Questioni Primarie

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[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu 24 ottobre 2012 Primarie sì, ma con chiarezza………………………………………………..p. 1 Molti intenti niente Monti………………………………………………………p. 2 Le Regole……………………………………………………………………………...p. 3 Se prima eravamo in due a giocare alle primarie…………………..p. 4 Bersani vs Renzi…………………………………………………………………….p. 6 Litigare, litigare… ………………………………………………………………….p. 7 Più primarie per tutti……………………………………………………………..p. 8 Primarie sì, ma con chiarezza Poche parole per un programma di lavoro Fulvio Venturino, Università di Cagliari e coordinatore di C&LS Dopo molti tira e molla e addirittura una riforma (temporanea) allo statuto del Partito Democratico il centrosinistra ha avviato le elezioni primarie per la scelta del candidato premier alle elezioni parlamentari della prossima primavera. Ed è notizia di oggi che Berlusconi non si ricandiderà come premier e che il centrodestra celebrerà le sue primarie entro dicembre. In Italia le primarie sono praticate a livello locale da quasi dieci anni per la selezione dei candidati sindaci. La prima esperienza di primaria a livello nazionale invece risale all’ottobre del 2005, allorché Romano Prodi dominò una competizione con sette candidati per poi vincere (o meglio pareggiare) le elezioni del 2006, e guidare il governo durante la breve legislatura chiusa precocemente nel 2008. Da allora abbiamo assistito ad altre due consultazioni di livello nazionale, vinte nel 2007 e nel 2009 rispettivamente da Walter Veltroni e da Pier Luigi Bersani. L’uso del termine “primarie” per tutte queste esperienze ha ingenerato una certa confusione, e gli episodi del 2007 e 2009 dovrebbero essere meglio definite “elezioni dirette del segretario del Partito Democratico”. Le conseguenze della confusione terminologica che si è sedimentata negli anni si riscontra oggi nell’uso reiterato (ma sbagliatissimo) da parte della stampa dell’espressione “primarie del Pd” per indicare la competizione che sta iniziando in questi giorni. Vale perciò la pena di spendere qualche parola per fare chiarezza sulle importanti vicende politiche a cui ci stiamo accostando. Primo: le primarie “di Prodi” del 2005 e le primarie odierne sono di coalizione, perché promosse dai partiti del centrosinistra. Nel 2007 e nel 2009 invece abbiamo assistito ad elezioni dirette di partito, organizzate dal solo Partito Democratico. Secondo: le primarie del 2005 e del 2012 sono finalizzate a scegliere il candidato alla carica di capo del governo. Nel 2007 e nel 2009 l’elezione diretta è invece sfociata nella individuazione del segretario nazionale del PD. Terzo: oggi come nel 2005 siamo di fronte ad una selezione semplice, perché coinvolge un unico selettorato costituito dai cittadini che si recano alle urne. Le elezioni di partito con cui il PD ha scelto due dei suoi tre segretari facevano invece parte di una selezione complessa, che coinvolgeva ben tre elettorati differenti. Prima delle primarie infatti c’è stato l’endorsement degli iscritti per autorizzare le candidature. E se Veltroni e Bersani non avessero entrambi superato il 50% dei voti espressi dai cittadini sarebbe dovuta intervenire l’Assemblea Nazionale, come accaduto all’inizio del 2009 per la breve segreteria di Franceschini. In definitiva, le primarie di coalizione di questo autunno condividono parecchie caratteristiche con le primarie di Prodi del 2005, mentre sono separate da molte differenze rispetto alle due elezioni di partito del 2007 e del 2009. D’altra parte, anche le analogie fra 2005 e 2012 non vanno lontano, a cominciare dalle novità per le regole relative al doppio turno e alle modalità di partecipazione dei cittadini. E anche i toni della campagna appena iniziata non promettono lo stesso fair play a cui abbiamo assistito in passato. Le primarie del centrosinistra si preannunciano dunque particolarmente competitive, non resta ora che attendere le sorprese che ci riserveranno le primarie del centrodestra in questo effervescente autunno italiano. Candidate and Leader Selection (C&LS) è uno standing group, operante nell’ambito della Società Italiana di Scienza Politica, impegnato nella ricerca sulla vita interna dei partiti. Noi, ricercatori che facciamo parte del gruppo, realizzeremo nel corso dei prossimi mesi numerose analisi sulle primarie del centrosinistra. Accanto alle attività strettamente scientifiche, intendiamo con questo blog contribuire ad un dibattito che dia spazio a tutti gli orientamenti alla luce di due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso ad una terminologia appropriata. Buona lettura

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Questioni Primarie è un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato anche in collaborazione con l'edizione online della rivista "il Mulino". Si tratta di un osservatorio sulle primarie 2012. L'obiettivo è offrire uno spazio di analisi, approfondimento e discussione aperto a diversi orientamenti e approcci, ma ancorato a due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata. C&LS offrirà settimanalmente nuove riflessioni ed analisi sulle primarie in corso. Tutti i contributi sono scaricabili. Per chi lo desiderasse a questo link è possibile scaricare il numero completo.

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[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu

24 ottobre 2012

Primarie sì, ma con chiarezza………………………………………………..p. 1 Molti intenti niente Monti………………………………………………………p. 2 Le Regole……………………………………………………………………………...p. 3 Se prima eravamo in due a giocare alle primarie…………………..p. 4 Bersani vs Renzi…………………………………………………………………….p. 6 Litigare, litigare… ………………………………………………………………….p. 7 Più primarie per tutti……………………………………………………………..p. 8

Primarie sì, ma con chiarezza Poche parole per un programma di lavoro

Fulvio Venturino, Università di Cagliari e coordinatore di C&LS

Dopo molti tira e molla e addirittura una riforma (temporanea) allo statuto del Partito Democratico il centrosinistra ha avviato le elezioni primarie per la scelta del candidato premier alle elezioni parlamentari della prossima primavera. Ed è notizia di oggi che Berlusconi non si ricandiderà come premier e che il centrodestra celebrerà le sue primarie entro dicembre. In Italia le primarie sono praticate a livello locale da quasi dieci anni per la selezione dei candidati sindaci. La prima esperienza di primaria a livello nazionale invece risale all’ottobre del 2005, allorché Romano Prodi dominò una competizione con sette candidati per poi vincere (o meglio pareggiare) le elezioni del 2006, e guidare il governo durante la breve legislatura chiusa precocemente nel 2008.

Da allora abbiamo assistito ad altre due consultazioni di livello nazionale, vinte nel 2007 e nel 2009 rispettivamente da Walter Veltroni e da Pier Luigi Bersani. L’uso del termine “primarie” per tutte queste esperienze ha ingenerato una certa confusione, e gli episodi del 2007 e 2009 dovrebbero essere meglio definite “elezioni dirette del segretario del Partito Democratico”.

Le conseguenze della confusione terminologica che si è sedimentata negli anni si riscontra oggi nell’uso reiterato (ma sbagliatissimo) da parte della stampa dell’espressione “primarie del Pd” per indicare la competizione che sta iniziando in questi giorni. Vale perciò la pena di spendere qualche parola per fare chiarezza sulle importanti vicende politiche a cui ci stiamo accostando. Primo: le primarie “di Prodi” del 2005 e le primarie odierne sono di coalizione, perché promosse dai partiti del centrosinistra. Nel 2007 e nel 2009 invece abbiamo assistito ad elezioni dirette di partito, organizzate dal solo Partito Democratico. Secondo: le primarie del 2005 e del 2012 sono finalizzate a scegliere il candidato alla carica di capo del governo. Nel 2007 e nel 2009 l’elezione diretta è invece sfociata nella individuazione del segretario nazionale del PD. Terzo: oggi come nel 2005 siamo di fronte ad una

selezione semplice, perché coinvolge un unico selettorato costituito dai cittadini che si recano alle urne. Le elezioni di partito con cui il PD ha scelto due dei suoi tre segretari facevano invece parte di una selezione complessa, che coinvolgeva ben tre elettorati differenti. Prima delle primarie infatti c’è stato l’endorsement degli iscritti per autorizzare le candidature. E se Veltroni e Bersani non avessero entrambi superato il 50% dei voti espressi dai cittadini sarebbe dovuta intervenire l’Assemblea Nazionale, come accaduto all’inizio del 2009 per la breve segreteria di Franceschini. In definitiva, le primarie di coalizione di questo autunno condividono parecchie caratteristiche con le primarie di Prodi del 2005, mentre sono separate da molte differenze rispetto alle due elezioni di partito del 2007 e del 2009. D’altra parte, anche le analogie fra 2005 e 2012 non vanno lontano, a cominciare dalle novità per le regole relative al doppio turno e alle modalità di partecipazione dei cittadini. E anche i toni della campagna appena iniziata non promettono lo stesso fair play a cui abbiamo assistito in passato.

Le primarie del centrosinistra si preannunciano dunque particolarmente competitive, non resta ora che attendere le sorprese che ci riserveranno le primarie del centrodestra in questo effervescente autunno italiano.

Candidate and Leader Selection (C&LS) è uno standing group, operante nell’ambito della Società Italiana di Scienza Politica, impegnato nella ricerca sulla vita interna dei partiti. Noi, ricercatori che facciamo parte del gruppo, realizzeremo nel corso dei prossimi mesi numerose analisi sulle primarie del centrosinistra. Accanto alle attività strettamente scientifiche, intendiamo con questo blog contribuire ad un dibattito che dia spazio a tutti gli orientamenti alla luce di due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso ad una terminologia appropriata.

Buona lettura

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Molti intenti niente Monti La Carta degli smemorati

Gianfranco Pasquino, Università di Bologna

La Carta d’intenti intitolata “Italia. Bene Comune”, sottoscritta dal Partito Democratico, da Sinistra Ecologia Libertà e dal Partito Socialista Italiano è un documento interessante, per quello che vuole essere, per quello che contiene e, in special modo, per quello che non c’è. Non è ancora un programma di governo, ma poco ci manca, ma è la Carta che i candidati alle primarie organizzate dal Partito Democratico dovranno sottoscrivere. Le sue 11 pagine rappresentano comunque un ottimo “passo indietro” rispetto al famigerato Programma dell’Unione del 2006, 281 pagine, che tutti oggi considerano l’esempio da evitare anche se, allora, le voci critiche e dissenzienti non si levarono chiare e forti. Dal punto di vista dei contenuti, la Carta non contiene quasi nulla che il PD non abbia già variamente detto, ripetuto e sottolineato. Semmai, è da notare che il tema dell’istruzione, che Bersani ha sempre messo in bella evidenza nei suoi discorsi, è precipitato al quarto posto dei nove temi trattati e messo sotto la dizione “Sapere”. Al primo posto, si trova il Lavoro e al secondo l’Uguaglianza che non dovrebbe, a mio parere, essere un tema programmatico, ma un obiettivo, meglio definito al plurale, da conseguire come esito di riforme ben congegnate e ben attuate.

I tre punti maggiormente degni di attenzione riguardano la collocazione che i tre partiti desiderano, le alleanze che vogliono stringere, le modalità di selezione del capo del governo. Quanto alla collocazione, la frase che fa testo è “il nostro posto è in Europa”. Ha potuto essere sottoscritta anche da SEL, molto critica, ai limiti dell’euroscetticismo, dell’Europa esistente, soltanto perché accompagnata dall’intenzione, tanto ambiziosa quanto vaga, di cambiarla questa Europa: “correggere la rotta”. Qui magari un cenno all’ottimo lavoro dell’italiano Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, non sarebbe stato fuori luogo. Per quel che riguarda le alleanze, l’offerta di collaborazione è lanciata “alle forze del centro liberale”, una formula vaghissima. Di “centro liberale” in Italia praticamente non se ne vede l’ombra se non in quanto alle intenzioni di alcuni neonati gruppi fino a poco tempo fa al seguito di Berlusconi, a meno che il destinatario sia Luca Cordero di Montezemolo. Inoltre, “centro liberale” non è sicuramente il termine che meglio si attaglia alla definizione che PierFerdinando Casini darebbe del suo partito. D’altronde, né Vendola né i socialisti di

Nencini sembrano inclini ad accettare l’UDC, o come si chiama, in un’alleanza di governo.

Poiché questa Carta d’intenti dovrà essere sottoscritta anche dai candidati alle primarie, è giusto che sia dichiarato con chiarezza che i tre partiti s’impegnano a sostenere con lealtà il “premier scelto con le primarie”. In questo modo PD, SEL e PSI calano la scure sulla testa del governo Monti e calano la saracinesca sull’eventualità di un Monti-bis. Non scelto dalle primarie, SuperMario non potrà più, secondo i firmatari, essere nominato alla guida del governo post-elettorale. Naturalmente, questa è un’opinione legittima che dovrà passare al vaglio delle urne e dei numeri che ne usciranno. Quello che, invece, mi pare piuttosto sgradevole è la cancellazione totale nel Documento dell’esperienza del governo Monti e dello stesso nome del Presidente del Consiglio in carica. Il problema non è dato dalla mancanza di riconoscenza in politica, fenomeno abituale. Non è neppure quello “personale” (ma anche “politico”) di Monti, non convitato di pietra, ma neppure “convitato”. Quella che è scomparsa da un documento molto importante è l’agenda Monti. Insomma, gli elettori italiani e, senza dubbio, i leader politici e gli operatori economici stranieri vorrebbero sapere se i tre partiti continueranno l’agenda Monti per andare oltre, dopo averne consolidato i risultati, oppure se faranno altro. La risposta scritta di PD, SEL e PSI è né Monti né la sua Agenda: “altro”. Ahi ahi ahi.

PD, SEL e PSI calano la scure sulla testa del governo Monti e calano la saracinesca sull’eventualità di un Monti-bis. Non scelto dalle

primarie, SuperMario non potrà più, secondo i firmatari, essere

nominato alla guida del governo post-elettorale

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Le Regole Primarie a ostacoli

Stefano Rombi, Università di Pavia

Il Collegio dei Garanti riunitosi il 19 ottobre scorso ha redatto il regolamento (quasi) definitivo delle primarie. Quel “quasi” non è dovuto tanto alla questione del voto degli italiani all’estero – che, comunque, dovrà essere meglio definita dal Coordinamento nazionale – quanto al “non ci sto” di Matteo Renzi che ha deciso di ricorrere nientemeno che al Garante della Privacy contro la costituzione dell’Albo degli elettori e, soprattutto, contro la sua diffusione. Insomma, la situazione è tutt’altro che stabile.

Ciò detto, dobbiamo segnalare che si tratta di regole abbastanza diverse da quelle passate. Tanto per cominciare, si tratterà di primarie a doppio turno; inoltre, il luogo del voto sarà diverso dal luogo della registrazione; infine, saranno esclusi dal diritto di elettorato attivo i sedicenni. Tre novità, in particolare le prime due, assai rilevanti.

Cominciamo dal doppio turno: se nessuno dei competitori raggiungerà il 50% più uno dei voti validi si dovrà procedere al ballottaggio tra i due più votati. Stando ai sondaggi che circolano in questo periodo, con tutta probabilità il 2 dicembre ci troveremo di fronte ad una sfida Bersani-Renzi. Benché sia difficile dubitare che il ballottaggio produca un candidato ampiamente legittimato, è difficile negare la parzialità di questa norma. Tra i rottamatori, infatti, il doppio turno è percepito – nonostante le dichiarazioni pubbliche sembrino indicare il contrario – come una regola contro Renzi: il loro timore è che una quota decisiva dei voti di Vendola possa riversarsi sull’attuale segretario democratico. Tutto ciò, peraltro, era chiaro e conosciuto già da qualche settimana. Al contrario, non era per nulla chiaro se il secondo turno sarebbe stato aperto o chiuso. Prima della riunione del Collegio dei Garanti avevamo parlato di secondo turno a selettorato bloccato, oggi, invece, ci troviamo di fronte ad un secondo turno a selettorato semi-bloccato. Il centrosinistra sembra essere approdato alla più classica delle soluzioni-compromesso: potranno partecipare al secondo turno anche coloro che non hanno votato al primo, a patto che si registrino negli appositi Uffici Elettorali in due giorni – ancora da stabilire – compresi tra il 27 novembre e il primo dicembre.

Abbiamo già chiarito in altra sede come il tentativo di ostacolare l’accesso al secondo turno ci appaia soltanto un bizantinismo incapace, peraltro, di conseguire l’obiettivo (figlio di uno zelo eccessivo) che si prefigge, vale a dire ostacolare l’invasione degli elettori di centrodestra. La nostra posizione non cambia neppure dopo aver esaminato la versione finale (salvo cambiamenti…) del regolamento. A proposito di Uffici Elettorali, il regolamento imponendone la costituzione stabilisce che la sottoscrizione dell’Appello di sostegno alla coalizione di centrosinistra, la registrazione nell’Albo degli elettori e la consegna del Certificato elettorale debbano avvenire in un luogo diverso dal seggio elettorale. Si tratta, peraltro, di una condizione necessaria per l’esercizio del voto, il cui perfezionamento potrà avvenire tra il 4 e il 25 novembre.

In conclusione, vorremmo richiamare l’attenzione sulla norma che preclude la partecipazione ai giovani di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Qual è la ratio? Probabilmente, evitare che il corpo elettorale delle primarie sia diverso da quello delle elezioni politiche. Ma, ammesso che si tratti di una buona ragione, perché, allora, includere gli immigrati regolari? Purtroppo dobbiamo chiudere con un quesito senza risposta: l’irragionevole è difficile da comprendere.

prima della riunione del Collegio dei Garanti avevamo

parlato di secondo turno a selettorato bloccato, oggi,

invece, ci troviamo di fronte ad un secondo turno a

selettorato semi-bloccato

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Se prima eravamo in due a giocare alle primarie... L’avvio della campagna elettorale dei candidati

Giuliano Bobba, Università di Torino

Le campagne primarie sono spesso considerate alla stregua di un’anteprima – quasi una cerimonia di apertura – delle tradizionali campagne elettorali. L’idea su cui si fonda questa interpretazione è che la selezione delle candidature anticipi i tempi delle campagne elettorali garantendo visibilità al partito o alla coalizione che le organizza e promuovendo i candidati selezionati. Una prospettiva del genere presenta un duplice limite: funziona solo ex-post, a elezioni politiche avvenute; sottovaluta le peculiarità di una competizione preminentemente interna come quella primaria. Dal momento che il fine principale di queste elezioni è quello di selezionare candidati che sono espressione di uno stesso partito o di una stessa coalizione, le logiche che ispirano la comunicazione dei candidati (e il dibattito giornalistico) sono principalmente influenzate dal grado di competitività della sfida e definite in relazione al pubblico a cui sono rivolte: l’elettorato attivo (o attivabile) della propria area politica. Le campagne primarie meritano dunque un’attenzione particolare, a partire dalla ricostruzione di come i cinque contendenti sono scesi in pista.

Partiamo dalla fine. Domenica 14 ottobre, alle ore 11, con Tutti a Bettola anche il segretario nazionale del PD ha aperto la propria campagna elettorale e lanciato il programma Il coraggio dell’Italia. 10 idee per cambiare. Ultimo dei cinque candidati in lizza a muoversi ufficialmente, Bersani ha di fatto sfruttato fino all’ultimo momento (l’assemblea nazionale del 6 ottobre) la propria posizione istituzionale, ponendosi sullo stesso piano degli altri candidati il più tardi possibile.

Un mese e un giorno prima aveva invece iniziato la rincorsa alla candidatura a premier del centrosinistra il suo principale competitor, Matteo Renzi. Partito da Verona il 13 settembre a bordo di un camper, il sindaco di Firenze – che prima della fine della campagna elettorale, avrà incontrato i cittadini di oltre settanta province italiane italiani – porta in giro la propria idea di «un’altra Italia» con lo slogan «Adesso!».

Di tutti i presunti candidati meno conosciuti (i principali organi di stampa a metà settembre riportavano come candidati certi Boeri, Civati e Gozi) Laura Puppato è stata l’unica a formalizzare la propria partecipazione, dando il via alla propria campagna a

fine settembre. Con obiettivi diversi e una più limita disponibilità di risorse, la consigliere regionale veneta diffonde le sue «proposte per amare l’Italia», avendo ben chiara la propria strategia: «né guru della comunicazione né forme particolari di pubblicità, ma solo aiuto diretto da chi crede nella mia storia»(LauraPuppato, 11 ottobre, FB).

Dopo aver a lungo temporeggiato, il 6 ottobre a Maratea, il governatore della Puglia, Nichi Vendola, ufficializza la propria candidatura, lanciando contestualmente la propria campagna di comunicazione. Abbandonato lo slogan «c’è un’Italia migliore», il leader di Sel rinuncia all’inflazionato rimando alla nazione per cucirsi addosso (e sottrarre a Renzi) la carta dell’alternativa. Nasce così la formula #Oppure Vendola, immaginata per una diffusione virale sulla rete.

Tra gli ultimi a entrare ufficialmente in campagna elettorale, troviamo infine Bruno Tabacci, deputato e assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, che il 13 ottobre a Napoli inaugura la prima tappa del suo Giro per l'Italia. Candidato per «creare un punto di riferimento per chi ha una cultura politica cattolico-democratica»(Corriere della Sera, 13 settembre 2012), Tabacci propone al centrosinistra la sua ricetta per un’«Italia concreta». Nelle prossime settimane ci si concentrerà sui singoli candidati, i mezzi di comunicazione prediletti, le performance comunicative, il grado di conflittualità della campagna.

le logiche che ispirano la comunicazione dei candidati

nelle campagne primarie sono principalmente influenzate dal

grado di competitività della sfida e definite in relazione al

pubblico a cui sono rivolte: l’elettorato attivo (o attivabile)

della propria area politica

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L’avvio della campagna elettorale dei candidati

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Bersani vs Renzi Prodromi di un duello ancora tutto da delineare

Luciano M. Fasano, Università di Milano e coordinatore di C&LS

Nelle due settimane dopo la convocazione dell’Assemblea nazionale Pd che ha dato il via al percorso per le primarie, i principali candidati in lizza, Renzi e Bersani, hanno occupato la scena politica affrontando diverse questioni di rilievo. Questo reticolo di dichiarazioni e prese di posizione, ampiamente rappresentato dalle pagine dei quotidiani, può considerarsi – se non altro in via indiziaria – indicativo delle rispettive strategie di posizionamento, forse ben più dei rispettivi programmi.

Interessante è soprattutto la strategia messa in atto da Bersani, che all’Assemblea Nazionale PD, confermando la volontà di celebrare primarie aperte e competitive, ha indirettamente dato il via al confronto a distanza fra Renzi e Vendola. E che, una settimana dopo, firmando la Carta degli Intenti insieme a Vendola (SEL) e Nencini (PSI), ha stabilito il reticolo delle forze politiche mobilitate nell’organizzazione delle primarie secondo lo schema, per lui assai favorevole, dell’aggregazione delle forze progressiste. Non è del resto un caso che dalla Carta degli Intenti sia stato espunto ogni riferimento al governo Monti, quando in un analogo documento licenziato dal Pd solo pochi mesi fa veniva quanto meno ricordato per aver restituito autorevolezza all’Italia in Europa. È facile ipotizzare che tale revisione abbia avuto per contropartita un possibile sostegno di Vendola a Bersani in caso di ballottaggio.

Ed è parimenti evidente come Bersani cerchi di posizionarsi fra Renzi, da una parte, e Vendola dall’altra, al fine di raccogliere il più ampio consenso possibile fra gli elettori del centrosinistra, occupando una posizione mediana. Il che potrebbe tornargli a favore, soprattutto se fra Renzi e Vendola dovesse mantenersi un clima di conflitto permanente. La scelta di Bersani ha infine sortito la reazione – del tutto comprensibile, alla luce di un evidente bisogno di visibilità – di Tabacci, che in una lettera aperta al Corriere della Sera ha dichiarato di non essere intenzionato a sottoscrivere il documento condiviso da Bersani, Vendola e Nencini, in quanto lacunoso rispetto alle liberalizzazioni, al governo Monti e agli impegni contratti dall’Italia in sede internazionale. E ciò lascia intendere come Bersani, conquistata una posizione mediana nel campo della sinistra, debba quanto prima fare in modo che tale posizione non ne pregiudichi la credibilità come leader di governo. Ancorato ai temi trasversali della rottamazione e delle regole resta invece il posizionamento di Renzi, che si accompagna ad un profilo intenzionalmente basso sulla continuità rispetto all’azione del governo Monti. La polemica sulla rottamazione sembra però aver maturato tutti i suoi frutti, a partire dall’intenzione manifestata da Veltroni e D’Alema di non ricandidarsi in Parlamento. E la questione delle regole rischia di diventare oltremodo aggrovigliata, alimentando strascichi di scarso interesse agli occhi degli elettori. Le regole decise dal Comitato dei garanti sembrano costruite apposta per disincentivare la partecipazione, giocando a favore della mobilitazione del solo quadro attivo degli iscritti. Anche se Renzi non può limitarsi a rispondere a Bersani facendo semplicemente appello alle regole. Dovrà escogitare una strategia che gli permetta di sottrarsi all’etichetta di outsider affibbiatagli dagli avversari, conquistandosi un profilo politico capace di contrapporsi alla veste da candidato di una sinistra tradizionale e progressista al momento indossata da Bersani. Il duello è soltanto all’inizio.

le regole decise dal Comitato dei garanti sembrano costruite

apposta per disincentivare la partecipazione,

giocando a favore della mobilitazione del solo

quadro attivo degli iscritti

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Litigare, litigare... (per amarsi sempre di più?)

Antonella Seddone, Università di Torino

«Ha le nostre idee». Questa è l’impegnativa considerazione di Silvio Berlusconi su Renzi. Non un endorsement in piena regola, ma certamente un messaggio potente. I difetti di Berlusconi sono tanti, ma di certo ha il pregio di avere sempre saputo leggere in maniera efficace la logica di una competizione. E quelle parole sono mirate a indebolire l’appeal del sindaco fiorentino agli occhi dell’elettorato di centrosinistra, che è il bacino elettorale che conta nella partita delle primarie. Sa che un Renzi vincitore delle primarie potrebbe davvero sedurre i suoi elettori delusi. Anche il Partito Democratico individua in Renzi un’insidia.

L’insofferenza di alcuni dirigenti nazionali non è certamente una novità. Le frizioni risalgono almeno alle primarie fiorentine del 2009. Lì Renzi vinse a dispetto del suo stesso partito, e lì iniziò la sua strada verso le primarie che si terranno fra qualche settimana. La frattura non si è mai ricomposta, anzi esplode ora in tutta la sua virulenza. «Non mi pongo il problema se fidarmi o meno di Renzi, perché io lavorerò in queste primarie perché Renzi venga sconfitto». Questa è la dichiarazione del Presidente del Partito Democratico, ed è proprio questo tipo di argomentazione anti-Renzi che lascerà il segno rimbalzando nelle pagine dei giornali. Minore riscontro mediatico otterrà invece l’esortazione al sostegno per Bersani in chiusura dell’Assemblea Nazionale del Partito. Quello sì, un endorsement palese e importante. Eppure in queste primarie parlare di endorsement è difficile. Sappiamo che c’è una buona porzione di esponenti nazionali che sostiene la candidatura di Renzi: Gentiloni, Realacci, Giacchetti, Scalfarotto e Ichino, solo per citarne alcuni. Sappiamo che accanto a questi nomi il sindaco di Firenze ha trovato vasto consenso fra gli amministratori locali. Sappiamo anche che ad appoggiarlo c’è anche un eterogeneo gruppo di soggetti esterni al mondo politico: Oscar Farinetti e Alessandro Baricco, ad esempio e la lista è piuttosto lunga. Accanto ai sostenitori si affollano però i detrattori. Che incidentalmente coincidono con gli endorsers di Pierluigi Bersani. Già perché il segretario è sostenuto compattamente dai dirigenti

nazionali del partito: Bindi, Marini, Finocchiaro, Fioroni, Iervolino e D’Alema, seguiti da buona parte dell’Assemblea Nazionale.

La curiosità sta però nel fatto che questi maggiorenti del partito sembrano più concentrati a chiarire contro chi stanno piuttosto che per chi tifano. Non è una questione di lana caprina. Perché nel dibattito pubblico a fare rumore non è il sostegno al candidato Bersani, ma l’attacco all’avversario. Il segretario l’ha capito per primo e per questa ragione ha invocato un maggiore fair play. Un primo segnale è l’hashtag #attaccarenzi, un vezzo degli utenti di Twitter, niente di preoccupante. Ma del tutto simile alla campagna web che affossò ogni speranza di Letizia Moratti di sconfiggere Pisapia al secondo turno. A prescindere dall’esito delle primarie, che si giocherà sulla capacità dei candidati di attrarre il consenso degli elettori e non sarà certo determinato da un passaparola più o meno divertente su Twitter, sono le ripercussioni sul partito a pretendere maggiore prudenza. Le primarie servono a scegliere un candidato che il giorno successivo a quelle stesse primarie deve poter contare sul sostegno del proprio partito, senza distinzioni. Abbassare i toni aiuterà certamente chi vincerà a gestire meglio la strada verso l’election day in primavera.

le primarie servono a

scegliere un candidato che il giorno successivo a quelle stesse primarie deve poter

contare sul sostegno del proprio partito, senza

distinzioni

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Più primarie per tutti Dal predellino alle primarie del PdL

Marco Valbruzzi, European University Institute

Ormai è ufficiale: il contagio è iniziato e, molto probabilmente, non è più reversibile. Nate per risolvere i tanti problemi dentro i partiti di centrosinistra, le elezioni primarie stanno lentamente prendendo piede, come un virus, anche nell’altro schieramento, al di là di quello che Ilvo Diamanti ha chiamato “il Muro di Arcore”. In pochi ricorderanno una vecchia affermazione di Berlusconi: “l’unica cosa che ruberei alla sinistra sono le primarie”. È passato qualche anno, qualche esperienza di governo non proprio memorabile, qualche festicciola non esattamente all’insegna dell’eleganza, ma alla fine Berlusconi ha deciso di tener fede alla sua promessa: rubare o, meglio (per evitare altri intralci giudiziari), prendere a prestito le primarie dal PD. Il prossimo 16 dicembre gli elettori del Popolo della Libertà (PdL), “con elezioni primarie aperte”, sceglieranno il successore al trono berlusconiano. Finisce così, con una nemesi potenzialmente democratica, il lungo e incontrastato regno dell’uomo che più di ogni altro ha segnato, nel bene (poco) e nel male (tanto), gli ultimi vent’anni di storia italiana.

Al momento, non è facile individuare le possibili candidature alla premiership per il PdL. Gli aspiranti sono tanti quante le anime (leggi: correnti e/o fondazioni) che pullulano dentro il corpo di un partito ormai senza guida da oltre un anno. Alcuni dentro il PdL, a partire da Daniela Santanchè passando per l’inamovibile Roberto Formigoni, avevano già fatto sapere che, se Berlusconi avesse fatto un passo indietro, loro avrebbero fatto volentieri un passo avanti. Molti altri candidati, e forse anche un giovane esponente del gruppo dei “formattatori” pidiellini, troveranno certamente spazio in quella che Berlusconi stesso ha definito “una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni”. Quanto “libera e serena” sarà davvero questa gara dipenderà molto dal ruolo che giocheranno, da un lato, il segretario Angelino Alfano e, dall’altro, il fondatore del PdL. Se Berlusconi decidesse di fare il “nonno nobile” del partito, limitandosi al ruolo di Cavaliere Inesistente, senza dare, cioè, indicazioni di voto, la gara potrebbe essere aperta e autentica. Nel caso contrario, che è anche quello ad oggi più probabile, l’eventuale sostegno berlusconiano nei

confronti di Alfano potrebbe invece condizionare pesantemente l’esito delle primarie e scoraggiare la partecipazione elettorale. Ancora una volta, quindi, il destino del PdL è nelle mani del suo creatore.

Fare le primarie, però, come ben sanno i politici del centrosinistra, non è un pranzo di gala. Servono regole, volontari, uffici centrali e locali, sedi cui recarsi a votare (e, per i più choosy, a pre-registrare). Di conseguenza, per preparare seriamente votazioni di questo tipo sono necessarie strutture organizzative diffuse su tutto il territorio italiano. E, proprio per questo motivo, sarà interessante vedere e capire come il PdL – fino ad oggi un “movimento” personale strutturalmente leggerissimo – riuscirà a mettere in moto e far funzionare la sua macchina delle primarie. Una “macchina” nuova, ancora tutta da rodare, ma – è giusto ricordarlo – non proprio alle prime armi perché, a livello locale, il PdL (da solo o in coalizione) ha già sperimentato lo strumento delle primarie per scegliere i propri candidati sindaci. Infatti, delle 508 primarie comunali registrate in Italia dal 2004 ad oggi, in 18 casi (pari al 3,5%) è stato il centro-destra a farsene promotore.

Paradossalmente, però, l’annuncio a sorpresa di Berlusconi potrebbe avere molte più ripercussioni nella coalizione di centrosinistra. Innanzitutto, le primarie del PdL renderebbero Renzi meno pericoloso agli occhi di molti dirigenti del PD. Ora, i fantomatici incursori/inquinatori del centrodestra e simpatizzanti renziani potrebbero decidere di partecipare alle “loro” primarie, interne al loro

Fare le primarie, però, come ben sanno i politici del centrosinistra, non è un pranzo di gala. Servono regole, volontari, uffici centrali e locali, sedi cui recarsi a votare (e, per i più choosy, a pre-registrare)

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schieramento. Di conseguenza, le troppe, e troppo alte, barriere alla partecipazione presenti nel regolamento delle primarie del centrosinistra potrebbero essere allentate e abbassate. Anche perche, ora, le primarie non sono più soltanto un gioco interno, che rimane tra le mura della propria coalizione, ma avranno conseguenze e riflessi anche al di fuori. E la gara tra primarie

rivali sarà una gara a chi mobilità di più, a chi dimostra di essere, nonostante l’antipolitica arrembante e l’austerity incombente, più vivo, attivo e reattivo. Il rischio, davvero paradossale, è che siano entrambe “primarie a perdere”, perché il vincitore vero potrebbe essere scelto soltanto dopo le elezioni politiche e a conti fatti. E i tecnici, si sa, sono bravi a far di conto…

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