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“PSICOLOGIA ED EDUCAZIONE MUSICALE PARTE TERZAPROF. MAURIZIO PISCITELLI

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Università Telematica Pegaso Psicologia ed Educazione Musicale

terza parte

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 L’EDUCAZIONE MUSICALE ---------------------------------------------------------------------------------------------- 5

3 L’APPRENDIMENTO MUSICALE AUTOREGOLATO ------------------------------------------------------------- 8

4 L’ACQUISIZIONE DEGLI AUTOMATISMI -------------------------------------------------------------------------- 10

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1 Introduzione

L’apprendimento delle abilità musicali si differenzia, per certi aspetti, dagli altri tipi di

apprendimento come quello della matematica, del linguaggio o dell’imparare una nuova lingua. Per

quanto riguarda la musica l’acquisizione delle abilità è più complessa perché durante l’esperienza

musicale entrano in gioco più fattori, sia emotivi, mentali che corporei. Prendendo come esempio la

tecnica pianistica, nel suonare il pianoforte l’uomo utilizza contemporaneamente le dita, il piede

(per abbassare e alzare il pedale) e nello stesso tempo legge lo spartito, a meno che non conosca il

brano a memoria. La memoria non rende l’esecuzione più semplice ma, al contrario, la mente del

musicista (mentre suona uno spartito) procede nell’elaborare le informazioni costruite attraverso

rappresentazioni mentali1.

Un’altra specificità che si incontra durante l’apprendimento della tecnica pianistica riguarda il modo

in cui il musicista suona le note, ponendo le mani sui tasti in maniera appropriata, senza pensarci.

Un pianista difatti, quando suona un brano che già ha studiato, non ha bisogno di prendere decisioni

sulla posizione delle dita da assumere per ogni nota, perché la sua mano adotterà automaticamente

la configurazione corretta. La difficoltà consiste proprio nella lettura dello spartito durante

l’esecuzione. La lettura musicale può essere vista come «un continuo passaggio da un processo

controllato a uno automatico, dove le unità d’informazione musicale aumentano progressivamente.

Lo studente si focalizza inizialmente sull’associazione di note individuali scritte sullo spartito, con

la posizione della mano sullo strumento, attraverso un processo controllato. Con la pratica, le

associazioni fra le note e la mano diventano automatiche e l’attenzione può essere focalizzata su

pattern musicali più complessi come gli accordi, le battute e, infine, le frasi musicali. In questo

modo le unità più complesse possono essere eseguite in modo automatico con un singolo sguardo

allo spartito»2.

Le parole su un testo possono essere lette direttamente con uno sguardo che segue linearmente la

sequenza dei lemmi; per i musicisti, invece, suonare un brano visto per la prima volta non è cosa

facile. A tal riguardo è stato svolto uno studio sui movimenti oculari compiuti dai musicisti durante

la lettura dello spartito. La ricerca era incentrata sul comportamento dei pianisti, poiché la musica

per pianoforte è scritta su due righi, o meglio su due pentagrammi, ed è di conseguenza impossibile

1Sloboda J. ( 2002). La mente musicale, op. cit.

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vedere tutte le note che vanno suonate con un unico sguardo, ma si dovrà fissare prima un rigo e poi

l’altro. Dallo studio è emerso che una strategia adottata per leggere gli spartiti per pianoforte era

quella di compiere uno spostamento oculare verticale dall’alto verso il basso, con un movimento

verso destra. Questo metodo rendeva possibile ‘vedere in anticipo’ la struttura del testo per

organizzare l’esecuzione successiva in modo continuo e rapido3.

Un altro fattore che entra in gioco nell’esecuzione musicale, oltre all’impiego degli occhi per

leggere lo spartito, è lo sguardo rivolto alle mani per verificare se queste sono nella posizione

corretta. Una delle difficoltà che si incontrano agli inizi dell’apprendimento di uno strumento

musicale è proprio questa: utilizzare la vista sia per leggere lo spartito sia per guardare dove

posizionare le dita sulla tastiera. Per quanto riguarda gli spartiti per pianoforte, le note scritte su i

due pentagrammi si leggono diversamente l’uno dall’altro: la mano sinistra suona le note scritte in

‘chiave di basso’ presenti sul secondo rigo e la mano destra suona le note scritte sul primo rigo,

ossia in ‘chiave di violino’. Soltanto dopo molte ore di esercizio e con anni di studio questo

coordinamento risulterà semplice e automatico. È importante rilevare che la configurazione delle

dita4 ovviamente cambia in base al brano da suonare, anche se spesso ci sono configurazioni e

strutture simili che possono essere utilizzate in diversi spartiti. Per esempio un tipo di struttura può

essere un accordo che è possibile suonare con una stessa posizione in diversi brani musicali.

Lo sviluppo delle competenze musicali «porta a un aumento del numero di ripetizioni, all’utilizzo di

strategie di verbalizzazione, all’indipendenza tra le due mani e alla capacità di proseguire l’esercizio

per periodi più lunghi. I soggetti più esperti sono in grado di rappresentarsi mentalmente il proprio

comportamento nell’esercizio in modo più vario e complesso. In altri termini, un determinato brano

viene associato contemporaneamente alla sequenza di movimenti necessari per eseguirlo, a

particolari aspetti dello spartito e alle variazioni di tempo e di dinamica che si sono verificati

nell’intero brano»5.

2 Schon D., Akiva-Kabiri L., Vecchi T. (2007). Psicologia della musica. Roma: Carocci, pp. 76-77

3 Sloboda J. ( 2002). La mente musicale, op. cit.

4 Per configurazione delle dita si vuole fare riferimento alla posizione della mani sulla tastiera, ossia l’attribuzione delle

dita a specifiche note o accordi musicali. 5Schon D., Akiva-Kabiri L., Vecchi T. (2007). Psicologia della musica. . Op. cit., pp. 52, 53

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2 L’educazione musicale

L’educazione musicale è una disciplina presente da molti anni all’interno dei programmi

scolastici, soprattutto nelle scuole primarie. Essa tuttavia, prima che potesse essere considerata una

disciplina vera e propria, ha registrato notevoli cambiamenti di statuto all’interno dei passati

programmi ministeriali ma anche tenaci resistenze corrispondenti alla concezione che si aveva

allora della musica, considerata prevalentemente come una forma di svago e non come una

disciplina che potesse formare musicalmente gli allievi. Alla sua pratica venivano associati caratteri

educativi secondari e inoltre veniva identificata esclusivamente con il canto6.

Osservando la situazione dell’insegnamento musicale del nostro Paese, troviamo che nella Legge

Casati7 del 1859, dove ampie indicazioni didattiche e altri consigli vengono dati nelle “Istruzioni ai

maestri”, pur avendo un forte taglio culturale, i programmi non contengono il benché minimo

accenno a una qualche forma di cultura o pratica musicale. La prima forma di educazione musicale

in Italia nasce con un programma ministeriale del 1888 (programma Gabelli) per la scuola

elementare. Esso prevedeva esercizi di canto corale e l’apprendimento di alcune teorie musicali

basate sullo studio mnemonico, mentre l’educazione musicale era affidata esclusivamente ai

Conservatori e alle Accademie ed era riservata a coloro che erano interessati a farne una scelta di

livello professionale. Nell’ambito del canto corale, uno spazio importante ha lungamente occupato

il «canto popolare» riferito ai canti patriottici e religiosi. La Riforma Gentile del 1923 prevedeva un

programma di educazione teorica e pratica per le scuole elementari tra cui veniva riconosciuta alla

musica il diritto di essere una disciplina didattica obbligatoria e fondamentale, anche se ancora

etichettata con i termini di ‘canto’ e ‘canto corale’. Negli anni successivi venne sostituito

l’insegnamento di ‘canto corale’ con ‘Elementi di musica e canto corale’ ed inoltre introdotto lo

studio facoltativo di uno strumento musicale. Per quanto riguarda l’istruzione media e superiore non

vi furono molti cambiamenti e l’educazione musicale fu prevista soltanto per alcuni istituti. Mentre

per la musica intesa come tecnica venivano individuate nei Conservatori e nelle Accademie le sue

6 L’educazione musicale fu introdotta nella scuola dell’obbligo nel 1963 e fino a questa data essa era definita «canto» o

«canto corale». Nei Conservatori, invece, le cattedre di didattica musicale incominciarono a essere istruite a partire dal

1965. Cfr. Grazioso G. (1994). L’educazione musicale tra passato, presente e futuro. Milano: Ricordi. 7 La Legge Casati prese il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati. La legge conferiva un assetto

organico all’intero sistema scolastico definendone cicli, curricula, materie di insegnamento, programmi, personale,

apparato amministrativo.

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sedi naturali di formazione, come canto era invece considerata un’attività riservabile

prevalentemente ai bambini e alle ragazze. Ciò contribuì a lungo a bloccare l’educazione musicale

nell’ambito scuole primarie8. I primi cambiamenti verso un’educazione musicale più efficiente

risalgono intorno agli anni sessanta con la nascita della SIEM9, una società per l’educazione

musicale che si occupò di diffondere la cultura musicale in tutto il Paese. Essa riuscì a far

riconoscere alla musica un ruolo formativo praticabile da tutti. Si giunse finalmente a considerate

l’educazione musicale come «una vera e propria disciplina che consente agli studenti di acquisire le

competenze necessarie per lo sviluppo delle proprie potenzialità musicali e per la scoperta e

l’affermazione della propria identità musicale»10

. Nel tempo la musica, o meglio l’educazione

musicale, ha ottenuto una posizione di rilievo quasi al pari delle altre discipline scolastiche, anche

se le metodologie di insegnamento utilizzate hanno tardato ad aggiornarsi e a rinnovarsi. A tal

proposito, Riccardo Nardozzi11

afferma che «se gli studi di psicologia musicale più recenti hanno

fatto passi da gigante, proprio a partire dal riconoscimento di tale importanza e nella direzione,

dunque, di una maggiore conoscenza e comprensione in tema di modalità, potenzialità e capacità

degli individui all’interno del processo di apprendimento musicale, non sempre sono stati affiancati

da pratiche o metodologie di insegnamento adeguate»12

. Nonostante i cambiamenti che hanno

interessato le modalità e i contenuti che l’insegnamento della musica doveva proporre per

consentire ai bambini di poter essere formati ed istruiti musicalmente nel miglior modo possibile,

domina tutt’oggi nella maggioranza degli insegnanti l’atteggiamento orientato a insegnare a suonare

lo strumento e a comporre musica ma non a “pensare” e a “teorizzare” sulla musica13

.

8 Per comprendere meglio la situazione dal punto di vista legislativo si legga il Testo Unico: «l’istruzione elementare

(r.d. 577/5 febbraio 1928) prevedeva l’insegnamento di canto e audizione musicale in tutte le classi della scuola

elementare. In conseguenza, musica e canto furono inseriti nei programmi dell’istituto magistrale che provvedono alla

formazione rispettivamente degli insegnanti elementari e di quelli di scuola materna. A partire dal 1963 l’educazione

musicale è entrata a far parte del piano di studi della scuola media (l. 1859/31 dicembre 1962) quale insegnamento

obbligatorio nella prima classe e facoltativo nelle due classi successive; in seguito (l. 348/16 giugno 1977), tale

insegnamento è diventato obbligatorio nell’intero corso di scuola media. Attualmente i contenuti dell’educazione

musicale sono confluiti in uno specifico percorso formativo che si sviluppa secondo le indicazioni nazionali allegate al

d. legisl. 59/2004, partendo dalla scuola dell’infanzia e giungendo fino alla secondaria di primo grado. La disciplina,

peraltro, assume una propria connotazione distinta solo dalla scuola primaria, ove viene indicata come ‘Musica’ e viene

insegnata in questa veste fino alla scuola secondaria di I grado […]» 9 Società Italiana per l’Educazione Musicale (SIEM) fondata da Carlo Delfrati nel 1969.

10 Grazioso G. (1994). L’educazione musicale tra passato, presente e futuro. Op. cit., p. 11

11 Musicista e insegnante AIGAM (Associazione Italiana Gordon per l’Apprendimento musicale).

12 Nardozzi R. (2010). L’apprendimento della musica nel bambino da 0 a 6 anni. Music Learning Theory: teoria e

prassi secondo Edwin E. Gordon. Roma: Albatros, p. 12. 13

Ibidem.

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Le innovazioni e i successi didattici degli ultimi anni sono arrivati in Italia in ritardo rispetto a molti

altri Paesi dove era presente già da tempo una forte tradizione pedagogico-musicale. Da circa dieci

anni i metodi di Jaques-Dalcroze14

, di Carl Orff15

, di Kodaly16

, di Edgar Willems17

e di Edwin E.

Gordon18

sono stati diffusi anche nel nostro Paese, soprattutto attraverso l’AIGAM19

. In Italia, tra i

metodi di insegnamento musicale, è soprattutto noto quello di Laura Bassi, nato negli anni trenta,

ispirato alla Ritmica di Dalcroze: un modo innovativo di educazione musicale basato sulla

partecipazione del corpo, definita dalla Bassi con l’espressione “Ritmica Integrale”. Nel suo metodo

l’autrice pone attenzione al ritmo, ossia all’elemento unificatore di musica, movimento, espressione

verbale e grafica.

Anche Maria Montessori pose particolare attenzione all’educazione dei sensi, nello specifico

all’educazione dell’orecchio condotta attraverso attività ritmiche, ritmico-motorie, di ascolto e di

esecuzione strumentale.

Dalcroze occupandosi dell’educazione ritmica del corpo e della musica, definisce la ritmica

un’educazione musicale che mette in relazione i movimenti naturali del corpo con i ritmi artistici

della musica (tempo, durata, misure, dinamica, altezze, frasi). Un’educazione attiva, che con

l’attenzione rivolta allo sviluppo della percezione uditiva, mira a tradurre l’informazione musicale

attraverso il movimento e l’uso dello spazio20

. Dalcroze era guidato dalla preoccupazione di

facilitare nei suoi alunni l’apprendimento delle strutture musicali; egli intuì il valore del corpo come

mezzo privilegiato per vivere la dimensione temporale della musica e fonda la sua ritmica come un

modo di vivere con il corpo le strutture musicali (dinamiche, profili melodici, fraseggio) ma anche i

significati e le emozioni21

.

14

E. J. Dalcroze (1865-1950). È stato un pedagogo svizzero. La sua importanza risiede in particolare nello sviluppo

dell'euritmica, un metodo per insegnare e percepire la musica attraverso il movimento. 15

C. Orff (1895-1982). È stato un compositore tedesco. Essendosi occupato intensamente anche di pedagogia e

didattica, ha influenzato profondamente, attraverso lo Orff-Schulwerk, l'educazione musicale. 16

Zoltàn Kodàly (1882-1967), compositore ed etnomusicologo ungherese. Nel suo metodo l’allievo viene guidato non

all’apprendimento dei suoni ma alla scoperta dei rapporti sonori. 17

(1890-1978) Pedagogista svizzero. Sostiene che musicalità e senso sonoro sono doti innate e la percezione sonora

coinvolge vari livelli percettivi. L’intelligenza uditiva è la sintesi delle esperienze sensoriali e affettive. 18

Autore della Music Learning Theory, secondo cui la musica può essere appresa attraverso gli stessi meccanismi di

apprendimento della lingua materna. 19

AIGAM: Associazione Italiana Gordon per l’Apprendimento Musicale, fondata da Andrea Postoli e il cui presidente

è Edwin E. Gordon. 20

Fonte: www.edt.it 21

Grazioso G. (1994). L’educazione musicale tra passato, presente e futuro. Op. cit., p. 20.

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3 L’apprendimento musicale autoregolato

In psicologia l’apprendimento è considerato «un processo psichico che consente una

modificazione durevole del comportamento per effetto dell’esperienza. Con questa definizione si

escludono tutte le modificazioni di breve durata dovute a condizioni temporanee, episodi isolati,

eventi occasionali, fatti traumatici, mentre il riferimento all’esperienza esclude tutte quelle

modificazioni determinate da fattori innati o dal processo biologico di maturazione»22

.

Come si può notare il termine apprendimento è talmente generale da poter essere attribuito a

situazioni fra loro molto diverse. Per esempio, un topo che percorre velocemente un labirinto, il

cane che va a riprendere un bastone lanciato dal padrone, andare in bicicletta, guidare l’automobile,

parlare la propria lingua o una straniera, leggere, suonare uno strumento musicale, scrivere e così

via. L’apprendimento della musica è un processo di interiorizzazione di regole e strutture musicali

che ha luogo principalmente nelle scuole e nei Conservatori.

Tuttavia la musica può essere appresa anche attraverso un percorso auto-didattico, che si sviluppa

lontano dai sistemi tradizionali. Il percorso musicale da autodidatta è attualmente incoraggiato dallo

sviluppo delle nuove tecnologie che, offrendo molti materiali didattici, permettono all’utente di

intraprendere uno studio di uno strumento musicale autoregolato. Inoltre, l’apprendimento

autoregolato può migliorare la performance artistica e creativa dell’allievo. Dunque, parlare

dell’apprendimento autoregolato è importante anche per comprendere le motivazioni, i

comportamenti e le capacità cognitive e musicali dell’allievo di autoregolare il personale processo

di formazione e perfezionamento.

L’individuo che intende iniziare un processo di autoregolazione dell’apprendimento (SRL, Self-

Regulated Learning), in altre parole, che desidera formarsi da solo, deve possedere la capacità di

saper pianificare, motivare e valutare il proprio processo di apprendimento: è necessario che sappia

scegliere gli obiettivi didattici, i contenuti da trattare e i modi di utilizzo delle strategie di

apprendimento, così da poter affrontare le sfide cognitive, meta-cognitive, motivazionali ed

emotive23

. Inoltre è fondamentale ricordare che apprendere in maniera autoregolata vuol dire non

22

Galibmerti U. (2006). Dizionario di psicologia. Torino: Utet, p.79. 23

Giannetti T. (2006). Autoregolazione dell’apprendimento e tecnologie didattiche, Tecnologie Didattiche.

http://www.tdjournal.itd.cnr.it

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solo saper controllare il processo di apprendimento cognitivo ma anche saper gestire le emozioni e

le motivazioni24

.

La gestione della meta-cognizione comporta una continua attenzione ad analizzare le attività e i

risultati cognitivi ottenuti. Inoltre, essa produce un feedback interno che lo studente utilizza per

migliorare l’apprendimento. Regolare la motivazione implica essere consapevoli dei propri obiettivi

e dell’importanza che l’individuo gli attribuisce. L’apprendimento autoregolato necessita: di saper

gestire il comportamento individuale, ovvero, effettuare scelte e controlli personali nel corso

dell’attività di apprendimento ed esserne responsabili e di essere consapevoli che sono fonti di

apprendimento anche le relazioni interpersonali25

.

24

Ibidem. 25

Ibidem.

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4 L’acquisizione degli automatismi

Per automatismo si intende «l’attività non classificabile nell’ambito dei movimenti riflessi

compiuta senza intenzione e consapevolezza»26

. In altre parole, le attività e le azioni compiute

vengono effettuate senza la necessità di sforzarsi, di fare controlli continui o di avere una particolare

attenzione nelle varie fasi dell’esecuzione, ossia tali comportamenti consistono in ‘processi di

automatizzazione’.

Vi sono situazioni in cui l’automatismo si forma prima e indipendentemente da ogni atto di

comprensione. Infatti, riguardo gli automatismi cognitivi, i bambini sono capaci di produrre certe

strutture sintattiche senza conoscere la grammatica. In secondo luogo, vi sono situazioni in cui

l’automatismo si forma dopo che la comprensione si è verificata e in seguito a una continua

ripetizione di un’azione. Un esempio in cui la comprensione avviene prima dell’automatismo può

essere quello della collocazione delle dita della mano sinistra sulle corde di un violino: occorre

sapere come e dove trovare le note, su una certa corda, prima che il ritrovamento divenga

automatico27

. Un altro esempio è quello della persona alla guida di un auto: quando prendiamo le

prime lezioni di guida teniamo sotto controllo tutte le informazioni necessarie per mettere un moto

la macchina, ossia pensiamo a ciò che stiamo facendo. Dopo anni di guida, invece tutte le procedure

diventano automatiche28

.

Per Johnson e Hasber, un processo è automatico se possiede alcune caratteristiche: «deve essere non

intenzionale, ossia un atto di volontà non è necessario perché il processo abbia luogo; deve

realizzarsi al di fuori della consapevolezza; non deve essere controllabile, ossia una volta iniziato

l’individuo non può interromperlo; essere efficiente, ossia consumare una quantità minima di

risorse cognitive e potersi realizzare in maniera parallela a un’altra attività di elaborazione»29

.

26

Galibmerti U. (2006). Dizionario di psicologia. Op. cit., p. 121. 27

Petter G. (2002). La mente efficiente. Firenze: Giunti. 28

Ibidem. 29

Arcuri L., Castelli L. (2010). La cognizione sociale. Strutture e processi di rappresentazione. Roma: Laterza, p. 135.

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Berry e Dienes ritengono che le informazioni apprese senza consapevolezza sarebbero in realtà

mancanti di processi metacognitivi coscienti. In particolare sarebbero implicite quelle informazioni

che si trovano fra la soglia soggettiva e quella oggettiva di consapevolezza30

.

I processi di automatizzazione descritti da Shiffrin e Schneider sono distinguibili dai processi di

apprendimento impliciti perché i legami associativi automatizzati sono inizialmente consapevoli e

solo con la pratica diventano meno visibili. La differenza principale esistente tra i processi

consapevoli e inconsapevoli è data «dal rapporto tra “automaticità versus intenzionalità selettiva”.

Mentre i processi automatici inconsapevoli non sono condizionati dalla capacità, quelli associati

alla coscienza lo sono»31

.

Lo sviluppo degli automatismi a seguito di una pratica continuativa di apprendimento produce

padronanza o expertise nell’allievo. L’esperto è «colui che, in seguito a una lunga pratica in un

settore, ha acquisito capacità e strategie che gli consentono di svolgere i compiti con maggiore

precisione, velocità e soddisfazione. Spesso l’esperto è anche molto motivato per l’attività che

svolge, anche se è difficile distinguere quando la motivazione possa essere considerata causa o

effetto dell’expertise. L’expertise può quindi essere definita come un insieme di abilità sviluppate in

ambiti specifici attraverso una lunga pratica nel compito, in genere accompagnata da un buon uso di

strategie e da alti livelli motivazionali»32

.

Secondo Arcuri e Castelli, quindi, una persona esperta in un particolare dominio «è in grado di

impiegare con efficienza lo schema corrispondente e riesce a trattare in maniera integrata

informazioni complesse e interconnesse. Questo significa, allora, che anche in presenza di un

numero rilevante di informazioni da gestire in fase di giudizio, la persona esperta fa ricorso alla

struttura schematica e riesce a trovare le più efficienti strategie di combinazioni delle informazioni e

giungere rapidamente a emettere il giudizio»33

.

Le prime ricerche sull’expertise si sono focalizzate sulle differenze nella capacità di memoria. Una

ricerca importante da ricordare è quella svolta sui giocatori di scacchi. Con questa ricerca è stato

dimostrato che i giocatori esperti riescono a ricordare l’immagine di una scacchiera e a prevedere i

movimenti successivi più semplicemente rispetto ai non esperti. La capacità dimostrata da questi

30

Dentale F., Accursio G. (2003). Processi mentali impliciti. Teorie, metodi ed orientamenti di ricerca. Milano: Franco

Angeli. 31

Conte M., Accursio G. (1989). Inconscio e processi cognitivi. Bologna: Il Mulino, p. 220 32

De Beni R., Moè A. (2000). Motivazione ed apprendimento. Bologna: Il Mulino, p.16 33

Arcuri L., Castelli L. (2010). La cognizione sociale. Strutture e processi di rappresentazione. Op. cit., pp. 39, 40

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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soggetti veniva rilevata anche quando venivano posizionati i pezzi della scacchiera in modo casuale

e illogico rispetto alle regole del gioco. Il vantaggio degli esperti risulta dal prodotto della capacità

di associare alla scacchiera schemi passati, conoscenze personali e altro, che rendono semplice la

memorizzazione34

.

Schön e i suoi collaboratori hanno dimostrato che il principio alla base di questo effetto è il

raggruppamento: «gli esperti riescono a codificare le informazioni sulla base di configurazioni

predefinite con maggiore facilità, ciò determina di fatto una riduzione delle informazioni da

memorizzare e quindi il miglioramento della prestazione. L’accumulo di esperienza in uno specifico

dominio permette l’organizzazione delle informazioni sotto forma di configurazioni complesse

gerarchicamente organizzate, sfruttando al massimo le capacità di memoria»35

. Pertanto, è possibile

affermare che la migliore prestazione degli esperti è legata all’esercizio e non a un fattore generale

di sviluppo. A tal proposito, alcuni ricercatori hanno dimostrato che anche in ambito musicale i

musicisti utilizzano l’effetto del raggruppamento. L’esperimento realizzato dimostrò che i musicisti

professionisti leggevano le note creando delle configurazioni musicali più complesse, mentre i

principianti leggevano le note una per volta36

.

Tuttavia gli esperti, avendo sviluppato una specifica competenza, difficilmente riescono ad

aggiornarla o a modificarla radicalmente, a causa di una rigidità dovuta al consolidamento e

all’automatizzazione derivanti da numeroso anni di pratica, ma rispetto agli inesperti dimostrano

maggiori potenzialità di apprendimento e di analisi dei nuovi problemi per effetto degli automatismi

e della possibilità di sfruttare strutture di conoscenze preesistenti37

.

Arcuri e Castelli sottolineano che l’insieme delle conoscenze depositate in memoria non si presenta

soltanto come un archivio pronto per essere consultato, ma diventa una mappa di riferimento che in

modo rapido ed efficace indirizza verso comportamenti presumibilmente più appropriati alla

situazione data38

.

34

Schön D., Akiva-Kabiri L., Vecchi T. (2007). Psicologia della musica. Op. cit. 35

Ivi, p. 50 36

Ibidem. 37

Arcuri L., Castelli L. (2010). La cognizione sociale. Strutture e processi di rappresentazione. Op. cit. 38

Ibidem.