Realizzazione a cura di - regione.piemonte.it · caratteristiche di questa specie in impianti fuo -...

36

Transcript of Realizzazione a cura di - regione.piemonte.it · caratteristiche di questa specie in impianti fuo -...

Realizzazione a cura di:IPLA S.p.A. Istituto per le Piante da Legno e lAmbienteC.so Casale 476, 10132 Torinowww.ipla.org

Testi a cura di:Paolo Ferraris, Giuseppe Bertetti, Giuseppe Della Beffa, Bruno Fassi, Mario Palenzona, Roberto Sindaco, Pier Giorgio Terzuolo.

Crediti fotografici e grafici:Paolo Ferraris, Giuseppe Della Beffa, Roberto Sindaco, Marzia Dusio, Federico Mensio

Tra le righe del presente opuscolo affiorano le preziose esperienze di lavoro maturate in tanti anni di attivit dai colleghicomponenti il primo nucleo tecnico operante in Istituto. Per tale importante contributo si intendono quindi ricordare eringraziare Alberto Baridon (), Gisella Bressy, Emma De Vecchi, Gian Paolo Mondino, Luciano Rota () e Carlo FeliceZeppegno ().

Coordinamento del progetto:Regione Piemonte - Direzione Opere Pubbliche, Difesa del suolo, Montagna, Foreste, Protezione civile, Trasporti e Logistica - Settore Forestewww.regione.piemonte.it/foreste/it/

Coordinamento editoriale e progettazione grafica:Blu Edizionivia Po 20, 10123 Torinowww.bluedizioni.it

Forma raccomandata per la citazione:FERRARIS P., BERTETTI G., DELLA BEFFA G., FASSI B., PALENZONA M., SINDACO R., TERZUOLO P.G., Il Pino strobo:indirizzi per la gestione e valorizzazione degli impianti.Regione Piemonte, Blu Edizioni, 2000, pp. 36.

Avvertenze per la lettura:La nomenclatura, le superfici delle Categorie e dei Tipi forestali aggiornati sono contenuti rispettivamente nel volume I Tipiforestali del Piemonte, nelle Norme Tecniche per la Redazione dei Piani Forestali Aziendali e nel report La carta foresta-le del Piemonte - Aggiornamento 2016. I riferimenti normativi forestali, paesistico-ambientali e Rete Natura 2000 conte-nuti nel presente volume fanno riferimento alle corrispondenti norme in vigore nellanno di stampa della pubblicazione. Idocumenti normativi e tecnici aggiornati sono consultabili ai seguenti indirizzi (sitografia aggiornata giugno 2018):

www.regione.piemonte.it/foreste/it/ www.sistemapiemonte.it www.regione.piemonte.it/parchi/cms

Regione Piemonte, 2000 Blu Edizioni, 2000

2

3SOMMARIOPremessa 5

Il pino strobo nel suo ambiente naturale 7Diffusione in Europa e Italia 9

Esigenze della specie e tecniche di coltivazione 10Accrescimenti e produzione 13

Il legno e i suoi impieghi 15La gestione degli impianti 19

Aspetti naturalistici 24Funzione e presenza dei funghi 27

Avversit 29Come rinnovare gli impianti 32

Aspetti normativi e opportunit di finanziamento 34Bibliografia 36

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

4

Pineta non diradata a Comignago (NO).

5Le piantagioni industriali, fra cui quelle di pinostrobo, sono unespressione dellarboricolturada legno che si prefigge una finalit eminente-mente produttiva, utilizzando specie a rapidacrescita e interventi agronomici durante le fasidel ciclo della coltura. Esse tendono quindi, inopportune condizioni ecologiche e con impie-go di provenienze appositamente selezionate,alla massima produzione, nel minor tempo pos-sibile, di assortimenti legnosi adatti a impieghiindustriali, applicando procedimenti colturalisimili a quelli utilizzati nella pratica agricola.Larboricoltura da legno ha, di conseguenza,caratteristiche assai diverse dalla selvicolturatradizionale, sia perch si sviluppa in genere suterreni non forestali, sia perch gli obiettivi eco-

nomici e di gestione differiscono sostanzial-mente da quelli del bosco.Tali concetti furono fortemente sostenuti fin dal1956 dal professor Piccarolo, secondo il qua-le, allora, proprio lintegrazione delle colturelegnose da cellulosa nelle aziende agrarie po-teva dare ottimi risultati economici, tema poi ri-preso dal Comitato delle Foreste della FAO(22/11/1976, III Sessione).Da questo contesto socio-economico, assaidiverso dallattuale almeno per quanto riguar-da la produzione cartaria, deriva leredit degliimpianti di pino strobo presenti, risalenti per lopi a 30-40 anni fa; il presente documento de-linea le strategie di gestione pi adeguate alleattuali esigenze di mercato.

PREMESSA

6

Capriglio (AT). Impianto di pino strobo diradato.

I l pino strobo, Pinus strobus L., una specieindigena del Nordamerica, con ampia diffu-sione nella parte orientale del Continente, trail 35 e il 50 parallelo. Cresce spontaneo in re-gioni geografiche molto diverse:

isola di Terranova in Canada; regione dei Grandi Laghi in Canada: bacino

del San Lorenzo, Ontario e Quebec; negliStati Uniti: Minnesota, Wisconsin e Michigan;

formazioni montuose nello stato di New York,New England, catena degli Appalachi dalMaine alla Georgia;

pianure interne di Ohio, Jowa, Illinois, Indianae, pi marginalmente, Kentucky e Tennessee.

In conseguenza della sua vasta diffusione, i pa-rametri climatici che regolano il ritmo vegeta-tivo del pino strobo variano notevolmente. La lunghezza del periodo annuo senza geli vada 100 a 200 giorni, con temperature minime an-che molto basse (-15, -20C) nel mese pi fred-do, giacch diffuso dalla pianura sino a quo-te di 1300-1400 m s.l.m., oltre che a latitudini al-quanto nordiche; le massime estive arrivano a25C e le medie annue variano da 6 a 12C. Influenze moderatrici sulle temperature sonoesercitate dai Grandi Laghi. Le precipitazionioscillano sui 1100 mm nelle zone montuose aridosso dellAtlantico e diminuiscono progres-sivamente fino a 500 mm annui nelle pianurecentrali. Sul versante atlantico esse sono bendistribuite durante le varie stagioni, mentre nel-le zone interne vi un minimo invernale. Le precipitazioni estive non sono mai scarse,variando tra 200 e 380 mm. La copertura ne-vosa in alcune zone rilevante e pu protrar-si anche per 120 giorni. In queste regioni lo strobo si adatta a terreni divaria natura, purch freschi, profondi e per-meabili, con reazione subacida o acida (pH4,5-6), quindi privi di carbonato di calcio, chevengono arricchiti da unabbondante lettiera diaghi morti ad alterazione abbastanza rapida inhumus grezzo, ancor pi veloce se in presen-za di latifoglie, aspetto che evita uneccessivaacidificazione del suolo.

Data la graduale variazione dei fattori climati-ci su superfici di tale ampiezza, nessuno stu-dio ha finora permesso di individuare vere eproprie razze distinte, ma solo oscillazioni con-tinue di caratteri determinanti tra gli estremi.In questi ambienti il pino strobo manifesta unaparticolare compatibilit con molte altre coniferee latifoglie. Questa caratteristica si accompagnaa una discreta tolleranza per lombreggiamen-to in fase giovanile che, associata alla notevo-

IL PINO STROBO NEL SUO AMBIENTE NATURALE 71

America settentrionale, areale del pino strobo.

8

le longevit, non solo gli permette di inserirsi inposizione di codominanza con altre conifere elatifoglie, ma anche di emergere in posizione disovradominanza: infatti i popolamenti, per lo pimonospecifici nello stadio giovanile, con letsi diradano e permettono progressivamentelingresso di altre specie arboree, originandocos formazioni miste di notevole variet. Perciil pino strobo ha la massima frequenza nelle as-sociazioni forestali che precedono le cenosidefinitive, dove pu essere codominante conPinus resinosa e Betula papyrifera e, nelle fo-reste boreali pi a nord, con Picea glauca.La superficie forestale della Regione dei GrandiLaghi era ancora molto estesa nel 1870, quan-do, finita la guerra civile, si diede inizio allosfruttamento sistematico da sud a nord di tut-

te le foreste, in particolare di quelle di conife-re, in cui lo strobo era allora la specie pi ri-cercata. La corsa sfrenata alle utilizzazioni fo-restali ridusse in 50 anni la produzione ad 1/10di quella originaria.Nel secondo dopoguerra si assistito a unaumento sia della massa legnosa sia della su-perficie forestale, caratterizzata tuttavia da unagrande frammentazione. Lo strobo, grazie al-la capacit di inserirsi in popolamenti sia dilatifoglie sia di conifere, ha cos nuovamenteampliato la sua diffusione. Inoltre, negli ultimianni, nei popolamenti misti, stato favorito in-direttamente dagli attacchi della Lyman tria dis-par, lepidottero defogliatore che ha danneg-giato particolarmente le querce, contenendo-ne lo sviluppo e riducendone la competitivit.

Gemme ovato-acute, leggermente resinose. Aghi leggermente glaucescenti, esili, mor-bidi, diritti, lunghi 6-14 cm, finemente dentati,riuniti in fascetti di 5 da una guaina lunga 10-12 mm, precocemente caduca. Rametti, sempre verticillati a corona, e fustogiovane hanno corteccia sottile, liscia, ver-dastra, o bruno-verdastra. Fiori maschili gialli, inseriti lateralmente suigermogli dellanno; fiori femminili, posti sul-lapice dei giovani germogli, giallo-verdastricon sfumature rosa-violacee; lepoca di fiori-tura compresa fra maggio e giugno. Strobili peduncolati, lunghi 8-15 cm, dia-metro 3-4 cm, leggermente ricurvi, primaverdi, poi violacei, e alla fine bruno-rossastri,con squame arrotondate e umbone appenaaccennato; raggiungono il pieno sviluppo nelluglio del 2 anno. Seme lungo 5-8 mm, con ala di 20-25 mm.Corteccia dellalbero adulto spessa, profon-damente fessurata, con prominenze scaglio-se estese, bruno rossastra, pi spessa nellepiante isolate, in media da 2,5 a 6 cm.

Principali caratteri di riconoscimento

L o strobo fu introdotto in Europa nel 1705 dalcapitano della Marina Britan nica GeorgeWeymouth e utilizzato come pianta ornamen-tale in parchi e giardini.Tuttavia, ricerche paleobotaniche e studi geneti -ci hanno evidenziato la presenza di pini di que-sto gruppo in Europa almeno dal terziario; lazio -ne delle glaciazioni li elimin con leccezione delPinus peuce, ancora presente nella pe nisolabalcanica, area di rifugio di molte altre specie.Nei paesi centroeuropei presente in parcellesperimentali in numerosi arboreti; a partire da-gli anni 30 utilizzato in Ger mania anche in im-pianti di arboricoltura da legno. In seguito sta-to piantato in Jugo slavia, Ro mania ed ex URSS. La sua diffusione stata in parte limitata daidanni causati dalla ruggine vescicolosa, il cuisviluppo, in alcuni di questi paesi, favorito dal-la presenza allo stato spon taneo del ribes,ospite secondario del parassita fungino.Anche in Italia fu inizialmente impiegato comealbero ornamentale e tuttora lo si ritrova fre-quentemente nei parchi delle ville, apprezzatoper il portamento e lombra leggera.

Pi tardi nella zona prealpina furono costituitepiantagioni a carattere forestale, in parte ancoraesistenti, fra cui alcune parcelle piantate nel1925 a cura della Stazione Speri mentale diSelvicoltura di Firenze. Pavari e De Philippis(1941) ne espressero un giudizio positivo, con-fermato poi da Allegri, che auspicava lulterio-re diffusione della specie. Dal 1960 al 1980 la diffusione in Italia del pinostrobo ebbe un notevole impulso a opera delprofessor Giacomo Piccarolo dellIstituto Nazio -nale per le Piante da Legno di Torino, oggiIstituto per le Piante da Legno e lAmbiente,che, a seguito di un complesso e organico pro-gramma sperimentale, elabor, defin e valutun modulo colturale atto a esaltare le peculiaricaratteristiche di questa specie in impianti fuo-ri foresta nellalta pianura, in collina e nella fa-scia pedemontana dellItalia settentrionale.Lobiettivo era incentivare la produzione di le-gno da impiegarsi nellindustria della carta ita-liana senza incidere sul patrimonio forestale na-turale, e prefiggendosi buona qualit e pro-duttivit; ci spinse alla scelta di questa speciea legno chiaro, fibra lunga e rapido sviluppo,talora sostituita dal pino eccelso (Pinus walli-chiana) unaltra conifera a 5 aghi, o dallibridotra questultimo e il pino strobo, entrambi ca-paci di crescere anche su terreni carbonatici.

DIFFUSIONE IN EUROPA E ITALIA 9

La Mandria (TO). Il pino strobo utilizzato come ele-mento decorativo diparchi e giardini.

2

ESIGENZE CLIMATICHE ED EDAFICHE

Il pino strobo ha dimostrato di adattarsi benealle condizioni climatiche e ambientali dellItaliaSettentrionale, in particolare nelle fasce pede-montane che godono di buone e ben distri-buite precipitazioni (1100-1800 mm/annui),nella zona dei laghi dove, unitamente a buoneprecipitazioni, si ha una mitigazione delle tem-perature minime, ma anche negli ambienti dipianura e sui terrazzi che li collegano alle zo-ne prealpine. Le grandi vallate a clima pi sec-co e gli ambienti collinari possono offrire con-dizioni idonee solo in aree circoscritte.

Nellambito delle singole zone poi necessa-rio riconoscere che, a un livello di maggiordettaglio, particolari microclimi legati allespo-sizione o alla conformazione del pendio pos-sono risultare fattori condizionanti della fre-schezza del terreno e dellatmosfera. Un altro parametro importante per definire pos-sibilit e limiti di impiego della specie in arbo-ricoltura da legno rappresentato dalle carat-teristiche pedologiche del substrato: infatti,per ottenere elevate produzioni unitarie in tem-pi brevi necessario puntare su terre fertili eprofonde, in modo da consentire una suffi-ciente esplorazione radicale anche negli annifinali del ciclo.A ci si deve aggiungere che il pino strobonon tollera suoli a reazione alcalina n concontenuto in calcare, che provoca sviluppostentato, ingiallimenti e aspetto sofferente del-le piante. Buone condizioni di sviluppo si han-no per in quei terreni in cui il calcare, origina-riamente presente, stato lisciviato e dilavatoin profondit. Se la percentuale di calcare modesta (inferiore al 5-8%), possono trovare unbuon impiego le cultivar ibride Pinus strobus xPinus wallichiana, sperimentati dallINPL, cheforniscono produzioni con caratteristiche tec-nologiche simili a quelle del pino strobo.Sulla base delle valutazioni qui sommariamenteriportate, gli impianti da legno con criteri in-tensivi furono indirizzati verso le terre marginali

ESIGENZE DELLA SPECIE E TECNICHE

DI COLTIVAZIONE

Comignago (NO).Impianto di due annicostituito nel 1960.

103

ma ancora dotate di una certa potenzialit pro-duttiva, che potevano rientrare sia in ambitoforestale, sia tra quelle ex agrarie. Nei terreni forestali le conifere a rapida cresci-ta furono introdotte nei boschi irrimediabilmentedegradati o con produzioni non pi richieste dalmercato, quali cedui castanili o castagneti dafrutto compromessi dal cancro corticale, cheper caratteristiche stazionali apparivano su-scettibili di un miglioramento del potenzialeproduttivo, ma con risultati resi incerti dalla vi-goria dei polloni ricacciati dalla latifoglia. Per quanto riguarda i terreni agrari, furono in-teressati da questo nuovo indirizzo colturalequelli che lesodo della popolazione agricola,verificatosi negli anni 50, aveva lasciato in unostato di abbandono. Si trattava di terre margi-nali, non pi in grado di dare produzioni agri-cole remunerative, ma ancora dotate di unabuona potenzialit, tale da consentire il rag-giungimento di elevate produzioni legnose congli impianti di conifere.

TECNICHE DI COLTIVAZIONE

La tecnica di coltivazione prevedeva lintegra-zione di alcuni fattori fondamentali, tra i qualiassunsero particolare rilievo:

limpiego di giovani trapianti sviluppati, di ta-glia ben superiore al tradizionale postime fo-restale, frutto di unaccurata attivit vivaisticaa partire da provenienze omogenee di semeraccolte da popolamenti e singole piante ma-dri selezionate; le maggiori cure e i maggiorioneri che questa scelta com portava si preve-deva fossero compensati da una migliore uti-lizzazione del suolo e dellacqua sin dai primianni, nonch dalla possibilit di porre a dimoraun minor numero di piante a ettaro;

la preparazione iniziale e la sistemazione delsuolo con lavorazioni meccaniche andanti,lapertura meccanica delle buche, leven-tuale impiego di fertilizzanti chimici e organiciper costituire un substrato pi favorevole al-le esigenze della specie impiantata;

gli interventi agronomici negli anni successivi,quali le lavorazioni del suolo per eliminare laconcorrenza delle erbe infestanti e ridurre ilrischio di incendi, le potature periodiche peresaltare al massimo le caratteristiche tecno-logiche degli assortimenti ottenibili.

Sin dallinizio larboricoltura da legno ebbe po-chi punti in comune con la selvicoltura tradi-zionale, sia perch in genere si svilupp su ter-re non forestali, sia perch i criteri di gestionee le pratiche colturali differiscono sostanzial-mente da quelle della selvicoltura. Questo in-dirizzo fu efficacemente definito come la scor-ciatoia verso la produzione legnosa.Nella tabella che segue si espone lo schemacolturale intensivo che venne proposto.

Schema colturale proposto

Preparazione del terrenoAratura a profondit di 35-40 cmAmminutamento con erpice a dischiSistemazione a prose nei terreni soggetti a ristagno dacqua

ImpiantoDistanziamenti e sesti: 4 m x 2,50 m; 3 m x 3 m in quadrato

o quinconceDensit iniziale: 1000 1200 p/haApertura buche con trivella del diametro di 40 cmConcimazioni eventualiMateriale dimpianto: soggetti sviluppati di 4-5 anni

(2-3 in semenzaio + 2 in piantonaio) di altezza media m 1-1,30

Pratiche colturaliErpicatura (2 volte allanno per i primi 4 anni)Spalcature a 8-11 anni fino a 2,5 m di altezza del fusto Diradamenti geometrici sistematici per diagonali o per file

a 15 anniSpalcature a 15-20 anni fino a 4-5 m

Turni e produzioni ipotizzateTurno minimo: anni 30Incrementi attesi: 10-14 m3/ha/annoMassa totale: 300-400 m3/ha

11

RISULTATI SPERIMENTALI OSSERVATI

Fattori ecologiciLanalisi condotta su 200 impianti di et com-presa tra i 15 e i 25 anni ha dimostrato (IPLA,1982) che, tra i fattori climatici, sulla crescita delpino strobo ha massima influenza lentit del-le precipitazioni, che deve superare 200 mmnel trimestre estivo e raggiungere un totaleannuo di almeno 1000 mm. Leffetto delle pre-cipitazioni non tuttavia slegato da altre ca-ratteristiche dellambiente, quali la capacitdel suolo di trattenere o di drenare lacqua e lavicinanza di falde.Sicuramente anche la profondit del suolo in-fluisce sullo sviluppo in altezza delle piante, manon sempre facile valutare quali orizzonti delsuolo possano costituire un limite insuperabi-le per le radici: solo la rocciosit a poca pro-fondit o i panconi di ferretto dei paleosuoli deiterrazzi fluvio-glaciali si sono dimostrati gravifattori limitanti. Invece, risulta chiaramente cheelevate percentuali di sabbia contenute nelprofilo a scapito delle componenti pi fini (limoe argilla), favoriscono lo sviluppo delle piantea condizione che vi sia sufficiente disponibili-t idrica. La sperimentazione ha confermatoche il pino strobo non si adatta a terreni con-tenenti calcare e con reazione alcalina; positi-va anche la correlazione con il tenore di so-stanza organica nel suolo.

In ogni caso, si evidenziato che il pino stro-bo cresce bene anche su suoli poveri di so-stanza organica, come sono molti terreni agra-ri, purch le piante siano provviste di buonamicorrizazione radicale. Infatti, i funghi sim-bionti, con le molteplici specie adattate ai di-versi ambienti, hanno la capacit di mobilizza -re gli elementi nutritivi oltre che dalla materiaorganica indecomposta, anche dal sub stratominerale. Quando poi negli impianti si comincia ad ave-re un accumulo di detriti organici sul terreno,i miceli dei funghi simbionti li invadono, ri-mettendo in ciclo gli elementi contenuti, pas-sandoli direttamente alla pianta senza neces-sit di mineralizzazione. proprio grazie aquesto micotrofismo che si spiegano le elevateproduzioni ottenute dai pini in terreni poveri.

Fattori colturaliPer quanto riguarda leffetto delle tecniche col-turali, risultato negativo lo scasso del terre-no, perch porta in superficie orizzonti a bas-sa fertilit mentre, viceversa, ha dato buoni ri-sultati limpianto a buche su terreno agrarionon lavorato, tipico nei prati stabili. Tra le di-verse densit dimpianto utilizzate si consta-tato che queste nel caso di impianti riuscitierano di circa 1000 piante/ha (10 m2 ad albe-ro). Fonda mentali per la riuscita finale sono ri-sultate le cure colturali.

12

N el paese dorigine lo strobo particolar-mente rapido nella crescita, come risultadalle curve degli incrementi annui e da quelledellaltezza totale, calcolate per differenti livel-li di fertilit delle stazioni: nei popolamenti na-turali si osserva che la culminazione dellin-cremento medio in volume si colloca attorno ai50 anni, raggiungendo valori di 11 m3/ha/an-no, ma che la percentuale di legno da opera ancora in crescita per un lungo periodo.Occorre inoltre considerare che il pino strobo specie di grande longevit, anche fino a 450anni, tanto che il turno proposto di ben 200anni, superiore a quelli applicati per le quercee per tutte le altre latifoglie, ovviamente in for-mazioni forestali naturali.La produzione totale ottenibile in soprassuolidi ottima fertilit illustrata nel diagramma.In Italia, le sperimentazioni di Pavari (1941)avevano gi evidenziato per il Piemonte, nellatenuta della Mandria (TO), provvigioni di 850m3/ha allet di 65 anni con densit di 630p/ha, e a Meugliano, in Valchiusella (TO), prov-vigioni di 390 m3/ha allet di 42 anni, con den-sit di 935 p/ha.Tali valori, uniti alla capacit di rinnovarsi e al-lassenza della ruggine vescicolosa, pericolo-sa avversit diffusa nellEuropa centrale, face-vano ritenere la specie perfettamente accli-matata e in grado di dare produzioni superioriper entit alle altre conifere; ci considerandoche in genere il ritmo di crescita delle pianta-gioni in terre agricole tende a essere pi rapi-do di quello osservabile nei popolamenti na-turali, anche per la maggior durata del perio-do vegetativo in pianura. Effettivamente, negliimpianti eseguiti negli anni 60-70 in terre vo-cate e con tecniche perfezionate, apposita-mente elaborate per larboricoltura da legno, sisono conseguiti interessanti risultati produttivi. Lillustrazione della pagina seguente mostra idati rilevati in 240 popolamenti piemontesi: lenubi di punti evidenziano le altezze, e le lineespezzate le variazioni misurate su singoli alberimodello in corrispondenza delle diverse et,comprese tra 10 e 21 anni.

La variabilit che si osserva in gran parte daattribuire alla diversa fertilit delle stazioni. Ledue rette di separazione in rosso tracciano losviluppo medio di alberi giovani con accresci-menti annui in altezza assunti costanti, corri-spondenti luna a 50 cm e laltra ad 80 cm, in-dividuando cos tre livelli di fertilit.

ACCRESCIMENTI E PRODUZIONE

413

185 m3/ha a 20 anni465 m3/ha a 40 anni630 m3/ha a 60 anni730 m3/ha a 80 anni800 m3/ha a 100 anni

10

et

Et diriferimento

alte

zza

Inc

rem

ento

ann

uale

in a

ltezz

a

10 20 30 40 50 60 70

20

30

40

36

30

3024

36

24

18

0

0,5

1

m

Classidi fertilit

18

La tabella che segue indica che ben il 70%degli impianti considerati presentava un ac-crescimento annuo medio compreso tra 60 e90 centimetri.Il riscontro del livello effettivo di fertilit delle sta-zioni, espresso dallo sviluppo in altezza rag-giunto dalle piante a una determinata et, uti-le per conoscere, al di l di quanto ipotizzatoal momento dellimpianto, lo schema di ge-stione cui opportuno riferirsi.Oggi si resa necessaria la riformulazionedella durata dei cicli, a fronte dei cambiatiobiettivi di produzione pi estesamente dis-cussi nel capitolo seguente: non pi produ-zione di legname da cartiera, ma di tronchiadatti a un pi ampio campo di impiego, so-prattutto in segheria, dove assortimenti di dia-metro maggiore sono molto meglio remunerati.

Nella prima classe di fertilit, cio in presenzadi accrescimenti in altezza superiori a 0,80 mlanno, si prevede in condizioni normali unadurata del ciclo di circa 45 anni, nel corso deiquali si rendono in generale opportuni due di-radamenti. Nella seconda classe di fertilit, ca-ratterizzata da accrescimenti in altezza com-presi tra 0,80 e 0,50 metri, ipotizzabile un ci-clo di 50 anni, per completare il quale semprenecessario almeno un diradamento, mentrelopportunit del secondo dipende dalla densit(numero di piante/ha). Nella terza classe di fer-tilit, cio in impianti con crescita mediamenteinferiore a 0,5 m lanno, opportuno prevede-re un ciclo di 50 anni con un solo diradamen-to, eventualmente pi intenso.Fino a unet di 30 anni le produzioni sononote e superano normalmente i 10 m3/ha/an-

no; poi i dati sono pi incerti epuntiformi. Nelle prime dueclassi di fertilit sono attesisoggetti del volume medio di 1m3 al taglio finale; ci corri-sponde a diametri di 33-35 cme altezze di 25 metri. A queste produzioni vanno ag-giunte le masse intercalari ri-cavate con il diradamento.Singoli alberi misurati a terra aTernavasso (TO) allet di 80anni avevano volumi di 3 m3con diametri di circa 50 cm.

14

Diagramma altezza-et e classi di fertilit. I punti indicano le altezzedominanti rilevate in 240 impiantistudiati; le linee spezzate laccrescimento in altezza di singolialberi modello. Le rette separanole tre classi di fertilit. Nel riquadro sono riportate le frequenze e le percentuali degli impianti per classi di accrescimentomedio annuo in altezza.

LA CRISI DEGLI IMPIEGHI PREVISTI

Al termine degli anni 50, quando fu organizzataper opera dellINPL delle Cartiere Burgo la dif-fusione dellarboricoltura da legno con il pinostrobo, la situazione dellindustria cartaria ita-liana non era ancora stata influenzata dalla ri-organizzazione dei mercati del legno, subor-dinati ai nuovi sistemi commerciali nati di l apoco con i primi accordi internazionali, prelu-dio dei seguenti passi verso lunificazione eu-ropea. Lo strobo venne allora diffuso con lidea chesu tale tipo di impianti avrebbero potuto essereorganizzati gli approvvigionamenti necessarialla filiera legno dellindustria cartaria, da af-fiancarsi alla produzione ottenuta grazie alpioppo. Il processo di globalizzazione delleconomia re-se ben chiaro gi alla fine degli anni 60, e an-cor pi negli anni 70, che era molto pi con-veniente alle industrie nazionali acquistare cel-lulosa o materia prima allestero, dove erapossibile disporre di enormi quantitativi alta-mente uniformi. Ci fece calare linteresse al-limpianto del pino strobo, come per altro av-venne per il pioppo, e rese necessario ipotiz-zare e sperimentare sbocchi alternativi per illegname nel frattempo cresciuto negli impian-ti realizzati. Parallelamente, il valore di tutti i prodotti le-gnosi si contrasse, rendendo antieconomicianche molti interventi selvicolturali in foresta. Imotivi accennati portarono a modificare lo-biettivo di questo tipo di arboricoltura da legno,e si impose la necessit di inserire il legno dipino strobo nei cicli produttivi delle segherie,come segati di buona qualit utilizzabili nel-lindustria del mobile rustico, che gi impiegalegno di pino cembro e anche strobo dim-portazione, o come perline di rivestimento e,come ripiego, quella delle produzioni di ele-menti per imballaggi industriali. Come impie-ghi secondari si ricordano luso di questa es-senza nelle lavorazioni di fonderia e per pan-nelli truciolari.

In anni seguenti, con lo sviluppo delle pianta-gioni, impiegando tronchi giunti al diametronecessario, sono poi state avviate lavorazionisperimentali di sfogliatura e tranciatura con ri-sultati contraddittori.Sebbene sia facile da lavorare, il legno di pinostrobo presenta alcuni inconvenienti per la ric-chezza di resina e perch caratterizzato dapalchi con nodi molto evidenti, che per altro so-no di un certo valore estetico per alcune ap-plicazioni.A oggi non si comunque creato un mercatoatto ad assorbire a prezzi remunerativi questiprodotti, anche perch non vi sono impiantisufficienti per garantire approvvigionamenticostanti e uniformi. Gli attuali sbocchi commerciali sono pertantolegati ad aziende che operano in nicchie par-ticolari di mercato; tuttavia, essendo i costi ditaglio, esbosco e trasporto del legname sicu-ramente inferiori a quelli di altre produzioni le-gnose nazionali di foresta, gli impianti risulta-no relativamente appetiti da piccole impreseche, operando localmente, acquistano i so-prassuoli e ne curano il collocamento pressoaziende collegate.I prezzi sono inferiori (pari a circa i 2/3) a quel-li spuntati dal pioppo in pianura per analoghiimpieghi.

IL LEGNO E I SUOI IMPIEGHI 155

CARATTERISTICHE DEL LEGNO

Proprio per il rapido ritmo di accrescimento delpino strobo nei nostri climi, alcune caratteri-stiche del legno si discostano da quelle rile-vabili nel paese di origine, in boschi naturali. Lanotevole ampiezza dei cerchi annuali e la den-sit assai bassa riscontrata in Italia riducono laresistenza meccanica del legno, rendendolopoco adatto a impieghi strutturali; per contro,la facile lavorabilit, unita alle sofisticate tec-nologie di lavorazione oggi utilizzate, permet-te una gamma abbastanza vasta di impieghi.La scarsa durabilit ne sconsiglia impieghiesterni soggetti allazione dellumidit.Il legno di questa conifera ha alburno bianca-stro, appena tendente al giallognolo, duramecolor crema o bruniccio, passante a tonalit piscure con lessiccazione, tessitura media euniforme, fibratura diritta e leggero odore re-sinoso. Lessiccazione agevole e non com-porta particolari problemi, allinfuori della faci-le azzurratura dellalburno per attacco di fun-ghi. Il ritiro modesto: una volta in equilibriocon lumidit ambientale, il legno appare sta-bile. Le lavorazioni avvengono tutte facilmen-te, comprese le giunzioni, nelle quali per lechiodature mostrano scarsa tenuta. Le carat-teristiche di resistenza meccanica sono damodeste a discrete.Sui diversi impieghi del legno di pino strobo,oltre alle dimensioni, hanno influenza numerosifattori naturali e accidentali, specifici e non, diseguito sintetizzati.

Forma dei tronchiLa forma cilindrica e regolare dei tronchi pro-venienti dagli impianti senzaltro favorevole,mentre sono fattori negativi la forte rastrema-zione (>32 mm/m), leccentricit e la presen-za di legno di reazione, dovuta a carichi pe-riodici di vento o neve.

Presenza di nodiUn limitato numero di nodi ben saldati (nodi vi-vi) pu essere apprezzato come motivo deco-rativo di sfogliati e pannelli; in quantit pi ele-vata non sono accettabili nei prodotti finiti,specialmente di qualit. I nodi del pino strobosono per teneri e facilmente lavorabili.

Decolorazioni o alterazioni Sono dovute a funghi o batteri e ne limitano lapossibilit di utilizzo a seconda della loro dif-fusione.

Presenza di resinaNon preclude impieghi, ma spesso richiedeluso di particolari tecniche per evitare incon-venienti (rimozione con solventi neutri).

Danni da insetti xilofagiBench rari, comportano un grave deprezza-mento del legname per segheria e per sfo-gliati.

Spaccature del fustoIl vento, fulmini, gelo e squilibri idrici possonocausare fessurazioni; se sono elicoidali costi-tuiscono ovviamente un grave danno, se sonoparallele alla lunghezza del tronco permettonougualmente alcune lavorazioni.

Stabilit dei segatiQuesta caratteristica, molto apprezzata nel pi-no strobo, ne permette impieghi in falegna-meria e anche come forma per lavorazioni difonderia.

Lunghezza della fibraCaratteristica apprezzata nelle lavorazioni incartiera.

16

Campione di legno lavorato alla tranciatrice.

IMPIEGO DEI PRODOTTI INTERCALARIE FINALI

Il legno ottenuto in impianti di pino strobo puseguire diverse destinazioni, a seconda degliassortimenti diametrici disponibili. Nei capitoli precedenti gi stato illustrato conquali ritmi si abbia laccrescimento diametrico:il prodotto ottenuto da un diradamento com-piuto intorno ai 15 anni di et ha ovviamentediametri modesti, quindi limitate possibilit diimpiego rispetto a quelle del prodotto finale, ot-tenibile a et diverse a seconda degli ambien-ti. Infatti, dal diradamento di un impianto di ta-le et possibile ottenere assortimenti costituitisolo in parte da tondame con diametro supe-riore a 15 cm; invece, dallabbattimento di unimpianto maturo saranno ricavati assortimenticon diametro superiore a 25 cm, una notevolequantit di assortimenti di diametro compreso

tra 25 e 15 cm, e una pi limitata quantit di pro-dotto di dimensioni inferiori.Il valore e il prezzo del prodotto legnoso di-pendono dalla qualit, a sua volta determina-ta dalle caratteristiche della specie e dalle di-mensioni delle piante, cio dagli assortimentiottenibili; in conseguenza di questi fattori sa-ranno possibili diverse tecniche di lavorazione.Si distinguono cos i seguenti assortimenti:

tronchi per tranciati e sfogliati; tronchi per segheria; tondame per triturazione.

Attualmente, il valore massimo va attribuito almateriale da destinare alla produzione di tran-ciati e di sfogliati. per difficile trovare azien-de interessate a piccole partite destinate aqueste lavorazioni. Pi spesso, gli assortimentitrovano collocazione in segheria, quindi a unprezzo minore.

Principali caratteristiche tecnologiche del legno di pino strobo derivante da impianti di arboricoltura

Massa specifica fresca

Legno g/cm3 (0,73) 0,84 (0,94)

Legno+corteccia g/cm3 (0,77) 0,89 (0,95)

Massa specifica anidra

Legno g/cm3 (0,25) 0,30 (0,39)

Legno+corteccia g/cm3 (0,25) 0,29 (0,32)

Umidit % 67

Corteccia % 7

Ritiro radiale % (1,2) 2,7 (3,7)

Ritiro tangenziale % (6,3) 6,9 (7,3)

Ritiro volumetrico % (7,6) 9,7 (10,2)

Resistenza a compressione assiale statica kg/cm2 (171) 296 (494)

Resistenza a flessione statica kg/cm2 (451) 660 (819)

Lavoro di rottura per urto kg/m (0,2) 1,0 (2,6)

17

Caratteristiche richieste per i diversi impieghi

Secondo gli impieghi del legno, sono espres-samente richieste determinate caratteristiche,mentre altre vengono apprezzate se presenti.

Assortimenti per segheriaDiametro superiore a 15 cm.Massa specifica contenuta (lavorazioni lungo

la vena).Bassa deformazione.Struttura uniforme.Nodi stabili.

Assortimenti per sfogliati di rotazioneDiametro superiore a 25 cm.Lunghezza 24,80 m.Forma cilindrica.Massa specifica contenuta.Elevata umidit (legno non stagionato).

Assenza di tensioni interne.Assenza di danni da parassiti animali e fungini.Nodi stabili disposti in modo decorativo.

Assortimenti per tranciaturaElevato diametro, lunghezza e cilindricit so-

no favorevoli ma non indispensabili.Massa specifica contenuta.Elevata umidit.Assenza di danni da parassiti animali e fungini.Pregi estetici (venature, nodi fiammati e co-

s via).

Legno per pannelliMateriali di scarto fino a 3 cm di diametro.

Legno per cartieraFacilit di sfibratura.Elevato grado di bianco della pasta ricavata.Basso contenuto di resina.Elevata lunghezza della fibra.

Al legname da triturazione invece attribuito ilvalore minimo, che a stento copre il costo diabbattimento, allestimento e trasporto allin-dustria.Per quanto concerne limpiego potenziale dellegno di questa conifera in cartiera, occorre se-gnalare che si ottengono, con ragionevoli con-sumi di energia, paste con valide caratteristi-che meccaniche e valori di bianco sufficiente-mente buoni.

18Lavorazione alla sfogliatrice.

CURE COLTURALI

Lentit e il grado di sviluppo della vegetazio-ne spontanea possono essere molto vari, an-che a prescindere dagli interventi umani, e di-pendono dal tipo di vegetazione presente e dalclima locale, dalle colture precedenti e dalla fer-tilit del terreno.Nei primi anni, per contenere la competizioneper lacqua sono indispensabili sfalci della ve-getazione erbacea, o meglio lavorazioni su-perficiali del suolo. I rovi e la vitalba devono es-sere controllati con tagli e decespugliamentitempestivi, per impedire che, salendo sulle ci-me, formino dense cappe che incurvano i cimalie facilitano gli schianti quando vi si aggiunge ilcarico della neve. Talora pu essere necessa-rio intervenire con macchine trituratrici portate.

SPALCATURE

La migliore qualit del fusto si ottiene con tem-pestive e ben eseguite spalcature, che consi-stono nelleliminazione dei rami, a partire dalbasso. Devono interessare rami verdi ormaideperienti, senza danneggiare il colletto delramo, in modo che le ferite possano cicatriz-zare rapidamente senza inclusioni di corteccianel fusto, modalit che origina nodi fermi nel le-gno. Non devono per essere troppo precocio severe, perch ridurrebbero la superficie fo-gliare e quindi lattivit fotosintetica; in ognicaso, non si deve spogliare oltre 1/3 del fusto.Rami secchi a poca distanza dal suolo e resi-dui di potatura possono favorire lazione delfuoco, che vi pu trovare facile esca; inoltre, im-pediscono lo svolgimento di eventuali altreoperazioni colturali. I residui di piccole dimen -sioni possono essere sminuzzati a terra. La prima spalcatura dovrebbe essere effet-tuata ad altezza duomo, qualche tempo dopola chiusura dellimpianto, cio tra lottavo elundicesimo anno, a seconda dello sviluppo edel distanziamento. Loperazione dovrebbeessere completata al diradamento, spalcan-

do ulteriormente fino a 3,5-4 m solo i migliorisoggetti davvenire. Le stagioni consigliate so-no linverno inoltrato o la fine dellestate, quan-do lattivit vegetativa rallentata.

DIRADAMENTI

Il diradamento, strumento determinante perlaumento e il miglioramento della produzione, basato su presupposti di diverso ordine. Biologico: la competizione naturale per lo

spazio si risolve a favore dei soggetti pi vi-gorosi, ma non sempre migliori per forma eportamento, mentre il diradamento favori-sce lo sviluppo armonico ed equilibrato deisoggetti a maggiore potenzialit.

Ecologico: linterruzione della copertura in-fluisce su microflora e microfauna, favoren-do lalterazione della lettiera e lumificazione.

Colturale: assicura condizioni di migliore ef-ficienza produttiva, favorisce lirrobustimen-to e una maggiore resistenza agli attacchi pa-rassitari.

Economico: eleva il valore del prodotto finalesenza aggravare i costi, risultando general-mente in pareggio economico, ma a ci de-ve essere aggiunta la salvaguardia di inte-ressi collettivi pi vasti.

LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI 19196

Nella produzione legnosa a turni medio-brevi(35-50 anni) con il pino strobo, il diradamen-to pu essere pi o meno intenso a secondadelle potenzialit del sito, del distanziamentoadottato, della qualit e uniformit del mate-riale dimpianto usato, del prodotto finale ri-chiesto.La potenzialit del sito influisce poich quan-to pi esso fertile tanto minore il numerodi piante da rilasciare, tanto maggiore la di-stanza tra loro e pi precoce lepoca dellin-tervento.Il momento in cui opportuno effettuare il di-radamento quello in cui avviene un rallen-tamento dello sviluppo delle piante per effet-to di un rapporto sbilanciato biomassa-so-stanze nutritive e per la carenza di luce, tipicidi una condizione di eccessiva competizio-ne. Tale momento si pu riconoscere perchdetermina la riduzione dellaccrescimento indiametro (anelli legnosi pi stretti) e della por-zione di chioma con rami vivi (

Comignago (NO).Tronchi accatastati.

2121

intervenire sistematicamente, procedendo se -condo un metodo diverso, quello del dirada-mento schematico emisto schematico-seletti-vo (cfr. Scheda tecnica n. 2).Questo viene realizzato secondo uno schemapredisposto per file, o per bande, eliminando1/2, 1/3 o 1/4 della popolazione dellimpianto; nevengono qui ricordati i vantaggi e gli svantag-gi, che sono inversamente svantaggi e van-taggi del diradamento selettivo.

Vantaggi del diradamento schematico Non occorre effettuare lassegnazione delle

singole piante da abbattere, ma solo indica-re la capofila.

Le operazioni di utilizzazione sono semplifi-cate e meccanizzabili, con conseguente ri-duzione dei costi.

Il rischio di svendita del prodotto minoreperch non vengono abbattuti solo sogget-ti di scarto.

Le operazioni posteriori al diradamento so-no facilitate perch limpianto mantiene un di-stanziamento regolare, e comunque vi si of-frono vie di penetrazione.

Svantaggi La cecit del metodo non permette di ri-

sparmiare soggetti di sicuro avvenire. Interventi troppo intensi destabilizzano gli

impianti, aumentando il rischio di danni davento e da forti nevicate.

Luso di macchine pesanti pu costipare ilsuolo, danneggiare le radici e ferire le pian-te rimaste.

I diradamenti finora eseguiti hanno evidenzia-to quanto gli interventi siano condizionati daidistanziamenti e dalla morfologia del terreno.Se il distanziamento ridotto, inferiore a m3,5, il transito, labbattimento e lesbosco conmezzi meccanici sono risultati difficili. Per que-sto si anche verificato che, in impianti eseguiticon distanziamento di m 2,5x4 il diradamentovenisse effettuato secondo le file pi larghe, la-sciando un distanziamento finale evidente-mente sbilanciato di m 8x2,5, invece che per

diagonale, come previsto al momento dellim-pianto o per file ma lungo il sesto pi strettocon risultato finale di m 5x4.Sui terreni in pendenza luso di mezzi mecca-nici difficile e richiede tecniche perfezionate,tuttora in fase di sperimentazione.Di particolare interesse, bench finora poco ap-plicato in Italia, date le ridotte dimensioni de-gli impianti, la possibilit di effettuare un di-radamento misto schematico-selettivo, proce-dendo al taglio di una fila ogni quattro o sei,creando cos una banda da utilizzare comevia preferenziale di esbosco per il materialeabbattuto, e operando selettivamente sulle al-tre file. Ci permette una maggiore meccanizzazionedelle operazioni e favorisce la riduzione deicosti.

22

Scheda tecnica 1: diradamento selettivo

Applicabile nei popolamenti puri e particolarmenteconsigliato in presenza di crescita non uniforme, o diuna certa mortalit, consiste nel prelievo di soggetti delpiano dominante o codominante, per favorire lo svi-luppo delle chiome di quelli prescelti come candidati(marcati con vernice), che costituiranno lossatura delpopolamento destinato ad arrivare alla fine del ciclo. Lascelta viene effettuata sulla base del vigore vegetativo,del portamento e, in particolare, dello stato del cima-le e della qualit del fusto; ovviamente, parzialmen-te condizionata dallimpianto a file e dalluniformit deidistanziamenti. Sono destinati al taglio i soggetti diretti concorrenti deicandidati, presenti sulla fila stessa o in corrispondenzasulle due vicine.La categoria degli indifferenti invece prelevata solomarginalmente; nel caso sia possibile collocare talisoggetti minori a un prezzo pari almeno al costo di ab-

battimento, ne pu essere tagliata una percentualemaggiore, scegliendo tra quelli che presumibilmentenon sopravviveranno fino al taglio di sgombero.Alternativamente questi costituiranno un popolamentodaccompagnamento, che verr progressivamente do-minato e in parte portato a morte dalla concorrenza deisoggetti pi vigorosi.Questo tipo di diradamento attuabile dai 15 ai 25 an-ni e oltre, e pu eventualmente essere ripetuto; lin-tensit compresa tra il 25 e il 30% della massa.Il diradamento pu fornire assortimenti di discreto va-lore, derivati dal taglio dei soggetti codominanti e unaquota di tronchetti minori variabile a seconda delleta cui viene effettuato.Per favorire la meccanizzazione delle operazioni, comegi accennato, possibile abbinarlo al taglio sistema-tico di file (per esempio 1 ogni 6) per creare delle viedi esbosco.

Situazione iniziale

Nel popolamento si trovano, distribuiti con una certa regolarit e in numerosufficiente, i candidati (verdi), i concorrenti codominanti (marroni), i soggetti in-differenti (verde chiaro), e soggetti morti.

Situazione finale

Sono stati abbattuti solamente gli alberi le cui chiome competono con la cimadei candidati e alcuni soggetti indifferenti.

Diradamenti 1 2

Et (anni) 15-20 25-35Densit iniziale (n/ha) 900-1000 600-700Statura (m) 12-15 20-24Candidati (n/ha) 300-350 290-340Densit finale (n/ha) 600-750 450-500

23

applicabile nei popolamenti caratterizzati da densit ele-vata, minima incidenza della mortalit e soggetti a crescitauniforme. Consiste nel taglio e nellasportazione di par-te del soprassuolo procedendo per file, diagonali o ban-de, prescindendo dalle caratteristiche dei singoli soggetti. La scelta del grado di intensit, che pu essere del 50%,del 33% o del 25%, legata allet dellimpianto, alle fal-lanze e al variabile rischio di schianti per azione del ven-to. La scelta della modalit, cio delle file secondo cuioperare, legata al sesto e al distanziamento di impian-to. Se lintensit del primo intervento stata bassa, il di-radamento pu essere ripetuto a distanza di 10 anni cir-ca. In particolare, lintensit del 25%, ottenuta tagliando1 fila ogni 4, permette di compiere anche una limitata se-lezione sulle file restanti e prelude al taglio in epoca se-guente di un ulteriore 25%, ottenibile eliminando la filacentrale delle 3 rilasciate.Il prodotto ricavato dal taglio comprende ogni tipo di as-sortimento; le operazioni sono facilmente meccanizzabili.

Scheda tecnica 2: diradamento schematico e misto schematico-selettivo

Situazione iniziale

Partendo dal medesimo popolamento presentato nella scheda 1, caratterizzatoda uniforme ed elevata densit, vengono fissate le file da abbattere.

Diradamenti 1 caso 2 caso

Et (anni) 15-18 15-18Densit iniziale (n/ha) 1000-1200 900-1000Statura (m) 12-15 12-15Densit finale (n/ha) 700-800 600-700

Situazione finale

Tagliata una fila su quattro, sono ancora stati abbattuti alcuni alberi con crite-rio selettivo.

Diradamento misto schematico-selettivo

Schema di diradamento schematico con intensit 50% in impianto con distanziamento iniziale 2,5x4 m.

piante in piedi piante diradate

cataste

misure in metri

5,6

2,5

5,6

2,54

I n passato il pino strobo stato utilizzato insituazioni e ambienti particolari per creareuna copertura arborea laddove era assente. Ben lontani erano i tempi odierni, in cui si svi-luppata particolare sensibilit circa la prote-zione delle peculiarit del paesaggio, della ve-getazione e della fauna spontanee. Allora sipensava di recuperare alla produzione areesvantaggiate, quali a esempio le brughiere,dove le colture di campo non avevano dato ri-sultati produttivi significativi. A quellepoca van-no fatti risalire i numerosi impianti nelle bru-ghiere lombarde, realizzati soprattutto dallecartiere. Per altro, in anni ancora precedenti, erano sta-te imboschite estese superfici nella tenuta del-la Mandria (TO), dove non si erano ottenuteproduzioni agricole valide, nonch in aree dibrughiera e in boschi ormai degradati, prefe-rendo quindi puntare su una produzione le-gnosa.Negli anni 60 si pose il problema di utilizzare almeglio le superfici delle aree di rispetto per lacaptazione di acque potabili destinate allareametropolitana torinese, dove non sono am-messe n le concimazioni n i fitofarmaci; nonessendo quindi possibile orientarsi sulle coltu-re agrarie e neppure sul pioppeto, vi fu pianta-to il pino strobo.

La lentezza del ciclo di crescita, talora dovutaanche alla siccit estiva, ha fatto s che questepinete, invece di essere utilizzate, siano oggi digrande valore, in quanto costituiscono impor-tanti polmoni ormai completamente rinchiusitra quartieri abitati. quindi al vaglio la possi-bilit di utilizzare le pinete esistenti anche co-me aree verdi, nei limiti delle imposizioni dilegge.Altrove, in prossimit del Lago Maggiore, unasuperficie di circa 60 ettari accorpati, piantatinello stesso periodo su terreni agricoli e vi-gneti non pi redditizi, oggi unarea verde disvago allinterno del Parco Naturale dei Lagonidi Mercurago (NO), ambito ideale per lattivitsportiva e ricreativa. Vi si coniugano con reci-proco vantaggio la produzione legnosa e lafruizione: un folto tappeto di aghi, prospettivevaste e profumo di resina sono apprezzate daifruitori, mentre il controllo contro gli incendi visto con favore dai proprietari.

LA FAUNA

In generale le pinete, anche naturali, sono am-bienti pi poveri rispetto ai boschi di latifoglieo misti, in quanto si tratta di formazioni pio-niere che permangono stabili solo in condi-zioni ambientali difficili, in cui il clima o lo scar-so sviluppo dei suoli impedisce laffermarsi dispecie arboree pi esigenti, come le latifoglie.

Gli impianti di conifere, e in particolare quelli dipino strobo, costituiscono un habitat artificia-le di una certa estensione in ambito regionale,importante perch al di fuori delle zone mon-tane; ci nonostante, la loro influenza nei con-fronti della fauna selvatica assai poco cono-sciuta.La scarsa attenzione dei naturalisti verso le pi-nete artificiali dovuta al fatto che costitui-scono un habitat povero, in cui mancano spe-cie di spicco. Fanno eccezione alcuni uccelliche mostrano una netta predilezione per que-ste formazioni, tra cui si pu ricordare lo spar-

ASPETTI NATURALISTICI247

25viere (Accipiter nisus), piccolo rapace diurnoche si nutre prevalentemente di passeraceicatturati in volo, e la cincia mora (Parus ater),passeriforme strettamente legato alla presen-za di conifere e che, grazie alla diffusione de-gli impianti artificiali, ha potuto ampliare il suoareale regionale su parte della pianura e del-le colline. Anche il gufo comune (Asio otus), ra-pace notturno che si nutre per lo pi in habi-tat aperti, utilizza con una certa frequenza glistrobeti sia per nidificare, sia come dormitoricomuni durante il periodo invernale, quando laspecie diventa gregaria. Altre specie relativa-mente frequenti negli strobeti sono general-mente uccelli molto diffusi e adattabili, conuna certa predilezione per le conifere in ge-nere, come il fringuello (Fringilla coelebs).La scarsit di specie animali che frequenta lepinete di pino strobo non deve stupire, in quan-to tutte le formazioni vegetali costituite da spe-cie esotiche sono caratterizzate da zoocenosipi povere, in numero di specie cos come diindividui, rispetto a quelle costituite da specieautoctone; a titolo di esempio, in unarea bo-schiva lungo il Ticino, solo la met delle 24 spe-cie di uccelli nidificanti presenti risultata ni-dificante allinterno di impianti di pino strobo. La minore ricchezza riscontrabile nelle fitoce-nosi artificiali dovuta essenzialmente al fattoche, contrariamente agli ecosistemi naturali incui gli organismi hanno avuto migliaia di annidi tempo per adattarsi gli uni agli altri, gran par-

te degli animali autoctoni (soprattutto insetti)non in grado di nutrirsi di specie vegetaliesotiche, e ci spiega anche perch soventequeste ultime si sviluppino meglio in localit dif-ferenti da quelle di origine, dove i limitatori na-turali o i parassiti sono rari o assenti. Ne con-segue che in questo ambiente si incontrer unnumero molto minore di animali che si nutro-no di sostanze vegetali o funghi e, dunque, an-che i predatori troveranno in queste formazio-ni un ridotto numero di prede. Se da un punto di vista alimentare una pian-tagione di pino strobo in grado di sosteneresolo un numero relativamente ridotto di speciead ampio spettro trofico, pu comunque mo-strarsi interessante per la sosta o la riprodu-zione della fauna selvatica, soprattutto in am-bienti di pianura fortemente antropizzati, in cuila componente arborea naturale quasi com-pletamente scomparsa.Da un punto di vista fisionomico, le pinete ar-tificiali si presentano come un habitat caratte-rizzato da uno scarsissimo sviluppo del sotto-bosco e da unelevata copertura delle chio-me, spesso a contatto tra loro. Ci nonpermette linstaurarsi dellavifauna nidificanteal suolo, come i fagiani, n di un ricco popo-lamento di piccoli mammiferi, quali insettivorie roditori. Lassenza pressoch totale degli

Gufo comune.

Cinciarella.

26

Sparviere.

strati erbaceo e arbustivo non fornisce grandipossibilit di rifugio nemmeno alla fauna terri-cola di dimensioni maggiori (lepri, piccoli un-gulati). A proposito degli ungulati, non sono almomento noti danni gravi sul pino strobo, an-

che in ragione del fatto che, almeno attual-mente, lubicazione geografica dei maggioriimpianti non coincide con le massime densitregionali di cervi, caprioli e daini; comunque,in unarea del Parco regionale della Mandria incui fino a un recente passato esisteva unaltadensit di cervi, il pino strobo stato in gradodi rinnovarsi spontaneamente per tre genera-zioni, il che fa ritenere che questa specie siapoco appetita dagli ungulati.Contrariamente a quanto avviene per la faunadel sottobosco, la presenza di chiome folte edi rami verticillati sub-orizzontali del pino stro-bo favorisce la presenza, nei limiti prima elen-cati, di un certo numero di specie di uccelli, ilche fa valutare la presenza di strobeti non trop-po estesi come favorevoli allavifauna, soprat-tutto in aree di pianura fortemente antropizza-te e intensamente coltivate, purch esse nonsi sviluppino a discapito della vegetazione na-turale.

LA SIMBIOSI MICORRIZICA

un fenomeno biologico che consiste nellas-sociazione intima, a livello delle radichette as-sorbenti, tra i tessuti della pianta ospite e le ifedel corpo vegetativo (micelio) di unampia rap-presentanza di funghi del suolo votati a questaparticolare forma di convivenza. Lo stimolo del-le piante forestali a contrarre rapporti di micor-rizia varia in funzione della specie e della ric-chezza in elementi nutritivi del suolo.Per svilupparsi normalmente nei terreni adibitialla coltura forestale, nei quali gli elementi nutri -tivi prontamente assimilabili sono scarsi, le pi-nacee, tra cui il pino strobo, devono diffusamen -te differenziare sulle proprie radici la presenzadi ectomicorrize. Tali organelli di neoformazio-ne consistono in un mantello di ife fungine (mi-coclena) variamente sviluppato e continuo, cheavvolge a forma di dito di guanto le terminazioniradicali preposte allassorbimento. Da tale ma-nicotto il fungo simbionte, sviluppando le pro-prie ife, colonizza sul fronte esterno il suolo e sullato interno i tessuti epidermici e parenchimati -ci della radice, penetrando tra le cellule e avvol -gendole in un reticolo. In questo rapporto sim - biotico le ife fungine non penetrano le cellu le ve-getali, sicch i flussi di sostanze sono mediatidalle pareti cellulari dei rispettivi organismi.Le ectomicorrize rappresentano quindi la sededegli scambi alimentari tra pianta e fungo: la pri-ma fornisce gli zuccheri sintetizzati nelle fogliee sostanze di crescita, il secondo apporta ac-qua e nutrienti che libera dalle frazioni organi-ca e minerale del suolo, grazie anche al con-tributo energetico che il partner autotrofo gli for-nisce. Lapice radicale, a seguito del processodi micorrizazione, modifica la propria funzio-nalit: non capta pi dalla soluzione circolan-te del suolo con i peli radicali, sostituiti dalla pre-senza della micoclena che ne impedisce la dif-ferenziazione, ma esclusivamente tramite le ifedel simbionte fungino, che con il loro sviluppone amplificano grandemen te le capacit.I funghi micorrizici risultano pertanto indispen-sabili al buon sviluppo delle formazioni naturali

e artificiali di conifere in ogni fase della loro vi-ta: dal semenzale spontaneo o cresciuto in vi-vaio, al giovane piantamento, al bosco maturo.Nel caso specifico dello strobo, alcuni di que-sti miceti possono entrare a far parte del cor-redo simbiontico e giungere a fruttificare gi neiprimissimi anni di vita della pianta, accompa-gnandola poi, in particolari condizioni edafi-che, fino alla senescenza; i pi, tuttavia, rien-trano tipicamente in meccanismi di successio-ne, ritmati ad esempio dalla chiusura dellechiome e dallaccumulo della lettiera. Anchenel profilo del suolo la presenza delle forme mi-corriziche manifesta una distribuzione non ca-suale, a seconda della natura del substrato:una forma legata pi in profondit alla frazioneminerale infatti difficilmente riscontrabile ne-

FUNZIONE E PRESENZA DEI FUNGHI 27

Ovulo malefico(Amanita muscaria).

8

gli orizzonti umiferi di superficie e viceversa.Particolare e intuibile importanza rivestono in-fine le specie capaci di attaccare e decom-porre la lettiera gi in stadio di sostanza orga-nica bruta, assicurando alla pianta un riciclo immediato degli elementi che contiene e con - trastando al meglio ogni perdita per liscivia-zione dei nutrienti. Tra queste si ricordano lecorticacee Amphinema byssoides e Tele phoraterrestris, specie simbionti legate allo strato diaghi indecomposti, e numerosi agarici e bole-ti dei generi Hebeloma, Laccaria e Ixocomus,

a maggiore affinit con la materia organica inpi avanzato stato di umificazione.

LE FRUTTIFICAZIONI FUNGINE

Lo strobo, come specie forestale assai antica elongeva, offre supporto e occasione di vita auna gamma vastissima di generi fungini che so-lo poche altre conifere e latifoglie climacichepos sono vantare negli ambienti temperati delglobo. Pi che dagli studi e indagini sulle micor -ri ze, spesso di difficile attribuzione, ci emergechiaramen te dalla comparsa stagionale dei cor-pi fruttiferi, che nelle annate caratterizzate da unfavorevole andamento meteorologico accom pa -gnano le formazioni affermate di questo pino.Si va dalle specie ipogee, quali alcuni tartufi (inparticolare Tuber maculatum e borchii), elafo-miceti e larcaica Endogone flammicorona (exE. lactiflua), ai pi visibili, conosciuti e coreo-grafici generi epigei a lamelle e a tubuli, quali,per citarne alcuni, russule, lattari, amanite, tri-colomi, boleti, sia a cappello viscido (Ixoco -mus), tra cui il placidus, esclusivo dello strobo,o secco (Xerocomus). Altres ben rappresenta-te sono quelle a comportamento saprofitico,che sviluppano e fruttificano non in diretto con-tatto nutrizionale con il pino ma, come com-mensali, prevalentemente sulla matrice orga-nica da questo rilasciata al suolo. Nellambitodi tale categoria non infrequente rinvenirefruttificate, sotto piantagioni affermate di 25-30e pi anni, lepiote, vescie e clitocibe.Nellampio corredo fungino, solo sommaria-mente sopra richiamato, si contemplano ov-viamente sia specie di buon valore alimentare,sia altre a elevata tossicit. Tra le prime si ri-cordano per i boleti i gi citati pinaroli, con ilpi diffuso granulatus e il pi ricercato luteus,dotato di anello; tra gli agarici gli apprezzatilattari sanguigni, rinvenibili in tutte le speciedistinte allattualit, dal deliciosus, al sangui-fluus, al salmoneus.Tra quelle venefiche ricorrono con una certafrequenza le Amanite, quali la muscaria e la te-mibilissima phalloides.

28

Russula turci.

Imbutino (Clitocybe infundibuliformis).

ENTOMOFAUNA

Se si esamina lentomofauna di piante esotichebisogna considerare che i fitofagi presenti so-no sempre in numero infe riore a quelli noti nel-lareale di origine. Se per una di queste spe-cie viene accidentalmente introdotta, pu pro-vocare danni ben maggiori rispetto a quelli checausa nei luoghi dorigine, in quanto non te-nuta a freno da limitatori naturali (parassiti, pre-datori eccetera), soprattutto negli impianti mo-nospecifici. Inoltre, impianti eseguiti in stazionidifficili o rivelatesi non idonee favoriscono sem-pre linstaurarsi di parassiti che sfruttano lecondizioni di debolezza delle piante.Il pino strobo pu essere danneggiato da al-cuni insetti, per lo pi indigeni, dunque nonspecifici di questo pino, ma presenti su nu-merose conifere. Tra questi, alcuni sono spo-radici, ma in determinate annate o in partico-lari aree geografiche possono presentare pul-lulazioni cicliche (gradazioni) anche massicce,talora causando gravi danni.

Eopineus strobus (Hartig)Afide originario del Nordamerica, introdotto ediffuso in Europa in seguito allimportazione dipiante di pino strobo, diffuso nellItalia set-tentrionale. Dannoso specialmente nei vivai, la-fide, che si presenta con una lanuggine cero-sa bianca, pu provocare ingiallimenti e cadutadegli aghi, quindi deperimenti e disseccamenti;pu anche infestare la corteccia del tronco edei rami di piante giovani. Pertanto, opportuno controllare le piante invivaio e collocare a dimora solo quelle non in-festate.

Dioryctria sylvestrella (Ratzeburg)Lepidottero presente dallEuropa allEstremoOriente, vive a spesa dei Pinus strobus ed ex-celsa, e dei loro ibridi. Le larve attaccano la corteccia del tronco e deirami, in cui scavano gallerie: quando queste in-teressano lintera circonferenza causano la per-dita del cimale per arresto del flusso linfatico.

Negli altri casi possono seguire deperimentiche favoriscono gli attacchi degli scolitidi. Siconsiglia di evitare ferite o grossi tagli di pota-tura e di ricorrere allasportazione e distruzionedelle parti infestate.

Acantholyda erythrocephala (L.) Questo imenottero diffuso in Europa centra-le e settentrionale, Corea, Giappone e Nord -ame rica. In Italia limitato alle regioni setten-trionali, dove colpisce pini, larici e abeti. Le larve si nutrono degli aghi giovani e tesso-no, per proteggersi, manicotti sericei che av-volgono le parti infestate. Dopo aver compiu-to cinque mute si lasciano cadere al suolo,dove trascorrono da uno a tre anni nello stato

AVVERSIT 299

Acantolida: pupe nel terreno.

di prepupa, a circa 10 cm di profondit. Lefem mine sfarfallate a inizio primavera, dopolaccoppiamento, depongono le uova sugliaghi dellanno precedente e dopo 10-15 gior-ni nascono le larve. Come si pi volte osservato in Piemonte, glialberi possono essere completamente defo-gliati in breve tempo, ma reagiscono con le-missione di nuovi aghi. Anche nel caso di fortiattacchi, limenottero non provoca solitamentela morte del pino, ma solo un indebolimento eun rallentamento della crescita.

Neodiprion sertifer (Geoffroy)Questo imenottero, diffuso nellItalia setten-trionale e nellEuropa centrale e settentrionale,attacca di preferenza il pino silvestre e il pino ne-ro nei rimboschimenti in zone calde o soleg-giate. Le larve vivono a spese degli aghi del-lannata precedente. Le piante colpite presen-tano la chioma rarefatta in modo caratteristico.Se linfestazione si protrae per pi anni, le pian-te possono subire attacchi dagli scolitidi. Laprevenzione si basa su adeguate scelte selvi-colturali, mentre il ricorso alla lotta chimica valimitato alla difesa dei giovani rimboschimenti.

Diprion simile (Hartig)Imenottero diffuso in tutta lEuropa settentrio-nale, Siberia e Nordamerica, dove per sta-to introdotto, infeudato a numerosi pini (strobo,silvestre, montano, nero eccetera). Gli adultisfarfallano in aprile-maggio. Dopo lovideposi-zione nascono larve che in giugno-agosto si tra-sformano in pupe e poi in adulti; questi origine -ranno una seconda generazione le cui larvepasseranno linverno sotto forma di eopupa, pertrasformarsi in adulti la primavera successiva.

Si segnalano pure: Rhyacionia buoliana (Har tig),Tomicus piniper da (Linnaeus), Pissodes pi ceae

30 Sopra, Acantolida: danni alle chiomee insetto adulto.

A destra, larve e bozzoli di Diprion.

31

(Il li ger), Diprion pini (L.), Neodi prion pal li pes(Fallen), Thaume topoea pithyocampa (Den. etSchiff.), processionaria del pino e altri ancora.

PARASSITI FUNGINI

Nei nostri ambienti quello pi frequente e te-mibile la Phytophthora cactorum, agente dimarciume radicale che, in caso di attacco alcolletto, provoca la morte repentina di piante

in ogni fascia di et, o, in caso di attacco alleradici periferiche, ne induce prolungati perio-di di sofferenza, con fenomeni di accorcia-mento degli aghi. Il patogeno ha facile diffu-sione e sviluppo nei terreni a drenaggio im-pedito, o mal sistemati per lo sgrondo delleacque superficiali, dove si verificano ristagni an-che temporanei alla base delle piante.Negli impianti di pino strobo in Piemonte non sisono mai riscontrati attacchi di ruggine vesci-colosa da Peridermium strobi, che per contro,causa gravi danni negli Stati Uniti e in altri pae-si confinanti con lItalia. Linfezione determinalalterazione profonda della corteccia, che gene -ra sviluppo anormale dei tessuti e ingrossamen tifusiformi delle parti colpite, ove compaiono sta-gionalmente le fruttificazioni del fungo. In Italia la malattia endemica sul pino cembronelle Alpi, ma non si finora verificato il pas-saggio da questo allo strobo, anche perch ledue specie crescono ad altitudini diverse. Tuttavia, la sporadicit del ribes, ospite prima-rio del patogeno nella forma Cronartium, la di-stanza dalle formazioni di pino cembro e il cli-ma piemontese meno umido durante la sta-gione estiva, non hanno favorito la diffusionedi questa grave avversit, che stata riscon-trata soltanto nei primi anni 60 su partite di se-menzali infetti provenienti dalla Germania esubito distrutte.

CLOROSI FERRICA

Il fenomeno non dovuto a parassiti, ma allecaratteristiche dei suoli; la presenza di un ele-vato tenore di calcare determina la carenza diferro, elemento fondamentale per la sintesidella clorofilla, che un complesso meccani-smo chimico impedisce di rendere solubile edisponibile nel suolo. Nel pino strobo deno-tata da condizioni di sofferenza tipiche: gene-rale ingiallimento e accorciamento degli aghi,stentato sviluppo ed elevata mortalit. Queste manifestazioni sono ancor pi eviden-ti quando il livello di precipitazioni basso, in-feriore a 800 mm allanno.

A sinistra, nido invernale della processionaria del pino e bruchi in processione primaverile.

G iunti alla fine del ciclo produttivo, al di fuo-ri dei rimboschimenti che hanno una de-stinazione forestale permanente, si deve deci-dere come rinnovare limpianto. possibilescegliere tra opzioni diverse:

ritorno alle colture agrarie; arboricoltura da legno con altre specie; arboricoltura da legno con pino strobo; destinazione forestale permanente.

Nellattuale contesto socioeconomico scar-samente probabile che terre marginali gi sot-tratte alle colture agrarie tornino oggi a taleindirizzo. In tal caso, sar necessario procederealla triturazione delle ceppaie e alla lavorazio-ne del suolo per rompere la trama delle radicie meglio integrare la frazione organica nel suo-lo, analogamente a quanto fatto al termine del-la coltura del pioppo. Volendo invece reitera-re larboricoltura da legno, si valuteranno lespecie pi remunerative tra quelle idonee allastazione, tenendo conto della disponibilit dimanodopera qualificata per le cure colturali, so-prattutto le potature, che le latifoglie richiedo-no in misura assai maggiore del pino; allora sa-r possibile seguire lo stesso procedimento op-pure piantare nellinterfila dopo aver attesoalmeno un anno. Sussiste tuttavia il rischio

che agenti della degradazione del legno nelsuolo danneggino i giovani trapianti.Ove la copertura dello strobo abbia dato ri-sultati accettabili dal punto di vista quanti-qua-litativo e della remunerazione economica fina-le (caso di alcuni grandi impianti in terre ido-nee), tenuto conto delle alternative possibili,pu essere nuovamente impostato un ciclocolturale basato su questa specie, pura o even-tualmente mista a latifoglie. Infatti, a partiredai piantamenti esistenti lo strobo si rinnovacon grande abbondanza quando giunge alsuolo sufficiente luce, quindi nelle chiarie ori-ginatesi per mortalit o avversit, oppure do-vute al diradamento; pertanto, se vi sono se-gni di insediamento spontaneo di novellame, possibile, e sicuramente conveniente in as-senza di contributi pubblici, tentare la rinno-vazione naturale dellimpianto, mediante ta-glio raso, o a strisce, o eventualmente taglio di

COME RINNOVARE GLI IMPIANTI32

Nelle chiarie degliimpianti compaiono

vegetazione avventizia

e rinnovazione di pino strobo.

10

33

sementazione (diradamento molto forte a ca-rico di almeno il 50% del soprassuolo), in mo-do da dare luce ai semenzali e lasciare porta-seme in grado di disseminare ulteriormente.Dopo alcuni anni (almeno 5) si valuter il suc-cesso della rinnovazione e si potr effettuare losgombero dei portaseme, rinfoltendo even-tuali vuoti.Volendo puntare alla destinazione forestale,costituendo un bosco misto seminaturale sta-bile, si dovranno valorizzare con diradamentile latifoglie insediatesi spontaneamente, so-stituendo progressivamente il pino strobo, sen-za escludere, qualora sia in grado di rinnovar-si naturalmente, un suo contributo alla futuraformazione. infatti notevole la capacit del pino strobo dirinnovarsi naturalmente a partire da alberi sin-goli o da impianti, a condizione che vi sianoelevati livelli di precipitazioni.

La sua diffusione a partire da piante madri in-trodotte in parchi e giardini nota in molti am-bienti, quali la Valle Pesio, la Val Pellice e le col-line novaresi.Lo strobo, ai sensi delle Prescrizioni di Mas -sima di Polizia Forestale, non pu essere ab-battuto senza autorizzazione nel corso delle ce-duazioni a carico del castagno; pertanto godedi periodiche fasi di buona illuminazione, po-tendo quindi competere con il castagno per al-cuni anni. Poi resta dominato fino a una suc-cessiva ceduazione: di conseguenza, nel girodi 30 anni riesce a raggiungere il piano domi-nante per poi ampiamente sovrastarlo, semprecontinuando a diffondersi naturalmente da se-me. La diffusione si osserva perfettamente nel-la stagione invernale, alla caduta delle foglie.Ancor pi facilmente si diffonde su terreni nu-di, anche su rupi e macereti, o in terreni incol-ti, anche con cotico erbaceo.

C on il termine di arboricoltura da legno si in-tende la coltivazione temporanea e rever-sibile di specie arboree per la produzione qua-litativa o quantitativa di masse legnose da de-stinare a svariati impieghi, effettuando curecolturali assidue e interventi meccanizzati di ti-po agronomico, con turni di durata prestabili-ta secondo le esigenze aziendali e di mercato. Gli impianti costituiti con pino strobo rientranogeneralmente nellarboricoltura da legno, per-tanto non devono sottostare alle Prescrizioni diMassima e di Polizia Forestale (PMPF) relativealla gestione di tutti i boschi, ovunque ubicati edi qualsiasi origine, per effetto dei vincoli idro-geologico e/o paesaggistico (legge Galas so).Quindi, la scelta dellet e dellepoca pi oppor -tuni per i diradamenti e per il taglio finale disgom bero uni camente legata alla maturitcommerciale e alla convenienza economica.Non sono necessarie autorizzazioni o prelimina -ri pareri per i tagli, a eccezione degli impianticollocati in aree protette, dove gli specifici pia-ni di gestione (piano forestale, naturalistico,darea) possono normare larboricoltura da le-gno sia per quanto concerne le specie ammes -se, sia per le modalit colturali e il taglio di uti-lizzazione.La durata del ciclo di arboricoltura del tutto li-bera, almeno in assenza di contributi pubblici,

quali finanziamenti allimpianto, adesione a for-me incentivate di riconversione di terre agrico-le o di riduzione di colture eccedentarie, mes-sa a riposo dei terreni, che impegnino il con-duttore per un prefissato numero di anni oprevedano il conseguimento di un determina-to obiettivo produttivo (piano di coltura). Anchein tali casi sono comunque consentiti la chiu-sura anticipata del ciclo o il reimpianto per cau-se di forza maggiore, quali avversit eccezionalio fitopatie manifestatesi prima della maturit. Terminato correttamente il ciclo colturale, amaturit commerciale si pu sgomberare lim-pianto e riprendere con le colture annuali in ro-tazione, senza vincoli forestali o ambientali.La scelta di rinnovare limpianto di strobo puessere dettata dai risultati tecnici ed economi-ci; in tal caso, indipendentemente dalla mo-dalit di rinnovazione (per reimpianto, disse-minazione o mista), si resta nel campo del-larboricoltura da legno.Nel caso si voglia procedere alla rinnovazionedei piantamenti per seme, in alternativa al ta-glio di sgombero del soprassuolo, e a condi-zione che vi siano segni di potenzialit per laspecie, quali invasione ai margini e nelle chia-rie, si potranno eseguire interventi propri del-la selvicoltura, quali i tagli a raso a file o i taglisuccessivi (tagli di sementazione e di sgom-bero), volti a favorire lo sviluppo del novellameda seme, procedendo poi negli anni seguen-ti alla selezione dei soggetti pi promettenti.Se gli impianti sono abbandonati al loro destinoper parecchi anni, in genere a causa di risul-tati scadenti, e vi si sviluppa una vegetazioneforestale spontanea davvenire a densit si-gnificativa, ci si trover in presenza di un nuo-vo popolamento che avr tutte le caratteristichedi un bosco di neoformazione e il cui regime,di fatto forestale, prescinder del tutto dallin-tenzione, ormai fallita, di praticare larboricol-tura. In questi casi nulla osta allo sgombero delpino, mentre occorre verificare caso per casose si costituita una nuova copertura foresta-le spontanea da mantenere o gestire secondole prescrizioni forestali.

ASPETTI NORMATIVI E OPPORTUNIT

DI FINANZIAMENTO3411

35

Ancora differente il quadro normativo se ci sitrova di fronte a un impianto di pino stroborealizzato con lo scopo o i contributi specificiper il rimboschimento, come i Boschi del -lImpero realizzati negli anni 30 in molte val-li piemontesi: questi devono sottostare alleprescrizioni (PMPF) previste per le fustaie co-etanee, e, qualunque sia la scelta gestionale,rester ferma la destinazione forestale del ter-reno. Giunti a maturit del soprassuolo, si po-tr optare per favorire la rinaturalizzazione delbosco con specie spontanee, o eccezional-mente per il mantenimento della specie, ge-neralmente mista in regime forestale.Il nuovo Regolamento dellUnione Europea

per lo sviluppo rurale n. 1257/1999, derivato daAgenda 2000, nel cui ambito saranno gesti-ti tutti i contributi pubblici in campo agro-fore-stale per il periodo 2000-2006, permetter di ot-tenere finanziamenti per impianti su terreninon boscati agricoli e anche non agricoli, non-ch il miglioramento del valore economico,ecologico e sociale delle superfici boscate siapubbliche sia private.In tale contesto, proseguire sulla strada del-larboricoltura da legno pu diventare unop-zione interessante per tutte le categorie di sog-getti proprietari di terre sufficientemente ferti-li, indipendentemente dalle attuali destinazionie dalla scelta delle specie.

BARIDON, A., Arboricoltura da legno con spe-cie resinose a rapida crescita. Modalit, tec-niche e possibilit di estensione. Prime ri-sultanze nelle Venezie, in Agricoltura delleVenezie, 30, nn. 7/8, 1976.

CASALE, A., CURRADO, I., Gradazioni diDiprion simile (Hartig) su Pinus strobus nel-la pianura piemontese (Hym. Symphyta di-prionidae), in Annali Facolt Scienze Agra -rie, Universit di Torino, vol. XI, 1979.

CIANCIO, O., Le specie forestali esotiche nel-la selvicoltura italiana, in Annali Ist. Sper.Selv. Arezzo, voll. XII-XIII, 1982.

CURR, P., Caratteristiche e principali desti-nazioni del legno prodotto nelle piantagio-ni, in Agricoltura Ricerca, n. 3, 1979.

DELLA BEFFA, G., Gli insetti dannosi allagri-coltura, Hoepli, Milano 1961.

FASSI, B., La ruggine vescicolosa del pinostro bo dovuta a Cronartium ribicola, inMonti e Boschi, nn. 7/8, 1960.

FASSI, B., DIALLO, C., PALENZONA, M., Mar -ciu me delle radici del pino strobo dovuto aPhy tophthora cactorum (Leb. et Cohn)Schroet, in Annales de Phytopathologie,vol. 1, Parigi 1969.

FOWELLS, H., Silvics of forest trees of theUnited States, in Agriculture Handbook, n.

271, USDA Forest Service, Washington(D.C.) 1965.

GIAU, B., Valutazione della redditivit dellecolture di pino strobo al di fuori dellaziendaagraria, in Monti e Boschi, n. 2, 1983.

IPLA, Studi ricerche e applicazioni tecnicheper lincremento della produzione legnosamediante limpiego di specie a rapido ac-crescimento, MAF. Lit. Valetto, Torino 1982.

MINELLI, A., RUFFO, S., LA POSTA, S., Check -list delle specie della fauna italiana, Calderini,Bologna 1995.

MONDINO, G.P., DE VECCHI PELLATI, E.,Descrizione delle stazioni subspontaneedi Pinus strobus in Piemonte, in Monti eBoschi, nn. 7/8, 1960.

OLMI, M., CURRADO, I., PALENZONA, M.,Os servazioni su Dioryctria sylvestrella nelNord Italia, in Italia Agricola, n. 3, 1977.

OSTRANDER, M.D., Identification & evaluationof defects in eastern white pine logs & trees,NE. Forest Exp. Sta., Upper Darby (Pa.) 1971.

PAVARI, A., DE PHILIPPIS, A., La sperimen-tazione di specie forestali esotiche in Italia.Risultati del primo ventennio, in Fond. Sper.Agraria, vol. XXXVIII, Roma 1941.

PICCAROLO, G., La coltura intensiva di alcu-ne piante da legno. Conferenza Soc. Agrariadi Lombardia, in Boll. dellAgricoltura, nn.39-40, 1958.

PINCHOT, G., GRAVES, H., The White Pine,TheCentury Co., New York 1896.

POLLINI, A., Manuale di entomologia applica-ta, Edagricole, Bologna 1998.

PONTI, I., LAFFI, F., POLLINI, A., Avversit del-le piante ornamentali, Ed. LinformatoreAgrario, Verona 1987.

RADU, S., Cultura si valorificarea pinului strob,Ceres, Bucarest 1974.

ROBERTI, D., Gli afidi dItalia, in Ento mo lo -gica, nn. XXV-XXVI, Bari 1991.

SALSOTTO, A., Impianti di pino strobo in pro-vincia di Cuneo, in Annali AccademiaAgricoltura di Torino, 1997.

WILDE, S.A. et al., Growth of Wisconsin coni-ferous plantations in relation to soils, in Res.Bull., n. 262, Univ. of Wisconsin, Ma dison1965.

BIBLIOGRAFIA3612

CopertinaColophon

SommarioPremessa1 Il pino strobo nel suo ambiente naturale2 Diffusione in Europa e Italia3 Esigenze della specie e tecniche di coltivazione4 Accrescimenti e produzione5 Il legno e i suoi impieghi6 La gestione degli impianti7 Aspetti naturalistici8 Funzione e presenza dei funghi9 Avversit10 Come rinnovare gli impianti11 Aspetti normativi e opportunit di finanziamento12 Bibliografia