerto, esso doveva circolare autonomamente nella comunità primitiva. In seguito

sarebbe stato introdotto, giusto per dargli una collocazione nel vangelo di Giovanni, addi-

rittura alcuni codici lo introducono dopo il capitolo 21. In realtà questo episodio risente più

della teologia lucana [la misericordia], che non giovannea perciò prescindiamo da questo

episodio.

Possiamo perciò iniziare la nostra ricerca da 8,12. In 8,12 leggiamo:

«Io sono la luce del mondo, chi segue me mai camminerà nella tenebra, ma avrà la luce

della vita».

Questo testo richiama quello già citato di 12,46:

«Io come luce nel mondo sono venuto, perché chiunque crede in me nella tenebra non ri-

manga».

Abbiamo in questi due testi due cambiamenti: in

8,12 si dice: «chi segue me mai camminerà nella tene-

bra», in 12,46 invece si dice: «perché chi crede in me non

rimanga nella tenebra».

Possiamo mettere insieme questi quattro verbi:

1- chi segue; 2- non cammina;

3- chi crede in me; 4- non rimanga nella tenebra.

Emerge la complementarietà di questi quattro ver-

bi: seguire equivale a credere, camminare culmina nel ri-

manere. Le due serie di verbi in parole povere sottolinea-

no il pieno coinvolgimento nella fede che porta alla mas-

sima esclusione di un possibile coinvolgimento nella te-

nebra.

Ma ancora una volta, interessa a questo momento

non l’aspetto teologico, ma letterario e strutturale, e 8,12

e 12,46 costituiscono l’inclusione letteraria della quarta

sezione che possiamo definire “la sezione della luce”.

Page 12: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

12

Tra queste due frasi noi abbiamo il seguente materiale:

1- [cap. 8]: un articolato discorso polemico tra Gesù ed i Giudei; 2- [cap. 9]: il cieco nato; 3- [cap. 10]: il pastore autentico (il buon pastore); 4- [cap. 11]: la resurrezione di Lazzaro; 5- [cap. 12]: la glorificazione di Gesù.

Può sembrare che questi episodi siano slegati e non ci sia continuità l’uno con

l’altro, ma non è così. Questa sezione è invece strettamente unitaria, come emergerà dalle

riflessioni seguenti.

1 - capitolo 8. il capitolo ottavo presenta una problematica molto complessa in un

discorso polemico contro i giudei, ma a noi interessa sottolineare soltanto tre frasi:

1- [8,24]: «se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati»; 2- [8,28]: «quando innalzerete il Figlio dell’uomo allora conoscerete che Io sono»; 3- [8,58]: «prima che Abramo fosse, Io sono».

Le tre frasi hanno in comune l’espressione «Io sono», che non è una semplice frase

di riconoscimento, ma esprime l’identità divina secondo la formula «Io sono» che caratte-

rizza Dio soprattutto nei testi del Deutero-Isaia. Ma i tre testi, esprimono, secondo lo stile

giovanneo, un progresso inverso:

3- [8,58]: la preesistenza divina; 2- [8,28]: la manifestazione di tale prerogativa nella storia al momento della e-saltazione di Gesù [la croce]. Sulla croce Gesù si manifesterà come «Io sono» ed a questa manifestazione seguirà una conoscenza; 1- [8,24]: da questa conoscenza bisogna passare alla fede, altrimenti si rimane e si muore nei propri peccati.

Dietro questi tre testi c’è Isaia 43,9-10 dove Dio dichiara: «voi siete i miei testimoni

e il mio servo che ho eletto perché comprendiate, conosciate e crediate che Io sono».

Page 13: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

13

Giovedì 13 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

Il capitolo 9 riprende la seconda espressione di 8,12. La seconda espressione è: «la

luce del mondo». Ai discepoli che a Gesù chiedono di fronte ad un cieco nato [non signifi-

ca cieco dalla nascita, ma cieco per nascita: la nascita genera cecità]. Gesù risponde:

«ne lui, ne i genitori, ma ciò è avvento perché si manifestassero le opere di Dio» e Gesù

continua: «bisogna che io operi finché è giorno. Viene la notte in cui nessuno può opera-

re». E poi Gesù continua: «finché sono nel mondo, luce del mondo io sono». Il racconto

continua che avendo detto queste cose, Gesù sputò a terra, fece del fango, […], ed operò il

miracolo. Gesù opera il miracolo nella sue prerogativa di luce del mondo. L’episodio del

cieco nato si estende per ben 41 versetti ed è un episodio molto complesso che va oltre il

semplice fatto di un miracolo materiale, un racconto affascinante. Questo racconto proba-

bilmente deriva dalla tradizione sinottica, Marco 8, infatti narra l’episodio della guarigione

di un cieco, proprio mediante uno sputo. Ma mentre secondo Marco, Gesù sputa negli oc-

chi, secondo Giovanni sputa a terra.

L’episodio del cieco nato più che essere il racconto di un miracolo materiale, que-

sto episodio sembra essere un cammino spirituale di un uomo che, raggiunto dalla luce e

illuminato, deve compiere un cammino alla ricerca della luce che lo ha illuminato.

L’episodio si articola in diverse parti. Dopo i versi 6 e 7, che descrivono l’azione di Gesù,

segue una parte nei versi 8-12, dove la folla pone il problema se sia lui o no quella persona

che prima era cieca e mendicava. Il cieco risponde che è lui, e narra che l’uomo detto Gesù

fece del fango e lo ha fatto vedere. Segue una domanda nel verso 12: gli chiedono «dove è

lui?». Questa domanda esprime nel contesto giovanneo l’esigenza della ricerca di Gesù. Il

cieco illuminato dalla luce deve ora mettersi alla ricerca della luce che lo ha illuminato.

Ma dove si trova la luce? La domanda tacita di Giovanni è che per trovare la luce il

cieco deve mettersi sulla strada della luce. Ecco allora il verso 13, dove leggiamo: «condu-

cono dai farisei l’uomo che era stato cieco». Dal verso 13 fino al verso 34 l’evangelista, in

maniera assai diffusa, narra il dialogo tra il cieco ed i farisei. Il dialogo finisce con la cac-

ciata fuori del cieco. Quando il cieco è cacciato, allora avviene l’incontro con Gesù. Narra

però l’evangelista che non è il cieco che incontra Gesù, ma Gesù che incontra il cieco. Si

tratta della luce che ha stabilito una sintonia con l’uomo che ha guarito. Qui avviene il ri-

conoscimento e la professione di fede, Gesù chiede: «credi nel Figlio dell’uomo», il cieco

risponde: «chi è perché io possa credere». Gesù si manifesta e il cieco lo adora.

Page 14: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

14

È possibile rileggere questo episodio alla luce della narrazione della passione. Nella

narrazione della passione, leggiamo, nei versi 15-16, il seguente testo:

«seguiva Gesù, Simon Pietro e l’altro discepolo quel discepolo era noto al pontefice ed entrò con Gesù nel palazzo del pontefice. Pietro stava alla porta fuori uscì l’altro discepolo, il noto del pontefice, parlò alla portinaia ed introdusse Pietro».

Fermando l’attenzione soltanto alla figura del discepolo avremmo il seguente

schema:

1 – quel discepolo era noto al pontefice; 2 – ed entrò [ma entrò] con Gesù nel palazzo del pontefice; 3 – uscì

4 – l’altro discepolo noto del pontefice.

La prima e la quarta frase sono parallele, c’è però una differenza: mentre nella pri-

ma frase si sottolinea la relazione del discepolo al pontefice [noto al Pontefice, si sottolinea

la relazione], nella quarta frase si passa ad un genitivo di possesso [noto del pontefice in

relazione all’uscita]. Sorvolando su questo particolare l’evangelista con molta enfasi sotto-

linea la relazione di questo discepolo al pontefice, e questo discepolo probabilmente è il di-

scepolo che Gesù amava, autore del quarto vangelo. La prima volta la menzione del disce-

polo noto al pontefice è relazionata ad una entrata [2], la seconda volta è relazionata ad una

uscita [3-4].

Questa definizione è molto strana, si sottolinea due volte la relazione al pontefice

per due azioni precise ma vuote: perché entrò il discepolo?

La prima volta sarebbe giustificata la menzione della relazione del discepolo al

pontefice: era noto al pontefice e perciò poté entrare in una casa dove si stava svolgendo un

fatto a porte chiuse, e in quel momento si aveva l’esigenza di essere quanto più circospetti

possibile. Se questo discepolo poté entrare nel momento assai critico della cattura di Gesù,

è perché era noto al pontefice.

La parola «noto» [�������], non indica un qualsiasi conoscente, ma può avere tre

sensi:

Page 15: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

15

- o che quel discepolo era amico intimo del sacerdote, - o che era un parente, - o che era anche lui un sacerdote.

In ogni caso, in forza di questa prerogativa non ebbe problemi ad entrare.

La stranezza è che l’evangelista menziona ancora il fatto: che era noto al pontefice

in relazione all’uscita. Questa descrizione così precisa, ma così vuota tra l’entrare e

l’uscire, pone il problema: perché nella sua prerogativa di noto al pontefice, deve uscire?

Per rispondere a questa domanda rileggiamo il testo dove abbiamo la seguente espressione:

Gv 18,15 [� ���������������������������������������������������].

Abbiamo due espressioni parallele, entrambi con due elementi: verbo e dativo di re-

lazione.

Come interpretiamo la seconda frase? Il secondo verbo «����������» è un verbo

doppiamente composto, dalla particella «��» che indica compagnia, e il verbo «�� + ���

��������» che vuol dire comprare. Il verbo composto fa ritenere errato tradurre «entrò con

Gesù», ma dovremmo tradurre meglio «co-entrò a Gesù». C’è una convergenza di azione:

l’entrare, ma in questa convergenza il discepolo entra non relazionato al sacerdote, bensì

relazionato a Gesù. In questo senso la congiunzione «���» assume un diverso valore: non

significa più «e» di congiunzione, ma assume un valore avversativo «ma». In parole pove-

re, l’espressione ha due sensi: storico e spirituale. Dal punto di vista storico la frase mi

spiega perché il discepolo entrò: entrò con Gesù perché era noto al pontefice, la portinaia

lo vide, non ci fece caso, lo fece entrare.

Il modo come Giovanni si esprime suggerisce un senso più profondo spirituale. Il

discepolo è strettamente legato al sacerdote, ma non entra solidale col sacerdote, entra in-

vece solidale con Gesù.

Il discorso è più complesso perché siamo agli inizi della seconda parte della narra-

zione giovannea della passione. In questo parte che và sotto il nome di processo-dialogo,

davanti al sacerdote Anania [o Anna], e perciò questa descrizione deve essere letta alla lu-

ce del dialogo col sacerdote ed alla luce della vicenda di Pietro descritta in quel contesto.

Sia sufficiente fare questa osservazione: l’evangelista [e qui ci troviamo di fronte

ad un esempio di quella che si suole chiamare ironia giovannea], crea uno stridentissimo

contrasto tra il discepolo e Pietro. Pietro fu pure introdotto nella casa del sacerdote, lì, in-

terrogato, se era discepolo, rispose negativamente, smentì, e Pietro rimase nel palazzo del

sacerdote. Il quarto evangelista non narra che Pietro uscì e pianse amaramente e perciò la-

Page 16: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

16

scia Pietro nel cuore di quella casa. Il canto del gallo, che nei sinottici è l’inizio del ravve-

dimento, in Giovanni invece è la sanzione del rinnegamento. Ed ecco il paradosso: lo scuro

Pietro, Galileo, che non ha niente a che vedere con quella casa, in forza del suo rinnega-

mento assume in quella casa una posizione. Il noto al pontefice, se esce nonostante che

fosse noto al pontefice, perde un posto in quella casa e deve uscire. Per Giovanni, il palaz-

zo di Anna è quel recinto delle pecore di cui si parla nel capitolo 10. Il criterio di apparte-

nenza è quello di sconfessare Gesù, ed infatti l’evangelista creerà un drammatico conflitto

tra Gesù ed il sacerdote: Pietro rinnega Gesù e perciò può restare in quella casa; il discepo-

lo che ovviamente confessa, in quella casa non può restare. Nasce una domanda: da dove

sappiamo che il discepolo confesso? Lo deduciamo dal confronto con Pietro, ma lo dedu-

ciamo anche alla luce del capitolo 9 del vangelo di Giovanni: l’episodio del cieco nato. È

possibile stabilire il seguente confronto:

18,15 entrò con Gesù 9,13 conducono il cieco dai farisei confessa a Gesù in un lungo dialogo uscì 9,34 lo cacciarono via

Narra l’evangelista che dopo che lo cacciarono, Gesù incontra il cieco. Nella narra-

zione della passione, il discepolo che in 18,16 esce, comparirà di nuovo sotto la croce in

19,26. il confronto allora si allarga:

18,15 il discepolo entra con Gesù 9,13 conducono il cieco dai farisei confessa a Gesù in un lungo dialogo uscì 9,34 lo cacciarono via 19,26 sotto la croce Gesù lo incontra

È sintomatico il fatto che dopo il rinnegamento, l’evangelista in tutta la narrazione

della passione, non parlerà più di Pietro.

Questo confronto che abbiamo stabilito, tra il capitolo 9 [il cieco nato] e 18,15-16

ci conferma la nostra conclusione: che nel capitolo 9 all’evangelista non interessa narrare

un miracolo ma, in senso spirituale, gli interessa presentare la biografia spirituale del di-

scepolo che Gesù ama, cioè la sua biografia spirituale: era cieco [spiritualmente], fu rag-

giunto dalla luce, nonostante che avesse una posizione nel giudaismo, da quella posizione

esce e si incontra con Gesù. Il capitolo 9 ci parla nel verso 39 della sua professione di fede;

la narrazione della passione lo presenterà presso la croce di Gesù.

Page 17: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

17

Sabato 15 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

IL CAPITOLO 10

Il capitolo 10 del vangelo di Giovanni, come è risaputo, parla del buon pastore.

L’espressione «��������» non sembra indicare bontà morale, ma autenticità. Gesù su pre-

senta come il pastore, quello vero, quello buono [buono nel senso di autentico], ed infatti,

Gesù si contrappone a quelli che non sono pastori, soprattutto dichiara in 10,8, Gesù di-

chiara che «quanti vennero prima di lui sono ladri e briganti». Forse l’espressione va inte-

sa in diverso senso, l’espressione «�����������» si può tradurre meglio non prima di me, ma

a posto mio. Quelli cioè che si sono presentati a posto di Gesù sono ladri e briganti. Il ter-

mine «��������» nel vangelo di Giovanni è usato solo in due casi: qui e nel capitolo 12 rife-

rito a Giuda, come anche il termine «��������» è usato in due sole circostanze: qui e nel ca-

pitolo 19 riferito a Barabba. L’allusione perciò è a Giuda ed a Barabba che il popolo a scel-

to a posto del pastore. Per capire però il capitolo 10, bisogna stabilire lo sfondo dove si

colloca. Il capitolo comincia in forma negativa: «chi non entra per la porta nel recinto del-

le pecore, ma entra da altrove è ladro e brigante». Troviamo in questa espressione la paro-

la «�����» [recinto], che si legge due volte solamente nel vangelo: qui riferito al recinto

delle pecore e nel capitolo 18 riferito al palazzo di Anna. Il testo ancora continua nel capi-

tolo 10 «a costui [al pastore] il portinaio apre», la parola portinaio in Giovanni si legge

due sole volte: o al maschile nel nostro testo, oppure al femminile nel processo davanti ad

Anna. C’è un terzo termine: il pastore è colui che entra attraverso la porta «����», nel capi-

tolo 18 si dice che il discepolo noto al pontefice entrò nel recinto delle pecore e «Pietro

stava alla porta».

Possiamo concludere che lo sfondo del capitolo 10 è il processo davanti ad Anna.

Capitolo 10 e processo davanti ad Anna si richiamano anche se in diversa prospettiva. Nel

capitolo 10 la descrizione è dal punto di vista di Gesù pastore, nel processo davanti ad An-

na il problema non è soltanto il punto di vista di Gesù pastore, ma anche quello di Pietro

che deve compiere un cammino dal suo rinnegamento fino a divenire pastore.

Ambientando il capitolo 10 nello sfondo del palazzo di Anna, possiamo vedere co-

me i due episodi si illuminano a vicenda. Narra l’evangelista in 18,12, che «presero Gesù,

lo legarono e lo condussero da Anna». Gesù entra legato, ma alla luce del capitolo 10 Egli

in realtà è entrato come pastore. Nella descrizione del capitolo 10, quella del recinto delle

Page 18: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

18

pecore, immagine totalmente negativa, soggiace anche la prospettiva dell’esodo, come an-

ticamente Dio scese in Egitto e tirò fuori il popolo dalla schiavitù; Gesù che entra legato

nel palazzo di Anna è il pastore che entra per far compiere un cammino di esodo. Purtrop-

po il popolo non ha seguito il pastore ed è rimasto chiuso nel suo recinto, anzi ha cercato di

opprimerlo scegliendo altri pastori, Giuda il ladro, guida di quelli che catturano [18,4] e

Barabba. Tuttavia non si può dire che nessuno abbia seguito il pastore, ecco il discepolo

che uscì dal palazzo di Anna, e che richiama la descrizione del verso 3: «le pecore ascolta-

no la sua voce, le chiama per nome e le fa uscire». Più avanti, nel verso 27, Gesù continua:

«le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono ed Io do ad esse la vita eterna».

Dietro il capitolo 10 si nasconde il dramma dei giudei che non hanno seguito il loro pasto-

re. Dicevamo che il capitolo comincia in maniera negativa: «chi non entra per la porta nel

recinto delle pecore…», perché il capitolo comincia in forma negativa? Perché difatti il ca-

pitolo 10 inizia, non in 10,1, ma in 9,40. i giudei dicono a Gesù:

«anche noi siamo ciechi?» e Gesù risponde: «se foste ciechi

non aveste peccato, ma siccome dite: ci vediamo, il vostro

peccato rimane»: Gesù accusa di peccato di Giudei ed il loro

peccato è quello di avere preferito altri pastori, pastori che non

sono entrati attraverso la porta, ma sono venuti da al-

trove e per la porta entra solo il vero pastore.

Tuttavia la prospettiva del capitolo 10 non è

soltanto, e forse nemmeno principalmente, negativa,

ma è anche positiva. Gesù è quel pastore che era stato

preannunziato nel capitolo 34 di Ezechiele. Egli deve

fare compiere un cammino di esodo, un cammino che culmina nella vita eterna: «le mie

pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono ed Io do a loro la vita eterna». Ma che

cos’è questa vita eterna che Gesù deve dare? Nel verso 30 Gesù dichiara: «le mie pecore

sono in mano del Padre e nessuno può rapirle dalla mia mano», ma nel verso 28 Gesù a-

veva detto: «le pecore sono nelle mia mano e nessuno può rapirle dalla mia mano». Torna

il tema fondamentale del vangelo di Giovanni del cammino verso il Padre [Cfr. 14,6: «Io

sono la via, la verità e la vita, nessuno può pervenire al Padre se non attraverso di me»].

Page 19: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

19

Perciò nel capitolo 10, positivamente e delineato sullo schema dell’esodo, un cam-

mino che parte dal recinto delle pecore e giunge al Padre, nelle seguenti tappe:

1 – Il pastore entra nel recinto delle pecore; 2 – fa uscire il gregge; 3 – lo conduce; 4 – verso la vita eterna; 5 – la vita eterna è essere in Gesù; 6 – perché attraverso di Lui si arriva al Padre.

In altre parole, si riprende in maniera più esplicita, quello che in maniera più sinte-

tica è detto in 17,3: «questa è la vita eterna: che conoscano Te, unico vero Dio e colui che

Tu hai mandato, Gesù Cristo», dove però conoscere non è un fatto intellettuale, ma un

coinvolgimento esperienziale. L’accento perciò, nel capitolo 10, sta soprattutto nel seguire

il pastore. Per concludere, probabilmente, alla luce del capitolo 10, bisogna leggere ed in-

terpretare l’espressione di 1,18, dove in contrapposizione a Mosè si Gesù, l’evangelista

scrive: «Dio nessuno mai lo ha visto, il Figlio unigenito che è verso il Padre,

Egli ci ha condotti [�� �������]», e non «Egli ce lo ha rivelato» come si legge in maniera

errata dalla traduzione italiana.

IL CAPITOLO 11

Il capitolo 11 narra, il lungo episodio della resurrezione di Lazzaro. Questo episo-

dio non ha alcun parallelo nei vangeli sinottici, o forse, potrebbe averlo, ma sarebbe un po’

lontano quello di Luca 7, la resurrezione del figlio della vedova di Nain. Il parallelo po-

trebbe essere suggerito dal fatto che in entrambi i testi, la persona che è resuscitata, è legata

ad una figura femminile. Se relazione c’è, essa deve essere collocata in uno stadio di tradi-

zione molto antico. Prescindendo da questi problemi, il racconto di Lazzaro, in sé stesso,

ha una valenza ecclesiale. Prima della resurrezione, infatti, noi troviamo la professione di

fede di Marta: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», e la richiesta di Maria.

L’episodio di Lazzaro, per un verso si ricollega ad Ezechiele 37,12: «Ecco Io apro le vo-

stre tombe, vi risuscito dai vostri sepolcri». Richiama anche Giovanni 5,25: «viene l’ora in

cui quelli che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che hanno udito

vivranno». Nel racconto di Lazzaro sono fondamentali, in questo senso, le parole: «Lazza-

ro, vieni fuori», è la voce del Figlio di Dio. Accenniamo soltanto ad un problema che è la

Page 20: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

20

parentela, da approfondire però, tra l’episodio di Lazzaro richiamato dal suo sepolcro, e il

capitolo 20 dove si ha l’esperienza della Maddalena al sepolcro.

RILETTURA SINTETICA

Prima di tentare una rilettura sintetica degli episodi, brevissimamente considerati in

maniera analitica, è bene dire una parola metodologica su modo come Giovanni compone i

suoi racconti. Se possiamo usare un’immagine, i racconti giovannei, sono come una serie

di quadri, che esigono due tipi di lettura:

1 - Il primo modo di lettura è leggere il quadro in sé stesso, nella completezza del suo sviluppo ed ogni quadro in sé stesso ha uno sviluppo completo ed offre, pur nel suo simbolismo, una storia completa.

2 - Il secondo modo di lettura è la connessione tra i vari quadri, che insieme sviluppano una idea completa, spesso molto sem-plice, ma difficilissima a scoprirsi.

Rileggendo questi quadri, in connessione successiva, sono possibili due letture: una

lettura discendente, dal capitolo 8 al capitolo 12, oppure al contrario dal capitolo 12 al ca-

pitolo 8. La seconda lettura da 12 ad 8 è più complessa, preferiamo non affrontarla. Ci

fermeremo sulla prima lettura riproponendo lo schema che abbiamo già proposto:

GIOVANNI 8,12 TESTI SUCCESSIVI

1 – Io sono 1 – Capitolo 8 – L’esaltazione di Gesù come Io sono, nella sua identità divina

2 – La luce del mondo 2 – Capitolo 9 – La luce illumina un cieco 3 – Chi segue me 3 – Capitolo 10 – La luce diventa pastore 4 – Avrà la luce della vita 4 – Capitolo 11 – La luce che resuscita

Rimane il capitolo 12, il cui tema fondamentale è la Glorificazione di Gesù. Pos-

siamo allora da 8,12, fino al capitolo 12, delineare un cammino di Gesù che và dalla mani-

festazione fino alla sua glorificazione attraverso varie tappe. Nella sua manifestazione co-

me Io sono, Gesù si presenta come luce, illumina [capitolo 8], e conduce [capitolo 10], alla

vita eterna [capitolo 11], quelli che ha illuminato, ed in questo modo è glorificato, avendo

già attuato la sua missione di condurre alla vita eterna. osserviamo però, che lo sfondo di

tutta questa storia, non è la vita terrena, bensì la croce. Esprimendoci in soldoni, tutta la

Page 21: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

21

narrazione della passione giovannea, è un cammino che all’inverso parte dal titolo della

croce: «Gesù Nazareno, Re dei Giudei», e culmina nella manifestazione come Io sono al

Getsemani. Al Getsemani, Gesù chiede: «chi cercate?», rispondono «Gesù Nazareno»,

Gesù risponde «Io sono». I giudei con molta malizia decurtano il titolo della croce e chie-

dono soltanto di Gesù Nazareno, relegandolo nella sua dimensione terrena. Gesù contrap-

pone, invece, la sua identità divina: Io sono, che però, per quelli suona giudizio di condan-

na e infatti narra l’evangelista che «retrocedettero e caddero a terra». Non è una scena

materiale, il linguaggio è dei Salmi, ne citiamo uno solo: il Salmo 26: «il Signore è mia lu-

ce e mia salvezza […] quando mi assalgono i malvagi per straziarne la carne, sono essi

avversari e nemici ad inciampare e cadere».

LA QUARTA SEZIONE

Prescindendo da ulteriori precisazioni sulla passione, ci sembra di poter concludere

che la quarta sezione della prima parte del vangelo di Giovanni, quella che và dal capitolo

8 al capitolo 12, e che abbiamo denominato come sezione della luce, è una particolare rilet-

tura dell’esaltazione di Gesù sulla sua croce. Tutto il quarto vangelo è crocecentripeto. Sul-

la Croce, Gesù si manifesta come Io sono [Cfr. 8,28]:

«quando innalzerete il Figlio dell’uomo, conoscerete

che Io sono». Ma il Gesù che si manifesta come Io

sono compie un’opera che è: condurre verso la vita

eterna, e così si realizza quello che Gesù, poi chie-

derà nella preghiera: «Padre, glorifica il Tuo Figlio,

perché il Tuo Figlio glorifichi Te, come hai dato a

Lui il potere di ogni carne perché tutto ciò che hai dato

a me, dia ad essi la vita eterna». Avendo compiuto l’opera

di dare la vita eterna è glorificato. Rimane il problema di come Gesù darà la vita eterna, ma

questo problema riguarderà soprattutto i capitoli 13-19.

Page 22: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

22

LA PRIMA SEZIONE

A riguardo della prima sezione, che va da 1,1 a 2,11, partiamo da un errore delle

traduzioni italiane che traducono l’espressione: «����� �������� ����� �������» che traducono con

«tre giorni dopo». L’espressione non vuol dire «tre giorni dopo», ma vuol dire «il terzo

giorno», cioè non ne precedono tre, ma due. Il problema nasce dal fatto che l’evangelista

inizia ben tre volte la sua narrazione mediante l’espressione: «! ������������» [l’indomani].

Come intendiamo questa espressione?: cronologica o letteraria, cioè sono tre giorni distinti

o tre aspetti di un solo: «l’indomani». L’espressione si 2,1 induce a concludere che non si

tratta di tre giorni distinti, ma di una triplice distinzione letteraria di un solo “l’indomani”,

che evidentemente presuppone un primo giorno.

Giovedì 20 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

La prima parte va da 1,29 fino ad 1,35. In questa parte è descritta l’esperienza di

Giovanni, una narrazione che riprende diversi elementi dai vangeli sinottici, soprattutto

della tradizione sinottica del battesimo, ma lo stesso battesimo di Gesù non è narrato, don-

de appare la originalità della narrazione giovannea. Ci limitiamo soltanto ad alcuni elemen-

ti. Notiamo come la descrizione parte da una indicazione di Giovanni: vede Gesù che

cammina e dichiara «ecco l’agnello di Dio». La descrizione di Giovanni finisce con la sua

professione di fede: «ed io ho visto ed ho reso testimonianza che costui è il Figlio di Dio».

Ambientiamo l’esperienza di Giovanni e cominciamo dall’ultima espressione, e

stabiliamo subito un confronto con 19,34:

1,29 19,34 Ed io ho visto Colui che ha visto ed ho reso testimonianza ha reso testimonianza che costui è e la sua testimonianza è vera il Figlio di Dio

Il testo di 19,34 ci riporta alla esperienza della croce. In 19,34 il testo è inserito do-

po la narrazione del colpo di lancia, l’evangelista continua notando appunto che Colui che

ha visto ha reso testimonianza. La relazione del nostro testo di Giovanni a 19,34 induce a

rileggere la scena al Calvario di 19,31-37. Narra l’evangelista che i giudei, «poiché era la

parasceve, perché non restassero sulla croce i corpi di sabato, era infatti grande il giorno

Page 23: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

23

di quel sabato, chiesero a Pilato che fossero spezzate le gambe e fossero tolti via».

L’evangelista ci dà due indicazioni di feste: la parasceve [parola greca: parà-scheve,

scheve vuol dire vaso, quindi mettere i vasi a portata di mano, per iniziare la festa. Giovan-

ni parla 3 o 4 volte di parasceve] e il Sabato. Ci dà due richieste dei giudei: «spezzar le

gambe» e «toglier via». Le due azioni sono presentate in maniera consequenziale: spezzar

le gambe per potere togliere via, ma per togliere via non è indispensabile che siano spezza-

te le gambe, ma l’evangelista si esprime in maniera tale che se la prima non si verifica, non

si verifica nemmeno la seconda. Per Gesù la prima non si verificò, implicitamente

l’evangelista insinua che Gesù non fu nemmeno tolto via. Si capisce che siamo sul piano

simbolico [non storico], perché difatti storicamente Gesù fu deposto, ma simbolicamente

Gesù non fu tolto e l’evangelista narra in contrapposizione, l’apertura del costato da cui

uscì sangue ed acqua. Per Gesù il progetto dei giudei non si verifica e l’evangelista si pre-

mura di dire che il progetto dei giudei [spezzar le gambe e togliere via] era contrario alla

Scrittura, ed i fatti che sono avvenuti, si verificarono, invece, in conformità alla Scrittura.

I giudei volevano spezzar le gambe, Dio difende anticipando la morte. La scrittura

smentisce i giudei e conferma i fatti: «osso non gli sarà spezzato», l’evangelista cita un te-

sto che è un miscuglio delle prescrizioni riguardanti l’agnello pasquale che proibivano che

all’agnello si spezzassero le ossa [Esodo 12,49], più il Salmo 33 dove si parla del giusto

che Dio protegge e non gli sarà spezzato alcun osso. Di conseguenza, la richiesta dei giudei

a Pilato di spezzare le gambe, agli occhi dell’evangelista è un crimine contro la Scrittura

che volevano trasgredire: Gesù è l’agnello pasquale al quale è proibito spezzare alcun osso.

Dio difende il suo agnello e anticipando la morte, lo sottrae al tentativo dei giudei.

Gesù nemmeno doveva essere tolto via, Egli resta perché la Scrittura preannunziava

una fonte da cui sarebbe sgorgata acqua viva [Cfr. Zaccaria 12,10]: «effonderò il mio Spiri-

to di grazia e supplica e guarderanno a me come a colui che hanno trafitto», e perciò Gesù

rimane sulla sua croce come fonte perenne dello Spirito che deve indurre gli uomini a

guardare a Lui. Giovanni 19,37 cita Zaccaria: «guaderanno a Colui che hanno trafitto», si

richiama 6,39 dove l’evangelista dichiara: «questa è la volontà di Colui che mi ha manda-

to, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna». Questa riflessione

sommaria di 19,31-37 ci permette di concludere che l’esperienza di Giovanni deve essere

ambientata spiritualmente presso la croce. D’altra parte attorno alla croce gravita tutta que-

sta sezione [questo è il crocecentrismo giovanneo] che stiamo considerando.

Page 24: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

24

Possiamo fare il seguente confronto:

19,31-37 1,29-34 1. non gli spezzarono le gambe 2. ecco l’agnello di Dio 3. guarderanno a Colui che hanno trafitto

4. ed io ho visto ed ho reso testimonianza che Costui è il Figlio di Dio

Tutta l’esperienza di Giovanni, perciò và dalla percezione presso la croce che Gesù

è l’agnello di Dio, alla conclusione che è il Figlio di Dio.

Ci limitiamo soltanto a tradurre meglio una espressione tradotta molto male dai te-

sti italiani, in 1,15 Giovanni dice una espressione con tre frasi. La prima frase è:

«"#�����������������������», la seconda frase è: «�$�������������������», la terza frase è:

«�%����������������� ». Le versioni italiane se non vado errato traducono: «colui che era

prima di me, mi è passato avanti poiché era prima di me». L’espressione si comprende

meglio letta alla luce di quanto abbiamo detto. La prima frase «"#�����������������������»

non fa difficoltà: «colui che viene dopo di me», non fa difficoltà neppure la terza

«�%����������������� »: «poiché era prima di me». Fa difficoltà invece la seconda, come si

fa a tradurre «������» con mi è passato avanti? «������» vuol dire divenuto, quindi evo-

ca l’attuazione di qualcosa. La frase è molto vaga, ma se si riempie con il contenuto

dell’esperienza di Giovanni, diventa molto chiara.

Rileggendo all’inverso avremmo:

1 – la preesistenza [era prima di me]; 2 – il divenire di Gesù [cioè l’attuazione della sua opera di cui Giovanni è stato testi-

mone. Davanti a Giovanni, Gesù si è manifestato ed ha percepito la Sua realtà da agnello di Dio a Figlio di Dio].

3 – Nella prospettiva giovannea non c’è quella dei sinottici del ritorno escatologico di Gesù, piuttosto Giovanni concepisce un cammino del crocifisso verso il Padre. In questo cammino troviamo la figura del precursore che dopo avere fatto esperien-za passa avanti per annunziare questa venuta.

È la stessa prospettiva che troveremo in 13,1 dove l’evangelista parla del passaggio

da questo mondo al Padre, ed è la stessa prospettiva che troviamo in 20,17 dove Gesù di-

chiara alla Maddalena «cessa di toccarmi, ma và ed annunzia ai miei fratelli: “salgo al

Padre mio e Padre vostro”».

Page 25: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

25

Ecco allora i tre momenti:

1 – la preesistenza, in un cammino che và dalla preesistenza alla croce. 2 – Nella croce Gesù si manifesta e il testimone lo percepisce in un progresso che và dalla

esperienza di Gesù come l’agnello di Dio alla percezione che è il Figlio di Dio; 3 – il precursore, fatta esperienza passa avanti per annunziare la venuta di uno che dalla

croce ha iniziato il suo cammino fino al Padre attraverso la storia.

1° “l’indomani”: è l’esperienza di Giovanni il Battista;

Il 2° e 3° “l’indomani” riguardano anche dei discepoli. Nel secondo “l’indomani”

[1,35-42] abbiamo Giovanni il Battista che media l’esperienza di due discepoli, leggiamo

infatti in 1,35 che «l’indomani Giovanni vede Gesù, dichiara: “Ecco l’agnello di Dio” e i

due discepoli udirono da Giovanni e seguirono Gesù». Nel terzo “l’indomani” scompare

Giovanni rimangono soltanto due discepoli.

Abbiamo così quattro discepoli: due nel secondo “l’indomani” e due nel terzo

“l’indomani”. Giovanni in ciò riprende e supera la tradizione sinottica, Matteo e Marco

all’inizio della vita pubblica di Gesù presentano presso il mare di Galilea la vocazione di

quattro discepoli. Secondo Matteo e Marco i quattro discepoli sono: Pietro e Andrea, poi i

due figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni. Nei primi due discepoli Giovanni concorda e

diverge dai vangeli sinottici: pure per Giovanni i primi due sono: Pietro e Andrea ma in

ordine inverso, non Pietro e Andrea, ma Andrea che media l’incontro tra Gesù e Pietro.

Gli altri due nomi divergono completamente. Giovanni non parla dei figli di Zebedeo: li

menzionerà soltanto di passaggio in 1,2, piuttosto Giovanni introduce le due figure di Fi-

lippo che media il bellissimo incontro tra Gesù e Natanaele «ti ho visto quando eri sotto il

fico» che passa dalla sfiducia terrena alla professione di fede «Rabbì, tu sei il Figlio di

Dio!».

Possiamo notare un particolare cammino, nel primo “l’indomani” l’esperienza di

Giovanni parte da Gesù come l’agnello di Dio e culmina nella professione di fede di Gio-

vanni «costui è il Figlio di Dio». L’esperienza dei discepoli nel secondo e terzo

“l’indomani” parte ancora dalla presentazione del Battista.

Page 26: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

26

Possiamo notare questo schema:

GIOVANNI I DISCEPOLI 1 – ecco l’agnello di Dio 1 – ecco l’agnello di Dio 2 – Tu sei il Figlio di Dio 2 – Rabbì, Tu sei il Figlio di Dio

Perciò, nei tre “l’indomani”, emerge un cammino fatto da Giovanni e mediato da

Giovanni che parte dall’esperienza di Gesù come agnello di Dio e culmina nella professio-

ne di fede in Gesù come Figlio di Dio.

Il secondo “l’indomani” è caratterizzato dal raduno dei discepoli, in parole povere,

dietro questa lunga descrizione, che và da 1,29 ad 1,51 c’è nascosta la prospettiva di 12,32:

«quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me».

Ma il triplice “l’indomani”, come tre aspetti letterari di un solo giorno [il secondo],

esige un primo giorno. Questo primo giorno, di conseguenza, deve essere cercato in tutto il

testo di prima, da 1,1 [il prologo] ad 1,28. Non ci impelaghiamo nel prologo, soltanto leg-

giamo tutta questa parte in una sola prospettiva: quella di 1,4-5. L’evangelista, dopo avere

descritto la preesistenza della Parola, e dopo avere descritto l’incidenza nella creazione,

passa a descrivere la presenza della Parola nella storia degli uomini: «in essa era la vita e

la vita era la luce degli uomini. La luce splende tra le tenebre, le tenebre non poterono so-

praffarla». [vita – luce – cieco nato – Lazzaro].

Proponiamo in soldoni tutto il senso della prima sezione, essa è costruita sulla pro-

fessione di fede di Gesù risorto il terzo giorno [Cana di Galilea]. Gesù è risorto il terzo

giorno, e l’evangelista reinterpreta questa professione di fede riempiendo gli altri due gior-

ni nel seguente modo:

1° giorno – la luce si manifesta [1,1-28]; 2° giorno – la luce manifestatasi, raduna i discepoli [1,29-51]; 3° giorno – li introduce al banchetto escatologico [2,1 – Cana di Galilea].

Page 27: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

27

SECONDA SEZIONE

La seconda sezione è invece costruita non più sullo schema cronologico, ma è co-

struita secondo uno schema geografico ascendente. Ed ecco allora:

1 – Giudea [capitolo 3 – Dialogo con Nicodemo]; 2 – Samaria [capitolo 4 fino al versetto 42 – L’incontro con la donna samaritana]; 3 – Galilea [capitolo – La guarigione di un figlio di un funzionario regio ambientata in Galilea, relazionata a Cana ed avvenuta a Cafarnao, su questa seconda sezione diremo mezza parola sul secondo episodio: l’incontro con la Samaritana].

Sabato 22 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

LA SAMARITANA

Il racconto della samaritana è tutto uno sviluppo che culmina in una delle più belle

professioni di fede del vangelo di Giovanni, in 4,42, la professione di fede dei samaritani:

«noi stessi [] abbiamo visto ed abbiamo conosciuto che Costui è il Salvatore del mondo»,

ma prima di arrivare a questa professione di fede, c’è l’incontro tra Gesù e la donna, il dia-

logo tra Gesù ed i discepoli, la testimonianza della donna ai suoi concittadini.

Facciamo una osservazione più generale, l’incontro tra Gesù è la samaritana si situa

in un contesto più ampio di relazione tra Gesù e delle donne, la cui presenza, anche struttu-

ralmente è ben studiata dal nostro autore.

Possiamo infatti stabilire il seguente schema:

1 – [2,1-11: Cana] – La donna – madre; 2 – [cap. 4] – l’incontro tra Gesù e la Samaritana: donna; 3 – [cap. 11] – Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; 4 – [12,1-8] – Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; 5 – [19,25-27] – La donna – madre; 6 – [20,1-18] – incontro tra Gesù e la Maddalena al sepolcro: donna.

Le donne sono strutturate nel testo secondo uno schema insieme concentrico ed al-

ternato. La relazione tra 3 e 4, le sorelle di Lazzaro, è chiara, come pure è chiara la relazio-

ne tra 1 e 5, la donna madre, al punto che, non si può spiegare Cana senza la croce e nem-

meno la croce senza Cana. Di conseguenza, nemmeno l’episodio della Samaritana, potrà

essere completamente capito senza la Maddalena, o viceversa. Entrando nel racconto diret-

Page 28: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

28

to, narra l’evangelista, che Gesù doveva andare in Galilea ed era necessario [dal punto di

vista teologico] passare attraverso la Samaria. Narra l’evangelista che lì c’era la fonte di

Giacobbe. Gesù ha faticato del cammino, sedeva presso la fonte, era l’ora sesta.

Sorprende questa indicazione cronologica, non necessaria allo sviluppo del testo.

La menzione dell’ora sesta nelle parole «�%��� ������%���» [4,6] si legge un’altra volta nel

vangelo di Giovanni, in 19,14. D’altra parte sono soltanto questi testi dove è menzionata

l’ora sesta. Di conseguenza leggendo l’episodio della Samaritana non posso non richiamare

19,14. Che cos’è 19,14? In 19,13 leggiamo che Pilato avendo sentito le parole dei Giudei

condusse fuori Gesù e sedette in tribunale [traducono le versioni italiane], invece è bene

tradurre: «Pilato lo fece sedere».

«�������������������&������» [Pilato fece sedere Gesù]: il testo di 19,13-14 ci parla

di Pilato che condusse fuori Gesù. Segue poi l’espressione «���������������&������». Il ver-

bo «����'�» può avere due significati: transitivo: far sedere oppure intransitivo: sedersi. In

senso intransitivo è Pilato che siede, in senso transitivo è invece Pilato che fece sedere Ge-

sù. Il parallelo con l’espressione attiva «�$�����$ �» suggerisce di dare lo stesso senso at-

tivo al verbo seguente, perciò non è Pilato che siede, ma è Gesù. Storicamente il testo si

capisce bene: Pilato presenta Gesù ai giudei, ma Gesù è affranto, ha già subito la flagella-

zione, per un atto di clemenza Pilato lo fece sedere. Si può notare l’espressione

«������&������», il «&���» è un sedile del tribunale, l’assenza dell’articolo indica che Pilato

fece sedere Gesù in una sedia di indole giudiziario, non si tratta della sella «curulis» dove

sedeva il presidente di tribunale, ma si tratta di una delle tante sedie dove la corte prendeva

posto. D’altra parte perché doveva sedere Pilato? Pilato doveva sedere per pronunziare una

sentenza. In realtà Pilato non pronunzia un sentenza, ma proclama «ecco il vostro re». Pos-

siamo confrontare questa descrizione di Pilato con la descrizione della croce.

Narra l’evangelista che Pilato fece sedere Gesù in un luogo detto «litostroton», in

ebraico «gabbata», ed allora pronunzia le parole: «ecco il vostro re».

Page 29: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

29

Possiamo stabilire la seguente relazione:

1 – Pilato fece sedere Gesù; 2 – in un luogo detto «litostroton», in ebraico «gabbata»; 3 – «ecco il vostro Re» 4 – Togli, crocifiggi. 1 – in un luogo detto del Cranio, in ebraico «Golgota»; 2 – dove lo crocifissero; 3 – Gesù Nazareno, Re dei giudei; 4 – cancella, non riscrivere.

Appare chiaro il parallelismo tra le due scene, in particolare il «fece sedere» ri-

chiama «lo crocifissero», anche la crocifissione può essere paragonata ad una sessione per-

ché probabilmente lo gabellino c’era ma non sotto i piedi, ma più alto, dove il condannato

assumeva una posizione quasi a cavalcioni. Stanno anche in relazione i nomi dei luoghi:

«litostroton», in ebraico «gabbata» e del Cranio, in ebraico «Golgota», cioè l’evangelista

mi dà in termine ebraico entrambe le due volte. Ma il nostro caro evangelista fa un errore

perché né «gabbata», né «Golgota» non sono termini ebraici, ma aramaici, ma realmente

commette un errore tra le due lingue o forse mi dice di leggere in ebraico la parola aramai-

ca?

Per potere leggere in ebraico debbo andare alla radice, in ebraico la radice «���» di

«�������» significa «alto». Lo stesso nome «��������» [Golgota] ha radice «��» mi riman-

da alla rivelazione. Perciò concludendo il nome «gabbata» in lingua ebraica mi rimanda

alla esaltazione, il nome «Golgota» in lingua ebraica mi rimanda alla manifestazione, rive-

lazione. Ciò coincide con Giovanni 8,28: «quando innalzerete [Gabbata] allora conoscere-

te [Golgota] che Io sono». Non ci addentriamo oltre su queste due scene, come anche non

diciamo nulla sul termine «litostroton», termine greco [litos: pietra; stroton: distendere] e

perciò indica un lastricato di pietra sul cui senso simbolico sorvoliamo.

Il confronto con la narrazione della crocifissione mi conferma che non è Pilato che

siede, bensì è Pilato che fa sedere Gesù e proclama «ecco il vostro Re».

Con tutte queste osservazioni torniamo al racconto della Samaritana. Gesù ha fati-

cato per il cammino, sedeva presso la fonte, era l’ora sesta.

Page 30: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

30

Notiamo il parallelismo: Pilato fece sedere Gesù in un luogo di tribunale, era l’ora

sesta.

GIOVANNI 4,6 GIOVANNI 19,13 ������'���� ��������������� ������������������ &�������

�%��� ������%����[era l’ora sesta]� �%��� ������%����[era l’ora sesta]�

Non entriamo nei particolari. Questo confronto è sufficiente per concludere che

l’episodio della Samaritana presuppone come suo sfondo di ambientazione la croce, ideal-

mente quel racconto presuppone la croce. Gesù stanco dal viaggio è da intendere allora il

cammino della passione.

Torneremo ancora a delle relazioni, al racconto della passione, ma leggiamo il te-

sto. Nel verso 7 si legge: «viene una donna dalla Samaria ad attingere acqua». Si tratta di

una venuta estemporanea casuale, oppure la venuta della donna è la risposta ad un invito?

In realtà l’invito c’è ed è contenuto in 7,37-39 dove Gesù grida: «chi ha sete venga a me e

beva, fiumi dal suo seno escono di acqua viva». Nel contesto del capitolo 7 l’invito di Gesù

non trova risposta, ma il testo di 4,7 continua bene. La vera risposta all’invito di Gesù è la

venuta della donna samaritana. Ma perché Gesù in 7,37 dice: «chi ha sete»? Vedremo che

questo verbo dipende da Isaia 55,1: «o voi tutti assetati venite all’acqua», lasciando stare

Isaia e leggendo il verbo nel quarto vangelo possiamo stabilire un parallelo con 19,28-30,

dove leggiamo: «Gesù, visto che tutto era stato portato a compimento, perché si adempisse

la Scrittura, disse ho sete […] disse: “tutto è stato compiuto”, e avendo reclinato il capo

[������������������] consegnò lo Spirito». Ma questa scena richiama quattro versi prima

il verso 34, dove si dice che uno dei soldati aprì il costato ed uscì sangue ed acqua.

Possiamo fare allora il seguente parallelismo:

7,37-39 19,28-30.34 Chi ha sete […] Ho sete fiumi dal suo seno escono donò lo Spirito di acqua viva uscì sangue ed acqua ciò disse dello Spirito donò lo Spirito

Page 31: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

31

Possiamo allora concludere che l’incontro tra Gesù è la Samaritana, in ultima anali-

si, affonda le sue radici nella croce. Possiamo ricostruire all’inverso nel seguente modo:

1 – [19,34] «e si apre la fonte ed esce l’acqua»; 2 – dicendo di avere sete, Gesù rivela agli uomini la sete alla quale risponde donando lo Spirito; 3 – [7,37-39] può rivolgere l’invito all’assetato a venire a Lui e bere perché da Lui esce acqua viva; 4 – [cap. 4] una donna accoglie l’invito e viene dalla Samaria ad attingere acqua. Però il discorso non finisce qui, viene una donna dalla Samaria ad attin-gere acqua ma l’azione rimane in aria: la donna chiede l’acqua, ma non attinge. 5 – Il discorso si conclude a Cana: «attingete e portate a tavola».

E perciò si può scorgere un filo che parte dalla croce e giunge a Cana: l’acqua da

attingere che diventa vino, è l’acqua che è sgorgata dal costato di Cristo, ed infatti si può

stabilire il presente parallelismo:

[19,34] 1 – sangue; 2 – acqua; [cap. 2 - Cana] 3 – acqua; 4 – vino.

IL DIALOGO TRA GESÙ E LA DONNA

Tutto il dialogo tra Gesù e la donna si articola in tre parti:

1 – versi 7-15: uno sviluppo attorno al tema dell’acqua; 2 – versi 16-18: uno sviluppo attorno al tema del marito; 3 – versi 19-24: uno sviluppo attorno al tema della adorazione del Padre.

Il tema dell’acqua si colloca bene ancora nel contesto della croce:

1 – 19,28 – ho sete; 2 – 4,7 – donna dammi da bere; 3 – 4,15 – Signore dammi di quest’acqua; 4 – 19,30 – reclinato il capo, donò lo Spirito.

Questo schema ci suggerisce che la prima parte del dialogo riguardante l’acqua si

incastona nel testo di 19,28-30 [Metodo giovanneo ad incastro].

Passiamo al tema del marito, il testo è estremamente ermetico, probabilmente da

leggere in chiave apocalittica.

Page 32: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

32

Giovedì 27 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

La seconda parte, non tratta più né del tema dell’acqua, né del bere, ma il tema cen-

trale è quello dello sposo. Gesù dice alla donna di andare a chiamare suo marito, la donna

risponde di non averne; Gesù conferma: «cinque ne hai avuto e quello che hai non è il

tuo». Questa seconda parte si interrompe, la donna propone un nuovo tema, quello della

adorazione.

Nella terza parte non tornerà più né il tema dell’acqua, né quello dello sposo. Que-

sta seconda parte è ermetica ed allusiva insieme, mancano dei criteri precisi per interpretar-

la. Personalmente scegliamo l’interpretazione storica, e questa interpretazione ci è suggeri-

ta dallo sfondo stesso del dialogo. La donna aveva obiettato: «come mai Tu che sei giudeo

chiedi da bere a me che sono samaritana?» e perché poi Gesù nel verso 22 dichiara: che la

salvezza viene dai giudei? Riteniamo di avere una risposta se presupponiamo lo sfondo

della croce. Idealmente la donna conosce che Gesù è giudeo dal titolo della croce che pro-

clama la regalità di Gesù, tale regalità richiama la dimensione messianico-davidica di Ge-

sù. Lo sfondo perciò sarebbe la storia da Davide a Davide, del resto nell’incontro tra Gesù

e la donna samaritana c’è lo sfondo di Ezechiele. Nel capitolo 34 il profeta aveva annun-

ziato che Dio stesso avrebbe radunato il suo gregge, poi aveva precisato che Davide sareb-

be stato il loro pastore. Nello sfondo del capitolo 4 c’è perciò Davide, non solo quello pas-

sato, ma quello futuro che Dio avrebbe costituito pastore. L’incontro tra Gesù e la donna è

regolato da un altro testo di Ezechiele, nel capitolo 37, dopo la visione delle ossa aride, è

descritta una azione simbolica: il profeta deve prendere due legni, scrivere su ciascuno di

essi, su uno «Casa di Israele», sull’altro «Casa di Giuda» e deve metterli insieme. Il profe-

ta così annunzia l’unificazione dei due regni che costituivano l’unico regno davidico e si

sarebbero ricomposti nell’unico regno davidico. Nel racconto della samaritana questi testi

convergono: si stanno incontrando una donna samaritana ed il giudeo Gesù, si realizza così

quella unità dei due regni che Ezechiele aveva preannunziato. Tale unità è operata da Da-

vide, re pastore, che incontra una donna samaritana. In questo sfondo i cinque mariti sa-

rebbero le cinque dominazioni storiche da Davide a Davide, cioè dall’antico re Davide al

nuovo Davide, se confrontiamo con la storia i cinque mariti corrisponderebbero con gli as-

siri, i babilonesi, i persiani, i greci, i seleucidi, popoli che hanno dominato sull’antico re-

gno davidico. Il sesto marito che la donna ha non è suo: sono i dominatori del momento, i

romani. Se questa interpretazione è valida avremmo allora la ricostituzione in unità

Page 33: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

33

dell’unico regno davidico. Ciò può concordare con 11,52, dove l’evangelista scriva che

«Gesù doveva morire per radunare in unità i figli di Dio che erano stati dispersi», questo

raduno in unità sarebbe appunto descritto nell’incontro tra il giudeo Gesù e la donna sama-

ritana emblema di due popoli. Il testo rimane sospeso quando Gesù dice che il sesto marito

che ha non è suo, la donna replica rimandando alla adorazione. C’è chi con molta sapienza

ha detto che la donna scoperta nella sue magagne ha preferito cambiare discorso. Preferia-

mo non seguire cotanta sapienza, piuttosto salvo errore, il testo presenta una sospensione di

discorso molto allusiva: la donna ha un sesto marito, ma non è suo perché il vero marito le

sta di fronte. Si capisce allora la terza parte molto articolata, la donna dice: «Signore i no-

stri padri hanno adorato su questo monte», le versioni italiane scrivono volendo chiarire:

«Signore i nostri padri hanno adorato Dio su questo monte» forse ritenendo che Giovanni

se la sia dimenticata, ma aggiungendo questa parola commettono un madornale errore: nel

contesto la donna suscita un problema storico: dopo il ritorno dall’esilio si procedette alla

ricostruzione del tempio che conobbe alterne vicende e momenti di stasi al punto che do-

vette intervenire anche il persiano Altaserser. Quella ricostruzione fu sollecitata anche da

Aggeo e dal primo Zaccaria [capitoli 1-8]. Per farla breve in questa ricostruzione furono

chiamati anche i samaritani che però non vollero venire, ma quando si presentarono furono

cacciati, ed allora si ritirarono sul monte Karizim dove costruirono un tempio, ciò fu rite-

nuto uno scisma perché si diceva che Dio si doveva adorare soltanto a Gerusalemme. La

donna vorrebbe quasi legittimare il culto sul monte Karizim, ma Gesù, nella penna

dell’evangelista mette su uguale piano l’adorazione sul monte Karizim e quella in Gerusa-

lemme: entrambe non raggiungo a Dio perché l’adorazione a Dio non dipende dall’uomo.

Gesù infatti replica: «credimi donna, viene l’ora in cui né su questo monte, né in Gerusa-

lemme adorerete il Padre, perché la vera adorazione al Padre è quella fatta in Spirito e

verità». Ciò spiega perché in 12,20, dove l’evangelista narra la venuta dei greci,

l’evangelista ha scritto: «tra quelli che erano saliti a Gerusalemme per adorare nella festa,

alcuni erano greci», l’evangelista indica la presenza della festa, ed in quella festa si deve

adorare. Nemmeno qui Giovanni introduce l’oggetto [adorare Dio], ma bisogna passare

dall’adorare all’adorare Dio, cioè da una adorazione che non arriva ad una adorazione che

arriva. Ecco perché i greci chiedono a Filippo: «vogliamo vedere Gesù», perché al Padre

non si arriva se non attraverso Gesù [Cfr. 14,6]: «Io sono la via, la verità e la vita: nessuno

può pervenire al Padre se non attraverso si me». Concludendo: il dialogo tra Gesù e la

donna è un dialogo eminentemente trinitario, su tre parti l’acqua uguale lo Spirito, lo Sposo

Page 34: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

34

uguale Gesù e l’adorazione del Padre. L’adorazione che giunge al Padre è in Spirito e veri-

tà: la verità è Gesù… quindi passa dallo Spirito ed arriva a Gesù.

La terza sezione gravita attorno a due feste: Pasqua [capitolo 6], ed i Tabernacoli

[capitolo 7].

LA SECONDA PARTE

La seconda parte del vangelo inizia da 13,1, dove noi leggiamo il seguente testo:

Prima della festa di Pasqua; sapendo Gesù; che era giunta la sua ora; di passare da questo mondo al Padre; avendo amato i suoi che nel mondo a compimento li amò.

In questa espressione abbiamo una preposizione circostanziale temporale: «prima

della festa di Pasqua», questa preposizione circostanziale pone due problemi: a) di quale

Pasqua si tratta; b) quanto è questo “prima”. Alla luce di 12,1, dove si legge: «sei giorni

prima di Pasqua», questa indicazione giovannea di 13,1 assume il carattere di una vera e

propria imminenza, sembrerebbe che l’azione di Gesù sia sollecitata proprio

dall’imminenza di questa festa. Quale sia poi questa festa, l’evangelista, da una parte non

lo dice, dall’altra lo esprime in maniera chiara. Non lo dice perché non dice per esempio

“Pasqua dei giudei”, ma lo dirà poi dopo, quando dice che “era giunta l’ora di passare da

questo mondo al Padre”. Pasqua sappiamo che è la traslitterazione in greco del termine e-

braico “pesäch”, e il “pesäch” era il passaggio. Stavolta però, la Pasqua, non è più la me-

moria dell’antico esodo, ma la vera pasqua giovannea è il passaggio da questo mondo al

Padre. Nella prospettiva di questo passaggio Gesù compie una azione.

La struttura letteraria di 13,1 è molto semplice e prevede quattro punti:

1 – circostanziale temporale: «prima della festa di Pasqua»; 2 – circostanziale participiale: «sapendo…»; 3 – circostanziale participiale: «avendo amato»; 4 – azione diretta: «a compimento li amò».

Page 35: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

35

Subito dopo questa espressione è importante qualche osservazione; l’espressione è:

«��������������������». Fermiamo l’attenzione sul verbo «��������» che è un aoristo. Su

questo verbo bisognerebbe considerare due cose: anzitutto il suo significato. Il secondo

problema riguarda l’aoristo, questo aoristo non rimanda ad un sentimento, ma ad una azio-

ne storica precisa: emerge il problema quale sia l’azione storica. Importante è l’espressione

«�����������»: «����» con l’accusativo indica orientamento, ma su questa frase osserviamo due

cose:

1) anzitutto la sua posizione strutturale: è messa prima del verbo, ciò significa che questa espressione contiene la vera prospettiva dell’evangelista.

2) Si può notare ancora che «�����������» è senza articolo, la presenza dell’articolo mi avrebbe dato una realtà concreta, ed in questo caso, poteva anche avere il senso cronologico: «fino alla fine», l’assenza dell’articolo impedisce di dare all’espressione un valore cronologico, ma piuttosto, suggerisce un senso qualitati-vo intensivo: non si tratta perciò di un amore portato cronologicamente fino alla fine, ma di un amore che raggiunge la sua massima intensità e il massimo compi-mento. Potremmo perciò dire che prima della festa di Pasqua, Gesù portò a com-pimento la sua opera di amore, e tale compimento si rende necessario per l’imminenza della Pasqua.

È importante l’espressione: «passare da questo mondo al Padre», che evoca chia-

ramente l’esodo, non più però dall’Egitto alla terra promessa, bensì dal mondo al Padre.

La prospettiva di questo passaggio induce a considerare la prospettiva di fondo del

Vangelo di Giovanni, ed infatti questa seconda parte è collocata nello sfondo di questo

grande ritorno di Gesù al Padre.

Riteniamo che tutta la struttura del Vangelo di Giovanni gravita attorno al testo di

Isaia 55,10-11: salvo errore, è proprio questo testo che costituisce il telaio su cui il quarto

vangelo è costruito.

Page 36: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

36

Possiamo allora considerare questo testo.

I S A I A 5 5 , 1 0 - 1 1

Testo greco dalla

versione dei LXX Testo ebraico

Traduzione letterale

in italiano dal testo ebraico

10���������������&���� �� � �������������� Poiché come scende

���������(������ ������������������ la pioggia e la neve

��������������������� ��� !�"���#$!�� dal cielo

��������������)���� �%�&�'���(��)*���+��� e là non torna

�%���(������������������ ,����&�#�����'����#�������-� senza impregnare la terra

���������������������&��������� ./�0�!�12����.�'3�������ed averla fatta fecondare ed

averla fatta fruttificare

���������������������

����������45� &67���)4�58�+�$��9':���

e dia seme a colui che semi-

na

����$���������&������ ;�<=>������/���3��� e pane a colui che mangia

11���%�����$���� ��:2� ?�$� �� così sarà

��������������� )�� ����� la mia parola

�*������� ������� �1=@� �������� che esce

����������������������� �A�&!�� dalla mia bocca

��������������)���� �B'C�� ����3�=��%�D�'#��(? non torna a me vuota

�%���(������������� )E�4�#�������F� ma anzi fa

�%����������� �G�12H�&/��������#���� ciò che ho voluto

�������������� /5���312���� e porti a compimento

���������������� ���D��� ciò per cui

������������������� ;��G�>/2���2� l’ho inviata

Page 37: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

37

Sabato 29 ottobre 2005, ore 08,30 / 10,15

I versi 10 ed 11 di Isaia 55 sono importanti perché essi sembrano costruire lo sche-

ma del vangelo di Giovanni. Veramente l’evangelista non ha presenti solo questi versi, ma

anche il verso iniziale di Isaia 55,1, questo verso scrive: «o voi tutti assetati, venite

all’acqua», immagini che stanno ad indicare che il dono di Dio è aperto a tutti ed a tutti

Dio dona gratuitamente.

Questo primo verso è ripreso da Apocalisse 22,17b, ma è ripreso anche dal

quarto vangelo.

In 7,37-39, Gesù grida le parole: «chi ha sete [voi tutti assetati] venga a me

[venite all’acqua]».

Su questo testo, però non diciamo altro. Fermiamo la nostra attenzione sui versi 10

e 11, notiamo anzitutto una comparativa di uguaglianza. Dio sta istituendo un paragone tra

la pioggia e la neve e la Sua parola. La ripresa di questo testo era facile perché si parla di

parola. Nel testo dei LXX troviamo il termine «������» mentre il quarto vangelo usa il ter-

mine «������», però sia «������» che «������» traducono la stessa parola ebraica «�� ����».

Nel verso 10 si descrive una mini storia della pioggia e della neve, una storia in tre

momenti oppure in tre dinamismi:

1 – dinamismo discendente [scende dal cielo]; 2 – dinamismo ascendente [non torna a me senza]; 3 – dinamismo intermedio [tra la discesa e l’ascesa c’è una azione descritta dall’autore con quattro azioni:

a) impregnare la terra; b) farla germogliare – renderla feconda; c) farla fruttificare; d) perché dia seme al seminatore e pane da mangiare].

Perciò tutto il cammino della pioggia fa a finire nel dono del pane, ma prima che si

arrivi al pane, la parola deve compiere una azione quale impregnare il terreno. Questo tri-

plice dinamismo si riscontra anche nella parola di Dio, anzi prima di tutto nella parola per-

ché l’esempio della pioggia e della neve sono posti in funzione della parola.

Page 38: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

38

La parola di Dio ha anch’essa tre dinamismi:

1) esce dalla bocca Dio; 2) deve compiere ciò che Dio ha voluto e realizzare ciò per cui è stata mandata; 3) torna a Dio.

Su questi tre dinamismi poggia tutto il quarto vangelo. Notiamo subito una fonda-

mentale differenza rispetto ai vangeli sinottici. I sinottici, come del resto tutto il NT, sono

protesi verso il ritorno del Signore, donde la dimensione spirituale evangelica della vigi-

lanza e della attesa, il quarto vangelo, invece, non parla di ritorno del Signore, bensì del ri-

torno di Gesù al Padre. La fede primitiva professò che il Signore risorto è salito al cielo, un

giorno sarebbe tornato e, tra l’ascensione e la parusia c’è tutto il tempo della chiesa; il

quarto vangelo concepisce come un grande ritorno di Gesù al Padre, qualcosa di analogo si

avrebbe, con tutte le differenze possibili ed immaginabili, nella lettera agli Ebrei. Se è leci-

to applicare alla storia il vangelo di Giovanni dovremmo dire che tutta la storia è intesa

come un grande ritorno di Gesù al Padre, nel frattempo bisogna radunare gli uomini. Non è

una idea applicata, ma la deduciamo dal vangelo stesso, vedi per esempio la prima sezione,

il cui secondo giorno è il raduno dei discepoli, e il terzo l’ingresso a Cana di Galilea. Ma

possiamo citare anche Giovanni 20,17, dove Gesù dice alla Maddalena: «cessa di toccar-

mi, perché non sono ancora salito al Padre mio, ma và ai miei fratelli ed annunzia loro:

“salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Questo passaggio deve esse-

re spiegato alla luce del Cantico dei Cantici, la donna si è unita al suo Signore «l’ho trova-

to e non lo lascerò più», ma il Signore precisa che ancora non è il tempo di trattenere, per-

ché ancora non è salito al Padre, ciò significa che solo allora sarà completo e definitivo e

completo l’incontro sponsale, nel frattempo la donna ha una missione: andare dai fratelli ed

annunziare che Gesù sta salendo al Padre [è la missione della Chiesa], e perciò bisogna af-

frettarsi ad unirsi a Lui. Riteniamo perciò che Giovanni abbia appunto questa concezione

della storia, come il tempo del raduno attorno a Gesù per giungere con Lui al Padre.

Abbiamo detto che lo schema di Isaia è discendente, orizzontale ed ascendente.

Page 39: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

39

Troviamo queste tre linee, o almeno la prima e la terza in diversi testi, ne citiamo

tre, in ordine progressivo di difficoltà ed in ordine inverso di lettura del testo:

1) 16,27-28; 2) 1,1-3; 3) 1,1-18;

Il primo testo contiene le parole di Gesù complesse nel contesto, dove Gesù dichia-

ra ai discepoli rimproverandoli perché non hanno chiesto nulla e dichiara loro di chiedere

al Padre, e Gesù dichiara che il quel giorno non ci sarà più bisogno della Sua mediazione,

ed infatti: «il Padre stesso vi accoglie [)�����] perché voi mi avete accolto ed avete creduto

che da Dio sono uscito». Gesù a queste parole amplia aggiungendo «sono uscito dal Padre

e sono venuto nel mondo [linea discendente], lascio il mondo e vado al Padre [linea ascen-

dente]», in questo testo, Gesù indica la sua storia dal Padre al mondo e dal mondo al Padre.

Il questo testo della storia intermedia, almeno esplicitamente non si dice nulla.

Ma più importante è il testo di 13,1-3 che è opportuno citare per esteso: «Prima

della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo

al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, a compimento li amò».

«mentre diveniva il banchetto, avendo il diavolo gettato nel cuore di Giuda di Si-

mone Iscariota di tradirlo, sapendo che tutto il Padre gli ha dato nelle mani e che da Dio è

uscito e a Dio và, si alza dal banchetto […]». Possiamo in questo testo stabilire, un con-

fronto tra le due parti:

A B 1) Prima della festa di Pasqua 1) mentre diveniva il banchetto 2) Gesù sapendo che era giunta l’ora di pas-sare da questo mondo al Padre

2) avendo il diavolo gettato nel cuore di Giuda di Simone Iscariota di tradirlo

3) avendo amato i suoi che nel mondo 3) sapendo che tutto il Padre gli ha dato nel-le mani e che da Dio è uscito ed a Dio va

4) a compimento li amò 4) si alza da tavola […]

Le due parti stanno in parallelo, notiamo anzitutto le due circostanze cronologiche

tra 1 ed 1, notiamo anche i verbi diretti (4 con 4). Tra la circostanza cronologica ed i verbi

diretti troviamo due espressioni participiali introdotti nelle due parti in maniera inversa.

Page 40: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

40

Fermiamo l’attenzione su queste frasi participiali e mettiamole in ordine:

1) sapendo che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre; 2) avendo amato i suoi che nel mondo; 3) avendo il diavolo gettato nel cuore di Giuda di Simone Iscariota di tradirlo;

4) sapendo che tutto il Padre gli ha dato nelle mani e che da Dio è uscito ed a Dio và.

Il primo e il quarto participio sogno gli stessi, ed il primo ed il quarto elemento,

come vedremo, stanno in continuità. Il secondo e il terzo, invece, stanno in antitesi.

All’opera di amore di Gesù verso i discepoli si contrappone l’opera del diavolo contro Ge-

sù, il diavolo che ha sobillato Giuda. Fermiamo la nostra attenzione sulla prima e quarta

frase:

1) sapendo che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre; 2) sapendo che tutto il Padre gli ha dato nelle mani e che da Dio è uscito ed a io và.

La seconda frase amplia la prospettiva della prima, nella prima si parlava soltanto

dell’ora di compiere il passaggio pasquale dal mondo al Padre, nella seconda c’è l’idea di

andare a Dio che richiama il passaggio da questo mondo al Padre, ma l’evangelista risale al

fatto di essere uscito da Dio: deve tornare a Dio perché da Dio è uscito [il richiamo ad Isaia

55 è chiaro].

Ma l’evangelista si pone due domande:

1) perchè è uscito da Dio? 2) che cosa deve fare prima di tornare a Dio?

La risposta a queste due domande è contenuta nella frase: «sapendo che tutto diede

a Lui il Padre nelle mani». Ma che vuol dire questa frase?

Page 41: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

41

Per poterla comprendere dobbiamo leggerla in greco dove troviamo la seguente e-

spressione in Gv 13,3:

«�%��» - particella oggettiva – introduce un oggetto; «���» – tutte le cose; «�$����» – [diede] aoristo; «���������������» – a lui il Padre; «���������������» – nelle mani – complemento di moto a luogo;

Questa frase da sola non direbbe niente, ma, salvo errore, dice tutto se la si parago-

na ad un’altra espressione in 3,35:

Il Padre ama il figlio e tutto [���] ha dato [�������] – perfetto nella Sua mano [���������������������]2.

I due testi concordano in quattro elementi:

1) la menzione del Padre; 2) il pronome ���, neutro, tutte le cose; 3) il verbo «dare» [�������]; 4) il termine «mano» [�������]

Ci sono però due differenze fondamentalissime in questi due testi:

1) il verbo «�������» in 13,3 si legge all’aoristo «�$����», in 3,35 si legge al perfetto «�������»; 2) la menzione della mano in 13,3 è al plurale, è complemento di moto al luogo «����� ���� ������» in 3,35 è al singolare ed è complemento di stato in luogo [��������������]

2 complemento di stato in luogo: �� + dativo.

Page 42: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

42

Quale dei due testi è prima, 13,3 o 3,35?

Il testo di 13,3 precede 3,35. Anzitutto l’aoristo indica in 13,3 una azione ingressiva

[aoristo ingressivo], il perfetto di 3,35 indica una azione passata che dura tuttora al presen-

te. L’aoristo indica una azione incipiente, il perfetto indica una azione stabile e duratura.

L’espressione «���������������» è complemento di moto a luogo, ciò significa che

c’è una tensione verso le mani, ma ancora non si dice che tutte le cose sono già in maniera

stabile nelle mani, cosa che dirà 3,35 con il suo complemento di stato in luogo: il comple-

mento di stato in luogo indica che tutte le cose sono già in maniera stabile nelle mani di

Gesù.

Il confronto tra i due testi dice che ci sono due azioni, quella iniziale del Padre che

ha dato in potenza tutte le cose in mano a Gesù; Gesù deve passare dalla potenza all’atto,

cioè rendere tutte le cose in maniera stabile e definitiva nelle Sue mani: per questo motivo

esce da Dio.

Possiamo proporre tutto nel seguente modo schematicamente:

1) il Padre in potenza diede [aoristo – «�$����»] tutte le cose in mano a Gesù [complemento di moto a luogo] (13,3); 2) per questo esce da Dio; 3) rende tutto in maniera stabile «�������» nella sua mano [���������������������]; 4) dopo aver reso tutto in maniera stabile nelle sue mani, con quelli che sono nelle sue mani può tornare a Dio.

Analogo pensiero, pur con tutte le differenze troviamo in 10,29, dove Gesù dichia-

ra: «il Padre mio che ha dato «�������» a me è migliore di tutti e nessuno può rapire dalla

mano del Padre», ma nel verso precedente, a riguardo delle pecore, Gesù afferma: «nessu-

no rapisce dalla mia mano», le pecore sono in maniera stabile nelle mani di Gesù, ma non

si fermano alle mani di Gesù, perché le mani di Gesù conducono alla mano del Padre: «Io e

il Padre siamo una sola cosa».

Torniamo al nostro testo, emerge una domanda: come Gesù passerà dall’avere tutto

in potenza nelle sue mani ad avere tutto in atto nelle sue mani?

Ed ecco la risposta, contenuta nella frase: «avendo amato i suoi che nel mondo a

compimento li amò», cioè Gesù realizzerà tutto portando a compimento l’opera di amore.

Quale sia il compimento dell’opera di amore speriamo di arrivarci, ma intanto diciamo che

è descritta nella serie di azioni simboliche di alzarsi da tavola fino a lavare i piedi, ma so-

prattutto ad asciugarli. Al momento ci limitiamo soltanto a dire che l’autore delinea una

Page 43: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

43

storia: il compimento dell’opera di amore che permetterà il passaggio dall’avere tutto in

potenza all’avere tutto nelle mani in atto, e che culmina nel compimento dell’opera di amo-

re, ha due punti di partenza, uno formale ed uno storico. Il punto di partenza storico è il tra-

dimento di Giuda e più a monte l’opera del diavolo, ma paradossalmente l’opera del diavo-

lo permetterà, col tradimento di Giuda, la realizzazione dell’opera di amore. In realtà la ve-

ra causa non è il tradimento di Giuda [quella è la causa storica], ma il fatto che Gesù ha

amato.

Giovedì 03 novembre 2005, ore 10,30 / 12,15

Il terzo testo è il Prologo del Vangelo in Giovanni 1,1-18. Il Prologo si estende dal

verso 1 fino al verso 18. In questo prologo l’evangelista introduce in maniera ancora non

chiara molti temi che svilupperà chiaramente in seguito creando delle sintesi per cui il Pro-

logo si legge meglio alla fine di tutto il vangelo. Considereremo il prologo esclusivamente

per cogliere le dinamiche discendente e ascendente che caratterizzano il Vangelo. Questo

Prologo ha una storia e tra gli interpreti è dibattutissimo il problema della sua origine, se

cioè il quarto evangelista componga lui questo prologo o non piuttosto riprenda una com-

posizione preesistente adattandola al suo scopo.

Nel Prologo, così come è attualmente nel Vangelo, possiamo distinguere due parti:

la prima parte va dal verso 1 fino al verso 13; la seconda parte va dal verso 14 fino al verso

18; forse è meglio proporre un altro schema concentrico nel seguente modo:

1 – versi 1-5: storia della Parola; 2 – testimonianza di Giovanni;

3 – versi 9-13: la venuta della Parola nel mondo; 4 – verso 14: la presenza della Parola;

5 – verso 15: testimonianza di Giovanni; 6 – versi 16-18: il ritorno della Parola a Dio.

Possiamo notare una inclusione tra il verso 1 e il verso 18. Nel verso 1 leggiamo

«��������������� ���������������».�Nel verso�+,�leggiamo «����(����������������».

Page 44: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

44

Possiamo stabilire tra queste due espressioni il seguente parallelismo:

Gv 1,1 Gv 1,18

� ����( �������������� ���������������

In questo Prologo, come in tutto il vangelo, Giovanni costruisce a quadri. In ogni

quadro

egli propone tutto uno sviluppo all’interno, ma i singoli quadri vanno letti insieme secondo

una linea progressiva.

Affrontiamo i versi 1-5. Nei versi 1-5 possiamo distinguere tre strofe:

� 1. In principio era la Parola 2. e la Parola era verso Dio 3. e Dio era la Parola 4. egli era in principio verso Dio

� 1. tutto per mezzo di lui divenne 2. e senza di lui divenne 3. nemmeno un cosa di ciò che è divenuto

� 1. in lui vita era 2. la vita era la luce degli uomini 3. la luce nella tenebra splende 4. la tenebra essa non sopraffece.

Leggendo prima sincronicamente queste tre strofe possiamo individuare tre

tematiche:

1 – Preesistenza della Parola 2 – Intervento nella creazione 3 – Intervento nella storia umana.

La prima strofa è caratterizzata da quattro forme di imperfetto (� ) del verbo

«������». Dal punto di vista letterario le frasi si rivelano quattro versi con tre accenti ciascu-

no. Probabilmente però la strofa originale doveva essere soltanto di tre versi e infatti il

quarto verso riprende le prime parole del primo e le ultime parole del secondo.

Page 45: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

45

Possiamo notare come tutto gravita attorno al binomio «������» – «�����» e

l’evangelista costruisce a catena: l’ultima parola del verso precedente è la prima del verso

seguente.

Si determina nei primi tre versi il seguente schema concentrico:

1. «���������»; 2. «���������» – «��������»; 3. «�����»; 4. «���������».

L’espressione «�-� ������» facilmente richiama Genesi: «In principio Dio creò il

cielo e la terra». Però può essere richiamato il testo di Proverbi 8,22 dove la Sapienza nar-

ra la sua storia con le parole «il Signore mi creò (a) principio delle sue vie». La parentesi si

spiega perché c’è un problema testuale in Proverbi: se bisogna leggere «�����=» [rescit] o

«�����2�2» [berescit]. Se leggiamo «�����2�2» [berescit] il senso sarebbe “che Dio creò la

Sapienza all’inizio delle sue vie”, cioè la Sapienza fu creata la prima opera che Dio ha cre-

ato; se leggiamo poi soltanto «�����=» [rescit] significa che la Sapienza fu creata come

principio, come modello, come fondamento, come causa esemplare delle vie di Dio. La-

sciando stare questo problema interessa soltanto che Proverbi fa un passo avanti rispetto a

Genesi: secondo Genesi all’inizio ci sta la creazione del cielo e della terra; secondo Pro-

verbi a principio ci sta la creazione della Sapienza che incide in un modo o nell’altro sulle

altre opere della creazione. Proverbi 8,22 è un gradino verso Giovanni, ma ancora non è

Giovanni perché Proverbi parla della sapienza antecedente alla creazione, ma essa stessa è

un’opera creata.

Il tardo giudaismo però non ritenne soltanto la Sapienza opera antecedente ma parlò

anche della Legge. Secondo il Libro apocrifo dei Giubilei (a cavallo tra il I e il II secolo

a.c.) Dio creò la legge prima del mondo ma la nascose nelle tavole del cielo, rivelandola

parzialmente ai Patriarchi ma poi rivelandola definitivamente al Sinai.

Nel nostro testo di Giovanni l’espressione «�-�������» è legata al verbo imperfetto

«� ». L’imperfetto esprime continuità nel passato senza dir nulla dell’inizio. Il nostro e-

vangelista perciò colloca all’inizio non l’origine bensì la continuità nell’essere, esprimendo

in questo modo una continuità senza inizio. Siamo così nella prospettiva della preesistenza

eterna della Parola. In questo però l’evangelista non è del tutto originale. Già il tardo giu-

Page 46: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

46

daismo aveva parlato della personificazione della Parola. In Sapienza 18 leggiamo le paro-

le: «mentre un silenzio avvolgeva la terra, la tua parola onnipotente come guerriero im-

placabile scese su quella terra di sterminio».

In questo testo abbiamo una re-interpretazione di Esodo 11,12, cioè la decima pia-

ga, la strage dei primogeniti. Mentre il testo dell’Esodo parla dell’Angelo del Signore che

venne a fare una strage tra gli Egiziani, Sapienza riferisce questa strage alla Parola di Dio

che scende nell’accampamento degli Egiziani. Il testo di Sapienza già propone una perso-

nificazione della Parola di Dio. Tale personificazione emerge anche nel Targum Palestine-

se, dove alle parole «in principio Dio creò il cielo e la terra» si sostituiscono le parole «in

principio la Parola di Dio creò il cielo e la terra». E così in tutta la parafrasi targumica

quando si parla di Dio si sostituisce la sua parola. In Giovanni perciò confluiscono queste

due tradizioni: sia quella sapienziale di una realtà che è anteriore alla creazione e che in-

fluisce su di essa, sia anche la tradizione della personificazione della Parola.

Tuttavia la considerazione di queste tradizioni offrono il back-ground di Giovanni,

ma non spiegano completamente Giovanni, perché in Giovanni ci sono quattro aspetti della

Parola:

1) personificazione; 2) preesistenza; 3) eternità; 4) divinità.

E’ chiaro che Gv supera le prospettive precedenti, ma in tale superamento deve in-

tervenire la rivelazione neotestamentaria, soprattutto quella trinitaria.

E’ importante la seconda espressione: «e la Parola era verso Dio (��������������)»,

che la versione latina traduce «apud Deum» e sulla scia della versione latina le versioni ita-

liane traducono «presso Dio».

Ma qui si fa un errore perché la particella greca «�����» indica moto a luogo mentre

l’«apud» latino e il «presso» italiano indicano stato in luogo. Bisogna conservare al «�����»

greco il suo significato originale. Emerge il problema: che cosa vuol dire «verso Dio»?

Page 47: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

47

Notiamo anzitutto una relazione strutturale:

1) «�-�������»; 2) «� »; 3) «���������»; 4) «�������������»; 5) «� »; 6) «��������������».

Già basta questo schema a suggerire tutto un cammino della Parola che parte dalla

preesistenza eterna e culmina a Dio. Quale sia questo cammino il testo immediato non lo

dice, ma emergerà dalla considerazione di tutto il Prologo ed emergerà soprattutto dalla

considerazione di tutto il Vangelo. Tale cammino si comprende alla luce di Isaia 55 e anti-

cipando quello che sarà più chiaro in seguito, dobbiamo dire che la Parola compie un

cammino che parte dalla sua preesistenza eterna, passa attraverso la creazione, nella quale

incide, scende nella storia degli uomini in cui compie un’opera, torna a Dio.

Perciò tutta l’espressione «In principio era la Parola e la Parola era verso Dio»

deve essere riempita del contenuto di tutto il quarto Vangelo.

Tuttavia come abbiamo detto, mentre in lettura diacronica si insinua un cammino

dalla preesistenza a Dio, in lettura sincronica la prima strofa globalmente descrive la pree-

sistenza

eterna della Parola. Sulla seconda strofa indugiamo un po’ di meno. La prima frase suona

«�����������������������». Notiamo anzitutto che in questa seconda strofa la prospettiva

non è più quella dell’“essere”, bensì del “divenire”. E’ infatti mentre nella prima strofa a-

vevamo quattro forme di imperfetto del verbo «������» che indica continuità nell’essere, a-

desso abbiamo due forme di aoristo, con valore ingressivo, del verbo «������» (��������),

che esprime l’inizio del divenire.

La terza volta c’è il perfetto «������» che esprime la durata di ciò che è divenuto.

Diciamo soltanto che l’evangelista esprime l’universale (���) causalità efficiente

(����������) della Parola.

L’evangelista esclude che qualcosa possa essere non causata dalla Parola. Un lavo-

ro più completo doveva considerare anche il Prologo della Lettera agli Ebrei e inoltre i testi

di Proverbi 8, 22 e seguenti ed anche Siracide 24, dove si sottolinea l’incidenza della Sa-

pienza nell’opera della creazione.

Page 48: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

48

Più importante si rivela la terza strofa che descrive l’incidenza della Parola nella

storia degli uomini. Si dice che «in essa c’era vita e la vita era la luce degli uomini, la luce

splende tra le tenebre». Nemmeno su questa strofa diremo tutto: ci limitiamo soltanto agli

ultimi due versi che sembrano importanti e che traduciamo nel seguente modo:

«la luce splende tra le tenebre la tenebra essa non sopraffece».

In ciò differiamo dalla versione italiana, che traduce «le tenebre non l’hanno accol-

ta». L’espressione originale è «���������&�»: questo verbo è aoristo II, terza persona sin-

golare dal verbo «����&��». Nel contesto immediato l’autore usa tre forme verbali:

1) - «��&��» (prendere); 2) - «����&��» (prendere presso); 3) - «����&��» che ora diremo.

Questi tre verbi non sono sinonimi, ma ognuno contiene la sua sfumatura. In parti-

colare il verbo «����&��» significa “prendere” (��&��) con un movimento dall’alto

verso il basso [���] cioè prendere in maniera di

sopraffare, soffocare e trattandosi di luce, spegnere.

(In 12,35 Gesù esorta a camminare nella lu-

ce perché la tenebra non sorprenda cioè non cali e

afferri e coinvolga). Abbiamo due verbi: il primo è

«)����» (splende); il secondo è «���� �����&�»

che esclude un’azione delle tenebre dei confronti

della luce. L’evangelista coordina i due verbi

“splendere” e “non sopraffare”. Ma cosa viene

prima “splendere” o “non sopraffare”, cioè splende,

indicativo presente, o non sopraffare (aoristo nega-

tivo)? Splende è un indicativo presente che indica azione continua al presente, “non sopraf-

fece” invece indica un’azione già conclusa nel passato, ma essa esprime non solo

un’azione conclusa ma anche l’impossibilità a ripeterla.

Page 49: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

49

Sabato 05 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Queste osservazioni ci inducono a rileggere al contrario prima il verbo

«���������&�», poi il verbo «)����» [splende]. Letti i due verbi in questo modo emerge

l’idea del tentativo delle tenebre di spegnere la luce. Il verbo «���������&�» ha il senso di

un epilogo che rivela appunto il tentativo di spegnere senza successo: le tenebre cercarono

di spegnere la luce, ma non ci riuscirono; ma il verbo, aoristo negativo completivo, indica

non solo l’insuccesso della tenebra ma anche la fine di qualsiasi ostilità, le tenebre non po-

terono spegnere la luce; ciò rivela la sconfitta delle tenebre, ma ciò rivela la vittoria della

luce in seguito alla quale la luce splende.

Giovanni rivela perciò una lotta tra luce e tenebre. L’idea di una lotta non è nuova,

si trova anche nei documenti di Qumran, è stato trovato infatti a Qumran uno scritto chia-

mato appunto la «guerra tra i figli delle tenebre ed i figli della luce». Benché Giovanni

possa condividere con Qumran l’idea di una guerra tra luce e tenebre, tuttavia Giovanni è

originale rispetto a Qumran, e quale sia stata questa guerra bisogna ricercarlo nell’ambito

di Giovanni stesso. Intanto osserviamo che il binomio luce-tenebre probabilmente risale ad

Isaia 9: «un popolo che camminava nella tenebra vide una grande luce, e su quelli che se-

devano in terra di ombra di morte, una luce è spuntata».

Ma cerchiamo nel vangelo stesso il senso di tale guerra. Potremmo citare diversi

passaggi tra cui per esempio 7,43, dove si dice che «volevano catturarlo, ma nessuno gli

mise mano addosso», oppure 8,59 dove si legge che «presero pietre per gettarle su di lui,

ma egli uscì da loro». Quest’ultimo testo forse si legge meglio in chiave simbolica cioè il

tentativo di spegnere e sopprimere. Però il testo più importante a cui vogliamo riferirci è la

narrazione della passione. Anzitutto alla cattura al Getsemani, secondo i vangeli sinottici,

la folla andò armata di spade e bastoni, secondo Giovanni vi andarono con lanterne, fiacco-

le ed armi. I primi due elementi sono di luce, o meglio rivelano l’assenza della luce e per-

ciò si richiamano le tenebre. Il terzo elemento è di guerra, armi: le tenebre perciò mossero

guerra contro la luce, ma la luce splende ed infatti segue subito dopo il dialogo tra Gesù e

la folla che si leggerebbe meglio all’inverso, cioè partendo dal titolo della croce. Il titolo

della croce suona: «Gesù nazareno, re dei giudei», cioè il titolo della croce rivela lo scan-

dalo del galileo che ha ereditato il trono davidico, ed i giudei al Getsemani cercano soltanto

la prima parte cioè Gesù nazareno relegando Gesù soltanto alla dimensione terrena. Gesù

propone la seconda parte, l’aspetto divino, si richiama 8,28: «quando innalzerete il Figlio

Page 50: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

50

dell’uomo conoscerete che Io sono», e Gesù rivela la sua identità divina, ma 8,24 suona:

«se non credete che Io sono morirete nei vostri peccati». Giovanni scrive che indietreggia-

rono e caddero, non è una scena da baraccone materiale, il linguaggio è dei salmi, Cfr.

Salmo 26: «il Signore è mia luce e mia salvezza […] quando vi assalgono i malvagi per

straziarmi la carne, sono essi avversari e nemici ad inciampare e cadere». In Giovanni pe-

rò la scena richiama i due aspetti: di esclusione giudiziaria [indietreggiarono] e di morte

[caddero]. Potremmo proporre il seguente schema:

1 – 18,4 – manifestazione; 2 – 8,28 – conoscerete che Io sono; 3 – 8,24 – se non credete che Io sono morirete; (incredulità) 4 – 18,4 – indietreggiarono e caddero.

Ma il tentativo delle tenebre di spegnere la luce e la vittoria di essa emerge soprat-

tutto nel confronto tra i due processi, quello davanti ad Anania o Anna e quello davanti a

Pilato. È verosimile che in tutto il cammino Gesù sia stato legato: i sinottici lo dicono nel

cammino dal pretorio al calvario. Giovanni invece riserva il verbo «����» [legare] soltanto

in due posti, a nostro parere, accuratamente studiati: in 18,12 dal Getsemani ad Anna, ed in

18,24 da Anna a Caifa. Possiamo confrontare i due testi:

18,12 «Presero Gesù lo legarono e lo condussero da Anna»; 18,24: «mandò lui Anna legato a Caifa il sacerdote».

Questi due testi includono il processo-dialogo davanti ad Anna. Nei versi 25-27 ab-

biamo il secondo e terzo rinnegamento di Pietro, nel verso 28 incomincia il processo da-

vanti a Pilato.

Scriviamo l’inizio e la fine di quel processo:

1 – (18,28): «conducono Gesù da Caifa al pretorio, era l’alba, ma non entrarono per non contaminarsi e mangiare la pasqua»; 2 – (19,14): «era la parasceve della Pasqua, circa l’ora sesta e Pilato dice ecco il vostro re».

Come vediamo in processo davanti ad Anna è incluso tra due verbi legare, verbi

che Giovanni non userà mai più: il processo davanti ad Anna, altissimamente drammatico,

trova il suo culmine nello schiaffo del servo che non è una semplice reprimenda, ma assu-

Page 51: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

51

me il carattere di un vero e proprio rifiuto. Nel palazzo di Anna si cercò di coartare, rifiuta-

re e spegnere. Il processo davanti a Pilato, invece, inizia dall’alba e culmina all’ora sesta,

cioè all’ora in cui la luce raggiunge il suo massimo splendore [allo zenit]. Giovanni conce-

pisce tutto il processo davanti a Pilato verso tre elementi:

1 – era la parasceve della Pasqua (l’agnello pasquale); 2 – era l’ora sesta (la luce); 3 – ecco il vostro re (la regalità).

Agnello pasquale, luce e re sono i tre punti a cui è orientato il processo davanti a

Pilato.

Al nostro scopo interessa però soltanto il secondo punto, c’è perciò una “escala-

tion” della luce, dall’alba all’ora sesta. Giovanni concepisce il processo davanti a Pilato

come un cammino della luce verso la sua massima manifestazione. In questa prospettiva il

processo davanti ad Anna può essere visto come il tentativo delle tenebre di sopprimere la

luce. Il tentativo non riesce e il passaggio dalla coartazione dei giudei verso la manifesta-

zione della luce davanti a Pilato paradossalmente si trova nell’ambito dei giudei stessi.

Torniamo alla frase di 18,28: essa presenta la seguente struttura:

– mandò; 1 – lui; 2 – Anna; 3 – legato; 4 – a Caifa 5 – sacerdote.

Al centro ci sta il verbo «legato», il secondo e quarto elemento descrive le persone

che lo coartano: Anna–Caifa, cioè il giudaismo. Ma è micidiale l’ultima parola: sacerdote.

Storicamente il processo davanti ad Anna non aveva nessun valore giuridico; lo avrà il

processo davanti al sinedrio presieduto da Caifa. Storicamente Gesù dovette passare la not-

te in casa di Anna dove avvennero i tre rinnegamenti di Pietro. Anna al mattino lo avrebbe

mandato da Caifa per il processo ufficiale davanti al sinedrio. Giovanni non descrive il

processo davanti al sinedrio, ma non lo ignora, non lo narra negativamente perché la pro-

spettiva del processo davanti al sinedrio non rientra nella sua figura teologica, ma non lo

narra perché a Giovanni interessa la prerogativa di Caifa sacerdote. In 18,13, parlando di

Anna, aveva detto che era suocero di Caifa, il quale era sacerdote “di quel anno”. Caifa

Page 52: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

52

non fu sacerdote un solo anno, ma diciotto, e perciò l’indicazione “di quel anno” non cro-

nologica, ma teologica, cioè il sacerdote al quale compete il rito annuale dell’espiazione;

del resto in 11,48-52, riferendo la profezia di Caifa che «è bene che uno solo muoia per il

popolo e non perisca tutta la gente», l’evangelista commenta che Caifa non disse ciò da sé

stesso, ma, essendo sacerdote “di quel anno” profetò che uno solo doveva morire per il po-

polo. Ma Giovanni ulteriormente commenta: «non solo per il popolo, ma anche per radu-

nare in unità i figli di Dio che erano stati dispersi». Dalla morte di Gesù al raduno dei figli

di Dio dispersi c’è un lungo cammino che omettiamo adesso di riempire. Al nostro scopo

interessa soltanto questo: Caifa, come presidente del sinedrio sancirà la condanna a morte,

ma a Giovanni interessa sottolineare che quella condanna a morte è pronunziata dal sacer-

dote “di quel anno” e perciò paradossalmente il tentativo dei giudei di sopprimere Gesù

sortirà l’effetto diametralmente opposto, quello di fare di Gesù il punto di riferimento at-

traverso la croce del raduno dei figli di Dio dispersi. Tutto ciò chiarisce molto bene il testo

di 1,5: «la luce splende tra le tenebre, ma le tenebre non poterono sopraffare».

Questa prospettiva giovannea emerge bene da altri particolari. I vangeli sinottici

scrivono che condussero Gesù al calvario per crocifiggerlo. Giovanni si guarda bene dallo

scrivere «lo condussero»; ma scrive: «uscì portandosi la croce», questa uscita deve essere

letta tra le due proclamazioni di Pilato, quella nel pretorio: «ecco il vostro re», e quella sul-

la croce: «Gesù nazareno re dei giudei», si direbbe che il re proclamato o la luce manife-

stata vanno a collocarsi sul proprio trono e sul proprio candelabro. Giovanni scrive che Ge-

sù (19,17) «portando [&���'�] per sé [�������] la croce», quel dativo «�������» è un po’

rompicranio, dovremmo intenderlo meglio come un dativo di vantaggio o di possesso, cioè

portando la croce come una realtà sua propria che gli appartiene, forse c’è una allusione a

Genesi 22: Isacco che porta lui la legna del sacrificio, ma in ogni caso Gesù e la croce ap-

paiono come due realtà intrinsecamente unite ed inscindibili. Si capisce bene perché Gio-

vanni allora completamente depenni l’episodio del Cireneo che pur, ha molta importanza

teologica e spirituale nella narrazione dei sinottici. Per Giovanni invece questo episodio

non rientra, anzi disturba, la sua teologia.

Il tentativo delle tenebre, però, non è finito, dopo la proclamazione di Pilato: «ecco

il vostro re», i giudei gridano: «togli, togli, crocifiggi». Tre parole: due volte «togli» ed

una volta «crocifiggi». La prospettiva dei giudei è quella di eliminare mediante la croce

quello proclamato «vostro re». Ma proprio la richiesta della crocifissione paradossalmente,

non solo non toglierà il re dei giudei, ma ne determinerà la definitiva affermazione. Tale

Page 53: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

53

ironia giovannea è sottolineata dalle parole che Giovanni mette in bocca a Pilato: «debbo

crocifiggere il vostro re?». La riposta data segna la massima apostasia: «non abbiamo re,

se non Cesare». Torno ancora all’ironia giovannea che mostra uno scambio: quello che

pretendeva essere l’amico di Cesare perviene alla regalità di Gesù, i giudei dei quali sareb-

be re, invece rifiutano in nome di Cesare e scelgono Cesare.

Un altro tentativo di soppressione delle tenebre è davanti al titolo della croce. Que-

sto titolo, storicamente indiscutibile è riferito da tutti e quattro i vangeli, ciò significa che

tutti e quattro in quel titolo videro proclamata la regalità di Gesù sulla croce. Ma Giovanni

gli conferisce una massima importanza, dedicando ad esso ben cinque versetti: il titolo era

pubblico [molti lo lessero]; era universale [ebraico, latino, greco]. I giudei obiettano “non

lasciare scritto, cancella” [�������)�], ma che Lui si è detto re dei giudei solo. La proposta

dei giudei vorrebbe essere il tentativo di ridurre l’oggettività proposta da Pilato ad una pre-

tesa soggettiva, paradossalmente nella proposta giovannea, Giovanni ci ha visto un senso

più profondo dell’autorivelazione: Pilato non lo ha dette per sua fantasia, ma lo ha detto

perché ha colto il senso dell’autorivelazione, alla quale paradossalmente rimandano i giu-

dei. Sono famose le parole di risposta di Pilato: «ciò che ho scritto, ho scritto», Giovanni le

riferisce in maniera strana con due perfetti [�*������).������)], li avrebbe meglio riferiti

con una aoristo ed un perfetto. Con due perfetti la frase assume una pregnanza particolare

che potremmo parafrasare così: «ciò che ho scritto è stato scritto e rimane per sempre

scritto». In bocca a Pilato la frase potrebbe essere una risposta stizzita, nella penna di Gio-

vanni quella risposta diventa la definitiva [pubblica, universale e definitiva] proclamazione

della regalità di Gesù.

Giovedì 10 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

L’ultimo tentativo di soppressione da parte dei giudei è individuabile nel racconto

della apertura del costato in 19,31-37. Su questo brano probabilmente torneremo, ci limi-

tiamo perciò soltanto a poche osservazioni. C’è una duplice richiesta dei giudei:

1 – spezzare le gambe; 2 – levare via.

Page 54: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

54

L’evangelista crea una strettissima relazione tra spezzare le gambe e togliere via, se

non si spezzano le gambe non si può togliere via. Il contrario non sarebbe vero se non si

può toglier via se le gambe vengono spezzate. I giudei avevano esigenza di deporre presto i

crocifissi dalla croce e siccome la morte in croce non è istantanea allora si applicava il me-

todo della «cruri fractio» che permetteva la morte del condannato nel giro di pochi secon-

di. Perciò per potere deporre era necessario attuare questo metodo, ma se il metodo non si

attua non significa che non si possa deporre perché se uno già è morto non c’è bisogno che

gli vengano spezzate le gambe. L’evangelista nota che Gesù era morto e perciò a lui non

furono spezzate le gambe. Però l’evangelista non dice che fu deposto: Giovanni non narra,

né può narrare la deposizione [come invece fanno i sinottici]. Il fatto che non gli spezzaro-

no le gambe insinua che Gesù dalla croce non fu deposto. I giudei volevano che si spezzas-

sero le gambe per deporre, ma l’evangelista insinua che non gli furono spezzate le gambe e

perciò non fu deposto [è una affermazione spirituale e non storica, a Giovanni interessa il

senso dei fatti e non il resoconto storico]. Dal momento che a Gesù non gli spezzano le

gambe e non viene deposto si applicano a Lui due citazioni della Scrittura, la prima è la

prescrizione riguardante l’agnello pasquale. I giudei volevano spezzare le gambe, così fa-

cendo stavano trasgredendo la legge, la quale proibisce che si spezzino le gambe

all’agnello pasquale: Esodo 12. Dio difende il suo agnello facendolo morire prima e sottra-

endolo a quella azione. In altre parole chiedendo di spezzar le gambe, i giudei compiono

un attentato all’agnello pasquale, oppure negano che Gesù lo sia. Nel fatto poi che non è

tolto via si attua l’altra scrittura: Zaccaria 12,10: «guarderanno a colui che hanno trafitto»,

detto in parole povere i giudei volevano togliere i crocifissi, ma Gesù non si toglie, Egli

rimane come oggetto di contemplazione e di fede (Cfr. 6,39: «questa è la volontà del Pa-

dre che mi ha mandato, che chiunque vede3 il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna»).

La citazione di Zaccaria 12,10 sembra essere il culmine di un processo, dopo non sarà nar-

rata più alcuna ostilità dei giudei contro Gesù, e proprio nella citazione di Zaccaria, salvo

errore, è da vedere la realizzazione di 1,5: «la luce splende tra le tenebre, le tenebre non la

sopraffecero» e rimane oggetto di contemplazione e di fede.

3 Cfr. 19,37: «guarderanno a colui che hanno trafitto».

Page 55: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

55

Dopo questi tre quadri prescindendo dalla introduzione della figura di Giovanni e

prescindendo dalla descrizione sommaria e prolettica dell’ostilità del mondo contro la luce

[«venne tra i suoi ed i suoi non lo conobbero»], passiamo nella prospettiva di riscontrare in

Giovanni la presenza di Isaia 55, possiamo passare al verso 14, dove abbiamo tre espres-

sioni estremamente complesse e che hanno bisogno di essere illuminate un po’ da tutto il

vangelo. Le tre frasi sono:

1 - «/ ���������������� ���������» e la parola carne divenne; 2 - «����������������������» e dimorò in noi; 3 - «��������������������� �������» e abbiamo visto la sua gloria.

Queste tre frasi descrivono una storia della Parola nella storia degli uomini ed infat-

ti la prima frase descrive il divenire della parola, la seconda frase descrive la relazione del-

la Parola agli uomini [in noi] , la terza frase la relazione degli uomini alla Parola [ed ab-

biamo visto].

Non è facile spiegare queste tre frasi, la prima frase dichiara che la parola divenne

carne, ma che vuol dire care? L’interpretazione immediata è l’allusione alla incarnazione,

ma è questo il senso, o almeno, è solo questo? Se infatti prendiamo le concordanze e cer-

chiamo il termine «��� » [carne] in Giovanni è usato diverse volte, ma i tre quarti degli usi

sono compendiati nel capitolo sesto, dove la carne di Gesù è relazionata al pane: «il pane

che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo». Per farla breve, l’espressione: «la pa-

rola divenne carne» sembra contenere la sovrapposizione di due sensi. Non si può negare

il senso dell’incarnazione al quale Giovanni stesso allude nel contesto del capitolo sesto

dove parla del pane. In 6,42 i giudei obiettano a Gesù: «non è costui, Gesù, il figlio di Giu-

seppe da Nazareth e come ora dice: “sono sceso dal cielo?”», ma questa reazione disone-

stamente decurta le parole che Gesù ha detto prima: «Io sono il pane disceso dal cielo», i

giudei invece lo relegano soltanto alla dimensione umana del figlio di Giuseppe.

Page 56: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

56

Nel testo emergono tre aspetti:

1 – scendere dal cielo; 2 – figlio di Giuseppe da Nazareth; 3 – il pane.

C’è così un duplice cammino di Gesù: dal cielo al figlio di Giuseppe, dal figlio di

Giuseppe al pane. I giudei relegando Gesù alla semplice sfera umana negano che sia sceso

dal cielo e che sia pane.

Non interessano ulteriori considerazioni, interessa soltanto giustificare perché nelle

parole: «la parola divenne carne» possiamo vederci la sovrapposizione dei due aspetti: il

cammino dalla preesistenza alla dimensione umana ed il cammino dalla dimensione umana

fino al pane. In questa prospettiva andrebbero lette le frasi seguenti. Le altre due frasi pos-

sono essere lette conseguentemente sia in chiave storica, sia in chiave ecclesiale. In chiave

storica, il divenire carne della parola determina la sua presenza nella storia degli uomini.

L’espressione «dimorò in noi» richiama tre tradizioni: quella della tenda nel deser-

to, quella della sapienza che riceve da Dio il comando di piantare la sua tenda tra gli uomi-

ni [Cfr. Siracide 24,8: «mi ha dato un comando, poni la tua tenda in Giacobbe»], ma ri-

chiama anche la tradizione giudaica della Shekinàh. La Shekinàh nel linguaggio giudaico

indica la stessa presenza di Dio. Restando ancora in chiave storica, la terza espressione,

«abbiamo visto al sua gloria», richiama la croce, ed infatti è nella croce che secondo Gio-

vanni si manifesta la gloria di Gesù. Facendo un piccolo ampliamento a quest’ultima frase,

della gloria di Gesù, si parla soprattutto in due testi fondamentali: il 12,23 dove Gesù di-

chiara: «è giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo», subito continua parlando

del chicco di grano che caduto a terra è morto, solo non è rimasto. Ma prima ha parlato del-

la venuta dei greci: avremmo così all’inverso il seguente ordine:

a – la morte del chicco di grano che non rimane solo; b – è glorificato; c – vengono i greci.

Si richiama parallelamente 12,32 dove c’è un altro verbo esaltare: «quando sarò

innalzato da terra attirerò tutti a me». La gloria del chicco di grano che muore consiste

perciò nella capacità di attirare tutti a sé. Ma in 13,31 leggiamo le parole di Gesù all’uscita

di Giuda: «adesso è stato glorificato il figlio dell’uomo e Dio lo ha glorificato». La gloria

Page 57: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

57

del figlio dell’uomo si attua perciò nella duplice capacità di attirare tutti a sé [che poi im-

plica la vita eterna], in un processo centripeto e nel compiere un giudizio di esclusione

[l’uscita di Giuda]. Ciò richiama ancora 12,31-32: «adesso è il giudizio di questo mondo,

adesso il principe di questo mondo è gettato fuori ed io quando sarò innalzato da terra at-

tirerò tutti a me». Ciò corrisponde anche al duplice potere che il Padre gli ha dato e di cui

parla qui e lì nel capitolo quinto il duplice potere di dar la vita [venuta dei greci] e di com-

piere il giudizio [uscita di Giuda].

Queste espressioni, dicevamo, si possono leggere nella prospettiva ecclesiale, par-

tendo cioè dalla carne, non più come incarnazione, bensì come pane nella chiesa.

In ogni caso restando ad un senso più generale le tre espressioni delineano in som-

missimi capi un cammino storico di Gesù che si muove nella storia degli uomini fino alla

manifestazione della sua gloria. Mentre nei testi precedenti abbiamo individuato un cam-

mino discendente del «������» dalla preesistenza alla carne, ora c’è un cammino orizzonta-

le, dalla dimensione di carne alla manifestazione della gloria. Questa descrizione orizzon-

tale della gloria è molto vaga, molto generica, ed ha bisogno di essere illuminata con non

poche altre prospettive.

Si introduce poi la figura di Giovanni il Battista di cui si dice che grida ed il suo

grido è compendiato in tre frasi:

1 – «�������������������������» colui che viene dopo di me; 2 – «�$�������������������» davanti a me è divenuto; 3 – «�%����������������� » poiché prima di me era.

Le tre frasi vanno lette all’inverso:

1 – colui che era preesistente; 2 – si è manifestato nella storia agli occhi del Battista; 3 – colui che ha fatto esperienza diventa testimone e diventa precursore, cioè passa avanti ad annunziare la venuta di colui che si è manifestato. Giovanni insinua un cammino di ritorno.

Detto in parole povere: colui che si è manifestato comincia un cammino che lo con-

durrà al Padre, ma in questo cammino, anche per mezzo dell’opera del testimone precurso-

re, avviene il raduno dei discepoli insieme ai quali [13,1] dovrà fare il grande passaggio da

questo mondo al Padre.

Page 58: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

58

Dopo avere menzionato il precursore, Giovanni stabilisce un confronto tra Mosè e

Gesù: «la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù

Cristo». Giovanni continua con un testo un po’ complicatello (1,18): “Dio nessuno mai lo

ha visto: l’unigenito Figlio che è «��������������������������������������� �������»”. Gio-

vanni dichiara che nessuno vide mai Dio ed a questa affermazione contrappone l’opera del

Figlio. Potremmo dire: caro Giovanni ti sbagli, perché Isaia nel capitolo 6 dichiara di avere

visto Dio. Giovanni potrebbe essere contestato perché Isaia 6 dichiara nella sua vocazione

di avere visto il Signore su un trono alto ed elevato ed ha paura di restare ancora in vita.

Ma Isaia è un profeta inferiore a Mosè, mediatore della legge ed in Esodo 32, Mosè chiede

a Dio: «mostrami il Tuo volto», Dio gli risponde che nessuno può vedere la Sua gloria e re-

stare in vita. Ora se il mediatore della legge non vide Dio, nessuno, di conseguenza, può

averlo mai visto. In contrapposizione a Mosè l’evangelista presenta l’opera del Figlio. il

Figlio ha un orientamento «���������������»: verso il seno del Padre. Quindi c’è un cam-

mino, nello sfondo di questo cammino si colloca la sua azione descritta con il verbo

«�� �������», questo verbo è un aoristo dal verbo «�� �������» che le versioni italiane tra-

ducono: «lo ha rivelato», ma è questo il senso? Questo verso è alquanto raro nel NT, in tut-

to cinque volte di cui quattro nell’opera lucana. Giovanni lo usa una sola volta, in Luca si-

gnifica rivelare, ma attenzione perchè rivelare non è il primo significato, perchè il primo

significato è «��������» [condurre, guidare], il senso di rivelare si ottiene di conseguenza,

io rivelo in quanto tiro fuori «��������» una cosa dal nascondimento. Ma in Giovanni non

possiamo non stabilire una relazione tra la particella «�� » e la particella «����» verso il Pa-

dre. E perciò il senso è questo: Gesù ha operato un esodo guidando ed operando verso il

Padre. Dio nessuno mai lo ha visto, ma il Figlio ha fatto qualcosa di più. Non solo Lui lo

ha visto, ma addirittura ci ha condotti a Lui «��������» dopo averci fatto fare un esodo «�� ».

Ciò corrisponde a tutto lo schema dell’Esodo che orienta verso la terra promessa; ciò con-

corda con 14,6 [Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre, se non per mezzo

di me], ciò concorda con tutta la prospettiva del capitolo 10: il pastore, dove il punto di

partenza è l’esodo dal recinto e l’orientamento è 10,27: «Io do ad essi la vita eterna» e

10,28: «le mie pecore sono in mano al Padre».

Page 59: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

59

Sabato 12 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Tutto il vangelo potrebbe essere ricondotto a questa linea. I primi dodici capitoli si

collocano nella prospettiva di questo cammino discendente: basti ricordare l’inclusione no-

tata all’inizio tra 1,11: «venne tra i suoi e prima ancora era, la luce vera che illuminava

ogni uomo veniente» e poi 12,46 dove Gesù dichiara: «Io come luce sono venuto nel mon-

do». La seconda parte, invece, si colloca in prospettiva ascendente, cioè nella prospettiva

non più della venuta nel mondo, quanto piuttosto del ritorno al Padre. Basti pensare a 13,1

dove l’evangelista nota di Gesù che sapeva che era giunta la sua ora di passare da questo

mondo al Padre, e basti pensare alla conclusione di questa seconda parte: nel capitolo 17,

la famosa preghiera dell’ora che si colloca tutta nella prospettiva del grande ritorno di Gesù

al Padre: «ora io vengo a Te […]».

Considerate le due linee bisogna adesso considerare l’opera intermedia. Secondo

Isaia 55 nell’immagine della pioggia tra la sua discesa dal cielo e il suo ritorno c’è di mez-

zo una quadruplice opera:

1 – impregnare la terra; 2 – renderla feconda; 3 – farla fruttificare; 4 – perché dia […].

Ciò che deve dare sono due cose: seme a chi semina e pane a chi mangia, oppure

secondo i LXX, pane per cibo. Della parola invece è fare ciò che Dio ha voluto e portare a

compimento ciò per cui è stata mandata. Il quarto vangelo sulla scia di Isaia sottolinea

l’opera che Gesù deve compiere dopodichè può tornare al Padre. In questa prospettiva ci-

tiamo diversi testi. Il primo è 4,34, messo in relazione con 17,1-3. In 4,34 ai discepoli che

gli dicevano [dopo l’incontro con la Samaritana]: «Rabbì, mangia», Gesù risponde: «Il mio

cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la Sua opera».

Page 60: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

60

Possiamo stabilire un confronto tra questo testo ed Isaia 55.

GIOVANNI 4,34 ISAIA 5,11 Il mio cibo fare [�%���(������������] la volontà [������] � � [�%����������] di Colui che mi ha mandato � e portare a compimento [���������] � la sua opera

Nel testo di Giovanni 4,34, la formulazione letteraria rivela l’influsso di qualche al-

tro testo dal quale però al momento prescindiamo perché lo vedremo in un altro testo. Sol-

tanto gli elementi del fare la volontà e di portare a compimento la sua opera, sono elementi

che rimandano ad Isaia 55. Anche l’espressione «Colui che mi ha mandato» di 4,34 è ri-

presa da Isaia 55. Le ultime due parole del testo ebraico «��G�>/2���2����D��» [ascer scelactiu -

per cui l’ho mandata].

Perciò, secondo questo testo, quello che Gesù deve fare, prima di tornare al Padre è

compiere la Sua volontà e portare a compimento la Sua opera. Il testo però è preciso e vago

insieme, rimangono i problemi su come Gesù compirà la volontà di Colui che lo ha manda-

to? Quando la compirà, e come porterà a compimento la Sua volontà. Soltanto che notiamo

in 4,34, la parola cibo [&�����]. Ciò significa che ciò di cui si nutre e ciò che costituisce il

suo sostegno è compiere la volontà del Padre.

17,1-5 è l’inizio della lunga preghiera cosiddetta dell’ora. Questa preghiera nel ca-

pitolo 17 ha una sua precisa collocazione nel contesto dei capitoli 13-17. Ma adesso a noi

interessano soltanto pochi versi.

Page 61: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

61

Proponiamo anche in italiano la traduzione schematicamente strutturata:

Padre è giunta l’ora 1 – glorifica il Tuo Figlio 2 – perché il Tuo Figlio glorifichi Te

3 – come gli hai dato potere su ogni carne perchè dia ad essi la vita eter-na: questa è la vita eterna, che conoscano Te, unico vero Dio e Colui che tu hai mandato, Gesù Cristo 4 – Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che Tu mi hai dato da compiere

5 – ed ora glorifica me o Padre presso di Te con la gloria che avevo presso di Te prima che il mondo fosse.

Anche in quest’ultima frase emerge la duplice linea discendente ed ascendente in

uno schema circolare che và dalla gloria che aveva prima che il mondo fosse, alla gloria

che chiede al Padre di dargli.

Tornando al testo di 17,1-5, emerge uno schema concentrico, dove al centro è men-

zionata la vita eterna. Prescindendo dalla vita eterna possiamo notare che il primo e quinto

elemento sono la richiesta al Padre perché glorifichi il Figlio, queste due richieste, però, si

proiettano al futuro e sono sulla stessa linea futura, anche se, nell’ultimo elemento, Gesù

risale alla sua preesistenza. Il secondo ed il quarto elemento riguardano la gloria che Gesù

dà al Padre, ma in duplice prospettiva: gloria futura [perché il Tuo Figlio glorifichi Te] e

gloria passata [Io ti ho glorificato sulla terra].

Lasciando stare altre considerazioni strutturali, possiamo ricostruire una storia di

relazione tra Padre e Figlio dal punto di vista della gloria, nel seguente modo:

1 – Gesù aveva una gloria eterna prima che il mondo fosse; 2 – ha glorificato il Padre sulla terra; 3 – chiede al Padre di glorificarLo; 4 – perché Lui a sua volta possa ancora glorificarLo.

A noi, al momento, non interessa questa storia, la quale peraltro dovrebbe essere

confrontata ed integrata col l’altra storia di gloria il 13,31-33 dopo l’uscita di Giuda. Fer-

miamo la nostra attenzione soltanto sul quarto elemento: «Io ti ho glorificato sulla terra

avendo compiuto l’opera che mi hai dato da compiere». Il fatto di avere compiuto l’opera

che il Padre gli ha dato si è tramutato il glorificazione del Padre stesso. Gesù perciò dichia-

ra di avere compiuto l’opera che il Padre gli ha dato. Rimane il problema, quale sia

quest’opera e che si potrà dedurre da tutto il capitolo 17 che detta in soldoni è l’unità dei

Page 62: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

62

discepoli [che tutti siano una cosa sola] sul fondamento dell’Agape. Soltanto osserviamo

«una cosa sola»: questa espressione, avendo compiuto l’opera, deve essere letta non prima

della croce, bensì dopo. Il quarto vangelo infatti si presta spesso a lettura inversa ed antici-

pando quello che avremmo detto più avanti, al quarto vangelo si può assegnare una struttu-

ra crocecentripeta, cioè il centro è la croce con tre grandi commenti concentrici. Il primo

commento è dato dalla narrazione della passione, il secondo commento è dato invece dai

capitoli 13-17, il terzo commento è dato dai capitoli 1-12. Non entriamo sul problema, che

tipo di commento ogni parte propone. Diciamo soltanto che dietro ogni parte si nasconde il

mistero della croce, di conseguenza le parole del capitolo 17: «Io ti ho glorificato sulla ter-

ra avendo compiuto l’opera che mi hai dato da compiere», si collocano non prima della

croce, ma dopo. Tornando ancora all’opera che Gesù deve compiere prima di tornare al

Padre, possiamo fermare l’attenzione su una espressione ripetuta

cinque volte nel capitolo sesto. Nel verso 33, Gesù dichiara: «il

pane di Dio è colui che scende dal cielo e dà la vita al

mondo». Nel verso 50 Gesù dichiara: «questo è il pane che

scende dal cielo perché chi ne mangia non muoia». Nel verso

51, Gesù ancora continua: «Io sono il pane vivo disceso dal

cielo». Ancora nel verso 58, Gesù continua: «questo è il pane che è sceso dal cielo», in

questa espressione, Gesù si identifica, con il pane disceso dal cielo. In questa identificazio-

ne c’è anche la ripresa della tradizione della manna nel salmo 77, nel salmo 104, in Sa-

pienza 16,20. In questi testi si parla della manna non però come pane disceso dal cielo, ma

come pane di cielo, di indole celeste. Questa frase dipende ancora da Isaia 55, possiamo

infatti stabilire un confronto tra i testi del capitolo 6 ed Isaia 55,10.

GIOVANNI 6 ISAIA 55,10 1 – Io sono il pane � 1 – come la pioggia e la neve 2 – che scende dal cielo � 2 – scendono giù dal cielo…

pane da mangiare

Dicendo: «pane che scende dal cielo», Gesù riprende ed applica a sé in maniera in-

versa, il primo e l’ultimo elemento [$���]. In questo modo, l’espressione «Io sono il pane

vivo che scende dal cielo», deve essere letta in chiave storica, la pioggia di cui parla Isaia

ha una storia: parte dal cielo ed arriva all’ultimo effetto: dare pane, la pioggia così diventa

pane. Gesù così rivela di avere una storia che parte dal cielo e culmina nell’essere pane, pe-

Page 63: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

63

rò la storia di Gesù và oltre quella delineata per la pioggia, perché l’ultimo effetto della

pioggia è dare pane, per Gesù l’ultimo termine non è diventare pane, bensì, divenuto pane,

dare la vita al mondo, e dando la vita al mondo, come dice Giovanni 17,1-5, è appunto glo-

rificare il Padre. Ma è chiaro che dal cielo, a diventare pane ci sono molti passaggi inter-

medi, che vanno ricostruiti come anche ci sono passaggi intermedi che vanno pure rico-

struiti dal diventare pane a dare la vita eterna, come pure ci sono dei passaggi intermedi

che vanno ricostruiti dal dare la vita eterna a glorificare il Padre. Purtroppo non possiamo

ricostruire tutto, ci limitiamo soltanto alla prima ricostruzione: dallo scendere dal cielo a

diventare pane. È in tale ricostruzione ci basiamo ancora sul capitolo sesto dove possiamo

individuare una sezione dal verso 33 al verso 50, sarebbe stata utile tutta la ricostruzione

strutturale di questo brano, ma proponiamo una struttura più breve.

Notiamo intanto una relazione tra il verso 33 ed il verso 41:

6,33: «il pane di Dio è Colui che scende dal cielo e dà la vita al mondo»; 6,41: «mormoravano i giudei, poiché Gesù disse: “Io sono il pane disceso dal cielo”», ma

il verso continua in 42: «non è costui il figlio di Giuseppe? […] come può dire: “sono sceso dal cielo”?». I giudei negano l’origine dal cielo relegando tutto alla dimensione terrena: «non cono-sciamo suo padre e sua mandre?». È chiaro che negando l’origine dal cielo, negano che possa di-ventare pane ed infatti nelle parole dei giudei il pane non c’è. Ma l’evangelista insinua una grossa conseguenza: «il pane che scende dal cielo dà la vita al mondo», di conseguenza, relegando Gesù nella sfera terrena, i giudei non solo negano che Gesù diventi pane, ma anche essi stessi, con la loro incredulità si precludono la strada verso la vita eterna.

Tra i versi 33 e 41 troviamo i versi 36-40, dove Gesù dichiara: «tutto ciò che mi dà

il Padre a me viene e[…]

- […] chi viene a Me non lo caccerò fuori - poiché sono sceso dal cielo

- non per fare la mia volontà - ma la volontà di Colui che mi ha mandato - e questa è la volontà di Colui che mi ha mandato, - che tutto ciò che ha dato a me non perda, ma resusciti nell’ultimo giorno - questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in Lui

abbia vita eterna ed Io lo resusciterò nell’ultimo giorno».

Anche in questo testo, pur in maniera sintetica è descritta una storia che parte ana-

logamente al pane dal cielo e culmina nel dono della vita eterna.

Fermandoci su questo testo notiamo subito una esplicita finalizzazione della discesa

dal cielo al compimento della volontà del Padre. In questo testo si nascondono due testi ve-

terotestamentari ed una tradizione neotestamentaria. I due testi veterotestamentari sono an-

Page 64: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

64

zitutto Isaia 55,11 [�%����������], dove si dichiara che la parola non torna a Dio senza aver

fatto ciò che Dio ha voluto. Perciò anche nel testo di Isaia, l’uscita della parola da Dio, dal-

la Sua bocca, è finalizzata al compimento della Sua volontà. Però non basta Isaia 55 perché

nel testo di Giovanni leggiamo l’espressione [�����������������] «fare la volontà», questa

espressione non è di Isaia 55, ma del salmo 39, il quale nel verso 7 suona: «sacrificio ed

offerte non gradisci, le orecchie mi hai aperto, non hai chiesto olocausti e vittime per la

colpa, allora ho detto: “Ecco, vengo a fare la Tua volontà”». Isaia 55 e Salmo 39 si fon-

dono. Salmo 39 precisa Isaia 55, Isaia 55 offre lo sfondo. Il salmista ha detto «Ecco Io

vengo», ma il salmo non specifica qual è il punto di partenza: lo offre Isaia 55: il punto di

partenza è il cielo.

Il salmo 39,7, insieme al salmo 15: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice»,

soggiacciono ai racconti sinottici del Getsemani, la preghiera di Gesù. Giovanni non narra

la preghiera di Gesù, ma certo non la ignora; l’antitesi di Giovanni: «sono sceso dal cielo

non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato», riprende la tradi-

zione evangelica [Luca]: «Padre non la mia, ma la Tua volontà sia fatta». Questo testo ac-

corcia le distanze: mentre il verso 33 o 41 finalizzavano la discesa dal cielo al pane,

quest’ultimo testo finalizza la discesa dal cielo al compimento della volontà di Dio in un

cammino che parte dal Getsemani.

Gesù stesso però si premura di indicare la volontà di Dio in due espressioni: negati-

va e positiva, che è utile scrivere in parallelo:

1. questa è la volontà 1. questa è la volontà del Padre

2. che non perda 2. che chiunque vede il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna

3. ma resusciti nell’ultimo giorno 3. ma resusciti

Giovedì 17 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Il verso 40 esprime positivamente quello che il verso 39 ha detto negativamente: il

problema non è soltanto “non perdere”, ma dare la vita eterna. La vita eterna è data a

chiunque vede il Figlio e crede in Lui. Perciò si indicano due volontà di Dio: la prima ri-

guarda il Figlio: deve dare la vita eterna; la seconda riguarda gli uomini: debbono per otte-

nere la vita eterna «vedere e credere». Ma dietro la volontà di Dio riferita agli uomini si

nasconde un’altra volontà di Dio riferita a Gesù: perchè l’uomo possa vedere e credere è

Page 65: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

65

indispensabile che il Figlio diventi oggetto di visione. Quando sarà oggetto di visione? Nel

contesto l’evangelista non lo dice ma lo dirà bene altrove. L’espressione «abbia la vita e-

terna» ci rimanda infatti ad altri due testi, precisamente 3,14 e 3,16: entrambi i testi si col-

locano nel contesto del lungo dialogo tra Gesù e Nicodemo. In 3,14 Gesù dichiara: «come

Mosè innalzò il serpente nel deserto così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo perché

chiunque crede in Lui abbia vita eterna».

Nel verso 16 Gesù risale ancora più a monte e dice: «così infatti amò Dio il mondo,

da donare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eter-

na». La seconda parte di questi testi è identica, o quasi. Nel verso 16 c’è soltanto

l’aggiunta «non perisca». Il parallelismo tra i due testi permette di metterli insieme e di ri-

costruire e di costruire una prospettiva unica e completa, nei seguenti punti:

1 – nello fondo c’è l’amore di Dio per il mondo; 2 – tale amore si concretizza nel dono dell’Unigenito; 3 – l’Unigenito deve essere innalzato e la necessità dell’esaltazione

è richiesta dalla trasmissione della vita eterna oltre che dalle Scritture [Cfr. Numeri 21, l’episodio dei serpenti velenosi];

4 – il Figlio dona la vita eterna, ma a condizione che si creda in Lui.

Nemmeno questi ultimi due testi sono completi, ma i testi di 6,39-40 e di 3,14-16 si

richiamano e si completano perché tutti e quattro convergono a finalizzare sia l’amore di

Dio, sia l’esaltazione, sia la volontà di Dio che Gesù deve compiere verso il dono della vita

eterna. Possiamo allora capire quanto il Figlio deve diventare oggetto di contemplazione:

gli uomini per avere la vita eterna debbono guardare a Lui e credere in Lui. Ma perché gli

uomini possano guardare e credere è necessario che Egli sia esaltato; tanto più, che come

dicono i testi di 8,24.28, dall’esaltazione sgorga una manifestazione alla quale gli uomini

sono chiamati a rispondere mediante la fede. In questa prospettiva non è casuale il modo

come Giovanni conclude la sua narrazione della passione. Conclude citando Zaccaria

12,10: «guarderanno a Colui che hanno trafitto». Quel crocifisso che i giudei volevano to-

gliere paradossalmente non è stato tolto, ma rimane oggetto di contemplazione e di fede.

Page 66: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

66

I versi 41-42 presentano la reazione dei giudei: narra l’evangelista che i giudei

mormoravano perché disse «Io sono il pane che è sceso dal cielo», ma rileggendo global-

mente questi versi avremmo i seguenti punti:

1 – «Io sono il pane vivo che è sceso [�����&��]»; 2 – «non è costui il Figlio di Giuseppe?»; 3 – «come può dire che: sono sceso dal cielo?».

Nel terzo punto i giudei contestano la causa: il fatto che è disceso dal cielo e di

conseguenza è escluso anche l’effetto, il fatto cioè che Lui sia il pan, e difatti nella loro re-

plica [3], il pane non è menzionato. I giudei contestano perciò il fatto che “è sceso dal cie-

lo”, qui però dobbiamo distinguere tra quello che dicono i giudei e quello che tacitamente

insinua l’evangelista. I giudei contrappongono l’origine celeste e l’origine terrena, conte-

stano l’origine celeste in nome della sua origine terrena e fanno delle due cose delle realtà

incompatibili: in questo modo essi relegano Gesù di Nazareth alla semplice dimensione

terrena; per l’evangelista invece non è così: origine celeste ed origine terrena non stanno in

contrapposizione come vogliono i giudei, bensì in continuità. Il pensiero dell’evangelista si

ricostruisce leggendo il testo all’inverso:

1 – è sceso dal cielo; 2 – è diventato il figlio di Giuseppe; 3 – è divenuto pane.

Ancora è una storia in tre tappe che và dal cielo al pane passando attraverso un pun-

to intermedio che è l’essere divenuto il figlio di Giuseppe. Torneremo su questo aspetto,

per il momento notiamo soltanto l’incredulità dei giudei: i giudei negano che Gesù sia sce-

so dal cielo, di conseguenza negano che sia divenuto pane, ma siccome il pane è fonte di

vita eterna, automaticamente si precludono il cammino verso la vita eterna. Si capisce il

modo come l’evangelista indica la discesa dal cielo [�����&��]: «��&��» è un participio

aoristo dal verbo «��&���» che indica purtroppo un fatto già chiuso: per i giudei la di-

scesa dal cielo è un fatto passato, chiuso, avendolo essi rifiutato relegando nell’incredulità

Gesù di Nazareth, nella semplice dimensione umana.

Page 67: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

67

Per completare il nostro discorso consideriamo gli ultimi tre versi, il verso cioè 50,

il verso 51 ed il verso 58:

verso 50: «questo è il pane disceso dal cielo che se qualcuno ne mangia mai morirà» [effetto negativo]; verso 51: «Io sono il pane vivo che è sceso dal cielo: se qualcuno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che Io do è la mia carne per la vita del mondo»; verso 58: «questo è il pane che è sceso dal cielo, non come mangiarono i vostri padri e morirono, chi mangia di questo pane vivrà in eterno».

La menzione del fatto che i padri morirono richiama il verso 49 dove Gesù dichia-

ra:

«i vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono», emerge un progresso:

1 – verso 49: «i padri mangiarono e morirono»; 2 – verso 50: «chi mangia di questo pane non muore»; 3 – verso 51: «chi mangia di questo pane vivrà in eterno»; 4 – verso 58: «non come, i padri mangiarono e morirono».

Questi ultimi tre versi hanno la loro complessità, ma ci accontentiamo di una lettura

più generica. Emerge un progresso ed una polemica, il progresso è:

1 – morirono; 2 – non muore; 3 – vive in eterno.

Il pane che Gesù dà conduce alla vita eterna. La polemica è con i giudei, i quali in

6,28 avevano chiesto a Gesù: «cosa dobbiamo fare per operare “le opere” di Dio?». Gesù

risponde facendo un passaggio dalle “opere” [al plurale], alla “opera” [al singolare]: «que-

sta è l’opera di Dio», cioè Gesù dichiara che quello che Dio vuole è una cosa sola: «che

crediate in Colui che Egli ha mandato», Gesù chiede quella fede che i giudei non hanno. I

giudei chiedono a Gesù un segno citando l’episodio della manna: «i nostri padri mangia-

rono la manna nel deserto». Gesù mostra che quello non era il vero pane perché quel pane

non eluse la morte mentre il pane che Lui dà conduce alla vita eterna. Restare alla manna

significa restare nella morte [ecco la polemica di Gesù].

Page 68: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

68

Riepiloghiamo tutto che ci permetta di cogliere quale sia quest’opera che la parola,

secondo Isaia, deve compiere, che Isaia non indica, ma che Giovanni stabilisce.

Individuiamo i seguenti quadri:

1 – verso 31; 2 – versi 38-42; 3 – versi 49-58.

verso 33: «il pane di Dio è Colui che scende dal cielo e dà la vita al mondo»; [versi 38-42]; verso 49: «non come mangiarono i vostri padri e morirono»; verso 50: «chi mangia di questo pane non muore»; verso 51: «chi mangia di questo pane vive in eterno»; verso 58: «non come mangiarono i padri e morirono, chi mangia di questo pane vivrà in eterno».

Il verso 33 e il blocco di 49-58 coincidono: in maniera più schematica il verso 33,

in maniera più sviluppata, i versi 49-58 coincidono nella finalizzazione del pane alla vita

eterna. L’opera perciò di Gesù è che dia la vita eterna: per questo motivo deve diventare

pane.

C’è un cammino dal cielo al pane, questo cammino lo indicava Isaia 55,10 nella

metafora della pioggia. La pioggia scende dal cielo e il suo ultimo effetto è diventare pane.

Isaia 55,11 parlava della parola che deve compiere la volontà di Dio. Giovanni riferisce a

Gesù sia la prospettiva della pioggia che quella della parola: Egli diventa pane e compie la

volontà di Dio di dare la vita eterna. Riassumendo le due cose, slegate in Isaia,

l’evangelista sottolinea la prospettiva che per compiere la volontà di Dio, Gesù deve diven-

tare pane. Emerge la domanda: come Gesù arriva ad essere pane? A questa domanda ri-

spondono i versi 38-42.

verso 38 – «sono sceso dal cielo» [��&��&��������������������]; «non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato»;

«questa è la volontà di Colui che mi ha mandato, che non perda nessuno di quanti mi ha dato, ma resusciti nell’ultimo giorno»;

verso 40 – «questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna»;

verso 41 – «mormoravano i giudei perché disse: “Io sono il pane che è sceso dal cielo”».

Page 69: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

69

IL FIGLIO DI GIUSEPPE

«come può dire che “dal cielo sono sceso?”» [����������������].

Notiamo anzitutto una inclusione letteraria tra il verso 38 e il verso 42 determinata

dalla menzione del cielo e del verbo al perfetto «��&��&��». Al centro emerge il seguente

cammino:

1 – Getsemani; 2 – l’esaltazione; 3 – il Figlio di Giuseppe.

Il primo ed il terzo elemento presentano due tipi di paternità divina ed umana. Al

centro c’è la menzione dell’esaltazione implicita. Possiamo allora ricostruire il cammino di

Gesù dal cielo al pane nel seguente modo:

1 – [3,16 – l’amore di Dio per il mondo]; 2 – «non la mia volontà ma di Colui che mi ha mandato» l’invio da parte del Padre; 3 – La discesa dal cielo; 4 – il figlio di Giuseppe [la vita terrena]; 5 – Il getsemani [che Giovanni non narra ma non ignora]; 6 – L’esaltazione [chiunque vede il Figlio e crede in Lui]; 7 – diventa pane; 8 – divenuto pane è fonte di vita eterna.

In questo schema non è chiaro il passaggio dalla esaltazione al pane, “forse” pos-

siamo riempire questo passaggio alla luce di 12,24: «se il chicco di grano caduto a terra

non muore rimane solo, ma se muore porta molto frutto». Abbiamo detto forse perché il

linguaggio è diverso, tuttavia possiamo proporre un confronto ancora con Isaia 55,10:

GIOVANNI 12,24 ISAIA 55,10 Se il chicco di grano caduto a terra non muore Seme al seminatore […] porta molto frutto Pane da mangiare

Page 70: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

70

Alla luce di Isaia 55 possiamo scorgere una idea sottile, che Gesù è morto come il

chicco di gran: il chicco di grano produce la spiga, la spiga produce la farina e questa di-

venta pane.

Ma forse la prospettiva giovannea potrebbe essere un’altra: pane ed esaltazione

coincidono [pensate al memoriale liturgico], l’esaltazione di cui parla l’evangelista non sa-

rebbe soltanto quella avvenuta una volta sola storicamente sul Calvario, che dopo tre ore

finì, ma l’esaltazione a cui pensa l’evangelista è quella che rimane perennemente nel pane

[ecco l’aspetto di memoriale].

Lasciando stare questo problema possiamo concludere che l’evangelista riprende lo

schema di Isaia, ma lo completa avendo presente la tradizione evangelica che pur tuttavia

non narra quella della cena. Secondo l’evangelista quel opera che in Isaia la parola doveva

compiere, ma in quel testo restava vaga, è il pane, ma non fine a sé stesso, ma pane fonte di

vita eterna. L’opera di Gesù perciò è quella di dare la vita eterna.

L’OPERA DELLA PAROLA DA 13,1 ALLA NARRAZIONE DELLA PASSIONE

Partiamo da 13,1, dove leg-

giamo: «prima della festa di pa-

squa, Gesù sapendo che era giunta

l’ora di passare da questo mondo al

Padre, avendo amato i suoi che nel

mondo a compimento li amò». In

questo testo la prospettiva, come

abbiamo già detto alla luce anche di

12,1, siamo nell’imminenza della

pasqua, ma qual è questa Pasqua?

Giovanni in questo testo descrive la

vera Pasqua. Si può notare come

tutta la narrazione della passione è

collocata nella prospettiva della pa-

rasceve.

Page 71: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

71

Sabato 19 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

In questa seconda parte l’opera di Gesù è vista come un’opera di amore nella pro-

spettiva del grande passaggio pasquale verso il Padre. Che tutta la sezione da 13,1 a 17,26

si collochi nella prospettiva dell’agape, emerge anche da uno schema strutturale che pos-

siamo cogliere in questa sezione:

1 – (13,1): «prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passa-re da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che nel mondo, a compimento li amò [���������]»; a – (13,34): «vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, co-

me io amai [�������] voi»; b – (14,15-23): «se mi amate osserverete i miei comandamenti»; 2 – (15,9-10) «come il Padre amò [���������] così anch’io voi amai [�������], rimanente nel mio amore se osserverete i comandamenti del Padre mio rimarrete nel mio amore, co-me io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel Suo amore»; a – (15,13): «questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come

io voi amai»; b – (16,27): «il Padre stesso vi accoglie, perché voi me avete accolto

ed avete creduto che da Dio sono uscito»; 3 – (17,23-26): «[23] li hai amati, come hai amato me […], mi hai amato prima della fon-dazione del mondo [… 26], perché l’amore con cui hai amato me sia in essi ed io in essi».

Lo schema rivela come tutta questa sezione da 13 a 17 è percorsa dalla prospettiva

dell’agape. In questa parte sono concentrati i quattro quinti della terminologia dell’agape.

Nei capitoli 1-12 l’agape non è assente, però è presentata in maniera più rara e con diverse

angolature. importantissimo però è il primo testo dell’agape che è chiave di comprensione

di tutto: «così Dio amò il mondo da donare il Suo Figlio unigenito». Per potere compren-

dere la prospettiva dell’agape è importante qualche osservazione sulla terminologia. Nella

grecità classica l’amore è espresso con tre verbi: «�������», «����», quest’ultimo verbo si

riferisce all’amore sensuale, donde l’erotismo. Nel linguaggio classico è quasi del tutto as-

sente la terminologia che invece sarà centrale nel greco biblico, e cioè «�����». In ebrai-

co «amare» corrisponde al verbo «�����», questo verbo è usato nella bibbia ebraica per tut-

ti gli amori, da quello più alto verso Dio [o da Dio], a quello più materiale: l’atto sessuale

[la amò ed essa concepì]. La bibbia greca introduce una prospettiva che la grecità classica

non prevedeva e che cioè nella dinamica dell’amore ci entrasse anche la divinità.

Il verbo «�����», rarissimo nel greco classico, appare un po’ più, benché timida-

mente, nel greco popolare, attestato dai vari papiri, e forse l’uso popolare soppianta, a poco

Page 72: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

72

a poco, il linguaggio classico. Il verbo «�����» viene assunto in maniera preponderante

dai traduttori greci, nella bibbia greca si legge circa 250 volte contro i rarissimi usi degli

altri verbi di amare usati dal greco classico. Praticamente scompaiono il vergo «����» ed

anche il verbo «�������»; «)�����» non scompare, ma anch’esso è usato poche volte [una

settantina di volte nei LXX].

Perché i traduttori greci scelsero «)�����» verbo inusitato nella grecità classica? for-

se perché era un verbo vergine, cioè non condizionato da prospettive filosofiche o affettive

della grecità classica. In altre parole questo verbo, ancora non condizionato, poteva conte-

nere l’ampiezza di significati che aveva il verbo ebraico: dall’amore per Dio all’amore

sessuale. Nei LXX però non scompare «)�����» e non scompare nemmeno nel Nuovo Te-

stamento, magari talora assume il senso tecnico di baciare [Giuda], però questo verbo, pur

in numero minore di usi compare in Giovanni. Il testo più eclatante è Giovanni 21,15-17:

«Simone di Giovanni, mi ami? [�����] più di costoro? – Si Signore, tu sai che ti amo [)�����] Simone di Giovanni, mi ami [�����] – Si Signore, tu sai che ti amo [)�����] Simone di Giovanni, mi ami [)�����] – si rattristò Pietro perché disse la terza volta “mi ami” [)�����], e disse: “Tu sai che io ti amo” [)�����]».

Come possiamo vedere, in un contesto strettissimo, Giovanni usa entrambi i verbi

[50% e 50%], 50% dicono che i due verbi sono sinonimi e Giovanni cambia solo per varia-

re lo stile, 50% [padre Attilio compreso] dice esattamente il contrario che cioè non sono

sinonimi. Il fatto che Giovanni vari lo stile, non è vero [perché abbiamo molti passi dove

ripete frequentemente], nel capitolo 14, in 12 versetti, 10 volte usa «�����». Inoltre usa i

due verbi in maniera sproporzionata.

Quelli che sostengono che i due verbi non sono sinonimi dicono che «�����» in-

dichi l’amore più alto e «)�����» amore più basso, non è vero perché Giovanni in 5,20 lo

usa per i rapporti del Padre verso il Figlio. Le nostre conclusioni sarebbero le seguenti: i

due verbi non esprimono intensità o superiorità di amore, ma esprimono diversa dinamica

di amare. Nell’amore abbiamo due dinamiche: anzitutto il soggetto si apre verso l’oggetto

e compie un cammino verso l’oggetto che ama, concretizzando questo cammino nel dono

di qualcosa o anche soprattutto nel dono di sé stessi.

Page 73: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

73

L’altra dinamica è non più il soggetto che và verso l’oggetto, bensì il soggetto che

porta nella sua intimità un oggetto. Queste due linee è sembrato individuarle negli usi bi-

blici di «�����» [amore di dono] e di «)�����» [amore di coinvolgimento]. In questo sen-

so l’agape è il cammino del soggetto verso il suo oggetto.

Gesù a Pietro pone tre domande distinte, lette all’inverso:

1 – se lo accoglie nella sua intimità, Pietro è invitato ad optare tra la sua vita e Gesù. C’è in tutto l’accoglienza di Pietro; 2 – avendo Pietro accolto Gesù è invitato a fare un cammino che passa attraverso la dimensione del discepolo e culmina nella dimensione del pastore.

Il telaio di fondo è costituito dai tre testi 13,1; 15,9-10; e 17,23-26:

1 – in 13,1 soggetto è Gesù, oggetto sono i discepoli; 2 – in 15,9 Gesù è soggetto di amore verso i discepoli ma in conseguenza del fatto che il Padre lo ha amato. Gesù è insieme oggetto e soggetto di amore; 3 – in 17,23 l’unico soggetto è il Padre.

Emerge una scala dell’agape per cui l’agape giovannea non è un sentimento, ma è

una storia, e tutto il problema di Gesù sarà quello di coinvolgere i discepoli in questa storia

che parte dal Padre, e torna al Padre. La scala si può scendere o salire, è a salire da 13,1 a

17,23: Gesù ama i discepoli, si passa attraverso Gesù, all’amore del Padre [15,9], si per-

viene all’amore del Padre.

La scala si può scendere da 17,23 a 13,1 nelle seguenti tappe:

1 – il Padre ama; 2 – l’amore del Padre arriva a Gesù, da Gesù riparte verso i discepoli; 3 – l’agape raggiunge i discepoli.

Questa storia appare completa in 15,9-10, dove possiamo cogliere le due linee: di-

scendente ed ascendente. Nella linea discendente abbiamo il seguente ordine: Padre arriva

a Gesù, Gesù arriva ai discepoli. Cioè l’agape parte dal Padre ed arriva a Gesù, riparte da

Gesù ed arriva ai discepoli. Emergono due domande: come l’agape dal Padre arriva a Ge-

sù? A questa non rispondiamo. La seconda domanda è: come l’amore di Gesù arriva ai di-

scepoli? A questa seconda domanda rispondono la serie di azioni simboliche di 13,2-5: si

Page 74: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

74

alza da tavola, pone le vesti, versa l’acqua, lava i piedi, asciuga, che non è tanto servizio

umile, ma è piuttosto l’evento dell’agape che parte da Gesù ed arriva ai discepoli, lava i

piedi, e lavando i piedi ai discepoli, Gesù li abilita a camminare nella via dell’agape.

Comincia poi il cammino a risalire, osservate la frase: «rimanete nel mio amore»,

ma rimanere esige due cose prima camminare, poi arrivare, e rimanere. I discepoli sono

impegnati a compiere un cammino che li porta a Gesù. Questo cammino è l’amore vicen-

devole che è il comandamento di Gesù, attraverso l’amore vicendevole i discepoli arrive-

ranno a Gesù. Ma Gesù ha compiuto un cammino che lo ha portato al Padre, di conseguen-

za giunti a Gesù automaticamente i discepoli arrivano al Padre, e questa è tutta la storia

circolare dell’agape che in soldoni può essere fissata nei seguenti punti:

1 – parte dal Padre ed arriva a Gesù; 2 – ri-parte da Gesù ed arriva ai discepoli; 3 – i discepoli, abilitati ad un cammino dall’amore di Gesù percorreranno la strada dell’amore vicendevole che li porta a Gesù; 4 – ma siccome Gesù è nel Padre, è radicato nel Suo amore, i discepoli raggiunto Gesù automaticamente raggiungeranno il Padre.

Tutto questo sviluppo è da presupporre dietro la frase di 17,3: «questa è la vita e-

terna: che conoscano Te, unico vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cristo». Non si

tratta di conoscenza intellettuale, ma di esperienza di unità fondata sull’agape.

Giovedì 24 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Con il testo di 13,1 inizia più direttamente quella parte che possiamo definire “il

compimento”. Nel testo di Isaia, le ultime tre parole, secondo il testo masoretico, suonano:

«e partì a compimento ciò per cui l’ho mandata».

I LXX, pur modificando il testo ebraico, ha tuttavia l’aspetto del compimento. Nel

quintultimo rigo del foglio si legge «�%���(������������» [finché non porti a compimento].

Che cosa la parola deve portare a compimento, il testo di Isaia non lo specifica, ma Gio-

vanni lo dice chiaramente: ciò che deve portare a compimento è un’opera di amore.

Il verbo «�����������» è una forma di congiuntivo aoristo passivo dal verbo

«��������», cioè dal «��» più il verbo «������». Il verbo «������» deriva dal sostantivo

«������». Il Giovanni il termine «������» si legge una sola volta in 13,1 [il testo da cui siamo

partiti], il verbo «������» si legge due volte in un testo di capisalda importanza: 19,28-30, a

Page 75: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

75

cui dovremo arrivarci. L’uso di questa terminologia ci dice due cose: anzitutto, insieme ad

altri elementi, ancora una volta, la dipendenza da Isaia 55. Inoltre stabilisce una relazione

tra 13,1 e 19,28-30. Affrontiamo una domanda: che cosa è questo compimento dell’opera

di amore? La nostra risposta non sarà completa perché non affronteremo il problema di

come il Padre ha amato Gesù. La nostra attenzione si fermerà sull’opera di amore che Ge-

sù deve compiere nei confronti dei discepoli.

Per stabilire l’opera di amore dobbiamo ricercare in due contesti: il contesto di

13,1-5 e il contesto di 19,28-30.

Accenniamo al contesto di 13,1-5: in questo contesto possiamo stabilire una rela-

zione tra 13,1 e 13,2-5:

13,1 13,2-5 1 – circostanza cronologica: «prima della festa di pasqua»

1 – circostanza cronologica: «mentre diveniva il banchetto»;

2 – circostanza participiale: «sapendo» 2 – circostanza participiale: «avendo il diavolo gettato»;

3 – circostanza participiale: «avendo amato»

3 – circostanza participiale: «sapendo che da Dio è uscito»;

4 – verbo diretto: «a compimento amò»

4 – verbi diretti: a - «si alza da tavola»; b - «pone le vesti»;

c - «avendo preso un asciugatoio si cinse»; d - «versa acqua nel catino»;

e - «cominciò»; - «a lavare»; - «ed a asciugare».

Su questo schema facciamo soltanto due osservazioni previe in soldoni, mettendo

insieme le due circostanze participiali, le due conoscenze sono lo sfondo in cui si colloca

l’opera di Gesù. Le due circostanze intermedie danno due inizi antitetici dell’opera di Ge-

sù. Il fatto di avere amato i discepoli è il tradimento di Giuda che paradossalmente segna

l’inizio del compimento dell’opera di amore.

L’unico verbo diretto del verso 1, «a compimento li amò», sta in parallelo con la se-

rie dei cinque verbi dei versi 2-5: «si alza, pone le vesti […]». Questa serie dei cinque ver-

bi esige una doverosissima distinzione tra le forme verbali al presente I, II e IV e le forme

verbali all’aoristo III e V.

Page 76: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

76

Dobbiamo concludere che il compimento dell’opera di amore consiste in quelle

cinque forme verbali che sono inseparabili e perciò è sbagliato estrapolare l’azione di lava-

re i piedi dalle tre che precedono e dalla quinta che segue. Non entriamo, almeno per il

momento, nel senso di queste azioni simboliche, diciamo soltanto che esse esprimono tutta

l’opera di amore in maniera completa e sviluppiamo invece l’altro testo a cui ci rimanda il

termine «������» di 13,1, cioè il testo dei due usi di 19,28-30. In questi testi leggiamo le se-

guenti espressioni:

1 – «Gesù sapendo che tutto era stato portato a compimento [����������]»; 2 – «perché si adempisse la Scrittura disse: “ho sete”»;

3 – [la scena dell’aceto]; 4 – «avendo preso l’aceto disse: “tutto è stato portato a compimento”» [����������]; 5 – «e avendo reclinato il capo donò [��������] lo Spirito».

I due usi del verbo «������» ci

dicono che qui, in questa descrizione,

deve essere cercata l’opera di amore di

Gesù. Tuttavia è errore grave separare

un brano dal suo contesto e perciò non

possiamo non leggere questa scena se

non nel complesso del suo contesto.

Possiamo distinguere due conte-

sti: un contesto più immediato ed un

contesto più ampio. Il contesto più im-

mediato sono la narrazione degli eventi

al Calvario secondo Giovanni. Il conte-

sto più ampio è invece la più ampia nar-

razione della passione.

Page 77: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

77

IL CONTESTO PIÙ AMPIO

Il contesto più ampio è la narrazione della passione. Anche Giovanni dipende dallo

schema pre-evangelico della narrazione della passione, ed infatti anche il quarto evangeli-

sta propone come i sinottici cinque parti:

a – Getsemani; b – processo davanti ai giudei; c – processo davanti a Pilato; d – eventi al Calvario; e – la sepoltura.

Ogni parte avrebbe problemi grossissimi, e senza scendere nei particolari, ci limi-

tiamo solo a tre differenze rispetto ai sinottici rimandando alla considerazione specifica le

differenze sugli eventi al calvario. Quindi le tre differenze riguardano:

I – Getsemani; II – processo davanti ai giudei; III – processo davanti a Pilato.

I – La differenza al Getsemani sta nel fatto che Giovanni non narra la preghiera,

ma, come abbiamo visto anche da 6,38-40, non la ignora. Il quarto evangelista ferma la sua

attenzione e sviluppa l’aspetto della cattura, dove sono importanti i due «Io sono» in bocca

a Gesù.

II – La differenza nel processo davanti ai giudei sta nel fatto che i sinottici narrano

il processo davanti al sinedrio presieduto da Caifa, Giovanni non lo narra ma non lo ignora

nemmeno, anzi la sua preoccupazione, e lo fa ben due volte, è quella di stabilire una rela-

zione tra Anna e Caifa. Viceversa narra un dialogo storicamente informale tra Anna [o A-

nania] e Gesù, ignorato del tutto dalla tradizione sinottica. Nel contesto del processo o dia-

logo davanti ad Anania, Giovanni colloca i tre rinnegamenti di Pietro; in questo senso ha

una certa coincidenza con Luca ed è più storico di Matteo e Marco. Pietro avrebbe rinnega-

to nel palazzo di Anna.

III – La terza differenza è nel processo davanti a Pilato, che per Giovanni assume

una importanza maggiore rispetto ai sinottici. Detto in maniera vaga, il pretorio di Pilato,

per Giovanni è il luogo della manifestazione di Gesù e Pilato ha il compito di fare da in-

termediario tra Gesù ed i giudei, rivelando loro all’esterno quello che si verifica all’interno.

Page 78: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

78

Pilato porta ai giudei due cose fondamentali che sintetizzano nelle due manifestazioni:

quella di 19,5: «ecco l’uomo» e quella di 19,14: «ecco il vostro re». Di tutto ciò non si ha

nulla nei sinottici per i quali invece Pilato ha diverso significato.

IL CONTESTO IMMEDIATO

Il contesto immediato in Giovanni, sono le cinque scene o le cinque parti della

quarta sezione, cioè gli eventi al Calvario. Queste cinque sezioni sono:

1 – [19,16b-22]: Il titolo della croce; 2 – [19,23-24]: la spartizione delle vesti e la tunica non scissa; 3 – [19,25-27]: la donna-madre e l’affidamento del discepolo a lei; 4 – [19,28-30]: il compimento e il dono dello Spirito; 5 – [19,31-37]: tutta la descrizione che ha al centro il colpo di lancia.

Queste cinque scene sono concatenate e non possono essere separate.

Fermeremo la nostra attenzione su queste scene, le leggeremo all’inverso, cioè par-

tendo dall’ultima per risalire alla prima, anche se poi sarà utile lettura inversa. Speriamo di

tornare a 13,1-5 che ha nel suo simbolismo una ampiezza maggiore della passione dal pun-

to di vista del compimento dell’opera di amore.

GIOVANNI 19,31-37

Questo testo non ha alcun parallelo con i vangeli sinottici, in questo testo possiamo

distinguere cinque unità così strutturate o articolate:

1 – verso 31: l’intenzione e la richiesta dei giudei; 2 – verso 32: i soldati che spezzano le gambe dei due crocefissi; 3 – versi 33-34: non spezzare le gambe a Gesù, ma aprire il costato e uscire sangue ed acqua; 4 – verso 35: la testimonianza di colui che ha visto; 5 – versi 36-37: ciò che la scrittura ha preannunziato.

Cominciando a leggere queste cinque unità in maniera più generica notiamo la rela-

zione antitetica tra il primo e il quinto punto: alla richiesta dei giudei [1], si oppone la

Scrittura [5].

Page 79: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

79

Tra 2 e 4 la relazione è complementare: i due con-crocefissi sono soggetto di una

azione passiva, il testimone che ha visto è soggetto di una azione attiva [rendere testimo-

nianza]. Vedremo come questi due aspetti possono richiamare altri testi giovannei, così per

esempio 21,18-25, dove a Pietro è assegnato il compito di morire con una morte che rende

gloria a Dio, al discepolo invece è assegnato il compito di rendere testimonianza.

Al centro ci sta la persona di Gesù in tre aspetti:

1 – negativo: «non gli spezzarono le gambe»; 2 – positivo: «aprì il costato»; 3 – la conseguenza: «uscì sangue ed acqua».

Quest’ultimo elemento è il culmine di tre azioni che globalmente stanno al centro.

Perciò concludiamo che la fuoriuscita di sangue ed acqua, cosa di cui i sinottici non dicono

nulla, per Giovanni assume un’importanza fondamentale, come indica la sua posizione

centrale.

LA RICHIESTA DEI GIUDEI

I giudei chiedono a Pilato due cose:

a – che fossero spezzate le gambe; b – che fossero tolti via.

L’evangelista ambienta questa richiesta nello sfondo di due feste: la festa pasquale

e il sabato. Notiamo il seguente schema strutturale:

a – poiché era la parasceve; b – perché non rimanessero sulla croce i corpi;

c – di sabato; d – era grande il giorno di quel sabato.

Dal punto di vista storico, Giovanni ci informa, che quel anno la pasqua coincise

con il sabato ed infatti la parola «parasceve», che etimologicamente significa “porre i vasi

presso”, ma che in maniera più larga significa “preparazione”, dice che la morte di Gesù è

avvenuta prima della pasqua. Ed infatti nel processo davanti a Pilato, il quarto evangelista,

in 18,28, nota che “i giudei non entrarono nel pretorio per non contaminarsi, ma per man-

Page 80: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

80

giare la pasqua”. Si sa che il giudeo che entrava in casa di un pagano contraeva impurità

ed esigeva sette giorni di purificazione.

Ciò pone un problema cronologico, al quale è difficile dare una risposta: Gesù è

morto prima o dopo la pasqua? Secondo Giovanni dopo, ma secondo i sinottici prima. Se-

condo Giovanni i giudei ancora debbono mangiare il banchetto pasquale, secondo i sinotti-

ci, Gesù fece un vero e proprio banchetto pasquale prima di patire [Cfr. Lc: «ho desiderato

ardentemente mangiare questa pasqua con voi prima di patire»]. Dovremmo ammettere

l’esistenza di due calendari? Sarebbe una soluzione plausibile, anche se non abbiamo do-

cumenti per fondarla, in ogni caso c’è una valenza teologica nei sinottici ed una valenza

teologica in Giovanni.

Le due richieste dei giudei si ricollegano strettamente alle due feste, come appare

dal seguente schema:

a – era la parasceve; b – era sabato; c – spezzare le gambe; d – togliere via.

La parasceve implicava anche l’immolazione dell’agnello, al tramonto si immolava

l’agnello e si preparava il banchetto. Una prescrizione della Mishnà però indicava che se la

pasqua cadeva di sabato l’immolazione dell’agnello si anticipava per avere il tempo di pre-

parare e non incorrere nel riposo sabbatico. Ciò ci permetterebbe di capire perché Giovanni

narri: «era la parasceve della Pasqua, era l’ora sesta e Pilato proclama “Ecco il vostro

re”». La menzione della parasceve all’ora sesta indica che quella è l’ora in cui nelle case si

immolava l’agnello, Giovanni sembra voler dire che mentre nelle case si immolava

l’agnello, nella casa di un pagano si immolava il vero agnello da cui paradossalmente i

giudei restano fuori.

Diverse volte Giovanni menziona la parasceve e l’ultima menzione è in 19,42, dove

si legge che a motivo della parasceve posero lì [nel sepolcro nuovo] Gesù. Giovanni però

non narra la stessa celebrazione pasquale; o meglio la celebrazione pasquale è narrata in

13,1 e consiste nel grande passaggio di Gesù, non da solo, ma da questo mondo al Padre.

Page 81: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

81

Sabato 26 novembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Le due richieste dei giudei stanno in relazione alle due circostanze di festa:

1 – poiché era la parasceve; 2 – il sabato; 3 – spezzare le gambe; 4 – togliere via.

Questo parallelismo ci dice che l’evangelista relaziona la richiesta di spezzare le

gambe alla parasceve e la richiesta di togliere via al fatto del sabato.

Il sabato viene ampliato con la frase: «era grande il giorno di quel sabato», perché

grande? l’evangelista non lo dice, lo possiamo dedurre da tutto il contesto. Dal punto di vi-

sta storico si può pensare che era grande perché coincideva con la pasqua, ma l’evangelista

insinua un’altra realtà, quella cioè che si tratta di un sabato diverso da tutti gli altri sabati.

Sappiamo qual’era il senso del sabato: giorno di riposo che il codice sacerdotale

fondò si genesi: «il settimo giorno Dio si riposò», donde la legislazione ebraica che pre-

scrive riposo universale ed assoluto, appunto perché Dio riposò. Giovanni ha un’altra valu-

tazione del sabato perché il sabato non è più il giorno del riposo di Dio, ma è il giorno in

cui Dio opera e Gesù di conseguenza opera. Nel capitolo 5 [al versetto 17] dirà: «il Padre

mio opera ed Io opero» in conseguenza del fatto che Gesù ha guarito il paralitico «in gior-

no di sabato». Ma di sabato è ambientato anche il miracolo del cieco nato. Lasciamo per il

momento il problema del sabato ed andiamo alle due richieste:

1- spezzar le gambe; 2- e toglier via.

Lo scopo per cui bisogna spezzare le gambe è proprio quello di togliere via. Siamo

ormai nella grande vigilia pasquale e non si può celebrare la festa con tre condannati che

pendono da un legno. Deuteronomio 21,23 citato da Paolo in Galati 3,13, prescriveva, anzi

dichiarava maledetto chiunque pende dal legno. Si capisce che in deuteronomio il riferi-

mento era all’impiccagione, nel NT è invece alla croce. Non è casuale il fatto che

l’espressione «sospendere al legno» è usata da Luca negli Atti degli apostoli in bocca a

Pietro nei suoi discorsi. Tornando a Giovanni, non si poteva celebrare la festa con quei se-

gni di maledizione, perché secondo il deuteronomio la maledizione riguardava la terra. Ta-

Page 82: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

82

le richiesta è importante storicamente perché esclude qualsiasi morte apparente e rivela la

prassi romana che non si poteva deporre dalla croce se non a morte avvenuta ed accertata;

dopodichè il corpo veniva dato ai parenti [se lo richiedevano] o gettato in fosse comuni. La

croce era pena dolorosissima, ma non istantanea. Il crocifisso si spegneva lentamente tra

atroci tormenti, più o meno presto, in base anche al modo come veniva crocifisso. Per af-

frettare la morte i romani praticavano un metodo atroce che paradossalmente diventava atto

di clemenza: spezzare le gambe. E fu questa la richiesta dei giudei. Giovanni nota la coin-

cidenza tra la circostanza di festa e la richiesta e ne vede tutta la sua assurdità. I giudei

chiedendo che vengano spezzate le gambe, stanno trasgredendo la legge. Siamo nella para-

sceve, nella parasceve si preparava l’agnello. Esodo 12, che non è una narrazione, bensì un

rituale pasquale, dava delle indicazioni: all’agnello non si possono spezzare le ossa. Que-

sto è ripetuto due volte [o tre secondo i LXX], e poi ripreso nel libro dei Numeri. Perciò

chiedendo che vengano spezzate le gambe, nella parasceve i giudei trasgrediscono la legge,

ma sotto sotto c’è la convinzione giovannea che Gesù sia il vero agnello pasquale al quale,

secondo esodo 12, non debbono essere spezzate le ossa.

Vedremo come Giovanni riprenderà nelle due citazioni questa regola. Anticipando

quello che diremo le due citazioni della scrittura, che Giovanni introduce in 19,35-37, ri-

guardano esattamente le due richieste dei giudei e contraddicono le richieste stesse [i giu-

dei smentiti dalla scrittura]. Possiamo quindi stabilire il seguente schema:

1 – spezzare le gambe; 2 – togliere via; 3 – osso non sarà spezzato; 4 – guarderanno a Colui che hanno trafitto.

Su queste citazioni torneremo perché, almeno nella prima, l’evangelista non allude

soltanto ad esodo 12, ma formula l’espressione in maniera tale da insinuare la fusione di

due testi: esodo 12 ed il salmo 33: «Dio preserva il giusto, neppure un osso sarà spezzato».

Tornando ancora alla richiesta dei giudei notiamo la successione: spezzar le gambe

e togliere via. Potremmo anche dire: spezzar le gambe per potere togliere via. Vedremo

come l’evangelista stabilisce una stretta relazione tra spezzar le gambe e togliere via. Si

potrebbe togliere via senza spezzar le gambe perché se il crocifisso è morto non serve più

quel gesto e si può togliere, ma Giovanni stabilisce tra i due fatti tale relazione che se non

si spezzano le gambe nemmeno si toglie via.

Page 83: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

83

Passiamo alla seconda unità: la venuta dei soldati. Qui c’è una certa disparità stori-

ca con i vangeli sinottici, secondo Marco 15,43, Giuseppe di Arimatea andò da Pilato e

chiese il corpo di Gesù. Nota Marco che Pilato si meravigliò che Gesù era morto e mandò

il centurione ad accertarsi che realmente fosse morto. Della richiesta di Giuseppe a Pilato,

parla anche Giovanni, e perciò dovremmo dire storicamente che a Pilato giunsero due ri-

chieste dei giudei e di Giuseppe, forse la richiesta di Giuseppe subentra dopo la richiesta

dei giudei per impedire che Gesù fosse buttato in fossa comune. Marco e Giovanni concor-

dano nell’invio dei soldati, ma per motivi diversi: secondo Marco a controllare, secondo

Giovanni a spiegare. Probabilmente il più storico è Giovanni, la tradizione sinottica infatti

non sa nulla, né dello spezzare le gambe e nemmeno del colpo di lancia. Matteo nel capito-

lo 27 riferisce che qualcuno dei soldati «aprì il costato ed uscì sangue ed acqua», questa

indicazione di Matteo in 27,49, però non è attestata da tutti i codici, è attestata da codici

buoni, tipo il sinaitico e tipo il vaticano, ma questa frase puzza tanto di completamento dei

copisti in base al vangelo di Giovanni.

Passiamo a descrivere l’azione dei soldati, e in questa azione bisogna stare attenti a

come l’evangelista si esprime. L’evangelista scrive così:

«vennero dunque i soldati e del primo

spezzarono le gambe

e dell’altro concrocifisso

a lui».

È chiaro che storicamente ad entrambi i crocifissi furono spezzate le gambe, ma

l’evangelista formula l’espressione in maniera tale da riferire, ad uno una cosa, all’altro

un’altra. Al primo riferisce una azione che riceve, azione attiva: il primo è destinatario di

una azione attiva. Al secondo invece attribuisce non una azione che riceve, ma uno stato.

Possiamo ancora osservare la seconda espressione: Giovanni non scrive: «crocifisso con

Lui», ma scrive: «concrocifisso a Lui» [�������������]. Su questa formulazione emergo-

no due idee: la condivisione di una situazione e la finalizzazione: il secondo condivide uno

stato, ma finalizzato a Gesù. In questa lettura emerge una dimensione ecclesiale, i due a-

spetti richiamano le due dimensioni che altre volte Giovanni propone. Nel capitolo 21 noi

abbiamo questa relazione: Pietro, del quale si dice con quale morte doveva morire e il di-

Page 84: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

84

scepolo del quale Gesù dice: «se io voglio che rimanga finché non venga», Pietro cioè

condivide una morte, compito del discepolo è quello di «rimanere», un rimanere che deve

essere spiegato alla luce del capitolo 15 [la vite ed i tralci]: «rimanete in me ed Io in voi».

Si può anche citare il capitolo 12: Marta serve [dimensione attiva], Lazzaro era uno dei

commensali [dimensione stativa]; o forse anche si può citare Maria che compie una azione

verso Gesù. Queste osservazioni ci inducono a leggere la frase dei due crocifissi in senso

ecclesiale, indicando le due dimensioni della chiesa o meglio dei discepoli: condivisione

della morte di Gesù e rimanere il Lui.

Segue l’azione nei confronti di Gesù, il testo scrive: «vennero dunque, ma come

giunsero a Gesù, come videro che era morto, non spezzarono le gambe, ma uno dei soldati

con la lancia aprì il costato e subito uscì sangue ed acqua». Notiamo anzitutto le due a-

zioni dei soldati, esse non sono in continuità, ma in opposizione, anche le due azioni dei

soldati richiamano le due richieste dei giudei. Possiamo infatti stabilire il seguente schema:

1 – spezzare le gambe; 2 – togliere via; 3 – non spezzarono le gambe; 4 – uno dei soldati aprì il costato.

Il parallelismo non è preciso, dovremmo dire che non spezzarono le gambe e non

tolsero via. Giovanni non può dire che non tolsero via, darebbe una falsa concezione stori-

ca, perché non c’è dubbio che Gesù fu deposto dalla croce. Ma Giovanni si guarda bene dal

dire che Gesù fu deposto dalla croce perché lo spezzarne le gambe era finalizzato a togliere

via. Mentre nei fatti storici spezzar le gambe era finalizzato a togliere via, il simbolismo

giovanneo, al contrario, togliere via è l’effetto di una causa: spezzare le gambe. Ciò signi-

fica che se non si spezzano le gambe nemmeno si toglie via. Bisogna distinguere i due pia-

ni storici e del simbolismo giovanneo. Perciò per Giovanni implicitamente, dal momento

che a Gesù non spezzarono le gambe, nemmeno fu tolto via. Questo Giovanni non può

scriverlo, ma tutto il contesto lo insinua: ciò pone il problema di che cosa sia la croce gio-

vannea.

Intanto è importante il fatto che Gesù era morto, potremmo leggere questa indica-

zione in due modi. Il primo modo, alla luce del salmo 33, che come vedremo l’evangelista

ha presente, leggiamo nel verso 20: «molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tut-

te il Signore, preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato». Alla luce del salmo

Page 85: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

85

possiamo dire che nella morte di Gesù, Dio è intervenuto contro l’attentato dei giudei. A

Gesù volevano spezzare le gambe, ma Dio lo difende mediante la morte.

Ma possiamo rileggere ancora in maniera più diretta sul testo, dove possiamo stabi-

lire il seguente progresso:

1 – era morto – situazione; 2 – non spezzarono le gambe – conseguenza negativa; 3 – aprì in costato – conseguenza positiva.

Di conseguenza la morte non è presentata come termine, bensì come inizio di un

processo. A questo punto dovremmo commentare questo fatto della morte alla luce di tutto

il capitolo 10, dove si dice che il pastore pone la vita per il gregge. Potremmo commentare

alla luce del capitolo 12 [se il chicco di grano non muore…], del capitolo 15 [nessuno ha

un amore più grande…]; restiamo per il momento nel capitolo 19.

Nell’interpretazione di queste azioni partiamo dall’ultimo elemento: «uno dei sol-

dati aprì il costato e subito uscì sangue ed acqua». È chiaro come dietro questo fenomeno

ci sia un problema anatomico che compete alla scienza studiare. Fermandoci all’aspetto

anatomico dovremmo dire che l’acqua è quel liquido sieroso che fuoriesce quando il san-

gue si è esaurito. Dal punto di vista medico questa fuoriuscita sarebbe l’uscita di sangue

raccolto nel pericardio. Gli studi sindonici confermano, dalla sindone infatti emerge prima

l’uscita anche violenta di sangue cadaverico, poi anche uno strato di questo liquido vi-

schioso. C’è un problema per quanto riguarda le parole «sangue ed acqua»: alcuni codici

minuscoli [in greco minuscolo, più tardivi], qualche codice della antica versione latina, ri-

portano in maniera inversa: «acqua e sangue». Questi codici più alcuni padri invertono, ci

manca tutta la tradizione greca per cui non c’è citato nessuno dei più antichi codici greci,

ciò però non significa perché anche un codice apparentemente più marginale può conserva-

re la lettura più antica [e quindi più originale]. Donde la domanda: cosa scrisse Giovanni?

Sangue ed acqua oppure acqua e sangue. Facciamo un ragionamento, che cosa è più facile:

che essendoci nel testo sangue ed acqua dei copisti cambiarono in acqua e sangue, oppure

che, essendoci nel testo acqua e sangue i copisti cambiarono in sangue ed acqua? La cosa

più facile è che essendoci sangue ed acqua alcuni copisti cambiarono in acqua e sangue: la

motivazione di questo secondo cambiamento c’è: la lettura sacramentale del testo. Quindi

vollero applicarlo alla lettura sacramentale: prima battesimo e poi eucarestia, il contrario è

più difficile spiegarlo, non si vede un motivo per cui essendoci acqua e sangue dei copisti

Page 86: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

86

cambiassero in maniera massiccia in sangue ed acqua. Perciò noi teniamo la lettura «san-

gue ed acqua» cercheremo di spiegare il senso.

La citazione della scrittura ci mette sulla strada della interpretazione simbolica.

Giovedì 01 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

La prima citazione è la seguente: «osso non sarà spezzato di lui», questa formula-

zione non è proprio una citazione alla lettera, si può richiamare certo Esodo 12,46, dove si

legge la prescrizione: «non ne spezzerete alcun osso», siamo perciò rimandati alle prescri-

zioni dell’agnello pasquale. Il riferimento all’agnello pasquale è confermato dal fatto che

l’evangelista ambienta tutta la descrizione nel contesto della parasceve. Il capitolo 12

dell’Esodo prescrive infatti che bisogna prendere un agnello ed al tramonto immolarlo:

questa è la preparazione. Tuttavia l’evangelista stesso formula in un modo da richiamare

un’altra allusione; il verbo spezzare nel testo di Esodo sopracitato è formulato alla seconda

persona plurale attiva, l’evangelista invece formula alla terza persona singolare passiva.

C’è un altro testo dove leggiamo il verbo al passivo, si tratta del salmo 33, dove il salmista

dichiara al versetto 21: «preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato», il salmo si

riferisce al povero giusto che il Signore protegge e che libera da tutte le sue angosce. Pos-

siamo fare un confronto tra i tre testi:

GIOVANNI 19,36 ESODO 12,42 SALMO 33,21 osso non spezzerete preserva non sarà spezzato alcun osso tutte le sue ossa di lui neppure uno sarà spezzato

Il testo di Esodo presenta, come il nostro testo, il termine «osso» al singolare, men-

tre il salmo c’è lo ha al plurale, come pure il verbo del nostro testo è più vicino a quello del

salmo. C’è una discussione tra gli interpreti: quale dei due testi l’autore sta riprendendo.

C’è chi propende per l’uno, c’è chi propende per l’altro, la nostra posizione è che l’autore

formula il suo testo in maniera tale da alludere ad ambedue. Notiamo intanto l’ultima paro-

la del nostro testo, il genitivo «di lui» [������], possiamo confrontare la citazione di Esodo:

nell’Esodo leggiamo «da lui», questo passaggio «da lui» [moto da luogo] a «di lui» [geni-

tivo di appartenenza], non è senza significato. L’evangelista sta sottolineando che proprio

Page 87: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

87

di Gesù non bisogna spezzare alcun osso, c’è un enfasi che lascia intuire che proprio Gesù

sia quella persona alla quale la prescrizione dell’Esodo si applica.

Perché l’Esodo prescrive che non si spezzi alcun osso all’agnello? Perché la pa-

squa, antichissima festa di nomadi pastori, oltre che essere la festa del nuovo anno, era una

festa di unità. Gli antichi nomadi pastori, prima di mettersi in cammino verso nuovi pascoli

celebravano questa festa che era di scongiuro e di augurio: scongiuro per allontanare i mali

ed augurio di ritrovarsi tutti uniti. La pasqua perciò era la festa dell’unità, ed in questo sen-

so sarebbe stata ripresa nel 622 a.C. da Giosia nel tentativo di ricostituire l’unità del regno

davidico. Questa prescrizione, che nel capitolo 12 dell’Esodo è ripresa due volte è impor-

tante all’epoca dell’esilio, quando il pericolo della dispersione era forte: spezzare le ossa

dell’agnello significava attentare alla unità del popolo, perché l’agnello esprimeva questa

unità.

Nel salmo, l’indicazione citata ha un altro senso: essa esprime la totale ed assoluta

protezione di Dio, per cui il giusto che si affida a lui è protetto fin nel suo più profondo es-

sere.

Nel nostro testo di Giovanni entrambe le prospettive sono riscontrabili, è riscontra-

bile la prospettiva del salmo: Dio protegge Gesù e lo preserva da tutte le sue sventure, pre-

serva tutte le sue ossa, ed infatti il contesto parla del tentativo dei giudei di volere spezzar

le gambe e togliere via, lo spezzar le gambe per i giudei, è il primo passo verso

l’eliminazione del crocifisso. Ma Dio salva impedendo mediante la morte che ciò avvenis-

se. D’altra parte, come dicevamo, è pure presente la prospettiva dell’agnello pasquale, sia-

mo infatti nella prospettiva della parasceve, ma la prospettiva dell’agnello pasquale è con-

fermata da 1,29-34, dove, come dicevamo, l’esperienza di Giovanni parte dalla dichiara-

zione: «ecco l’agnello di Dio» e si conclude con la professione di fede che «costui è il Fi-

glio di Dio». Possiamo infatti stabilire la seguente relazione:

1,29-34 19,31-37 1. Ecco l’agnello di Dio 1. Era la parasceve 2. ho visto ed ho reso testimonianza 2. Colui che ha visto ha reso testimonianza

È chiaro che Gesù è l’agnello pasquale, non nel senso dei giudei: spezzargli le

gambe significava non riconoscere in Gesù l’agnello pasquale, esso però non è più il segno

di unità, ma ha un significato più particolare che sarebbe anche più complesso, ma che ci

limitiamo soltanto ad indicare: Gesù come agnello pasquale prende su di sé il peccato del

Page 88: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

88

mondo, questo l’esodo non lo diceva. È chiaro che nella concezione dell’agnello pasquale,

in Giovanni, si fondono due prospettive: quella di Esodo e quella di Isaia 53,7 dove il servo

è paragonato all’agnello: «come agnello condotto al macello»; Giovanni fonda le due pro-

spettive ed il nuovo agnello pasquale è «Colui che toglie il peccato del mondo». Non rico-

noscere perciò Gesù come agnello pasquale equivale a restare nei propri peccati. Ma pas-

siamo all’altra citazione: «guarderanno a Colui che hanno trafitto». Questa seconda cita-

zione facilmente è individuabile, si tratta di Zaccaria 12,10: questa citazione dal punto di

vista letterario pone non pochi problemi, il testo scrive: «�$0���� ����� �*� �� �������»

[Giovanni 19,37], il vero «�� �������» è aoristo dal verbo «���������». Analoga citazione

si legge in apocalisse 1,7, dove l’autore cita lo stesso testo di Zaccaria con lo stesso verbo

«�� �������», nascono due problemi: che rapporto c’è in relazione a questo testo tra quar-

to vangelo ed apocalisse? La formulazione letteraria che i due propongono è diversa da

quella dei LXX, nasce il problema se il quarto vangelo e l’apocalisse traducono il testo e-

braico se esisteva una traduzione diversa da quella dei LXX.

I problemi che abbiamo indicato interessano sia la storia del testo, sia anche per po-

tere comprendere meglio in che senso un autore cita un testo, non continuiamo perciò nel

confronto letterario sopra notato, ci preoccupiamo invece di vedere come il nostro evange-

lista riprende questa citazione e perché la riprende.

Abbiamo detto che riprende il testo di Zaccaria 12,10, ma il testo di Zaccaria suona

così:

Zaccaria 12,10: «effonderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno Spirito di grazia e supplica e guarderanno a me come a Colui che hanno trafitto […]» 13,1: «In quel giorno ci sarà per la casa di Davide e gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato»

Dio annunzia per la casa di Davide e gli abitanti di Gerusalemme l’effusione di uno

Spirito di grazia e supplica in forza del quale gli uomini supplicheranno Dio e si rivolge-

ranno a quel Dio che pur hanno trafitto con i loro peccati. Nello stesso tempo si preannun-

zia per la casa di Davide e gli abitanti di Gerusalemme l’apertura di una fonte. Nel testo di

Zaccaria stanno in relazione, legati dall’espressione «per la casa di Davide e gli abitanti di

Gerusalemme», l’effusione di uno Spirito di grazia e supplica e l’apertura di una fonte. E-

Page 89: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

89

videntemente da questa fonte, Dio effonderà il Suo Spirito che indurrà gli uomini a «guar-

dare a Colui che hanno trafitto». Nel nostro testo di Giovanni l’apertura della fonte è fa-

cilmente individuabile nella apertura del costato. Possiamo infatti stabilire la seguente rela-

zione:

1. non spezzarono le gambe 1. non sarà spezzato alcun osso 2. uno dei soldati aprì il costato 2. guarderanno a Colui che hanno trafitto

La prima citazione della Scrittura si riferisce al fatto che a Gesù non spezzarono le

gambe, la seconda scrittura deve riferirsi al fatto della apertura del costato. Da quella aper-

tura del costato sgorga sangue ed acqua, ma in 19,30, aveva detto l’autore che Gesù «recli-

nato il capo donò lo Spirito», perciò la seconda scrittura dee ricollegarsi alla apertura del

costato. L’autore però riferendo la seconda scrittura alla apertura del costato fa una scelta

nella citazione. Abbiamo indicato tutto il testo di Zaccaria, ma l’evangelista non sceglie né

la prima indicazione: «effonderò il mio spirito di grazia e supplica», né l’ultima: «ci sarà

una fonte aperta», ma sceglie quella centrale: «guarderanno a Colui che hanno trafitto».

Per comprendere il senso di questa citazione, dobbiamo per il momento lasciarla e

tornare alla azione della apertura del costato.

Alla luce di Zaccaria 12,10-13,1, l’apertura del costato richiama la fonte che si a-

pre. Ma, a nostro parere, sono richiamati altri due testi, il primo testo è Esodo 17 con il suo

parallelo di Numeri 20,1-11. Si tratta dell’episodio dell’acqua scaturita dalla roccia nel de-

serto. Possiamo infatti stabilire il seguente parallelismo:

NUMERI GIOVANNI 1. Mosè 1. un soldato 2. col bastone 2. con la lancia 3. colpì 3. aprì 4. la roccia 4. il costato 5. uscì acqua 5. uscì sangue ed acqua

Troviamo un parallelismo di azioni che accosta i due episodi: Giovanni esplicita-

mente non richiama l’episodio della roccia, ma non lo ignora perché lui ha presente ed e-

splicitamente vi allude, il capitolo seguente di Numeri 21: il popolo cioè morsicato dai ser-

penti e Dio comanda a Mosè di innalzare un palo, mettere un serpente di bronzo perché

chiunque lo guarda ne sia guarito; in 3,14 Gesù applica a sé quella immagine: «come Mosè

innalzò il serpente nel deserto così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo perché chiun-

Page 90: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

90

que crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna». Se l’allusione a Numeri 20 nel col-

po di lancia è esatto avremmo:

1. Numeri 20 1. Apertura della roccia 2. Numeri 21 2. guarderanno a Colui che hanno trafitto

Un secondo testo che può essere alluso è Ezechiele 47: il contesto è quello dei capi-

toli 40-48, dove il profeta vede e descrive le misure del nuovo tempio, nel capitolo 47 dirà

che dalla soglia del tempio usciva acqua verso oriente, quest’acqua và a crescere fino a di-

ventare un grande fiume, nel verso 9 dirà che il pesce era abbondantissimo. In altra sede

abbiamo avanzato la supposizione che la pesca miracolosa, di cui si parla nel capitolo 21, è

una descrizione che Giovanni riprende dalla tradizione. Della pesca miracolosa infatti parla

anche Luca nel capitolo 5, ma il modo e la posizione dove Giovanni inserisce l’episodio

lascia pensare che le acque dove avviene la pesca miracolosa siano quelle sgorgate dal co-

stato di Cristo. Lasciamo stare però l’episodio della pesca e guardiamo altri riferimenti.

L’evangelista nel capitolo 2, dopo l’episodio di Cana, inserisce un altro episodio, quello

della purificazione del tempio, quando cioè Gesù caccia i venditori. Giovanni colloca

all’inizio del suo vangelo ed in connessione a Cana un episodio che la tradizione sinottica

colloca dopo l’ingresso a Gerusalemme. Lasciando stare una relazione più sottile tra

l’episodio della purificazione del tempio e Cana, notiamo come nell’episodio della purifi-

cazione del tempio, Gesù dichiara: «distruggete questo tempio e in tre giorni ve lo riedifico

[��������]», i giudei obiettano: «in quarantasei anni fu costruito [�����������] fu costruito

questo tempio e tu in tre giorni lo ricostruisci? [��������]». È importante osservare che a ri-

guardo del tempio, in quarantasei anni l’evangelista usa il verbo «�����������», mentre a ri-

guardo del corpo di Cristo, nuovo tempio, «costruito in tre giorni», l’autore usa il verbo

«��������» quello tipico della resurrezione. L’allusione alla risurrezione è evidente, Giovan-

ni infatti commenta che egli parlava del tempio del Suo corpo e precisa che dopo la resur-

rezione i discepoli si ricordarono che così aveva detto: perciò il corpo di Gesù sulla croce è

il tempio. Da questo tempio, secondo l’immagine di Ezechiele, esce come un fiume. Ciò è

confermato da 7,37-39, dove leggiamo: «nel giorno della grande festa stava Gesù e gridò:

“Chi ha sete venga a me e beva: fiumi dal suo seno escono di acqua viva”, ciò disse dello

Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui».

Page 91: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

91

Possiamo stabilire il seguente parallelismo:

19,34 7,37-39 1. costato 1. dal suo seno 2. uscì acqua 2. fiumi di acqua viva 3. 19,30 – donò lo Spirito 3. ciò disse dello Spirito

In questa prospettiva possiamo rileggere l’episodio di Cana.

Sabato 03 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

1) Cana; 2) uscì sangue ed acqua; 3) uno dei soldati aprì il costato;

4) distruggete questo tempio ed in tre giorni lo riedificherò.

Possiamo rileggere questo schema alla luce anche del profeta Ezechiele, nel se-

guente modo:

1 – il nuovo tempio; 2 – si apre il tempio; 3 – esce acqua; 4 – quest’acqua è portata a tavola.

La relazione con Cana è confermata dalla seguente relazione:

1 – acqua; 2 – vino; 3 – sangue; 4 – acqua.

1 – non è giunta la mia ora; 2 – donna ecco tuo figlio; 3 – il discepolo la prese con sé; 4 – fate quello che vi dirà.

Page 92: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

92

Riassumendo allora, in questa quinta scena, avremmo il seguente sviluppo:

1 – l’intenzione dei giudei era quella che fossero spezzate le gambe e fossero tolti via.

2 – La storia si rivela diversa, non spezzare le gambe e di conseguenza nemmeno togliere

via. 3 – La scrittura da ragione agli eventi storici che non all’intenzione dei giudei. Al cro-

cifisso non si spezzano le gambe perché è l’agnello pasquale e se si spezzano le gambe non

si celebra pasqua, il crocifisso non si toglie via.

La narrazione della passione finisce con questa citazione di Zaccaria: «guarderan-

no a Colui che hanno trafitto». Ma possiamo relazionare questo testo con altri due testi del

vangelo, prima relazioneremo la seconda citazione e poi la prima. La seconda citazione

può essere letta alla luce di 6,38-40 [già visto] e di 3,14-16. Notiamo il seguente progresso:

1 – 19,37 – guarderanno a Colui che hanno trafitto; 2 – 6,38-40 – chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna; 3 – 14,16 – deve essere innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna.

Troviamo un progresso inverso:

– guardare [19,37]; – vedere e credere [6,38-40]; – solo credere [3,14-16].

Di conseguenza la narrazione della passione implicitamente si apre alla prospettiva

di una contemplazione che porta alla vita eterna. Ma andiamo alla prima citazione: «non

sarà spezzato di Lui alcun osso», si tratta dell’agnello pasquale che gli ebrei immolavano

prima di compiere il grande passaggio pasquale dalla terra di Egitto verso la terra promes-

sa. In 13,1 leggiamo che prima della festa di pasqua, Gesù portò a compimento l’opera di

amore. In questa prospettiva le due citazioni si completano e ci danno quasi il punto di par-

tenza e il punto culmine di tutta l’opera di Gesù. Gesù è l’agnello pasquale, ma insieme

l’evangelista unisce un’altra immagine, quella del serpente innalzato nel deserto. Come

agnello pasquale, Gesù permette che si celebri una pasqua. Come il serpente innalzato, Egli

determina un opera di raduno, Giovanni scrive in 19,34: «era morto e non gli spezzarono

le gambe», in 11,49-52 si assegna alla morte di Gesù un altro scopo, Caifa aveva detto:

«bisogna che uno solo muoia per la gente». L’evangelista commenta: «non solo per la

gente, ma anche per radunare in unità i figli di Dio che erano stati dispersi». Perciò Gesù

Page 93: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

93

è l’agnello pasquale, ma insieme anche il centro di unità attorno a cui gli uomini si raduna-

no. Il processo di riunificazione degli uomini avviene mediante il coinvolgimento degli

uomini nell’agape (rimanete nel mio amore, attirerò tutti a me, a condizione però

dell’osservanza dei comandamenti). Il raduno avviene mediante la manifestazione

dell’agape che raggiunge gli uomini attraverso lo Spirito [l’acqua] ed esercita una forza di

attrazione. Gli uomini, così raggiunti dall’amore di Gesù, ed abilitati a camminare nella via

dell’amore vicendevole, andranno verso Gesù, lo raggiungeranno e si radicheranno in Lui.

In questo modo attraverso l’amore gli uomini realizzeranno la loro unità attorno a Gesù. In

questo modo Gesù ha realizzato la sua prerogativa di serpente di bronzo, ma anche la pre-

rogativa di radice di Iesse, di cui parla Isaia 11,12, che avrebbe radunato gli uomini. Ma il

Gesù che ha radunato gli uomini è l’agnello pasquale che permette il grande passaggio

dell’esodo da questo mondo al Padre. In questa prospettiva le due citazioni si rapportano in

una relazione dialogica: proposta-risposta. La proposta è nella prima citazione: «non sarà

spezzato alcun osso» che richiama tutto il processo di raduno di cui abbiamo parlato e che

possiamo proporre nel seguente modo:

1 – l’agnello pasquale; 2 – è innalzato; 3 – raduna gli uomini attraverso l’agape; 4 – li conduce al Padre in un cammino di Esodo.

La seconda citazione sta all’inizio di un processo che non riguarda più la proposta

di Gesù, bensì la risposta degli uomini, ed infatti, mentre nella prima citazione, Gesù è

soggetto passivo, nella seconda citazione il soggetto attivo sono gli uomini: «guarderan-

no». Il processo di risposta degli uomini è il seguente:

1 – guarderanno; 2 – la vista li porta alla fede; 3 – la fede li porta alla vita eterna.

Ma che cosa è la vita eterna in Giovanni? In 17,3 leggiamo: «questa è la vita eter-

na: che conoscano Te, unico vero Dio e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo». Tutto lo

sviluppo del capitolo 17 rivela che non si tratta di conoscenza intellettuale, ma di profondo

coinvolgimento nel Padre e nel Figlio, e questo è possibile solo quando attraverso Gesù si

raggiunge il Padre, ma per raggiungere il Padre, Gesù deve coinvolgere gli uomini e con-

Page 94: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

94

durli nell’esodo pasquale. Gli uomini debbono, mediante la fede, lasciarsi coinvolgere e la-

sciarsi condurre. Nell’opera di Gesù delineata e nella risposta degli uomini, si raggiunge il

Padre, si entra in comunione con Lui e questa è la vita eterna. Perciò “vita eterna” è il frut-

to di tutto un processo dinamico che parte proprio dal fatto che a Gesù non spezzano le

gambe e non lo tolgono via. In questa prospettiva emerge tutta la paradossalità della richie-

sta dei giudei, loro vogliono togliere Gesù e di conseguenza per Giovanni, in nome della

loro festa pasquale e del loro sabato, vogliono impedire la vera Pasqua e il vero sabato. La

vera pasqua è il passaggio al Padre e questa è la vita eterna.

GIOVANNI 19,28-30

I versi 28-30, come abbiamo già notato, sono abbastanza complessi. Come abbiamo

già notato, in questi versi, noi scorgiamo una struttura insieme alternata e concentrica. Pro-

poniamo il testo strutturato nel seguente modo:

1 – dopo ciò, sapendo Gesù che tutto era stato portato a compimento; 2 – perché si adempisse la scrittura dice “ho sete”; 3 – [un] vaso giaceva pieno di aceto, una spugna piena di aceto avendo posto ad un issopo, offrirono di lui alla bocca; 4 – quando prese l’aceto, Gesù disse: “tutto è stato portato a compimento”; 5 – e reclinato il capo donò lo Spirito.

Cominciamo da quest’ultima indicazione: «donò lo Spirito»: [������������������].

Questa espressione con il verbo «���������» non si può tradurre «spirò». Matteo

in 27,50 scrive: «�)����» dal verbo «�)�����», in Matteo sì possiamo tradurre «lasciò lo

Spirito», come anche in Marco leggiamo il verbo «�� �������» che vuol dire «spirò». An-

che in Luca leggiamo lo stesso verbo di Marco, cioè spirò, uscì fuori dallo Spirito. La frase

di Giovanni è più vicina a Matteo, e c’è un problema se per tanti versi il quarto evangelista

non abbia presente Matteo. Tuttavia la frase di Giovanni è singolare, l’espressione di Mat-

teo, “lasciò lo Spirito”, indica che Gesù uscì dallo Spirito, cioè morì, la frase di Giovanni

non si può intendere in questo modo. Il verbo usato «���������» implica il trasmettere a

qualcuno, affidare a qualcuno, ed a chi Gesù affidò? Luca dirà: «Padre nelle Tue mani af-

fido il mio Spirito». Ma questo è Luca, e del Padre nel contesto di Giovanni, non si parla

assolutamente. Piuttosto osserviamo che il verbo usato da Giovanni è lo stesso verbo usato

per il tradimento di Giuda. In 13,2 leggiamo «avendo il diavolo gettato nel cuore di Giuda

Page 95: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

95

[…] di tradirlo [�%�������]» , ma poi questo stesso verbo si legge ancora in 18,35 dove

Pilato esclama: «la tua gente ed i sacerdoti ti consegnarono a me, che cosa hai fatto?». Ma

Gesù davanti a Pilato replica nel verso seguente: «se il mio regno fosse di questo mondo, i

miei servi avrebbero combattuto perché non fossi dato in mano ai giudei». Ed infine in

19,16, l’evangelista scrive: «Pilato lo diede ai giudei perché fosse crocifisso». C’è perciò

tutta una serie di usi di questo verbo alla cui luce deve essere interpretato il verbo nel no-

stro testo. Rileggendo questi usi avremmo il seguente progresso:

1 – Satana induce Giuda; 2 – a consegnare Gesù [13,2 – 18,4]; 3 – Giuda consegna ai giudei [18,36]; 4 – i giudei consegnano a Pilato [18,35]; 5 – Pilato consegna i giudei perché fosse crocifisso; 6 – Gesù consegna lo Spirito.

In questo progresso emerge una grossa paradossalità ed una fortissima ironia, tutto

il cammino di Gesù a partire dal tradimento di Giuda è orientato verso quel punto culmine:

la consegna dello Spirito. Paradossalmente l’opera di Giuda, istigata da Satana, serve solo

a rendere Gesù capace a consegnare lo Spirito. In questa prospettiva, l’espressione di Gio-

vanni, sul piano storico, certo richiama la morte. Ma Giovanni sta descrivendo la morte

come il momento in cui Gesù consegna lo Spirito agli uomini. Questa descrizione è la pri-

ma di tre consegne dello Spirito. La prima è questa, la seconda è 19,34: «uscì sangue ed

acqua», la terza è 20,22: «Gesù soffia da risorto». Ripetendo il gesto della creazione quan-

do lo Spirito aleggiava sulle acque, sui discepoli, ai quali, dopo avere soffiato dice: «rice-

vete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati […]». Prescindiamo, almeno per il mo-

mento, dal senso specifico di questi tre testi, poniamo soltanto un problema che ha posto

già l’epoca dei Padri e che alcuni moderni hanno ripreso: che rapporto c’è tra l’effusione

dello Spirito, fondamentalmente ambienta alla croce in Giovanni, e la pentecoste lucana

trasferita alla Pentecoste? Non c’è dubbio che in Giovanni il testo centrale sia 19,34:

1 – 19,30: donò lo Spirito; 2 – 19,34: uscì sangue ed acqua; 3 – ricevete lo Spirito Santo.

Page 96: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

96

L’azione centrale è l’uscita; 19,30, Gesù dona; 20,22 esorta a ricevere. Alcuni Padri

seguiti da alcuni moderni hanno parlato di due effusioni [cronologiche] dello Spirito Santo:

quella giovannea e cinquanta giorni dopo, quella lucana, ma né l’effusione giovannea ap-

pare incompleta, né quella lucana presuppone un’altra effusione. Meglio dire che i due,

Luca e Giovanni, concordano su un punto fondamentale: la causalità di Gesù nell’effusione

dello Spirito Santo. Questo è il punto vero, la diversa prospettiva croce o pentecoste è do-

vuta non ad un fatto cronologico, ma teologico. Per la sua teologia, Giovanni incentra tutto

alla croce. Il vangelo di Giovanni ruota intorno alla croce e tutto Giovanni riassume in quel

evento. Fra l’altro lo Spirito Santo per Giovanni è dato in vista del raduno degli uomini che

avviene attorno alla croce di Gesù.

Luca invece è il teologo della storia della salvezza, e disloca i momenti del mistero

di Cristo in concomitanza alle varie tappe della storia della salvezza. L’ascensione è qua-

ranta giorni dopo, con richiamo dei 40 giorni di Mosè al Sinai o dei 40 anni che precedette-

ro l’ingresso nella terra promessa. La Pentecoste, o la festa delle settimane, antica festa a-

gricola nel tardo giudaismo, passò ad indicare il dono della legge. Sulla scia di Isaia 2,2-4,

Luca concepisce così: nel giorno i giudei celebrano il dono della legge è promulgata la

legge nuova. Ma torniamo a Giovanni e passiamo alle parole parallele: «ho sete». Queste

parole stranamente sono indicate allo scopo di portare a compimento le Scritture. È strano

perché Gesù doveva avere realmente sete.

Sabato 10 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Notiamo anzitutto come queste parole di Gesù sono riferite soltanto da Giovanni. In

queste parole si possono anche vedere le scritture, possiamo citare almeno due testi, il pri-

mo diretto, presente a tutta la tradizione evangelica, il Salmo 21 che scrive: «hanno messo

nel mio cibo veleno, nella mia sete mi hanno dato aceto». Tutti e quattro gli evangelisti ri-

prendono l’elemento dell’aceto, ma solo Giovanni menziona la sete. Si può citare un altro

testo indiretto, Isaia 55,1: «o voi tutti, assetati, venite all’acqua», ma è indiretto perché Ge-

sù non sta invitando gli assetati, ma egli che esprime la sua sete.

Questo testo deve essere relazionato poi a 7,37-39, dove Gesù dichiara: «chi ha sete

venga a me e beva». Ma l’allusione alla Scrittura non riguarda la conseguenza che è il do-

no dello Spirito Santo. E qui si possono richiamare non pochi testi dell’AT, dove è prean-

nunziato il dono dello Spirito, ma possiamo richiamare quello già citato in 19,34-37 di

Page 97: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

97

Zaccaria 12,10: «effonderò il mio Spirito di grazia e supplica e guarderanno a Colui che

hanno trafitto». Ma scendiamo ancora più a fondo e riferiamoci alle parole pronunziate da

Gesù: «tutto è stato portato a compimento». Queste parole indicano che Gesù ha portato a

compimento l’opera che il Padre gli ha dato. Possiamo citare 4,34: «il mio cibo è fare la

volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera». Si può ancora

citare 17,3, dove Gesù dichiara: «io ti ho glorificato sulla terra avendo compiuto l’opera

che mi hai dato da compiere», Gesù perciò sulla croce dichiara che è stata portata a com-

pimento l’opera che il Padre gli ha dato e, difatti, subito dopo segue: «avendo reclinato il

capo, donò lo Spirito»; nel dono dello Spirito, perciò, è portata a compimento l’opera che il

Padre gli ha dato.

Questo testo però, è ancora incompleto, ed ha bisogno di essere completato con al-

tri. Le parole: «è stato portato a compimento» dipendono da Isaia 55,11, dove a riguardo

della parola, si dice che non torna senza avere compiuto ciò che Dio ha voluto, dicendo

perciò: «tutto è stato compiuto», Gesù si rivela come quella parola che ha ricevuto da Dio

in compito, lo ha compiuto ed ora può ornare a Dio.

Ma scaviamo un pochino più a fondo. Il testo di 19,28-30, come abbiamo già indi-

cato, si relaziona a 13,1, dove l’evangelista scrive «����������������������������». Dalla pa-

rola «������» deriva il verbo «������» da cui si forma il perfetto medio «����������»

[messo sulla croce in bocca a Gesù].

Il termine «������» si legge in Giovanni solo in 13,1, il verbo «������» soltanto in

19,28-30. di conseguenza, l’evangelista riservando questa terminologia a questi soli testi,

automaticamente li relaziona, e perciò, nella scena che stiamo considerando è da vedere il

compimento dell’opera di amore. Ma il punto di contatto tra i due testi, può essere solo

un’azione. In 13,4 si dice «versa acqua», in 19,30 si legge «donò lo Spirito», ed è questo

l’unico punto di contatto. Ma il testo di 13,4 continua con l’acqua che Gesù versa, Gesù la-

va i piedi e soprattutto li asciuga. Ma continua anche il testo di 19,30, perché dopo c’è la

sezione del colpo di lancia, ma stiamo leggendo al contrario, e quindi al contrario, dopo c’è

la descrizione della formazione della donna-madre, alla quale è affidato il discepolo [versi

25-27], dopo c’è la descrizione della spartizione delle vesti e della tunica non scissa [versi

23-24], dopo ancora c’è il titolo della croce [versi 17-22]. A questo punto dobbiamo con-

cludere che 13,1, il compimento dell’opera di amore, è la chiave di lettura di tutte le cinque

scene del Calvario, come anche le cinque scene del Calvario sono la concreta descrizione

dell’opera di amore simbolicamente descritta in 13,2-5.

Page 98: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

98

Il confronto tra questi due testi diventa più complesso perché, mentre si illuminano

a vicenda, si relazionano in maniera di incastro. E allora lasciamo da parte questo confron-

to e continuiamo il nostro commento.

Rileggiamo ancora il nostro testo di 28,30 e ci accorgiamo di una stranezza: Gesù

compie due azioni, una centripeta ed una centrifuga; l’azione centripeta è dichiarare «ho

sete», l’azione centrifuga è «donò lo Spirito». Nel mezzo c’è la descrizione complessissima

dell’aceto. Evidentemente l’evangelista sta dando a questa descrizione tre punti:

1 - «�», punto di partenza: «ho sete»;

2 - «!», punto centrale: l’episodio dell’aceto;

3 - «I», punto finale: «donò lo Spirito».

Il primo testo che citiamo è Giovanni 4,7-15, l’episodio della Samaritana.

In questi versi, noi abbiamo la prima parte del dialogo tra Gesù e la donna Samari-

tana; anche qui emerge una relazione ad incastro:

1 – (19,28): «ho sete»; 2 – (4,7): «donna, dammi da bere»; 3 – (19,29-30): l’episodio dell’aceto; 4 – (4,15): «Signore, dammi di quest’acqua»; 5 – (19,30): «reclinato il capo, donò lo Spirito».

Al centro c’è l’episodio dell’aceto. Il testo non finisce qui perché Gesù dice «ho se-

te», e si richiama un altro testo, 7,37-39, dove è possibile un altro schema ad incastro:

1 – (19,28): «ho sete»; 2 – (7,37): «chi ha sete venga a me e beva»; 3 – (7,39): «fiumi dal suo seno escono di acqua viva»; 4 – (19,30): «donò lo Spirito».

Anche qui ci accontentiamo di indicare queste relazioni senza svilupparle, per non

smarrirci dal cammino che stiamo seguendo. Osserviamo soltanto che 19,28-30 è come un

nodo ferroviario dove si intersecano diverse linee; abbiamo già notato una linea che parte

dal colpo di lancia e va a finire a Cana.

Page 99: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

99

L’acqua portata a Cana è precisamente quell’acqua sgorgata dal costato di Cristo ed

è quest’acqua che diventa vino. Infatti abbiamo notato la seguente relazione:

1 – sangue; 2 – acqua; 3 – acqua; 4 – vino.

Al centro della descrizione abbiamo quella dell’aceto. Dal punto di vista storico,

che ha Gesù abbiamo dato simile bevanda è verosimile: si tratta probabilmente di una be-

vanda alcolica-acidula che i soldati bevevano.

Matteo e Marco riferiscono di due azioni di bere: una prima della crocifissione, da-

ta probabilmente ai condannati per stordirli, ubriacarli, non credo per attutire il dolore, ma

probabilmente per spezzare la resistenza, anzi, il modo come Marco si esprime, lascia pen-

sare che a Gesù sarebbe stata data ripetutamente lungo la strada e il tentativo ripetuto si

spiega col fatto che Gesù, sempre rifiutò.

La seconda offerta in cui tutti e quattro gli evangelisti concordano, è dopo la croci-

fissione. Ogni evangelista legge questo fatto alla sua maniera, Luca sembra dargli poca

importanza, ma questo fatto dell’aceto fu menzionato perché insieme all’episodio della

spartizione delle vesti ed insieme soprattutto alle parole riferite da Matteo e Marco: «Dio

mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» richiama il Salmo 21.

Il salmo 21, come possiamo sapere, è chiave di lettura in tutta la scena del Calvario,

già nella tradizione, prima ancora dei singoli evangelisti.

Il Salmo 21, che descrive il tormento del salmista, che sembra provenire da due

mani, di cui la prima potrebbe essere riferibile a Geremia, si apre poi a grande fiducia in

Dio e l’uso di questo salmo apre il Calvario verso la prospettiva della resurrezione.

Giovanni riprende quest’episodio e, anzitutto, lo colloca strutturalmente in posizio-

ne centrale e pone delle difficoltà. Il testo suona: «(un) vaso giaceva pieno di aceto».

Questa frase rivela la prima difficoltà: come facciamo l’analisi logica? Che cos’è

vaso, soggetto o predicato? Cioè un vaso giaceva o giaceva come vaso? Cioè riferito ad un

soggetto alluso ma non espresso, soprattutto quel verbo «giaceva» sorprende.

È il vaso il soggetto o Gesù sottinteso come vaso? Nel quarto vangelo si prediligo-

no i contenitori: pozzo della Samaritana; ma prima ancora lo suggerisce il verbo «attinge-

Page 100: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

100

re» a Cana; ancora la piscina di Siloam; ancora al capitolo 7 si legge: «fiumi dal suo seno

escono di acqua viva»; il costato aperto.

Il testo continua così: «una spugna piena di aceto, avendo posto ad un issopo

(Sinottici = canna) offrirono di lui alla bocca». Anche qui c’è una descrizione difficilissi-

ma: anzitutto la menzione all’issopo (mentre i sinottici parlano di canna), e questa parola

issopo (ramoscello), tanto importante nelle aspersioni rituali levitiche, qui fa difficoltà. Ec-

co perché diversi autori hanno invocato una corruzione testuale, attribuendo le lettere ad

altre parole.

Forse è meglio lasciare il testo così come sta. La canna è un oggetto rigido, l’issopo

è una pianticella flessibile e l’obbiezione è quella che una pianticella flessibile non poteva

reggere una spugna inzuppata che ha il suo peso. Ma forse qui starebbe il vero significato:

la pianticella descrive una curva che mi da l’idea più che di porgere, di attingere.

Un terzo problema: dice il testo che «lo presentarono alla sua bocca». Domanda:

chi è il soggetto di quel verbo plurale? I soldati, storicamente si, ma in Giovanni? Che nella

scena precedente, nel giro di pochi versi, menziona due volte i soldati perché lascia questo

verbo indeterminato, quando non è nel suo stile? O forse il soggetto plurale sarebbe

l’ultimo soggetto plurale menzionato. L’ultimo soggetto menzionato sono le donne dei ver-

si 225-27.

Giovanni sta descrivendo l’azione di dar da bere a Gesù o quella di attingere ad un

pozzo? Lasciamo aperta la domanda. Notiamo però due cose: anzitutto una relazione alla

Samaritana, la quale chiede: «Signore, non hai come attingere, e il pozzo è profondo. Don-

de hai quest’acqua?». La samaritana pone il problema del pozzo, Gesù non risponde a

questa domanda, ma passa subito a dire che l’acqua che egli dà diventa fonte che sgorga

per la vita eterna e chi ne beve non avrà mai più sete.

Resta perciò aperto il problema del pozzo: e se la risposta fosse in 19,29, di attinge-

re quest’acqua da quel pozzo?

In ogni caso, emerge una relazione a domanda e risposta. L’anonimo soggetto

compirebbe l’azione di attingere (domanda) e, in questo caso, la bocca a cui portano non è

la bocca fisica di Gesù o meglio, la bocca di Gesù, ma non è una bocca a cui si dà, ma una

bocca da cui si prende. E la risposta è: «reclinato il capo donò il suo Spirito».

Emerge però una relazione tra lo Spirito e l’aceto. Se questo senso è vero, perché

Giovanni scrive: «giaceva»? è un verbo che richiama la sepoltura?

Page 101: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

101

Diciamo soltanto che se intendiamo così questa scena dell’aceto, essa costituisce

ottimo legame tra due cose: tra anzitutto «ho sete» e «donò lo Spirito», ma soprattutto tra il

colpo di lancia e la presenza delle donne sotto la croce.

Le donne (versi 25-27). La terza scena comincia così:

1 – stavano «-��������������»; 2 – presso la croce di Gesù; 3 – la madre di Lui; 4 – e la sorella della madre di Lui; 5 – Maria di Clopa; 6 – e Maria Maddalena.

La frase è molto lunga, ma si riduce ad una costruzione molto semplice di tre ele-

menti:

1 – verbo; 2 – complemento di luogo; 3 – soggetto.

Notiamo un progresso quantitativo: verbo = una sola parola; complemento = quat-

tro parole; il soggetto è lunghissimo.

Cominciamo dal soggetto: le donne. Giovanni concorda con i sinottici nel menzio-

nare le donne, ma discorda in molti punti:

1) nella lista delle donne dei sinottici, al primo posto c’è Maria Maddalena, Giovanni la relega all’ultimo posto;

2) al primo posto menziona la madre di cui non si fa il benché minimo accenno nei vangeli sinottici;

3) chi è questa sorella di sua madre? 4) Chi è Maria di Clopa? 5) Clopa è un genitivo di appartenenza, ma Clopa è padre o sposo di Maria; 6) La differenza più importante: i sinottici menzionano le donne al momento della

sepoltura, e la loro menzione diventa un legame tra l’episodio della sepoltura e gli episodi dell’esperienza pasquale. Giovanni invece le colloca presso la croce. Che valore ha quel «presso» la croce?, storico o spirituale?

Page 102: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

102

Giovedì 15 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Avevamo notato la struttura quasi piramidale della descrizione di Giovanni. Tutto il

testo si può strutturare nel seguente modo:

1 – stavano; 2 – presso la croce di Gesù; 3 – la madre di Lui e la sorella della madre di Lui,

Maria di Clopa e Maria di Magdala.

Questa lunga descrizione è molto semplice nella sua articolazione sintattica: essa si

compone di tre elementi:

1 – un verbo, lungo nella sua formulazione [�����������]; 2 – un complemento di luogo; 3 – un lungo soggetto.

Emerge così una struttura piramidale che parte dall’unico verbo e culmina in un

lungo soggetto articolato, o al contrario parte da un unico soggetto articolato e culmina ri-

salendo verso l’unico verbo. Questa presentazione grafica ci suggerisce una tensione nel

testo tra una pluralità che converge verso un’unità oppure una unità che si articola in una

pluralità. Questa descrizione delle donne, apparentemente semplice è carica di non pochi

problemi. Li elenchiamo per il momento senza però dare subito risposta. Cominciamo dal

soggetto, osserviamo quattro elementi:

1 – la madre di Lui e, 2 – la sorella della madre di Lui; 3 – Maria di Clopa, 4 – e Maria Maddalena.

Emerge subito un problema sintattico: l’evangelista mette una congiunzione tra il

primo e il secondo elemento, come anche colloca una congiunzione tra il terzo e il quarto

elemento, non la mette invece tra il secondo e il terzo elemento. Come si intende allora il

terzo elemento? È un nome distinto oppure una apposizione del nome precedente? Quante

erano le donne presso la croce? vedremo che la risposta viene da una distinzione che biso-

gna fare tra il piano storico e il piano letterario.

Page 103: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

103

Un secondo problema è dato dalla particella «���» [presso], che valore diamo a

questa particella? locale o spirituale? Un terzo problema: perché l’evangelista scrive «pres-

so la croce di Gesù» e non “presso Gesù in Croce”? Ancora: quale è il valore di quel verbo

«stavano»? che l’evangelista enfatizza separandolo, mediante la particella «���» da tutti gli

elementi seguenti.

Cominciamo dal soggetto. L’evangelista nell’elenco delle donne, in parte concorda,

in parte diverge [e anche sostanzialmente] dalla tradizione sinottica.

Intanto una prima osservazione è importante: mentre Matteo, Marco e Luca le men-

zionano due volte: dopo la morte di Gesù e nell’esperienza pasquale, Giovanni invece le

colloca una sola volta presso la croce. Secondo i vangeli sinottici le donne concludono

quasi la narrazione della crocifissione, ma insieme anche, concludono la narrazione della

sepoltura; le ritroveremo poi nei racconti dell’esperienza pasquale. Sembra che nei sinottici

le donne costituiscano quasi un legame tra la narrazione della passione e gli eventi pasqua-

li.

La seconda differenza è nella identificazione delle donne. Possiamo proporre uno

specchietto di confronto:

1 – DOPO LA CROCIFISSIONE MATTEO 27,56 MARCO 15,40 LUCA 23,49

1 – Maria Maddalena 1 – Maria Maddalena Donne in genere 2 – Maria, quella di Giaco-mo e di Giuseppe madre

2 – Maria di Giacomo, il minore e di Giuseppe madre

3 – la madre dei figli di Ze-bedeo 3 – Salome

2 – DOPO LA SEPOLTURA MATTEO 27,61 MARCO 15,47 LUCA 23,55

1 – Maria Maddalena 1 – Maria Maddalena Donne in genere 2 – l’altra Maria 2 – Maria di Giuseppe

3 – ESPERIENZA PASQUALE MATTEO 28,1 MARCO 16,1 LUCA 24,1

1 – Maria Maddalena 1 – Maria Maddalena Le donne in genere 2 – l’altra Maria 2 – Maria di Giacomo LUCA 24,10

3 – Salome 1 – Maria Maddalena 2 – Giovanna 3 – Maria di Giacomo

Page 104: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

104

Non entriamo nel labirinto dei sinottici, dove ogni tentativo di identificazione è va-

lido ed ipotetico della tradizione sinottica è sufficiente notare tre cose:

1 – il numero delle menzioni [3 volte], e la posizione [dove sono menzionate]; 2 – il numero appare fluttuante [tra 2-3], ma c’è la tendenza verso il numero tre; 3 – in tutte le liste il primo nome è sempre Maria Maddalena

[evidentemente questo nome rimase fisso nella tradizione].

Giovanni non smentisce la tradizione, nella esperienza pasquale si ricollegherà ad

essa operando anche un mutamento, mentre i sinottici elencano diverse donne,

nell’esperienza pasquale Giovanni ne menziona una sola: Maria Maddalena, di cui descrive

diffusamente l’esperienza. Tornando alla lista della croce, Giovanni concorda con la tradi-

zione menzionando Maria Maddalena, discorda in quanto la disloca all’ultimo posto, men-

tre riserva il primo ad un personaggio di cui i sinottici non dicono nulla: la madre. Giovan-

ni menziona ancora, Maria la sorella di sua madre, chi è questa sorella? Gli interpreti si

sforzano di identificarla, ma Giovanni non la identifica e restiamo al testo perché

all’evangelista interessa, non chi sia questa donna, ma la sua relazione alla madre di Gesù.

Rimane misteriosa la figura di Maria di Cleopa, questo Cleopa non compare mai nella tra-

dizione sinottica, è vero che uno dei due discepoli di Emmaus si chiamava Cleopa, però

nella autorizza ad identificare ed inoltre il termine «Clopa» giovanneo ed il termine «Cleo-

pa» lucano possono avere diversa origine.

Qui poniamo il problema del numero delle donne, il fatto che l’evangelista non

metta congiunzione tra la seconda e terza espressione induce a leggere la terza come appo-

sizione della seconda. Storicamente perciò Maria di Clopa era il nome della sorella della

madre di Gesù. Le donne per Giovanni storicamente dovrebbero essere tre ed in ciò con-

corderebbe con la tradizione sinottica che sottolinea il numero tre.

Tuttavia è errato fermarsi su questo problema storico ma bisogna guardare a studia-

re il testo dal punto di vista letterario perché questo veicola il pensiero dell’evangelista.

Benché insinui che le donne siano tre storicamente, in realtà l’evangelista crea

quattro frasi letterarie, quantitamente proporzionate. L’evangelista con la congiunzione

stabilisce un legame tra prima e seconda frase, come anche tra terza e quarta, ma l’assenza

di congiunzione tra seconda e terza determina un salto, quasi un vuoto.

Consideriamo adesso le quattro frasi. Le quattro frasi, pur letterariamente quattro

permettono un primo raggruppamento: si possono raggruppare a due a due, le prime due si

Page 105: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

105

raggruppano per il termine «madre», le altre due si raggruppano per il nome «Maria». E-

merge così nelle quattro frasi il binomio madre-Maria, questo binomio caratterizza la ma-

dre di Gesù, sia in Matteo 1,18 «essendo sposa la madre di Lui, Maria a Giuseppe», sia nel

racconto lucano dell’Annunciazione. Giovanni che parla due volte della madre di Gesù non

ci dà il nome Maria, tuttavia contiene una allusione che in certo senso orienta nella inter-

pretazione.

Osserviamo nelle quattro frasi, quattro diverse relazioni. Nella prima frase leggia-

mo l’espressione «la madre di Lui»: la relazione della madre è “a Lui”, cioè a Gesù. No-

tiamo però che l’evangelista non scrive la “Madre di Gesù”, ma «la madre di Lui»: il nome

“Gesù” è collocato in un posto particolare che diremo.

La seconda espressione è: «la sorella della madre di Lui». Credo che non importi

all’evangelista la concreta entità storica, ma importa la duplice relazione che questa donna

ha, diretta alla madre ed indiretta a Gesù. In questa seconda frase c’è la relazione a Gesù,

ma indiretta: passa attraverso la madre.

Nella terza espressione, «Maria di Clopa», troviamo un’altra relazione. Il genitivo,

«di Clopa», può avere due sensi: o moglie di Clopa, o figlia di Clopa; ma all’evangelista

non interessa nemmeno se sia moglie o figlia [forse moglie dal confronto con i sinottici],

ma gli interessa la relazione ad una persona umana.

La quarta espressione è «Maria Maddalena». Maddalena, proviene da Magdala,

che è una città e perciò la quarta espressione stabilisce una relazione con un luogo materia-

le.

Possiamo allora capire dalla analisi di queste relazioni perché l’evangelista metta

Maddalena al quarto posto, non si tratta di sminuire una persona centrale nella riflessione

sinottica ma gli interessa la relazione che lei permette di stabilire.

Riassumendo nella descrizione delle donne emergono quattro relazioni diverse:

1 – diretta a Gesù; 2 – diretta alla madre ed indiretta a Gesù; 3 – ad una persona umana; 4 – ad un luogo.

Page 106: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

106

Leggendo queste quattro relazioni all’inverso c’è un cammino progressivo verso

Gesù, però nella madre, che pur ha relazione a Gesù, ancora Gesù non si raggiunge: non è

casuale il fatto che la menzioni come «la madre di Lui». Possiamo stabilire una relazione

tra due espressioni:

a) la madre a) la croce b) di Lui b) di Gesù

Il nome «Gesù» è riservato alla croce, ciò indica che per raggiungere Gesù bisogna

passare attraverso una strada che è la croce. Tra Gesù e le donne ci sta di mezzo la croce, le

donne infatti non stanno presso Gesù, ma presso la croce di Gesù.

Vogliamo considerare, ancora più attentamente, le relazioni sopra proposte,

l’evangelista nel suo vangelo, altre volte presenta analoghe relazioni, ne citiamo tre in par-

ticolare:

- Gesù; - Pietro; - Giuda.

Di Gesù non descrive un passaggio in sé stesso, bensì un passaggio nella compren-

sione degli uomini. Ed a riguardo possiamo citare due testi: Giovanni 1,45 ed 1,49, cioè il

modo come Filippo presenta Gesù a Natanaele e la professione di fede a cui perviene Na-

tanaele, il secondo testo è in Giovanni 6,42, dove si legge la obiezione dei giudei di fronte

alla dichiarazione di Gesù di essere il pane vivo disceso dal cielo. È utile considerare questi

testi cominciando da 6,42, nel verso 41 Gesù dichiara: «Io sono il pane vivo disceso dal

cielo», a questa dichiarazione i giudei contrappongono: «non è costui Gesù il figlio di Giu-

seppe di cui noi conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “sono sceso dal

cielo”?». Alla pretesa di Gesù di una origine celeste, i giudei contrappongono la sua di-

mensione terrena, relegano Gesù nella dimensione terrena, negano che sia disceso dal cie-

lo, di conseguenza negano che possa diventare pane, ma automaticamente negando che

Gesù sia il pane disceso dal cielo, i giudei si escludono dalla vita eterna perché il pane è

appunto finalizzato alla vita eterna.

Diverso è il caso di Natanaele, Filippo indica Gesù a Natanaele con le parole: «Co-

lui di cui scrisse Mosè nella legge ed i profeti, abbiamo trovato, Gesù il figlio di Giuseppe

da Nazareth». Filippo dà due indicazioni di Gesù: una relazione ad un uomo [figlio di Giu-

Page 107: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

107

seppe] ed una relazione ad un luogo [da Nazareth]. La professione di fede di Natanaele si

relaziona alla presentazione di Filippo, possiamo stabilire la seguente relazione strutturale:

FILIPPO NATANAELE 1 – quello di cui scrissero Mosè ed i profeti; 2 – Gesù figlio di Giuseppe; 3 – da Nazareth;

1 – Rabbì; 2 – Tu sei il Figlio di Dio; 3 – Re sei di Israele

Per dirla in breve, la formulazione di Filippo e Natanaele, messi insieme, da una

parte descrivono, nella comprensione degli uomini il superamento della dimensione terrena

verso una dimensione ultraterrena. Nello stesso tempo danno una storia completa in tre

momenti:

1 – annunzio dell’antico testamento; 2 – la dimensione terrena di Gesù; 3 – il superamento di tale dimensione,

nella sottolineatura che Gesù è il Figlio di Dio.

Possiamo notare che dietro la presentazione di Filippo e la professione di fede di

Natanaele si nasconde il titolo della croce che presenta pure il superamento della dimen-

sione terrena, ed infatti Gesù Nazareno richiama Filippo, re dei Giudei richiama Natanaele

[Re sei Tu di Israele].

Diverso è il caso di Pietro per il quale il discorso è più complesso, ma possiamo

stabilire anzitutto una relazione tra 1,42 e 21,15-17:

1,42: «tu sei Simone il figlio di Giovanni, tu sarai chiamato Kefás»; 21,15-17: «Simone di Giovanni […] pasci le mie pecore».

Il discorso di Pietro è molto complesso, detto in soldoni, notiamo un duplice pas-

saggio di Pietro, da una paternità terrena [figlio di Giovanni] a Kefás [pietra], come anche

il passaggio e perciò il superamento della dimensione terrena, da Simone di Giovanni al

pascere il gregge di Cristo. Possiamo notare un’altra relazione: tutto il capitolo sesto, cioè

l’episodio dei pani è incentrato su una duplice menzione di Pietro. In 6,8 si dice che An-

drea era fratello di Simon Pietro. Il capitolo sesto si conclude con la professione di fede di

Pietro: «Tu sei il Santo di Dio», ma Andrea e Pietro in 1,44, sono presentati come prove-

nienti da Betsaida: da Betsaida, luogo terreno, comincia per Pietro un cammino che lo por-

Page 108: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

108

ta a professare che Gesù è il Santo di Dio: Pietro ha superato sia la paternità terrena, sia un

luogo terreno.

Il terzo esempio che citiamo è quello di Giuda, qui il discorso è più complesso, ma

l’evangelista tre volte menzione Giuda, Giuda di Simone Iscariota [relazione ad un uomo

ed a una città].

Venerdì 16 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

A riguardo di questa espressione notiamo tre testi altissimamente drammatici: 13,2;

13,26 e infine 6,70-71.

In 13,2 leggiamo l’espressione: «avendo il diavolo gettato nel cuore di Giuda di Simone Iscariota di tradirlo». In 13,26 leggiamo: «prende il boccone lo dà a Giuda di Simone Iscariota e dopo il boccone Satana en-trò in lui». Infine in 6,70 leggiamo: «uno di voi è diavolo, diceva di Giuda di Simone Iscariota che stava per tradir-lo».

I testi riguardanti Giuda sono complessissimi, ci limiteremo perciò soltanto a qual-

che breve osservazione. Notiamo intanto i testi del capitolo 13 dove possiamo stabilire la

seguente relazione strutturale:

1) avendo il diavolo gettato nel cuore; 2) di Giuda di Simone Iscariota; 3) lo dà a Giuda di Simone Iscariota; 4) dopo il boccone, Satana entrò in lui.

Questo schema rivela diversi aspetti. Anzitutto la relazione tra Giuda e il diavolo,

inoltre un progresso nella presenza del diavolo. Il diavolo, prima esercita un’azione nel

cuore di Giuda, tale azione, in maniera antitetica richiama Geremia 31: «pongo la mia leg-

ge nel loro cuore». Il diavolo ha impresso nel cuore di Giuda una legge che lui ha accolto

ed ha amato.

Page 109: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

109

In 13,27, Satana entra in Giuda, quasi a prendere possesso. Il discorso qui è molto

più complesso. Ci permettiamo soltanto di proporre uno schema strutturale e qualche breve

osservazione. Lo schema strutturale è il seguente:

A) (13,1): l’opera di amore; 1) avendo il diavolo gettato nel cuore; 2) di Giuda di Simone Iscariota; 3) di tradire (��������� – alienare); A1) (13,26): avendo intinto il boccone lo prende; 4) lo dà; 5) a Giuda di Simone Iscariota; 6) dopo il boccone Satana entrò in lui.

A noi non interessa il problema del tradimento, né il problema dell’opera di amore

in relazione a Giuda. Interessa soltanto la relazione Satana-Giuda. Notiamo infatti, il pro-

gresso:

1) 13,2: avendo il diavolo gettato nel cuore; 2) 13,27: Satana entrò in lui; 3) 6,7: uno di voi è diavolo.

Abbiamo allora un progresso: Satana suggerisce, prende possesso, Giuda diventa

diavolo. Possiamo allora riassumere nel seguente modo: in Gesù si nota, nella comprensio-

ne degli uomini, il passaggio dalla dimensione terrena a quella celeste.

In Pietro, il passaggio avviene nella sua stessa persona: passa cioè da Simone di

Giovanni e da Betsaida a diventare pastore e Kefás [fondamento].

Giuda non opera alcun passaggio, anzi l’evangelista sottolinea con insistenza la sua

dimensione terrena, ma Giuda non resta nemmeno nella dimensione terrena, egli scende

fino alla dimensione del diavolo. È interessante notare ancora il capitolo 6, dove Gesù

menziona Giuda dopo la professione di fede di Pietro.

Pietro e Giuda si sono trovati nella stessa situazione di fronte all’opera di Gesù.

Anche Pietro rischiò di rifiutare l’opera di amore, rifiuto che simbolicamente l’evangelista

descrive nella frase: «non mi laverai mai i piedi». Qui emerge la differenza tra i due: Pietro

è uscito fuori e attraverso la via dell’amore, è pervenuto alla sua funzione di fondamento

che si attua nella professione di fede davanti al pane. Giuda ha obbedito al diavolo che ne

ha preso il possesso, non è uscito ed è rimasto nella condizione terrena fino ad essere lui

stesso diavolo.

Page 110: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

110

Non interessavano né i testi riguardanti Gesù, né quelli riguardanti Pietro, né quelli

riguardanti Giuda, in sé stessi, ma interessavano soltanto nella misura che attestano il pas-

saggio da una dimensione terrena ad una dimensione ultraterrena.

Ciò ci permette di cogliere analogo cammino nella descrizione delle donne in

19,25. È chiaro che la prospettiva dell’evangelista va oltre le figure concrete a cui si riferi-

sce; attraverso quelle figure delinea un cammino che:

1) parte da un luogo terreno (Maria Maddalena); 2) passa attraverso una persona terrena (Maria di Clopa); 3) si avvicina a Gesù attraverso la madre (la sorella di sua madre); 4) giunge alla madre.

In questa descrizione la tensione è verso la madre. C’è un cammino verso la madre,

la quale poi ha relazione con Gesù. Ci sembra di cogliere due cammini: un primo cammino

verso la madre ed un secondo cammino verso Gesù.

Emergono non pochi problemi. Anzitutto se è vera la prospettiva di questo cammi-

no, che cosa lo ha determinato? Una seconda domanda è questa: abbiamo notato come

l’evangelista non mette congiunzioni fra il secondo e il terzo elemento. Perché non la met-

te? Ma osserviamo che la congiunzione manca tra i due elementi di dimensione terrena e i

due elementi che relazionano a Gesù. Evidentemente l’evangelista evita di stabilire una

continuità, ma ci da l’idea di un salto, di un superamento. Che cosa determina il supera-

mento?

Quando ai due problemi che abbiamo indicato, cioè che cosa determina il progresso

nel cammino delineato attraverso le quattro frasi e che cosa determina quel salto tra le ul-

time due frasi e le prime due, il testo direttamente non indica nulla. Siamo perciò costretti a

riprendere altri elementi dal resto del vangelo.

Per rispondere alla prima domanda ci riferimmo al testo di 12,32, dove

l’evangelista scrive: «e io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». L’allusione

a tale testo è possibile per il fatto che tutto il cammino è orientato verso la figura della ma-

dre e, attraverso di esso, alla croce di Gesù.

In questa prospettiva possiamo dire che il cammino è determinato da Gesù stesso

mediante la forza di attrazione che si verifica alla sua esaltazione. Ci sembra di scorgere in

questo cammino verso la croce di Gesù, una forza che parte dalla croce di Gesù ed attira a

Page 111: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

111

sé. In questo modo noi avremmo l’attrazione concreta di quell’annunzio proposto in 12,32

(attirerò tutti a me).

Che cosa, inoltre, determina il salto? Qui ancora la risposta è più ipotetica, ma ci

permettiamo di proporla ugualmente, stabilendo una analogia con la vicenda di Pietro. Ciò

che ha permesso a Pietro (Cfr. Giovanni 21) di superare la sua condizione terrena, è stato

l’evento dell’amore di Gesù. Nel cuore del suo rinnegamento, Pietro è stato raggiunto

dall’amore di Gesù, e attraverso la via dell’amore, ha superato la sua situazione ed ha rag-

giunto Gesù.

A riguardo delle donne, l’evangelista non lo dice, però simile prospettiva si può,

credo, presupporre, anche perché ad essa si può arrivare per altra via. Ma prima di proporre

quest’altra via, arriviamo al verbo principale: «stavano», che l’evangelista enfatizza, come

abbiamo già indicato, sia perché lo pone al primo posto, sia perché lo separa dal resto della

descrizione mediante la particella «���».

Il verbo «stavano» è un verbo di stasi e si potrebbe fare una domanda: perchè

l’evangelista scrive «stavano» e non invece «erano»? Questa domanda ci ha costretti a ri-

cercare questo stesso verbo «stare» (�%���������al perfetto) in tutto il vangelo e ci siamo ac-

corti che esso non indica soltanto una posizione locale, ma indica un profondo essere radi-

cati. Basta citare qualche testo particolare, Giovanni 3: «l’amico dello sposo che sta ed a-

scolta». Giovanni parla di sé stesso e si definisce come l’amico dello sposo, profondamen-

te radicato, ma nel suo essere radicato compie una attività: quella di ascoltare.

Tornando al discorso delle donne, esse stavano, ma l’autore poi aggiunge: «presso

la croce di Gesù». Ci sono perciò due aspetti: uno stare assoluto ed uno stare relativo. Co-

me assoluto indica la posizione che le donne hanno raggiunto; come relativo il luogo pres-

so cui sono radicate.

In senso assoluto, il verbo stare presuppone l’azione di giungere. Ma prima di

giungere bisogna arrivare, bisogna camminare. Quando queste donne hanno compiuto que-

sto cammino? Nel vangelo non si dice nulla, non si parla di donne che seguivano Gesù. Il

cammino deve essere cercato nella descrizione delineata nelle frasi che abbiamo indicato.

Ma, a questo punto, possiamo confrontare questo verbo con un altro verbo ugualmente di

stasi, il verbo rimanere (����), e qui dovremmo richiamare dei testi particolari. Ma ne ri-

chiamiamo uno solo, Giovanni 15,10, dove l’evangelista scrive: «come il Padre ha amato

me, così anch’io voi amai, rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti,

rimarrete nel mio amore». Rimanere nell’amore di Gesù è il termine di un cammino. Nel

Page 112: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

112

testo di 15,9-10 c’è un cammino discendente, l’evento dell’amore di Gesù, a cui segue un

cammino ascendente, raggiungere Gesù e rimanere nel suo amore.

Il cammino per raggiungere Gesù è rimanere nel suo amore, è l’osservanza dei suoi

comandamenti, e questi, alla luce di 13,34 (vi do un comandamento nuovo: che vi amiate

gli uni gli altri, come io voi amai), sono l’amore vicendevole.

Raggiunti dall’amore di Gesù, inizia un cammino che passa attraverso l’amore vi-

cendevole e porta a giungere e rimanere nell’amore di Gesù.

Possiamo stabilire un confronto con la descrizione delle donne e ciò costituisce

l’altra strada che ci permette di sottintendere nella descrizione della donne, ancora la pro-

spettiva dell’agape. Il confronto è il seguente:

STAVANO RIMANETE VERBO DI STASI presso la croce di Gesù nel mio amore stato in luogo

Possiamo allora concludere in due aspetti: un primo aspetto lo deduciamo da tutto

l’insieme del vangelo, la forza di attrazione che parte dalla croce di Cristo è appunto

l’evento del suo amore il cammino che permette di superare la dimensione terrena ed o-

rienta a Gesù: è la via dell’agape. Riteniamo che tutta la teologia giovannea dell’agape il-

lumini bene la descrizione delle donne in Giovanni 19,25.

Ma c’è un altro testo che può ancora illuminare: si tratta di Giovanni 111,50-51.

Caifa aveva detto che «è opportuno che uno solo muoia per il popolo e non perisca tutta la

gente».

L’evangelista commenta che doveva morire non solo per la gente, ma anche per re-

dimere i figli di Dio che erano stati dispersi. Nella descrizione delle donne, si può vedere

questo raduno in unità. In questo contesto è ben difficile dare all’espressione: «presso la

croce di Gesù» una connotazione prettamente materiale. Una connotazione materiale con-

traddirebbe la realtà dei fatti, è difficile immaginare che quelle donne fossero materialmen-

te presso la croce, in un luogo di esecuzione capitale. In questo senso, sarebbero più storici

i sinottici, secondo i quali le donne stavano da lontano. Anche nei sinottici l’indicazione

«stavano da lontano» ha un senso teologico-spirituale, però indica meglio la realtà storica.

Il problema giovanneo non è locale, ma è spirituale. Esso presenta questa comunità di don-

ne, tra cui primeggia la madre, radunata e radicata presso la croce di Gesù.

Page 113: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

113

Sabato 17 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

In questo testo giovanneo è Maria la madre di Gesù? Dovremmo rispondere si e no.

Si perchè l’evangelista riprende quella figura concreta e non c’è dubbio che parlando della

madre di Gesù egli allude alla figura concreta storica, sia in questo brano come a Cana.

Tuttavia non pare che l’evangelista, pur alludendo a quella figura storica, voglia sottolinea-

re quella figura. In altre parole, pur menzionando la madre, il suo obiettivo non è quello di

parlare della madre. Ciò per due motivi: il primo è più generale, quando l’evangelista ri-

prende una figura concreta non la riprende nella sua semplice entità personale, ma la ri-

prende in maniera emblematica, come simbolo di una realtà più grande. Il secondo motivo,

invece, è il testo specifico: Maria non si può staccare da quella comunità di donne presso la

croce. Tuttavia non si può nemmeno negare che in quella comunità essa abbia un posto ri-

levante, sia perché è menzionata la prima, sia perché verso di lei tende tutto il processo di

dinamismo che abbiamo delineato. In questo contesto ci permettiamo di dire la nostra in-

terpretazione. Anzitutto negativamente il testo non permette certe prospettive devozionisti-

che ma positivamente ci sembra di scorgere una tensione tra una singolarità ed una plurali-

tà; Maria è presente, ma in quanto figura simbolica di una unità formatasi attorno alla croce

di Cristo, o al contrario quella unità formatasi attorno a Gesù trova la sua concreta manife-

stazione nella madre di Gesù. Una conferma dell’interpretazione che abbiamo dato ci sem-

bra di scorgerla in 19,25. In 19,25, dopo il verbo «-����������» ci sta la particella «���»

che non si traduce, ma che assume una importanza particolare dal punto di vista strutturale.

Anticipando quello che diremo in seguito, a riguardo dei versi 23-24, cioè la tunica non

scissa, osserviamo che quella particella «���» sta in relazione ad una parola della frase pre-

cedente. La particella «���» sta in relazione con la particella «�� » del verso precedente.

Prima l’evangelista scrive: «i soldati fecero queste cose», poi scrive: «stavano presso la

croce di Gesù», le due particelle «�� » e «���», legano le due scene, l’azione dei soldati e la

scena delle donne. Rimandando ad un secondo momento ulteriori precisazioni,

l’evangelista narra che i soldati presero le vesti e ne fecero quattro parti. Per la tunica, dopo

avere notato il suo carattere inconsutile [senza cuciture], fa dire ai soldati: «non straccia-

mola, ma tiriamo a sorte per vedere di chi è». Rimangono sospese due domande: tirare a

sorte, l’evangelista non dice che tirarono a sorte, in secondo luogo l’evangelista non dice di

chi è la tunica. Certo la scena della tunica ha bisogno di essere completata con l’immagine

della rete del capitolo 21, ma la vera risposta di chi è la tunica si ha in 19,25, in quello sta-

Page 114: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

114

vano presso la croce. La tunica di Gesù di cui è rivestito è precisamente quella comunità di

donne. Come abbiamo detto mostreremo a suo tempo ulteriori particolari ma adesso vo-

gliamo sottolineare una sola cosa: il crocifisso giovanneo non pare nudo, è rivestito della

sua tunica fatta di quella comunità di donne. Possiamo anche osservare che a questa comu-

nità di donne rimanda quel asciugatoio di cui Gesù si è cinto prima di lavare i piedi dei di-

scepoli.

Abbiamo così esaurito la descrizione delle donne, ma notiamo nel verso 26. il verso

26 incomincia con il nome proprio «��������» seguito dalla particella «�� », queste particel-

le non si traducono, ma hanno un grosso valore strutturale, l’azione di Gesù parte come

conseguenza logica dalla scena precedente. Possiamo notare anche una relazione dialogica

tra il verso 25 e il verso 26. nel verso 25, Gesù è il punto di riferimento a cui tendono le

donne, cioè le donne verso Gesù. Nel verso 26 è il contrario: Gesù verso la madre. Questa

osservazione ci aiuta a capire l’ampiezza della parola madre. Andiamo alla parola madre,

facciamo una prima osservazione: nel verso 25 due volte la parola madre è usata in manie-

ra relativa, cioè seguita dal pronome «������», perciò madre di Lui. Nel verso 26 Gesù dirà:

«Ecco la madre di te» [al discepolo], ancora un uso relativo, ma nel verso 26 al principio,

leggiamo: «avendo visto la madre», in maniera assoluta eppure l’evangelista poteva benis-

simo dire “la sua madre” come ha fatto due volte prima. Ciò, a mio parere, pone il proble-

ma: chi è la madre? È la semplice persona concreta di Maria o tutta la comunità che assur-

ge a madre e che giunge alla prerogativa di madre in assoluto? Possiamo infatti stabilire

due tipi di struttura:

1 – la madre di lui – la madre di lui; 2 – la madre; 3 – donna � ecco tuo figlio; 4 – madre di te.

Page 115: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

115

Tra due maternità relative è menzionato il binomio donna-madre in assoluto. Pos-

siamo anche proporre un altro schema in questo modo:

1 – stavano; 2 – presso la croce di Gesù; 3 – la comunità di donne; 4 – Gesù; 5 – avendo visto; 6 – la madre.

Tutte queste osservazioni ci portano a concludere che la madre che Gesù vede pres-

so la croce non è soltanto la persona singola di Maria, ma è quella tensione tra unità e plu-

ralità che diventa madre in assoluto. Andiamo al verbo: «avendo visto», questo verbo ri-

chiama il verbo «stavano» precedente, quasi in un rapporto dialogico. Ma osserviamo,

prima di tornare a questo verbo, un’altra realtà:

troviamo in binomio madre-donna. Questo bi-

nomio ci rimanda ad un testo particolare, Ge-

nesi 3,20. Tra gli interpreti c’è il problema se la

donna-madre dipenda da Genesi o dalla figlia

di Sion di Isaia. Alcuni si schierano da una par-

te, altri negano l’una ed affermano l’altra. Per-

sonalmente Genesi è presente, ma non basta, la

figlia di Sion è presente, ma non basta.

L’immagine nasce dalla fusione delle due pro-

spettive. In Genesi 3,20, secondo i LXX leg-

giamo: «e chiamò l’uomo il nome della sua

donna [LXX – vita], poiché essa Madre di tutti

i viventi». Qualche altra volta nella bibbia si

trova accostato il binomio donna-madre, ma

Genesi è quello che si adatta meglio a tutto il

testo di Giovanni. Possiamo osservare come

Genesi 3,20 è verso la fine del racconto Jahvi-

sta che inizia in 2,4b.

Page 116: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

116

La ripresa di Genesi andrebbe confrontata con l’uso globale, se l’autore c’è l’ha, di

Genesi 2,3. Personalmente siamo convinti che ci pensi e citiamo tre testi a confronto:

1 – Giovanni 21,18-19, Pietro: «quando eri giovane andavi dove volevi, quando sarai vecchio stenderai la mano, un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vuoi». In Genesi 3,22 Dio dice: «l’uomo è diventato come uno di noi, non stenda la mano, prenda dell’albero della vita, mangi e viva», l’azione di Pietro si può rileggere alla luce di quel testo e Pietro torna a quel albero della vita da cui all’origine l’uomo fu cacciato.

2 – il secondo testo è Giovanni 21,7, il discepolo dice a Pietro: «il Signore è». «Pietro avendo udito che il Signore è, la sopravveste cinse poiché era nudo, e si gettò in mare». Simile descrizione è stranissima, per gettarsi in mare non ci si veste, ma ci si spoglia. Giovanni non narra in ravvedimento di Pietro, ma quel era nudo che viene superato si legge bene a partire dalla nudità genesiaca: «mi sono nascosto perché ero nudo». L’evento dell’amore su Pietro gli permette di superare quella nudità in cui il peccato [il rinnegamento] lo aveva gettato.

3 – il terzo testo è Giovanni 16,20-22, la metafora della partoriente: «la donna, quan-do partorisce è nella tristezza poiché è giunta la sua ora, ma quando ha partorito dimentica per la gioia che è nato nel mondo un uomo». Detto in soldoni c’è il ri-chiamo ad Eva: «nel dolore partorirai i tuoi figli».

Ci sarebbe un quarto testo più complesso, ci permettiamo però di citarlo: «Io sono

il pane della vita, chi mangia di questo pane vivrà in eterno» � Cfr. Genesi 3,22: «prenda

dell’albero della via, mangi e viva in eterno». Il pane della vita di Giovanni 6 deve essere

letto alla luce di Genesi. Questi esempi ci autorizzano a leggere il nostro testo a partire da

Genesi, ma cominceremmo dalla formazione della donna, leggiamo in Genesi 2,21 [ver-

sione LXX]: «Dio fece cadere un torpore su Adamo e lo fece addormentare, prese una del-

le sue costole [������] e formò la donna. La prese dall’uomo [la fece diventare donna] e la

condusse davanti ad Adamo». La stessa parola «������» la leggiamo in 19,34: «uno dei

soldati apri il costato [������] ed uscì sangue ed acqua». Non basta il solo accostamento

terminologico che potrebbe essere casuale, ma pare che si possa stabilire un parallelismo:

GENESI GIOVANNI 1. fece addormentare l’uomo 1. era morto 2. prese una pleura 2. aprì la pleura 3. […] 3. […] 4. la portò all’uomo 4. stavano presso la croce 5. l’uomo chiamò la donna Eva

perché fu la madre di tutti i viventi

5. avendo visto la madre… donna ecco tuo Figlio

Page 117: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

117

Emerge un parallelismo strutturale tra Genesi e Giovanni, per cui la formazione

della donna in Giovanni incomincia da 19,34, ma con tutte la differenze: non Dio prende la

costola, ma un soldato aprì il costato. Evidentemente, come spesso capita negli autori neo-

testamentari non gioca un solo testo dell’AT, ma ne giocano tanti chiamati in sintesi.

Partendo da Giovanni 19,34 dobbiamo tener presente quello che c’è nel mezzo e

che possiamo proporre nel seguente modo:

1 – aprì il costato; 2 – uscì sangue ed acqua; 3 – donò lo Spirito; 4 – stavano presso la croce di Gesù.

E perciò la comunità di donne che globalmente costituisce la donna-madre è realiz-

zata dallo Spirito che sgorga dall’Adamo dormiente, cioè Gesù morto. Si comprende allora

il valore di quello «stavano presso la croce», che non può essere assolutamente ridotto a

semplice presenza materiale e si può capire la relazione tra «stavano» ed «avendo visto».

Possiamo rileggere ancora una volta, alla luce di Genesi. In Genesi Dio condusse la donna

all’uomo. Giovanni non parla di conduzione, ma di radicamento in Gesù. Genesi non parla

di percezione di Adamo, di fronte alla donna Adamo dice: «questa volta è osso delle mie

ossa e carne della mia carne», Giovanni invece indica la percezione, si scorge una relazio-

ne dialogica tra Gesù e la madre, le donne stavano, Gesù vede; in questa percezione pos-

siamo scorgere un aspetto di accoglienza. Le donne sono arrivate al termine del cammino,

Gesù accoglie.

Ma passiamo alla espressione «donna ecco tuo Figlio», lasciando per il momento la

figura del discepolo, di cui l’evangelista scrive: «e il discepolo stante presso». Andiamo

alla maternità. Torniamo ancora a Genesi, la donna fu costituita madre dei viventi, Genesi

sbaglia perché la donna, Eva, non era madre dei viventi, ma dei morti. [Si potrebbe aprire

una finestra sul fatto che le donne, sorelle di Lazzaro parlano a Gesù, e Gesù restituisce il

fratello libero]. Genesi afferma la maternità di Eva, ma non dice nulla sul modo come Eva

diventa madre. Giovanni ci indica il modo, come la donna diventa madre: non perché lei

generi, ma perché lei riceva in dono i figli. Su questo aspetto di una maternità per via di

dono dovremmo andare alla figlia di Sion. Il particolare della donna che diventa madre per

via di dono non può essere suggerito da Genesi, ma è suggerito dai testi della figlia di Sion.

Il discorso della Figlia di Sion è più complesso, anche perché i testi sono diversi. Ne citia-

Page 118: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

118

mo soltanto qualcuno, in Isaia 49,20-21 si legge: «di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di

cui fosti privata […] tu penserai: “chi mi ha generato costoro?”. Io ero priva di figli e ste-

rile, e questi chi li ha allevati?». E Sion che si meraviglia di fronte all’abbondanza di figli

che vede attorno a sé. Ma nel verso 22 Dio risponde: «farò un cenno ai popoli e riporte-

ranno i tuoi figli in braccio». Il discorso della figlia di Sion è più ampio e c’è la prospettiva

negativa della donna provata dei suoi figli che Dio restituisce, ma alla figlia di Sion, può

anche alludere quel verbo «avendo visto». In Isaia 54,7 leggiamo: «per un istante ti ho ab-

bandonata, ma ti riprenderò con immenso amore avendo visto».

Giovedì 22 dicembre 2005, ore 08,30 / 10,15

Il participio «�����» ha due oggetti: il primo è «����������» [la madre], il secondo

oggetto è «����������» [il discepolo]. Di questo discepolo si dice che era «��������»,

che le versioni italiane traducono «lì accanto». In realtà questo participio ha una sua parti-

colare pregnanza. Prima di passare all’analisi del testo, notiamo l’ultima caratteristica del

discepolo, la proposizione relativa «�*������». Possiamo stabilire una serie molteplice di

relazioni, una prima relazione è la seguente:

������ [participio]������������ [oggetto]������������[oggetto]�

��������� [participio] �

Anche se i due oggetti dipendono dall’unico participio «�����», in realtà, struttural-

mente lo schema rivela due dinamismi diversi e complementari: Gesù è soggetto di rela-

zione e oggetto di relazione: soggetto verso le donne che vede, oggetto presso il discepolo

che sta presso. Stabiliamo anche un altro tipo di relazione riguardante il rapporto

Gesù-discepolo, nel seguente modo:

1) ������������ (il discepolo); 2) ����������(stante presso);�

3)��*�� (che);�4) ������� (amava)

Page 119: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

119

Emerge qui un rapporto bilaterale, quasi dialogico, tra il discepolo e Gesù. Il disce-

polo ha relazione a Gesù: ed infatti è [��������], Gesù ha relazione al discepolo che egli

amava, su questa relazione dovremmo non poco fermarci.

Infine notiamo un ultima relazione: tra il discepolo e la comunità delle donne:

1)�- ���������� 2)����������������� 3)���-

4) -������

Questo schema rivela una somiglianza, ma anche una differenza tra il discepolo e le

donne. La somiglianza è che entrambi hanno una posizione stabile, entrambi hanno una

posizione stabile «presso» [���]. La differenza sta qui, che per le donne è indicato il luo-

go dove stanno: direttamente la croce, indirettamente Gesù, per il discepolo invece si indi-

ca il fatto di stare, il fatto di stare «presso», ma non si indica il luogo presso cui sta. Il testo

suggerisce una esigenza fondamentale del discepolo, di passare da uno stare presso inde-

terminato ad uno stare presso specifico. Questo sembra essere il vero motivo

dell’affidamento. Anticipando quello che forse si direbbe meglio alla fine, il discepolo ha

l’esigenza di raggiungere Gesù e quindi passare da un restare presso indeterminato: egli

raggiungerà Gesù attraverso la mediazione della madre, la quale, come comunità di donne,

sta presso la croce dove però c’è Gesù. Emergerebbe il seguente progresso:

1 – discepolo; 2 – madre; 3 – croce; 4 – Gesù.

Si avverte già l’indole ecclesiale di questa descrizione. Torniamo alla figura del di-

scepolo e ci fermiamo sul verbo «��������», questo verbo come verbo di stasi indica un

cammino previo e il discepolo «��������» è giunto ad una meta. Da dove incomincia il

cammino del discepolo? Il discorso sul discepolo è molto più complesso e già in antece-

denza abbiamo suggerito che il capitolo 9 del cieco nato è la sua biografia spirituale, que-

sto discepolo nel vangelo di Giovanni non è identificato, è l’apostolo Giovanni? È un’altra

persona? Ma probabilmente all’evangelista questa identificazione non interessa, se fosse

Page 120: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

120

interessata l’avrebbe già fatta lui, perciò porre molti problemi sull’identità storica di questo

discepolo significa forse perdere di vista il vero obiettivo giovanneo. Questo discepolo in

21,24 è definito come colui che rende al presente testimonianza e che nel passato ha scritto

queste cose. Dobbiamo dire che il discepolo nella chiesa continua la sua testimonianza at-

traverso lo scritto. Ma il punto di partenza immediato del cammino del discepolo va cerca-

to nella stessa narrazione della passione. Prescindiamo perciò della sua menzione nel capi-

tolo 14 dove compare per la prima volta.

Ci permettiamo in parole povere di esprimere la nostra supposizione: questo disce-

polo non è l’apostolo Giovanni, ma probabilmente un gerosolimitano che vorremmo identi-

ficare con quel personaggio anonimo di cui parlano i vangeli sinottici: Gesù comanda ai

discepoli di andare in città a preparare la pasqua, dice loro che incontreranno un tizio al

quale diranno: «dice il maestro: “presso di te farò pasqua”» e quel tizio avrebbe indicato

un luogo. La tradizione sinottica parlava di questo tizio ma non sapeva chi fosse, Giovanni

lo sa perchè lui, padrone del cenacolo, ciò spiegherebbe perchè questa figura compaia nel

vangelo soltanto dal capitolo 13 in poi.

Ma torniamo alla narrazione della passione. Tutti I vangeli ci dicono che dopo la

cattura di Gesù, Pietro seguiva da lontano, Giovanni aggiunge che c’era anche «l’altro di-

scepolo», di questo discepolo dice che era noto al pontefice ed entrò con Gesù, poi il di-

scepolo uscì ed introdusse Pietro. Pietro entrò, rinnegò, ma non uscì. Giovanni conosce be-

nissimo il ravvedimento di Pietro e lo esprime in diversi modi, nei quali non entriamo. Sol-

tanto ci limitiamo a proporre uno schema:

DISCEPOLO PIETRO 1 – entrò 1 – entrò 2 – … 2 – rinnegò 3 – uscì 3 – non uscì

Il parallelismo antitetico suggerisce che il discepolo entrò, confessò, uscì. La vi-

cenda del discepolo nel palazzo di Anna deve essere letta alla luce dei capitolo 9 e 10 [cie-

co nato e buon pastore]. Al nostro scopo giova soltanto osservare due cose: anzitutto il cri-

terio di appartenenza alla casa del sacerdote e confessare o rinnegare Gesù. Il discepolo

anche se è noto è al pontefice, per il fatto che confessa non ha più diritto a restare in quella

casa, l’oscuro Pietro, Galileo, che non ha niente a che vedere con quella casa, ci rimane per

il fatto che ha rinnegato Gesù. Rileggendo globalmente i tre rinnegamenti l’evangelista, in

Page 121: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

121

lettura inversa insinua il cammino di ravvedimento, ma in lettura progressiva esplicita la-

scia Pietro nel cuore del suo rinnegamento, dove sarebbe per sempre morto se non fosse

stato raggiunto dall’evento dell’amore di Gesù che gli ha indicato la strada, non solo per

uscire, ma anche per recuperare la sua dimensione di pastore [Cfr. 21,15 «Simone di Gio-

vanni mi ami? Pasci…»]. Dopo il processo davanti ad Anna, dei due, Pietro e il discepolo,

non se ne parlerà più: Pietro tornerà nel capitolo 20, il discepolo che è uscito, è giunto al

termine del cammino che è proprio il «��������», Pietro è assente. Concludendo il

«��������» non indica una semplice posizione del discepolo quanto piuttosto la posizione

di stabilità a cui egli è pervenuto dopo un cammino.

Qui però dobbiamo considerare l’altra espressione «�*������» [che amava]. Il testo

suona alla lettera così: «il discepolo stante presso che amava», cioè l’espressione «che a-

mava» è messa dopo il participio «stante presso». Sarebbe stato più naturale il contrario:

«il discepolo che amava stante presso». Dal momento che l’evangelista introduce

l’espressione «che amava» dopo il participio «stante presso», dobbiamo concludere che

l’espressione «che amava» consegue e in certo senso scaturisce dall’espressione «stante

presso». Il discepolo stava presso e di conseguenza Gesù lo ama.

Consideriamo l’espressione «che amava», essa precede l’affidamento alla madre,

per cui avremmo il seguente progresso:

1 – stante presso; 2 – che amava; 3 – ecco tuo figlio.

L’espressione «che amava» ben lungi dall’indicare qualsiasi sentimentalismo, o

peggio ancora qualsiasi atteggiamento affettivo di Gesù, assume un significato fondamen-

tale e rientra nella storia dell’agape che l’evangelista delinea nel suo vangelo. Questa e-

spressione si legge quattro volte in tutto il vangelo:

1 – 13,23; 2 – 19,26; 20,2: «�*���)�����» 3 – 21,7 4 – 21,20

Page 122: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

122

Al centro, in 20,2, l’autore scrive «�*� ��)�����», le altre quattro volte usa il verbo

«�����» [�����]. Lasciamo stare il testo di 20,2, che con il verbo «)�����» contiene parti-

colari problemi, fermiamoci soltanto ai quattro verbi con il verbo «�����». In un lavoro

più completo, il testo di 13,23, si relaziona a 21,24, e il testo di conseguenza di 19,26 a

21,7. Lasciamo stare la relazione tra 19,26 e 21,7 che è più complessa e che si legge me-

glio a partire dal capitolo 21. Le altre due relazioni possono essere espresse nel seguente

modo:

13,23: «era giacente uno dei suoi discepoli nel fianco di Gesù che amava Gesù»; 21,20: «voltatosi Pietro vede il discepolo che amava Gesù seguente il quale giacque

nel banchetto sul petto e disse: “Signore chi è?”».

In 21,20 l’evangelista esplicitamente richiama 13,23 anche se cambia linguaggio,

ma possiamo notare come in entrambi i testi, il fatto che Gesù amava consegue ad una po-

sizione statica del discepolo.

Per comprendere questa espressione e sganciarla da qualsiasi sentimentalismo, il

testo da cui partiamo è 14,21, dove Gesù dichiara: «chi ha i miei comandamenti e li osser-

va, questi è colui che mi ama: chi mi ama sarà amato dal Padre mio ed anch’io lo amerò».

È proprio quest’ultimo verbo che giustifica e spiega l’espressione «che Gesù amava».

L’espressione «che Gesù amava» appare così l’espressione concreta della promessa di

14,21: «anch’io lo amerò». Gesù si pone in conseguenza all’amore del Padre che è risposta

all’osservanza dei comandamenti.

Ma questo testo non basta: la relazione tra osservanza dei comandamenti ed amore

induce a richiamare altri testi analoghi ma in diversa prospettiva. Proponiamo allora tre te-

sti che dovranno entrare in sintesi:

1 – 13,34: «vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io voi amai»; 2 – 15,10: «se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore»; 3 – 14,15: «se mi amate i miei comandamenti osserverete»; 4 – 14,21: «chi ha i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama, chi mi ama sa-rà amato dal Padre mio ed anch’io lo amerò».

Page 123: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

123

Tralasciando l’analisi dei singoli testi, andiamo subito alla rilettura sintetica:

1 – l’evento dell’amore di Gesù «come Io amai voi» [13,34]; 2 – l’evento dell’amore di Gesù implica la risposta di amare Gesù [14,15.21]; 3 – Gesù si ama osservando i comandamenti [14,15.21]; 4 – i comandamenti sono uno solo: l’amore vicendevole [13,34; 15,12]; 5 – l’osservanza dei comandamenti è un cammino che conduce all’amore di Gesù e permet-te di radicarsi in esso [15,10] 6 – l’osservanza dei comandamenti determina due effetti: rimanere nell’amore di Gesù [15,10] ed essere da Lui amati [14,21].

Non è chiaro da questo schema se prima c’è il rimanere in Gesù e poi essere da Lui

amati, o al contrario: essere da Lui amati e poi rimanere nel Suo amore. I testi del discepo-

lo permettono di risolvere nel senso che prima si raggiunge l’amore di Gesù e poi da Lui si

è amati. Ciò è suggerito da due elementi: anzitutto il fatto che l’espressione «che amava» è

introdotta in 13,23, in 21,20 ed anche in 19,26 dopo la descrizione di una posizione statica

del discepolo, nel fianco [13,23], sul petto «��������». Inoltre l’imperfetto «amava»

[�����] indica una azione costante ed abituale che meglio si addice come risposta alla a-

zione di raggiungere l’amore di Gesù e di restare radicato in esso.

Alla luce di tutte queste osservazioni possiamo delineare la storia del discepolo

come storia di coinvolgimento nell’amore di Gesù, proponiamo in punti schematici che

mentre li riferiamo al discepolo concreto possono costituire gli elementi caratteristici di

qualsiasi discepolo di Gesù. questi elementi sono:

1 – il discepolo è stato raggiunto dall’amore di Gesù; 2 – ha esigenza di riamarlo; 3 – lo amerà mediante l’osservanza dei comandamenti, cioè mediante un cammino di amore

vicendevole; 4 – attraverso la strada dell’amore vicendevole giunge a Gesù e si radica nel suo amore; 5 – radicato nell’amore di Gesù, Gesù in maniera abituale lo ama; 6 – il discepolo così diventa «il discepolo che Gesù amava».

Siamo arrivati così al culmine di una storia che parte dall’evento dell’amore di Ge-

sù ed è a questo punto che avviene l’affidamento, come figlio alla madre, e la presentazio-

ne della madre come madre. Le parole che Gesù pronunzia sono parallele: «ecco il tuo fi-

glio», «ecco la tua madre».

Page 124: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

124

Questo dialogo semplicissimo e laconico andrebbe particolarmente illuminato, ci

limitiamo soltanto a qualche osservazione.

1) Anzitutto tale unione avviene presso la croce di Gesù e qui si dovrebbe richiamare tutto il mistero dell’alleanza, come appartenenza secondo la prospettiva veterotestamentaria al popolo del Signore. 2) Troviamo la costituzione della madre e qui trovano attuazione le parole di Genesi 3,20 che la donna fu chiamata Eva perché la madre di tutti i viventi. Emerge nel nostro testo la definizione dei «viventi» di cui la donna è madre, i viventi sono i discepoli coinvolti nell’amore di Gesù.

Giovedì 12 gennaio 2006, ore 08,30 / 10,15

Arriviamo così all’ultima espressione che la versione italiana traduce: «da quel

momento il discepolo la prese nella sua casa» [Gv 19,25-27]. Su questa traduzione a-

vremmo da ridire sia sull’espressione «da quel momento», sia sul verso “prendere”, sia

sull’espressione «nella sua casa». Che il discepolo abbia accolto la madre nella sua casa

può essere storicamente verosimile ed anche i testi potrebbero andare in questo senso, è fa-

cile pensare che il cenacolo cioè la casa del discepolo, sia stato il punto di riferimento dopo

gli eventi della passione e della resurrezione. Basti pensare che in quel luogo Luca presenta

radunati i discepoli nel libro degli Atti in attesa dello Spirito Santo. Ma il senso della frase

giovannea sembra essere più profondo. Anzitutto l’espressione «da quell’ora» non può es-

sere ridotta ad una semplice indicazione cronologica, tenendo conto di tutto il senso gio-

vanneo dell’ora. A Cana Gesù reagisce alla richiesta della madre perché la sua ora non è

ancora arrivata. Diverse volte nel vangelo si dice che cercarono di mettere le mani su Gesù

ma non poterono perché non era giunta la sua ora. Nel capitolo 5 Gesù annunzia un’ora in

cui quelli che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che avranno udito

vivranno. Alla samaritana Gesù annunzia un’ora in cui né su questo monte, né in Gerusa-

lemme adoreranno il Padre, ma si attuerà una adorazione in Spirito e verità. Dal capitolo

12 in poi la prospettiva è quella di un’ora che è giunta; in 12,23 Gesù dichiara: «è giunta

l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo» ed in 17,1 Gesù chiede «Padre, è giunta

l’ora, glorifica il tuo Figlio perchè il tuo Figlio glorifichi Te». L’ora di Gesù è anche l’ora

di passare da questo mondo al Padre. Giovanni così nel suo Vangelo introduce la nozione

di ora non soltanto come un elemento cronologico, ma come un elemento qualitativo che

indica il momento in cui Gesù compie la sua missione. In 16,21 introduce la metafora della

Page 125: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

125

donna, la donna mentre partorisce ha tristezza perché è giunta la sua ora, l’ora della donna

è perciò quando realizza la sua missione di madre; nel testo citato, attraverso l’immagine

della donna, ripresa in certo modo da Genesi, Gesù caratterizza il tempo della sua passione,

ma in relazione ai discepoli, ed infatti Gesù continua la metafora dicendo: «ma quanto ha

partorito non ricorda più la tribolazione per la gioia che è venuto nel mondo un uomo». E

Gesù applica ai discepoli [non a sé]: «e voi ora avete tristezza, ma di nuovo io li vedrò e il

vostro cuore gioirà». In 20,20, quando Gesù si manifesta, l’evangelista nota che i discepoli

gioirono avendo visto il Signore.

In tutto questo contesto che rivela la pregnanza del termine «ora» è difficile fer-

marsi soltanto al livello cronologico. L’espressione «���������������%��» può intendersi in

due modi: o in senso cronologico e perciò da quel momento o in senso di provenienza,

quasi a dire “a partire da quell’ora”, cioè il discepolo riceve la madre come un dono che

proviene dall’ora di Gesù. L’ora di Gesù include anche la formazione della donna e la co-

stituzione della donna come madre dei discepoli di Gesù nel testo emerge un vuoto, la

donna è presentata al discepolo come madre e il discepolo alla donna come figlio ma poi

implicitamente è espressa l’idea del dono: chi ha donato la madre al discepolo? Implicita-

mente Gesù, ma l’evangelista suggerisce che il vero soggetto che fa il dono sia appunto

l’ora di Gesù. In questo senso il dono della madre appare un realtà che scaturisce come do-

no dall’ora di Gesù.

In questo sfondo preferiamo tradurre il verbo «�$�&�» [aoristo dal verbo ��&��]

non nel senso di prendere, ma nel senso di accogliere: al discepolo è fatto un dono e lui lo

accoglie. L’ultima espressione «����� ��� �$��» potrebbe significare «a casa propria», ma

non necessariamente il verbo «����$��» indica le cose proprie, le cose che appartengono

strettamente ad una persona, potremmo richiamare analoga espressione del capitolo 1, do-

ve l’evangelista a proposito della luce scrive: «tra i suoi [���������$��] venne, ma i suoi non

lo accolsero». Emerge una contrapposizione tra il testo di 1,11 e di 12,27: la luce venne tra

coloro che gli appartenevano, il discepolo accoglie la madre tra le cose che gli appartengo-

no. Nel capitolo 16, non senza una allusione alla fuga, Gesù annunzia: «viene l’ora e già è

venuta in cui vi disperderete ciascuno nelle proprie cose [����$��] e mi lascerete solo». In

conclusione l’espressione che pur potrebbe significare “a casa propria” sembra avere un

significato più pregnante: il discepolo accolse tra i propri beni, tra le cose che gli apparten-

gono la madre come dono dell’ora. Ma quali cose appartengono al discepolo? Le cose che

sgorgano dalla sua posizione di discepolo. Al discepolo che ha compiuto un cammino ed è

Page 126: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

126

giunto in una posizione stabile [���������], al termine di questo cammino è fatto il dono

della madre e la madre così diventa un bene proprio di colui che è discepolo di Gesù. Fa-

cendo una breve parentesi spirituale: questo brano suggerisce che la vera devozione a Ma-

ria e parallelamente l’amore per la chiesa nascono non da sentimentalismi, ma dalla propria

realizzazione dell’essere discepoli di Gesù.

Ma che senso ha il dono della madre in tutto il dinamismo che stiamo consideran-

do? Il discepolo, che è giunto ad un termine, deve raggiungere Gesù, ma Gesù non lo rag-

giunge senza l’opera della madre. Abbiamo detto infatti che in questo brano «madre» non

è soltanto la figura di Maria, ma madre è tutta la comunità di donne attorno a Gesù. Il di-

scepolo è dato alla madre perché attraverso la madre raggiunga Gesù, la madre è quasi una

mediazione tra Gesù e il discepolo. Ma possiamo stabilire un altro confronto tra questo

brano e Cana. A Cana la madre chiede a Gesù, o meglio, fa osservare a Gesù che non han-

no più vino, Gesù risponde che tra lui e la donna non c’è alcune relazione perché la sua ora

non è ancora giunta. Si avverte in queste parole di Gesù sgarbato, insinuato un cammino

che si può ricostruire alla luce dall’episodio presso la croce. Questo cammino ha le seguen-

ti tappe:

1 – deve arrivare l’ora di Gesù; 2 – quando sarà arrivata l’ora di Gesù, allora Lui avrà relazione con la donna perché la donna ad immagine della Eva genesiaca si forma a partire dalla croce; 3 – questa donna diviene madre; 4 – a lei sono affidati i discepoli come figli; 5 – il discepolo la accoglie; 6 – la donna può fare la sua richiesta: «non hanno più vino».

Tutto il senso della descrizione di 19,25-27, è allora il seguente:

1 – la costituzione della donna-madre; 2 – la relazione madre-discepolo; 3 – l’accoglienza da parte del discepolo.

Abbiamo detto come la madre esercita quasi una mediazione tra il discepolo e Ge-

sù. Il discepolo raggiunge Gesù attraverso la madre, ma poi attraverso Gesù raggiunge il

Padre. Tutta questa descrizione può illuminare una descrizione simbolica che troviamo in

13,5: in questo brano si legge che Gesù cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciu-

garli con l’asciugatoio con cui era cinto. Abbiamo detto in precedenza che è errato consi-

Page 127: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

127

derare soltanto l’azione di lavare i piedi senza considerare l’azione seguente di asciugare,

anzi sembra che a questa seconda l’evangelista attribuisca maggiore importanza. Possiamo

infatti stabilire il seguente dinamismo: lavare i piedi è una azione rivolta sui piedi e questa

è quasi la abilitazione dei discepoli a compiere un cammino perché i piedi sono l’organo

del cammino. I discepoli simbolicamente sono raggiunti, mediante lo Spirito, dall’amore di

Gesù e sono resi capaci a compiere un cammino sulla via dell’amore [Cfr. Gv. 13,34: «vi

do un comandamento nuovo: che perseveriate nell’amore vicendevole come io voi amai»].

Il fatto che Gesù ha amato abilita i discepoli a camminare sulla via dell’amore. Ma qual è il

termine? Il termine simbolicamente sembra essere contenuto appunto nell’azione di asciu-

gare. Consideriamo l’espressione, strutturata nel seguente modo:

1 – «[cominciò] ad asciugare 2 – con l’asciugatoio 3 – con cui

4 – era cinto»

Questa frase mette al centro una duplice attenzione dell’asciugatoio, il quale così

rivela una duplice relazione: ai piedi dei discepoli [asciugare] e a Gesù [di cui era cinto].

L’azione di asciugare indica accoglienza, l’asciugatoio per asciugare contiene ed in certo

senso accoglie l’organo che asciuga, ma lo stesso asciugatoio conduce a Gesù perché di es-

so Gesù è cinto. Possiamo stabilire la seguente relazione con 19,25-27:

1 – asciugare con l’asciugatoio � 1 – stavano presso la croce di Gesù […] le donne 2 – con cui era cinto � 2 – ecco tua madre […] ecco tuo figlio

Nella azione simbolica di asciugare c’è perciò contenuta l’accoglienza della chiesa

madre, la quale cinge Gesù. Il cammino dei discepoli perciò culmina nella chiesa madre, la

quale a sua volta cinge Gesù e perciò i discepoli raggiungono Gesù. Raggiunto Gesù è pos-

sibile quel grande passaggio pasquale di cui si parla nel verso 1 verso il Padre: «sapendo

che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre».

Page 128: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

128

Volendo riassumere allora 13,1-5 alla luce di 19,25-27 ed anche 19,28-30 avremmo

il seguente sviluppo:

1 – è giunta l’ora di compiere un grande esodo da questo mondo al Padre; 2 – l’allusione è all’esodo e come Mosè uscì da solo dall’Egitto, nemmeno Gesù passa da solo da questo mondo al Padre. Si capisce perché nello sfondo di questo grande esodo, Gesù porta a compimento la sua opera di amore; 3 – l’opera di amore consiste nel coinvolgere in sé i discepoli per compiere con essi questo grande passaggio pasquale; 4 – l’opera di amore consiste:

a - Gesù muore; b - dona lo Spirito; c - mediante lo Spirito raduna la chiesa madre; d - raggiunge i discepoli e li abilita a camminare sulla via dell’amore; e - i discepoli giungono alla chiesa madre; f - dove c’è Gesù ed attraverso la chiesa madre si coinvolgono nell’amore di Gesù.

5 – coinvolti in Gesù si può raggiungere con lui il Padre [Cfr. 14,6 «Io sono la via, la verità e la vita, nessuno perviene al Padre se non attraverso di me». Cfr. anche 17,3 «questa è la vita eterna che conoscano Te, unico vero Dio e Colui che Tu hai mandato, Ge-sù Cristo»].

LA SPARTIZIONE DELLE VESTI

Diciamo fin dal principio quel che diremo meglio alla fine e che cioè la scena delle

vesti ha stretta relazione con la scena della madre. Giovanni riferisce un episodio comune

anche alla tradizione sinottica. Al Calvario i soldati si spartirono le vesti di Gesù. Sorpren-

de che questo particolare storicamente di importanza più marginale sia passato nella tradi-

zione evangelica. Dal punto di vista storico l’episodio è secondario. A ciascun soldato in

quella spartizione sarà toccato un cencio per giunta intriso di sangue. Questo episodio però

diventa importante nella tradizione evangelica perché la tradizione si preoccupò di riferire

quei fatti che avevano maggiore attinenza con le scritture e la spartizione delle vesti ri-

chiamava bene il salmo 21,19 che suona appunto: «si sono divise le mie vesti e sul mio ve-

stito hanno tirato la sorte». Il Salmo 21 nella tradizione fu visto come chiave di lettura de-

gli eventi al Calvario, basti pensare che Matteo e Marco mettono in bocca a Gesù il primo

verso «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Non è necessario pensare che Ge-

sù abbia detto materialmente quelle parole e non bisogna premerle come se il Padre avesse

abbandonato Gesù, ma gli evangelisti vollero dire che tutta la scena del Calvario deve esse-

re letta alla luce di quel Salmo compresa anche l’apertura del salmo stesso che si apre a

grande fiducia e in certo senso annunzia la resurrezione: «e io vivrò per lui, lo servirà la

Page 129: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

129

mia discendenza». Giovanni in tale episodio per un verso dipende, per l’altro si stacca dalla

tradizione sinottica, in particolare le differenze giovannee sono due: la prima è una descri-

zione più accurata della spartizione della vesti, una seconda è una mutazione originale che

introduce rispetto al salmo. Il salmo scriveva: «si son divise le mie vesti [�������] e sul mio

vestito [���������] gettarono la sorte». La mutazione che l’evangelista introduce è nella

seconda parola, non scrive «���������», bensì «�����», cioè tunica. A queste due differen-

ze ne possiamo aggiungere una terza: mentre i sinottici non menzionano il tirare a sorte

Giovanni invece lo menziona. Lasciamo stare l’origine della parola «�����», diciamo sol-

tanto che è un parola che si legge in Genesi: «Dio fece delle tuniche e rivestì», ciò confer-

ma la presenza del testo genesiaco in tutta la descrizione giovannea. Consideriamo gli ele-

menti così come Giovanni li propone.

Sabato 14 gennaio 2006, ore 08,30 / 10,15

La descrizione giovannea ha due parti che conviene avere presentii come testo. I

soldati quando crocifissero Gesù presero le sue vesti, fecero quattro parti ed a ciascun sol-

dato una parte.

Era invece la tunica senza cuciture, tessuta attraverso il tutto. Dopo seguono le pa-

role con cui i soldati deliberano le loro azioni.

Abbiamo due descrizioni delle vesti e della tunica: dal punto di vista storico le parti

sono il mantello che l’antico orientale portava sulla tunica, la quale aderiva direttamente

alla pelle. Le due descrizioni sono del tutto differenti. La prima descrizione è essenzial-

mente dinamica, descrive l’azione che I soldati fecero sulle vesti: le vesti cioè subiscono

un’azione dei soldati. La descrizione della tunica è essenzialmente statica, si descrive cioè

la sua condizione e il suo stato.

Tornando alle vesti, le azioni che I soldati fecero sono contenute in tre frasi:

1) I soldati presero le sue vesti; 2) fecero quattro parti; 3) a ciascun soldato una parte.

Page 130: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

130

Sorprende il verbo «presero», tante volte il verbo «prendere» [��&��], sta in re-

lazione al verbo «dare» [�������]: una persona dà ed un’altra riceve. L’azione dei soldati di

prendere non è relazionata ad alcun verbo dare, perciò si tratta di una presa di possesso, di

un impadronirsi autonomo.

È importante che si tratti delle vesti di Gesù. Le vesti passano da un possesso ad un

altro. Automaticamente cessano di essere vesti di Gesù.

La seconda azione è quella di fare quattro parti, l’evangelista poi specifica che ha

ciascun soldato una parte. Questo particolare induce a concludere che storicamente i solda-

ti al Calvario erano quattro. Si tale numero non ci parla nessun altro evangelista e non ab-

biamo motivo per dubitare della sua verità storica, tanto più che il Calvario era appena uno

sperone che poteva accogliere poche persone.

Tuttavia facciamo fatica a ritenere questo particolare soltanto come un elemento

storico. Una ricerca del numero quattro nell’AT indica che tale numero è legato talora ai

quattro angoli della terra, il più delle volte però è usato non per indicare la dispersione,

bensì il raduno [cfr. Ezechiele dove Dio annunzia di radunare il suo popolo dai quattro an-

goli della terra].

Qui invece il movimento è inverso, non raduno dai quattro angoli, bensì divisione

dai quattro angoli. Ci sembra di poter dire che l’evangelista abbia voluto descrivere una di-

visione ai quattro angoli della terra, cioè totale.

La terza espressione sorprende ed è molto enfatica. L’evangelista precisa «a cia-

scun soldato una parte», ogni parte cioè diventa possesso di un soldato. Ciò implica che la

divisione è irreversibile.

Ci sembra allora di scorgere in queste tre fasi, tre aspetti:

1) alienazione; 2) divisione; 3) possesso che rende irreversibile la divisione.

Interpretiamo questa scena, o meglio diciamo che per interpretarla forse è meglio

tenere conto della seguente descrizione della tunica.

Ci si è posto il problema se l’evangelista, in questa descrizione, non abbia avuto

presente un fatto storico, quello cioè della descrizione dell’impero di Alessandro Magno

nei suoi vari generali. Non abbiamo elementi per affermarlo, ma riteniamo non inverosimi-

le tale allusione perché di essa se ne parla nei libri dei Maccabei.

Page 131: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

131

Ma passiamo alla descrizione della tunica. L’evangelista comincia così: «� � ���».

La particella «���» è importante: non si traduce, ma contiene l’aspetto della contraddizione.

Di questa tunica si dice che era «$�)��». Questo termine deriva dal verbo «����» che

vuol dire cucire; l’«» iniziale è un «» privativa.

Lasciando da parte la leggenda che questo episodio ha suscitato della tunichella di

Gesù che cresceva con lui, il termine indica la totale assenza di cuciture, un vestito ha delle

cuciture, ed un vestito ha una unità estrinseca, cioè le cuciture mettono insieme

dall’esterno parti essenzialmente divise.

Il termine «$�)��» invece indica un’intrinseca unità. L’evangelista aggiunge

un’espressione che vuol spiegare il motivo di tale intrinseca unità. Scrive le seguenti e-

spressioni:

1)���������$���� 2)���)���� 3)������%���

Il termine «��)����» [intessuto], si trova tra due espressioni caratterizzate da parti-

celle. La prima particella è «���», seguita da un avverbio «$���», reso sostantivo

dall’articolo. La seconda particella è «���» col genitivo. La prima particella «���» indica in

sé stessa moto da luogo o origine, la seconda particella, «���» col genitivo, assume il senso

di un moto per luogo.

C’è perciò una tessitura che parte dall’alto e si diffonde attraverso il tutto. Che

cos’è questo «dall’alto»? dovremmo dire del collo di un vestito, però l’evangelista sta u-

sando un’espressione molto generica. Dice «dall’alto», ma non dice che cos’è quest’alto, o

meglio lo dice, ma non qui. Lo dice nel capitolo 3 nel dialogo tra Gesù e Nicodemo.

In questo dialogo, leggiamo due frasi che ci aiutano ad interpretare. Le due frasi

sono nel verso 3 e nel verso 5. Possiamo stabilire un parallelismo tra le due frasi:

[v. 3] se qualcuno [v. 5] se qualcuno non nasce non nasce dall’alto da acqua e da Spirito

Page 132: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

132

Le due espressioni sono identiche eccetto nel terzo elemento. Il verso 5 spiega che

l’alto è l’acqua e lo Spirito. Si tratta di due elementi che troviamo nella narrazione del

Calvario.

GIOVANNI 3 GIOVANNI 19 1 – nascere dall’alto 1 - 19,23 – dall’alto 2 – da acqua 2 - 19,30 – donò lo Spirito 3 – da Spirito 3 - 19,34 – uscì acqua

Gli elementi del capitolo 3 si trovano nel capitolo 19, gli ultimi due in ordine inver-

so. L’elemento più immediato è lo Spirito, l’alto perciò sembra essere non il collo della tu-

nica, bensì il capo di Gesù, il quale, reclinato donò lo Spirito, perciò è a partire dallo Spiri-

to che si intreccia questa tunica. L’assenza di cucitura poi si diffonde attraverso tutto, sia

quasi l’immagine di un elemento che partendo dall’alto pervade il tutto e raduna in unità.

La descrizione della tunica rivela perciò il compimento o se vogliamo l’effetto già realizza-

to di un dinamismo di unità: la tunica è una perchè tale attraverso un movimento che è par-

tito dall’alto è stata realizzata.

Ma ancora una volta soprassediamo all’interpretazione e leggiamo le parole se-

guenti dei soldati che non hanno alcun parallelo con i vangeli sinottici. I soldati deliberano

di fare due cose: non stracciare, ma tirare a sorte di chi sarà. Cominciamo dal secondo ele-

mento, tirare a sorte di chi sarà. L’evangelista pone due problemi: tirare a sorte e sapere di

chi sarà. In realtà l’evangelista non dice né che tirarono a sorte, né ci dice di chi è la tunica,

si limita soltanto a dire che i soldati fecero queste cose. Che cosa sono «queste cose» che

fecero i soldati?: i soldati fecero due cose, la prima divisero le vesti, poi deliberarono di ti-

rare a sorte, di chi è la tunica? È importante in 19,24 notare il modo come l’evangelista si

esprime. L’ultima frase è introdotta dalla particella «�� ». questa particella richiama

un’altra particella nel verso seguente 25, dove c’è «- ��������������», e perciò l’azione dei

soldati deve essere relazionata alla descrizione delle donne presso la croce. Qui noi trovia-

mo la vera risposta alla deliberazione dei soldati di non scindere la tunica, ma di tirare a

sorte di chi sarà. Veramente un’altra risposta a questo problema si ha nel capitolo 21 dove

troviamo il secondo dei due soli usi del verbo «����'�».

Il verbo «����'�» è usato due sole volte da Giovanni e sempre in forma negativa: il

primo uso è nel nostro testo dove leggiamo l’espressione «������������» riferito alla tuni-

ca. Il secondo uso si legge in 21,11 nell’espressione «��������������» riferito alla rete. C’è un

Page 133: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

133

progresso tra i due testi: nel primo abbiamo un congiuntivo aoristo negativo con valore in-

gressivo, nel secondo abbiamo un aoristo indicativo con valore completivo, questo aoristo

completivo non solo nega il fatto [la rete non si ruppe], ma esclude definitivamente la stes-

sa possibilità che la rete possa rompersi. Diciamo soltanto che tunica e rete sembrano esse-

re due immagini della stessa realtà di cui ogni immagine propone un aspetto.

Tornando al nostro testo la descrizione delle donne contiene due risposte: la prima

mi permette di comprendere che cosa è la tunica e di comprendere a chi appartiene. Pos-

siamo infatti stabilire due tipi di relazione, la prima è la seguente:

1 – di chi [tiriamo a sorte]; 2 – sarà; 3 – stavano presso; 4 – la croce di Gesù.

Ma è possibile un’altra relazione in due parti parallele:

A B Era Stavano La tunica Presso la croce di Gesù Senza cuciture

Notiamo in ogni frase il verbo statico, il primo indica l’indole [era], il secondo in-

dica la posizione. Tutto ciò ci permette di tirare la conclusione che c’è un progresso

dall’immagine delle donne all’immagine della tunica. Le donne sono una pluralità ricon-

dotta ad unità dalla posizione locale di essere presso la croce di Gesù. L’immagine della

tunica spiega che quella comunità è intessuta da intrinseca unità a partire dall’altro, cioè a

partire da Cristo dal cui capo è sgorgato lo Spirito. La tunica di Cristo perciò che appartie-

ne a lui e che i soldati deliberarono di non scindere sembra essere così quella comunità ec-

clesiale radunata attorno a Gesù. La prospettiva, pur con diversa immagine, è analoga a

quella della rete dove c’è una pluralità, i pesci, ricondotti in unità dalla realtà della rete.

Page 134: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

134

La prospettiva che abbiamo indicato concorda con tre testi del vangelo che voglia-

mo proporre in maniera progressiva:

1 – 11,52: «doveva morire per radunare i figli di Dio che erano stati dispersi»; 2 – 12,32: «quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»; 3 – 17,21.23: «che tutti siano [permangano] una cosa sola»

Notiamo il progresso:

1 – scopo della morte; 2 – il modo come avviene il raduno [per attrazione]; 3 – la preghiera [perché i discepoli permangano nell’unità].

Le immagini della tunica e della re-

te darebbero così la descrizione di questa

unità già formata. Ma possiamo fare un

passo in avanti e porre la domanda: e le ve-

sti? Riconosciamo che l’immagine ha un

certo ermetismo però proponiamo un tipo

di lettura. Partiamo nella nostra lettura dal

testo di 12,31-32: «adesso è il giudizio di

questo mondo, adesso il principe di questo

mondo è gettato fuori ed io quando sarò

innalzato da terra attirerò tutti a me».

Troviamo in questo testo due dinamismi:

un dinamismo centrifugo [gettato fuori], ed

un dinamismo centripeto [attirerò tutti a

me], sono due dinamismi che facilmente

riscontriamo nel nostro testo. Il dinamismo

centrifugo caratterizza le vesti, abbiamo detto che sono le vesti di Gesù che divise diventa-

no possesso dei soldati. Da Gesù perciò si giunge ai soldati. Il dinamismo centripeto sareb-

be nella tunica: più precisamente la tunica non descrive il dinamismo centripeto, ma

l’effetto di questo stesso dinamismo. L’intrinseca unità dopo un movimento di attrazione.

Page 135: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

135

Mercoledì 18 gennaio 2006, ore 10,30 / 12,15

IL TITOLO DELLA CROCE LA PRIMA O LA QUINTA SCENA [vv. 17b-22]: CROCIFISSIONE E TITOLO DELLA CROCE

La quinta scena o la prima è contenuta nei versi 17b-22. In questa parte possiamo

distinguere due sezioni: la prima è la crocifissione di Gesù, la seconda è il titolo della cro-

ce. La prima parte, la crocifissione, può essere divisa a sua volta in due brevi sezioni: il fat-

to stesso della crocifissione di Gesù e la crocifissione di altri due insieme a lui.

Nell’interpretazione qui è fondamentale il confronto con i vangeli sinottici. Facendo atten-

zione a quello che l’evangelista dice, al modo come lo dice ed a quello che non dice. La

prima cosa che possiamo notare è il cammino dal pretorio di Pilato verso il Calvario. Gio-

vanni scrive: «presero Gesù e portando per sé stesso la croce uscì in un luogo detto del

Cranio che è chiamato in ebraico Golgota, dove lo crocifissero». Di questa descrizione

dovremmo notare non poche cose. La prima è il verbo presero [1 ����&�], questo verbo

si ricollega al verbo precedente dell’espressione: «allora lo diede a loro perché fosse cro-

cifisso»: il soggetto è Pilato, il verbo è «��������», c’è una consegna e c’è una accetta-

zione. Quello che Pilato consegna è quello che lui stesso ha presentato come il vostro re.

Pilato infatti aveva proclamato «ecco il vostro re». Di fronte a questa proclamazione si era

verificata una piena apostasia, i giudei avevano infatti dichiarato: «non abbiamo altro re se

non Cesare». L’ironia di Giovanni è fortissima, sottolinea quasi uno scambio: colui la cui

ambizione era diventare «amico di Cesare» questo perviene alla regalità di Gesù, i giudei

di cui Gesù sarebbe il loro re fanno la loro scelta esclusiva a favore di Cesare. In questo

contesto si avverte il contrasto tra il fatto che Pilato consegna e il fatto che i giudei accetta-

no. Questo contrasto apparirà meglio alla fine di tutta la sezione. Notano i vangeli sinottici

due elementi Matteo scrive: «condussero Lui perché fosse crocifisso», Marco scrive: «lo

conducono per crocifiggerlo», Luca scrive: «lo condussero…». In tutti e tre gli evangelisti

è sottolineato il fatto che Gesù è condotto. È utile un attimo riferirci a qualche indicazione

della storia in nostro possesso.

Il cammino dei condannati rientrava nella stessa pena, i condannati portavano il

patibulum caricato sulle spalle, camminavano a torso nudo, e perciò la flagellazione conti-

nuava per la strada. Se erano numerosi camminavano legati e se barcollando cadeva uno,

col patibolo che aveva non riusciva ad appoggiarsi, ruzzolava e con lui tutti gli altri.

Page 136: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

136

Il patibulum era portato dal condannato, tutti e tre i vangeli sinottici ci informano che Gesù

fu aiutato da un certo Simone di Cirene che tornava dalla campagna e che costrinsero a

prendere il patibolo di Gesù. Non abbiamo motivo di dubitare sulla storicità di questo fatto,

Marco addirittura ci informa che era padre di Alessandro e Rufo, due personaggi che per

essere nominati dovevano essere conosciuti nella comunità. Una lettura più attenta dei rac-

conti sinottici mostra la dimensione religiosa della figura del cireneo. La figura del cireneo

rispecchia la dimensione cristiana della sequela di Gesù: portando la propria croce ed inol-

tre si ricollega in quella serie di persone che, dopo il rinnegamento di Pietro, delineano un

cammino spirituale, il cui culmine era presentato dalla professione di fede del Centurione.

Possiamo stabilire un confronto tra i sinottici e Giovanni, confronto che formuliamo nel

seguente modo:

SINOTTICI

1 – conducono Gesù; 2 – il cireneo;

GIOVANNI

3 – e portandosi la croce 4 – uscì

Giovanni introduce due differenze fondamentali rispetto alla narrazione sinottica.

Anzitutto depenna completamente l’episodio del cireneo, se leggessimo solo Giovanni do-

vremmo dire che tale episodio non sia mai avvenuto. L’episodio del cireneo storicamente

si spiega: il condannato doveva arrivare alla croce vivo e il cireneo rivela che Gesù dava

segni di cedimento. Giovanni scrive un’espressione che sembra contraddire i sinottici,

scrive: «&���'�� �������». Il verbo «&���'�» significa portare, il problema nasce

nell’interpretare quel pronome riflessivo al dativo. Tale pronome a leggerlo attentamente

non esclude il racconto sinottico, ma indica anche che l’episodio sinottico disturbava a

Giovanni. Quel pronome dativo riflessivo non può avere altro valore se non un dativo di

appartenenza o di vantaggio. Giovanni sottolinea in questo modo che la croce è una realtà

che appartiene intrinsecamente a Gesù, una realtà che è sua esclusiva e che non può essere

ceduta ad altri. Se i vangeli sinottici hanno dei motivi spirituali per sottolineare la presenza

del cireneo, Giovanni ha motivi spirituali per toglierla.

La seconda differenza è il verbo «uscì» che non indica soltanto l’uscita materiale,

bensì alla luce di tutto l’evento della passione, assume un significato profondo spirituale.

Page 137: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

137

Storicamente questo verbo è strano perché sicuramente Gesù fu legato e forse anche trasci-

nato. Giovanni invece usa un verbo che azzera qualsiasi intervento umano e dimostra Gesù

nella sua piena e totale autonomia e libertà. Abbiamo notato a principio del corso come

Giovanni usa due volte il verbo “legare”, lo usa nel cammino dal Getsemani ad Anna e lo

userà nel passaggio da Anna a Caifa in modo che il verbo “legare” costituisce inclusione

letteraria al racconto del processo o dialogo davanti ad Anna. Quanto poi si tratta del pas-

saggio da Caifa a Pilato, Giovanni usa il verbo «conducono», nel passaggio da Pilato al

Calvario, dove sarebbe stato più opportuno il verbo condurre usa invece il verbo «uscì».

Possiamo notare un progresso di liberazione di Gesù: dal processo davanti ad Anna in cui

il verbo “legare” suggerisce la massima coartazione si passa alla massima libertà del verbo

“uscire”. Possiamo dire che tutta questa storia è illuminata da 1,5: «la luce splende tra le

tenebre, le tenebre non poterono coartarla». Le tenebre tentarono di sopraffare la luce, ma

la luce sfugge e và a splendere. Queste due azioni: “portandosi la croce” e “uscì” debbono

essere lette alla luce di due espressioni parallele: la proclamazione di Pilato: «ecco il vostro

re» e il titolo della croce: «Gesù nazareno re dei giudei». Le due espressioni segnano quasi

nella penna di Giovanni il passaggio dalla proclamazione alla intronizzazione. Possiamo

dire che il re proclamato và a collocarsi sul suo trono. Perché Giovanni sottolinea che la

croce appartiene strettamente a Gesù e perciò depenna il cireneo? Perché la croce è il trono

di chi è stato proclamato re. Le osservazioni che abbiamo proposto suggeriscono di leggere

tutta la descrizione alla luce della proclamazione di Pilato. Possiamo anche recuperare altri

due elementi di quella proclamazione. L’evangelista aveva collocato quella proclamazione

in due circostanze cronologiche: quella dell’ora sesta e quella della parasceve della pasqua.

L’ora sesta richiama la piena manifestazione della luce, la parasceve richiama

l’immolazione dell’agnello. Possiamo anche dire che il Gesù che và a collocarsi sulla croce

è la luce che và a collocarsi sul suo candelabro. Ma possiamo stabilire una relazione più

stretta tra la proclamazione di Pilato e gli eventi al Calvario. Possiamo stabilirla proponen-

do uno schema concentrico:

1 – era la parasceve della pasqua; 2 – era l’ora sesta; 3 – ecco il vostro re; 4 – Gesù nazareno re dei giudei; 5 – non gli spezzarono le gambe [19,36]; 6 – guarderanno a Colui che hanno trafitto

Page 138: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

138

La relazione tra il terzo e il quarto elemento è strettissima, come anche è stretta la

relazione tra il primo e il quinto elemento: nella parasceve si immolava l’agnello e la legge

prescriveva che non fossero spezzate le gambe. Meno chiara è la relazione tra 2 e 6, ma

non distona: la luce che raggiunge la sua massima manifestazione diventa oggetto di visio-

ne.

Abbiamo già a suo tempo stabilito la relazione tra la proclamazione di Pilato e gli

eventi stretti della crocifissione. Possiamo stabilire infatti la seguente relazione:

1 – Pilato fece sedere; 2 – in un luogo detto “litostroton”, in ebraico “gabbata”; 3 – ecco il vostro re; 4 – in un luogo detto del “Cranio” in ebraico “Golgota”; 5 – dove lo crocifissero; 6 – Gesù nazareno re dei giudei.

Abbiamo notato come il fatto che Pilato fece sedere Gesù si ricollega al fatto che lo

crocifissero, inoltre abbiamo detto che il litostroton in ebraico gabbata richiama

l’esaltazione e ciò è suggerito dal fatto che l’evangelista dice di leggere in lingua ebraica il

termine aramaico Gabbata. Come anche il luogo del cranio detto in ebraico Golgota, ri-

chiama la manifestazione e ciò è suggerito dal fatto di leggere in lingua ebraica il termine

aramaico Golgota. Ciò corrisponde a 8,28: «quando innalzerete [Gabbata] il Figlio

dell’uomo conoscerete [Golgota] che Io sono».

Passiamo adesso al titolo della croce prescindendo dalla storicità o meno della tavo-

letta nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, cerchiamo di cogliere gli a-

spetti letterari e qualche aspetto storico.

Il titolo della croce è riferito da tutti e quattro gli evangelisti, ciò dice che è un ele-

mento antico nella tradizione. Dal punto di vista storico esso è più che verosimile. Sappia-

mo che simile titolo era portato nel corteo dei condannati o da un servo che apriva il corteo

oppure dai condannati stessi appeso al collo, poi era affisso alla croce. Se consideriamo tut-

ti gli eventi globali al Calvario quali storicamente possono essere avvenuti scopriamo che

questo elemento della dinamica dei fatti non era centrale. Ce ne sono anche altri che stori-

camente possiamo immaginare, ma di cui i vangeli non dicono nulla. Tuttavia il fatto che

tutti gli evangelisti lo attestano rivela che esso fu centrale nella riflessione primitiva. Pos-

siamo chiederci perché questo titolo ebbe importanza nella tradizione; la risposta sarebbe

che il titolo conteneva una menzione della regalità. Il senso di questa menzione può essere

Page 139: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

139

vario: poteva indicare il crimine di lesa maestà, poteva essere uno scherno a Gesù, poteva

anche essere una feroce ironia di Pilato ai giudei, ma a noi non interessa dal punto di vista

storico, ma interessa nella formulazione degli evangelisti. Possiamo fare un confronto fra i

quattro:

MATTEO MARCO LUCA GIOVANNI costui Gesù è il nazareno Gesù il re il re il re il re dei giudei dei giudei dei giudei dei giudei costui

Questo confronto rivela due parti: una parte fluttuante, una parte fissa. La parte fis-

sa è: «il re dei giudei», la parte fluttuante è il contesto. Marco non aggiunge alcun elemen-

to, Luca pospone il pronome “costui”, Matteo è più lungo, c’è un pronome soggetto, una

copula, e il nome proprio, Giovanni nel nome proprio concorda con Matteo e suo peculiare

l’appellativo «nazareno». Possiamo concludere dicendo che l’espressione «il re dei giu-

dei» era già nella tradizione. Ma osserviamo la formulazione letteraria: dietro questa for-

mula si può facilmente ipotizzare la formulazione aramaica «��� %J���K��!�». Sorprende

in greco l’articolo davanti al re, la formula non dice: “re dei giudei” e in questo senso Gesù

poteva essere considerato uno dei tanti re che nella storia si erano succeduti. L’articolo di-

ce che si tratta del re per antonomasia cioè il vero re dei giudei. Si avverte in questa formu-

lazione la reinterpretazione della tradizione primitiva. In questo senso si capisce il motivo

per cui la tradizione diede importanza a questo titolo. La regalità di Gesù e la sua stessa

messianicità si manifesta sulla croce. Questo titolo poi andrebbe letto nel contesto di ogni

evangelista e in ogni evangelista il senso originale assume sfumature differenziate. La tra-

dizione di Matteo e Marco mise in bocca a Gesù il salmo 21 riferito in semitico [miscuglio

di aramaico ed ebraico: prende elementi dall’uno e dall’altro] e in greco.

Conosciamo lo scherno che ne seguì alla formulazione «Eli Eli lama sabactani»

oppure «Eloi Eloi, lema sabactani», alla formulazione semitica costui chiama Elia. Questo

scherno sembra contenere una chiave di lettura: mettendo insieme il re dei giudei e la men-

zione di Elia [precursore del messia] si ottiene una scena messianica.

Page 140: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

140

Ma adesso andiamo a Giovanni, la formulazione giovannea ha due parti parallele:

Gesù Re Il nazareno Dei giudei

C’è un duplice passaggio: da Gesù a re, da nazareno a re dei giudei. Analogo pas-

saggio lo troviamo all’inizio del Vangelo nella professione di fede di Natanaele. Filippo

aveva annunziato a Natanaele: «Colui di cui scrissero Mosè nella legge ed i profeti abbia-

mo trovato: Gesù il figlio di Giuseppe da Nazareth».

Sabato 21 gennaio 2006, ore 08,30 / 10,15

Accostando le due indicazioni: «Nazareno» e «Re dei giudei» l’evangelista sottoli-

nea due aspetti: anzitutto lo scandalo della incarnazione, nel capitolo 7 si poneva il pro-

blema sulla origine del messia nei versi 40-44 nel problema se Gesù fosse il Cristo.

L’obiezione che si poneva era l’origine galilaica. Si diceva che dalla Galilea non viene il

Cristo perché le Scritture sottolineavano l’origine da Betlehem, il villaggio di Davide. Gio-

vanni non menziona Betlehem, ma sottolinea l’origine galilaica di Gesù e lo scandalo che

un galileo diventi il re dei giudei. La stessa obiezione aveva proposto anche Natanaele: da

Nazareth viene qualcosa di buono? Ma come abbiamo visto Natanaele perviene alla pro-

fessione di fede. La seconda osservazione è che in questo titolo Giovanni sembra riassume-

re la prospettiva che troviamo nei vangeli Sinottici. I sinottici infatti presentano un cammi-

no di Gesù che parte dalla Galilea, da Nazareth ed arriva fino alla croce. In ogni caso il ti-

tolo della croce sottolinea il passaggio di Gesù dalla dimensione terrena alla dimensione

ultraterrena: non si tratta però di un passaggio reale di Gesù, quanto piuttosto un passaggio

nella comprensione degli uomini. Comprensione alla quale pervenne Natanaele, ma alla

quale non pervennero i giudei. Si può notare come in lettura inversa della narrazione della

passione, il titolo della croce soggiace al dialogo tra Gesù ed i giudei al Getsemani. I giudei

cercano Gesù nazareno, cioè depennano la seconda parte del titolo della croce e relegano

Gesù soltanto alla prima. Ma Gesù propone, mediante le parole «Io sono» la seconda parte,

che però per i giudei suona come un giudizio e difatti scrive l’evangelista che indietreggia-

rono e caddero; si richiama 8,24: «se non credete che Io sono morirete nei vostri peccati».

Segue subito dopo, nel verso 18 una descrizione che andrebbe da essere non poco

illuminata. Scrive l’evangelista: «e con lui altri due, da qui e da lì, nel mezzo Gesù».

Page 141: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

141

Abbiamo commesso un errore, abbiamo spiegato il titolo della croce prima della descrizio-

ne dei due crocifissi perché difatti nel testo il titolo della croce è menzionato dopo con del-

le conseguenze che diremo. Giovanni concorda con tutti i vangeli nel dire che Gesù non fu

crocifisso da solo. Si trattò perciò di una esecuzione capitale collettiva. C’è però qualche

differenza rispetto ai sinottici ed è il fatto che mentre i sinottici si premurano di dire che

erano malfattori, Giovanni ha tutta la cura di depennare questa parola. L’assenza di questa

parola è la formulazione che lui usa cambia prospettiva: mentre nei vangeli sinottici la pro-

spettiva era l’abbassamento di Gesù alla stregua dei malfattori, non senza riferimento al

quarto canto di Isaia, Giovanni invece usa dinamica inversa: non abbassa Gesù alla stregua

dei malfattori, ma innalza i due alla stregua di Gesù. Ma notiamo la formulazione, scor-

giamo nel testo quattro elementi strutturabili in maniera concentrica nel seguente modo:

1 – con lui; 2 – altri due;

3 – da qui e da lì; 4 – nel mezzo Gesù.

Nulla impedisce di ritenere storica questa indicazione: Gesù nel mezzo; però la

formulazione così precisa sembra voler dire qualcosa di più. Il secondo e terzo elemento

sottolineano la dualità, il primo e il quarto presentano invece dinamica complementare. Il

primo elemento [con lui] esprime la relazione dei due a Gesù, il quarto elemento [nel mez-

zo Gesù] esprime la relazione di Gesù ai due. La scena globalmente è statica, analoga a

quella delle donne presso la croce. Questo brano rivelerebbe il termine di un cammino di

unità ecclesiale determinato da qualcosa descritta in 12,32: «quando sarò innalzato da ter-

ra attirerò tutti a me». Emerge la terza descrizione di unità e le tre descrizioni andrebbero

meglio accostate. Esse sono:

1 – le donne presso la croce; 2 – la tunica; 3 – i due crocifissi con Gesù [*].

[*] Senza dimenticare che questa descrizione andrebbe relazionata alla prima scena

[all’inverso] dello spezzar le gambe in 19,32.

Il titolo della croce messo dopo questa descrizione non riguarda solo Gesù, ma ri-

guarda Gesù nel mezzo dei due crocifissi, si direbbe che la regalità di Gesù emerga nel fat-

Page 142: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

142

to che insieme a Lui ci sono altri due. Sembra che il titolo della croce sia una “didascalia”

ad una icona, e l’icona è Gesù con gli altri due. Gesù realizza la sua regalità nel fatto che

ha attirato a sé, e manifesta tutta la sua regalità nell’unità ecclesiale.

Seguono altri elementi del tutto assenti nella narrazione sinottica:

Primo elemento: nel verso 20 leggiamo che questo titolo «molti lessero dei giudei

perché vicino era il luogo della città dove fu crocifisso Gesù». Ci permettiamo di questa

frase alquanto elaborata di indicare soltanto qualche cosa.

Notiamo anzitutto la struttura letteraria e in questa struttura partiamo dal verso 18:

1 – dove lo crocifissero; 2 – i due con Gesù; 3 – Gesù nazareno, re dei giudei; 4 – molti dei giudei lessero perché vicino era il luogo; 5 – dove fu crocifisso Gesù.

In questo schema c’è la centralità del titolo della croce [3], il titolo della croce è

menzionato tra due che fanno unità con Gesù [2] e i giudei della città che lessero il titolo,

ma dei quali non si dice che uscirono [4]. Si potrebbe fare un confronto con il capitolo 4: i

samaritani, dove si dice che all’annunzio della donna molti dalla città uscirono ed andava-

no a Gesù. Si scorgono qui due atteggiamenti opposti che troviamo anche nella descrizione

della tunica e delle vesti, si può stabilire un confronto:

1 – i due crocifissi con Gesù 1 – la tunica 2 – molti dei giudei lessero 2 – la spartizione delle vesti

Si richiama ancora un testo chiave del Vangelo in 12,31-32: «adesso è il giudizio di

questo mondo, adesso il principe di questo mondo è gettato fuori ed Io quando sarò innal-

zato da terra attirerò tutti a me». Il fatto dei due crocifissi con Gesù prosegue fino alla tu-

nica. Il fatto dei giudei che lessero prosegue fino alla spartizione delle vesti. Globalmente

però tutta questa descrizione ha un carattere: la manifestazione pubblica della regalità di

Gesù.

Qui si potrebbero fare diversi accostamenti: anzitutto col capitolo 10: «il pastore

del recinto è sceso, ma le pecore non lo hanno seguito, sono rimaste chiuse»; si potrebbe

fare un confronto con la lettera agli Ebrei: «Gesù morì fuori dalle mura»; si potrebbe fare

un confronto con Romani 3, secondo cui «Dio ha costituito pubblicamente Gesù come vit-

Page 143: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

143

tima di espiazione per i peccati». Ma ecco ci fermiamo soltanto sul carattere pubblico del

titolo della croce. Segue un altro elemento molto verosimile storicamente: le lingue usate

nel titolo della croce. Sono tre: ebraico, latino e greco; è giusta l’osservazione che si tratta

della lingua sacra [ebraico], della lingua imperiale [latino], e della lingua del mondo allora

conosciuto [greco]. Di questo trilinguismo non parla alcun evangelista: alcuni codici lo ri-

ferirebbero anche alla narrazione lucana che però appare sospetta, è più facile che alcuni

copisti vollero ampliare su Giovanni che non depennare.

Il trilinguismo giovanneo serve però all’evangelista per un’altro aspetto, la regalità

di Gesù assume un carattere universale. Segue infine il terzo elemento. Di fronte al titolo

della croce c’è una reazione dei giudei. Nel verso 21 leggiamo: «dicevano a Pilato i sacer-

doti dei giudei». L’imperfetto «dicevamo» assume un carattere iterativo [di ripetizione],

evidentemente Pilato dovette subire delle pressioni da parte dei giudei che rivela quasi un

atteggiamento coartante. Quello che i giudei dicono a Pilato anzitutto è il comando negati-

vo: «�������)�», la versione latina offre una traduzione che si presta ad equivoci, traduce:

«noli scrivere», e le versioni italiane poi traducono: «non scrivere», ma questa traduzione è

contraddizione perché Pilato ha già scritto. Nel testo greco abbiamo un imperativo presente

preceduto dalla particella negativa. Il presente indica azione continua, la particella negativa

interrompe la continuità della azione, cioè impedisce che una azione continui. Non do-

vremmo perciò tradurre «non scrivere», ma: «non lasciare scritto», «cancella», in questo

modo i giudei chiedono che venga soppressa nel pensiero dell’evangelista la regalità di

Gesù. questa espressione è l’ultimo tentativo delle tenebre di sopprimere la luce. I giudei

propongono un’altra formulazione che suona così: «ma che lui disse: “re sono dei giu-

dei”». Per capire questa frase bisogna distinguere tra la bocca dei giudei e la penna di Gio-

vanni. In bocca ai giudei la frase vorrebbe essere il passaggio da una proclamazione ogget-

tiva ad una pretesa soggettiva che marcherebbe di più il crimine di lesa maestà. Il crimine

di Gesù è quello di avere preteso di essere re dei giudei, Pilato invece ha scritto in maniera

oggettiva. Ma nella penna di Giovanni la frase ha un altro senso ed è carica di profonda i-

ronia. Notiamo l’ordine delle parole: la parola «re» è predicato ed è messa prima della co-

pula e di conseguenza riceve non poca enfasi. Il verbo «sono» richiama 8,28: «quando in-

nalzerete il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono»: al momento della esaltazio-

ne avviene una conoscenza, in 8,24 poi si dice: «se non credete che “Io sono” morirete nei

vostri peccati», cioè al momento della esaltazione c’è una conoscenza che deve tradursi in

fede, altrimenti si muore nei peccati. Però né 8,24, né 8,28, dicono una cosa molto impor-

Page 144: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

144

tante: la fede presuppone la conoscenza [e fin qua ci siamo], ma la conoscenza cosa pre-

suppone? È indispensabile la manifestazione. Paradossalmente i giudei volendo ridurre a

semplice soggettività stanno affermando una realtà molto importante cioè “la manifesta-

zione”. Avremmo allora il seguente sviluppo:

Gesù si è manifestato; I giudei hanno conosciuto [molti lessero]; ma non hanno creduto.

Paradossalmente alla professione di fede è pervenuto il pagano che dichiara: «Gesù

nazareno re dei giudei». Si potrebbe in questo senso fare un accostamento con un elemen-

to dei sinottici, cioè la professione di fede del centurione. Pilato risponde con le famose pa-

role: «�� ������� ������» tradotte nella versione italiana: «ciò che ho scritto, ho scritto».

Queste parole potrebbero avere quel senso comune che usiamo anche noi per dire “ciò che

è fatto, è fatto”; potrebbero, e lo avrebbero se storicamente queste parole sono vere [di cui

nessun altro evangelista narra] il senso di una stizza: Pilato si è trovato suo malgrado in

una vicenda che potrebbe essere spinosa, si è trovato tra l’incudine e il martello, sa di avere

condannato un innocente, d’altra parte ha dovuto cedere perchè è stato ricattato: i giudei gli

hanno detto che se lo libera non è amico di Cesare. Amico di Cesare non rimanda ad un

rapporto personale con l’imperatore, ma ad una posizione privilegiata alla corte imperiale,

come uno dei favoriti dell’imperatore. Non è detto che Pilato lo fosse [apparteneva

all’ordine secondario dei cavalieri], ma è verosimile che ci aspirasse ed era rischiosissimo

cadere in disgrazia del sospettoso Tiberio. È comprensibile che Pilato volesse chiudere la

faccenda ed abbia detto quelle parole con questo senso, ma la formulazione giovannea ri-

vela qualcosa di più che non una semplice stizza. Abbiamo due perfetti

«������� ������», forse il primo verbo poteva essere espresso all’aoristo come inizio di

azione. I due perfetti rimarcano con molta enfasi la continuità dell’azione, quasi a dire:

“ciò che Pilato ha scritto e rimane scritto, rimane scritto”. Questa sottolineatura nella pen-

na di Giovanni sembra voler dire che il titolo della croce, una volta scritto continua ad es-

sere scritto, non si cancella, di conseguenza il titolo della croce: «Gesù nazareno re dei

giudei» è un titolo che rimane per sempre scritto, la regalità di Gesù non si sopprime. E-

merge così la terza caratteristica del titolo della croce: pubblico, universale, definitivo, e

nella storia umana rimane definitivo [con buona pace di chi nella storia ha cercato di sop-

primerlo].

Page 145: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

145

CONCLUSIONI

Le cinque scene che caratterizzano gli eventi al Calvario possono essere suscettibili

di diverse letture: progressiva ed inversa. La lettura progressiva assumerebbe piuttosto il

carattere di una presentazione storica, ma bisogna sganciarsi dalle materialità storiche per-

ché il diverso ordine con cui gli evangelisti propongono i fatti rivela che la loro preoccupa-

zione, prima di tutto, non è cronicistica, ma teologica. proponiamo un cammino inverso e

ci sembra di scorgere un progresso dalla apertura del costato al titolo della croce. Il primo

atto è l’apertura del costato dal quale sgorga sangue ed acqua. Segue poi la scena la se-

guente risalendo che è il dono dello Spirito e quindi la scena delle donne presso la croce.

Dietro questo cammino, tra le tante immagini, sembra esserci anche quella dell’Adamo ge-

nesiaco. Dio prende una costola [������� ��] e forma la donna che presenta ad Adamo; in Ge-

sù si apre la «������� ��», si fonda la donna che è presso Gesù, questa donna presso la croce è

la donna-madre alla quale è affidato il discepoli. Nella terza, seconda e prima scena pos-

siamo notare della dualità:

3 – i crocifissi ed i giudei; 2 – le vesti e la tunica; 1 – la madre ed il discepolo.

C’è opposizione nella terza e nella seconda scena, unione nella prima. Ci sembra di

scorgere la seguente linea:

3 – le donne presso Gesù = formazione dell’unità ecclesiale; 2 – la tunica = l’unità ecclesiale costituisce la tunica di Gesù; 1 – nell’unità ecclesiale Gesù manifesta la sua regalità.

C’è perciò una linea continua dalle donne alla regalità. Scorgiamo un’altra linea,

stavolta discendente, di diversa indole, stavolta però di giudizio. C’è nella prima scena [ti-

tolo della croce] il rifiuto dei giudei di accogliere la regalità di Gesù e c’è, nella scena se-

guente l’aspetto giudiziario nella spartizione delle vesti. C’è allora attorno al crocifisso un

duplice dinamismo: di raduno e di giudizio: si tratta di quel potere di cui di parla nel capi-

tolo 5; il duplice potere del Figlio dell’uomo di 1) dare la vita e 2) di compiere il giudizio.

Page 146: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

146

L’APOCALISSE DI SAN GIOVANNI

Prof. ATTILIO GANGEMI [Tutti i giovedì del primo semestre – 5a ora: 12,20 / 12,55]

Giovedì 13 ottobre 2005, ore 12,20 / 12,55

Iniziando dagli aspetti più marginali diciamo subito che la distanza tra quarto van-

gelo ed apocalisse è notevole, sia come linguaggio, sia anche come prospettiva teologica.

La parola apocalisse è parola greca «����������», essa deriva dal verbo

«�������» con la particella «���». Il verbo «�������» significa nascondere, la particella

«���» implica moto da luogo. Si tratta perciò di tirare fuori dal nascondimento, di rivelare,

quello che è nascosto.

Il libro giovanneo si radica in tutto il filone apocalittico che è iniziato già nel se-

condo secolo a.C. con il libro di Daniele. Restando al nostro libro, per poterlo capire, è in-

dispensabile avere presenti le seguenti cose:

1 – il filone apocalittico; 2 – la storia in cui il libro nasce; 3 – il linguaggio utilizzato; 4 – la tradizione neo-testamentaria a cui si ricollega.

Cominciando da quest’ultimo punto, l’apocalisse si ricollega più all’escatologia ne-

otestamentaria che non a quella del quarto vangelo. L’escatologia del quarto vangelo si

compendia tutta o quasi nel mistero della croce; l’escatologia neotestamentaria invece è più

storica. C’è il punto di partenza: l’evento del risorto; c’è un punto termine: il ritorno del

Signore; e c’è infine il tempo intermedio. Nella caratterizzazione del tempo intermedio,

l’autore di apocalisse sembra avere presente, o almeno è vicino alla parabola della zizza-

nia, cioè la coesistenza di bene e di male. analogamente, per l’autore di apocalisse, il mi-

stero satanico, già vinto nella resurrezione di Gesù, opera ancora nella storia fino alla paru-

sia, quando sarà totalmente eliminato.

Page 147: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

147

Il linguaggio è tutto particolare, risente dello stile apocalittico che si serve di im-

magini e simboli per esprimere particolari realtà. In particolare il linguaggio della apocalis-

se per il 70-80% è tratto dall’AT. Però l’autore non cita un testo, ma possedendo tutto

l’AT, spesso crea delle immagini che sono sovrapposizione di testi. Nell’interpretare tali

immagini bisogna fare un lavoro lungo cercare di individuare i testi che ha in mente e rico-

struire un cammino che porta alla formazione delle sue immagini. Qui però nasce una dif-

ficoltà: come si può capire quali testi lui ha in mente? Se citasse secondo i LXX, dal suo

greco si potrebbe risalire al greco dei LXX, però oggi abbiamo certezza che il suo testo

non è greco, ma è semitico. Qui si pone ancora un problema: è il testo ebraico, o il targum

aramaico? Si aggiunge anche il rimando alla letteratura apocalittica, ed anche qui il pro-

blema di non possedere i testi originali.

SFONDO STORICO

L’apocalisse, come gran parte del NT, nasce in tempo di persecuzione, come la let-

tera agli ebrei, come la prima lettera di Pietro: e come una situazione di persecuzione, pre-

suppongono molti passaggi evangelici. Le persecuzioni che la chiesa subì provennero

all’inizio dal mondo giudaico, ma poi provennero dal mondo pagano. È famosa la persecu-

zione di Nerone, però quella di Nerone, [dove probabilmente morirono anche Pietro e Pao-

lo], ma non fu la più grave, perché circoscritta solo a Roma… la persecuzione che Apoca-

lisse presuppone è quella sotto Domiziano tra l’88 e il 96. Domiziano estese il culto impe-

riale a tutto l’impero pretendendo di essere chiamato: «Dominus noster et Deus». Si capi-

sce la violenta polemica dell’autore della apocalisse, che gli contesta in quanto è solo

l’Agnello il Re dei re e il Signore dei signori. L’autore si rivolge alle sue chiese perseguita-

te, rivelando il senso di quella persecuzione e rileggendola alla luce del mistero di Cristo.

In 1,9 l’autore si presenta: «io Giovanni, vostro fratello, e compartecipe nella tribolazione,

nel regno e nella costanza». Queste tre parole, messe all’inizio, gettano un po’ luce sul

senso di tutto il libro. C’è una tribolazione ed è quella che era stata preannunziata da Da-

niele [12,1]. Ma questa tribolazione deve essere vissuta alla luce del Regno e di conse-

guenza, in questa tribolazione non si può defezionare, ma bisogna restare saldi e persevera-

re.

Page 148: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

148

Anche l’autore pare condividere la situazione di persecuzione; in 1,9, scrive che si

trovò nell’isola di Pathmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Il ge-

nitivo «di Dio» è soggettivo: Dio che parla. Di conseguenza, il genitivo «di Gesù» sarà pu-

re soggettivo: non si tratta perciò della testimonianza resa a Gesù Cristo, ma della testimo-

nianza che Gesù Cristo rende a noi.

Giovedì 20 ottobre 2005, ore 12,20 / 12,55

Il contesto di persecuzione che costituisce il background del libro emerge con note-

vole frequenza in tutto il libro stesso. Nel capitolo 1, l’autore con un suo linguaggio parti-

colare, introduce la figura di Gesù. La descrive con immagini in sé stesse irreali. Lo pre-

senta rivestito di una veste talare, cinto ai fianchi di una fascia di oro e sul suo capo capelli

bianchi come lana bianca. I suoi occhi come fiamma di fuoco, i suoi piedi come bronzo

splendente e la sua voce come voce di molte acque. Aveva nella sua destra sette stelle, dal-

la sua bocca usciva come una spada a doppio taglio, acuta, e il suo volto come splende il

sole in tutta la sua forza.

Questa descrizione è chiaramente irreale, essa risulta da una serie di testi presi

dall’AT e riferiti a Cristo. All’autore non interessa la coerenza delle immagini, bensì la lo-

ro convergenza verso un punto centrale che è l’aspetto glorioso della persona che si sta

manifestando.

Più interessanti sono le parole che questo personaggio rivolge all’autore veggente.

Le parole sono: «Io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, divenni morto ma ora sono il vi-

vente nei secoli dei secoli ed ho le chiavi della morte e degli inferi». Questa visione, messa

all’inizio, vuole essere la chiave di lettura della situazione delle chiese.

L’espressione «primo ed ultimo» è ripresa da tre testi del Deutero-Isaia (41,4; 44,6;

48,12). Nel Deutero-Isaia, l’espressione «primo ed ultimo» è riferita a Dio in un contesto di

polemica contro gli idoli. Dio lancia contro gli idoli come una sfida per sapere chi è il vero

Dio. Nella lista delle divinità, Dio risulta il primo, ma risulta anche l’ultimo, esaurisce per-

ciò tutta la lista delle divinità e può concludere che, al di fuori di Lui, non ci può essere al-

tra divinità.

Page 149: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

149

L’autore riferisce questa espressione a Cristo, però aggiunge che Egli è il vivente.

In questo modo reinterpreta l’espressione: «Egli è i primo dei viventi e fuori di Lui, non ci

può essere vita». Ciò costituisce un messaggio importante per le chiese perseguitate che

vivono il dramma della travagliata fedeltà, e la tentazione di defezionare da Cristo molto

forte, ma, in questo caso, l’autore ricorda che defezionare da Lui significa piombare nella

morte.

Ma Gesù è anche modello e testimone dei cristiani. Anche Lui ebbe l’esperienza

che i cristiani provano, donde le parole che abbiamo citato: «divenni morto», ma la conse-

guenza di Cristo è stata la vita, donde le parole: «sono il vivente nei secoli dei secoli».

L’autore afferma due cose: anzitutto, che in seguito alla morte, Cristo è divenuto il

vivente, il vivente per eccellenza e perciò la fonte della vita. Non solo, ma ha acquistato

potere sulla stessa morte e sulla sua causa, l’Ade.

In questo modo, l‘autore rilegge il dramma della persecuzione che, come abbiamo

detto, è menzionata diverse volte.

Nel secondo messaggio alla chiesa di Smirne, l’autore, dopo avere elogiato quella

chiesa per la sua fedeltà annunzia che Satana sta per gettare alcuni in carcere ed avranno

tribolazioni dieci giorni.

Possiamo fermarci su questi particolari, la tribolazione che storicamente coincide

con la persecuzione è la tribolazione escatologica di cui aveva parlato Daniele.

I dieci giorni sono un’immagine ripresa dal capitolo 1 di Daniele. Leggiamo in quel

capitolo che, tre giovani portati alla corte di Nabucodonosor, chiesero di non mangiare le

vivande del re con cibi proibiti dalla legge. Loro chiesero di mangiare legumi e chiesero di

essere messi alla prova per dieci giorni. L’autore di Apocalisse riprende il numero di dieci

giorni, ma non indica più il tempo materiale, bensì diventa un tempo emblematico in cui si

attua la tentazione e la tribolazione. Però sono dieci giorni, un tempo cioè relativamente

breve, e soprattutto un tempo che ha una durata limitata. Donde l’esortazione dell’autore

alla chiesa di Smirne: «rimani fedele fino a morire» il premio di tale fedeltà sarà la vita che

l’autore descrive in due aspetti: positivo: la corona della vita e, negativo: non essere lesi

da morte seconda [espressione usata dal Targum palestinese del Deuteronomio]. La morte

seconda nel linguaggio del nostro autore è quella morte dalla quale non si risorge. La per-

secuzione è menzionata ancora nella terza lettera a Pergamo, dove l’autore ricorda la fedel-

tà di questa chiesa: «anche nei giorni di Antipa, mio testimone fedele che fu ucciso dove

satana abita».

Page 150: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

150

Un altro testo che possiamo citare è 6,9: «all’apertura del quinto sigillo si sentono

le parole delle anime sgozzate a causa della Parola di Dio che implorano: “fino a quando,

o padrone, santo e verace non giudichi e vendichi il nostro sangue da quelli che abitano

sulla terra?”». Furono date a loro delle vesti bianche e di attendere ancora un poco finché

non si sarebbe completato il numero dei fratelli uccisi come loro. Nel capitolo sette, a ri-

guardo della grande moltitudine, che grida la propria salvezza davanti al trono di Dio, si

spiega che essi vengono dalla grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti nel sangue

dell’agnello. Nel capitolo 17, non senza allusione a Roma, l’autore parlerà della grande

prostituta ubriaca del sangue dei santi e dei testimoni di Gesù.

Non indugiamo ulteriormente in questi elementi, soltanto che l’autore risponde e

spiega a partire da Cristo e dal suo mistero. Ma quale Cristo? quello che si sperimenta nella

liturgia: l’apocalisse è opera fortemente liturgica.

Giovedì 27 ottobre 2005, ore 12,20 / 12,55

LE SETTE LETTERE

Nei capitoli 2 e 3, l’autore introduce sette lettere o sette messaggi. Questi messaggi

partono dalla visione del capitolo 1. L’autore, infatti, in 1,10 scrive: «divenni in Spirito nel

giorno del Signore ed udii dietro a me una voce grande come di tromba».

L’espressione “divenni in spirito” riprende e smorza il linguaggio della letteratura

apocalittica. In questa letteratura domina l’aspetto del sogno o della visione in cui il veg-

gente contempla una realtà che poi descrive. Si capisce che nell’apocalittica è semplice-

mente un artificio letterario. Il veggente deve indicare da dove ha preso quelle realtà che

lui descrive. Spesso si tratta di sogni e visioni abbastanza materializzate. L’espressione del

nostro autore “divenni in spirito” è molto più sfumata: non ha nulla della materialità della

letteratura apocalittica; facilmente la si può ricondurre ad un aspetto di contemplazione che

gli permette però al di là della situazione materiale esterna il senso profondo contenuto in

quella realtà. Tale contemplazione avviene nel giorno del Signore, cioè il giorno in cui at-

traverso i riti liturgici, si fa memoria del Signore risorto. Sembra di potere cogliere in que-

sto modo una particolare metodologia: la contemplazione dei segni esterni che permette di

cogliere il senso profondo e così dietro la lettura esterna si scorge il Signore che parla, che

si presenta come il Signore delle sue Chiese, profondo conoscitore della loro situazione al-

Page 151: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

151

le quali, per mezzo della mediazione dell’autore, anche lui pastore di quelle comunità, un

messaggio di sostegno. L’autore è invitato a “scrivere ciò che vede” e inviare alle sette

Chiese la voce udita e la voce udita è come di tromba: l’immagine della tromba è presa

dalle teofanie dell’AT ed evoca la potenza.

Le sette Chiese sono insieme reali e simboliche. Sono simboliche perché il numero

sette evoca la totalità delle Chiese ma esse sono concrete perché l’autore le elenca singo-

larmente. Esse sono Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea. Queste

sette Chiese sono elencate in un circolo che si affaccia sulla costa occidentale dell’attuale

Turchia. Un’osservazione è importante: in tutte queste lettere l’elemento costante è il ri-

chiamo ad una maggiore fervorosità cristiana; ciò si spiega bene se non c’è tale fervore re-

sterà difficile restare fedeli a Cristo nella persecuzione. Dal capitolo IV in poi l’autore si

addentrerà nel mistero che soggiace dietro la situazione delle Chiese. Prima però è impor-

tante rimotivarsi nella fedeltà.

Tutte le lettere hanno i seguenti elementi costanti:

1. l’espressione “All’angelo di … scrivi”

2. il messaggio concreto introdotto dalla formula profetica “così dice il Signore”. Si in-

troduce dopo quella formula un titolo cristologico: in ciascuna lettera il Signore è pre-

sentato in prerogative diverse, quasi tutte riprese dalla visione iniziale del capitolo pri-

mo. Segnaliamo soltanto il quarto (a Tiatira) il Figlio di Dio e il settimo (a Laodicea) il

testimone degno di fede e verace.

3. il messaggio specifico introdotto dal verbo “conosco”: il Signore rivela di conoscere

bene la situazione di ciascuna Chiesa.

4. in alcune lettere (la prima, la terza, la quarta, la quinta, la settima) cioè tutte tranne la

seconda e la sesta c’è l’esortazione alla conversione.

5. si introduce il premio promesso “al vincitore”.

6. l’espressione un po’ misteriosa “chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chie-

se. In questo contesto la frase è misteriosa ma si illumina alla luce di 22,17 dove leg-

giamo le parole: «lo Spirito e la Sposa dicono: vieni». Ciò che lo Spirito perciò dice al-

le Chiese è l’anelito verso il ritorno del Signore, ottica centralissima dell’Apocalisse.

Page 152: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

152

Non possiamo scendere nel dettaglio, ci limiteremo soltanto a delle osservazioni

generali sui sette messaggi e sui sette premi. I sette premi sono i seguenti:

1. al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita che è nel paradiso di Dio (ad Efeso)

2. il vincitore non sarà mai leso dalla morte la seconda. Prima però l’autore aveva parlato

della corona della vita.

3. al vincitore darò la manna nascosta e darò a lui un sassolino bianco e sul sassolino un

nome nuovo, scritto che nessuno conosce se non chi lo riceve.

4. al vincitore darò un potere sulle genti e le guiderà con verga di ferro (Salmo 29) come

anch’io ho ricevuto dal Padre mio e darò a lui la stella mattutina.

5. il vincitore camminerà in vesti bianche e non cancellerò il suo nome dal libro della vita

e confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli.

6. il vincitore lo farò una colonna nel Tempio del mio Dio e fuori non ne uscirà mai e

scriverò il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, la nuova Gerusalem-

me… e il mio nome nuovo.

7. al vincitore darò da sedersi sul mio trono come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il

Padre mio sul suo trono (Salmo 110).

Giovedì 10 novembre 2005, ore 12,20 / 12,55

Possiamo allora cogliere attraverso i sette premi alle sette chiese tre prospettive te-

matiche:

1 – la vita. Questo tema si trova nella prima lettera dove è promesso che al vincito-

re sarà dato da mangiare dell’albero della vita e negativamente nella seconda lettera dove è

promesso al vincitore che non sarà leso da morte seconda. Il tema della vita sarà ripreso

nella quinta lettera dove al vincitore è promesso che non sarà cancellato il suo nome dal li-

bro della vita.

2 – il secondo tema è quello di una realtà nuova così nella terza lettera a Pergamo è

promesso un nome nuovo che nessuno conosce se non chi lo riceve. Nella sesta lettera a

Filadelfia è promesso il nome della Gerusalemme nuova che scende dal cielo e Gesù pro-

mette il Suo nome nuovo.

3 – il terzo tema è infine quello della compartecipazione alla regalità di Cristo e-

spresso nella quarta lettera mediante il Salmo 2: «al vincitore sarà dato potere sulle genti e

Page 153: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

153

le reggerà con verga di ferro». Nella settima lettera al vincitore, col linguaggio del Salmo

110 è promesso di sedersi sul trono di Gesù come lui si è seduto sul trono del Padre suo.

Riassumendo avremmo:

1 – vita: 1, 2, 5 lettera; 2 – la novità: 3 e 6 lettera; 3 – compartecipazione al regno: 4 e 7 lettera.

Questi tre aspetti rimanderanno poi alla descrizione della Gerusalemme celeste nei

capitoli 21-22.

Allora chi promette è il Signore Gesù i cui titoli sono ripresi dalla visione del capi-

tolo primo. I premi sono proiettati verso la Gerusalemme celeste. La vita concreta delle

chiese è perciò collocata e si sviluppa tra l’evento del Signore risorto e l’avvento della Ge-

rusalemme celeste alla venuta del Signore. in questo tempo le chiese sono impegnate su

due fronti, da una parte mantenere la fedeltà a Cristo, dall’altra rivedere sempre più il loro

fervore interno.

Il messaggio intermedio che incomincia con l’espressione «conosco le tue opere», è

un messaggio positivo e negativo insieme. È positivo in quanto le chiese sono lodate per le

loro opere di fedeltà, è negativo in quanto sono biasimate per le loro eventuali infedeltà.

Dove c’è rimprovero per le infedeltà, c’è anche il verbo all’imperativo: convertiti. Abbia-

mo il seguente ordine:

1 – chiesa di Efeso: più elogi, meno rimproveri; 2 – chiesa di Smirne: tutta elogi; 3 – chiesa di Pergamo: meno elogi e un po’ più di biasimi; 4 – chiesa di Tiatira: elogi e biasimi si equivalgono; 5 – chiesa di Sardi: ancora meno elogi, più biasimi; 6 – chiesa di Filadelfia: solo elogi; 7 – chiesa di Laodicea: solo biasimi.

La seconda e la sesta chiesa: Smirne e Filadelfia ricevono solo elogi, le altre cinque

hanno biasimi ed elogi in un regresso che culmina nella settima lettera a Laodicea, dove

Gesù minaccia di vomitarla dalla sua bocca non essendo né calda né fredda. Domina in

queste lettere una idea di fondo: per potere affrontare la persecuzione che Satana scatena,

la prima cosa da fare è quella di rafforzare all’interno la propria fedeltà.

Page 154: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

154

LA SECONDA PARTE DELLA APOCALISSE

La seconda parte và da 4,1 a 22,20. È interessante come inizia il testo di 4,1,

l’autore scrive: «dopo ciò vidi una porta aperta in cielo e la voce che udii prima diceva:

“ti mostrerò cosa deve accadere”». Il linguaggio di questa espressione è ripreso dalla let-

teratura profetica, ma a noi interessa sottolineare i seguenti argomenti:

1 – la porta in cielo; 2 – l’invito a salire; 3 – la promessa di percepire le cose che debbono accadere.

Il linguaggio è tipicamente apocalittico, ma in un contesto liturgico non è da mate-

rializzare. Finora l’autore ha descritto il messaggio che emana dalla presenza del Signore

sperimentato in assemblea liturgica. Le tre espressioni indicate al di là del linguaggio, è

come il contenuto confermerà, sembrano guidare all’interno del mistero che si celebra e

leggere a partire da esso tutto il senso della storia.

In questi capitoli vorremmo anzitutto indicare due parti: i capitolo 4 e 5 e il testo fi-

nale di 22,17-21. I capitoli 4 e 5 sono la grande manifestazione dell’agnello in prospettiva

gloriosa. Questi due capitoli sono costruiti, salvo errore, sullo schema di una antica anafora

liturgica, come anche i versi finali esprimono l’anelito verso il ritorno del Signore. Emer-

gono le due dimensioni della chiesa costruita sul Signore risorto e proiettata verso il suo

ritorno.

Cominciamo dalla fine, nei versi 17,21, togliendo alcune parti si ottiene una strofa

di indole liturgica:

1 – lo Spirito e la sposa dicono: vieni; 2 – chi ascolta dica: vieni; a. chi ha sete venga; b. chi vuole prenda acqua di vita gratis; […] salta i versi 18 e 19; 3 – dice colui che testimonia queste cose: si vengo presto; 4 – Amen, vieni Signore Gesù.

Emerge subito una strofa poetica, saltiamo i versi 18, 19 e 21 perché sono pesantis-

sima prosa e contengono delle minacce a chi manomette il libro, sia togliendo che aggiun-

gendo. Questi versi dovevano essere all’origine un bigliettino con cui l’autore accompagnò

Page 155: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

155

la sua opera invitando a non manometterla, il copista seguente inserì tutto nel testo. Fer-

miamo la nostra attenzione sui sei versi proposti ed anche qui c’è da fare una critica.

Giovedì 17 novembre 2005, ore 12,20 / 12,55

Prescindendo dalle aggiunte dei versi 18, 19 e 21, che sono chiaramente delle ag-

giunte restano sei versi. Guardiamo il terzo e il quarto che sono poeticamente perfetti: «chi

ha sete venga, […] chi vuole prenda acqua della vita gratis», queste due frasi sono in pa-

rallelo: chi ha sete sta in relazione a chi venga e questo chi ha sete è invitato a venire, ma

questo distico di per sé stona perchè introduce un cambiamento di prospettiva, mentre negli

altri versi chi viene è il Signore adesso chi viene è colui che ha sete. Questo distico stareb-

be bene in bocca ad un presidente di assemblea che invita la sua comunità ad accedere:

«chi ha sete venga». Simile invito lo si trova anche nell’opera contemporanea o quasi nella

didachè dei dodici apostoli. Tuttavia nulla autorizza a depennare queste parole. Allora

l’ipotesi che avanziamo è che l’autore abbia preso un distico poetico e l’abbia inserito in

una strofa di quattro versi. La strofa deriva ed è uno sviluppo sull’antica invocazione ara-

maica «����» [maranathà] conservataci in prima Corinzi 16 e nella didachè. È difficile

spiegare questa formula perché può intendersi in diversi modi, fra l’altro a noi è giunta tra-

slitterata in greco e perciò le

lettere aramaiche le ricostruia-

mo noi, in ogni caso «�» in

aramaico è Signore. «��» in

aramaico è pronome, resta il

verbo «������» che è quello che

corrisponde all’ebraico « ��».

Questo storia di quattro versi è

un antico sviluppo della formu-

la «maranathà».

Page 156: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

156

I CAPITOLI 4 E 5

I capitoli 4 e 5 sembrano costruiti da una antica anafora liturgica dove possiamo di-

stinguere i seguenti elementi:

1 – lo sfondo liturgico [quello che i liturgisti chiamano il luogo liturgico] questo sarebbe costituito dalla descrizione del trono nei versi 1-3 e anche da uno sfondo di assemblea liturgica costituito dalla figura dei ventiquattro anziani e dei quattro esseri viventi. Que-sti quattro esseri viventi hanno il volto di leone, di toro, di uomo, di aquila [da questa immagine si è presa la denominazione dei quattro evangelisti].

2 – il canto dei ventiquattro anziani: «santo, santo, santo, il Signore Dio onnipotente che era, che è e che viene» una storia di traversi con tre accenti.

3 – segue nel verso 11 la prima assiologia [inno di lode], questa lode è rivolta al Dio crea-tore, e suona così: «sei degno o Signore e Dio nostro di prendere la gloria, l’onore e la potenza, poiché Tu hai creato tutte le cose e per la Tua volontà erano e furono create»

4 – [5,1-8] “La grande manifestazione dell’agnello” 5 – seconda assiologia rivolta all’agnello redentore con le seguenti parole:

«sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli poiché sei stato immolato ed hai comprato per Dio con il Tuo sangue li hai fatti per il nostro Dio un regno e sacerdoti e regneranno sulla terra».

6 – un’altra assiologia all’agnello: «è degno l’agnello immolato di ricevere la potenza […]»; 7 – la dossologia finale: «a colui che siede sul trono e all’agnello benedizione, onore, glo-

ria e potenza nei secoli dei secoli»; 8 – i quattro viventi rispondono «amen» e gli anziani adorarono.

Manca la cena, ma della cena l’autore non ne può parlare perché la cena con il pane

e con il vino è tipica della terra. L’autore sta descrivendo con lo schema di una liturgia ter-

rena una liturgia in cielo ed in cielo non ci sono i segni sacramentali, ma c’è la realtà. La

seconda osservazione è che ancora una volta si sottolinea che il background, il punto su cui

poggia tutta l’apocalisse è il mistero di Cristo celebrato nella liturgia. Nella prospettiva di

una liturgia celeste possiamo considerare la comparizione dell’agnello. Ci limitiamo a po-

chissime osservazioni: il problema dell’autore è “chi può prendere il libro ed aprirne i si-

gilli?”, cioè chi può essere il Signore della storia e chi può dare un senso alla storia che è

come un libro chiuso? L’autore stesso narra con linguaggio apocalittico che lui pianse per-

ché nessuno fu trovato degno. Uno degli anziani che lo accompagnava gli risponde: «cessa

di piangere, ecco ha vinto il leone dalla tribù di Giuda, la radice di Davide sì da aprire il

libro ed i suoi sette sigilli». L’espressione «leone dalla tribù di Giuda, radice di Davide» è

Page 157: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

157

il risultato di una fusione tra Genesi 49: «un leoncello è Giuda», ed Isaia 11,1: «spunterà

un virgulto dalla radice di Iesse». Di questo leone si sottolinea una vittoria, la vittoria pre-

suppone una guerra, dalla quale però uscì vincitore ed in seguito a questa vittoria né diven-

tò capace di prendere il libro. Emerge il problema: “qual è questa guerra? Qual è questa

vittoria? Perché diventò capace di prendere il libro?”. La risposta a queste domande và

cercata nei versi seguenti 6-8.

Giovedì 24 novembre 2005, ore 11,30 / 12,15

Nei versi 6-8 l’autore descrive una visione: egli vede in mezzo al trono, in mezzo ai

quattro viventi ed in mezzo agli anziani. Notiamo questa descrizione a cerchi concentrici.

C’è il trono nello sfondo, c’è attorno al trono il primo cerchio dei quattro viventi, c’è poi il

secondo cerchio, quello dei ventiquattro anziani. In questo sfondo l’autore descrive

l’oggetto della sua visione, l’oggetto è un agnello di cui si danno due indicazioni che però

è utile considerare in lingua greca. La prima indicazione è costituita dal termine «���������»,

la seconda indicazione è costituita dal termine «���)�����». Il primo termine «���������» è

participio perfetto dal verbo «�%�����». Questo verbo al perfetto ha un valore di presente.

Lo traduciamo «stante», esso però può anche indicare la posizione eretta: una persona che

prima era adagiata e supina ora sta, cioè assume una posizione dritta. Il secondo elemento

«���)�����» è anch’esso un participio perfetto dal verbo «�)�'�» che significa “sgozza-

re, immolare”. I due verbi esprimono aspetti diversi, il primo dà l’idea di chi sta eretto, in

piedi, il secondo invece dà l’idea di chi è supino: un animale ucciso infatti sta sdraiato, non

sta dritto. I due verbi sembrano così richiamare i due aspetti del mistero di Cristo: l’aspetto

della immolazione e l’aspetto della glorificazione. Ciò è confermato dalla rilettura

all’inverso degli elementi:

1 – immolato; 2 – stante; 3 – trono.

Troviamo così implicitamente delineato il cammino di Gesù dalla immolazione al

trono di Dio. Osserviamo però ancora l’espressione «stante come immolato»: i due aspetti

che noi abbiamo messo in forma di successione dall’autore invece vengono quasi sovrap-

posti. Emerge un aspetto particolare: l’immolazione, espressa con un perfetto che indica

Page 158: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

158

azione iniziata ma che continua, appare non come un fatto passato, ma come un fatto che

perdura, non nel senso che l’immolazione si ripete, ma nel senso che l’immolazione è un

fatto che perdura. Essa perdura in un agnello che sta, cioè che non vive la situazione di

morte, ma che vive una situazione di vita. I due verbi messi insieme ci danno l’idea

dell’agnello la cui immolazione permane come un fatto glorioso, cioè si prolunga nella sua

storia. Si tratta dell’agnello che permane nell’immolazione in una situazione di gloria, cioè

permane immolato non in una situazione di morte, ma nella situazione di chi ha superato la

morte.

Ma possiamo continuare a considerare la descrizione dell’agnello, esso ha sette

corna e sette occhi che l’autore identifica con i sette spiriti di Dio inviati su tutta la terra.

Le sette corna evocano la potenza, prima però di considerare l’elemento degli occhi, leg-

giamo il verso 7 dal capitolo 5: «venne ed ha preso dalla destra del Sedente sul trono». Il

verbo «ha preso» [��$��)�] è una forma di perfetto dal verbo «��&��». È importante

questa forma al perfetto. Nel verso seguente, verso 8, l’autore scrive: «�$�&������&�&����»,

cioè ha un verbo all’aoristo ed ha l’oggetto. Il verbo «��$��)�» del verso 7, indica una a-

zione che avvenuta, permane. L’agnello perciò ha preso [oppure ha ricevuto] qualcosa in

maniera stabile che non può essere il libro; dopo, nel verso 8, l’autore parlerà del libro, ma

con l’aoristo, rimandando così ad una azione puntualizzata e precisa. Nel verso 7 il libro

non c’è, esso non è attestato da nessuno dei migliori codici greci, ma da qualche codice

greco tardivo, dalla versione volgata e da qualche recensione della versione siriaca. Se ci

mettiamo l’oggetto libro, svuotiamo tutta la forza del perfetto «��$��)». L’agnello ha preso

qualcosa che conserva in maniera stabile: in quello che ha preso rientra anche il libro ma

non si identifica col libro. Un oggetto lo possiamo trovare in 2,28, dove l’autore usa

un’altra volta questo verbo al perfetto, nella frase seguente: «il vincitore […] darò a lui un

potere sulle genti e li pascerà con scettro di ferro, come si spezzano i vasi di creta come

anch’io ho preso da parte del Padre mio». Secondo questo testo Gesù ha preso dal Padre

un potere sulle genti.

Ma la frase è ancora più profonda, per comodità la riscriviamo: «venne ed ha preso

dal sedente sul trono». Questa frase risulta da un mescolamento di Daniele 7,14 e del Sal-

mo 110. Il mescolamento di Daniele 7 col Salmo 110 si trova anche altrove nel Nuovo Te-

stamento, basti per esempio citare le parole di Gesù nel processo davanti al sinedrio secon-

do i vangeli sinottici. In Daniele 7, dopo la visione delle quattro bestie, si narra la visione

di «un simile a figlio di uomo» che venne con le nubi del cielo, giunse presso l’antico dei

Page 159: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

159

giorni [Dio] e gli fu dato potere, onore e regno, tutti i popoli lo serviranno. In Daniele 7 si

ha un movimento ascensionale [i vangeli sinottici nei testi citati modificheranno in proces-

so discensionale per indicare la parusia]. L’agnello che viene ed ha preso dalla destra del

sedente sul trono, ha pure, come Daniele, un movimento ascensionale, quindi i due testi

coincidono. Però l’espressione «dalla destra» non richiama Daniele, ma il Salmo 110 che

nella fede primitiva fu usato per esprimere la glorificazione pasquale: Gesù risorto sedette

alla destra di Dio.

Tendendo conto di tutti questi elementi, l’espressione «venne ed ha preso dalla de-

stra del sedente sul trono», esprime perciò, come conferma il testo di 2,28 citato,

l’esaltazione pasquale dell’agnello: dalla destra del sedente sul trono l’agnello ha preso an-

che il libro, come si dirà dopo, ma ha preso qualcosa di più ampio: il potere, la gloria, il re-

gno: cioè Gesù ha preso la gloria stessa di Dio per cui è abilitato a prendere il libro.

Alla luce di quanto abbiamo detto possiamo rileggere tutta la scena della compari-

zione dell’agnello. Notiamo nel testo cinque elementi disposti in maniera concentrica:

1 – in mezzo al trono; 2 – stante; 3 – come immolato; 4 – avente sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti; 5 – ha preso dalla destra del Sedente sul trono.

Giovedì 15 dicembre 2005, ore 12,20 / 12,55

Lo schema che abbiamo proposto mette in evidenza il mistero dell’agnello, lo sfon-

do è il trono. Il secondo e il quarto elemento richiamano l’aspetto della glorificazione, al

centro è espresso il mistero della passione. Emergono perciò tre aspetti:

1 – la passione; 2 – la resurrezione [stante] che richiama anche il dono dello Spirito; 3 – la menzione del trono.

In questa descrizione, l’autore ha presente la fusione neotestamentaria di Daniele 7

con il Salmo 110. Da Daniele 7 deriva la nozione del trono, in Daniele 7,14 infatti si dice

che il simile a Figlio di uomo andò verso l’antico dei giorni e gli fu dato il potere, la gloria

e il regno. In questa prospettiva di glorificazione si colloca il verso 8 dove è descritto il fat-

to che l’agnello prese il libro. L’immagine del libro, come abbiamo già indicato è abba-

Page 160: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

160

stanza complessa, si può intendere globalmente nel senso che l’agnello glorificato è ormai

l’interprete della storia: Egli è il Signore della storia ed alla Sua luce si può leggere il suo

significato. Emerge perciò in tutto il capitolo 5 una duplice prospettiva, quella anzitutto

dell’agnello sacrificato che fu ucciso, ma che superò la morte e l’altra prospettiva che e-

merge è quella dell’agnello interprete della storia. Possiamo allora capire qual è il senso

della vittoria dell’agnello, in 5,5 si dice che ha vinto il leone dalla tribù di Giuda si da pren-

derne il libro ed aprirne i sigilli, la sua vittoria consiste nel fatto che ha superato la morte,

però il verbo vincere esige una lotta di cui l’autore, in questo contesto non parla, ma di cui

parlerà soprattutto al capitolo 12.

Quanto abbiamo detto del capitolo 5 è sufficiente, nei capitoli seguenti, soprattutto

il capitolo 6, si parla della apertura dei sette sigilli del libro. Nei primi sei sigilli l’autore

introduce quasi i personaggi di un dramma, i primi quattro determinano la manifestazione

di quattro cavalli, linguaggio ripreso da Zaccaria, e questi cavalli sono:

1 – cavallo bianco; 2 – cavallo rosso; 3 – cavallo nero; 4 – cavallo verde.

Al momento ci interessa soltanto l’identificazione che suggerisce l’autore. Del pri-

mo cavallo, quello bianco, del suo cavaliere si dice che aveva un arco, gli fu data una coro-

na ed uscì vincente e per vincere ancora. Possiamo rileggere questi quattro elementi in ma-

niera progressiva:

1 – l’immagine dell’arco richiama una guerra; 2 – l’immagine della corona richiama una vittoria; 3 – è importante l’espressione «uscì vincente»; 4 – c’è nel futuro un’altra vittoria.

Questi quattro elementi descrivono una storia:

1 – il cavaliere bianco dovette sostenere una lotta; 2 – sulla quale riportò vittoria, 3 – egli uscì vincente.

Facilmente in questi tre elementi si può scorgere il mistero di Cristo che sostenne

una lotta, nella quale però riportò vittoria, la vittoria ha due momenti: si tratta di una vitto-

Page 161: San Giovanni e Apocalisse

Esegesi NT: S. Giovanni e Apocalisse – Prof. ATTILIO GANGEMI – A.A. 2005 / 2006 – Coco Ezio

161

ria già avvenuta, ma c’è anche una vittoria futura. Facilmente in queste due vittorie si può

scorgere la duplice vittoria di Cristo, pasquale ed escatologica che l’autore descriverà nei

capitoli 18-20.

Il secondo cavaliere ed il secondo cavallo ha il compito di togliere la pace dalla ter-

ra e far sì che gli uomini si uccidano e gli fu data una spada. Del terzo cavaliere si dice che

ha in mano una bilancia. Il quarto cavaliere è identificato con la morte e l’inferno, scor-

giamo in questi quattro primi cavalieri un progresso tematico che deve essere anche letto

alla luce dei discorsi escatologici dei vangeli sinottici: Gesù ha parlato di guerre ed alla fi-

ne c’è il giudizio. Emerge così lo sviluppo di un giudizio di condanna che si compie nella

storia. Il punto di partenza è il mistero di Gesù, segue poi nella storia l’agitazione degli

uomini ai quali è dato di togliere la pace dalla terra. In questa prospettiva può anche entrare

la situazione presente della persecuzione dei santi, ma alla fine ci sarà un giudizio [terzo

cavaliere, la bilancia] che si concluderà con un giudizio di condanna. Siamo perciò in tema

apocalittico di un giudizio negativo che si compie nella storia a partire dal mistero di Cri-

sto. È importante l’apertura del quinto sigillo, in seguito alla quale l’autore veggente vede

sotto l’altare le anime degli sgozzati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che

avevano, l’autore riferisce la preghiera dei santi: «fino a quando o Padrone Santo e verace,

non giudichi e vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sulla terra?». È importante

la relazione tra altare e preghiera dei santi, si richiama il salmo 140: «salga come incenso

la mia preghiera». La risposta data ai santi è la seguente: «fu dato a ciascuno una veste

bianca e fu detto di attendere ancora un poco finché non si fosse compiuto il numero dei

servi che dovevano essere uccisi come loro». Emergono allora tre cose:

1 – la presenza di un giudizio nella storia che parte dalla vittoria di Cristo; 2 – tale giudizio nella storia è sollecitato dai santi che chiedono a Dio di

vendicare il loro sangue; 3 – l’attuazione del giudizio esige che prima si completi il numero dei santi

che debbono essere uccisi.

Interpretiamo a quadri queste descrizioni e globalmente abbiamo la presentazione

degli elementi che costituiscono il giudizio escatologico. Il sesto sigillo introduce con un

linguaggio particolare, preso dalla letteratura profetica ed apocalittica, il grande annunzio

del giudizio che deve compiersi. L’autore però non descrive ancora questo giudizio ma,

quasi come un’oasi di pace, introduce la visione del capitolo 7 con i centoquarantaquattro-

mila segnati e la visione della grande moltitudine che nessuno poteva contare.