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FACOLTÀ DI FILOSOFIA
DIPARTIMENTO DI STUDI FILOSOFICI ED EPISTEMOLOGICI
DOTTORATO IN FILOSOFIA
QUESTIONI EPISTEMOLOGICHE NELLA SCIENZA
DELLA NATURA DELL’ULTIMO KANT
Silvia De Bianchi Ciclo XXII
Supervisori Prof.ssa Mirella Capozzi Prof. Giorgio Stabile
A.A. 2009/2010
Ma allora, se l’esperienza è l’alfa e l’omega di tutto il nostro sapere intorno alla realtà,
qual è il posto che la ragione occupa nella scienza?
A. Einstein
INDICE
INTRODUZIONE iii-viii AVVERTENZA ix
Parte I Metafisica e scienza della natura
CAPITOLO I Premesse teoriche per un passaggio dalla metafisica alla fisica Premessa 2 1.1 L’oggetto in generale e quello della fisica 5 1.2 Spazio e tempo: forme dell’intuizione e intuizioni formali 20 1.3 Intuizioni formali e il ruolo dell’unità della sintesi 32 CAPITOLO II L’applicazione della matematica per il passaggio alla fisica Premessa 43 2.1 La Prefazione ai Metaphysische Anfangsgründe der Naturwisenschaft 45 2.2 Il progresso in infinitum, ad infinitum, in indefinitum 58 2.3 L’applicabilità della matematica nella scienza della natura 63 2.4 Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft: un “fallimento”? Il movimento nella Fenomenologia 82 2.5 La materia cosmica e l’universo in espansione 86
Parte II Epistemologia e ontologia: la scienza della natura negli anni ‘90
CAPITOLO III La prospettiva epistemologica aperta dalla Critica della facoltà di giudizio Premessa 108 3.1 La prospettiva epistemologica 109 3.2 Il concetto di tecnica della natura 119 3.3 Forza e materia nella Kritik der Urtheilskraft 132
Parte III La cosmologia e la fisica degli anni ’90
CAPITOLO IV Il problema della mediazione: la fisica sperimentale e il concetto di forza Premessa 146 4.1 Il contesto di riferimento 147 4.2 L’influenza della fisica e della chimica in Über die Vulkane im Monde 166 4.3 La conferma dell’ipotesi cosmologica: il confronto con Herschel 171 4.4 Principi matematici della scienza della natura nell’Opus postumum 181 4.5 Il problema del concetto metafisico di forza 193
CAPITOLO V La prova dell’esistenza dell’etere: Il concetto di “esperienza” tra epistemologia e metafisica Premessa 205 5.1 La prova dell’esistenza dell’etere: una prova apagogica 210 5.2 L’esistenza dell’etere provata ipoteticamente 216 5.3 Ricostruzione dell’argomentazione e il problema dell’esibizione 218 5.4 Il postulato del principio del Passaggio 222 5.5 L’unità collettiva dell’esperienza e il principio Forma dat esse rei 230 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 243 APPENDICE Il posto della ragione nella scienza 248 Allegato I 287 Allegato II 288 BIBLIOGRAFIA 290
ix
AVVERTENZA I testi kantiani sono citati dall’edizione dell’Akademie Ausgabe, Kants Gesammelte Schriften (indicato nel testo con KGS). Al titolo o alla sigla dell’opera segue l’indicazione del volume e della pagina. Le indicazioni per le citazioni delle opere di Kant sono fornite nella Bibliografia. I riferimenti alla traduzione italiana, laddove disponibile, sono indicati in nota. I passi tratti dall’Opus Postumum sono citati dal tedesco. Laddove sia disponibile la traduzione italiana dell’Opus postumum, a cura di V. Mathieu, viene indicato in nota e segue la pagina dell’edizione italiana.
iii
INTRODUZIONE
Questa ricerca sorge da una domanda circa il rapporto che può essere instaurato
tra la filosofia trascendentale e la scienza della natura. A questa prima domanda è
seguito il tentativo di condurre un’indagine approfondita sulla filosofia della natura di
Kant che possa facilitare il compito di una riflessione sul rapporto che intercorre oggi
tra la filosofia e la scienza. Lo scopo della ricerca vuole essere raggiunto attraverso
un’analisi dei testi di Kant e del quadro storico-scientifico, così da rintracciare le
questioni epistemologiche che hanno segnato l’ultima fase della produzione kantiana.
I manoscritti dell’Opus postumum, oggetto di numerosi studi nel corso del
Novecento, costituiscono una fonte fondamentale per ricostruire la concezione kantiana
della materia e delle sue forze, nonché per ricostruire l’insieme delle problematiche e
delle prospettive epistemologiche aperte dalla Kritik der Urtheilskraft.
I concetti fondamentali che vengono presi in esame, presenti come un filo rosso
nel corso della ricerca, sono i concetti di spazio (e tempo), forza e materia, capaci di
gettare una luce sia sulla concezione kantiana della matematica sia sulla configurazione
del rapporto tra filosofia, matematica e fisica.
Il lavoro è costituito da cinque capitoli e da un’Appendice, a cui è affidato il
ruolo di illustrare brevemente l’influenza della filosofia kantiana, così come le sue
acquisizioni e le critiche a cui è stata sottoposta, sul terreno della fisica,
dell’epistemologia e dell’ontologia contemporanee.
iv
Nel corso della prima parte della ricerca (Capitoli I e II), si ricostruiscono
innanzitutto gli elementi caratterizzanti il metodo della metafisica della natura di Kant e
si pone attenzione al processo di costruzione del concetto di materia proposto nei
Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786. La ‘costruzione’
(termine che Kant riserva di norma al procedere della matematica) del concetto di
materia è possibile grazie all’applicazione del metodo della divisione metafisica (che va
distinto da quello della divisione logica), nonché al duplice confronto delle
rappresentazioni tra loro e delle rappresentazioni con la coscienza. Poiché questo
confronto avviene alla luce della topica dei concetti di riflessione, la tesi si impegna in
una ricostruzione della genesi di tali concetti, procedendo a ritroso, vale a dire
prendendo come spunto l’attività sintetica del soggetto, posto nello spazio e nel tempo,
per spiegare come questi sia in grado di originare la topica che Kant segue per la
costruzione del concetto di materia.
Questa indagine pone una domanda sul piano ontologico, ovvero se il concetto
di materia in generale corrisponda o meno all’oggetto fisico. Nella metafisica della
natura, infatti, l’oggetto è costruito come un sistema di relazioni, di rapporti reciproci
attivi tra le forze motrici della materia. La prima parte anticipa alcuni temi, che
torneranno ad essere analizzati nel Capitolo V. Nella misura in cui la materia cosmica,
identificata con l’etere, viene definita da Kant in termini di spazio ipostatizzato, la
seconda parte del Capitolo I si occupa della concezione kantiana dello spazio e del
tempo.
Ricostruendo la concezione kantiana di epoca critica dello spazio, come forma
dell’intuizione e intuizione formale, si possono evidenziare le grandi potenzialità
dell’approccio trascendentale che trova applicazione sia nei Metaphysische
Anfangsgründe der Naturwissenschaft, sia nella filosofia della matematica di Kant,
laddove è determinante lo statuto dell’algebra. La doppia determinazione dello spazio,
quale intuizione formale e quale forma dell’intuizione, rende ‘flessibile’ la nozione
dello spazio e riesce a dare conto, sia dell’applicazione della matematica alla fisica, sia
della trattazione quantitativa della materia in generale, così come dei corpi fisici e delle
loro interazioni.
Nel Capitolo II la tesi pone in evidenza il ruolo svolto dall’algebra nella
costruzione di spazi vettoriali nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft
e, al tempo stesso, mostra come le possibili sintesi progressive siano funzionali
all’applicazione della matematica alla fisica. Grazie all’analisi della riflessione kantiana
v
sul concetto di serie infinita e di serie indefinita, si può comprendere al meglio in che
senso l’algebra, secondo Kant, sia una scienza ampliativa, non solo della geometria
algebrica, ma anche della fisica.
Nella seconda parte (Capitolo III), la tesi affronta alcune questioni
epistemologiche della Kritik der Urtheilskraft per meglio inquadrare il problema della
costruzione di una cosmologia e di una cosmogonia, e, dunque, il problema della
possibilità di conoscere la totalità materiale. Tali questioni sono risultate di estrema
importanza anche per tenere conto della pubblicazione nel 1791 di un estratto del saggio
precritico di Kant Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels.
Le pagine della critica della facoltà teleologica del giudizio, in particolare quelle
dedicate alla dialettica, mostrano come Kant configuri il rapporto tra ontologia ed
epistemologia in maniera da fornire un quadro di riferimento all’attività dello scienziato.
Con il concetto di tecnica della natura Kant intende asserire che è impossibile giudicare
teleologicamente sulla generazione naturale a partire da un fondamento ontologico
esterno alla natura stessa. In questo modo il concetto di tecnica della natura (sulla base
della cooperazione del giudicare determinante con il giudicare riflettente) diventa uno
strumento concettuale adatto, per un verso, al processo, sempre provvisorio, di ricerca
delle cause della generazione naturale e, per l’altro verso, all’elaborazione di una
dottrina della natura. In controtendenza con le interpretazioni dominanti di Brandt,
Horstmann e Förster, è possibile individuare nel concetto di tecnica della natura la
chiave di volta per la comprensione del rapporto tra il principio della facoltà teleologica
del giudizio e il fondamento soprasensibile. Al tempo stesso, questo concetto può
gettare una luce sulla novità della terza Critica rispetto alla Kritik der reinen Vernunft.
Nella terza parte della ricerca (Capitoli IV e V), la tesi ricostruisce, utilizzando
un’ampia letteratura secondaria, le fonti scientifiche di Kant e l’influsso esercitato da
esse anche su alcuni scritti minori, per offrire un quadro esauriente della concezione
kantiana della forza e della materia. La tesi cerca poi di chiarire il rapporto tra filosofia,
matematica e fisica che si configura in epoca tarda.
Grazie ad un’analisi diretta dei manoscritti dell’Opus postumum e avvalendosi
della riflessione di M. Jammer sulla natura metafisica del concetto di forza, si mette in
luce l’esigenza di Kant della matematizzazione della forza, che lo conduce nell’Opus
postumum all’uso del termine ‘energia’ (Energie), proprio per spiegare la dinamica della
materia cosmica in termini di spostamento e trasferimento di forza. Questo approdo, che
certamente non anticipa la teoria einsteiniana, dimostra come Kant non solo avesse fatto
vi
propri i principi della termologia di Lavoisier, ma anche che li avesse applicati alla
materia cosmica.
Il Capitolo V si occupa della prova dell’esistenza dell’etere da una doppia
prospettiva, sia storica che filosofica. Da un lato, si mostra come il legame tra la prova
dell’esistenza della materia cosmica e il piano della percezione fosse un argomento
topico dell’epoca. Dall’altro lato, la peculiare trattazione kantiana di una prova a priori
dell’esistenza di un tutto materiale affonda le sue radici nella stessa filosofia critica.
La prova effettivamente tentata da Kant è basata, oltre che sul principio di
identità, anche su elementi presenti da sempre nella filosofia di Kant, come il rapporto
fondamento-conseguenza (posita rationem ponitur rationatum), sviluppati nella Kritik
der Urtheilskraft, specialmente là dove quel rapporto serve a determinare il principio
del giudizio teleologico e il sostrato soprasensibile.
Nell’Opus postumum, il principio forma dat esse rei, tradotto in chiave
trascendentale, è legato alla materia cosmica proprio in questa specifica relazione. Per
Kant non vi potrebbe essere filosofia trascendentale a fondamento della conoscenza e
dell’esperienza, senza la presupposizione della materia cosmica e delle sue forze motrici
riunite in un sistema del tutto delle percezioni esterne, e senza la presupposizione delle
forze esercitate dal soggetto. Di qui la necessità di una dottrina dell’auto-posizione del
soggetto che faccia da pendant a quella della materia e che sia riunita con essa in un
sistema del mondo (Weltsystem).
La filosofia kantiana mostra chiaramente dei limiti legati allo stadio degli studi
della fisica e della chimica dell’epoca. Tuttavia, piuttosto che valutare esclusivamente i
limiti dell’approccio kantiano, è parso più proficuo mettere in luce in un’Appendice gli
elementi che nell’epistemologia contemporanea sono stati ripresi e sviluppati a partire
dall’analisi kantiana.
La convinzione generata da questa ricerca è quella di un merito storico da
attribuire alla filosofia trascendentale e al neo-kantismo, ossia quello di aver compreso
il nesso tra una fisica matematica in espansione e la fisica sperimentale. Kant si colloca
all’origine di questa acquisizione storica, che ha prodotto lo sviluppo di ricerche su
potenti strumenti di rappresentazione e comprensione della realtà fisica.
Questa convinzione è stata generata dalla considerazione di due risultati
fondamentali della filosofia di Kant che riguardano sia il processo di costruzione
matematica sia la realtà fisica concepita come una rete interconnessa di rapporti
reciproci attivi.
vii
Nel primo caso, questa ricerca offre un’interpretazione dello spazio flessibile
caratterizzante l’idealismo trascendentale, tale da svelare l’importanza che per Kant
aveva il rapporto tra la metafisica e l’ontologia con la fisica. Il punto di vista kantiano
che mira all’unificazione del piano metafisico ed ontologico, attraverso lo strumento
matematico, ha aperto la strada per la moderna epistemologia. Illustri matematici e fisici
del Novecento, tra cui H. Weyl, hanno incarnato l’esempio da cui si possono trarre
importanti conclusioni. Infatti, l’attualità degli studi kantiani oggi può dimostrarsi
attraverso la connessione con le altre discipline. Nella fattispecie risulta emblematica la
fecondità dello studio sistematico della concezione kantiana della costruzione
matematica e dei concetti di riflessione nel quadro dell’idealismo trascendentale,
qualora tale studio venga legato allo sviluppo della geometria algebrica e della
topologia.
Questa ricerca intende mostrare, in secondo luogo, come nella storia della
scienza, ed in particolare modo nel caso dell’elaborazione delle teorie di gauge, sia stato
effettivamente possibile connettere filosofia e fisica grazie allo strumento della
matematica, partendo da una concezione formalista dello spazio-tempo.
In terza istanza, proprio la domanda ontologica sullo spazio e sul tempo, che in
questa sede ha trovato un’ampia trattazione proprio sulla loro natura flessibile e
formale, può costituire il cuore per lo sviluppo di studi successivi.
Nel 1989 J. Earman in World enough and space-time espresse una posizione che
la presente ricerca ha tenuto presente nel condurre l’indagine. Secondo Earman, infatti,
“the setting of classical space-time is flexible enough to accommodate coherent versions
of both views: that all motion is relative motion and that motion involves some absolute
quantities, whether velocity, acceleration or rotation: empirical adequacy favors the
latter view”.1 Earman, dunque, ha notato, come la concezione relativistica dello spazio-
tempo si dimostri molto piú inospitale al relazionalismo della concezione classica.2
1 J. Earman, World enough and space-time: Absolute Versus Rational Theories of Space and Time, Cambridge 1989, pp. 108-111.
La
definizione operativa dello spazio e del tempo, introdotta dalla relatività, non ha
certamente risolto il problema di che cosa siano spazio e tempo, così come non ha di
certo esaurito le prospettive della ricerca contemporanea, che tengono presente le
possibili risposte a questa domanda, confrontando relatività e fisica quantistica.
2 M. Jammer, Concepts of Space. The History of Theories of Space in Physics, New York 1993, p. 221: “Relativity theory, in either its special or general form, is more inimical to a relational conception than is classical physics”.
viii
Ora, Kant si pose una questione epistemologica di questo tipo, circa la natura
assoluta o relazionale dello spazio, tenendo ben ferme sullo sfondo della sua riflessione
le figure di Leibniz e Newton. Come si vedrà nel corso della trattazione, infatti, Kant ha
cercato di elaborare con l’idealismo trascendentale una posizione che prevedesse la
condizione di possibilità di una valutazione della materia (intesa come una realizzazione
dello spazio-tempo), sia da un punto di vista relazionale che assoluto.
Questo approccio chiaramente investe la questione epistemologica
sull’oggettività, di cui si parla nell’Appendice, ma che qui vale la pena di introdurre
come il punto fondamentale da cui trarre le conseguenze filosofiche più feconde. Il fatto
che Kant abbia identificato la realtà oggettiva in una rete di rapporti reciproci attivi, in
cui il soggetto sia immerso, costituisce la premessa di tutta la sua metafisica. L’aspetto
degno di nota è che questa premessa sia stata sostanzialmente mantenuta dagli artefici
della rivoluzione della teoria della relatività. Di fatto questo sembra essere quel
principio a priori che molta parte dei filosofi della scienza hanno cercato. Questo può
essere trovato e legato effettivamente con le scienze fisico-matematiche, solo se si
mantiene l’idealismo trascendentale di spazio e tempo, cioè solo se sul piano
epistemologico si pone il soggetto all’interno di questa rete di rapporti reciproci e si
riconosce una natura formale e flessibile di queste forme di organizzazione della
molteplicità. Un’organizzazione suscettibile di indefinite ed infinite possibilità, segno di
un’inesauribilità della dimensione empirica e storica della conoscenza umana.
PARTE I
METAFISICA E SCIENZA DELLA NATURA
2
CAPITOLO I
PREMESSE TEORICHE PER UN PASSAGGIO DALLA
METAFISICA ALLA FISICA
Premessa
Questa sezione, che funge da premessa per l’analisi delle sezioni e dei capitoli
successivi, tenta in primo luogo di individuare gli elementi del metodo che Kant segue
per la costituzione della metafisica della natura come sistema. In secondo luogo, in
questo capitolo si procede nel distinguere quello che Kant chiama “oggetto in generale”
dall’oggetto fisico. Come possono essere, infatti, oggetti fisici i corpi e i fenomeni non
direttamente osservabili? E’ questa una delle domande fondamentali a cui Kant ha
voluto rispondere nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla
fisica e che ha impegnato buona parte della sua ultima produzione.
Negli anni ’90 del XVIII secolo, infatti, la fisica sperimentale e l’astronomia
erano progredite al punto da riconoscere l’esistenza in natura di fenomeni elettrici e
magnetici in cui agivano forze sconosciute e che producevano mutamenti nella
composizione chimica dei corpi. Da qui la necessità, fatta propria da Kant, di stabilire
delle forze derivative della materia che connettessero i fenomeni con le forze
fondamentali e primitive della materia.
Un punto teorico che si vuole sottolineare in questo lavoro è proprio la
consapevolezza da parte di Kant della necessità sia di un fondamento materiale dei
fenomeni indiretti sia di un apparato teorico adeguato alla fondazione della fisica.
Come risulterà evidente nel corso della trattazione, Kant non sviluppa una teoria
della materia a partire da puri fondamenti metafisici. Il tentativo di formulare anche
3
diverse ipotesi sulla natura e sulla struttura della materia, non prescinde dai risultati
sperimentali della fisica e della chimica dell’epoca. Si può scorgere, infatti, uno
sviluppo del metodo della filosofia trascendentale come mezzo di una teoria della
conoscenza, in vista della costituzione di una filosofia della natura.1
Uno dei possibili modi per connettere la produzione precritica con quella
successiva alla pubblicazione della Critica della facoltà di giudizio risiede proprio
nell’analisi del rapporto di mediazione e conciliazione tra metafisica e fisica, dal
momento che la riflessione sulla materia e sulle sue forze è una costante della
produzione kantiana. Sul piano epistemologico si può tradurre questo rapporto come
questione della possibile connessione di a priori ed empirico in un sistema. Nell’ultima
fase della sua produzione lo sforzo di Kant di costituire un ponte tra i principi metafisici
della scienza della natura e la fisica passa attraverso l’inclusione della chimica tra le
scienze,
2 la definizione della matematica come strumento della ragione3
Tenendo presente quest’ultimo punto, è possibile riscontrare nell’Opus
postumum una non perfetta aderenza della trattazione della materia e quella dello spazio
geometrico. In sostanza, Kant era conscio del fatto che uno spazio fisico che
rispecchiasse pienamente lo spazio geometrico euclideo non poteva darsi. Erano solo
alcuni fenomeni legati al movimento dei pianeti o alla disposizione delle galassie che
potevano essere tradotti direttamente sul piano dello spazio geometrico, nella meccanica
pura. Vi erano invece fenomeni legati allo studio dei gas, all’elettricità, al magnetismo,
alla statica e alla dinamica dei fluidi che implicavano un altro tipo di “modellizzazione”
legato alla difficoltà della matematizzazione delle forze primitive e derivative della
materia, che necessitavano piuttosto di una trattazione qualitativa dei loro rapporti. Il
comportamento della materia in questi casi – si pensi alla viscosità – poteva essere
rappresentato geometricamente,
e la possibile
separazione tra la trattazione geometrica dello spazio e quella fisica.
4
1 H. Lyre, Kants „Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft“: gestern und heute, in Deutsche Zeitschrift für Philosophie, 3, 2006, pp. 401-416.
ma imponeva la duplice trattazione matematica delle
sue proprietà, attraverso il calcolo differenziale, e soprattutto presupponeva
l’individuazione della chimica come uno strumento per determinarne gli effetti e la
natura.
2 Cfr. Infra, Capitolo IV. 3 Cfr. Infra, Capitolo IV. 4 Attraverso una rappresentazione del continuo spazio-temporale e la localizzazione della regione della sfera di influenza delle forze fondamentali della materia.
4
Per la filosofia trascendentale kantiana si delinea così la possibilità sia di
rappresentare uno spazio fisico legato al concetto di sostanza fenomenica nello spazio,
di cui si determiano le forze motrici, sia di pensare uno spazio geometrico come il
risultato di rapporti dinamici tra le sue parti grazie ad una attività sintetica e allo
strumento dell’algebra.
Resta da chiedersi su quale base, per Kant, si apra la questione della distinzione
tra spazio fisico e spazio geometrico. Nel corso di questo lavoro si cercherà di
argomentare che la risposta a questa domanda risiede nello stesso idealismo
trascendentale. Quest’ultimo costituisce la premessa teorica che consente di pensare la
possibilità di una non-identificazione tra spazio geometrico e spazio fisico, ma allo
stesso tempo lascia margine per una loro possibile compatibilità, nella misura in cui si
afferma la natura formale dello spazio. Ciò da luogo ad una concezione dello spazio
‘flessibile’, le cui conseguenze verranno studiate nel Capitolo II, analizzando la
possibilità di determinare spazi vettoriali grazie all’algebra lineare e dunque la
possibilità di costruire lo spazio della meccanica classica nei Metaphysischen
Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786.
Questo risultato è possibile grazie alla posizione teorica dell’idealismo
trascendentale che non presuppone affatto uno spazio come entità, cosa o oggetto, bensì
vede lo spazio come funzione unificatrice, di organizzazione e collocazione di un
molteplice eterogeneo.
L’importanza capitale dell’idealità dello spazio (e del tempo) per una
comprensione della metafisica della natura kantiana è stato il cuore della tesi sostenuta
da G. Martin in Kant’s Metaphysics and Theory of Science. Così come Martin prende le
mosse da una certa interpretazione della teoria kantiana dello spazio e del tempo per
giungere ad una conclusione sul piano dell’ontologia, la ricerca intende approdare
all’epistemologia kantiana e alla sua connessione con l’ontologia, a partire
dall’interpretazione della concezione dello spazio e del tempo. Tuttavia, al contrario di
Martin, si sostiene che Kant non ha riproposto una relazione di ispirazione aristotelica
tra realtà e categorie ontologiche di spazio e tempo.5
5 G. Martin, Kant’s Metaphysics and Theory of Science, Manchester 1955, pp.150-151.
L’idealismo trascendentale, bensì,
non implica che ciò che occupa spazio sia reale, ma che un qualcosa (Etwas) può avere
realtà solo nella dimensione spazio-temporale. In questo senso non può essere accettata
la tesi di Martin, poiché per Kant dal punto di vista ontologico anche una figura
geometrica è reale, in quanto spazio rappresentato come oggetto e costruito nel tempo.
5
Inoltre Martin intende “realtà” (Realität), in termini hegeliani, come “effettualità”
(Wirklichkeit), quando invece lo spazio, rappresentato oggettivamente, può essere reale
senza trovare un oggetto fisico ad esso corrispondente, può infatti essere solo pensato.
Questa impostazione teorica sullo spazio-tempo ha evidenti ricadute sulla
concezione della matematica, ma soprattutto permette di distinguere il piano filosofico
da quello fisico: la rivoluzione del modo di pensare lo spazio e il tempo, non preclude a
Kant la possibilità di mantenere una concezione dinamica della materia e dei suoi
principi meccanici. E’ proprio a partire dall’acquisizione dell’idealismo trascendentale
che Kant è in grado negli anni ’90 di connettere sul piano epistemologico una teoria
della materia, posta all’interno di un Sistema del Mondo (Weltsystem), con principi
razionali a priori. In questo quadro la matematica può assurgere a strumento della
ragione per la fondazione della fisica, poiché contiene in sé quell’elemento arbitrario
(willkürlich) atto a specificare la dinamica della materia, che a sua volta riposa su
principi metafisici. Si procederà, dunque, ad una ricostruzione degli elementi della
metafisica kantiana di epoca critica su cui si basa la possibile determinazione a priori
del concetto di materia in generale, che verrà analizzata nel prossimo capitolo. Una
volta stabilita la natura dell’oggetto della fisica, distinto dall’oggetto in generale, questo
capitolo procede e si conclude con l’analisi della concezione ‘flessibile’ dello spazio (e
del tempo) in epoca critica fino agli ultimi scritti.
1.1 L’oggetto in generale e quello della fisica
Nell’ambito del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla
fisica, Kant inserisce in un medesimo quadro di riferimento, quello della fisiologia
metafisica, sia la dimensione epistemologica sia la dimensione ontologica, quando
propone una prova dell’esistenza della materia cosmica a cui fa da pendant la dottrina
dell’autoposizione (Selbstsetzungslehre):
Dalla filosofia trascendentale o ontologia (Wesenlehre) segue la fisiologia (metafisica)
degli oggetti dell’esperienza secondo principi a priori: la dottrina dei corpi e la dottrina dell’anima. Da esse discendono la cosmologia e la teologia.6
6 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 458 : „Auf die transsc.[endentalen] Philos.[ophie] oder die Wesenlehre folgt die Physiologie (metaphysische) von Gegenständen der Erfahrung nach principien a priori Korperlehre und Seelenlehre. Auf sie Cosmologie u.[nd] Theologie”. Citazione modificata, parentesi mie, traduzione mia.
6
Kant compie un’operazione nient’affatto scontata per l’epoca: separa, infatti, la
nozione di oggetto in generale dalla sfera della cosa in sé e trasferisce gran parte dei
concetti dell’ontologia di Baumgarten nell’impianto della filosofia trascendentale,
identificando quest’ultima con l’ontologia stessa (Wesenlehre). La prospettiva
ontologica di Kant mira alla determinazione a priori della realtà dell’ens nell’ambito
della fisiologia, non più della metafisica generale. L’ultimo Kant configura un’ontologia
fortemente legata alla classificazione dell’empirico, in linea con l’epistemologia
professata nella Kritik der Urtheilskraft, che funge da pietra di paragone negativa per la
Naturwissenschaft teoretica. Kant, dunque, attua una distinzione tra piano
epistemologico e ontologico, ma i due sono riuniti nell’Opus postumum.7
Se per la metafisica della natura kantiana l’ens è la materia in generale,
nell’Opus postumum la materia cosmica (Weltstoff) o etere (Aether), in quanto spazio
ipostatizzato, è la totalità della sostanza
8
Dal punto di vista ontologico, il concetto di movimento, che è un predicabile per
Kant, è assunto come tale nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft
proprio in vista della determinazione della materia in generale.
che appare nel fenomeno e, come oggetto
dell’esperienza possibile, deve necessariamente essere legata all’attività sintetica del
soggetto, perché se ne possano determinare i caratteri attraverso i predicabili.
9 Per designare
quest’ultima, Kant utilizza il temine Materie überhaupt designando con questo il mobile
nello spazio, ciò le cui parti occupano spazio e non possono essere semplici. Con questa
definizione Kant vuole dare una rappresentazione matematica di materia, che verrà
analizzata più dettagliatamente nel prossimo capitolo.10
Nell’Opus postumum si assiste, invece, a qualcosa di diverso rispetto all’opera
del 1786, in quanto il concetto dell’oggetto da determinare a priori non è più quello di
materia in generale, ma quello di oggetto della percezione per (für) l’esperienza, ovvero
l’ens è ciò che può darsi empiricamente (dabile empirice), attraverso la costruzione di
un sistema delle forze motrici, che assumono il carattere di un predicabile, quello del
movimento, ma dal punto di vista della causalità, ovvero del nesso causa-effetto,
7 Cfr. infra, Capitolo V. 8 B. Falkenburg ha riconosciuto l’importanza di questo punto e ha trattato dello spazio come totalità di relazioni, connettendo questo tema con la fisica di Einstein. Cfr. B. Falkenburg, Die Form der Materie, Zur Metaphysik Der Natur Bei Kant Und Hegel, Frankfurt am Main 1987. 9 Cfr. Falkenburg (1987), p. 53 nota. 10 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 163: “Die metaphys. Anf. Gr. der NW. legten von ihrem Objekt, der Materie, keinen andern Begriff zum Grunde als den des Beweglichen eines Dinges im Raum, und da kein Teil der Materie einfach sein kann so wird die Materie überhaupt und jeder Teil derselben auch als raumeinnehmend mithin als zusammengesetzt gedacht. — Das ist die mathematische Vorstellung der Materie”.
7
implicando una rappresentazione dinamica della materia empirica, che può essere
esposta attraverso concetti a priori:
Es ist also möglich und so gar notwendig a priori für die Erfahrung Gegenstände der Wahrnehmung durch die bewegende Kräfte der Materie als empirischer Vorstellungen in einem System aufzustellen d.i. der Übergang von den metaphys. A. Gr. der NW. zur Physik ist möglich weil ohne dieselbe selbst der Begriff vom Nichtsein der Materie (ihrer Aufhebung) unmöglich wäre. Es ist widersinnig: Es scheint gar unmöglich zu sein das was nur durch Erfahrung gekannt werden kann (empirice dabile) und zwar Physik als dem Elementarsystem der bewegenden Kräfte der Materie in so fern Ursachen der Wahrnehmung sind und die Einteilung ein Gegenstand der Wahrnehmung der Erfahrung sein kann (empirice dabile) unter die Begriffe a priori zu stellen.11
In questo caso sono le forze motrici della materia, in quanto rappresentazioni
empiriche, a costituire, da un lato, un sistema della fisica, ma anche, dall’altro, le
condizioni di possibilità della percezione, in quanto sono causa della percezione stessa.
In questo modo le forze motrici della materia causano l’attività della percezione. Ma,
per poterlo fare, necessitano della posizione del soggetto, che è interno al sistema in cui
esse operano e ne subisce l’azione, sebbene sia solamente la sua attività sintetica capace
di riunirle in un sistema. Questo mutuo rapporto si traduce in un’interazione tra
soggettivo ed oggettivo, che segue il rapporto Grund-Folge:
Das Objektive in der Erscheinung setzt das subjektive voraus in den bewegenden
Kräften oder, umgekehrt, das Empirische in der Wahrnehmung setzt die Form der Zusammensetzung der bewegenden Kräfte in Ansehung des Mechanischen voraus.12
Le profonde implicazioni di questa visione verranno discusse nei capitoli
successivi e nell’Appendice. Per ora si noti come per Kant l’idea di oggettività,
nell’ambito della scienza, contiene in sé l’unità di questi due momenti, del soggettivo e
dell’oggettivo, che non solo non possono essere ridotti al concetto di oggetto in
generale, ma acquistano significato nel contesto della filosofia trascendentale solamente
in base ad un presupposto metafisico: la realtà è costituita dall’esistenza di rapporti
reciproci attivi tra le parti. Al soggetto spetta la determinazione del nexus, della
connessione tra queste parti, secondo principi a priori.
Da questo punto di vista l’Übergang von den metaphysichen Anfangsgründe der
Naturwissenschaft zur Physik costituisce un luogo privilegiato per l’analisi di questa
ricerca, in quanto non solo è il luogo in cui Kant definisce l’oggetto fisico, distinto
11 Opus postumum, KGS XXII, p. 371. 12 Opus postumum, KGS XXII, p. 372.
8
dall’oggetto in generale, ma anche la sede in cui viene rafforzato il legame della
dimensione metafisica con quella dell’ontologia e dell’epistemologia.13
Ai fini della presente ricerca un’analisi del concetto di oggetto in generale e
dell’idealismo trascendentale può essere di estrema utilità, sia per definire la concezione
kantiana della materia in generale, che per gettare luce sulle argomentazioni di cui egli
si serve per provare l’esistenza della materia cosmica nel Passaggio dai principi
metafisici della scienza della natura alla fisica. Non è trascurabile, del resto, il fatto che
la nozione kantiana di oggetto in generale rappresenti forse il più discusso argomento
che la critica abbia mai sottoposto ad indagine. Questa nozione, corrispondente a quella
di oggetto trascendentale o oggetto = X, è posta al centro del dibattito degli ultimi
decenni sull’interpretazione della filosofia di Kant in termini di realismo ed
antirealismo.
14
In questa sede è opportuno analizzare, pertanto, la definizione che Kant formula
nell’Opus postumum, mostrando come il concetto di oggetto = X sia generato seguendo
il filo conduttore delle categorie e come esso riveli una dimensione fondativa per la
metafisica governata dai concetti di riflessione. Non è irrilevante considerare, infatti,
che il contraltare della posizione nella coscienza dell’oggetto in generale sia il
fenomeno e che entrambi siano posti in una relazione reciproca di fondamento (Grund)
e conseguenza (Folge) che segue la dicotomia dei concetti di riflessione di interno ed
esterno.
15
13 Come verrà esposto in seguito questo legame è stato articolato da Kant nel periodo critico grazie all’elaborazione della riflessione sull’algebra (Capitolo II) e alla riflessione sulla finalità condotta nella Kritik der Urtheilskraft (Capitolo III).
Il fenomeno è, quindi, presentato anche come la conseguenza esterna dello
stato interno di un substrato che è conoscibile solo attraverso le determinazioni
fenomeniche delle sue relazioni esterne. La cosa in sé (Ding an sich), che esiste a
prescindere dal soggetto, è suscettibile di un processo mediante cui è resa oggetto nel
fenomeno. Nella misura in cui il soggetto stesso si rende oggetto a se stesso, ovvero
attua una comprensione delle condizioni di possibilità dell’esperienza, determina questi
principi e anche che cosa è oggetto per lui con certezza (Gewissheit). Questo processo
indica una sostanziale unità di soggetto e oggetto nell’atto conoscitivo e dispiega il
14 Si pensi ad esempio al dibattito tra H E.Allison, Kant’s transcendental Idealism: an Interpretation and Defense, New Haven 1983, II ed. 2004, e K. Ameriks, Kant's Theory of Mind, Oxford 1982, II. Ed. 2000; oppure al testo di K. Westphal, Kant’s transcendental Proof of Realism, New York 2004. Ancora su questo si veda D. Heidemann, Kant und das Problem des metaphysischen Idealismus, Berlin 1998. Per la lettura di H. Putnam sul realismo interno kantiano, cfr. infra, Appendice. 15 Su questo punto cfr. P. Schulthess, Relation und Funktion, Berlin 1981, pp. 34 nota; 60-63; 79-88; 148; 165.
9
senso del mutuo rapporto di fondamento (Grund) e conseguenza (Folge) che Kant
ascrive all’oggetto in generale e al fenomeno.
a) L’oggetto in generale
Nell’introdurre il concetto di oggetto in generale, in sede di Appendice
all’Analitica trascendentale, Kant si pone in polemica con la tradizione metafisica di
Wolff e Baumgarten, nella misura in cui afferma che:
Il più alto concetto, con il quale si suole dare inizio ad una filosofia trascendentale, è
comunemente la divisione in possibile e impossibile. Ma poiché ogni divisione presuppone un concetto da dividere, si deve fornire un concetto ancora più alto, e questo è il concetto di un oggetto in generale (quando lo si assuma problematicamente, e rimanga incerto se tale oggetto è qualcosa oppure nulla). Poiché le categorie sono gli unici concetti, che si riferiscano ad oggetti in generale, si procederà allora a distinguere se un oggetto sia qualcosa oppure nulla, seguendo l’ordine e l’indicazione delle categorie.16
Il concetto di oggetto in generale si può definire secondo l’ordine delle categorie
e presuppone l’attività della riflessione trascendentale e quella dell’unità
dell’autocoscienza. Tale concetto deve essere assunto problematicamente dalla ragione,
proprio come quello di noumeno, in quanto di esso non può darsi propriamente
esperienza nel fenomeno, sebbene ogni esperienza e ogni organizzazione sistematica del
sapere lo presupponga. Il concetto più alto della filosofia trascendentale coincide con la
regola della conoscenza possibile, ovvero che la nostra intuizione è di natura sensibile.
Quindi, se si vuole determinare il sostrato fuori dell’autocoscienza (la materia),
occorre determinarlo come esterno e come diverso dalla capacità rappresentativa
soggettiva: il soggetto si conosce come fenomeno, cioè come conseguenza di una
determinazione interna di un sostrato intelligibile esterno e allo stesso tempo, perché
questo possa essere rappresentabile per il soggetto, deve produrre effetti sul contenuto
empirico della coscienza, nella sensazione.
L’osservazione preliminare da fare è quella secondo cui la facoltà a cui viene
ricondotta l’attività della riflessione per la determinazione dell’oggetto in generale non è
l’intelletto, bensì la sensibilità. In altre parole, la cosa stessa (die Sache selbst) per la
filosofia trascendentale non è l’oggetto determinato in modo assoluto o in se stesso, ma
la posizione di esso in termini relativi. La ‘cosa stessa’ è rappresentata dalle condizioni
dell’esperienza possibile e questo indica che l’esperienza non può essere un che di
16 KrV, A290/B346.
10
pensato e nemmeno un che di puramente dato. L’esperienza è legata alla dimensione del
fatto, e, dunque, in quanto risultato o parte di un processo, presuppone il soggetto e la
sua attività.
Da un punto di vista epistemologico, quindi, l’oggetto dell’esperienza possibile
non può essere identificato se non si fonde con l’attività del soggetto. Allo stesso tempo
però, sul piano ontologico, qualsiasi determinazione dell’oggetto in generale equivale a
una sua limitazione che, secondo l’ordine delle categorie, lo fa “cadere” nel qualcosa o
nel nulla. Nell’assumere problematicamente, invece, l’oggetto in generale, si limitano le
condizioni di possibilità dell’esperienza stessa, nella sua relatività, nella sua possibilità
legata sempre all’attività della coscienza e alle condizioni dell’intuizione sensibile, alle
sue forme, ovvero allo spazio e al tempo. Il concetto di oggetto in generale diviene la
pietra di paragone negativa per la determinazione delle condizioni di possibilità
dell’esperienza, delle forme e dei principi delle facoltà conoscitive, ovvero dell’oggetto
del criticismo. La definizione kantiana di oggetto in generale è la seguente:
L’oggetto in generale 1. secondo la forma dell’intuizione senza un qualcosa che contenga questa forma (spazio e tempo) 2. l’oggetto come qualcosa (aliquid est objectum qualificatum) è l’assegnazione dello spazio e del tempo senza di cui entrambi non sono altro che intuizioni vuote. Questo qualcosa è posto nello spazio e nel tempo nella seconda classe delle categorie 3. questo reale nello spazio e nel tempo è determinato secondo le sue relazioni oppure è pensato a priori per le relazioni in se stesse 4. qualcosa come oggetto di una coscienza empirica (immediata) di una cosa fuori di me. Contro l’idealismo. Perciò qualcosa come oggetto del senso, non della semplice immaginazione.17
Questa definizione del concetto di oggetto in generale non era stata esplicitata da
Kant nella Critica della ragione pura, sebbene in quella sede fosse chiaro che l’oggetto
= X indicasse l’oggetto in generale come prima determinazione della capacità
rappresentativa e primo vero inizio di ogni filosofia (da cui discendono le
determinazioni del qualcosa e del nulla), in quanto l’oggetto in generale non è altro che
il principio dell’unità per la possibilità dell’esperienza.
L’oggetto in generale è secondo la forma dell’intuizione, ciò che contiene la
forma senza un qualcosa, cioè è spazio e tempo. Comparare il concetto di oggetto in
generale con la facoltà della sensibilità conduce all’identificazione dell’oggetto di essa,
17 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI p. 458: “Das Objekt überhaupt 1. Der Form der Anschauung nach ohne ein Etwas was diese Form enthält (Raum u. Zeit). 2. Das Objekt als Etwas aliquid est objectum qualificatum, ist die Besetzung des Raumes u. der Zeit ohne die beide leere Anschauungen sind. Dieses Etwas ist in der Zweiten Klasse der Kategorien in den Raum u. Zeit gesetzt. 3. Dieses Real im Raume u. Zeit nach Verhältnissen desselben bestimmt oder für die Verhältnisse in denselben a priori gedacht. 4. Etwas als Gegenstand eines empirischen Bewusstseins (des Unmittelbaren) eines Dinges außer mir. Gegen den Idealismus. Also Etwas als Objekt der Sinne nicht bloß der Einbildung”.
11
ovvero la forma senza la materia (Stoff). Questo significa che spazio e tempo dal punto
di vista della sensibilità, come pure forme o intuizioni sensibili, sono la prima
condizione di possibilità perché si dia esperienza. L’oggetto in generale, per divenire
qualcosa (Etwas), richiede l’assegnazione dello spazio e del tempo, senza che le due
siano intuizioni vuote. La coscienza si appropria delle sue rappresentazioni
riempiendole di contenuto, cioè riconoscendo il diverso come contenuto dell’esperienza
sebbene ancora indeterminato e, cioè, come qualcosa. Dunque, perché si dia esperienza
serve che qualcosa sia dato, cioè sia reale nella forma dell’intuizione e questo qualcosa
è in primo luogo il riconoscersi della coscienza come identica nel diverso e come
esistente nella determinazione del senso interno. Inoltre, come reale, determina le sue
relazioni nello spazio-tempo, oppure è pensato a priori per le relazioni in se stesse.
Infine come Gegenstand è qualcosa di esterno come oggetto immediato della coscienza
empirica.
Sebbene non possa corrispondere al concetto di oggetto in generale alcun
oggetto particolare nell’intuizione, è rilevante, tuttavia, il fatto che Kant ritenga
possibile sulla base dei concetti di riflessione e delle categorie, una sorta di costruzione
delle determinazioni interne del concetto di oggetto in generale. Questa costruzione
filosofica dei concetti è un darstellen, un esibire le condizioni di possibilità
dell’esperienza e del giudicare. Dunque, il concetto di oggetto in generale è il frutto
dell’attività della coscienza di porsi nel tempo in rapporto con le sue rappresentazioni,
che appartengono al senso esterno in generale.
E’ evidente che si pone un problema in questo contesto rispetto allo spazio.
L’autoaffezione e l’affezione della coscienza presuppongono, secondo la dottrina
kantiana, la percezione, ovvero che le rappresentazioni della coscienza abbiano un
grado, ovvero realtà:
Col porre la realtà di una cosa, io pongo senza dubbio qualcosa di più che la possibilità.
Questo di più non lo pongo tuttavia nella cosa. In effetti, la cosa non potrà mai contenere, nella realtà, più di quanto è contenuto nella sua completa possibilità. Piuttosto mentre la possibilità è semplicemente una posizione della cosa in rapporto con l’intelletto (col suo uso empirico), la realtà è al tempo stesso una connessione della cosa con la percezione.18
Dunque, come Kant sostiene nella confutazione dell’idealismo, per poter dare
conto della dimensione del senso interno per la determinazione della coscienza, non si
può non presupporre a fondamento di questa possibilità una relazione esterna della
18 KrV, A235/B288.
12
coscienza e una dimensione del senso esterno che non sia corrispondente a una sostanza
intuibile. Kant sottolinea, però, che la possibilità di percepire una qualsiasi
determinazione di tempo, solo mediante la variazione dei rapporti esterni (il
movimento), in relazione a ciò che è permanente nello spazio, dipende dal fatto che
questo permanente che possiamo porre a fondamento dell’esperienza del senso esterno è
la materia:
E questa stessa permanenza non viene attinta dall’esperienza esterna, bensì è presupposta a priori come condizione necessaria di ogni determinazione temporale, e quindi anche come determinazione del senso interno rispetto alla nostra propria esistenza, mediante l’esistenza di cose esterne.19
Kant non professa qui assolutamente una forma di idealismo che implichi la
necessità dell’esistenza di ogni rappresentazione intuitiva di cose esterne. Il discorso
kantiano è più incentrato a mostrare la reciproca dipendenza tra esperienza interna ed
esterna:
Qui abbiamo voluto dimostrare soltanto che l’esperienza interna in generale è possibile
unicamente attraverso la esperienza esterna in generale.20
La dipendenza dell’esperienza interna in generale da quella esterna implica una
necessaria differenziazione della modalità del giudicare tra possibilità, realtà ed
esistenza, pena il ricadere nell’idealismo. Questa differenza è posta in primo luogo nella
determinazione del “dato” come dabile, cioè nella possibilità del reale in generale, ma
anche nella possibilità di determinare un reale, cioè di percepirlo e di averlo nella
sensazione con coscienza. In secondo luogo, ciò che è reale esiste in una certa
connessione con l’intelletto e con altre cose fuori di noi. La posizione dell’esistenza,
determinata come necessità in generale e al tempo stesso anche come contingenza
nell’esperienza, contrassegna l’ontologia kantiana e la distanzia da tutta la tradizione
precedente. L’ammissione della compresenza di un carattere contingente e necessario
della conoscenza umana è la cifra della filosofia trascendentale e la premessa da cui può
discendere anche il suo carattere progressivo:
Il fatto che una qualsiasi esperienza presunta non sia semplicemente un’immaginazione, deve essere stabilito in base alle sue particolari determinazioni e mediante un confronto con i criteri di ogni esperienza reale.21
19 KrV, B278.
20 KrV, B279.
13
Questo continuo confronto necessario tra l’esperienza e le sue condizioni di
possibilità garantisce un progresso come tendenza (Tendenz). Una possibile
corrispondenza, che non è mai coincidenza, tra realtà ed esistenza non solo puó rendere
conto dell’estrema varietà dell’empirico, ma asseconda anche la natura sistematica della
ragione e dei suoi principi.22
Per Kant, quindi, la connessione effettiva (nexus effectivus) nel fenomeno può
essere giudicata secondo possibilità, realtà o necessità, ma ad un livello ontologico
comunque viene considerata come un che di esistente in relazione alle nostre facoltà
conoscitive. Si comprendono meglio, allora, le ragioni per cui la definizione di oggetto
in generale corrisponda alle condizioni dell’esperienza possibile e che in sé un tale
oggetto non possa essere completamente determinato. Se non è possibile farne
esperienza è perché l’esperienza umana determinata è un che di contingente e che
contiene sempre una materia (Stoff) che deve essere “aspettata”.
Questa corrispondenza è segnata, peró, dalla contingenza
del dominio dell’empirico, che permette al soggetto non la conoscenza delle cose in sé,
bensì, la conoscenza della connessione (nexus) reale della cosa con la percezione
(realtà) e dei fenomeni tra loro. Tale connessione è per noi determinabile a priori in
base a principi dell’esperienza possibile, secondo le categorie di relazione, ed è per noi
giudicabile e comunicabile universalmente, secondo le categorie di modalità.
23
Sotto questo profilo, Kant ribadisce il fatto che di qualcosa di puramente
possibile non possiamo fare esperienza, possiamo enumerarne logicamente e a priori i
predicati, anche in modo completo, ma mai ne potremmo predicare a priori l’esistenza,
in quanto l’esistenza (Existenz) cessa di essere un predicato e diviene una posizione
dell’esserci (Dasein) espresso da un giudizio quantomeno assertorio e che presuppone
una realtà, un grado nella percezione. Risulta evidente l’importanza di questo punto per
il chiarimento delle pagine della Critica della ragione pura, dove Kant osserva che:
L’oggetto in generale
è solo la forma di questa possibilità.
Se noi riflettiamo soltanto logicamente, ci limitiamo allora a confrontare tra loro,
nell’intelletto, i nostri concetti, osservando se due concetti abbiano proprio lo stesso contenuto, se essi si contraddicano o no, se qualcosa sia contenuto entro il concetto, oppure si aggiunga ad
21 KrV, B279. 22 Quello che sembra problematico nella filosofia kantiana è proprio questa simmetria tra ragione e natura. Di questo si parlerà diffusamente in seguito, nel capitolo che si occupa di questioni squisitamente epistemologiche, dedicato alla Critica della facoltà di giudizio. 23 Cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft (KdU), KGS V, p. 407; trad. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999; KrV, A176/B218
14
esso, e notando quale dei due sia dato, e quale invece debba considerarsi soltanto come un modo di pensare quello dato. Ma se io applico questi concetti ad un oggetto in generale (in senso trascendentale), senza determinare ulteriormente se esso sia un oggetto dell’intuizione sensibile oppure di quella intellettuale, si mostrano allora senz’altro certe limitazioni (perché non si oltrepassi questo concetto di un oggetto in generale), che sconvolgono ogni uso empirico dei concetti di riflessione, e proprio perciò dimostrano che la rappresentazione di un oggetto come cosa in generale non soltanto è insufficiente, ma è inoltre, senza una sua determinazione sensibile e indipendentemente da condizioni empiriche, contrastante in se stessa. Le suddette limitazioni dimostrano dunque, che si deve o astrarre da ogni oggetto (come avviene in logica), oppure se si assume un oggetto, pensarlo sotto le condizioni dell’intuizione sensibile.24
Nel rovesciare completamente la metafisica e la logica wolffiana per cui ogni
determinazione completa implicava anche l’esistenza di qualcosa – il cui principio
recita, omnimoda determinatio est existentia et existentia est omnimoda determinatio –
Kant pone uno scarto affermando che la completa possibilità non è esperibile, perché
non possiede un determinato corrispettivo reale nella percezione. Tuttavia Kant dirà,
nell’Opus postumum, che in un solo caso speciale ciò che esiste, sebbene non possa
essere percepibile, ed è però il tutto dell’esperienza del senso esterno, ovvero la materia
cosmica, è reale perché è presupposto nella sua esistenza come un postulato necessario
della ragione in vista di ogni esperienza possibile e, dunque, di ogni modificazione della
sensibilità. Non è un caso che Kant dia una definizione completa dell’oggetto in
generale proprio nell’Opus postumum, in quanto deve distinguere quelle che sono le
condizioni di possibilità dell’esperienza in generale, da quelle dell’esperienza
empiricamente determinata, in particolare dell’oggetto della fisica. Kant giunge alla
prova dell’esistenza dell’etere, intendendola come materia cosmica, e dunque all’interno
di un problema epistemologico di determinazione della totalità nel quadro del Sistema
del Mondo e non più di una Critica della ragione pura. In secondo luogo, il ritornare sul
problema della materia, nell’ultima fase della sua produzione, conduce Kant ad una
riflessione sulla filosofia trascendentale stessa, della concezione della sostanza e del
rapporto che tra le forze motrici e la materia, che nel 1787 era definito nei seguenti
termini:
Noi conosciamo la sostanza nello spazio solo attraverso forze, che agiscono in un certo
spazio, o con l’attirarvi altre sostanze (attrazione) o con l’impedire ad altre sostanze di penetrarvi (repulsione e impenetrabilità). Altre proprietà costituenti il concetto della sostanza, che appare nello spazio e che chiamiamo materia, noi non ne conosciamo.25
24 KrV, A279/B335. 25 KrV, A265/B321.
15
Non è un caso che nei Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft
del 1786 Kant non attribuisca necessità alle forze di attrazione e repulsione e ne provi
solo la possibilità, attraverso la negazione del loro contraddittorio. Al contrario
nell’Opus postumum, sulla base delle due forze primitive, Kant tenterà a priori una
determinazione delle proprietà della materia, affermando che essa può essere
apprensibile o impercettibile, coercibile o incoercibile, coesibile o incoesibile,
esaustibile o inesaustibile.26
Come verrà analizzato nel capitolo V, dedicato alla prova
dell’esistenza dell’etere, Kant legò profondamente e inscindibilmente alla dimensione
della percezione il concetto di materia e quello di forza, fondando su di essi e sul loro
rapporto di fondamento-conseguenza la possibilità dell’esperienza stessa, quoad
materiale. Per il momento è opportuno analizzare quale fosse la natura dell’oggetto
fisico, date le premesse esposte riguardanti l’oggetto in generale.
b) L’oggetto della Fisica
Nell’Opus postumum, Kant ha fornito numerose definizioni di quale dovrebbe
essere l’oggetto della fisica, che discende necessariamente dall’oggetto della
Naturwissenschaft. Per Kant, infatti, l’oggetto della scienza della natura può essere o la
materia in generale o il corpo fisico. La materia in generale è oggetto dei
Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft e la sua trattazione nell’opera
inedita Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft zur
Physik (Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica) permette
di definire un corpo fisico e gli oggetti dell’intuizione empirica della materia attraverso
una divisione (Eintheilung), che si vedrà essere tra le più avanzate dell’epoca:27
oggetti dell’intuizione empirica della materia
forze elementi
materiali corpi fisici
organici inorganici
viventi vegetativi
26 Cfr. Opus postumum, XXI, p. 599. 27 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 374.
16
Ora, per Kant, nel passaggio dalla materia in generale ai corpi fisici è necessario
trovare la determinazione, grazie ad una divisione interna al concetto di materia in
generale, che sia in grado di connettere quest’ultima con l’altro membro che è oggetto
della Naturwissenschaft, ovvero i corpi organici ed inorganici. I corpi organici possono
essere trattati direttamente o indirettamente. Nel primo caso, come puri meccanismi
sono conoscibili empiricamente, in quanto ciò che la materia in generale e il corpo
fisico hanno in comune sono il movimento e la forza. Ma non semplicemente quella in
generale, che Kant divide in attrattiva e repulsiva, quanto le sue conseguenze empiriche,
ovvero la coesione e l’espansione.
Per determinare a priori nell’ambito della fisica le forze agenti nel mondo, Kant
assume che bisogna considerarle in quanto cause efficienti. Allora, per determinare la
materia, occorre partire dalla sua definizione di essere “il mobile nello spazio”. Questo
significa che la fondazione della fisica deve partire da un concetto empirico, quello di
movimento, perché questo è l’unico che permetta una determinazione delle forze
motrici della materia secondo una causalità efficiente, per noi determinabile e
conoscibile con certezza apodittica:
Ma tutte le forze fisiche sono contenute nel concetto di movimento come cause efficienti il cui effetto può essere nella sensazione e come elemento dell’esperienza ha fondamenti empirici, la cui causa non può essere data senz’altro a priori, come invece [può essere data] la forma dei diversi rapporti in cui esse devono essere poste per avere effetto.28
Assumere il movimento come concetto primo da determinare ha anche un’altra
funzione, quella di agevolare una trattazione matematica e filosofica dell’oggetto della
fisica. Questo è possibile sia perché il movimento può essere costruito, sia perché è
possibile un’esibizione a priori delle forze motrici della materia e dei loro rapporti
reciproci che determinano la materia come il tutto delle sue forze motrici – il che si
vedrà essere l’esperienza nella sua universalità collettiva.
Seguendo il filo conduttore delle funzioni logiche nei giudizi e il canone dei
concetti di riflessione si ottiene la determinazione, sebbene solamente problematica e
soggettiva, di tali rapporti reciproci attivi:
28 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 387 : „Alle physische Kräfte aber sind in dem Begriff der Bewegung als wirkender Ursache enthalten deren Wirkung mithin empfindbar ist und als Element der Erfahrung sich auf den empirischen gründen, deren Ursache nicht a priori gegeben werden kann wohl aber die Form der Verschiedenen Verhältnisse in die sie gesetzt werden müssen um zu wirken“.
17
Der Einteilung dieser bewegenden Kräfte nach welche subjektiv und diskursiv in der Naturforschung das Elementarsystem der Materie entwirft und nur problematisch und subjektiv den Inbegriff dieser aktiven Verhältnisse vorstellig macht enthält folgende Tafel: — Die Materie ist entweder ponderabel oder imponderabel: coërcibel oder incoërcibel cohäsibel oder incohäsibel: exhaustibel oder inexhaustibel. — Gemäß der Tafel der Kategorien: Quantität Qualität Relation und Modalität wobei doch der Schematismus der Reflexionsbegriffe der Unterscheidung des Sinnlichen vom Intellektuellen in den Paralogismen der Urteilskraft vorwalten muss besonders aber das Dynamische voran gehen u. dann das mechanische folgen muss vide Kästner. — Bloße Empirie giebt kein Prinzip der Verbindung bewegender Kräfte und intellektueller Einheit des Systems ab und nur Erscheinung giebt ein solches ab. Aber indirekte Erscheinung d.i. Erscheinung der Erscheinung im empirischen Erkenntnis der Auffassung der bewegenden Kräfte ist wiederum in der Erfahrung die Sache selbst. Die Wahrnehmung der Stoffe z. B. in der Betastung und allen übrigen Berührungen der Sinnenorgane macht ein System der subjektiven empirischen Vorstellung.29
La divisione metafisica segue dei criteri nella determinazione delle relazioni
reciproche attive che rispondono ai concetti di riflessione.30
Così il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica
dovrà considerare in primis le forze motrici esterne della materia in generale
(meccaniche), in secondo luogo quelle interne (dinamiche), sebbene le prime
discendano dalle seconde, come verrà mostrato nel capitolo IV, dove verrà sottolineata
la polemica con Kästner e Gehler su questo punto.
Perciò i concetti di interno
ed esterno, secondo relazione, sono chiamati ad indicare la realtà oggettiva (grado) e
non la mera possibilità logica dei rapporti tra le forze della materia (+A e –A) con la
sensazione.
In secondo luogo, il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura
alla fisica considera le determinazioni dei limiti della materia stessa, attraverso le forze
organiche (poiché la materia inerte non è presa in considerazione nella determinazione
delle forze motrici della materia), e quella che Kant chiama Willenskraft dell’uomo,
ovvero la forza motrice dell’uomo su un oggetto sensibile (sia esso il soggetto stesso
nella sua intuizione interna, una cosa, o un altro soggetto). Con questo quarto termine
Kant intende immettere nel dominio della fisica anche la creatura come intelligenza e
sorprendentemente ribadisce la totale estraneità di questa considerazione da qualsiasi
tipo di causalità esterna libera.31
Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, in
sostanza, considera l’intelligenza nella sua capacità produttiva entro il dominio della
natura, senza considerare la causalità libera o qualsiasi dimensione teologica. Kant ha di
29 Opus postumum, KGS XXII, pp. 338-339. per la determinazione dell’esperienza come la cosa stessa. Cfr. infra, Capitolo V, §5.5. 30 Cfr. infra, Capitolo II. 31 I. Kant, Opus postumum, KGS XXII, p. 299.
18
fatto svincolato la fisica, come fisiologia trascendentale, dalla considerazione di
un’origine extramondana o divina dell’intelligenza. L’approccio kantiano, dunque,
mostra una sua attualità quando pone in primo piano il problema della vita per la fisica
come scienza. Il considerare la vita una forza al pari delle altre conduce alla sua
definizione di “forza produttiva”.32
Per chiarire meglio questo punto si deve tener presente l’influenza che la terza
Critica ha esercitato sugli appunti manoscritti, sulla possibile trattazione della dicotomia
tra materia inerte e materia viva e tra corpi organici ed inorganici. Per Kant un corpo
senza vita non è sinonimo di corpo inorganico, in quanto la forza produttiva a cui egli
ha connesso la definizione di vita non contraddice la possibilità per un corpo inorganico
di produrre e trasmettere forza produttiva.
Ora questa spontaneità deve essere spiegata a partire
dall’intrinseca capacità generatrice della natura e rappresenta il vero e proprio “mistero”
da svelare, in quanto costituisce un “salto” ontologico e conoscitivo da un genere ad un
altro.
Tuttavia, non è possibile provare e dare una visione epistemologica coerente di
qualunque passaggio o generazione da un corpo inorganico a uno organico, se essi
vengono considerati e confrontati attraverso il concetto di vita. Piuttosto Kant cercò una
soluzione per spiegare questo passaggio attraverso il concetto di forza produttiva
comune ad entrambi. Si consideri il passo seguente della Critica della facoltà di
giudizio:
Un’ipotesi di questo tipo si può chiamare un’audace avventura della ragione, e pochi, perfino dei naturalisti più acuti, debbono essere quelli cui non sia talvolta passata per la testa. Infatti non è appunto incongrua, come la generatio aequivoca, per la quale si intende la generazione di un essere organizzato mediante la meccanica della materia bruta non organizzata. Essa sarebbe pur sempre generatio univoca nel significato più generale del termine, in quanto sarebbe generato solo qualcosa di organico da qualcos’altro di organico, sebbene specificamente distinto da quello nell’ambito di questo genere di esseri, per esempio se si sviluppassero progressivamente certi animali acquatici in animali palustri e da questi, dopo alcune generazioni, animali terrestri. A priori nel giudizio della semplice ragione, la cosa non è contraddittoria. Solo che l’esperienza non mostra di ciò alcun esempio; secondo l’esperienza ogni generazione che conosciamo è piuttosto generatio homonyma, non è solo univoca in opposizione alla generazione da materia non organizzata, ma produce anche un prodotto omogeneo, nell’organizzazione stessa, al generante, e la generatio heteronyma non si riscontra da nessuna parte fin dove arriva la nostra conoscenza d’esperienza della natura.33
Questa è solamente una delle questioni epistemologiche che Kant lasciò aperte
nel 1790, ma che ha avuto un’importanza capitale per definire le forme possibili di
32 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 211. 33 KdU, KGS V, p. 419 nota.
19
produzione della natura come sistema. Kant pensava, dunque, nell’ultima fase della sua
produzione, che le forze organiche dovessero essere distinte da quelle meccaniche e
dinamiche, in quanto verrebbero misurate nei corpi organici solo come cause finali. Per
questa ragione Kant assegna, nell’ambito della fisiologia, lo status di “maximum del
progresso”34
Per ora basti inquadrare la divisione metafisica che Kant attua nell’Opus
postumum che dovrebbe contenere tutte le forze che consentono alla fisica di avere un
oggetto completamente determinato nel suo concetto e, dunque, di potersi costituire a
sistema e non come semplice aggregato.
alla dicotomia organico/inorganico: è in questa di dicotomia che si cela sia
la piú alta classificazione dei corpi fisici, sia la sfida per la scienza della natura, quella
della spiegazione della possibilità della generazione dell’organico. Questo iato di cui si
deve dare conto è stato oggetto della Kritik der Urtheilskraft e rappresenta il nodo
epistemologico che Kant lasciò insoluto nel 1790, ma che ha sempre tenuto sullo sfondo
per la sua riflessione sulle possibili forme di produzione della natura come sistema. Di
questo si parlerà estesamente, quando si metterà in luce l’importanza capitale che svolge
il concetto di tecnica della natura per la risoluzione di problemi epistemologici della
filosofia kantiana.
A questo punto, però, sorge un problema fondamentale che questa ricerca deve
affrontare: Kant afferma una sostanziale inconoscibilità diretta della materia in quanto
sostanza, così come un’impossibilità di conoscere lo spazio. La materia, però, è ciò che,
sebbene indirettamente, rende sensibile lo spazio.
Nei prossimi paragrafi si indaga la natura dell’idealismo trascendentale per
mostrare come la concezione kantiana dello spazio e del tempo possa essere coerente
non solo con l’ipostatizzazione dello spazio, ma anche con la possibile fondazione di
un’interazione tra filosofia e matematica nell’ambito della fisica.
Secondo M. Jammer esiste un rapporto di fondamento e conseguenza tra
l’interrogarsi sulla natura dello spazio-tempo e la costituzione di una teoria cosmologica
e cosmogonica.35
E’ infatti grazie ad un’analisi dettagliata del rapporto fra spazio, tempo e sintesi
che si può chiarire la doppia natura dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione
Se si accetta questa visione si comprende l’enorme importanza di
un’analisi sullo spazio e il tempo secondo l’idealismo trascendentale, così da chiarire lo
statuto del Passaggio dai primi principi metafisici della scienza della natura alla fisica.
34 I. Kant, Opus postumum, KGS XXI, p. 214. 35 M. Jammer (1993).
20
e intuizioni formali e conseguentemente gettare luce sulla nozione di spazio fisico o
materiale, sulle diverse modalità di costruzione del movimento, della materia e delle sue
forze. Solamente grazie al chiarimento della possibile applicazione della matematica
alla fisica, è possibile comprendere la concezione kantiana della loro fondazione e
mutua relazione sulla base dell’idealismo trascendentale.
1.2 Spazio e tempo: forme dell’intuizione e intuizioni formali
La tesi di questa ricerca mira alla definizione dello spazio kantiano come
flessibile e all’individuazione del ruolo fondamentale della sintesi soggettiva della
composizione (Zusammenstellung), capace per prima di determinare l’ordine della
progressione della sintesi e di costituire un elemento fondamentale per la costruzione
matematica.
Un’analisi dello spazio come intuizione formale e del ruolo importante giocato
dalla sintesi per la geometria è stata condotta da R. Torretti in The Philosophy of
Physics.36
La concezione newtoniana e quella leibniziana rivelavano due opposti modi
ontologici e metafisici di concepire lo spazio e il tempo. Kant, il quale aveva rigettato la
visione realista di Newton dello spazio e del tempo come assoluti, si è senz’altro
distanziato da Leibniz, pur prendendo le mosse dalla metafisica razionalistica, nella
misura in cui ha definito lo spazio e il tempo come forme dell’intuizione e dunque come
condizione di possibilità dei rapporti tra le cose e non come il loro risultato. E’ a partire
da questo che Kant ha completamente ribaltato la prospettiva leibniziana di uno spazio
relazionale, ma indissolubilmente legato alla dimensione metafisica delle sostanze.
Prendendo spunto dalla riflessione di Torretti, si sostiene che non è possibile
determinare la concezione kantiana dello spazio, senza tenere presente l’elemento
dell’unità della sintesi dell’appercezione e, al tempo stesso, che è necessario spiegare le
ragioni profonde della possibilità di una esposizione metafisica e di una trascendentale
del concetto di spazio. Proprio grazie all’attività sintetica, infatti, è possibile una doppia
determinazione dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e intuizioni formali
e, dunque, l’applicazione della matematica alla fisica, secondo la premessa
dell’idealismo trascendentale.
In primo luogo è opportuno riassumere la posizione kantiana nel periodo critico.
Nella Critica della ragione pura, oltre ad essere trattati come forme dell’intuizione,
36 R. Torretti, The Philosophy of Physics, Cambridge 1999, pp. 113-118.
21
spazio e tempo sono esposti come intuizioni formali. Questa loro trattazione trova luogo
non solo nell’Analitica trascendentale, ma anche in parte dell’Estetica trascendentale,
in particolare nell’Esposizione metafisica dei concetti di spazio e tempo. In questa sede
spazio e tempo vengono presentati in qualità di ciò che contiene le determinazioni del
concetto rappresentato a priori (cogitabile), a prescindere dalla funzione trascendentale
per l’esperienza, secondo cui invece sono sempre forme dell’intuizione.
Innanzitutto nell’Esposizione metafisica Kant afferma che lo spazio non è un
concetto empirico e le sue parti sono in un rapporto di coordinazione e coesistenza, sia
interna che esterna, mentre nel tempo le parti sono in rapporto di simultaneità o di
successione. Entrambe sono necessarie rappresentazioni a priori. Lo spazio è a
fondamento di tutte le intuizioni esterne, mentre il tempo di tutte le intuizioni, perché
solo in esso è possibile la realtà del fenomeno.
Da un lato lo spazio è un’intuizione pura, un unicum, le cui parti sono pensate
entro di esso, dall’altro il tempo ha una sola dimensione e fonda gli assiomi del tempo
in generale, cioè è posto a fondamento di tutte le rappresentazioni. Il punto cruciale di
questa esposizione, che indica l’intimo legame dell’Estetica trascendentale con
l’Analitica trascendentale, consiste nel fatto che il tempo ha una sola dimensione e,
dunque, la sua infinità significa che ogni grandezza determinata di tempo è possibile
solo con limitazioni dell’unico tempo che è alla base.
D’altra parte lo spazio è rappresentato come un’infinita grandezza data e
contiene in sé un numero infinito di rappresentazioni, perché le sue parti devono essere
pensate entro un unicum illimitato e indeterminato.
Queste due ultime osservazioni celano l’opera di una sintesi spontanea
dell’intelletto attuata dall’immaginazione attraverso le funzioni logiche della quantità e
della qualità in riferimento ad un molteplice delle rappresentazioni che può essere dato
(dabile).
L’osservazione più degna di nota è che quando si ha a che fare con lo spazio e il
tempo, in quanto intuizioni formali, questi vengono trattati direttamente come quanta,37
Ora è opportuno chiedersi che cosa accade quando lo spazio venga rappresentato
come oggetto e dunque sia rappresentato come il “materiale” che è sottoposto alla forma
della sintesi dell’intelletto. In altre parole, si tratta di spiegare come sia possibile che lo
sono cioè rappresentati oggettivamente secondo le funzioni logiche nei giudizi e i
concetti delle loro proprietà possono essere costruite nell’intuizione.
37 Cfr. KrV, A140/B179-A147/B187.
22
spazio e il tempo siano ontologicamente anche intuizioni formali e da dove derivi il
fatto che lo spazio e il tempo, come forme dell’intuizione, rendono possibile la
collocazione delle rappresentazioni secondo delle coordinate a priori.
Per gettare luce su questi punti fondamentali della produzione critica, si propone
una ricostruzione della concezione dello spazio e del tempo degli anni ’90, in cui Kant
ha esplicitato molti passaggi oscuri della sua dottrina dell’intuizione.
In epoca tarda Kant afferma che lo spazio e il tempo sono un prodotto della
Vorstellungsvermögen, cioè della Selbstätigkeit, in quanto spontaneitas, i quali
svolgono la funzione di rappresentare l’intuibile (aspectabile)38 come pensabile
(cogitabile).39 In un testo del Nachlass, risalente al maggio 1797 circa, Kant chiarisce
che tutti gli oggetti (Objecte) sono: 1) il sensibile 2) l’intuibile (aspectabile) e 3)
l’intelligibile.40
Questo significa che la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé
indica due modi con cui il soggetto rappresenta se stesso in relazione ad un oggetto.
Questi sono connaturati alla spontaneità mediata, in quanto attività, e cioè fondati sulla
capacità di porre se stessi e la rappresentazione con coscienza di se stessi sotto un
doppio rispetto. Il seguente passaggio chiarisce questo punto, ricorrendo alle nozioni di
cognitio primaria e secundaria:
In dem Erkenntnis eines Gegenstandes liegt zweierlei Vorstellungsart 1. des Gegenstandes an sich 2 dem in der Erscheinung. Die erstere ist diejenige wodurch das Subjekt sich selbst uranfänglich in der Anschauung setzt (cognitio primaria) die zweite da es sich mittelbar selbst zum Gegenstande macht nach der Form wie er affiziert wird (cognitio secundaria), diese letztere ist die Anschauung seiner selbst in der Erscheinung, die Anschauung wodurch der Sinnengegenstand dem Subjekt gegeben wird ist die Vorstellung und Zusammensetzung des mannigfaltigen nach Raumes//und Zeitbedingungen. Das Objekt an sich = X ist nicht ein besonderer Gegenstand sondern das bloße Prinzip der synthetisch Erkenntnis a priori welches das formale der Einheit dieses Mannigfaltigen der Anschauung in sich enthalt (nicht ein besonderes Objekt).41
La distinzione kantiana tra spontaneità e recettività e tra fenomeno e noumeno,
fondata sull’idealismo trascendentale, risponde concretamente alla fondazione della
possibilità dei giudizi sintetici a priori. E’ solo grazie al doppio modo di “porsi in
38 Il termine “aspectabile” viene utilizzato da Kant solamente in epoca tarda nel periodo attestato posteriore al maggio 1797. Il termine deriva dal verbo latino aspicio, che significa guardare, rivolgere lo sguardo. In questo contesto dunque è il modo della rappresentazione del soggetto che determina ciò verso cui possiamo rivolgere lo sguardo. Non è un caso che la funzione dinamica dello spazio kantiano risponda perfettamente e con flessibilità all’esigenza di rendere pensabile ciò che è internamente riguardabile, intuibile. 39 Opus postumum, KGS XXII, p. 42. 40 I. Kant, Handschriftlicher Nachlass, n° 6344, in KGS XVIII, pp. 668-670. 41 Opus postumum, KGS XXII, p. 20.
23
relazione” della coscienza42
alle forme pure dell’intuizione dello spazio e del tempo che
queste ultime sono in grado di fondare giudizi sintetici a priori, cioè è grazie ad
un’attività sintetica che opera sulla sensibilità da cui riceve un materiale (Stoff):
Bestimmungen a priori in Raum und Zeit fuhren notwendig zu der Aufgabe der transzendental Philosophie: Wie sind synthetische Erkenntnis a priori möglich und die Losung dieser Aufgabe fuhrt endlich zum Übergange von den metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft zur Physik. Die Lösung dieser Aufgabe beruht auf dem Satz dass Raumes und Zeitobjekte nur als Erscheinungen nicht als dinge an sich d.i. dass sie im Verhältnis zu dem Sinne des Subjekts nicht abgezogen von diesem Verhältnis und unabhängig von ihm synthetische Sätze a priori liefern können.43
A partire da queste affermazioni, la posizione kantiana riguardo agli oggetti del
senso esterno, prevede che questi, come molteplice nell’intuizione determinabile solo
attraverso le sue relazioni nello spazio e nel tempo, stiano a priori sotto principi della
rappresentazione degli oggetti come fenomeni. A questi ultimi si contrappone un altro
modo necessario di rappresentazione nell’idea, quello della cosa in sé, dove “cosa in sé”
non significa (bedeutet) un altro oggetto, ma solamente un altro punto di vista, quello
negativo, da cui è trattato lo stesso e medesimo oggetto.
La cosa in sé, dunque, corrisponde al principio dell’idealità degli oggetti del
senso esterno come fenomeni e “solo trattati da questo punto di vista possono trovare un
loro statuto i principi sintetici a priori”.44 In virtù dell’autonomia del soggetto che può
anche porre se stesso come un Gegenstand = X, il principio dell’unità del molteplice è
contenuto nel soggetto che si autodetermina, ovvero questa unità si ritrova nell’alveo di
una perfetta corrispondenza e identità di soggetto e oggetto, che, sebbene dispieghi il
regno della libertà, però non comporta alcuna conoscenza. Infatti, l’io può conoscere se
stesso solo conoscendo altre cose,45
42 Il porsi in relazione del soggetto è il Faktum der Vernunft cioè la libertà, non conoscibile eppure determinabile solo dalla ragione pura pratica come in rapporto di fondamento-conseguenza con la legge morale. Con questo tipo di analisi è possibile legare le pagine della Deduzione trascendentale in cui Kant parla del “paradosso del tempo” con la Critica della ragione pratica, ovvero considerando il paradosso del tempo come la possibilità di porsi in un doppio rispetto da parte della coscienza secondo lo schema di causa. Se, infatti, l’oggetto nel fenomeno è positivamente determinabile, d’altra parte il soggetto nel noumeno, che si autodetermina, lo è solo negativamente, in quanto “inizio” (Anfang) originario di un’attività spontanea, ma ulteriormente non determinabile in senso conoscitivo, e in quanto “grenzenlos”, nello svolgersi della sua attività sintetica sempre identica a se stessa.
ovvero passando per l’esperienza dell’oggetto nel
fenomeno che gli è dato secondo le pure forme dell’intuizione di spazio e tempo e che
può essere conosciuto grazie allo schematismo dell’immaginazione.
43 Opus postumum, KGS XXII, p. 45. 44 Opus postumum, XXII, p. 42. 45 Cfr. M. Capozzi, L’io e la conoscenza di sé in Kant, in E. Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente, vol. II, Olschki, Firenze 2007, pp. 267-326
24
Nel particolare contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della
natura alla fisica compare esplicitamente una riconduzione dello spazio e del tempo
alla spontaneità e, dunque, essi sono il prodotto di una posizione (Setzung) e di un
actus,46 senza che Kant cada in una posizione idealista, ma mantenendo la stretta
distinzione fra noumeno e fenomeno e parallelamente l’idealismo trascendentale e il
realismo empirico. La produzione da parte della spontaneità di una forma
dell’intuizione, non dell’universale, ma degli unici (Einzelnen) dello spazio e del tempo,
fornisce il formale della composizione (Zusammensetzung) come coordinazione e
subordinazione e, dunque, come prima determinazione dei rapporti tra le parti di queste
intuizioni, cioè tra il molteplice che in tal modo ha in sé la tendenza (Tendenz) ad essere
ordinato come un sistema di percezioni.47
La tesi che qui viene presentata richiama alla mente quella dell’“acquisizione
originaria” delle forme pure dell’intuizione, proposta da M. Oberhausen, secondo cui è
necessario ricostruire la genesi degli elementi a priori delle facoltà conoscitive
all’interno del processo di sintesi costitutivo del soggetto.
48
È necessario puntualizzare che questo aspetto del criticismo affonda delle radici
profonde che risalgono alla Dissertazione del 1770, in cui Kant pose esplicitamente il
problema dell’origine delle nostre facoltà conoscitive e della loro distinzione in facultas
sensibilis e intellectualis. Proprio in questa sede, per la prima volta, Kant si espose
nell’attribuire uno specifico carattere allo spazio e al tempo rispetto alla tradizione
inglese (Locke, Berkeley e Newton)
49 e a quella della metafisica tedesca (Leibniz,
Baumgarten e Wolff).50
46 Cfr. R. Daval, La metaphysique de Kant, pp. 291-292.
47 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 42. Questo aspetto non smentisce affatto le posizioni di Kant nella Critica della ragione pura, ma mira ad approfondire un punto teorico dell’edizione del 1787 e che però nel contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica assume un’importanza capitale: è solo spiegando che cosa significhi guardare dal punto di vista dell’unità collettiva il complesso delle percezioni in una esperienza, che secondo Kant è possibile la fondazione della fisica. 48 M. Oberhausen, Das neue A priori. Kants Lehre von einer „ursprünglichen Erwerbung“ apriorischer Vorstellungen, Stuttgart-Bad Cannstatt 1997, pp. 136-164. 49 Su David Hume vale un discorso diverso. Su questo si veda H. E. Allison, Custom and Reason in Hume, Oxford 2008. Di particolare interesse risulta il capitolo Hume’s Theory of Space and Time, pp. 28-63, in cui Allison analizza la concezione di Hume dello spazio e del tempo come ordini o modi di apparire. Allison discute la profonda tensione tra questa visione e il principio copia (copy principle), e lo mette a confronto con la concezione kantiana dello spazio e del tempo come “forme delle apparenze”. Sebbene la concezione di Hume dell’infinita divisibilità dello spazio e del tempo sia uno dei temi più criticati da Kant, secondo Allison la teoria relazionale dello spazio di Hume sarebbe molto vicina a quella di Leibniz e fonte di ispirazione per la teoria kantiana. 50 Cfr. G. Martin (1955), pp. 1-41.
25
Spazio e tempo sono qui esplicitamente definiti in quanto intuizioni e la loro
trattazione, sebbene con notevoli modifiche evidentemente apportate, richiama alla
mente quella presente nell’Estetica trascendentale della Critica della ragione pura. Vi è
un passo in particolar modo collocato al termine della trattazione della De mundi
sensibilis (sezione III) in cui si può apprezzare la radice del problema che sarà presente
nella mente di Kant fino al Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura
alla fisica:
Ambedue i concetti, nondimeno, sono senza dubbio acquisiti, non in quanto astratti
dalla sensazione degli oggetti (poiché la sensazione ci dà la materia, non la forma della conoscenza umana), ma dall’attività stessa della mente che coordina le sue sensazioni secondo leggi permanenti, come tipo (typus) immutabile e perciò conoscibile intuitivamente. Le sensazioni infatti risvegliano questo atto della mente, e non producono l’intuizione, e qui non c’è altro di innato che la legge dell’animo, secondo la quale esso riunisce in un determinato modo le sue sensazioni dipendentemente dalla presenza dell’oggetto.51
Oltre ad essere questa una delle pochissime formulazioni che Kant fornisce
dell’origine della nostra intuizione dall’attività della spontaneità, essa comprende anche
il germe della fondazione della possibilità di conoscere l’oggetto nel fenomeno sulla
base dell’idealismo trascendentale e della deduzione trascendentale.
Si comprende come la dipendenza dello spazio e del tempo dagli atti della
spontaneità possa essere duplice, in quanto vi è un doppio modo (respectus) con cui si
può riguardare il soggetto e con cui questo si rende oggetto a se stesso.
Nel passo seguente si può apprezzare questo doppio modo di essere affetto dal
soggetto, che origina due diverse connotazioni dello spazio e del tempo, per rispondere
ad altrettanti obiettivi, quello della fondazione dell’oggetto dell’esperienza in generale e
di quello della fisica:52
Die Setzung und Wahrnehmung die Spontaneität und Rezeptivität das objektive u. subjektive Verhältnis sind zugleich weil sie identisch sind der Zeit nach als Erscheinungen wie das Subjekt affiziert wird also a priori in demselben Actus gegeben werden und zur Erfahrung fortschreitend sind als einem System der Wahrnehmungen. — Doch auf zweierlei Art, für die Physik als einem Gedankensystem und Theorie für den Gegenstand möglicher Erfahrung (oder die Möglichkeit der Erfahrung überhaupt) 2) für Gegenstände die allein in der Erfahrung und durch dieselbe können gegeben werden heteronomisch oder autonomisch.53
51 I. Kant, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, (Forma et principiis); trad. it., Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intellegibile, a cura di A. Lamacchia, Milano 1995, p. 117. 52 Per la definizione di oggetto in generale, cfr. infra, Capitolo I. 53 Opus postumum, KGS XXII, p. 466.
26
Mediante il filo conduttore del rapporto tra spazio, tempo e sintesi analizzato in
più luoghi della produzione kantiana può essere scoperta una più esplicita definizione
della Zusammensetzung trattata nella Critica della ragione pura. Questo atto fondante
della spontaneità, quello del zusammensetzen, pone insieme, cioè collega secondo certe
relazioni, le intuizioni del senso interno ed esterno con la coscienza, le riferisce a
quest’ultima, così che lo spazio e il tempo sono solamente forme della composizione del
molteplice dell’intuizione pura, in grado di porre molteplici rappresentazioni neben und
nach einander (iuxta vel post se invicem positorum).
Come si evince dall’analisi delle pagine della Critica della ragione pura, la
sintesi della Zusammensetzung consiste nell’unità oggettiva54 di una sintesi della
composizione preceduta da quella della Zusammenstellung, ovvero la sintesi soggettiva
della composizione, secondo coordinazione e subordinazione. Lo spazio e il tempo sono
rese forme a priori e principi soggettivi della composizione (coordinationis et
subordinationis) dell’unità delle percezioni che appartengono all’unità
dell’esperienza.55 L’unità dell’esperienza ha un elemento in sé di asintoticità e di
tendenza alla totalità che trova fondamento nel suo contraltare, nel costituirsi a totalità
asintotica e sintetica del soggetto come ciò che contiene il tutto indeterminato
dell’intuizione.56
Si comprende, quindi, come nell’Opus postumum Kant abbia voluto esprimere
l’esigenza di approfondire il cardine dell’idealità dello spazio e del tempo (in quanto
cardine della filosofia trascendentale stessa assieme al Faktum der Vernunft, la
libertà),
57 arrivando a definirli rispettivamente Intussuszeption ed Extraposition, ovvero
come Handlungen della spontaneità ad essa riferite e da essa orientate all’esperienza:58
54 KrV, B201. 55 Cfr. Opus postumum, XXII, p. 45. 56 Cfr. Opus postumum, XXII, p. 69. 57 E’ chiaro che ci si trova di fronte ad una chiara fondazione della nuova e purificata metafisica inscritta nel sistema della filosofia trascendentale, in particolare alla tesi sull’idealità dello spazio e del tempo, e questo risulta evidente dalle parole dello stesso Kant in Loses Blatt, KGS XVIII, (1797), p. 669: “Es giebt 2 Cardinal Prinzipien der ganzen Metaphysik: die Idealität des Raums und der Zeit und die Realität des Freiheitsbegriffs. Räumt man die erstere nicht ein, so giebt es keine synthetische Sätze a priori für das theoretische Erkenntnis; ist das zweite nicht, so giebt es keine solche unbedingt praktische, d. i. keine Pflichtgesetze”. 58 Le espressioni “Intussusception” ed “extraposition” possiedono due prefissi che chiaramente sono basati sull’io che si orienta e viene affetto, nel caso dello spazio, all’interno, e che, nel caso del tempo, si proietta all’esterno. E’ evidente l’influenza esercitata dalla metafisica di Baumgarten su questo doppio modo, interno ed esterno, di poter pensare la determinazione del respectus e la regola dell’ordine tra le parti in relazione tra loro. Cfr. infra §1.4.
27
Die Intussuszeption u. Extraposition. Von welcher von beiden geht man aus? Die erste ist Raum die zweite die Zeit so doch dass die innere Komposition des Mannigfaltigen der Anschauung vorhergeht oder vielmehr die eine mit der andern in wechselseitigem Verhältnis steht. Was ihre Komposition wechselseitig in Einer Anschauung bestimmt ist der Verstand in so fern er den Sinn überhaupt affiziert und das Sinnenobjekt als Erscheinung darstellt. Das darstellende innere Prinzip ist = X, wodurch das Ding sich selbst macht.59
In questo modo nel processo di composizione (Zusammensetzung) lo spazio e il
tempo sono forme intese come concetti di relazione (Verhältnis Begriffe)60
A partire dall’analisi che svolge P. Schulthess in Relation und Funktion, si può
mostrare come queste determinazioni delle parti dello spazio e del tempo siano
pertinenti all’attività della sintesi intellettuale e, dunque, ancora alla sfera delle funzioni
logiche nei giudizi, applicate però alle forme dell’intuizione, che dunque sono
rappresentate come oggetti.
nel soggetto.
Quest’ultima definizione risulta molto problematica, perché sembra negare lo statuto di
intuizioni dello spazio e del tempo. Tuttavia, se si considera la funzione relazionale tra
le parti e il tutto che essi rendono possibili, si chiarisce meglio il senso dell’espressione
utilizzata da Kant. Infatti, l’ulteriore passaggio che compie la coscienza, distinta grazie
alla sua attività della Zusammenstellung dallo spazio e dal tempo, è quello di porre tra le
parti dello spazio e del tempo un rapporto di coordinazione (coordinatio) e
subordinazione (subordinatio), mantenendosi distinta da esse e rendendosi
autocosciente.
61 In primo luogo, la sintesi intellettuale (synthesis
intellectualis) diventa così Zusammenstellung, cioè incarna la funzione di determinare i
rapporti fra le parti delle intuizioni. In secondo luogo, come lo stesso Kant precisa nella
Critica della ragione pura, la Zusammenstellung conosce un momento superiore di
unità sintetica che risiede nella Zusammensetzung, che come attività di composizione
(compositio) costituisce la sintesi dell’omogeneo della Verbindung, cioè la funzione
dell’attività sintetica che è alla base della costituzione di tutti i principi dell’intelletto
puro.62
Lo spazio e il tempo sono il formale della coordinazione e questo non significa
altro che le parti dello spazio e del tempo sono rappresentate dalla coscienza
immediatamente in rapporto al tutto, secondo la forma.
63
59 Opus postumum, KGS XXII, p. 69.
Questa conclusione è di facile
60 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 70. 61 Cfr. Schulthess (1981), pp. 106;112; 194. 62 KrV A162/B201. 63 Come si vedrà questo è uno dei presupposti per fondare il punto di vista dell’unità collettiva dell’esperienza unito a quella distributiva in vista dell’Übergang e della prova dell’esistenza dell’etere.
28
comprensione non appena si ricorda che per Kant lo spazio e il tempo sono intuizioni,
cioè rappresentazioni immediate e singolari.
Già nel 1770 Kant aveva legato indissolubilmente, sulla base della Metaphysica
di Baumgarten, la coordinazione (coordinatio) e la composizione (compositio) ai
concetti di spazio e di tempo, connotandoli come rappresentazioni singolari, intuizioni.
Questo emerge dal passo seguente, in cui lo spazio:
[…] è qualcosa di soggettivo e ideale, che deriva dalla natura della mente secondo una legge stabile, come uno schema destinato a coordinare tutte, assolutamente, le sensazioni esterne.64
E ancora più avanti si legge nel Corollario:
Ecco dunque i due principi della conoscenza sensitiva che non sono concetti generali, come nelle conoscenze intellettive, ma intuizioni singolari e tuttavia pure.65
Considerando i passi successivi compiuti nella Critica della ragione pura, con
più precisione lo spazio e il tempo devono essere pensati come due relazioni al soggetto
quanto al molteplice, che, come rappresentazioni, è contenuto nell’intuizione sensibile.
Le due forme sensibili contengono un molteplice perché sono intuizioni sensibili,
rappresentazioni immediate che accolgono un molteplice rappresentato come loro parti,
ma ancora da determinare: essi contengono il determinabile (determinabilis) in
generale.66
Lo scarto tra le pagine della dissertazione del 1770 e quelle successive della
Critica della ragione pura risiede nella seconda caratteristica fondamentale dello spazio
e del tempo pensati come forme dell’intuizione e intuizioni formali insieme. E questo
scarto non si sarebbe potuto dare senza la deduzione trascendentale delle categorie e la
definizione dell’attività sintetica dell’io. Lo spazio e il tempo della Critica della ragione
pura non sono concetti nella misura in cui il loro contenuto, le loro parti in rapporto tra
loro non lo sono ancora, ma possono e devono diventarlo in vista dell’esperienza
conoscitiva, attraverso l’attività sintetica della spontaneità che le pone in specifiche
relazioni con la coscienza, secondo la sintesi dell’intelletto e la sintesi
dell’immaginazione.
64 Forma et principiis, p. 109. Cfr., pp. 77; 87;101 nota. 65 Forma et principiis, p. 113. 66 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 44-46.
29
Dunque, l’aspetto anticipatore nella teoria della conoscenza kantiana, spesso
enfatizzato dagli interpreti dell’Opus postumum, non riguarda solamente l’esperienza
quanto al materiale (quoad materiale), piuttosto anche e soprattutto quanto al formale,
che veniva presentato già nella prima Critica della ragione pura e nella Critica della
facoltà del giudizio, come possibile grazie all’idealismo trascendentale. Per chiarire
questo punto è utile confrontarsi con le stesse affermazioni di Kant:
Raum und Zeit sind Anschauungen mit der dynamischen Funktion ein Mannigfaltiges der Anschauung als Erscheinung zu setzen (dabile) also auch ein aspectabile als Erscheinung welches vor aller Apprehensionsvorstellung (Wahrnehmung als empirischer Vorstellung mit Bewussten) vorhergehet und a priori synthetisch nach einem Prinzip als durchgängig bestimmend gedacht wird (intuitus quem sequitur conceptus) in welchem das Subjekt in der kollektiven Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung sich selbst setzt.67
Si nota immediatamente che lo spazio e il tempo rendono possibile l’esperienza
conoscitiva come processo sintetico a priori con una funzione “dinamica”, in quanto
creano un orizzonte unico e collettivo di riferibilità (come aspectabile) delle
rappresentazioni all’unità della coscienza, rendono cioè possibile collocare secondo una
posizione (Stelle), completamente determinata, l’oggetto nel fenomeno.
Per valutare questo ruolo dell’intuizione si deve tenere pressente la differenza tra
la natura del concetto e quella dell’intuizione.
Il primo atto della facoltà rappresentativa (facultas repraesentativa) è la
rappresentazione di se stesso (apperceptio) attraverso cui il soggetto si rende oggetto
(apprehensio simplex) e la sua rappresentazione è intuizione, ma non ancora concetto,
ovvero è rappresentazione singolare (repraesentatio singularis) e non è ancora quella di
una nota, cioè rappresentazione comune a molti (repraesentatio pluribus communis). Il
concetto, di contro all’intuizione, è, infatti, una rappresentazione che vale in generale e
universalmente e che si può incontrare in molti, al contrario dell’unicum intuitivo.68
Così lo spazio e il tempo non sono altro che relazioni quantitative e di
riferimento dell’oggetto all’intuizione pura. Essi contengono principi a priori della
composizione (Zusammenstellung) delle loro parti come “iuxta et post se invicem
positorum”, cioè del neben und nach einander seyn, solamente secondo il formale, in
quanto il materiale (Stoff) è qualcosa che deve essere “aspettato” per essere determinato.
67 Opus postumum, KGS XXII p. 44. 68 Si ricordi inoltre che mentre le forme pure dello spazio e del tempo sono date, mentre l’ordine delle loro parti è fatto, i concetti sono tutti fatti grazie agli atti dell’intelletto dell’astrazione, comparazione e riflessione.
30
Ma alla luce di ciò, è legittimo chiedersi come possa essere interpretato il
passaggio di una lettera a Rehberg,69
in cui Kant afferma che lo spazio e il tempo come
intuizioni formali forniscono la prova della realtà degli oggetti esterni. Come si legge
nella Rechtslehre, lo spazio, il tempo e l’esser posto o localizzato (positus), sono la
triade che rende possibile la rappresentazione dell’oggetto esterno da un punto di vista
empirico:
L’espressione “un oggetto è fuori di me” può però significare o che esso è da me (dal soggetto) distinto, oppure anche che è un oggetto che si trova in un altro luogo (positus), nello spazio o nel tempo.70
Nella metà degli anni ’90 Kant ritiene, dunque, che la determinazione
dell’intuizione empirica debba rispondere a priori a queste tre forme (spazio, tempo,
positus), attraverso cui il soggetto si pensa in connessione con l’oggetto, mentre, da un
punto di vista intelligibile, quello che Kant definisce “l’oggetto fuori di me” non sia
altro che il frutto di una Unterscheidung posta dal soggetto, ovvero il soggetto pensa il
soggetto e l’oggetto come distinti.71
Lo spazio e il tempo, peró, come intuizioni formali, in quanto sono frutto
dell’attività del soggetto intuente, sono anche condizioni di possibilità della
composizione oggettiva (Bedingungen der Zusammensetzung) della sintesi
dell’intelletto. La doppia natura dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e
intuizioni formali li rende in grado di essere sia forma determinante il molteplice
dell’intuizione, sia unità indeterminata e dunque determinabili. Del resto, come si
evince dal passo seguente, lo spazio e il tempo possono essere rappresentati come
grandezze infinite,
72
proprio in virtù della loro idealità, che permette la determinabilità
infinita delle loro parti:
Ein Quantum, gegen welches jedes andere angebliche (dabile) nur als ein Teil eines noch größeren Quanti gedacht werden kann, ist unendlich. Das Quantum aber, was in Vergleichung mit jedem anderen assignabelen Quanto nur als ein Teil betrachtet werden kann, ist unendlich klein. Dass sich alle ausgedehnte Wesen in der Welt in einen Wassertropfen oder ins unendliche noch kleineren Raum bringen lassen, beweiset die Idealität des Raums, wenn alles immer als relativ, niemals absolut gros oder klein betrachtet wird.73
69 I. Kant, Briefwechsel, KGS XI, p. 210.
70 I. Kant, Primi principi metafisici della dottrina del diritto, p. 79; KGS VI, p. 245. 71 L’origine di questo terzo elemento si rinviene nella definizione di oggetto in generale, laddove un qualcosa deve essere collocato nello spazio e nel tempo. 72 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 42; 46. 73 Loses Blatt, KGS XVIII, p. 669. Questo brano, spesso tenuto in considerazione dalla scuola di B. Falkenburg, ha numerose implicazioni sulla compatibilità della concezione kantiana dello spazio con
31
Se lo spazio è dunque da trattarsi sempre tutto come una grandezza relativa, oltre
ad approfondire le tesi presentate nell’Estetica trascendentale, Kant si propone
nell’ultima fase della sua produzione di fondare il punto di vista dell’unità collettiva
dell’esperienza sull’idealismo trascendentale, piú precisamente, sulla funzione dinamica
sopra menzionata dello spazio e del tempo, nella misura in cui afferma:
Dass Raum und Zeit in dem Mannigfaltigen was diese Vorstellungen enthalten (denn sie sind nicht apprehensibele Dinge, sondern nichts als Vorstellungen selbst) in zweierlei Verhältnissen zum Subjekt gedacht werden müssen: Erstlich in so fern sie Anschauungen und zwar sinnliche sind Zweitens wie das Mannigfaltige derselben überhaupt synthetische Sätze a priori möglich macht und so ein Prinzip synthetischer Sätze a priori hiermit aber auch eine Transzendentalphilosophie begründet welche notwendige Wissenschaft ohne das nicht statt haben würde.74
Questo è il fondamento della filosofia trascendentale e dunque della domanda
critica di come siano possibili giudizi sintetici a priori. Solamente in questo modo si
può spiegare perché Kant ritorni fino all’ultimo sulla domanda “Come sono possibili
giudizi sintetici a priori?”, rispondendo che lo sono attraverso un atto originario e
spontaneo della rappresentazione degli oggetti nello spazio e nel tempo in base a
rapporti di coesistenza e successione, sia dal punto di vista di una relazione al soggetto
sia di una relazione del soggetto a se stesso, in quanto oggetto nel fenomeno, seguendo
un principio formale della congiunzione (Verbindung).
La conseguenza che Kant trae da questa argomentazione è che le forme a priori
dell’intuizione non sono solamente lo spazio e il tempo, ma anche il risultato dell’ordine
(Stelle) dato nella forma dell’intuizione del neben und nach einander seyn in rapporto
alla determinazione del tempo (Zeitbestimmung):
Spatium, tempus, positus sind nicht Objekte der Anschauung sondern selbst
Anschauungsformen die a priori synthetisch aus dem Erkenntnisvermögen hervorgehen75
.
Ma che cosa significa allora che queste forme dell’intuizione discendono
sinteticamente a priori dalla facoltà conoscitiva? Di questo si occupa il prossimo
paragrafo, cercando di gettare luce sulla questione che concerne la possibilità per la
quella della fisica quantistica. Su questo specifico punto, cfr. H. Pringe, Critique of the Quantum Power of Judgement, Berlin 2007. 74 Opus postumum, KGS XXII, p. 44. 75 Opus postumum, KGS XXII, p. 69.
32
concezione kantiana dello spazio di concepirne non solo la natura intuitiva, ma anche di
poterlo pensare nel suo legame alla sfera concettuale.
1.3 Intuizioni formali e il ruolo dell’unità della sintesi
A questo punto è necessario indicare da dove sorga la flessibilità dello spazio e
quali siano le conseguenze da trarre rispetto all’argomento principale di questo lavoro
che indaga la natura del rapporto tra la metafisica, la matematica e la fisica. Ciò
significa che è possibile determinare le relazioni del molteplice dell’intuizione in forme
spazio-temporali flessibili, perché soggette alla spontanea attività sintetica dell’intelletto
e, come si vedrà nel prossimo capitolo, alla diversa combinazione e applicazione delle
funzioni algebriche sullo spazio geometrico.
Le pagine dell’Opus postumum, che riguardano “una forma dell’intuizione”,
quella di Stelle o positus, oltre allo spazio e al tempo, sono da ascriversi alla particolare
concezione della materia e delle sue forze motrici. L’uso da parte di Kant del termine
positus è confermato in un cospicuo numero di luoghi della sua produzione. Con molta
probabilità il termine è stato mutuato dalla metafisica di Baumgarten.
Proprio della metafisica di quest’ultimo Kant si serviva per tenere le sue lezioni.
Nelle pagine della Metaphysica di Baumgarten, precisamente nella sezione che riguarda
l’ontologia, si legge:
Respectus entis ex coniunctione eius cum aliis determinatus est positus (Stelle). Ubi
ergo positus, ibi leges.76
La relazione di un ente determinata dalla sua congiunzione ad un altro è positus,
cioè è una localizzazione posta secondo una regola, in quanto dovunque vi sia una
determinazione, secondo Baumgarten, c’è una legge. Inoltre, se questo ordine implica
una o più relazioni (Verhältnisse), allora si ha un ordine composto (Zusammengesetzte
Ordnung),77
che risponde alle determinazioni di interno ed esterno:
DETERMINATIONES possibilis aut sunt in eo repraesentabiles, etiamsi nondum spectetur in nexu, ABSOLUTAE, aut tunc demum, quando spectatur in nexu, §. 10, RESPECTIVAE (assumptivae). Determinationes possibilium respectivae sunt RESPECTUS (habitudines, τα προς τι, relationes latius dictae, vel ad extra, vel ad intra). Respectus possibilium in iisdeni in se spectatis non repraesentabiles sunt RELATIONES (strictius dictae,
76 A. G. Baumgarten, Metaphysica, Halle 1757; in KGS XIV, XV, XVII, §85. 77 Cfr. Baumgarten, Metaphysica, §§ 37; 83-84.
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ad extra). Relationes possibilium sunt eorundem DETERMINATIONES EXTERNAE (relativae, ad extra, extrinsecae), reliquae omnes, INTERNAE.78
Baumgarten sostiene inoltre che l’ordine può essere composto laddove le regole
che lo determinano siano molteplici:
Ordinis si regula fuerit unica, SIMPLEX, si plures, ORDO COMPOSITUS vocatur.79
Nel caso del concetto di positus, Kant ha chiaramente ripreso un concetto della
tradizione metafisica e lo ha trasposto sul piano della filosofia trascendentale:
Substantia composita non potest exsistere, nisi ut complexus substantiarum aliarum
extra se invicem positarum, §. 232, 155, certoque modo compositarum, §. 226. Ergo non potest exsistere, nisi ut determinatio aliorum, §. 36, 38. Ergo est accidens, §. 191, et, si videtur per se subsistere, ipsique vis tribuitur, est phaenomenon substantiatum, §. 193, 201.80
Se l’ordine, di cui parla Baumgarten, è anche per Kant riferito a Stelle, ovvero al
neben und nach einander seyn, può essere compreso facilmente che esso può seguire la
regola del suo ordinamento e tale regola è fornita da un principio della sintesi soggettiva
della composizione (Zusammenstellung):
Si multa iuxta vel post se invicemjpormntur, CONIUNGUNTUR. Coniunctio plurium vel est eadem, vel diversa, §. 10, 38. Si prior, est COORDINATIO, et eius identitas ORDO. Ordinis scientia olim erat MUSICA LATIUS DICTA.81
Non deve stupire perciò la straordinaria vicinanza della definizione dello spazio
e del tempo di Baumgarten con quella di Kant. Nella Metaphysica, infatti, compaiono le
seguenti definizioni che svelano l’importanza del legame tra essi e il concetto di ordine
e di positus:
Ordo simultaneorum extra se invicem positorum est SPATIUM, successivorum TEMPUS.82
Positis siinultaneis extra se, ponitur spatium. Posito spatio extra se invicem ponuntur simultanea. Positis successivis, ponitur tempus, et posito tempore ponuntur.83
78 Baumgarten, Metaphysica, §37. 79 Baumgarten, Metaphysica, §88. 80 Baumgarten, Metaphysica, §233. 81 Baumgarten, Metaphysica, §78. 82 Baumgarten, Metaphysica, §239. 83 Baumgarten, Metaphysica, §240.
34
Che le proprietà dello spazio, rappresentato oggettivamente come intuizione
formale, siano flessibili, dipende dalla regola dell’ordine: nel caso di uno spazio
euclideo, ad esempio, questa regola può determinare le proprietà della tridimensionalità
in vista della possibilità per il molteplice dell’intuizione di essere connesso alla
coscienza empirica nella percezione. Allora la regola di quest’ordine, e quest’ordine
stesso, forniscono il risultato di Gestalten e Reihen nelle tre dimensioni dello spazio in
vista dell’esperienza e come un che già dato a priori, di cui è infatti possibile una
esposizione metafisica.
La questione più rilevante riguarda, però, il caso in cui si cambiasse la regola
che determina l’ordine della sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung).
Nel caso di una diversa determinazione dell’ordine della relazione tra le parti e delle
proprietà dello spazio e del tempo, vi sarebbe una diversa determinazione di Gestalten e
Reihen, un numero diverso delle dimensioni dello spazio, più in generale, una diversa
determinazione dello spazio e del tempo come intuizioni formali. Questa è la condizione
a partire dalla quale si può arrivare per Kant a concepire uno spazio a n dimensioni,
senza dover rinunciare ad una fondazione delle sue condizioni di possibilità a parte
priori.84
L’argomentazione procede dall’assunto che, se spazio e tempo sono
rappresentazioni singolari, non abbiamo a che fare con spazi e tempi, ma solo con lo
spazio e il tempo. Dal fatto che abbiamo a che fare solamente con l’ordine di un neben
und nach einander seyn delle loro parti, Kant può arrivare alla conclusione che
“Gestalten und Reihen die immer fortschreitend sind subjektiv in der
Zeitbestimmung”.
85
84 Cfr. KrV, A25/B39.
Questo passo conferma che, sebbene Kant parli di una dimensione
sempre spazio-temporale in cui si danno gli oggetti nel fenomeno, è pur sempre lasciata
aperta la strada alla fondazione della possibilità della costruzione di figure e serie
infinite. Queste ultime, sebbene non si diano direttamente nel fenomeno, devono poter
essere pensate dalla filosofia e poter essere costruite nella matematica, cioè devono
poter essere esibite nell’intuizione a priori secondo la determinazione del tempo. Come
si è messo in luce nel paragrafo precedente, c’è bisogno di un’attività sintetica unitaria
di determinazione dello spazio-tempo ed è indubbio che ciò avvenga in particolare con
l’applicazione della quantità (Größe) come regola alle forme dell’intuizione, le quali
diventano insieme alla coscienza oggetto di tale sintesi e contengono in se stessi un
85 I. Kant, Opus postumum, KGS XXII, p. 517.
35
principio di unità, diventando rappresentabili come oggetti, ovvero diventando
intuizioni formali.
Non ci possono essere, infatti, spazio e tempo senza una Handlung che è la
sintesi dell’aggregazione già introdotta nell’Estetica trascendentale.
A questo punto si tratta di stabilire se la sintesi operata sulle forme
dell’intuizione di spazio e di tempo, capace di renderle intuizioni formali, sia
semplicemente la sintesi trascendentale dell’immaginazione. Si deve porre attenzione al
fatto che la sintesi intellettuale vera e propria (synthesis intellectualis), come qualsiasi
altra Verbindung dell’intelletto, è data insieme con le intuizioni formali, in modo che lo
spazio e il tempo possono essere soggetti alla sintesi dell’aggregazione
(Zusammenfassung), cioè ad una sintesi quantitativa.
Tuttavia, dal momento che le categorie hanno un uso empirico e un significato
trascendentale, se c’è un’applicazione di regole sulle intuizioni formali, queste seguono
le funzioni logiche nei giudizi. Questo Kant lo stabilisce nella deduzione metafisica
delle categorie e in qualche modo lo prova nella deduzione trascendentale laddove
spiega il paradosso del tempo.86 In questa sede le categorie di unità e causa87
rispondenti rispettivamente alle funzioni logiche nei giudizi di quantità e relazione88
stanno a fondamento della possibilità della rappresentazione della coscienza come
unitaria e dell’autoaffezione del soggetto che può essere riguardato sotto un doppio
rispetto, quello fenomenico e quello noumenico, cioè quello dell’eteronomia e quello
dell’autonomia.89
Ma c’è un’ulteriore prova del fatto che siano anche le funzioni logiche nei
giudizi a fondare la possibilità di rappresentare lo spazio e il tempo oggettivamente,
sebbene essi debbano essere visti come qualcosa di già dato dalla regola dell’ordine
secondo rapporti reciproci fra le parti. Tale prova risiede nella definizione del concetto
di oggetto in generale. Nell’attività spontanea della riflessione è già presente la
Nel primo caso il soggetto è sia affetto dal molteplice empirico
dell’intuizione sia a sua volta causa di un’affezione del molteplice stesso, dando luogo
alla possibilità della percezione; nel secondo caso, quello del punto di vista
dell’autonomia, il soggetto si pone come causa dell’affezione di se stesso, motivo
fondamentale per pensarsi nella determinazione della sua volontà libera dal punto di
vista pratico.
86 KrV, B162 nota. 87 KrV, B162-163. 88 KrV, B143. 89 Si ricordi la nota citata nel paragrafo precedente sulla cognitio primaria e secundaria che sono alla base di questa distinzione di autonomia e eteronomia del soggetto.
36
condizione di possibilità dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione, l’una del
senso esterno e l’altra del senso interno, in vista della possibilità dell’esperienza in
generale.
Ciò significa non solo che non vi è oggetto conoscibile senza spazio e tempo
come forme dell’intuizione, ma soprattutto che non può esserci fondamento per
rappresentarsi l’oggetto in rapporti di spazio-temporali senza le categorie e che neanche
la rappresentazione dello spazio e del tempo come oggetti (intuizioni formali) può avere
luogo senza un’attività sintetica dell’appercezione.90
La dimensione dell’oggetto in generale è comunque non ancora quella
dell’esperienza fenomenica, sebbene sia in vista di essa. Pertanto, da un punto di vista
metafisico, deve esserci una fondazione a priori dello spazio e del tempo, grazie al
principio dell’unità sintetica dell’appercezione, prima di qualsiasi sintesi
dell’apprensione riferita ad un molteplice empirico dato nell’intuizione.
Lo spazio come intuizione formale fornisce l’unità della rappresentazione grazie
alla previa sintesi dell’aggregazione (Zusammenfassung) del molteplice come quantum
compiuta in una rappresentazione intuitiva. Ora, come Kant precisa in una nota della
Critica della ragione pura, lo spazio e il tempo come intuizioni formali forniscono
l’unità della rappresentazione, ma per poter essere dati per la prima volta come
intuizioni presuppongono una sintesi dell’intelletto da cui discendono per la prima volta
“tutti i concetti di spazio e tempo”:
Lo spazio rappresentato in quanto oggetto (come realmente si richiede in geometria), contiene di più che la semplice forma dell’intuizione, cioè contiene la comprensione del datum molteplice, fornito secondo la forma della sensibilità, in una rappresentazione intuitiva, cosicché la forma dell’intuizione da soltanto il molteplice, mentre l’intuizione formale fornisce l’unità della rappresentazione. Nell’Estetica, avevo attribuito quest’unità semplicemente alla sensibilità, col solo scopo di far osservare che essa precede ogni concetto, sebbene presupponga una sintesi, la quale non appartiene ai sensi, ma mediante la quale tutti i concetti di spazio e tempo risultano per la prima volta possibili. In effetti, dato che mediante tale sintesi (quando l’intelletto determina la sensibilità) il tempo e lo spazio vengono per la prima volta dati come intuizioni, allora l’unità di questa intuizione a priori appartiene allo spazio e al tempo, non già al concetto dell’intelletto (§24).91
In questo modo lo spazio prima di essere forma dell’intuizione che contiene in sé
un molteplice, deve essere dato a priori con (mit) l’unità della sintesi, ovvero con una
90 Cfr. KrV, B162 nota. Cfr. A149/B188-189, dove Kant lega la costituzione della prova delle proposizioni fondamentali dell’intelletto da trarre dalle fonti soggettive della possibilità di una conoscenza di un oggetto in generale. 91 KrV, B160-161.
37
congiunzione (Verbindung). Infatti, è bene sottolineare che spazio e tempo sono “bloß
in der Vorstellung (bloß subjektiv) gegebene Einzelne”,92 ovvero essi sono intuizioni
pure dell’oggetto, ma anche il formale dell’intuizione come rappresentazione unica (vi è
un solo spazio e un solo tempo). In secondo luogo, che il dabile (oggetto) abbia luogo
nell’intuizione è una condizione determinata completamente a priori.93
Sulla base della definizione di spazio e tempo come intuizioni formali, Kant
potrà stabilire, in epoca tarda, il seguente assioma, per l’unificazione della matematica e
della filosofia in vista dell’unità collettiva dell’esperienza:
Es ist Ein Raum und Eine Zeit mithin als unendlich vorgestellt: aus welchen die Theoremen und Problemen a priori für Gegenstande der Anschauung in der Mathematik und im qualitativen Verhältnis für die Philosophie hervorgehen.94
Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, come
sistema, non ha a che fare con un oggetto d’esperienza o una cosa ipotetica, bensì con
l’universalità collettiva, secondo principi a priori del dominio soggettivo, come il tutto
delle percezioni delle forze motrici, e di quello oggettivo,95
come il tutto delle forze
motrici della materia, in vista dell’esperienza:
Wie können wir aber a priori ein System empirischer Erkenntnisse verlangen welches selbst nicht empirisch ist noch sein kann? Die diskursive Allgemeinheit (Einheit in Vielem) ist von der intuitiven (Vieles in Einem) zu unterscheiden. Die letztere ist ein Act des Zusammensetzens und kollektiv jene des Auffassens und distributiv Axiomen der Anschauung gehen vor der Antizipation vorher welche die Basis der Wahrnehmungen ausmacht.96
92 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. 93 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. Si veda in particolar modo come viene elaborata in queste pagine la doppia relazione tra l’appercezione e lo spazio-tempo, sia analiticamente che sinteticamente. Quanto affermato era già presente nella KrV nelle pagine della Deduzione trascendentale in KrV, B160-162. 94 Opus postumum, KGS XXII, p. 101. 95 Cfr. G. Lehmann, Ganzheitsbegriff und Weltidee in Kants Opus postumum, in Kant-Studien, 41, 1936, pp. 307–330, in particolare p. 323. Se non vi fosse la riunione in un sistema di soggettivo ed oggettivo, non sarebbe possibile un’applicazione della matematica alla fisica e la trattazione di problemi matematici da parte della filosofia, in sostanza per Kant non sarebbe possibile un’interazione tra filosofia e fisica. Il tutto delle forze motrici della materia può essere trattato oggettivamente solo quantitativamente e proprio solamente sotto questo aspetto è possibile una considerazione meccanica delle leggi del movimento della materia a cui può venir applicata la matematica. 96 Opus postumum, KGS XXII, p. 342. Questo passo assume rilevanza soprattutto nelle sue conseguenze, secondo cui se non si rendesse sensibile quanto al formale (mai quanto al materiale) lo spazio, cioè se non si determinasse secondo il fenomeno lo spazio sia dabile che cogitabile, il passaggio alla fisica sarebbe impossibile.
38
Ciò significa che il sistema kantiano comprende principi sintetici a priori per la
fondazione della fisica, mediante una particolare determinazione di un punto di vista
della ragione, quello dell’universalità collettiva dell’esperienza.97
D’altra parte, però, è proprio grazie al mantenimento dell’idealismo
trascendentale che si pone la condizione per la realizzazione dell’universalità collettiva,
senza che la ragione cada in fallaciae o nel dogmatismo metafisico contrastato nella
Critica della ragione pura.
L’idealismo trascendentale di spazio e tempo si configura quindi come chiave di
volta per la definizione di uno statuto differente della realtà oggettiva rispetto alla
metafisica tedesca tradizionale. Proprio perché lo spazio e il tempo possono essere
rappresentati oggettivamente e sono soggetti alla sintesi, allora possono essere trattati
nel fenomeno o come cosa in sé. Solo come forma dell’intuizione e intuizione formale
nel fenomeno essi sono reali, cioè hanno realtà oggettiva in senso trascendentale.98
Ciò
accade proprio per via della natura stessa dello spazio e del tempo come intuizioni, che
sono rappresentazioni singolari, immediate, sempre completamente determinate e che
ammettono la compresenza delle loro parti ad infinitum, nel caso dello spazio secondo
tre dimensioni, nel caso del tempo in una dimensione.
***
La doppia determinazione dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione e
intuizioni formali concerne le condizioni di possibilità di porre l’oggetto (Gegenstand)
fuori del soggetto. Si possono riassumere i risultati ottenuti come segue:
Spazio, tempo e positus sono forme dell’intuizione. Attraverso l’attività
spontanea e unificante dell’intelletto che opera su di essi o con essi, secondo una regola,
si ottiene una Zusammenstellung, una sintesi unitaria soggettiva del molteplice
97 Cfr. I. Kant, Prolegomena, KGS IV, p. 328; trad. it., Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, a cura di P. Carabellese, introduzione di H. Hohenegger, Roma-Bari, Laterza 1996, p. 171. 98 E’ curioso il fatto che spesso Kant sia stato criticato per aver dato una connotazione soggettiva alle forme dello spazio e del tempo. Il punto è che non si è saputo distinguere il piano dell’esistenza da quello della realtà. Infatti, che spazio e tempo siano reali (ma non esistenti o conoscibili come cose in sé) sia come forme dell’intuizione (soggettivamente) che come intuizioni formali (oggettivamente) non indebolisce in alcun modo o non preclude la via alla geometrizzazione della fisica, in particolare nella meccanica classica.
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dell’intuizione. Si hanno così almeno tre possibili rapporti della sintesi con lo spazio e il
tempo:
1. della sintesi che si attua con lo spazio e il tempo (sintesi dell’intelletto);
2. della sintesi che si attua sullo spazio e il tempo (sintesi dell’immaginazione).
3. della sintesi che si attua nello spazio e nel tempo.
Nel primo caso spazio e tempo sono determinati come funzioni dinamiche di
orientamento, cioè come ciò che è connesso all’unità della congiunzione (Verbindung),
mentre nel terzo caso come forme dell’intuizione che permette che sia dato un
molteplice da sottoporre ad una congiunzione (Verbindung). Il secondo caso si riferisce
alla possibilità di rappresentare oggettivamente spazio e tempo nella matematica.
L’unità oggettiva della Zusammenstellung deve trovarsi in un elemento
superiore, quello dell’attività sintetica della Zusammensetzung, come sintesi
dell’omogeneo del molteplice dell’intuizione, secondo regole che corrispondono alle
funzioni logiche nei giudizi di quantità e qualità, così che spazio e tempo siano
rappresentabili come quantità discrete o continue. L’attività della Zusammensetzung e
quella della Verknüpfung costituiscono il cuore della concezione kantiana della
Verbindung, cioè della congiunzione del molteplice dell’intuizione necessario per la
fondazione dei principi dell’intelletto puro, dunque per la formulazione di giudizi
sintetici a priori in vista dell’esperienza possibile.
Pertanto è corretto dire che gli assiomi dell’intuizione e le anticipazioni della
percezione sono evidentemente anche principi fondamentali per la possibilità della
matematica, ma non solo non le appartengono, non sono neanche in grado di esaurire la
mathesis (geometria, aritmetica e algebra). Quest’ultima, evidentemente, vista la natura
flessibile dello spazio concepita da Kant, è in grado di evolvere e progredire nel numero
dei suoi principi secondo leggi che le sono proprie e che appartengono alle proprietà
fondamentali dello spazio e del tempo, come la forma, la figura, la serie o la durata, e
alle diverse determinazioni di esse che sintesi progressive secondo quantità e qualità
possono produrre.
È in questo senso forte che si può comprendere pienamente che cosa intenda
Kant con il definire lo spazio e il tempo come determinabilis e determinantes e come,
nel dominio della matematica, vi siano principi propri dell’ordine della sintesi che
possono dare vita a diverse configurazioni dello spazio-tempo. Sebbene Kant non sia in
40
alcun modo il fautore o l’anticipatore di geometrie non euclidee, si pose senz’altro il
problema della risoluzione dei paradossi o delle aporie della geometria euclidea.99
La configurazione flessibile della concezione dello spazio di Kant è una risposta
a questi problemi, perché è in grado di lasciare aperta la strada di molteplici e differenti
determinazioni dello spazio, affidando ai matematici il compito di ritrovarle e
teorizzarle. La concezione dello spazio e del tempo di Kant è compatibile con la
geometria euclidea, ma rende possibile la sua coesistenza con altri tipi di prove
matematiche e configurazioni dello spazio, come si evince dal seguente Loses Blatt:
Wie der Satz: wenn 2 parallel-Linien von einer dritten durchschnitten werden etc. etc., durch eine philosophische Vorstellungsart durch Begriffe mit Vorbeigehung der Construction völlig strenge, aber doch nicht euclideisch bewiesen werden könne.100
Questo passaggio confuta una delle più note asserzioni di R. Carnap, secondo
cui Kant, come del resto fecero molti matematici della sua epoca, suppose la
derivazione dell’assioma delle parallele dagli altri postulati basati su un appello
all’intuizione.101 L’argomento che qui si sostiene contro la tesi di Carnap consiste nel
mostrare come la concezione kantiana dello spazio non sia fondata necessariamente su
una considerazione percettiva degli oggetti dell’intuizione, sebbene possa essere ad essa
riferita: la tridimensionalità dello spazio è una delle possibili proprietà di esso,
compatibile con l’idealismo trascendentale, ma non l’unica. Secondo il passo citato,
infatti, una geometria non euclidea e i suoi oggetti sarebbero pensabili e dovrebbero
essere rappresentati qualitativamente, procedendo dai concetti alle intuizioni, cioè
discorsivamente.102
Kant giunge a questa conclusione, anche a seguito della sua riflessione
sull’algebra, secondo cui:
Die allgemeine Arithmetik (Algebra) ist eine der maßen sich erweiternde Wissenschaft,
dass man keine der Vernunftwissenschaften nennen kann, die es ihr hierin gleich täte, sogar, dass die übrige Theile der reinen Mathesis ihren Wachsthum größtenteils von der Erweiterung jener allgemeinen Größenlehre erwarten. Bestände diese nun aus bloß analytischen Urteilen , so wäre wenigstens die Definition der letzteren unrichtig, dass sie bloß erläuternde Urteile wären
99 Cfr. Jammer (1993), pp. 145-147 per un quadro sintetico del sorgere delle geometrie non euclidee e della loro ricaduta sullo spazio-tempo fisico distinto da quello geometrico. 100 I. Kant, Loses Blatt, KGS XIV, p. 52 (1800). 101 Cfr. R. Carnap, Philosophical Foundations of Physics, New York/London 1966, p. 126. 102 Cfr. G. Brittan, Kant’s philosophy of mathematics, in G.Bird (a cura di), A companion to Kant, Oxford 2006, pp. 222-35. In particolare p. 233.
41
und denn wäre es ein wichtiges, schwer zu beantwortendes Problem: Wie ist Erweiterung des Erkenntnisse durch bloß analytische Urteile möglich.103
La seconda parte di questo passo indica chiaramente che Kant abbia negato
all’algebra lo statuto di scienza costituita da puri giudizi analitici. Tuttavia, questo
mostra come Kant abbia ammesso che una buona parte della matematica possa essere
costituita anche da giudizi analitici. La critica che Kant compie nei confronti del
concetto di spazio assoluto e la posizione secondo cui lo spazio non può essere oggetto
di esperienza diretta fa sì che, nell’alveo dell’idealismo trascendentale, questo assurga al
ruolo di una funzione dinamica.104
Da un punto di vista matematico, invece, l’algebra, come scienza della misura
capace di espandersi, si trasforma nello strumento atto a determinare indefinitamente il
numero delle dimensioni dello spazio attraverso la sintesi della composizione.
105 Come
si è cercato di mostrare, l’ordine dello spazio e del tempo come forme della
composizione (Zusammenstellung) determina a priori l’intuizione, secondo particolari
relazioni di coordinazione e subordinazione tra le loro parti. Alcuni interpreti di questo
aspetto della filosofia kantiana, tra cui D. Sutherland e M. Friedman, hanno visto qui
un’influenza esercitata dalle proporzioni di Eudosso e dalla geometria algebrica
euclidea. Tuttavia, questo aspetto relazionale della concezione kantiana dello spazio e
del tempo sembra costituire più verosimilmente una continuità con la tradizione
leibniziana,106
Kant diede un taglio originale alla concezione tradizionale dello spazio e del
tempo nella misura in cui combinò la doppia connotazione dello spazio e del tempo
come quantità estensive (secondo quantità) ed intensive (secondo qualità). Su questo
punto è opportuno accettare, in prima istanza, la tesi di Sutherland che pone l’accento
sull’importanza delle proprietà matematiche fondamentali delle grandezze fondate sulla
composizione, sulla relazione tutto-parti e sull’eguaglianza.
che certamente teneva presente aspetti rivisitati della teoria eudossiana.
107
103 Lettera a Schultz (1788), Briefwechsel, KGS X, p. 554.
In secondo luogo, è
interessante la relazione che Sutherland vede tra questi principi della teoria delle
proporzioni e la visione kantiana della geometria, dell’aritmetica e dell’algebra.
104 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 435; 532-533. 105 Cfr. D. Sutherland Kant on Arithmetic, Algebra, and the Theory of Proportions. Journal of the History of Philosophy, 44, 4, 2006, pp. 533-58, in particolare, p. 549. 106 Come sottolinea anche Sutherland molti contemporanei di Leibniz, ma anche suoi successori come Wolff, riconsiderarono l’algebra in rapporto alla geometria. Cfr. Sutherland (2006), pp. 550-551; cfr. D. Sutherland, Kant on Fundamental Geometrical Relations, Archiv für Geschichte der Philosophie, 87, 2005, pp. 117-58, in particolare, p. 118; 128 segg. 107 Cfr. Sutherland (2006), p. 538.
42
Il punto che, però, segna un distacco dall’interpretazione di Sutherland concerne
l’origine di queste proporzioni chiave e il modo in cui Kant fonda su di esse non solo
principi matematici, ma anche quelli filosofici. L’origine di queste proporzioni risiede
nell’attività sintetica del soggetto, nell’influenza che l’intelletto esercita sulla sensibilità.
Se si considera ancora la distinzione tra intuizione formale e forma dell’intuizione,
risulta chiaro il ruolo di primo piano giocato dalla sintesi: l’intuizione formale realizza
in concreto la possibilità per il molteplice di essere immediatamente riferito a all’unità
della coscienza, determinata nel tempo, secondo un ordine composto (neben und nach
einander seyn) della costruzione, ovvero uno schema, ad esempio quello di numero.
D’altra parte, lo spazio e il tempo, come forme dell’intuizione, rendono possibile
in generale l’unità del molteplice procedendo per concetti, cioè la sintesi
dell’omogeneo, secondo quantità e qualità.108 Ma come anche Sutherland riconosce, le
categorie di quantità sono usate per riconoscere relazioni tra il tutto e le parti,109
sebbene non le producano affatto. Queste relazioni, piuttosto, sono prodotte da una
sintesi che soggiace sia alla costruzione dei concetti in matematica, come anche al
procedere discorsivo per concetti, alla filosofia. Come si è cercato di mostrare nei §§ 1.1
e 1.2, questo ambito che soggiace all’esperienza in generale 1) concerne l’origine delle
forme della sintesi dell’intelletto in relazione allo spazio e al tempo; 2) può definire
l’oggetto = X, cioè l’oggetto in generale.110
Questa dimensione trascendentale non è quella della logica generale, sebbene
essa presupponga il suo dominio come canone per la filosofia, bensì comprende
l’applicazione delle funzioni nei giudizi alle forme, cioè alle condizioni di possibilità
dell’esperienza. Questa dimensione di un’attività sintetica e spontanea che rende
“flessibile” lo spazio, modellandolo, soggiace anche alla costruzione matematica e,
come il prossimo capitolo cerca di mostrare, è posta, grazie all’impiego dell’algebra,
alla base della configurazione sia dello spazio geometrico che di quello fisico.
108 Il riferimento qui è agli Assiomi dell’intuizione e alle Anticipazioni della percezione. 109 Cfr. Sutherland (2005), p. 152. 110 Cfr. Brittan Kant’s philosophy of mathematics, in A companion to Kant, a cura di G. Bird, Oxford 2006, pp. 222-35. In particolare, p. 231. Inoltre sull’oggetto in generale e sulla sua determinazione, cfr. Sutherland (2005), p. 117; cfr. KrV, B202.; A163/B204.
43
CAPITOLO II
L’APPLICAZIONE DELLA MATEMATICA PER IL PASSAGGIO
ALLA FISICA
Premessa
Nel capitolo I si è voluta anticipare la trattazione dello spazio e del tempo
secondo l’idealismo trascendentale, per rendere perspicua la trattazione della
costruzione del movimento nell’opera Metaphysischen Anfangsgründe der
Naturwissenschaft del 1786. Nel corso dell’analisi di questo secondo capitolo, emerge,
in primo luogo, la possibilità per l’idealismo trascendentale di ammettere l’algebra
lineare per la costituzione di spazi vettoriali di cui si serve la meccanica classica. In
secondo luogo, viene posta attenzione alla definizione dello spazio fisico kantiano,
paragonandolo a quello geometrico, al fine di mostrare come non vi sia una perfetta
corrispondenza tra spazio geometrico e spazio fisico, ma anche come possa essere
distinto uno spazio comune alla geometria e alla meccanica. Per Kant non è possibile,
però, una riduzione dello spazio fisico, inteso in termini dinamici, a una pura
rappresentazione geometrica di esso.
Nell’opera del 1786 l’assunzione dell’idealismo trascendentale è quanto mai
necessaria non solo per la distinzione tra moto relativo e assoluto, tra attrazione
44
universale e parziale, ma è anche il fondamento per l’applicazione della matematica alla
scienza della natura.
Queste osservazioni permettono anche di gettare una luce sull’Opus postumum,
in quanto chiariscono la concezione di uno spazio relativo e funzionale alla dinamica, su
cui Kant intende fondare la trattazione meccanica della materia e delle sue forze,
definendo lo spazio assoluto come un’idea della ragione.1
Dopo aver preso in esame la concezione della matematica che Kant traccia nella
Prefazione all’opera del 1786, si procede alla trattazione della costruzione del
movimento nella metafisica della natura, prendendo in esame le sezioni della
Foronomia e della Fenomenologia. Nel §2.4 si discutono alcune delle tesi fondamentali
della letteratura critica, come quelle di B. Tuschling e M. Friedman, che hanno visto un
elemento fondamentale per la comprensione della filosofia kantiana nella
chiarificazione del legame tra i Principi metafisici della scienza della natura e il
progetto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.
Tra gli obiettivi di questo capitolo c’è quello di mostrare come nel Passaggio dai
principi metafisici della scienza della natura alla fisica rimanga sì la compresenza della
trattazione foronomica e fenomenologica del movimento, come afferma Friedman, ma
si apra anche il panorama per una diversa e nuova definizione di fenomeni chimici,
legati alla cristallizzazione o di quelli elettrici e magnetici, che, agli occhi di Kant,
necessitavano di una fondazione delle forze motrici derivative della materia e di una
teoria dinamica della materia. Da questo punto di vista l’opera dell’86 non sembra
costituire un fallimento, secondo quanto invece ha sostenuto B. Tuschling,2
In sostanza senza i Metaphysischen Anfangsgründe der Naturwissenschaft non ci
potrebbe essere un fondamento per l’applicazione della matematica alla fisica.
Quest’opera, dunque, assume il ruolo di un importante punto di passaggio, capace di
ma la
premessa di fondo che soggiace non solo alla trattazione del movimento, ma
indirettamente anche a quella delle forze fondamentali della materia secondo la
meccanica classica.
1 Di questo Kant tratta estesamente nella sezione Fenomenologia. Inoltre, a questo proposito, un paragrafo si incentra sull’analisi dell’impenetrabilità, che per Kant è il fenomeno fisico che meglio esprime la distinzione tra una concezione meccanica e una dinamica della materia. Non mancano, però, esempi di questa distinzione proprio a fronte della spiegazione dei fenomeni legati alla coesione, all’elettricità e al magnetismo. Sull’importanza del concetto kantiano di impenetrabilità, cfr. E. Watkins, Kant on extension and force: critical appropriations of Leibniz and Newton, in Between Leibniz, Newton and Kant. Philosophy of science in the Eighteenth century, a cura di W. Lefévre, Dordrecht 2001, pp. 111-127. 2 B. Tuschling, Metaphysiche und transzendentale Dynamik in Kants Opus postumun, Berlin, Walter de Gruyter, 1971, pp. 60 segg.
45
legare l’uso delle funzioni logiche nei giudizi e l’idealismo trascendentale con l’ultima
fase della produzione kantiana, incentrata alla fondazione della fisica come scienza.
2.1 La Prefazione ai Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft: il
ruolo della matematica
Sin dalle prime battute dei Metaphysischen Anfangsgründe der
Naturwissenschaft, Kant stabilisce la relazione tra matematica e metafisica per la
costituzione della scienza della natura. E’ opportuno ora tracciare le premesse che Kant
individua per raggiungere questo scopo.
La prima osservazione da svolgere concerne il concetto di natura che Kant
propone e che ha una serie di implicazioni epistemologiche di non poco conto. In prima
istanza per Kant:
La natura, d’altra parte viene considerata anche in senso materiale, non come una
proprietà costitutiva, ma come il complesso di tutte le cose in quanto possono essere oggetto dei sensi – dunque anche dell’esperienza – con cui perciò si intende la totalità dei fenomeni, cioè il mondo sensibile, con l’esclusione di tutti gli oggetti non sensibili.3
È presente qui una posizione epistemologica secondo la quale non esiste una
definizione univoca di natura. Quest’ultima può essere intesa in senso formale
(formaliter) e materiale (materialiter). Nel caso della natura in senso materiale, Kant
propone una visione della natura come totalità dei fenomeni sia del senso esterno sia di
quello interno, costituendo, così, una dottrina dei corpi e una dell’anima.4
La concezione kantiana di “natura” racchiude, dunque, in sé una duplicità di
significato, ma soprattutto un’articolazione secondo la quale essa può essere definita
attraverso l’indissolubile compresenza dei fenomeni del senso esterno e di quello
interno: non si potrebbe dare natura, in senso materiale, senza considerare il soggetto
pensante e senziente, da un lato, e gli oggetti dell’esperienza, dall’altro, riuniti in un
sistema capace di svelare la possibilità della loro connessione.
3 I. Kant, Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft, KGS IV (MAN); trad. it. P. Pecere (a cura di), Principi metafisici della scienza della natura, Milano 2003, p. 467. Accolgo qui la traduzione adottata da Pecere “Principi metafisici della scienza della natura”, anziché “Primi principi metafisici della scienza della natura”. 4 Proprio a partire da questa distinzione alcuni, tra cui D. Drivet, hanno prospettato un’interpretazione per la collocazione all’interno del sistema kantiano del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, che rappresenterebbe uno sviluppo della parte dedicata alla Dottrina dell’anima. Cfr. D. Drivet, La genesi dell’Opus Postumum di Kant. Un dato filologico importante, in Studi Kantiani, XV, Pisa 2002, pp. 127-163. Per il momento si noti la congruenza con quanto si legge in Opus postumum, KGS XXI, p. 458.
46
Questa sfida presenta una difficoltà: laddove si pensi la natura come totalità, si
deve pensare anche l’intelligenza inserita in essa. Tuttavia, qualsiasi analisi del
complesso di tutte le cose compiuta dalla ragione umana è pur sempre compresa entro la
totalità stessa. Come si è anticipato nel capitolo precedente, a proposito dell’oggetto
della fisica, si pone qui un problema circa la possibilità di conoscere la natura e di poter
dire qualcosa su di essa secondo giudizi sintetici a priori da parte del soggetto inserito
entro un sistema di forze e nessi causali.
A questa difficoltà Kant risponde con una divisione della scienza della natura in
una parte pura e in una empirica. La parte pura di essa corrisponde alla metafisica della
natura che viene delineata come scienza che procede a priori per giudizi analitici
secondo leggi necessarie.5
In tal modo, in conformità alla concezione kantiana di sistema come un tutto
che può accrescersi dall’interno, la scienza della natura propriamente detta presuppone,
dunque, una parte pura esposta senza alcuna mescolanza con quella empirica, così da
poter determinare fino a che punto la ragione possa spingersi e dove cominci ad aver
bisogno dell’aiuto di principi empirici.
Alla parte empirica è lasciato il compito di arricchire e di
condurre indagini sulla natura puramente secondo leggi empiriche, che prendono in
considerazione concetti empirici, in particolare quello di movimento, attraverso cui può
essere data, sotto un certo rispetto, l’esibizione nell’intuizione del concetto della
metafisica della natura.
6
Secondo Kant, infatti:
La scienza della natura che debba propriamente dirsi tale presuppone prima di tutto una metafisica della natura; infatti le leggi, cioè i principi della necessità di ciò che appartiene all’esistenza di una cosa, si occupano di un concetto che non si lascia costruire, perché l’esistenza non può essere rappresentata a priori in nessuna intuizione.7
Questa distinzione introduce una discriminante perché si dia scienza della
natura: la presenza della matematica nella sua costituzione. Quest’ultima supplisce alla
mancanza della costruzione diretta del concetto di materia in generale. La metafisica,
grazie al processo divisorio e all’applicazione dei concetti di riflessione, accompagnata
alla matematica, fornisce la base per la costruzione di un concetto di un oggetto le cui
leggi necessarie delle proprietà della sua esistenza procedono solo da concetti.
5 Cfr. Falkenburg (1987), p. 50: “Kant ist oft vorgeworfen worden, diese Konstruktion des Materiebegriffs sei nicht synthetisch, sondern analytisch, weil er aus der empirischen Beschaffenheit der Materie (z. B. ihrer Undurchdringlichkeit und Schwere) die entsprechenden begrifflichen Prädikate deduziere […]“. 6 Cfr. MAN, KGS IV, p. 469. 7 MAN, KGS IV, p. 469.
47
Per distinguere il ruolo della matematica, in prima istanza per via negativa, e per
gettare luce su aspetti epistemologici presenti sia nei Metaphysische Anfangsgründe der
Naturwissenschaft che nell’Opus postumum, è necessario chiarire se la filosofia
kantiana consenta che la metafisica determini a priori concetti che sono rivolti
all’esperienza, cioè che trovano applicazione a casi occorrenti nell’esperienza.
La trattazione del problema epistemologico dell’esibizione del nesso o del
passaggio dall’a priori all’empirico è un percorso obbligato nel quadro della filosofia di
Kant, oltre che rappresentare un buon filo conduttore per affrontare le pagine
manoscritte dell’Opus postumum.
Nella Kritik der Urtheilskraft, i principi trascendentali vengono confrontati con i
principi metafisici, i quali svelano una natura differente rispetto ai primi ed assumono
una rilevanza sistematica nel pensiero kantiano:
Un principio trascendentale è quel principio con il quale è rappresentata la condizione universale a priori sotto di cui, soltanto, le cose possono diventare oggetti della nostra conoscenza in genere. Un principio si chiama invece metafisico, se esso rappresenta la condizione a priori sotto di cui, soltanto, possono essere ulteriormente determinati a priori oggetti il cui concetto deve essere dato empiricamente.8
Un particolare aspetto di questo problema investe la possibilità da parte della
filosofia trascendentale di fondare una metafisica della natura capace, a sua volta, di una
classificazione dei fenomeni e delle leggi empiriche della fisica.
Se nella filosofia kantiana non si può parlare di una costruzione filosofica dei
concetti vera e propria, non si può d’altra parte ignorare che, nel dominio per eccellenza
della ragione, cioè nella metafisica, vi sia un metodo di determinazione ed esibizione di
un concetto dato in una intuizione a priori: nel caso della metafisica della natura si
ritrova l’intento di costruire il concetto di materia in generale (Materie überhaupt).
Sebbene Kant, infatti, non abbia esplicitato una dottrina o un metodo per
costruire filosoficamente il concetto di un oggetto in generale, la sua metafisica mostra
come egli abbia voluto perseguire una esibizione della forma del contenuto dei concetti,
come quello della materia, attraverso la costruzione del movimento, nell’ambito della
metafisica della natura, o quello di diritto nell’alveo della metafisica dei costumi.
La costruzione metafisica del concetto di materia in generale costituisce la pietra
dello scandalo della filosofia critica laddove è proprio il procedere discorsivo della
8 Cfr. KdU , KGS V, p. 181.
48
filosofia ad escludere dal suo dominio la costruzione, che invece è il metodo proprio
della matematica.9
La letteratura secondaria sull’argomento ormai concorda sul fatto che la
costruzione metafisica del concetto di materia nei Metaphysische Anfangsgründe der
Naturwissenschaft non è altro che una esibizione di rapporti tra predicati contenuti in
alcuni concetti dati alla ragione che mira alla fondazione di primi principi metafisici e
che, dunque, deve basarsi sugli elementi a priori del giudicare.
Il primo aspetto da considerare circa la costruzione del concetto di materia è il
fatto che Kant ricorra alla determinazione del concetto empirico di movimento, che è un
predicabile. Il secondo aspetto riguarda la determinazione sul piano ontologico del
concetto di materia attraverso lo strumento della matematica. Proprio questa è la ragione
plausibile per cui Kant scelse di definire in termini di ‘costruzione’ l’esibizione del
concetto di materia.
Una delle prime interpretazioni più note dell’argomento è stata proposta da P.
Plaass in Kants Theorie der Naturwissenschaft. Plaass ritiene che la concezione
kantiana della costruzione metafisica (metaphysische Konstruktion) abbia giocato un
ruolo fondamentale per la costruzione della materia, proprio attraverso il concetto di
movimento.10 Questa particolare costruzione non sarebbe altro, infatti, che una
esibizione (Darstellung) di rapporti specifici legati al moto, sebbene Kant non li abbia
mai definiti chiaramente.11
Anche B. Falkenburg si è soffermata sulla costruzione metafisica del concetto di
materia e propone una tesi particolarmente interessante circa l’esistenza di un legame
profondo e sistematico tra concetti di riflessione di forma e materia e la costruzione
metafisica del concetto di materia.
12
Il problema con cui si misura Kant nel 1786 è, secondo Falkenburg, quello di
provare la fondazione dei principi a priori che la fisica può solamente postulare. Per
risolvere questo problema, Kant ricorre alla costruzione del concetto di materia in
generale, che passa per la costruzione del movimento secondo le funzioni logiche nei
giudizi:
9 Cfr. KrV, A713/B741 segg. 10 P. Plaass, Kants Theorie der Naturwissenschaft, Göttingen 1965; trad. ingl. Kant’s theory of natural science, a cura di A. e M. Miller; Introduzione di Carl Friedrich von Weizsacker, Boston 1994, p. 63. 11 Plaass (1994), pp. 67e segg. 12 Falkenburg (1987), pp. 49-51; 54-55.
49
Foronomia secondo Quantità
Il predicato della mobilità nello
spazio secondo la sua quantità è la
velocità relativa. La materia è
considerata come un punto materiale.
Dinamica secondo Qualità
I predicati dell’impenetrabilità e
della pesantezza vengono determinati
attraverso la forza di attrazione e
repulsione che riempie lo spazio. La
materia ha dimensioni,
impenetrabilità e pesantezza.
Meccanica secondo Relazione
Il predicato di una forza motrice
attraverso cui diversi corpi materiali
agiscono esternamente l’uno
sull’altro. Qui viene inserito il
concetto di massa e la discussione
delle leggi di Newton.
Fenomenologia secondo Modalità
I predicati di possibilità, realtà e
necessità di diversi movimenti
relativi.
Rispetto a questa lettura di Falkenburg,13
Il legame che questa ricerca istituisce tra il metodo divisorio e l’applicazione dei
concetti di riflessione si basa non solamente sull’importanza che la trattazione dei
concetti i riflessione ricopre nella Critica della ragione pura, ma anche sul riscontro di
numerosi passi riferiti esplicitamente all’anfibolia dei concetti di riflessione che sono
contenuti nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.
la presente ricerca tenta un passo
ulteriore: mostrare come Kant segua tutti i concetti di riflessione nella determinazione
del concetto di materia in generale.
14
13 Falkenburg (1987), pp. 49-50. Falkenburg ritiene che la divisione riportata segua le categorie, in realtà si vede che sono le funzioni logiche nei giudizi a determinare la qudripartizione. All’interno delle sezioni è poi riscontrabile un riferimento alle categorie.
In queste occorrenze Kant ritiene indispensabile tale richiamo per evitare che si tratti la
materia cosmica meccanicamente, come ad esempio fece Eulero, bensì dinamicamente.
14Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 43; 545; 637; 643; KGS XXII, pp. 556; 105; 565; 558; 570; 489; 321; 326; 343; 353; 331; 339; 322-323; 313; 315; 291; 295; 290; 285-286; 308.
50
Risulta, dunque, di una certa rilevanza affrontare in via preliminare questi argomenti
prima di accedere alla metafisica della natura vera e propria.
Tuttavia, se si analizza più da vicino la costituzione dei principi metafisici, si
scorge l’insufficienza di considerare solamente il loro legame con i concetti di
riflessione, occorre affrontare e sciogliere il nodo della possibilità di una determinazione
a priori di concetti, il cui oggetto non può essere dato direttamente nell’intuizione,
eppure essi devono avere un riscontro empirico, grazie a un predicabile. Per tale ragione
oltre che ai concetti di riflessione, la metafisica kantiana segue un metodo, quello della
divisione metafisica dei concetti (metaphysische Eintheilung) per la promozione della
completezza e della sistematicità della conoscenza.
Nel caso della divisione metafisica, Kant utilizza concetti tra loro opposti
contraddittoriamente. Questo accade in virtù del fatto che la divisione metafisica ha una
pretesa di determinazione delle relazioni che riguardano la realtà dei predicati del
concetto diviso, che ha un oggetto corrispondente.15
Della divisione (Eintheilung) Kant parla esplicitamente nelle sue lezioni di
logica,
16
nell’ambito della Dottrina generale del metodo:
Ogni concetto contiene sotto di sé un molteplice, in quanto molteplice di elementi concordanti, ma anche in quanto molteplice di elementi discordanti. La determinazione di un concetto rispetto a tutto il possibile che è contenuto sotto di esso, nella misura in cui gli elementi del possibile sono opposti fra loro, cioè si distinguono fra loro, si chiama divisione logica del concetto. Il concetto superiore si chiama concetto diviso (divisuum) e i concetti inferiori si chiamano membri della divisione (membra dividentia).17
Differenti divisioni di un concetto possono essere codivisioni o suddivisioni e
possono entrambe procedere all’infinito.18
Quando però la divisione assume una forma
a due o più membri Kant diventa più esplicito circa lo statuto del metodo divisorio:
Una divisione in due membri si chiama dicotomia, ma se ha più di due membri si dice politomia. 1. Ogni politomia è empirica; la dicotomia è l’unica divisione basata su principi a priori, quindi è l’unica divisione primitiva. Infatti i membri della divisione devono essere opposti tra loro, e l’opposto di ogni A non è altro che non A. 2. La politomia non può essere
15 Si noti che, nella misura in cui il concetto metafisico deve essere rivolto all’esperienza o fenomenica, come nel caso delle forze della materia, o noumenica, laddove nella dimensione della morale entri in gioco il Faktum der Vernunft, la libertà, il riferimento alla realitas noumenon non viene precluso ai concetti di riflessione, purché non si attui un’anfibolia di essi, ovvero non si scambi la fonte conoscitiva da cui sorge il concetto di un oggetto e si rispetti la distinzione tra fenomeno e noumeno sulla base dell’idealismo trascendentale. 16 Cfr. Kant, Logik Jäsche, KGS IX, pp. 146-147; trad. it., Logica. Un manuale per lezioni, a cura di M. Capozzi, Napoli 1990. 17 Logik Jäsche, KGS IX, p.146. 18 Logik Jäsche, KGS IX, p. 147.
51
insegnata in logica perché per questo occorre una conoscenza dell’oggetto. Ma la dicotomia ha bisogno solo del principio di contraddizione, senza conoscere quanto a contenuto il concetto che si vuole dividere. La politomia ha bisogno di intuizione, o a priori, come in matematica (ad esempio la divisione delle sezioni coniche), o di intuizione empirica, come nella descrizione della natura. Tuttavia la divisione condotta a partire dal principio della sintesi a priori presenta una tricotomia, cioè: 1) il concetto come condizione, 2) il condizionato e 3) la derivazione del secondo dal primo.19
Nella Rechstslehre Kant definisce la divisione metafisica (metaphysische
Eintheilung) come una politomia, che indica la divisione di un concetto della ragione.
Questa divisione è una politomia del concetto a quattro termini, cioè è una tetracotomia,
in cui si trovano i primi due termini derivati da una divisione analitica primitiva o logica
e altri due che esibiscono le condizioni di possibilità per la connessione dei due
predicati compresi sotto il concetto.
Ora i predicati vengono connessi secondo un rapporto di fondamento-
conseguenza (Grund-Folge), per esibire la condizione di possibilità che sta a
fondamento della realtà dell’oggetto del concetto. Tale realtà è una posizione di natura
relativa e dinamica, mai assoluta, e la metafisica purificata da ogni dogmatismo ha il
compito di esibire i rapporti reciproci di fondamento e conseguenza da cui scaturisce la
determinazione del concetto. Il primo passo, dunque, per costruire un concetto in
metafisica non consiste nell’esibire immediatamente i predicati in esso contenuti, bensì
nel ricondurre il fondamento della realtà di quei predicati sotto principi di possibilità
dell’esperienza in modo da costruire l’accordo tra questo fondamento e il concetto
stesso:
Come noi, nella matematica pura, non deduciamo immediatamente dal concetto le
proprietà del suo oggetto, ma possiamo scoprirle solo attraverso la costruzione del concetto, così non è il concetto del diritto, ma piuttosto la coazione assolutamente reciproca ed uguale, ricondotta sotto leggi universali e che si accordi con esso, quella che permette l’esibizione di tale concetto. Poiché però nella matematica pura (ad esempio nella geometria) a fondamento di questo concetto dinamico ne sta ancora uno semplicemente formale, la ragione ha avuto cura di provvedere per quanto possibile anche l’intelletto di intuizioni a priori, per la costruzione del concetto di diritto.20
Agli occhi di Kant non sarebbe possibile alcuna costruzione di concetti in
metafisica, pena il ricadere nel dogmatismo, senza la dottrina dell’idealismo
trascendentale e il presupposto filosofico kantiano, secondo cui la realtà non è mai una
posizione assoluta, ma relativa, ed è possibile esibirla per noi solamente se tradotta in
19 Logik Jäsche, KGS IX, pp. 147-148. 20 Kant, Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre (RL), KGS VI, p. 233; trad. it. Primi principi metafisici della dottrina del diritto, a cura di F. Gonnelli, Bari 2005.
52
termini relazionali, ovvero sotto leggi universali dell’azione reciproca tra i corpi.
Proprio questa comunanza costituita da rapporti reciproci attivi ed effettivi è il
presupposto metafisico per eccellenza della filosofia kantiana, rintracciabile sia negli
scritti morali che teoretici.
Qualsiasi concetto posto ad oggetto dell’indagine metafisica deve comprendere
in sé una sintesi che appartiene alla possibilità dell’esperienza, cioè deve comprendere
l’articolazione dei rapporti reciproci attivi da cui il suo oggetto o il suo corrispettivo
nell’intuizione può sorgere e che costituiscono le sue condizioni di possibilità sotto un
principio universale e necessario della ragione.
L’esplicazione del rapporto di fondamento-conseguenza tra questi rapporti
reciproci e i principi universali della ragione costituisce l’unica via possibile per una
costruzione indiretta e filosofica di concetti. A tale scopo, Kant si serve di un tipo
particolare di metodo divisorio.
Al contrario di quelle divisioni del concetto, che Kant chiama trascendentali o
tricotomiche, di natura sintetica,21 la divisione metafisica ha una natura analitica e
sintetica insieme, cioè chiarisce i rapporti reciproci attivi tra i predicati contenuti sotto il
concetto diviso e guarda anche al contenuto, alla materia di esso. Proprio per la sua
funzione di chiarire non semplicemente l’appartenenza o meno di predicati a un
concetto, ma i rapporti reciproci tra essi, la divisione metafisica si differenzia quindi
dalla divisione logica o dicotomica,22 in quanto prevede una conoscenza indiretta
dell’oggetto del concetto, con il ricorso ad una intuizione a priori o empirica,23
La divisione metafisica esibisce, quindi, i predicati dei rapporti reciproci attivi
reali, compresi sotto il concetto dell’oggetto, a cui non corrisponde un’intuizione
sensibile, se non negli effetti che tale oggetto produce nel mondo. Riguardo alla
divisione metafisica del concetto di diritto, ad esempio, Kant si esprime come segue:
e
l’ampliamento del contenuto concettuale, grazie alla determianzioni di rapporti che non
sono immediatamente contenuti sotto di esso.
Ma la partizione di cui qui si tratta, ossia la partizione metafisica, può essere anche una
tetracotomia; perché, oltre ai due membri semplici della partizione, si aggiungono ancora due rapporti, ossia quelli delle condizioni limitative del diritto, sotto le quali l’un diritto entra in connessione con l’altro; rapporti la cui possibilità richiede una indagine particolare.24
21 KdU, KGS V, p. 198 nota. 22 Logik Jäsche, pp. 147-148. 23 KdU, KGS V, 198 nota; Logik Jäsche, KGS IX, p. 147. 24 RL, KGS VI, pp. 357-358.
53
Da una parte la garanzia di questo procedimento divisorio risiede nella logica e
nei suoi principi.25
In altre parole, la garanzia della correttezza della costruzione del concetto di
materia in generale risiede nella logica a parte priori, mentre la garanzia della possibile
corrispondenza tra le relazioni dei predicati e la realtà fenomenica (cioè tra a priori ed
empirico) viene fornita dal confronto tra le rappresentazioni e la coscienza del
fenomeno mediante l’atto della riflessione trascendentale e il rispetto delle condizioni di
possibilità dell’esperienza, secondo un principio metafisico della ragione.
Per altro verso la garanzia dell’oggettività dei predicati dipende
dall’atto della riflessione trascendentale e dall’applicazione dei concetti di riflessione.
I concetti, che diventano concetti metafisici, grazie a questo procedimento e al
metodo divisorio metafisico, trovano un corrispettivo nell’intuizione, che deve essere
pensato secondo un principio della ragione. Per la metafisica è possibile una costruzione
dei concetti, ovvero un’esibizione del concetto in una intuizione a priori, come emerge
dal passo seguente tratto dalla Rechtslehre:
La legge di una coazione reciproca che si accordi con la libertà di ciascuno, sotto il principio della libertà universale, è in certo qual modo la costruzione di quel concetto, ossia la sua esibizione in una intuizione pura a priori, secondo l’analogia della possibilità del moto libero dei corpi sotto la legge della eguaglianza di azione e reazione.26
Questo passaggio fornisce un’indicazione importante sul metodo kantiano per la
costituzione della metafisica della natura. Sebbene la ragione umana utilizzi la
matematica come strumento per la costituzione della fisica come scienza, il fondamento
per la sua realizzazione è di natura filosofica.
Nel caso della costruzione del concetto della materia in generale ci si trova di
fronte ad una esibizione in una intuizione a priori (quella dello spazio) del fondamento
contenuto nella sua conseguenza empirica, come è il moto libero dei corpi, ovvero il
rapporto reciproco attivo delle forze motrici. L’esibizione nell’intuizione pura della
possibilità del moto libero dei corpi, secondo il principio dell’azione e reazione, è
possibile solamente attraverso la matematica.
La metafisica, perciò, deve essere in grado di servirsi della matematica per dare
certezza apodittica ai principi della scienza della natura. Tuttavia la scienza dei principi
della ragione assume ad oggetto concetti supremi del conoscere umano, la cui
25 Logik Jäsche, KGS IX, pp. 146-147. 26RL, KGS VI, p. 232.
54
determinazione deve tener conto delle condizioni di possibilità dell’esperienza. I
principi metafisici devono rispondere a questa necessità.
Sebbene la trattazione kantiana non sia immediatamente chiara sulla possibilità
di un metodo proprio della metafisica, è possibile riscontrare come ci sia un’intima
connessione tra i concetti di riflessione, l’attività del giudicare e la divisione metafisica
dei concetti. Ciò che permette la realizzazione della divisione metafisica, diversa da
quella logica, che è sempre analitica e dicotomica, sono proprio i concetti di
riflessione,27
che svelano la loro natura di canone per la metafisica. Secondo Kant
infatti:
Poiché tuttavia quando si tratta non già della forma logica, bensì del contenuto dei concetti – cioè, di vedere se le cose siano identiche oppure diverse, in accordo oppure in contrasto, ecc. – le cose possono avere una duplice relazione con la nostra facoltà conoscitiva, ossia possono essere in rapporto con la sensibilità e con l’intelletto, e poiché d’altronde il modo in cui esse debbono appartenere l’una all’altra dipende da questa posizione, in cui rientrano, in tal caso la riflessione trascendentale – cioè il rapporto di rappresentazioni date con l’uno o l’altro modo di conoscenza – potrà essa sola determinare la relazione reciproca [corsivo mio ] di tali rappresentazioni.28
I rapporti reciproci attivi delle rappresentazioni contenute nel concetto di ragione
possono essere determinati nella costruzione del concetto esclusivamente attraverso la
riflessione trascendentale.29
Un atto, quest’ultimo, che Kant definisce come “dovere da cui nessuno può
esimersi, quando si vuol formulare un qualche giudizio a priori sulle cose”.
30
27 Alcuni studi sulla teoria kantiana dei concetti di riflessione sono stati condotti da P. Reuter, Kants Theorie der Reflexionbegriffe, eine Untersuchung zum Amphiboliekapitel der Kritik der reinen Vernunft, Würzburg 1989, e da von Stefan Heßbrüggen, Topik, Reflexion und Vorurteilskritik: Kants Amphibolie der Reflexionsbegriffe im Kontext, in Archiv für Geschichte der Philosophie, 2004, pp. 146-175. Oltre a sostenere l’oscurità della sezione dell’Anfibolia e le difficoltà da parte della critica di spiegare i concetti di riflessione, von Stefan Heßbrüggen lega la riflessione trascendentale e i concetti di riflessione alla teoria logica dei pregiudizi, affermando che questo è l’unico modo per comprenderne la natura.
In primo
luogo, questo atto contiene il fondamento della possibilità della comparazione oggettiva
delle rappresentazioni tra loro e fornisce di fatto un canone per la determinazione dei
concetti metafisici. In secondo luogo, la riflessione trascendentale permette la
correttezza di una topica trascendentale, la quale contiene le quattro coppie dei concetti
28 KrV, A262/B318. 29 Cfr. KrV, A262-263/B318-319. In questo luogo, Kant distingue la riflessione trascendentale (reflexio) da quella logica, affermando che quest’ultima è una semplice comparazione (comparatio), dato che in essa si astrae dalla facoltà conoscitiva, cui appartengono le rappresentazioni date, che vanno considerate come omogenee. Invece, la riflessione trascendentale contiene il fondamento della possibilità della comparazione oggettiva delle rappresentazioni tra loro, che appartengono a una diversa facoltà conoscitiva. 30KrV, A264/B319.
55
di riflessione. Questi titoli (Titeln) si differenziano dalle categorie “per il fatto che
mediante essi non viene presentato l’oggetto secondo ciò che costituisce il suo concetto
(quantità, realtà), ma viene presentato soltanto, in tutta la sua varietà, il confronto delle
rappresentazioni che precede il concetto delle cose”.31
Dunque, prima di costituire qualunque giudizio su un oggetto dell’esperienza
possibile, Kant invoca il ricorso ai concetti di riflessione. La loro trattazione fornisce un
indizio in più sulla possibile fondazione della metafisica come scienza. La riflessione
trascendentale e i concetti di riflessione, infatti, sono la pietra di paragone per il corretto
uso dell’intelletto e orientano la corretta determinazione della relazione delle
rappresentazioni con la coscienza, conducendo alla modalità del sapere della Gewissheit
indispensabile nella dimensione della metafisica della natura e nella fisica,
32 ma anche
della storia degli uomini.33
31 KrV, A269/B325. Cfr. M. Kugelstadt, Synthetische Reflexion: zur Stellung einer nach Kategorien reflektierenden Urteilskraft in Kants theoretischer Philosophie , in Kant-Studien.132 Berlin 1998.
32 La certezza logica (logische Gewissheit) incarna la perfezione logica secondo modalità, essa possiede dunque un intrinseco legame col giudicare, in quanto ne costituisce il fondamento. Per la definizione dei diversi modi di Gewissheit cfr. Logik Jäsche, KGS IX, pp. 70-73. Cfr. M. Capozzi, Kant e la logica, Napoli 2002, pp. 571-573; sulle diverse modalità del tener per vero, cfr. KdU, KGS V, pp. 467 segg.; sull’applicazione delle diverse modalità del sapere alla scienza della natura in rapporto all’analogia, cfr. M. Capozzi, Matematica e metafisica nella “Naturgeschichte” di Kant, in Studi filosofici 1977-78, Siena 1978, pp. 87-130; sull’importanza di questo argomento per l’epistemologia kantiana cfr. P. Grillenzoni, Kant e la scienza, Milano 1998, pp. 301-302. 33 Nel passo della Reflexion che segue, Kant fa riferimento a Bacone non solo come il sostenitore del metodo scientifico, basato sull’osservazione e l’esperimento, ma anche come colui che ha inaugurato l’epoca moderna della scienza attraverso lo strumento dell’analogia. In questo contesto Kant poi traccia i caratteri fondamentali della scienza, astraendo da una scienza particolare. L’essenza della scienza consiste nel suo distanziarsi dalla mera opinione attraverso la certezza (Gewissheit) che consiste nell’immutabilità del tener per vero, che, nel caso della scienza della natura, assume un carattere oggettivo, accompagnato dalla coscienza, divenendo sapere (Wissen). Cfr. Handschriftlicher Nachlaß, KGS XVIII, pp. 287-288: “Unser Zeitalter ist das Zeitalter der Kritik, d.i. einer (scharfen) Beurteilung des Fundaments aller Behauptungen, zu welcher uns die Erfahrenheit langer Zeiten, vielleicht auch die durch den berühmten Baco von Verulam in Gang gebrachte behutsame Nachforschung der Natur durch Beobachtung und Experiment nicht allein in den Behauptungen der Naturwissenschaft, sondern nach der Analogie auch in allen übrigen gebracht hat, von welcher die Alten nichts wussten und so an schwankende Meinungen gewohnt waren. Hierin kann uns schwerlich ein künftiges Zeitalter übertreffen, wen wir gleich von diesen Prinzipien der Sicherlich übertrifft uns hierin kein Vergangenes (Zeitalter), und dieses kann also der (wissenschaftliche) Charakter des unsrigen genannt werden. In aller Wissenschaft ist, wenn wir von Menge von Kenntnissen abstrahieren, ist die Wesentliche Absicht, dass sie sich von der bloßen Meinung unterscheide, mithin die Gewissheit. Die Methode, deren man sich in ihr bedient, ist bloß das Mittel, zu dieser zu gelangen. Gewissheit ist die Unveränderlichkeit der Vorwarhaltens. Unveränderlich aber ist das Vorwarhalten entweder objektiv: wenn wir erkennen, dass kein überwiegender Grund zum Gegenteil an sich möglich sei, oder subjektiv: wenn wir überzeugt sind, dass weder wir noch irgend ein Mensch jemals größerer Gründe zum Gegenteil habhaft werden könne. Das (mit Bewusstsein) unveränderliche Vorwarhalten ist Wissen, das subjektiv unveränderliche Vorwarhalten Glauben. Das zwar Vorwarhalten mit dem Bewusstsein seiner Veränderlichkeit ist Meinen. Beispiel an der Geschichte. Das Wort Glauben kann entweder in Ansehung die Quelle unserer Erkenntnis oder die Art und den Grad des Vorwarhaltens derselben bedeuten. In der ersteren Bedeutung kann keine Erkenntnis durch der Geschichte anders als durch ein Zutrauen zu Zeugnissen anderer, d.i. dadurch, dass wir anderen Glauben, entspringen. In der zweiten Bedeutung kann eine Geschichtskunde allerdings ein Wissen sein und bedarf es nicht, dem Grade des Vorwarhaltens nach von der eigenen Erfahrung, der sie den Namen des Wissens nicht streiten, unterschieden zu durch die Benennung des Glaubens unterschieden zu werden. So weiß man, dass ein
56
La dimensione fortemente storica della scienza e del suo metodo, di ispirazione
baconiana, non preclude a Kant la possibilità di rinvenire gli elementi a priori sulle cui
fondamenta può costruirsi una solida metafisica della natura.
Il famoso passo kantiano secondo cui “in ogni dottrina particolare della natura si
può trovare tanta scienza propriamente detta, quant’è la matematica che vi si trova”,34
La metafisica, infatti, permette che sia possibile la conoscenza di alcuni oggetti
solo in base al loro semplice concetto, ma nella scienza della natura si ha a che fare con
leggi che si riferiscono a oggetti fisici esistenti. Per questo non può darsi una dottrina
dei corpi in base alla sola metafisica, ma questa è possibile solo attraverso la
matematica,
richiede che venga data a priori l’intuizione corrispondente al concetto di materia in
generale, cioè che esso venga costruito.
35
Nonostante questi passi siano stati tra i più commentati della produzione
kantiana, non è stato rilevato, neppure da K. Pollok, che più che del rapporto tra scienza
della natura e matematica, in queste pagine Kant si occupa della differenza, ma anche
della medesima origine, della matematica e della metafisica.
ovvero a quanta parte di essa può essere applicata nella dottrina della
natura (Naturlehre).
Solo a partire da questa osservazione si può dare conto del perché gli scienziati
usino concetti e principi metafisici per la costituzione della scienza della natura. Il
sostrato comune alla metafisica e alla matematica risiede, secondo Kant, nella capacità
di rappresentare le intuizioni formali di spazio e tempo come quanta, come due
grandezze omogenee e continue: in ciò risiede la condizione di possibilità per la loro
discretizzazione,36
Su questo punto, che ha evidenti ricadute sullo statuto della matematica, si snoda
la sotterranea e potente critica a Newton. Come si mostrerà nei prossimi paragrafi, la
differenza fondamentale con la visione newtoniana della matematica consiste in prima
istanza nel fatto che, per Kant, la geometria non era una branca speciale della
per una distinzione dello spazio geometrico da quello fisico e per una
duplice trattazione dei fenomeni naturali legati al moto, ovvero la trattazione statica e
quella dinamica.
Ludwig XIV. gelebt hat, ebenso sicher als ob er ihn selbst gesehen hätte, und so ist ein guter Teil der Geschichte wahre Wissenschaft; das Vorwarhalten ist darin objektiv unveränderlich. Es ist unmöglich, dass jemals hinreichende Gründe zum Gegenteil desselben”. 34 MAN, KGS IV, p. 470. 35 MAN, KGS IV, p. 470. 36 Cfr. K. Pollok, Kants „Metaphysische Anfangsgrunde der Naturwissenschaft“. Ein kritischer Kommentar , Hamburg 2001, pp. 219 segg.; cfr. KrV, B207-208; cfr. Infra, §2.3.
57
meccanica,37
La differenza con Newton è però evidente, laddove Kant attua un rovesciamento
della sua posizione, indicando la Foronomia come una scienza “ponte” tra la
matematica e la fisica. Questa è, cioè, la dottrina pura della quantità del movimento che
può essere universalmente applicata al moto dei corpi grazie alla geometria e
all’algebra. Pollok suggerisce che la Foronomia, occupandosi del movimento come
quantum, abbia per oggetto un composto omogeneo, a cui poi verrebbero applicate
grandezze determinate, cosicché le quantità algebriche impiegate in meccanica
presuppongono un quantum come condizione della loro realtà oggettiva.
e, in secondo luogo, nel fatto che la matematica traeva la sua fondazione
su principi a priori della ragione umana.
Del fatto che a Kant premesse in via preliminare una distinzione tra matematica
e metafisica si ha evidenza dal passo dedicato alla definizione della metafisica e al suo
carattere di completezza, che invece la matematica non può avere.
Nella Prefazione, quindi, Kant ribadisce l’infinita possibilità di estensione per la
matematica e la scienza empirica della natura, di contro alla completezza della logica.
Questa premessa risulta di grande importanza al fine di comprendere la strategia
kantiana per la costituzione della fisica come scienza e per la definizione della possibile
interazione tra filosofia e scienza.
Come lo stesso Kant sostiene nei Principi metafisici della scienza della natura,
in particolare nella Dinamica, la determinazione di alcuni caratteri specifici della
materia, come la sua divisibilità, è un compito della fisica che poggia però su principi
metafisici e non matematici. Il prossimo paragrafo offre l’esempio concreto di questa
fondazione che rende possibile l’applicazione della matematica alla fisica e del ruolo
della Dialettica trascendentale come catartico della ragione, nonché della logica come
canone della filosofia.
37 Cfr. Jammer (1993), pp. 96-97. Cfr. F. Cajori, Sir Isaac Newton’s Mathematical principles of natural philosophy and his System of the World, Berkeley 1934, p. xvii: “Therefore geometry is founded in mechanical practice, and is nothing but that part of universal mechanics which accurately proposes and demonstrates the art of measuring”. Ancora più avanti, p. xvii, si legge: “For the description of right lines and circles, upon which geometry is founded, belongs to mechanics. Geometry does not teach us to draw these lines, but requires them to be drawn, for it requires that the learner should first be taught to describe these accurately before he enters upon geometry, then it shows how by these operations problems may be solved. To describe right lines and circles are problems, but not geometrical problems. The solution of these problems is required from mechanics, and by geometry the use of them, when so solved, is shown”.
58
2.2 Il progresso in infinitum, ad infinitum, in indefinitum. Matematica e
metafisica per la scienza della natura
Nell’Estetica trascendentale Kant offre la seguente definizione dello spazio,
come risultato di una sintesi ad infinitum esercitata per rappresentare l’intuizione del
senso esterno:
Lo spazio è rappresentato come un’infinita grandezza data. Orbene è vero che si deve pensare ogni concetto come una rappresentazione, la quale è contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni possibili (come la loro caratteristica comune), e quindi comprende sotto di sé tali rappresentazioni, ma nessun concetto in quanto tale, può essere pensato come se contenesse in sé un numero infinito di rappresentazioni. Eppure lo spazio viene pensato a questo modo (poiché tutte le parti dello spazio, sino ad un numero infinito, sussistono simultaneamente). La rappresentazione originaria dello spazio è dunque un’intuizione a priori, e non un concetto.38
Lo spazio è determinato nella sua specifica natura di essere intuizione formale e
forma dell’intuizione, caratterizzato, in quanto intuizione, da una particolare
articolazione del rapporto tra il tutto e le sue parti, secondo un ordine della
composizione sintetica. Lo spazio, però, non può essere oggetto di conoscenza diretta.
La sintesi ad infinitum che lo caratterizza, quando lo si consideri nella forma della
connessione tra le sue parti e il suo essere una singolarità, cioè un unicum, non è la
stessa che ci si trova di fronte nel processo conoscitivo del movimento e dei fenomeni
della natura.
Per costituirsi a sistema, la scienza della natura deve rispondere a principi di
unità della ragione e, soprattutto, essendo un sistema, deve poter trattare leggi empiriche
e a priori dell’intelletto come sue parti a cui applica una sintesi regressiva o progressiva
tra condizione e condizionato. Tale sintesi, che costituisce una serie (Reihe), segue una
regola che è distinta da quella della matematica. Di questo Kant ci da un chiaro esempio
nella Dialettica trascendentale, in particolare quando parla delle Antinomie della
ragione pura, che di fatto si occupano dell’idea che più preme in sede di metafisica
della natura, quella di Mondo:
A questo scopo, orbene, occorre anzitutto determinare esattamente la sintesi di una serie, in quanto non è mai completa. Ci si serve comunemente a questo proposito di due espressioni che vogliono distinguere qualcosa, senza che si sappia indicare chiaramente il fondamento di tale distinzione. I matematici parlano unicamente di un progressus in infinitum.
38 KrV, B40.
59
Gli indagatori dei concetti (filosofi) ammettono invece soltanto l’espressione: progressus in indefinitum.39
Siamo di fronte a tre tipi di sintesi: quella che riguarda la rappresentazione di un
dato, cioè di una condizione (lo spazio come forma dell’intuizione), procede ad
infinitum; quella che riguarda il progresso nella serie dal condizionato che può essere
dato (dabile) e che può essere definita sia in indefinitum che in infinitum; infine quella
che ascende dal condizionato alle condizioni che può essere un regresso all’infinito (in
infinitum) o che si può estendere indefinitamente (in indefinitum).40
Sebbene non sia possibile trattare il Mondo (die Welt) come un tutto, secondo
quantità, è però possibile trattare le leggi dell’intelletto sul Mondo secondo quantità. In
sostanza è possibile applicare principi di ragione alle leggi del moto di Newton e, in
virtù della possibilità di trattare sia come quantum che come quantità il movimento dal
punto di vista matematico, è altresì possibile una scienza come la Foronomia posta alla
base della Meccanica. Ma questa possibilità risiede in ultima analisi sulla peculiare
costituzione dello spazio e del tempo e sul legame intrinseco che queste forme
intrattengono con il predicabile della materia, ovvero il concetto empirico di
movimento. Nel caso della metafisica della natura questo legame, proprio in virtù della
doppia natura di intuizioni formali e forme dell’intuizione dello spazio e del tempo,
traccia la differenza fra il corpo fisico e quello matematico:
Ein physischer Körper ist der welcher nur durch Erfahrung erkennbar ist. Ein
mathematischer der a priori als beschränkter Raum nach den 3 Abmessungen erkannt wird. Der erstere setzt den letzteren voraus.41
Laddove si voglia conoscere completamente a priori un oggetto matematico, si
deve considerare la forma che l’intuizione spaziale assume, secondo le tre dimensioni.
Se ci si pone il problema della possibile rappresentazione di un corpo in generale, in
base alla sua semplice possibilità, allora è grazie alla matematica che ciò avviene,
mentre la possibilità di conoscere la sua realtà riposa sull’esperienza e sui principi
dell’intelletto puro. Da un punto di vista puramente matematico, un corpo fisico può
essere determinato a priori, come parte della materia divisa. Per chiarire questo punto
Kant propone un esempio:
39 KrV, A510-11/B538-39. 40 KrV, A511-12/B539-40. 41 Opus postumum, XXI, p. 575.
60
Riguardo alla divisione di una materia data entro i suoi limiti (un corpo), occorre così dire che essa procede all’infinito. In effetti, questa materia è data totalmente – e quindi assieme a tutte le sue parti possibili – nell’intuizione empirica.42
Questo significa che se la condizione è data come totalità, la sintesi delle sue
parti procede all’infinito (in infinitum), senza trovare un incondizionato nella serie delle
condizioni che sono parti di questo tutto. Al contrario, se ci si trova di fronte ad una
sintesi regressiva dal condizionato alla condizione, e la serie non è data nella sua
totalità, tale sintesi procederà in indefinitum.43
A questo ragionamento Kant aggiunge:
In nessuno dei due casi, né nel regressus in infinitum, né nel regressus in indefinitum, la serie delle condizioni viene considerata come data nell’oggetto in quanto infinita. Non si tratta di cose, che vengano date in se stesse, ma si tratta soltanto di apparenze le quali sono date soltanto nel regresso stesso come condizioni l’una dell’altra.44
Come si nota immediatamente è solo nel caso dell’intuizione dello spazio che si
ha una sintesi ad infinitum, perché lo spazio è una forma dell’intuizione e non un
concetto.45 Infatti, poiché il mondo non può essere dato totalmente, il concetto della
quantità del mondo è dato solamente mediante il regresso, e non può essere dato, in
un’intuizione collettiva prima di questo regresso. Così tale regresso si stende
indeterminatamente, per dare una quantità dell’esperienza, che diventa reale soltanto
mediante questo regresso.46 In sostanza, un progresso della sintesi all’infinito, per
esempio nella divisione, procede finché la si può condurre.47
Dunque non è la divisione
di un corpo in sé, ma la sintesi attuata dal soggetto a poter procedere all’infinito:
Ogni spazio intuito nei suoi limiti è un tutto cosiffatto, le cui parti, nonostante ogni decomposizione, sono ancor sempre spazi. Ogni spazio intuito nei suoi limiti è perciò divisibile all’infinito. Di qui segue altresì, in modo del tutto naturale, la seconda applicazione, quella cioè ad un’apparenza esterna racchiusa nei suoi limiti (corpo). La divisibilità di un corposi fonda sulla divisibilità dello spazio, il quale costituisce la possibilità del corpo come un tutto esteso. Un corpo è quindi divisibile all’infinito, senza che per questo debba constare di un numero infinito di parti. Può sembrare, a dire il vero, che un corpo, in quanto dev’essere rappresentato come sostanza nello spazio, differirà da quest’ultimo, per quanto riguarda la legge della divisibilità dello spazio.48
42 KrV, B541.
43 KrV, A513/B541. 44 KrV, A514/B542. 45 Di per sé sembra prevedere un infinito attuale, che il nostro intelletto non è in grado di cogliere. 46 KrV, A 523-24/B551-52. 47 Tale aspetto ha evidenti ricadute sulla teoria della materia. la divisibilità di essa non le appartiene ontologicamente, così come da un punto di vista epistemologico la si può pensare costituita da particelle elementari, finché non si trova un membro ulteriore della divisione. Questa posizione affonda le sue origini già in F. Bacon, Novum Organum, II, p. 8. Cfr. infra, capitolo V. 48 KrV, A525/B553.
61
Tuttavia il ragionamento kantiano non esclude assolutamente la possibilità di
pensare uno spazio fisico diverso da quello geometrico, né la possibilità di determinare
e di conoscere un corpo fisico, non determinandolo secondo le sole proprietà dello
spazio geometrico. La soluzione kantiana si presenta così in queste pagine della
Dialettica trascendentale:
La divisione infinita designa soltanto l’apparenza come quantum continuum, ed è inseparabile dal riempimento dello spazio, poiché è proprio in tale riempimento che si trova la ragione della divisibilità infinita. Ma non appena un qualcosa viene assunto come quantum discretum, la moltitudine delle unità è in esso determinata, e quindi sempre uguale a un numero. Sino a che punto possa giungere l’organizzazione in un corpo articolato, può dunque essere stabilito solo dall’esperienza.49
Storicamente parlando è importante ricordare che questo approccio è corretto se
si pensa alla fisica matematica dell’epoca. In fondo Kant non fa altro che tentare una
fondazione del metodo scientifico che convalidava o meno le leggi fisiche attraverso la
geometria euclidea e l’algebra. È anzi molto significativa la puntualizzazione di Kant.
Quello che deve essere rappresentato su base geometrica è lo spazio-tempo della
Foronomia, il movimento di un corpo fisico, inteso come punto materiale, ma non certo
il corpo fisico stesso, che necessita invece di un altro tipo di approccio per essere
conosciuto, quello che ricorre all’osservazione e all’esperimento, che considera le
qualità interne della materia, nonché l’interazione tra le forze motrici.
C’è una corrispondenza per Kant tra la divisibilità matematica dello spazio e la
divisibilità della materia, mentre per il corpo fisico le cose stanno diversamente. Se si
esaminano alcuni passaggi della Dinamica, questo discorso appare più perspicuo. In
questa sezione Kant afferma:
Perciò fin dove si estende la divisibilità matematica dello spazio, si estende anche la possibilità della separazione fisica della sostanza che lo riempie. Ma la divisibilità matematica procede all’infinito, di conseguenza anche quella fisica: la materia cioè è divisibile all’infinito e ciascuna delle parti risultanti dalla divisione è a sua volta materia.50
Tuttavia è lo stesso Kant ad ammettere che la dimostrazione dell’infinita
divisibilità dello spazio non permette affatto di provare quella della materia. L’unica
condizione per dimostrarne la divisibilità infinita consiste nella premessa che in ogni
49 KrV, A526/B554. 50 MAN, KGS IV, p. 504.
62
parte dello spazio c’è sostanza materiale e che vi si trovano parti di per sé mobili.
Questo significa che bisogna porre a fondamento della prova dell’infinita divisibilità
della materia sia il suo essere mobile nello spazio sia il suo essere dotata, in ogni suo
punto o parte, di forze motrici,51
Questo significa che, nell’ambito della fisica, la divisione matematica dello
spazio materiale, comunque, presuppone una teoria dinamica della materia,
rappresentata come un continuo, la cui espansione fa sì che le sue parti si allontanino
con una distanza tra loro infinitamente piccola.
che sono poi i principi della Foronomia e della
Dinamica.
52
Questa posizione kantiana trae la sua origine sia dalla risoluzione delle
Antinomie della ragione pura che dalla Dinamica, in cui compare il dilemma se lo
spazio sia infinitamente divisibile o meno. La risoluzione consiste nell’applicare
l’idealismo trascendentale, cioè nel negare lo statuto di cosa in sé della materia e
nell’affermare il suo carattere di totalità della sostanza nel fenomeno la cui forma è lo
spazio. Così che si può solo concludere che:
Nella Fenomenologia, infatti, per
determinare e giustificare l’ipotesi di un plenum materiale, Kant ricorre ad
argomentazioni che vanno ben oltre il piano logico, sebbene lo presuppongano.
L’insostenibilità dello spazio vuoto come cosa in sé trova il suo fondamento sul piano
fisico e il principio logico di non contraddizione non è condizione sufficiente per
provare la sua impossibilità.
[…] Di quei fenomeni la cui divisione va all’infinito si può dire solamente che hanno tante parti quante ne distinguiamo, fin tanto che vogliamo continuare a dividere. Le parti che appartengono all’esistenza di un fenomeno, infatti, esistono solo nel pensiero, cioè nella divisione stessa. Ora, sebbene la divisione vada all’infinito, essa non è mai data come infinita: perciò dal fatto che la divisione va avanti all’infinito non consegue che l’oggetto della suddivisione, in se stesso e al di fuori delle nostre rappresentazioni, contenga una quantità infinita di parti.53
In conclusione la fisica contempla oggetti che possono essere determinati e
costruiti nell’intuizione grazie alla matematica,54
51 MAN, KGS IV, p. 504.
che può fornire loro la necessità della
52 MAN, KGS IV, p. 505. 53 MAN, KGS IV, p. 507. 54 La quantità di moto e di materia sono esempi classici di cui si serve Kant per chiarire il suo approccio. Un altro esempio è fornito dal caso della quiete, che per trovare un corrispettivo matematico deve essere considerata come una mera condizione di permanenza nello stesso luogo e non come proprietà dei corpi fisici. Solo così è possibile, agli occhi di Kant, assegnare un dato valore finito o infinitesimale in ogni istante ai corpi in quiete e dunque applicare la matematica anche a questi fenomeni fisici.
63
scienza naturale. Tuttavia è solamente la prassi scientifica accompagnata dalle ipotesi e
dall’analogia che può fornire un risultato concreto per la conoscenza dei corpi fisici.
Questa osservazione è importante ancor più se si tiene presente che Kant
elaborò, così, il suo tentativo di inquadrare i fenomeni fisici dell’elettricità e del
magnetismo dentro lo stesso sistema di riferimento dei principi newtoniani. Sul piano
della storia della scienza siamo evidentemente di fronte al tentativo di unificare secondo
principi comuni la fisica teorica classica con quella sperimentale.
2.3 L’applicabilità della matematica nella scienza della natura: il
movimento e la trattazione dei corpi fisici su base geometrica
Dopo aver gettato luce sul metodo che Kant individua per la trattazione
metafisica dei concetti e sul carattere dinamico che spazio e tempo assumono con
l’idealismo trascendentale, in questo paragrafo si traccia la differenza tra le sintesi
progressive compiute dalla ragione, così da mostrarne le implicazioni nella metafisica
della natura. Questo approccio, infatti, rivela la possibilità di diverse costruzioni del
movimento, che sono state trattate da Kant nei Principi metafisici della scienza della
natura. Il movimento come mutamento di luogo è possibile solo attraverso la
rappresentazione di tempo che di fatto è il modo in cui il soggetto si rappresenta come
oggetto.55
La sintesi progressiva che soggiace alla costruzione di concetti e alla possibilità
di rappresentare spazio e tempo come intuizioni formali è chiamata da Kant
Zusammenstellung e questa ricopre un ruolo importante per la definizione della
concezione kantiana dell’algebra. Nella misura in cui sia la geometria che la Foronomia
descrivono uno spazio, rappresentano un’intuizione formale. La loro differenza
sostanziale è posta circa la possibilità di rappresentare anche il tempo e la quantità in
modo diverso. Secondo Kant, questa differenza è posta dall’algebra. Si consideri questo
aspetto come Kant lo ha sviluppato negli anni’90:
Dunque, la diversa trattazione del movimento dipende dai diversi tipi di
sintesi che il soggetto attua nella determinazione del tempo.
Infatti nella valutazione intellettuale delle grandezze (quella dell’aritmetica) si arriva altrettanto lontano, sia che si spinga la comprensione delle unità al numero 10 (nel sistema decimale), sia solo fino al 4 (nel sistema tetradico); ma l’ulteriore produzione di grandezze nella composizione, ovvero nell’apprensione, essendo il quantum dato nell’intuizione, viene eseguita solo progressivamente (non comprensivamente) secondo il principio di progressione che è stato
55 KrV, A37/B54.
64
assunto. L’intelletto in questa valutazione matematica della grandezza è altrettanto ben servito e soddisfatto, sia che l’immaginazione scelga per unità una grandezza che si può cogliere in un’occhiata, per esempio un piede o una pertica, sia un miglio tedesco o addirittura un diametro terrestre, di cui è, sì, possibile l’apprensione, ma non la comprensione in una intuizione dell’immaginazione (non mediante la comprehensio aesthetica, sebbene, certo, mediante comprehensio logica in un concetto numerico). In entrambi i casi la valutazione logica della grandezza procede senza ostacoli all’infinito.56
L’algebra è l’arte (Kunst) che determina il principio della progressione in
matematica ed essa può trovare nuovi tipi di regole empiricamente.57 Questo lascia
aperta la possibilità di uno spazio “flessibile” per la filosofia trascendentale e di infinite
configurazioni dello spazio geometrico. Secondo il passo citato in precedenza, non è
possibile generare una grandezza (Größe) in composizione attraverso la comprensione,
in quanto per Kant questo significherebbe conoscere qualcosa attraverso l’intuizione.58
Questo processo è la comprehensio logica attraverso cui le rappresentazioni
intuitive immediate possono essere tradotte o apprese in un concetto numerico
attraverso uno schema, una regola.
Al contrario il principio della progressione, che è un’illimitata successione nel tempo,
rende possibile una conoscenza discorsiva che fonda il processo di costruzione di
concetti nell’intuizione.
Nel caso della divisibilità della materia possono essere seguite due regole
possibili che determinano una sintesi in indefinitum o in infinitum. Infatti spazio e
tempo come intuizioni possono essere considerati sia da un punto di vista quantitativo
che qualitativo. Da un lato, Kant considera lo spazio e il tempo come grandezze
estensive, cioè come mere forme delle relazioni tutto-parti che seguono una sintesi
secondo un principio di progressione in infinitum.59 Dall’altro, da un punto di vista
qualitativo, spazio e tempo sono composti come quanta continua,60
Questo approccio permette evidentemente una connessione tra filosofia e fisica,
attraverso lo strumento della matematica, e getta luce sul fatto che sia la matematica che
la filosofia presuppongono l’assioma dell’unicità dello spazio-tempo. La sintesi che
il cui processo di
composizione procede in indefinitum.
56 KdU, KGS V, pp. 251-52. 57 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, pp. 58-59: “Würde man es nicht a priori beweisen können, dass ( in einem solchen Falle ) die mittlere proportional Größe eine Irrationalgröße sei, sondern fände sich dieses bloß empirisch: so musste man auf einen besonderen, im Zahlbegriffe ( des Verstandes ) nicht enthaltenen, mithin subjektiven Grund in einer unerforschten Natur der Einbildungskraft raten, deren Natur das hervorbrächte, was dem der Verstand selbst im Denken nicht gleich kommen kann”. 58 Cfr. I. Kant, KGS XXIV, p. 845. 59 Cfr. KrV, A161/B203. 60 Cfr KrV, A 169/B212.
65
rende possibile la trattazione delle intuizioni formali da un punto di vista qualitativo è la
sintesi oggettiva della composizione, che presuppone sempre la sintesi soggettiva o
Zusammestellung. Questo aspetto poco investigato dalla letteratura critica appare invece
essenziale per comprendere le ricadute dell’applicazione alle intuizioni formali del
principio della progressione all’infinito,61
come il passo seguente suggerisce:
Se la sintesi del molteplice dell’apparenza è interrotta, si ha allora un aggregato di molte apparenze (e non propriamente un’apparenza intesa come quantum), il quale non viene costituito dalla semplice continuazione della sintesi produttiva di una certa specie, bensì dalla ripetizione di una sintesi sempre troncata. […] Orbene, dato che a fondamento di ogni numero deve stare comunque l’unità, così l’apparenza, in quanto unità, è un quantum, e come tale, è sempre un continuum.62
Ma l’aspetto più degno di nota è che questo principio di progressione può
presentare differenti configurazioni delle determinazioni dello spazio, in quanto la sua
regola può essere scelta,63
come Kant puntualizza nella Critica della facoltà di giudizio:
In quanto semplice fenomeno, l’infinito del mondo dei sensi viene interamente compreso sotto un concetto nella valutazione intellettuale pura della grandezza, sebbene esso non possa mai essere pensato interamente nella valutazione matematica mediante concetti numerici. […] Ora però, per la valutazione matematica della grandezza, l’immaginazione è all’altezza di ogni oggetto al fine di darne una misura sufficiente, dato che i concetti numerici dell’intelletto, mediante la progressione, possono rendere adeguata ogni misura a qualsiasi grandezza data.64
E’ interessante notare che senza la sintesi dell’immaginazione, gli oggetti
matematici non potrebbero essere dati. In secondo luogo, si noti come l’algebra65
renda
possibile l’applicazione del principio della progressione nella costruzione, in quanto è
l’arte di produrre grandezze dalla misura indipendentemente da ogni numero reale, ma
semplicemente attraverso relazioni date che devono essere ordinate sotto una regola.
Come scrive Kant nel 1790:
Wenn wir nicht Begriffe vom Raum hatten, so würde die Große √2 für uns keine Bedeutung haben, weil man sich alsdann jede Zahl als Menge untheilbarer Einheiten vorstellen könnte. Nun stellen wir uns eine Linie als durch fluxion, mithin in der Zeit erzeugt vor, in der wir nichts Einfaches vorstellen, und können 1/10, 1/100 etc. etc. von der gegebenen Einheit denken.66
61 Cfr. KdU, KGS V, p. 255. 62 KrV, A170/B212. 63 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 64 KdU, KGS V, p. 256. 65 Per la definizione di algebra, cfr. I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 66 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 55. Cfr. KrV A170/B212.
66
Pertanto solamente nel processo di costruzione del concetto di un particolare
spazio (come una linea prodotta da un punto che si muove), una grandezza può essere
prodotta nel tempo grazie alla posizione reiterata del tempo stesso, che diventa così
intuizione formale. Inoltre è solamente nella costruzione di un particolare spazio che
può essere pensata un’infinita progressione all’interno67 dell’unità data.68
In matematica la relazione reciproca di spazio e tempo, come intuizioni formali è
chiarificata con l’algebra, in quanto essa produce grandezze seguendo una regola di
misura che determina la quantità procedendo da una pluralità fuori dall’unità (spazio) e
dall’unità alla pluralità successivamente entro l’unità stessa (tempo). L’esibizione della
misura e dunque il risultato della costruzione di equazioni
69 è possibile per Kant solo
ricorrendo alla geometria, ma senza aritmetica e algebra non si potrebbe avere alcun
concetto di grandezza, come quella della diagonale di un quadrato.70
Inoltre, senza l’esibizione nello spazio, anche il tempo, come intuizione formale
non potrebbe venir rappresentato, cioè rappresentato oggettivamente. Questo aspetto, di
mutua interdipendenza di spazio e tempo, e non la natura soggettiva delle forme
dell’intuizione, è veramente l’indizio in base al quale collocare la concezione kantiana
dello spazio e del tempo rispetto alla rivoluzione delle geometrie non euclidee e della
fisica contemporanea. Come spiega chiaramente Jammer in Concepts of Space:
Reichenbach in his systematic study of space and time similarly claimed that space measurements are reducible to time measurements. In fact he stated explicitly: “Time is…logically prior to space”. […] Finally, also in Basri’s recently published theory of space and time – in spite of the order in which these concepts appear in the title of his book – time precedes space in the order of constructing the foundations of theoretical physics. All these attempts to derive spatiality or extension from pure temporality, conceived as one-dimensional order of succession, seem, however, to be open to two serious objections […]. Only if time may be regarded, not as one-dimensional continuum of instants as conceived in the classical way, but rather as being endowed with a certain transversal extent, as intimated by Čapek, who followed in this context Bergson’s philosophy of extensive becoming and Whitehead’s idea of the creative advance of nature – only then does it seem to be possible to derive spatiality from temporality. But these similar metaphysical conceptions have not yet been absorbed by science: Geometry, in the sense of a science of space, has not yet been logically subordinated to chronometry, the science of time and its measurement. Finally, as far as classical conceptions of space are concerned, we may safely regard the concept of space as an elementary and primary notion.71
67 In quanto il tempo è definito come “Intussusception” grazie alla sintesi della Zusammenstellung. 68 Brittan (2006), pp. 232-33. 69 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 58. 70 I. Kant, Reflexionen zur Mathematik, KGS XIV, p. 54. 71 Jammer (1993), pp. 5-6.
67
Poiché sarebbe oltre lo scopo di questo paragrafo continuare a discutere la
relazione tra algebra,72 aritmetica e geometria,73
Dal momento che l’algebra, in quanto aritmetica universale, espande se stessa e
determina la regola della progressione della sintesi della composizione in modi
differenti, allora, per Kant, essa mostra differenti possibili configurazioni della misura:
lo schema di numero, legato alla dimensione temporale, può essere esibito in concreto
nell’intuizione attraverso la determinazione del numero delle dimensioni dello spazio.
Per riprendere le parole di Kant:
si consideri quanto segue come una
prospettiva auspicabile di studi futuri che possano chiarire al meglio la concezione
kantiana dello spazio e del tempo e saperla valutare alla luce sia dell’attuale progresso
scientifico sia del quadro filosofico.
L’aritmetica universale (algebra) è una scienza talmente auto-espansiva che non si può
menzionare nessuna scienza della ragione che sin qui abbia fatto ciò, così che persino le altre parti restanti della mathesis pura guardano allo sviluppo delle proprie parti più importanti attraverso l’ampliamento di questa dottrina universale delle grandezze.74
La possibile applicazione dell’algebra nella geometria è la chiave di volta per la
comprensione dei Principi metafisici della scienza della natura, in quanto è solo con la
possibile costituzione di spazi, che noi oggi definiamo vettoriali, che la meccanica
classica trova una rappresentazione adeguata delle leggi del moto. Consideriamo, infatti,
le caratteristiche di uno spazio vettoriale.
72 Per il ruolo euristico dell’algebra si veda anche I. Kant, Logik Jäsche, KGS IX, p. 20. 73 La lettera a Rehberg (Settembre 1790) spiega questa relazione. Cfr. I. Kant, Briefwechsel, KGS XI, p. 206. Su questo anche Friedman (1992), pp. 110-14. 74 Si veda la lettera a Schultz (1788). Cfr. I. Kant, Briefwechsel, KGS X, p. 555: “Die allgemeine Arithmetik (Algebra) ist eine der maßen sich erweiternde Wissenschaft, dass man keine der Vernunftwissenschaften nennen kann, die es ihr hierin gleich täte, so gar, dass die übrige Theile der reinen Mathesis ihren Wachsthum größtenteils von der Erweiterung jener allgemeinen Größenlehre erwarten“. Il passo poi prosegue: “Bestände diese nun aus bloß analytischen Urteilen, so wäre wenigstens die Definition der letzteren unrichtig, dass sie bloß erläuternde Urteile wären und denn wäre es ein wichtiges, schwer zu beantwortendes Problem: Wie ist Erweiterung des Erkenntnisses durch bloß analytische Urteile möglich”.
68
Figura 2.1 Esempio di spazio vettoriale
Lo spazio vettoriale è descritto dalla combinazione di assi cartesiani che
rappresentano la direzione di vettori in un dato sistema di riferimento che deve
essere preso come insieme, cioè come unità.
Per quanto riguarda la sezione della Foronomia, Kant fornisce una descrizione
dello spazio-tempo come oggetto, cioè come intuizione formale, proprio grazie
all’algebra lineare. La Foronomia prende in considerazione solamente velocità e
direzione come caratteristiche fisiche della materia e non le sue proprietà interne o le
sue forze motrici. Infine, non solo la Foronomia prevede un sistema di riferimento per
la valutazione del movimento che è considerato come unità, cioè come composto
omogeneo, come quantum, ma osservando il procedere nella trattazione, si trova inoltre
che è solo attraverso la composizione o somma di movimenti,75 secondo le regole della
congruenza,76 che la Foronomia può dare conto di movimenti composti rettilinei. Per
tale ragione sulla Foronomia, in quanto questa è alla base per la comprensione della
composizione delle forze in fisica, si basa la Meccanica.77
Che la Foronomia sia alla
base della costruzione di spazi vettoriali attraverso l’algebra, è evidente dall’esempio
kantiano di interpretazione della regola del parallelogramma. L’unico Teorema della
Foronomia è il seguente:
La composizione di due movimenti dello stesso punto si può pensare solo in modo tale che uno dei due venga rappresentato nello spazio assoluto, mentre, invece nell’altro movimento,
75 Cfr. MAN, KGS IV, p. 486: “Costruire il concetto di un movimento composto significa rappresentare a priori nell’intuizione un movimento, in quanto risulta dal congiungimento in un solo mobile di due o più movimenti dati”. 76 Cfr. MAN, KGS IV, pp. 493; 494-495: “La composizione dei movimenti, allo scopo di determinare il loro rapporto reciproco in quanto grandezze, deve avvenire secondo le regole della congruenza, il che in tutti e tre i casi è possibile solo mediante il movimento dello spazio congruente con uno dei due movimenti dati, di modo che entrambi i movimenti siano congruenti con quello composto”. 77 MAN, KGS IV, p. 487.
69
viene rappresentato, come ad esso equivalente, un movimento dello spazio relativo che abbia la stessa velocità, ma direzione opposta.78
L’obiettivo di Kant è quello di mostrare come le dimostrazioni dell’epoca di
questo teorema, non fossero altro che dimostrazioni meccaniche e non foronomiche.
Secondo Kant le soluzioni meccaniche ricorrevano a delle cause motrici, “mediante le
quali un movimento dato congiunto con un altro ne produceva un terzo, senza fornire la
prova che questi due movimenti sono identici al terzo e come tali si lasciano
rappresentare a priori nell’intuizione pura”.79 Nella definizione del teorema, infatti, con
la parola composizione (Zusammensetzung) si intende che entrambi i movimenti dati
siano contenuti in un terzo, cioè che siano identici ad esso, e non che ne producano un
terzo in quanto l’uno modifica l’altro.80
Nell’esame del terzo caso nella Dimostrazione al Teorema Kant prende in esame
il caso in cui due movimenti di uno stesso punto, lungo direzioni che racchiudono un
angolo, vengano rappresentati congiuntamente, come mostra la seguente figura:
Fig. 2.2 Immagine tratta dai MAN
Per dimostrare che la diagonale AD esprime sia la direzione che la velocità del
movimento composto, l’argomento mostra che nell’ultimo istante di tempo il corpo A si
trova nel punto D e che nel corso del tempo si trova su tutti i punti della diagonale AD.
Per giungere a questa conclusione Kant presuppone che tale costruzione del movimento
78 MAN, KGS IV, p. 490. 79 Cfr. MAN, KGS IV, p. 493. 80 Cfr. MAN, KGS IV, p. 492.
70
è possibile solo mediante la congiunzione del movimento del corpo col movimento
dello spazio:81
Si supponga che il movimento AC proceda nello spazio assoluto e al movimento AB si sostituisca il movimento dello spazio relativo nella direzione opposta. Si divida la linea AC in tre parti uguali AE, EF, FC. Ora, mentre il corpo A percorre la linea AE nello spazio assoluto, lo spazio relativo, insieme al punto E, percorre lo spazio Ee = MA; mentre il corpo percorre le due parti che insieme sono uguali ad AF, lo spazio relativo, insieme al punto F, descrive la linea Ff = NA; mentre infine il corpo percorre l’intera linea AC, lo spazio, insieme al punto C percorre la linea Cc = BA; tutto ciò è lo stesso che se il corpo A, in questi tre intervalli di tempo, avesse percorso le linee Em, Fn e CD, rispettivamente uguali ad AM, AN, AB e, nell’intero tempo impiegato a percorrere AC, avesse percorso la linea CD = AB.82
Nella dimostrazione Kant tiene presente la costruzione del moto rettilineo e non
di quello curvilineo, che è invece oggetto della Meccanica. Questo significa, al
contrario di quello che M. Friedman sostiene,83 e che riporta fedelmente P. Pecere
nell’edizione italiana, che Kant si distacca da Newton sul modo di costruzione del
movimento, proprio in virtù della diversa concezione dello spazio-tempo e della
geometria che sviluppa negli anni immediatamente successivi alla Dissertazione del
1770. Questo è evidente non appena si consideri la figura, che Newton impiega nei
Principia, e i corollari che l’accompagnano.84
Nel Corollario 4 al Lemma 3 Newton
afferma:
E per conseguenza queste ultime figure (quanto ai loro perimetri acE) non sono rettilinee, ma sono limiti curvilinei di figure rettilinee.85
Questo conseguentemente impone nel Corollario86
81 Cfr. MAN, KGS IV, p. 494.
che, se due quantità qualsiasi
sono divise in egual numero di parti qualsiasi, e che, se queste parti hanno fra di loro
ordinatamente una ragione, allorché il loro numero aumenta e la loro grandezza
diminuisce all’infinito, anche le quantità stesse avranno lo stesso rapporto.
82 MAN, KGS IV, p. 493. 83 Cfr. I. Kant, Metaphysical Foundations of Natural Science, trad. ingl. a cura di M. Friedman, Cambridge 2004, p. 29 nota. 84 I. Newton, Principi di filosofia naturale. Teoria della gravitazione, (Principia), a cura di F. Enriques e U. Forti, Roma 1990, pp. 84-85. 85 Newton, Principia, p. 85. 86 Newton, Principia, p. 86.
71
Fig. 2.3 Regola della somma dei parallelogrammi di Newton
Questa concezione di Newton è sottoscritta da Kant nella Meccanica, ma non
nella Foronomia, in quanto quest’ultima deve svolgere la funzione di rendere possibile
la rappresentazione del movimento e delle leggi della meccanica classica fondate
sull’idealismo trascendentale di spazio e tempo. Il movimento preso in considerazione
dai Principi metafisici della scienza della natura, infatti, è quello che può venir
costruito e che costituisce la descrizione di uno spazio:
Il movimento di un oggetto nello spazio non appartiene ad una scienza pura, e quindi
neppure alla geometria: in effetti, che un qualcosa sia mobile può essere conosciuto non già a priori, bensì solo attraverso l’esperienza. Il movimento come descrizione di uno spazio, invece, è un atto puro della successiva sintesi del molteplice dell’intuizione esterna in generale, attraverso la capacità produttiva dell’immaginazione, ed appartiene non soltanto alla geometria, ma anche alla filosofia trascendentale.87
Questa concezione kantiana del movimento implica una visione della materia
come il mobile nello spazio, cioè, affinché lo spazio venga descritto si deve considerare
il movimento, cioè occorre che vi sia materia, che lo spazio sia riempito di essa, perché
possa avvenire una descrizione dei fenomeni.88
Per il momento, dunque, ci si limiterà all’analisi delle possibili sintesi che
soggiacciono al processo di costruzione del movimento e dunque ai possibili modi di
descrivere lo spazio nella scienza della natura. Questo di riflesso getterà luce anche sulla
trattazione kantiana della materia. Sin dalle prime battute della Foronomia si trova la
distinzione capitale per la possibilità di pensare il movimento come relativo,
89
87 KrV, B155 nota.
che
88 Tuttavia é possibile considerare il movimento da più punti di vista, non solo da quello foronomico, come Kant indica nella sezione della Fenomenologia. 89 MAN, KGS IV, p. 562: “Non si ha dunque movimento assoluto neanche se si pensa un corpo che si muove nello spazio vuoto rispetto ad un altro corpo; in questo caso, il movimento dei due corpi non viene
72
poggia sulla distinzione tra spazio assoluto e spazio relativo. Quest’ultimo è lo spazio
che si muove o spazio materiale, mentre lo spazio assoluto è definito come “ogni
ulteriore spazio relativo che io posso sempre pensare al di fuori di quello dato”,90
Il punto di vista kantiano tende ad una definizione operativa dello spazio
assoluto,
o
anche come spazio puro, non empirico.
91
Questa osservazione porta alla conclusione che Kant mostrava un aspetto di
continuità con la concezione relazionale dello spazio di Leibniz. Del fatto che Kant non
abbracciasse ciecamente la dottrina newtoniana se ne trae un esempio dal fatto che sin
dall’epoca precritica, la prova accettata da Kant della forza centrifuga era quella
geometrica di Huygens
che poi nella Fenomenologia ricoprirà un ruolo puramente regolativo e non
certo costitutivo per la costruzione del concetto di materia e per la fondazione della
scienza della natura.
92
e non quella formulata da Newton. La ragione di questo rifiuto
sta nel fatto che la formulazione newtoniana non prevedeva una definizione di spazio
assoluto, che noi oggi chiameremo “operativa”, ma una sua definizione ontologica e
metafisica, come risulta evidente dall’enunciato del teorema sulle forze centripete:
Le aree che i corpi spinti da forze descrivono durante un movimento curvilineo attorno ad un centro immobile, giacciono in un piano immobile, e sono proporzionali ai tempi.93
Tuttavia un’analisi più attenta svela anche un aspetto di differenza con Leibniz:
la premessa fondamentale della Foronomia è che questa dottrina definisce il concetto di
materia grazie a quello di movimento e prescinde da quello di estensione, cosicché la
materia possa essere considerata come un punto materiale e il movimento possa essere
definito come “il cambiamento dei rapporti esterni di una cosa rispetto a uno spazio
dato”.94 Questo costituisce il sistema di riferimento secondo cui la materia è, in quanto
mobile, unità, per cui il movimento di una cosa è differente dal movimento nella cosa.95
considerato relativamente allo spazio circostante, ma solo rispetto allo spazio che li separa, inteso come spazio assoluto, il quale però determina solo il loro rapporto reciproco: di nuovo, dunque, il movimento non è che un relativo”.
90 MAN, KGS IV, p. 481. 91 Per ulteriori spunti cfr. Jammer (1993), p. 140. La critica di Kant allo spazio assoluto di Newton è un oggetto di indagine interessante se messo in relazione con la teoria di Maxwell e il superamento del concetto di spazio assoluto in fisica. 92 Cfr. infra, Capitolo IV. 93 Newton, Principia, p. 99. 94 MAN, KGS IV, p. 483. 95 MAN, KGS IV, p. 483. Si noti come queste affermazioni siano in linea col principio della relatività classica.
73
Lo sviluppo della molteplice trattazione del movimento, svelata nella sezione
Fenomenologia, prende le mosse dalla prima sezione, la Foronomia, che può essere
letta come una dichiarazione di intenti da parte di Kant di volersi distinguere dalla
posizione di Newton e da quella di Leibniz.
Attraverso la costruzione foronomica Kant vuole classificare i movimenti
rotatori e traslatori. In questi ultimi sono inclusi i movimenti rettilinei e curvilinei e
quelli circolari o oscillatori.96
Direzione e velocità (V=S/T) sono i due momenti che
intervengono nella considerazione del movimento, se si astrae dalle altre proprietà della
materia:
Nella Foronomia, noi impieghiamo la parola velocità nel solo significato spaziale V=S/T.97
Con questa formula Kant ritiene che si possa dar conto del moto rettilineo
uniforme e uniformemente accelerato, ma non di movimenti rotatori il cui grado di
velocità è preso in esame, invece, nella Meccanica. Ma è rispetto al concetto fisico di
quiete che Kant elabora una posizione interessante:
Non si deve dunque definire la quiete come la mancanza di movimento, dato che questa,
in quanto velocità uguale a zero, non è affatto suscettibile di costruzione, ma come la presenza persistente nello stesso luogo, dato che questo concetto si può costruire in un tempo finito anche per mezzo della rappresentazione di un movimento con velocità infinitamente piccola, e quindi può essere impiegato per la successiva applicazione della matematica alla scienza della natura.98
La Foronomia ha il compito di determinare a priori la costruzione dei
movimenti in generale in quanto grandezze, sia secondo la loro velocità che secondo la
loro direzione e dunque anche secondo la loro composizione (Zusammensetzung). Il
concetto determinato di una grandezza è il concetto della produzione della
rappresentazione di un oggetto mediante la composizione dell’omogeneo e, dunque,
oggetto della Foronomia è il movimento stesso e la composizione dei movimenti.99
Riguardo alla composizione del movimento Kant sostiene che:
96 MAN, KGS IV, p. 483. 97 MAN, KGS IV, p. 484. 98 MAN, KGS IV, p. 486. 99 MAN, KGS IV, p. 489.
74
Costruire il concetto di un movimento composto significa rappresentare a priori nell’intuizione un movimento, in quanto risulta dal congiungimento in un solo mobile di due o più movimenti dati.100
Tuttavia una domanda legittima sorge, laddove ci si interroghi sull’effettiva
differenza tra Foronomia e Meccanica. A questa domanda Kant risponde come segue:
Nella Foronomia, dunque, in cui tratto solo del movimento di un corpo rispetto allo spazio (sulla quiete o sul movimento del quale il corpo non ha alcun influsso), è in sé del tutto indeterminato e arbitrario, se e in che misura io voglia attribuire al corpo o allo spazio la velocità del movimento dato; in seguito, nella Meccanica, poiché si dovrà trattare dell’azione effettiva di un corpo che si muove sugli altri corpi presenti nello spazio del suo movimento, la cosa non sarà più così indifferente.101
Nella Meccanica, infatti, occorre prendere in considerazione la causa del
movimento che viene prodotto come effetto. Ma c’è un’ulteriore e importante
distinzione da compiere prima di procedere. Altro aspetto fondamentale per questa
ricerca consiste, infatti, nell’esplicitare la distinzione tra la geometria e la Foronomia,
per poter indagare la possibile duplice trattazione fisica della materia e la possibilità per
la matematica di descrivere infiniti spazi. Nei Principi metafisici della scienza della
natura si legge:
Nella Foronomia […] posso considerare il movimento soltanto come descrizione di uno
spazio, in modo tale però da prendere in considerazione non solo lo spazio che viene descritto, come nella geometria, ma anche il tempo impiegato e dunque la velocità con cui il punto descrive lo spazio.102
Sulla base di questa premessa, Kant ritiene che la Foronomia sia la dottrina pura
della quantità (mathesis) dei movimenti e in particolare non contiene nient’altro che il
teorema della composizione del movimento che riguarda la possibilità del solo
movimento rettilineo.103 La composizione del movimento curvilineo ha bisogno, infatti,
della considerazione di forze agenti sulla direzione del movimento ed è preso in esame
dalla Meccanica. La composizione dei movimenti si basa per Kant sulla congruenza,
richiamandosi alla costruzione geometrica, secondo cui essa è la completa similitudine e
uguaglianza, in quanto può venire riconosciuta nella sola intuizione.104
100 MAN, KGS IV, p. 486.
101 MAN, KGS IV, p. 488. 102 MAN, KGS IV, p. 489. 103 MAN, KGS IV, p. 495. 104 MAN, KGS IV, p. 493.
75
Poiché la Foronomia riguarda la costruzione del concetto di velocità, in quanto
grandezza, prevede la congiunzione del movimento del corpo con il movimento dello
spazio. Dal momento che la velocità è una grandezza intensiva, il suo concetto si può
costruire solamente con la composizione indiretta di due movimenti equivalenti (quello
del corpo e quello dello spazio relativo nella direzione opposta).105
La prima sezione dei
Principi metafisici della scienza della natura si chiude con un’osservazione preziosa:
Poiché il concetto di una grandezza in generale contiene sempre quello della composizione dell’omogeneo, la dottrina della composizione dei movimenti coincide con la loro dottrina pura della quantità, e precisamente secondo tutti e tre i momenti che ci fornisce lo spazio: l’unità di linea e direzione, la molteplicità delle direzioni su una stessa linea e infine la totalità delle direzioni e delle linee secondo cui può avvenire il movimento.106
Si vede da questo passo che nella metafisica della natura le categorie di unità,
molteplicità e totalità possono venir applicate allo spazio come intuizione formale, che
può venir descritto secondo la determinazione del tempo. Mediante questa operazione è
altresì possibile la dottrina della composizione dei movimenti su base foronomica e
dunque una resa del tempo in termini spaziali.
Leggendo approfonditamente le pagine della Foronomia e delle altre tre sezioni
dell’opera, risulta di estremo interesse confrontarsi con l’interpretazione delle
determinazioni del movimento di B. Falkenburg esposta nel paragrafo precedente. E’
possibile infatti mostrare come la determinazione del predicabile del movimento esposta
da Falkenburg possa essere integrata anche con una ricostruzione della presenza dei
concetti di riflessione corrispondenti alle singole sezioni dell’opera, segno dell’attività
che soggiace alla rappresentazione oggettiva dello spazio e del tempo. Prima di esporre
questa ricostruzione si tratta brevemente il presupposto interpretativo alla base di essa.
***
Per comprendere meglio quanto anticipato nel Capitolo I e quanto si è detto in
merito alla costruzione del concetto di materia nell’opera del 1786, una digressione
sull’origine dei concetti di riflessione si presenta come un utile strumento di
approfondimento. Kant compie l’analisi dei concetti di riflessione nell’Appendice
all’Analitica trascendentale e nei Prolegomena. Partendo dall’assunto kantiano secondo
cui i concetti dell’intelletto presuppongono sempre un’attività (anche le categorie
105 MAN, KGS IV, p. 494. 106 MAN, KGS IV, p. 495.
76
presuppongono per essere trovate un’attività, che è quella del giudicare), si può
mostrare come sorgano i concetti di riflessione da un atto della spontaneità e come siano
necessariamente connessi alla dimensione dell’appercezione empirica:
Ciò che rende oltremodo utile questa critica delle conclusioni dedotte dai semplici atti
della riflessione, è il fatto che essa mostra chiaramente la nullità di tutte le conclusioni su oggetti confrontati tra loro unicamente nell’intelletto, e conferma al tempo stesso quello che noi abbiamo messo principalmente in rilievo, ossia che le apparenze, sebbene non siano comprese come cose in sé tra gli oggetti dell’intelletto puro, sono tuttavia i soli oggetti, rispetto a cui la nostra conoscenza possa avere una realtà oggettiva, rispetto a cui cioè corrisponda ai concetti un’intuizione.107
I concetti di identità/diversità, interno/esterno, accordo/contrasto, forma/materia
sono il risultato dei differenti modi di relazione possibili tra la coscienza e le proprie
rappresentazioni. Tutta la metafisica kantiana ha bisogno di questi concetti per
determinare a priori il luogo (Ort) del contenuto rappresentativo di qualsiasi concetto
(anche quello di materia) in relazione alla coscienza, “in uno stato dell’animo”.108
Da un punto di vista logico, questi concetti, sono il risultato della complessa
attività dell’astrazione, comparazione e riflessione che la coscienza compie nel
confrontare le proprie rappresentazioni con le proprie fonti conoscitive a prescindere da
un contenuto empirico dato. Non stupisce, perciò, che Kant leghi indissolubilmente i
concetti di riflessione all’attività del giudicare in un primo momento attraverso la
spiegazione dell’attività della riflessione logica:
Prima di costituire un qualsiasi giudizio oggettivo, noi confrontiamo i concetti, per
giungere all’identità (di molte rappresentazioni subordinatamente ad un solo concetto), in vista di giudizi universali, o alla diversità di tali rappresentazioni, per la produzione di giudizi particolari; all’accordo, onde possono risultare giudizi affermativi, e al contrasto, onde possono risultare giudizi negativi.109
L’attività della riflessione logica di confronto tra le rappresentazioni e la
coscienza, secondo le categorie (per esempio nel caso dei giudizi universali interviene la
funzione dell’unità di molte rappresentazioni sotto un concetto), è però diversa dalla
riflessione trascendentale, che contiene, invece, il fondamento della possibilità della
comparazione oggettiva delle rappresentazioni tra loro e che soggiace alla
determinazione di concetti dati alla ragione attraverso concetti di riflessione.
107 KrV, A278-9/B334-5. 108 KrV, A261/B317. 109 KrV, A262/B317-8.
77
Il riferimento che Kant fa esplicitamente ai Topici di Aristotele110 non implica
che la genesi dei concetti di riflessione sia da rinvenire nella pura dimensione della
tradizione logica, come invece tra gli altri ha sostenuto B. Falkenburg.111 Sebbene
Baumgarten tratti nella sua Metaphysica le dicotomie dei concetti di identità/diversità,
interno/esterno, non li connette all’atto della riflessione trascendentale, bensì all’essenza
e all’ordine delle sostanze.112
Invece per Kant, perché si diano i concetti di riflessione, deve essere presupposta
solamente l’unità dell’autocoscienza, in quanto tali concetti soggiacciono alla
formulazione dei giudizi, sono in vista di essi.
113 Sebbene i concetti di riflessione siano
posti all’interno del dominio della metafisica, per originarli è presupposta una
dimensione trascendentale o meta-teoretica, come la definisce Natterer,114
Il nesso tra quelli che Kant indica come concetti di riflessione appartenenti alla
topica trascendentale e il processo di determinazione dei rapporti reciproci tra predicati
era già stato trattato da Aristotele nei Topici, come mostra il passo seguente:
quella
dell’appercezione trascendentale.
110 Cfr. Aristotele, Topici, in Organon, Milano 2003, pp. 405-643. In particolare per i concetti di identità-diversità, pp. 411-412; per quelli di accordo e contrasto, pp. 425-426; Cfr. KrV, A268-269/B324-325: “Ogni concetto, ogni titolo sotto cui rientrino molte conoscenze può essere chiamato luogo logico. Su ciò si fonda la topica logica di Aristotele”. Quest’ultima, si deve assolutamente distinguere dalla topica trascendentale. Tuttavia ciò che accomuna l’indagine aristotelica dei topici a quella kantiana è sicuramente la costruzione di un sistema di orientamento, di un metodo di definizione e determinazione della materia della conoscenza secondo principi, che, però secondo Kant, Aristotele avrebbe rinvenuto per induzione e non attraverso una deduzione, riscontrando non poche difficoltà nel dover dimostrare perché quei principi e non altri erano a fondamento della conoscenza e dell’ontologia. Ciò che è interessante notare a livello di storia della logica è il fatto che nella Critica della ragione pura Kant afferma che la topica aristotelica ha finito per diventare funzionale alle diatribe sofistiche, sebbene fosse nata con l’intento opposto di preservare le conoscenze da esse. Per Kant la topica trascendentale è l’unica dotata di una rilevanza scientifica. Tuttavia, nell’ultima parte della sua produzione e nelle tarde lezioni logiche, Kant ritorna esplicitamente sulla questione della topica e anzi torna ad esaltare il ruolo che essa può giocare nell’ambito di proposizioni fondamentali euristiche, nella classificazione dei concetti, predicabili dell’intelletto: la topica va a costituirsi come la disciplina, la tecnica che dà i titoli ai predicabili. Chiaramente Kant non arriva a tali osservazioni perché aveva in mente una combinatoria come quella leibniziana, ma se di una sorta di combinatoria bisogna parlare, essa assume un carattere definito nel numero, in quanto la tavola della topica avrà come base le dodici categorie, così da produrre un ulteriore incasellamento dei predicabili. Questi ultimi che sono concetti originari dell’intelletto, ma derivati dalle categorie, vanno a costituire una griglia di classificazione dei concetti, secondo i titoli delle categorie, assecondando, in tal modo, una fortissima esigenza di completezza sistematica. Tale progetto è già presente nei Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können, KGS IV, pp. 322-327 e nella nota relativa redatta da Kant, in KGS IV, p. 326. 111 Falkenburg (1987), p. 43. 112 Cfr. Baumgarten, Metaphysica, §37: “Relationes possibilium sunt eorundem DETERMINATIONES EXTERNAE (relativae, ad extra, extrinsecae), reliquae omnes, INTERNAE”; cfr. §38: “Si in A sunt, quae in B, A et B sunt EADEM. Non eadem sunt DIVERSA (alia)”. 113 KrV , A262/B317-8. 114 P. Natterer, Systematischer Kommentar zur Kritik der reinen Vernunft, Berlin 2003, p. 368.
78
Dato che i contrari si connettono l’uno all’altro in sei modi – ma ad un’opposizione danno luogo se congiunti in quattro di questi modi – occorre assumere i contrari nella forma in cui sia utile, tanto per chi demolisce quanto per chi consolida un’affermazione. Che dunque si connettano in sei modi, è evidente. In primo luogo infatti potrà avvenire che ciascuna delle due determinazioni contrarie si congiunga a ciascuno dei due oggetti contrari; questo poi accade in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del male ai nemici, o inversamente, far del male agli amici e far del bene ai nemici. In secondo luogo, potrà darsi che entrambe le determinazioni contrarie vengano attribuite ad un unico oggetto; anche questo avviene in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del male agli amici, oppure, far del bene ai nemici e far del male ai nemici. In terzo luogo, potrà avvenire che un’unica determinazione sia riferita ad entrambi gli oggetti contrari; anche questo infine accade in due modi: ad esempio, far del bene agli amici e far del bene ai nemici, oppure far del male agli amici e far del male ai nemici.115
E’ possibile che Kant avesse presente i Topici di Aristotele. Tuttavia, Kant se ne
discosta, in primo luogo, perché designa i concetti di riflessione e la divisione
metafisica come gli strumenti per orientarsi nella costituzione sistematica della “nuova”
metafisica. In secondo luogo, Kant non lega i concetti di riflessione alle categorie, bensì
alle funzioni logiche nei giudizi (quantità, qualità, relazione e modalità).
L’aspetto cruciale della distinzione kantiana tra categorie e funzioni logiche nei
giudizi è stato analizzato da S. Marcucci in Funzioni logiche e categorie in Kant,116 in
cui le categorie e le funzioni logiche si muovono su due piani diversi, anche se tra loro
strettamente connessi.117 Le funzioni logiche sono viste da Marcucci come quel ponte
che rende possibile l’Übergang tra logica formale e logica trascendentale.118
Ora, proprio sulla base degli studi di Marcucci e dell’interpretazione di Natterer
si può procedere nel proporre un esame di tutte le dicotomie dei concetti di riflessione
secondo l’ipotesi della loro derivazione dall’attività della spontaneità, cercando di
mostrare come la stessa appercezione trascendentale sia determinata attraverso di essi
realizzando il passaggio dall’appercezione pura a quella empirica.
Quella che segue è l’ipotesi circa la genesi sul piano trascendentale dei concetti
di riflessione:
QUANTITÀ
1. Identità/diversità. Questa prima coppia di concetti deriva dall’atto
immediato del soggetto di porsi come identico nel diverso, dall’atto di differenziazione
115 Aristotele, Topici, in Organon, Milano 2003, pp. 448-449. 116 S. Marcucci, Funzioni logiche e categorie in Kant, in AA.VV. Kant und sein Jahrhundert, a cura di C. Cesa e N. Hinske, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-New York, 1993, pp. 123-146. 117 Marcucci (1993), p. 127. 118 Marcucci (1993), p. 130.
79
tra sé e le sue rappresentazioni. Lo scorrere delle rappresentazioni nel senso interno
viene riconosciuto come altro da sé e la coscienza si riconosce come identica in ogni
singolo e dunque diverso istante.
QUALITÀ
2. Accordo/contrasto. Questa diade presuppone la precedente e un esame
attento rivela che essa è il frutto del confronto delle rappresentazioni della coscienza
con altre rappresentazioni. Esse possono accordarsi o meno tra loro e con la coscienza,
ma questo presuppone, comunque, una connessione con la coscienza delle
rappresentazioni esterne tra loro (diverse numericamente).119
RELAZIONE
3. Interno/esterno. La terza coppia di concetti presuppone le prime due, in
quanto nell’attività della sintesi intellettuale la coscienza riconosce le sue
rappresentazioni come distinte da sé. Questa coppia di concetti svela come le
rappresentazioni singolari di spazio e tempo, ovvero come le intuizioni pure, ci possono
essere date in termini di forme del senso esterno ed interno prima di qualsiasi sintesi
dell’immaginazione. Infatti la coscienza riconosce come sue, rappresentazioni che sono
altro da sé e si relaziona ad esse compiendo un continuo movimento interno/esterno per
appropriarsene. Non solo le rappresentazioni sono diverse dalla coscienza, ma sono
119 Cfr. KdU, KGS V, p. 203 nota: “La definizione del gusto, messa qui a fondamento, è che esso sia la facoltà di giudicare il bello. Ma ciò che è richiesto per dire bello un oggetto, deve rivelarlo l’analisi dei giudizi del gusto. Ho messo insieme i momenti, che concernono questa facoltà di giudicare nella sua riflessione, seguendo la guida delle funzioni logiche del giudicare (poiché nei giudizi di gusto è contenuto pur sempre un riferimento all’intelletto). Ho trattato in primo luogo la funzione della qualità perché il giudizio estetico sul bello la riguarda in primo luogo”. Cfr. Erste Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, KGS XX, pp. 225-6. I concetti di accordo e contrasto nella loro applicazione sono legati all’esempio di un piacere che controbilancia un dolore. Di questo esempio si ha traccia anche in epoca tarda proprio in relazione all’anfibolia dei concetti di riflessione, cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 461. Questa osservazione assume rilevanza nel quadro del dibattito sullo statuto del principio di conformità a scopi del giudizio riflettente, ma ancor di più in quello della teoria kantiana del sublime. Se il piacere è infatti ciò che colpisce i sensi immediatamente e il piacevole è ciò che piace al gusto mediante sensazione, un discorso particolare vale per il piacere sublime che l’uomo prova dinnanzi alla grandezza e alla potenza della natura. Se lette con la lente dei concetti di riflessione, le pagine dedicate al sublime svelano questo continuo gioco delle rappresentazioni nella sensazione legate ai concetti di accordo e contrasto con la coscienza che suscitano un sentimento di piacere o dispiacere. Il molteplice della natura non viene determinato, quanto è il rapporto di queste rappresentazioni con la coscienza e poi con le facoltà dell’animo a generare il sentimento, che svela così una natura mediata rispetto all’immediatezza della sensazione.
80
diverse o uguali tra loro. Sono l’una esterna all’altra, ma nella stessa dimensione unica,
il tempo.120
La coscienza si riconosce in relazione ad esse e le pensa in relazione a sé.
MODALITÀ
4. Forma/materia. L’ultima coppia rappresenta il momento più alto della
riflessione e onnicomprensivo. La coscienza riflette se stessa come identica con le sue
rappresentazioni, che ne costituiscono la materia, ma si riconosce anche come unità
superiore ad esse (diventa autocoscienza). La coscienza si riflette come forma capace di
ricomprendere le sue parti (il determinabile) sotto una più alta unità. La coscienza è
forma (determinazione) che si fa materia (determinabile) e può diventare oggetto a se
stessa.
Questa lettura della genesi dei concetti di riflessione permette di chiarire sia la
natura del rapporto della spontaneità (innere Handlung) con i suoi prodotti sia cosa
comporti la doppia modalità in cui Kant determina l’Io-penso quanto alla forma,
distinguendolo dal possibile contenuto materiale (Stoff) del molteplice delle
rappresentazioni. In secondo luogo, la lettura della genesi dei concetti di riflessione
sopra proposta, si può fondare proprio sull’attività della spontaneità capace di dare vita
a un concetto, come si evince dall’Anthropologie in Pragmatischer Hinsicht:
Se noi ci rappresentiamo l’azione interna (spontaneità) per cui è possibile un concetto (un pensiero), cioè la riflessione, e la sensibilità (recettività), per cui è possibile una percezione (perceptio) o un’intuizione empirica, cioè l’apprensione, come ambedue fornite di coscienza allora la coscienza di se stesso (apperceptio) si può dividere in quella della riflessione e quella dell’apprensione. La prima è una coscienza dell’intelletto, la seconda è il senso interno; quella è chiamata l’appercezione pura, questa la empirica, e quindi quella è definita erroneamente come il senso interno. – Nella psicologia noi indaghiamo noi stessi secondo le rappresentazioni del nostro senso interno, nella logica invece secondo ciò che la coscienza intellettuale ci offre. – Qui dunque l’io ci appare doppio (il che sarebbe contraddittorio): 1) l’io come soggetto del pensiero (nella logica), a cui si riferisce l’appercezione pura (l’io che soltanto riflette), e di cui nulla più si può dire fuor che è una rappresentazione del tutto semplice; 2) l’io come oggetto della percezione e quindi del senso interno, che include una molteplicità di determinazioni, le quali rendono possibile un’esperienza interna. La questione, se nelle diverse alterazioni interne dell’animo ( della memoria o dei principi ammessi da lui) l’uomo, quando è cosciente di tali alterazioni, possa ancora dire di essere il medesimo (in ciò che concerne l’anima), è assurda; perché egli può essere cosciente di tali alterazioni solo per il fatto che egli si rappresenta nelle
120 Una possibile applicazione di questi concetti di riflessione è presente nei Principi metafisici della scienza della natura, laddove Kant non solo impiega la coppia di concetti di materia e forma, ma anche di interno ed esterno per la definizione metafisica di materia. Cfr. MAN, KGS IV, p. 481.
81
diverse condizioni come un solo e medesimo soggetto, e l’io dell’uomo è sì duplice quanto alla forma (al modo di rappresentarsi), ma non quanto alla materia ( al contenuto).121
***
E’ possibile, date queste premesse, mostrare ora il rinvenimento
dell’applicazione dei concetti di riflessione per la costituzione della metafisica della
natura, nell’ambito delle quattro sezioni dei Principi metafisici della scienza della
natura:
1. Identità/diversità nella Foronomia
La composizione del movimento è la rappresentazione del movimento di un punto come identico a due o più movimenti del punto congiunti in uno solo.122
2. Accordo/contrasto nella Dinamica
La forza attrattiva è la forza motrice per cui una materia può essere causa del fatto che
un’altra materia le si avvicini (o, il che è lo stesso, per cui l’una si oppone all’allontanamento dell’altra). La forza repulsiva è quella per cui una materia può essere causa del fatto che altre se ne allontanino(o, che è lo stesso, per cui l’una oppone resistenza all’avvicinamento delle altre). Quest’ultima la chiameremo talvolta anche la forza respingente, la prima forza traente.123
3. Interno/esterno nella Meccanica
121 I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, KGS VII, p. 134 nota: “Wenn wir uns die innere Handlung (Spontaneität), wodurch ein Begriff (ein Gedanke) möglich wird, die Reflexion, die Empfänglichkeit (Rezeptivität), wodurch eine Wahrnehmung ( perceptio ), d.i. empirische Anschauung, möglich wird, die Apprehension, beide Acte aber mit Bewusstsein vorstellen, so kann das Bewusstsein seiner selbst ( apperceptio ) in das der Reflexion und das der Apprehension eingeteilt werden. Das erstere ist ein Bewusstsein des Verstandes, das zweite der innere Sinn; jenes die reine, dieses die empirische Apperzeption, da dann jene fälschlich der innere Sinn genannt wird. - In der Psychologie erforschen wir uns selbst nach unseren Vorstellungen des inneren Sinnes; in der Logik aber nach dem, was das intellektuelle Bewusstsein an die Hand giebt. - Hier scheint uns nun das Ich doppelt zu sein (welches widersprechend wäre): 1) das Ich als Subjekt des Denkens (in der Logik), welches die reine Apperzeption bedeutet (das bloß reflektierende Ich), und von welchem gar nichts weiter zu sagen, sondern das eine ganz einfache Vorstellung ist; 2)das Ich als das Objekt der Wahrnehmung, mithin des inneren Sinnes, was eine Mannigfaltigkeit von Bestimmungen enthält, die eine innere Erfahrung möglich machen. Die Frage, ob bei den verschiedenen inneren Veränderungen des Gemüts (seines Gedächtnisses oder der von ihm angenommenen Grundsätze) der Mensch, wenn er sich dieser Veränderung bewusst ist, noch sagen könne, er sei ebenderselbe (der Seele nach), ist eine ungereimte Frage; denn er kann sich dieser Veränderungen nur dadurch bewusst sein, dass er sich in den verschiedenen Zuständen als ein und dasselbe Subjekt vorstellt, und das ich des Menschen ist zwar der Form (der Vorstellungsart) nach, aber nicht der Materie (dem Inhalte) nach zwiefach”. Cfr. trad. it. Antropologia pragmatica, a cura di G. Vidari e A. Guerra, Bari 1969, pp. 16-17 nota. 122 MAN, KGS IV, p. 489. 123 MAN, KGS IV, p. 498.
82
Che la quantità di materia possa essere pensata solo come l’insieme di ciò che si muove (composto di parti reciprocamente esterne), come afferma la definizione, è una notevole proposizione fondamentale della meccanica generale. Essa, infatti, mostra che la materia non ha altra grandezza che quella consistente nell’insieme del molteplice delle sue parti reciprocamente esterne, e di conseguenza, data una certa velocità, non possiede alcun grado di forza motrice che non dipenda da questo insieme e che si possa trattare semplicemente come una grandezza intensiva.124
4. Materia/forma nella Fenomenologia
Il mobile, dunque, diviene come tale oggetto dell’esperienza quando un particolare oggetto (in questo caso una cosa materiale) viene pensato come determinato rispetto al predicato del movimento.125
Si nota che, grazie ai concetti di riflessione, il concetto di materia può essere
costruito attraverso il concetto empirico di movimento, che presuppone una relazione
con la coscienza. Per Kant la materia deve da un punto di vista teorico, a) essere un
punto mobile nello spazio o punto materiale, b) essere dotata di forza attrattiva e
repulsiva, c) non avere altra grandezza che quella consistente nell’insieme del
molteplice delle sue parti reciprocamente esterne, d) avere come forma il movimento, in
quanto solo attraverso di esso può essere conosciuta nel fenomeno.
Queste osservazioni, oltre a confermare l’analisi svolta nei paragrafi precedenti
sull’idealismo trascendentale di spazio e tempo, ribadiscono l’appartenenza delle
funzioni logiche nei giudizi, della sintesi soggettiva della composizione, delle forme
dello spazio e del tempo a una dimensione comune che fonda la possibilità della
matematica, così come della metafisica.126
2.4 Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft: un “fallimento”? Il movimento nella Fenomenologia
L’ultima sezione dei Principi metafisici della scienza della natura è alla base
non solo della comprensione delle sezioni precedenti, ma offre anche una spiegazione
effettiva della possibilità dell’esperienza, gettando luce sul ruolo della ragione e dei suoi
principi.
E’ nella Fenomenologia, cioè nella scienza del fenomeno, che Kant afferma che
l’unico modo per rendere effettiva l’esperienza del fenomeno del movimento è quella di
124 MAN, KGS IV, pp. 539-540. 125 MAN, KGS IV, p. 554. 126 La metafisica così come la matematica, sebbene differiscano nel loro metodo, hanno però un oggetto comune come punto di partenza, quello di grandezza. Cfr. Falkenburg (1987), pp. 49 segg.
83
pensare un particolare oggetto come determinato rispetto al predicato del movimento.127
Nella Fenomenologia si dispiega uno dei più alti compiti della filosofia, quello di
trasformare il fenomeno in esperienza.128
Questo si traduce nella consapevolezza della differenziazione delle modalità di
movimento dei corpi e della materia, che possono essere riguardati da un punto di vista
più alto, ovvero quello dei principi di ragione per il suo uso empirico. Il movimento nel
fenomeno può essere attribuito da un punto di vista foronomico sia a un corpo che allo
spazio relativo indifferentemente e la quantità del movimento è composta come un
omogeneo, matematicamente. Al contrario se si pensa il mobile nello spazio come
determinato in quanto tale, secondo il suo movimento e in vista di un’esperienza
possibile, è necessario indicare a quali condizioni l’oggetto (la materia) possa essere
determinato con il predicato di movimento.
In una lunga nota nella sezione della Meccanica Kant compara quest’ultima con
la Foronomia. La Foronomia considera il movimento di un corpo solo rispetto allo
spazio, cioè la quantità di movimento dello spazio è soltanto velocità, così come quella
del corpo. Per questa ragione lo spazio relativo e il corpo possono essere rappresentati
come punti materiali in movimento. Al contrario Kant sottolinea che:
Nella Meccanica, dato che un corpo viene considerato in movimento verso un altro
corpo, rispetto al quale, mediante questo movimento, sta in un rapporto causale […], non è più indifferente attribuire il movimento opposto a uno di questi corpi o allo spazio. Infatti qui entra in gioco un diverso concetto della quantità di movimento: non si tratta più di quella che viene pensata solo in rapporto allo spazio e che consiste nella semplice velocità, ma di quella in cui si deve prendere in considerazione anche la quantità di sostanza (in quanto causa motrice); in questo caso dunque non è più indifferente, ma necessario ammettere che entrambi i corpi siano in moto e dotati della stessa quantità di movimento in direzioni opposte.129
In primo luogo, Kant esplicita nel Teorema III della Fenomenologia che ogni
movimento con cui un corpo esercita un’azione motrice su un altro corpo è associato
necessariamente a un movimento uguale ed opposto a quest’ultimo. In secondo luogo,
la realtà di questo movimento deriva immediatamente dal concetto della relazione tra il
corpo che si muove nello spazio e ogni altro corpo che può essere mosso dal precedente:
di conseguenza, il movimento di quest’ultimo corpo è necessario.130
127 MAN, KGS IV, pp. 554-555.
Questo teorema
determina la modalità del movimento rispetto alla Meccanica.
128 MAN, KGS IV, p. 555. 129 MAN, KGS IV, p. 548. 130 MAN, KGS IV, p. 558.
84
Ma nella Fenomenologia, anche il movimento rispetto alla Dinamica viene
differenziato, per cui il movimento circolare di una materia, diversamente da quello
opposto dello spazio, è un predicato reale della materia.131
Kant giustifica questo
sostenendo che:
Un movimento che non può aver luogo senza l’influsso di una forza motrice esterna che agisca con continuità, dà prova, mediatamente o immediatamente, dell’azione di forze motrici originarie della materia, sia dell’attrazione sia della repulsione.132
A questo punto, individuato il ruolo fondamentale della Fenomenologia e il suo
legame profondo con la Dinamica, può essere avanzata un’ipotesi interpretativa
alternativa circa l’Opus postumum a quella di M. Friedman e B. Tuschling.
Secondo Friedman, Kant tratterebbe ancora negli ultimi manoscritti la materia su
base foronomica, mentre secondo Tuschling i Principi metafisici della scienza della
natura sarebbero un “fallimento” che ha indotto Kant alla stesura di un Passaggio dai
Principi metafisici della scienza della natura alla fisica e a una diversa trattazione in
esso della Dinamica.
In realtà, se si tengono presenti le osservazioni svolte in questo capitolo, risulta
chiaro che la trattazione foronomica non fonda tutta la “scienza del fenomeno”, ma solo
la Meccanica e che la trattazione del movimento nell’Opus postumum è differente da
quella dei Principi metafisici della scienza della natura, in quanto per questi ultimi
l’oggetto della costruzione è il movimento della materia secondo diverse modalità,
mentre nel secondo caso si è di fronte alla costituzione di un sistema di forze motrici
della materia per spiegare le sue proprietà intrinseche e dunque la trattazione
foronomica del movimento non viene più posta a fondamento della Meccanica, la quale
invece è esplicitamente fondata sulla Dinamica:
Risulta evidente, poi, che più che di un “fallimento” dell’opera del 1786, occorre
parlare di un’insufficienza di prove dirette della realtà delle forze di attrazione e
repulsione inerenti alla materia.
Su questo punto si tornerà nel paragrafo successivo, ma in questo contesto è
sufficiente puntualizzare che questo elemento non è condizione per parlare di un
fallimento della costruzione del movimento secondo la Dinamica: si è semplicemente di
fronte ad una prova per modus tollens nella Nota Generale alla Dinamica e al tentativo
131 MAN, KGS IV, p. 556. 132 MAN, KGS IV, p. 557.
85
di costituzione di un tipo speciale di prova, quella dell’esistenza dell’etere, nell’Opus
postumum.
Dunque, per sintetizzare questa breve analisi sul rapporto tra metafisica e
scienza della natura nei Principi metafisici della scienza della natura, è necessario
ricordare che Foronomia, Dinamica e Meccanica, dal punto di vista della
Fenomenologia corrispondono alle categorie di possibilità, realtà e necessità, in quanto
non sono altro che tre modi diversi di rapportare le rappresentazioni contenute nel
giudizio con la coscienza, cioè con la determinazione di essa nel tempo. Per questo le
tre sezioni dei Principi metafisici della scienza della natura corrispondono ai giudizi
alternativi, disgiuntivi e distributivi:
Nella stessa Fenomenologia, però, laddove il movimento non viene considerato in maniera solo foronomica, ma in maniera dinamica, la proposizione disgiuntiva va presa in senso oggettivo: cioè, io non posso sostituire la rotazione di un corpo con la sua quiete e ammettere in suo luogo il movimento opposto dello spazio.133
A questo punto Kant ritiene opportuno introdurre la seguente considerazione.
Mentre la formula “o…o…”, in logica, designa sempre la forma di un giudizio
disgiuntivo, nella scienza del fenomeno, le determinazioni di “alternativo”,
“disgiuntivo” e “distributivo” di un concetto, rispetto a predicati opposti, indicano
diverse maniere di considerare il movimento.
Nell’opera del 1786, dunque, la logica viene confermata nel suo statuto di
canone della filosofia. In secondo luogo, l’elemento soggettivo della conoscenza e del
giudicare, inserito nella Foronomia e da essa contemplato per la determinazione della
quantità del movimento come velocità, deve essere accompagnato da quello oggettivo
nella Fenomenologia. Secondo quest’ultimo momento della modalità, il movimento va
considerato foronomicamente, dinamicamente e meccanicamente, perciò il giudizio di
forma disgiuntiva si deve necessariamente riferire all’oggetto in modo distributivo, in
quanto i principi della meccanica prevedono che il movimento venga ripartito tra due
corpi in pari quantità. Agli occhi di Kant, per riuscire in questo intento, è necessario
però riconoscere che le leggi matematiche della composizione del movimento devono
essere presupposte alla Meccanica.
In sostanza la terza legge newtoniana del moto, quella di azione e reazione, deve
essere enunciata, presupponendo la trattazione meccanica del movimento e ancor prima
la sua trattazione foronomica, ma per divenire esperienza, cioè per trovare un
133 MAN, KGS IV, pp. 559-560 nota.
86
corrispettivo empirico, ed essere al tempo stesso un principio metafisico della scienza
della natura, deve essere inquadrata dalla ragione sulla base della trattazione dinamica
della materia, attraverso un sistema di forze derivative di essa. Questo intento, che sarà
più esplicito nell’Opus postumum, è già presente nei Principi metafisici della scienza
della natura:
Infatti le regole della connessione dei movimenti mediante cause fisiche, cioè mediante
le forze, non si possono esporre rigorosamente senza aver posto a fondamento in modo puramente matematico i principi della loro composizione in generale.134
Piú in generale, l’aspetto veramente degno di nota di questi passaggi e che rende
Kant apprezzabile ancora oggi, consiste nel fatto che egli non veda affatto come
incompatibili l’approccio statico e quello dinamico, bensì, grazie al punto di vista della
Fenomenologia, Kant ha ammesso la possibilità di una loro compresenza, e il fatto che
nessuno dei due approcci, preso di per se stesso, possa dare conto esaurientemente del
movimento dei corpi fisici e del nostro modo di rappresentarlo matematicamente.
2.5 La materia cosmica e l’universo in espansione
La ricostruzione di M. Jammer dell’intrinseco legame tra concetti di spazio e
tempo e le teorie fisiche considera questi come costituenti originari del pensiero fisico.
Analizzando la crescente importanza che la concezione relazionale dello spazio ha
rivestito negli ultimi cinquanta anni per lo sviluppo della fisica, Jammer osserva che:
In fact, pure relationalism, by defining spatio-temporal properties as relations among bodies, already renounces the primacy as well as ontological autonomy of these notions and argues that any statement about topological or metrical properties of space and space-time are testable only by recourse to the behaviour of physical objects. […] the conclusion that the traditional concepts of space and time are applicable only to macroscopic systems prompted E. J. Zimmerman to suggest that these concepts, “arise from, but do not have analogs in, the properties of microscopic particles, in the same way that thermodynamic properties arise as a result of interactions among the many actually existing particles of the universe”.135
Nel campo d’indagine della presente ricerca, l’approccio storico ed
epistemologico di Jammer può essere tradotto nella trattazione della concezione
kantiana della materia e dell’universo in espansione.
134 MAN, KGS IV, p. 487. 135 Jammer, (1993), pp. 237-238.
87
Sin dal periodo precritico, la visione kantiana della scienza della natura ha subito
l’influenza sia della fisica newtoniana sia della metafisica leibniziana. Nonostante
alcuni mutamenti dovuti allo sviluppo del sistema della filosofia trascendentale, negli
anni ’90 Kant confermò molti degli aspetti teorici presenti nella sua opera cosmologica
e cosmogonica del 1755, Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels. Kant
confermò, ancora nel 1791, i passaggi fondamentali sulla costituzione dell’universo e
sulla sua espansione.136
Nell’Opus postumum è rintracciabile il continuo tentativo di Kant di ampliare la
sua teoria cosmologica e cosmogonica, enfatizzando, da un lato, il ruolo della
matematica e la sua applicabilità alla fisica, e, dall’altro, concentrandosi sulla
determinazione delle proprietà fondamentali della materia e delle sue forze, attraverso
una fondazione metafisica.
Il dibattito contemporaneo sulla concezione kantiana della scienza della natura
cerca di mettere in luce le ragioni per cui si rese necessario il riempimento di un gap
attraverso un passaggio alla fisica interno alla filosofia trascendentale. Per un verso, si
ritrovano interpretazioni, come quella di E. Förster, il quale in Kant’s Final Synthesis ha
sottolineato il ruolo fondamentale della tarda riflessione kantiana sulla matematica per
una nuova fondazione filosofica della fisica come scienza.137
D’altro canto è necessario ricordare la tesi di M. Friedman, secondo cui le nuove
scoperte della chimica e dell’astronomia nel quadro epistemologico della terza Critica
avrebbero generato e motivato la scelta di Kant di tornare su vecchi temi risalenti al
primo periodo precritico.
138
Tuttavia un altro approccio potrebbe forse essere più utile, anche per includere
parti di queste differenti interpretazioni. Occorre considerare, innanzitutto, la
concezione kantiana della materia e il problema epistemologico che Kant si trovava di
La maggior parte delle interpretazioni tendono in ogni caso
a rappresentare i manoscritti dell’Opus postumum come un tentativo di rivisitare la
filosofia trascendentale, soprattutto per quanto concerne l’idealismo trascendentale o la
concezione kantiana dell’oggettività, facendo leva sulla presenza della prova
dell’esistenza dell’etere e sul suo fallimento.
136 Nel 1791 Gensichen curò l’edizione di un Auszug del testo kantiano del 1755. Si veda W. Herschel, Über den Bau des Himmels. Drei Abhandlungen aus dem Englischen übersetzt von Michael Sommer. Nebst einem authentischen Auszug aus Kants allgemeiner Naturgeschichte und Theorie des Himmels, a cura di J. F. Gensichen, Königsberg 1791. Possediamo anche uno scambio epistolare tra Gensichen e Kant, in cui quest’ultimo da indicazioni editoriali circa il contenuto da pubblicare. Cfr. Kant, Briefwechseln, KGS, XI, 252-3. Cfr. infra, Capitolo IV. 137 E. Förster, Kant’s Final Synthesis. An Essay on the Opus postumum, Cambridge-London 2000. 138 M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992.
88
fronte nel formulare la sua cosmologia a seguito della svolta copernicana della Critica
della ragione pura. Questo problema, infatti, coinvolge il concetto metafisico di forza,
che è necessario sia alla fondazione della fisica sia, in particolare, di una teoria dinamica
della materia, nonché alla possibile applicazione della matematica alla fisica. La
concezione kantiana della materia nell’Opus postumum va inquadrata all’interno della
costituzione di un Sistema del Mondo e dunque all’interno di un quadro epistemologico
di una spiegazione unitaria di fenomeni fisici, secondo una prospettiva della totalità
propria della cosmologia.
Si procederà ora tenendo presente le opere in cui Kant ha discusso le proprietà
della materia sia nel periodo pre-critico che in quello critico. In secondo luogo, si
analizzeranno gli argomenti, di cui Kant si serve nei Principi metafisici della scienza
della natura del 1786, per la determinazione dell’universo in espansione.
a) Il periodo precritico
Sin dal primo scritto sulla vera valutazione delle forze vive del 1747, Kant ha
mostrato un forte interesse per l’indagine filosofica 1) della relazione tra metafisica,
matematica e fisica, 2) della definizione dello spazio, della forza e del movimento, 3)
dell’esplicazione delle proprietà fondamentali della materia.
Dal 1754 al 1756 Kant pubblicò lavori sulla rotazione assiale della terra, sulla
teoria del fuoco, sulla composizione della materia e la natura dello spazio, sulla
definizione di forza e moto.139
Tutti questi argomenti, centrali nella prima fase della produzione di Kant
possono essere rintracciati in Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels
(1755).
Si possono fare rilevanti osservazioni a partire da quest’opera, che è classificata
come esemplare della teoria cosmologica e cosmogonica di Kant. Quest’ultima si
colloca a metà strada tra quella newtoniana e leibniziana e mostra anche elementi di
forte critica nei confronti del materialismo. Kant criticava, infatti, sia la spiegazione
newtoniana della creazione e dell’azione di ordinamento di Dio sulla materia, sia la
teodicea leibniziana e l’armonia prestabilita.
139 Nella Nova dilucidatio Kant sviluppa anche una critica esplicita dei principi filosofici e logici di Wolff e Crusius, mostrando come la riflessione metafisica sulla causalità dovesse essere rivisitata e posta a fondamento della spiegazione dei fenomeni fisici. Se si considera questo “cluster” di opere precritiche non può sfuggire ad un osservatore attento che è dalla riflessione sulla scienza della natura e sulle leggi della materia che Kant prende le mosse per una critica alla metafisica tradizionale.
89
Per Kant, sebbene Dio abbia creato la materia, il primo movimento della materia
e l’inizio della storia dell’universo era qualcosa che doveva riguardare la scienza della
natura e la metafisica, e doveva essere tenuta ben separata dal dominio della teologia.
La storia dell’universo inizierebbe, dunque, da un primo movimento originato a
partire da un punto materiale medio, che possiede il più alto grado di densità e su cui
viene esercitata una causa materiale, ovvero il maximum di gravità e forza attrattiva:
Se quindi in uno spazio molto vasto si può trovare un punto in cui gli elementi esercitano un’attrazione più forte che altrove, allora tutto il materiale di base delle particelle elementari diffuso in quello spazio cadrà su di esso. Il primo effetto di questa caduta generale è la formazione in questo punto centrale di attrazione, di un corpo, il quale, per così dire, da un seme infinitamente piccolo cresce molto velocemente, ma nella misura in cui questa massa aumenta, aumenta anche la forza con cui attira a sé le particelle che la circondano.140
La scelta di Kant di rappresentare l’inizio del mondo come un intero processo di
materia in espansione e originata da un punto materiale necessita di un’ulteriore analisi:
Assumo, dunque, che tutte le materie di cui consistono le sfere, le comete e tutti i corpi
che appartengono al nostro sistema solare fossero dissolte in origine nel loro materiale di base e occupassero l’intero spazio in cui adesso ruotano i corpi formatisi da esse. Questo stato della natura, anche se non lo si considera in vista di un sistema, ma in sé e per sé, sembra essere il più semplice che sia potuto seguire al nulla. Allora non c’era ancora niente di formato. La formazione dei corpi celesti a una determinata distanza l’uno dall’altro, le loro distanze proporzionate alle forze d’attrazione, la loro configurazione derivante dall’equilibrio della materia raccoltasi, appartengono tutti a uno stato successivo. La natura, immediatamente dopo la creazione, era il più possibile grezza e informe.141
Con l’assunzione di un caos originario, ovvero di una materia inerte e caotica,
Kant riteneva che il suo movimento dovesse essere inteso come una conseguenza del
gioco tra forza attrattiva e repulsiva. Queste forze producono calore, movimento e
differenti condizioni di aggregazione, ovvero differenti masse e volumi, dunque
differenti gradi di densità della materia.
Sul piano cosmogonico sembra, dunque, che Kant tenda già dal 1755 a fondare
la spiegazione meccanica su una concezione dinamica della materia. Infatti, c’è un’altra
premessa da considerare che consiste nella varietà degli elementi di cui la materia è
composta all’inizio della storia dell’universo:
140 I. Kant, Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (TH), trad. It. a cura di G. Scarpelli e S. Velotti,Roma 2009, p. 83. 141 TH, p. 81.
90
Ma la varietà dei generi degli elementi contribuisce in maniera determinante al movimento della materia e all’organizzazione del caos, sia rompendo la quiete che, nel caso di un’omogeneità universale degli elementi dispersi, regnerebbe indisturbata, sia iniziando a dar forma al caos in quei punti dove si concentrano particelle dotate dell’attrazione più forte. I generi di questo materiale di base, a giudicare dalla smisuratezza che caratterizza la natura in tutti i suoi aspetti, sono senza dubbio infinitamente vari.142
Questi elementi hanno forze essenziali, attrattive e repulsive, con cui si mettono
in moto reciprocamente e dunque sono essi stessi una fonte di vita,143 in quanto la
materia inizia a tendere a formarsi da se stessa.144
Kant descrive la sua ipotesi nei
seguenti termini:
Ma la natura possiede altre forze di riserva che si manifestano specialmente quando la materia è diluita in particelle sottili, inducendo queste ultime a respingersi reciprocamente, e producendo, mediante il loro conflitto con l’attrazione, quel movimento che in certo qual modo costituisce la vita perenne della natura. Mediante tale forza di repulsione, che si manifesta nell’elasticità dei gas, negli efflussi dei corpi odorosi e nell’espansione di tutte le materie volatili – e che è un fenomeno della natura indiscusso – gli elementi che cadono verso i loro punti d’attrazione vengono deviati dal proprio moto rettilineo, così che la loro caduta verticale si trasforma in un moto rotatorio attorno al centro.145
Pertanto secondo la cosmologia kantiana la materia è disseminate nell’universo
mostrando differenti gradi di densità. Questa varietà influenza la distribuzione delle
strutture galattiche sorte da strutture nebulari.
Il sistema solare è la più piccola di queste strutture ed è incluso insieme ad altri
sistemi solari in una struttura più ampia, la galassia della via Lattea. Quest’ultima a sua
volta non è altro che una delle altre galassie incluse in un sistema rotante più grande.
L’universo come un tutto, perciò, consiste in una sequenza indefinitamente
estesa di strutture galattiche rotanti che sono incluse in una sequenza ancora più grande
di strutture nebulose.
Perciò per pensare la rotazione e le posizioni relative di tutti questi sistemi deve
essere pensato un centro di gravità comune di tutta la materia, in relazione a cui tutti i
movimenti nel cosmo, concepito come un tutto, possono essere determinati.
Questo centro dello spazio in cui converge la sequenza di spazi relativi è stata
interpretata da M. Friedman come un’idea regolativa della ragione:
142 TH, p. 81. 143 TH, p. 82. 144 TH, p. 82. 145 TH, p. 82.
91
What Kant calls the “common center of gravity of all matter”, relative to which all the motions in the cosmos as a whole can now be determinately considered, is never actually reached in this sequence; it is rather to be viewed as a forever unattainable regolative idea of reason towards which our sequence of (always empirically accessibile) relative spaces is converging.146
Tuttavia, tenendo presente la concezione kantiana, secondo cui la materia
riempie lo spazio, in quanto mobile in esso, e possiede in sé le due forze fondamentali
di attrazione e repulsione, dovrebbe anche essere considerato che il punto materiale
intermedio da cui si origina l’universo è determinato come il punto massimo di densità e
come punto su cui è esercitato il massimo di forza attrattiva. In secondo luogo, Kant
stesso ipotizza che la densità dell’intero universo possa essere valutata sulla base di una
sorta di legge statica.
Quella di un punto di massima densità non sembra essere una mera idea
regolativa, piuttosto, un’ipotesi cosmogonica meccanica fondata su una teoria dinamica
della materia. Questa tesi è suffragata, peraltro, dal fatto che l’origine di una visione
dell’universo, dei differenti gradi di densità della materia, si ritrova anche nel Systema
cosmicum di Galilei, che Kant possedeva nella sua biblioteca personale.147
Ad ogni modo, l’obiettivo di Kant consisteva nel fornire una spiegazione
meccanica dell’origine dell’universo, che senza una visione dinamica della materia
sarebbe impossibile.
L’universo è
concepito da Kant proprio in termini dinamici secondo due forze inerenti alla materia
che le permettono di muoversi e riempire lo spazio.
148
L’acquisizione dei principi fisici di Newton è evidente in quest’opera del 1755,
sebbene Kant rimanga scettico sulla possibilità dell’azione a distanza nello spazio
vuoto. Come è noto, Newton stesso era conscio di questa difficoltà, tanto che
nell’Ottica e nella seconda edizione dei Principia, ricorse all’etere, alla materia sottile,
come medium per la propagazione della gravità.
Proprio a queste riflessioni di Newton sembra ispirarsi Kant, sebbene egli
rigettasse non solo la concezione newtoniana di spazio assoluto e l’esistenza dello
146 M. Friedman, Introduction, p. xiii, in I. Kant, Metaphysical Foundations of Natural Science, Cambridge 2004. Questa posizione di Friedman più che essere un errore è la conseguenza del suo pensiero di filosofo della scienza, favorevole ad una concezione relazionale dello spazio-tempo e alla rivalutazione del sistema di Leibniz per questo fine. Per tale motivo M. Friedman tende ad enfatizzare la vicinanza tra Newton e Kant e il distacco di quest’ultimo da Leibniz circa la concezione dello spazio fisico e metafisico. Cfr. M. Jammer (1993), pp. 215-230. 147 Cfr. A. Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922. 148 Grazie alla teoria dinamica della materia e alla nozione di densità apparente, Kant è stato in gradi di sviluppare peraltro una spiegazione della rappresentazione della Via Lattea e conseguentemente della struttura sistematica del cosmo.
92
spazio vuoto, ma anche la sua dimostrazione della forza centrifuga. Per la
formalizzazione di quest’ultima Kant tenne presente Huygens. Correntemente, infatti, la
formula della forza centrifuga esprime una forza fittizia, mentre Huygens e gli scienziati
dell’epoca ritenevano che essa fosse una forza reale.
Della forza centrifuga Huygens costruì una dimostrazione geometrica149
gs2
che
anticipava la teoria newtoniana, in particolare la seconda legge del moto. Nella formula
F = mv²/r, v denota la velocità e m la massa della particella e r il radio del suo percorso
circolare. Se la particella cade a una distanza s = r/2, cioè a ¼ del diametro, la sua
velocità sarà v = = gr e conseguentemente la sua forza centrifuga sarà mg.
B
GC
A
H
F
E D I
Figura 4.4 Metodo geometrico di Huygens per la misura della forza centrifuga
Huygens, studiando le proprietà della forza centrifuga, realizzò la possibilità che
questa forza potesse controbilanciare la forza di gravitazione esercitata dal Sole sugli
altri pianeti, facendogli mantenere le proprie orbite. L’intensità della forza centrifuga
può essere misurata dalla distanza in cui il corpo si deflette, entro una piccola unità di
tempo, dalla direzione tangenziale in cui questo si sarebbe mosso in assenza di questa
forza.
Dall’opera del 1755 ci viene consegnata, dunque, una cosmologia con un
background newtoniano legato alla fisica sperimentale e con la chiara influenza della
concezione della forza di Leibniz e Huygens.
149 C. Huygens, Oeuvres complète, vol. 16 (1929), p. 316.
93
Proprio grazie ad una concezione della forza di stampo leibniziano, Kant voleva
dar conto dell’elasticità e della forza espansiva della materia, senza accogliere
l’equilibrio dinamico come unica chiave di lettura per la spiegazione del cosmo.150
Questo è il filo rosso che lega la prima parte della produzione kantiana agli
ultimi manoscritti dell’ Opus postumum, in cui Kant elabora una soluzione secondo cui
la rarefazione dell’etere può essere misurata dal calcolo differenziale.
L’etere riempie lo spazio esercitando una forza viva tale da considerare lo spazio
“come se fosse vuoto”, cioè con un grado di riempimento che tende a zero.151 Questo
significa che le molecole o sfere dell’etere oltre che una densità, seppure la più piccola
possibile, possiedono una forza repulsiva che esercitano reciprocamente e sulle
molecole di altri corpi. Questa forza istante per istante viene esercitata su un corpo con
una funzione ε = lim→ 0.152
In questo modo Kant pensava di mantenere sia le conquiste di Newton che l’idea
dell’universo come un tutto materiale in espansione, le cui conseguenze sono tra le più
suggestive.
153
L’ipotesi nebulare di Kant trovò, infatti, nuova vita nel 1944, quando Karl F. von
Weizsäcker e Hannes Alfvén, tentarono di perfezionarla.
154 Von Weizsäcker, nel 1944,
propose un suo modello detto “della turbolenza”, che dimostrava che una nebulosa
originariamente sferica,155
150 TH, pp. 82-87.
sotto l’azione combinata di gravità e attrito interno, avrebbe
assunto la forma di un disco con un addensamento centrale, che lentamente avrebbe
151 In sostanza per Kant la quiete è qualcosa che non può essere nel fenomeno, bensì solo nell’istante e dunque non può esserci esperienza della quiete, così come dello spazio assoluto o dell’azione a distanza. Queste sono idee della ragione di cui si sono serviti i fisici per applicare la matematica alla fisica. Tuttavia l’ingegnosità del ragionamento kantiano consiste nell’aver “salvato” una concezione del fenomeno fisico istantanea e dinamica insieme, così da ricomprendere la meccanica e la dinamica nella scienza della natura. 152 Cfr. Newton, Principia, pp. 88-90. 153 Nella Fenomenologia Kant afferma che il movimento assoluto sarebbe solo quello che appartenesse a un corpo indipendentemente da qualunque altra materia e che tale movimento sarebbe solo quello rettilineo dell’universo intero, cioè del sistema di tutta la materia. Cfr. MAN, KGS IV, p. 562. questa concezione crea però il problema dell’instabilità del cosmo che sposterebbe continuamente il centro comune di gravità di tutta la materia. D’altra parte secondo Kant non comporta nessun vantaggio neanche il pensare solamente l’universo in rotazione intorno al proprio asse. Quello che Kant vuole però ribadire è che in qualsiasi modo l’universo si espanda comunque lo fa in rispetto della legge dell’antagonismo in ogni reciprocità di movimento della materia. cfr. MAN, KGS IV, p. 563. 154 Weizsäcker formula anche un’interpretazione del concetto di materia in Kant, confrontandosi con le tesi di Plaass, cfr. C. F. von Weizsäcker, Die Einheit der Natur, München 1974, pp. 405-427. In secondo luogo, ancor prima, riprese nelle sue lezioni del 1948 il modello kantiano delle Antinomie della ragione pura per la trattazione dei problemi epistemologici e ontologici aperti dalla fisica quantistica, cfr. C. F. von Weizsäcker, Der begriffliche Aufbau der theoretischen Physik, Leipzig 2004, pp. 240-242. Sulla teoria cosmologica, cfr. C. F. von Weizsäcker, Die Geschichte der Natur, Stuttgart 1948. 155 Cfr. M. Capozzi, La sfera infinita dell’universo nella Naturgeschichte di Kant, in Sphaera. Forma, Immagine e Metafora tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di P. Totaro e L. Valente, Firenze (in corso di stampa).
94
potuto evolvere verso la formazione di una stella, mentre alla periferia si sarebbero
create delle turbolenze secondarie che avrebbero sviluppato vortici e sottovortici
ciascuno dei quali avrebbe successivamente dato vita a pianeti e satelliti.156
L’ipotesi cosmogonica della nebulosa, oggi nota come ipotesi di Kant e Laplace,
ha dunque esercitato notevole influsso nella cosmologia moderna. Spesso citati insieme,
i nomi di Kant e Laplace celano però due diverse assunzioni di partenza.
L’ipotesi formulata da Kant prospettava un universo inizialmente riempito di gas
freddi e dotati di movimenti interni disordinati in cui le regioni di maggiore densità
avrebbero agito da centri di aggregazione formando le stelle.
A distanze diverse, i nuclei più piccoli avrebbero dato origine ai pianeti e ai
satelliti che oggi ruotano nel senso del movimento che si sarebbe originato,
spontaneamente, all’interno della nebulosa.
Questa ipotesi si differenzia da quella di Laplace, che nel 1796 avanzò l’ipotesi
che una nube calda di gas e polvere in via di contrazione fosse dotata, fin dall’inizio, di
regolare movimento di rotazione. Più essa si contraeva e più aumentava la sua velocità.
Questo fenomeno è dovuto alla conservazione del momento angolare.157
La critica più seria al modello di Kant e Laplace, tuttavia, riguarda proprio la
conservazione del momento angolare. I pianeti, i quali rappresentano solo lo 0,13%
della massa di tutto il sistema solare, possiedono invece il 98% del momento angolare
complessivo. In altre parole, se il Sole e i pianeti si fossero formati dalla stessa nube di
156 Il modello di Weizsäcker esposto in Die Geschichte der Natur fu completato e arricchito dall’astronomo statunitense di origine olandese Gerard Pieter Kuiper (1905-1973), il quale osservava che il sistema solare potrebbe essere il risultato di una stella doppia degenerata in cui la seconda massa, anziché condensarsi in una singola stella, si sarebbe sbriciolata in frammenti; a ciò sarebbe seguito un processo di aggregazione che avrebbe portato alla formazione di pianeti e satelliti. Secondo Kuiper, la compagna degenerata del Sole avrebbe formato, in un primo momento, dei protopianeti la cui massa doveva essere molto maggiore di quella posseduta dagli attuali pianeti e solo successivamente, quando questi protopianeti si raffreddarono e si condensarono, si sarebbe verificato un processo di sedimentazione che avrebbe trasferito i materiali più pesanti al centro lasciando quelli più leggeri in superficie. I gas più leggeri (come H e He) che formavano quella che potrebbe essere definita l’atmosfera primordiale dei pianeti in formazione, si dispersero perché la forza di gravità non era sufficiente per trattenerli. Quelli che sarebbero diventati i pianeti si liberarono quindi di una quantità di materia proporzionale alla loro massa. 157 Generalmente si definisce momento angolare (o più precisamente momento della quantità di moto) di un corpo in rotazione (sia esso un pianeta che gira intorno al Sole, o semplicemente una particella di un oggetto qualsiasi in rotazione) il prodotto della massa m di questo corpo per la sua velocità v e per la distanza d dall’asse di rotazione (il momento angolare vale quindi m·v·d). Ebbene, una legge fondamentale della fisica impone che il momento angolare totale di un sistema isolato in rotazione (ad esempio proprio il sistema solare) debba restare costante nel tempo. Pertanto, qualora aumentasse la distanza di un pianeta dal Sole dovrebbe diminuire la sua velocità (la massa non cambia) per compensare l’aumento del primo fattore e viceversa. Questo è esattamente ciò che si verifica per la Terra nel suo moto intorno al Sole. La Terra gira più velocemente quando si trova in perielio, ossia quando è più vicina al Sole e più lentamente quando si trova in afelio, cioè quando è più lontana dal Sole: questa variazione di velocità a distanze diverse dall’asse di rotazione è una conseguenza della conservazione del momento angolare.
95
gas in rotazione il momento angolare della nube dovrebbe essersi ripartito equamente
fra i componenti del sistema stesso e non nel modo che appare. Si è osservato, infatti,
che il Sole, nel quale è concentrata la quasi totalità della massa, gira molto lentamente
intorno al proprio asse. Viceversa i pianeti, che hanno una massa di poco più di un
millesimo della massa del Sole, possiedono quasi il 98% del momento angolare
complessivo. Viene da chiedersi pertanto per quale ragione quasi tutto il momento
angolare sia stato trasferito a quegli esigui anelli di materia che si staccarono dal corpo
centrale, e solo in così piccola misura esso sia rimasto legato al Sole.158
A causa della rotazione sempre più veloce, secondo l’ipotesi di Laplace, la
nebulosa primordiale subì un appiattimento fino al punto che all’equatore la forza
centrifuga superò la forza di gravità che agisce verso il centro: dalla massa centrale si
staccò allora un anello di materia che si portò con sé anche una parte del momento
angolare e da questo anello si formò poi per condensazione un pianeta. Con la perdita di
parte della sua materia la nube rallentò il proprio moto che tuttavia, con il protrarsi del
processo di contrazione, conseguente all’azione gravitazionale che continuava ad
operare su di esso, riprese ad accelerare, raggiungendo nuovamente una velocità tale da
causare l’allontanamento di un secondo anello di materia. L’ipotesi di Laplace si
differenzia da quella di Kant per la nebulosa di partenza e per il modo in cui si sono
formati i pianeti del sistema solare: tutti insieme e quindi coevi, secondo Kant, uno per
volta, per cui quelli esterni sarebbero stati più vecchi di quelli interni, secondo
Laplace.
159
Nella sua opera del 1755, Kant sostiene, infatti, che tutti i pianeti fossero in
origine disciolti in un unico materiale di base riempiente lo spazio, che ancora oggi
occuperebbe il sistema solare:
La formazione dei pianeti in questo sistema, fra tutte quelle possibili, poggia innanzitutto su questa concezione: l’origine delle masse è simultanea all’origine dei pianeti e alla posizione delle orbite; in tal modo si chiariscono subito sia la concordanza, sia le deviazioni rispetto all’estrema precisione di questo sistema. I pianeti si formano da particelle che, all’altezza in cui sono sospese, si muovono esattamente in orbite circolari: quindi le masse da
158 Il fisico svedese Hannes Olaf Alfvén (1908-1995) ha avanzato l’ipotesi che atomi ionizzati possano essere stati catturati dal Sole nel loro viaggio attraverso lo spazio, fino a formare anelli di gas col momento angolare richiesto. Poiché la Galassia contiene numerose nuvole di gas e polveri, non è da escludere l’eventualità che sistemi planetari possano essersi formati raccogliendo questo materiale attorno alle stelle. Se così fosse, potrebbero essere molti i sistemi solari, anche qualora si ammetta che solo una piccola parte dell’enorme quantità di gas presente nella Via Lattea possa essere stata attratta dalle stelle e trasformata in pianeti. 159 Il modello di Laplace si ispirava alla nebulosa di Andromeda che si pensava fosse una nube di polvere e gas in rotazione e non un ammasso di stelle. Per questo motivo la proposta di Laplace prese il nome di “ipotesi della nebulosa”.
96
esse composte seguiranno proprio i medesimi movimenti, sia nel grado che nella direzione. […] Ma quando la formazione della massa di un pianeta è dovuta al materiale di base sottile, disperso in uno spazio celeste molto ampio, la differenza delle distanze dal Sole, e, di conseguenza, quella delle loro velocità non è più trascurabile.160
Questa concezione sembra avere delle ricadute disastrose nell’ambito della
teoria della conoscenza di Kant. Apparentemente, infatti, si crea una contraddizione con
quanto affermato nelle Antinomie della ragione pura, ovvero che è impossibile
conoscere partendo dalla serie del condizionato la condizione ultima nel tempo
dell’origine del Mondo. Questa posizione è attestata già negli anni ’70, come mostra la
seguente Reflexion:
Bewegung der Welt im leeren Raum und die Veränderung des Anfangs der Welt in der leeren Zeit sind leere Vorstellungen, indem sie eine Beziehung auf nichts ausdrücken.161
In realtà, come si nota nel periodo critico e, poi, dalle pagine dell’Opus
postumum, Kant ritorna necessariamente su questo punto, per spiegare la compatibilità
con la sua posizione teoretica e la possibilità stessa di una cosmogonia.
La soluzione di questa contraddizione sta nella doppia considerazione kantiana
del tempo. Per un verso, in relazione alla categoria di causa, esso può essere
determinato come istantaneo, simultaneo o in successione. Ovverosia nel primo caso, il
tempo, rappresentato come quantità intensiva, può essere ipostatizzato nell’istante.
Questo significa che per Kant non è possibile conoscere direttamente con l’osservazione
e l’esperimento il processo di formazione dei pianeti passati, sebbene certamente sia
possibile farlo per quelli futuri, ma è necessario ricorrere a strumenti epistemologici
quali l’analogia e ad una posizione epistemica fondata sulla negazione dello spazio
vuoto. Già nel 1755, del resto, Kant riteneva che l’azione a distanza dell’attrazione
newtoniana non passasse per lo spazio vuoto. Per chiarire questo punto, Kant ricorse,
piuttosto, alle leggi ordinarie della combinazione:
Il principio dei pianeti in formazione non è da rintracciare soltanto nell’attrazione newtoniana. Questa sarebbe troppo debole e lenta per particelle così sottili. È meglio dire che, in questo spazio, la prima formazione avviene per il concorrere di elementi che si uniscono secondo le leggi ordinarie della combinazione, finché quegli agglomerati che ne scaturiscono non diventano grandi abbastanza da consentire alla forza d’attrazione newtoniana di esercitare un’azione a distanza capace di accrescersi.162
160 TH, pp. 85-86. 161 Reflexionen zur Physik und Chemie, KGS XIV, p. 270 (1773-1775). 162 TH, p. 85 nota.
97
Ciò significa che è possibile pensare, senza contraddizione, una formazione
simultanea dei pianeti discendente da un’unica causa, la materia cosmica originaria
(Urstoff), composta di particelle, in grado di combinarsi fra loro, e avente in sé le forze
di attrazione e repulsione. Inoltre questo materiale cosmico deve essere pensato in un
movimento continuo oscillatorio. Di questo parere Kant rimarrà anche nell’Opus
postumum:
Eine Bewegung die dazu geeignet ist von selbst anzufangen muss auch die bewegende Kraft haben sie gleichförmig und immerwährend fortzusetzen denn im widrigen Fall müsste eine Ursache des Aufhörens der Bewegung sein welches ohne entgegen wirkende Kraft nicht denkbar ist. Soll dieser Urstoff der Körperwelt also gleichförmig und unaufhörlich bewegend sein so muss, weil alle uranfängliche aktive Bewegung von einer Agitation durch Anziehung und Abstoßung herrührt dieser sich innerlich selbst bewegende Urstoff als in einer beständig oszillierenden Bewegung begriffen gedacht werden und kann so allein wenn gleich nur mittelbar ein Gegenstand möglicher Erfahrung sein.163
L’importanza capitale di questa concezione della materia e la sua stretta
connessione con la teoria della conoscenza si evince anche dal passo che segue:
Das Denken eines Elementarsystems der bewegenden Kräfte der Materie (cogitatio) geht notwendig vor der Wahrnehmung derselben (perceptio) voraus und ist als subjektives Prinzip der Verbindung dieser Elementartheile derselben in einem Ganzen a priori durch die Vernunft im Subjekt gegeben (Forma dat eße rei). — Das Ganze als Gegenstand möglicher Erfahrung welches also nicht aus der Zusammensetzung des Leeren mit dem Vollen atomistisch und also nicht m e c h a n i s c h sondern muss als Verbindung von äußerlich wechselseitig einander agitierenden Kräften (durch uranfanglich einander durch Anziehung und Abstoßung des im Raume durchgängig und gleichförmig verbreiteten Elementarstoffs als alle Bewegung zuerst anhebend und so ins unendliche gleichmäßig fortsetzend) dynamisch hervor gehen. — Dieser Satz gehört noch zu den metaphysischen Anf. Gr. der N. W. in Beziehung auf das Ganze Einer möglichen Erfahrung; denn Erfahrungen können nur als Theile einer gesamten nach Einem Prinzip vereinigten Erfahrung zusammen gedacht werden.164
Questo significa che 1) il concetto di forza repulsiva ha acquisito sempre
maggior importanza nel sistema cosmologico e nella cosmogonia kantiana, passando
per l’opera del 1786 e la KrV; 2) un presupposto come la doppia trattazione del tempo e,
dunque, di una simultanea formazione dovuta all’azione istantanea dell’attrazione e
della repulsione dei pianeti, fosse concepibile nel quadro di una forte giustificazione
teoretica, che solo la KrV e i MAN potevano offrire; 3) Kant non era affatto estraneo ad
una concezione secondo cui le forze repulsive e quelle attrattive della materia, agenti sul
163 Opus postumum, KGS XXI, p. 561. 164 Opus postumum, KGS XXI, pp. 552-553.
98
piano elementare e microscopico, sarebbero state in grado di modificare lo spazio-
tempo, il movimento e l’organizzazione dei corpi fisici.165
b) Il periodo critico
Nei Principi metafisici della scienza della natura del 1786 Kant annuncia già
dalla Prefazione l’intento di costruire il concetto di materia secondo la linea guida delle
funzioni logiche nei giudizi, così da avere una definizione completa della materia e delle
sue proprietà da un punto di vista metafisico.166
Tuttavia nella Nota generale alla Dinamica si presenta la sfida per la metafisica
della natura di Kant: l’impossibilità di dimostrare la realtà della forza di attrazione e
repulsione, bensì solo la loro possibilità. Al fine di definire la varietà della materia, che
è il compito vero e proprio della fisica, devono essere presupposte forze originarie e
primitive della materia. A questo segue un tentativo di fondazione dinamica della fisica
e il rigetto dell’impenetrabilità assoluta e dello spazio assoluto. In particolare, nella nota
alla Definizione 5 del Teorema 3 nella Dinamica, grazie al concetto di impenetrabilità
relativa o dinamica,
Questa impresa è indicata da Kant come
un desideratum per i fisici e i matematici, perché definirebbe i principi metafisici di cui
essi si servono nella fisica generale. La definizione kantiana della materia è possibile
attraverso il concetto empirico di movimento: l’esperienza che noi facciamo di
fenomeni naturali sono dovute al cambiamento di stato, all’attività e alla trasformazione
della materia che riempie lo spazio in quanto possiede una forza motrice. Questo è il
fondamento teorico kantiano per una possibile fondazione della meccanica sulla
dinamica.
167
Il sillogismo è il seguente:
Kant costruisce un sillogismo per provare l’esistenza della
materia e la sua intima costituzione dinamica.
165 Opus postumum, KGS XXI, p. 301 (Settembre-Ottobre 1798): “Alle Materien die jetzt vest sind, sind vorher geflossen gewesen. Das sieht man an Metallen, Steinen, vegetabilischen Produkten als Holtz Flachs, Hanf, oder animalischen Seide, Fleischfasern Knochen etc. Zum flüssigen Zustande aber ward vorher Wärmestoff erfordert. Also ist alle Materie in welcher Relation die Theile derselben auch unter einander stehen mögen in solche doch immer zuerst durch jenen bewegenden Urstoff gesetzt worden”. Processo spiegato ancora meglio in Opus postumum, KGS XXI, p. 501.
- Maior
166 Come sottolineato nella prima sezione, il metodo per la costituzione metafisica di cui Kant si serve parte dall’assunzione di un concetto empirico (come quello di movimento o di materia) e poi procede a priori nel determinare il concetto dell’oggetto che non può essere esibito a priori nell’intuizione. 167 Cfr. MAN, KGS IV, p. 502.
99
Il concetto di sostanza designa il soggetto ultimo dell’esistenza.
Ora, la materia è il soggetto di tutto ciò che nello spazio può essere attribuito
all’esistenza delle cose.
- Minor
La materia, dunque, in quanto mobile nello spazio, costituisce in esso la
sostanza.
- Conclusio
La conclusione di Kant implica che “la mobilità propria della materia, o di una
sua parte qualsiasi, costituisce immediatamente una prova che questo mobile, e una
qualunque parte mobile di esso, sono sostanze”.168
Si presenta, dunque, agli occhi di Kant, la necessità di fondare una cosmogonia e
una cosmologia meccanica sulla spiegazione dinamica della materia, come
intrinsecamente mobile e dotata di forze. A questo punto, però, è necessario porre
l’accento sul fatto che l’intrinseca necessità di forze inerenti alla materia, come
attrazione e repulsione, non viene provata direttamente. Per Kant, non è possibile avere
un’esperienza o una conoscenza diretta della materia, ma solo una indiretta, ovvero si
può solamente misurare e fare esperienza degli effetti delle forze e del movimento dei
corpi fisici. Per questa ragione, rimane la possibilità di una prova apagogica della forza
attrattiva e di quella repulsiva, attraverso la negazione dello spazio assoluto e della
visione atomistica della materia.
169
Per gettare luce su questo punto, si deve tenere presente che nella Nota generale
alla Dinamica Kant accosta la trattazione meccanica del movimento con quella
geometrica. Nel rappresentare un corpo che si muove da A a B ci si rappresenta il
movimento di un punto matematico, piuttosto che di un corpo fisico. Questo approccio
pone l’esigenza di una fondazione dinamica della considerazione meccanica della
materia, grazie al punto di vista della Fenomenologia. Questo approccio, cioè, propone
quello che secondo Kant è il più alto scopo della scienza della natura:
168 Cfr. MAN, KGS IV, p. 503. 169 Proprio la presupposizione dell’esistenza dell’etere come medium per la propagazione della luce e del calore permise a Kant di legare i fenomeni dell’elettricità e del magnetismo all’attrazione. Nel contesto della trattazione dell’elettricità e del magnetismo Kant parla di spazio vuoto e azione a distanza, ma intendendo sempre la presenza dell’etere con un riempimento dello spazio che tende a zero.
100
Ora per quanto riguarda il procedimento che la scienza della natura deve adottare per risolvere il più importante dei suoi compiti, quello cioè di spiegare la diversità specifica delle materie, che potrebbe essere infinita, si possono seguire solo due vie: il metodo meccanico, che spiega ogni diversità delle materie mediante la combinazione del pieno e del vuoto assoluti, e il metodo dinamico, ad esso opposto, che la spiega mediante la sola diversità nell’azione congiunta delle forze originarie dell’attrazione e della repulsione.170
Ma che tipo di conseguenze ha questo approccio sulla concezione della materia e
dell’universo in espansione? Sia nella Nota generale alla Dinamica che nella
Fenomenologia, Kant propone la tesi di un plenum materiale e l’impossibilità dello
spazio vuoto. Questa concezione è lontana dall’azione a distanza newtoniana nello
spazio vuoto, ma richiama la visione del Newton legato all’idea dell’etere nell’Ottica e
nella seconda edizione dei Principia.171
Quindi Kant è un sostenitore della gravitazione universale come forza generata
dalla forza attrattiva primitiva della materia e che agisce per contatto in uno spazio
riempito dall’etere. Quest’ultimo possiede secondo Kant il più alto grado di intensità di
forza repulsiva, il maximum di rarefazione e di elasticità. Questa concezione permette
un modo di spiegazione meccanico di alcuni fenomeni e il calcolo dei moti orbitali dei
pianeti, in quanto la densità dell’etere non è solo la minore in tutto l’universo, ma tende
a zero. In altri termini, la quantità di movimento dell’etere e la sua densità possono
essere considerati come una grandezza infinitesimale attraverso il calcolo differenziale.
Perciò nei Principi metafisici della scienza della natura Kant propone l’ipotesi
dell’etere e il suo uso, per giustificare l’espansione dell’universo e la critica al concetto
di spazio assoluto e di assoluta impenetrabilità.
Nella Dinamica sulla base del Teorema 3, Kant afferma che la forza originaria
con cui una materia tende ad espandersi in tutte le direzioni, al di là del dato spazio che
occupa, se viene racchiusa in uno spazio minore deve essere maggiore e, se viene
compressa in uno spazio infinitamente piccolo, deve essere infinita.172 Proprio in questa
sezione, inoltre, Kant ritiene possibile postulare una forza elastica della materia, cioè
una forza espansiva esercitata da ogni punto materiale in ogni direzione,173
La confutazione di Kant della filosofia della natura corpuscolare e della
spiegazione meccanica della varietà della materia procede nel mostrarne il dogmatismo
in grado di
definirne una forma specifica, quella della sfera.
170 MAN, KGS IV, p. 532. 171 Sulla preponderanza degli studi in Germania, e in particolare all’Albertina, all’epoca della formazione di Kant, cfr. R. Pozzo, M. Oberhausen, The Place of Science in Kant’s University, in History of Science , 40, 2002, pp. 353-68. 172 MAN, KGS IV, p. 501. 173 MAN, KGS IV, pp. 501-502.
101
di presupporre come necessità inevitabile lo spazio vuoto per spiegare le differenze
specifiche di densità della materia.174
Perciò Kant rifiuta il postulato del modo meccanico di spiegazione, avanzando
una prospettiva che spieghi le differenze specifiche di densità della materia senza
interposizione di spazi vuoti.
175
Dal momento che non ha nulla in comune, ma è anzi opposta alla forza
attrattiva, che dipende dalla quantità di materia, la forza repulsiva può essere
originariamente differente per grado in diversi materiali, la cui forza attrattiva è però la
stessa. Pertanto il grado di espansione di questi materiali, anche quando la loro quantità
sia la stessa, e la quantità della materia occupi lo stesso volume, cioè abbia la stessa
densità, è in grado di ammettere un gran numero di differenze specifiche:
La possibilità di questa soluzione risiede nel fatto che la
materia non deve essere concepita come ciò che riempie lo spazio grazie ad una assoluta
impenetrabilità, ma piuttosto grazie alla forza repulsiva che ha un grado che può essere
differente in differenti materiali.
Allo stesso modo non sembrerebbe impossibile pensare una materia (come ci si rappresenta l’etere) che riempia lo spazio senza alcun vuoto e tuttavia con una quantità di materia che a parità di volume sia incomparabilmente minore di quella di ogni altro corpo che si possa sottoporre ai nostri esperimenti.176
Sebbene possano essere ammessi spazi vuoti nella loro possibilità, nessuna
esperienza può giustificare l’assunzione della realtà di spazi vuoti. Così Kant conclude
la sua argomentazione:
Ogni esperienza, infatti, ci fa conoscere soltanto spazi relativamente vuoti, e questi si possono perfettamente spiegare, quale che sia il loro grado, grazie alla proprietà che ha la materia di riempire lo spazio con una forza espansiva che può crescere o diminuire all’infinito, senza bisogno di ammettere spazi vuoti.177
Questa conclusione comporta una domanda più generale sull’universo preso
come un tutto e sulla sua forza espansiva. Cosa succede quando si considera il
movimento della materia cosmica come un tutto e la relazione tra le sue parti? Per
rispondere a questa domanda e sostenere una visione di un universo in espansione, Kant
si serve ancora di prove apagogiche attraverso la negazione della realtà dello spazio
vuoto, svelando la natura dogmatica di tale concetto.
174 MAN, KGS IV, p. 533. 175 MAN, KGS IV, p. 533. 176 MAN, KGS IV, p. 533. 177 MAN, KGS IV, pp. 534-535.
102
Nella Fenomenologia Kant afferma che “ai diversi concetti del movimento e
delle forze motrici sono collegati anche i diversi concetti dello spazio vuoto”,178
Per provare la loro impossibilità, infatti, Kant ricorre ad un altro tipo di
argomento, laddove viene avanzata la possibilità di un vacuum extramundanum, cioè di
uno spazio vuoto fuori dalla materia cosmica, progressivamente riempito dall’etere.
Kant rigetta fermamente questa possibilità, negando l’esistenza e la realtà sia di un
vacuum mundanum che di uno extramundanum.
perciò
ci sono quattro sensi in cui il concetto di spazio vuoto può essere inteso e questi quattro
sensi corrispondono a quello foronomico, dinamico, meccanico e fenomenologico. In
questa sezione Kant conferma l’impossibilità di negare gli spazi vuoti nell’universo
attraverso il mero principio logico di non contraddizione.
Questa visione implica che l’universo sia un tutto di materia in espansione,
sebbene la sua forza espansiva possa tendere a diminuire infinitamente.179
Per questa
ragione la realtà di uno spazio vuoto fuori dal mondo è impossibile da un punto di vista
fisico:
Uno spazio vuoto fuori del mondo – se con mondo si intende il complesso di tutte le materie attrattive per eccellenza (dei grandi corpi celesti) – sarebbe impossibile per le stesse ragioni: infatti, nella misura in cui cresce la distanza da questi corpi, decresce in proporzione inversa l’attrazione da essi esercitata sull’etere (che racchiude tutti quei corpi e, venendone attratto, ne mantiene la densità comprimendoli), per cui la densità di quest’ultimo non farebbe che diminuire all’infinito, senza mai lasciare lo spazio del tutto vuoto.180
Come lo stesso Kant ammette, la confutazione dello spazio vuoto procede
ipoteticamente, in quanto non vi sono ragioni sufficienti per sostenere la realtà dello
spazio vuoto e l’impossibilità dello spazio pieno.
Ma questa difficoltà riposa in generale su una specifica questione, assai ardua da
risolvere, circa la natura di una forza espansiva elastica inerente alla materia cosmica, su
cui Kant lavorerà nell’ultima fase della sua produzione:
Per quanto riguarda infine lo spazio vuoto in senso meccanico, esso è il vuoto che si concentra all’interno dell’universo in modo da permettere ai corpi di muoversi liberamente. Si vede subito che la sua possibilità o impossibilità non si basa su leggi metafisiche, ma sul vero e proprio mistero naturale, difficilmente risolubile, del modo in cui la material pone dei limiti alla sua propria forza espansiva. Ciononostante, se si concede quanto è stato detto nella Nota generale alla Dinamica, a proposito del fatto che l’estensione di materiali specificamente diversi, dotati di una stessa quantità di materia (secondo il peso), può crescere all’infinito,
178 MAN, KGS IV, p. 563. 179 Da questo punto di vista Kant concepisce un universo elastico, in grado di espandersi e contrarsi. 180 MAN, KGS IV, p. 564.
103
potrebbe allora non essere necessario uno spazio vuoto, come condizione del movimento libero e durevole dei corpi celesti, perché la resistenza del mezzo, anche nel caso di uno spazio del tutto pieno, potrebbe essere pensata arbitrariamente piccola.181
Da questo passo risulta chiaro che Kant assegna un valore infinitesimale al
calcolo della quantità di moto con l’introduzione dell’etere, per poter pensare la
resistenza in un grado piccolo quanto si vuole e, dunque, per pensare lo spazio come
riempito di materia attraverso le sue forze motrici che possono essere così misurate.
L’etere si presenta, quindi, come un postulato che permette l’applicazione della
matematica, quella leibniziana, alla fisica, sebbene resti ancora da provarne l’intrinseca
forza espansiva.
c) L’ultima produzione
Si tratta ora di vedere come Kant mantenga le premesse introdotte nella sua
produzione precedente anche nei manoscritti dell’Opus postumum, sviluppando questa
visione dell’universo in espansione. L’assunzione dell’etere diffuso in tutto l’universo
come materia onnipenetrante e semovente è necessaria per l’identificazione di una base
(Basis) delle forze di attrazione e repulsione che, a loro volta, sono l’origine delle forze
motrici della materia. Da queste ultime si originano fenomeni naturali legati al
magnetismo, alla cristallizzazione o alla refrazione.
La grande questione che Kant lasciò aperta nel 1786 consisteva nel dare un
fondamento in termini dinamici alla coesione (Zusammenhang). Vi era, infatti, un
insieme di fenomeni che mostravano differenti livelli di coesione che potevano essere
spiegati solo con l’identificazione di un fondamento della coesione in una forza
fondamentale inerente alla materia come la forza attrattiva.
Da un punto di vista metafisico ancora nel 1786 Kant è molto vicino a Leibniz,
laddove ritiene possibile dare una spiegazione della coesione attraverso l’assunzione di
una forza primitiva che la generi. Questa forza non è dipendente dall’esistenza di
particelle dure, piuttosto i corpi e altre forze di impatto sono il risultato dell’esistenza di
questa forza primitiva.
Per Kant la coesione si basa sull’attrazione parziale, mentre la gravitazione
newtoniana si basa sulla forza attrattiva universale. Al contrario l’impenetrabilità e la
181 MAN, KGS IV, p. 564.
104
resistenza dipendono dalla forza repulsiva che può agire come forza di superficie, per
contatto.
Si presenta così nelle pagine manoscritte dell’Opus postumum una visione delle
forze di attrazione e repulsione inerenti all’etere, come materia cosmica, nella misura in
cui esse sono concepite come forze supreme che governano la struttura dell’universo.
Tuttavia, la repulsione è la forza in grado di determinare differenti gradi di
riempimento dello spazio e dunque differenti gradi di densità e composizione dei
materiali. In questo modo Kant vuole spiegare la coesione della materia ponderabile, la
varietà dell’aggregazione, il fenomeno della capillarità e la stessa gravitazione,
attraverso il postulato dell’etere le cui modificazioni sono la luce e il calore.182
Questa visione implica una concezione dinamica della materia che sottolinea una
presa di distanza dalla visione atomistica della materia, specialmente riguardo alla
spiegazione dell’impenetrabilità, dell’elasticità, della variazione sia della densità sia
della massa, e, infine, della coesione.
Considerando che la forza repulsiva originaria e interna alla materia, è il cuore
dell’argomento kantiano, è possibile sintetizzare la sua visione dinamica della materia
nel passaggio che segue:
Man kann eine im Innern einer Materie bloß durch innere repulsive Kräfte (die also
durch eine äußere begrenzt werden muss) weder flüssig noch fest nennen denn zu beiden wird Zusammenhang erfordert dadurch sich die Materie von sich selbst begrenzt (ein tropfbar flüssiges), sondern sie kann nur eine Materie sein welche ins Unendliche des Raumes expansiv ist aber auch durch eben diese Unendlichkeit allein attraktiv und dadurch ein sich selbst begrenzendes Quantum ist d. i. den Äther als die Basis aller den Weltraum erfüllenden Materie dessen innere von dem ersten stoß in ewige Zitterungen gesetzte Bewegung eine lebendige Kraft (nicht tote durch den Druck) ist, ausmacht.183
L’eco di Leibniz è fortissima e la sua influenza sulla concezione kantiana della
materia e della forza permette anche di chiarire questa visione cosmogonica determinata
da un primo movimento dell’universo che segue le leggi dell’impatto.
Questo primo movimento è l’effetto dell’impatto tra porzioni di materia che a
sua volta è generato dall’interazione di attrazione e repulsione. Sebbene sia evidente il
182 Alcuni interpretazioni tendono a vedere qui una ripresa della concezione della sostanza di Spinoza, autore molto citato nei fogli manoscritti. Il rapporto tra le modificazioni e la sostanza materiale sarebbe accostato da Kant a quello che intercorre tra la sostanza e le sue modificazioni nella filosofia di Spinoza. Cfr. J. Edwards, Spinozism, Freedom, and Transcendental Dynamics in Kant’s Final System of Transcendental Idealism, in S. Sedgwick (ed.), The Reception of Kant’s Critical Philosophy, Cambridge 2000, pp. 54-77; P. Guyer, The Unity of Nature and Freedom:Kant’s Conception of the System of Philosophy, Oxford 2005. Guyer è contrario all’ipotesi, in quanto i riferimenti in cui Kant cita Spinoza segnalano una presa di distanza e non un accordo, pp. 278-279. 183 Opus postumum, KGS XXI, p. 380.
105
richiamo all’opera del 1755, si deve sottolineare come Kant abbia sviluppato la sua
concezione della materia e l’aspetto dell’ineludibile compresenza delle forze di
attrazione e repulsione, grazie a cui la materia può essere considerata come un quanto
(Quantum) auto-limitante, ma anche come materia espansiva all’infinito.
Dunque, per fornire una spiegazione meccanica e una stima matematica della
materia, è ancor prima necessaria una sua trattazione dinamica, che assuma l’esistenza
della materia cosmica come mobile nello spazio indefinitamente e in continua
espansione, così da poter determinare il moto relativo delle galassie o dei pianeti del
sistema solare. Grazie a questa analisi e a quella svolta nel capitolo precedente sulla
natura dello spazio e del tempo, si è ora in grado di comprendere le premesse della
prova dell’esistenza dell’etere, di cui si tratta estesamente nel Capitolo V.
E’ evidente che l’argomentazione kantiana doveva poggiare su un presupposto
unico nel suo genere e che caratterizzava anche l’unicità della prova stessa: la visione
dinamica della materia e il sistema delle sue forze motrici erano la strada che poteva
condurre alla possibilità di concepire l’universo come un tutto per completare un
Sistema del Mondo (Weltsystem).
La concezione kantiana della materia, non solo si lega con una visione di un
universo in espansione, ma anche con la questione epistemologica sollevata dalla Kritik
der Urtheilskraft sullo statuto dei corpi organici nel campo dell’indagine scientifica.184
La prospettiva kantiana di unificare principi della possibilità dell’esperienza in
un sistema del mondo arriva nell’ultima fase a rispecchiarsi nella costituzione di un
sistema delle forze motrici della materia.
Attraverso questo sistema, Kant voleva permettere alla fisica di diventare una
scienza compiuta e di colmare lo iato tra metafisica e fisica. Il gap che l’Übergang
voleva colmare risiedeva nella spiegazione del nesso reale e causale tra la forza, che è
un concetto metafisico, e i corpi fisici reali, che mostrano anche una finalità interna.
La stima matematica delle forze e la sua applicazione ai fenomeni naturali sono
possibili solo attraverso la spiegazione di questo passaggio e allo stesso tempo
garantiscono la certezza e la necessità per il giudicare determinante.185
Il progetto dell’Übergang passa, dunque, attraverso la fondazione del giudizio
riflettente e su una rivisitazione dell’ontologia critica in chiave epistemologica, ovvero,
su un arricchimento della nozione di realtà che include come cose di fatto i prodotti
184 Cfr. infra, Capitolo III. 185 Cfr. infra, Capitolo IV.
106
della costruzione matematica. Per questo il prossimo capitolo si occuperà di questi
argomenti salienti dell’opera del 1790.
PARTE II EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA:
LA SCIENZA DELLA NATURA NEGLI ANNI ‘90
108
CAPITOLO III
LA PROSPETTIVA EPISTEMOLOGICA APERTA DALLA
CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO
Premessa
Il quadro epistemologico entro il quale si inserisce la costituzione del Sistema
del Mondo del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica
è quello aperto dalla Critica della facoltà di giudizio. Questa parte della ricerca ha la
funzione di esaminare alcuni elementi fondamentali per la comprensione del
problema che Kant si pose, ovvero il problema epistemologico della totalità in
natura, del suo statuto ontologico, da un lato, e della possibile comprensione di essa,
dall’altro. Se la Critica della ragione pura ha posto un limite alla possibilità di
conoscere il mondo nella totalità della serie dei fenomeni, la Critica della facoltà di
giudizio ha imposto la necessità di pensare processi organici come parte di un
sistema della natura. Quest’ultimo, inteso come totalità, fa sorgere l’esigenza di dare
conto della possibile interazione tra il giudicare secondo un nexus effectivus e quello
secondo un nexus finalis. Si dischiude, così, a) l’orizzonte epistemologico della
capacità del giudizio riflettente e del ricorso al concetto di tecnica della natura; b)
una posizione che presuppone un certo accordo tra ragione e natura; c)
l’armonizzarsi delle facoltà, secondo un principio soggettivo, ma necessario, quello
della conformità interna a scopi della natura.
109
A questo orizzonte si contrappone la mancanza sul piano ontologico di un
principio unitario e sistematico della natura, concepita come serie di processi fisici e
organici. Quello che resta poco discusso, se non lasciato da parte, nella terza Critica,
è proprio il problema dell’individuazione di un corrispettivo materiale che garantisca
la continuità e, dunque, la reciproca dipendenza delle parti di una totalità: quello che
manca ancora, nel 1790, è una prova dell’esistenza della materia cosmica.
Come si è mostrato nella sezione precedente, i Principi metafisici della
scienza della natura del 1786 avevano presentato una cosmologia basata sull’idea di
un tutto materiale in espansione, ma rappresentavano anche la spina nel fianco per la
fondazione della scienza della natura secondo la prospettiva trascendentale: le forze
di attrazione e repulsione erano presupposti metafisici che non potevano essere
provati direttamente nella loro necessità, ma solo attraverso la negazione della loro
impossibilità. Questa sezione ha, dunque, lo scopo di mostrare come gradualmente
Kant abbia avanzato l’esigenza di pronunciarsi sulla fondazione metafisica e
ontologica delle forze originarie della materia, fino ad elaborare una prova
dell’esistenza dell’etere.
L’analisi, dunque, parte dalla prospettiva epistemologica aperta dalla Critica
della facoltà di giudizio, tenendo presenti le interpretazioni di P. Kitcher e M.
Friedman, per tracciare il rapporto, seppur negativo e di pietra di paragone, che la
teleologia kantiana intrattiene con la scienza della natura. In secondo luogo, è
necessario chiarire in che modo Kant abbia voluto risolvere sul piano epistemologico
la compresenza del giudicare riflettente e determinante attraverso il concetto di
tecnica della natura. Il capitolo termina con l’indagine della trattazione della materia
e della forza nella terza Critica e apre alla sezione successiva dedicata agli scritti
tardi e all’Opus postumum.
3.1 La prospettiva epistemologica
La centralità della fondazione della Naturwissenschaft emersa nella Critica della
ragione pura e nei Principi metafisici della scienza della natura ritorna nella terza
Critica. In quest’opera Kant mette in luce il ruolo di pietra di paragone della telelologia
per la scienza teoretica della natura:
La teleologia come scienza non appartiene dunque ad alcuna dottrina, ma solo alla
critica, e precisamente alla critica di una speciale facoltà conoscitiva, cioè della facoltà di
110
giudizio. Ma in quanto contiene principi a priori, essa può e deve addurre il metodo in base al quale si deve giudicare della natura secondo il principio delle cause finali, e così la dottrina del metodo ha almeno un influsso negativo sul procedimento della scienza teoretica della natura, nonché sul rapporto che questa, in quanto propedeutica, può avere nella metafisica con la teologia.1
La classificazione della teleologia come scienza limita la scienza della natura
teoretica (Theoretische Naturwissenschaft). Allo stesso tempo il metodo del giudicare la
natura secondo scopi appartiene alla descrizione della natura (Naturbeschreibung) e
fornisce un filo conduttore per l’attività del naturalista. Tenendo presente la Critica
della facoltà di giudizio, si mostra come non possa darsi “una via dall'alto” e “una via
dal basso” nel giudicare la natura, indipendentemente dal problema della costituzione
sistematica della scienza della natura. Da un punto di vista epistemologico, infatti, si
determina un ruolo di primo piano del principio della conformità a scopi della natura
(Zweckmässigket) per la pratica scientifica, per l’ampliamento della conoscenza e per lo
sviluppo della dottrina della natura come sistema.
Nella misura in cui il principio teleologico soggettivo e universale della
conformità a scopi si presenta come la pietra di paragone per la scienza della natura
teoretica, esso viene assunto come criterio per la determinazione dei limiti del dominio
di questa. La facoltà di giudizio si deve esercitare, secondo Kant, nella prassi scientifica,
nel continuo confronto con ciò che l’esperienza fornisce per la Naturbeschreibung,
procurando un principio adeguato 1) all’orientamento dell'attività dello scienziato di
fronte alla contingenza dei fenomeni naturali, 2) all’ordinamento delle diverse leggi
empiriche sotto principi della ragione, 3) all'uso di strumenti epistemologici necessari
per l’ampliamento delle conoscenze e per la ricerca di una possibile coesistenza fra il
nexus effectivus e il nexus finalis riscontrati nei nostri giudizi sulla natura.
Tutti gli strumenti metodologici, come l’analogia, l’induzione e l’ipotesi, che
Kant considera indispensabili per la Naturbeschreibung, sono tali perché vi è un
principio a priori, quello della conformità della natura a scopi, che funge da pietra di
paragone per il loro uso nel giudicare:
Questa analogia delle forme, in quanto, al di là di ogni diversità, sembrano essere
generate conformemente ad un archetipo comune, rafforza la congettura di una loro affinità reale nella generazione da una comune madre originaria mediante il graduale avvicinamento di una specie animale all'altra, a partire da quelle in cui il principio degli scopi sembra essersi maggiormente affermato, cioè dall'uomo fino al polipo, da questo addirittura fino ai muschi ei licheni, e infine ai gradi più bassi della natura da noi apprezzabili, fino alla materia bruta, da cui e dalle cui forze sembra discendere, secondo leggi meccaniche (come quelle secondo le quali la
1 KdU, KGS V, p. 417.
111
natura agisce nelle generazioni cristalline), l'intera tecnica della natura, che è per noi così incomprensibile negli esseri organizzati che ci crediamo obbligati a pensare per essi a un principio diverso.2
Considerando questo passo ci sono diverse questioni che si presentano, alcune
delle quali meritano particolare attenzione prima di svolgerne altre di natura puramente
epistemologica. In primo luogo, si osservi come Kant traduca nel contesto dell’indagine
naturale la legge di continuità specificazione e affinità, che sono principi regolativi della
ragione pura per l’unità sistematica. Essi assumono il carattere di congettura
nell’esercizio della ricerca e svolgono una funzione orientativa, permettendo di
rinvenire un loro corrispettivo reale: la varietà delle specie, l’affinità tra le forme di
esse, la loro comune generazione. In secondo luogo, si noti il riferimento che Kant fa
alle forze della materia che saranno prese in esame nel Passaggio dai principi metafisici
della scienza della natura alla fisica. Non è un caso, infatti, che Kant abbia inserito nel
sistema elementare delle forze motrici della materia anche quelle organiche. Questo è
uno degli influssi fondamentali della Critica della facoltà di giudizio sull’ultima fase
della produzione kantiana.
Dare conto, secondo principi costitutivi e a priori, anche delle forze che
agiscono nei corpi organici, in quanto corpi materiali, diviene un obiettivo necessario
nell’Opus postumum. Da tali forze discende ciò che Kant chiama tecnica della natura,
vale a dire l’unità dell’auto-produzione, interna alla natura, di varietà di forme viventi e
vegetali. Questo concetto, che gioca un ruolo importante nella terza Critica, permetterà
a Kant di prendere in esame nell'Opus postumum anche il fondamento della generazione
naturale, che richiede alla base una materia, individuata nell’etere, e una particolare
forma di organizzazione e di relazione tra le parti della materia.
La Critica della facoltà di giudizio rappresenta un punto di svolta nel sistema
kantiano, oltre ad essere una delle fonti più ricche per individuare le questioni
epistemologiche con cui Kant si è misurato.3 Uno studio sul ruolo dell’induzione, come
quello condotto da P. Kitcher nella KdU può fornire un primo spunto per l’ulteriore
analisi che in questo paragrafo si vuole sviluppare. Kitcher in Unity of Science and the
Unity of Nature4
2 KdU, KGS V, pp. 418-19.
ha restituito un'immagine della Critica della facoltà di giudizio come
un’opera che porta con sé lo sviluppo degli elementi metodologici del sistema kantiano.
Il limite riscontrato da Kitcher nelle interpretazioni più diffuse del kantismo risiede
3 Cfr. E. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla Critica del Giudizio, Roma 1976. 4 P. Kitcher, Unity of Science and the Unity of Nature, in Kant and Contemporary Epistemology, a cura di P. Parrini Dordrecht 1994, pp. 253–272.
112
nell’aver enfatizzato il carattere dell’a priori, nell’aver scelto, cioè, di prediligere “la via
dall’alto” per la costituzione sistematica della scienza della natura. Il Kant che Kitcher
vuole far emergere, o meglio, gli elementi del sistema kantiano che occupano il suo
studio, si identificano con una “via dal basso” che tiene conto della centralità
dell’empirico, piuttosto che dell’a priori:
These last remarks are highly speculative and incomplete. Nevertheless, they might
provide some motivation for thinking that Kant's ideas about scientific inquiry are not entirely irrelevant to contemporary concerns about law, explanation, inference, and the growth of knowledge. In his route from below, I find, in embryo, an attractive way of responding to some of our current epistemological problems about science. [...] Yet, for all the interest of his complex and ingenious derivations, I wonder whether our focus on the aprioristic Kant has not blinded us to some of his most pertinent insights.5
Kitcher prende in esame una conseguenza dell’induzione, quello della
generalizzazione e la sua approssimazione all’universalità (“approximate to
universality”) come congettura che nel tempo può essere adottata e garantire il
permanere di uno schema della nostra sistematizzazione.6 Secondo Kitcher, infatti,
“[…] we encounter Kant's acknowledgment source of contingency. However, if we
presuppose the principle of purposiveness, then currently adopted explanatory
dependences will be approximations to those that would emerge in the limit of
inquiry”.7
Le inferenze della facoltà di giudizio sono definite, dal punto di vista logico,
come mediate e sono guidate da un principio, che come si vedrà, gioca un ruolo
fondamentale nella definizione del rapporto tra la costituzione delle nostre facoltà
umane e quelle di un intelletto archetipo. In base a tale rapporto, infatti, Kant
giustificherà l’intero impianto della Critica della facoltà teleologica del giudizio.
L'aspetto asintotico dell’esperienza, che gioca un ruolo fondamentale
nell’Opus postumum, come del resto in tutto il sistema kantiano, è legato a parte
posteriori alla costituzione di fronte alla contingenza di un’universalità (Allgemeinheit)
come generalità, piuttosto che alla costituzione dell’universalità logica. Tale generalità è
raggiunta attraverso l’induzione, ma il processo della generalizzazione e la ricognizione
di leggi empiriche è suscettibile di un orientamento a fini da parte della ragione.
Il principio che soggiace alle inferenze in questione è il seguente:
5 Kitcher (1994), p. 268. 6 Kitcher (1994), p. 268. 7 Kitcher, (1994), p. 268.
113
Sind die Schlüsse der Urteilskraft unmittelbare Schlüsse? Nein, es liegt ihnen ein Prinzip der Urtheilskraft zum Grunde: dass nämlich vieles nicht ohne Gemeinschaftlichen Grund in einem Zusammenstimmen werde, dass also das, was ihm so zukommt, aus einem gemeinschaftlichen Grunde werde notwendig sein. (-- Analogie, Induktion).8
Questo principio, secondo cui ogni molteplicità empirica, se ricondotta ad unità,
deve avere a fondamento un principio generale e comune, soggiace all’analogia e
all’induzione, ovverosia al metodo empirico per eccellenza.
Kant ha, quindi, concesso uno statuto autonomo al metodo che procede
dall’empirico, ma tale autonomia trova una garanzia nell’unità sistematica della ragione.
La tesi di M. Friedman secondo cui una “via dall’alto” non può essere separata da una
“via dal basso”, e viceversa, è stata parzialmente criticata da Kitcher, che invece
sostiene una netta separazione della “via dal basso” nella metodologia scientifica, al fine
di stabilire un “dialogo” tra la filosofia kantiana e i problemi epistemologici
contemporanei.
La posizione di Kitcher, che per certi versi è complementare a quella di
Friedman, sebbene spesso i due siano posti in antitesi, non mostra un punto
fondamentale: la spiegazione dei fenomeni naturali, per Kant, non può prescindere da
principi a priori. La nostra conoscenza, fosse anche il prodotto dell’osservazione o
dell’induzione, è comunque condotta sulla base di principi a priori, a cui Kant
attribuisce diverse funzioni (principi regolativi o costitutivi), ma che di fatto sono
necessari perché si dia la materia per una forma di sistematizzazione, anche di carattere
provvisorio.
L'assetto sistematico della terza Critica non lascia dubbio sul fatto che il
giudicare secondo conformità a scopi della natura ci presenta come problema per la
scienza naturale il dare conto di un “contingente necessario”, su cui si giudica
provvisoriamente, ma con una pretesa di certezza e oggettività. Kant è, però, molto
chiaro circa lo statuto dell’induzione che produce proposizioni generali, ma non
necessarie. La certezza di tali proposizioni è empirica e, dunque, non è in grado di
fondare la scienza della natura pura, ma senz’altro è in grado di ampliare la scienza
della natura applicata.
La concezione del giudicare provvisorio, legato profondamente all’induzione e
all’analogia, è un punto teorico fondamentale su cui Kant prende posizione, seguendo le
orme di Bacone. La ricerca scientifica non potrebbe avanzare senza quelli che Kant
chiama giudizi previi e che include nella sua dottrina logica, assegnando ad essi un
8 I. Kant, Reflexion 3200, KGS XVI, p. 709.
114
valore e una dignità conoscitiva che, agli occhi di Kant, la logica tradizionale wolffiana
avrebbe negato:
Um etwas zu entdecken (was entweder in uns selbst oder anderwärts verborgen liegt), dazu gehört in vielen Fällen ein besonderes Talent, Bescheid zu wissen, wie man gut suchen soll: eine Naturgabe vorläufig zu urteilen ( iudicii praevii ), wo die Wahrheit wohl möchte zu finden sein; den Dingen auf die Spur zu kommen und die kleinsten Anlässe der Verwandtschaft zu benutzen, um das Gesuchte zu entdecken oder zu erfinden. Die Logik der Schulen lehrt uns nichts hierüber. Aber ein Baco von Verulam gab ein glänzendes Beispiel an seinem Organon von der Methode, wie durch Experimente die verborgene Beschaffenheit der Naturdinge könne aufgedeckt werden. Aber selbst dieses Beispiel reicht nicht zu, eine Belehrung nach bestimmten Regeln zu geben, wie man mit Glück suchen solle, denn man muss immer hierbei etwas zuerst voraussetzen (von einer Hypothese anfangen), von da man seinen Gang antreten will, und das muss nach Prinzipien gewissen Anzeigen zu Folge haben, und daran liegt eben, wie man diese auswittern soll.9
Dal punto di vista epistemologico, la terza Critica apre la prospettiva di uno iato
tra a priori ed empirico e di una loro possibile conciliazione all’interno della
Naturwissenschaft. Questo problema fondamentale è la cornice entro cui si inseriscono i
seguenti aspetti epistemologici, di cui Kant tiene conto nella fase matura del suo
pensiero:
1. In prima battuta la prassi dell’indagine scientifica procede attraverso
inferenze induttive. L’induzione ricopre un ruolo fondamentale per la scoperta e,
dunque, per l’avanzamento e l’ampliamento della nostra conoscenza della natura.
L’inquadramento di una Urtheilskraft in un suo dominio e il rinvenimento di un suo
principio trovano nel sistema kantiano una loro controparte nell’ambito della logica. Le
inferenze della facoltà di giudizio, l’induzione e l’analogia, ricoprono un ruolo centrale
anche nella produzione logica di Kant. La loro classificazione rompe, infatti, con tutta la
tradizione logica precedente. Queste inferenze non sono sillogismi, hanno un Grund del
tutto differente dalle inferenze proprie della ragione e sono definite da Kant come
“presunzioni” logiche, che danno vita a proposizioni, piuttosto che a giudizi. Sia
l’induzione che l’analogia seguono un proprio principio:
L’induzione, dunque, inferisce dal particolare all’universale (a particulari ad universale) secondo il principio della generalizzazione: ciò che conviene a molte cose di un genere, conviene anche alle rimanenti.10
Per l’analogia le cose stanno in modo diverso:
9 I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, KGS VII, p. 223.
10 Logik Jäsche, p. 154.
115
L'analogia inferisce dalla parziale alla totale somiglianza di due cose secondo il principio della specificazione: cose di un genere, delle quali si sa che concordano su molto, concordano anche nel rimanente, ossia quello che noi conosciamo in alcune cose di questo genere, ma non percepiamo in altre.11
La Gewissheit delle inferenze della facoltà di giudizio ha uno statuto
completamente differente da quello dei giudizi sintetici a priori dei Principi
dell’intelletto puro: tale certezza è, infatti, empirica. Questo elemento ha delle ricadute
notevoli sul modo di procedere nell’indagine naturale. In primo luogo, Kant sottolinea
anche nella Critica della ragione pura come l’induzione sia lo strumento che può
condurre proposizioni all’universalità generale o correlativa, ma non a quella
universalità necessaria e assoluta di cui godono invece i giudizi sintetici a priori della
nostra conoscenza. Effettivamente di fronte alla varietà dei fenomeni naturali, di fronte
al contenuto empirico contingente di cui è carica l’esperienza, l’indagine naturale
necessita di strumenti che raccolgano tale varietà sotto un’unità più alta. Questa è, però,
un’unità solamente relativa, non assoluta, essa è un’universalità correlativa, una
generalizzazione il cui limite tende a spostarsi quanto più l’esperienza continua ad
arricchirsi di una quantità e di qualità di varietà di fenomeni. Nella Logik si legge:
Uno in molti, dunque in tutti: induzione; molto in uno (che è anche in altri), dunque
anche il rimanente nello stesso uno: analogia. [...] Nell'inferenza per analogia però si richiede solo l’identità del fondamento (par ratio).12
Senza induzione e analogia non potrebbe essere alla nostra portata
l’ampliamento della nostra conoscenza empirica, verrebbe meno sia la possibilità del
progresso e dell’arricchimento della conoscenza come sistema sia il sistema
dell’esperienza in genere. Il progressivo assorbimento del contingente nel sistema
dell’esperienza avviene a parte priori, così come a parte posteriori, seguendo principi
per l’uso del giudicare. Nel caso dell’induzione e dell’analogia ci si trova di fronte a uno
strumento potente di riduzione a unità e generalizzazione indispensabile per l’indagine
scientifica e che però necessita di un principio della facoltà di giudizio, un principio
regolativo, appunto, in grado di orientare questa attività. Inoltre l’induzione e l’analogia
sono anche lo strumento che fornisce un grado di probabilità ad un’ipotesi, come
sottolineato nella Logik:
11 Logik Jäsche, p. 154. 12 Logik Jäsche, p. 154.
116
Ciò nondimeno, la probabilità di un'ipotesi può anche crescere ed elevarsi a un analogon della certezza, è cioè quando tutte le conseguenze che ci si sono presentate finora possono essere spiegate derivandole dal fondamento supposto. In tal caso, infatti, non v'è ragione per cui non dovremmo ammettere che si potranno spiegare tutte le possibili conseguenze derivandole da esso. In questo caso, allora, noi ci affidiamo all'ipotesi come se fosse del tutto certa, sebbene lo sia solo per induzione.13
2. A questo punto la distinzione kantiana tra principi regolativi e
costitutivi, tracciata nella prima Critica, assume un particolare connotato. Una volta
colti gli strumenti dell’attuazione delle regole della generalizzazione, così come quelle
della specificazione, che stanno alla base della ricerca scientifica, si presenta una
scommessa per la filosofia kantiana, quella dell’armonizzazione del risultato di questo
processo con i principi universali e necessari a priori che determinano la nostra
esperienza. La grande sfida nella terza Critica viene tracciata da Kant nei termini di un
giudicare riflettente e di uno determinante da combinare insieme nella formazione del
sistema dell’esperienza, come suggerisce il §61:
[Il giudicare teleologico] appartiene quindi alla facoltà riflettente di giudizio, non a
quella determinante. Il concetto di legami e forme della natura secondo scopi è però almeno un principio in più per portare sotto regole i fenomeni della natura quando le leggi della causalità secondo il suo semplice meccanismo non bastano.
L’interazione tra empirico e a priori si incontra, laddove, attraverso induzione e
analogia, la facoltà di giudizio ha già compiuto il processo di generalizzazione
necessario per il rinvenimento di leggi empiriche. Tali leggi come ha sottolineato M.
Friedman nella sua analisi in Kant and the Exact Sciences, sebbene esprimano una
generalizzazione empirica, sono pur sempre leggi, e possono assumere una validità a
priori nel progredire dell’indagine scientifica, qualora sia indicato un loro fondamento
certo o ritenuto tale per induzione e per assenza di prove del suo contrario.
È proprio al livello delle leggi empiriche che si può riscontrare l’incontro tra
empirico e a priori, tra il giudicare riflettente e quello determinante. Le leggi empiriche
stesse diventano l’oggetto di una comprensione sistematica secondo i principi regolativi
della ragione. La comprensione sistematica riesce a dare conto a parte priori della
compresenza di due diversi modi del giudicare, necessari alla costituzione della
Naturwissenschaft. D’altro canto, a parte posteriori, Kant definisce come segue il
processo epistemologico che soggiace alla condizione del giudicare sugli scopi naturali
sul piano dell’indagine scientifica:
13 Logik Jäsche, p. 100.
117
Infatti, noi chiamiamo in causa un principio teleologico quando attribuiamo al concetto di un oggetto, come se si trovasse nella natura (non in noi), una causalità rispetto all'oggetto, o piuttosto ci rappresentiamo la possibilità dell'oggetto, secondo l'analogia di una tale causalità (quale noi troviamo in noi stessi), e con ciò pensiamo la natura come tecnica in ragione di una sua propria capacità, mentre, se non le attribuiamo un tal modo di avere effetti, la sua causalità dovrebbe essere rappresentata come cieco meccanismo.14
Non si tratta, dunque, per Kant di stabilire la preminenza dei principi costitutivi
su quelli regolativi o del giudicare determinante su quello riflettente. Si tratta piuttosto
di dare conto della reale interazione tra principi di natura diversa, frutto di diversi modi
del giudicare e del pensare la causalità. Il punto epistemologico importante che emerge
dalla terza Critica risiede dunque nell’aver previsto la possibilità per il giudizio
riflettente di subentrare nel corso dell’indagine scientifica al giudizio determinante. La
complessità dell’esperienza e, in particolare della conoscenza scientifica, viene così
salvaguardata, ne vengono limitati la validità e i confini attraverso una subordinazione
delle leggi empiriche ad un’unità sistematica grazie all’armonizzarsi del principio della
conformità a scopi con i principi della ragione. Il giudicare riflettente, sebbene non
determini l’oggetto in alcun modo, inferisce da concetti particolari a concetti universali
e dunque riflette sull’oggetto “per ottenerne la conoscenza”. Pertanto i due modi di
inferire del giudizio, l’induzione e l’analogia, “consegnano” e preparano rapporti di
concordanza secondo un principio: i molti non concorderanno in uno senza un
fondamento comune, ma ciò che conviene in questo modo ai molti sarà necessario a
partire da un fondamento comune, sebbene indeterminato.15
3. Il principio di conformità della natura a scopi nel giudicare riflettente
produce però delle conseguenze epistemologiche profonde. Occorre essere chiari su un
punto imprescindibile: il giudicare riflettente ha, sì, a fondamento un principio
soggettivo, quello della conformità della natura a scopi, tuttavia, la pretesa di oggettività
che lo scienziato avanza si basa sulla presupposizione di un principio interno alla natura,
di un corrispettivo di questo principio soggettivo, da cui derivano gli effetti come scopi
naturali. In altre parole, il concetto chiave di tecnica della natura permette di poter
pensare gli organismi come scopi naturali, generati secondo principi interni alla natura
stessa, senza cadere nella teleologia assoluta e oggettiva. È un dato però che vi siano dei
particolari oggetti che non si lasciano spiegare da pure leggi meccaniche e che anzi
richiedano un’idea del tutto per spiegare il rapporto tra le loro parti (si pensi alle
14 KdU, KGS V, p. 360. 15 KdU, KGS V, pp. 317-18.
118
cellule). Per Kant non è possibile una coesistenza del nexus effectivus e del nexus finalis
in natura a partire dalla distinzione del giudicare tra erklären e darstellen, sebbene sia
impossibile conoscere il fondamento della loro compresenza, che sul piano oggettivo
viene ricondotto alla tecnica della natura. Compare, dunque, da un lato una
corrispondenza tra pensiero ed essere laddove il giudicare, riconoscendo connessioni
causali (meccaniche o finali) di natura differente, è in grado di ordinarle secondo forme
e scopi altrettanto differenti. Tale capacità del soggetto è “alienata” nella natura, viene
attribuita ad essa una capacità produttiva di forme, come se esse fossero state ordinate
da un intelletto sebbene non il nostro. Riscontrata nella natura una conformità a scopi
che si armonizza con i principi della ragione, è possibile dare conto della contingenza in
modo necessario. La soddisfazione di fronte a questa corrispondenza stupefacente è
però sempre messa in discussione dall’ampliamento della conoscenza, dal continuo
confronto con il contingente.
In questo senso, per riprendere P. Kitcher, la via dal basso che Kant ha
tracciato per l’ampliamento della conoscenza empirica non è una via, ma è la via
maestra per il progredire della scienza. Nella Critica della facoltà di giudizio si
affronta il nodo del progressivo assorbimento dell'empirico nel sistema della scienza,
grazie al filo conduttore del principio della conformità a scopi. Tuttavia, è solo la
costituzione sistematica, possibile attraverso principi a priori che affondano le loro
radici nella dottrina logica kantiana, che può realizzarsi la connessione fra empirico e
a priori.
È dal reciproco limitarsi della teleologia come scienza, cioè la
Naturbeschreibung, e scienza della natura teoretica (theoretische Naturwissenschaft)
che è possibile trovare una pietra di paragone per la Naturwissenschaft. Ma è anche
vero che il loro limitarsi reciproco lascia intravedere come una fondazione della
scienza della natura sia indispensabile per definire la pretesa del giudicare teleologico.
Dopo aver tracciato la via dal basso alle leggi empiriche e il dominio della teleologia,
Kant si pone il problema di costituire un ponte o un passaggio dall’a priori
all’empirico, dai principi trascendentali, non più solo a quelli metafisici, ma a quelli
empirici. Di qui la necessità di prendere in esame non più la materia come mobile
nello spazio, ma le forze motrici della materia e di dare una certezza apodittica,
attraverso la matematica, ai giudizi che legano metafisica e fisica. È questa la ragione
della costituzione del Passaggio dai Principi metafisici della scienza della natura alla
fisica, questa la ragione dello iato da colmare che impegnerà Kant nell’opera postuma.
119
3.2 Il concetto di tecnica della natura
Per rendere perspicuo uno degli aspetti principali della teleologia kantiana,
ovvero la relazione a livello epistemologico tra natura e ragione, è necessario
sottolineare l’importanza del concetto di tecnica della natura di cui Kant si serve nella
Critica della facoltà di giudizio. In primo luogo, si deve tenere presente la relazione tra
la tecnica della natura e le leggi di ragione per rappresentare l’accordo tra i principi
trascendentali della ragione con la natura. In secondo luogo, occorre mostrare che la
possibilità di questo accordo riposa sulla mediazione della facoltà di giudizio tra la
ragione umana e la contingenza riscontrata in natura.
È chiaro dalle pagine della terza Critica, infatti, che il concetto di tecnica della
natura assume un ruolo fruttuoso esponendo, attraverso un’analogia con le facoltà
umane, l’attività produttiva della natura, come se la sua attività fosse orientata a fini.
Pensare la natura in termini di produzione spontanea orientata a fini è qualcosa di
richiesto per rendere intelligibili i suoi prodotti e le sue leggi. Questo obiettivo, che è
poi fondamentale per l’approccio della ricerca scientifica, può essere perseguito
assumendo il concetto di conformità a scopi come il filo conduttore della capacità
riflettente del giudizio.
In sostanza, il concetto di tecnica della natura è la chiave per rispondere alla
domanda che Kant si pone sulla possibile relazione tra nexus effectivus e nexus finalis,
in quanto attraverso questo concetto può essere dato un riferimento e un significato
unitario alla finalità oggettiva della natura. Quest’ultima, come è noto, non può essere
oggetto di conoscenza attraverso un principio o di esibizione diretta nell’intuizione.
Eppure non può essere esclusa dall’indagine filosofica, in quanto vi è un particolare
fenomeno, quello della riproduzione umana, che risponde a uno schema di finalità
oggettiva, esterna e necessaria. Il concetto di tecnica della natura è pensato da Kant
proprio per risolvere il possibile contrasto tra nexus effectivus e nexus finalis e per dar
conto di processi produttivi e riproduttivi basati evidentemente su un’organizzazione
della materia rispondente a degli scopi interni alla natura stessa.16
16 Nella terza Critica Kant afferma che esiste una sola forma di finalità esterna, incarnata dalla coppia. Il maschile e il femminile sono, infatti, finalizzati necessariamente allo scopo riproduttivo e la loro stessa forma coincide con il loro scopo. L’aspetto più degno di nota è che questa definizione dello statuto “eccezionale” della coppia, ritorna nelle sue conseguenze nell’alveo della Rechtslehre kantiana, là dove Kant tratta del matrimonio e sostiene una sospensione del diritto, dunque della libertà, nell’attuazione dello scambio degli organi sessuali maschili e femminili finalizzato alla procreazione. Questa concezione
Per sostenere questo
120
argomento viene considerato in via preliminare il carattere della capacità teleologica di
giudizio unitamente a quello della finalità oggettiva.
a) Come sorge il concetto di tecnica della natura?
Numerosi tentativi di analizzare i §§36-41 e i §§76-78 della terza Critica hanno
cercato di rilevare la distinzione tra capacità del giudizio estetico e di quello teleologico,
nonchè il ruolo di quest’ultimo come un medium tra ragione e sensibilità.17
L’attenzione posta sugli elementi empirici considerati nel §36 ritorna in primo
piano nella parte dedicata alla facoltà di giudizio teleologico. Secondo Kant, i giudizi
propri della Naturforschung, che riguardano fenomeni chimici, fisici e biologici,
dovrebbero essere fondati su fini prodotti dalla natura stessa.
18
La distinzione generale
tra giudizi estetici e teleologici è così tracciata:
Su ciò si fonda la divisione della critica della facoltà di giudizio in critica della facoltà estetica e in critica della facoltà teleologica, intendendosi con la prima la facoltà di giudicare la conformità a scopi formale (detta altrimenti anche soggettiva) mediante il sentimento del piacere o del dispiacere, e con la seconda la facoltà di giudicare la conformità a scopi reale (oggettiva) della natura mediante l’intelletto e la ragione.19
Prima di procedere è bene chiarire su quale fondamento possa poggiare questa
distinzione. È un fatto che l’eccessiva molteplicità della natura nelle sue forme conduce
a un’altra rappresentazione di oggetto naturale,20 e che “il concetto di legami e forme
della natura secondo scopi è però almeno un principio in più per portare sotto regole i
fenomeni della natura quando le leggi della causalità secondo il suo semplice
meccanismo non bastano”.21
di Kant svela sia quanto la terza Critica sia fondamentale per la dottrina del diritto kantiana, ma soprattutto svela l’importanza e il legame profondo tra il principio della conformità a scopi, l’esercizio del nostro giudicare e la libertà, intesa come Faktum der Vernunft e non come arbitrio. Il fatto che giudichiamo la natura secondo scopi e secondo una finalità interna, piuttosto che una finalità esterna, dispiega la natura delle nostre facoltà, una natura libera e intelligibile.
Perciò, secondo Kant, lo scopo (Zweck) è determinato
come l’elemento capace di soddisfare il bisogno di universalità da due punti di vista:
uno formale soggettivo e uno reale oggettivo. Nel primo caso, quello della capacità
estetica di giudizio, l’universalità è fondata sulla pretesa del Gusto, senza che ad esso
sia adeguato alcun concetto. Nel secondo caso, quello riscontrato nell’ambito della
17 Per quanto riguarda l’analisi su questo punto, cfr. A. Nuzzo, Kant and the Unity of Reason, West Lafayette, 2005. 18 Nuzzo (2005), p. 89. 19 KdU, KGS V, p. 193. 20 KdU, KGS V, p. 193. 21 KdU, KGS V, p. 360.
121
facoltà del giudizio teleologico, deve essere seguito il filo conduttore (Leitfaden) della
Zweckmäßigkeit, ovvero della conformità a scopi della natura, come se (als ob) fosse un
concetto, attraverso il quale nel giudizio é possibile riferire universalità agli organismi.
Oltre a ciò, si noti come nella Critica della facoltà del giudizio estetico non è
indicato alcun concetto per determinare la relazione tra le rappresentazioni e i predicati
nel giudizio, mentre nella parte dedicata alla facoltà di giudizio teleologico le
rappresentazioni sono riferite alla conformità a scopi. Perciò la conformità a scopi è
presentata da Kant come fondamento per i giudizi teleologici, perché la loro
costituzione ha bisogno di pensare questo principio oggettivamente nel riferire predicati
a particolari oggetti di esperienza, quali sono gli organismi.
Horstmann in Why Must There Be a Transcendental Deduction in Kant’s
Critique of Judgment? ha sostenuto che “we can see why Kant always emphasizes that
there is a structural difference between aesthetic and teleological judgments in relation
to the faculty of judgment”.22 Sebbene si possa affermare che la conformità a scopi sia
un principio trascendentale per la facoltà di giudizio estetico, è più difficile definirne lo
statuto nell’ambito della facoltà di giudizio teleologico, in quanto la possibilità del
giudicare teleologico sembra dipendere dalla possibilità di applicare ad un oggetto della
natura il concetto di scopo inteso come un concetto di ragione.23 Questo punto conduce
al ruolo fondamentale della concezione kantiana di tecnica della natura:24
Una risposta a questo problema è stata, ad esempio, quella di M. Morrison, che
sostiene la presupposta unità di natura e ragione nella terza Critica come conditio sine
qua non per pensare l’universalità e l’unità dei giudizi della scienza della natura.
come può
essere compresa in un sistema la varietà di fenomeni naturali, non solo chimici e
biologici, ma anche fisici? In secondo luogo, com’è possibile, nel fare esperienza,
riuscire anche a connettere il nexus effectivus con il nexus finalis, se il principio di
conformità a scopi è trascendentale, ma sembra fondare l’universalità dei giudizi
teleologici nella natura stessa?
25
22 Cfr. R. P. Horstmann, Why Must There Be a Transcendental Deduction in Kant’s Critique of Judgment?, in Kant's Transcendental Deductions: The Three Critiques and the Opus Postumum, a cura di E. Förster, Stanford 1989, pp. 173-175. Cfr. KdU, pp. 24-30.
Tuttavia, da un punto di vista epistemologico, il nodo da sciogliere è rappresentato dalla
23 Horstmann (1989), p. 174. 24 L’argomento precedente riguarda la ragione per cui Kant presentò lo stesso concetto nella Prima Introduzione alla Critica della facoltà di giudizio, ma strettamente legato alla tecnica della facoltà di giudizio. Cfr. I. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urtheilskraft, (AA:XX, 204-5; 215; 219-21; 228-9; 248-51). 25 M. Morrison, Reduction, Unity and the Nature of Science: Kant's Legacy?, in Kant and Philosophy of Science Today, a cura di M. Massimi, Royal Institute of Philosophy Supplement, 83, Cambridge 2008, pp. 37-62. In particolare, p. 39.
122
domanda sulla possibilità o meno di combinare esibizione (Darstellung) e spiegazione
(Erklärung) di fronte al processo cognitivo della natura. È chiaro che la funzione che
Kant attribuisce alla facoltà del giudizio teleologico è essenziale per l’orientamento
nell’esperienza,26
Da questo punto di vista, non si può non vedere in questa funzione come Kant
abbia cercato di fornire l’esibizione del ruolo effettivo della ragione come facoltà delle
regole di unificazione e organizzazione dei principi dell’intelletto, orientati verso
l’esperienza possibile.
in particolare nel contesto di una esperienza determinata, che, messa a
confronto con altri casi, é capace di unificare diverse leggi empiriche sotto un principio
comune.
27
L’uso empirico della ragione trova in quello della facoltà del
giudizio teleologico la sua incarnazione nel particolare, nella prassi scientifica, nel
confronto diretto con l’esperienza determinata. Dal punto di vista epistemologico, il
concetto di tecnica della natura svolge più funzioni, proprio per permettere una
rappresentazione dell’origine della generazione interna alla natura e soprattutto per dare
un significato all’unità della generazione naturale.
b) Tecnica della natura e leggi di ragione
Brandt ha analizzato la relazione tra tecnica della natura e leggi di ragione in The
Deductions in the Critique of Judgment: Comments on Hampshire an Horstmann.28
Brandt rileva qui una doppia difficoltà: da un lato, c’è un’oscillazione della
prospettiva da cui sono visti i principi di ragione e, dall’altro, l’esposizione kantiana
tende a enfatizzare la relazione tra la convenienza della natura con le facoltà umane e la
conformità a scopi tra le parti stesse della natura.
Brandt rivolge la sua attenzione ai principi di ragione e, come fa anche Morrison,
sostiene che vi sia un accordo presupposto tra i principi logici di unità, specificazione e
affinità con la natura stessa, così che questi possono anche diventare principi
trascendentali nel loro uso.
29
26 Cfr. KdU, KGS V, p. 194.
Considerando che questo accordo tra
27 Su questo punto si riprendono le interpretazioni di chi ha sostenuto una continuità tra la terza Critica e Il Canone della ragione pura, visto come l’origine per lo sviluppo della tematica del 1790. 28 R. Brandt, The Deductions in the Critique of Judgment: Comments on Hampshire an Horstmann, in Kant's Transcendental Deductions: The Three Critiques and the Opus Postumum, a cura di E. Förster, Stanford 1989. 29 Brandt (1989), p. 180. Brandt sottolinea come l’origine di questi problemi sia da trovarsi già nella Dissertatio del 1770. Concordo, però, con l’interpretazione di Guyer, secondo cui il problema sopra esposto può essere rinvenuto ancor prima e con chiarezza nel Beweisgrund. Per ulteriori dettagli si veda P. Guyer, Kant’s System of Nature and Freedom, Oxford 2005, pp. 89-92. Inoltre riporto l’interessante
123
ragione e natura garantisce la verità di un sistema strutturato di conoscenze empiriche,
Brandt afferma che la Critica della ragione pura e la Critica della facoltà di giudizio
mostrano una continuità, tolti alcuni shifts come accade in tutta la produzione kantiana
tra il 1781 e il 1790. Inoltre Brandt sostiene che “the Judgment presents reason with no
goals for its maximal use, but rather supplies with the concept of purposiveness a
fundamental possibility: to think as unity something that, for the understanding, would
remain only accidental and incomprehensible”.30 Tuttavia Brandt argomenta che “in the
final introduction to the Critique of Judgment and in the work itself (with one exception
in CJ §23, 5:246), Kant has abandoned the concept of a technique of nature in the
principle of suitability of nature to our cognitive faculty; it is now applied only to
organic bodies, that is where nature itself shows the form of a system”.31
A questa considerazione di Brandt va però fatta una critica, proprio perché, se si
considera il concetto di tecnica della natura,
32 può essere mostrato che esso non si
riferisce solo ai corpi organici, ma anche alle forme geometriche che si riconoscono in
natura (strutture dei cristalli, simmetrie anatomiche).33
La funzione propria del concetto di tecnica della natura consiste nel porre la
questione di un altro genere di generazione, quello secondo cause finali, al fine di
fondare l’unità della contingenza riscontrata in natura e di permettere che essa sia
compatibile con la necessità della spiegazione meccanica della natura secondo cause
efficienti.
Pertanto il primo passo da compiere riguarda l’identificazione del filo conduttore
da seguire per inquadrare il problema, così come Kant lo presenta nella Critica della
facoltà di giudizio:
Finora nessuno ha messo in dubbio la giustezza del principio che su certe cose della
natura (esseri organizzati) e la loro possibilità si debba giudicare secondo il concetto delle cause finali, anche se soltanto si vuole trovare il filo conduttore per imparare a conoscere mediante l’osservazione la loro costituzione, senza osare di spingersi fino alla ricerca sulla loro prima origine.34
Kant chiarisce che il concetto di cause finali deve essere “un certo presentimento
della nostra ragione o un cenno che, per così dire, la natura ci da, il fatto che noi per
osservazione di Nuzzo (2005), p. 342, per cui il nucleo problematico circa la fondazione della produzione naturale e la sua conformità al nostro giudicare trae origine nell’Allgemeine Naturgeschichte del 1755. 30 Brandt (1989), p. 187. 31 Su questo punto l’analisi di Brandt sembra corretta. Cfr. Brandt (1989), pp. 186-187. 32 Cfr. KdU, KGS V, pp. 360-61. 33 Cfr. KdU,KGS V, pp. 418-19. 34 KdU, KGS V, pp. 389-90.
124
mezzo di quel concetto di cause finali ci si possa spingere addirittura oltre la natura e
fissarla essa stessa al punto più alto nella serie delle cause, solo che si abbandoni la
ricerca della natura […] e, prima si tenti di appurare dove conduce quel forestiero nella
scienza della natura, vale a dire il concetto di scopi naturali”.35
Certamente il concetto di cause finali può essere usato come massima, in vista
della conoscenza della natura, sebbene comporti contraddizioni e notevoli problemi, se
considerato come mezzo per andare al di là della natura stessa, ovvero se è preso come
fondamento del giudicare determinante sulla natura. Così come Kant ha rilevato
l’impossibilità di conoscere qualcosa, circa il fondamento del principio della conformità
della natura a scopi, e, dunque, di conoscere la ragione della conformazione delle
facoltà umane, allo stesso modo ritiene impossibile determinare la tecnica della natura
in se stessa, sebbene egli affermi che questo concetto sia di importanza capitale per
pensare un’altra causalità, cioè la Wirkungsart della natura, come suggerisce il passo
seguente:
Sotto un certo punto di
vista è possibile concludere che le cause finali possono essere pensate attraverso il
concetto di tecnica della natura.
Infatti, noi chiamiamo in causa un principio teleologico quando attribuiamo al concetto di un oggetto, come se si trovasse nella natura (non in noi), una causalità rispetto all’oggetto, o piuttosto ci rappresentiamo la possibilità dell’oggetto, secondo l’analogia di una tale causalità (quale troviamo in noi stessi), e con ciò pensiamo la natura come tecnica in ragione di una sua propria capacità, mentre, se non le attribuiamo un tal modo di avere effetti, la sua causalità dovrebbe essere rappresentata come un cieco meccanismo.36
Kant configura qui un doppio problema. Da un lato sorge la domanda
trascendentale circa la possibilità di connettere fini riconosciuti in natura con principi
oggettivi.
Dall’altro deve essere trovato un fondamento in un tipo speciale di causalità per i
nostri asserti circa alcuni fenomeni naturali e connessioni finali. Questo tipo speciale di
causalità deve però accordarsi con le leggi di natura, così che sia attuabile una
connessione tra nexus effectivus e nexus finalis. Questa connessione è resa pensabile
solo grazie al concetto di tecnica della natura:
35 KdU, KGS V, pp. 390-91. 36 KdU, KGS V, p. 360.
125
Dal momento che, a causa di ciò che di simile a scopi troviamo nei suoi prodotti, chiamiamo tecnica il procedimento (causalità) della natura, vogliamo dividerla in intenzionale (technica intentionalis) e inintenzionale (technica naturalis).37
Alla luce dei passi presi in esame e dell’intento più generale della terza Critica,
l’analisi di Brandt dovrebbe essere rigettata nelle sue premesse. Occorre piuttosto
indagare la questione che riguarda l’intenzionalità secondo scopi, ovvero il rapporto che
intercorre fra realtà e facoltà umane, secondo un rapporto della conseguenza (Folge)
con il suo fondamento (Grund).
c) Cosa significa pensare il mondo come prodotto di
un’intelligenza?
Sul piano ontologico il concetto di tecnica della natura introduce la domanda
sulla possibilità di un principio comune che rappresenti l’azione, secondo intenzioni. Il
concetto di una conformità oggettiva a scopi è un principio della ragione per la facoltà
del giudizio riflettente, una massima che la ragione prescrive:
Non posso giudicare altrimenti sulla possibilità di quelle cose e la loro generazione, secondo la peculiare costituzione delle mie facoltà conoscitive, se non penso per esse una causa che agisce secondo intenzioni, e quindi a un essere che, secondo l’analogia con la causalità di un intelletto, è produttivo.38
In questo caso la ragione determina l’uso di facoltà cognitive secondo il loro
speciale carattere e con le condizioni essenziali così come i limiti del loro dominio.
Perciò il giudicare teleologico è introdotto giustamente nell’indagine della natura, ma
solo problematicamente, per favorire l’osservazione, in analogia con una causalità
secondo fini, senza presumere di spiegarli. Questa seconda funzione della spiegazione
(Erklärung) è propriamente quella del giudicare determinante, mentre la massima
prescritta dalla ragione per la facoltà del giudizio risponde a uno speciale bisogno. Del
resto, è necessario sottoporre la natura al concetto di un’intenzione, se si vuole portare a
compimento la ricerca sui suoi prodotti organizzati attraverso una continua
osservazione. Questo concetto di intenzione è perciò già una massima assolutamente
necessaria per l’uso della ragione in vista dell’esperienza, cioè per il suo uso empirico.
37 KdU, KGS V, pp. 390-91. 38 KdU, KGS V, p. 398.
126
Se si devono connettere leggi di natura in accordo con ciò che è garantito
conoscere alla natura umana – secondo i limiti e le condizioni di possibilità della
ragione –, “non possiamo assolutamente porre a fondamento della possibilità di quegli
scopi naturali nient’altro che un essere intelligente, il che è l’unico fondamento
conforme alla massima della nostra facoltà riflettente di giudizio, conforme di
conseguenza a un fondamento soggettivo, ma irremissibilmente inerente al genere
umano”.39
Questa posizione kantiana assume una sua originalità, senza abbracciare lo
spinozismo o l’ilozoismo, e senza tornare indietro alla teleologia esterna wolffiana. Il
concetto di conformità a scopi della natura, usato come massima in vista della
conoscenza della natura, conduce tuttavia ad una questione controversa che consiste
nella coesistenza nel giudicare dei fenomeni naturali secondo un nexus effectivus e un
nexus finalis, nella coesistenza cioè di diverse causalità in natura. L’appello a un
fondamento soprasensibile per dare unità a questi principi rispondenti a un nexus
effectivus o a un nexus finalis implica che deve esserci un substratum indeterminato e
inconoscibile che renda possibile la loro combinazione. La questione ontologica, se il
mondo sia ordinato in sé secondo una causa finale, viene risolta da Kant affermando la
possibilità di definire questo fondamento (Grund) o substratum nei suoi effetti (Folgen),
che sono giudicati secondo il concetto di conformità a scopi. Allo stesso tempo però
l’intelletto procede nel giudicare l’esistenza attraverso la determinazione dell’azione
(Wirkungsart):
Se parliamo ora dei sistemi di spiegazione della natura in termini di cause finali, si deve
osservare che nel complesso essi sono dogmaticamente in conflitto tra di loro, cioè sui principi oggettivi della possibilità delle cose, vale a dire in forza di cause che agiscono intenzionalmente oppure soltanto inintenzionalmente, non però sulla massima soggettiva di giudicare semplicemente sulla causa di tali prodotti conformi a scopi: in quest’ultimo caso I principi disparati potrebbero ancora essere riuniti, mentre nel primo caso principi opposti contraddittoriamente si eliminano l’un l’altro e non possono sussistere l’uno vicino all’altro.40
Perciò è possibile pensare una connessione di principi spiegati da un nexus
effectivus con quelli di un nexus finalis, solo considerandoli come principi disparati e
presupponendo un loro principio comune intelligibile, senza di cui sarebbe impossibile
pensare il concetto di conformità a scopi della natura e la libera azione umana nel
mondo o l’origine spontanea di una serie.
39 KdU, KGS V, pp. 400-1. 40 KdU, KGS V, p. 391.
127
In sostanza, la possibilità di essere orientati nell’esperienza, soprattutto in quella
che investe gli organismi, e di riconoscere le leggi empiriche generali della natura
risiede nella presupposizione di questo fondamento intelligibile, anche se esso va
considerato come un filo conduttore e non può essere ulteriormente determinato o
provato nella sua realtà oggettiva. Questo aspetto si traduce poi nel rigetto da parte di
Kant di ogni teologia fisica e, di contro, nella fondazione di una fisiologia sul principio
della facoltà teleologica del giudizio.
È chiaro che il concetto di tecnica della natura assume, nell’ambito della
fisiologia, una funzione necessaria per fornire un certo riferimento oggettivo all’origine
della generazione in natura: è il substratum della forza produttiva inerente alla natura
stessa, mentre il substratum soggettivo fornisce un riferimento universale e soggettivo
alle leggi della ragione per accordarle con la conformità a scopi.
Dal momento che il concetto di tecnica della natura assume un ruolo nella
fondazione della possibilità della contingenza nel mondo, si può concludere come fa A.
Nuzzo che “we must assume that nature proceeds as if it were producing its form
technically, precisely because we are ourselves beings who belong to nature and who
are able to act in a purposive way”.41
Dunque, le conseguenze della posizione kantiana
possono essere determinate in un duplice senso: da un lato emerge una forte istanza
epistemologica e dall’altro si apre la dimensione pratica della ragione, là dove la
fisiologia può trovare un momento superiore nell’eticoteologia, sebbene quest’ultima e
la teologia morale siano nettamente distinti dalla dimensione della vecchia teologia
fisica.
d) La relazione tutto-parti: la costituzione delle facoltà
La possibilità di pensare un substratum intelligibile conduce Kant alla questione
epistemologica dei modi possibili di concepire la relazione tra il tutto e le sue parti, in
altre parole, alla questione della costituzione dell’unità sistematica secondo le nostre
facoltà.
La domanda circa la costituzione delle facoltà (Vermögen) implica la divisione
tra intelletto e intuizione. Secondo Kant queste fonti conoscitive sono complementari e,
secondo combinazioni differenti, rendono possibile la distinzione ontologica tra
41 Nuzzo (2005), p. 253.
128
possibilità e realtà delle cose. Dunque, il piano ontologico e quello epistemologico sono
profondamente legati nella terza Critica:
Esso [il concetto di un essere assolutamente necessario] vale però per l’uso delle nostre facoltà conoscitive, secondo la loro peculiare costituzione, e quindi non per l’oggetto e dunque non per ogni essere conoscente, perchè non posso presupporre in ognuno di essi il pensiero e l’intuizione come due distinte condizioni della possibilità e della realtà delle cose. Per un intelletto in cui non si desse questa distinzione vorrebbe dire che tutti gli oggetti che conosco sono (esistono) e che la possibilità di alcuni che non esistessero, cioè la loro contingenza qualora non esistano, e quindi anche la necessità che deve essere distinta da essa, non potrebbero affatto entrare nella rappresentazione di un tale essere.42
Come risultato, la definizione che Kant da di intelletto intuitivo dipende dalla
costituzione particolare delle nostre facoltà e il concetto di un essere assolutamente
necessario è un’idea indispensabile della ragione, ma rimane un concetto problematico
per l’intelletto umano. Questa sembra essere la premessa necessaria per la fondazione
dell’unificabilità del nexus effectivus con il nexus finalis insieme alla distinzione che
Kant attua tra l’universale analitico e quello sintetico del concetto di causa come
prodotto (Wirkugsart): Ne va dunque del rapporto tra il nostro intelletto e la facoltà di giudizio, cioè del fatto
che in ciò rinveniamo una certa contingenza della costituzione del nostro intelletto per farne un contrassegno della peculiarità di esso a differenza degli altri intelletti possibili.43
Il carattere peculiare della contingenza dell’intelletto umano è assunto come
contrassegno attraverso la prassi del giudicare, poiché è proprio nel giudicare e
nell’osservare la natura che:
Questa contingenza si trova del tutto naturalmente nel particolare che la facoltà di
giudizio deve portare sotto l’universale dei concetti dell’intelletto; infatti, mediante l’universale del nostro (umano) intelletto il particolare non è determinato; ed è contingente in quanti vari modi possano presentarsi alla nostra percezione cose diverse che pure convengono in una nota comune.44
Per pensare un possibile accordo di un certo prodotto naturale con la facoltà del
giudizio si deve pensare un altro intelletto, sebbene non il nostro, in relazione al quale
può essere rappresentato l’accordo delle leggi naturali con la facoltà di giudizio. Come
si è anticipato, questo problema è risolto nella fisiologia dall’uso del concetto di tecnica
42 KdU, KGS V, pp. 402-3. 43 KdU, KGS V, p. 406. 44 KdU, KGS V, p. 406.
129
della natura come chiave di volta per unificare il molteplice nel tutto della natura senza
dover attribuire un’esistenza esterna al concetto di cause finali:
Il nostro intelletto ha, infatti, la proprietà di dover andare nelle sue conoscenze, per esempio della causa di un prodotto, dall’universale analitico (dai concetti) al particolare (dell’intuizione empirica data); con il che quindi non determina nulla riguardo alla molteplicità del particolare, ma deve aspettare questa determinazione, attraverso la facoltà di giudizio, dalla sussunzione dell’intuizione empirica (se l’oggetto è un prodotto della natura) sotto il concetto.45
Per Kant è necessario porre la differenza tra un intelletto discorsivo e quello
intuitivo (determinato solo negativamente come non discorsivo), posseduto da un
modello archetipo di intelletto, per poter pensare la natura su due livelli, e per concepire
la contingenza che è allo stesso tempo necessaria per l’intelletto discorsivo. L’altro
intelletto, quello intuitivo, procede dal tutto alle parti, cioè, dall’universalità sintetica al
particolare, in cui non si ritrova alcuna contingenza delle parti. Queste sono concepite
come fondamenti di differenti forme possibili che sono conseguenze da sussumere
semplicemente. Inoltre l’intelletto intuitivo può concepire la possibilità delle parti come
dipendenti dal tutto, solo rappresentando un tutto contenente in sé il fondamento per la
possibilità della sua forma e per la connessione tra le sue parti.
Tuttavia l’intelletto umano procede nel considerare l’azione e nel determinare la
relazione tra causa ed effetto, secondo possibili modi rappresentativi, ovvero concepisce
un tutto reale della natura, visto però solo come effetto delle forze motrici concorrenti
fra le parti:
È solo una conseguenza della particolare costituzione del nostro intelletto se noi ci rappresentiamo prodotti della natura come possibili secondo un tipo di causalità diverso da quello delle leggi naturali della materia, cioè solo secondo quella degli scopi e delle cause finali, e che questo principio non riguarda la possibilità di queste cose stesse (anche considerate come fenomeni) secondo questo tipo di generazione, ma solo il giudicar di esse che è possibile al nostro intelletto.46
Perciò le cause finali non devono essere considerate come connesse al modo di
generare o essere generate delle cose in se stesse, ma sono connesse solo al nostro modo
di giudicare l’unità dei fenomeni. Se tra gli oggetti esterni, come fenomeni, non può
essere trovata una ragione sufficiente, allora questo fondamento deve essere cercato
ancora solamente in un sostrato soprasensibile della natura. Poiché è assolutamente
impossibile ricavare dalla natura stessa un fondamento di spiegazione di connessioni
45 KdU, KGS V, p. 406. 46 KdU, KGS V, p. 408.
130
finali e, secondo la costituzione delle facoltà conoscitive umane, è necessario ricercare il
fondamento di certe connessioni in un intelletto originario come causa del mondo.47
Questa è la conseguenza più importante della risoluzione kantiana
dell’antinomia della facoltà teleologica del giudizio.
Kant sottolinea che il fondamento per connessioni finali deve essere ritrovato in
un sostrato inconoscibile, che, laddove si consideri la natura come un tutto, deve essere
visto come un intelletto originario, causa del mondo. Tuttavia, proprio considerando la
tecnica della natura dentro la natura stessa e sviluppando lo strumento dell’analogia,
Kant è lontano dall’abbracciare una soluzione teologica. Al contrario, egli traccia una
conseguenza coerente dell’approccio trascendentale alla conoscenza e all’esperienza,
attraverso una critica alla fisicoteologia.
Infatti, l’unico modo per fondare la finalità a scopi della natura, consiste nel
riflettere questo nexus finalis nei giudizi come se (als ob) fosse un prodotto di
un’intelligenza superiore capace di pensare la natura come un sistema e di creare serie
di eventi che vengono giudicati secondo fini. Questo permette la coesistenza nello
stesso mondo delle leggi naturali meccaniche e della libertà. Per rappresentare questa
funzione Kant sceglie il concetto di tecnica della natura come l’agente che è capace di
attuare la corrispondenza tra una sostanza inconoscibile e il modo umano di
rappresentare e giudicare specifici eventi e prodotti naturali. Tuttavia, nel procedere
dell’argomentazione, Kant non si ferma all’uso del “come se” per giustificare questa
corrispondenza, ma aggiunge che essa dipende dalla costituzione delle facoltà e dalla
capacità degli esseri umani di concepire la loro azione libera secondo fini razionali, cioè
secondo un’intenzionalità libera, di cui deve esserci un Grund nella misura in cui la
libertà diviene una verità di fatto capace di darsi nel Mondo.
e) Explicatio ed Expositio: come connettere nexus effectivus e
nexus finalis?
Come sottolineato in precedenza, la connessione tra nexus effectivus e nexus
finalis rivela il legame tra ragione e facoltà di giudizio. In secondo luogo, questo legame
da una risposta analogica alla molteplicità e all’accordo di molti generi in natura. Uno
dei passi più dibattuti dalla critica è quello del §78, dove Kant si concentra su un
47 Cfr. KdU, KGS V, p. 410. La domanda circa l’elemento che permette il fondamento per la possibilità degli organismi, rappresentato come “Basis” della possibilità delle sue parti è posta da Kant anche nell’Opus postumum. Cfr. Förster (2000); Edwards (2000); Friedman (1992); Emundts (2004).
131
possibile fondamento comune di unificazione di nexus effectivus e nexus finalis,
attraverso la necessaria subordinazione del principio del meccanismo al principio
teleologico nella spiegazione dell’organismo.48
L’unificazione del principio del meccanismo universale della materia con il
principio della giudizio teleologico è realizzato attraverso il concetto di tecnica della
natura. Da qui nascono delle difficoltà, in quanto entrambi i concetti che rendono
possibile questa unità, quello di spiegazione e quello di esposizione, lasciano delle
ambiguità. In altre parole è possibile unificare effetti sotto cause finali attraverso una
Darstellung,
49
Questa è la ragione sostanziale per cui il concetto di tecnica della natura è
determinato solo considerando e giudicando gli effetti che la natura produce, in quanto
sarebbe impossibile rendere conoscibile un sostrato intelligibile della generazione
naturale, senza riceverlo nell’intuizione. Non si può, dunque, definire in cosa consista la
tecnica della natura, sebbene solo attraverso questo concetto si possa ammettere
l’unificazione della contingenza con la necessità in natura:
che è l’unico modo che noi abbiamo per rappresentare la possibilità degli
oggetti naturali, mentre l’esposizione (Expositio), grazie all’analogia, permette alle
cause finali di essere rappresentate indirettamente nell’intuizione.
Ma, se accade che si presentino oggetti della natura che non possono essere da noi
pensati nella loro possibilità secondo il principio del meccanismo (che sempre, riguardo a un essere della natura avanza diritti) senza appoggiarci su principi teleologici, possiamo supporre che sia solo lecito indagare tranquillamente le leggi della natura conformemente a entrambi […], senza turbarsi della parvente contraddizione che si manifesta tra i principi per giudicarlo, poiché almeno la possibilità che entrambi possano essere accordati anche oggettivamente in un principio (in quanto essi concernono fenomeni che presuppongono un fondamento soprasensibile) è assicurata.50
Tuttavia è possibile ottenere, secondo l’uso della facoltà di giudizio, il principio
universale della capacità riflettente del giudizio per il tutto della natura, rendendo
compatibili nexus effectivus e nexus finalis, senza confonderli:
Perché la ragione di questa compatibilità sta in ciò che non è né l’uno né l’altro (né meccanismo, né legame secondo scopi), ma è il sostrato soprasensibile della natura, di cui non conosciamo nulla, i due modi rappresentativi della possibilità di tali oggetti, per la nostra (umana) ragione, non debbono essere fusi insieme, ma non possiamo giudicarli altrimenti che fondati, secondo il collegamento delle cause finali, in un intelletto superiore, con il che dunque non si toglie nulla al tipo di spiegazione teleologico.51
48 Per la definizione di scopo (Zweck), cfr. KdU, KGS V, p. 408.
49 Per altri dettagli sulla relazione tra Darstellung e tecnica della natura, cfr. Nuzzo (2005), pp. 239-41. 50 KdU, KGS V, pp. 412-13. 51 KdU, KGS V, p. 414.
132
L’autorizzazione e l’obbligo di dare una spiegazione meccanica di tutti i prodotti
e gli eventi della natura sono possibili perché questi sono suscettibili di indagine solo
sotto il concetto di fine della ragione, cioè sono, in ultima analisi, subordinati alla
causalità della libertà.
Non è un caso, infatti, che la parte conclusiva del §78 è volta a determinare il
carattere pratico dell’attività teoretica. L’orizzonte pratico della terza Critica è la
dimensione propria degli esseri razionali: questa sembra essere la vera considerazione
da cui parte l’idea e il progetto di un forte impianto antropologico presente nel sistema
della filosofia trascendentale.
L’attività (Handlung) della sintesi è il fondamento originario che influenza la
costituzione delle nostre facoltà.52
Secondo una premessa di questo tipo, il concetto di
tecnica della natura permette la rappresentazione di una causa interna della generazione
in natura compatibile con la costituzione delle facoltà umane. Inoltre il concetto di
tecnica della natura assume un ruolo fruttuoso agli occhi di Kant per determinare la
relazione fra ragione e facoltà di giudizio nel processo cognitivo di fronte alla
contingenza, sia nel campo della scienza sia dei processi storici. Dunque anche della
storia della scienza. Questa concezione kantiana lascia spazio, infine, ad uno schema
della tendenza, ovvero ad un’idea di organizzazione della natura che dipende da un
principio o da una forza immateriale, intelligibile, che rappresenta il limite a cui la
ragione teoretica deve tendere e che la ragione pratica deve presupporre:
L’ammirazione invece è una meraviglia che sempre ritorna […]. Di conseguenza quest’ultima è un effetto del tutto naturale di quella conformità a scopi osservata nell’essenza delle cose (in quanto fenomeni), che pure non può essere biasimata, in quanto la compatibilità con quella forma dell’intuizione sensibile (che si chiama spazio) con la facoltà dei concetti (intelletto), non solo ci è inspiegabile perché sia proprio questa e non un’altra, ma oltre a ciò è anche qualcosa che estende l’animo in modo, per così dire, da far presentire qualcosa che sta oltre, al di là di quelle rappresentazioni sensibili, in cui potrebbe essere trovato il fondamento ultimo, sebbene a noi sconosciuto di quell’accordo.53
3.3 Forza e materia nella Critica della facoltà di giudizio
Il tema centrale del giudicare teleologico sorge nell’ambito dell’Antinomia tra le
massime della facoltà di giudizio che vengono trasformate in principi costitutivi:
52 Per un’analisi su questo punto nell’ambito dell’antropologia kantiana e il suo background storico, si veda H. Caygill, Kant's Apology for Sensibility, in Essays on Kant's Anthropology, Cambridge 2003, pp. 164-193. 53 KdU, KGS V, p. 365.
133
La prima massima della facoltà di giudizio è la seguente tesi: Ogni generazione di cose materiali e delle loro forme deve essere giudicata come possibile secondo leggi solo meccaniche. La seconda massima è l’antitesi: Alcuni prodotti della natura non possono essere giudicati come possibili secondo leggi solo meccaniche (il loro giudizio richiede una legge del tutto diversa della causalità, vale a dire quella delle cause finali). Se si trasformano questi principi regolativi della ricerca in principi costitutivi, cioè della possibilità degli oggetti stessi, essi suonerebbero così: Tesi: Ogni generazione di cose materiali è possibile secondo leggi solo meccaniche. Antitesi: Alcune generazioni di quelle stesse cose non sono possibili secondo leggi solo meccaniche.54
Alla risoluzione dell’Antinomia seguono importanti considerazioni sulla
causalità, in base a cui il concetto di forza può essere strutturato. Si nota, infatti, una
corrispondenza fra la maggiore complessità del tema della causalità, affrontato nella
terza Critica, e la trattazione della forza e della materia negli anni ‘90.
La prima osservazione da compiere consiste nel fatto che, tanto il concetto di
forza, quanto quello di materia, sono legati alla trattazione dei corpi organici. Sebbene
Kant indichi una contraddizione nell’espressione “materia vivente”, è un fatto che nella
Critica della facoltà di giudizio si ponga il problema della coesistenza di un modo di
spiegazione meccanico dei corpi fisici e di uno teleologico per i corpi organici che
interagiscono con la materia inerte e che ne sono parte. Di ciò si ha evidenza nel passo
che segue:
Ma la possibilità di una materia vivente (il cui concetto contiene una contraddizione, perché l’assenza di vita, inertia, costituisce il suo carattere essenziale) non può neanche essere pensata; la possibilità di una materia viva e della natura nel suo insieme come di un animale può essere usata come estrema risorsa (in funzione di un’ipotesi della conformità della natura a scopi, in grande) solo nella misura in cui ci viene rivelata nell’esperienza riguardo all’organizzazione della natura, in piccolo, ma in nessun modo essere compresa a priori secondo la sua possibilità. Si deve essere incorsi in un circolo nella definizione, se si intende derivare la conformità della natura a scopi negli esseri organizzati dalla vita della materia e a sua volta non si riconosce questa vita se non negli esseri organizzati e, senza tal esperienza, non ci si può fare quindi alcun concetto della loro possibilità.55
È da questa prima osservazione che si sviluppa per Kant la necessità di indagare
il rapporto tra figura (Figur) e organismo, corrispondenti rispettivamente, a quello di
testura o configurazione strutturale interna (Textur) e a quello di materia. Il concetto di
figura legato all’organismo ha delle ricadute fondamentali per la filosofia della natura di
Kant. Come la materia, infatti, occupa con le forze motrici uno spazio e assume una
diversa composizione delle sue parti, che vengono orientate, a seconda delle forze
54 KdU, KGS V, p. 387. 55 KdU, KGS V, p. 394.
134
esercitate, così l’organismo ha una particolare configurazione, cioè una particolare
struttura che gli permette di occupare lo spazio in modo differente dalla “materia bruta”.
L’organizzazione delle parti nello spazio e delle loro funzioni in un rapporto di
mezzo-fine con il tutto, costituisce la cifra per la definizione degli organismi come
sistemi chiusi, come strutture che occupano lo spazio in modo del tutto diverso da
quello dei corpi inorganici. Di questo si ha evidenza non solo a partire dal testo del ’90,
ma anche nell’Opus postumum, laddove Kant ritiene necessario inserire le forze
organiche nel Sistema elementare delle forze motrici e pensa i corpi fisici come oggetto
della fisica, di cui fanno parte anche i corpi organici.56
Nel caso della materia tale causa è da far coincidere con le forze di attrazione e
repulsione, nel caso dei corpi organici le forze organiche non sono altro che funzioni
differenti attribuite alle parti di un sistema che è il loro fine. Per comprendere
pienamente la concezione kantiana è bene entrare nello specifico degli esempi di cui si
serve nella terza Critica, traendo spunto da diversi casi, appartenenti ai corpi organici e
a quelli inorganici. Prendiamo ad esempio il caso del fenomeno della cristallizzazione.
Questa riflessione può far
comprendere come il fattore dell’occupazione dello spazio, caratteristica propria dei
corpi organici ed inorganici, non sia la discriminante per distinguerli, quanto invece sia
la causa, in base alla quale essi occupano in un certo modo lo spazio, a costituire il vero
discrimine.
Nel §58 Kant discute la necessità di porre a fondamento dell’indagine della
natura la massima della ragione contro la moltiplicazione dei principi. In questo
contesto si colloca la seguente affermazione:
[…] La natura mostra dappertutto nelle sue libere formazioni una forte tendenza meccanica alla generazione di forme che, per così dire, sembrano fatte per l’uso estetico della nostra facoltà di giudizio, senza fornirci la minima ragione in favore della presunzione che occorre ancora,per ciò, qualcosa di più del suo meccanismo, semplicemente come natura, per cui quelle formazioni, senza alcuna idea che stia a loro fondamento, possano essere conformi a scopi per il nostro giudicare.57
Qui per libera formazione della natura Kant intende un processo di aggregazione
o solidificazione improvvisa di un fluido in quiete assimilato alla cristallizzazione. Ora,
questo fenomeno è reso possibile dalla volatilizzazione o separazione del calorico:
Ma per libera formazione della natura intendo quella per cui a partire da un fluido in
quiete, mediante volatilizzazione o separazione di una sua parte (talora solo del calorico), il
56 Cfr. infra, Capitolo I. 57 KdU, KGS V, p. 347.
135
resto assume nella solidificazione una determinata configurazione o trama (figura o testura), che è diversa secondo la specifica diversità delle materie, ma in ciascuna di esse esattamente la medesima.58
In questo passo, dunque, Kant si serve della teoria del calorico per dar conto
della causa da cui scaturisce il fenomeno della cristallizzazione. La materia che si separa
istantaneamente nella solidificazione è un quantum di calorico e questo processo
soggiace alla trasformazione dell’acqua in ghiaccio o alla formazione di sali e pietre.
Anche la generazione di cristallizzazioni minerali viene spiegata da Kant in questi
termini e a questa si aggiunge che il criterio per giudicarle, ovvero per classificarle, si
basa sulla particolare testura interna che mostrano.59
Come si vedrà anche nel prossimo capitolo, dedicato in parte alla ricostruzione
del quadro storico scientifico dell’epoca kantiana, l’importanza dell’influsso della
cristallografia e degli studi sull’elettricità e il magnetismo, è determinante per la stesura
della terza Critica e per l’elaborazione dell’epistemologia kantiana. Il termine chiave
Textur, utilizzato in queste pagine della KdU è, infatti, preso dal vocabolario scientifico
dell’epoca. Nella scienza dei materiali, questo indica la distribuzione degli orientamenti
cristallografici di policristalli. Quando in alcuni minerali o metalli, formati da molteplici
cristalli, l’orientamento cristallografico non è casuale, ma mostra un ordine con un
orientamento preferenziale, allora questo possiede una testura, cioé una strutturazione
preferenziale interna orientata. La testura è stata spesso rappresentata geometricamente
usando una figura ad assi, in cui uno specifico asse o polo cristallografico è tradotto in
una proiezione stereografica, lungo tutte le direzioni utili a definire la storia del
processo del materiale.
La perfezione e l’ordine che mostra la distibuzione degli assi dei cristalli, tanto
da poter essere tradotti graficamente dalla geometria, conduce Kant a sostenere che,
sebbene le formazioni minerali siano conosciute in base al processo meccanico che le ha
generate, eppure esse ammettono anche un giudizio estetico, proprio in virtù della
perfezione che mostrano, ad esempio, nella perfetta proporzione matematica eseguita
58 KdU, KGS V, p. 348. 59 Per argomentare questo punto Kant si serve anche di un esempio che riguarda la siderurgia, in particolare Kant si riferisce all’esperimento della spillatura, usato nel processo di lavorazione dell’acciaio. Nel XVIII secolo la spillatura iniziava ad essere utilizzata nel Continente. Questa è la tecnica utilizzata per l’estrazione della ghisa fusa. La ghisa è una lega ferro-carbonio prodotta da una serie di processi chimici e termici. Grazie alla formazione di monossido di carbonio (CO), avviene una reazione di FeO+CO, e si separa l’ossigeno dal ferro presente nei minerali. Durante il processo di lavorazione l’ossido di carbonio si scinde in anidride carbonica e in carbonio libero (C), producendo molto calore. Questi processi di lavorazione venivano considerati cruciali in chimica, per la teoria del calorico e per quella del flogisto. Cfr. KdU, KGS V, p. 349: “In taluni metalli, che esternamente si erano induriti dopo la fusione, mentre all’interno erano ancora fluidi, si é osservato qualcosa di simile grazie alla spillatura”.
136
nella formazione del ghiaccio dai piccoli raggi che si connettono tra loro secondo angoli
di 60 gradi.60
Fig. 3.1 Wulff net usato nella descrizione geometrica della testura.
Così cristalli, come l’aragonite o l’ematite “danno spesso configurazioni
estremamente belle, come solo l’arte potrebbe mai escogitare” e “la magnificenza della
grotta di Antiparo è semplicemente il prodotto di acqua che filtra attraverso uno strato di
gesso”.61
È a questo punto che il discorso kantiano acquista un notevole interesse:
In generale, secondo ogni apparenza, il fluido è più antico del solido e le piante, così come i corpi animali, sono costituite di materia nutritiva fluida, in quanto questa si forma in quiete.62
Salta subito agli occhi che Kant vorrebbe applicare la teoria del calorico anche
agli esseri viventi così da unificare il regno animale, vegetale e minerale sotto un
medesimo principio fisico di spiegazione: la legge universale dell’affinità delle
materie.63
Qui si ha evidenza di due criteri per la classificazione degli esseri viventi. In
primo luogo, essi devono possedere un interno e un esterno, che possano costituire un
sistema di riferimento al cui interno un fluido è in quiete, così da garantire una
trasformazione dello stato di aggregazione della materia. In secondo luogo, è bene
notare che Kant sta qui proponendo un criterio storico per giudicare i processi naturali e
che riguardano non solo la storia del pianeta Terra, che si sarebbe formato da una massa
fluida successivamente raffreddata e solidificata, ma anche gli organismi sarebbero
soggetti a questo processo di perdita di calorico. Il filo rosso dell’argomentazione
kantiana conduce ad una duplice considerazione della generazione naturale, una
meccanica e una tecnica, come ha sostenuto C. Ferrini in L’organizzazione
60 KdU, KGS V, p. 349. 61 KdU, KGS V, p. 349. 62 KdU, KGS V, p. 349. 63 KdU, KGS V, p. 349.
137
dell’inorganico.64 In sostanza, di fronte alla questione di come sia possibile che la
materia allo stato fluido possa essere ritenuta dotata di un principio interno di
autorganizzazione, Kant avrebbe trovato una soluzione nel significato materiale di
organizzazione,65 nella sua composizione chimica rispondente a principi empirici che
dessero conto della varietà delle materie l’una in relazione alle altre.66
Ma c’è una precisazione da fare sul piano epistemologico e che lo stesso Kant
compie in queste pagine. Risulta di capitale importanza la distinzione tra una posizione
che chiameremo di idealismo estetico (IE) e quella di realismo teleologico (RT) nel
giudicare la natura e i suoi prodotti. Questa differenza acquista valore se si pensa anche
all’attuale modalità di scelta di modelli scientifici di spiegazione che tengono conto non
solo dell’efficacia applicativa di strumenti matematici, ma anche della bellezza, della
simmetria e dell’eleganza che un modello esprime.
Senz’altro Kant lega il giudicare estetico con l’attività scientifica secondo un
principio di IE:
Ora, come i vapori acquei disciolti in un’atmosfera, che è una miscela di diversi tipi di gas, generano, quando quelli si separano da questi per perdita di calore, figure di neve che, secondo la diversità della precedente miscela di gas, hanno spesso figura estremamente bella che spesso appare fatta proprio ad arte, così si può ben pensare, senza nulla togliere al principio teleologico del giudicare dell’organizzazione, che per ciò che riguarda la bellezza dei fiori, delle penne degli uccelli, delle conchiglie, sia nella loro forma che nel loro colore, questa possa essere ascritta alla natura e alla sua capacità di formarsi, pur in modo esteticamente a scopi, nella sua libertà, senza scopi determinati a ciò diretti, secondo leggi chimiche, mediante la deposizione della materia richiesta per l’organizzazione.67
Questo approccio connota la posizione IE come quella secondo cui si pone a
fondamento del giudizio estetico il principio dell’idealità della conformità a scopi nel
bello della natura, come principio soggettivo che riposa sul libero gioco
dell’immaginazione e che considera il modo in cui apprendiamo la natura e le sue
forme.
Come si nota immediatamente dal passo precedente questa posizione
epistemologica di IE permette la coesistenza del giudicare estetico, secondo conformità
a scopi, con una spiegazione meccanica attraverso leggi empiriche della chimica per
quel che riguarda gran parte dei processi organici ed inorganici osservabili.
64 C. Ferrini, L’organizzazione dell’inorganico: Naturzweck e affinità chimica negli sviluppi del pensiero kantiano, in Filosofia e scienze, a cura di G. Gembillo e G. Cotroneo, Cosenza 2005, pp. 240-257. In particolare, pp. 244-245. 65 Ferrini (2005), pp. 256-257. 66 Cfr. Lettera di Kant a Sömmering, 10 agosto 1795. 67 KdU, KGS V, p. 349.
138
A questa posizione si accosta quella di RT, più difficile da conciliare con un
modo di spiegazione meccanico, nel senso che questa giudica teleologicamente,
secondo un principio del realismo, una certa predisposizione originaria diretta a scopi
presente negli organismi e nei vegetali.68
La posizione di RT nasce dalla seguente
premessa che investe la concezione kantiana di causalità e il concetto di scopo naturale
(che non ha alcuna realtà oggettiva), a cui non possiamo non ricorrere nel giudicare
riflettente:
[…] Non solo non si può stabilire se cose della natura, considerate come scopi naturali, richiedono per la loro generazione una causalità di tipo del tutto speciale (quella secondo intenzioni), oppure no, ma non si può neppure porre la questione, perché il concetto di uno scopo naturale non è attestabile secondo la sua realtà oggettiva mediante la ragione (cioè non è costitutivo per la facoltà determinante di giudizio, ma è solo regolativo per quella riflettente). Che non lo sia è però chiaro per il fatto che esso, come concetto di un prodotto della natura, comprende in sé, proprio nella stessa cosa come scopo, e necessità naturale e però nello stesso tempo una contingenza della forma dell’oggetto (relativamente a semplici leggi della natura).69
La posizione di RT assume il concetto della conformità della natura a scopi nei
suoi prodotti, senza guardare alla determinazione degli oggetti stessi. RT rispecchia un
principio soggettivo della ragione per la facoltà di giudizio e non per l’intelletto (per
questo può sorgere l’apparente conflitto tra giudicare riflettente e determinate). In
quanto regolativo, questo principio vale per la facoltà umana di giudizio, come se (als
ob) fosse un principio oggettivo. Dunque, si vede che il “necessario contingente”, di cui
si parla continuamente nelle pagine della terza Critica, in fondo non riguarda
direttamente gli organismi come prodotti naturali, bensì la costituzione stessa delle
facoltà umane.70
Come si è sottolineato nel paragrafo precedente, Kant ricorre al concetto di
tecnica della natura e di sostrato intelligibile per trattare unitariamente la natura nella
sua generazione di diverse specie e prodotti:
Quale elemento in natura mostra una conformità interna a scopi più
della nostra capacità intellettiva e razionale di proiettare fini e di agire secondo idee?
Quindi il naturalista per non lavorare in pura perdita, deve sempre porre a fondamento, nel giudicare le cose il cui concetto come scopi naturali è indebitamente fondato (cioè gli esseri organizzati), una qualche organizzazione originaria che utilizza quello stesso meccanismo per produrre altre forme organizzate o per sviluppare le proprie in nuove configurazioni (che però conseguono sempre da quello scopo e conformemente ad esso).71
68 KdU, KGS V, p. 350. 69 KdU, KGS V, p. 396. 70 Cfr. KdU, KGS V, pp. 420-21. 71 KdU, KGS V, p. 418.
139
Ora, lo stesso concetto di scopo naturale e quello di conformità della natura a
scopi, in quanto sono principi regolativi,72
non hanno altra funzione che quella di
svelare la contingenza del nostro intelletto, ma anche la libertà, l’autonomia del giudizio
secondo principi supremi a priori della ragione:
Questo elemento distintivo sta però nel fatto che l’idea citata [quella di scopo naturale] è un principio della ragione non per l’intelletto, ma per la facoltà di giudizio, ed è quindi solo l’applicazione di un intelletto in genere a oggetti possibili dell’esperienza; e precisamente: là dove il giudizio può essere non determinante, ma solo riflettente, l’oggetto è quindi dato, sì, nell’esperienza, ma su di esso, conformemente all’idea, neanche si può giudicare determinatamente (per non dire in modo completamente adeguato), ma ci si può solo riflettere. Si tratta dunque di una peculiarità del nostro (umano) intelletto riguardo alla facoltà di giudizio, nella riflessione di questa su cose della natura.73
È a questo punto che Kant svela la sua strategia per una determinazione per via
negativa delle facoltà. In questo senso acquista valore la critica che Salomon Maimon
aveva rivolto a Kant proprio sulla mancanza di un fondamento per la determinazione
delle fonti conoscitive. In effetti, non c’è un fondamento oggettivo e positivo per la
determinazione della costituzione dell’intelletto e della sensibilità. La “deduzione”
kantiana poggia su un principio negativo, sulla possibilità di comparare il modo di
procedere nel giudicare la causalità in natura del nostro intelletto, limitato, discorsivo e
contingente con un altro intelletto diverso, e superiore al nostro:
Ma, se le cose stanno così, allora deve stare a fondamento l’idea di un intelletto possibile diverso da quello umano (così come nella Critica della ragione pura dovevamo pensare un’altra intuizione possibile, se si doveva ritenere la nostra come una specie particolare, cioè quella per cui gli oggetti valgono solo come fenomeni), in modo che si possa dire: certi prodotti della natura debbono, secondo la particolare costituzione del nostro intelletto, essere considerati da noi, nella loro possibilità, generati intenzionalmente e come scopi, senza per questo pretendere che realmente ci sia una causa particolare che ha la rappresentazione di uno scopo come suo principio di determinazione, e quindi senza contestare che un intelletto diverso (superiore) da quello umano potrebbe trovare il fondamento della possibilità di tali prodotti della natura anche nel meccanismo della natura, cioè in un legame causale per il quale non viene non viene assunto in modo esclusivo un intelletto come causa. Ne va qui dunque del rapporto tra il nostro intelletto e la facoltà di giudizio, cioè del fatto che in ciò rinveniamo una certa contingenza della costituzione del nostro intelletto per farne un contrassegno della peculiarità di esso a differenza degli altri intelletti possibili.74
Il fondamento profondo di questa argomentazione risiede nella dottrina logica di
Kant e ha delle ricadute sulla visione dell’empirico come fonte continua di materiale per
l’esperienza.
72 KdU, KGS V, p. 404. 73 KdU, KGS V, p. 405. 74 KdU, KGS V, pp. 405-6.
140
La contingenza del nostro intelletto coincide con la contingenza dei vari modi
con cui si possono presentare alla percezione cose diverse che possono “convenire in
una nota comune”,75 cioè che possono essere concettualizzate. Il modo di procedere
dell’intelletto nella determinazione del particolare, laddove entra in gioco la facoltà di
giudizio assume il carattere secondo cui il particolare non viene determinato mediante
l’universale, sebbene questo particolare debba “armonizzarsi” con l’universale per
essere sussunto sotto leggi e concetti. Tale armonia “deve essere assai contingente e, per
la facoltà di giudizio, senza un principio determinato”.76
L’armonizzarsi della facoltà di giudizio con le leggi della natura è
rappresentabile dall’intelletto solamente grazie al “connettivo” (Verbindungsmittel)
costituito dagli scopi e il modo di procedere dell’intelletto – riguardo per esempio alla
causa di un prodotto – va dall’universale analitico (da concetti) al particolare
dell’intuizione empirica data. Sulla base di questa premessa, infatti, Kant prosegue:
Secondo la costituzione del nostro intelletto, invece, un tutto reale della natura deve
essere considerato solo come effetto delle concorrenti forze motrici delle parti. […] Ora poiché però il tutto sarebbe solo un effetto (un prodotto) la cui rappresentazione considerata la causa della sua possibilità, e il prodotto di una causa, il cui principio di determinazione è solo la rappresentazione del suo effetto, si chiama scopo, da ciò segue che è solo una conseguenza della particolare costituzione del nostro intelletto se noi ci rappresentiamo prodotti della natura come possibili secondo un tipo di causalità diverso da quello delle leggi naturali della materia, cioè solo secondo quella degli scopi e delle cause finali, e che questo principio non riguarda la possibilità di queste cose stesse (anche considerate come fenomeni) secondo questo tipo di generazione,ma solo il giudicare di esse che è possibile al nostro intelletto.77
Questo aspetto può essere tradotto dal piano logico a quello epistemologico e ha
delle ricadute evidenti sulla concezione della scienza della natura, laddove si pensa al
problema cosmologico di un tutto della materia o agli studi condotti sugli organismi.
È lo stesso Kant, sulla scorta di queste considerazioni, infatti, che riconosce il
limite nelle scienze naturali della spiegazione della natura, mediante una causalità
secondo scopi. L’esempio a cui Kant si richiama è proprio quello del tutto della materia,
che apre la via al problema dei manoscritti dell’Opus postumum. Nella terza Critica si
legge:
Ora, se consideriamo un tutto della materia, secondo la sua forma, come un prodotto
delle parti e delle sue forze, e della capacità di legarsi da sé (pensandovi anche altre materie che
75 KdU, KGS V, p. 406. 76 KdU, KGS V, p. 407. 77 KdU, KGS V, p. 407.
141
esse si scambiano l’un l’altra), allora ci rappresentiamo un tipo di generazione meccanico di quel tutto.78
Ma lo scopo del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla
fisica sarà anche quello di mostrare questa affermazione kantiana, che non poteva essere
data per scontata nel 1790. Ciò significa, come verrà mostrato nel dettaglio nel Capitolo
V, che la prova dell’esistenza dell’etere, corrisponde alla prova dell’esistenza di un
oggetto di ragione che è reale, in quanto universale e necessario sostrato del tutto delle
forze motrici della materia.
In sostanza, da un punto di vista epistemologico, Kant lega l’etere e le forze
motrici della materia attraverso il concetto di scopo. Così, il regno dei corpi organici e
quello dei corpi inorganici sono unificati dalla materia cosmica, secondo principi della
ragione,79
Nel secondo caso è il principio di spiegazione meccanico che deve essere
impiegato per dare conto dei fenomeni fisici, mentre nel primo caso Kant ritiene che
possa esserci la possibilità della coesistenza del giudicare secondo conformità a scopi e
della spiegazione meccanica. Quest’ultima può e deve essere perseguita nelle scienze
naturali, laddove si voglia spiegare il processo esterno della generazione di un corpo o
della natura in generale, ma laddove si voglia rinvenire il fondamento, come causa
interna, alla base della generazione, allora si deve presupporre un fondamento reale
soprasensibile e un principio della causalità mediante scopi.
in vista dell’unità dell’esperienza, sebbene da un punto di vista ontologico
non possa essere dimostrata e conosciuta direttamente l’esistenza di tale materia. È
infatti evidente che nella Critica della facoltà di giudizio Kant distingue il piano del
giudicare dell’esistenza, come prodotto di una causalità, dalla causalità stessa.
Quando si pensa alla rappresentazione di qualcosa che contiene il fondamento
dei movimenti nel mondo (essere soprasensibile come primo motore) e la relazione di
questo fondamento con questi movimenti, in quanto loro causa, non si conosce
minimamente questo essere soprasensibile, rappresentabile con l’idea di Dio. Come
risultato si ha solo uno schema vuoto di causa.
Di questo Kant aveva già trattato sia nella Deduzione trascendentale nella
Critica della ragione pura sia nella Critica della ragione pratica. Il rapporto di
78 KdU, KGS V, p. 408. 79 Cfr. KdU, KGS V, p. 409: “Allora, infatti, l’unità che costituisce il fondamento della possibilità delle formazioni naturali, sarebbe semplicemente l’unità dello spazio, che però non è il fondamento reale delle generazioni, ma solo la condizione formale di esse, sebbene abbia una qualche somiglianza con il fondamento reale che cerchiamo nel fatto che in esso nessuna parte può essere determinata senza un rapporto al tutto (la cui rappresentazione sta dunque a fondamento della possibilità delle parti)”.
142
fondamento e conseguenza, non può essere determinante per il giudizio di un contenuto
empirico, se non c’è appunto un contenuto intuitivo corrispondente nella percezione,
tanto che un essere soprasensibile non può essere né spazializzato né temporalizzato. Al
contrario:
Quando attribuisco forza motrice a un corpo e quindi lo penso mediante la categoria della causalità, nello stesso tempo in questo modo lo conosco, cioè determino il suo concetto in quanto oggetto in genere mediante ciò che gli spetta per sé (quale condizione di possibilità di quella relazione) in quanto oggetto dei sensi. Infatti, se la forza motrice che gli attribuisco è una forza repulsiva, gli spetta (sebbene io non gli ponga ancora accanto un altro corpo contro cui esso la eserciti) un luogo nello spazio e inoltre un’estensione, cioè uno spazio in esso stesso, oltre a ciò il riempimento di questo spazio mediante le forze repulsive delle sue parti, e infine anche la legge di questo riempimento (che il grado della repulsione delle parti debba diminuire nella stessa proporzione in cui l’estensione del corpo cresce e aumenta lo spazio che esso riempie con queste stesse parti mediante quella forza). 80
La trattazione del concetto di forza rispecchia, per ciò che riguarda la
spiegazione meccanica, quanto Kant aveva già affermato nei Principi metafisici della
scienza della natura e nella Critica della ragione pura.
Vi è però un ampliamento dell’analisi come naturale conseguenza della
trattazione della facoltà del giudizio e del principio di conformità a scopi. Oltre alle
forze motrici e meccaniche della materia, Kant introduce la legittimità del concetto di
forza formativa per i corpi organici e per la spiegazione della generazione delle specie,
purché non venga pretesa l’unità del fondamento del legame degli elementi esterni gli
uni agli altri in questi prodotti. Il concetto di forza non solo deve assumere una valenza
fisica, secondo cui è esercitata o si esercita su un corpo, ma anche una valenza
teleologica, ovvero essa è produttiva formativa e determina lo sviluppo, la produzione e
la riproduzione delle specie. La posizione di Kant su questo punto è inquadrabile in
modo più adeguato se si tengono presenti le teorie della sua epoca circa i processi
formativi dei corpi organici.
In particolare, è opportuno trattare brevemente l’idea di Buffon, che a
fondamento materiale della vita poneva le molecole organiche, una sorta di atomi vitali
indistruttibili che si aggregano e disgregano formando gli organismi. In base a questa
teoria, Buffon sviluppa una concezione biologica generale che, pur apparendo
speculativa, contribuì al superamento della concezione preformista della generazione e
condusse a una nuova teoria epigenetica dello sviluppo. Buffon, elaborando una
concezione già proposta da Pierre-Luis Moureau de Maupertuis, pensa che le molecole
80 KdU, KGS V, p. 483.
143
organiche contenute nel cibo vengano assimilate dai vari organi, dove subiscono
l’effetto di un’impronta, di uno stampo interno tipico di ciascuna specie. Le molecole
sovrabbondanti, raccolte negli organi genitali e quindi nel seme maschile e femminile,
si mescolano nel concepimento e ognuna si dispone a costituire l’organo corrispondente
a quello da cui deriva, spiegando in tal modo sia la somiglianza di un figlio con
ambedue i genitori sia i processi di rigenerazione.
Benché sostenitore della generazione spontanea, Buffon riteneva che il preciso
ordine delle molecole organiche e delle forze ad esse inerenti comportasse una costante
riproduzione della specie e concepva la specie come l’unico concetto valido nello studio
delle forme viventi. Buffon respinse, quindi, come artificiali tutte le categorie introdotte
per la classificazione, polemizzando in particolare con Linneo, che pose divisioni
arbitrarie nella natura, per sé caratterizzata da una continuità completa di tutte le forme
e di tutti i processi. Pur sostenendo questa continuità, che lega tutti i viventi alla
trasformazione storica della Terra, Buffon non accettò la concezione evoluzionistica,
proposta in particolare da Maupertuis; riteneva, infatti, che soltanto alcune specie
fossero derivate da altre, in genere per un processo degenerativo, e pensava che varietà e
razze fossero sorte per effetto del clima e delle condizioni ambientali. Così nella
Histoire naturelle de l'homme, e in altri scritti, sostenne l’unità della specie umana posta
in dubbio da vari contemporanei che tendevano a fare di ogni razza una specie distinta.
Nel §81 Kant dedica spazio alla discussione critica delle teorie dell’epoca
dell’occasionalismo, del prestabilismo e del preformismo. Riferendosi esplicitamente a
J. F. Blumenbach, però, Kant rivolge particolare attenzione alla teoria epigenetica, che
sembra meglio avvicinarsi all’approccio alla scienza naturale della terza Critica.
Infatti, agli occhi di Kant, la teoria dell’epigenesi considerava gli enti naturali
rappresentati originariamente come possibili solo secondo la causalità degli scopi –
come nel caso della procreazione – , ovvero come produttivi e non solo come
sviluppanti se stessi (autopoietici), senza appello all’azione divina. Per Kant l’epigenesi
affidava alla natura tutto ciò che segue il primo inizio, che la fisica fallisce nel
determinare attraverso pure forze meccaniche. In questo contesto, il concetto di forza
viene connotato come impulso, per meglio rendere l’idea di uno scopo formale a cui è
diretto lo sviluppo di certi caratteri ed elementi dell’organizzazione. Sulla teoria
epigenetica di Blumenbach, Kant si pronuncia come segue:
[Blumenbach] inizia ogni tipo di spiegazione fisica di queste formazioni a partire dalla
materia organizzata. Infatti, a buon diritto dichiara contrario alla ragione che la materia bruta si
144
sia originariamente formata da sé secondo leggi meccaniche, che dalla natura di ciò che è senza vita sia potuta sorgere la vita e che la materia si sia potuta comporre da sé nella forma di una conformità a scopi che si auto conserva; ma nello stesso tempo, sotto questo per noi inesplorabile principio di un’organizzazione originaria, lascia al meccanismo della natura una parte indeterminabile e però nello stesso tempo non disconoscibile, per cui la capacità della materia (a differenza della forza formativa semplicemente meccanica universalmente presente in essa) in un corpo organizzato (che sta per così dire sotto la superiore guida e istruzione di quella organizzazione) è da lui chiamata impulso formativo.81
Come anticipato nel primo capitolo della ricerca, nell’Opus postumum Kant
modificherà ancora il concetto di forza, tentando di unificare forze organiche e
meccaniche della materia connotando tale concetto come forza produttiva, segnando
l’abbandono definitivo del concetto di forma per la definizione di forza organica e
dunque svincolando la nascente biologia, ma anche parte della fisica dal fattore spaziale
per la determinazione delle caratteristiche della materia organica.
Sarà proprio nell’Opus postumum, infatti, che Kant ricorrerà al concetto di
energia (Energie), oltre che a quello di forza (Kraft), di fronte alla necessità di una
spiegazione di fenomeni elettrici e magnetici, che venivano rilevati all’epoca per via
sperimentale e attraverso la presupposizione di determinate proprietà della materia.
81 KdU, KGS V, p. 425.
PARTE III
LA COSMOLOGIA E LA FISICA DEGLI ANNI ’90
146
CAPITOLO IV
IL PROBLEMA DELLA MEDIAZIONE: LA FISICA
SPERIMENTALE E IL CONCETTO DI FORZA
Premessa
Seguendo il percorso tracciato nei capitoli precedenti, si può passare ora
all’analisi delle fonti e dell’influsso esercitato su Kant dagli scienziati a lui
contemporanei. Attraverso questo capitolo si giunge alla parte conclusiva di questa
ricerca, ovvero alla trattazione della prova dell’esistenza dell’etere dell’Opus postumum
passando per la filosofia della natura degli anni ’90.
Spesso si è indagata la natura della ripresa da parte di Kant in epoca tarda di
temi squisitamente precritici. L’interpretazione proposta nei capitoli precedenti ha
voluto evidenziare la forte connessione tra la fase precritica e quella degli anni ’90
attraverso i concetti chiave di forza e materia, inquadrati nel problema cosmogonico e
cosmologico che, infatti, come un fiume carsico pervade le opere di Kant fino agli
ultimi anni di vita. In questo capitolo, verranno presi in considerazione innanzitutto
alcuni scritti critici minori kantiani – Über die Vulkane im Monde (1785) e Etwas über
den Einfluss des Mondes auf die Witterung (1794) – e alcuni manoscritti del Passaggio
dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica. Cercheremo così di
argomentare che proprio lo sviluppo della fisica sperimentale, dell’astronomia e della
chimica hanno condotto Kant a lavorare, ancora negli anni ’90, sulla materia e ad
147
implementare la sua teoria cosmologica e cosmogonica, indicando nella matematica lo
strumento della ragione per l’inverarsi di principi metafisici della scienza della natura.
4.1 Il contesto di riferimento
J. L. Heilbron in Elements of Early Modern Physics ha sostenuto che nel XVIII
secolo si diffuse un nuovo valore semantico del termine “fisica”, grazie all’opera di
Voltaire in Francia e di ‘sGravesande in Olanda. A questo termine, in contrasto con il
punto di vista aristotelico dominante, venne dato il significato di “filosofia naturale
confermata da esperimenti”.1
Ancora nella prima metà del secolo, diversi approcci si contendevano la
diffusione del sapere scientifico. In particolare, in Germania, si riscontrava l’originalità
dell’approccio di Hamberger
2 e la rigidità e il dogmatismo dell’impostazione di Wolff e
Krüger, che davano pochissimo spazio alla fisica sperimentale e alla biologia. Gli
Anfangsgründe der Naturlehre di Erxleben (1772) furono il punto di riferimento per due
generazioni che si formarono in Germania.3
Come ricorda giustamente Heilbron, in Germania fu di fatto Lichtenberg ad
introdurre l’uso sistematico dell’esperimento nell’insegnamento della fisica nelle
università, ad aver promosso il testo di Erxleben, incoraggiando così indirettamente
anche la diffusione dei dizionari fisici dell’epoca, quello di Gehler, prima, e quello di
Fischer, poi.
Questo manuale, che venne adottato anche
da Kant, era il più completo e trattava le materie allora considerate standard: il moto, la
gravità, l’elasticità, la coesione, l’idrostatica, la pneumatica, l’ottica, il calore,
l’elettricità, il magnetismo, l’astronomia elementare e la geofisica.
Il sistema newtoniano si era diffuso in Europa e, sebbene la seconda legge del
moto avesse incontrato diverse resistenze in Germania, lo stesso Kant non poté esimersi
dal confrontarsi con essa sin dalla sua tesi di laurea. L’idea di Newton, come ricorda
Heilbron, era la seguente:
The whole business of philosophy seems to consists in this – from the phenomena of
motions to investigate the forces of nature, and then from these forces to demonstrate the other
1 J. L. Heilbron, Elements of Early Modern Physics, Berkeley-Los Angeles 1982, p. 6. 2 Heilbron (1982), p. 7. Heilbron ritiene che gli Elementa Physicae di Hamberger fossero il luogo dove rintracciare lo shift semantico proprio perché si ripudiava un concetto di fisica come studio di tutte le cose naturali. Il 1700 è il secolo in cui la fisica si apprestava a divenire scienza in senso proprio, distinguendo il suo dominio. 3 Heilbron (1982), p. 8.
148
phenomena. […] To investigate the forces of nature means to infer mathematical propositions about forces, somehow known to exist; to demonstrate the other phenomena means to compare quantitative data with logical consequences of the propositions. If the procedure succeeds, the propositions, according to Newton, must be regarded as true; for (they) are deduced from phenomena and made general by induction: which is the highest evidence that a proposition can have in this philosophy.4
Questo procedimento newtoniano era quanto di più distante dall’impostazione
filosofica dominante in Germania e, di fatto, il Newton che si studiava al tempo era
quello legato alla fisica sperimentale dell’Ottica, nonché mediato dai fisici olandesi,
‘sGravesande e Musschenbroek. In ogni caso le leggi del moto e la formula della gravità
erano perfettamente conosciute da Kant, ma all’inizio egli non trasse le sue conoscenze
dalla prima e dalla terza edizione dei Principia, né attinse direttamente da essi per la sua
formazione fisica. L’influenza della metafisica leibniziana, dell’Ottica di Newton, delle
riviste scientifiche, della fisica sperimentale legata alla pneumatica, agli studi sul calore
e sui fluidi hanno giocato un ruolo di primo piano nella gestazione della teoria kantiana
della materia. Di questo si possono vedere gli effetti nella produzione precritica.
Tuttavia, il quadro di riferimento che qui si vuole sviluppare mira
all’identificazione di alcuni grandi temi scientifici che hanno inevitabilmente
influenzato la riflessione kantiana di epoca critica e di cui si ha traccia fino alle ultime
pagine manoscritte.
a) Dalla termologia alla termodinamica
Nella prima metà del Settecento vi furono numerosi studi sul perfezionamento di
strumenti come il termometro per la misurazione dei gradi del calore. Quest’ultimo
concetto riuniva genericamente sia la sensazione termica che il calore. Mentre i fisici si
occupavano della misura del calore, i chimici si occupavano della natura del calore.
Le due teorie dominanti erano quella cinetica (sostenuta da Bacone e Keplero e
ripresa da Eulero nel 1738) e quella sostanziale che associava il calore all’elemento
“fuoco”.5
Daniel Bernoulli propugnò la teoria cinetica dei fluidi elastici, o gas, nella quale
il calore interveniva come un acceleratore di molecole gassose, ma senza spiegarne bene
il meccanismo. Da Bernoulli trasse spunto Lomonosov per la sua teoria, che sì
4 Heilbron (1982), pp. 38-39. 5 Cfr. M. Gliozzi (2005), Storia della fisica, Torino 2005, p. 416. Kant a volte sembra abbracciare una teoria complementare, che ammette cioè sia una posizione sostanzialista che cinematica, cfr. Kant, Opus postumum, trad. it. a cura di V. Mathieu, Bari 2004, p. 112.
149
affermava gli urti elastici bernoulliani, ma come fenomeno secondario, conseguente
all’attrazione newtoniana e al moto rotatorio degli atomi. Con la teoria di Bernoulli era
possibile indicare che il meccanismo che consente di percepire il moto è il calore.6
Nell’Hydrodynamica, che Kant possedeva,
7 Bernoulli sosteneva che le particelle
dei gas sono in rapido movimento in tutte le direzioni8 e che gli spazi che un fluido
elastico occupa sono in ragione inversa della forza elastica del gas, confermando la
legge di Boyle. Secondo Bernoulli, inoltre, la temperatura aumenta la velocità delle
particelle e la forza espansiva del gas risulta proporzionale al quadrato dell’aumento
della velocità, perché con l’aumentare della temperatura aumentano sia il numero di
urti, sia l’intensità di ciascuno. Gli studi sull’elasticità dei fluidi compiuti da Bernoulli
sono rilevanti per la comprensione della visione kantiana dell’elasticità della materia
cosmica e del suo grado di rarefazione, che lo porterà a rievocare in epoca tarda il
concetto di forza viva.9
Ma nel XVIII secolo la teoria cinetica fu offuscata da quella fluidistica di più
facile e immediata comprensione e che trovò un ‘felice connubio’ con la teoria del
flogisto di Stahl (1660-1734). Il flogisto era concepito come un fluido speciale presente
nei corpi combustibili e nei metalli, il quale all’atto della combustione o della
calcinazione, cioè dell’ossidazione, si libera dal corpo e si manifesta sotto forma di
calore. La riduzione, invece, consiste nella restituzione al corpo del flogisto di cui era
stato privato. Il flogisto non era calore, ma quando si liberava dai corpi produceva
calore. La teoria perciò non si identificava con la teoria sostanziale del calore.
Per ora è sufficiente aggiungere che la ripresa del termine “forza
viva”, in epoca tarda, non ha nulla a che fare con l’uso che Leibniz ne faceva e che Kant
discusse nel periodo precritico. Nell’Opus postumum questo termine va ad indicare
l’energia (Energie) e, come si vedrà nei prossimi paragrafi, risulta un concetto chiave
per la spiegazione di taluni comportamenti della materia.
Lavoisier fece tramontare la teoria del flogisto, ma diede maggior vigore alla
teoria sostanziale del calore, ponendo il calorico tra gli elementi.10
6 Gliozzi (2005), p. 419.
Nel suo trattato di
meteorologia del 1786, De Luc aveva condotto esperimenti sul calore latente e aveva
modificato, sulla scorta delle osservazioni di Black e Watt, la teoria di Le Roy:
l’evaporazione non è una soluzione di acqua in aria, ma una soluzione di acqua in
7 Questo è testimoniato da Warda. 8 D. Bernoulli, Hydrodynamica, sive de viribus et motionibus fluidorum commentarii, Argentorati 1738, pp. 200-203. 9Cfr. infra, Capitolo II, §2.5. 10 Fu Lavoisier che diffuse la teoria e la nomenclatura del calorico nel suo Traité elementare de chimie.
150
calore.11
Proprio sul fenomeno della vaporizzazione Kant si era da sempre documentato,
come traspare dalle opere precritiche, con il riferimento agli esperimenti di chimica di
Boyle, e come viene ribadito nel breve saggio del 1785 Über die Vulkane im Monde,
dove il fenomeno è esplicitamente legato all’attrazione chimica che soggiace alla
formazione dei pianeti per attrazione cosmologica.
Lavoisier prendendo spunto da queste affermazioni di De Luc sostenne nel
Traité elementare de chimie, présenté dans un ordre nouveau, et après les découvertes
modernes del 1789 che l’evaporazione è una soluzione di liquido parzialmente in aria e
parzialmente in calorico. Mentre l’evaporazione di un liquido in ebollizione è un
fenomeno differente, nel senso che la parte di liquido disciolta in aria è quasi
trascurabile rispetto alla parte di liquido disciolta nel calorico. Lavoisier pertanto
propose di chiamare il primo fenomeno evaporazione e il secondo vaporizzazione.
12
Tra il 1750 e il 1781 la fisica era riuscita a distinguere il concetto di calore da
quello di temperatura, aveva scoperto e misurato il calore di fusione e di evaporazione,
aveva formulato il concetto di capacità termica e aveva introdotto due metodi di misura
tutt’ora utilizzati. Eppure, scienziati come Black, De Luc, Laplace e Lavoisier
lamentavano la mancanza di un linguaggio specialistico condiviso che permettesse di
evitare gli equivoci.
Di questo si trova conferma nel fatto che l’uso, che Kant stesso fa, del termine
“calore” o “calorico” (Wärmestoff) non è univoco e le tesi che spesso vengono riportate
sulla sua aderenza alla teoria di Lavoisier sono inesatte. Si consideri uno degli esempi
trattati nel Capitolo III: nella terza Critica Kant parla della perdita nella cristallizzazione
di “un quantum di calorico”. Si nota come Kant avesse sì presente la teoria fluidistica di
Lavoisier, ma confrontando questi passaggi con i manoscritti più tardi, lo stesso Kant
ondeggiava tra una posizione sostanzialista e una non sostanzialista. Inoltre, come
mostrano numerosi passaggi, per spiegare l’elasticità della materia, Kant aderì anche
alla spiegazione di Bernoulli, che sosteneva invece la teoria cinetica anziché quella
fluidistica.
Un dato è però certo: la fisica sperimentale e la chimica hanno largamente
influenzato la produzione kantiana, tanto che si può trovare un sincretismo nella sua
posizione mediatrice tra l’impostazione sostanzialista e quella cinetica, a dimostrazione
11 De Luc, Idées sur la Météorologie, London 1786-1787, vol. I, p. 83. 12 Ci sono numerosi riferimenti alla teoria di Lavoisier nella tarda produzione kantiana che lasciano intendere la sua adesione alla nuova proposta dello scienziato francese. Cfr. Kant, Die Metaphysik der Sitten, KGS VI, p. 207.
151
del fatto che la concezione kantiana dello spazio-tempo e della forza mirava ad una
possibile fondazione per entrambe queste impostazioni.
Sebbene non fosse ancora una scienza sistematica, la chimica era la disciplina da
cui poteva provenire il materiale per l’adempimento del più alto compito della scienza
della natura: la spiegazione della molteplice varietà della natura. Per questa ragione è
molto probabile che Kant si aggiornasse costantemente sugli studi di chimica e che
avesse letto, oltre a Vegetable Staticks di S. Hales, già in epoca precritica, il Mémoire
sur le chaleur di Lavoisier e Laplace, pubblicato nel 1780 e riedito nel 1784. Vale la
pena in questa sede avanzare l’ipotesi che proprio da quest’opera Kant trasse spunto per
modificare ed approfondire alcuni aspetti della sua teoria della materia.13
Proprio al Mémoire occorre dedicare particolare attenzione, anche per un’altra
ragione: i principi della negazione della logica leibniziana sono utilizzati da Lavoisier in
relazione all’approccio empirico ed euristico del metodo della “nuova chimica”. In
particolare la struttura argomentativa ed espositiva mostra l’uso costante del principio
leibniziano “non est non est est non”,
Il quarto
articolo del Mémoire è intitolato “Della combustione e della respirazione”, ed è quasi
del tutto opera di Lavoisier. In questo articolo l’autore riprende un suo precedente
lavoro sulla combustione intitolato Mémoire sur la combustion en général (1779), in cui
aveva criticato la teoria del flogisto e, come testimoniano i riferimenti a Crawford negli
scritti minori, Kant mostrava vivo interesse per le teorie sulla respirazione e la
combustione per una definizione del ruolo giocato dai processi chimici sia sui corpi
inorganici che organici.
14
Non si può escludere che Kant avesse letto il Mémoire, che oltre a vantare un
linguaggio chimico, permetteva un’agile consultazione e soprattutto fu l’opera che sancì
l’inizio, sebbene come fallimento, di un percorso di unificazione delle teorie del calore
in un’unica teoria del calore. Il punto cruciale consiste nel fatto che in quest’opera i due
che si differenzia dall’uso della negazione nel
procedimento probatorio che invece usa Laplace. Lavoisier impiega principi logici
come “non est non est est non” per assecondare la sua attenzione all’empirico e
all’euristica. Attenzione che assecondò anche Leibniz, il quale, come Lavoisier, aveva
avuto una formazione nell’ambito della giurisprudenza.
13 Lavoisier-Laplace, Mémoire sur la Chaleur, in Histoire et Mémoires de l’Académie Royale de Sciences, Paris 1784, pp. 355-408. Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 243; 406; 625 ; KGS XXII, pp. 205-206. In queste pagine ci sono chiari riferimenti allo scienziato francese. 14 Per la teoria leibniziana della negazione cfr. W. Lenzen, 'Non est' non est 'est non'. Zu Leibnizens Theorie der Negation, in Studia Leibnitiana, 18, 1986, pp. 1-37 (1986); W. Lenzen, 'Unbestimmte Begriffe' bei Leibniz, in Studia Leibnitiana, 16, 1984, pp. 1-26. Cfr. W. Lenzen, Calculus universalis : Studien zur Logik von G. W. Leibniz, Paderborn 2004.
152
scienziati proposero con forza la matematizzazione della teoria fluidistica sulla base
della semplice osservazione che qualunque sia la causa che produce la sensazione di
caldo, essa può aumentare o diminuire di grado, e perciò essere soggetta al calcolo.
Non deve stupire, leggendo queste pagine, la forte analogia con quanto Kant
scrisse nella Critica della ragione pura, circa le Anticipazioni della percezione: il grado
è lo schema del tempo di un qualcosa nella sensazione accompagnato da coscienza e
suscettibile di essere valutato come grandezza intensiva.
Soprattutto alla luce di questa impostazione dominante nella scienza della fine
del XVIII secolo, non deve stupire che nell’Opus postumum, nel formulare la prova
dell’esistenza dell’etere, Kant intendesse unificare il sistema del tutto delle percezioni
del senso esterno e del senso interno con quello delle forze motrici della materia, grazie
allo strumento della matematica, capace sia di discretizzare la materia sia di
rappresentarla come un continuo.15
Il Mémoire riveste una grande importanza storica per vari motivi: è l’indice di un
lento avvicinamento della nuova chimica di Lavoisier alla fisica; è interessante da un
punto di vista sperimentale, perché descrive apparati fondamentali per la storia della
calorimetria; è importante anche dal punto di vista teorico, perché confronta le due
ipotesi sulla natura del calore che erano alla base di due teorie antagoniste, e sulle quali
i due autori avevano opinioni differenti. Sulla base degli studi di A. Drago e A. Venezia
condotti sul testo di Laplace e Lavoisier, si possono comprendere le ragioni che
spingeranno Kant a una rivisitazione del concetto di forza viva nell’Opus postumum.
Il Passaggio dai principi metafisici della scienza
della natura alla fisica, se pubblicato, sarebbe stato assolutamente in linea con il
dibattito che riguardava le scienze sperimentali e la chimica dell’epoca.
La prima ipotesi sulla natura del calore presa in considerazione da Lavoisier e
Laplace, viene introdotta dicendo che “la maggior parte dei fisici16 credono che il calore
sia un fluido che è distribuito in natura e penetra in maniera diversa tutti i corpi a
secondo della loro temperatura e della loro capacità a trattenerlo”.17 La seconda ipotesi
è presentata dicendo che “altri [fisici] invece credono che il calore altro non sia che il
moto invisibile delle molecole della materia”.18
L’esposizione di questa ipotesi alternativa, nota oggi come teoria cinetica del
calore, è da attribuirsi a Laplace e probabilmente riflette la sua preferenza a quel tempo.
15 Cfr. infra, Capitolo V. 16 Tra cui si riconosceva anche Lavoisier. 17 Mémoire, p. 10. 18 Mémoire, p. 10.
153
Tutti i corpi, così come sostenuto anche da Newton nell’Ottica, sono pieni di vuoti e
questo vuoto è di gran lunga superiore alla materia del corpo stesso. Questo spazio
vuoto permette alle particelle dei corpi di muoversi (oscillando solamente) in tutte le
direzioni.
Per sviluppare questa ipotesi, secondo Laplace e Lavoisier, esiste una legge
generale, che i “geometri” chiamano principio di conservazione della forza viva,
secondo la quale in un sistema di corpi interagenti la forza viva, cioè il prodotto di
ciascuna massa per il quadrato della velocità, è costante. Se due corpi a differente
temperatura sono messi a contatto, all’inizio la forza viva delle rispettive molecole non
è la stessa, ma gradualmente la forza viva delle molecole del corpo più freddo aumenta,
mentre quella delle molecole del corpo più caldo diminuisce, fino a che le molecole di
entrambi i corpi raggiungono mediamente la stessa velocità. In questa formulazione
della teoria del calore, come suggeriscono Drago e Venezia, Laplace avrebbe applicato
allo studio del moto delle particelle microscopiche i concetti basilari della meccanica
dei corpi celesti.
In realtà la teoria cinetica del calore era stata già proposta da Huygens e Leibniz.
Laplace potrebbe essere stato influenzato in questa scelta da questi o dalla lettura della
già menzionata Hydrodinamica di D. Bernoulli, in cui l’autore ipotizza che il calore sia
associato con il moto delle particelle per dimostrare che in un fluido, a volume costante,
la pressione è proporzionale alla temperatura.
Lavoisier e Laplace, in un passo del loro articolo, dichiarano di voler evitare
scientemente di decidere quale delle due ipotesi sia quella giusta:
Noi non decideremo tra le due ipotesi precedenti; molti fenomeni sembrano favorevoli alla seconda; per esempio, quello del calore prodotto dallo strofinio di due corpi solidi; ma ci sono altri fenomeni a cui si applica più semplicemente la prima ipotesi; può anche essere che esse hanno luogo tutte e due alla volta.19
Quindi, secondo Lavoisier e Laplace, gli esperimenti non permettono di
scegliere univocamente tra le due ipotesi, ma, “poiché non si possono formulare sulla
natura del calore altre ipotesi che non siano le due menzionate, si devono ammettere
quei principi che ad esse sono comuni; allora, seguendo sia l’una che l’altra, in una
miscela semplice di corpi la quantità di calore libero resta sempre la stessa. [Questo
principio] è evidente se il calore è visto come un fluido che tende a portarsi
all’equilibrio [termico], mentre se il calore è visto come la forza viva risultante dal
19 Mémoire, p. 12.
154
movimento interno della materia, questo principio è una conseguenza di quello della
conservazione della forza viva”.20
Quindi, compatibile con entrambe le ipotesi è un principio di conservazione di
carattere generale: la quantità totale di calore di un sistema di corpi isolato
termicamente si conserva, sia che il calore sia visto come una sostanza materiale, che
non si crea e non si distrugge, sia che sia visto come risultante delle forze vive, che si
conservano. Questo principio, secondo Lavoisier e Laplace, è in primo luogo
indipendente dalle due ipotesi sul calore e può essere generalmente ammesso da tutti i
fisici.
In secondo luogo, “esso si può esprimere in una forma ancora più generale
[dicendo che] tutte le variazioni di calore, sia reali che apparenti, alle quali è sottoposto
un sistema di corpi nei cambiamenti di stato, se riprodotte nell’ordine inverso, fanno sì
che il sistema ritorni nello stato iniziale”.21
A conclusione di questa sezione Lavoisier e Laplace affermano che, data
l’ignoranza sulla natura del calore, questo non può essere valutato che in base
all’osservazione dei suoi effetti.
Il modo con cui Lavoisier e Laplace hanno affrontato il problema della natura
del calore offre alcuni spunti di riflessione riguardo il rapporto tra la componente
sperimentale e i principi di una teoria scientifica.
Infatti, una questione fondamentale sollevata dal Mémoire, è quella
dell’indecidibilità tra due tesi, ovvero che in certi casi è impossibile decidere tra due
principi antagonisti (le due ipotesi sulla natura del calore in questo caso) attraverso la
sola componente sperimentale. Questa impossibilità di decidere con un esperimento tra
due ipotesi antagoniste si è proposta nella storia della scienza anche nel caso delle due
ipotesi, quella ondulatoria e corpuscolare, circa la natura della luce, che nel XVII secolo
stavano alla base di due distinte teorie ottiche, quella di Huygens e quella di Newton:
entrambe mostravano una validità da un punto di vista sperimentale.
Come rilevano anche Drago e Venezia, alla fine del XIX secolo, Poincaré,
prendendo spunto proprio da queste due teorie, ha formulato una riflessione generale sul
rapporto tra gli esperimenti e i principi fisici, attribuendo all’incertezza del metodo
20 Mémoire, p. 12. 21 Mémoire, p. 13. Oggi si sa che questa affermazione è valida solo per sistemi di corpi soggetti a forze conservative e a fenomeni reversibili.
155
induttivo l’impossibilità di avere un’unica soluzione teorica, a partire da meri risultati
sperimentali: da qui sarebbe sorta la sua “soluzione” convenzionalista.22
Infatti, quando in un esperimento, oltre alla legge fisica da verificare, sono
coinvolte ulteriori assunzioni o ipotesi aggiuntive, se il test sperimentale è negativo, lo
scienziato può scegliere se rifiutare la legge fisica, oppure accettare la legge fisica e
rifiutare le ipotesi aggiuntive. In altri termini, secondo Poincaré, non esiste
l’esperimento cruciale, che da solo sia sufficiente a verificare la teoria.
Oltre alle osservazioni di Poincaré, la constatazione di Lavoisier e Laplace,
secondo cui “può essere che [le due ipotesi] hanno luogo tutte e due alla volta”,23
A questo punto è opportuno domandarsi se Lavoisier e Laplace fossero
veramente d’accordo sulla formalizzazione della teoria. Per risolvere questo problema
storico, posto dal Mémoire, è utile seguire il filo conduttore di due elementi
fondamentali per l’interpretazione di una teoria scientifica. Il primo riguarda la scelta
della logica, che soggiace all’organizzazione della teoria. In tre articoli del Mémoire gli
enunciati fondamentali della teoria del calore e delle sue proprietà vengono presentati
attraverso una doppia negazione, seguendo palesemente il principio non est non est est
non.
richiama, secondo Drago e Venezia, anche un’altra teoria fisica in cui questa
impossibilità sperimentale di decidere tra due ipotesi antagoniste è stata assorbita nella
teoria come un dualismo della natura: l’ipotesi corpuscolare e quella ondulatoria che ha
trovato nella Meccanica Quantistica una formulazione in termini di un principio più
generale, quello di complementarietà. Lavoisier e Laplace avrebbero risolto il problema
della natura del calore con una strategia molto simile, formulando un principio
matematico più generale e astratto (il principio di conservazione del calore libero), che
risultava compatibile con entrambe le ipotesi formulate. In altre parole, la parte
informale della teoria resta sperimentalmente indecisa; Lavoisier e Laplace, pur
sostenendo ognuno un’ipotesi diversa, anche per motivi di carattere filosofico, sono,
però, d’accordo sulla formalizzazione del problema: la parte formale della teoria, quella
matematica, è in grado di smussare le differenze filosofiche di partenza.
L’altro elemento fondamentale riguarda la matematica che può essere basata
sull’infinito in atto, ad esempio gli infinitesimi del calcolo differenziale di Newton, o
22 H. Poincaré, La Scienza e l'Ipotesi (1902). Trad. it. a cura di G. Porcelli, Bari 1989; Il Valore della Scienza (1905). Trad. it. a cura di F. Albergàmo, Firenze 1994; Scienza e metodo (1908). Trad. it. a cura di C. Bartocci, Torino 1997. 23 Mémoire, p. 12.
156
costruttiva, basata solo sull’infinito potenziale, ad esempio la matematica “elementare”
della termodinamica di Carnot, oppure quella della chimica. Seguendo questo tipo di
interpretazione, le due ipotesi sulla natura del calore, su cui divergono Lavoisier e
Laplace, possono essere distinte utilizzando l’opzione sul tipo di logica adottata.
Infatti, l’analisi linguistica del Mémoire rivela la presenza di alcune frasi
doppiamente negate in tre dei quattro articoli pubblicati:
− Articolo I:
I.1) “Altri fisici pensano che il calore non può non essere
I.2) “
che il risultato del
movimento insensibile delle molecole” (Mémoire, p. 10).
Non si possono formare altre ipotesi sulla natura del calore che non siano
I.3) “[Il calore]
le due menzionate” (Mémoire, p. 12).
non può essere che
I.4) “
la forza viva che risulta dal movimento
interno della materia” (Mémoire, p. 12).
Non vi è alcuna cosa che non indichi
I.5) “Data l’ignoranza che abbiamo sulla natura del calore,
a priori che il calore libero sia lo
stesso prima e dopo la combinazione” (Mémoire, p. 13).
non possiamo fare
altro che non sia osservarne
gli effetti” (Mémoire, p. 14).
− Articolo III:
III.1) “Per costruire una teoria completa del calore, occorrerebbe avere un
termometro… che può misurare tutti i gradi di temperatura possibile. Occorrerebbe
conoscere la legge che esiste tra il calore delle diverse sostanze e i gradi corrispondenti
del termometro… sarebbe inoltre necessario conoscere il calore assoluto contenuto in
un corpo ad una data temperatura. Infine occorrerebbe sapere la quantità di calore libero
che si forma o si perde in una combinazione o decomposizione. Con questi dati sarebbe
possibile risolvere tutti i problemi relativi al calore;…ma questi dati non si possono
ottenere se non
III.2) “Gli esperimenti dell’articolo precedente non danno i rapporti di quantità
assolute [=non relative] del calore dei corpi [danno rapporti relativi].
con un numero quasi infinito di esperimenti molto delicati e fatti a
gradi molto diversi di temperatura” (Mémoire, p. 40-41).
157
III.3) [Gli esperimenti] non fanno conoscere altro che non sia
III.4) “Occorrerebbe supporre che queste quantità siano proporzionali alle loro
differenze; ma questa ipotesi è alquanto precaria, e
il rapporto di
quantità di calore necessarie per elevare di uno stesso numero di gradi la temperatura”
(Mémoire, p. 42).
non può essere ammessa se non
dopo numerose esperienze” (Mémoire, p. 42).
− Articolo IV:
IV.1) “Fino a poco tempo fa, sul fenomeno del calore nella combustione e la
respirazione non si avevano idee che non fossero
IV.2) “L’esperienza ha mostrato che i corpi
vaghe e molto imperfette ” (Mémoire,
p. 57).
non possono bruciare e gli animali
respirare se non
IV.3) “l’opinione più generalmente diffusa non attribuisce a questo fluido
[l’aria]
per mezzo dell’aria atmosferica” (Mémoire, p. 58).
altri compiti che non siano
IV.4) “L’aria non agisce affatto in questi fenomeni [combustione e respirazione]
come una semplice causa meccanica [=non chimica], ma come principio di nuove
combinazioni.” (Mémoire, p. 58).
quello di rinfrescare il sangue” (Mémoire, p. 58).
IV.5) “Tutto ciò che riguarda la combustione e la respirazione si spiega, sotto
queste ipotesi [l’aria come agente], in una maniera così naturale e così semplice che non
esiterò a proporla, se non come una verità dimostrata, almeno come una congettura
molto verosimile e degna dell’attenzione dei fisici.” (Mémoire, p. 58-59).
In questi tre articoli la parte sperimentale è introdotta da considerazioni generali,
di carattere speculativo: è solo in queste parti che si trovano enunciati con doppia
negazione. Nei paragrafi introduttivi, invece, si formulano ipotesi e principi per i quali
non è detto ci sia una verifica sperimentale diretta; per questo motivo non è detto che la
doppia negazione affermi.
Una seconda osservazione riguarda l’uso delle doppie negazioni fatto da
Lavoisier e da Laplace. Nell’articolo IV, che Guerlac attribuisce interamente a
Lavoisier, si trova la proposizione IV.1 che è la definizione, mediante una doppia
negazione, di due problemi operativamente fondati e centrali nella teoria del calore, cioè
la combustione e la respirazione. La frase IV.2 è un principio metodologico mediante il
158
quale Lavoisier cerca di risolvere i due problemi posti nella IV.1. L’autore non asserisce
che “I corpi possono bruciare e gli animali respirare per mezzo dell’aria atmosferica”. In
questo stadio della sua trattazione, Lavoisier non ha ancora l’evidenza sperimentale per
poter affermare questo principio in generale; per poter avanzare però nella ricerca e
trovare un metodo di soluzione per il suo problema principale ricorre alla doppia
negazione.
Le frasi successive sono altri principi metodologici che specificano il principio
IV.2, il quale non poteva essere reso vero sopprimendo semplicemente le due negazioni.
Nella proposizione IV.4, posta a conclusione di questa linea di ragionamento, Lavoisier
rifiuta esplicitamente, per il fenomeno della combustione e della respirazione, il
modello meccanico basato sul concetto di causa (che era invece alla base della teoria dei
moti celesti di Newton e di Laplace).
Il risultato, che non ha alcuna evidenza sperimentale, è una “congettura
verosimile”, a favore della quale l’autore può addurre, provvisoriamente, solo motivi
logici. Con essa si riesce ad esprimere in maniera “naturale e semplice”, così come è
espresso nella IV.5, ogni fenomeno riguardante la combustione e la respirazione. La
IV.4 non è dunque un assioma, a partire dalla quale vengono dedotte altre proposizioni.
Lavoisier ammette la IV.4, anche se non la può dimostrare, e prosegue ad analizzare
mediante questo principio alcuni esperimenti, mostrando che essi non lo contraddicono.
In questo modo ne verifica indirettamente la validità.
Nell’articolo III, che secondo Guerlac, è interamente frutto di Laplace, si nota
invece un uso differente delle doppie negazioni. Nella III.1 vengono enumerate quattro
condizioni astratte e generalissime, indispensabili per risolvere tutti i problemi relativi
al calore. Nella proposizione c’è l’elenco dei requisiti che dovrebbe possedere una
teoria “completa” del calore. In questo caso Laplace tenta di proporre un’organizzazione
totalmente deduttiva della teoria del calore. I requisiti citati da Laplace sono dei veri e
propri postulati, riguardanti l’esistenza di un termometro universale, la conoscenza di
una relazione generale tra la temperatura misurata da un termometro e il calore
posseduto dal corpo, la conoscenza del calore assoluto di ogni sostanza ad una data
temperatura e la conoscenza del calore scambiato in qualsivoglia composizione o
decomposizione di corpi.
L’organizzazione della teoria presa a modello consiste nel voler far discendere
tutta la teoria da pochi postulati generalissimi. C’è una sostanziale differenza tra l’uso
delle doppie negazioni da parte di Lavoisier e da parte di Laplace. In Lavoisier la doppia
159
negazione sta all’inizio della trattazione e serve ad esprimere un principio
metodologico, che nella forma affermativa è operativamente non verificabile. Per
Laplace la doppia negazione è posta al termine di una tentata assiomatizzazione della
teoria e serve a sancire l’impossibilità sperimentale di tale formulazione; l’autore ricorre
ad un ragionamento per assurdo (III.1) di fronte all’impossibilità di proseguire la
trattazione con la deduzione classica.
Nel Mémoire, il progetto di Lavoisier e Laplace di rifondare la chimica mediante
il metodo assiomatico, “il metodo dei geometri”, è lontano dall’essere realizzato. La
formalizzazione matematica della teoria del calore è ancora limitata ad un principio di
conservazione su cui i due autori convergono, ma con le ambiguità precedentemente
esaminate riguardo all’oggetto che si conserva.
Per le parti restanti del Mémoire, Lavoisier e Laplace organizzano la teoria in
due modi sostanzialmente diversi.
Il Mémoire fu, quindi, una collaborazione riuscita solo sul piano sperimentale,
mentre fallì sul piano teorico, essendo troppo eterogeneo nelle sue parti. Invece di
segnare l’incontro della nuova chimica con la fisica, come sostenuto da Guerlac,24
Tuttavia, sembra proprio la consapevolezza del fallimento del programma del
Mémoire a guidare Lavoisier ad un progetto di teoria alternativo a quello tradizionale di
Laplace.
esso
rappresentava solo un tentativo, non riuscito, di Laplace di riorganizzare la chimica
secondo il modello newtoniano, quindi, secondo quella che nella Francia del XVIII
secolo era considerata la scienza per eccellenza. Guerlac sostiene che a questo progetto
abbia continuato a lavorare lo stesso Lavoisier anche negli anni seguenti al 1784, non
riuscendo a portare a termine i suoi studi.
Infatti, a seguito del Mémoire, non vi sono altre collaborazioni sperimentali tra
Laplace e Lavoisier. Inoltre dopo il 1784 Lavoisier abbandonerà il progetto di una teoria
chimico-fisica, sia legata alla matematica della meccanica, sia basata sul modello
deduttivo.25
24 H. Guerlac, Chemistry as a branch of Physics. Laplace’s collaboration with Lavoisier, in Historical Studies of Physical Sciences, vol. 7, pp. 193-276, 1976; H. Guerlac, Quantification in Chemistry, in Isis, 52 (168), 1961, pp. 194-214.
Nel suo Traité élémentaire de chimie egli esprime esplicitamente dei dubbi
25 Laplace, invece, nel 1796, due anni dopo la morte di Lavoisier, scrive Exposition du système du monde, in cui nel capitolo XVIII intitolato De l’attraction moleculaire dichiara che tutte le combinazioni chimiche sono il risultato di forze; la forza molecolare attrattiva è la causa dell’aggregazione delle molecole; lo studio di queste forze è l’obiettivo principale della scienza chimica. In sostanza, il programma di Laplace è che tutti i problemi chimici possono e devono ridursi a quelli meccanici nella scala del microscopico. In una breve nota egli avverte, però, le difficoltà sperimentali che ancora sono presenti per la completa attuazione di questo programma. Le varie forze attrattive, infatti, dovrebbero
160
sulla possibilità di poter spiegare tutta la chimica in termini di affinità e forze
molecolari, così come sosteneva invece Laplace.
L’assunto di fondo della nuova chimica di Lavoisier è espresso da una frase
doppiamente negata che non afferma: “Non è vero che la materia è divisibile
all’infinito”. Usando la logica classica, in cui la doppia negazione equivale ad una
affermazione, si dovrebbe poter dire: “La materia è divisibile al finito.”
Questa proposizione non è operativamente giustificata. Tuttavia, la negazione
della stessa frase, cioè “La materia non è divisibile al finito” è evidentemente falsa,
perché l’esistenza delle analisi chimiche non concorda con l’enunciato.
Solo la doppia negazione definisce bene il concetto alla base della nuova
chimica e, nella forma di un principio metodologico, indica come risolvere il problema
di quali siano i costituenti della materia. Lavoisier, dunque, punto di riferimento del
Kant maturo, esce fuori dallo schema deduttivo classico, ma soprattutto sembra meglio
incarnare la posizione kantiana, riportata nel Capitolo II, secondo cui la divisione della
materia procede sin dove arriva il processo divisorio.
In conclusione, tornando al Mémoire, come osserva Gliozzi,26
Il fatto che ancora nelle pagine dell’Opus postumum, Kant ripresenti il concetto
di forza viva, sebbene sotto altre spoglie, è sicuramente anche il segno del suo effettivo
confronto con la termologia dell’epoca e con la fisica sperimentale.
i due scienziati,
che avevano due visioni differenti – Lavoisier era un sostenitore della teoria fluidista e
Laplace di quella meccanicista – giunsero a una conclusione di sintesi secondo cui, in
condizione di equilibrio termico, i raggi luminosi hanno impulso inapprezzabile
(proporzionale alla semplice velocità), mentre producono calore proporzionale al
quadrato della velocità. In queste pagine è in nuce l’applicazione della forza viva come
ciò che lega calore, temperatura e movimento, dunque, come la base per il passaggio
dalla termologia alla termodinamica e premessa per lo sviluppo del concetto di
“lavoro”.
27
dipendere dalla forma e dalla posizione delle molecole, in modo tale che tutti i fenomeni chimici possano essere spiegati in termini della legge fisica dell’attrazione universale. Ancora una volta Laplace considera una limitazione essenziale: l’impossibilità sperimentale di conoscere forma e distanza tra le molecole rende la fisica dei corpi terrestri ancora lontana dal grado di perfezione raggiunta dalla fisica celeste con la legge di gravitazione universale.
In secondo luogo,
il confronto di Kant con Lavoisier non inizia certamente solo nel 1789, bensì proprio a
seguito della pubblicazione del Mémoire e della diffusione delle teorie di Crawford, che,
come si vedrà in seguito, Kant aveva presenti almeno dal 1785.
26 Cfr. M. Gliozzi (2005), p. 429. 27 Cfr. infra, §4.5.
161
b) Gli studi di Lichtenberg ed Aepinus
Uno dei primi fisici, in Germania, ad introdurre sistematicamente esperimenti
nelle sue lezioni, fu Lichtenberg, una delle figure più conosciute e rispettate nei circoli
europei dell’epoca.28 Lichtenberg intrattenne rapporti con Kant,29 ma anche con Goethe
e Volta. Nel 1777 Lichtenberg costruì un elettroforo30 per generare elettricità statica con
l’induzione. Con questo strumento scoprì il principio che è alla base della moderna
xerografia e viene anche ricordato oggi come uno dei precursori della fisica del plasma.
Scaricando un punto di alto voltaggio vicino a un isolante, Lichtenberg rilevò uno
schema particolare a tre rami nella polvere fissata: queste figure di Lichtenberg sono
considerati oggi come i primi esempi di frattali.31
Le figure risultano ramificate e diversificate. La forma e l’estensione delle figure
può rivelare la presenza di un campo elettrico, la sua intensità, la posizione e la polarità
di elettrodi a punta. Il fatto che le figure fossero orientate lasciava intravedere il legame
tra gli studi sull’elettricità e il magnetismo con la cristallografia.
Con esperimenti condotti
all’università di Gottinga (1777), Lichtenberg osservò la formazione di figure diverse in
diverse condizioni di carica. Anche Alessandro Volta volle osservare i suoi esperimenti,
tra l’altro contemporanei a quelli di Franklin sui fulmini. Tali figure si possono
facilmente ottenere usando talco in polvere su lastre isolanti con diverse configurazioni
elettrodiche.
28 Fu anche uno dei docenti di Karl Friedrich Gauss. La sua fama gli valse nel 1793 l’elezione a membro della Royal Society. Come fisico si ricorda oggi per la sua indagine sull’elettricità che lo condusse alla scoperta di quelle che oggi sono chiamate ‘figure di Lichtenberg’. 29 Numerosi sono i riferimenti a Lichtenberg nella produzione kantiana. Di lui Kant parlava anche a lezione, come testimoniano le pagine della DanzikerPhysik, KGS XXIX, vol. 1.1, p. 98. cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 6; 30; 39; 41; 43; 45; 52; 69; 7; 96; 98; 127; 130; 131; 135; KGS XXII, pp. 55; 126. 30 Uno dei più grandi mai costruiti: aveva un diametro di 2 metri e poteva produrre scintille di 38 cm. 31 Le figure di Lichtenberg sono descritte dettagliatamente nella sua memoria Super nova methodo motum ac naturam fluidi electrici investigandi, in Göttinger Novi Commentarii, Göttingen 1777.
162
Figura 4.1. Esempio di figura di Lichtenberg in 3D.
Figura 4.2. Esempio di figura di Lichtenberg in 2D.
Lichtenberg oltre ad essere stato uno dei primi docenti universitari a introdurre
gli studi di Benjamin Franklin in Germania, nel 1784 curò la ripubblicazione del
manuale di J. C. Erxleben, Anfangsgründe der Naturlehre. Kant conosceva i risultati
delle ricerche di Lichtenberg e apprezzava i suoi studi. Il suo interesse era motivato dal
fatto che le figure di Lichtenberg mostravano la possibilità di aprire una via alla
geometrizzazione dei fenomeni elettrici e alla prova dell’esistenza delle forze di
attrazione e repulsione.
Come mostrano le Figure 4.1 e 4.2, gli studi di Lichtenberg, proprio come gli
studi di cristallografia, a cui Kant fa riferimento nella terza Critica, fornivano ancora
una prova di come la natura sia organizzata non solo in forme ordinate e misurabili, ,ma
anche in forme armoniche e simmetriche.
La matematizzazione dei fenomeni elettrici era un tema caro anche a U. T.
Aepinus (1724-1802), che già nel Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi (1759)
163
cercò di dare una veste matematica alla sua teoria, senza però ottenere particolari
successi.32
Aepinus fece diverse riflessioni molto proficue per l’avanzamento degli studi dei
fenomeni elettrici. In particolare scoprì nel 1756 quello che in epoca più tarda si sarebbe
chiamata la piroelettricità.
Tuttavia di Aepinus restano le sue osservazioni e i suoi esperimenti: un vero
e proprio patrimonio per la fisica dell’epoca.
33
Alla base dei primi esperimenti di Aepinus c’era l’impiego della tormalina, una
pietra che, se scaldata su carboni, attira e respinge alternativamente le ceneri circostanti.
Sebbene anche Eulero avesse avuto il sospetto che si trattasse di un fenomeno di natura
elettrica, fu di Aepinus la scoperta che tale fenomeno elettrico si produceva per
riscaldamento e la tormalina elettrizzata mostrava sempre una sua estremità elettrizzata
positivamente e l’altra negativamente.
34
Nel 1759 nel Tentamen dimostrò attraverso un esperimento che anche i metalli si
elettrizzano per strofinio, sebbene ancora non avesse stabilito che la distinzione tra
conduttori e non conduttori non è la triboelettricità inerente ai metalli, ma
semplicemente la loro conduttività.
Come sottolinea Gliozzi “le modalità del fenomeno di influenza elettrostatica
rilevate da Aepinus potevano prestarsi, oltre ogni intenzione dello scienziato, come
valido argomento alla teoria dei due fluidi, proposta nello stesso anno da Symmer”.35
Questa polemica divise gli scienziati e diede linfa vitale agli studi sui fenomeni
elettrostatici. Grazie alle osservazioni di Cigna, che aveva preso parte alla polemica,
Volta inventò l’elettroforo, prototipo della macchina a influenza e in grado di rilevare
piccole cariche.
Quest’ultima invenzione, tra l’altro, indusse Lichtenberg a compiere le sue
prime ricerche sui semiconduttori e alla costruzione delle famose figure.
Ma andiamo ad analizzare i principi che Aepinus pose alla base della sua
trattazione matematica:
1) Ogni corpo possiede nel suo stato naturale una ben determinata
quantità di elettricità.
2) Le particelle del fluido elettrico si respingono tra loro e sono attratte
dalla materia ordinaria.
32 Gliozzi (2005), p. 459. 33 Cfr. Gliozzi (2005), p. 456. La scoperta di Aepinus fu possibile in base a diverse osservazioni ed esperimenti ripetuti sulla base di quelli di Nollet e Franklin. 34 Sulla polemica suscitata da queste osservazioni, cfr. Gliozzi (2005), p. 458. 35 Gliozzi (2005), p. 461.
164
3) I fenomeni elettrici si manifestano quando un corpo possiede fluido
elettrico in più o in meno di quello che gli compete allo stato naturale.
Analoghi principi valgono per il magnetismo. Aepinus era infatti sostenitore, al
contrario di Volta, di una teoria “unitaria” di elettricità e magnetismo.
Aepinus supponeva che le forze tra le cariche elettriche fossero proporzionali
alle cariche stesse, ma indipendenti dalla loro distanza e dalla loro distribuzione nei
conduttori. Per Aepinus le forze dipendevano sì dalla distanza, ma, ignorando la legge
di variazione, non ne volle tenere conto. Dunque ammise come postulato quello che
anche Coulomb più tardi sostenne: la forza tra due cariche elettriche è proporzionale al
loro prodotto.
L’ipotesi di Aepinus fu tenuta in considerazione da Cavendish, che nel 1771
sostenne che l’attrazione tra le cariche elettriche è inversamente proporzionale a una
potenza di una distanza, non specificata.
Questa ipotesi implicava che l’azione elettrica si estendesse a distanza infinita,
mentre le concezioni teoriche del tempo prevedevano l’esistenza di “atmosfere” e che
l’azione elettrica si manifestasse entro il breve spazio del corpo elettrizzato.
Aepinus rifiutò la teoria delle “atmosfere” e più tardi Cavendish concluse che le
forze elettriche devono potersi esplicare con una forza inversamente proporzionale a
una potenza della distanza di esponente minore di 3.
Riguardo al magnetismo invece il panorama delle teorie dell’epoca si
configuravano così: la teoria cartesiana dei vortici,36
La teoria unitaria sosteneva l’unicità del fluido elettrico, mentre la teoria
dualistica ammetteva l’esistenza di due fluidi magnetici che si separerebbero
all’estremità nell’atto della calamitazione. Osservazioni, che Coulomb
ormai screditata, a cui però aderì
Eulero, subiva l’avanzamento della teoria unitaria di Aepinus e della contrapposta teoria
dualistica.
37
36 Cfr. Heilbron (1982), pp. 25-26.
condusse
successivamente, mostrarono che l’esperienza contraddiceva entrambe le teorie, se esse
fossero state prese di per sé, dogmaticamente.
37 Cfr. Gliozzi (2005), p. 495. In particolare, anche se Gliozzi non lo ricorda, si noti come queste esperienze di fatto mostravano la possibilità di un monopolo e di un dipolo elettrico e l’impossibilità invece di trovare un monopolo magnetico, sfida ancora aperta per la fisica contemporanea.
165
W. Bonsiepen ricorda le modifiche che Aepinus e Volta apportarono alla teoria
di Franklin.38
Kant cita Aepinus in più luoghi della sua produzione, sebbene vi sia uno studio
di A. Nordmann, che sostiene l’influenza di Aepinus su Kant già nel saggio del 1763,
Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen:
In particolare, preme sottolineare come Aepinus credeva che anche ai
fenomeni dell’elettricità soggiacesse una legge come quella newtoniana per cui sia il
magnetismo che l’elettricità agiscono in proporzione inversa al quadrato della distanza.
To be sure, KANT (1763), pp. 33 f. deals with polarity and electricity without referring
to Symmer. Instead, he takes his cue from Aepinus’s “unitarian” assumptions (see above, end of § II) which maintain the universality of repulsion between all particles of matter.39
Aepinus assume un ruolo di primo piano per lo studio della teoria della materia
di Kant, in quanto pone notevole interesse ed attenzione alla forza repulsiva nei
fenomeni elettrici.40
Se già nel 1756 Kant parlava della sfera delle monadi fisiche e dell’azione
esercitata dalla repulsione con una misura proporzionale all’inverso del cubo della
distanza, è nel saggio del 1763 che Kant riconosce effettivamente il merito
dell’approccio di Aepinus nel voler unificare magnetismo e elettricità, ma soprattutto
ritiene che dai fenomeni elettrici e magnetici possa essere trovata la legge che esprime
in termini matematici la repulsione.
Kant, inoltre, mostrava interesse per la teoria di Aepinus, perché questa era
compatibile con la presupposizione di un medium materiale, ovvero l’etere, capace di
spiegare molteplici fenomeni in natura.41
Kant era fermo sostenitore, infatti, non solo dell’esigenza di un’unità sistematica
dei fenomeni naturali, ma anche che questa passasse sia attraverso principi
trascendentali, sia attraverso un loro corrispettivo materiale.
38 W. Bonsiepen, Die Begründung einer Naturphilosophie bei Kant, Schelling, Fries und Hegel, Frankfurt am Main 1997, p. 236. 39 A. Nordmann, From “Electricity Minus” to “-E”: Attempts to Introduce the Concept of Negative Magnitude into Worldly Wisdom, in Nuova Voltiana, Pavia 2003, p. 8 nota. 40 Nordmann, p. 4: “The second, empirical difficulty is more straightforward and had to be addressed. It concerns the mutual repulsion of negatively charged bodies, a phenomenon unaccounted for by Franklin’s theory: why should the mere lack of electrical fire give rise to a very definite repulsive force? Franz Ulrich Aepinus showed in 1759 that, for this and more principled reasons, Franklin’s theory had to be amended by the assumption that negatively electrified matter will repel similar matter. Though Franklin’s view as appended by Aepinus’s assumption is said to have currency even today, there is something obviously awkward and inelegant, if not ad hoc about this assumption”. 41 Kant, Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, KGS II, pp. 185-187.
166
Di questa esigenza kantiana si ha traccia in epoca critica anche in uno scritto
minore, ma che riveste grande importanza: Über die Vulkane im Monde.
4.2 L’influenza della fisica e della chimica in Über die Vulkane im Monde
Über die Vulkane im Monde è un breve saggio specialistico del 1785, scritto un
anno prima della pubblicazione dei Metaphysische Anfangsgrunde der
Naturwissenschaft. Possono essere svolte importanti considerazioni a partire dall’analisi
del breve trattato sulla natura e l’origine dei crateri riscontrati dalle osservazioni
telescopiche sul satellite terrestre. Si nota, infatti, che Kant si teneva costantemente
aggiornato sui risultati delle ricerche contemporanee in ambito astronomico, sugli studi
dell’elettricità e della chimica dei gas.
In questo scritto Kant si confronta con Herschel e Buffon, oltre che con
Beccaria, Aepinus, Crawford e Lichtenberg.
In particolare Kant era a conoscenza dei risultati della scoperta di Herschel di un
cratere lunare, pubblicati nel 1783 e basati sulle osservazioni del nipote di Beccaria e di
Don Antonio de Ulloa (1716-1795). Lo scritto kantiano è pervaso da una vena polemica
nei confronti di Herschel e della sua spiegazione sui dati raccolti. Kant, dopo aver
riportato le dimensioni dei dati osservati, nota che la lunghezza del diametro del cratere
lunare osservato è notevolmente inferiore a quella dei crateri terrestri. La critica di Kant
parte da un assunto metodologico: se il sistema osservato, la Luna, diviene oggetto di
indagine per analogia con la Terra, allora i dati riscontrati sul satellite devono essere
commisurati ai fenomeni della crosta terrestre, sia per natura che per dimensioni.
Le dimensioni del cratere osservato da Herschel sono incommensurabilmente
più grandi di quelle del cratere del Vesuvio, il cui diametro fu misurato da Della
Torre.42
Si rivela così la profonda osservazione critica di Kant nei confronti di Herschel,
non senza una punta di sarcasmo:
Alsdann aber hat Hrn. Herschel Beobachtung zwar die Idee von Vulkanen im Monde bestätig, aber nur von solchen, deren Krater weder von ihm noch von jemand anders gesehen worden ist, noch gesehen werden kann; hingegen hat sie nicht die Meinung bestätig, dass sie sichtbaren ringförmigen Konfigurationen auf der Mondsflache vulkanische Kraters waren. Denn das sind sie (wenn man hier nach er Analogie mit ähnlichen großen Bassins auf der Erde urteilen soll) aller Wahrscheinlichkeit nach nicht.43
42 Giovanni Maria della Torre pubblicò nel 1755 Storia e fenomeni del Vesuvio. 43 I. Kant, Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 71.
167
Secondo Kant, dunque, a partire non solo dal parametro della forma (Gestalt) ma
anche da quello della grandezza (Grösse), è necessario precisare che non c’è alcuna
prova diretta per stabilire che i crateri osservati da Herschel siano di natura vulcanica.
L’osservazione di Kant è quanto mai pertinente.
La causa che avrebbe generato una tale conformazione della crosta lunare non
risiede in un’eruzione vulcanica e sulla base degli attuali studi sappiamo che sono
entrati in gioco altri fattori nella determinazione della crosta lunare. Kant avanza
un’ipotesi in linea con la teoria fluidistica:
Ich denke: dass, wenn man sich die Erde ursprünglich als ein im Wasser aufgelöstes Chaos vorstellt, die ersten Eruptionen, die allerwärts, selbst aus der größten Tiefe entspringen mussten, atmosphärisch (im eigentlichen Sinn des Worts) gewesen sein werden. Denn man kann sehr wohl annehmen: dass unser Luftmeer (Aerosphäre), das sich jetzt über der Erdfläche befindet, vorher mit den übrigen Materien der Erdmasse in einem Chaos vermischt gewesen; dass es zusamt vielen andern elastischen Dünsten aus der erhitzten Kugel gleichsam in großen Blasen ausgebrochen; in diese Ebullition (davon kein Teil der Erdfläche frei war) die Materien, welche die ursprünglichen Gebirge ausmachen, kraterförmig ausgeworfen und dadurch die Grundlage zu allen Bassins der Ströme, womit als den Maschen eines Netzes das ganze feste Land durchwirkt ist, gelegt habe.44
La terra viene rappresentata originariamente come un caos di materiali disciolti
in acqua e le eruzioni verificatesi in questo stadio iniziale devono essere classificate
come eruzioni atmosferiche:
Also war die erste bildende Ursache der Unebenheiten der Oberfläche eine atmosphärische Ebullition, die ich aber lieber chaotisch nennen möchte, um den ersten Anfang derselben zu bezeichnen.45
In questo stadio primordiale di ebollizione in cui le sostanze dell’atmosfera
terrestre erano mescolate con altre sostanze della crosta si verificarono eruzioni da cui si
sarebbero formati sia le montagne che i bacini acquiferi. A questo punto Kant si
confronta con la tesi di Buffon,46
44 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 72
secondo cui i bacini d’acqua sarebbero sorti a seguito
45 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 73. 46 L'opera di Buffon diede un contributo decisivo alla geologia, alla biologia e alla filosofia della natura del Settecento. Alle descrizioni minuziose dei naturalisti del primo Settecento che ricercavano nella natura la perfezione meccanica del disegno divino, ricostruito nei termini di una scienza e di una filosofia di derivazione cartesiana, Buffon contrappose una visione plastica e immediata degli animali, specialmente quadrupedi e uccelli, più vicini all'esperienza applicata e quotidiana dell'uomo, e nello stesso tempo elaborò una nuova concezione della scienza e della natura, superando, sulla scorta di Newton e Locke, la concezione meccanicistica cartesiana: la materia non è passiva, ma attiva. La natura non deve quindi essere riportata a un disegno statico e prestabilito, ma a un ordine autonomo di leggi, a un processo continuo di interazione fra cause ed effetti che deve essere seguito risalendo al passato. In tal modo la storia naturale diviene storia della natura. La sua grande opera inizia infatti con una Histoire et théorie de la Terre, una trattazione geologica e cosmologica (integrata nel 1778 con le Époques de la
168
di alluvioni e grandi perturbazioni atmosferiche. L’idea di Kant è quella di avvalorare
un’ipotesi secondo cui alcune montagne si sarebbero formate a seguito di eruzioni.
Tuttavia le eruzioni vulcaniche non possono essere le uniche cause della conformazione
idrogeologica della terra e devono avere una datazione più tarda.47
Nonostante la vena polemica e le critiche di Kant alle tesi di Herschel e Buffon,
dal testo emerge l’importanza che essi ricoprono per l’elaborazione di una teoria
cosmogonica unitaria:
Der Nutzen nun, den der Gedanke obgedachter berühmter Männer haben kann, und den
die Herschelsche Entdeckung, obzwar nur indirekt, bestätigt, ist in Ansehung der Kosmogonie von Erheblichkeit: dass nämlich die Weltkörper ziemlich auf ähnliche Art ihre erste Bildung empfangen haben. Sie waren insgesamt anfänglich in flüssigem Zustande; das beweiset ihre kugelrunde und, wo sie sich beobachten lässt, auch nach Maßgabe.48
In questo contesto Kant abbraccia la teoria fluidistica per spiegare l’origine della
terra e dei corpi celesti e questo si traduce, come si è visto nelle pagine della terza
Critica, anche nell’applicazione della teoria del calorico alle formazioni cristalline e ai
composti chimici. Stabilita la medesima origine della formazione dei corpi celesti da
uno stato fluido generato dal calore, Kant afferma la necessaria esistenza di un elemento
originario (Wärmestoff) da cui potesse essere innescato il processo di formazione dei
pianeti.49 Si nota facilmente, dunque, che la presupposizione dell’esistenza di una
materia cosmica diffusa nell’universo non è certo una tematica pertinente ai manoscritti
dell’Opus postumum,50
nature) nella quale Buffon rompe con la cosmogonia mosaica e suppone che la Terra abbia ca. 75.000 anni e che la causa più importante delle sue trasformazioni non sia stato il diluvio biblico, ma l'insieme di fattori naturali che agiscono lentamente e tuttora, come il calore e l'erosione delle acque. Qui, tra l'altro, espone la nota ipotesi sull'origine della Terra staccatasi dalla materia incandescente del Sole per l'urto di una cometa e sulla cui superficie, raffreddatasi in epoche successive, la vita è sorta per effetto delle sole forze naturali.
ma permea tutta la produzione kantiana e ricopre un’ importanza
47 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 74: “Unter einem allgemeinen Ozean, wie Buffon will, und durch Seeströme im Grunde desselben lässt sich eine Wegwaschung nach einer solchen Regel gar nicht denken: weil unter dem Wasser kein Abfluss nach der Abschüssigkeit des Bodens, die doch hier das Wesentlichste ausmacht, möglich ist. Die vulkanischen Eruptionen scheinen die spätesten gewesen zu sein, nämlich nachdem die Erde schon auf ihrer Oberfläche fest geworden war. Sie haben auch nicht das Land mit seinem hydraulisch regelmäßigen Bauwerk zum Ablauf der Ströme, sondern etwa nur einzelne Berge gebildet, die in Vergleichung mit dem Gebäude des ganzen festen Landes und seiner Gebirge nur eine Kleinigkeit sind”. 48 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 74. 49 Si noti qui la variante che, però, è solo in forma di approfondimento delle tesi del 1755 in cui Kant parlava di affinità tra le molecole degli elementi e ascriveva la forza repulsiva e non attrattiva a tali processi chimici. In questo contesto Kant sta muovendo una forte critica a Buffon, accusandolo, sebbene implicitamente, di non spingere alle estreme conseguenze e di non dare un fondamento alla sua posizione. Buffon, infatti, faceva generare il calore che fluidificava la massa dei pianeti in formazione al calore del sole, ma non spiegava da dove derivasse il calore prodotto dal sole stesso. 50 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 301: “Alle Materien die jetzt fest sind, sind vorher geflossen gewesen. Das sieht man an Metallen, Steinen, vegetabilischen Produkten als Holtz Flachs, Hanf, oder animalischen Seide, Fleischfasern Knochen etc. Zum flüssigen Zustande aber ward vorher Wärmestoff
169
capitale per fondare la cosmologia kantiana. Dal 1755 Kant non aveva smesso di
interrogarsi sulla natura delle forze agenti in natura e si era interessato alla letteratura
scientifica che studiava per via sperimentale il comportamento elastico dei corpi, alla
teoria fluidistica, a quella dell’elettricità e alla chimica, poiché vedeva in queste la
possibilità di ritrovare una spiegazione delle molteplici forze naturali da unificare.
Kant puntualizza, infatti, che l’elemento originario, presente in forma di vapore
diffuso in tutto l’universo, ha formato i pianeti dapprima grazie all’attrazione chimica e
poi soprattutto grazie a quella cosmologica, generando un calore diffuso: Wenn man annimmt (welches auch aus andern Gründen sehr wahrscheinlich ist), dass
der Urstoff aller Weltkörper in dem ganzen weiten Raume, worin sie sich jetzt bewegen, Anfangs dunstförmig verbreitet gewesen, und sich daraus nach Gesetzen zuerst der chemischen, hernach und vornehmlich der kosmologischen Attraktion gebildet haben: so geben Crawfords Entdeckungen einen Wink, mit der Bildung der Weltkörper zugleich die Erzeugung so großer Grade der Hitze, als man selbst will, begreiflich zu machen. Denn wenn das Element der Wärme für sich im Weltraum allerwärts gleichförmig ausgebreitet ist, sich aber nur an verschiedene Materien in dem Maße hängt, als sie es verschiedentlich anziehen; wenn, wie er beweiset, dunstförmig ausgebreitete Materien weit mehr Elementarwärme in sich fassen und auch zu einer dunstförmigen Verbreitung bedürfen, als sie halten können, sobald sie in den Zustand dichter Massen übergehen, d. i. sich zu Weltkugeln vereinigen: so müssen diese Kugeln ein Übermaß von Warmmaterie über das natürliche Gleichgewicht mit der Warmmaterie im Raume, worin sie sich befinden, enthalten; d. i. ihre relative Wärme in Ansehung des Weltraums wird angewachsen sein.51
E’ evidente in questo passaggio il riferimento ad A. Crawford. Fisico e
professore di chimica a Londra, Crawford (1749-1795) scrisse nel 1779 Experiments
and Observations on Animal and Heat and the Inflamation of Combustible Bodies ...
etc.52
erfordert. Also ist alle Materie in welcher Relation die Theile derselben auch unter einander stehen mögen in solche doch immer zuerst durch jenen bewegenden Urstoff gesetzt worden“.
Crawford è tra i precursori della termodinamica e apparteneva agli esponenti della
teoria fluidistica. Questo approccio qualitativo al meccanismo di formazione dei corpi
viene ripreso da Kant nel testo, laddove afferma che la rarefazione originaria deve
dipendere dal grado di attrazione che unisce la materia diffusa nell’universo. Ma questa
attrazione a sua volta dipende dalla quantità della sostanza che forma il corpo. In sintesi
Kant concordava con Crawford che quanto più calore viene prodotto, tanto più è
51 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, pp. 74-75. 52 A. Crawford, Experiments and Observations on Animal and Heat and the Inflamation of Combustible Bodies ... etc London, 1779. Su questo si veda anche la nota di Adickes, KGS VIII, p. 477). Uscì anche una traduzione italiana Del calore animale e della combustione. Sperienze ed osservazioni di A. Crawford, trad. a cura di G. Venturoli, Bologna 1800; ristampa Bibliobazaar 2008. In particolare si veda in quest’ultima edizione per la composizione dell’atmosfera e le eruzioni vulcaniche p. 420; per l’attrazione chimica, pp. 256; 307-309.
170
presente la quantità di sostanza a cui il calorico può legarsi: il calore è direttamente
proporzionale alla quantità della sostanza.53
Oltre ad essere utile per comprendere la posizione kantiana nel panorama a lui
contemporaneo, questo breve testo svela uno dei principali intenti dell’indagine
kantiana. Kant intende perseguire un obiettivo che ritiene imprescindibile per la scienza,
ovvero, quello di fornire un principio di derivazione e spiegazione universale delle
eruzioni terrestri, ma anche lunari e solari:
Auch würde uns die gebirgichte Bildung der Oberflächen der Weltkörper, auf welche
unsere Beobachtung reicht, der Erde, des Mondes und der Venus, aus atmosphärischen Eruptionen ihrer ursprünglich erhitzten chaotisch = flüssigen Masse als ein ziemlich allgemeines Gesetz erscheinen. Endlich würden die vulkanischen Eruptionen aus der Erde, dem Monde und sogar der Sonne (deren Kraters Wilson in den Flecken derselben sah, indem er ihre Erscheinungen, wie Huygens die des Saturnringes sinnreich untereinander verglich) ein allgemeines Prinzip der Ableitung und Erklärung bekommen.54
Nell’ultima parte del saggio, la critica a Buffon si sposta sul piano dell’ipotesi di
derivazione idrografica del pianeta terra al suo metodo. Questa è una notevole
differenza rispetto allo scritto del 1755, in cui Kant consacrava le intuizioni della teoria
di Buffon, sia a livello naturalistico che cosmologico, come una delle più grandi che
l’umanità avesse conosciuto. Secondo Kant un approccio metodologico come quello di
Buffon non garantisce alcun avanzamento per la ricerca perché pone a fondamento di
processi naturali l’azione divina:
Wollte man hier den Tadel, den ich oben in Buffons Erklärungsart fand, auf mich
zurückschieben und fragen: woher kam denn die erste Bewegung jener Atomen im Weltraume? So würde ich antworten: dass ich mich dadurch nicht anheischig gemacht habe, die erste aller Naturveränderungen anzugeben, welches in der Tat unmöglich ist.55
Lo scritto si conclude nel pieno dello spirito della Critica della ragione pura e
delle conquiste della filosofia trascendentale. Grazie al catartico della ragione, alla
Dialettica trascendentale, Kant aveva rivelato che la natura come un tutto, sebbene mai
direttamente conoscibile, costituisce il problema da cui si origina il bisogno stesso della
ragione di ricercare l’origine, seguendo catene causali, di processi di volta in volta
53 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 75: “Da die letztere nun auf den Grad der Anziehung, die den zerstreuten Stoff vereinigte, diese aber auf die Quantität der Materie des sich bildenden Weltkörpers ankommt: so musste die Größe der Erhitzung der letzteren auch proportionirlich sein. Auf die Weise würden wir einsehen, warum der Zentralkörper (als die größte Masse in jedem Weltsystem) auch die größte Hitze haben und allerwärts eine Sonne sein könne; im gleichen mit einiger Wahrscheinlichkeit vermuten, dass die höhern Planeten, weil sie teils meistens größer sind, teils aus verdünnterem Stoffe gebildet worden als die niedrigern, mehr innere Wärme als diese haben können, welche sie auch (da sie von der Sonne beinahe nur Licht genug zum sehen bekommen) zu bedürfen scheinen”. 54 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 75. 55 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, pp. 75-76.
171
considerati dalla storia degli uomini e dalla storia della natura, che si trasforma
inevitabilmente in storia della scienza:
Dennoch aber halte ich es für unzulässig, bei einer Naturbeschaffenheit, z. B. der Hitze
der Sonne, die mit Erscheinungen, deren Ursache wir nach sonst bekannten Gesetzen wenigstens mutmaßen können, Ähnlichkeit hat, stehen zu bleiben und verzweifelter Weise die unmittelbare göttliche Anordnung zum Erklärungsgrunde herbei zu rufen. Diese letzte muss zwar, wenn von Natur im Ganzen die Rede ist, unvermeidlich unsere Nachfrage beschließen; aber bei jeder Epoche der Natur, da keine derselben in einer Sinnenwelt als die schlechthin erste angegeben werden kann, sind wir darum von der Verbindlichkeit nicht befreit, unter den Weltursachen zu suchen, so weit es uns nur möglich ist, und ihre Kette nach uns bekannten Gesetzen, so lange sie aneinander hängt, zu verfolgen.56
Come mostra il prossimo paragrafo, a questo scritto fa da pendant un altro breve
saggio, Etwas über den Einfluß des Mondes auf die Witterung del 1794, in cui Kant
riprende alcune osservazioni sull’origine e la natura dell’atmosfera terrestre e lunare, ma
con un impianto teorico molto più interessante ai fini di questa ricerca, perché teso a
risolvere il problema epistemologico di un gap tra teoria ed esperienza nella pratica
scientifica applicata ad un caso specifico.
4.3 La conferma dell’ipotesi cosmologica: il confronto con Herschel
A seguito dello sviluppo di ricerche cosmologiche come quella di W. Herschel
(1738-1822), negli anni ’90 Kant ritorna a confrontarsi direttamente con la sua ipotesi
cosmologica presentata in Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels
(1755). William Herschel è passato alla storia anche come colui che fu in grado di
costruire più di 400 telescopi, di cui il più famoso è quello dotato di una lente focale di
12 m e un’apertura di 126 cm di diametro [figura 4.3].57
56 Über die Vulkane im Monde, KGS VIII, p. 76.
Grazie a questo strumento nella
sua carriera Herschel scoprì due lune di Saturno, Mimas and Enceladus (1789), e due
lune di Urano Titania e Oberon.
57 Cfr. E. S. Holden, Sir William Herschel: His Life and Works. New York 1881; J. B. Sidgwick, William Herschel: Explorer of the Heavens. London 1953; B. Lovell, Herschel's Work on the Structure of the Universe; in Notes and Records of the Royal Society of London, Vol. 33, n.1, 1978, pp. 57-75.
172
Figura 4.3 Immagine del telescopio (12 m) di Herschel.
Lavorò, inoltre, alla creazione di un catalogo esteso delle nebulose e sulle stelle
doppie: fu il primo a scoprire che la maggior parte delle stelle doppie non sono illusioni
ottiche, ma vere e proprie stelle binarie e, dunque, diede una prima evidenza della legge
di gravitazione di Newton applicata al di fuori del sistema solare.58
Herschel elaborò un metodo per scoprire se vi fosse un legame tra l’attività
solare e il clima terrestre, ovvero collezionare le variazioni di prezzo del grano poteva
essere una misurazione indiretta delle condizioni meteorologiche. Herschel teorizzò che
il prezzo del grano fosse connesso al raccolto e dunque alle condizioni climatiche di
ogni anno.
Questo tentativo non ebbe successo, perché mancavano osservazioni precedenti
del sole con cui comparare il prezzo del grano, sebbene tecniche simili furono usate
successivamente con successo. I riferimenti in Etwas über den Einfluß des Mondes auf
die Witterung ai vantaggi che la navigazione e l’agricoltura possono trarre dagli studi
sull’influenza della luna sulle condizioni atmosferiche lasciano intravedere che Kant
avesse ben presente il tentativo di Herschel di studiare tale influenza attraverso la
ricostruzione dell’andamento del prezzo del grano, istituendo un legame forte tra ciclo
economico produttivo, fenomeni naturali e sperimentazione scientifica.
In secondo luogo, Herschel spinse le sue speculazioni fino a ritenere che ogni
pianeta fosse abitato, anche il Sole. egli credeva, infatti, che il Sole avesse una
superficie solida fredda protetta dalla sua atmosfera calda, coperta da una coltre di nubi
e che essa fosse abitata da esseri con una testa di proporzioni superiori a quella della
58 Famosi sono anche gli studi di Herschel sul moto delle stelle. In On the Proper Motion of the Solar System in Space (1783) affermò che il sistema solare si muoveva nello spazio e determinò la direzione approssimativa di questo movimento. Herschel concluse, inoltre, dagli studi sulla Via Lattea, che questa avesse la forma di un disco.
173
razza umana. Herschel riteneva che tali creature avessero una testa così grande perché
fu calcolato che una testa come quella umana a quelle condizioni atmosferiche sarebbe
esplosa. Le ipotesi che riguardavano la vita sul Sole traevano origine dall’osservazione
del movimento delle macchie solari sulla sua superficie.59
In terzo luogo, un confronto con l’opera di Herschel può essere fruttuoso
tenendo presente la sua scoperta della radiazione infrarossa. Nel 1800 osservando
macchie solari usò dei filtri e quando usava quello rosso trovò molto calore prodotto.
Herschel scoprì la radiazione infrarossa facendo passare la luce solare attraverso un
prisma e posizionando un termometro proprio dopo la fine del rosso alla fine dello
spettro visibile.
Su questi argomenti Herschel
non incontrò il favore di Kant, il quale aveva sì trattato della possibilità della vita su
altri pianeti nel 1755, ma non riteneva possibile, almeno in età matura, l’esistenza della
vita su ogni pianeta del sistema Solare. Tuttavia, in comune con Herschel, Kant aveva
un’idea dinamica dello sviluppo dei pianeti del sistema Solare.
Questo termometro doveva controllare la misura della temperatura dell’aria
circostante. Herschel vide che la temperatura più alta si registrava dopo lo spettro
visibile. Ulteriori esperimenti condussero Herschel a concludere che doveva esserci una
forma invisibile di luce oltre lo spettro visibile. Le ricerche di Herschel non erano un
caso isolato in Europa, soprattutto in Inghilterra. L’esperimento di Young, capace di
mostrare la natura ondulatoria della luce, fu realizzato nel 1801, ma esperimenti con
lamelle per studiare i fenomeni dell’interferenza erano assai noti, anche a Kant, come
testimoniano alcuni passi dell’Opus postumum.60
Forse è proprio grazie a queste scoperte che Kant arrivò alla metà degli anni ’90
a pensare la possibilità di corpi oscuri (dunkele Körpern) che si sottraggono
all’osservazione e la cui esistenza avrebbe spiegato deviazioni e apparenti anomalie dei
movimenti di corpi celesti remoti.
L’occasione diretta, però, del confronto con Herschel sorge dalla pubblicazione
di Über den Bau des Himmels di Herschel, la cui edizione tedesca era stata curata da J.
F. Gensichen e che Kant aveva ben presente. Sia A. Cozzi che P. Grillenzoni ricordano
le parole di Kant, riportate nell’edizione delle opere kantiane curata da Hartenstein. Nel
1791 Kant avrebbe dichiarato:
59 Cfr. W. Soon, S. H. Yaskell, The Maunder Minimum and the variable sun-earth connection, Singapore 2003, pp. 88-89. 60 Opus postumum, KGS XXI, p. 339; XXII, pp. 185-186.
174
Grande è la probabilità della mia teoria sull’anello di Saturno, la cui origine devesi a materia gassosa emanata dal pianeta e mossa secondo le leggi delle forze centrali. L’osservazione spiega e conferma questa mia teoria estendendola anche alla formazione dei grandi astri, da me, del resto, dedotta in base alle stesse leggi, con la sola differenza che questi traggono la loro forza d’impulso dalla caduta della materia primitiva sotto il dominio del peso universale, e non dalla rotazione assiale del corpo di centro. La probabile verità di questa teoria diventa ancora più certa, se si tiene conto di un complemento aggiunto più tardi e che vanta l’approvazione dell’aulico Consigliere Lichtenberg: il vapore originariamente diffuso nello spazio, che conteneva allo stato elastico, le infinite varietà della materia, ha dato origine agli astri sotto l’esclusiva azione dell’affinità chimica. Quando cioè le molecole dotate di tale affinità venivano ad incontrarsi cadendo, annientavano reciprocamente la propria elasticità e si combinavano in masse più dense. Il calore risultante dalla combinazione dava vita ai corpi maggiori dell’universo, ai soli per irradiazione luminosa all’esterno, e ai corpi minori, i pianeti, per il calore interno.61
La lettera del 19 aprile 1791, conservata in lingua inglese, fu inviata da Kant a
Gensichen62
e può essere un primo indizio per ricostruire la visione kantiana
dell’universo nella sua tarda produzione. Le osservazioni di Kant sono state inserite
nell’edizione da Gensichen come note di chiusura e con l’aggiunta di una
considerazione sul ruolo della cosmologia kantiana. Ma andiamo a vedere più da vicino
che cosa preme a Kant puntualizzare:
In primo luogo che la rappresentazione della Via Lattea, come un sistema di soli che si muovono, molto simile al nostro sistema planetario, è stata data da me sei anni prima di quella simile pubblicata da Lambert nelle sue lettere cosmologiche.63
Innanzitutto Kant vuole puntualizzare la priorità della sua ipotesi sulla
costituzione della via Lattea, rispetto a quella proposta nelle Kosmologische Briefe über
die Einrichtung des Weltbaues di J. H. Lambert nel 1761, sei anni dopo la pubblicazione
kantiana. In particolare Kant si sta riferendo alle lettere X e XI64
61 Cfr. Storia universale della natura e teoria del cielo, a cura di A. Cozzi, p. 81 nota; P. Grillenzoni, Kant e la scienza, vol. I, Milano 1998, p. 383 nota. Grillenzoni segnala qui uno shift, secondo cui a distanza di trentasei anni Kant avrebbe riletto in chiave chimica la sua teoria. Sulla base di quanto argomentato nel paragrafo precedente, è chiaro invece che Kant tenesse in considerazione questo aspetto già dai primi anni ’80 e anche nel periodo precritico, sebbene in forma più embrionale, presentava la predilezione per l’interazione e l’integrazione tra fisica e chimica, tra spiegazione dinamica e meccanica della materia e delle sue forze.
in cui Lambert fornisce
una spiegazione non dissimile da quella che Kant aveva dato nell’opera del 1755 sulla
costituzione della nebulosa come struttura costituita da sistemi solari rotanti attorno a un
62 Kant, Briefwechsel, 446, KGS, XI, pp. 252-3. 63 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 252: “1st that the representation of the milky way, as a system of moving suns, resembling our planetary system, is given by me, six years before the similar one, published by Lambert in his cosmological letters.” 64 Lambert, Kosmologische Briefe über die Einrichtung des Weltbaues, Augsburg 1761, pp. 145-6; 158.
175
centro comune di attrazione.65
Nella lettera di Kant a Gensichen, compare una seconda
puntualizzazione:
In secondo luogo che la rappresentazione delle stelle nebulose, come un numero qualsivoglia di galassie remote, in conformità a quanto riporta Erxleben nella sua filosofia naturale del 1772, p. 540, e come ancora compare nella nuova edizione, argomentata dal consigliere Lichtenberg, non è un’idea di Lambert, il quale piuttosto suppose che esse (o al massimo una di esse) fossero corpi oscuri.66
In questo passo invece Kant prende le distanze dall’interpretazione di Erxleben
(Anfangsgründe der Naturlehre, 1772) e Lichtenberg dell’opera di Lambert. Secondo
Kant, infatti, entrambi riportano in modo scorretto l’ipotesi che Lambert propugnava
circa la natura delle nebulose. Per Lambert questi non erano altro che corpi oscuri,
illuminati da altri soli, mentre per Kant erano galassie remote proprio come la via
Lattea. Kant tende a rivendicare con forza questo punto che segna un maggior distacco
dalla teoria cosmologica di Lambert.67
Se la prima parte della lettera a Gensichen può
essere vista come una presa di distanza da Lambert e una rivendicazione di una teoria
cosmologica indipendente, la seconda parte della lettera è una chiara presa di posizione
di Kant sul valore delle sue ipotesi cosmologiche. Kant, in effetti, riuscì a svolgere già
nel 1755 importanti riflessioni sulla costituzione di Saturno, in particolare sulla struttura
e il comportamento dei suoi anelli:
In terzo luogo, che io abbia rappresentato molto tempo fa, in modo molto vicino a quello che le osservazioni hanno insegnato, la produzione e la conservazione dell’anello di Saturno, secondo la sola legge della forza centripeta, che sembra ora essere ben confermata, ovvero: una polvere che si muove attorno al suo centro (che è al tempo stesso quello di Saturno), che è composta di particelle, non regolari, ma rotanti indipendentemente e che compiono le loro orbite in tempi differenti secondo la loro distanza dal centro; in base a ciò sembrano essere sanciti una volta per tutte il tempo di rotazione sul suo asse, che io ho inferito da ciò, e la sua superficie piana. 68
65 Anche di questo Lambert parla diffusamente. Cfr. Lambert (1761), p. 219. 66 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 252: “2nd That the representation of the foggy stars, as a like number remote milky ways is not, as Erxleben says in his natural philosophy 1772, p. 540, and as is still extant in the new edition, augmented by the counsellor Lichtenberg an idea, ventured by Lambert, who rather supposed them (at least one of them) to be obscure bodies”. 67 Cfr. Lambert (1761), p. 243; 258. 68 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 253: “3rd That I have represented a long time ago, very nearly to that, what recent observations have taught, the production and conservation of the ring of Saturn, according to the mere laws of the centripetal force, which appears now to be so well confirmed, viz: a mist, moving round its centre (which in the same time is that of Saturn), which is composed of particles, not steady, but independently revolving and performing their orbits in times, different according to their distance from the centre; whereby at once the time of Saturn’s revolution on its axis, which I inferred from it, and its flatness, seem to be ratified.”
176
Come si evince dal terzo punto della lettera, soltanto con le osservazioni
astronomiche più recenti si era potuta osservare la natura degli anelli di Saturno e il
fatto che anch’essi ruotassero attorno all’asse del pianeta. Ma già nel 1755 Kant
prevedeva la conferma della sua teoria costruita attraverso la considerazione del
rapporto tra forza centrifuga e forza peso, così come elaborato da Huygens in De vi
centrifuga e nell’Horologium oscillatorium (1659).69
Sulla base delle dimostrazioni
matematiche e delle osservazioni astronomiche, Kant affermò già nel 1755:
[…] Non vorrei illudermi, ma l’astronomia, che specie per quanto riguarda i suoi mezzi d’osservazione va perfezionandosi continuamente, un giorno sarà forse in grado di rilevare, con l’aiuto di quegli stessi strumenti, questa proprietà tanto singolare di Saturno.[…] Prendendo spunto dal modo di prodursi dell’anello di Saturno, abbiamo osato determinare il suo tempo di rotazione servendoci solo del calcolo, non potendo usufruire a questo scopo del cannocchiale. Permettendoci ora di appoggiare questa predizione fisica con un’altra riguardante lo stesso pianeta, la quale deve attendere la conferma della sua correttezza dal futuro perfezionamento degli strumenti.70
La riflessione più rilevante, però, è quella che riguarda la conferma per via
sperimentale della formazione degli anelli da cui Kant trae le più importanti conclusioni
nel punto 4:
In quarto luogo, che questo accordo della teoria della produzione dell’anello da una materia vaporosa, che si muove secondo le leggi della forza centripeta, è un punto a favore della teoria della produzione dei grandi globi secondo le stesse leggi, eccetto che la loro proprietà di rotazione è originariamente prodotta dalla caduta di questa sostanza dispersa dalla gravità generale. La materia primordiale, vaporizzata e sparsa in tutto l’universo, che conteneva tutti i materiali di una varietà innumerevole in uno stato elastico, formando i globi, ha prodotto effetti solo in questo modo: che i materiali di una certa affinità chimica, se nella loro traiettoria si aggregano secondo la legge di gravitazione, distrussero vicendevolmente la loro elasticità, produssero da ciò i corpi e in essi quel calore, appartenente ai globi più grandi (i soli) esternamente, con le proprietà illuminanti, in quelli più piccoli (i pianeti), con il calore interno.71
Queste considerazioni rappresentano lo sbocco naturale che già dagli anni ’80 si
poteva intravedere nello scritto Über die Vulkane im Monde e poi nel 1790 con la
69 Cfr. infra, Capitolo II, §2.5. 70 TH, pp. 117-118. 71 Briefwechsel, 446, KGS, XI, p. 253: “4th That this agreement of the theory of the production of yon ring from a vaporous matter, moving after the laws of the centripetal force, is somewhat favourable to the theory of the production of the great globes themselves according to the same laws, except that their property of rotation is originally produced by the fall of this dispersed substance by the general gravity. Yon prime matter, vaporously dispersed through the universe, which contained all stuffs of an innumerable variety in an elastic state, forming the globes, effected it only in this manner, that the matters of any chemical affinity, if in their course, they met together according to the laws of gravitation, destroyed mutually their elasticity, produced by it bodies and in them that heat, joined in the larger globes, (the suns) externally with the illuminated property, in the smaller ones (the planets) with the interior heat”.
177
Critica della facoltà di giudizio, quando Kant mostrava l’esigenza di trovare un
principio di affinità nella natura.
In riferimento a ciò, si può prendere in esame lo scritto del 1794 Etwas über den
Einfluß des Mondes auf die Witterung.
In generale si nota come vi sia un duplice approccio da parte di Kant alla scienza
della natura: da un lato si ha un approccio fondativo nella prima Critica e nei Principi
metafisici della scienza della natura, dall’altro si ha un approccio applicativo, immerso
nella scienza naturale sperimentale, come si evince dagli scritti minori e dall’Opus
postumum.
Già nella produzione precritica, Kant aveva mostrato questa duplicità di intenti,
nel voler trattare questioni squisitamente metafisiche e nell’affrontare sulla base degli
studi e degli esperimenti più recenti la composizione della materia e la natura delle
sostanze. Di fatto sembra essere stata una costante del suo pensiero la preoccupazione di
integrare i più alti principi logici e metafisici con l’empirico in senso stretto, con
l’esperienza e le osservazioni direttamente ricavate da essa. Tuttavia, come ribadito nel
Capitolo II e come si vedrà specificamente nel prossimo paragrafo, il fine della ragione
di unificare questi due regni per fondare la scienza della natura in tutti i suoi rami non
può essere raggiunto per Kant senza lo strumento della matematica.
Procedendo per gradi, occorre prendere in considerazione in prima battuta
l’appendice pubblicata nel 1791 e poi lo scritto del 1794 così da entrare nel vivo delle
pagine dell’Opus postumum.
Nell’Appendice del 1791 si trova la ripresa delle tesi contenute in Allgemeine
Naturgeschichte und Theorie des Himmels. Kant sceglie di ripubblicare dopo trentasei
anni la Parte II del testo del 1755 e il capitolo V sull’origine dell’anello di Saturno. Il
ruolo primario dell’attrazione, il fatto che i sistemi solari siano omogenei, cioè, siano
regolati dalle stesse leggi fisiche e che le stelle possono avere un movimento rotatorio
attorno a un centro medio comune o possono averne di più,72 sono solo alcuni punti che
Kant conferma. Anche l’ipotesi sulla genesi del movimento dei pianeti, l’importanza del
fattore densità per la definizione della struttura dell’universo73 e la teoria sulle forze di
attrazione e repulsione che permeano intimamente la materia,74
72 W. Herschel, Über den Bau des Himmels. Drei Abhandlungen aus dem Englischen übersetzt von Michael Sommer. Nebst einem authentischen Auszug aus Kants allgemeiner Naturgeschichte und Theorie des Himmels, a cura di J. F. Gensichen, Königsberg 1791 (Anhang), p. 165.
costituiscono elementi
di continuità con la produzione precedente.
73 Anhang, p. 181. 74 Anhang, p. 171.
178
Uno dei due aspetti di novità da prendere in considerazione riguarda l’effetto
dell’attrazione chimica:
Wenn demnach ein Punkt in einem sehr großen Raum befindlich ist, wo die Anziehung der daselbst befindlichen Elemente stärker, als in allen andern Orten um sich wirkt; so wird der in dem ganzen Umfange ausgebreitete Grundstoff elementarischer Partikeln sich zu diesem hinsenken. Die erste Wirkung dieser allgemeinen Senkung ist die Bildung eines Körpers in diesem Mittelpunkte der Attraktion, welcher so zu sagen von einem unendlich kleinen Keime anfänglich langsam (durch die chemische Anziehung), darauf aber in schnellen Graden (durch die so genannte Newtonische) fort wachset, aber in eben dem Verhältnis, als diese Masse sich vermehrt, auch mit stärkerer Kraft die umgebenden Teilen zu seiner Vereinigung bewegt.75
Il secondo aspetto di novità da osservare concerne l’ipotesi sulla formazione
degli anelli di Saturno, come chiarisce una nota:
In der Theorie des Himmels selbst nimmt der Hr. Verfasser an, Saturn habe ehemals mit
einer der kosmetischen ähnlichen Bewegung etliche Umläufe mit größeren Exzentrizität zurückgelegt, und durch die Hisse, welche sich ihm in seiner Sonnennahe einverleibt, sei der leichte Stoff von seiner Oberflache erhoben worden, oder er habe eine kosmetische Atmosphäre um sich ausgebreitet. – In der Folge aber ist er auf die sich noch mehr empfehlende Vorstellung gekommen, dass durch die Vermischung der Materien, die bei der Bildung der Planeten vorgegangen ist, eine Warme in ihrem Innern erzeugt worden sei, und diese habe beim Saturn die angezeigte Wirkung gehabt.76
Come anticipato, Gensichen aggiunge delle note di chiusura in cui
sostanzialmente riprende le osservazioni che Kant aveva scritto nell’aprile del 1791 e a
cui aggiunge la seguente riflessione:
Die höchst wahrscheinliche Richtigkeit der Theorie der Erzeugung dieses Ringes aus dunstförmigem Stoffe, der sich nach Zentralengesetzen bewegte, wirkt zugleich ein sehr verteiltes Licht auf die Theorie von der Entstehung der großen Weltkörper selbst, nach eben denselben Gesetzen, nur dass ihre Wurstkraft durch den von der allgemeinen Schwere verursachten fall des zerstreuten Grundstoffs, nicht durch die Achsendrehung des Zentralkörpers, erzeugt worden; vornehmlich, wenn man (ich bediene mich hier eigener Worte des H. Prof. Kant) die durch H. Hofr. Lichtengergs wichtigsten Beifall gewürdigte spätere, als Supplement zur Theorie des Himmelshinzugekommene Meinung damit verbindet: dass nämlich jener dunstförmig im Weltraum verbreitete Urstoff, der alle Materien von unendlich verschiedener Art im elastischen Zustande in sich enthielt, indem er die Weltkörper bildete, es nur dadurch tat, dass die Materien , welche von chemischen Affinität waren, wenn sie in ihrem Fall nach Gravitationsgesetzen auf einander trafen, wechselseitig ihre Elastizität vernichteten, dadurch aber dichte Massen, und in diesen diejenige Hitze hervorbrachten, welche in den größten Weltkörpern (den Sonnen) äußerlich mit der leuchtenden Eigenschaft, an den kleinern aber (den Planeten) mit inwendiger warme verbunden ist.77
75 Anhang, p. 173. 76 Anhang, pp. 189-190. 77 Anhang, pp. 203-204.
179
Gensichen illustra qui il peso degli studi di Lichtenberg per la teoria kantiana
della materia e per l’affermazione dell’esistenza di un materiale elastico originario,
universalmente diffuso. Ma dell’influenza di Lichtenberg c’è ancora un’altra traccia.
Nel 1794 Kant scrive Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung,
prendendo spunto proprio dagli studi contemporanei e dalle considerazioni di
Lichtenberg.
Proprio in apertura Kant dichiara di voler discutere la celebre affermazione di
Lichtenberg secondo cui “la luna non dovrebbe avere un influsso sulle condizioni
climatiche; eppure ne ha uno”.78
Kant costruisce questo saggio sotto forma di antinomia in cui si mettono a
confronto la tesi secondo cui la luna non dovrebbe avere influsso (A) e quella secondo
cui la luna di fatto avrebbe di fatto un influsso sulle condizioni climatiche (B). Per
comprendere i termini della questione si propone il seguente schema:
(A) La luna non dovrebbe
influire
(B) La luna influisce
1- Sulla superficie terrestre
attraverso la luce che riflette.
1- Sul vento
2- Sul peso dell’atmosfera
attraverso la sua forza attrattiva
(troppo piccola perché sia
rilevata dal barometro).
2- Sul clima
Questa antinomia da vita ad un conflitto apparentemente irrisolvibile:
Hier ist nun zwischen der Theorie, die dem Monde ein Vermögen abspricht, und der Erfahrung, die es ihm zuspricht, ein Widerstreit.79
La soluzione dell’antinomia gioca sui concetti di influenza diretta e indiretta che
la luna esercita sulle condizioni atmosferiche:
78 I. Kant, Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung, KGS VIII, p. 317. 79 Über den Einfluss des Mondes auf die Witterung, KGS VIII, p. 321.
180
A TESI B ANTITESI
L’attrazione della luna con la sua
forza motrice, attraverso cui può
avere un’influenza sull’atmosfera
e sulle condizioni climatiche,
agisce direttamente sull’aria
secondo leggi statiche, in quanto
l’aria è un fluido ponderabile. Ma
in tal caso la luna non da vita ad
una sostanziale alterazione della
posizione del barometro.
Per avere un effetto reale
sull’atmosfera, deve essere
presupposta allora la presenza
di una materia imponderabile (o
di sostanze materiali). Questa
materia si estende di molto oltre
l’altezza dell’aria ponderabile,
ricopre l’atmosfera ed è mossa
dall’attrazione lunare. La
materia imponderabile, sia
mescolata che separata dall’aria,
è capace grazie ad un’affinità
chimica con essa sia di
aumentare che diminuire la sua
elasticità e così mediatamente di
alterare il peso dell’aria
determinando il deflusso o
l’afflusso delle colonne di aria.
Si vede così che la luna
influisce indirettamente sulle
condizioni atmosferiche,
secondo leggi chimiche.80
Così facendo, tra la tesi, la luna non esercita un’influenza diretta sulle condizioni
atmosferiche, e l’antitesi, la luna ha un’influenza indiretta su di esse, non c’è alcuna
contraddizione. Il breve testo si chiude con una critica a De Luc81
80 Kant propone anche di considerare l’etere come materia incoercibile, che non può, cioè, mescolarsi o essere racchiusa da altre sostanze, se non da quelle con cui si trova in affinità chimica.
e con la prospettiva
81 Jean-André De luc (1727-1817) ha compiuto studi nel campo della geologia e della meteorologia. In particolare si interessò alle proprietà dell’atmosfera e alla misurazione delle altitudini. Secondo il parere di Georges Cuvier, De Luc fu uno tra i primi e capaci geologi dell’epoca. La sua opera principale di geologia, Lettres physiques et morales sur les montagnes et sur l'histoire de la terre et de l'homme, fu pubblicata nel 1778. In questa, De Luc tratta la conformazione delle montagne e l’ancestrale origine della razza umana attraverso il racconto biblico della creazione cui corrisponderebbero sei epoche precedenti lo stato attuale della terra e attribuì il diluvio al riempimento delle cavità supposte di essere state lasciate vuote all’interno della terra. Pubblicò poi serie di volumi, tradotti anche in inglese, sui viaggi geologici in
181
aperta di studi futuri che spieghino più nel dettaglio l’influenza della luna sull’atmosfera
e i vantaggi che la meteorologia può trarre dalla chimica applicata.
4.4 Principi matematici della scienza della natura nell’Opus postumum
Alla luce dell’analisi sviluppata nei precedenti paragrafi, è evidente che Kant
ponesse particolare attenzione agli studi sulla fluidità e l’elasticità, i quali, grazie a
Lavoisier e a Laplace, stavano avanzando nella loro matematizzazione.
A questo punto della ricerca si vuole mettere in luce come la matematica
nell’Opus postumum giochi un ruolo decisivo per la costituzione della fisica come
scienza. Per raggiungere questo obiettivo è necessario prendere in considerazione
l’evoluzione della concezione della matematica nei manoscritti.
Che la matematica per Kant ricoprisse un ruolo privilegiato per la scienza della
natura, è storicamente in linea con il tentativo di fondare la fisica grazie al connubio di
matematica e metafisica.
Il problema epistemologico centrale a cui ci si trova di fronte nel Passaggio dai
principi metafisici della scienza della natura alla fisica riguarda la possibilità di
connettere principi a priori e principi empirici. Nel titolo stesso dell’opera, dunque,
risiede l’enunciazione del problema teoretico di fondo per la cui soluzione è richiesto un
particolare approccio, quello del passaggio, della connessione tra a priori ed empirico
Europa settentrionale (1810), in Inghilterra (1811), e in Francia, Svizzera e Germania (1813). Gli esperimenti di De Luc riguardarono la meteorologia e furono molto apprezzati dai naturalisti, poiché scoprì numerosi fatti importanti che legavano il calore e l’umidità. Notò, infatti, la scomparsa di calore nello scioglimento del ghiaccio nello stesso periodo in cui Joseph Black fondò su questo fenomeno la sua ipotesi sul calore latente. De Luc accertò che l’acqua era più densa a 40º F, più che alla temperatura di congelamento, espandendosi omogeneamente per ogni lato del maximum; inoltre fu l’ideatore della teoria che poi fu aggiornata e rivista da John Dalton, secondo cui la quantità di vapore acque contenuta in ogni spazio è indipendente dalla presenza o dalla densità dell’aria o di qualsiasi altro fluido elastico. Le sue Recherches sur les modifications de l'atmosphere (1772 ;1784) contengono esperimenti accurati sull’umidità, l’evaporazione e le indicazioni dell’igrometri e dei termometri applicati al barometro impiegato per determinare l’altitudine. In Philosophical Transactions del 1773, comparve la nuova struttura del suo igrometro, che sembrava un termometro a mercurio, con un bulbo d’avorio che si espandeva con l’aumentare dell’umidità e causava la diminuzione del mercurio. Tra le altre opere si ricordi Lettres sur l'histoire physique de la terre (1798), indirizzata a Johann Friedrich Blumenbach, e che contiene alcuni passaggi sulle sue conversazioni con Voltaire e Rousseau. Da un punto di vista teorico De Luc era un ardente ammiratore di Bacone, su cui pubblicò due opera, Bacon tel quil est (1800) e Précis de la philosophie de Bacon (1802), in cui fornisce una lettura affascinante del progresso della scienza della natura. Nelle Lettres sur le Christianisme (1803), invece emerge con forza la controversia con il Dottor Teller di Berlino circa la cosmogonia Mosaica, che De Luc difese anche nel Traté elementaire de geologie (1809), per confutare James Hutton e John Playfair, i quali giustamente sostenevano che la geologia era influenzata dall’operazione del calore interno alla terra e all’erosione. Proprio su quest’ultimo punto anche Kant è in netto disaccordo con De Luc. Nell’Opus postumum si trovano riferimenti diretti in KGS XXI, pp. 70; 85;195-197; 299; 338; 501; KGS XXII, pp. 224;418; 427-428.
182
che si configura come tendenza, come trasformazione e divenire da una posizione del
pensiero ad un’altra, mediante concetti:
Aber diese Tendenz im Übergange von der Metaph. zur Physik kann nicht unmittelbar und durch einen Sprung geschehen denn die Begriffe welche von dem System einer gewissen Art zu einem anderen herüber führen müssen einerseits Prinzipien a priori anderenteils aber auch empirische bei sich führen welche weil sie komparative Allgemeinheit enthalten auch gleich den allgemeinen zum System der Physik benutzt werden können. — Es ist also zwischen den Metaphys. Anfangs. Gr. d. N. W. u. der Physik noch eine Lücke auszufüllen deren Ausfüllung ein Übergang von der einen zur anderen genannt wird.82
Da questo passo si evince che Kant ha confermato, ancora in epoca tarda, quanto
sostenuto nella seconda introduzione alla Critica della ragione pura, che porta con sé il
segno lasciato dai Principi metafisici della scienza della natura. Quando Kant, infatti,
afferma, nella Prefazione alla seconda edizione della prima Critica, che l’esperienza
non conferisce mai ai suoi giudizi vera e rigorosa “universalità”, ma solo presunta o
comparativa (mediante induzione), si riferisce ai giudizi che caratterizzano la
conoscenza della natura,83
Se un giudizio è pensato in forma rigorosamente universale, cioè in modo che
non sia ammessa la possibilità di nessuna eccezione, allora esso non è ricavato
dall’esperienza, ma valido assolutamente a priori.
in particolare quelli della scienza sperimentale.
L’universalità empirica è, dunque, un’elevazione arbitraria di validità, da quella
che vale nella maggior parte dei casi a quella che vale in tutti.
Quello che Kant propone nel Passaggio è un metodo per far assurgere
l’universalità empirica a universalità a priori: la matematica, in quanto strumento della
ragione, può dare universalità e necessità nell’ambito della scienza della natura ai
giudizi la cui universalità è comparativa. Come analizzato nel §5.1, questa posizione
kantiana era in linea con gli studi della termologia e con la visione della scienza di
Lavoisier.
Si tratta ora di vedere, sulla scorta delle considerazioni avanzate nella Critica
della facoltà di giudizio, come si delinea il rapporto tra metafisica e fisica, attraverso lo
strumento della matematica nell’ultima fase della produzione kantiana.84
82 Opus postumum, KGS XXI, p. 482.
Il problema
83 Tanto che si deve dire, propriamente, secondo Kant, che “per quanto noi abbiamo fin qui percepito, non si trova eccezione a questa o a quella regola”. 84 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 123: “Alles unser Erkenntnis ist entweder empirisch oder Erkenntnis a priori (Sinnen, oder Vernunfterkenntnis). Das letztere ist entweder systematisch (wissenschaftlich szientifisch.) — Das Vernunft (nicht bloß wissenschaftliche//) Erkenntnis als Wissenschaft ist entweder Philosophie oder Mathematik. Die Philosophie hat aber noch einen Größeren Umfang der Wissenschaft a priori denn man kann auch über die Mathematik philosophieren wenn sie
183
dell’unificazione tra empirico e a priori viene sollevato con chiarezza nella terza
Critica:
Solo che ci sono così molteplici forme della natura, per così dire così tante modificazioni dei concetti trascendentali universali della natura, le quali sono lasciate indeterminate da quelle leggi che l’intelletto puro dà a priori […] che perciò debbono esserci anche leggi che, in quanto empiriche, possono, sì, essere considerate contingenti secondo il modo di intendere del nostro intelletto, e che però, se le si debbono chiamare leggi […] debbono essere considerate necessarie a partire da un principio, sebbene a noi sconosciuto, dell’unità del molteplice.85
Nelle pagine manoscritte del Passaggio dai principi metafisici della scienza
della natura alla fisica si legge:
La filosofia trascendentale è la dottrina a priori in cui matematica e filosofia sono
dipendenti completamente in rapporto reciproco di fondamento e conseguenza secondo un principio della conoscenza.86
La concezione kantiana della matematica come strumento della ragione per il
raggiungimento dell’applicazione della metafisica alla fisica è nota, in quanto non si
discosta di molto da quanto sostenuto nei Principi metafisici della scienza della natura
e nella Critica della ragione pura. Tuttavia, c’è uno scarto rispetto alla fase critica del
rapporto tra filosofia e matematica. La matematica si rende essa stessa filosofia se
conferisce certezza apodittica alle conoscenze della fisica, ovvero se la costituisce come
scienza.
È opportuno indagare, dunque, perché proprio la matematica sia in grado di
compiere il passaggio dai giudizi dotati di universalità empirica a quelli dotati di
universalità a priori. In primo luogo, la matematica, in quanto può trattare lo spazio e il
tempo come intuizioni formali, cioè li rappresenta come oggetto, è lo strumento di cui la
filosofia deve servirsi per costituire l’oggetto della fisica, la materia (corporea e non il
suo concetto in generale), dunque per rendere percepibile lo spazio. Quest’ultimo, se si
tiene presente quanto sostenuto nel Capitolo I, non è altro che l’oggetto in generale
secondo quantità, cioè forma senza contenuto, d’altra parte, esso è anche determinabile
bloß als Mittel (Instrument) zu einer anderen Absicht nämlich zur Philosophie gebraucht wird und ihr in so fern untergeordnet wird u. ist Handwerk indem sie auf Raumes und Zeitanschauung beschrankt ist wodurch der Philosoph nicht beschränkt wird.” 85 KdU, KGS V, p. 179. 86 Opus postumum, KGS XXI, p. 133. La matematica è conseguenza dell’appercezione trascendentale, ma è anche la prova dell’appercezione empirica. Sul reciproco rapporto fondativo di matematica e filosofia, cfr. G. Banham, Kant’s Transcendental Imagination, London-New York, Palgrave Macmillan, 2006.
184
attraverso i concetti di riflessione – appartenenti alla metafisica – e dalla sintesi della
Zusammenstellung. Se si esamina il passo seguente, si rende perspicuo l’intento di Kant:
Es giebt eine Philosophie (und diese ist die Metaphysik) welche die Mathematik bloß
als Instrument braucht um die e m p i r i s c h e Sinnenvorstellungen (nach) einem Prinzip a priori (also nicht wiederum selbst empirisch) unter zu ordnen und welche den Schematismus der Reflexionsbegriffe zuerst in einem System darzustellen die reine Anschauungen (der Form nach) klassifiziert und zwar a priori.87
Come secondo aspetto nella determinazione dell’oggetto in generale, lo spazio,
(così come il tempo) deve contenere un Etwas, un qualcosa, ma in primo luogo, in
quanto esso stesso si rende oggetto determinabile per l’intuizione, mentre il tempo per
la sensazione. Così Kant arriva formulare il connubio tra filosofia e matematica per la
fondazione della fisica come scienza:
Die Prinzipien der Natur//Wissensch. machen also eine szientifische Wissenschaft als System welches 1. philosophisch ist aus Begriffen a priori 2 durch Mathematik als Instrument der Sinnenvorstellung als reine Anschauung gegeben ist. Der Raum selbst muss zuerst als äußerer und die Zeit als innerer Gegenstand der Sinne (jener für die Anschauung diese für die Empfindung) gegeben sein und Gemeinschaft der Substanzen hat erstlich mathematische Verhältnisse der Bewegung durch äußere Raumesverhältnisse welche mechanisch dann aber auch dynamisch der Qualität nach welche zur Physik eine Tendenz haben. S t o f f e als besondere bewegende Kräfte der Materie. Jene sind Anziehung u. Abstoßung.88
Ora, per costruire un sistema delle forze motrici della materia, non occorre
solamente la determinazione delle relazioni interne del loro concetto, cioè del concetto
di movimento, che ha un corrispettivo empirico, ma delle relazioni interne ed esterne da
loro prodotte. Kant afferma la possibilità che le forze producano effetti interni ed
esterni, che la matematica può esibire, in quanto rappresenta come oggetto lo spazio e il
tempo:
Die Stellen für die bewegende Kräfte im Raum äußerlich und die Grade ihrer Wirkung
in der Zeit innerlich enthalten die Prinzipien a priori zu Einem System derselben und der Übergang der nicht mehr eine Metaphysik aber auch noch nicht Physik enthält den Verhältnisbegriff der quantitativen und qualitativen Einheit eines Systems in der Reziprozität (Wechselseitigkeit) ihrer Bestimmungen. Der Raum ist in der allgemeinen Anziehung zugleich bestimmend und bestimmt.89
87 Opus postumum, KGS XXII, p. 490. 88 Opus postumum, KGS XXII, p. 531. 89 Opus postumum, KGS XXII, pp. 532-33
185
Si comprende così sia l’importanza della natura flessibile dello spazio, su cui si è
incentrata parte della presente ricerca, sia l’attenzione posta da Kant allo sviluppo della
riflessione sull’algebra negli anni ‘90.
Il passo seguente, d’altra parte, si presta molto bene a chiarire la funzione della
sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) dello spazio e del tempo per
l’applicazione della matematica alla fisica: Was e r s t l i c h die Verhältnisse der bewegenden Kräfte (im Raume) betrifft so
bediente sich Newton des Begriffs der A t t r a k t i o n aller Weltkörper im unendlichen Raume und deren Bewegungen durch jene Kräfte in der Zeit. Zweitens der R e p u l s i o n aller Teile der Materie die sich nach eben demselben Gesetz im Weltraum durchs Licht und dessen Bewegungsgesetze in Farben (imponderabel, incoërcibel, incohäsibel, inexhaustibel) wobei durchgängig Mathematik ist: dann aber auch der Flüssigkeit und Festigkeit. Wir haben es nicht mit Materien sondern der Materie ebenso wenig mit Erfahrungen sondern der Erfahrung zu tun. Die Körper aber als sich selbst durch innere Kräfte der Materie beschränkende Teile der Materie sind eine Menge. Auch nicht mit Räumen u. Zeiten sondern dem Raum u. der Zeit zu tun und nicht Teilen des Raumes und der Zeit sondern Stellen (positus) im Raum u. der Zeit. Gestalten und Reihen die immer fortschreitend sind subjektiv in der Zeitbestimmung.90
In secondo luogo, la matematica è presentata come scienza autonoma dalla
filosofia e allo stesso tempo passibile di un uso in vista di un fine (Zweck): la fisica
come scienza. I principi metafisici, infatti, per essere orientati alla fondazione della
fisica e per essere connessi ad essa, non possono non servirsi della matematica. Per
questa ragione la matematica si fa strumento per eccellenza della ragione:
Perciò la matematica è il più potente strumento per la fisica e per tutte le conoscenze
(per il modo sensibile di conoscere) coinvolte, ma pur sempre solo strumento in vista di un altro intento […]. E’ filosofia la matematica come strumento da usarsi nella scienza per la fisica, ma la matematica non è essa stessa un principio della filosofia e non contiene i suoi concetti.91
Ma la matematica è autonoma dalla filosofia, tanto che i Mathematische
Anfangsgründe der Naturwissenschaft sono ciò che permette la determinabilità delle tre
dimensioni dello spazio e di quella del tempo:
Die Quantität der Materie kann nur die Anziehung (Gravitation) in eben derselben
Weite von dem ziehenden Weltkörper (durch Wägen) und dem umgekehrten Verhältnis des Quadrats der Entfernung gemessen werden und die Kräfte haben ihre Stellen die a priori für einen Körper bestimmbar sind ohne dass dieser d a r i n gegenwärtig ist. Das gehört zu den m a t h e m . Anf. Gr. der NW. durch welche der Raum nach seinen drei Dimensionen und die Zeit für Eine (der Empfindung als Grad der Wahrnehmung) bestimmbar ist von einer Größe = 0 ins Unendliche wachsen oder abnehmen oder durch a - a verschwinden kann.92
90 Opus postumum, KGS XXII, p. 517.
91 Opus postumum, KGS XXII, p. 490. 92 Opus postumum, KGS XXII, pp. 533-4.
186
La natura del rapporto tra filosofia e matematica può essere specificato,
servendosi del confronto con la fisica di Newton. E’ dal confronto con quest’ultimo che
Kant integra la fisica nel quadro della sua teoria della conoscenza, e poi delinea il piano
metodologico di confronto con Newton.
La scienza del Passaggio, cioè della composizione delle forze motrici della
materia è lo schematismo della composizione delle forze motrici in quanto costituiscono
un sistema rispondente alla forma della classificazione a priori e dunque l’architettonica
dell’indagine naturale.
Spetta ai principi a priori della possibilità dell’esperienza, all’indagine naturale,
cioè al principio soggettivo dello schematismo della facoltà di giudizio (secondo il
principio della conformità della natura a scopi), classificare in generale le forze motrici
empiricamente date e passare alla fisica come sistema della varietà degli effetti di forze.
Tale composto non può mai come tale essere conosciuto mediante la mera intuizione,
ma solo mediante il comporre con coscienza dell’unità di questa connessione. Questo
comporre, pertanto, precede quello ed è pensabile a priori; col che il concetto prodotto
si qualifica come schematismo dei concetti, cioè del composto in generale.
Tradotto in termini fisici ciò significa che nel considerare un corpo A, che si
muove su una traiettoria B, si inserisce un concetto intermedio, quello di forza. Così non
si considera il fenomeno secondo le semplici leggi della cinematica, ma lo si inquadra in
una configurazione complessa o costellazione di corpi C, D, ecc…i quali possono
gravitare, essere carichi elettricamente o magnetizzati.93
Quello che viene composto è
proprio la costellazione dei corpi, ma indirettamente, attraverso la composizione delle
forze motrici della materia. Questo assunto era presente anche nel 1786, laddove Kant
ha distinto la Foronomia dalla Meccanica.
***
Secondo il seguente schema può essere visualizzato il progetto del Passaggio
dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica:
93 Cfr. M. Jammer, Concepts of Force, New York, 1957; II edizione 1999, p. 244.
187
Le forze motrici primitive della materia per Kant sono quelle di attrazione e
repulsione, mentre le forze meccaniche sono derivative: la prima forza motrice è quella
dell’attrazione esterna, in quanto essa non è limitata da repulsione, ovvero la
gravitazione; la seconda è quella della repulsione interna, in quanto essa è limitata
dall’attrazione.
Entrambe formano corpi, i quali determinano da sé il loro spazio secondo
quantità e qualità.94
In tal senso si ha una determinazione come limitazione reciproca delle forze di
attrazione e repulsione, la cui origine storicamente può essere fatta risalire a Keplero e il
cui sviluppo formale fu compiuto da Newton con la terza legge del moto.
Questa limitazione dialettica assume la forma dell’opposizione, di una dicotomia
intrinseca alla materia, dunque di un’opposizione non semplicemente logica, bensì
reale.
Vi è poi la distinzione fondamentale tra la trattazione dinamica e quella
meccanica delle forze, che ne svela la natura molteplice:
Wenn Anziehung eines Körpers außerhalb dem kein anderer Körper als existierend
gedacht wird doch bewegende Kräfte in Verschiedenen Entfernungen in dem Raum gesetzt werden so würden diese wiederum in aktiven Verhältnisse im leeren Raum gegen einander stehend vorgestellt werden und der Raum selber eine bewegende Kraft seiner Teile gegen einander enthalten müssen. Es ist also nicht eine Vorstellung der Räume als Sachen (dieser Anziehung) sondern ein bloßer Verhältnisbegriff möglicher Anziehungen der Körper — — nicht durch Zentrifugal u. Zentripetal Kraft sondern durch Anziehung und Abstoßung bewegend zu sein S t o f f e sind radikal oder direkt bewegende Kräfte der Materie in welchen die Basis d.i. der Vereinigungspunkt dieser Kräfte angetroffen wird. Der Stoff (materia ex qua). Verschiedene E l e m e n t e der Materie sind Stoffe nicht verschiedene M o m e n t e der Bewegung der ersteren.95
94 Opus postumum, trad. it. A cura di V. Mathieu, pp. 114-5.
95 Opus postumum, KGS XXII, pp. 533-34.
188
Ma vediamo più nel dettaglio in che senso le forze derivative svelano quelle
primitive. Kant fornisce alcuni esempi di ciò:
Alla ponderabilità meccanica della materia si richiede che essa sia dinamicamente
imponderabile, perché senza questa forza motrice interna (non locomotiva) anche il pesare sarebbe impensabile. Del pari, perché la materia con la sua forza motrice sia coercibile è necessaria una materia incoercibile e cioè dinamicamente: la materia del calore. Originariamente fluida è la materia che rende fluide tutte le altre, permeandole: pertanto essa è incoercibile. 2) della forza motrice della materia mediante la coercibilità del calorico, in quanto forza agente meccanicamente o dinamicamente. L’una è il fenomeno dell’altra, o il mezzo per la esibizione dell’altra. I principi oggettivi delle leggi per le forze motrici della materia sono quelli che vengono dati a priori dalla divisione razionale di tutti questi rapporti attivi possibili, secondo il formale. I principi soggettivi sono quelli della meccanica, secondo i quali poniamo in moto (action) queste forze, e sono di origine empirica, e pertanto a propri della fisica. I primi sono propri del passaggio dai principi metafisici alla fisica.96
Qui Kant sta parlando della possibilità di calcolare la forza peso (mg)
meccanicamente come una grandezza scalare, ma perché ciò sia possibile, la forza peso
deve essere prodotta dall’azione di una forza interna, la quale non è soggetta alla forza
peso stessa, la gravità.
Si comprende, dunque, in che senso il sistema delle forze motrici della materia
arrivi a determinare le proprietà fondamentali della materia: tali proprietà non sono
conoscibili direttamente, ma esprimono il punto di contatto (Vereinigungspunkt) delle
relazioni tra le forze primitive e quelle derivative.
Kant voleva, dunque, costituire una scienza, quella del Passaggio, che avrebbe
unificato in un unico sistema, capace di fondare la fisica, “la via all’in su” (dal
particolare al generale) e quella “all’in giù” (dall’universale al particolare), per usare le
espressioni di P. Kitcher.
Al pari delle cause efficienti, anche le cause finali sono inserite nel sistema delle
forze motrici della materia, e il Passaggio deve mostrare se e come ciò avvenga,
secondo il principio di conformità a scopi della natura.97
L’idea di ragione verso cui è diretto il processo di ordinamento delle leggi
empiriche è quella di tendenza (Tendenz) della natura ad organizzarsi sulla base di un
96 Opus postumum, trad. it, p. 115. 97 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 120: “La divisione delle forze motrici della materia, in quanto questa ha la tendenza a formare corpi organici ed inorganici, appartiene, dunque anche alla forma del loro collegamento in un sistema, ma è soltanto un principio dell’indagine naturale , il quale precede a priori l’empirico, come idea che, nel passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, non può mancare nella divisione completa, sebbene essa sia semplicemente problematica e non costituisca alcuna attestazione, secondo proposizioni d’esperienza della esistenza o non esistenza di tali corpi o forze”.
189
principio di affinità di tutta la materia per analogia con l’assunzione di un intelletto
indipendente dalla materia, che sia architettonico rispetto a tali forme. Questa
limitazione reciproca originaria è esplicitata nel sistema delle idee trascendentali dal
1801 con le idee di Mondo e di Dio.98
Ma ciò che attrae più attenzione è come Kant configuri la possibilità di un via
all’empirico a parte priori, grazie alla matematica. Prendiamo il caso della forza
primitiva dell’attrazione che fonda la gravitazione.
99
Quest’ultima, che concettualmente
è una forza centrale, viene espressa secondo la formula:
Ora, essa determina non solo un moto circolare, ma indica anche una certa
determinazione dello spazio e del tempo come intuizioni formali.
E’ solo grazie alla matematica che concetti metafisici, come quelli di attrazione,
repulsione o di forza centrale possono essere inverati in un Sistema del Mondo
(Weltsystem) e, dunque, come in questo caso, è solo grazie alla matematica, che é
possibile l’applicazione della forza centrifuga al moto dei pianeti per calcolarne le
orbite.
Come Kant precisa, l’espressione matematica della gravitazione è soggettiva,
possiede cioè un grado di arbitrarietà come tutta la matematica che procede per
costruzione di concetti:
Aber wie können Kräfte im Raum den die reine Anziehung beherrscht als koexistierend in welchen die Körper gesetzt werden können um Bewegung der Körper zu bewirken angetroffen werden ohne dass Dinge (Substanzen) Stellen in demselben einnehmen und gleichsam sie erwarten Denn die Anziehung wirkt im ganzen Weltraum nach jenem mathematischen Verhältnis in allen Punkten desselben. — Die Abstoßung da sie in der Berührung wirkend sein kann, kann die Kräfte fortpflanzend an verschiedenen Orten fortsetzen wo die Wirkung nicht mehr ist? Das mathematische Prinzip der allgemeinen Attraktion ist eigentlich nicht objektiv sondern nur subjektiv ein Prinzip des Verstandes in Ansehung der bewegenden Kräfte im Raum nicht mechanisch sondern dynamisch den Raum zu bestimmen. — Die mechanische Bestimmung der bewegenden Kräfte durch Zentripetalkräfte u.
98 Cfr. infra, Capitolo V. 99 Cfr. R. Feynman, The Character of Physical Law, London 1965; trad. it, La legge fisica, a cura di L.A. Radicati, Torino 1971. In maniera esemplare Feynman descrive la legge di gravità nel primo capitolo di quest’opera e propone una lettura del terzo principio della dinamica, che viene considerato, al pari della legge di gravitazione universale, una delle due sole cose sulla natura delle forze che Newton disse. Secondo Feynman, Newton caratterizzò il concetto di forza tramite l'enunciazione di un principio generale (il terzo principio della dinamica, appunto) e tramite la formulazione di una legge di forza particolare (quella gravitazionale).
190
Zentrifugalkräfte wie sie durch einen Schleuderstein bewirkt wird setzt schon Bewegungen und Erfahrungsobjekt der Kräfte voraus. Die dynamische durch den leeren Raum ist ein Kräftenprinzip der Bewegung der Materie durch Anziehung u. Abstoßung in der Entfernung Körper zu bewegen (gravitatio et sensatio in distans: lux).100
Tuttavia, secondo Kant, proprio perché la matematica è solo strumento della
ragione, il ruolo centrale per la costituzione della fisica come sistema è giocato dalla
filosofia: Wo die Bewegungen vorhergehen müssen wenn bewegende Kräfte statt finden sollen
sind die Prinzipien mathematisch wo aber diese vorhergehen müssen wenn jene statt haben sollen sind die Kräfte für die Physik welche eine Erfahrungswissenschaft ist geeignet. — Beide sind philosophische Wissenschaften die eine direkt auf die Naturwissenschaft unmittelbar bezogen die andere indirekt vermittelst des Gebrauchs den die Mathematik als Instrument von den Begriffen der bewegenden Kräfte machen kann. Wenn aber gleich die Mathematik d i r e k t philosophische Prinzipien der Mathematik aufzustellen hat so wirkt sie doch indirekt durch Aufstellung von Aufgaben welche zur Physik (mithin auch zur Philosophie) und den bewegenden Kräften der Materie hinweisen und die drei berühmte Analogien K e p l e r ' s führten zu einem Machtstreich Newtons Gravitationsanziehung durch eine kühne aber unumgängliche Hypothese für die Physik auszurufen wodurch die Mathematik zum Behuf der Naturwissenschaft mit einem Vermögen bewaffnet wurde a priori der Natur Gesetze vorzuschreiben die sie ohne jenes Organ schlechterdings nicht für die Philosophie hätte benutzen können und doch war dieser Übergang ein Schritt. Man kann zwar nicht durch Mathematik aber doch über sie und die Anknüpfung mit ihr philosophieren. Durch Philosophie also nicht durch Mathematik hat Newton die wichtigste Eroberung gemacht.101
In particolare merita attenzione il paragone che Kant compie tra le leggi di
Keplero e quelle di Newton.102
È solo presupponendo la nozione metafisica di forza centrale, di cui la forza di
gravitazione universale è un esempio, che è possibile l’applicazione e la giustificazione
delle leggi kepleriane.
Kant sostiene che le tre leggi di Keplero, senza quelle
newtoniane, non sarebbero state altro che analogie.
103
Secondo Kant non si può giungere con la matematica ad una conoscenza
filosofica, al contrario, però, occorre postulare in vista dei fenomeni una connessione
causale, quella dell’attrazione e della repulsione della materia, attraverso un concetto
intermedio, quello delle sue forze motrici.
Pertanto, agli occhi di Kant, Newton è colui che ha portato sulla scena una
nuova forza, non dedotta da quella centrifuga e centripeta, ma ha dedotto la gravitazione
100 Opus postumum, KGS XXII, p. 533. 101 Opus postumum, KGS XXII, p. 513. 102 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 513-4. 103 La prima legge di Keplero può essere collegata alla conservazione del momento della quantità del moto o impulso angolare. La seconda legge implica che sul pianeta venga esercitata una forza centrale, di cui quella gravitazionale è un esempio.
191
dalle forze attrattive e repulsive (forze primarie) della materia, la cui fondazione è
filosofica prima che matematica.
Piuttosto la matematica (incarnata nelle tre leggi di Keplero e nei i principi della
forza centrifuga e di quella centripeta) è strumento per l’inverarsi di principi filosofici
sulla costituzione ultima dell’universo.
La visione di Kant, almeno in epoca tarda, implica una metodologia scientifica
che vede l’interazione di filosofia e matematica, dove quest’ultima è organon per la
scoperta di forze primarie della materia e della sua costituzione.
La matematica è una Instrumentalwissenschaft, un mero strumento in vista di
altro, ma è anche saggezza intesa come Weltweisheit attraverso il raffinamento del
talento (Talent) in generale.104
Rispetto agli anni ’80 si nota un avanzamento nel delineare il rapporto tra
matematica e filosofia, se si tiene presente l’enfasi che Kant pose nel 1790 sul ruolo
dell’immaginazione, sull’ampliamento dell’algebra e della sua applicabilità alla
fisica.
105
Kant ritiene che la matematica applicata alla fisica, unita all’affinamento del
talento, conduca ad un miglioramento della tecnica applicata alla vita umana, allo stare
nel mondo, al progettare la costruzione non solo di modelli teorici, ma anche
dell’abitare il mondo.
La concezione dinamica della materia influenza anche il modo di considerare la
matematica applicata alla fisica. Kant, in particolare, è stato in grado di tracciare lo
sviluppo delle macchine. Da un punto di vista tecnico, infatti, la fisica applicata alle
macchine ne svelava la diversa natura e finalità.
Si prenda in considerazione il caso della critica a Kästner e Gehler.106
La loro rappresentazione meccanica della leva celava non solo il rifiuto della
repulsione come fenomeno universale dei corpi,
107
ma anche la negazione che le forze
meccaniche siano fondate su quelle dinamiche dell’etere. Nei manoscritti dell’Opus
postumum si legge:
104 Opus postumum, KGS XX1, p. 120. 105 Tentativo ad esempio che Desaguliers perseguì anche con l’applicazione del calcolo leibniziano alla fisica. 106 Cfr. Gehler, Physikalisches Wörterbuch, Leipzig 1787-1796; ed. a cura di W. Bonsiepen, Stuttgart 1995, vol. II, pp. 565 e segg. In questa sede Gehler ricostruisce la teoria della leva fino agli ultimi sviluppi del XVIII secolo. Riferimenti espliciti a Gehler si trovano anche nell’Opus postumum. Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 161;257;303;327;339;381;480; KGS XII, p. 212. Cfr. B. Tuschling, Metaphysische und Transzendentale Dynamik in Kants Opus Postumum, Berlin 1971, pp. 29-30 107 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 180 nota.
192
Si abbia ad esempio una sbarra ab, di spessore cd, e si supponga caricato ciascun braccio, in a e in b con lo stesso peso. Codesta leva, per il peso attaccato, o per il suo proprio, si spezzerà nella sezione mediana, se a quei pesi non resiste una sufficiente attrazione della materia nelle direzioni ad e bd. La teoria della leva, per quanto elegantemente il sig. Kästner l’abbia sviluppata, non si può spiegare solo matematicamente, assumendo semplicemente la leva come una linea inflessibile; poiché quest’assunzione è fisicamente impossibile; infatti se il braccio db non resistesse sulla linea (o superficie) grazie a una particolare forza (di attrazione) a quella separazione in cd, o se, in luogo della sbarra ab, di un certo spessore, la leva diviene una semplice linea (sparendo lo spessore della sbarra), invano postulo un’attrazione dei due bracci che resistono alla flessione, poiché a ciò si richiede una forza che agisca dinamicamente; e se la leva si assottigliasse fino alla tenuità di un filo, penderebbe, per il suo stesso peso, dalle due parti, dando luogo a un altro tipo di macchina, e cioè al movimento su un rullo mediante fune e puleggia (trochlea e polyspastus).108
Figura 4.5 Leva disegnata da Kant
Se si rappresentasse la leva come una linea non si darebbe conto della
generazione del momento dato dalla trazione della superficie superiore e della
compressione di quella inferiore.
Nell’esempio di Kant, in sostanza, si ritrova la seguente tesi: non si può dare
ragione del comportamento fisico di equilibrio della leva, se non la si rappresenta con
uno spessore e se non si rappresentano così due forze uguali e opposte che si esercitano
da a verso d e da d verso a e, parimenti, da b verso d e da d verso b.
Al contrario, se si rappresenta una linea cui sono attaccati due pesi e la si
considera in condizione di sforzo normale, allora si ha una condizione di equilibrio in
configurazione deformata: la linea rappresenterebbe un filo che si deforma e genera non
la leva, ma simula il movimento di fune e puleggia su un rullo.
Kant aveva ben presente, dunque, che la rappresentazione matematica dei
fenomeni fisici non è altro che un’astrazione del comportamento fisico dei corpi.
Allo stesso tempo Kant non negava la possibilità di una rappresentazione
matematica dei fenomeni fisici, ma le negava capacità fondativa nella spiegazione del
comportamento dei corpi, rivendicando la supremazia di un approccio dinamico alla
base di quello matematico-meccanico, che noi oggi definiamo statico.
108 Opus postumum, KGS XXI, p. 607. Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 228.
193
Queste osservazioni risultano chiare alla luce della riflessione kantiana sulla
tecnologia.
A questo aspetto la letteratura secondaria non ha dedicato spazio, seppure Kant
tenne un atteggiamento particolare nei confronti della tecnologia, rintracciabile non solo
nella terza Critica, ma anche in altri scritti minori, nell’antropologia e nell’Opus
postumum. Per Kant la matematica come strumento della ragione trova
nell’applicazione tecnica una sua realizzazione e la tecnologia, incarnata in macchine
come la leva o la puleggia, non è altro che la realizzazione della rappresentazione fisica
di fenomeni costruiti matematicamente.
4.5 Il problema del concetto metafisico di forza
La concezione dinamica della materia presuppone una costruzione delle forze
motrici di essa, così che per l’applicazione della matematica alla fisica si rende
necessaria una valutazione della forza. Ora, Kant distinse il concetto metafisico di forza
già nel suo primo scritto sulla valutazione delle forze vive (1747), attribuendo al
concetto di forza leibniziano un carattere prettamente metafisico, come causa del
movimento, in quanto vis activa.
Questo carattere metafisico del concetto di forza accompagna tutta la produzione
kantiana, anche quando, nel 1786, Kant sembra avvicinarsi alla visione newtoniana
della forza.
In generale, occorre tenere presente che, non solo, come è ovvio, questo concetto
rappresenta un cardine per la filosofia della natura di Kant, ma anche che questo
rappresenta un nodo problematico di non poco conto.
Tra l’altro, se si prende in esame un manuale come il Physikalisches Wörterbuch
di Gehler, alla voce “Kraft”,109
si trova immediatamente un problema che questa
ricerca vuole discutere: come e perché nella scienza della natura si ricorre al concetto
metafisico di forza? Gehler colse perfettamente il problema, di cui era cosciente lo
stesso Kant:
Noi ci aiutiamo col concetto di forza per definire il movimento e il mutamento in certi fenomeni, sebbene la sua natura resti per noi un segreto non svelabile (unerforschliches Geheimnis).110
109 Gehler (1787-1796), vol. II, pp. 796 e segg. 110 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 797.
194
A questo atteggiamento di Gehler, che riconosceva il problema, ma non offriva
una soluzione o una spiegazione, si contrappone l’approccio di Kant.
Kant pensava che il concetto di forza fosse problematico e che esso fosse un
concetto metafisico. Non vedeva, però, un che di negativo nell’uso di tale concetto nella
fisica. Anzi, lo reputava il concetto per eccellenza sulla base del quale costruire il
Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica.
Se si mettono a confronto le definizioni e le partizioni delle forze, che ha dato
Gehler, con quelle di Kant, presenti nel sistema elementare delle forze motrici della
materia, salta agli occhi il tentativo di quest’ultimo di riduzione e di unificazione delle
forze come via per una loro più facile valutazione su basi dinamiche.
Le forze del sistema elementare kantiano sono forze derivate da quelle primitive,
dall’attrazione e dalla repulsione, inerenti alla materia.
Gehler invece, sostenendo un approccio meccanico alla trattazione della materia
e delle sue forze, si limita di fatto a compilare un elenco delle forze conosciute, o
presunte tali, e dei loro effetti.
Proprio contro questa tendenza della fisica alla compilazione, tendenza molto
diffusa all’epoca di Kant, si sarebbe dovuto contrapporre il Passaggio dai principi
metafisici della scienza della natura alla fisica.
Secondo Gehler, una forza motrice è “die ganze in eine gewisse Masse wirkende
Kraft, welche sich durch das Produkt der beschleunigenden Kraft f in die Masse oder
Anzahl der Theile, also durch Mf ausdrücken lässt, und dem Drücke P gleich ist, den sie
ausübt, wenn keine Bewegung erfolgen kann“.111
Ma Gehler segnala anche un altro uso, quello di potenze,
112
e un altro significato
di forza motrice:
In einer andern Bedeutung hat man das Wort: bewegende Kraft für dasjenige Bestreben genommen, mit welchem ein ruhender Körper das Hindernis, auf das er drückt, oder ein bewegter Körper den andern, dem er begegnet, in Bewegung zu setzen sucht.113
Si noterà subito la differenza tra la valutazione della forza di Gehler da quella di
Kant, tenendo presente lo schema seguente:
111 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 802. 112 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 811. 113 Gehler (1787-1796), vol. II, p. 802-803.
195
Forze motrici delle macchine
di Gehler
Forze motrici della materia di
Kant114 (KGS XXII, p. 308 )
Kraft der Menschen Mechanisch
Kräfte der Thiere Dynamisch
Kraft des Wassers Organisch
Kraft des Windes Willenskraft
Kraft des Feuers
Kraft der Gewichte
Kraft der Federn (Elasticitatät)
Max Jammer, in Concepts of Force, propone una tesi che va attentamente
valutata, in quanto non solo chiama in gioco la concezione kantiana della forza, ma
riesce a sintetizzare con eleganza un problema che né la fisica né la filosofia sono state
ancora in grado di risolvere.
Il concetto di forza, infatti, oltre ad essere stato soggetto nei secoli ad una
polisemantica, ha subito una profonda mutazione con il passaggio dalla fisica di
impianto newtoniano alla teoria della relatività: da concetto metafisico che indicava un
114 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 308 : “1. Mechanisch//bewegende Kräfte der Materie durch einen andern Körper z. B. vectis 2. Dieses sein inneres Bewegungsvermögen dynamisch die Steifigkeit des Hebels die Zähigkeit des Seils und der Rolle, und die Gegenwirkungen der Affinität 3. Organisch durch ein immaterielles Prinzip der inneren Zweckmäßigkeit, dazu die Tiere gehören. Zu No 3. gehört das Prinzip der Einteilung a priori wo das Individuum vergeht, die Spezies bleibt 4. Die Willenskraft d.i. die mit Bewusstsein bewegende Kräfte des Menschen. Die mechanisch//dynamisch//organisch// und durch die Willenskraft eines Sinnenobjekts (Subjekts) des Menschen bewegende Kräfte der Materie enthalten alle aktive Verhältnisse der bewegenden Kräfte welche die Physik auf das Objekt ausübt u. worauf das Subjekt derselben reagiert”. Secondo Karen Gloy la politomia qui riportata ha un significato relativo rispetto al complesso dell’opera, ma riconosce che è il frutto di una divisione che segue la tavola delle categorie, cfr. K. Gloy, Die Kantische Theorie der Naturwissenschaft, p. 199 nota. Se si assume la tesi di Gloy, non è però immediatamente comprensibile perché Kant abbia attuato una politomia di questo tipo anche in KGS XXII, pp. 299, 315 e 375, dal momento che la divisione dovrebbe procedere a priori da concetti e configurarsi come una dicotomia. Una risposta a nostro avviso plausibile, a seguito del confronto con altre opere kantiane, può essere quella per cui la distinzione presente nell’opera tra dabilis e cogitabilis dia vita a una divisione dell’eterogeneo e una dell’omogeneo secondo le forze motrici della materia che va a configurarsi come qui riportato, in base ai rapporti reciproci attivi tra di esse. I modelli topici della divisione presenti nell’Opus postumum mirano sostanzialmente a mostrare come cogitabile il tutto della sintesi possibile dei rapporti tra i corpi materiali da un punto di vista esterno ed interno, oggettivo e soggettivo. Tali punti di vista corrispondono a principi metafisici specifici dotati di necessità tali da permettere un passaggio alla fisica generale come modello sistematico per la ricerca scientifica nel campo dell’empirico. La divisione di ciò che è dabilis solo attraverso (durch) e non per (für) l’esperienza, dovrà presentarsi necessariamente come una politomia, procedente all’infinito poiché la fisica come scienza sperimentale può e deve sempre essere ampliata dal punto di vista del suo contenuto. Inoltre, Kant riserva un posto speciale al quarto termine di questa divisione metafisica, Willenskraft, come se esso fosse membro interno della divisione, ma anche esterno ad essa, mediatore a sua volta per una superiore unificazione delle forze.
196
agente esterno sulla materia si è trasformato in una funzione matematica che indica un
trasferimento di momento.115
La strada che vale la pena tentare è di vedere come Kant avesse colto il carattere
problematico del concetto metafisico di forza e come lo avesse declinato nell’ultima
fase della sua produzione.
Sulla ricostruzione dell’origine e della formazione del concetto di forza in
generale, Jammer propone una lettura secondo cui questo sarebbe stato pensato in
analogia con la volontà umana, con l’influenza spirituale o con lo sforzo muscolare,116
mentre avrebbe poi assunto le vesti di una nozione puramente relazionale. Il problema
che il concetto di forza presentò agli scienziati del XVIII secolo fu sintetizzato da
d’Alembert nella Prefazione al Traité de dynamique del 1743, anno in cui gli si
attribuisce la risoluzione della disputa fra i sostenitori della forza viva leibniziana e la
forza, intesa come momento, dei cartesiani. Per d’Alembert la disputa poteva essere
risolta, individuando un fraintendimento che soggiaceva alla definizione di “forza”, ma
lo stesso Kant si pose criticamente nei suoi confronti, riuscendo a cogliere già nel 1747
che il problema della valutazione della forza non si basava su un misunderstanding, ma
su due diverse visioni del mondo, su due sistemi, quello leibniziano e quello cartesiano
che si scontravano per la supremazia sul Continente. Senza contare che questo scontro
investiva molto di più che la definizione di forza, investiva la fisica e la metafisica. Di
questo aspetto Jammer sembra tener conto quando afferma: “Force has a unique
position among all possible basic concepts in physical science since it may be regarded
as having a direct relation to the concept of cause. Indeed many students of the problem
and foremost among these the Kantian school of thought, consider “force” the exact
physical formulation of “cause” and causality”.117
Proprio sulla base di questa considerazione metafisica della forza, Kant
abbracciava un’idea secondo cui non è mai possibile una conoscenza diretta della forza.
La forza non era un fenomeno osservabile o valutabile direttamente nell’esperienza, ma
solo indirettamente e andava valutato esclusivamente nei suoi effetti. La lettura che
Jammer propone di Kant è pertinente, ma ha il limite di non prendere in considerazione
la Critica della facoltà di giudizio e il Passaggio dai principi metafisici della scienza
della natura alla fisica, risultando manchevole di un tassello fondamentale per la
ricostruzione della concezione kantiana della materia e dunque della forza.
115 Cfr. Jammer (1957), vi. 116 Jammer (1957), p. 7. 117 Jammer (1957), p. 15.
197
Ma il vero scarto si ha, chiedendosi che tipo di concezione formale della forza
avesse Kant. In sostanza occorre chiedersi se Kant ritenesse le forze motrici della
materia fossero esistenti fisicamente.
Secondo una prima impressione la risposta dovrebbe essere affermativa. L’idea
kantiana di forze inerenti alla materia, come attrazione e repulsione, richiama una
visione simile della forza simile a quella di Musschenbroek, ‘sGravesande e Leibniz,
mentre per alcuni versi ricordano quella di Keplero118 e Huygens.119 Ma il confronto più
fruttuoso deve essere attuato con Newton. Jammer nota come Newton intendesse il
concetto di forza impressa secondo un principio metafisico della Scolastica: Cessante
causa cessat effectus.120 Alcuni passi dei Principia lasciano intuire che il concetto di
forza sia di natura intuitiva, in analogia con la forza muscolare umana, ma allo stesso
tempo le forze fisiche debbano essere considerate matematicamente. Newton si
muoveva nell’ambito di un’indecidibilità sulla natura della forza e puntava
all’irriducibilità nel suo sistema della forza gravitazionale, la cui natura profonda
restava sconosciuta.121
Sia in una lettera a Oldenburg del 1675 che in una a Boyle del Febbraio 1678,
Newton afferma la possibilità di spiegare la gravità attraverso un medium materiale,
l’etere. Nella lettera a Boyle si legge:
Tuttavia, i seguaci di Newton, come J. Keill, tornarono ad
un’accezione metafisica della forza di gravità, ma non è solo questa la recezione che
Kant ebbe del problema. Kant conosceva anche i tentativi di Newton di dedurre il
fenomeno della gravità da due assunti: una stratificazione delle particelle dell’etere
elastico che variavano continuamente sottilità e che permeavano la terra e la loro
irriducibile tendenza alla dilatazione.
I shall set down on conjecture more…it is about the cause of gravity. For this end I will
suppose aether to consist of parts differing from one another in subtility by indefinite degrees: that in the pores of bodies, there is less of the grosser aether in proportion to the finer, than in open spaces; and consequently, that in the great body of the earth there is much less of the grosser aether, in proportion to the finer, than in the regions of the air.122
In sostanza Newton non rigettò la possibile esistenza dell’etere, strumento
essenziale per una teoria cinetica della gravità che non riusciva a provare l’azione a
118 Jammer (1957), pp. 85-91. In particolare, Keplero insisteva sulla reciprocità della forza e sulla presupposizione di una forza regolativa, che andava costruita per legare matematica e fenomeni naturali. 119 Jammer (1957), pp. 110-114. 120 Jammer (1957), p. 121. 121 Jammer (1957), p. 141. 122 Isaaci Newton Opera, ed. S. Horsley, vol. IV, London 1779-1785, p. 385.
198
distanza. Come è noto Newton oscillò, senza mai dare una risposta definitiva, tra la
posizione secondo cui la gravità era il frutto di un’azione a distanza e quella che ne
rintracciava la causa nell’azione contigua tra le particelle di etere. Newton non
intendeva prendere una decisione definitiva, anche perché, metodologicamente, per
Newton la forza e la gravitazione erano un fatto irriducibile di esperienza.123
Nel quadro dell’analisi svolta da Jammer emerge che, prima che per Newton,
anche per Keplero il concetto di forza ha svolto una funzione di convenienza per la
spiegazione della connessione tra i cambiamenti di velocità del moto dei pianeti e le
variazioni di distanza. Fu grazie al lavoro di Mach, Kirchhoff e Hertz che si completò il
processo di eliminazione del concetto di forza dalla meccanica e questo fu possibile
grazie allo sviluppo della fisica matematica.
Ora, quello che vale la pena considerare alla luce dell’analisi compiuta da
Jammer, è il fatto che Kant attribuì al concetto di forza e alle relazioni possibili tra le
forze proprio un ruolo di mediazione nel contesto dell’Übergang. Jammer indica nelle
sue conclusioni come la forza non sia altro che uno strumento metodologico che
permette lo studio di aspetti cinematici, prima e indipendentemente da ogni particolare
situazione fisica dei corpi che sono presi in considerazione:
The concept of force in contemporary physics plays the role of a methodological
intermediate comparable to the so called middle term in the traditional syllogism. In order to show that “Socrates is mortal”, we introduce the middle term “man” and state the two premises: (I) All men are mortal; (2) Socrates is a man. In our final conclusion, “Socrates is mortal” the middle term “man” drops out. Likewise, to show or to predict that a certain body A moves on a certain trajectory B, when surrounded by a given constellation of bodies C, D,…, which may be gravitating, electrically charged, magnetized, and so forth, we introduce the middle term “force” and state the two “premises”: (I) the constellation C, D,…gives rise to a force F (according to the laws of motion) makes the body A move on the trajectory B. In our final conclusion, “Body A surrounded by C, D,…under the given circumstances, moves along trajectory B”, the middle term “force” again drops out. Instead of connecting directly the cinematic behaviour of body A with the arbitrarily given configuration C, D, …we are splitting the situation up, so to say, into two parts.124
Per Jammer, la particolarità della formula ma = Φ (X) consiste nello svelare la
doppia natura del concetto di forza.
Da un lato una natura a priori, legata alla sua definizione, dall’altro lato
empirica legata al fatto che ma, in quanto funzione di X, denota la configurazione come
123 Cfr. Pecere (2009), pp. 293-294. 124 Jammer (1957), p. 244.
199
somma delle masse gravitazionali, come cariche elettriche, come momenti magnetici,
così come costellazioni geometriche.125
Di fatto però non esiste un unico corrispettivo empirico della forza, anzi tale
concetto abbraccia un composto da determinare e da costruire matematicamente.
Quanto più questo composto viene via via determinato, arricchito di caratteri che ne
spiegano i nessi interni, tanto meno si rende necessario il concetto di forza.
A questo punto si può avanzare un’ipotesi epistemologica e interpretativa
dell’ultima produzione kantiana: l’esigenza della matematizzazione della forza è
pienamente rispondente all’obiettivo perseguito nel Passaggio dai principi metafisici
della scienza della natura alla fisica.
Kant colse perfettamente sia il problema della mediazione, della necessità di
leggi ponte nella fisica, sia della fondazione dell’applicazione della matematica ad essa.
Kant, dunque, sosteneva la natura parzialmente metafisica del concetto di forza,
ma anche la necessità di considerarlo uno strumento per la spiegazione di fenomeni
fisici colti dalla meccanica e, per attuare questo passaggio dalla sfera metafisica alla
fisica, designò la matematica come lo strumento che poteva “tradurre” il concetto di
forza nella natura.
L’altro aspetto su cui vale la pena riflettere concerne il concetto di energia e il
suo legame con quello di forza. A questo proposito Jammer sostiene che il concetto di
forza era il comune denominatore di tutti i fenomeni fisici e sembrava un promettente
strumento per ridurre tutti gli eventi fisici ad un’unica legge fondamentale. Poi
aggiunge:
But more important, perhaps, is that the concept of force was instrumental in the construction of the concept of energy, a notion whose contribution to a unified conception of physical phenomena is unquestioned.126
Il processo che ha portato alla trasformazione del concetto di forza nella
relatività ha condotto anche alla riduzione della gravità a forza fittizia, come accadde
nel caso della forza centrifuga. La tesi di Jammer è anche un auspicio per la fisica,
ovvero quello di sottoporre forze elettromagnetiche e nucleari allo stesso trattamento
che Einstein riservò alla gravità, così da trovare una “unified field theory”.127
125 Jammer (1957), pp. 244-245.
126 Jammer (1957), p. 243. 127 Cfr. Jammer (1957), pp. 263-264.
200
Questo coinciderebbe con la fine del concetto di forza nella fisica, che sebbene
usato come un membro intermedio, ma necessario dalla meccanica classica, cesserebbe
di occupare anche questa posizione in una teoria di campi unificata.
Nonostante Kant non perseguisse certo un programma per una teoria unificata di
campi e di forze, come ha sottolineato M. Morrison,128 riconosceva però uno schema
della tendenza (Tendenz) all’unificazione dei sistemi e delle teorie e dunque anche della
fisica come scienza.129
A fronte del problema epistemologico della totalità che si è analizzato nel
capitolo precedente, e dello sviluppo storico della fisica dell’epoca, risulta plausibile
l’idea che Kant sia ricorso al concetto di energia, perché in grado di sintetizzare in fisica
quel concetto di leibniziana memoria di “intensità” della forza, la cui differenza di grado
determinava una differenziazione infinita della materia continua:
Wenn alle Ursache der Bewegung bloß mathematisch nicht auch dynamisch geschätzt werden sollte so würde weil die bewegende Kraft = MC ist ob ich C vermindere und M um ebenso viel vermehre das facit ebenso ausfallen als ob ich C vermehrt und M um ebenso viel vermindert hätte. — Nun aber hört die Bewegung eines gegen die Richtung der Schwere bewegten Körpers mit einem M o m e n t auf womit der Körper immer noch bewegende Kraft obgleich noch keine Bewegung hat wenn ich aber das Volumen desselben verringere so hört er mit dem gänzlichen Verschwinden des Volumens mit Nichts auf. Also muss die Quantität der Materie was das Reale derselben betrifft nicht nach dem Volumen sondern der energie der bewegenden Kraft geschatzt werden und alle Materialität hat einen G r a d der äußer der Menge der Materie noch hinzu gedacht werden kann und die letztere kann in stetigen Materien unendlich verschieden sein weil die Materien der Qualität nach nämlich nach der Intensität ihrer Kraft verschieden sein können. — Oder man müsste annehmen keine Materie könne ein continuum sein müsse leere Zwischenräume in sich enthalten.130
La quantità della materia deve essere misurata per Kant secondo l’energia delle
forze motrici che sono differenti infinitamente nel continuo, poiché le materie possono
essere diverse secondo l’intensità delle forze che sprigionano. In base a quanto detto nel
capitolo II, nell’Opus postumum Kant non basa la meccanica solo sulla Foronomia, ma
anche e soprattutto sulla Dinamica.
In più luoghi dell’Übergang Kant utilizza il termine “energia” (Energie)
ponendolo alla base per la spiegazione dell’attività delle forze motrici sia dei corpi che
della materia cosmica.
128 Morrison, (2008), pp.37-62. 129 Morrison, (2008), pp. 37 segg. 130 Opus postumum, KGS XXI, p. 466.
201
In un primo passaggio Kant sostiene che le forze motrici della materia possono
essere considerate da un punto di vista foronomico o secondo la loro energia come
cause efficienti degli spostamenti dei corpi.
Ci si trova di fronte, dunque, ad una specificazione del concetto di forza,
attraverso il concetto di energia, ancora una volta legato alla causalità:
Die bewegende Kräfte der Materie und mit dieser auch der Körper können nach dem
F ö r m l i c h e n den Gesetzen der Bewegung derselben als Veränderungen ihrer Örter im Raum (phoronomisch) oder auch nach ihrer Energie als wirkende Ursachen dieser Veränderungen d. i. ihrem G e h a l t e nach erwogen werden welcher wenn er nur durch Erfahrung erkennbar ist physisch//dynamische Anfangsgründe enthält; da dann diese von den mathematischen als welche gänzlich auf Prinzipien a priori beruhen (z. B. Newtons Philosophiae naturalis principia mathematica) abzusondern sind indem sie bloß das Formale der bewegenden Kräfte enthalten.131
Kant specifica la compatibilità di questo duplice approccio nella valutazione
della quantità di materia, in quanto essa può essere considerata come grandezza
estensiva, ma anche intensiva:
Ebenso die letztere Quantität soweit ich will verkleinern u. jenes Moment vergrößern.
Die Quantität der Materie ist also so wohl extensiv als intensiv zu schätzen und wenn in gleicher Höhe vom attraktionspunkt das Volumen mag sein welches es wolle die bewegende Kraft an demselben Hebelarm größer ist so ist die Quantität der Materie mathematisch für dieselben anzunehmen obzwar es möglich wäre dass auch die Qualität derselben nämlich größere Energie der einen über die Andere nicht die bloße Menge die Ursache davon wäre.132
Ma l’analisi di Kant si spinge oltre, quando lega esplicitamente il concetto di
energia alla materia cosmica per rappresentarne meglio il carattere universale e per
svelare il carattere strumentale anche del concetto di contatto (Berührung), che va
pensato come determinazione dello spazio:
Die Attribute dieses Stoffes (weil er allbefassend e i n z e l n (unica) und die Basis aller
zur Einsicht des Objects der (einen) Erfahrung ist) sind nun nach dem Satz der Identität gegeben nämlich dass er a l l v e r b r e i t e t , a l l d u r c h d r i n g e n d und a l l b e w e g e n d ist (nicht aber dass er selbst in seinem Platze beweglich (locomotiva d. i. Ortverändernd) und es als ein solcher notwendig d. i. auch a l l d a u r e n d ist. Denn Sempiternitas est neceßitas phaenomenon. Mann nennt diesen Stoff Wärmestoff; nicht darum dass er W ä r m e um sich verbreitet denn diese kann bei aller jener Energie desselben in Beziehung auf die Körper in die er wirkt ganz mangeln wie sie denn auch eine Wirkung ist die sich nur aufs G e f ü h l subjektiv nicht auf das Objekt der V o r s t e l l u n g bezieht sondern weil eine seiner Tätigkeiten darin besteht diesen Zustand zu bewirken anstatt dessen man das Vermögen Körper die er durchdringt auszudehnen diese Materie besser in völliger Allgemeinheit bezeichnen würde. Daher denkt man sich a priori in einem erwärmten Raum könne kein Teil desselben kalt bleiben und jene Materie müsse diese
131Opus postumum, KGS XXI, p. 352. 132 Opus postumum, KGS XXI, p. 436.
202
Wirksamkeit notwendig außerhalb mittheilen, wenn außer ihr etwas ist was mit ihr eine gemeinschaftliche Grenze hat. Das Wort B e r ü h r u n g findet hiebei nicht statt (weil es schon eine bewegende Kraft in seinem Begriffe enthält): es müsste denn wie der angulus contactus in der Geometrie eine bloße Raumesbestimmung nicht Naturbestimmung einer Materie gedacht werden Eine andere Benennung würde eben dieselbe auch am L i c h t s t o f f e erhalten der auch gewisse Körper durchdringend angetroffen wird, und eben so Gemeinschaft der bewegenden Kräfte der Materie der Weltkörper bewirkt; alle diese Begriffe aber zwecken darauf ab um ein materielles Prinzip der Einheit möglicher Erfahrung welche alle Erfahrungen zu Einer verbindet, zu haben ohne welche und deren Form kein Zusammenhangendes Ganze der Erfahrung die alsdann nur A g g r e g a t der Wahrnehmungen nicht Erfahrung als System sein würde statt findet.133
Questo passo merita un’attenta valutazione, perché è in grado di fornire la
ragione del ricorso all’etere per fondare la cosmologia dinamica di epoca tarda.
In primo luogo, la presupposizione dell’etere serve per poter pensare a priori le
parti di uno spazio non soggette a completo raffreddamento, perché questa materia
cosmica è in grado di trasferire calore e luce ai corpi.
Se pensato come riempiente tutto lo spazio cosmico, l’etere e le forze motrici
della materia insieme, formano un principio materiale dell’unità dell’esperienza
possibile134
In secondo luogo, l’universo kantiano non risponde solamente alle forze di
attrazione e repulsione, come i suoi immediati successori e numerosi interpreti hanno
ritenuto.
che riunisce tutte le esperienze in una sola esperienza, vale a dire in un
sistema dell’unità e dell’universalità collettiva.
È evidente che Kant avesse fatto propri gli studi sulla convezione e li avesse
inseriti nel quadro della sua cosmologia e di uno spazio cosmico.
Questo si evince sia dal fatto che Kant fornisce una definizione del concetto
fisico e geometrico di contatto, sia dal fatto che già nel 1755 aveva definito l’esistenza
di una legge fisica statica (o idrostatica) dell’universo per determinare i diversi gradi di
densità della materia, accompagnandola ad una visione delle leggi dell’interazione
chimica e della forza repulsiva capace di creare diversi stati di aggregazione. Non
stupisce, poi, che Kant attribuisca all’etere caratteri chimici tipici dei fluidi e dei gas e
utilizzi il nome Basis per classificarla.
Infatti, il fenomeno della convezione termica
Aumentando la temperatura, il fluido a contatto con l'oggetto si espande e
diminuisce di densità, e sale verso l’alto (
si ha quando un fluido entra in
contatto con un corpo la cui temperatura è maggiore della propria.
principio di Archimede
133 Opus postumum, KGS XXI, pp. 584-5.
) dal momento che,
134 Principio che Kant si augurava di rinvenire già nella terza Critica. Cfr. infra, Capitolo III.
203
essendo meno denso, pesa anche di meno. In questo modo si generano dei moti
convettivi in cui il fluido caldo sale verso l’alto e quello freddo scende verso il basso.
Sarà ora il fluido sceso in basso a scaldarsi perché a contatto con il corpo più caldo e
quello migrato verso l’alto a raffreddarsi di nuovo, dando vita ad un nuovo scambio.135
C’è un aspetto della convezione che merita considerazione, cioè quello della sua
determinabilità sotto l’azione della gravitazione.
Poiché il fenomeno della convezione necessita di un orientamento nello spazio,
della definizione di un sopra e un sotto e di una superficie di contatto, questo fenomeno
non si da al di fuori di un campo gravitazionale. All’epoca di Kant non c’era evidenza
della consapevolezza di questo aspetto.
Tuttavia, risulta molto interessante che la cosmologia di epoca tarda mantenga la
definizione delle regioni dello spazio cosmico a partire dall’orizzonte del piano della
Via Lattea e, in secondo luogo, che, per Kant, uno spazio in espansione dovesse essere
pensato come riempito di materia per poter trasferire luce, calore ed energia.
Questa visione implicava chiaramente sul piano teoretico una filosofia
dell’Übergang, del passaggio o del transito.
Nell’Opus postumum si ritrova un passo rilevante per questo, sebbene di
significato oscuro e quasi pittoresco, se non si collega ad un quadro più generale:
Principium continui L o g i c u m Leibnitzii suppositio geometrica. Qvicqvid valet de corore in aliud molem impingens qvarunqve hoc celeritate moventis valet etiam si hoc vt qviescens aßumseris. Nam quies est motus infinite parvus. Haec regula autem ipsum redarguit auctorem in quaestione de omnibus vivis. Princip. continui transßc. Non datur progreßus a ratione data ad realiter oppositam secundum regulam nisi per intermedium determinationis quae aeqvivalet ziphoni s. nullitati vtriuspve h.e. indifferens, e.g. in oscillatione — in magnete — (in transitu a vitio ad virtutem —) in transitu a voluptate ad taedium.136
L’universo può essere così determinato anche attraverso le leggi della
termodinamica, che avrebbero svelato l’importanza fondamentale della teoria della
135 Per esempio all’interno del Sole, il calore si propaga soprattutto per convezione. La temperatura al centro può raggiungere livelli tali nella fase protostellare da determinare l’innesco della fusione del deuterio, che mantiene caldo il centro della protostella e produce lo sviluppo del fenomeno della convezione. La convezione agisce attraverso lo sviluppo di movimenti di masse di gas che producono sia il livellamento della temperatura nella regione interessata dal fenomeno, che il rimescolamento della materia e la omogeneizzazione della composizione chimica nella stessa zona. Anche se il processo di fusione del deuterio si esaurisce in breve tempo, la convezione invece prosegue, favorita dal fatto che la stella in formazione, è capace di emettere una intensa radiazione, che si propaga verso l’esterno dalla sua superficie. Per questo motivo la superficie della stella si raffredda rapidamente; in tal modo è il dislivello di temperatura, che si crea tra gli strati esterni e quelli interni della stella divenuta ormai visibile, a mantenere attiva la convezione. 136 Opus Postumum, KGS XXI, p. 461.
204
forza viva di Leibniz, come nucleo concettuale e matematico di base per la definizione
dell’energia cinetica.
A questo punto si possiedono sufficienti elementi per procedere all’analisi della
prova dell’esistenza dell’etere, evidenziando le questioni epistemologiche che ne
costituiscono il sostrato e la ragione per cui Kant volle dedicare ad essa così tanta
attenzione.
205
CAPITOLO V
LA PROVA DELL’ESISTENZA DELL’ETERE: IL
CONCETTO DI “ESPERIENZA” TRA EPISTEMOLOGIA E
METAFISICA
Premessa
Nel corso dell’analisi svolta dalla ricerca si è tentato di dare un quadro
complessivo delle questioni epistemologiche aperte dalla Critica della facoltà del
giudizio e della risposta che Kant ha cercato di elaborare in un’opera, che, seppure
postuma, ha assunto ormai un’importanza capitale per gli studi kantiani.
Il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica è
capace, infatti, di racchiudere in sé i risultati del criticismo e di applicarli concretamente
alla scienze naturali, grazie alla prospettiva epistemologica aperta dalla terza Critica.
In questa parte conclusiva della ricerca si prende in esame la prova dell’esistenza
dell’etere, il significato che essa assume e le sue eventuali ricadute sull’intero sistema
kantiano e il suo oggetto.
I fenomeni legati al calore, in particolare alla sensazione del calore, alla
dilatazione e all’espansione dei corpi, furono presi in grande considerazione dalla
scienza della natura moderna. Vi erano in particolare due alternative che si
contendevano la spiegazione di questi fenomeni. La prima, sostenuta anche da
Gassendi, presupponeva l’azione di una materia del calore (Wärmematerie) sottile ed
206
elastica. La seconda, abbracciata da Bacone, spiegava tali fenomeni attraverso il
movimento di parti microscopiche dei corpi.
Nella letteratura scientifica tedesca del XVIII secolo, dominava la teoria della
materia del calore (Stofftheorie), supportata tra gli altri da Wolff, Eberhard, Erxleben e
Karsten.1 Tutte fonti che Kant aveva presenti. Oltre a queste, già in epoca precritica,
Kant prese in grande considerazione gli studi sul fuoco di Boerhaave, contenuti in
Elementa chemiae del 1732.2
L’uso del termine Wärmestoff come sinonimo del temine francese “calorique” è
di epoca più tarda ed è attestato verso la fine degli anni ’80 del XVIII secolo.
3 Sino ad
allora si erano alternati termini come Elementarfeuer, Feuerelement e Materie des
Feuers, a cui si attribuivano diversi significati, proprio in mancanza di una teoria del
calore unificata, per la quale si doveva aspettare lo studio di Lavoisier e Laplace e la sua
conseguente diffusione nel Continente. Questi termini potevano indicare o un fluido
sottile che soggiaceva a specifici fenomeni del calore o un materiale capace di dar conto
anche dei fenomeni della luce, finanche a identificarsi con l’etere stesso.
È importante notare come prima del 1770 questo materiale o Elementarfeuer non
fosse ritenuto una sostanza che permettesse il legame chimico con altre sostanze e si
distinguesse così dal flogisto, che invece era considerato una sostanza chimica a tutti gli
effetti capace di contenere il materiale del fuoco.
Con gli sviluppi della chimica di Black e De Luc successivi al 1770 e ai loro
studi sul calore libero e il calore latente, dominò per un decennio la teoria del materiale
del calore in generale, da cui il fenomeno del calore latente venne inteso in analogia alla
neutralizzazione dei legami chimici e, dunque, l’elemento del fuoco di regola venne
concepito come una sostanza chimica.4
1 C. Wolff, Vernünftige Gedanken von den Wirkungen der Natur. Physik I, Halle 1723, §§ 72 segg.; J. P. Eberhard, Erste Gründe der Naturlehre, Halle 1753, §§ 311 segg.; J. C. Erxleben, Anfangsgründe der Naturlehre, Göttingen 1772, §§ 449 segg.; 478; W. J. Karsten, Anleitung zur gemeinnuetzlichen Kenntniss der Natur besonders für angehende Ärzte, Kameralisten und Oeconomen, Halle 1783 §§ 15;137.
A questa fase ne seguì una posteriore agli studi di De Luc e Black. Il calorico
venne inteso come una materia sottile che con il suo movimento ondulatorio poteva
spiegare i fenomeni del calore. Questa visione si distingue però ancora dall’accezione
2 Come riporta anche E. Adickes, Zur Lehre von der Wärme von Fr. Bacon bis Kant, in Kant-Studien, 27, 1922, pp. 328-368. 3 Guyton de Morveau, Lavoisier, Berthollet, Fourcroy, Méthode de nomenclature chimique, Paris 1787. Il testo venne tradotto in tedesco nel 1793. 4 Cfr. F. Rosenberger, Die Geschichte der Physik in Grundzügen : mit synchronistischen Tabellen der Mathematik, der Chemie und beschreibenden Naturwissenschaften sowie der allgemeinen Geschichte, Braunschweig 1882 – 1890, vol. II, pp. 345 segg.
207
più tarda di Wärmestoff: attraverso la mera accumulazione di riscaldamento e sulla base
della forza repulsiva delle sue particelle si riteneva capace di causare la dilatazione dei
corpi riscaldati, così come il mutamento degli stati di aggregazione.5
Kant ha abbracciato nel De Igne e nel Tentativo per introdurre nella filosofia il
concetto delle quantità negative la teoria di Gassendi di una Wärmematerie, perché
identificava l’Elementarfeuer con l’etere e con la materia della luce e del calore, in vista
anche della spiegazione dei fenomeni elettrici e magnetici.6
Alla fine degli anni ’70, invece, Kant tende a distinguere l’etere e la materia del
calore (calorico). Quest’ultima viene designata come un materiale ipotetico, di cui gli
scienziati si servono per la spiegazione di certi fenomeni. Sulla natura dell’etere, invece,
l’elaborazione tarda della posizione kantiana troverà sbocco nei tentativi della prova
della sua esistenza nel Passaggio dai primi principi metafisici della scienza della natura
alla fisica.
Come si è anticipato, nella produzione kantiana l’ipotesi dell’etere è sempre
stata al centro delle riflessioni sulla fisica. In Meditationum quarundam de igne
succincta delineatio, Kant presenta l’etere come ipotesi, simile a quello ammesso da
Eulero, e teorizzato dal Newton della Query 31 dell’Ottica, costituito di particelle
microscopiche discrete.
Figura 5.1 Immagine tratta dal De Igne (1755)
In Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels, Kant pone alla base
della sua ipotesi cosmologica l’esistenza di una materia originaria, diffusa in tutto lo
spazio, in cui l’interazione delle forze newtoniane produce la formazione dei corpi
celesti.
5 Cfr. R. Fox, The caloric theory of gases: from Lavoisier to Regnault, Oxford 1971, Cap. I. 6 Cfr. De igne, KGS I, p. 377; Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen, KGS II, p. 187.
208
Ma la ricerca newtoniana sull’etere trovava un illustre predecessore. Infatti, il
problema fisico della prova dell’esistenza di una materia cosmica onnipenetrante e
semovente compare già nella riflessione di Francis Bacon. Il filosofo della natura
inglese, molto apprezzato da Kant, come testimonia l’esergo della Critica della ragione
pura, è definito come il primo e il più grande scienziato della modernità nell’edizione
della Logik Jäsche.7
L’idea di una materia cosmica e la negazione del vuoto, così come la critica
all’atomismo, sono i caratteri salienti del sistema del mondo di Bacone:
Neque propterea res deducetur ad Atomum, qui praesupponit vacuum et materiam non fluxam (quorum utrumque falsum est), sed ad particulas veras, quales inveniuntur.8
La letteratura secondaria ha esplorato il legame tra Kant e Bacone e, in virtù di
numerosi studi, è possibile mostrare come questa influenza abbia lasciato il segno anche
nelle pagine dell’Opus postumum. In Bacon und Kant, Kim ha ricostruito il rapporto di
Kant con le opere e il pensiero di Bacone.9 L’aspetto che risulta di particolare interesse,
consiste nel fatto che Kant sembra essere ispirato da Bacone, laddove per provare
l’esistenza della materia cosmica, ricorre alla negazione del vuoto ed assume il carattere
della fluidità (Flüssigkeit) come primario per la determinazione di essa. Anche la
polemica con l’atomismo, sostenuta in più pagine manoscritte, riprende le
argomentazioni baconiane.10
Sebbene Bacone sia stato senza dubbio fonte di ispirazione per Kant, in
generale, la riflessione sull’etere attraversa un’evoluzione che rispecchia lo stato di
incertezza delle ipotesi dominanti della scienza del tempo.
11
7 Logik Jäsche, KGS IX, p. 32.
Come si è visto nel caso
della storia della teoria del calore, così che nella produzione kantiana si riscontrano
diversi modi di definirne lo statuto.
8 F. Bacon, Novum Organon, II, p. 8. Cfr. infra, Capitolo II, §2.2. 9 Shi-Hyong Kim, Bacon und Kant. Ein erkenntnistheoretischer Vergleich zwischen dem "Novum Organum" und der "Kritik der reinen Vernunft", Berlin 2008. 10 Cfr. Kim (2008), pp. 65-66, in cui ricostruisce la posizione di Adickes sul rapporto di Kant con Bacone; pp.132-133 per la trattazione del rapporto tra materia e intuizione nei due autori; pp. 149-150 per il rapporto tra intuizione e oggetto del senso esterno; pp. 235 e segg. per la relazione tra fisica e metafisica in Bacone. Nel 1790 Maimon scrisse un piccolo saggio sull’argomento. Cfr. S. Maimon, Baco und Kant, 1790, in Gesammelte Werke, vol. II, a cura di V. Verra, Hildesheim 1965-1976, pp. 499-522. 11 Cfr. Heilbron, pp. 44-45.
209
Nella Critica della ragione pura sono presenti dei riferimenti inequivocabili alla
materia onnipenetrante che fonda a livello cosmico l’azione delle forze motrici della
materia e la possibilità di conoscerle12
. Anche nella Kritik der Urtheilskraft si legge:
Così l’etere dei nuovi fisici, un fluido elastico che penetra tutte le altre materie (con esse internamente mescolato), è solo una cosa dell’opinione, ma pur sempre del tipo per cui, se i sensi esterni fossero acuiti in sommo grado, esso potrebbe essere percepito, e che però non mai può essere esibito in una qualsiasi osservazione o esperimento.13
Nelle pagine manoscritte dell’Übergang von den Metaphysischen
Anfangsgründen der Naturwissenschaft zur Physik merita un’analisi attenta la prova
dell’esistenza dell’etere,14 che Kant individua come il principio materiale (Urstoff o
Weltstoff), su cui basare il sistema delle forze motrici per la scienza del Passaggio dai
principi metafisici della scienza della natura alla fisica.15
Si tratta di vedere se Kant non contravvenga con la prova dell’esistenza
dell’etere ad uno degli assunti fondamentali del criticismo, secondo cui la
determinazione completa di un concetto non implica l’esistenza dell’oggetto
corrispondente ad esso. Ma se anche si dimostrasse che la prova dell’esistenza dell’etere
fosse congruente con l’idealismo trascendentale, comunque ci viene riconsegnata la
filosofia di Kant sotto una luce diversa.
La letteratura che si è confrontata sull’argomento e le posizioni che emergono
non sono ancora riuscite a concordare su alcuni punti centrali.16
12 Cfr. KrV, A 649-50/B 677-78.
In primo luogo sulla
valenza che la prova dell’esistenza dell’etere assume per la metafisica e per la filosofia
trascendentale, in quanto prova indiretta, ipotetica e unica nel suo genere. In secondo
luogo, occorre stabilire se Kant sia autorizzato o meno a postulare l’esistenza dell’etere
e, infine, su quale base Kant possa parlare dell’etere come concetto dell’unità collettiva
dell’esperienza. Più in generale, l’intento di questo capitolo consiste nell’affrontare
l’analisi di alcuni passaggi salienti della prova dell’esistenza dell’etere, tentando di
offrire delle risposte sui punti esposti, collocandoli all’interno di una riflessione e di una
13 KdU, p. 299. 14 Nell’Opus postumum appaiono numerose versioni della trattazione della prova dell’esistenza dell’etere. I passi più significativi e completi nell’argomentazione sono contenuti in KGS XXI, pp. 582-610. 15 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 600. 16 Fondamentali sono da considerarsi gli studi di P. Guyer, Kant’s System of Nature and Freedom, Oxford 2005; M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992; J. Edwards, Substance, Force and the Possibility of Knowledge: On Kant’s Philosophy of Material Nature, Berkeley 2000; S. Marcucci, Kant e la conoscenza scientifica, Lucca 1988; V. Mathieu, La filosofia trascendentale e l’“Opus postumum” di Kant, Torino 1958; B. Tuschling, Metaphysische und Transzendentale Dynamik in Kants Opus postumum, Berlin 1971.
210
ricostruzione più ampia della filosofia kantiana, che tenga conto sia della configurazione
del rapporto dell’Io con la materia, sia della visione della scienza della natura. In
secondo luogo, il concetto stesso di esperienza (Erfahrung) viene modificato dallo
scopo dell’ultima opera e con esso si configura un’idea della scienza molto più
complessa di quello che le pagine della Critica della ragione pura avevano proposto.
L’universalità collettiva dell’esperienza, da un lato, e la strategia kantiana della
costruzione di modelli scientifici, dall’altro, sono la cornice entro cui la prova
dell’esistenza dell’etere vuole essere inquadrata, al fine di mettere a fuoco da un punto
di vista epistemologico i concetti di materia e delle sue forze motrici.17
Questa cornice,
come anticipato nel capitolo IV, non è quella della vulgata: le forze di attrazione e
repulsione non sono la sola ragione per spiegare il mondo, ad esse vanno unite in un
unico sistema le leggi della termologia e il principio di continuità.
5.1 La prova dell’esistenza dell’etere: una prova apagogica
Nell’Übergang, in virtù della tendenza asintotica tra metafisica e fisica, si ha
uno sdoppiamento di piani da cui può essere considerato l’etere, così che esso è assunto
come un postulato18 per il passaggio dalla metafisica alla fisica, ma costituisce una mera
ipotesi per lo scienziato che procede mediante osservazione e ed esperimento.19
Questa duplicità di piani si riferisce al duplice modo della ragione di trattare
oggetti del pensiero o in relazione tra loro o in relazione alle facoltà umane.
E’ lo stesso Kant a dire, infatti, che trattato direttamente l’etere sarebbe provato
nella sua esistenza solo ipoteticamente, come la scienza contemporanea stava cercando
di fare.20
17 Cfr. Friedman (1992), pp. 213 segg.; Edwards (2000), pp. 93 segg. ; Förster (2000), pp. 75-147; Pecere (2009), pp. 730-774, per la trattazione delle forze motrici della materia con un approccio storico e di ricostruzione delle diverse fasi di elaborazione della prova dell’esistenza dell’etere.
18Opus postumum, KGS XXI, p. 219: “Der empfindbare Raum, der Gegenstand der empirischen Anschauung desselben ist der Inbegriff der bewegenden Kräfte der Materie ohne welche er kein Gegenstand möglicher Erfahrung und als leer gar kein Sinnenobjekt sein würde. Dieser Urstoff der bloß in Gedanken da ist mit der Eigenschaft die wir ihm beilegen müssen uranfänglich bewegend zu sein ist nun kein hypothetisches Ding auch nicht ein Erfahrungsobjekt denn da würde dieser zur Physik gehören hat aber doch Realität und seine Existenz kann postuliert werden weil ohne die Annahme eines solchen Weltstoffs und der bewegenden Kräfte desselben der Raum kein Sinnenobjekt sein und Erfahrung über dasselbe weder bejahend noch verneinend statt finden würde. — Von einem solchen formlosen alle Räume durchdringenden nur durch die Vernunft zu bewährenden Urstoffe von welchem wir nichts mehr als bloß im Raume verbreitete und alldurchdringende bewegende Kräfte denken lässt sich seine Wirklichkeit auch vor der Erfahrung mithin a priori zum Behuf möglicher Erfahrung postulieren”. 19 Cfr. KrV, A 613-14/B 641-42. In queste pagine Kant sostiene che l’etere rimanga un fondamento insondabile per lo scienziato naturale. 20 Cfr. M. Gliozzi, Storia della fisica, pp. 420; 448.
211
Ma non è certo da un punto di vista empirico che Kant pretende di provare
l’esistenza dell’etere: non si tratta affatto di provare l’esistenza quoad materiale di esso.
L’etere trattato indirettamente, cioè quoad formale, secondo principi a priori,
possiede lo statuto di una cosa (Ding), la cui esistenza viene presupposta nel pensiero,
in favore dell’esperienza, attraverso una prova di natura ipotetica e secondo principi a
priori:
[…] Eine Materie annehmen deren Gegenstand das Ganze aller möglichen Erfahrung d.
i. ein alldurchdringender allverbreiteter und allbewegender Weltstoff ist der zwar direkt betrachtet bloß ein hypothetischer Stoff ist (Wie etwa die welcher man den Nahmen des Wärmestoffs gibt) denn seine Annahme soll nicht auf Erfahrung gegründet sein wird aber auch nicht zum Prinzip der Erklärung gewisser Phänomene willkürlich verwandt: — indirekt aber ist er als formales Prinzip der Möglichkeit des Ganzen der Erfahrung überhaupt ein zum System der bew. Kr. notwendig mithin a priori gegebener Stoff der allen bewegenden Kräften der Materie im Elementarsystem derselben zur Basis dient.21
L’etere non è quindi trattato come ipotesi, bensì come principio formale della
possibilità del tutto materiale dell’esperienza in generale. Questo viene considerato
come la materia (il mobile nello spazio) posta a priori e necessaria al sistema delle forze
motrici della materia stessa, diventando quindi la loro base (Basis) nell’Elementar
System.
L’analisi di queste pagine manoscritte, tra le più complesse e commentate
dell’intero corpus kantiano, non può non partire, pertanto, dalla domanda sullo statuto
di questa prova, che Kant stesso definisce in primo luogo come “indiretta e unica nel
suo genere”. L’unicità di questa prova deriva dal fatto che per Kant il ricorso a prove
apagogiche in filosofia é sconsigliato. Le prove indirette o apagogiche procedono per
modus tollens, il cui modo di inferire procede tramite la falsificazione del
contraddittorio, partendo dalle premesse “se p allora q” e “non-q” facendo seguire la
conclusione “non-p”.22
Nel caso della prova dell’esistenza dell’etere, Kant ritiene necessario giungere
alla verità della proposizione dell’esistenza dell’etere mediante le sue conseguenze e
secondo una delle regole formali del modo di inferire indiretto o apagogico, enunciata
anche nella Logik:
21 Opus postumum, KGS XXI, p. 543. 22 Cfr. Logik Jäsche, KGS IX, p. 106; KrV, A 791/B819; M. Capozzi, Kant e la logica, vol. I, Napoli 2002, pp. 437-438, in particolare p. 438, in cui si nota come “Kant non solo distingue fra il modus tollens e la prova indiretta che ne fa uso, ma pone in luce che nella prova indiretta: 1) si assume la contraddittoria della proposizione da provare, 2) se ne trae una conseguenza, 3) si mostra che tale conseguenza è falsa, 4) si conclude applicando il modus tollens – che la contraddittoria della proposizione assunta è falsa, 5) per il principio del terzo escluso si prova apagogicamente che la proposizione che si voleva provare è vera”.
212
Dalla verità della conseguenza si può inferire la verità della conoscenza come fondamento, ma solo negativamente: se da una conoscenza segue una conseguenza falsa, la conoscenza stessa è falsa.23
L’esistenza dell’etere, come materia onnipenetrante, riempiente completamente
lo spazio cosmico, è ottenuta negando l’esistenza del suo opposto contraddittorio,
ovvero che lo spazio vuoto esista in senso assoluto, poiché il non essere non può essere
percepito e, dunque, non può essere conosciuto.
Il cuore dell’argomentazione è costituito dalla convinzione di Kant che se lo
spazio non fosse riempito di materia non ci potrebbe essere esperienza:
Vom leeren Raum kann es keine Erfahrung, auch keinen Schluss auf das Objekt
derselben geben. Von der Existenz einer Materie belehrt zu sein dazu bedarf ich Einfluss einer Materie auf meine Sinne. Der Satz also: es gibt leere Räume kann nie ein weder mittelbarer noch unmittelbarer Erfahrungssatz sein: sondern ist bloß vernünftelt.24
L’esistenza dello spazio vuoto assoluto, in sostanza, non può essere un giudizio
d’esperienza né direttamente, né indirettamente, e, sebbene Kant ne avesse indicato
nella Fenomenologia la funzione regolativa, non può certo essere un principio
determinante in vista dell’esperienza e della metafisica della scienza della natura.25
Ma la prova indiretta non si arresta all’uso del modus tollens. Essa procede nel
provare la verità della proposizione che asserisce l’esistenza dell’etere secondo il
principio del terzo escluso.
Ovviamente tale principio è un criterio puramente formale dotato di una natura
logica e, come anche nel caso del principio di ragion sufficiente, non intrattiene alcun
rapporto con la realtà effettiva delle cose, ma riguarda la loro semplice possibilità in
base a concetti. Nel caso in questione, infatti, l’etere viene intesa come Ding, come cosa
del pensiero, e non come Sache o Erscheinung, tanto che Kant giunge a sostenere che il
nome ad esso attribuito (etere o calorico) potrebbe anche essere diverso, e che deve
solamente essere assunta la natura direttamente impercettibile di esso.
Ora, per Kant, la prova dell’esistenza di una cosa che non è immediatamente
percepibile può essere indiretta secondo principi dell’accordo (Zusammenstimmung o
23 Logik Jäsche, KGS IX, p. 52. 24 Opus postumum, KGS XXI, p. 600. 25 Questa posizione emerge già nell’ultima sezione dei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft del 1786. Kant ammette però, nell’ultima fase della sua produzione, che sia dato un vuoto di materia, o meglio un’impercettibilità della materia per spiegare certi fenomeni fisici, dal punto di vista meccanico.
213
Zusammenhang) del concetto di questa esistenza con le sole determinazioni
dell’esperienza possibile:
Beweise der Existenz eines Dinges welches nicht unmittelbar als Sinnenobjekt perceptibel ist können auf zweierlei Art geführt werden: entweder direkt aus Gründen der Erfahrung oder indirekt aus Prinzipien der Zusammenstimmung des Begriffs dieser Existenz bloß mit den Bedingungen möglicher Erfahrung. Im ersteren Falle ist er empirisch begründet im zweiten stützt er sich auf Begriffen a priori.26
L’esistenza dell’etere non è certamente provata a partire dall’esperienza, ma
neppure è sufficiente ricorrere esclusivamente a criteri formali di verità per conferire
oggettività ed effettualità al concetto di etere. Per porre adeguatamente le premesse
della prova occorre ricordare che per Kant l’esistenza secondo il principio di identità è
contenuta già nel concetto di materia semovente e che essa non può essere solo un
oggetto del pensiero, ma un oggetto esistente dell’esperienza possibile che è reale anche
fuori dalla rappresentazione che ne ha il soggetto, sebbene la sensazione del soggetto
stesso dipenda da esso:
Dieser in seiner Art einzige Fall aber tritt alsdann doch ein wenn die subjektive Möglichkeit eine Erfahrung zu machen sie mag nun in Ansehung des Objekts und seiner Existenz bejahend oder Verneinend sein zugleich der Grund des Erfahrungssatzes selbst ist. Nun kann man im leeren (im gleichen in einem zum Teil leeren zum Teil vollen) Raume keine Erfahrung machen als nur in so fern er ein mit Materie erfüllter Raum ist und dieser also nicht bloßes Gedankending sondern ein existierendes Objekt möglicher Erfahrung und außer der Vorstellung wirklich ist. — Alle Erfahrungen aber sind unter einander verknüpft und das Objekt derselben macht die Materie aus, ist also ein Objekt aller vereinigten möglichen Erfahrung. — Nach der Regel der Identität also und a priori aus bloßen Begriffen ohne eine Hypothese zum Grunde zu legen ist die Basis aller äußeren Sinnenvorstellungen d. i. des allerfüllenden Stoffs als Gegenstand für alle mögliche bewegende Kräfte der Materie gegeben.27
A questa professione di realismo empirico, segue l’osservazione, però, che il
sostrato capace di generare l’affezione della sensazione non è altro che lo spazio
rappresentato ipostaticamente. Perciò di questo fondamento si può pensare la sua
esistenza come già posta nel suo concetto (in esso contenuta), in accordo con le
condizioni di possibilità dell’esperienza. Poiché lo spazio esiste come forma
dell’intuizione e intuizione formale, come forma del tutto dell’esperienza del senso
esterno, solamente attraverso di esso è possibile pensare il rapporto tutto-parti
26 Opus postumum, KGS XXI, p. 546. 27 Opus postumum, KGS XXI, p. 538. Questo passo risulta di notevole rilevanza, poiché denota come Kant non avesse assunto affatto anche nell’ultima fase della sua produzione una posizione in favore dell’idealismo di Schelling o Fichte, ma avesse mantenuto la fondazione dell’impianto critico dell’idealismo trascendentale.
214
dell’esperienza – ovvero le molteplici esperienze come raccolte in una sola esperienza –
come un unicum, tanto che da questo punto di vista l’esistenza dell’etere può, secondo
Kant, venir postulata.
L’ipostatizzazione dello spazio è il fondamento per postulare la necessità
dell’etere, sebbene tale necessità sia inscritta nell’alveo di un modo di provarne
l’esistenza che ha un fondamento della prova soggettivo, cioè quello delle condizioni di
possibilità dell’esperienza che pone le forze motrici in un sistema:
Diese Beweisart der Existenz eines eigenen alle Körper durchdringenden und sie
innerlich beharrlich durch Anziehung und Abstoßung agitierenden Weltstoffs hat etwas befremdliches in sich; denn der Beweisgrund ist subjektiv, von den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung hergenommen, welche bewegende Kräfte voraussetzt und das Leere ausschließt um den Raum mit einer immer regen Materie zu erfüllen welche allenfalls Wärmestoff oder Äther etc. genannt werden mag und dieser Satz a priori ohne Hypothese auf Begriffe zu gründen. — Nicht bloß die Befugnis dazu sondern auch die Notwendigkeit dergleichen allgemein verbreiteten Stoff zu postulieren hat ihren Grund in dem Begriffe desselben als hypostatisch gedachten Raumes. — Der Raum (wie auch die Zeit) ist eine Größe die nicht existieren kann ohne bloß als Teil eines noch größeren Ganzen. Da es aber ungereimt ist dass da Teile notwendig Gründe der Möglichkeit eines Ganzen sind ein Ding an sich bloß als Teil existieren könne denn das Ganze muss zuerst gegeben sein damit das Mannigfaltige in ihm als Teil gedacht werde28
.
Alla luce dei capitoli precedenti, si può formulare l’ipotesi che la fondazione
kantiana dell’Übergang ammetta la presupposizione dell’esistenza di una materia
riempiente lo spazio, poiché mira all’unificazione della trattazione meccanica e
dinamica della materia attraverso l’uso della matematica,29
così che deve poter esserci
un solo oggetto della possibile esperienza esterna nel campo della causalità delle
percezioni delle cose esterne:
Diese indirekte Beweisart der Existenz eines Dinges ist einzig in ihrer Art und darum auch befremdlich; aber sie wird weniger befremden, wenn man bedenkt dass der Gegenstand derselben auch einzeln und kein Begriff ist der mehreren gemein ist. Denn so wie es nur Einen Raum und nur Eine Zeit (als Objekte der reinen Anschauung) gibt so gibt es auch nur einen Gegenstand möglicher äußerer Erfahrung im Felde der Kausalität der Wahrnehmung von Außendingen; denn alle so genannte Erfahrungen sind immer nur als Teile einer Erfahrung vermöge des allverbreiteten unbeschränkten Wärmestoffs welcher alle Weltkörper in einem System verbunden und in Gemeinschaft der Wechselwirkung versetzt.30
L’etere (Wärmestoff) è unico e il suo non è un concetto comune a molti. Proprio
come le intuizioni pure di spazio e tempo hanno per oggetto un solo spazio e un solo
28 Opus postumum, KGS XXI, p. 221. 29 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 84-85. E’ spiegabile anche da questo punto di vista perché Kant definisca l’etere come un concetto intermedio (Mittelbegriff), che in qualità di spazio ipostatizzato è sia fondamento per la costruzione di concetti, ma anche oggetto della costruzione. 30 Opus postumum, KGS XXII, p. 554.
215
tempo, vi può essere solo un oggetto della possibile esperienza esterna nel campo della
causalità della percezione delle cose esterne in generale.
Proprio a partire da questa unicità del concetto del solo oggetto della possibile
esperienza esterna si chiarisce la seconda caratteristica della prova dell’esistenza
dell’etere, quella dell’unicità. La prova è unica nel suo genere, e può essere impiegata in
una trattazione filosofica, perché il suo oggetto è un unicum, nel senso che è un concetto
da considerare come genere sommo. Così le esperienze non sono altro che parti di una
esperienza resa possibile dall’infinito e perenne etere che connette tutti i corpi cosmici
in un sistema e li pone nella comunanza di azione reciproca attraverso delle forze:
Also nur die E r s c h e i n u n g des Ganzen der bewegenden Kräfte der Materie das
Formale wie das Subjekt afficirt wird giebt a priori ein Prinzip an die Hand durch das Subjektive sie durch Einteilung ihrer aktiven und reaktiven realen Verhältnisse zu spezifizieren (nach den Axiomen der Anschauung, den Antizipationen der Wahrnehmung den Analogien der Erfahrung und der Affinität (Beigesellung, Koordination) der empirischen Vorstellung zur Einheit der Erfahrung) nicht fragmentarisch sondern das Materiale der Sinnenvorstellung systematisch zur collectiven Einheit des Bewusstseins vermittelst der Naturforschung zu verknüpfen. (denn das letztere enthält allein das formale Prinzip derselben was a priori zur empirischen Erkenntnis eines Ganzen der bewegenden Kräfte konform der Einheit des Raumes und der Zeit wodurch was analytisch dem Begriffe nach synthetisch in der empirischen Anschauung verbunden wird.31
Ci si trova di fronte ad un’altra configurazione dello spazio come intuizione
formale, uno spazio diverso da quello geometrico, compatibile con uno spazio-tempo
relazionale.32
Perciò, quando Kant parla dell’etere come materia riempiente tutto lo spazio
cosmico, e dunque di una materia che coincide con esso, si riferisce allo spazio
ipostatizzato, che riempie di contenuto l’intuizione pura del senso esterno, ovvero
conferisce ad esso oggettività secondo regole formali. Lo spazio ipostatizzato viene in
questo modo pensato come fondamento, come sostanza, come ciò che soggiace alle
proprietà percepibili della materia, viste come sue conseguenze.
Questa rappresentazione dell’unità materiale spazio-temporale, secondo i
principi dell’intelletto puro, rende possibile la conoscenza empirica, nel fenomeno, di un
tutto delle forze motrici della materia, la cui azione può essere localizzata attraverso la
composizione di esse e secondo una coordinazione delle parti reciprocamente agenti,
anche in base all’uso dei concetti di riflessione di identità, diversità, interno, esterno,
accordo, contrasto, materia e forma.
31 Opus postumum, KGS XXII, p. 338. 32 Cfr. infra, Appendice.
216
Ora, se queste non sono altro che il sistema dei rapporti reciproci attivi di forze
derivate da attrazione e repulsione, se ne deduce che il loro fondamento, il loro sostrato,
non sia altro che loro condizione di possibilità reale, oggettiva, che noi possiamo
accogliere, sebbene indirettamente, nel senso esterno, e ciò non può essere lo spazio
vuoto, in cui il movimento non sarebbe trasferibile con continuità da un corpo ad un
altro, bensì lo spazio completamente riempito, che da un punto di vista formale deve
essere pensato come una materia riempiente lo spazio, continua, onnipenetrante e
semovente.
5.2 L’esistenza dell’etere provata ipoteticamente
Prima di procedere è necessario spiegare perché e in che senso la prova sia di
natura ipotetica, cioè abbia non solo il carattere di una prova indiretta e soggettiva la cui
verità procede a priori dal principio della possibilità dell’esperienza in generale, ma
anche da un fondamento negativo dell’accordo del concetto di un’esistenza di una
materia con le condizioni della possibilità dell’esperienza. Nell’Übergang si legge:
Der Wärmestoff ist also kein hypothetischer Stoff: der Beweis aber seiner Wirklichkeit ist ein hypothetischer Beweis weil seine Wahrheit auf dem Prinzip der Übereinstimmung desselben mit der Möglichkeit der Erfahrung von dem Gegenstande desselben beruht. Der Beweis hat einen negativen Grund […]. Die Existenz eines gewissen Stoffs den man sich denkt steht unter dem negativen Prinzip der Einstimmung des Begriffs von ihm „mit den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung von demselben“.33
Il concetto di una materia onnipenetrante, perennemente oscillante e semovente,
trae il suo fondamento negativo dal fatto che se lo spazio non fosse percepito allora non
sarebbe un oggetto34
. E lo spazio vuoto è un non ente, perciò il suo contrario secondo il
principio di identità è necessario da un punto di vista logico. Ma dal punto di vista
trascendentale la negazione dello spazio vuoto svela un principio sintetico a priori a
fondamento della posizione dell’etere:
33 Opus postumum, KGS XXI, p. 545; 547; 216: “Diese indirekte Beweisart nicht objektiv aus Erfahrung (empirisch) sondern aus dem Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung überhaupt (a priori) folglich subjektiv Beweis zu führen hat etwas Befremdliches an sich; denn eine solche Schlussart scheint überall nicht folgerecht und möglich zu sein. — Man will wissen ob so etwas als der im Universum verbreitete alldurchdringende Stoff (er heiße nun Wärmestoff oder Äther oder sonst wie) existiere und bekommt zur Antwort dass wenn er nicht existierte selbst die Möglichkeit der Erfahrung von einem solchen unstatthaft sein würde welche doch a priori feststehend nicht bezweifelt werden kann“. 34 Opus postumum, KGS XXII, p. 421.
217
Das Subjektive der Bestimmung meiner selbst ist zugleich objektiv nach der Regel der Identität nach einem Prinzip der synthetischen Erkenntnis a priori u. es ist nur Ein Raum u. Eine Zeit welche jede ein unbedingtes Ganze der Anschauung in der Anschauung d.i. als unendlich vorgestellt werden und mein synthetisches Erkenntnis a priori ist als Trans: Phil. ein Überschritt von den metaphysischen A. Gr. der N. W. zur Physik d.i. zur Möglichkeit der E r f a h r u n g . 35
Secondo le parole di Kant è possibile risalire dalla realtà effettiva delle
conseguenze – le relazioni reciproche delle proprietà della materia – alla realtà effettiva
del fondamento – la materia come etere –, che è in grado non solo di unificare il sistema
oggettivo delle forze motrici della materia, ma anche il sistema soggettivo delle forze
motrici da cui il soggetto è affetto, così da accordarsi con le condizioni di possibilità
dell’esperienza.
Se si possono percepire, ordinare e conoscere gli effetti dei rapporti reciproci
attivi della materia, allora ciò significa, per Kant, che anche il loro fondamento ha un
grado di realtà. Se il complesso delle percezioni dei rapporti reciproci attivi della
materia può trarre il suo fondamento di determinazione completa dall’etere, allora
quest’ultimo esiste perché in accordo con le condizioni dell’esperienza possibile ed è
per questo completamente determinato. Le pagine della Critica della ragione pura
possono gettare luce sulla prova dell’esistenza dell’etere, soprattutto se si considera la
sezione riguardante i postulati del pensiero empirico in generale, sotto l’aspetto della
conoscibilità della realtà oggettiva dei concetti e dell’esistenza di una cosa la cui
percezione possa precederne il concetto. Sul primo punto Kant è esplicito e lega la
nozione di verità trascendentale agli schemi della relazione (le analogie
dell’esperienza):
E’ quindi solo dal fatto che questi concetti esprimano a priori i rapporti delle percezioni
in ogni esperienza, che si conosce la loro realtà oggettiva, ossia la loro verità trascendentale, e ciò, senza dubbio, indipendentemente dall’esperienza, ma non indipendentemente da ogni relazione con la forma di un’esperienza in generale, e con l’unità sintetica in cui soltanto possono venir conosciuti empiricamente gli oggetti.36
E veniamo al paradosso della prova dell’esistenza dell’etere: come è possibile
provarne l’esistenza a priori e secondo concetti, se “nel semplice concetto di una cosa,
non si può affatto ritrovare alcun carattere della sua esistenza”?37
Peraltro anche nella Critica della ragione pura Kant ribadisce che l’esistenza è
toccata soltanto dalla questione se una cosa ci sia data in modo che la percezione della
35 Opus postumum, KGS XXII, p. 85. 36 KrV, A221-222/B269. 37 KrV, A225/B272.
218
cosa possa precedere il concetto. Dunque, la percezione è il carattere originario ed
autentico della realtà.
L’etere, di cui è impossibile una percezione immediata, è tuttavia esistente nella
misura in cui la sua esistenza si connette con le percezioni in un’esperienza possibile,
secondo le proposizioni fondamentali della loro connessione empirica, ossia le analogie
dell’esperienza. Il connettivo in questione, l’elemento che media tra ragione e natura, è
rappresentato dalle forze motrici della materia, che influiscono sull’affezione sensibile
del soggetto e sul movimento dei corpi fisici.
5.3 Ricostruzione dell’argomentazione e il problema dell’esibizione
Come si è anticipato, esistono diversi lavori di ricostruzione delle molte versioni
della prova dell’esistenza dell’etere, tra cui quelli di Pecere, in Italia, e quelli di Förster,
Edwards e Friedman nell’ambito anglosassone. Grazie a questo materiale, e a quello
raccolto da I. Heidemann nella sua edizione dell’Übergang von den metaphysischen
Anfangsgründen der Naturwissenschaft zur Physik del 1996, è possibile accedere al
cuore dell’argomentazione kantiana. Questa ricerca, tenendo presente l’importanza del
ruolo giocato dalla logica nello sviluppo del pensiero kantiano, attribuisce alla ragione
la capacità di compiere il Passaggio dai principi della scienza della natura alla fisica.
La ragione, infatti, come facoltà dei principi e delle idee, compie, assecondando
la sua natura sistematica e totalizzante, il seguente sillogismo:
1- Il tutto delle percezioni appartiene all’unità dell’esperienza come effetto delle
forze motrici impressionanti il soggetto.
2- L’omnitudo collettiva delle forze motrici è l’effetto del tutto della materia che
influisce sul soggetto.
3- Il tutto delle percezioni è esibizione (Darstellung) della materia che è Basis
del sistema delle forze motrici.
Il principio che soggiace a questa catena di inferenze della ragione afferma che
ciò che appartiene all’esperienza, che è solo una, come suo fondamento di
determinazione, è reale.
219
Ora, le interpretazioni che hanno additato la prova dell’esistenza dell’etere come
segno di forte discontinuità con la prima Critica, di fronte a questa osservazione,
possono essere accantonate, in quanto questo principio non sembra essere in alcun
modo contrario al più genuino criticismo. Il principio ontologico di matrice wolffiana
Omnimoda determinatio est existentia et existentia est omnimoda determinatio viene
trattato approfonditamente da Kant sia nelle lezioni di metafisica che nella KrV a
proposito della prova ontologica dell’esistenza di Dio. E’ noto che Kant avesse ripreso
principi ontologici e metafisici della scolastica (come il principio forma dat esse rei) e
della tradizione tedesca, declinandoli però nell’alveo della filosofia trascendentale. Nel
caso della determinazione completa Kant fa valere l’impossibilità del passaggio dalla
possibilità alla realtà (a posse ad esse non valet consequentia) e riduce la definizione
wolffiana a existentia est omnimoda determinatio:
Wenn nun ein gewisser zwar anfangs nur hypothetisch angenommener Stoff als Gegenstand möglicher Erfahrung gedacht wird so ist die Zusammenstimmung seiner Reqvisite wenn der Begriff davon zugleich die durchgängige Bestimmung desselben nach dem Satz der Identität enthält zugleich ein Beweis seiner Wirklichkeit (existentia est omnimoda determinatio) und da diese auf das All der mit einander Verbundenen Kräfte geht seiner Einzigkeit (vnicitas) dass nämlich jedes Ganze desselben im Raumesverhältnis zu anderen Systemen mit diesen relativ auf die bewegende Kräfte der Materie ein absolutes Ganze und absolute Einheit aller möglicher Gegenstände der Erfahrung hiermit aber zugleich die Existenz eines solchen Ganzen ausmacht, dessen Erkennbarkeit mithin Möglichkeit das Dasein einer solchen a priori (als notwendig) darzutun davon die Folge ist.38
Nel Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, Kant
ricorre al principio della determinazione completa, attribuendo quest’ultima all’etere. In
primo luogo, perché esso è una materia (come vi è uno spazio, un tempo e una sola
esperienza) ed è per questa unicità completamente determinato nel suo concetto, in cui è
posta anche l’esistenza. Vale a dire: la sua possibilità é posta solo se esso viene inteso
come un unicum continuo:
So ist die erste Frage ist jener Satz analytisch oder synthetisch — Im ersteren Falle ist
das Dasein im Begriffe enthalten im zweiten kommt es über den Begriff als Bestimmung desselben hinzu. Beides aber ist falsch so wohl dass ein Dasein im Begriffe enthalten sei oder dass das Dasein etwas sei was als Bestimmung eines Dinges über den Begriff desselben zu ihm hinzukommt. Denn der Begriff des Dinges wird hierdurch nicht erweitert sondern das Ding selbst nur gesetzt. Also enthalt diese Frage nur ein Verhältnis der Dinge zum Denken aber nicht zu einander: Ob mein Denken (setzen oder aufheben) notwendig oder zufällig ist.39
38 Opus postumum, KGS XXI, pp. 577-578.
39 Loses Blatt, KGS XX, p. 350.
220
L’esistenza dell’etere è posta, nel senso che l’etere stesso come Ding (come cosa
del pensiero) è posto,40
ma solo in relazione al pensiero stesso ed il suo esser posto
come esistente mantiene col pensiero una relazione di necessità. In primo luogo, infatti,
senza una materia, che con le sue forze generi impressioni nel soggetto, la sensazione
non sarebbe possibile. Il fatto che essa contenga un grado e che nella percezione sia
coinvolta una coscienza è una prova, sebbene indiretta, dell’esistenza di una materia. In
secondo luogo, l’etere, in quanto unico, è il fondamento di determinazione per l’unità
collettiva dell’esperienza come sistema delle percezioni che vengono rappresentate
come un tutto connesso:
Dieser indirekte Beweis ist einzig in seiner Art welches nicht befremden darf, da er auch einen einzelnen Gegenstand welcher nicht logische sondern reale Allgemeinheit bei sich führt, betrifft. — Es ist hier eine Gestammtheit (omnitudo collectiva) der Gegenstände Einer Erfahrung statt der verteilbaren (omnitudo distributiva) welche bloß logisch ist und von der Existenz des Objekts abstrahiert, vorhanden. Was mit jener zusammenstimmt ist wirklich (existentia est determinatio omnimoda heißt es in der Ontologie); aber diese durchgängige Bestimmung empirisch (wie im Übergange von den metaphys. Anf. Gr. zur Physik beabsichtigt wird) zu Stande zu bringen ist schlechterdings unmöglich; wohl aber in Beziehung auf die absolute Einheit möglicher Erfahrung überhaupt in so fern das Objekt dieses Begriffs Eines und Alles der äußeren Sinnenobjekte ist und die Deduktion des Wärmestoffs als der Basis jenes Systems bewegender Kräfte hat ein Prinzip a priori nämlich das der notwendigen Einheit in dem Gesammtbegriffe der Möglichkeit Einer Erfahrung zum Grunde liegen welche zugleich die Wirklichkeit dieses Objekts identisch also nicht synthetisch sondern analytisch mithin zu Folge einem Prinzip a priori bei sich führt. — Es kommt nicht darauf an auszumachen welche Objekte uns für die Erfahrung gegeben sind sondern wie die Erfahrungen beschaffen sein müssen um diese Objekte zu geben.41
L’universalità collettiva (omnitudo collectiva) cioè l’universalità reale42
La ragione fornisce un’ipostatizzazione dell’idea della somma di tutto il reale
(etere come somma della realtà materiale), ovvero lo spazio (forma pura del senso
è
contenuta nell’oggetto della prova. Poiché l’oggetto di questo concetto è uno, in quanto
tutto degli oggetti del senso esterno. Infatti, lo spazio ipostatizzato può essere
rappresentato come tutto (unico), oppure come diviso in un’infinità di parti, secondo il
principio della sua rappresentazione, che è la singolarità. Proprio per il suo carattere di
forma dell’intuizione, lo spazio consente di procedere dalle parti al tutto e viceversa dal
tutto alle parti secondo il principio di identità.
40 Si noti come l’Erläuterung, il chiarimento, abbia a che fare con il porre. Questo passaggio può aprire una riflessione sul significato in Kant di “analitico”. 41 Opus postumum, KGS XXI, p. 586. 42 Opus postumum, KGS XXI, pp. 582-83: “Es ist äußere Erfahrung als collectives Ganze aller Wahrnehmungen d. i. als Eine allbefassende mögliche Erfahrung Es existiert ein Sinnenobjekt außer uns zu dessen Wahrnehmung äußerlich bewegende Kräfte der Materie erfordert werden deren empirische Vorstellung in einem Subjekt verbunden die Basis aller Erscheinungen ist die zusammen die Einheit der Erfahrung ausmachen“.
221
esterno) ipostatizzato o realizzato, in cui sono inclusi i rapporti reciproci interni tra
soggetto, forze motrici e materia:
Ein Ganzes zugleich existierender äußerer Sinnenobjekte ist gegeben (wenn man nicht den Idealismus adoptieren will dessen Behauptung zu einem anderen Fache der Philosophie gehört, von dem hier nicht die Rede ist). — Das Prinzip der Zusammenstimmung aller Wahrnehmungen mit den Bedingungen der Möglichkeit der Erfahrung schließt alles Leere aus weil es kein Gegenstand möglicher Erfahrung ist — Erfahrung aber von Außendingen kann was das Materiale betrifft nur als Wirkung der Sinnenobjekte auf das anschauende Subjekt gedacht werden. — Also kann der Allgemeinheit dieses Satzes halber nicht die Erfahrung selbst (objektiv) sondern muss die Bedingung der Möglichkeit der Erfahrung überhaupt (d. i. subjektiv für das Erkenntnisvermögen) also kann es auch nur indirekt die Existenz eines solchen allgemein verbreiteten Weltstoffs und zwar nach Prinzipien a priori beweisen; daher auch dieser Beweis der einzige seiner Art ist weil die Idee von der distributiven Einheit aller möglichen Erfahrung überhaupt hier mit der collectiven in einen Begriff zusammenfällt.43
Solo nel concetto di un oggetto dell’esperienza possibile, che non è dedotto da
alcuna esperienza, ma anzi la rende possibile, viene rinvenuta la realtà oggettiva, non
sinteticamente, ma analiticamente, secondo il principio di identità e l’omnimoda
determinatio ne prova la necessità (perché il suo contrario, ovvero il concetto dello
spazio vuoto, è impossibile e non è in accordo con i principi dell’esperienza possibile).
L’esistenza dell’etere è un postulato, ottenuto mediante una prova indiretta,
asseconda un compito necessario, ma è anche un principio dotato di necessità
soggettiva, in quanto é un principio formale della possibilità del tutto dell’esperienza in
generale, necessario per costituire un sistema delle forze motrici.44
Kant gioca con dei concetti chiave che in realtà visti da punti di vista diversi
rispondono ad un rapporto di fondamento-conseguenza (Grund-Folge): esperienza,
materia, forza e percezioni devono essere unificati secondo l’universalità collettiva della
loro connessione grazie ad un fondamento (Basis) o etere.
Ciò che fa problema è stabilire se effettivamente questo fondamento possa
rendere conto di tutte le conseguenze possibili in vista dell’esperienza, ovvero come
siano possibili giudizi sintetici a priori e dunque l’esperienza stessa, intesa come
complesso delle percezioni e dei rapporti reciproci attivi fra le forze motrici della
materia in un tutto sistematico.
43 Opus postumum, KGS XXI, p. 552. 44 Si noti qui la differenza con la Critica della facoltà di giudizio, in cui il sostrato soprasensibile invocato da Kant è inscritto in una fondazione trascendentale, per risolvere un problema epistemologico dell’esibizione della conformità a scopi. Nell’Opus postumum invece la fondazione del tutto dell’esperienza possibile ricorre ad una fondazione logica e metafisica che mira all’esibizione (Darstellung) del suo concetto determinando un corrispettivo, per così dire costruito a priori: l’etere.
222
E’ necessario mostrare dunque se possa essere mantenuta la validità
dell’Idealismo trascendentale e del Sistema dei principi dell’intelletto puro, come
scaturenti dal medesimo fondamento. Questo tipo di analisi darebbe conto di uno dei
passaggi più controversi, presenti nell’Opus postumum, quello concernente quella che
Vittorio Mathieu ha chiamato “la Dottrina dell’auto-posizione”. Essa non è altro che la
riformulazione della deduzione dell’unità sintetica dell’appercezione, dell’Io,
rispondente allo scopo di essere sempre legata alla dimensione spazio-temporale ed
essere condizione di possibilità dei principi intelletto puro.
La deduzione è però posta in un rapporto di fondamento-conseguenza con la
prova dell’esistenza dell’etere. Sebbene il concetto di ragione di quest’ultimo sia trattato
in modo particolare, sicuramente non viene trattato come l’idea di Dio,45 ma come
quella dell’Io, con una differenza specifica che riguarda la sua natura di principio di
determinazione del complesso delle percezioni del senso esterno.46
5.4 Il postulato del principio del Passaggio dai principi metafisici della scienza
della natura alla fisica
L’aspetto che più colpisce nelle sezioni dell’Opus postumum sulla deduzione
dell’etere è quello per cui esso sembra diventare un postulato, costitutivo del Sistema
elementare delle forze motrici e del Sistema del Mondo in un tutto47, così che deve
essere necessariamente esistente. Kant giunge ad attribuirgli in parte proprietà di
un’ipotesi necessaria, dall’altra di postulato, ricalcando il modello seguito nella
costituzione della proposizione “Dio esiste”. Questa è problematica, se presa per sé
stante, ma non è tenuta per vera problematicamente, in quanto oggetto di una fede
razionale morale.48
Nella KdU, Kant scrive in riferimento ad un essere di ragione (ens
rationis ratiocinatae):
Di quest’ultimo è possibile provare sufficientemente la realtà oggettiva del suo concetto, almeno per l’uso pratico della ragione, poiché questo uso, che ha a priori i suoi principi peculiari e apoditticamente certi, perfino lo esige (lo postula)49
45 Questa tesi è invece sostenuta da M. Friedman (1992).
.
46 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, pp. 554-555, 420, 84-85. 47 A tale proposito Mathieu ha sviluppato l’ipotesi che sia proprio la prova dell’esistenza dell’etere ciò che permette il passaggio dal sistema elementare delle forze motrici al sistema del mondo. 48 Per una chiara esposizione della deduzione dell’etere cfr, Michael Friedman, Kant and the Exact Sciences, Cambridge-London 1992, pp. 220-222 e 290-341; Vittorio Mathieu, L’Opus postumum di Kant, Napoli 1991, pp. 117 e segg. Per la comparazione tra la proposizione che afferma l’esistenza di Dio e quella dell’etere, cfr. M. Capozzi, Kant e la logica, vol. I, pp. 684-685. 49 KdU, KGS V, p. 468.
223
E’ questa l’anomalia che non convince. L’esistenza dell’etere è per il
cosmotheoros non per il cosmopolites. L’anomalia risiede nel fatto che la prova
dell’esistenza dell’etere procede come se il suo concetto potesse essere oggetto dell’uso
pratico della ragione. Nella KdU si legge:
Oggetti per concetti la cui realtà oggettiva può essere provata (…) sono cose di fatto
(res facti).50
Lo scarto tra l’idea di Dio è il concetto dell’etere è che di quest’ultimo ci può
essere esibizione nell’ambito dell’Übergang, cioè il suo concetto può venir costruito
secondo principi metafisici, seguendo il filo conduttore delle funzioni logiche nei
giudizi, e può essere tradotto nel dominio della fisica grazie alla valutazione matematica
della forza.
Il concetto di etere deve essere presupposto e costruito a priori secondo le
proprietà fondamentali delle forze motrici della materia, ovvero è necessaria la
presupposizione dell’esistenza di esso per poter procedere alla costituzione della fisica
come sistema. Come accadeva nel caso del concetto della materia in generale, l’etere
non è conoscibile direttamente e la divisione delle forze motrici della materia non serve
per conoscere l’etere, bensì per darne un’esibizione (Darstellung), a partire dalla quale
il filosofo della natura pensa la connessione tra metafisica e fisica.
Il problema che può essere sollevato, dunque, circa la trattazione della prova
dell’esistenza dell’etere, ovvero che questo concetto, in quanto fondamento, sia trattato
similmente a quello di Dio, cioè venga postulato, in realtà può essere risolto se si
considera il legame con l’agire, cioè da un lato con l’uso della scienza del Passaggio,
che viene fatto dal filosofo della natura, dall’altro con la peculiare capacità
dell’intelletto di fare concetti e della ragione di escogitare principi della forma della
connessione sistematica e del rapporto reciproco delle nostre conoscenze51
Non è un caso, infatti, che Kant in queste pagine manoscritte, abbia insistito così
tanto sul fatto che non sia sufficiente il talento di un bravo matematico, fisico, chimico o
poeta, perché un uomo sia “degno” della Menschheit, occorre altresì che lo scienziato
.
50 KdU, KGS V, p. 468. 51Cfr. Opus postumum, KGS XXI, p. 226: “Dass ein Stoff im Weltraume existiere der die Basis aller bewegenden Kräfte der Materie ausmache kann a priori schon nach dem Prinzip der Identität schon daraus gefolgert werden weil selbst die Wirklichkeit (actualitas) des leeren Raums ohne Begrenzung durch den vollen kein Gegenstand möglicher Erfahrung sein würde. Die Materie wirkt Die Willkür handelt Der nach Zwecken (artificialiter) handelnde operiert. agere, facere, operari.”
224
abbia non solo il talento (Talent), ma anche un legame con la dimensione etico-pratica,
non solo tecnico-pratica della ragione e che subordini quest’ultima alla prima.
Il soggetto dell’Übergang è connotato chiaramente: è il cosmotheoros, colui che
contempla il mondo, colui che è in grado di averne una rappresentazione e di darne una
esibizione che tenda alla completezza e alla sistematicità, che sa vedere le connessioni
che si danno in esso e che sa escogitare nuove forme di comprensione della molteplicità
secondo principi della ragione.52
Come è possibile, infatti, mantenere la conquista della separazione tra fenomeno
e noumeno, seppure ce ne può essere un’unificazione nel soggetto che pensa la
relazione reciproca sia del dabile che del cogitabile, e dunque come mantenere in piedi
la filosofia trascendentale senza contravvenire al criticismo, avanzando la pretesa
dell’esistenza (omnimoda determinatio) di ciò che è dato a priori con una prova
analitica? Il grande tentativo di Kant risiede nell’operazione di voler conseguire il
fondamento del reale dell’etere, come condizione di possibilità per la rappresentazione
della totalità delle forze motrici della materia, dal punto di vista soggettivo secondo il
principio Forma dat esse rei.
Si vede così che non è l’etere in sé ad essere postulato, ma, sviluppando elementi
già presenti nella Critica della ragione pura nella dottrina dell’autoposizione, è
postulato il formale della connessione del reale della percezione, a cui l’etere come
concetto reale può conformarsi. Nella prima Critica si legge:
L’unità dell’universo, nel quale debbono essere connesse tutte le apparenze, è evidentemente una semplice deduzione dalla proposizione fondamentale – tacitamente assunta – della comunanza di tutte le sostanze che sono simultanee. In effetti, se tali sostanze fossero isolate, esse non costituirebbero, come parti, un tutto; e se la loro connessione (azione reciproca del molteplice) non fosse già necessaria in vista della simultaneità, che è una relazione semplicemente ideale, dedurre quella connessione, che è una relazione reale. Tuttavia, noi, in luogo opportuno, abbiamo mostrato che la comunanza è davvero il fondamento della possibilità di una conoscenza empirica della coesistenza e che perciò si può concludere propriamente dalla coesistenza alla comunanza, solo intendendo quest’ultima come condizione.53
A fronte di queste considerazioni è possibile comprendere al meglio l’attributo
della realtà dell’etere, in sede di Passaggio dai principi metafisici della scienza della
52 Ancora nell’ultima fase della produzione kantiana ci si trova di fronte al rafforzamento del ruolo architettonico della ragione e della sua capacità di costruire sistemi, il che viene confermato dalla costituzione di ciò che Kant chiama il punto di vista supremo della filosofia nel sistema delle idee trascendentali: Dio, Mondo e Uomo nel Mondo. Da questo sistema viene esclusa la materia cosmica, ma al contrario di ciò che appare, Kant non abbraccia per questo una posizione idealista, anzi, il fatto che la materia dell’Übergang non sia inserita in un sistema delle idee trascendentali è il sintomo del profondo legame tra questa e la percezione. 53 KrV, B 266 nota.
225
natura alla fisica. L’etere é determinato completamente come condizione di possibilità
dell’esperienza sia soggettiva che oggettiva della percezione, in quanto questa
esperienza è l’effetto dell’azione di forze motrici sugli organi dei sensi ed anche
un’anticipazione, come effetto dell’attività dell’autocoscienza, che si pone come
fenomeno nello spazio e nel tempo. La condizione perché si possa formulare la
proposizione “vi sono corpi fisici” poggia sulla condizione di una materia che per sé
forma un tutto come base (Basis) di tutte le altre materie dotate di movimento e per se
stesso forma il tutto cosmico di un elemento che designa universalmente l’esistenza di
una materia, l’etere appunto, in perenne movimento. Questo aspetto esprime l’esigenza
trascendentale di uno spazio pieno, a fronte della proposizione del problema, in nuce già
nella Critica della ragione pura, della possibilità della natura come totalità dinamica,
ammettendo l’influsso fisico tra le sostanze come fondamento della loro comunanza in
una totalità reale. Per questa ragione l’etere deve assumere il carattere della totalità della
materia, dotata a priori del movimento originario.
Nell’ultima fase di elaborazione del Passaggio dai principi metafisici della
scienza della natura alla fisica, Kant considera lo spazio stesso come una posizione del
soggetto, e l’azione del soggetto sull’oggetto sensibile esterno rappresenta tale oggetto
nel fenomeno, e precisamente con le forze motrici dirette sul soggetto, le quali sono la
causa della percezione. Pertanto l’affezione mediante forze motrici risulta come una
situazione anticipata a priori in vista dell’esperienza e come azione del soggetto su se
stesso.54
L’io penso trova in sé il suo fondamento di determinazione agendo su un
materiale (Stoff), e la deduzione presente nel Passaggio è necessaria per unire filosofia
e fisica. Questo materiale da determinare non è la materia in generale, ma
l’anticipazione di un materiale universalmente diffuso nello spazio. Kant pone l’etere
come condizione materiale dell’esperienza, a fondamento del tutto collettivo delle
percezioni basate sull’azione delle forze, così che il sistema delle forze motrici sia il
fondamento del sistema delle percezioni fisiche:
55
54 Cfr. Opus postumum, pp. 232-233: “La cosa sta così: la percezione è rappresentazione empirica con coscienza che essa è tale, e non semplicemente intuizione spaziale pura. Ora l’azione del soggetto sull’oggetto sensibile esterno rappresenta tale oggetto nel fenomeno, e precisamente con le forze motrici dirette sul soggetto, le quali sono la causa della percezione. Si possono dunque determinare a priori queste forze, che pongono in atto la percezione, come anticipazioni delle rappresentazioni sensibili nell’intuizione empirica, purché si esibisca in generale a priori, secondo principi del movimento, l’azione e la reazione delle forze motrici (tra le quali forze van compresi anche l’intelletto e il desiderio), la cui rappresentazione è identica con la percezione; queste come potenze dinamiche, sono specificate e classificate dall’intelletto secondo le categorie”.
55 Cfr. Opus postumum, KGS XXII, p. 614.
226
E’ strano: pare affatto impossibile esibire a priori percezioni in favore dell’esperienza; eppure senza di ciò non si avrebbe punto una fisica, la quale è un loro sistema. Bisogna poter enumerare queste forze reagenti. Ciò interessa il problema dei principi della indagine naturale. Solo quelle forze che noi possiamo porre nei fenomeni, possiamo trarle dall’empirico in favore dell’esperienza. Non l’osservare, ma lo sperimentare è il mezzo per scoprire la natura e le sue forze. Gli assiomi dell’intuizione possono e debbono essere fondati a priori. Ma qui sono anticipazioni di concetti empirici quelle che vengono elevate a principi, e, pertanto, anche a principi della conoscenza a priori.56
Pertanto, è solamente a partire dalla necessità di un’universalità collettiva posta
a fondamento della possibilità di pensare l’etere e dalla distinzione effettuata tra dabilis
e cogitabilis,57
che può essere formulata l’ammissione a priori di uno spazio
continuamente riempito e ipostatizzato, come principio del sistema elementare delle
forze:
Assumere l’esistenza di una materia diffusa ovunque, onnipenetrante e che muove ogni cosa (e per ciò che concerne il tempo, si può ancora aggiungere: che è l’inizio primo di tutti i movimenti), la quale riempie lo spazio cosmico, è un’ipotesi che non è bensì – né può essere – appoggiata su alcuna esperienza, e che, quindi se ha un fondamento, dovrebbe risultare a priori, come un’idea, dalla ragione: o che serva a spiegare certi fenomeni (nel qual caso quella materia è solo pensata come un elemento semplicemente ipotetico), o che la si postuli, perché in un qualsiasi movimento le forze motrici della materia devono pur cominciare ad agitare, oppure se quell’elemento debba essere considerato assolutamente come oggetto dell’esperienza (dato). […] Ma soggettivamente, le percezioni esterne (…) prima ancora che si chieda quali oggetti dei sensi possano o non possano essere oggetti dell’esperienza, esse vengono postulate, sempre che si parli della forma della loro connessione, cioè del formale d’una esperienza possibile, e ci si domandi se l’oggetto sia ad essa conforme o no (Forma dat esse rei): nel qual caso ci si riferisce all’unità collettiva dell’esperienza e alle sue condizioni. La loro unità nella determinazione completa dell’oggetto è, al tempo stesso, la realtà di esso.58
Una volta stabilito a) il duplice statuto dello spazio come fenomeno secondo il
formale, come forma pura dell’intuizione,59 e b) che lo spazio possa essere oggetto
sensibile solo mediatamente,60 il principio sulla base del quale risulta possibile questa
configurazione dello spazio è quello del Forma dat esse rei, capace di rendere il
complesso dell’esperienza come un tutto assoluto, e di presentare mediante la
postulazione dello spazio ipostatizzato, il concetto del rapporto col fondamento del
reale:61
56 Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 232. 57 Cfr. Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, p. 258. 58 Opus postumum, trad. it., a cura di V. Mathieu, pp. 167-169. 59 Opus postumum, KGS XXI, p. 271. 60 Opus postumum, KGS XXI, p. 272. 61 Cfr. Opus postumum, KGS XXI, pp. 261-270 per il principio di determinazione completa.
227
L’x come intelligibile che impressiona il soggetto non è una cosa data, esistente per sé, o un oggetto sensibile, bensì l’ens rationis che si trova nell’intelletto, e che è semplicemente il rapporto del fondamento del reale.62
Si torna così ai fondamenti teorici analizzati nel Capitolo I, in merito all’oggetto
= X e all’idealismo trascendentale di spazio e tempo. Lo schematismo dello spazio
assoluto è possibile, se e solo se lo si considera come un Gedankending. Infatti, il tempo
presuppone sempre lo spazio e che questo sia un continuum, divisibile all’infinito e,
dunque, mai completamente determinato, ma solo determinabile. Lo spazio può essere
sia forma pura della sensibilità, dunque elemento soggettivo della conoscenza, sia
rappresentabile come oggetto, sebbene solamente cogitabilis, come intuizione formale.
Lo spazio diviene pensabile come oggetto d’esperienza, in quanto riempito totalmente
di materia, per rispondere all’esigenza di continuità percettiva dell’esperienza.
Resta, in ultima analisi, da affrontare l’ultimo passaggio inerente alla deduzione
dell’etere, ovvero quello dell’inferirne l’esistenza mediante una prova secondo il
principio di identità, in base alla considerazione del fatto che il modo di essere di una
condizione materiale percettiva dell’esperienza è l’esistenza, così che ammettere che lo
spazio pieno è condizione dell’esperienza significa ammetterne l’esistenza: l’etere
diventa senz’altro un materiale cosmico posto dalla ragione.63
Le interpretazioni che non scelgono di indagare il campo della metafisica aperto
dalla filosofia trascendentale considerano l’esito della prova dell’esistenza dell’etere
nell’Opus postumum altamente problematico e fallimentare dal punto di vista della
storia della scienza.
64
Nonostante l’evidente fallimento sul piano scientifico, accompagnato però
all’elaborazione di un sistema di forze e a una classificazione dei corpi naturali più
avanzate per l’epoca, questa ricerca sostiene anche che l’esito e lo svolgimento della
prova mostrano una continuità con gli elementi precedenti della filosofia kantiana e
certo rappresentano un arricchimento della filosofia trascendentale. Gli appunti
dell’Opus postumum lasciano spazio a considerazioni di più ampio respiro sulla
filosofia trascendentale stessa e sulla concezione kantiana di Naturphilosophie.
65
62 Opus postumum, KGS XXI, p. 266.
Dal
63 Opus postumum, KGS XXII, p. 554: “Il calorico è esistente, perché il concetto di esso (insieme agli attributi che noi ascriviamo ad esso) rende possibile la totalità dell’esperienza”. 64 Si veda a proposito del fallimento della deduzione dell’etere l’analisi condotta da M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, pp. 325-328 e per la ricostruzione della prova dell’etere E. Forster, Kant’s Final Synthesis, p. 89. 65 Cfr. S. Marcucci, Kant e la conoscenza scientifica, Lucca 1988.
228
passo seguente, ad esempio, si deduce che Kant abbia ripensato il concetto di
“analitico”:
Es ist aber in der reinen Anschauung des Raumes und der Zeit a priori auch der Begriff der Einheit der durchgängigen Verbindung der Materie d. i. eines beweglichen und bewegenden Stoffs enthalten welcher ein Elementarsystem der bewegenden Kräfte der Materie notwendigerweise, doch nur in der Idee, darstellt welches ein Gegenstand möglicher Erfahrung ist in welchem ihre bewegende Kräfte im Akt der Bewegung d. i. als agitierend (wirklich bewegend) sind denn ohne das wären sie nicht Gegenstände möglicher Erfahrung weil sie gar nicht auf äußere Sinne wirkten und es kann subjektiv d. i. für die äußere Sinne in der Welt kein schlechthin leerer Raum (und eine dergleichen leere Zeit) sein ohne dass beide durch Materie und ihre bewegende Kräfte erfüllet würden, ein Satz der seinen Beweis von keiner Erfahrung entlehnt sondern nach dem Prinzip der Identität schon im Begriffe der Materie als eines agitierenden Stoffs enthalten ist. — Die Frage ist ob jener Satz analytisch oder synthetisch das letztere aber nur indirekt sei? 66
La scienza del Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla
fisica si costituisce a partire dal suo principio supremo, la materia nel suo concetto
collettivo, che è in grado di garantire l’unità del sistema soggettivo (dabile) quoad
materiale delle forze motrici e di quello oggettivo (cogitabile) quoad formale delle
forze motrici, cioè delle sue proprietà in cui il soggetto è inserito, in quanto affetto
dall’azione della materia, sebbene indirettamente.
E’ ora utile richiamare la distinzione kantiana tra l’ appercezione pura e quella
empirica come fondamento della distinzione dell’azione esercitata dalla materia sul
soggetto stesso, il quale a sua volta compie un atto di determinazione a priori delle
proprietà fondamentali della materia.
Il gap che colma il Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura
alla fisica è quello tra fondamento di determinazione dell’esperienza e conseguenze
determinate-determinabili (il tutto dell’esperienza stessa) in rapporto tra loro nella
forma sistematica, tra fondamento della composizione e tutto del composto grazie ad
uno schema del composto stesso.67
66 Opus postumum, KGS XXI, p. 539.
67 Per ulteriori chiarimenti sull’importanza di questo concetto in epoca tarda, si veda la lettera di Kant a Tieftrunk del dicembre 1797, cfr. KGS XII, pp. 222-223: “Der Begriff des Zusammengesetzten überhaupt ist keine besondere Kategorie, sondern in allen Kategorien (als synthetische Einheit der Apperzeption) enthalten. Das Zusammengesetzte nämlich kann, als ein solches, nicht angeschaut werden; sondern der Begriff oder das Bewusstsein des Zusammensetzens (einer Funktion die allen Kategorien als synthetischer Einheit der Apperzeption zum Grunde liegt) muss vorhergehen, um das mannigfaltige der Anschauung gegebene sich in einem Bewusstsein verbunden, d. i. das Objekt sich als etwas Zusammengesetztes zu denken, welches durch den Schematismus der Urteilskraft geschieht indem das Zusammensetzen mit Bewusstsein zum innern Sinn, der Zeitvorstellung gemäß einerseits, zugleich aber auch auf das Mannigfaltige in der Anschauung gegebene Andererseits bezogen wird. - Alle Kategorien gehen auf etwas a priori Zusammengesetztes und enthalten, wenn dieses gleichartig ist, mathematische Funktionen, ist es aber ungleichartig dynamische Funktionen z.B. was die ersten betrifft: die Kategorie
229
Il rapporto reciproco di fondamento e conseguenza alla base di questa
operazione è quello tra materia e appercezione, che è in grado di unificare il soggettivo
e l’oggettivo in un unico sistema. Questa problematica si apre nella KrV, nel Canone
della ragione pura e viene spiegata nella KdU, senza trovare una soluzione definitiva
nelle opere pubblicate. Kant non ha mai pensato alla determinazione dell’esistenza
materiale dell’etere, né a sostituire la materia in generale dei Principi metafisici della
scienza della natura con esso.
La posizione kantiana raggiunta nella terza Critica dell’affermazione di un
fondamento interno alla natura di cui noi determiniamo l’unità della forma viene ripreso
largamente nell’Übergang, tanto che quest’ultimo assume inevitabilmente anche i
caratteri di una fisiologia.
Per Kant, nella scienza di mezzo e di connessione sistematica della scienza della
natura, in quel territorio dove le rive della fisica e della metafisica si toccano e dove la
filosofia e la matematica procedono parallelamente nella medesima direzione, occorre
trovare, determinare e provare l’esistenza di un fondamento per l’unità collettiva
dell’esperienza, in cui il soggetto stesso è inserito e si rende oggetto a se stesso. In
questo contesto, l’a priori e la dimensione legata all’empirico dell’appercezione, così
come quella della materia, devono poter essere riuniti secondo un’unità collettiva in
vista dell’esperienza.
Le considerazioni che possono essere svolte su questo argomento devono tener
presente il carattere ideale dell’etere che però è allo stesso tempo fondamento della
condizione materiale della sintesi delle relazioni della materia in un sistema, sulla base
del quale poter costituire la fisica come scienza. L’impressione che si ha leggendo il
corpus degli appunti postumi è quella di un estremo tentativo di raggiungere questo
obiettivo proprio in virtù dell’ordinamento sistematico dato dalla ragione alla materia
del Passaggio, che non mira alla determinazione di come la natura debba essere, né alla
sua mera descrizione.
Piuttosto, il fine sembra quello di costituire un sistema delle condizioni di
possibilità originarie e secondarie, ma pur sempre a priori, espresse dai principi
metafisici, appunto di ciò che sta alla base dei fenomeni naturali e del nostro modo di
der extensiven Größe betrifft: Eines in Vielen; was die Qualität oder intensive Größe betrifft Vieles in Einem. Jenes die Menge des Gleichartigen (z. B. der Quadratzolle in einer Fläche); dieses der Grad (z.B. der Erleuchtung eines Zimmers). Was aber die dynamische angeht, die Zusammensetzung des Mannigfaltigen, sofern es entweder einander im Dasein untergeordnet ist (die Kategorie der Kausalität) oder eine der andern zur Einheit der Erfahrung beigeordnet ist (der Modalität als notwendige Bestimmung des Daseins der Erscheinungen in der Zeit.).”
230
conoscerli nella loro molteplicità, giungendo ad esibire il sistema dei concetti e dei
principi senza di cui qualsiasi ipotesi scientifica o modello sarebbe privo di un orizzonte
necessario e completo dei nessi delle forze motrici anticipati a priori a cui rifarsi,
risultando un mero aggregato.
5.5 L’unità collettiva dell’esperienza e il principio Forma dat esse rei
La complessità della trattazione della prova dell’esistenza dell’etere, dovuta alla
frammentarietà dei manoscritti, non preclude la possibilità di una comprensione
dell’Opus postumum nel suo legame con la produzione precedente di Kant.
Parte della letteratura secondaria, ispirata dall’interpretazione di Adickes, ha
avuto la tendenza di liquidare i manoscritti kantiani, attribuendo ad essi la debolezza
teoretica frutto della malattia e della vecchiaia di Kant.68
Numerosi studi, invece, alcuni recenti,
69 altri meno, come quelli di Mathieu,70
L’Übergang costituisce, infatti, un’opera sistematica, almeno nell’intento di
Kant, sebbene sia rimasta sconosciuta al pubblico dell’epoca. Questa avrebbe dovuto
costituire un particolare sistema dell’esperienza, fondato su una prova unica nel suo
genere, della cui necessità Kant, però avvertiva il bisogno, anche per ragioni legate alla
sua cosmologia e alla sua teoria della materia.
hanno avuto il pregio di voler collocare l’opera postuma e di volerla connettere con altre
opere del sistema kantiano, cercando di rinvenire l’origine della necessità di una prova a
priori dell’esistenza della materia.
Per chiarire questo punto è opportuno mostrare, in primo luogo, che tipo di
sistema dell’esperienza si configura nell’Opus postumum. In secondo luogo, si deve
chiarire l’origine del problema dell’esistenza dell’etere, anche sul piano fisico, che
come si vedrà, trae la sua giustificazione su un piano trascendentale, grazie al principio
forma dat esse rei.
Il sistema dell’esperienza che Kant presenta nell’Opus postumum assume il
carattere dell’unità collettiva. Compito che solamente un sistema della ragione può
68 E. Adickes, Kant als Naturforscher, vol. II, Berlin 1925. 69 Friedman (1992); Edwards (2000); E. Förster, Kant’s Selbstsetzungslehre in Kant’s Transcendental Deductions. The Three Critiques and the Opus postumum, Stanford, 1989, pp. 217-238; Die Idee des Übergangs. Überlegungen zum Elementarsystem der bewegenden Kräfte, in Übergang. Untersuchungen zum Spätwerk Immanuel Kants, Frankfurt 1991, pp. 28-48; Zwei neu aufgefundene Lose Blätter zum Opus postumum, in Kant-Studien, 95, 2004, pp. 21-28. 70 V. Mathieu Kants Opus postumum, Frankfurt am Main 1989.
231
adempiere e che evidentemente rappresenta un punto di vista metafisico mancante nel
resto della produzione kantiana.
Procedendo per gradi, è opportuno mostrare dove e in che modo Kant abbia
trattato dell’unità collettiva in più luoghi della sua produzione.
Nella Critica della ragione pura, infatti, la nozione di unità collettiva di un tutto
dell’esperienza costituisce la surrezione trascendentale dell’unità distributiva dell’uso
empirico dell’intelletto. Tale surrezione origina la dialettica della terza idea di ragione,
per cui una cosa (Ding) che contiene in sé tutta la realtà empirica, cioè il tutto dei
fenomeni, viene tradotta nel concetto di una cosa che é somma di tutte le realtà, Dio:
D’altro canto la ragione per cui noi ipostatizziamo in seguito questa idea dell’insieme di
ogni realtà, è la seguente. L’unità distributiva dell’uso di esperienza dell’intelletto, noi la trasformiamo dialetticamente nell’unità collettiva di un tutto di esperienza, e questo tutto dell’apparenza noi lo pensiamo come una cosa singola, che contiene in sé ogni realtà empirica. Tale cosa poi viene scambiata – mediante la già ricordata surrezione trascendentale – con il concetto di una cosa, che sta al vertice della possibilità di tutte le cose, fornendo le condizioni reali per la loro completa determinazione.71
Sebbene in questo contesto l’unità collettiva dell’esperienza sia impossibile da
determinare secondo i principi dell’intelletto, è però vero che la ragione si serve di
questo tipo di unità per dirigere le operazioni dell’intelletto. L’unità collettiva è una
funzione del metodo della ragione, imprescindibile per la sua natura architettonica:
La ragione quindi ha propriamente come oggetto soltanto l’intelletto e l’impiego di questo in conformità di un fine. E allo stesso modo che l’intelletto riunisce il molteplice nell’oggetto mediante concetti, così la ragione riunisce dal canto suo il molteplice dei concetti mediante idee, ponendo una certa unità collettiva come scopo dell’attività dell’intelletto, la quale altrimenti riguarda soltanto l’unità distributiva.72
Kant distingue, così, un duplice modo di guardare all’esperienza, che altrimenti
non sarebbe altro che un molteplice di esperienza, un aggregato e mai un sistema. Dire
ogni esperienza è diverso dal dire il tutto dell’esperienza, come risulta chiaramente dalla
Reflexion che segue:
Distributive oder collective Einheit der Erfahrungen überhaupt. Alle Erfahrung ist nicht das All der Erfahrung, und das ganze möglicher Erfahrung ist kein Gegenstand der Erfahrung. Aber hierbei kommt doch das vor, wodurch was die Bedingung der Möglichkeit eines Ganzen ist.73
71 KrV A582-583/B610-611.
72 KrV A644/B672. 73 Reflexion, KGS XVIII, p. 246 (1780-1783 circa).
232
Ora, il punto centrale da comprendere e che segna uno scarto rispetto alla Critica
della ragione pura, è che nell’Opus postumum è possibile designare l’etere come il tutto
dell’esperienza possibile, che resta non passibile di esperienza diretta, ma diviene
oggetto di una prova che, almeno soggettivamente, ne fa conseguire la realtà:
Wenn bewiesen werden kann dass die Einheit des Ganzen möglicher Erfahrung auf der Existenz eines solchen Stoffs (mit den genannten Eigenschaften desselben) beruhe so ist auch die Wirklichkeit desselben zwar nicht durch Erfahrung sondern a priori, bloß aus Bedingungen der bloßen Möglichkeit derselben für die Erfahrung bewiesen. Denn die bewegende Kräfte der Materie können zur collectiv//allgemeinen Einheit der Wahrnehmungen in einer möglichen Erfahrung nur zusammenstimmen in sofern das Subjekt durch sie äußerlich und innerlich in Einen Begriff vereinigt sich selbst afficirt.74
Come emerge da questo passo, l’unità del tutto dell’esperienza possibile deve
poter discendere dall’esistenza dell’etere. Qui Kant usa il termine Existenz che designa
una posizione del pensiero. Ma subito dopo specifica che anche l’effettiva realtà
dell’etere deve essere provata a priori dalle semplici condizioni di possibilità in vista di
e per (für) l’esperienza. E’ a questo punto che risulta ancora più chiara la connessione
tra il sistema delle forze motrici della materia e quello delle percezioni nell’Opus
postumum. L’unità collettiva delle percezioni equivale all’unità collettiva
dell’esperienza, così che una volta provata la connessione reale tra percezioni e forze
motrici della materia, l’esistenza dell’etere è a fondamento e prova l’unità e
l’universalità del tutto dell’esperienza:
Äußere W a h r n e h m u n g e n aber zur möglichen Erfahrung (denen nur noch die Form der Verknüpfung derselben mangelt) sind selbst nichts anders als Wirkung agitierender Kräfte der Materie auf das wahrnehmende S u b j e k t und ehe noch gefragt wird welche Objekte der Sinne Gegenstände der Erfahrung sein oder nicht sein mögen ist nur von der Form ihrer Verknüpfung d. i. vom F o r m a l e n möglicher Erfahrung die Rede und die Frage ob es dieser gemäß sei oder nicht (Forma dat eße rei), wo von der collectiven Einheit der Erfahrung und den Bedingungen derselben gehandelt wird Die Einheit derselben in der durchgängigen Bestimmung des Objekts ist zugleich die Wirklichkeit desselben.75
L’unità collettiva va nettamente distinta dall’universalità collettiva, sebbene
siano trattate insieme nell’ambito dell’Übergang e della cosmologia. L’unità e il totale
(das All) della materia sono i caratteri del problema epistemologico della totalità della
materia, che in quanto spazio ipostatizzato, è la realizzazione di un concetto singolare
da una rappresentazione singolare, che è quella dell’intuizione dello spazio:
74 Opus postumum, KGS XXI, p. 572. 75 Opus postumum, KGS XXI, p. 577.
233
„Es existiert ein Absolut//Ganzes als System der bewegenden Kräfte der Materie denn der Begriff von einem solchen ist objektiv ein Erfahrungsbegriff mithin ist ein solcher gedachte Gegenstand w i r k l i c h ” (hier, aber auch nur in diesem einzigen Fall, kann gesagt werden a poße ad esse valet consequentia) Dieser Begriff ist e i n z i g in seiner Art (vnicus), darum weil sein Objekt auch e i n z e l n (conceptus singularis) ist; denn das A l l der Materie bezeichnet nicht eine distributive sondern collective Allgemeinheit der Gegenstände die zur Absoluten Einheit aller möglichen Erfahrung gehören.76
Il rapporto tra universalità collettiva e distributiva dei principi della ragione si
configura come quello che intercorre nella Kritik der Urtheilskraft tra il nexus effectivus
e il nexus finalis. Pertanto l’universalità collettiva può essere connessa con quella
distributiva, sottoponendo quest’ultima alla prima in un sistema di principi della scienza
della natura.
Dieses System der Grundsätze der NW. ist keine Propädeutik als für sich bestehende
Präliminarlehre sondern collective Allgemeinheit der Prinzipien, Erfahrung anzustellen mit distributiver Allgemeinheit verbunden.77
Questo aspetto è chiarito, se si considera una riflessione di Kant sul concetto di
volontà, in cui nel sistema dell’eticità è racchiusa la triplice unità della volontà, secondo
tre facce dell’universalità, le prime due distributive e la terza collettiva:
Die Sittlichkeit ist die praktische allgemeine Bedingung der Glückseeligkeit, und sie ist
ein System derselben aus Freiheit sich der Glückseeligkeit würdig zu machen; dreifache Einheit der Willkür aus dreifacher Allgemeinheit: 1, Unbedingte Allgemeinheit gegen jedermann und allezeit. 2. Bedingte nach dem Maas des Vermögens und eignen Glücks gegen einen oder andern. 3. Collective Allgemeinheit gegen die universalitatem (diese ist etwas Einzelnes).78
Per ogni idea, cioè per ogni concetto di ragione esiste un punto di vista
dell’universalità collettiva, perché esiste una premessa, sul piano logico, che consiste
nella determinazione dell’universalità dei concetti singolari, come è ad esempio quello
di verità. In questo caso Kant mostra che l’universalità collettiva dei principi è in grado
di unificare l’unità collettiva insieme a quella distributiva, iscrivendo in una totalità,
intesa come sistema o come singolarità, le determinazioni del concetto di ragione, che,
in quanto idea, non è passibile di un grado:
76 Opus postumum, KGS XXI, p. 592. 77 Opus postumum, KGS XXII, p. 288. 78 Loses Blatt, KGS XIX, p. 286.
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Wahrheit hat keine Grade. Mehr als, allzu wahr. Die distributive, die collective Allgemeinheit der Wahrheit. 1. es ist etwas Falsches in einem übrigens wahren Erkenntnis. 2. oder: nicht alle Wahrheit, die ganze Wahrheit.79
Ora, proprio nell’alveo della riflessione kantiana sulla totalità si apre la
possibilità di stabilire una connessione sistematica tra ontologia e metafisica.
Questo accade in virtù del fatto che il problema ontologico dell’esistenza, risolto
in epoca critica grazie all’idealismo trascendentale e alla logica, ritorna sotto un’altra
veste, coinvolgendo la teoria della conoscenza kantiana a livello del sistema delle
percezioni. Dunque l’effettualità su un piano metafisico, ovvero il sistema dei rapporti
reciproci attivi, si ricongiunge al piano ontologico ed epistemologico, attraverso il
concetto di materia, come etere (Wärmestoff). Quest’ultimo è legato intimamente con
l’affezione, in quanto sostrato delle forze motrici.
Per comprendere questo punto, ancor più che la letteratura secondaria, è di aiuto
la corrispondenza che Kant intrattenne con C. F. Hellwag. In una lettera del dicembre
1790, quest’ultimo pone a Kant delle domande cruciali sulla sua visione della materia
cosmica e sul principio di azione e reazione reciproca, che venne esposto da Kant nei
Metaphysische Anfangsgünde der Naturwissenschaft.
Hellwag, autore di studi sulla teoria dei suoni e dei colori, nonché sul
linguaggio, presuppose l’esistenza di una materia universalmente diffusa, un medium
continuo reale, sulla cui esistenza e consistenza chiede parere a Kant proprio nella stessa
lettera.
La risposta di Kant non si lascia attendere. Nel gennaio 1791 scrive:
Alle unsere Begriffe von Materie enthalten nichts als bloß Vorstellung von äußeren
Verhältnissen (wie dann der Raum auch nichts anders vorstellig macht) das aber, was wir im Raume als existierend setzen, bedeutet nichts weiter, als ein Etwas überhaupt, woran wir uns auch keine andre Prädikate, als die eines äußeren Verhältnisses vorstellen müssen, so fern wir es als bloße Materie betrachten, mithin nichts was schlechterdings innerlich ist (Vorstellungskraft, Gefühl, Begierde). Hieraus folgt: dass, da alle Veränderung eine Ursache voraussetzt und eine schlechthin = innerliche Ursache der Veränderung äußerer Verhältnisse (kein Leben) in der bloßen Materie nicht gedacht werden muss, die Ursache aller Veränderung (aus der Ruhe in Bewegung und umgekehrt, zusammt den Bestimmungen der letzteren) in der Materie außerhalb liegen müsse, mithin ohne eine solche keine Veränderung statt finden könne; woraus folgt, dass kein besonderes positives Prinzip der Beharrlichkeit der Bewegung, in der ein Körper einmal ist, erforderlich sei, sondern bloß das negative, da keine Ursache der Veränderung da ist. - Was das zweite Gesetz betrifft, so gründet es sich auf dem Verhältnisse der wirkenden Kräfte im Raume überhaupt, welches Verhältnis notwendig wechselseitig einander entgegengesetzt und jederzeit gleich sein muss (actio est aequalis reactioni), weil der Raum keine einseitige, sondern jederzeit wechselseitige Verhältnisse, mithin auch die Veränderung derselben d. i. die Bewegung und die Wirkung der Körper auf einander sie hervorzubringen lauter wechselseitige
79 Reflexion 2210, KGS XVI, p. 272.
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und gleiche einander entgegengesetzte Bewegungen möglich macht. Ich kann mir keine Linien von dem Körper A zu allen Punkten des Körpers B gezogen denken, ohne auch umgekehrt eben so viel gleiche Linien von Körper A zu B zu ziehen und die Veränderung dieses Verhältnisses eines Körpers (B) durch den Stoß des andern (A) zu diesem als wechselseitig und gleich zu denken. Es bedarf hier also eben so wenig einer positiven besonderen Ursache der Gegenwirkung des Körpers in den gewirkt wird, als beim obigen Gesetze der Trägheit; im Raume und der Eigenschaft desselben, dass in ihm die Verhältnisse wechselseitig entgegengesetzt und zugleich sind (welches beim Verhältnisse successiver Zustände in der Zeit nicht der Fall ist) liegt der alleinige hinreichende Grund dieser Gesetze. Übrigens werde ich Lamberts Meinung über diesen Punkt in seinen Beiträgen nachsehen.80
Ora, nella sua lettera a Kant, Hellwag aveva definito la posizione di Bacone
insufficiente, mentre aveva indicato la concezione del moto dei corpi di Lambert come
illuminante per spiegare il fondamento dell’azione reciproca tra i corpi. Ma Kant nella
sua risposta lascia intendere di non essersi basato sugli studi di Lambert per la
trattazione della Meccanica nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft.
Il punto più interessante del carteggio riguarda l’affermazione kantiana secondo
cui “della materia non si può dire altro che essere un qualcosa fuori di me e non ancora
determinato nelle sue proprietà”, e proprio per tale ragione Kant ritiene plausibile
l’ipotesi di Hellwag di una base materiale, di un medium continuo per la trasmissione
del suono, purché la sua trattazione non coincida con la costruzione del concetto di
materia in generale.
Come si è visto nel Capitolo I, nella definizione di oggetto in generale, su cui
Kant torna proprio nell’Opus postumum, l’oggetto=X, secondo qualità, é un Etwas a cui
viene assegnata posizione dello spazio e del tempo. Nel caso della materia per assegnare
la posizione dello spazio e del tempo è necessario il grado, ma questo come anche per
Hume, non era garanzia di definizione di azione causale.
Anche per questa ragione Kant attribuisce un nesso causale tra l’etere e le sue
proprietà, le sue forze motrici. Del resto, c’è anche una ragione storica per questo.
Secondo lo studio di Kleinschmidt, nel XVIII secolo la teoria del grado della materia o
dell’intensità della luce era contemplato nell’ambito dell’ottica e trovava supporto sul
piano teoretico ed estetico in Leibniz, Baumgarten e Lambert.81 Prima di Lambert e
Leibniz, fu Huygens a legare il concetto di intensità a quello di forza. In particolare
l’intensità si riferisce al modo in cui operano le forze al seno di incidenza nei fenomeni
rifrattivi nell’ottica.82
80 Lettera a Hellwag, KGS XI, pp. 246-247.
81 E. Kleinschmidt, Die Entdeckung der Intensität: Geschichte einer Denkfigur im 18. Jahrhundert, Göttingen 2004, pp. 15-18; 76. 82 Cfr. Kleinschmidt (2004), p. 36: “Das Gradmoment der Intensität verweist so über eine nur energetische Abstufung hinaus, die für die von Christian Huygens und Leonard Euler eingeführte
236
Il fatto che Kant leghi la sua teoria della percezione, che nelle Anticipazioni
della percezione risente dell’influsso dei Nouveaux Essais di Leibniz, al sistema delle
forze motrici della materia e alle proprietà dell’etere, mostra come Kant non si muova
solamente nell’ambito della metafisica nell’Übergang, ma coinvolga il piano ontologico
ed epistemologico. Per Leibniz il grado e l’intensità erano indispensabili per dar conto
della velocità e del movimento dei corpi fisici. Kant riprende la tesi leibniziana e la
traspone sul piano dei principi dell’intelletto puro, là dove parlando della percezione le
attribuisce quantità intensiva, cioè un grado che può venir misurato.83
Sempre secondo Kleinschmidt, questo legame tra la concezione dell’intensità e
della percezione, che determina un campo di indagine in cui epistemologia e fisica
convivono, è senz’altro un’eredità di Fermat che introdusse i termini di grado e intensità
nella trattazione della luce, dunque nell’ottica, ma al fine di ottenere una distinzione dei
diversi gradi di realtà per una sistematizzazione e una classificazione dei fenomeni
naturali. Obiettivo al quale Kant non era certamente estraneo.
Non stupisce, dunque, che Kant nell’Opus postumum scelga di considerare il
legame tra forze motrici della materia e il sistema delle percezioni, secondo il principio
forma dat esse rei:
Das Formale dieser Verbindung geht a priori vorher (forma dat eße rei) um eine Physik
zu begründen d.i. wir können nichts aus ihr ausheben als was wir in sie hineingelegt haben weil das Objekt der Physik das All der bewegenden Kräfte der Materie nur als in einem System (in der Natur) gegeben vorgestellt werden muss folglich auch jede Kraft in Beziehung auf alle andere ohne welche wechselseitige aktive Verhältnisse in einem System was und wie viel der Elemente der empirischen Naturlehre sie (die Physik) keine Wissenschaft sondern nur ein fragmentarisches Aggregat der bewegenden Kräfte sein würde welches nur durch Herumtappen unter Wahrnehmungen dem denkenden Subjekt nicht allein kein Ganzes derselben sondern auch keinen gegebenen Teil als zu jenem gehörend sichern würde wonach das Prinzip der Naturforschung in dem Übergange zur Physik seine Richtung und seinen Umfang erhält.84
Il principio grazie al quale Kant riesce a riconnettere sistematicamente i principi
metafisici della scienza della natura e la fisica è sintetizzato da questa formula di origine
scolastica. Tradotto in veste trascendentale, questo principio è diretto principalmente al
piano della percezione e dell’intuizione. E’ possibile finalmente comprendere quanto
sostenuto nel Capitolo I, quando si è voluta anticipare l’importanza dell’affermazione
Wellentheorie des Lichts die Basis bildet, auf einen grundsätzlich weiterführenden Aspekt“. Sui fenomeni ottici legati all’intensità, cfr. E. Proverbio, R. G. Boscovich and the measurement of the refractive quality of lenses, in Memorie della Società Astronomica Italiana, Vol. 60, 1989, pp. 837-886. 83 Cfr. Kleinschmidt (2004), pp. 24-25, per una ricostruzione dell’importanza della definizione di gradazione (climax) e intensità nell’ambito della retorica e della teoria del calore legate agli studi sulla temperatura. 84 Opus postumum, KGS XXII, p. 306.
237
kantiana dell’esistenza di tre forme dell’intuizione, spazio, tempo e positus in vista
dell’esperienza esterna.85
Esaminando con attenzione i seguenti passaggi e tenendo presente la prova
dell’esistenza dell’etere esposta nel presente capitolo, è chiaro che Kant amplia la sua
teoria della conoscenza, ma senza abbandonare l’idealismo trascendentale. Va inoltre
sottolineato che la sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) svolge un
ruolo di primo piano per l’applicazione della matematica alla fisica e per la traduzione
in chiave ontologica del presupposto metafisico dei rapporti reciproci attivi. Nell’ambito
della fisica e dell’Übergang tale presupposto viene arricchito da elementi
epistemologici, fino a trasformarsi nella cosa stessa: il fenomeno che secondo la forma
porta con sé l’unità assoluta, ma come conseguenza della costituzione di un sistema
della conoscenza empirica:
Physik ist Erkenntnis der Sinnengegenstande in der Erfahrung. Diese aber enthalt die
Vorstellung der Gegenstände als Erscheinungen (phaenomena) die nicht was die Objekte an sich selbst sind sondern wie sie den Sinn afficiren darstellt (exhibet) und die bewegende Kräfte nach der Beschaffenheit des afficirten Subjekts innerlich nicht nach ihrer Beschaffenheit äußerlich empirisch d.i. gegeben ist (dabile) und die Verknüpfung des Mannigfaltigen der Sinnenvorstellung wie sie a priori der Form der Zusammensetzung nach gedacht wird (cogitabile) zum Prinzip macht, und so Erfahrung als System empirischer Erkenntnis welches absolute Einheit zur Folge hat deren Form objektiv die Sache selbst als Phänomen (nach der Regel: forma dat eße rei) schon in seinem Begriffe bei sich führt.86
Sebbene il rapporto tra la trattazione fisica dei corpi con il piano della
percezione risulti chiaro, di meno lo è quello con l’intuizione. Per svolgere la prova
dell’esistenza dell’etere è necessario ammettere oltre allo spazio e al tempo, anche
l’elemento del positus, in modo da porre quella condizione di possibilità dell’oggetto in
generale di poter essere assegnato ad una posizione dello spazio e del tempo. Questa
operazione viene condotta attraverso una sintesi della composizione da parte
dell’intelletto, la quale, sebbene sia solo soggettiva, è di primaria importanza per poter
avere un’unità della sintesi del neben und nach einander seyn nell’intuizione e per poter
trovare una pluralità (pluralitas) dall’unicità (singularitas):87
85 Cfr. infra, Capitolo. I, §§1.3;1.4. 86 Opus postumum, KGS XXII, p. 318. 87 Opus postumum, KGS XXII, pp. 318-19: “Physik ist also die Lehre von der Verknüpfung des Empirisch//vorgestellten zur Einheit der Erfahrung und also subjektiv in einem System fortzuschreiten und die Einzelheit (singularitas) der möglichen Erfahrung welche durch die synthetische Einheit der neben// und nach einander in der reinen Anschauung gegebenen Vorstellungen des Raumes und der Zeit (pluralitas) die absolute Einheit der Erfahrung. Daher muss es heißen: „Es ist nur Eine Erfahrung und wenn man von E r f a h r u n g e n reden hört so muss darunter immer nur ein Aggregat der Wahrnehmungen verstanden werden welches zu Einer Erfahrung gehört”.
238
Empirisch die bewegende Kräfte der Materie aufzufassen und fragmentarisch zu sammeln kann keine Physik als Wissenschaft begründen vielmehr muss sie als Ganzes nicht als Aggregat (sparsim) sondern als System (coniunctim) nach einem Prinzip a priori welches die Zahl und Ordnung derselben bestimmt aufgestellt werden können welches nicht anders geschehen kann als dass nicht was wir aus dem Aggregat der Wahrnehmungen ausheben sondern was wir zum Behufe der Möglichkeit der Erfahrung (folglich nach einem formalen Prinzip) hineinlegen bringt diese Wissenschaft zu Stande in welcher die Naturforschung (durch Observation und Experiment) von der Erscheinung der Erscheinungen und so nach einem Prinzip a priori ausgeht und so zwar indirekt doch nicht als unbestimmt herumschweifende Zusammenhäufung (cognitio vaga) sondern nach Prinzipien der Einteilung des Mannigfaltigen nach Begriffen möglich macht weil nicht die Anschauung sondern der Verstand nicht das Empfindbahre (sensibile) sondern das Denkbare (cogitabile) nach dem Grundsatze aller Zusammenstellung (forma dat eße rei) vor aller.88
Per mostrare come si traduce sul piano della prova dell’esistenza dell’etere
questo ampliamento della teoria kantiana dell’esperienza, occorre considerare come
avvenga il passaggio dal soggettivo all’oggettivo della connessione del molteplice delle
rappresentazioni empiriche. Questo passaggio passa per il principio della composizione
oggettiva che viene intesa come coordinazione (coordinatio) delle parti in un tutto
sistematico nell’esperienza:
Das Formale einer solchen Verknüpfung des empirischen Mannigfaltigen unter dem
Prinzip dieser Zusammensetzung (coordinatio) macht das Subjektive derselben objektiv und a priori zu einem Ganzen derselben (forme dat eße rei) in der Erfahrung weil das Empirische derselben zu einem System der Wahrnehmungen unbedingt (absolute) mithin notwendig verbunden ist und macht es möglich dass durch Observation und Experiment in der Zusammenstellung des Empirischen synthetische Einheit angetroffen werden kann welche notwendig ist weil was a priori als Erscheinung gegeben ist zugleich im Bewusst sei der Existenz des Objekts selber anerkannt wird.89
L’unità della sintesi soggettiva della composizione dell’empirico, cioè delle
percezioni, diviene oggettiva e necessaria nella misura in cui fornisce un ordine a priori
del fenomeno, in quanto ciò che è dato a priori nella percezione è riconosciuto nella
coscienza appartenere all’esistenza dell’oggetto.
Lo spazio ipostatizzato, o etere, in quanto tutto delle percezioni del senso esterno
è ordinato e organizzato secondo rapporti di coordinazione, inverando il presupposto
metafisico kantiano dei rapporti reciproci attivi. Come si è visto nel Capitolo I, i
rapporti di coordinazione in generale sono il frutto dell’attività sintetica del soggetto,
che modifica, nel venire modificato, la percezione, la materia (Stoff) appunto, attraverso
una sintesi dell’intelletto operata sull’intuizione dello spazio.
88 Opus postumum, KGS XXII, p. 322. 89 Opus postumum, KGS XXII, pp. 368-369.
239
Ritorna così la dialettica forma/materia, tanto importante nei Metaphysische
Anfangsgründe der Naturwissenschaft, così come nell’Opus postumum. La possibilità di
rendere forma (cogitabile) della connessione delle rappresentazioni empiriche ciò che
ne costituisce il materiale (dabile), è garantita ora sul piano ontologico dal principio
forma dat esse rei:
Physik ist die systematische Lehre der empirischen Naturforschung: als der Tendenz der
metaphys. A. Gr. der Naturwissenschaft. Die der Naturforschung nach a priori zum Grunde liegenden Prinzipien ist die der Metaphys. A. Gr. der N. W. Physik ist die Wissenschaft der Prinzipien die bewegende Kräfte der Natur in einem System der Erfahrung zu verknüpfen. Dazu gehöret 1.) das Materiale der e m p i r i s c h e n Vorstellungen (dabile) 2. das Formale der Zusammenstellung des Mannigfaltigen derselben in einem System (cogitabile) welches das Gesetz der Verknüpfung von jenen zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung als Einheit enthält und als Idee der Verknüpfung a priori zum Grunde gelegt werden muss (forma dat eße rei).90
C’è una differenza sostanziale con la prima Critica, sebbene anche in sede di
Prefazione alla seconda edizione, Kant avesse rilevato la capacità della forma di
determinare la materia e che le forme da noi immesse nella natura sono oggetto di
conoscenza possibile e allo stesso tempo fonte della possibilità dell’esperienza.
Nell’Opus postumum, infatti, Kant non tratta del principio dell’esperienza in generale,
cioè non tratta solamente dell’unità collettiva di ogni esperienza (il che implicherebbe la
considerazione dell’universalità distributiva dell’esperienza), ma del principio
dell’esperienza come un tutto (il tutto dell’esperienza possibile), che implica la sua
universalità collettiva capace di includere in un sistema sia l’unità collettiva sia l’unità
distributiva di ogni esperienza. In questo modo è più facile comprendere lo scopo a cui
Kant tende nel considerare l’esperienza dal punto di vista dell’universalità collettiva.
Tale punto di vista è incarnato nella costituzione di un tutto capace di unificare il
sistema delle forze motrici della materia e quello delle percezioni. Una volta costituito
questo tutto sistematico, secondo Kant, è possibile enumerare e classificare le forze
motrici della materia in vista della conoscenza empirica e del sistema degli oggetti del
senso:
Das Formale der Verbindung derselben zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung von
dem Verhältnis dieser Kräfte zum Subjekt macht das Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung als eines subjektiven Systems aus welches zugleich objektiv gegeben ist. Forma dat eße rei und weil die bewegende Kräfte, welche die Ursache der Wahrnehmungen zum Behuf des empirischen Erkenntnisses ausmachen als Erscheinungen a priori gegeben sind so können auch a priori diejenige aufgezahlt u. classificirt werden welche das empirische Aggregat zum Behuf eines Systems der Sinnenobjekte ausmachen. Die bewegende Kräfte 1.) in der E r s c h e i n u n g Subjektiv 2. in der Wa h r n e h m u n g objektiv 3.) in der Z u s a m m e n s e t z u n g des
90 Opus postumum, KGS XXII, p. 313.
240
Mannigfaltigen der Wahrnehmungen zum Begriffe in meinem Bewusstsein 4.) ein Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung (des empirischen Denkens überhaupt) im System der bewegenden Kräfte objektiv überhaupt das cogitabile zum dabile zu machen als dem Überschritt zur Physik z. B. die Vorstellung o r g a n i s c h e r Körper, als entia rationis (Gedankendinge) welche subjektive Realität haben, im Inbegriffe der Natur überhaupt das Elementarsystem zu classificiren und das Elementarsystem a priori zu organisieren. Erscheinung (Anschauung a priori) und Erfahrung was gegeben u. was gemacht oder gedacht wird.91
Il principio forma dat esse rei si rivela essere il principio della sintesi delle
percezioni in un’unità collettiva sistematica, che può divenire sistema delle
determinazioni del molteplice empirico prodotto dalle forze motrici della materia.
Queste a loro volta costituiscono un sistema che conferisce effettualità (Wirklichkeit)
alla realtà (Realität):
Alles was wir a priori und zwar synthetisch erkennen sollen kann nur als Objekt in der Erscheinung nicht als der Gegenstand an sich selbst beurteilt werden mithin können Erfahrungsgegenstände nur die Zusammenstimmung der Erscheinungen unter einander in demselben Objekt die Realität desselben ausmachen und die bloße Form der Zusammenstimmung des Mannigfaltigen desselben in der synthetischen Vorstellung kann jenem den Beweis der Wirklichkeit verschaffen (forma dat eße rei). Also ist es nur das Prinzip der Synthesis der Wahrnehmungen zur Einheit derselben in einem — nicht Aggregat sondern — System m ö g l i c h e r empirischer Bestimmungen des Objekts durch bewegende Kräfte der Materie die man also aufzählen muss.92
La prova dell’esistenza dell’etere, dunque, rappresenta un elemento di critica
molto forte all’idealismo e alle nuove tendenze filosofiche dell’epoca. D’altra parte
Kant non abbraccia una forma di materialismo, sebbene reputi necessaria
soggettivamente la realtà effettiva della materia perché si dia percezione e, dunque, che
un qualcosa fuori di noi esista. In virtù della sua esistenza, la completa determinazione
dell’etere, come si è visto, dipende dalla costituzione di un sistema delle forze motrici
della materia, e dunque dall’elemento formale, della classificazione e della
matematizzazione, che viene inserito nell’esperienza dal soggetto. Quest’ultimo, non
solo comprende le forze in un sistema e determina la materia, ma inserendosi all’interno
della totalità dei rapporti reciproci attivi tra le forze, si scopre come determinato anche
da essa:
Also R a u m u . Z e i t und die V e r b i n d u n g des Aggregats der Wahrnehmungen zu
einem Ganzen der M ö g l i c h e n E r f a h r u n g in beiden als System derselben (für// nicht durch Erfahrung) ist das Formale. — R a u m , Z e i t , u n d d i e s y n t h e t i s c h e E i n h e i t d e s M a n n i g f a l t i g e n d e r s e l b e n i n d e r A n s c h a u u n g a l s E r s c h e i n u n g d e s S i n n e n o b j e k t s w i e d a s S u b j e k t v o n i h m a l s e i n e m a b s o l u t e n G a n z e n
91 Opus postumum, KGS XXII, pp. 385-86. 92 Opus postumum, KGS XXII, p. 375.
241
a f f i c i r t w i r d . Der Raum und die Zeit ist nicht die Synthesis d.i. Zusammensetzung des Mannigfaltigen der Anschauung durch Begriffe denn er und die Zeit sind schon mit der synthetischen Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung identisch gegeben (nicht davon abgeleitet). Das Formale der Anschauung als Einheit ist in der Synthesis des Mannigfaltigen derselben a priori identisch enthalten. Das Mannigfaltige der Anschauung derselben ist nicht durch Wahrnehmungen (empirische Vorstellungen mit Bewusstsein) sondern a priori in der reinen Anschauung gegeben und das Aggregat der letzteren zum Behuf der Möglichkeit der Erfahrung setzt jene (Anschauung) das Formale vor dem Materialen voraus Raum, Zeit und synthetische Einheit des Mannigfaltigen der Anschauung im Raum und der Zeit. Alle drei sind Formen. Forma dat esse rei sind unendlich. Die erste 2 gehen das Objekt das dritte das die gedachte Objekte in einem Begriff verbindende Subjekt an.93
La posizione epistemologica di Kant, che ci viene riconsegnata dalle pagine
dell’Opus postumum, mostra che sia l’idealismo trascendentale sia il realismo empirico
– secondo cui è un fatto che si dia esperienza – siano mantenuti rispetto al periodo
critico. In secondo luogo, emerge con forza l’idea che l’oggetto dell’Übergang sia il
risultato del processo di trasformazione del soggettivo nell’oggettivo, della materia nella
forma, il cui risultato viene condotto ad un’unità più alta:
Es kommt bei Lösung der Aufgabe nämlich der Frage über die Existenz des Wärmestoffs als mit bewegenden Kräften versehener Materie wenn a priori darüber geurteilt werden soll nicht darauf an auszumachen wie das Objekt (quaestionis) sondern wie die Erfahrung von diesem als Gesamtbegriff desselben in seiner collectiven Einheit nämlich Einer Erfahrung mithin subjektiv möglich ist; denn stimmt dieser Begriff mit den Bedingungen der Möglichkeit Einer Erfahrung (der Einheit derselben) zusammen so ist jener Gegenstand subjektiv wirklich; denn es wird hier nicht nach dem gegebenen Gegenstande sondern nur nach unserer Erkenntnis des Gegenstandes gefragt: und dieses ist zur Lösung unserer Aufgabe als welche nicht Begriffe aus der Erfahrung sondern Erfahrung aus Begriffen ableitet, hinreichend.94
L’universalità collettiva dell’esperienza è l’oggetto di indagine. Lo scopo di
Kant consiste nel mostrare come l’esperienza della materia dotata di forze motrici possa
divenire un Gesamtbegriff, ma non sia dato come un Gegenstand, attraverso l’attività
della spontaneità. Kant ha tentato di mostrare come si determina l’esperienza da
concetti. Secondo il principio forma dat esse rei e sulla base del presupposto metafisico
della coazione reciproca tra i corpi e le forze motrici, Kant avanzò la pretesa di
determinare il piano ontologico, cioè le condizioni di possibilità dell’esperienza stesse,
procedendo da concetti. Allo stesso tempo Kant legò indissolubilmente alla dimensione
ontologica quella epistemologica nella misura in cui il presupposto metafisico dei
rapporti reciproci attivi obbliga ad un mutuo scambio il sistema delle percezioni e
93 Opus postumum, KGS XXII, p. 446: 94 Opus postumum, KGS XXI, p. 581.
242
quello delle forze motrici della materia, in vista dell’oggettività dell’esperienza.
Si comprende, così, perché per Kant l’opera postuma fosse un’impresa tantalica, nella
misura in cui prevedeva la riflessione sul suo sistema e un bilancio della filosofia
trascendentale stessa.
243
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Il percorso tracciato dalla ricerca conduce ad un ampio e vivo dibattito
sull’importanza e sull’utilità dell’approccio trascendentale nella filosofia della scienza e
nell’epistemologia contemporanee. Di esso se ne tratta brevemente nell’Appendice al
fine di aprire un terreno di confronto con la filosofia contemporanea e per gettare le basi
di un’ulteriore ricerca. Prima di procedere in tal senso, è opportuno sintetizzare i punti
di maggior rilievo che la tesi ha voluto approfondire e sostenere nell’affrontare le
questioni epistemologiche emerse soprattutto nell’ultima produzione kantiana.
Il primo aspetto su cui si è voluto insistere concerne la natura ‘flessibile’ dello
spazio kantiano, inteso come intuizione formale e forma dell’intuizione. Sebbene questo
tipo di lettura sia stata alla base delle interpretazioni neo-kantiane di Cohen e Cassirer,
l’elemento della sintesi soggettiva della composizione (Zusammenstellung) non era stato
messo chiaramente in connessione con l’algebra per la determinazione di proprietà dello
spazio. La chiarificazione di tale rapporto, sulla base dello studio della Kritik der reinen
Vernunft e dei Metaphysiche Anfangsgründe der Naturwissenschaft, vorrebbe
aggiungere un tassello alla ricostruzione della filosofia della matematica di Kant. In
secondo luogo, questa lettura permette il dispiegamento delle potenzialità della
concezione dello spazio e dell’algebra nell’alveo della filosofia della natura di Kant,
grazie all’analisi della Kritik der Urtheilskraft e degli scritti inediti. La terza Critica si è
rivelata una miniera d’oro da cui attingere a piene mani sia per lo sviluppo di temi
kantiani, sia per approfondire aspetti squisitamente epistemologici, sia per la ricerca
contemporanea sull’approccio trascendentale alla fisica moderna.
Dal punto di vista della storia della scienza è possibile ritrovare almeno due
aspetti della metafisica della natura di Kant innovativi per la sua epoca. Il primo di
questi aspetti riguarda il sistema delle forze motrici della materia (Elementarsystem) che
Kant delinea nell’Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der
Naturwissenschaft zur Physik: paragonato con l’opera enciclopedica coeva di Gehler, il
sistema delle forze di Kant risulta essere più snello e capace di inserire nell’alveo della
fisiologia anche l’intelligenza umana. Il secondo aspetto degno di nota è il fatto che
Kant abbia parlato di una misurazione della quantità di materia in termini di energia
(Energie) nei manoscritti dell’Opus postumum. Questo aspetto, intrinsecamente legato
alla natura della materia cosmica, oltre a confermare la concezione dinamica della
materia e delle sue forze motrici, permette di cogliere l’importanza dell’influsso della
244
termologia di Laplace e Lavoisier sulla produzione kantiana, ma anche la straordinaria
capacità del criticismo di adattarsi alla scienza del suo tempo, fino a spingersi per certi
versi, oltre di essa.
Infatti, l’interesse mostrato da diversi studi, in diversi periodi storici, sulla
filosofia kantiana e il suo rapporto con le scienze, fino ad arrivare ad affermare
erroneamente anticipazioni di teorie fisiche contemporanee, affonda probabilmente le
sue radici nella ricognizione di una straordinaria flessibilità della filosofia
trascendentale, che si configura come un sistema aperto e certo non cristallizzato nel
dogmatismo di un a priori statico. E’ del resto nota l’interpretazione di un a priori
dinamico e relativizzato che diedero i neo-kantiani e Reichenbach, ripresa qualche
decennio fa da M. Friedman.1
Tuttavia è proprio con il problema della materia che Kant si è voluto misurare e
ha fornito delle coordinate ben precise circa l’unicità della materia e il fatto che non si
possano non presupporre delle proprietà di essa per una sua rappresentazione e una sua
misurazione. Tali proprietà non sono, però, oggetto di un’osservazione diretta o di un
esperimento cruciale, quanto sono frutto di un processo di analisi e procedono da
concetti. Alla filosofia, dunque, spetta un compito sistematico, quello di riunire in un
sistema concettuale e di classificare, secondo principi della ragione, quei concetti
intermedi, come quello di forza, indispensabili per una teoria della materia.
Agli occhi di Kant, poi, la conoscenza vera e propria delle caratteristiche della
materia quoad materiale dipende dall’attività sintetica che, attraverso la fisica
matematica, configura l’essere della materia. Il principio forma dat esse rei costituisce il
cuore dell’argomentazione della tesi di questa ricerca, secondo cui l’epistemologia
kantiana procederebbe di pari passo con una fondazione dell’ontologia.
Da quest’ultima prende le mosse la fisica, che nella sua fondazione, dunque,
presuppone il soggetto come parte integrante di un sistema del mondo e come essere
capace di determinare attraverso la fisica matematica, l’oggetto fisico. Si mostra così
l’altra faccia della medaglia del pensiero kantiano, che fa da pendant a quello dell’a
priori e da cui si può certamente partire per rintracciare aspetti della filosofia
trascendentale nella scienza contemporanea o per mostrarne la compatibilità.
Nella filosofia di Kant, il rapporto tra epistemologia e ontologia si presenta in
una veste dinamica, se si considera la capacità del soggetto di escogitare nuove forme di
connessione secondo regole per la determinazione degli enti. La stessa Kritik der
1 Sebbene questa interpretazione abbia numerosi limiti, che storicamente si sono presentati e che hanno strettamente a che vedere con le moderne teorie della materia.
245
Urtheilskraft mostra questo aspetto metodologico, laddove, pur non stabilendo alcun
principio determinante direttamente l’oggetto della conoscenza, determina
costitutivamente il rapporto tra le facoltà del soggetto: queste sono libere di generare
indefinite forme di connessione nel sistema della natura e ancora più esplicitamente
nell’ambito della matematica, come stabilito nel §62. L’applicazione di questo
avanzamento nell’empirico e nel contingente, frutto di un ampliamento della Kritik der
reinen Venrnunft, trova il suo luogo ideale nella fisiologia sviluppata, ma mai
pubblicata dell’Übergang von den metaphysischen Anfangsgründe der
Naturwissenschaft zur Physik.
La dimensione metafisica presente negli anni di pieno criticismo, lascia il posto
negli anni ’90 al presupposto metafisico, secondo cui la realtà delle sostanze deve essere
rappresentata nella forma delle loro relazioni reciproche attive. I concetti di riflessione,
posti a fondamento per la costruzione del concetto di materia in generale, mantengono
un ruolo di canone per evitare l’anfibolia, ma lasciano il posto a funzioni di reciprocità
delle forze motrici della materia che guardano ai fenomeni fisici studiati dalle scienze
naturali.
Sia nell’ambito della questione del realismo sull’oggetto fisico sia sul piano
della teoria della conoscenza, la posizione di Kant non sembra passibile di una
definizione univoca. La posizione kantiana sfugge alle etichette tanto del realismo
epistemico, quanto del realismo scientifico. Infatti, le condizioni di possibilità del
conoscere, assunte ad oggetto dalla filosofia trascendentale, possiedono una realtà,
hanno un Grund, che, però, non è oggetto dell’esperienza, è la cosa in sé, l’intima
costituzione delle nostre facoltà, di cui solamente la forma dell’attività può essere
chiarita. Le condizioni di possibilità della realtà dell’oggetto fisico possono invece
essere costruite attraverso la matematica e annoverano la percezione come un
fondamento necessario per la realtà di una connessione necessaria delle forze motrici
della materia, la cui esistenza deve essere presupposta, perché possa darsi sia la fisica
come scienza, sia un’esperienza percettiva continua ed interconnessa.
Kant, in sostanza, ribalterebbe il problema attuale della disputa tra realismi: il
problema non risiede nel fatto se l’oggetto epistemico o quello fisico siano reali o meno,
quanto in che modo e se possiamo stabilire e conoscere la regola della connessione o la
forma di ciò che ci rappresentiamo come oggetto in generale, ma che non è ancora
oggetto per noi, il fenomeno. L’oggetto propriamente detto “arriva” in un secondo
tempo, arricchito da questo processo, da questo movimento del soggetto e dal prodotto
246
della sua attività: quello che Kant chiama Stoff, o molteplice della rappresentazione, è il
primo passo di un processo, che solamente attraverso una sintesi e al riconoscimento di
un nesso della comunanza giunge ad essere Gegenstand. Quest’ultimo è riconosciuto
come ontologicamente dipendente da questo processo. Allo stesso modo, però, a
seconda di come l’autocoscienza si pone nel tempo, questo è anche in grado di essere
visto come Ding, ontologicamente indipendente dal processo conoscitivo, ma pur
sempre passibile di una comprensione razionale.
Sia nel caso della definizione in filosofia sia del caso della costruzione in
matematica, l’attività sintetica presupposta determina la costituzione dell’oggetto per
noi. Ma questa non è ancora la nozione kantiana di oggettività. Quest’ultima si
raggiunge solo con un’unificazione del soggettivo e dell’oggettivo sotto un principio
saputo con certezza (Gewissheit). La necessità dell’oggettività non vale solo in ambito
teoretico, ma anche pratico e svela la complessa natura della filosofia trascendentale
come sistema dei fini, che certo non si lascia totalmente inquadrare dal dibattito sul
realismo. Peraltro una chiara indicazione su questo è fornita dallo stesso Kant, quando
definisce la necessità di una duplice presenza per la determinazione dell’oggetto per noi
quale l’idealismo trascendentale e il realismo empirico. Entrambi sono inscindibili.
Quella trascendentale è sempre una duplice posizione circa l’oggetto e l’oggettività,
poiché unisce l’aspetto epistemologico con quello ontologico, i quali però non
coincidono sempre.
Ci sono stati tentativi di tematizzare la complessità della posizione kantiana. Per
ora preme sottolineare, in questa breve nota conclusiva, che la ricerca svolta ha tentato
di gettare una luce sul pensiero kantiano da una prospettiva che lo restituisce alla
contemporaneità con limiti, ma anche e soprattutto con una veste di straordinaria
ricchezza, in grado di colmare per certi aspetti la lacuna degli studi sulle opere minori e
sulla sua fatica tantalica dell’Übergang. Da questa prospettiva, tanta parte della scienza
e della filosofia della scienza ha certamente ancora un conto in sospeso con la filosofia
trascendentale.
APPENDICE
248
IL POSTO DELLA RAGIONE NELLA SCIENZA
Lo scopo di questa Appendice consiste nel valorizzare la riflessione kantiana nel
delineare l’interazione tra filosofia e scienza della natura e nel tracciare un quadro del
rapporto che l’epistemologia contemporanea ha voluto e vuole ancora istaurare con la
filosofia trascendentale. Questa Appendice vuole sì saggiare l’attualità di temi kantiani
per la ricerca contemporanea, ma soprattutto intende andare oltre Kant per gettare luce
sulle prospettive che possono ancora aprirsi nell’alveo di un approccio trascendentale
alla scienza. Questo percorso può essere intrapreso, traendo spunto dalla domanda che
pose A. Einstein: “se l’esperienza è l’alfa e l’omega della conoscenza del mondo, allora
che posto occupa la ragione nella scienza?”.1
Per aprire un confronto, si è scelto di trattare l’immagine che della filosofia
kantiana è stata restituita non solo dai filosofi, ma anche dagli scienziati del secolo
scorso e dagli epistemologi contemporanei. Si è scelto di presentare questa tesi alla fine
di un lavoro di ricerca e di interpretazione della metafisica della natura e
dell’epistemologia kantiana per delineare un’ipotesi di lavoro ulteriore e per mostrare
l’attualità degli studi kantiani nel settore di storia e filosofia della scienza.
La tesi che si è proposta in questo lavoro vuole collocarsi in prospettiva in un
punto ben preciso dell’attuale ricerca, in quello spazio, cioè, aperto nel 2003 da
1 A. Einstein, Come io vedo il Mondo, Roma 1988, p. 41.
249
Symmetries in Physics e dagli studi raccolti nel 2009 in Constituting Objectivity.
Transcendental Perspectives on Modern Physics. Questi ultimi propongono un
approccio trascendentale sistematico sia alla fisica teorica sia all’epistemologia,
delineando così una prospettiva di rinnovamento dell’ontologia.2
Data la vastità dell’argomento che richiederebbe un’ampia e articolata ricerca, si
sono scelti tre punti sulla base dei quali svolgere l’analisi.
Il primo punto riguarda l’intento della filosofia kantiana di costituire un sistema
delle condizioni di possibilità della conoscenza scientifica. In questa prima sezione si
attua una ricognizione degli elementi del pensiero kantiano che hanno influenzato
aspetti della produzione H. Weyl, per poi attuare un confronto diretto con i testi di
Einstein.
Il secondo punto concerne la questione epistemologica circa il problema
dell’oggettività e di oggetto epistemico, che, così come è stata presentata nel 2007 da L.
Daston e P. Galison in Objectivity, affonderebbe le sue radici proprio nel pensiero di
Kant. Questa sezione ha lo scopo di ricostruire la tesi di Daston e Galison e vedere se, e
in che misura, la loro interpretazione della concezione kantiana di oggettività sia
aderente alla filosofia trascendentale.
L’ultimo punto consiste nell’analisi del fenomeno “back to Kant” che ha
caratterizzato la posizione filosofica di H. Putnam nel 1981 e nei primi anni ‘90. Ma la
ripresa della filosofia kantiana nel corso del ‘900 annovera una lunga serie di
sostenitori. Un altro esempio, che costituisce un invito ad un “ritorno” a Kant
nell’ambito epistemologico, è stato compiuto da P. Kitcher con un rimando continuo
all’epistemologia della Critica della facoltà di giudizio.3 B. Falkenburg e altri4 hanno
lavorato sulla filosofia kantiana per ricostruire la fondazione epistemologica e
ontologica della fisica teorica e in particolare anche della teoria quantistica. Le posizioni
attuali, dunque, nel panorama internazionale sono più che mai diversificate. Tuttavia, è
un fatto, che anche uno dei più forti oppositori della filosofia kantiana e del suo
possibile legame con la fisica, R. Feynmann, abbia tenuto in considerazione Kant.5
2 Un caso precedente é costituito dalla raccolta di saggi sull’epistemologia contemporanea e il ruolo che un confronto con la filosofia kantiana poteva giocare al suo interno. Cfr. AA. VV., Kant and Contemporary Epistemology, a cura di P. Parrini, Dordrecht 1994.
Non
3 Cfr. infra, Capitolo III, §3.1. 4 H. Pringe, Critique of the Quantum Power of Judgment, Berlin 2007. 5 Cfr. R. Feynman, The Character of Physical Law, London 1965; trad. it, La legge fisica, a cura di L.A. Radicati, Torino 1971. Si noti la trattazione delle leggi empiriche e la somiglianza con il procedimento epistemologico di Kant presente nella KdU, pp. 138; 141-142. Ancora sull’ipotesi cosmogonica, pp. 95-98, e sulla materia cosmica, p. 168, si noti la vicinanza col pensiero kantiano. Per le somiglianze dal punto di vista metodologico per la costituzione del sistema fisico, cfr. pp. 179; 187.
250
è trascurabile neanche il numero di pagine dedicate al suo pensiero nel testo di Daston e
Galison, sebbene il loro approdo sia lontano dall’abbracciare un’epistemologia kantiana.
L’obiettivo comune di queste tre sezioni consiste nel tentativo di gettare luce
sulla concezione kantiana di oggettività, che sfugge alle etichette che il dibattito
contemporaneo sul realismo e sull’anti-realismo – sia ontologico che epistemologico –
vorrebbe attribuirgli.
L’aspetto della profonda rivoluzione che Kant apportò nell’ambito
dell’ontologia e della teoria della conoscenza ha inevitabilmente influenzato la sua
visione del rapporto tra metafisica e fisica. D’altra parte, come questa ricerca ha cercato
di mostrare, il confronto continuo con la fisica sperimentale dell’epoca ha anche
delineato aspetti tipici del criticismo, lasciando traccia evidente di un’attenzione
costante da parte di Kant ad un interscambio tra teoria e prassi scientifica.
Nel confronto con la posizione di Galison e Daston, infatti, si rileva come per
Kant ciò che è oggettivo e l’oggetto della conoscenza non si identifichi affatto con la
nozione di oggettività. Anzi, quest’ultima nozione sorge proprio dall’unità di un
elemento soggettivo e di uno oggettivo: il patrimonio della filosofia kantiana oggi può
offrire molto alla metodologia scientifica della fisica teorica, in quanto è un tentativo di
una possibile unificazione tra epistemologia ed ontologia, incastonato nel progressivo
assorbimento del punto di vista del soggetto in un sistema del mondo.6
Sebbene la costituzione sistematica della scienza sia di estrema importanza per
la filosofia kantiana, è bene precisare che non può darsi un sistema completo di essa,
eccezion fatta per l’unica scienza che vanta, per Kant, un sistema completo: la logica.
Come si è cercato di mettere in luce nel corso della ricerca, le cose non stanno
così per la fisica e per la matematica, che tendono asintoticamente alla completezza,
sebbene possano e debbano assumere una forma sistematica.
Il sistema della filosofia trascendentale stessa è suscettibile di un ampliamento
dovuto al continuo confronto con l’empirico e con l’esperienza, sebbene sia
strutturalmente un sistema della ragione teoretico-speculativa e tecnico-pratica unito
sotto il segno della ragione etico-morale. Proprio questo legame intrinseco tra la
dimensione ontologica e pratica della filosofia kantiana costituisce un argomento molto
6 Su questo punto il dibattito è molto vivo, soprattutto nell’ambito degli studi statunitensi di filosofia della scienza. Come si vedrà, un sostenitore del recupero dell’approccio trascendentale nella filosofia della scienza è T. Ryckmann. Tuttavia, alcuni tra i sostenitori di un approccio naturalista o sostenitori dell’olismo di stampo einsteiniano, tra i quali è annoverato D. Howard, argomentano contro una posizione epistemologica che rivaluta un approccio trascendentale alle teorie fisiche, là dove viene visto come necessario l’inserimento del punto di vista del soggetto che debba scegliere il sistema di riferimento all’interno della teoria della relatività con evidenti e molteplici ricadute sul piano ontologico.
251
forte contro i sostenitori dell’esistenza di uno iato incolmabile tra l’epistemologia
einsteiniana e quella kantiana. Per questa ragione e per non limitare ulteriori prospettive
di ricerca e dibattito, occorre rigettare la tesi interpretativa di Putnam, secondo cui per
Kant non ci sarebbe la possibilità di un’unica teoria sistematica del Mondo.7
Il tentativo kantiano di trovare il fondamento e la condizione di possibilità della
diversa considerazione del fenomeno e della cosa in sé riposa su un elemento che
Putnam tiene da parte nella sua interpretazione, ovvero l’idealismo trascendentale di
spazio e tempo. Questo aspetto, su cui la presente ricerca si è concentrata notevolmente,
risulta di grande importanza perché gioca un ruolo importante proprio nella trattazione
delle Antinomie della ragione pura che riguardano l’idea di Mondo.
Se si guarda al sistema kantiano dall’esterno, poi, non è difficile cogliere un altro
aspetto centrale per il confronto con la filosofia della scienza contemporanea. La
distinzione tra fenomeno e noumeno, tra fenomeno e cosa in sé, e ancora tra intuizione e
concetti, non può essere svincolata dalla trattazione dello spazio e del tempo, in quanto
è proprio grazie a questo continuo processo di determinazione del limite della
conoscenza possibile e delle sue modalità che Kant voleva rispondere ad una delle
questioni teoriche più urgenti, non solo per la sua epoca, ma anche per la nostra: come è
possibile spiegare la possibilità di una comprensione così diversificata, se non a volte
apparentemente inconciliabile, della realtà? Come è possibile che il medesimo universo
e la medesima materia rispondano a leggi inconciliabili tra loro?
La trattazione kantiana della materia, della sua divisibilità, della necessità di
rappresentarla come un continuo, che allo stesso tempo, grazie alla matematica, può
essere discretizzato, è solo un esempio delle problematiche che Kant ha affrontato e che
implicava l’inserimento di un punto di vista più alto per la comprensione in un unico
sistema delle diverse modalità rappresentative e delle modellizzazioni della scienza.
Molta parte della letteratura secondaria ha trattato del rapporto di Kant con le
scienze empiriche e con la scienza della natura in generale, cercando di interpretarlo e di
trasporne alcuni elementi nella filosofia della scienza contemporanea.
Il panorama che ci si trova di fronte è estremamente vasto. Negli ultimi decenni
il testo di M. Friedman, Dynamics of Reason, ha costituito, con la sua tesi dell’a priori
relativizzato, una cesura rispetto al passato, ovvero alla critica di Quine al kantismo e
alla posizione olistica.8
7 Cfr. infra, Appendice, Sezione C).
Occorre precisare che questo aspetto del pensiero di Friedman si
8 Cfr. T. Ryckmann, Hermann Weyl and “Fist Philosophy”: Constituiting Gauge Invariance, in Constituiting Objectivity, 2009, pp. 279-298; p. 280.
252
è accompagnato ad un intento di comprensione del pensiero kantiano, ispirato
all’interpretazione neo-kantiana. Anche il testo Kant and the Exact Sciences del 1992
risente, naturalmente, dell’intento più generale del lavoro di ricerca di Friedman, che
mira a tracciare una linea di continuità tra Newton e Kant, per poter mettere in luce la
peculiarità del pensiero di Leibniz. Infatti, se si considera la collocazione di Friedman
nell’ambito del panorama scientifico, si nota come egli sia un sostenitore della natura
relazionale dello spazio.
Un tentativo quello di Friedman da apprezzare, in linea sotto molti aspetti con il
filone neo-kantiano di E. Cassirer, ma non sufficiente a chiudere i conti con la domanda
se e in che misura il pensiero di Kant possa costituire un primo mattone di un edificio in
cui epistemologia e ontologia convivano e siano di mutuo supporto alla fisica teorica.
Infatti, se Friedman ha collocato la teoria kantiana dello spazio-tempo nel quadro del
confronto con Leibniz e i newtoniani, non ha però chiarito perché la concezione
formalista dello spazio kantiano permetta di unificare un concezione dello spazio
assoluta con una visione relazionale di esso e con il conseguente problema di uno
spazio-tempo sostanzializzato.
Quella della natura dello spazio e del tempo, infatti, sembra essere la questione
ontologica ed epistemologica che costituisce la chiave di volta per istituire un confronto
con il pensiero di Einstein,9
attraverso una figura fondamentale del secolo scorso, H.
Weyl.
A) Visione del mondo e Relatività
Kant è il filosofo che, partendo dalla questione dell’origine dell’universo e dalla
teoria della materia, a questi temi è tornato nel corso della sua produzione, con un
intenso lavoro di elaborazione di una cosmologia e di una cosmogonia. Lo stesso
programma critico si è sviluppato in seno alla domanda sulla natura del concetto di
Mondo10
9 Sebbene nei suoi testi Einstein dispensasse note critiche alla definizione dello spazio e del tempo come forme soggettive della sensibilità, egli non ha mai risposto ufficialmente alla domanda ontologica sulla natura dello spazio e del tempo, limitandosi alla loro definizione operativa.
e sull’antinomia della ragione generata dall’anfibolia di questo concetto della
ragione. Non è un caso, infatti, che nella lettera indirizzata a Christian Garve del 21
settembre 1798 Kant puntualizzi quale sia stato l’elemento da cui si è sviluppata la sua
filosofia trascendentale:
10 La prima sezione della Dissertazione del ’70 è dedicata, infatti, alla trattazione dell’origine e della costituzione dell’idea di Mondo, che inaugura il periodo del criticismo.
253
Il punto dal quale sono partito non è stata l’indagine sull’esistenza di Dio, sull’immortalità, ecc., ma l’antinomia della ragion pura: “il mondo ha un inizio” – “esso non ha alcun inizio”, ecc., fino alla quarta: “C’è libertà nell’uomo”- e per contro: non c’è alcuna libertà, ma tutto in lui è necessità naturale”. Fu essa a destarmi dal torpore dogmatico e a spingermi alla critica della ragione stessa, allo scopo di eliminare lo scandalo costituito dalla sua apparente contraddizione con se stessa.11
Una volta assunto questo punto fondamentale, l’analisi deve procedere alla volta
della rappresentazione kantiana dell’universo. Il tutto cosmico, non rappresentabile
altrimenti che come un tutto mobile e continuo, ha alla sua base un particolare concetto
di spazio. Proprio su questo si basa la prima parte di questo confronto tra la concezione
di Mondo di Kant e quella di Einstein.
Nella Prefazione del 1953 al testo Concepts of Space di M. Jammer, Einstein
propone un’analisi secondo cui sono possibili due significati del concetto di spazio.
In primo luogo, Einstein distingue due significati che può assumere tale
concetto, in base alla relazione che si istituisce fra la determinazione della posizione
(place) di un oggetto fisico (dotato di massa ed energia) e lo spazio.12 Pertanto, lo
spazio può essere “a sort of order of material objects”,13 oppure “an independent
(absolute) space, unlimited in extent, in which all material objects are contained”.14
In secondo luogo, queste due concezioni dello spazio, una relativa e l’altra
assoluta, possono essere così messe a confronto: nel primo caso, una concezione dello
spazio relazionale, rappresentato in tal modo dalla geometria, o come qualità
posizionale del mondo degli oggetti materiali, sostiene che uno spazio senza un oggetto
materiale sia inconcepibile. Nel secondo caso, una concezione dello spazio assoluto
come contenitore di tutti gli oggetti materiali, rappresentato secondo la cinematica,
implica che lo spazio appaia come una realtà in un certo senso superiore al mondo
11 Lettera a C. Garve, in Epistolario filosofico (1761-1800), a cura di O. Meo, Genova 1990, p. 396 (corsivo mio). Alla luce di tale considerazione è possibile affermare che Kant vedeva nell’elemento antinomico il motore della filosofia critica, la fonte da cui necessariamente deve scaturire l’indagine sullo statuto e i limiti della ragione, anticipando una tendenza peculiare dell’idealismo tedesco nel rintracciare nell’elemento dialettico l’andamento originario del metodo filosofico. In secondo luogo, Kant, ponendo l’idea di libertà come fondamento dell’idea di Dio e dell’anima in prospettiva pratica, pone in relazione l’aspetto antinomico con quello della libertà, individuando in quest’ultimo il fondamento dell’unione di teoria e prassi, di intelligibile e sensibile, aprendo una strada che Fichte e Schelling percorreranno seppure in modi differenti. Anche nell’Opus Postumum (cfr. KGS XXI, p.156) prende le mosse dall’antinomia di natura e libertà, così come nella la KdU, vedeva nei concetti di natura e libertà i due cardini della filosofia, per cui la fisiologia (come prodotto della ragion pura) può essere dottrina della scienza o della saggezza. 12 A. Einstein, Foreword, in M. Jammer, (1993), pp. xiii-xvii. 13 Foreword, p. xv. 14 Foreword, p. xv.
254
materiale. Einstein rileva come sia stato il concetto di campo a modificare fortemente i
termini di questo dualismo circa il concetto di spazio:
Under the influence of the ideas of Faraday and Maxwell the notion developed that the whole of physical reality could perhaps be represented as a field whose components depend on four space-time parameters. If the laws of this field are in general covariant, that is are not dependent on a particular choice of coordinate system, then the introduction of an independent (absolute) space is no longer necessary. That which constitutes the spatial character of the field is then simply the four-dimensionality of the field. There is then no “empty” space, that is, there is no space without a field.15
Secondo Einstein, da Maxwell in poi si è concepita la realtà fisica come
rappresentata da campi continui, regolati da equazioni differenziali parziali.16 Col
termine “campo”, quindi, si indica una grandezza fisica (esprimibile tramite un numero
o mediante un modulo, una direzione e un verso) che in una certa regione di spazio
assume valori dipendenti dalla posizione, cioè è funzione delle coordinate spaziali ed
eventualmente anche del tempo. In generale, dunque, un campo è il risultato della
modificazione di una certa regione di spazio per opera di un oggetto fisico sorgente del
campo stesso (ad esempio, una carica elettrica, una calamita o una stella), la cui
presenza è rilevabile esclusivamente attraverso un’interazione.17
In questa sede non si vuole sostenere che Kant anticipò il concetto di campo, ma
sicuramente affrontò il problema della determinazione e della distinzione delle regioni
dello spazio e delle funzioni di coordinate da un punto di vista matematico e fisico.
Nel testo del 1768 Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im
Raume, Kant asserisce la necessità di pensare lo spazio assoluto per determinare la
direzione o l’orientamento delle parti nello spazio. In questo testo Kant si rivolge a
15 Foreword, p. xvii. 16 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 68. Un’equazione differenziale alle derivate parziali o più semplicemente un’equazione alle derivate parziali (EDP), è un’equazione differenziale che coinvolge derivate parziali di una funzione incognita in più variabili indipendenti. Le equazioni di campo di Einstein inserite nell’ambito della relatività generale descrivono l’interazione fondamentale della gravitazione come il risultato della curvatura dello spazio-tempo da parte di materia ed energia. Einstein pubblicò l’insieme delle sue equazioni alle derivate parziali nel 1915. Nello stesso modo in cui i campi elettromagnetici sono determinati attraverso le equazioni di Maxwell, così le equazioni di campo di Einstein sono usate per determinare la geometria spazio-temporale che risulta dalla presenza di massa-energia e momento lineare, cioè determinano il tensore metrico di spazio-tempo per una data strutturazione o sistemazione di energia-impulso nello spazio-tempo (tensore energia-impulso). La relazione tra il tensore metrico e il tensore di Einstein permette alle equazioni di campo di essere scritte come un insieme di equazioni parziali differenziali non lineari. 17 Senza entrare nel merito della teoria matematica che si occupa dei campi sia scalari (temperatura, pressione, ecc.) che vettoriali (forza, velocità, accelerazione, momento angolare, ecc.) e che ne regola le proprietà in base a determinate condizioni al contorno, qui ci limitiamo a darne una semplice definizione. Ogni regione dello spazio in cui una carica elettrica sia soggetta a una forza di tipo elettrico è detta campo elettrico, mentre per analogia si può affermare che la regione di spazio adiacente a un magnete permanente o a un conduttore percorso da corrente è sede di un campo magnetico.
255
Lambert e ai geometri che vogliono connettere la geometria e la scienza della natura.
Questo scritto, oltre a criticare il relazionalismo di Leibniz, segna una presa di distanza
anche da Eulero.18
Sebbene Kant dia l’impressione di accettare apertamente e in modo definitivo lo
spazio assoluto newtoniano, le sue precisazioni sono preziose per capire che lo ha
reinterpretato e che la validità di questo concetto non è ammessa nella trattazione fisica
del moto e della forza, bensì in quella geometrica. Allo stesso tempo, infatti, in quello
scritto già compare l’idea dello spazio come concetto e come condizione di possibilità
dell’esperienza esterna. Questa posizione critica nei confronti dello spazio leibniziano
sarà affinata nella Dissertazione del 1770.
In quest’ultima, però, lo spazio assoluto non è più considerato come qualcosa di
reale o di necessario per la spiegazione del moto relativo e assoluto, perché la
concezione kantiana della geometria può ora contare sullo strumento della sintesi. Il
criticismo di Kant conduce cioè ad una valutazione dello spazio legata alla soggettività,
ma anche all’oggettività delle connessioni tra le parti che si influenzano reciprocamente
e a cui viene assegnata una posizione nello spazio-tempo.
Nel caso del sistema kantiano, la determinazione delle regioni dello spazio
dipende dall’interazione tra l’unità sintetica dell’appercezione e il reale della
percezione, dalla regola scelta di volta in volta dall’immaginazione per costruire
nell’intuizione le coordinate spazio-temporali di un qualcosa (Etwas) che è reale e che
possiede un grado.19
Come anticipato nei Capitoli I, II e V, il concetto di grado, trattato nelle
Anticipazioni della percezione della KrV, risulta di grande importanza per la definizione
dell’oggetto e per un tipo di rappresentazione continuo dello spazio e del tempo come
intuizioni formali.
20
18 I. Kant, Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume, KGS II, p. 378.
La differente composizione dell’omogeneo dello spazio e del
tempo, come quanta e come quanta continua, permette che le regioni dello spazio non
solo siano orientate, ma che si possano diversamente orientare e distinguere, per
rappresentare matematicamente i fenomeni fisici. La concezione dello spazio di Kant è
19 La domanda ontologica sullo spazio trova già la sua esplicita trattazione in epoca precritica (1768). Cfr. I. Kant, Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume, KGS II, pp. 375-384. 20 Il legame istituito da Kant tra il grado delle percezioni, la realtà e il metodo delle flussioni ha esercitato molta influenza sulla scuola neo-kantiana. Se la sezione delle Anticipazioni della percezione viene letta dal punto di vista della geometria, si trova una deduzione del fatto che lo spazio come intuizione formale sia reale. Su questo anche la letteratura contemporanea si è confrontata a partire dalla lettura che Cassirer e Cohen hanno offerto di queste pagine della KrV. Cfr. M. Friedman (1992), pp. 55-95; W. L. Harper, Kant, Riemann and Reichenbach on Space and Geometry, in Eighth International Kant Congress- Memphis 1995, vol. I, a cura di H. Robinson, Milwaukee 1995, pp. 423-454; B. Thaliath, Perspektivierung als Modalität der Symbolisierung, Würzburg 2005, pp. 42-60; 81-88.
256
capace di dare conto del perché si possieda una concezione continua e discreta, ma
anche assoluta e relativa dello spazio-tempo (e del movimento), grazie alla distinzione
del modo rappresentativo del soggetto e alla sua presupposta interazione con il reale
percettivo.
L’altro aspetto da tenere in considerazione è la concezione kantiana dell’algebra
che ci viene riconsegnata dalla Kritik der Urtheilskraft, perché pone nel criterio della
scelta dell’unità di misura quell’elemento di arbitrarietà che ancora oggi caratterizza
l’impiego dell’algebra per la determinazione degli spazi topologici.
Sebbene dal punto di vista fisico, Kant possa in ultima istanza essere
annoverato anche tra i sostenitori dello spazio relazionale, va tenuto presente che,
mentre Leibniz faceva dipendere la posizione delle sostanze e dunque lo spazio, da un
piano metafisico – non è infatti possibile una concezione relazionale dello spazio-tempo
senza un’ipostatizzazione dello spazio e una presupposizione della sostanza – Kant
rendendo la sostanza una funzione del giudicare, colloca la determinabilità dello spazio-
tempo nell’ambito fenomenico di una interazione e di nessi causali tra le forze motrici
della materia e le percezioni.
La differenza con Leibniz consiste proprio nell’aspetto relazionale dello spazio
kantiano, che non si accompagna ad una semplice sostanzializzazione dello spazio-
tempo, bensì alla necessaria presenza di materia,21
Più che una dimostrazione della compatibilità della filosofia kantiana dello
spazio e del tempo con la teoria della relatività, è opportuno mostrare che la concezione
“flessibile” dello spazio e del tempo del criticismo presuppone un’idea di fondo, quella
di Mondo, profondamente legata a quella di sistema e di universo su cui l’epistemologia
e la fisica si modellano: per dare conto della varietà di fenomeni e di scienze, legati allo
spazio-tempo (si pensi alla fisica, alla matematica, ma anche alle arti figurative e
all’attività percettiva) la concezione trascendentale di essi non potrebbe non essere
“flessibile”, in quanto deve poter trovare un’applicazione pressoché universale.
dei corpi fisici e delle forze motrici
della materia, che possono essere conosciuti sulla base dell’idealismo trascendentale di
spazio e tempo.
Questo punto può essere ulteriormente chiarito, prendendo in esame il caso delle
teorie di gauge, strumenti fondamentali della fisica matematica per la costituzione della
teoria dell’elettrodinamica quantistica (QED).
21 Sulla concezione dello spazio-tempo relazionale nella cosmologia kantiana e l’ipostatizzazione dello spazio, cfr. infra, Capitolo V.
257
Il nucleo teorico di queste teorie venne elaborato da H. Weyl.22
del sistema, ammettano simmetrie,
Le teorie di
gauge sono considerate, ad esempio da T. Ryckmann, come uno degli esempi di un
possibile approccio trascendentale nella filosofia della scienza contemporanea. Queste
vengono dette anche teorie G-invarianti e sono una classe di teorie fisiche di campo
basate sull’idea che alcune trasformazioni, che lasciano invariata la lagrangiana
() 23
La maggior parte delle teorie della fisica sono descritte da lagrangiane, che sono
invarianti sotto certe trasformazioni del sistema di coordinate e che sono eseguite
identicamente in ogni punto dello spazio-tempo (si dice quindi che presentano
simmetrie globali). Alla base delle teorie di gauge giace il postulato che le lagrangiane
debbano possedere anche simmetrie locali, cioè che debba essere possibile effettuare
queste trasformazioni di simmetria in una particolare e limitata regione dello spazio-
tempo. L’intento originario di H. Weyl nel 1918 era quello di mostrare l’equivalenza del
potenziale gravitazionale e di quello elettromagnetico, attraverso una trasformazione di
fase del campo.
possibili non solo globalmente, ma anche
localmente.
24
Le equazioni di Maxwell erano, infatti, invarianti ad alcune trasformazioni del
potenziale elettromagnetico
µA . Si poteva, cioè, definire un nuovo potenziale
elettromagnetico, dato da µA = µµ fA + , dove µf è il gradiente di un campo scalare
( )xf , per cui rimane inalterato il tensore del campo elettromagnetico, definito come
νµF = νµA – µνA . Questo significa che c’è un aspetto arbitrario del potenziale che può
essere impiegato per semplificare problemi in elettrodinamica.
Nel 1918 Weyl tentò di formulare un nuovo tipo di teoria, introducendo il
tensore metrico νµ
g e il formalismo tensoriale della relatività generale e della geometria
differenziale. Di fatto Weyl coniò in Raum-Zeit-Materie il termine trasformazione di
scala o di gauge.
22 Per una biografia di H. Weyl, cfr. M. H. A. Newman, Hermann Weyl. 1885-1955, in Biographical Memoirs of Fellows of the Royal Society, vol. 3, 1957, pp. 305-328. 23 Esistono particolari simmetrie globali, che non dipendono dal punto, che sono ancora simmetrie se agiscono localmente, ossia in punto qualsiasi del sistema, a patto che le azioni da un punto all’altro siano indipendenti (secondo le equazioni di Yang - Mills). 24 H. Weyl, Space-time-matter, pp. v-vi: “There holds, as we know now, a principle of gauge invariance in nature; but it does not connect the electromagnetic potentials i , as I assumed, with Einstein’s gravitational potentials ikg , but ties them to the four components of the wave field by which Schrödinger and Dirac taught us to represent the electron. […] Of course, one could not have guessed this before the “electronic field” was discovered by quantum mechanics!”.
258
Le moderne teorie di gauge non hanno a che fare con oggetti geometrici come
νµg , ma prevedono trasformazioni locali di fase nel campo quantistico, che sono
fondamentali nella descrizione delle interazioni deboli e forti. A questo argomento e
quello delle simmetrie è stato dedicato molto spazio nell’edizione di Brading e
Castellani Symmetries in Physics (2003). Tuttavia, ancora non è stato adeguatamente
messo in luce se il tentativo di Weyl affondi le sue radici nella sua concezione dello
spazio come forma, di chiara derivazione kantiana:
Space and time are commonly regarded as the forms of existence of the real world, matter as its substance. A definite portion of matter occupies a definite part of space at a definite moment of time. It is in the composite idea of motion that these three fundamental conceptions enter into intimate relationship. […] in the field of philosophy Kant was the first to take the next decisive step towards the point of view that not only the qualities revealed by the senses, but also space and special characteristics have no objective significance in the absolute sense; in other words, that space, too, is only a form of our perception.25
La prima teoria fisica in cui è stata trovata una simmetria di gauge è stata,
quindi, la teoria elettrodinamica di Maxwell.26
L’idea di Weyl era di descrivere anche l’elettromagnetismo in maniera
geometrica, immaginando una simmetria aggiuntiva dello spazio-tempo e della fisica:
l’invarianza per trasformazioni di scala (o dilatazioni). Weyl intendeva costruire una
nuova teoria, modificando le leggi in modo che rimanessero invarianti anche per
trasformazioni locali.
Tuttavia, l’importanza di questa
simmetria delle equazioni di Maxwell non fu resa evidente nelle prime formulazioni.
Dopo lo sviluppo della relatività generale, Weyl, per unificarla con l’elettromagnetismo,
ipotizzò che la Eichinvarianz, o invarianza al variare della scala di misura, potesse
essere anche una simmetria locale della teoria della relatività generale. Con
quest’ultima, Einstein aveva proposto una descrizione puramente geometrica della
gravità.
A questo scopo Weyl introdusse la quantità geometrica supplementare, detta
“connessione”, che compensasse in qualche modo l’effetto delle modificazioni di scala
permettendo di ristabilire l’invarianza. La connessione introdotta possiede tutte le
proprietà del potenziale elettromagnetico, la grandezza fisica che descrive l’interazione
fra elettroni. Weyl descrisse dunque la teoria elettromagnetica in maniera totalmente
25 Weyl, Space-time-matter, pp. 1-3. 26 Cfr. D. J. Gross, Gauge Theory – Past, Present, and Future?, in The Chinese Journal of Physics, vol. 30, n. 7, 1992, pp. 955-972.
259
geometrica: l’interazione omonima appare, infatti, come la manifestazione di una nuova
simmetria (geometrica) fondamentale della natura, l’invarianza rispetto alle dilatazioni,
promossa al grado di trasformazione (o invarianza) di gauge.
Gravità ed elettromagnetismo sarebbero stati associati ciascuno ad una
determinata simmetria dello spazio-tempo. Il tentativo di Weyl, dapprima fallito, sfociò,
molti anni più tardi, e dopo un acceso dibattito con Einstein, in un fruttuoso approccio
alla fondazione della meccanica quantistica in Gruppentheorie und Quantenmechanik
(1928).
Successivamente, Weyl ha sviluppato un concetto di simmetria geometrica,
esposto in Symmetry, che ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle
moderne teorie di gauge.27 Il suo intento era quello di mostrare come l’invarianza di una
configurazione di elementi sotto un gruppo di trasformazioni automorfe28
Nello scritto del 1952 Weyl attua una distinzione tra spazio fisico e spazio
geometrico di chiara matrice kantiana. Sebbene nel testo Weyl citi Leibniz, il suo
ragionamento procede su una linea diversa. Weyl assume l’indiscernibilità di una vite
destra da una sinistra, affermando che la struttura interna dello spazio non permette, se
non attraverso una scelta arbitraria di distinguere un verso destro da uno sinistro, per cui
destro e sinistro non sono altro che concetti relativi.
giace a
fondamento di tutti i tipi di simmetria, quella bilaterale, traslatoria, rotazionale e
cristallografica.
29
Però Weyl aggiunge a seguito di
questa considerazione:
Since space is also the medium of all physical occurrences, the structure of the physical world is revealed by the general laws of nature. They are formulated in terms of certain basic quantities which are functions on space and time.30
Da qui discendono le conseguenze più interessanti della teoria della simmetria di
Weyl, quando le leggi della natura risultano invarianti rispetto alle trasformazioni del
gruppo di automorfismo fisico. Questo accade in virtù del fatto che, relativamente a un
sistema di riferimento completo, non solo i punti nello spazio, ma anche tutte le
grandezze fisiche possono essere fissate.31
27 Cfr. H. Weyl, Symmetry, Princeton 1952.
Due sistemi di riferimento, quindi, sono
28 A partire dalla descrizione di Helmoltz della struttura dello spazio, si può vedere che ogni trasformazione che conserva la struttura dello spazio é chiamata automorfismo. Anche la riflessione su un piano è un automorfismo. Cfr. Weyl (1952), p. 18. 29 Weyl (1952), p. 17. 30 Weyl (1952), p. 20. 31 Weyl (1952), p. 129.
260
ugualmente ammissibili, se in entrambi tutte le leggi geometriche e quelle fisiche della
natura possiedono la stessa espressione algebrica.32 Da qui Weyl si spinge oltre i confini
della fisica matematica, affermando che l’oggettività non è altro che l’invarianza
rispetto al gruppo di automorfismo33
e che:
All a priori statements in physics have their origin in symmetry.34
Questa considerazione si basa su un principio, ovvero che se le condizioni che
solamente determinano i loro effetti possiedono certe simmetrie, allora l’effetto
mostrerà le stesse simmetrie.35
Di fronte a questa considerazione di Weyl torna inevitabilmente alla mente l’uso
kantiano del principio Grund-Folge per spiegare, ad esempio, la connessione fisica dei
fenomeni che corrisponde anche sul piano metodologico all’esibizione di rapporti
reciproci attivi tra le forze motrici della materia, secondo una divisione metafisica.
La nascita della sua teoria va fatta risalire alla pretesa di
un medesimo trattamento delle caratteristiche vettoriali (lunghezza e direzione) sulla
base di un principio a priori.
36
Weyl ebbe un’intuizione che non si sviluppò immediatamente in seno alla teoria
della relatività. A seguito dello sviluppo della fisica quantistica, Weyl modificò e adattò
la versione originale della sua teoria, mantenendo inalterata la sua idea che la
matematica dovesse essere lo strumento della ragione che permette allo spazio di essere
pensato come continuo o come discreto, o di essere costruito simmetricamente. Weyl si
interrogò a fondo sul problema della natura dello spazio e del tempo, tanto da affermare
nel 1931 che:
Die Philosophen mögen recht haben, daß unser Anschauungsraum, gleichgültig, was die physikalische Erfahrung sagt, euklidische Struktur trägt.37
L’uniformità e il carattere omogeneo dello spazio euclideo (in particolare la
curvatura nulla) permettono una sua comprensione globale, nella misura in cui la
conoscenza di una parte rende possibile la conoscenza del tutto, in quanto composto di
32 Per la particolare relazione tra relatività e fisica quantistica su questo punto, cfr. Weyl (1952), p. 130. 33 Weyl (1952), p. 132. La conclusione di Weyl è infatti che le configurazioni simmetriche degli elementi sono configurazioni che sono invarianti sotto un certo sottogruppo del gruppo di tutti gli automorfismi. 34 Weyl (1952), p. 125. 35 Weyl (1952), p. 125. 36 Cfr. infra, Capitoli I-II. 37 Weyl, Geometrie und Physik (1931), in Gesammelte Abhandlungen, a cura di K. Chandrasekharan, Heidelberg 1968, p. 339.
261
parti identiche. Si scorgono qui i caratteri fondamentali attribuiti da Kant alla forma
dell’intuizione spaziale. In secondo luogo, Weyl legò inscindibilmente questo aspetto
con il punto di vista dell’Io e ai suoi studi precedenti sul continuo:
Erkennt man neben dem physischen einen Anschauungsraum an und behauptet von ihm,
daß seine Maßstruktur aus Wesensgründen die euklidischen Gesetze erfülle, so steht dies mit der Physik nicht in Widerspruch, sofern sie an der euklidischen Beschaffenheit der unendlich kleinen Umgebung eines Punktes O (in dem sich das Ich momentan befindet) festhält […]. Aber man muß dann zugeben, daß die Beziehung des Anschauungsraumes auf den physischen um so vager wird, je weiter man sich vom Ichzentrum entfernt. Er ist einer Tangentenebene zu vergleichen, die im Punkte O an eine krumme Fläche, den physischen Raum, gelegt ist: in der unmittelbaren Umgebung von O decken sich beide, aber je weiter man sich von O entfernt, um so willkürlicher wird die Fortsetzung dieser Deckbeziehung zu einer eindeutigen Korrespondenz zwischen Ebene und Fläche.38
Sebbene un tipo di studi che stabilisca l’impatto della fenomenologia sull’opera
di Weyl sia lodevole e necessario, l’aspetto degno di nota nella presente ricerca è
l’influsso esercitato da Weyl a livello teorico sui fondamenti della fisica quantistica e
sui suoi sviluppi successivi e il fatto che l’oggettività in fisica venga legata a elementi a
priori della costruzione matematica.
Dopo l’avvento della meccanica quantistica, infatti, Fock e London ritenevano
che l’idea di Weyl,39 sviluppata alla luce di nuovi concetti, potesse spiegare
elegantemente l’effetto di un campo elettromagnetico sulla funzione d’onda di una
particella quantistica elettricamente carica. Per ottenere questo, nella nuova versione, si
modificò la funzione d’onda dell’elettrone. La nuova trasformazione non agisce più
sulle lunghezze dilatandole, bensì sulla funzione d’onda (o sul campo quantistico)
dell’elettrone e ne modifica la fase, semplicemente inserendo una variabile arbitraria (x)
dello spazio nella trasformazione di fase (φ) della lagrangiana.40
La trasformazione di gauge significa quindi un cambiamento di fase.
L’elettrodinamica quantistica si basa proprio sull’invarianza di gauge rispetto al
cambiamento di fase. Questa invarianza va distinta dalla simmetria di gauge che ha
accompagnato la quantizzazione e il processo di rinormalizzazione della QED.
41
38 Weyl, Philosophie der Mathematik und Naturwissenschaft, München 2000, p. 173.
39 Ovvero l’idea di cambiare il fattore di scala con una quantità complessa e sostituire la trasformazione di scala con una trasformazione di fase, cioè una simmetria di gauge U(1). 40 R. Healey, Gauging What’s Real. The conceprual Foundations of Contemporary Gauge Theories, Oxford 2007, pp. 1-6; 223-224. 41 AA. VV., Renormalization: from Lorentz to Landau (and beyond), a cura di L. M. Brown, New York 1993.
262
Questo è dovuto, secondo Gross, in parte alle differenze tra simmetrie di gauge
locali e le simmetrie ordinarie globali della natura.42
La teoria dell’elettrodinamica quantistica possiede una simmetria locale di
gauge, descritta dalla lagrangiana:
Vi sarebbe, infatti, una differenza
di invarianza traslazionale o rotazionale. Le simmetrie globali sono simmetrie delle
leggi della natura che implicano che un osservatore che ruota o trasla il suo apparato
sperimentale possa registrare gli stessi risultati. Anche se la teoria di gauge contiene un
numero infinito di nuove simmetrie dell’interazione e, dunque, un numero infinito di
nuove correnti conservate, tutte le nuove cariche sono uguali a 0.
L’interazione elettromagnetica è interpretata come la manifestazione di questa
simmetria fondamentale che agisce sulla fase della funzione d’onda, così da poter
attribuire anche al cambiamento di fase un’interpretazione geometrica.43
L’importanza delle teorie di gauge nasce dal loro grandissimo successo nel
descrivere, in un solo quadro teorico unificato, le teorie di campo quantistico
dell’elettromagnetismo, dell’interazione nucleare debole e dell’interazione nucleare
forte. Questo quadro teorico, noto come Modello Standard, descrive accuratamente i
Tuttavia,
associate alla simmetria locale, non ci sono nuove simmetrie in natura. La simmetria di
gauge non conduce a nuove cariche, ma determina la forma dell’interazione (come
dichiarò Yang, “gauge symmetry dictates the form of the interaction”). Questo
approccio, di cui non è possibile ora ricostruire la genesi in tutte le sue modalità e
complessità, risulta estremamente interessante, perché mostra per certi versi una
compatibilità con un’epistemologia di stampo kantiano, come se vi fosse un residuo di
eredità kantiana che passa anche attraverso l’opera di Weyl e giunge fino alla fisica
delle moderne teorie di gauge che si sono inevitabilmente confrontate con i contributi di
quest’ultimo.
42 R. Healey, Gauging What’s Real. 43 Ogni gruppo di gauge è anch'esso una varietà (vale a dire uno spazio geometrico) e fa parte dei cosiddetti gruppi di Lie. I gruppi di trasformazioni geometriche agenti su una varietà possiedono proprietà particolari e sono chiamati “gruppi di Lie”. Una loro proprietà è che sono essi stessi delle varietà: ciascuno degli elementi del gruppo, in questo caso abbiamo detto di trasformazioni, può essere interpretato come punto di una varietà. Cfr. S. Lang, Undergraduate Algebra, (III edizione) New York 2005, pp. 231; 256.
263
risultati sperimentali di tre delle quattro forze fondamentali della natura, ed è una teoria
di gauge, con gruppo di gauge SU(3) × SU(2) × U(1).44
La teoria quantistica dei campi sostituisce il concetto di particella con quello di
campo: anziché descrivere il comportamento degli elettroni, ad esempio, si descrive
quello di un campo elettrico. La teoria quantistica dei campi è un ambito molto generale
e si scinde in diversi rami: teoria elettrodebole per l’elettromagnetismo e le interazioni
deboli; cromodinamica quantistica per le interazioni forti. Ognuna di queste è una teoria
di gauge che considera un’interazione fisica (ad esempio quella elettromagnetica) come
l’effetto di una particolare simmetria o invarianza della teoria sotto l’applicazione di
particolari trasformazioni. Si possono interpretare queste trasformazioni geometriche,
che agiscono su uno spazio interno, come tali da determinare lo spazio topologico solo
localmente.
***
Prima di proseguire, è utile vedere con un esempio di cosa si parla, quando si ha
di fronte una determinazione dello spazio topologico, secondo la scelta di una regola in
base all’unità di scala e che procede attraverso lo strumento dell’algebra. La trattazione
che segue è volutamente estremamente elementare, ma è volta a cogliere l’aspetto
matematico “costruttivo” e sintetico che emerge insieme all’operazione di
trasformazione dello spazio.
Si consideri l’insieme dei valori possibili per la fase della funzione d’onda
In questo modo si è costruito uno spazio fibrato semplice, una striscia di Möbius
(Fig. 1), le cui fibre sono rappresentate dalle copie della circonferenza e la cui base è
come uno spazio astratto o spazio interno E (in contrapposizione con lo spazio
ordinario, chiamato esterno). La fase è individuata da un semplice ed unico numero:
l’insieme dei suoi valori possibili costituisce dunque una varietà ad una sola
dimensione, più precisamente una circonferenza – il gruppo di gauge U(1),
infatti, coincide con il gruppo di simmetria associato alla circonferenza, intesa come
varietà. Poiché la trasformazione di fase può essere effettuata in un punto qualsiasi, a
ciascun punto dello spazio-tempo m è associata una copia di tale circonferenza, E(m).
44 Gross (1992), p. 960. In matematica questi vengono detti gruppi unitari speciali. Un gruppo unitario speciale di grado n, SU(n), è il gruppo di matrici unitarie con determinante unitario. L’operazione interna al gruppo corrisponde alla moltiplicazione tra matrici. Il gruppo speciale unitario è un sottogruppo del gruppo unitario U(n), che include tutte le matrici unitarie , che è a sua volta un sottogruppo del gruppo lineare generale GL(n, C). Ad ogni simmetria di gauge è associato un gruppo di gauge, che determina quasi tutte le caratteristiche della teoria, e da cui questa prende il nome: U(1) per l’elettrodinamica quantistica; SU(2) X U(1) per la teoria elettrodebole; SU(3) per la cromodinamica quantistica ed SU(5) per una eventuale teoria unificata (questo gruppo contiene tutti i precedenti).
264
costituita dallo spazio-tempo (si vedano gli Allegati 1 e 2). In generale un fibrato è
costruito su una varietà, che ne rappresenta la base. A ciascun punto della base
corrisponde una copia della fibra, anch’essa una varietà, che in questo caso è una
circonferenza. Ogni punto della base è associato a una fibra, e le fibre sono tutte
identiche tra loro. Le teorie di gauge si basano precisamente su questa struttura
geometrica. La base è in questo caso rappresentata dallo spazio-tempo: in coincidenza
di ogni punto vi sono le fibre, che rappresentano tante copie identiche di uno spazio
interno.
Fig. 1 La striscia di Möbius offre un’esemplificazione del concetto di fibrato. Il vettore normale trasportato parallelamente a se stesso lungo la striscia ritorna al punto di partenza ruotato rispetto alla
direzione che aveva in partenza.
Per ciascun punto (evento) dello spazio-tempo, la fibra è data da una copia dello
spazio interno. Ciò permette un’interpretazione geometrica della trasformazione di
gauge come modifica della fase, la quale può essere vista come uno spostamento in seno
allo spazio interno, vale a dire lungo la fibra. Come si è visto precedentemente, Weyl
riteneva che il potenziale elettromagnetico A rappresentasse una connessione del fibrato.
Il gruppo di gauge acquista senso fisico in elettrodinamica quantistica, rappresentando
l’insieme delle trasformazioni, ovvero cambiamenti di fase che operano sullo spazio
interno, cioè la fibra.
Sia dato un fibrato (Fig. 2) tale che la base sia costituita dallo spazio-tempo; le
fibre rappresentino uno spazio interno E. Una trasformazione di gauge T si può
interpretare in due modi: fisicamente, essa agisce sulla funzione d’onda;
geometricamente, è una trasformazione che agisce sulla varietà E. La simmetria di
gauge è definita come l’invarianza locale rispetto alle trasformazioni T. L’insieme di tali
265
trasformazioni forma il gruppo di gauge G. L’invarianza di G è assicurata
dall’introduzione di una nuova quantità A.
Fig. 2 Ad ogni punto dello spazio di base (la striscia) è assegnato un altro spazio. Una sezione del fibrato può essere considerata localmente come uno spazio vettoriale
parametrizzato come continuo da uno spazio topologico. Considerato globalmente, il fibrato, mostra invece una discontinuità, dovuta alla torsione.
Geometricamente, dunque, A rappresenta una connessione all’interno del fibrato.
Fisicamente, A rappresenta il potenziale di un nuovo campo, che descrive le interazioni
tra le particelle rappresentate dalla funzione d’onda. In entrambi i casi, tale processo di
costruzione permette la modificazione dello spazio-tempo geometrico, così come di
quello fisico.
La molteplicità di punti di vista con cui può essere riguardato lo stesso fenomeno
era il problema kantiano della possibilità della rappresentazione del rapporto tutto-parti
dal punto di vista intuitivo e concettuale, che continua ancora a persistere nella pratica e
nella teoria scientifica.
Nel caso degli spazi fibrati ci si trova di fronte a qualcosa di molto simile a una
varietà, a un molteplice, cioè ad uno spazio topologico dove ogni punto è all’interno di
un intorno che sembra essere euclideo, ma preso nel suo complesso può essere non-
euclideo. Anche uno spazio fibrato è basato sulla stessa idea: una proprietà locale che
non vale necessariamente globalmente, è basata su una proprietà di regioni dello spazio.
Per cui un fibrato sembra quasi un prodotto di due spazi topologici. Lo spazio
può essere diviso in regioni, ciascuna delle quali è uno spazio topologico, ma lo spazio
globale può subire innumerevoli torsioni, così che esso non può essere un vero e proprio
266
spazio prodotto.45
Anche qui, compare di nuovo quel modo di rappresentare il rapporto tutto-parti
dello spazio che ha giocato un ruolo fondamentale per il programma di Weyl e nelle
concezioni trascendentali dello spazio.
Ad esempio, la differenza tra un cilindro e una striscia di Möbius
risiede nel fatto che, sebbene entrambi siano costruiti prendendo un rettangolo e
congiungendo i lati estremi opposti, il cilindro resta uno spazio prodotto, quello di una
linea e di un circolo. La striscia di Möbius, invece, non è uno spazio topologico
prodotto, in quanto prevede almeno una torsione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi
la striscia si comporta come uno spazio topologico prodotto; in particolare in ogni
piccola regione locale, non si può distinguere dal cilindro. In ogni punto particolare
della striscia o in ogni segmento si trova un omeomorfismo a un segmento simile del
cilindro, così che ogni intorno sembra uno spazio cilindrico prodotto. Il fatto, però, che
la striscia si pieghi, impedisce una funzione di proiezione della fibra. Questo esempio
dimostra come lo stesso oggetto geometrico possa essere valutato come spazio prodotto
da funzioni algebriche e allo stesso tempo tale prodotto possa essere valutato in modi
completamente diversi, a seconda del sistema di riferimento (globale o locale) che viene
preso in considerazione.
***
La lettura che fornisce Ryckmann in Hermann Weyl and “Fist Philosophy”:
Constituiting Gauge Invariance,46
45 Cfr. S. Iyanaga, Y. Kawada, Product Spaces, §408L, in Encyclopedic Dictionary of Mathematics, Cambridge, 1980, pp. 1281-1282: “A Cartesian product equipped with a product topology is called a product space (or product topological space, or direct product)”.
mostra come la teoria della relatività non sia affatto
l’esperimento cruciale in grado di negare l’idealismo trascendentale di spazio e tempo,
rifacendosi al tentativo di Weyl di costruire una geometria puramente infinitesimale i
cui gradi di libertà permettono un’incorporazione dell’elettromagnetismo nella metrica
spazio-temporale. L’alternativa proposta al naturalismo viene rintracciata da Ryckmann
in quello straordinario laboratorio di idee che fu il decennio dal 1915 al 1925, in cui
Cassirer, Husserl, Weyl, Hilbert e Schlick si pronunciarono in un acceso dibattito sulla
natura della teoria della relatività, sul concetto di spazio-tempo e sullo statuto della
matematica. L’attenzione di Ryckmann si focalizza sullo scritto del 1918 Raum-Zeit-
Materie in cui Weyl svilupperebbe le considerazioni di Husserl sulla teoria della
relatività.
46 Ryckmann (2009). Scholz attribuisce, invece, grande importanza a Fichte per lo sviluppo della teoria di Weyl. Cfr. E. Scholz, Weyl’s Infinitesimalgeometrie, 1917-1925, in Hermann Weyl’s Raum-Zeit-Materie and a general introduction to his scientific work, Basilea 2001.
267
L’obiettivo di Weyl, ricorda Ryckmann, era quello di incastonare la relatività
entro il quadro di una geometria puramente infinitesimale, ovvero una geometria i cui
oggetti sono costruiti sulla base di operazioni primitive direttamente ed immediatamente
evidenti in un’intuizione. In questo modo, Weyl avrebbe voluto mostrare come il
mondo fisico della relatività generale, il framework per i campi tensoriali della
gravitazione e dell’elettromagnetismo, potessero essere costruiti a partire da una base
data alla coscienza. Questi formalismi avrebbero potuto così acquisire un significato
oggettivo in quanto riferiti a oggetti fisici da parte della coscienza. Ora, sebbene il
riferimento ad Husserl sia evidente, Weyl, che aveva una buona conoscenza dei testi
kantiani, compie un’operazione in linea con l’idealismo trascendentale:
A necessary presupposition of any differential structure, a coordinate system always bears an indelible mark of transcendental subjectivity […] The next steps concern the immediately evident purely infinitesimal relations of comparison of direction and magnitude that depend on a specific choice of coordinates and unit of scale. The construction of pure infinitesimal geometry is laid out as taking place in three distinct stages of connection: topological manifold or “continuous connection” (stetiger Zusammenhang), affine connection, and metric (or, length) connection. The construction itself, […] is in all essential parts the final result of the renewed investigation of the mathematical foundations of Riemannian geometry opened up by Levi-Civita’s discovery of the concept of infinitesimal parallel displacement. […] However, to Weyl’s dismay, it soon became apparent that, despite the restrictive condition of gauge invariant, a number of such functions could be constructed, choice among them being essentially arbitrary.47
L’ispirazione da cui trasse spunto Weyl non è solo quella dell’idealismo
trascendentale o della fenomenologia di Husserl, ma anche dal pensiero di Fichte e
Leibniz e dalla geometria dello spazio non-euclideo di Riemann.48
Si noterà come alla base di questo approccio alla fisica matematica vi siano
almeno due elementi di matrice kantiana, oltre che alla considerazione formale dello
spazio.
Tuttavia, sulla base
dell’analisi svolta nel Capitolo II, si nota come l’approccio di Weyl rispecchi quello
kantiano nella misura in cui fa della scelta della regola della connessione, la base della
costruzione dello spazio geometrico e fisico e della soggettività trascendentale la base
per il formalismo tensoriale della relatività generale. Per compiere questo progetto,
riconosce una natura formale e intuitiva allo spazio, e assegna alla soggettività il ruolo
di rappresentarlo oggettivamente come intuizione formale.
47 Ryckmann (2009), p. 287. 48 Cfr. Ryckmann (2009), p. 295.
268
Il primo aspetto è quello che riguarda la natura della nozione di trasformazioni.
Queste si basano innegabilmente su un processo di costruzione, di composizione e
decomposizione delle interazioni, che Kant ha voluto indagare nel suo fondamento di
natura trascendentale, credendo che tale processo avvenga soprattutto attraverso una
scelta arbitraria della regola della composizione in base all’unità della grandezza. Allo
stato attuale della ricerca non è possibile stabilire se Weyl fosse a tal punto un
conoscitore di Kant da sapere approfonditamente e nel dettaglio la dottrina kantiana
della costruzione matematica. Sicuramente, in riferimento agli studi di Husserl, la
sostanza del suo contributo filosofico fondamentale alla fisica è segnato da un approccio
trascendentale alla matematica e alla natura dello spazio e del tempo.
Il secondo aspetto riguarda il presupposto che l’oggetto della trasformazione sul
piano fisico-matematico sia per Weyl la struttura, il sistema dell’interazione, tanto da
chiamare Verknüpfung, “connessione” o nexus, il suo strumento chiave per la
produzione della sua teoria geometrica, che avrebbe dovuto istituire, grazie alla
matematica, un ponte tra elettromagnetismo e relatività.
Se si tiene presente lo sviluppo di questo lavoro, si ricorderà quanto sia stato
posto l’accento nei capitoli precedenti sull’assunto kantiano che la metafisica, rifondata
grazie al criticismo, abbia come oggetto presupposto da determinare ulteriormente ed
arricchire di determinazioni, proprio il sistema dei rapporti reciproci, la comunanza tra
le parti di un sistema che mostra come il mondo esterno sia attivo e legato al soggetto
secondo nessi causali che lo coinvolgono. Weyl ha trasposto sul piano della fisica
matematica49
Nel Capitolo V, si è voluto chiarire il ruolo della concezione kantiana dello
spazio-tempo in riferimento al sistema della materia cosmica. Ora è opportuno
confrontarla con i caratteri del sincretismo epistemologico di Einstein, che mostra una
sintesi di diversi elementi che traggono origine dal confronto col neo-Kantismo, dal
convenzionalismo e dall’empirismo logico.
alcuni dei presupposti fondamentali della filosofia kantiana, mostrando
così le potenzialità dell’approccio trascendentale per la comprensione della fondazione
della fisica contemporanea.
La posizione di Einstein è una forma di realismo che trae la sua fonte primaria
dai problemi di fisica. La sua visione epistemologica matura appare in On the Method of
Theoretical Physics (1933), in Physics and Reality (1936) e in Autobiographical Notes
49 Weyl, Space-Time-Matter, pp. 6-7.
269
(1946). Queste note autobiografiche rivestono particolare importanza per la sua visione
generale, come si può apprezzare dal passo che segue:
A proposition is correct if, within a logical system, it is deduced according to the accepted logical rules. A system has truth-content according to the certainty and completeness of its co-ordination-possibility to the totality of experience. A correct proposition borrows its “truth” from the truth-content of the system to which it belongs.50
Come nota storica Einstein aggiunge:
Hume saw clearly that certain concepts, as for example that of causality, cannot be deduced from the material of experience by logical methods. Kant, thoroughly convinced of the indispensability of certain concepts, took them—just as they are selected—to be the necessary premises of every kind of thinking and differentiated them from concepts of empirical origin. I am convinced, however, that this differentiation is erroneous, i.e., that it does not do justice to the problem in a natural way. All concepts, even those which are closest to experience, are from the point of view of logic freely chosen conventions, just as in the case with the concept of causality, with which this problematic concerned itself in the first instance.51
Per Einstein, dunque, una distinzione tra concetti empirici e a priori sarebbe
erronea, in quanto i concetti da un punto di vista logico sono il prodotto di una
convenzione liberamente scelta. Questo aspetto convenzionalista applicato non solo in
ambito logico, ma anche epistemologico ha evidenti ripercussioni sulla concezione della
causalità. Il suo modo di interpretare il ragionamento scientifico è presentato
chiaramente in una lettera (scritta il 7 maggio 1952) al suo amico Maurice Solovine.
Einstein, con il seguente schema, sostiene:
(1) E sono le esperienze che ci sono date.
(2) A sono gli assiomi, da cui deriviamo le conseguenze. Dal punto di vista
psicologico A si basa su E. non esiste, però, uno schema logico che connetta E ed A, ma
solamente una connessione intuitiva (psicologica) sempre soggetta a revoche.
50 Einstein, Autobiographical Notes, a cura di P. A. Schlipp, Chicago 1979, p. 13. 51 Einstein, Autobiographical Notes, p. 13.
270
(3) Da A, attraverso una via logica, sono dedotti asserti particolari S, che posso
essere riconosciuti come corretti.
(4) Gli S sono riferiti a E (controprove dell’esperienza). Questa procedura, a
essere esatti, appartiene anche alla sfera intuitiva o extra-logica, in quanto le relazioni
tra i concetti che compaiono in S e le esperienze E non sono di natura logica. Queste
relazioni di S a E , tuttavia, sono pragmaticamente molto meno certe che le relazioni di
A con E. Se tale corrispondenza non fosse ottenibile con grande certezza (se non
logicamente afferrabile), la macchina logica non avrebbe alcun valore per la
comprensione della realtà.
La quintessenza del discorso einsteiniano risiede, dunque, nella connessione
problematica tra il mondo delle idee e quello dell’esperienza:
Il pensiero logico da solo non ci può fornire conoscenze sul mondo dell’esperienza e
termina in essa. Le proposizioni logiche sono vuote di fronte alla realtà. […] ma allora, se l’esperienza è l’alfa e l’omega di tutto il nostro sapere intorno alla realtà qual è il posto che la ragione occupa nella scienza?52
La vicinanza di Einstein, che di certo non conosceva l’Opus postumum, al
pensiero di Kant corre proprio sul filo dell’idea sistematica di mondo e delle interazioni
che in esso si producono. Questo potrebbe essere il risultato dell’influenza di August
Stadler, autore di Kants Theorie der Materie, pubblicato a Lipsia nel 1883, che fece
conoscere a fondo ad Einstein la teoria kantiana del movimento.53
Per Einstein, un sistema completo di fisica teorica si compone di idee, di leggi
fondamentali applicabili a queste idee e di proposizioni conseguenti che ne derivano per
deduzione logica. Queste proposizioni devono corrispondere alle esperienze individuali.
Ma quello che può dare la struttura a un sistema, attraverso un principio, è la ragione.
Ed è proprio nel giudizio sullo statuto dei principi adottati dalla fisica teorica che per
Einstein entra in gioco la filosofia, come è riportato nelle Spencer Lecture del 1933:
If you wish to learn from the theoretical physicist anything about the methods which he
uses, I would give you the following piece of advice: Don't listen to his words, examine his achievements. For to the discoverer in that field, the constructions of his imagination appear so necessary and so natural that he is apt to treat them not as the creations of his thoughts but as given realities.54
52 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 41.
53 Secondo R. Palese e M. Palese Einstein avrebbe seguito le lezioni di Stadler al Politecnico di Zurigo negli anni 1896-1897. cfr. R. Palese, M. Palese, “I Metaphysische Anfangsgruende der Naturwissenschaft di I. Kant; anticipazioni sulla possibilità di una Teoria di Relatività Generale”, in Atti del XIX Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, Como 28-29 maggio 1999. Disponibile on line su http://www.brera.unimi.it/SISFA/atti/1999/Palese.pdf. 54 A. Einstein, The Herbert Spencer Lecture, delivered at Oxford, June 10, 1933, Oxford 1974, pp. 5-6.
271
Il cuore del ragionamento di Einstein consiste nel mostrare che la costruzione di
una teoria fisica prevede necessariamente il considerare come reali i concetti fisici e le
leggi che li connettono.55
Dal passo seguente però sembra che il lontano dibattito con Weyl abbia in un
certo senso influenzato Einstein nella sua considerazione delle teorie scientifiche. Weyl
scrisse ad Einstein il 10 Dicembre 1918:
Il fisico teorico deve abbracciare un realismo scientifico.
Übrigens müssen Sie nicht glauben, daß ich von der Physik her dazu gekommen bin,
neben der quadratische noch die lineare Differentialform in die Geometrie einzuführen; sondern ich wollte wirklich diese “Inkonsequenz,” die mir schon immer ein Dorn im Auge gewesen war, endlich einmal beseitigen und bemerkte dann zu meinem eigenen Erstaunen: das sieht so aus, als erklärt es die Elektrizität.56
L’idea di Weyl per l’unificazione elettrogravitazionale emerse dalla matematica,
piuttosto che dalla dimensione empirica della scienza. Sebbene Einstein difendesse
l’utilizzo di rods and clocks per mostrare la base empirica della sua teoria,57
e si
opponesse a qualsiasi fondamento trascendentale a priori della conoscenza umana, si
pose la domanda sul posto che la ragione potrebbe occupare nella scienza, nonostante
l’esperienza ne costituisca “l’alfa e l’omega”. Secondo Einstein il posto della ragione
nella scienza coincide con il fatto che:
Il contenuto delle esperienze e le loro relazioni reciproche devono, grazie alle proposizioni conseguenti della teoria, trovare la loro rappresentazione: in ciò consiste la giustificazione di tutto il sistema e dei concetti e dei principi che ne sono alla base. Questi concetti e principi sono creazioni libere dello spirito umano, che non si possono giustificare a priori né con la natura dello spirito umano né in un altro modo qualsiasi.58
I principi fisici hanno una natura fittizia e la fisica teorica si basa su un
fondamento empirico, ma procede per assiomatizzazione. La guida sicura di questo
55 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 45. 56 Lettera di Weyl a Einstein, in The collected papers of Albert Einstein, vol. VIII, a cura di R. Schulmann, A. Kox, M. Janssen e J. Illy, Princeton 1998. 57 Lettera di Weyl a Einstein, in The collected papers of Albert Einstein, vol. VIII, a cura di R. Schulmann, A. Kox, M. Janssen e J. Illy, Princeton 1998: “Werden sie voneinander getrennt, in beliebiger Weise bewegt und dann wieder zusammen gebracht, so werden sie wieder gleich (rasch) gehen, d. h. ihr relativer Ganghängt nicht von der Vorgeschichte ab. Denke ich mir zwei Punkte P1 & P2, die durch eine zeitartige Linie verbunden werden können. Die an P1 & P2 anliegenden zeitartigen Elemente ds1 und ds2 können dann durch mehrere zeitartigen Linien verbunden werden, auf denen sie liegen. Auf diesen laufende Uhren werden ein Verhältnis ds1 : ds2 liefern, welches von der Wahl der verbindenden Kurven unabhängig ist.—Lässt man den Zusammenhang des ds mit Massstab- und Uhr-Messungen fallen, so verliert die Rel. Theorie überhaupt ihre empirische Basis”. 58 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 42.
272
procedimento risiede nella matematica,59
che deve aspirare a connettere concetti e
principi della fisica teorica in un sistema. Si ravvisa in questa posizione di Einstein la
ragione del monito di Weyl:
Gegen das Argument, daß in eine versuchte experimentelle Prüfung der Geometrie immer auch eigentlich physikalische Aussagen über das Verhalten von starren Körper und Lichtstrahlen hineinspielen, ist zu sagen, daß die physikalischen Gesetze so wenig wie die geometrischen, jedes für sich, eine Prüfung in der Erfahrung zulassen, sondern die “Wahrheit” einer konstruktiven Theorie nur im Ganzen geprüft werden kann.60
La forma sistematica, corrispondente ad una posizione di olismo in Einstein,
assurge a strumento indispensabile per la costituzione della scienza.
Ora, come è stato sottolineato nel corso della ricerca, proprio le forze derivative
della materia e i loro principi, che Kant indica come indispensabili per un passaggio
dalla metafisica della natura alla fisica, sembrano corrispondere proprio a “finzioni” con
cui la ragione progetta le sue forme, cioè la forma sistematica, fondata sull’esibizione
dei rapporti reciproci attivi tra membri del sistema, che sono sempre concetti cui
corrisponde indirettamente un oggetto (una connessione) nella realtà. Questo aspetto
vale all’interno del contesto del Passaggio dai principi metafisici della scienza della
natura alla fisica, laddove Kant si pone esattamente questa domanda: come costituisce
la fisica teorica un sistema che connette l’esperienza con principi logici? In sostanza la
stessa domanda einsteiniana sul posto che la ragione occupa nella scienza.61
La critica
che Einstein muove a Kant è la seguente:
Prima di affrontare il problema dello spazio, facciamo una dichiarazione preliminare sulle idee in generale: le idee si riferiscono alle esperienze dei sensi, ma non possono mai derivarne logicamente. Per questa ragione non ho mai potuto comprendere la questione dell’a priori nel senso di Kant. Nelle questioni di realtà, non può mai trattarsi che di una cosa, cioè di ricercare i caratteri del complesso di esperienze dei sensi ai quali si riferiscono le idee. Per quanto concerne l’idea di spazio, quella dell’oggetto corporeo sembrerebbe doverla precedere. […] Si è giunti, con l’aiuto di esperienze così precise, all’idea di oggetto corporeo (la quale idea non suppone affatto la relazione di spazio e di tempo); la necessità di creare col pensiero le relazioni reciproche fra oggetti corporei di questa natura deve inevitabilmente dare origine alle idee corrispondenti alle loro relazioni di spazio.62
In questo passo emerge chiaramente che Einstein conoscesse davvero
parzialmente il pensiero di Kant e come quest’ultimo con evidenza mostri, sul piano
della fondazione della fisica, aspetti di straordinaria attualità dal punto di vista teorico
59 Einstein, Come io vedo il mondo, p. 45. 60 Weyl (2000), p. 171. 61 Cfr. D. Howard, J. Stachel, Einstein: the formative years, 1879-1909, New York 2000. 62 Einstein, Come io vedo il mondo, pp. 81-82. Corsivo mio.
273
ed epistemologico. Infatti, come si è mostrato nel corso della presente ricerca,
l’idealismo trascendentale di spazio e di tempo, in ultima istanza, conduce Kant alla
prova della materia cosmica nell’Opus postumum, per garantire una possibile
applicazione dei principi metafisici della scienza della natura alla fisica.
Quello che potrebbe sorprendere nel passo seguente è proprio il fatto che lo
spazio come oggetto dell’esperienza possibile è determinabile come tale in virtù della
materia, delle sue forze motrici, e del principio logico di identità:
Der wahrnehmbar//leere Zwischenraum ist also eigentlich eine relativ auf unseren Sinn
dem Grade nach imperzeptible Materie und ist ein Gegenstand möglicher aber mittelbarer Erfahrung z. B. der Lichtsmaterie die den Raum zwischen dem Auge und dem Gegenstande einnimmt und nur durch ihre Erregung ein Gegenstand der Erfahrung werden kann. Das wodurch der Raum überhaupt ein Gegenstand möglicher Erfahrung (des Messens, der Richtung etc.) wird, ist ein allgemein verbreiteter alldurchdringender mit bewegenden Kräften versehener Weltstoff dessen Wirklichkeit bloß auf dem Prinzip der Möglichkeit äußerer Erfahrung beruht und so a priori nach dem Satz der Identität erkannt und bewährt ist; weil ohne diesen Stoff vorauszusetzen ich auch gar keine äußere Erfahrung haben könnte: der leere Raum aber kein Gegenstand möglicher Erfahrung ist. Dieser Stoff also den man Wärmestoff zu nennen im Gebrauche hat, unerachtet dieses nur eine besondere Wirkung seiner bewegenden Kräfte sein mag, ist kein hypothetischer Stoff, gedichtet zur Erklärung gewisser Erscheinungen sondern wird als Prinzip der Möglichkeit der Erfahrung jener Kräfte postuliert und der Begriff von demselben ist die Basis der Verknüpfung a priori aller bewegenden Kräfte der Materie ohne welche keine Einheit in dem Verhältnisse des Mannigfaltigen derselben in einem Ganzen der Materie gedacht werden könnte.63
Il concetto di una materia cosmica, come postulato, è assunto in virtù della
considerazione che nella realtà esiste una varietà di fenomeni interconnessi. Questo
postulato sembra essere il risultato di una strategia, di una logica intrinsecamente
presente al modo di procedere del carattere costruttivo della scienza della natura. Poiché
i principi, le regole e i rapporti della connessione dei fenomeni non sono direttamente,
ma solo indirettamente di natura fisica, possiamo stabilire matematicamente i nessi di
tali fenomeni. Poiché l’interesse della ragione non si concentra su questo o quel
particolare fenomeno, ma alla loro unità, occorre un sistema che li unifichi in base a
principi a priori e deve poter essere rinvenuto un corrispettivo di questa unità
sistematica, un fondamento che venga postulato, in quanto non ci è dato direttamente
nell’esperienza. L’aspirazione di Einstein non era molto diversa da quella kantiana, e
proprio per questo la base empirica della teoria della relatività non sembra comunque in
grado da sola di fornire l’unità dei principi della teoria scientifica con la realtà.
Ma i pregiudizi circa la concezione kantiana della costituzione di un sistema
fisico e del rapporto tra empirico e a priori sono evidenti dal fatto che per Einstein i
63 Opus postumum, KGS XXI, p. 229.
274
filosofi critici hanno fallito nello stabilire elementi a priori della conoscenza. Tuttavia, a
questo si può obiettare che si potrà sempre stabilire un sistema a priori di elementi che
non contraddicano alcun sistema fisico dato, e che arrivano addirittura ad anticipare il
contenuto delle connessioni riscontrabili in natura, secondo la loro forma, come avviene
nel caso della simmetria dello spazio-tempo in fisica matematica.
Secondo il convenzionalismo di Einstein, mentre si può sempre scegliere di
designare elementi selezionati a priori e dunque non empirici, nessun principio
determina quali elementi possano essere così designati e la nostra abilità di designarli
deriva dal fatto che è solo la totalità degli elementi che possiede in sé un contenuto
empirico atto a ciò. E’ questo un altro aspetto del sincretismo einsteiniano, un aspetto di
realismo epistemico e scientifico, secondo cui non è solo la forma sistematica
dell’organizzazione dell’esperienza secondo un’arbitrarietà che determina il criterio di
scelta di certi principi piuttosto che di altri, ma è anche il contenuto del sistema stesso,
che orienta la scelta dei suoi principi costitutivi. Quello che Kant ha chiamato “bisogno”
o interesse della ragione, viene tradotto da Einstein in termini di arbitrarietà della scelta,
i cui elementi selezionati non possono resistere al fatto che le teorie e i sistemi in cui
sono ascritti, decadono o vengono rimpiazzati da altri.
Tuttavia, secondo una prospettiva kantiana, il rapporto fra empirico e a priori
non è statico ma dinamico ed è inserito in un sistema. Sebbene Kant abbia asserito la
completezza della logica e in base ad essa abbia perseguito una deduzione delle
categorie, la sua produzione mostra che queste ultime non sono certo contenuto, ma
pure forme delle funzioni del giudicare che entrano in gioco tutte insieme nella
conoscenza, in tutti i giudizi sintetici a priori rivolti all’esperienza. Ovvero Kant ritiene
che a priori non possano esistere principi, ad esempio della fisica, che non esprimano
tutte le funzioni logiche nei giudizi, in quanto queste sono anche funzioni del pensiero,
ma senza l’attività di una sintesi che opera con il materiale della percezione, nonché
senza l’appello a principi matematici, e alla loro subordinazione ad una legge universale
di spiegazione del nesso tra i fenomeni, non si avrebbe alcun principio della fisica.
Di questo avviso è anche Weyl, quando afferma: Der den Spekulationen mißtrauende Physiker wird wahrscheinlich finden, daß die ganze
Frage einer erweiterten Relativitätstheorie, welche in organischer Weise die elektromagnetischen Erscheinungen mit umfaßt, im Augenblick noch nicht spruchreif ist […]. Man darf aber nicht vergessen, daß in aller Wirklichkeitserkenntnis neben dem Sammeln typischer Erfahrungstatsachen das apriorische Element, die Bildung von angemessenen
275
Anschauungen und Begriffen, mit Hilfe deren die Tatsachen zu deuten sind, eine nicht zu vernachlässigende Rolle spielt.64
In sostanza l’abilità di cui parla Einstein nel designare i criteri per la scelta dei
principi di un sistema non è altro che la funzione architettonica della ragione di cui parla
Kant. La differenza consiste nel fatto che Einstein assume una posizione realista circa la
costituzione e il contenuto del sistema, mentre Kant punta su una giustificazione di esso
su una base logica, attraverso un argomento trascendentale e l’attività della costruzione
di intuizioni e concetti, messa in luce anche da Weyl.
Dal punto di vista epistemologico, l’idealismo trascendentale porta con sé una
complessità non facilmente assimilabile alle posizioni contemporanee, neanche a quella
di realismo interno attribuitagli da Putnam. Ad esempio, la problematicità dei principi
della ragione pura per il suo uso empirico, che sono logici e tuttavia hanno uno statuto
trascendentale, si spiega soltanto in un modo, cioè con la determinazione del dominio
della ragione nel suo uso empirico e dunque con una determinazione dello statuto dei
principi con una previa determinazione del fine, del dominio in cui essi sono legislatori.
Solo così può essere ammessa un’oggettività di un sistema della ragione, in
quanto i suoi principi permettono un passaggio e un’applicazione a leggi appartenenti al
dominio stabilito in base alle nostre stesse facoltà conoscitive,65
di cui è possibile
conoscere la funzione e le operazioni che svolgono.
B) Oggettività come sistema di connessioni
Proprio a partire dalla concezione del sistema, vale la pena mettere a fuoco un
altro aspetto dell’epistemologia kantiana, la nozione di oggettività. Per farlo è
opportuno confrontarsi con uno dei testi contemporanei che nel 2007 ha riaperto un
dibattito sull’oggettività e l’oggetto epistemico, Objectivity. Daston e Galison
incentrano gran parte della loro tesi su una particolare lettura della ricezione del
kantismo. Secondo Daston e Galison “Immanuel Kant’s philosophical reformulation of
the scholastic categories of the objective and the subjective reverberated with seismic
intensity in every domain of nineteenth-century intellectual life, from science to
64 H. Weyl, Über die physikalischen Grundlagen der erweiterten Relativitätstheorie, in Physikalische Zeitschrift 22, 1921, pp. 473-80. 65 M. Morrison, Approximating the Real: The Role of Idealizations in Physical Theory, in Idealization XII: correcting the model: idealization and abstraction in the sciences, in Poznań studies in the philosophy of the sciences and the humanities, vol. 86, a cura di N. Cartwright e M. R. Jones, Amsterdam 2005, pp. 145-172.
276
literature”.66 A partire da questa premessa gli autori indagano i modi in cui Kant fu
recepito e adattato dagli scienziati per i loro scopi.67
L’aspetto degno di nota è quello che concerne l’uso del termine objective e il suo
significato. Preso in prestito dalla Scolastica, questo termine è usato da Cartesio come
“a concept, a representation of the mind”, mentre agli inizi dell’800 si vede comparire
accanto al termine la definizione di “a reality in itself, independently of knowledge”.
68
Daston e Galison riconoscono poi che a questo shift si accompagnò, nel corso del XIX
secolo, il binomio oggettivo/soggettivo e quello di oggettività/soggettività. Ora, quello
che si intende discutere in questa sede è la seguente affermazione:
Kant generally reserved the adjective “objective” (the substantive form appears only rarely in his critical writings) for universal and a priori conditions, and identified the “subjective” with the psychological or “empirical”, in the sense of the empirical sensations of Enlightenment epistemology.69
Nel descrivere la reale alternativa proposta da Kant nei confronti dell’empirismo
e dello scetticismo di Hume, Daston e Galison ritengono che l’operazione kantiana di
unificazione del sé, come la condizione necessaria per la possibilità di tutta la
conoscenza oggettiva, era non solo una visione alternativa della mente, ma anche una
visione alternativa della conoscenza. In generale per Kant l’esperienza cessa di essere
un che di puramente sensibile, bensì presuppone certe condizioni trascendentali:
Consciousness itself partook of both objective and subjective validity: the transcendental unity of apperception that fused manifold sensations into the concept of an object was “objectively valid”, but the empirical unity of apperception […] “has only subjective validity”.70
Questa lettura di Daston e Galison si scontra con il fatto che c’è una forma di
oggettività per Kant capace di includere il soggettivo dell’unità empirica
dell’appercezione: il soggetto diventa oggetto epistemico come processo sintetico ed è
in grado di diventare oggetto a se stesso. Questo modo di proporre l’oggettività,
determinata dall’uso empirico dei principi a priori dell’intelletto e legata all’idea che
ciò che viene immesso nell’esperienza dal soggetto può essere codificato e compreso
66 L. Daston, P. Galison, Objectivity, New York 2007, p. 205. Da ora in poi Objectivity. 67 Objectivity, p. 206. 68 Objectivity, p. 206. 69 Objectivity, p. 209. 70 Objectivity, p. 209.
277
dalla ragione, non è assimilabile con nessuno degli schemi proposti dallo studio di
Daston e Galison.
Gli autori individuano, infatti, tre principi guida per definire diversi tipi di
oggettività: “truth to nature,” un modo idealizzato di osservazione (si pensi ai primi
disegni in botanica); “mechanical objectivity,” che rivela oggetti senza la
contaminazione con la soggettività (si pensi alle fotografie o alle micrografie) ; “trained
judgment,” in cui l’interpretazione soggettiva gradualmente ritorna alla
rappresentazione scientifica (si pensi alle immagini del campo magnetico terrestre).
Ci sono tre punti fondamentali che vale la pena toccare di questo libro, sebbene
ve ne siano molti altri di rilievo. In primo luogo emerge che quello di oggettività non è
un concetto univoco ed è trattato dagli autori in modo diverso da L. Lloyd,71 H.
Douglas,72 and M. Janack73
Questo conduce alla seconda idea chiave, ovvero che l’oggettività possa
funzionare come un raccoglitore di virtù epistemiche, piuttosto che come virtù
preminente.
che hanno invece identificato diversi sensi di oggettività,
ma non hanno fatto ciò che costituisce il nucleo della tesi di Daston e Galison:
esaminare concetti di oggettività che emergono in momenti diversi della storia della
scienza, attraverso l’uso delle immagini nella scienza (le tavole e gli atlanti sono usati in
vari modi per informare chi deve comprendere i fenomeni). La loro tesi sostiene che
queste immagini portano con sé differenti virtù epistemiche, che “fanno scienza”.
Il terzo punto deriva dall’approccio storico che i due adottano, ovvero il concetto
stesso di oggettività può cambiare. Il riconfigurarsi di esso conduce ad una ridefinizione
di oggetto epistemico, che, dunque, secondo questo approccio potrebbe essere
determinato come processo dinamico e posto in rapporto con la ricerca psicologica. Su
questa linea di ricerca si colloca ad esempio la tesi sostenuta da U. Feest74
71 L. Lloyd, Science and anti-science: Objectivity and its real enemies, in Feminism, science and the philosophy of science, a cura di L. e J. Nelson, Boston 1996, pp. 217-259.
presentata
72 H. Douglas, The Irreducible Complexity of Objectivity, in Synthese, vol. 138, 3, 2004, pp. 453-473. 73 M. Janack Dilemmas of Objectivity, in Social Epistemology, vol. 16, 2002, pp. 267-281. 74Cfr. http://www.mpiwg-berlin.mpg.de/workshops/en/HistoricalEpistemology/Session4.html: “In chapter X of his Structure of Scientific Revolutions, Thomas Kuhn suggests that after a paradigm shift, “familiar objects are seen in a different light and are joined by unfamiliar ones as well” (p. 111). This statement is commonly taken to mean that paradigms provide the conceptual structures that allow us to parse up the world in particular ways. While this idea has been especially hotly debated in relation to paradigm shifts, i.e., grand restructurings, the focus of this paper is rather on a more fine-grained question, namely, how taxonomic changes can take place within the context of what we may – for lack of a better phrase – refer to as “normal science”. I will argue that within the context of such normal research the line between the familiar and the unfamiliar is much more fragile and dynamic than the above quote might suggest: phenomena become objects of research precisely because there is an unsettling sense of unfamiliarity associated with them, even when they seem very familiar. At the same time they can become objects of
278
alla conferenza internazionale What (Good) is Historical Epistemology?, svoltasi a
Berlino nel 2008.
Tuttavia possono essere proposte ancora osservazioni sulle virtù epistemiche, in
quanto queste possiedono un loro statuto in base ad un fine particolare e i due autori
sostengono che, se le virtù epistemiche possono cambiare, non possono farlo che in due
modi. Le virtù possono cambiare in quanto l’idea di come ottenere un fine cambia,
oppure esse possono cambiare perché muta il fine stesso.
Ora, è opportuno chiedersi come si applichi questo discorso al caso
dell’oggettività e quali fini siano cambiati oppure quali i metodi di lavoro falliti. Daston
e Galison individuano i fini per cui l’oggettività è una virtù epistemica e questi fini sono
determinati dalla paura o dal timore che si abbiano vari modi in cui si possa fallire per
ottenere la conoscenza.
Secondo il loro punto di vista, differenti tipi di oggettività sono animati ognuno
da una paura e le paure cambiano in diversi periodi storici e a seconda delle condizioni
socio-economiche. Questa è l’origine di quell’ideale di oggettività che loro descrivono
come “truth to nature”. In questo caso il fine consiste nel catturare la vera natura delle
cose che devono essere rappresentate. La paura che genera questo approccio è quella
che le variazioni, che esempi individuali di quelle cose possono esibire, ci fermino dal
coglierne la vera natura. E’ così che poi sorge un nuovo ideale di oggettività, quello che
Daston e Galison chiamano “mechanical objectivity”.
Questa idea (l’unica a cui essi si riferiscono come “objectivity”) implica l’evitare
l’interpretazione e la riproduzione meccanica della natura (si pensi alla fotografia). La
paura qui è quella che il soggetto sia sempre inserito nella comprensione della natura e
che sia necessario piuttosto registrare cosa effettivamente stia accadendo, senza
research only insofar as some things about them are taken for granted. To study the process whereby a phenomenon is investigated empirically, therefore, is to study the productive interplay between scientists’ conceptions of what they know and what they don’t know. In this paper I will present an analysis of this dynamic relationship in psychological research. I will do so by means of a particular example: shifts in the way that short-term memory is taxonomized. I will argue that the experimental study of memory is guided by specific conceptual presuppositions about the object in question, namely that to have memory is to have the disposition to display behavioral indicators of past experience. This presupposition, in turn, is closely tied to a particular paradigm of investigating the object empirically: by experimentally manipulating research subjects in ways thought to actualize this disposition. In conjunction with other constraints, however, this method has led researchers to the surprising result that some memory phenomena are not really memory phenomena at all. I will relate my story to the topic of historical epistemology in two ways. First, I will suggest that my account can provide an analysis of Rheinberger’s idea that the “blurriness” of an object is an essential aspect of its knowledge-generating capacity. According to this analysis, we need to distinguish between the notion that an epistemic object is only partially understood and the notion that in order to do any research at all, scientists need to operate with a preliminary concept of the object. Second, I will argue that since preliminary conceptions of epistemic objects are closely tied to norms of experimental research, this opens up a way of reconciling the descriptive aims of a historical account with the normative ones of an epistemological account”.
279
l’inserimento di un punto di vista interno ai fenomeni: l’interpretazione è vista come
una distorsione. Rispetto a questa visione di oggettività, per Daston e Galison non è
chiaro se il fine sia cambiato o se il cambiamento abbia a che fare con il mutamento di
strategie impiegate per conseguire il fine. È opportuno ritenere che una minima
comprensione di che cosa sia “oggettività” richiede un’indagine sul tipo di virtù
considerata tale, cioè significa che bisogna chiarire i fini da perseguire nella ricerca
scientifica, ma secondo un punto di vista che la orienti.
Ritorna, dunque, il problema della soggettività, della capacità di determinare fini
in base ai quali assegnare un valore ad una virtù, piuttosto che ad un’altra. Per questa
ragione Daston e Galison non hanno illuminato del tutto il tipo di questioni che solleva
l’oggettività scientifica e che coinvolgono il rapporto tra scienza e valori (etica). Un
punto questo, trattato da Kant nella Kritik der Urtheilskraft, e che percorre come un filo
rosso in manoscritti dell’Opus postumum: esiste un rapporto intimo tra l’esercizio del
talento, sia nelle arti che nelle scienze, e il potere. Un’eticoteologia è capace di svelarlo
e di mostrare come sia necessario che i principi della ragione orientino un sistema del
mondo. Quest’ultimo però non è fondato su una spontaneità opaca, non trasparente a se
stessa, come vorrebbero Daston e Galison. Oltre che su principi logici e su inferenze
della ragione, il sistema del mondo si basa sul fatto della ragione (Faktum der
Vernunft), sull’idea di libertà, che sebbene non sia conoscibile direttamente, offre la
possibilità di essere determinata nei suoi effetti, nella storia. Il carattere soggettivo e
quello oggettivo dell’esperienza sono ineliminabilmente interconnessi, in modo tale che
l’oggettività non sia altro che un sistema delle connessioni reali e delle loro condizioni
di possibilità.
La distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé non è da riferirsi agli oggetti in
quanto tali, ma al modo di porsi sotto un doppio rispetto da parte del soggetto, quello
fenomenico e quello noumenico.
Tale distinzione è cioè la cifra della filosofia kantiana che prevede la
spiegazione della possibilità di un molteplice approccio alla realtà, che ontologicamente
resta un tutto di connessioni determinabile nelle sue parti, secondo regole razionali
comunicabili. D’altra parte, però, quello kantiano è un punto di vista che include
l’osservatore del mondo nel mondo, ovvero non si può pensare ad un sistema della
natura senza l’osservatore inserito in essa e cosciente della sua posizione.
Come si vedrà nella prossima sezione, però, questo non significa che Kant
assuma una posizione pluralista, in quanto la teoria che deve spiegare questa
280
molteplicità sul piano epistemologico è unica e riposa sul canone della filosofia, la
logica, le cui regole sono universali, necessarie e costituiscono un sistema completo, al
contrario di quello della filosofia e delle altre scienze che possono accrescersi
indefinitamente dall’interno.
C) “Objectivity-for-us”: Kant nell’interpretazione di H. Putnam
H. Putnam è stato uno dei più discussi sostenitori di un “ritorno a Kant” nel
panorama della filosofia contemporanea. L’interpretazione di Putnam ha tentato di
adattare il pensiero kantiano al dibattito della filosofia contemporanea sia sulla teoria
del riferimento sia sull’oggettività.
Se di Putnam è assai nota la continua elaborazione e il continuo cambiamento
del suo punto di vista, è chiaro però l’intento di rinnovare il dibattito filosofico,
utilizzando Kant come punto di riferimento per il superamento di alcune posizioni.
Nell’analizzare la posizione di Putnam e l’interpretazione di Kant che ha
proposto nel 1981, in Reason, Truth and History, è bene focalizzarsi su due aspetti che
riguardano sia la logica che l’epistemologia. Putnam nel 1976 ha rigettato sia
l’idealismo soggettivo che il realismo metafisico e questo per due ragioni, sia perché
queste posizioni assumono un mondo indipendente dalla mente, sia perché propugnano
una teoria della verità come corrispondenza.75
È per questo che Putnam si è scagliato contro la posizione di realismo metafisico
e, attraverso una sua interpretazione di Kant, ha mostrato l’intento di superarlo. Putnam
vede in Kant proprio l’elemento che si è suggerito al punto precedente, ossia che il
sistema della natura non consta di una distinzione di oggettivo e soggettivo, come
invece il dibattito epistemologico contemporaneo ha descritto. A parere di Putnam,
infatti, una posizione di realismo interno e di realismo metafisico, che corrispondono al
realismo trascendentale e a quello empirico discussi da Kant, possono essere le
categorie per meglio comprendere la natura del pensiero kantiano stesso ed attribuirle lo
statuto di un realismo interno: Kant, per Putnam, è un realista interno della verità.
Esaminiamo questa posizione.
75 Cfr. M. Capozzi, Realism and Truth: Putnam and Kant, in Atti del Congresso Nuovi problemi della logica e della filosofia della scienza. Viareggio, 8-13 gennaio 1990, vol. 1, Bologna 1991, pp. 157-164; p. 157. L. Allais, Kant’s Transcendental Idealism and Contemporary Anti-Realism, in International Journal of Philosophical Studies, vol. 11, 2003, pp. 369-392; p. 376.
281
Putnam, oltre ad asserire che Kant come lui, avrebbe rigettato la teoria della
verità come corrispondenza, ritiene che Kant rifiuti il principio di bivalenza e che vi sia
una realtà indipendente dalla teoria.
La lontananza dalla filosofia di Kant della posizione pluralista e di olismo
alternativo (realismo interno), che Putnam ha proposto nel 1981, è stata messa in luce
ampiamente dalla critica.76
Dopo il 1981, Putnam cambia la definizione di realismo interno, perché scorge
la possibilità di una confusione con la spiegazione internalista dell’oggetto epistemico.
Preferisce allora parlare di un realismo pragmatico di Kant, che considera essenziale
l’aspetto della sua filosofia trascendentale secondo cui il sistema della natura dipende
dalla ragione pura pratica e indica la necessità di una scelta, di un dominio del
concettuale, per determinare e influenzare una certa visione del mondo.
Kant ai suoi occhi sarebbe stato il primo filosofo “to see that describing the
world is not simply copying it” e che “whenever human beings describe anything in the
world, our description is shake by our own conceptual choice”.77 Sebbene Putnam
critichi un aspetto di Kant, che definisce “monismo morale”, questo aspetto non gli
impedisce però di pensare un approccio pluralista e fallibilista dell’idea del mondo, sia
in morale che in epistemologia, cioè ci sono differenti ideali sia morali che
epistemologici migliori o peggiori di altri, i quali costituiscono la vera oggettività, che
Putnam chiama “objectivity-for-us”.78
Questo punto di vista pragmatista (sebbene non assimilabile al pragmatismo di
Rorty) sostiene che sia possibile preservare i nostri migliori metodi di rappresentazione
del mondo, rigettandone altri, senza ricorrere ad una totalizzazione di uno di essi come
l’unica e vera via. Questo riconoscimento di un’irriducibile pluralità di punti di vista
morali sebbene si allontani dal “monismo” kantiano, non sarebbe incompatibile con
esso agli occhi di Putnam.
Egli ritiene che sia fallimentare riproporre l’idealismo trascendentale kantiano
oggi e afferma che la nozione di cosa in sé sia incoerente e che ai suoi occhi questa sia
un che privo di significato per Kant.79
76 Moran (2000), p. 65.
Come interpretare questa posizione di Putnam? In
effetti, poiché é l’uso che l’intelletto fa delle categorie a dare significato agli oggetti
della conoscenza, che sono fenomeni, la cosa in sé non ha un significato, nella misura in
77 H. Putnam, Pragmatism, Oxford 1995, p. 28. 78 Cfr. H. Putnam, Realism with a Human Face, Cambridge MA 1990, pp. viii-ix. 79 Putnam, The Many Faces of Realism, La Salle 1987, p. 41.
282
cui é preclusa qualsiasi verità alla conoscenza che facesse un uso trascendentale delle
categorie.
Questo viene giustificato da Kant sulla base dell’idealismo trascendentale di
spazio e tempo, ovvero sulla base delle forme a priori della sensibilità. Oltre ad aver
mostrato la cruciale importanza di questo elemento della filsofia kantiana e di una
concezione controintuitiva dello spazio e del tempo per la scienza, é del resto su questo
punto che la posizione di Putnam è contraddittoria. Non è possibile, infatti, rifiutare
l’idealismo trascendentale senza rifiutare in blocco tutta la filosofia kantiana. L’altra
critica rivolta da Putnam a Kant concerne lo schematismo, la natura inflessibile dello
schema kantiano. Questo lavoro ha cercato di mostrare proprio il contrario, cioè come
sia possibile una flessibilità degli schemi che altrimenti non permetterebbe alcuna
visione asintotica dell’esperienza e accrescimento del sistema dal suo interno.
Ma è sulla dottrina delle antinomie e sul ruolo di catartico per la filosofia di esse
che Putnam mostra il reale intento kantiano della sua impostazione. Come Kant si
soffermò a partire dalle antinomie sul mondo ad elaborare il sistema critico, così
Putnam ritiene indispensabile lo svelamento della natura delle antinomie del realismo,
come false antinomie, come sofismi vuoti che celano posizioni metafisiche ben definite.
L’attualità di Kant per la teoria del riferimento viene rintracciato nella lettera a
Herz del 21 febbraio 177280
80 I. Kant, Briefwechsel, KGS X, pp. 129-135. In particolare Putnam si riferisce al passo alle pp. 130-131: Ich frug mich nemlich selbst: auf welchem Grunde beruhet die Beziehung desienigen, was man in uns Vorstellung nennt, auf den Gegenstand? Enthält die Vorstellung nur die Art, wie das subiect von dem Gegenstande afficirt wird, so ists leicht einzusehen, wie er diesem als eine Wirkung seiner Ursache gemäß sey und wie diese Bestimmung unsres Gemüths etwas vorstellen d. i. einen Gegenstand haben könne. Die passive oder sinnliche Vorstellungen haben also eine begreifliche Beziehung auf Gegenstände, und die Grundsätze, welche aus der Natur unsrer Seele entlehnt werden, haben eine begreifliche Gültigkeit vor alle Dinge in so fern sie Gegenstände der Sinne seyn sollen. Eben so: wenn das, was in uns Vorstellung heißt, in Ansehung des obiects activ wäre, d. i. wenn dadurch selbst der Gegenstand hervorgebracht würde, wie man sich die Göttliche Erkentnisse als die Urbilder der Sachen vorstellet, so würde auch die Conformitaet derselben mit den obiecten verstanden werden können. Es ist also die Möglichkeit so wohl des intellectus archetypi, auf dessen Anschauung die Sachen selbst sich gründen, als des intellectus ectypi, der die data seiner logischen Behandlung aus der sinnlichen Anschauung der Sachen schöpft, zum wenigsten verständlich. Allein unser Verstand ist durch seine Vorstellungen weder die Ursache des Gegenstandes, (außer in der Moral von den guten Zwecken) noch der Gegenstand die Ursache der Verstandesvorstellungen ( in sensu reali ). Die reine Verstandesbegriffe müssen also nicht von den Empfindungen der Sinne abstrahirt seyn, noch die Empfänglichkeit der Vorstellungen durch Sinne ausdrücken, sondern in der Natur der Seele zwar ihre Qvellen haben, aber doch weder in so ferne sie vom Obiect gewirkt werden, noch das obiect selbst hervorbringen. Ich hatte mich in der dissertation damit begnügt die Natur der intellectual Vorstellungen blos negativ auszudrüken: daß sie nemlich nicht modificationen der Seele durch den Gegenstand wären. Wie aber denn sonst eine Vorstellung die sich auf einen Gegenstand bezieht ohne von ihm auf einige Weise afficirt zu seyn möglich überging ich mit Stillschweigen. Ich hatte gesagt: die sinnliche Vorstellungen stellen die Dinge vor, wie sie erscheinen, die intellectuale wie sie sind. Wodurch aber werden uns denn diese Dinge gegeben, wenn sie es nicht durch die Art werden, womit sie uns afficiren und wenn solche intellectuale Vorstellungen auf unsrer innern Thätigkeit beruhen, woher komt die Übereinstimmung die sie mit Gegenständen haben sollen, die doch
in una sua elaborazione del problema di che cosa sia
283
rappresentazione. La critica kantiana ad una spiegazione causale della rappresentazione
e della corrispondenza viene accolta da Putnam come critica al rappresentazionalismo81
e al realismo metafisico.82
La teoria kantiana della rappresentazione fornisce la base per
la posizione di Putnam circa una pluralità dei modi di riferimento. In Reason, Truth and
History del 1981 il realismo metafisico viene presentato secondo tre elementi, a cui può
esserne aggiunto un quarto:
1. The Independence Thesis: there exists a fixed totality of mind-independent
objects independent of us.
2. The Correspondence Thesis: there exists a relation of correspondence between
this world and our beliefs.
3. The Uniqueness Thesis: there is exactly one true and complete description of
the way the world is, a description to be yielded by empirical science.
4. The Bivalence Thesis: the thesis that every sentence is determinately either
true or false, or determinately true or not.
Per restringere il campo della discussione su Kant, è opportuno osservare che,
secondo Putnam, questa tesi è presente nella filosofia di epoca kantiana nella forma di
una concezione per cui gli oggetti hanno determinate proprietà, indipendenti dalla nostra
conoscenza di essi.
Ma la tesi del realismo metafisico che deve attrarre l’attenzione è quella
dell’unicità, secondo cui il mondo consiste di un set definito di individui (ad esempio
dadurch nicht etwa hervorgebracht werden und die axiomata der reinen Vernunft über diese Gegenstände, woher stimmen sie mit diesen überein, ohne da diese Übereinstimmung von der Erfahrung hat dürfen Hülfe entlehnen. In der Mathematic geht dieses an; weil die obiecte vor uns nur dadurch Größen sind und als Größen können vorgestellet werden, da wir ihre Vorstellung erzeugen können, indem wir Eines etlichemal nehmen. Daher die Begriffe der Größen selbstthätig seyn und ihre Grundsätze a priori können ausgemacht werden. Allein im Verhältnisse der qvalitaeten, wie mein Verstand gäntzlich a priori sich selbst Begriffe von Dingen bilden soll, mit denen nothwendig die Sachen einstimmen sollen, wie er reale Grundsätze über ihre Möglichkeit entwerfen soll, mit denen die Erfahrung getreu einstimmen muß und die doch von ihr unabhängig sind diese Frage hinterläßt immer eine Dunckelheit in Ansehung unsres Verstandesvermögens woher ihm diese Einstimmung mit den Dingen selbst komme”. 81 Nell’alveo di questa posizione si pensi ad un’interpretazione della Deduzione trascendentale come quella che propone A. B. Dickerson, Kant on Representation and Objectivity, Cambridge 2004, il quale affronta la teoria kantiana della rappresentazione sostenendo che il termine Vorstellung offra lo spunto per una ricognizione della concezione kantiana di oggettività. L’importanza della connessione delle rappresentazioni attraverso l’attività sintetica conduce l’autore a proporre una lettura per cui Kant aveva una concezione di rappresentazione modellata sulla nozione di rappresentazione pittorico-figurativa non riducibile a quella di puri stati mentali. La rappresentazione sarebbe, cioè, un atto immediato della coscienza e la sintesi non sarebbe altro che un atto di comprensione della rappresentazione in quanto rappresentazione. 82 H. Putnam, Sense, Nonsense, and the Senses: An Inquiry into the Powers of the Human Mind, in The Dewey Lectures, Journal of Philosophy, XCI, 1994a, pp. 445-517; in particolare, p. 514.
284
punti spazio-temporali) a di un set definito di tutte le proprietà e delle relazioni di ogni
tipo intrattenute tra gli individui.
Il fine di questa tesi consiste nel dimostrare che sia possibile una descrizione
completa e unica di un unico mondo. C’è un esempio, però, che nega la tesi del realismo
metafisico e che contraddice il realismo scientifico dal suo interno: la fisica quantistica.
Quest’ultima sembra sfuggire ad interpretazione realista. Se si rimane
nell’ambito del dibattito tra il realismo e l’antirealismo e si attribuiscono tali posizioni
nell’ambito della fisica, alla teoria della relatività e alla teoria quantistica, ciò rende
inevitabile l’impossibilità di una visione unitaria del mondo attraverso un’unica teoria
che le ricomprenda. Senza entrare nel merito della correttezza della visione di Putnam
sulla fisica quantistica, si nota come il ricorso a questo argomento mostra che gli
scienziati possono anche non assumere una posizione realista e che la scienza può
ammettere una pluralità di teorie, ciascuna consistente nel suo proprio dominio.83
Questo argomento è strettamente legato alla causalità, che come parte della spiegazione
(explanation) è, agli occhi di Putnam, relativa e non riducibile a nozioni fisiche
primitive.84
Secondo Putnam, la causalità è relativa all’interesse posto in una spiegazione
piuttosto che in una proprietà unica e fissata del mondo, la causalità è una nozione
normativa e le regole che governano la sua applicazione mostra che non c’è una singola
teoria su di essa. Putnam si scaglia, quindi, contro i sostenitori del mito del dato, che
insistono sulla premessa di proprietà di oggetti indipendenti dalla mente. Al contrario
Putnam sostiene che Kant fosse contrario a questa posizione (come mostra la sua idea
per cui l’esperienza non è data, ma si fa) e sostenesse proprietà relazionali degli oggetti,
dipendenti da una teoria della conoscenza, come ad esempio accade per una qualità
secondaria come il colore rosso.
Questo aspetto deriverebbe per Putnam dalla particolare ricezione kantiana di
Berkeley e rappresenterebbe il cuore del concetto di relatività che egli attribuisce a
Kant.85
83 H. Putnam (1995), p. 14.
Per Kant non ci sarebbe modo di dar conto della conoscenza del mondo che non
sia anche un dar conto di come il mondo si relazioni ad un soggetto conoscente con un
certo apparato cognitivo e dunque non potrebbe esserci in alcun modo una teoria totale
del mondo come indipendente completamente da noi.
84 H. Putnam, Words and Life, Cambridge MA 1994, p. 493. 85 Cfr. H. Putnam, Reason, Truth and History, Cambridge 1981, pp. 60-61.
285
Questo distanziamento dalle tesi del realismo metafisico si riscontrano proprio
nella capacità della filosofia trascendentale di tracciare una linea di confine, grazie al
concetto di noumeno, che relativizza la posizione epistemologica di Kant. La
distinzione tra intuizione sensibile ed intuizione intellettuale è un esempio di questa
operazione e del rigetto di una tesi dell’unicità. Secondo Putnam, cioè, Kant
riconoscerebbe come possibile una forma differente di razionalità o comunque avrebbe
messo in questione per primo le tesi sulla unicità del mondo, sebbene il postulato di un
intelletto diverso da quello umano non assuma alcun contenuto determinato.
Secondo i critici di Putnam, come D. Moran, in realtà il problema
dell’oggettività, in questo modo, viene solamente ricollocato, ma non risolto;86
Una critica da questo punto di vista è stata rivolta a Putnam da M. Wilson che
interpreta il realismo empirico di Kant come una forma particolare di realismo
scientifico. Secondo Wilson Kant aveva una concezione in linea con il realismo
scientifico dell’epoca e avrebbe ripreso questo aspetto da una teoria causale secondo cui
le sensazioni sarebbe causate da oggetti empirici che avrebbero qualità primarie che
causano qualità secondarie non reali come colori e sapori, riprendendo un passo
dell’Estetica trascendentale.
e questo
vale nel caso della filosofia trascendentale per cui l’oggettività sarebbe una questione di
incontro tra mente e realtà, per produrre la mente e la realtà stesse su una forte base
olistica di interscambio tra soggetto e oggetto.
87 Inoltre Wilson si rifà al passaggio presente nel quarto
paralogismo, che sembra mettere alla prova la tesi di Putnam. Come anche nelle
Anticipazioni della percezione, Kant si richiama ad una visione per cui la percezione ci
fornisce qualcosa di reale nello spazio (Etwas wirkliches im Raume) per designare quel
sostrato esistente che causa le nostre sensazioni. Per questo Wilson conclude contro
Putnam che “like Descartes, and unlike Berkeley, Kant construes the world of science
and not the world of sensations, as empirically real”.88
Ma a questa asserzione di Wilson si può obiettare che entrambe sono
empiricamente reali e che l’aspetto su cui si gioca il loro differente statuto risiede
nell’oggettività, di cui le sensazioni sono prive, in quanto elementi soggettivi
dell’esperienza e costitutivi della soggettività, come emerge dalle pagine dell’Estetica
trascendentale e con ancor più forza dalla Kritik der Urtheilskraft.
86 D. Moran, Hilary Putnam and Immanuel Kant: two ‘internal realists’?, in Synthese, 123, 2000. 87 KrV, A28-29/B44-45. 88 M. Wilson, The “Phenomenalism” of Berkeley and Kant, in Self and Nature in Kant’s Philosophy, a cura di Allen Wood, Ithaca 1984, pp. 157-173; in particolare, p. 169.
286
Tuttavia, la teoria della dipendenza dalla mente legata all’oggettività, non è,
secondo Putnam, sinonimo di soggettività, bensì l’oggettività è dipendente dalla mente
nella misura in cui siamo capaci di conoscere o ritrovare oggetti in ciascuna pratica
particolare, sebbene l’oggettività possa essere indipendente dalla mente, nel senso che
un oggetto non necessita della nostra presenza per sapere in che senso è dipendente
dalla nostra mente.89
L’interpretazione di Putnam si risolve, così, in un’istanza pragmatista. Un
pragmatismo che vede la filosofia kantiana come capacità di tenere più punti di vista
sulla realtà e che vorrebbe aprire numerosi ambiti di interscambio tra filosofia e altre
discipline. Sebbene l’interpretazione di Putnam sia criticabile sotto molti punti di vista,
aiuta a comprendere alcuni aspetti della posizione kantiana.
90
Quest’ultima, però,
mostra una complessità e una ricchezza di argomenti da cui la riflessione
contemporanea non può che trarne benefici e stimoli per il futuro.
89 H. Putnam, Representation and Reality, Cambridge MA 1988, p. 109. Cfr. G. Bird, Kant’s Theory of Knowledge, London 1962, p. 81. 90 Allais (2003).
287
ALLEGATO 1 Omotopia alla circonferenza nella striscia di Möbius
288
ALLEGATO 2 Processo di costruzione della striscia di Möbius, ricavata dallo spostamento della linea blu mentre avviene la rotazione del cerchio verde attorno all’asse z.
BIBLIOGRAFIA
290
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