Ricette Cassino
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ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATOPER I SERVIZI ALBERGHIERI E
DELLA RISTORAZIONECASSINO (FR)
8a raccolta
Ricette della
Cucina tradizionale
ANNO SCOLASTICO 2006/07
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Raccolta di ricette della cucina tradizionalea cura delle classi secondedell’IPSSAR di Cassino
Docente ideatore e coordinatore:Elio Saragosa
Docenti responsabili:
Capitanio LuigiConte Dora Di Lucia AmedeoDi Sano SaverioGarozzo ValeriaGeraci Liliana Maraone Antonietta
Maura Monica Nardone Anna MariaNeri Silvana Panaccione AlbaPerillo Paola Pistilli Maria RicciardaSaccucci Gian PieroVarone Giuseppina
Disegni:Ferdinandi Antonio
Copertina:
Aymone Sergio
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PREMESSA
C’è forse qualcuno così distratto, così disattento ma
anche così tanto sfortunato da non aver mai sentito par-lare in vita sua di dieta mediterranea? C’è veramentequalcuno che mai nei programmi televisivi o negli arti-coli di tabloid di tendenza abbia colto le miriadi di rac-comandazioni che esperti in voga della nutrizione poli-ticamente corretta rivolgono ai telespettatori e ai letto-ri affinché costruiscano il proprio menu giornaliero con
gli ingredienti tipici della dieta mediterranea? I nostrinonni, i nostri genitori, i miei genitori almeno, forseanche alcuni di noi “più adulti” si sono sempre nutritisecondo i canoni della dieta mediterranea, non certoperché maniaci di menu salutari e meno calorici oattratti da essi ma perché tale era la necessità che si con-fondeva con la virtù: lenticchie, ceci, cicerchie, veccia,
fave, fagioli magari spesso “contaminati” da grassi ani-mali (cotiche, cotechini, lardo, pancetta) che umiliava-no i principi della dieta mediterranea ma permettevanoai lavoratori di rifocillarsi abbondantemente e ricaricarele batterie. D’altro canto, erano tempi quelli nei quali,per etichettare l’olio di oliva, non c’era bisogno di cer-tificarne la verginità o addirittura l’extraverginità: era il
palato sopraffino, ora come allora, a classificarne la bontà e la genuinità. Le stesse virtù erano appannaggiosia dei prodotti della terra e degli orti, sia degli animaliallevati in libertà: bovini, ovini, suini, pollame, conigli.Gli abitanti delle nostre terre hanno conosciuto sicura-mente la povertà tout court ma essi, certamente e for-tunatamente, hanno conosciuto anche la fragranza di
sapori profumati e unici che hanno reso il loro desco
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frugale ma non povero, privo di etichetta e di galateoma principesco, poco elaborato ma naturale. Fortunatocolui che oggi viene messo in condizione di apprezzar-
lo, magari una tantum, in qualche agriturismo ideato ecreato secondo i canoni “conservativi o limitativi” delleriserve indiane d’America! I nostri ragazzi sono statidunque attratti dalle ricette della cucina tradizionaleche devono le proprie fortune all’uso di legumi coltiva-ti nelle nostre terre, alcuni dei quali, da non moltotempo, inseriti nei disciplinari nazionali o regionali di
qualità e di origine controllata e certificata. Gli alunnidelle seconde classi, guidati dai loro docenti, dopometicolose e pazienti ricerche, hanno selezionato unbuon numero di ricette che successivamente sono stateda loro realizzate e “provate”: ora, a fine lavoro, conorgoglio malcelato, ce le presentano e aspettano i nostrigiudizi. Da parte dello scrivente, traspare evidente “la
prosopopea” di chi sa di essere a capo di una Istituzio-ne scolastica che si distingue per dinamismo, impegno,voglia di ricerca, di innovazione, di una Istituzione sco-lastica che in tre anni ha inaugurato la sede di Sora, ilcorso serale, il corso presso la casa circondariale di Cas-sino, che è passata dai circa settecentocinquanta alunnidell’anno scolastico 2003 – 2004 su trentasei classi, a
circa milleduecentosessanta alunni del 2007 – 2008 sucinquantanove classi. Tutto ciò è stato possibile grazieall’apporto tangibile e fattivo di tutte le componentiscolastiche, nessuna esclusa ed anche la presente pubbli-cazione a cadenza annuale contribuisce notevolmente a tenere alto il nome della scuola facendolo conoscere a tanti che altrimenti non ne avrebbero modo. Ringrazio
pertanto tutti gli alunni delle classi seconde che hanno
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partecipato, tutti i docenti che si sono prodigati, l’idea-tore e i realizzatori, il personale tutto per l’impegno e la professionalità profusi. Un pensiero particolare va al
prof. Elio Saragosa, coordinatore del progetto: purgodendosi la meritata pensione dal primo settembreduemilasette, ha voluto portare a termine il proprioimpegno anche se “fuori tempo massimo”. A lui va, da parte mia, un pensiero riconoscente che vale quale atte-stato di stima profonda e di profondo affetto: la sua competenza e la sua professionalità non andranno
disperse, vi saranno altre collaborazioni e future intera-zioni tra il prof. Elio Saragosa e l’IPSSAR di Cassino.
Antonio LANCIA Dirigente – Capo di Istituto
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Si è cercato, in questa breve introduzione, di fornireun quadro relativo alle origini delle piante coltivate chesono oggi i costituenti principali della dieta mediterra-
nea e con le quali le popolazioni del bacino del Medi-terraneo condividono molti millenni di storia e una coevoluzione di adattamento che ha determinato la selezione delle piante, lo sviluppo delle comunità e la definizione del modello alimentare mediterraneo.
Per meglio comprendere l’importanza, ai fini ali-mentari, delle colture dei legumi, si è cercato di traccia-
re, nelle pagine introduttive, una storia dell’uomo agri-colo, attingendo da siti internet (Consorzio di bonifica Valle del Liri; Ministero per i Beni e le Attività Cultu-rali) e da testi relativi alla storia dell’alimentazione.
In chiusura sono riportate ricette a base di legumirelative al periodo romano ed al periodo medievale, a dimostrazione dell’importanza che hanno sempre avuto
nella storia alimentare dell’uomo.Si spera di essere riusciti, pur se a grandi linee, nel-
l’intento.
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L’ORIGINE DELLE TRADIZIONI AGRICOLENELL’ITALIA ANTICA
La dieta mediterranea è unanimemente considerata una delle forme di alimentazione più adatta alla nutri-zione umana essendo completa, bilanciata e caratteriz-zata da un elevato contenuto di proteine vegetali, da acidi grassi insaturi, da fibre vegetali e da moderatequantità di alcool.
Questa valutazione di carattere generale è relativa
massimamente al mondo occidentale, anche se alcunicibi caratteristici e originari dell’area mediterranea sonoentrati ormai a far parte di una forma di alimentazioneabbastanza diffusa che interessa un numero sempremaggiore di persone estranee al mondo Mediterraneo.
Alla sua base ci sono i tre principali raccolti della Regione: i cereali, la vite e l’olivo ai quali si aggiungo-
no, secondo gusti e usi locali, legumi, ortaggi e frutta.Tutti questi vegetali sono legati all’uomo da una
lunga storia di tradizioni agricole e abitudini alimenta-ri che, per molte specie, iniziò durante la preistoria,quando i primi gruppi umani cominciarono a produrreil cibo di cui avevano bisogno.
La produzione di cibo nacque come integrazione e
supplemento alla caccia e alla raccolta; successivamen-te, con il perfezionarsi delle tecniche e degli strumenti,divenne la principale fonte di economia. Cibi e adatta-menti alimentari dipendevano essenzialmente dallerisorse, vegetali e animali, disponibili nel territorio; per-ciò l’adozione dell’agricoltura, più che una scoperta, fuun’innovazione che scaturì probabilmente dall’accumu-
larsi di conoscenze, acquisite in un lungo arco di tempo
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con la frequentazione del territorio, e da una sommato-ria di esperienze acuite dalle necessità quotidiane.
Diventato produttore di cibo relativamente tardi
nella preistoria e prima che si affermasse l’agricoltura,l’uomo lo otteneva da una grande varietà di piante e dianimali di cui solo poche specie saranno, in seguito,selezionate e domesticate. In questa fase dello sviluppodelle comunità umane si sono definite scelte alimentaridiverse da regione a regione e queste hanno influito sulcarattere dei sistemi agricoli che si sono successivamen-
te affermati e che sono diventate le principali abitudinidell’uomo.
La domesticazione dei cereali del Vecchio Mondoiniziò nel Vicino Oriente secondo un processo di inten-sificazione di raccolta dei cereali selvatici che servivanoad integrare una dieta basata principalmente sui pro-dotti della caccia.
Le ricerche archeologiche e gli studi archeobotanicihanno permesso di accertare che la raccolta dei cerealiselvatici era praticata in Siria, Iraq, Turchia, Iran e Pale-stina già durante il X-IX millennio a.C. Evidenzearcheobotaniche ben più antiche, rinvenute in siti israe-liani e datate circa 19000 anni fa, sono state interpreta-te come prove di un precoce interesse alimentare delle
comunità di cacciatori e raccoglitori verso i cereali sel-vatici, i legumi e i frutti spontanei.
Ma la semplice raccolta non avrebbe prodotto alcuncambiamento nel futuro genetico delle popolazioni sel-vatiche dei primi cereali; solo la semina, volontaria oinvolontaria che fosse, fu il passo decisivo che cambiò la destinazione genetica dei successivi raccolti. La coltiva-
zione dei cereali e l’allevamento degli animali, con l’au-
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mento della disponibilità di risorse alimentari, influiro-no positivamente sull’incremento demografico tra lecomunità agricole neolitiche. Forse fu questo lo stimo-
lo primario per l’espansione geografica verso nuovearee, alla ricerca di terre adatte alla coltivazione deicereali. Secondo questo modello, l’agricoltura sarebbepartita dal Vicino Oriente e si sarebbe diretta versol’Europa, circa 9500 anni fa, con una velocità di circa 1Km all’anno, espandendosi prima lungo le coste delMediterraneo orientale, poi, attraverso la Turchia e la
Grecia, sarebbe arrivata in Italia mille anni più tardi.I dati archeologici fino ad oggi recuperati nei siti
preistorici italiani sembrano confermare questa ipotesi.Infatti, i reperti vegetali più antichi che hanno permes-so di conoscere la qualità e la tipologia dei raccolti pro-vengono dai siti di neolitico inferiore del Tavoliere edelle zone limitrofe, datati tra i 7000 e i 6500 anni fa,
nei quali sono stati rinvenuti avanzi di paglia e di semicarbonizzati di monococco, dicocco o farro ed orzo,con le caratteristiche dei cereali già pienamente coltiva-ti.
La comparsa dei tre cereali coltivati non fu precedu-ta da fasi di allevamento di cereali selvatici ma la scelta di coltivare i cereali sembra essere stata una vera e pro-
pria innovazione che cambiò il regime alimentare meso-litico, basato prevalentemente sulla caccia, sulla pesca esulla raccolta dei frutti spontanei e dei legumi selvatici.La coltivazione dei tre cereali durante il neolitico infe-riore è documentata, oltreché in Puglia e Basilicata,anche in altre regioni dell’Italia centro-meridionale.Resti di paglia e cariossidi carbonizzate di farro piccolo,
farro e orzo, sono state trovate in Sicilia, Calabria,
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Lazio, Umbria, Abruzzo e Toscana all’interno di una cronologia compresa tra 6900 e 6100 anni dal presen-te.
Nei siti più antichi dell’Italia settentrionale sonostate trovate cariossidi carbonizzate di cereali già perfet-tamente domesticati, ma, insieme ai frumenti vestiti sicoltivavano anche i frumenti a granella nuda. In questisiti appare anche un altro tipo di frumento esaplode, lospelta, una specie di grano a semi vestiti che però nonebbe, almeno inizialmente, un ruolo significativo nel
complesso delle specie di cereali coltivati.Nei depositi con facies di neolitico inferiore, la pre-
senza di legumi, associati ai cereali, è molto limitata ma è sufficiente a far capire che le comunità agricole pote-vano disporre di lenticchie, piselli, vecce, cicerchie efave per integrare l’alimentazione. Questo complesso dicereali e legumi si mantiene pressoché costante per
tutto il neolitico, fin quasi all’età del Bronzo.Durante tutto il neolitico proseguì la raccolta di
frutti spontanei quali corbezzoli, ghiande, nocciole,corniole, sanguinette, fichi, mele, prugne, ciliegie,more, lamponi e castagne che ebbero un ruolo nonsecondario nel completamento della dieta.
A queste specie va aggiunta la vite i cui resti sono
stati trovati in vari depositi di neolitico inferiore, medioe superiore. Più scarsa la documentazione archeobota-nica a proposito dell’olivo che era presente e conosciu-to dalle comunità neolitiche ma sembra che i suoi frut-ti, amari e sgradevoli, non ebbero alcun valore alimen-tare per tutto il neolitico.
Più ricca e precisa la documentazione sulle principa-
li risorse di origine vegetale che caratterizzano la dieta
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nell’età del Bronzo. Sono state soprattutto le palafitte,le terremare e i depositi in grotta ad aver contribuito dipiù alla definizione del lungo elenco di piante che ha
permesso di tracciare un quadro generale sul panorama agricolo e sull’ambiente.
L’età del Bronzo segna la definitiva affermazionedella cerealicoltura che appare sempre più orientata verso la coltivazione dei frumenti esaploidi, i grani nudida farina simili agli attuali grani teneri, forse perché la produttività di tali specie, completamente adattate al
clima e al terreno, era superiore a quella delle speciediploidi e tetraploidi. Mantenevano la loro importanza il farro e l’orzo. Nell’età del Bronzo viene introdotta la coltivazione del miglio e del panìco anche se non è chia-ra l’importanza che ebbero nell’alimentazione umana.
Certamente destinati all’alimentazione umana eranoi legumi, la cui presenza nei depositi investigati è sem-
pre ben documentata.Le fave ed i piselli furono probabilmente le specie
più importanti dal punto di vista agricolo e alimentare,mentre la raccolta dei legumi selvatici, quali cicerchiel-la e vecce, perse progressivamente d’importanza.
Nel record archeobotanico compaiono anche lentic-chie e ceci ma la limitata documentazione raccolta non
offre spunti per valutazioni di carattere agricolo e ali-mentare
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LA TERRA DI SAN BENEDETTO
I numerosi e ancora frequenti ritrovamenti litici e di
manufatti preistorici testimoniano la presenza dell’uo-mo sul nostro territorio fin dalla più remota antichità,già a partire dal Paleolitico inferiore.
E’ stata, infatti, accertata la presenza dell’uomo diNeanderthal, cacciatore e raccoglitore dei frutti che ilterritorio spontaneamente offriva, lungo le sponde delmitico lago Lirino, che occupava gran parte dell’attuale
bacino del fiume Liri.I primi stanziamenti umani, risalenti ad epoca prei-
storica preferivano la pianura e la vicinanza ai corsid’acqua. Le popolazioni non trascuravano, però, per iloro rifornimenti i collegamenti con le zone internemontane attraverso i tratturi che si inerpicavano lungoi profondi canaloni del Melfa e del Rapido fino alla
Valle di Comino e più su, fino alle Mainarde e all’Ap-pennino.
Per ragioni di sicurezza, data la bellicosa pressioneesercitata da popolazioni straniere, richiamate dalla ric-chezza dei luoghi, nella successiva epoca protostorica fra l’età del bronzo e quella del ferro, le accresciute popola-zioni locali preferirono insediarsi in luoghi elevati: gli
Ernici sulle alture al margine della valle Latina, i Volscisul vasto territorio trasversalmente alla valle del Liri, gliOsco-Sanniti nella valle del Rapido e in Val Comino;gli Ausoni o Aurunci sulle alture dell’omonima catena degli Aurunci fino al mare.
Per vedere le popolazioni riappropriarsi delle pianu-re e praticare una vera e propria politica agraria con
spartizione, e spesso bonifica dei terreni, occorre ripor-
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tarsi in epoca storica, all’instaurazione della pax roma-na.
Con l’instaurarsi di colonie in centri come Fregellae,
Interamna, Aquinum, Casinum , in periodo repubblica-no e con le relative centuriazioni, furono ben definite leproprietà terriere e una capillare rete stradale, in granparte utilizzata ancora oggi.
In epoca imperiale cominciarono a formarsi ilatifondi a beneficio di potenti famiglie patrizie che esi-gevano dai loro coloni il massimo della resa con la con-
seguenza di una cura scrupolosa della proprietà agraria e di una razionale gestione delle acque. Questo feliceperiodo per l’agricoltura tramonta traumaticamentecon le invasioni barbariche che sradicarono i contadinidalle loro terre e li spinsero lontani dalle grandi vie dicomunicazione, costringendoli ancora una volta a cer-care rifugio sulle alture che fiancheggiavano la Via Lati-
na.I campi nella pianura, abbandonati a se stessi, furo-
no ben presto invasi dalle acque stagnanti e da una folta vegetazione palustre.
Un primo tentativo di ripresa ci fu con l’arrivo diSan Benedetto all’insegna del suo ‘ora et labora’ che siattuò con la bonifica di molti terreni ed il ritorno dei
contadini alla terra. Una nuova invasione di barbari, iLongobardi, rese, però, vano ogni intento di ripresa.Solo con l’abate Petronace, 150 anni dopo, i benedetti-ni tornarono sul Monte e ripresero ciò che era statointerrotto. Per ulteriori centocinquanta anni ci fu unenorme accrescimento del patrimonio dell’abbazia, gra-zie ad importanti donazioni. L’arrivo dei Saraceni, verso
la fine del IX secolo, provocò la messa a ferro e fuoco
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del territorio causando la distruzione dell’abbazia e la fuga di monaci e contadini. L’abate Aligerno, nel 949,ritornò a Montecassino con i monaci, ricostruì il mona-
stero ed iniziò la ristrutturazione delle terre, che eranospopolate al massimo, chiamando agricoltori dalleregioni vicine che non avevano subito devastazioni e lifissò, con le loro famiglie, nelle varie contrade rimastedisabitate, concedendo loro terre a condizioni vantag-giosissime. In tal modo la terra di San Benedetto veni-va in gran parte ripopolata da persone provenienti dalle
più svariate parti e rimessa in coltivazione.L’arrivo dei Normanni portò nuovo scompiglio e
allora l’abate Richerio ordinò agli abitanti delle campa-gne di stabilirsi attorno alle rocche, sorte numerose, cir-condando le abitazioni di mura.
Avevano così vita quasi tutti i comuni del cassinateche ancora oggi conservano tracce delle antiche fortifi-
cazioni.In questo modo, pur tra alterne vicende, il modo di
vivere delle popolazioni del territorio, curando la terra e sfruttando le acque, riassunse l’aspetto degno di unconsorzio umano.
A quel tempo, in tutta Europa era ancora diffusa una specie di schiavismo: milioni di umili lavoratori, forni-
ti di rudimentali arnesi, lavoravano, per un pugno digrano, una terra ricchissima non sufficientemente sfrut-tata, ad esclusivo beneficio di pochi potenti. Allora illavoro era opera vile, propria degli animali e degli schia-vi, come nell’antica concezione greco-romana.
Il pensiero benedettino, basato sull’ora et labora ,aveva santificato il lavoro come fonte di gioia, amore,
pace, giustizia, libertà, ‘ut in omnibus glorificetur Deus’
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(affinché in ogni cosa si glorificasse Dio), apportandobenefici al territorio ed ai suoi abitanti.
Nello sfacelo della disgregazione del Basso Impero,
l’insegnamento benedettino, che aveva mostrato conl’esempio come una comunità potesse vivere libera eindipendente dall’asservimento del dominus, costituì ilseme di una nuova vita: “Si sboscavano pinguissime cam-
pagne, alle acque si dava scolo, fruttifere piante adombra- vano la terra per lo innanzi inselvatichita, le spine e i rovi cessero il luogo alle biade e alle viti”.
Gli abati migliorarono le condizioni economiche esociali dei paesi loro soggetti creando cartiere a San-t’Elia, fabbriche di stoffa a Sant’Elia e a San Germano,fabbriche di aghi e spilli a San Germano. Si costruironostrade e si disponevano altri lavori per alleviare le stret-tezze, si istituivano scuole per dirozzare le plebi incol-te, si soccorreva l’infanzia con l’apertura di asili e orfa-
notrofi.Una bonifica non fine a se stessa ma presupposto per
una organizzazione sociale ben più complessa e com-pleta.
I monaci concessero le terre a condizioni indubbia-mente le più favorevoli accordate in quel tempo.
Un’opera di bonifica di particolare importanza
riguardò il corso del fiume Rapido che anticamentescorreva sotto le mura di San Germano fino alla porta della città che si chiamava appunto Porta Rapida. Il suocorso tumultuoso provocava gravi danni alla città, fre-quenti alluvioni allagavano i piani bassi e seminterrati etrasportavano rovinosamente masse di detriti lungo levie cittadine e negli orti. Nel 1585 l’abate Bernardo IV
Ferrajolo fece deviare l’alveo naturale in tre diversi corsi
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per ripartire la portata delle acque risolvendo il proble-ma delle alluvioni e consentendo un uso differenziatodel prezioso liquido.
Sotto il dominio borbonico furono effettuate impor-tanti opere di bonifica con la costruzione di canali,ponti, strade di penetrazione verso l’interno e di ristrut-turazione agraria ancora di tipo feudale. La rivoluzionefrancese e le conquiste napoleoniche posero definitiva-mente termine al feudalesimo espropriando la Chiesa digran parte dei suoi beni a beneficio dello Stato e dei cit-
tadini. Ma queste buone intenzioni non giunsero a buon fine perché con la vendita dei beni espropriatioperata dal Murat, si costruirono grandi patrimoni fon-diari privati da parte di governanti francesi e pochi affa-risti, mentre nulla toccò alla classe contadina.
Questa situazione è rimasta fino a tempi recenti, puressendo mutate le condizioni socioeconomiche che
hanno poi originato quella frammentazione delle pro-prietà che i benedettini avevano in ogni modo cercatodi evitare.
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I LEGUMI
Fagioli, piselli, ceci, lenticchie: sicuramente alimenti
non ‘aristocratici’ in quanto a buon mercato, ma ingrado di dar vita a soluzioni culinarie convincenti: dalla zuppa più semplice allo sformato più raffinato.
I legumi sono parte integrante della storia dell’uo-mo. Sulla loro coltivazione, preparazione e consumoabbiamo abbondanza di notizie: dalle tombe reali degliantichi Egizi all’Iliade di Omero nell’antica Grecia e
addirittura nell’Antico Testamento.L’uso dei legumi come alimento di base risale ad
almeno ventimila anni fa presso alcune culture orienta-li; i fagioli comuni erano diffusi invece nelle anticheciviltà messicane e peruviane già 5000 anni fa.
Benché si ignori se essi siano giunti in Europa dopola scoperta dell’America, è certo che la coltivazione di
questo legume risale a tale periodo.Nel Medio Evo l’Europa intera era a rischio di spo-
polamento per l’alta mortalità dovuta ad una serie diepidemie in grado di decimare intere nazioni. La gente,soprattutto i ceti poveri nutriti male e in maniera ina-deguata, era nell’impossibilità di procurarsi cibi costosicome la carne, capace di fornire le proteine indispensa-
bili a garantire le necessarie difese ad organismi debili-tati.
Solo verso il X secolo, la diffusione della coltura deilegumi ha iniziato a contribuire al miglioramento della salute della collettività, rendendola più resistente allemalattie e consentendo all’Europa un ripopolamento inbreve tempo. Dal XVI secolo, con la scoperta del
Nuovo Mondo e la conseguente importazione in Euro-
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pa di prodotti agricoli di quelle nuove terre, sono arri-vati anche i fagioli. Grande merito degli uomini di allo-ra fu quello di trasformare quei semi in alimento, in
cibo diventato ben presto alla portata di tutti per il suobasso costo. Questo il motivo per cui Umberto Eco ha eletto i fagioli, per il loro alto valore nutritivo e l’eleva-to contenuto di proteine, ad invenzione più importan-te del secondo millennio: ”Se siamo ancora qui, questoè dovuto ai fagioli. Senza i fagioli, la popolazione euro-pea non sarebbe raddoppiata in pochi secoli”. Ed anche
un’opera del pittore Annibale Carracci, attorno al 1583,ha fissato l’importanza di questo alimento: il mangia fagioli coglie con una sintesi figurativa davvero fulmi-nea un uomo nell’atto di portarsene alla bocca una cuc-chiaiata, mentre sulla tavola, con pochi altri ingredien-ti, lo aspetta una ciotola ricolma.
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LE LENTICCHIE
Le lenticchie sono semi di una pianta erbacea, la
‘Ervum lens’ , della famiglia delle leguminose, caratteriz-zata da uno stelo rampicante, ramoso, che raggiungeun’altezza di circa 50 cm. e i cui baccelli contengono 2o 3 semi tondi e schiacciati come piccole monete. Pareche la lenticchia detenga il primato del più antico legu-me coltivato. Infatti, in base allo studio di alcuni reper-ti fossili, è stato dimostrato che la lenticchia veniva col-
tivata già nel 7000 a.C. nell’Asia Sud-occidentale, inaree corrispondenti oggi alla Siria settentrionale, dondesi diffuse presto in tutto il bacino Mediterraneo. Sistima che il consumo di questo legume era comune inTurchia già a partire dal 5500 a.C., ed inoltre sono statetrovate in tombe egizie risalenti al 2500 a.C.
Testimonianze dell’uso delle lenticchie nella storia
si trovano anche nella Bibbia: in ben quattro versetti ècitato il legume. Nella Genesi, 25/34: “ Allora Giacobbe diede a Esaù del pane e della minestra di lenticchie. Egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se ne andò. Fu in questo modo che Esaù disprezzò la primogenitura ”. E ancora nelsecondo libro di Samuele, 17/28 : ”Portarono dei letti,dei catini, dei vasi di terra, del grano, dell’orzo, della fari-
na, del grano arrostito, delle fave, delle lenticchie, dei legu- mi arrostiti” ; nel versetto 23/11: ”Dopo di lui veniva Samma, figlio di Aghè, l’Ararita. I Filistei si erano radu- nati in massa. In quel luogo c’era un campo pieno di len- ticchie e, mentre il popolo fuggiva davanti ai Filistei…”.In Ezechiele, 4/9: ”Prendi anche frumento, orzo, fave,lenticchie, miglio, spelta, mettili in un vaso, fattene del
pane sufficiente per tutto il tempo che starai sdraiato sul
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tuo lato; ne mangerai per trecentonovanta giorni” .Le lenticchie non mancavano sulle tavole degli anti-
chi romani e nemmeno su quelle degli antichi greci; uti-
lizzate prevalentemente dalle classi più povere, eranoconsiderate un piatto nutriente e gustoso. Pare che ilnome di una delle più importanti famiglie romane,quella dei Lentuli , derivi, appunto, dal nome latino della lenticchia, ‘lens’ . Sempre in epoca romana, Catone sug-gerì le norme per meglio cucinarle, mentre Galeno, ilfamoso medico, ne mise in risalto le virtù terapeutiche.
Poiché ricche di nutrienti ed energetiche, le lentic-chie erano utilizzate nel Medio Evo, in sostituzionedella carne, nei giorni di venerdì o nei giorni di digiu-no. Sono, infatti, ricche di fibre, amido e proteine, e,se consumate insieme ai cereali, diventano un piattocompleto e digeribile, ricco di amminoacidi essenziali.Sempre nel Medio Evo, nel periodo in cui la popola-
zione dell’Europa fu decimata da carestie ed epidemie,la scarsità di nutrienti nelle diete della maggioranza della gente, specialmente dei più poveri, impediva unadeguato ripopolamento. I legumi, fra questi anche lelenticchie, cibi poco costosi e facilmente reperibili, con-tribuirono in modo determinante a fornire proteine evitamine, migliorando le condizioni di salute, e quindi
la resistenza alle malattie, di intere nazioni. Al giornod’oggi viene considerato di buon auspicio consumareun piatto di lenticchie durante la cena dell’ultimo del-l’anno: ciò è dovuto all’antica usanza di regalare, a fineanno, una scarsella (la tipica borsa per conservaremonete e dobloni) colma di lenticchie. L’augurio era che ciascun chicco si trasformasse in un doblone, ren-
dendo così ricco e fortunato il destinatario del dono.
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Le lenticchie erano preferite a tutti gli altri legumiper la loro forma appiattita e tondeggiante che ricorda-va le monete e perché, essendo di piccole dimensioni, a
parità di volume, erano in numero maggioreLe lenticchie più pregiate sono quelle italiane, inparticolare quelle di Castelluccio di Norcia , in Umbria.Sono famose per la loro delicatezza e per le loro dimen-sioni ( hanno un diametro medio di circa due millime-tri ). Queste squisite lenticchie si coltivano nella pianu-ra che si stende sotto lo sperone di roccia su cui sorge il
paesino di Castelluccio di Norcia, a 1.300 metri sullivello del mare.Le altre varietà di lenticchie più conosciute sono:• La lenticchia di Colfiorito , coltivata sempre in
Umbria, nell’altipiano di Colfiorito dove il terreno èfertile grazie alla presenza di un lago che si sta trasfor-mando lentamente in palude;
• La lenticchia verde di Altamura , leggermente piùgrande rispetto a quella marrone, adatta alla prepara-zione di contorni;
• La lenticchia rossa , conosciuta anche come “lentic-chia egiziana”, molto diffusa in medio oriente, com-mercializzata decorticata, richiede un tempo di cottura piuttosto breve;
• La lenticchia di Villalba , di dimensioni piuttostograndi;• La lenticchia di Ustica , piccola, tenera, saporita e
dal colore marrone scuro; cresce sui terreni vulcanici del-l’isola e ancora oggi è coltivata con pratiche manuali;
• La lenticchia dell’Armuña , famosa per il suo gustoe la sua morbidezza, di origine spagnola, è famosa per
la sua qualità e il sapore unico.
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Lenticchie alla venafrana
INGREDIENTI:Lenticchie 300 gr.
Pancetta tesa 50 gr.
Cipolla di Tropea mezza
Olio extrav. d’oliva 30 gr.
Pomodori pelati n°4
Brodo di carne 1,5 l.
Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Mettere in un tegame mezza cipolla affettata sottil-
mente, aggiungere olio di oliva extra vergine e far soffrig- gere leggermente, aggiungere quindi la pancetta tagliata a
dadini piccoli; dopo circa 5 minuti unire le lenticchie crude precedentemente lavate con cura, mescolare ed aggiungere i pomodori pelati; mescolare ancora ed unire un po’ di brodo. Lasciar cuocere per circa due ore aggiun-
gendo via via il resto del brodo, il sale ed il pepe. Servire le lenticchie ben calde con crostini di pane in ogni piatto.
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Lenticchie alla pontecorvese
INGREDIENTI:Lenticchie 500 gr.
Acqua q.b. per la cottura Sale q.b.Cipolla una Carota una Sedano una costa
Olio extrav. d’oliva un cucchiaio Salsa di pomodoro n°2 cucchiaiCotechino uno
PROCEDIMENTO:Mettere le lenticchie in una casseruola e ricoprire con
acqua, aggiungere sale, olio e cipolla, carote e sedano.
A parte fare sbollentare il cotechino e poi aggiungerlo alle lenticchie.
Quando sono quasi completamente cotte aggiungere la salsa di pomodoro.
Lasciare sul fuoco ancora qualche minuto poi spegnere e lasciare il tutto coperto nella casseruola fino al momento di servire nel piatto.
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Zuppa di pane e lenticchie
INGREDIENTI:Lenticchie 200 gr.Pane raffermo n°4 fette
Aglio n°2 spicchi Porro uno Timo un rametto Uova n°2
Brodo 150 cl.Olio extrav. d’oliva 20 gr.Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Tenere le lenticchie a bagno per due ore. Sgocciolarle e
metterle in una pentola con l’aglio, la parte bianca del
porro tagliata ad anellini sottili ed il timo. Far insaporire e salare. Coprire con il brodo e cuocere per due ore aggiun-
gendo, all’occorrenza, acqua calda. Passare le fette di pane nelle uova sbattute, salare e farle dorare nell’olio. Asciu-
garle su una carta da cucina e disporle sul fondo di zup- piere individuali. Ricoprire con le lenticchie. Spolverizza- re col pepe e condirle con un giro d’olio.
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Lenticchie al pomodoro
INGREDIENTI:Lenticchie 400 gr.Polpa di pomodoro 300 gr.Cipolla 100 gr.Carote 100 gr.Sedano n°2 coste Prezzemolo qualche rametto
Olio extrav. d’oliva n°3 cucchiai Sale marino q.b.
PROCEDIMENTO:Far bollire le lenticchie col prezzemolo. Dopo un’oretta,
in un tegame far imbiondire nell’olio cipolla, carote e seda- no tagliati sottili. Unire il pomodoro, salare e far cuocere a
fuoco lento per un quarto d’ora. Unire alle lenticchie e ser- vire.
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Zuppa di finocchi e lenticchie
INGREDIENTI: Acqua n°2 l.Olio extrav. d’oliva n°2 cucchiai
Aglio uno spicchio Lenticchie 400 gr.Finocchi n°2 grossi Crostini di pane q.b.
Grana q.b.
PROCEDIMENTO:Mettere in una pentola l’acqua con l’olio, lo spicchio
d’aglio schiacciato e le lenticchie ben lavate. Dopo circa un’ora di ebollizione lenta, mettere in pentola anche i
finocchi tagliati a pezzettini e lasciar bollire ancora
mezz’ora. Servire con crostini e grana grattugiato.
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Mista di piselli e lenticchie
INGREDIENTI:Pasta 100 gr.Lenticchie 100 gr.Lenticchie rosse 50 gr.Piselli secchi 50 gr.Prosciutto crudo a dadini 100 gr.Patate 400 gr.
Scalogni n°2 Timo due rametti Rosmarino due rametti
Aglio n°3 spicchi Brodo n°2 l.Vino rosso 200 ml.Olio extrav. d’oliva n°4 cucchiai
Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Sciacquare le lenticchie e i piselli, lasciarli a bagno per
30 minuti. Scolarli e rosolarli in padella con olio, pro- sciutto e scalogni tritati con l’aglio e le erbe aromatiche.Sfumare con il vino e far evaporare. Unire un litro di
brodo caldo e cuocere per 20 minuti. Aggiungere le patate sbucciate e tagliate a dadini ed il brodo rimasto e cuocere ancora per 15 minuti. Unire la pasta, portare a cottura,salare, pepare e servire.
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LE CICERCHIE
Forse non tutti conoscono questo legume “ parente
stretto ” del cece. Un legume tanto saporito quantodimenticato. È simile ai ceci di cui condivide anchevocali e consonanti, ma con un sapore che tira sul dolcedei piselli. Sono un legume povero che per secoli ha fatto parte della cultura alimentare dell’Italia centro-meridionale. Per secoli in Italia ci si nutriva anche dicicerchie: i contadini le mangiavano quando avevano
poco da portare in tavola; ne facevano spesso una purea dopo che le cicerchie erano state bollite e saltate inpadella con aglio e peperoncino. Si mangiavano conpane duro, spezzato in piccoli pezzi.
Cicerchia per molto tempo fu sinonimo di miseria.Difficile, poi, era la sua coltivazione; la sua raccolta ancora peggiore.
Così la gloriosa cicerchia cadde nel dimenticatoio,sino a quando non tornò in auge nella cucina delle radi-ci, quella che utilizza pochissima carne, formaggi, pane,molte verdure e molti legumi. E grazie alla coltura deicibi biologici, in mezzo a fagioli, ceci e lenticchie ha ritrovato il suo posto anche la cicerchia.
Era coltivata con cura in primavera, per poi essere
raccolta ad agosto e conservata in grandi quantità per il‘desco’ della stagione fredda: le zuppe e le minestre dicicerchie venivano cotte a lungo nella ‘pignatta’, una grossa pentola di terracotta, direttamente sul focolarescoppiettante. Piatto poverissimo ma molto nutrienteperché ricco di proteine, vitamine e minerali.
Con il tempo, però, nonostante costituissero un’im-
portante fonte proteica, questi piccoli granelli dalla
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forma irregolare sono stati soppiantati dall’arrivo deifagioli e dal sapore più delicato dei loro “cugini”, i ceci,fino a quando i buongustai hanno scoperto che nelle
regioni centrali del nostro paese, i contadini non hannomai smesso di coltivarli, dando, così, un contributonotevole alla loro rivalutazione salvando la cicerchia dall’ oblio.
E’ una pianta erbacea originaria del Medio Orientee diffusa oggi in tutta l’area mediterranea; come tutti ilegumi, ha origini antichissime. In cucina se ne usano i
semi, granelli biancastri, tondi e schiacciati, ad altocontenuto di proteine, quindi particolarmente nutrien-ti e, nello stesso tempo, digeribili. La cicerchia secca,custodita in luogo asciutto e in recipiente ben chiuso,può essere conservata fino a due anni.
Comunemente coltivata per l’alimentazione anima-le, ha trovato un frequente impiego anche nell’alimen-
tazione umana, a fianco delle molte granaglie che costi-tuivano un comune succedaneo del frumento. Veniva consumata lessa ma anche seccata e, insieme ad altrefarine, era utilizzata nella composizione di un pane sca-dente ma che saziava.
Comunque fosse consumata, la cicerchia, a dosi cro-nicamente eccessive, causa un’affezione oggi nota come
‘latirismo’ , malattia per la quale gli individui colpitigiungevano a manifestare persino paralisi e alterazionischeletriche agli arti inferiori. Ciò nonostante era cibocomune, secondo una consuetudine che si manteneva rischiosamente in equilibrio con gli altri ingredientidell’alimentazione popolare e che, al pari di molti diquesti, riconosceva nelle costrizioni materiali la princi-
pale ragione del suo perpetuarsi.
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Le cicerchie sono abitualmente consumate in moltelocalità di produzione, dove spesso costituiscono unpiatto prelibato, con estimatori locali e non solo.
La zuppa di cicerchie, insieme a quella di fagioli oceci, è uno dei piatti tradizionali e abituali di Campo-dimele, un minuscolo paese in provincia di Latina chein Italia e all’ estero è ‘studiato ’ da illustri scienziati peravere il più alto numero di ultracentenari o comunquedi anziani in buona salute. Ma a nessuno venga inmente di mettersi a mangiare cicerchie per emulare i
vegliardi di Campodimele: nei dizionari di italiano l’e-spressione ‘aver mangiato cicerchie’ equivale ad ‘avere le traveggole’ , ossia a sragionare.
In Italia la zona di coltivazione è ormai così margi-nale che la si può considerare in estinzione.
Come tutti i legumi si trova nei mercati essiccata:inutile cercare il prodotto fresco come avviene, in sta-
gione, per i fagioli e i piselli.Carattere difficile la cicerchia: va tenuta a bagnoanche per due giorni perché necessita di un buonammollo; l’acqua va cambiata e non va utilizzata percucinare. Vanno sciacquate bene e messe in acqua fred-da e lessate per almeno un’ora a fuoco basso prima diessere utilizzate in zuppe o da sole, accompagnate da
carni di maiale a cui ben si sposano per il sapore dol-ciastro. Restano, comunque, sempre al dente.E finalmente, dopo anni di oblio, tornano alla ribal-
ta le cicerchie, legumi antichi e saporiti che un tempo,nei periodi invernali, non mancavano mai sulla tavola dei contadini.
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Zuppa di cicerchie
INGREDIENTI (per 4 persone):Cicerchie 250 gr.Pomodoro passato o pomodorini 100 gr.Mentuccia fresca q.b.Prezzemolo o foglie di salvia un ciuffo
Aglio o 1 spicchioCipolla una
Olio extrav. d’ oliva q.b.Peperoncino a piacere
PROCEDIMENTO:Lessare le cicerchie. In una casseruola, magari di coccio,
mettere dell’ olio, un trito di mentuccia, prezzemolo e aglio oppure cipolla e salvia.
Far soffriggere. Unire il pomodoro o i pomodorini e il peperoncino. Far insaporire.
Unire le cicerchie. Dopo una decina di minuti aggiun- gere dell’ acqua bollente . Pepare a piacere, condire con un filo di olio extravergine direttamente a tavola.
VALORE NUTRITIVO:Protidi 4,79 gr. Potassio 278,425 Lipidi 8,6 gr. Vitamina A 117,9 Carboidrati 68,75 gr. Vitamina C 20,25 Kcal 80,875
PROFILO NUTRIZIONALE:
Il piatto se pur semplice e povero di grassi si presenta
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quasi completo in quanto evidenzia un apporto più che sufficiente di potassio e di amidi.
Accompagnata da una bruschetta con verdura può
diventare una portata unica e digeribilissima.
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Zuppa di cicerchie con i cardi
INGREDIENTI:Cardi 600 gr.Cicerchie 50 gr.Tagliolini 200 gr.Guanciale affettato fine 15 gr.Patate una Cipolla una
Aglio uno spicchio Parmigiano 1 cucchiaioRosmarino 1 rametto Prezzemolo tritato 1 cucchiaino Limone mezzo Brodo q.b Olio extravergine d’ oliva q.b
Pepe q.b Sale q.b
PROCEDIMENTO:Sciacquare bene le cicerchie e metterle in ammollo in
acqua fredda per una notte.Scolarle e farle lessare con una costa di sedano, un pez-
zetto di cipolla e un cucchiaio d’olio per circa 60 minuti.Selezionare i cardi scartando le coste più esterne ed elimi- nando le foglie. Privare le coste più tenere dei filamenti
fibrosi, tagliarle a listarelle; man mano che sono pronte immergerle in acqua con succo di limone perché non anne- riscono; farle lessare per circa 15 minuti in acqua salata.
Scolarle e tenerle da parte. Al termine, unire il prezzemolo.
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Preparare un fondo di una pentola capiente con due cucchiai di olio, la costa di sedano e cipolla tritati fine- mente, uno spicchio d’aglio e fare andare con del brodo
vegetale fino a cottura degli ingredienti. Fare insaporire,intanto, in una padella uno spicchio d’aglio in camicia, il guanciale intero, la patata precedentemente sbollentata e tagliata a dadini, i cardi e le cicerchie già lessate, il ramet- to di rosmarino, il parmigiano grattugiato.
Cuocere la zuppa per una decina di minuti e, al ter- mine, aggiungere il prezzemolo e un profumo di pepe.
Unire la zuppa di cicerchie e cardi al fondo già preparato,mescolare, regolare di sale e se occorre aggiungere del brodo vegetale. Fare alzare il bollore e versarvi i tagliolini per
pochi minuti.
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d h f
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Zuppa di cicerchie e farro
E’ quasi un piatto unico, basta aggiungere una bella ver-dura e la cena è fatta.
INGREDIENTI (per 6 persone):Cicerchie 150 gr.Cannellini 100 gr.Fave secche senza buccia 100 gr.
Cipolla rossa mezza Pomodorini n°2 Sedano q.b.Prezzemolo q.b.Porri medi n°2 Zucca 300 gr.Farro 300 gr.
Sale q.b.Pepe o peperoncino q.b.Guanciale stagionato (optional) 100 gr.
PROCEDIMENTO:Mettere a bagno, insieme, i legumi secchi la sera prima.
Da evitare il bicarbonato perché ne altera il sapore.La mattina dopo cuocerli insieme ai pomodorini, il
sedano, la mezza cipolla e un ciuffetto di prezzemolo.Quando sono cotti aggiungere il sale e passarli in modo
che la buccia della cicerchia che è fastidiosa possa essere eli- minata.
A parte cuocere il farro con la zucca ,i porri a pezzetti-
ni piccoli e il guanciale. La zuppa deve risultare densa e
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i i i d li i di i
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questo si ottiene cucinando gli ingredienti separatamente.Regolare di sale.
Servire con un filo di olio crudo e qualche fetta di pane
scuro, abbrustolita e passata di aglio.
Sa ancora di “campagna e diaria” il piatto che coniu-ga finocchietto selvatico e cicerchie. La ricetta è similealla zuppa. Si deve solo sostituire il finocchietto alla sal-via o alla mentuccia, la zuppa avrà un gusto più fresco
e insolito. E’ meglio non aggiungere il prosciutto.
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Le cicerchie come tutti i legumi possono essere
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Le cicerchie, come tutti i legumi, possono esserecucinate in vari modi. Se alla tradizione si preferiscel’innovazione ecco una ricetta più moderna:
Insalata di gamberi e cicerchie
INGREDIENTI (per 4 persone):Cicerchie 200 gr.
Gamberi 300 gr.Rucola q.b.Buccia di limone q.b.Olio extrav. d’oliva q.b.
PROCEDIMENTO: Ammollare le cicerchie per una notte, scolarle, sciac-
quarle e metterle a lessare in acqua fredda.Bollire i gamberi in acqua e aggiungere un po’ di caro-
ta, cipolla, sedano e qualche acino di pepe nero. Sgusciarli e servire su un piatto da portata con fondo di rucola con sopra le cicerchie Guarnire con gamberi.
Condire con un filo d’olio, sale, pepe, un po’ di scorza di limone.
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P st c n cic rchi
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Pasta con cicerchie
INGREDIENTI:Cicerchie 200 gr.Cipolla mezza
Acqua q.b.Pasta 300 gr.Olio extrav. d’oliva q.b.Sale q.b.
PROCEDIMENTO:La sera prima mettere le cicerchie a bagno nell’acqua
con un cucchiaio di sale.Per la cottura delle cicerchie: mettere in una pentola
coperte da un po’ di acqua (durante la cottura le cicerchie devono essere sempre ricoperte da un filo di acqua, per cui
va aggiunto quando evapora) con l’aggiunta di qualche foglia di alloro e un cucchiaio di sale
Cuocere per circa 60 minuti (o finché non diventano tenere).
In una padella far imbiondire una cipolla con olio extra vergine, poi versare il soffritto nella pentola con le cicerchie (non vanno scolate).
Cuocere la pasta al dente, aggiungere le cicerchie e ser- vire.
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La parola cicerchie o cicerchiata, in alcune regioni
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La parola cicerchie o cicerchiata , in alcune regionid’Italia, è sinonimo di struffoli di cui diamo la ricetta per rendere dolce la lettura.
Cicerchiata
INGREDIENTI( per 4 persone):Farina 240 gr.Burro 20 gr.Zucchero 20 gr.Uova n°2 Vino bianco secco 1 cucchiaio Olio extrav. di oliva q.b.Per l’amalgama: Zucchero 100 gr.Miele 100 gr.Frutta candita a pezzettini q.b.Confettini q.b.
PROCEDIMENTO:Impastare bene farina, burro, zucchero, e uova; aggiun-
gere il vino e fare tanti bastoncini da tagliare a giochetti di 1 cm circa in modo da ottenere quasi delle palline, della
grandezza di un cece. Friggerle e scolare bene. Far caramel- lare zucchero e miele in un padellino. Quando il caramel- lo è ben dorato versare le palline e mescolare velocemente in modo da amalgamare bene il tutto. Versare sul piatto da
portata dando la forma di ciambella e decorare con candi- ti e confettini. Il nome deriva da cicerchia = cece, anche se con i ceci non ha nulla a che vedere, se non nell’aspetto.
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LE FAVE
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La storia delle fave si intreccia con riti propiziatori eantichi pregiudizi.
Nell’antica Roma, durante le feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura che germoglia, le favevenivano lanciate sulla folla in segno di buon augurio;ma solo per questa occasione, negli altri periodi dell’an-no le fave erano considerate impure. Infatti erano ancheusate nei riti religiosi come cibo dei defunti e per que-sta ragione il sacerdote di Giove non poteva toccarle,mentre il Pontefice Massimo non poteva neanchenominarle.
Dall’VIII sec. il primo di novembre si celebra la vita e la morte di tutti i Santi. E’ momento importante perla cristianità e giornata di riconoscenza per i comunimortali. Il giorno seguente è votato alla commemora-zione dei defunti, il cui culto è antichissimo. Per iRomani il “tempo dei trapassati” durava un’intera setti-mana del mese di febbraio, ultimo mese dell’anno,quello purificante. La festa dei morti era venerata per-ché “dai morti nasce la vita, come dai semi nasce il frut- to ”. La gente presumeva che nei semi delle fave nere siritrovassero le lacrime dei trapassati. Diversi i riti dell’e-poca: uno, fatto per implorare la pace dei morti, consi-steva nel cospargere di questi legumi le tombe; l’altro,eseguito per scaramanzia, era realizzato gettandosi lefave dietro le spalle e recitando le parole: “con queste,redimiamo me e i miei”.
Nonostante ciò, le fave costituivano anche l’alimen-to più emblematico della ricorrenza. Nei festini mor-tuari, per scopi propiziatori, venivano offerte ai poveri
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che le mangiavano crude (perché cotte erano di perti-
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g p pnenza dei benestanti).
In epoca cristiana, nelle ricorrenze dei Santi e deiMorti, le fave diventavano cibo di precetto, utilizzatesoprattutto per minestre dalle tinte nere o verdastre.
“Di tutti i legumi la fava é la regina, cotta la sera, scal- data la mattina ” cosi recitava un antico detto popolare.
Purtroppo per le tradizioni italiane, in seguito alla scoperta dell’America, con l’arrivo del mais il consumoquotidiano dalle fave è andato progressivamente a dimi-nuire.
Comunque, nonostante le superstizioni, a Roma lericette di Apicio, a base di fave, erano molto apprezza-te.
Anche nell’antica Grecia le fave erano tradizional-mente legate ai defunti. Venivano lessate in grandequantità nel periodo di novembre, in offerta a Bacco eMercurio per le anime dei morti. Il legame così radica-to, nell’antichità, tra le fave e il mondo dell’aldilà,potrebbe essere spiegato dal colore del suo fiore, biancoe maculato di nero; colore molto raro nei vegetali e perla sua natura simbolo del mistero. Nelle cerimoniefunebri venivano sparse sul feretro e gli schiavi se le but-tavano dietro durante il corteo, invocando il padronescomparso. Lo stesso Pitagora proibì ai suoi discepoli dimangiarle poiché riteneva che esse contenessero leanime dei defunti.
Questa abitudine di consumare le fave il giorno deimorti si è conservato fino ai nostri giorni; in molteregioni d’Italia piatti e dolci rituali per devozione siconsumano proprio nel mese di novembre.
Al tempo dei romani venivano consumate secondo
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le ricette da Apicio che le voleva assieme ad uova, miele
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e pepe, prima di mescolarle ad erbe e salse. Assistere nell’ antica Roma alle feste dedicate alla dea
Flora, protettrice della natura che germoglia, significa-va ritrovarsi sotto una cascata di fave: i Romani le get-tavano infatti sulla folla in segno di buon augurio. A festeggiamenti conclusi questo legume tornava ad esse-re ritenuto impuro.
Come mai?Questi pregiudizi ben si spiegano tenendo conto
della consuetudine di usare le fave nei riti religiosi comecibo per i defunti, usanza simile a quella dei Greci.Nella penisola ellenica si riteneva che Cerere avessedonato a una città dell’ Arcadia i semi di tutti i legumi,tranne quelli delle fave, cui erano legate varie supersti-zioni: come i suoi concittadini anche Pitagora riteneva per esempio che dentro ai semi si celassero le anime deidefunti. Le fave, inoltre, non erano solo cibo per idefunti: a Roma le ricette Apicio a base di fave eranotenute in grande considerazione.
La coltivazione delle fave in Italia è tipica delle regio-ni del centro e del sud. Tanto è vero che una classica merenda primaverile di quelle zone le vede accompa-gnate da pecorino e pane nero.
La fava è molto coltivata anche in Sardegna doveviene utilizzata per numerosi piatti tipici tra i quali bastiricordare la faddada , un minestrone di fave, cavoli efinocchietto selvatico. A Sassari questo minestrone, perantica consuetudine, viene preparato in occasione delcarnevale.
Ad Aquino, in Ciociaria, il 2 Novembre si svolgeaddirittura una manifestazione dedicata alle fave, chia-
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mata “Le fave dei Pelagalli ”: è un antica tradizionel d d d
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popolare nata in seguito ad un atto di generosità da parte della famiglia Pelagalli che donò questo legume ingrande quantità ai poveri del paese.
La tradizione è in uso anche ad Oristano, dove perS. Giuseppe le famiglie più abbienti sono solite offrirele fave alle famiglie più povere.
Mentre la maggior parte dei legumi ci è pervenuta dalle Americhe per cui i loro semi sono molto sensibilial freddo, la fava, di origini probabilmente asiatiche, ècoltivata in Europa da tempi antichissimi: nell’antica Roma la si offriva col lardo agli Dei e, probabilmente ilnome della gens Fabia deriva proprio da questo legume.
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Zuppa di fave
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pp f
INGREDIENTI (per 8 persone) :Fave ammollate una tazza e mezza Acqua o brodo 6 tazzePatata cotta al forno, pelata e tagliata a cubetti n°1Patata americana pelata e tagliata a cubetti n°1Olio extrav. d’oliva per friggere q.b.Cipolla rossa tagliata a cubetti n°1
Aglio tritato n°3 spicchi Rosmarino fresco n°2 ramettiSalvia fresca n°1 o 2 ramettiSale e pepe q.b.Vino rosso e secco 1/2 tazzaConserva di pomodoro n°2 cucchiai Riso o pasta di riso corta n°1 o più tazze
Cipollotti tagliati per decorare q.b.
PROCEDIMENTO:Cuocere le fave nell’acqua o nel brodo con la patata e
la patata americana, fino ad ammorbidirle, per circa 50 minuti.
Se necessario, aggiungere acqua per compensare l’evapo-
razione. Se si usano le fave in scatola, cuocerle fino a che le patate non si siano ammorbidite.
Nel frattempo soffriggere cipolla, aglio, rosmarino e sal- via con sale e pepe.
Aggiungere il vino e la conserva. Continuare a cuocere per 5 minuti, poi mettere da parte.
Preparare il purè con un mezzo o due terzi di fave,
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patata e patata americana usando il passatutto. Aggiunge- ll l i t di ff itt d t
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re alla zuppa la mistura di soffritto messa da parte.Portare a ebollizione a fuoco lento e continuare a cuo-
cere per 15 minuti. Aggiustare di sale e pepe, aggiungere la pasta o il riso
(cotti separatamente), decorare con cipollotti sminuzzati e servire.
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Tagliatelle con fave e pecorino
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INGREDIENTI:Tagliatelle fresche 250 gr.Fave sgranate 300 gr.Cipolla rossa piccola n°1Ricotta del tipo romano 100 gr.Pecorino romano 40 g r.Menta piccola n°8 foglie
Olio extrav. di oliva n°6 cucchiaiSale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Sbucciare la cipolla, farne due metà e tagliarle a fetti-
ne molto sottili che farete soffriggere per circa 5 minuti a fuoco basso con 5 cucchiai di olio.
Unire le fave e la cipolla ed alzare la fiamma per insa- porire tenendole sul fuoco per altri 3 minuti circa. Aggiun- gere 2 dl di acqua calda e coprire continuando a cuocere per 15 minuti circa, fin quando le fave diventano tenere.Salare e grattugiarvi sopra il pecorino romano utilizzando
possibilmente una grattugia a fori medi.Nel frattempo cuocere la pasta in acqua bollente salata,
e aggiungere all’acqua di cottura l’olio non utilizzato. Sco- larla, naturalmente al dente, e versarla nella padella in cui avete preparato il condimento alle fave; farla mantecare
per qualche secondo in modo che si insaporisca per bene.Toglierla dal fuoco e aggiungere la menta spezzata, dei
fiocchetti di ricotta, del pecorino e pepe a volontà. Servi- re.
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Purea di fave con cicoria
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INGREDIENTI:Cicoria o catalogna 1000 gr.Fave 400 gr.Cipolla una Olio extrav. d’oliva q.b.Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Mondare la cicoria o la catalogna, lessarla e scolarla,cercando di eliminare il più possibile l’acqua di cottura.
In un tegame mettere la cipolla intera, una presa di sale, del pepe, e farvi cuocere le fave, naturalmente sbuc- ciate a fuoco molto lento con il coperchio finché non saran- no ridotte a purea, mescolando ogni tanto con un cucchiaio
di legno. Appena la purea di fave è pronta aggiungere quattro
cucchiai di olio extravergine di oliva, una grattata di pepe,mescolare e servire accompagnando con la cicoria lessata
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Fave alla campagnola
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INGREDIENTI:Fave 1000 gr.Cipolle novelle tritate n°2 Olio extrav. d’oliva 1/2 bicchiereSale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:
In una pentola cuocere le fave in acqua salata (cuocere a lungo, finché le fave non diventano morbide), scolarle e condirle immediatamente con l’olio, le cipolle novelle, sale e pepe.
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Purea di fave e patate
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INGREDIENTI ( per 4 persone):Fave non sgusciate 3000 gr.Patate n°3Olio extrav. d’oliva 1.5 dlSale e pepe bianco q.b.
PROCEDIMENTO:
Sgusciare le fave e metterle in un tegame. Coprire con acqua fredda e portarle a bollore. Scolarle e ripetere il pro- cedimento due volte per eliminare la schiuma che si forma.Coprire nuovamente le fave con acqua fredda e unire le
patate con un pizzico di sale. Portare a ebollizione, copri- re la pentola e far cuocere a fuoco basso per 1 ora.
Schiacciare le fave e le patate e condire con l’olio.
Completare con il pepe e servire.
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Fave brasate al pomodoro
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INGREDIENTI:Fave fresche 1500 gr.Cipollotti n°4 Pomodori n°2 Capperi sotto sale una manciata Origano a gusto Basilico n°8 foglie
Aglio n°4 spicchi Olio extrav. d’oliva q.b.Sale q.b.Peperoncino a gusto Prezzemolo a gusto Pane casereccio n°6 fette
PROCEDIMENTO:Tagliare a dadini la polpa di pomodoro e condirla con
sale, capperi, origano. Tagliare finemente i cipollotti, unire olio e peperoncino; unire le fave sgusciate, salare e brasare dolcemente per 40 minuti, unendo poca salsa di pomodo- ro e prezzemolo tritato. Spegnere la fiamma e far prendere sapore. Servire su fette di pane tostato.
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Tortino di fave e piselli
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INGREDIENTI:Fave sgusciate 300 gr.Pisellini 300 gr.Spinaci freschi 200 gr.Uova n°2 Formaggio cremoso n°4 cucchiai Prezzemolo tritato q.b.
Farina n°1 cucchiaioLimone n°1Scalogno n°1Burro 30 gr.Noce moscata a gusto Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Lessare le fave ed i piselli in acqua salata in ebollizione
per 20 minuti. Eliminare la pellicina dalle fave. Frullare metà delle fave e dei piselli insieme al formaggio, le uova intere, la farina, sale e pepe, una grattata di noce moscata.Scottare per un minuto gli spinaci in acqua salata, sgoc- ciolarli e adagiare le foglie su un canovaccio. Ungere 4
stampini individuali con un po’ di burro fuso.Foderare gli stampini con le foglie stesse degli spinaci,
riempirli con il composto di fave e piselli.Porre gli stampini in una teglia da forno, in cui avre-
te messo acqua per la cottura a bagnomaria e far cuocere a 160° per 40 minuti.
Tritare finemente lo scalogno, farlo ammorbidire in
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padella con il burro, aggiungere piselli e fave rimaste.Bagnare con un mestolo d’acqua calda e il succo del limo-
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ne. Insaporire con la scorsa del limone tritata e con una spruzzata di prezzemolo.
Lasciar cuocere a fuoco basso fino a quando il liquido di cottura sarà quasi evaporato.
Sformare i tortini su piatti individuali, disporvi attor- no le fave e i piselli al limone e servire subito.
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Omelette alle fave
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INGREDIENTI:Fave sbucciate 600 gr.Uova n°6 Panna 25 cl.Burro 30 gr.Scalogni piccoli n°2 Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:In un tegame scaldare la metà del burro, insaporirvi gli
scalogni tritati, salare, pepare e aggiungere le fave. Unire metà della panna e portare a cottura le fave. Sbattere quat- tro uova, salare. Scaldare il burro avanzato, versarvi le uova sbattute e fare una grande omelette bella morbida.
Sistemarla su un piatto da portata ben caldo. Frullare i due tuorli con la restante panna. Scaldare il composto,sempre mescolando, ritirare dal fuoco e incorporarvi la fave
già insaporite.Fare addensare a fuoco dolce e poi versare la salsa alle
fave sopra l’omelette.Servire.
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Passata di fave al Tamari(salsa di soia)
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(salsa di soia)
INGREDIENTI:Fave fresche 200 gr.Carota una Sedano una costa Cipolla una Olio extrav. d’oliva n°2 cucchiai
Tamari (Salsa di soia) 200 cl.Mentuccia secca un cucchiaio Prezzemolo tritato n°2 cucchiai Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Lavare le fave e metterle a bagno in due litri di acqua
salata per tutta la notte. Far cuocere le fave, fino a che siano ben tenere, nell’acqua in cui sono state a bagno. Pas- sare il tutto nel passaverdure. Intanto stufare le verdure tri- tate con poco olio e acqua in un tegame coperto. Aggiun-
gere il passato di fave alle verdure stufate e far cuocere a fuoco basso per 30 minuti. Condire con Tamari, mentuc- cia, prezzemolo e servire caldo su crostini di pane tostato.
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Purea di favecon scarola e pecorino
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INGREDIENTI:Fave sbucciate 500 gr.Scarola un piede Pecorino a gusto
Aglio n°2 spicchi Sale q.b.
Peperoncino a gusto
PROCEDIMENTO:Lessare le fave e passarle fino ad ottenere una crema che
si farà saltare in padella con uno spicchio d’aglio, olio e una punta di peperoncino. A parte lessare la scarola e ripassarla come la purea.
Disporre i due composti su un piatto e ricoprire con sot- tilissime scagliette di pecorino, guarnendo il tutto con una verdissima foglia di scarola.
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Risotto con le fave
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INGREDIENTI:Riso 250 gr.Fave fresche 200 gr.Pancetta (una fetta) 100 gr.Brodo 1 l.
Aglio uno spicchio Prezzemolo tritato un cucchiaio
Olio extrav. d’oliva n°3 cucchiai Grana grattugiata n°2 cucchiai Sala e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Tagliare la pancetta a dadini, farla soffriggere con l’olio
e l’aglio. Aggiungere al soffritto le fave e farle insaporire per
dieci minuti. Aggiungere il riso, farlo tostare per qualche minuto e cominciare ad aggiungere poco a poco il brodo caldo, mescolando in continuazione, fino a quando non sarà cotto. A pochi minuti dalla cottura salare, pepare e aggiungere il prezzemolo. Quando è pronto, togliere il riso dal fuoco, unire il grana grattugiato, mescolare bene e ser- vire.
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Le fave da orto sono i semi di una pianta a fusto eret-to, vicia faba o faba vulgaris , che cresce in tutto il baci-no del mediterraneo.
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no del mediterraneo.Sono contenute in un baccello lineare lungo fino a
25 cm., se fresche sono di colore verde, secche di colo-re bruno e molto dure.
Le fave si trovano in commercio sia fresche che sec-che: quelle secche possono essere private del tegumentoe allora sono bianche o giallo paglierino molto chiaro.
Fresche si mangiano così come sono, o accompagna-te da pane e cipolle, salumi e formaggi, come contorno
o anche insieme a minestre di verdure.Secche, private del tegumento vengono bollite senza
ammollo preventivo e rammolliscono fino a diventareuna purea, si consumano solitamente con verdure ama-rognole come la cicoria.
Le fave fresche posso essere anche arrostite dopoessere state incise, come si fa con le caldarroste.
Le fave secche con il guscio vanno cotte dopo unammollo di parecchie ore, come per i fagioli e i ceci.
Questo alimento è stato per secoli il cibo dei poveri,anche se era considerato da molti un alimento tossico,sia consumato fresco che secco. Questa credenza non èdel tutto infondata: in alcuni soggetti predisposti, causa una malattia molto grave detta ‘ favismo ’ o anemia emo-
litica.
FAVISMO
E’ una grave forma di anemia, provocata dalla inge-stione di fave (fresche o secche,crude o cotte): alcunesostanze contenute nelle fave distruggono rapidamente
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i globuli rossi del sangue, determinando i sintomi carat-teristici della malattia: impallidimento, emissioni diurine rossastre, astenia, nausea, vomito.
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, , ,L’ astenia può essere tanto grave da provocare la
morte; ma per lo più, soprattutto se si interviene conuna trasfusione di sangue, il paziente guarisce ed entrouna o due settimane può riprendere la sua vita norma-le.
La malattia, o meglio il “difetto genetico”, è dovuta alla mancanza di un enzima nei globuli rossi.
La predisposizione al favismo è ereditaria e si tra-
smette attraverso il cromosoma X.Oltre le fave ed i piselli, anche numerosi farmaci
(come il chinino, l’aspirina, i sulfamidici, ecc ) possonoavere, nei soggetti carenti, lo stesso effetto di quei legu-mi, determinando gravi crisi emolitiche, cioè una distruzione acuta di globuli rossi.
L’unica cura consiste nella trasfusione di sangue.
Il fabico dovrebbe comunque rinunciare alle fave e aipiselli e farsi prescrivere medicinali non emolitici incaso di malattia.
In Sardegna la percentuale dei fobici è altissima (finoal 25% in certe zone delle province di Cagliari e di Ori-stano).
Nel corso del 1981, una martellante campagna pub-
blicitaria, promossa dall’assessorato Regionale all’Igienee Sanità, ha sensibilizzato la popolazione portandola adeffettuare il test fabico, così che migliaia di sardi hannopotuto conoscere la propria predisposizione al favismo.
Ne è conseguita una sensibile diminuzione delnumero dei ricoveri ospedalieri.
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I CECI
I ceci sono i semi di una pianta (Cicer arietinum ),
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leguminosa erbacea annua (famiglia papilionacee)
caratteristica per il colore verde glauco tenero e per una certa pelosità.
Il frutto è un piccolo legume ricoperto di una finepeluria, contenuto in un baccello con due o tre semi,grandi, duri, di colore paglierino e dalla superficie liscia e si trova commercialmente solo allo stato secco.
Particolarmente ricchi di elementi nutritivi, sono
energetici e nutritivi quanto i fagioli. Di colore verdechiaro quando sono immaturi e gialli, rossi o neri,quando maturano
Ricco di vitamina B, C e di fosforo, in abbinamen-to con un cereale, può fornire eccellenti proteine alnostro organismo ed, inoltre, è tra i legumi più calori-ci: da cotto ha ben il 6% di grassi e più di 100 calorie.
Tostati, sono utilizzati come surrogato del caffè eforniscono un alimento molto apprezzato in molti paesiorientali.
I ceci, oggi provengono per la maggior parte dal Perùe dalla Turchia, ma sono anche coltivati in Italia.
Naturale la coltivazione in Toscana, Umbria e Laziodove crescono alcune varietà particolari come i “ceci
neri” e i cosiddetti “ceci del solco dritto ”.Nel dopoguerra i ceci hanno fatto da sostentamento
alla popolazione del Frusinate.Nella zona del cassinate la loro produzione era
abbondante in quanto il terreno, fresco e calcareo, nemigliorava le qualità e rendeva agevole la loro coltura.
Questo legume ha fatto da principe nella dieta ali-
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mentare delle popolazioni rurali, anche grazie alla sua facile conservazione tramite l’essiccamento.
Anche se ultimamente se ne sta diminuendo la col-
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tivazione, moltissimi restano i piatti a base di ceci che
vengono abitualmente consumati nella zona.
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Una delle tante ricette a base di ceci che sembra esse-re più vicina ai gusti dei giovani abituati alle fritture deifast food è la seguente:
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Fritto misto in pastella di ceci
INGREDIENTI (per 4 persone):Carotine novelle 500 gr.Cipollotti medi 500 gr.
Patatine novelle 600 gr.Fettine sottilissime di fesa di vitello 600 gr.Fettine sottilissime di pancetta 350 gr.Foglie di salvia 40 gr.Olio per friggere 2 l.Peperoncino in polvere 5 gr.Sale q.bPer la preparazione della pastella: Farina di ceci 50 gr.Uovo uno Lievito in polvere 1/2 cucchiaioBirra chiara 0.5 dl.Olio extrav. d’oliva. n°2 cucchiai
PROCEDIMENTO:In una ciotola amalgamare la farina di ceci con l’uovo
leggermente sbattuto, il lievito setacciato, 1 cucchiaio d’o- lio, la birra e circa 1,5 dl di acqua tiepida.
Sbattere per bene, quindi con della pellicola trasparen- te coprire e lasciare a riposare per 1 ora in un luogo fresco.
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Ridurre a fettine molto sottili; prendere le fettine di pancetta e disporre sopra di esse le fettine di vitella, aggiu- stare di sale e arrotolarle su se stesse, fino a farne dei roto- l
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lini.
Aggiungere ad ogni rotolino una foglia di salvia e man- tenere con uno stecchino di legno.
Immergere sia la carne che le verdure nella pastella di ceci.
Fare scaldare abbondante olio, quando raggiunge un’al- ta temperatura, ma senza fumare, mettere a cuocere le ver- dure e i rotolini di carne e scolarli su carta assorbente.
Aggiungere il sale, anche un pizzico di peperoncino in polvere e servire.
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Crostini alla turca(con crema di ceci)
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INGREDIENTI:Ceci 300 gr.Olio di sesamo 1/2 bicchiere Pane casareccio n°8 fetteLimoni n°2
Aglio n°1 spicchio Prezzemolo tritato 1 cucchiaioPaprica dolce 1 pizzicoBicarbonato 1 cucchiainoSale q.b.
PROCEDIMENTO:
Tenere a bagno i ceci per tutta una notte in acqua addi- zionata di bicarbonato. Al momento di cuocerli, scolarli,lavarli e porli nella pentola a pressione fino a che non saranno cotti.
Aprire la pentola a pressione, aggiungere l’olio di sesa- mo, il succo di limone filtrato e una presa di sale, aggiun-
gere acqua al bisogno, richiudere e far cuocere altri 10
minuti.Scolare i ceci,passarli al setaccio e aggiungere alla purea
così ottenuta lo spicchio di aglio pestato e un pizzico di paprica.
Tostare in forno (o nel tostapane) le fette di pane, spal- marle con la crema di ceci, cospargerle con il prezzemolo tritato e portare subito in tavola.
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Torta di ceci
INGREDIENTI
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INGREDIENTI:Farina di ceci q.b.
Acqua tiepida 1/2 l.Lievito di birra un cubettoSale q.b.Olio extrav. d’oliva q.b.Cipolline affettate 2 - 3 manciate
PROCEDIMENTO:Diluire la farina di ceci con mezzo litro di acqua tie-
pida nella quale avete stemperato un cubetto di lievito di birra e una presa di sale; ottenere un impasto morbido da lavorare per qualche minuto. Lasciare lievitare l’impasto coperto per un paio d’ore, poi stenderlo in una teglia da 30
cm circa, unta di olio, distribuirvi sopra 2-3 manciate di cipolline affettate e irrorare con altro olio. Cuocere nel forno a 190° per 30 minuti circa.
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Zuppa di ceci e porcini
INGREDIENTI( per 4 persone):
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INGREDIENTI( per 4 persone):Ceci già lessati 400 gr.
Aglio 1 spicchio Funghi porcini 200 gr.Rosmarino 1 ramettoBrodo 1,5 l.Farina 1 cucchiaioOlio extrav. d’oliva n°4 cucchiaiPane 1 filoncinoSale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Ridurre in purea 200 gr. di ceci, metterla in una casse-
ruola, unire i ceci interi rimasti (prima sbucciati), poi i
porcini (accuratamente privati della parte terrosa e taglia- ti a fettine), l’aglio sbucciato e un po’ di rosmarino tritato.Versare il brodo e passarlo a ebollizione, poi abbassare la
fiamma e continuare la cottura per 25-30 minuti. Aggiungere la farina stemperata nell’olio, regolare di sale,pepare a piacere e cuocere ancora per altri 5 minuti.Tagliare a fettine il pane e tostarlo. Servire la zuppa con i
crostini dorati. Tempo di cottura 60 minuti.
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Minestra di ceci e maiale
INGREDIENTI( per 2 persone):
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INGREDIENTI( per 2 persone):
Costine di maiale 200 gr.Cotenna 30 gr.Cipolla tritata 30 gr.Ceci 200 gr.Olio extrav. d’oliva 1 cucchiaioCrostini di pane q.b.Polpa di pomodoro 60 gr.Prezzemolo tritato 1 cucchiaioSale q.b.Pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Lasciare i ceci per 12 ore nell’acqua. In un tegame far
rosolare la cipolla nell’olio, aggiungere le costine, la coten- na e i ceci insieme all’acqua con cui sono stati in ammol- lo; salare e far cuocere con il coperchio per 1 ora. Finita la cottura unire il pomodoro e il prezzemolo. Servire nei piat- ti con i crostini di pane tostati nel forno.
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Ceci alla salvia
INGREDIENTI( per 4 persone):
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INGREDIENTI( per 4 persone):
Ceci 400 gr. Aglio 2 spicchiLardo 50 gr.Cipolla mezza Carota una Sedano 1 costaSalvia 1 manciata di foglieConcentrato di pomodoro 2 cucchiaiPane casereccio 4 fettePecorino grattugiato 2 cucchiaiOlio extrav. d’oliva 4 cucchiaiSale q.b.Pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Mettere i ceci puliti e lavati a mollo in acqua fredda
per 1 notte. Il giorno dopo scolarli e versarli in una pento- la con 1 litro e mezzo di acqua fredda poco salata. Farli cuocere a fiamma bassa, con il coperchio, per circa 2 ore.Nel frattempo tritare il lardo, l’aglio, la cipolla, la carota
raschiata e lavata, sedano e una foglia di salvia. Far sof- friggere il tutto nell’olio a fiamma bassa per 10 minuti.Unire i ceci cotti con il loro brodo, il concentrato di pomo- doro, le foglie di salvia e far bollire per 30 minuti. Tostare in forno fette di pane, adagiarle,versarvi la minestra,
pepare, aggiungere l’olio crudo e servire con pecorino grat- tugiato a parte.
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Maccaroncelli e ceci
INGREDIENTI:
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Ceci 350 gr.Maccaroncelli 150 gr.Coscia di manzo 200 gr.Lardo 25 gr.Pancetta affumicata 25 gr.Cipolla una Olio extrav. d’oliva 2 cucchiaiPrezzemolo q.b.Sedano abbondante Peperoncino rosso calabrese a gustoSale q.b.
PROCEDIMENTO:
Mettere a bagno per un’intera notte i ceci. Il mattino seguente preparare un battuto con il lardo, la pancetta ed un po’ di prezzemolo e farlo liquefare al fuoco in una pen- tola di terracotta con l’aggiunta di un mestolo d’acqua calda. Unire, quindi, i ceci, la cipolla, il sedano, la carne tagliata a cubetti di quattro o cinque cm. di lato, il pepe- roncino rosso sminuzzato e coprire con acqua; versare
anche l’olio e salare. Lasciar cuocere a fuoco moderato,mescolando di tanto in tanto e con l’aggiunta di altra acqua se occorre, per circa 3 ore; versare i maccaroncelli,tagliati a pezzetti, ed aggiungere il prezzemolo tritato gros- solanamente. Lasciar raffreddare un po’ prima di servire.
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Cuculi (frittelle di farina di ceci)
INGREDIENTI:
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Farina di ceci 400 gr.Lievito di birra 1 cubettoMaggiorana tritata a gusto Olio di semi di arachidi q.b.Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Diluire la farina con l’acqua necessaria per ottenere
una pastella densa e un poco fluida. Aggiungere il lievito e lasciare riposare per qualche ora. Quando l’impasto è lie- vitato unire la maggiorana, salare e pepare, quindi frig-
gerlo a cucchiaiate in olio caldo. Scolare, spolverarle di sale e servire.
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Farinata (o torta di ceci)
INGREDIENTI:
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Acqua 360 gr.Farina di ceci 120 gr.Sale q.b.Rosmarino 1 ramettoOlio extrav. d’oliva n°4 cucchiai Pepe a gusto
PROCEDIMENTO:Mescolare l’acqua e farina di ceci con un cucchiaio di
legno; dopo aver eliminato i grumi aggiungere un po’ di sale e mescolare ancora. Aggiungere il rametto di rosmari- no e lasciare riposare per un po’ (da un’ora a tre ore).
Aggiungere l’olio e mescolare bene. Rimuovere il rosmari- no, versare in una teglia e infornare a caldo a 190-200°.Togliere dal forno quando uno degli angoli (o il bordo) comincia ad apparire bruciacchiato. Cospargere di pepe e servire. E’ molto importante che la teglia sia perfettamen- te piatta e che nel forno sia assolutamente orizzontale,altrimenti uno degli angoli sarà meno spesso e quindi comincerà ad essere bruciacchiato quando l’angolo opposto
non è ancora completamente cotto.
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Zuppa di ceci
INGREDIENTI:
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Ceci 350 gr.Pane casareccio n°4 fette
Acciughe n°2 filetti Pomodoro 200 gr.Rosmarino 1 rametto Erba pepe 1 ramettoPeperoncino uno
Aglio 1 spicchio Vino bianco 1/2 bicchiere Olio extrav. d’oliva n°5 cucchiai
PROCEDIMENTO:Mondare i ceci e lasciarli ammollare per un giorno
almeno; scolarli e metterli sul fuoco in una pentola coperti
d’acqua; portare a cottura a fuoco bassissimo. In una padella soffriggere l’aglio, il rosmarino e le acciughe per dieci minuti, quindi versare il mezzo bicchiere di vino.Far evaporare il vino, poi unire il pomodoro, l’erba pepe,continuando la cottura ancora per un quarto d’ora. Versa- re questo soffritto nella pentola, alzare il bollore e far cuo- cere per altri 45 minuti.
Servire la zuppa con le fette di pane tostate.
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Pasta e ceci con scampi
INGREDIENTI:
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Ceci 200 gr.Cipollotto fresco uno Aglio n°2 spicchi Vino bianco 10 cl.Prezzemolo un ciuffo Olio extrav. d’oliva 70 gr.Code di scampi 400 gr.
Ditalini rigati 100 gr.Peperoncino uno Dado un cubetto Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Tenere i ceci a bagno per 12 ore in acqua tiepida. Sgoc-
ciolarli. Metterli in una casseruola con 2 litri d’acqua fred-
da e cuocerli per circa 2 ore. Sgocciolarne una parte e frul- lare i restanti con il liquido di cottura. Radunare tutto nella casseruola, unire il dado, regolare di sale e cuocere per un’altra ora. Rosolare il cipollotto affettato sottilmente con uno spicchio d’aglio ed il peperoncino in un pentolino con 40 gr. d’olio. Appena iniziano a prendere colore eliminare aglio e peperoncino ed incorporare alla minestra. Rosolare
in una padella aglio e olio rimasti, versarvi gli scampi,scottarli, bagnarli con il vino e cuocere per due/tre minuti.Levare dal fuoco, privare gli scampi dei gusci e rimetterli nel loro condimento. Aggiungere la pasta ai ceci e cuocere
per 10 minuti; tritare finemente il prezzemolo e unirlo agli scampi sgusciati. Incorporare gli scampi ed il loro
fondo di cottura alla minestra e servire.
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CURIOSITA’
I ceci sono legati a un episodio sanguinoso della sto-ria siciliana: i Vespri. La rivolta di Palermo del 1282,
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che vide la fine del dominio angioino in Sicilia, consa-crò per breve tempo la parola ciciri (ceci) come discri-minante tra la vita e la morte: i Francesi, infatti, eranoincapaci di pronunciarla senza accentare la i finale e iSiciliani, ansiosi di sterminarli, costringevano le perso-ne sospettate di essere francesi travestiti a pronunciarla:chi pronunciava sisirì veniva ucciso.
I ceci nell’antica Roma servirono a designare una famiglia, quella del celebre oratore Cicerone.I ceci sono tra i legumi più calorici, da cotti hanno
ben il 6% di grassi e più di 100 calorie, contro l’ 1-2%di fagioli, lenticchie e piselli: contengono una discreta percentuale di acido linolèico e quindi possono essereconsiderati discrete fonti di grassi essenziali.
Con i ceci abbrustoliti sul fuoco, poi macinati, unitial latte si preparava l’omogeneizzato per neonati.
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I PISELLI
Denominazione comune di una pianta leguminosa ed erbacea, annuale, appartenente al genere Pisum sati-
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vum , della famiglia delle papilionacee, che tra le suespecie annovera anche l’erba medica, il trifoglio, il lupi-no, l’arachide, la soia, la veccia e il pisello odoroso.
Originaria del continente asiatico, o, secondo alcu-ni, della regione circum-mediterranea, è oggi diffusa-mente coltivata per i suoi semi commestibili.
Verdura tipicamente primaverile da gustare subito,
prima che finisca la stagione che dura poco più di unmese. Se ne coltivano numerose varietà, rampicanti enon.
“Meraviglia d’Italia” , “Senatore ”, “Telefono nano ”,sono alcuni dei nomi attribuiti ai piselli, tra i più cele-bri dei prodotti dell’orto di maggio.
Negli altri mesi dell’anno li troviamo comunque in
scatola o surgelati; pertanto i piselli ci accompagnanosempre e sono sempre pronti per arricchire i nostriminestroni e per regalare un tenero sapore ai contorni.
Perfetti nei menù eleganti, ai quali danno un toccodi raffinatezza, i piselli riempiono i ‘vol au vent’ ma siapprezzano anche da soli, al burro, all’olio, con pancet-ta e aromi.
Sono ottimi per condire ravioli e tagliatelle adagiatisu un letto di panna.
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Tronco del patriarca
INGREDIENTI:
P l’i
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Per l’impasto: Farina 400 gr.Uova n°4 Olio extrav. d’oliva 1 cucchiaio Per il ripieno: Carne macinata 400 gr.Uova sode n°2
Uova crude n°2 Pancetta 100 gr.Cipolla mezza Pomodori pelati 400 gr.Parmigiano grattugiato 100 gr.Carota una Sedano a gusto Vino bianco un bicchiere Sale q.b.Olio extrav. d’oliva 30 gr.
PROCEDIMENTO:Preparare la sfoglia tirata sottile e lessare subito in
acqua salata.Per il ripieno soffriggere la carota, la cipolla, il sedano; aggiungere la carne macinata e farla rosolare con il vino bianco; mettere appena un po’ di pomodori pelati e conti- nuare la cottura per 20’.
A parte far soffriggere la cipolla, la pancetta tagliata a dadini; aggiungere i piselli, farli cuocere per circa 10’ e
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unirli al ripieno; mescolare il tutto e aggiungere le uova battute, le uova sode, il parmigiano grattato e amalgama- re bene il tutto.
Mettere la sfoglia su di un piano, stendere sopra l’im-
l l di l
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pasto, avvolgere a rotolo e condire con salsa preparata con pomodori pelati, olio, aglio, sale, prezzemolo.
Far cuocere in forno per circa 20’ e quindi servire caldo.
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Uova affogate con piselli
INGREDIENTI:
U a °8
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Uova n°8 Piselli 600 gr.Cipolla una
Aceto di vino 1 cucchiaio Burro q.b.Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:In un tegame sciogliere il burro e fare appassire la cipol-
la tritata. Quando diventa trasparente aggiungere i pisel- li, mescolare bene, poi aggiungere sale e pepe.
Bagnare con acqua calda, coprire e cuocere per circa 20 minuti a fuoco basso.
In un pentolino portare l’acqua e l’aceto a bollore,poi fare sobbollire, sgusciare le uova lasciandole per 3 minuti.Con una paletta forata fare in modo che l’albume si rap-
prenda intorno al tuorlo. Disporre i piselli su un piatto da portata, e sopra disporci le uova.
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Bucatini con rigaglie di polloe piselli
INGREDIENTI ( 4 )
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INGREDIENTI ( per 4 persone) :Bucatini 400 gr.Rigaglie di pollo 200 gr.Piselli freschi o surgelati 2 cucchiai Cipolla 1 piccola Carota 1 piccola Sedano 1 CostaPancetta 50 gr.Burro 40 gr.Olio extrav. d’oliva 2 cucchiai Marsala 1 bicchiere Salvia 4 foglieRosmarino 1 rametto
Aglio schiacciato 1 spicchioConcentrato di pomodoro 1 cucchiaio Brodo (anche di dado) 1 mestolinoPeperoncino grattugiato 2 cucchiaini Sale e pepe nero q.b.
PROCEDIMENTO :
Tritare la cipolla insieme con la pancetta, le erbe aro- matiche, la carota e il sedano, in precedenza mondati, e far soffriggere questo trito in una padella con l’olio e metà burro; unire anche lo spicchio di aglio pelato e schiacciato.
Mescolare bene il tutto, a fuoco lento, lasciando imbiondire, poi estrarre l’aglio.
Unire allora i piselli, rimescolarli per farli bene insa-
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porire e dopo una decina di minuti aggiungere le rigaglie di pollo lavate e tritate grossolanamente; quando il com-
posto appare ben rosolato condire con una presa di sale e un po’ di pepe, poi bagnare con il marsala e lasciarlo eva-
porare a poco a poco
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porare a poco a poco.Completare la preparazione con l’aggiunta del con- centrato di pomodoro (stemperato a parte, in una scodelli- na, con il brodo caldo) e rimescolare ancora.
Nel frattempo far lessare la pasta in abbondante acqua salata in ebollizione.
Quando i bucatini saranno cotti al dente, sgocciolar-
li e poi rovesciarli nella padella di cottura delle rigaglie e mischiarli accuratamente a queste ultime.
Spolverizzare la pasta con il pecorino grattugiato unendo anche il rimanente burro tagliato a pezzettini.
Mischiare con due grandi cucchiai in modo da far bene legare tra di loro i vari ingredienti e dopo due minu- ti travasare la preparazione in un piatto fondo di portata
e servire subito.
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Conchiglioni con pisellie prosciutto
INGREDIENTI (per 4 persone):
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INGREDIENTI (per 4 persone):Conchiglioni 320 gr.Piselli 100 gr.Prosciutto cotto 80 gr.Pinoli 30 gr.Panna n°5 cucchiaiSalvia n°4 foglieBurro 25 gr.Formaggio grattugiato 30 gr.Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Tagliare il prosciutto a cubetti.
Far sciogliere il burro in una padella con le foglie di salvia; aggiungere i piselli e i pinoli e insaporire con sale e pepe.
Aggiungere un mestolo d’ acqua e far cuocere a fuoco lento per 15’ circa, mescolando di tanto in tanto con il cuc- chiaio di legno.
A metà cottura aggiungere la panna ed infine aggiun-
gere il prosciutto.Dopo aver lessato i conchiglioni unirli alla salsa fatta
in precedenza e servirli con formaggio grattugiato.
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Minestra di piselli e cipollotti
INGREDIENTI:
Piselli freschi 500 gr.P d di i 300
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f 5 gPatate a dadini 300 gr.Cipollotti novelli 200 gr.Prosciutto cotto a dadini 250 gr.Basilico fresco un mazzetto Brodo vegetale 1 l.Olio extrav. d’oliva q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO:In una casseruola far rosolare con poco olio i cipollotti
tagliati a listarelle, aggiungere le patate a dadini, i piselli ed infine il prosciutto cotto. Far brasare per 5 minuti e bagnare con il brodo vegetale. Far cuocere per 25 minuti,
frullare un quarto del ricavato, rimettere la quantità frul- lata nella minestra, aggiungere il basilico tritato. Servire.
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Minestra di piselli e carciofi
INGREDIENTI:
Piselli freschi 1000 gr.C i fi °4
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f gCarciofi n°4 Succo di mezzo limone Pancetta una fetta di 60 gr.Cipolla piccola una Olio extrav. d’oliva n°4 cucchiai Brodo vegetale 500 gr.
Sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO:Togliere le foglie dure ai carciofi, spuntarli, tagliarli a
spicchi molto piccoli, eliminare il fieno interno ed immer- gerli nella terrina con acqua acidulata dal succo del limo- ne. Sgranare i piselli. Tritare metà cipolla e farla appena
rosolare con tre cucchiai d’olio; unire i carciofi ben scolati,sale e pepe. Lasciar cuocere piano a recipiente coperto aggiungendo, se occorre, poco brodo per volta finché i car- ciofi saranno teneri, quindi tenerli da parte. Tritare fine- mente la pancetta con l’altra metà della cipolla e far roso- lare per 5 minuti con un cucchiaio d’olio in una casseruo- la. Unire i piselli e mezzo bicchiere di brodo, aggiungen- done altro se necessario, fino a cottura completa. Passare i
piselli col passaverdure, mettere il composto ottenuto in una capace casseruola, aggiungere i carciofi e brodo neces- sario per ottenere la densità desiderata. Lasciar cuocere per altri 10 minuti e servire caldo.
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I FAGIOLI
In Europa sono stati introdotti alla fine del 1500dagli Spagnoli e dai Portoghesi e da allora hanno cono-
sciuto una grande diffusione in ogni parte del mondo,sia come pianta da orto che come coltura a pieno
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g g pp pcampo.
Nei paesi Occidentali il fagiolo è diffusissimo e vieneprincipalmente consumato come ortaggio fresco.
In America Latina e in Africa costituisce una fonteproteica di primaria importanza.
In Italia è maggiormente coltivato in Piemonte,Campania e Lazio per la coltura in pieno campo; inSicilia, Campania e Lazio per la coltura sotto terra.
Sembra sia originario dell’America Centrale. La sua prima utilizzazione domestica, avvenuta probabilmentein Messico, risale al periodo tra il 5000 e il 3000 a.C.,all’incirca alla stessa epoca del mais. Per le antiche
popolazioni americane questo legume–ortaggio, parti-colarmente ricco di proteine, costitutiva, insieme almais, la base dell’alimentazione.
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Zuppetta di scarola e fagioli
INGREDIENTI:
Scarola 1000 gr.Fagioli borlotti secchi 500 gr.
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Fagioli borlotti secchi 500 gr.Pomodori maturi n°5 Cipolla mezza Pancetta 50 gr.Olio extrav. d’oliva q.b.Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Mettere a bagno la sera prima i fagioli in acqua tiepi-
da; scolarli e lessarli a fuoco lento, per un paio d’ore, in abbondante acqua senza sale. In una casseruola soffriggere la pancetta e la cipolla, unire i pomodori e lasciar cuocere
per circa 15 minuti; versare i fagioli e la scarola lavata e
tagliata grossolanamente, aggiungendo circa un litro d’ac- qua. Regolare di sale e cuocere ancora per mezz’ora.
Rimescolare spesso e servire caldo.
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Risotto e fagioli con pancetta
INGREDIENTI:
Riso 70 gr.Pomodori n°3
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Fagioli 150 gr.Pancetta a quadretti 40 gr.Olio extrav. d’oliva 30 gr.Sale q.b.Parmigiano grattugiato 30 gr.
PROCEDIMENTO:Rosolare il riso in un po’ d’olio, aggiungere i pomodori
tagliati a pezzetti e rosolare. Aggiungere ogni tanto un mestolo d’acqua calda e mescolare. A metà cottura aggiun-
gere i fagioli precedentemente lessati. A parte in un pento- lino rosolare la pancetta a quadretti in poco olio. A fine
cottura aggiungere la pancetta rosolata e servire subito con parmigiano grattugiato.
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Minestra paesana
INGREDIENTI:
Fagioli borlotti secchi 400 gr.Orzo perlato 100 gr.
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p gZucca gialla 200 gr.Cipolla una Rosmarino un rametto Brodo vegetale 1/2 l.Olio extrav. d’oliva n°5 cucchiai
Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Mettere i fagioli in una ciotola piena d’acqua e lasciar-
li a mollo per una notte. Cuocerli in un tegame con del- l’acqua salata e un rametto di rosmarino per un’ora. A cot- tura ultimata scolarli. Tagliare a pezzi la zucca gialla, tri-
tare la cipolla. In un tegame mettere due cucchiai d’olio e metterlo sul fuoco. Far scaldare l’olio, a fuoco lento,aggiungere la cipolla e la zucca triturate a pazzettini. Far cuocere a fuoco lento per una decina di minuti. Aggiunge- re il brodo vegetale, salare, coprire con un coperchio e lasciar cuocere a fuoco lento per altri 10 minuti. Passare la zucca al passaverdure fino ad ottenere una crema. rimette- re la crema nel tegame. Aggiungere due mestoli d’acqua calda, i fagioli sgocciolati ed infine versare l’orzo perlato.Far cuocere per altri 20 minuti. Spegnere, aggiungere olio crudo e servire.
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IL CANNELLINO : un vanto del territorio
Le origini del fagiolo cannellino di Atina si perdononella notte dei tempi. Pare che il legume, che da secolirappresenta la base proteica per le popolazioni rurali
delle aree interne del mezzogiorno d’Italia (“il pane dei poveri ”), sia sempre esistito nel comprensorio di Atina,
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p ), p p d ,ma le prime notizie certe sulla sua coltivazione risalgo-no al XVII secolo e sono state desunte da una pubbli-cazione scritta ai tempi dei re Borbone.
Verso il 1840 una grave invasione di “rughe ” (larve dilepidotteri) determinò la completa distruzione del rac-
colto e salvò soltanto pochissimi semi, rendendo indi-spensabile l’incrocio con ecotipi importati da Sulmona.Il gusto dei fagioli cannellini, come la tradizione
gastronomica italiana insegna, deve essere esaltato. Prov-videnziale risulta essere l’abbinamento con l’olio extra vergine d’oliva o con altri “veicoli del gusto” (lardo,cotenna di maiale,ecc.) o particolarmente saporiti comepancetta, prosciutto crudo, salsicce di vario tipo.
I cannellini di Atina possono essere abbinati consuccesso anche a crostacei e frutti di mare “ giocando ”,con i primi, sul rispetto reciproco degli ingredienti e,con i secondi, sul contrasto dolce-salato.
Per esaltare il sapore del cannellino, risulta opportu-no anche l’impiego di ortaggi aromatici (cipolla, seda-no, aglio, porro,ecc.) nei fondi di cottura di zuppe o
minestre (a base di pasta o riso).Inoltre, facendo leva sul contrasto dolce-amaro, icannellini possono essere abbinati ad ortaggi dal saporeamaro (cicorie e scarole).
Spezie ed erbe aromatiche possono completarebinomi dolce-salato, dolce-amaro con un terzo compo-nente: l’aromatico.
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Il “cannellino di Atina ”, ottenuto esclusivamentedalla pianta Phaseulus vulgaris , è un’importante produ-zione tipica della provincia di Frosinone.
Questo particolare ecotipo, che tutela la biodiversità in agricoltura, all’atto dell’immissione al consumo deve
presentare caratteristiche ben precise:• una forma reniforme, leggermente ellittica e
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ggschiacciata;
• una lunghezza media di circa 1cm;• una larghezza media di 0,5 cm;• un colore bianco opaco.L’area di interesse e di coltivazione del fagiolo can-
nellino di Atina ricade nella zona sud della provincia diFrosinone e comprende alcuni Comuni della Valle diComino: Atina, Casalattico, Casalvieri, Gallinaro, Pici-nisco e Villa Latina.
Il territorio effettivamente vocato alla coltivazionedel fagiolo cannellino si estende per una superficie com-plessiva di poco superiore agli 800 ettari e si sviluppa nelle zone adiacenti il fiume Melfa, per circa 11 km, eil torrente Mollarino, per circa 9 km.
La coltivazione del fagiolo cannellino di Atina ha assunto, con il trascorrere degli anni, un particolaresignificato storico, culturale e sociale, oltre che econo-mico.
I fagioli Cannellini di Atina risaltano particolar-mente idonei alla cottura senza ammollo. Infatti, al
temine della cottura, buona parte dei fagioli resta inte-gra e il sottile tegumento risulta non coriaceo alla masti-cazione e ben attaccato al seme.
Questa peculiarità permette un ottimale impiegodei cannellini nelle minestre e nelle insalate, con buonirisultati anche dal punto di vista dell’estetica del piatto.
Un altro aspetto rilevante è la consistenza del seme:
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anche quando il tempo di cottura ottimale viene supe-rato non si assiste ad un suo copioso “sfarinamento”.
Il prodotto è in grado di offrire un corredo biologi-co ricco di proteine e carboidrati e un sapore degnodelle lodi della più prestigiosa cucina nazionale e inter-
nazionale.Il fagiolo cannellino di Atina ha particolari qualità
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gorganolettiche: il sapore risulta tendenzialmente dolce el’epicarpo è tenerissimo. A differenza degli altri fagioli,non necessita di essere messo in bagno prima della cot-tura (si ha una cottura alla prima acqua) e ha un tempodi cottura piuttosto breve: 40/55 minuti dall’inizio del-
l’ebollizione.Tale caratteristica è dovuta sia alla specificità del pro-dotto (il cannellino ha una pellicola molto sottile) sia alterreno (ricco di manganese) su cui è coltivato, definitolocalmente “ focaleto ”. Viene generalmente sgranato a secco ( fagiolo da granella ) e destinato all’inscatolamento,ma risulta molto apprezzato anche se sgusciato fresco.
L’ambiente pedoclimatico rende le varietà utilizzatepiù rustiche e quindi più resistenti e sufficientementerefrattarie a patologie degenerative del fagiolo. Non ènecessario l’uso di antiparassitari e diserbanti di sintesichimica, quasi sempre nocivi all’humus naturale del ter-reno e alla salute del consumatore.
Il non utilizzo di fertilizzanti ed antiparassitari, pertanti anni, ha senz’altro contribuito a mantenere soddi-
sfacenti le condizioni dei terreni.Sono quindi le condizioni ambientali (il terreno,l’acqua, il microclima) e i semi perfettamente adattatiall’ambiente pedoclimatico a conferire al prodotto unsapore unico.
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Maltagliati con cannellinidi Atina
INGREDIENTI:Cannellini di Atina 300 gr.
l d l 4 h
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Olio extrav. d’oliva n°4 cucchiai Cipolla rossa una
Aglio n°3 spicchi Sedano n°3 costePeperoncino uno
Sale q.b.Pomodori maturi 200 gr.
PROCEDIMENTO:Lavare bene in acqua corrente i fagioli e porli a bagno.
Formare il cratere con la farina e impastare con l’acqua necessaria per ottenere un impasto duro, lavorarlo a lungo,
quindi formare una sfera e porla a riposare coperta da un panno umido per almeno un’ora.
Nel frattempo avremo messo i cannellini a bollire in acqua fredda, con una costa di sedano e uno spicchio d’aglio. Far bollire almeno per 2 ore, piano, piano, in una
pentola di coccio o di pesante rame stagnato.Tirare la pasta, non tanto fine, con mattarello, infari-
nare la sfoglia e arrotolarla su se stessa, tagliare di sbieco con un coltello, in modo da ottenere non delle fettuccine,ma dei rombi. In un tegame a bordi alti fare un soffritto con l’olio e con le coste di sedano tritate fini, con la cipol- la tagliata a dischi sottili, gli spicchi d’aglio sbucciati e tri- tati fini, oppure interi se preferite toglierli.
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Quando stanno per imbiondire buttarci il peperoncino tritato e i pomodori lavati e passati. Lasciare insaporire e
poi buttarci i fagioli ormai a fine cottura, con la loro poca acqua.
Girare col mestolo di legno e poi buttarci i maltagliati cotti al dente per 3/4 minuti,in abbondante acqua salata scolati. Girare col mestolo,aggiustare eventualmente il
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, ggsale,spegnere il fuoco,coprire e attendere almeno 10 minu- ti prima di servire.
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Fagioli cannellini in umido
INGREDIENTI:
Fagioli cannellini di Atina 400 gr.Olio extrav. d’oliva 30 gr.Aglio n°3 spicchi
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Aglio n 3 spicchi Prezzemolo a gusto Peperoncino a gusto Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Cuocere i cannellini in abbondante acqua fredda,a fuoco dolce per circa un’ora dall’ebollizione.
Condire con olio extravergine di oliva; aggiungere a piacere aglio e prezzemolo tagliuzzati e del peperoncino.
Piatto ottimo sia caldo che freddo.
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Sagne e cannellini (“pappafuocchie”)
INGREDIENTI:Fagioli cannellini di Atina 200 gr.Olio extrav. d’oliva 30 gr.Farina 300 gr.
b
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Acqua q.bSale q.b.
Aglio uno spicchioCipolla unaSedano una costa
Salsa di pomodoro 200 gr.Peperoncino a gusto
PROCEDIMENTO:Cuocere i cannellini in abbondante acqua fredda, a
fuoco dolce per circa 1 ora dall’ebollizione. Aggiungere uno spicchio d’aglio intero, una costa di sedano ed il sale solo a
cottura ultimata.Insaporire i fagioli con un sugo fatto con soffritto di
cipolla, aglio, sedano, salsa di pomodoro e peperoncino.Impastare la farina (anche integrale se si vuole) con
poca acqua ed ottenere una pasta durissima. Lavorarla energicamente incorporando, se necessario, altra farina.Stendere l’impasto fino ad ottenere una sfoglia rotonda non
finissima. Lasciarla asciugare, infarinarla e arrotolarla.Con un coltello affilato tagliarla trasversalmente per otte- nere i cosiddetti “maltagliati”. Finita l’operazione farli saltellare tra le mani in modo che si aprano.
Cuocere in abbondante acqua salata, scolarla ma non troppo quando, dopo aver ripreso il bollore, sarà venuta a
galla. Unire il tutto e servire in una zuppiera di terracotta.
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A conclusione della ricerca alcune ricette della cuci-na di epoca romana unitamente ad altre del tre-quat-trocento, periodo in cui si conclude l’elaborazione della cucina medievale. Naturalmente le ricette riportate pre-vedono tutte l’utilizzo di legumi.
Epoca romana
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LENTICCHIE
1. Lenticchie con le spugnole: “Prendi un tegame pulito e mettile dentro e cuoci. Lavora nel mortaio pepe, cumi- no, semi di coriandolo, menta, ruta, puleggio; bagna con aceto, aggiungi miele, Salsa e mosto cotto. Lavora ancora con aceto e getterai il tutto nel tegame. Trita le spugnole pulite, mettile a cuocere. Quando saranno ben cotte, legale. Aggiungerai nella zuppiera dell’olio verde.”
2. Lenticchie:“Quando le avrai schiumate, mettici del porro e del coriandolo verde. Trita seme di coriandolo,del puleggio, seme di menta e di ruta; bagna con aceto,aggiungici miele, salsa, aceto. Bagna con mosto cotto.
Aggiungi olio e lavora bene. Se c’è bisogno di qualche cosa aggiungila. Lega con amido. Mettici sopra olio verde, cospargi di pepe e porta a tavola.”
PISELLI
1. Piselli cotti: “Quando li avrai schiumati aggiungi un porro, del coriandolo e del cumino. Trita il pepe, il ligustico, del carvo, anaci, basilico verde; bagna con
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Salsa, con vino e lavora con la Salsa. Fai bollire e quan- do bollirà, lavora ancora. Se vedi che manca qualcosa aggiungila e servi.”
2. Piselli farciti: “Cuoci i piselli. Aggiungi dell’olio. Pren- di pancia di porco e metti nel tegame salsa, porro tagliato e coriandolo verde. Metti sul fuoco e cuocile i i i di l i lli l ll li
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insieme coi tordi e con altri uccelli o col pollo tagliuz- zato e con cervella scottate. Cuoci in gelatina. Arrosti- sci delle lucaniche, lessa del prosciutto, scotta in acqua i porri e fai friggere 300 grammi di pinoli. Trita del
pepe, del ligustico, dell’origano, dello zenzero, unisci al grasso della pancia del porco e lavora. Prendi un reci- piente rettangolare che possa rovesciarsi e ricoprilo di omento. Versa dell’olio, cospargi poi di pinoli e sopra mettici i piselli che ricoprano bene il fondo rettangola- re. Sopra mettici polpa di prosciutto, porri e lucaniche tagliuzzate. Mettici ancora piselli. Alterna gli ingre- dienti. Copri bene gli angoli. Metti ancora piselli e il resto finché finendo coi piselli il vaso sia pieno. Cuoci in
forno o a fuoco lento in modo che i piselli si incorpori- no. Fai delle uova sode, gettane il tuorlo metti le chiare nel mortaio con pepe bianco, pinoli, miele, vino bian- co e poca Salsa. Trita bene e metti in vaso a bollire.Quando bollirà rovescia i piselli in un piatto e bagnali con questa salsa che si chiama ‘salsa bianca’.
3. Piselli indiani (detti così o per una sorta particolare di piselli o per il modo di prepararli): “Cuoci i piselli.Quando li avrai schiumati, tagliuzza un porro e del coriandolo e mettili in un tegame a cuocere. Prendi pic- cole seppie con tutto il loro inchiostro e cuoci insieme;
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aggiungi olio, Salsa, vino, un mazzetto di porri e uno di coriandolo. Fai cuocere. Quando sarà cotto, trita del
pepe, del ligustico, dell’origano, poco carvo; lavora il tutto nel suo stesso sugo, nel vino e nel passito. Taglia a
piccoli pezzi le seppie e mettile nei piselli. Cospargi di pepe e porta in tavola.”
FAVE
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FAVE
1. Fave alla vitellina: ”Cuoci le fave. Quando avrai tolto la schiuma, mettici del porro, del coriandolo e dei fiori di malva. Mentre cuociono trita del pepe, del ligustico,dell’origano, del seme di finocchio, bagna con salsa e vino, metti nel tegame, aggiungi olio. Quando bollirà
gira. mettici sopra olio verde e porta in tavola.”
2. Baccelli verdi di fave comuni e baiane: “I baccelli verdi di fave si servono cotti in Salsa, olio, coriandolo verde,cumino e porro tritato”. Oppure: “li servirai fritti e messi in Salsa”. O ancora: “servirai i baccelli verdi di
fava con un trito di senape, miele, pinolo, ruta, cumi- no e aceto”.
3. Le fave baiane: “Dopo averle lessate le triterai. Le ser- virai condite con ruta, sedano verde, porro, aceto, olio,Salsa, mosto cotto e poco passito”.
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Epoca medievale
Cretonnèe di piselli freschi(o di fave fresche)
I ‘piselli freschi’ di questa ricetta non sono quelli ai
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quali siamo abituati. Innovazione italiana che rivoluzio-nerà la corte di Luigi XIV, i piselli oggi in commerciosono i frutti immaturi del Pisum sativum. Erano e sonotuttora apprezzati perché si sciolgono in bocca e non
somigliano alle leguminose.
INGREDIENTI:Piselli spezzati 350 gr.Latte 500 gr.Rossi d’uovo n°3 Zenzero in polvere un cucchiaino
Zafferano in stigmi a gusto Carne cotta di pollo o vitello o fegato avanzi Strutto q.b.Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Lavare con cura i piselli e metterli a bagno per un’ora
in acqua fredda.Cuocerli in due litri d’acqua fino a farli disfare quasi
completamente. Salare a fine cottura. Scolare. A parte far bollire il latte e aggiungere lo zenzero e lo
zafferano. Sbattere con la frusta i rossi d’uovo, passare al setaccio, togliere dal fuoco e aggiungere un poco alla volta
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il latte bollente sempre continuando a sbattere.Riscaldare i piselli ed aggiungervi questa preparazione.
Non far più bollire. Aggiustare il condimento. Al momen- to di servire, aggiungere nella zuppiera dei pezzetti di carne precedentemente rosolati nello strutto. Li si potrà
presentare anche a parte su un piatto, lasciando che gli invitati si servano da soli.
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Minestra di ceci
Nel Medioevo i cuochi potevano scegliere tra ceci
rossi e ceci bianchiINGREDIENTI:
C i 200
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Ceci 200 gr.Farina un cucchiaio Olio d’oliva 2 cucchiai Pepe macinato grosso 10 grani
Cannella in polvere 1/2 cucchiaio Salvia 3 rametti Rosmarino 3 rametti Prezzemolo o 4 gambi Pastinaca una Sale q.b.
PROCEDIMENTO:La sera prima: mondare e lavare i ceci. Metterli a
bagno in acqua tiepida per tutta la notte.Il giorno stesso: mescolare farina, olio, pepe e cannella
in una pentola capiente. Aggiungere i ceci e mescolare ancora una volta con le mani. Ricoprire con acqua fredda.Portare ad ebollizione. Se necessario, schiumare in superfi-
cie. Aggiungere un bel rametto di salvia e di rosmarino e un
mazzetto di prezzemolo. Lasciar sobbollire per due ore a fiamma molto bassa, finché i ceci non siano diventati molto teneri. salare a fine cottura.
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Fave fresche alle erbe
INGREDIENTI:Brodo di manzo o di pollo 0,5 l.Fave fresche 2 Kg.Pancetta salata 100 gr.Prezzemolo tritato 1 cucchiaio
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Prezzemolo tritato 1 cucchiaio Menta fresca tritata al momento 1 cucchiaio Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Sgranare le fave e sbollentarle per qualche istante.Scolare e freddare sotto l’acqua corrente. Praticare su
ognuna un’incisione con l’unghia e spellarla.Tagliare la pancetta a dadini.Mettere in una casseruola il brodo, le fave, la pancetta.Portare ad ebollizione e cuocere per una decina di
minuti circa finché le fave si sbriciolino senza tuttavia disfarsi. aggiungere prezzemolo e menta tritati. Riportare ad ebollizione e dare qualche bollore. Salare, aggiustare il condimento e servire.
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Purea di fave secche
INGREDIENTI:Fave secche decorticate 500 gr.Mele 500 gr.Cipolle n°4 Olio d’oliva 5 cl
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Olio d oliva 5 cl.Salvia fresca n°4/5 foglie Sale q.b.
PROCEDIMENTO:La sera prima: lavare e mettere a bagno le fave.Il giorno stesso: mettere le fave in una pentola e rico-
prirle di acqua fredda. Dare un primo bollore. Scolare,rimettere nella pentola una buona quantità di acqua bol- lente e cuocere finché si sbriciolano sotto le dita. Salare a
fine cottura. Scolare e passare al setaccio per ottenere un bel
purè vellutato.Sbucciare e tagliare a rondelle le cipolle. Sbucciare,
tagliare a fettine sottili le mele. Scaldare l’olio in una padella e rosolarvi le cipolle a fuoco lento. Quando sono semicotte, aggiungere le mele poi la salvia e cuocere a fuoco lento per 15/20 minuti. Devono disfarsi completamente.
Al momento di servire scaldare il purè di fave.
Mettere in un piatto e sistemarvi al centro il purè di mele alle cipolle.
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Purea di lenticchie
Ripresa da un trattato di cucina in toscano, questa ricetta è un esempio di tutta una serie di preparazioni a base di legumi, piselli, ceci, fave e fagioli, che finisconoin un tegame con un legante di uova sbattute, a cuiviene quasi sempre aggiunto il formaggio
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viene quasi sempre aggiunto il formaggio.
INGREDIENTI:
Lenticchie verdi 500 gr.Odori (prezzemolo, salvia, timo, basilico) 1 mazzetto Olio d’oliva buono n°3 cucchiai Zafferano a stigmi n°5/6 Parmigiano appena grattugiato n°6 cucchiai Uova sbattute n°4 Sale q.b.
PROCEDIMENTO:Cuocere le lenticchie a fuoco lento in una quantità di
acqua pari a quattro volte il loro volume insieme all’olio,allo zafferano e agli odori. Se rimane molta acqua scolare,altrimenti passare al setaccio o schiacciare col pestello.
Mescolare le uova sbattute e il formaggio.Scaldare nuovamente le lenticchie e togliere dal fuoco.
Aggiungere al composto le uova e mescolare bene. Si otterrà un bel purè sodo e vellutato, di sapore deciso.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2007presso la Litotipografia FRANCESCO CIOLFI
via E. De Nicola, 8 - tel. 0776 2122703043 CASSINO (FR)
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