"quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

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Sono Sara Moi, moglie di Fabio Piselli e madre dei nostri figli Matilde, Fabio Massimo e la sorellina pronta a nascere nelle prossime settimane. Mi scuso se pubblico una fotografia apparentemente provocatoria ma forse in questo modo riesco a catalizzare qualche attenzione in più sulla nostra situazione rispetto a Fabio. Dico nostra perché coinvolge me ed anche i nostri figli. Due tette ed un pacione gonfio sono molto più impattanti di tanti discorsi e non mi vergogno affatto di essere giudicata. Ho scelto oggi di espormi in questo modo dopo tutti gli anni in cui sono rimasta in disparte ma non disinteressata ai fatti che riguardano Fabio in prima persona e che, inevitabilmente, mi hanno e ci hanno coinvolto a causa delle serie complicanze che viviamo sul piano della nostra vita sociale e professionale, da troppo tempo ormai. Sono anni infatti che convivo quotidianamente con Fabio, lo amo e ne conosco ogni aspetto morale, emotivo, psicologico, relazionale e sociale tali perciò da permettermi di dire che lo conosco in una maniera certamente profonda rispetto alla descrizione sommaria che di lui leggo sui giornali, su qualche sito ed in alcune carte giudiziarie che lo hanno riguardato, oppure offerta da chi crede di “avvisarmi” sul suo conto facendosi forte di riferimenti indicati in dei presunti operatori della Polizia o dei Carabinieri, informandomi di eventi anche gravi che gli sono addebitati credendo di individuare in me una specie di vittima nelle mani di questo “terribile uomo”. Posso affermare con serenità di essere una donna adulta, matura, competente come una pedagogista con una laurea magistrale e con anni di esperienza può essere in materia di bambini e di relazioni fra adulti, anche psicologiche, di essere in grado di ragionare con la mia testa e di non essere facilmente condizionabile nella formulazione dei miei pensieri e delle mie idee, anche critiche perché adoro porre e pormi in discussione e con Fabio lo faccio da sempre. Come tale desidero esporre questo confronto benchè avanzato tramite una fotografia a suo modo poeticamente provocatoria, che mira non certo ad ottenere una soddisfazione materiale o un mero supporto morale ma ha lo scopo di abbattere quell'enorme muro di fango che ci ha progressivamente seppellito nascondendoci dalla società civile, quella in cui tutti voi vivete e nella quale sono cresciuta come tutti gli altri con una famiglia normale, una vita normale, studi, fidanzati etc. etc. nessun precedente e nessun vizio di droga o altre sostanze. Sono quindi una persona seria che come tale si esprime e mi auguro di essere interpretata senza quei pregiudizi che ho evidenziato nei fatti che riguardano mio marito. Ho sempre avuto piena coscienza che stare con Fabio significa anche stare con tutto il suo “passato” e me ne sono assunta le responsabilità quando ne ho preso pian piano coscienza ogni volta che ho incontrato quegli ostacoli che oggi voglio, desidero, spero di abbattere. Fabio Piselli è mio marito, anche se non siamo ancora formalmente sposati, ho tre figli con lui, ci ho trascorso notte e giorno da oltre sei anni vivendone le gioie ed i dolori ed osservando chi e cosa è Fabio Piselli, tutti i giorni, nei dati di fatto della sua vita sotto ogni profilo. Per questo mi permetto di non accettare quei “consigli” da parte di chi dice di averlo conosciuto in occasioni di breve durata o di essere stata messa a conoscenza da altri sul suo conto nella classica dinamica della voce che riporta altre voci rinforzando la voce successiva. Sono una donna sarda, riservata per natura, ma non per questo incapace di espormi quando la situazione lo richiede e, adesso, è tempo di farlo perché mi sono stancata di restare una testimone passiva della distruzione della nostra vita perché nel corso degli anni abbiamo patito delle azioni tali da perdere il lavoro da un giorno all'altro, da perdere la casa, da dover sopportare delle umiliazioni che, come donna sarda, mi è stato molto difficile subire. Accusano mio marito di approfittarsi di una tragedia come quella del traghetto Moby Prince per farsi pubblicità e per fare dei soldi. Mi permetto quindi di dire la mia, perché c'ero. Chi getta fango non conosce che Fabio ha rinunciato all'offerta ricevuta di scrivere un libro sulla tragedia proprio per non lucrare su quei morti. Non conosce che le interviste che ha accettato di fare non solo non hanno mai avuto un corrispettivo in denaro ma nonostante le ore al telefono sono state concentrate in pochi minuti di un servizio, talvolta carenti del vero e più ampio significato. Non conosce che ha rifiutato l'offerta di un filmdocumentario sulla sua vita ed altre offerte che certamente gli avrebbero favorito visibilità o pubblicità che in qualche modo già proveniva dal blog che ha scritto per alcuni anni fino a quando ha deciso di interromperlo e di tornare in ombra.

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Sono Sara Moi, moglie di Fabio Piselli e madre dei nostri figli Matilde, Fabio Massimo e la sorellina pronta a nascerenelle prossime settimane.

Mi scuso se pubblico una fotografia apparentemente provocatoria ma forse in questo modo riesco a catalizzare qualcheattenzione in più sulla nostra situazione rispetto a Fabio. Dico nostra perché coinvolge me ed anche i nostri figli.

Due tette ed un pacione gonfio sono molto più impattanti di tanti discorsi e non mi vergogno affatto di essere giudicata.

Ho scelto oggi di espormi in questo modo dopo tutti gli anni in cui sono rimasta in disparte ma non disinteressata ai fattiche riguardano Fabio in prima persona e che, inevitabilmente, mi hanno e ci hanno coinvolto a causa delle seriecomplicanze che viviamo sul piano della nostra vita sociale e professionale, da troppo tempo ormai.

Sono anni infatti che convivo quotidianamente con Fabio, lo amo e ne conosco ogni aspetto morale, emotivo,psicologico, relazionale e sociale tali perciò da permettermi di dire che lo conosco in una maniera certamente profondarispetto alla descrizione sommaria che di lui leggo sui giornali, su qualche sito ed in alcune carte giudiziarie che lo hannoriguardato, oppure offerta da chi crede di “avvisarmi” sul suo conto facendosi forte di riferimenti indicati in dei presuntioperatori della Polizia o dei Carabinieri, informandomi di eventi anche gravi che gli sono addebitati credendo diindividuare in me una specie di vittima nelle mani di questo “terribile uomo”.

Posso affermare con serenità di essere una donna adulta, matura, competente come una pedagogista con una laureamagistrale e con anni di esperienza può essere in materia di bambini e di relazioni fra adulti, anche psicologiche, diessere in grado di ragionare con la mia testa e di non essere facilmente condizionabile nella formulazione dei mieipensieri e delle mie idee, anche critiche perché adoro porre e pormi in discussione e con Fabio lo faccio da sempre.

Come tale desidero esporre questo confronto benchè avanzato tramite una fotografia a suo modo poeticamenteprovocatoria, che mira non certo ad ottenere una soddisfazione materiale o un mero supporto morale ma ha lo scopo diabbattere quell'enorme muro di fango che ci ha progressivamente seppellito nascondendoci dalla società civile, quella incui tutti voi vivete e nella quale sono cresciuta come tutti gli altri con una famiglia normale, una vita normale, studi,fidanzati etc. etc. nessun precedente e nessun vizio di droga o altre sostanze.

Sono quindi una persona seria che come tale si esprime e mi auguro di essere interpretata senza quei pregiudizi che hoevidenziato nei fatti che riguardano mio marito.

Ho sempre avuto piena coscienza che stare con Fabio significa anche stare con tutto il suo “passato” e me ne sonoassunta le responsabilità quando ne ho preso pian piano coscienza ogni volta che ho incontrato quegli ostacoli che oggivoglio, desidero, spero di abbattere.

Fabio Piselli è mio marito, anche se non siamo ancora formalmente sposati, ho tre figli con lui, ci ho trascorso notte egiorno da oltre sei anni vivendone le gioie ed i dolori ed osservando chi e cosa è Fabio Piselli, tutti i giorni, nei dati di fattodella sua vita sotto ogni profilo.

Per questo mi permetto di non accettare quei “consigli” da parte di chi dice di averlo conosciuto in occasioni di brevedurata o di essere stata messa a conoscenza da altri sul suo conto nella classica dinamica della voce che riporta altrevoci rinforzando la voce successiva.

Sono una donna sarda, riservata per natura, ma non per questo incapace di espormi quando la situazione lo richiede e,adesso, è tempo di farlo perché mi sono stancata di restare una testimone passiva della distruzione della nostra vitaperché nel corso degli anni abbiamo patito delle azioni tali da perdere il lavoro da un giorno all'altro, da perdere la casa,da dover sopportare delle umiliazioni che, come donna sarda, mi è stato molto difficile subire.

Accusano mio marito di approfittarsi di una tragedia come quella del traghetto Moby Prince per farsi pubblicità e per faredei soldi. Mi permetto quindi di dire la mia, perché c'ero.

Chi getta fango non conosce che Fabio ha rinunciato all'offerta ricevuta di scrivere un libro sulla tragedia proprio per nonlucrare su quei morti.

Non conosce che le interviste che ha accettato di fare non solo non hanno mai avuto un corrispettivo in denaro manonostante le ore al telefono sono state concentrate in pochi minuti di un servizio, talvolta carenti del vero e più ampiosignificato.

Non conosce che ha rifiutato l'offerta di un film­documentario sulla sua vita ed altre offerte che certamente gli avrebberofavorito visibilità o pubblicità che in qualche modo già proveniva dal blog che ha scritto per alcuni anni fino a quando hadeciso di interromperlo e di tornare in ombra.

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Ma soprattutto non conosce di quando Fabio si faceva chilometri a piedi per andare a lavorare la notte dopo averlavorato tutto il giorno per 2 euro e 50 centesimi l'ora per mantenere dignitosamente la sua famiglia con una casa in affittoed il cibo comprato, per poi avere la porta sbattuta in faccia a causa di quattro righe su un giornale.

Non conosce di quando ero in casa sola, di notte, coi bambini piccoli ed hanno tentato di entrare più volte a colpi dimazza, oppure di quando mi hanno quasi investito insieme ai miei figli o alle varie occasioni in cui sono stata pedinata edi tanti altri “oppure” che potrei scrivere ma rischierei di annoiarvi o di dare troppo valore a questi eventi e non vogliopassare per vittima.

Ho vissuto e vivo la percezione della minaccia e tutto lo stress conseguente che con Fabio abbiamo saputo e cerchiamodi gestire, denunciando inutilmente i fatti ai Carabinieri che non mi chiamano per assumere delle informazioni relativealle stesse denunce ma mi telefonano per informare Fabio di qualche incontro per un “colloquio segreto” che deve farecon qualche magistrato.

Fabio ha messo da parte il suo orgoglio e la dignità accettando il sostengo economico da parte dei familiari con lavergogna di essere un marito ed un padre che agli occhi dei più risulta incapace di mantenere la propria famiglia e, perun uomo come Fabio, è un peso insopportabile che lo distrugge.

Ha accettato di rinunciare a svolgere le consulenze in favore degli avvocati che tutelano i bambini vittime di abusi pernon esporli al coinvolgimento nei fatti che lo riguardano, avvocati che mi hanno manifestato tutto il loro apprezzamento eche, come pedagogista, sono in grado di valutare nei contenuti delle decine di consulenze che hanno in tutti i casiraggiunto la vittoria dei processi.

Ha accettato di svolgere tutti i lavori più umili serenamente, forte della dignità di lavorare, anche a nero e col timore cheun curatore fallimentare potesse agire dei problemi per questo.

L'ho visto piegarsi in due dal dolore alla schiena, l'ho visto firmare le dimissioni di ricovero nonostante il parere negativodei medici per tornare a lavorare, l'ho visto aiutare gli ex colleghi e gli amici anche quando gli hanno voltato le spalle.

Ho visto e vedo un uomo che manifesta ai miei occhi ed agli occhi dei nostri figli tutti quei valori degni di un uomo, di unpadre, di un marito.

Sono io stessa adesso a dire basta, a spronarlo a lottare con tutta la sua forza contro questa massa di fango che ci staseppellendo sotto forma di false accuse, pregiudizi, umiliazione e miseria col costante timore di vederci togliere i bambiniperché siamo costretti a chiedere ospitalità ai nostri parenti per offrire loro una casa degna.

Siamo solo diventati poveri e niente altro, siamo dei genitori capaci, intelligenti e sereni e non permettiamo a nessuno diporre in discussione la nostra competenza genitoriale.

La povertà non è una condizione ma una situazione superabile con tutti i sacrifici che stiamo facendo e col coraggio diamarci anche in queste condizioni, in cui ogni giorno temiamo un articolo di giornale che descrive la storia di Fabio come“fantasiosa” senza conoscerla affatto.

Sono stanca di patire il fango che ci gettano addosso coloro i quali sfruttano il pregiudizio e l'ignoranza sociale comestrumento di offesa.

Lotta Fabio, te lo chiedo, combatti per la tua famiglia, non contro un nemico che non voglio e non abbiamo ma controquella ignoranza sociale che rende la collettività manipolabile da parte di chi ha un potere di ingerenza e dicondizionamento.

Ti ho visto piangere in silenzio.

Ti ho visto patire le ire dei parenti che non comprendono i fatti purtroppo complessi e sfogano la loro giusta rabbia condegli eventi più banali.

Ti ho visto reagire in modo sbagliato e per questo ti ho ammonito e fermato.

Non devo e non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno ma desideriamo vivere in una società collettiva, non ai margini,perché non ce lo meritiamo.

Sono costretta a suggerire a Fabio di chiudere la ditta e di farsi da parte, offrendomi come prestanome e che il curatorefallimentare lo sappia chiaramente, per non permettere più a mio marito di essere umiliato nel sentirsi negare una licenzaper cucinare due cose perché “non ha i requisiti morali” per averla a causa del fallimento ancora aperto dopo 13 anni.

Che nessuno si permetta di porre in discussione la moralità, la dignità e l'onestà di mio marito Fabio Piselli, il quale ha

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sempre accettato le responsabilità di ogni sua azione, come una testimonianza fatta secondo tutti i requisiti di legge enon tramite lettere anonime o canali ambigui.

I nostri figli non debbono essere uno scudo ma nemmeno delle vittime innocenti di una guerra che dura da quasi trentaanni con chi nelle istituzioni si nasconde.

Basta, adesso basta. Che vi sia da parte delle autorità giudiziarie o politiche quell'intervento di verifica tale da permetteredi comprendere in cosa è stato coinvolto Fabio sin dalla sua carriera militare, pronto ad assumersene le conseguenzaladdove siano evidenziate delle responsabilità di ogni tipo ma con un intervento tale da riscontrare la veridicità di unainformazione giudiziaria ed i motivi per i quali eventualmente questa non è affatto vera, senza quella approssimatabanalità che leggo in tante carte.

Osservo Fabio spegnersi piano piano col rischio di una depressione, e non me lo posso permettere.

Per questo mi espongo chiedendo solo una cosa, non soldi o sostengo di alcun tipo ma il rispetto della dignità di miomarito quando vi interessate a lui ed ai fatti che lo hanno coinvolto.

Vi chiedo solo di farvi una domanda prima di giudicare o di suggerire dei giudizi oppure di favorirne altri nati da voci,chiedetevi quello che Fabio dice sempre….”e se così non fosse”?

La nostra vita ce la gestiamo per come ci riesce, grazie anche all'aiuto di parenti che comprendono come le nostre madriperchè i padri sono ormai morti ed anche grazie a quelli che non hanno capito nulla perché non hanno l'obbligo dicomprendere le nostre scelte o dei fatti purtroppo complessi.

La parola grazie è sempre sulla nostra bocca ma non per questo manifestiamo sudditanza, al contrario, proprio la dignitàdel grazie ci consente di lottare per quella trasparenza che mio marito chiede sulla sua storia, sia nelle luci che nelleombre.

Fra poche settimane partorisco la nostra terza figlia, voglio che abbia una vita umile ma ricca di quella dignità che Fabiomi manifesta tutti i giorni...

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Cagliari, lo 09 aprile 2015

La tragedia del Moby Prince è stata causata da un incidente ma occorre

capire se questo incidente ha avuto una dinamica del tutto fortuita oppure

se vi sono state delle variabili tali da con­causarlo in qualche modo; per

farlo è opportuno ricostruire un completo quadro di insieme dello scenario

in cui si è mosso il Moby Prince prima, durante e dopo la collisione con una

nave alla fonda ancorata a pochissime miglia dalla costa livornese,

altrimenti si rimane focalizzati esclusivamente sulle immagini dell’evento

che più ci colpiscono o su quelle che le varie inchieste hanno evidenziato

ma in questo modo si rischia di perdere la progressione complessiva degli

eventi di quella sera che ci potrebbe consentire di meglio conoscere lo

scenario e di poter eventualmente riconoscere ogni singola dinamica che

possa aver contribuito a sviluppare i meccanismi che hanno con­causato e

causato la collisione fra due navi di stazza diversa.

Le varie inchieste giudiziarie relative alla tragedia del Moby Prince ci hanno

offerto in più occasioni delle risposte tecniche che possono aver soddisfatto

o meno le esigenze di giustizia di ognuno di noi ma la legge è un fatto

tecnico e, come tale, ci produce una verità tecnica squisitamente giudiziaria

che si basa sulla raccolta dei dati di fatto che chi indaga riesce a produrre.

Raccolta di dati di fatto non necessariamente completi e non non

necessariamente reali in base ai quali chi gestisce l’indagine decide o

meno di andare a processo oppure di chiedere una archiviazione, magari in

attesa di buone e nuove prove tali da rinforzare una ipotesi di reato o per

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offrirci finalmente la certezza dell’incidente avvenuto per tragico destino,

senza doverla ricostruire in modo giudiziario col tentativo di colmare inoltre

quelle lacune conoscitive rimaste vuote attraverso lo sviluppo di altre

ipotesi, anche se qualificate, ma sempre ipotesi restano e non sono quindi

delle incontrovertibili verità seppur espresse da una Procura.

Per quanto mi riguarda, agli occhi della collettività sono finito in questa

inchiesta nel 2007 perchè ne hanno parlato gli organi di stampa ma in

realtà sono coinvolto nella tragedia del Moby Prince sin dalla sera del 10

aprile 1991, perchè l’ho vissuta sin dai primi momenti e sono

sostanzialmente cresciuto con il suo ricordo, col dolore che ho visto

durante i soccorsi alle vittime ed ai loro familiari superstiti, con la

comprensione della evoluzione delle indagini che hanno caratterizzato

l’evento giuridico del Moby Prince.

Ero un ragazzo di ventitre anni quando è avvenuta la tragedia ed oggi sono

un uomo di quarantasette anni, sposato e con figli che ancora si sente

appellare come….”quel Fabio Piselli del Moby Prince”.

Lasciatemi quindi parlare delle ragioni per le quali sono finito dentro l’ultima

inchiesta, per capire non tanto chi sono che poco interessa ma i motivi per

cui ho approcciato l’inchiesta con una interpretazione di tipo “militare” degli

eventi che hanno presumibilmente con­causato la collisione fra il Moby

Prince e la petroliera alla fonda, facendolo in un modo più razionale di

quanto mi è stato invece attributo e spiegando la progressione delle ipotesi

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che ho sviluppato in forza degli elementi di ricerca che ho raccolto nel

corso degli anni.

Ricerca che era nata sin dal 1986 per altre ragioni del tutto personali e da

subito indirizzata negli ambienti militari livornesi e verso la base di Camp

Darby, i cui risultati hanno collimato in alcuni aspetti con l’evento Moby

Prince perchè vi è stata una convergenza di risultanze proprio in detti

ambienti e per questo ho doverosamente informato (ad ogni effetto di

legge e non in modo anonimo) la procura procedente e contestualmente

l’avvocato Carlo Palermo nel periodo durante il quale prestavo da qualche

anno le consulenze alle procure italiane ed alle varie aliquote di Polizia

Giudiziaria in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ero perciò

edotto delle dinamiche investigative di Polizia Giudiziaria e quindi anche

delle responsabilità civili e penali che mi stavo assumendo firmando quelle

relazioni informative.

Procura dalla quale ero già stato sentito proprio in ragione della mia storia

o, se vogliamo, del “caso Piselli” che inzia nel dicembre del 1986, ben

prima della tragedia stessa e che ad oggi non ha ancora trovato una

soluzione definitiva. Ma questa è appunto un’altra annosa storia che si

connette con la tragedia del Moby Prince perchè una ramificazione delle

mie ricerche ha coinciso con lo stesso quadro di insieme del contesto nel

quale è avvenuto l’incidente fra il traghetto e la petroliera, soprattutto dopo

la morte di mio cugino Massimo avvenuta nel 2004 che mi ha permesso di

parlare con i suoi superiori della Difesa statunitense, per i quali lavorava

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come impiegato all’ambasciata americana di Roma negli uffici del

controspionaggio militare.

Non mi sono quindi alzato una mattina del 2007 con delle dirimenti notizie

risolutorie sulle cause della tragedia bensì ho fornito alla procura

procedente quanto a mia conoscenza rispetto alla elaborazione di molte

informazioni raccolte sin dal 1986, che hanno riguardato il solo caso Fabio

Piselli, il quale mi ha portato anche agli eventi del Moby Prince che come

ho detto ho partecipato sin dai primi minuti dopo il may day.

Sono nato nel 1968 di fronte alla Accademia Navale di Livorno ove la mia

famiglia abitava in viale Italia 255, sono cresciuto a Livorno ed ho poi

abitato per molti anni di fronte alla entrata del porto di Livorno in piazza

Luigi Orlando 3 ove dal terrazzo di casa potevo avere la vista completa del

cantiere navale e dell’entrata del porto di Livorno. Mio padre era stato in

vita un marittimo che in quel porto ci ha lavorato sin dai primi anni

sessanta, soprattutto alla Darsena Toscana ed al Marzocco ove l’impresa

di dragaggi marittimi per la quale lavorava aveva il cantiere.

Mio padre è stato un “padrone marittimo” ed ha lavorato sui rimorchiatori,

sui puntoni, sulle chiatte, sulle draghe e sulle bettoline per molti anni sia a

Livorno che in altri porti italiani fino alla pensione che lo ha lasciato nelle

mani di un tumore che nel 1995 se lo è portato in mare per sempre, mare

ove ho disperso le sue ceneri.

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Sono perciò creciuto nell’ambiente del porto di Livorno, andavo con mio

padre al Marzocco ogni volta che potevo, lui aveva la “pessima” abitudine

di essere dedito al suo lavoro e sovente mi portava anche il fine settimana

per controllare gli ormeggi in caso di condizioni meteo avverse o per

programmare il lavoro e l’imbarco degli equipaggi; con lui ho

progressivamente imparato a navigare, mi permetteva di uscire con le

bettoline quando scaricavano i fanghi raccolti dalla draga, posso quindi

affermare con umiltà di conoscere il porto di Livorno, certamente nel

periodo della tragedia, di conoscerne le dinamiche, di conoscerne la gente,

di capire qualcosa di navigazione in mare e soprattutto di conoscere bene il

traffico ordinario d’entrata e di uscita verso e dal porto di Livorno che ho

sempre amato osservare dal mio terrazzo, riconoscendo ogni nave che

entrava in attesa di quella di mio padre quando il suo lavoro era svolto fuori

dalla rada oppure a più lunga distanza.

Mio padre aveva una barchetta ormeggiata allo Scoglio della Regina con la

quale andavamo a pesca fra la Vegliaia e la Meloria, mi portava al porto dai

suoi amici che comandavano i pescherecci che ci regalavano il pesce e da

quelli delle “cantine” con cui si usciva per una pesca di altura, cantine in cui

ho vogato nell’armo del Borgo per qualche tempo. Luoghi che mi sono stati

familiari perchè vi sono cresciuto dentro, sono stato nella squadra di Lotta

Libera del Cantiere Navale Luigi Orlando fino a quando ho intrapreso la

carriera militare dopo il biennio superiore, nel 1985 per poi riprendere gli

studi per diventare un educatore.

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Leggere di me in qualche carta giudiziaria come una persona che non

distingue il nord dal sud è quasi offensivo per gli sforzi di mio padre che mi

ha messo alla barra sin da bambino, sono un sommozzatore da oltre

venticinque anni senza contare che la carriera militare l’ho svolta nei reparti

dell’artiglieria paracadutisti e missilistica, senza contare i corsi alla scuola

sottufficiali, luoghi in cui la topografia e l’orientamento erano materie di

base che mi hanno consentito di saper almeno usare una bussola e di

saper leggere una carta topografica tanto da distinguere i punti cardinali.

Proprio un evento accaduto nel 1986 durante la mia carriera militare ha

sviluppato “il caso Piselli”. Periodo nel quale frequentavo assiduamente la

base di Camp Darby prima e dopo essere giunto in servizio anche alla

Brigata Paracadutisti Folgore, base in cui ho avuto una relazione con una

soldatessa americana che operava nel battaglione che gestiva il terminal

portuale livornese e le navi utilizzate per il trasporto del materiale militare

americano fra cui quello bellico. Donna dalla quale ebbi il mio primo figlio

poi purtroppo deceduto per SIDS che oggi sarebbe stato un uomo fatto di

quasi trenta anni.

A riprova di quando ho sempre detto, che mi è stato più volte negato, è

stato finalmente possibile recuperare un documento dei carabinieri della

compagnia interna a Camp Darby dal quale emerge una relazione datata

gennaio 1986 che mi indica con nome e cognome alla guida di una

automobile in uso alle forze armate americane targata AFI, documento che

precede il recupero di altri documenti che ora possono dimostrare veritiero

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quello che mi è spesso stato attribuito come fonte di un millantatore o

addirittura di un povero pazzo.

Da quanto fino ad ora ho scritto è possibile dedurre che avevo motivo di

conoscere il porto di livorno e che avevo motivo di conoscere la base di

Camp Darby e parte del suo personale italiano ed americano, compreso le

caserme ed il personale dei paracadutisti della Folgore in cui ho prestato

servizio. Inoltre nella mia famiglia vi sono stati dei parenti che hanno

storicamente lavorato dentro l’ambasciata americana di Roma sin dal

primissimo dopoguerra come autisti degli addetti militari della Defense

Intelligence Agency, parenti che ho sempre frequentato anche nei loro

ambienti di lavoro in cui ho contratto delle amicizie col personale

americano ivi operante, parenti la cui casa è ancora tappezzata dei

riconoscimenti e dagli encomi firmati da quasi tutti i presidenti americani dal

1948 al 2004 e dai molti comandanti dell’intelligence militare per i quali

hanno lavorato.

Quando è avvenuta la tragedia del Moby Prince non ero quindi solo un

cittadino livornese che abitava fronte mare e che ha partecipato ai soccorsi

come hanno fatto in molti, ero già stato un soldato professionista in reparti

di elevata qualità ed inserito in un settore che ancora oggi mi costringe ad

essere chiamato da qualche procura procedente i fatti avvenuti in Italia fra

il 1987 ed il 1994. Avevo già avuto esperienze all’estero in ambienti ostili

ed altre esperienze anche estremamente dure e traumatiche per il giovane

che ero, ove nel tempo libero quando restavo a Livorno ero inserito come

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volontario presso la Pubblica Assistenza sia sulle ambulanze che in una

allora embrionale sezione della protezione civile, per questo ho partecipato

direttamente ai soccorsi ed ho potuto vivere in prima persona tutte le fasi e

gli interventi dall’approccio alla nave al riconoscimento dei resti dei corpi

recuperati e trasportati presso l’hangar “Karin B” appositamente approntato

per l’emergenza Moby Prince.

Questo hangar si chiamava “Karin B” perchè era stato a suo tempo

destinato alle operazione legate alla “nave dei veleni” cioè la stessa “Karin

B”. Hangar che nel 1988 avrebbe dovuto ospitarne i fusti tossici, motivo per

cui fui parte della selezione di una aliquota della protezione civile locale

appositamente formata anche dai VV.FF. specializzati in tal senso, poi

dopo varie lotte politiche i rifiuti furono portati in Emilia Romagna anche se

quelli peggiori rimasero in realtà in Africa, nel porto di Koko in Nigeria ed

altri inviati in Somalia.

Ho vissuto quindi l’evento Moby Prince con tutta la esperienza fino ad

allora acquisita, con la piena conoscenza dei luoghi in cui la tragedia è

avvenuta, con la totale consapevolezza degli ambienti militari e di ciò che

alcuni settori più qualificati di questi rappresentavano in termini di

importanza militare oltre il territorio livornese ed i confini nazionali.

La mia attività è stata certamente quella legata alle operazioni di soccorso

e di assistenza relative alla tragedia del Moby Prince ma con una ottica di

più ampio respiro proprio in ragione delle mie caratteristiche, arricchite

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anche dal periodo durante il quale avevo cooperato all’estero con delle

società di sicurezza private straniere, in cui vi erano anche degli operatori

israeliani che ho poi rincontrato qualche tempo dopo quando ho abitato

all’Isola d’Elba ove questi avevano la propria base mentre prestavano la

propria opera in favore della società armatrice del Moby Prince.

Quanto sopra descrive le ragioni della mia “interpretazione militare” del

contesto nel quale si è consumata la tragedia del Moby Prince.

Interpretazione che ha sviluppato nel corso degli anni alcune ipotesi, talune

immediatamente cadute ed altre invece coltivate soprattutto nel momento

in cui hanno trovato prima la genesi poi un potenziale riscontro nella

convergenza con i risultati delle ricerche che come ho già spiegato stavo

conducendo negli ambienti militari livornesi ed a Camp Darby per delle

ragioni personali legati agli eventi del 1986.

Sia ben chiaro che ho sempre parlato di ipotesi, non di fatti già provati, per

questo ho scelto di informare la procedente autorità cosciente che solo una

indagine ufficiale e fatta secondo le corrette procedure avrebbe potuto

ottenere quegli stessi ed anche maggiori risultati da utilizzare sotto il profilo

probatorio all’interno di un eventuale processo, che da parte mia avevo

raggiuno in minima parte in modo meno ortodosso e per ragioni diverse.

Ero ben cosciente che interrogare eventualmente un ufficiale

dell’intelligence militare statunitense da parte di una ordinaria procura

italiana sarebbe stato impossibile ma rappresentava un tentativo utile per

proiettare in termini politici quel che la ordinaria giustizia trovava come

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ostacolo, certo del fatto che quanto era avvenuto intorno al Moby Prince

prima durante e dopo la tragedia, aveva a mio avviso dei chiari connotati di

politica estera e questa è stata la ragione per la quale mi sono assunto la

responsabilità di fare i nomi di coloro con cui avevo avuto dei contatti

interni agli ambienti militari e di intelligence sia italiani che americani e di

indicare dei soggetti come potenziali detentori di memorie o di conoscenze

sul contesto generale del porto di Livorno del 10 aprile 1991, dai quali

magari poter ottenere una maggiore collaborazione in termini di

testimonianza.

Nomi che ho fatto in modo tale da poter donare a queste persone tutte le

risorse di legge per tutelare i loro interessi anche contro le mie stesse

dichiarazioni testimoniali, non ho mai infatti aderito a forme diverse dalla

corretta testimonianza assumendomene tutte le più complete

responsabilità ad ogni effetto di legge. Faccio presente che in tutti questi

anni non ho mai ricevuto nessuna denuncia o condanna per calunnia o

diffamazione e che la mia fedina penale è pulita.

La tragedia del Moby Prince è avvenuta in un contesto in cui vi erano in

essere dei movimenti di materiale bellico militare in corso prima, durante e

dopo la collisione, avvenuta quindi in un teatro di operazioni militari ed

anche agli occhi di personale militare.

Negli anni abbiamo assistito alla progressiva identificazione di quelle navi

cooptate dalla Difesa statunitense utilizzate anche la sera del 10 aprile

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1991 per il trasporto delle armi da e per la base di Camp Darby ed il porto

di Livorno, alcune delle quali erano note ed altre invece tenute segrete fino

a poco tempo fa. Navi inserite in un contesto di operazioni militari in pieno

allarme “guerra del golfo”, erano infatti gli ultimi giorni della prima guerra

del golfo ed era ancora attivo il sistema di allarme e di protezione militare

anche nel porto di Livorno. Una di queste navi non è stata ancora

identificata con certezza, la quale resta la nota nave fantasma che rimane

una protagonista degli eventi di quella sera.

Rispetto alla mia conoscenza relativa a queste navi posso dire, come ebbi

già a dire nel corso dei vari interrogatori sostenuti avanti la procedente

procura, che la soldatessa americana con la quale avevo avuto una

relazione alla fine degli anni ottanta e dalla quale ebbi un figlio lavorava

proprio nel battaglione dell’esercito americano che si occupava della

gestione di quelle stesse navi, che lei definiva col termine “cover sisters”.

Questa ragazza lavorava non in base ma in un ufficio esterno a Camp

Darby che in quel periodo si trovava a Stagno all’interno di una anonima

palazzina e conosceva le dinamiche del terminal portuale, anche quelle

relative al trasporto delle armi e degli esplosivi gestito da un’altra sezione

dell’esercito americano ma partecipato anche dal suo reparto e dai

dipendenti italiani che in esso operavano.

Faccio presente che durante il confronto che ho accettato di sostenere

avanti la procura procedente con un dipendente italiano di Camp Darby

responsabile del terminal portuale ho avuto l’autorizzazione dai magistrati

Page 15: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

per somministrargli dei quesiti ottenendo delle risposte dalle quali si può

oggi capire che in casi eccezionali il materiale bellico poteva essere

trasportato anche tramite dei mezzi gommati, non solo ed esclusivamente

tramite le chiatte ed il canale dei navicelli quindi. Mezzi gommati che

potrebbero essere stati usati anche la sera del 10 aprile 1991 senza essere

identificati oltre alle normali chiatte che invece erano sensibili alla

sorveglianza.

E’ stato possibile comprendere che il personale italiano operante nel corso

dei trasporti delle armi e degli esplosivi fra il porto e Camp Darby smontava

alle ore venti, mentre quando gli americani decidevano di continuare il

movimento del materiale bellico oltre le ore venti utilizzavano solo il

personale militare americano.

E’ stato possibile comprendere che a bordo delle navi militarizzate dalla

Difesa statunitense per il trasporto del materiale bellico potevano esservi

imbarcati dei militari americani o dei contractors civili per la sicurezza,

anche armata, e per le comunicazioni con le stazioni di terra tramite un

sistema radio codificato.

Sarebbe ancora oggi possibile quindi recuperare le memorie di coloro

impiegati in tal senso la sera del 10 aprile 1991, di verificare se nei loro

rapporti vi sono stati segnalati degli scontri, verificare se i loro canali radio

erano noti oppure avevano altre frequenze fino ad oggi non valutate.

Page 16: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

Quanto sopra rispecchia pienamente il carattere del contesto militare del

quale ho parlato accennando al mio approccio interpretativo di tipo militare

delle con­cause che hanno portato un ordinario e quotidiano traghetto di

linea come il Moby Prince a collidere con una petroliera alla fonda.

Ipotesi che ha preso sostanza quando ho incontrato nel corso delle mie

ricerche, come ho detto nate per motivi personali ma condotte in un

ambiente convergente con quello del Moby Prince, dei personaggi che

hanno fornito delle notizie relative ad un presunto movimento di armi

parallelo a quello americano, indirizzato verso la Somalia e distratto anche

per altre destinazioni.

Occorre capire che il movimento di armi condotto dagli americani era un

evento noto alle autorità di sicurezza italiane anche nei suoi aspetti tenuti

segreti ai magistrati, era quindi sostanzialmente autorizzato in ogni sua

forma mentre il presunto parallelo movimento di armi verso la Somalia

rappresentava un traffico di armi del tutto illegale e clandestino, condotto

sotto l’ombrello americano ed in esso nascosto, presumibilmente noto

anche agli americani stessi ma certamente noto alla sicurezza italiana

perchè un simile traffico era parte di quella politica estera di cui ho fatto

accenno in sede giudiziaria definendola “politica estera clandestina” atteso

che si stava armando almeno dal 1987 un governo come quello somalo di

Siad Barre che proprio nella primavera del 1991 ha visto la caduta ed il

processo di cambiamento della Somalia fra i vari signori della guerra, tanto

da portare poco dopo la comunità internazionale alla nota missione di pace

Page 17: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

partecipata anche dai contigenti italiani e resa famosa non solo per i nostri

caduti ma anche per l’omicidio di Ilaria Alpi e di Miram Hrovatin, che

conducevano delle ricerche sul presunto traffico di armi e di rifiuti tossici fra

l’Italia e la Somalia.

Da quanto fino ad ora ho scritto è possibile iniziare a comprendere le

ragioni della mia interpretazione di tipo militare alla quale ho fatto accenno,

che non è nata per giocare all’agente “zerozerobeppe” in forza di chissà

quale fantomatica psicopatologia o frustrazione condizionante il mio

equilibrio mentale, bensì dalla razionalizzazione di un evento irrazionale

come una strage del genere, razionalizzando anche le ipotesi che agli

occhi di chi è estraneo alle operazioni militari di quel tipo sembrano

appunto roba da film.

Nel farlo non ho cercato di rendere razionale l’irrazionale con l’adattamento

delle ipotesi ad una valutazione logica spiegandole perciò con delle ipotesi

logiche per essere ricondotte ad una ordinaria interpretazione di un

semplice incidente, come hanno fatto i magistrati, ma ho semplicemente

reso razionale quel che appare irrazionale proprio perchè fuori

dall’ordinario senza però snaturarne i contenuti ma donandogli la cornice

dell’ambiente in cui gli eventi si sono originati, nel caso di specie un

ambiente con connotati tipicamente militari.

Nella mia valutazione non mi è apparso affatto irrazionale ipotizzare che

dato il quadro di insieme del contesto militare nel quale il Moby Prince è

Page 18: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

andato a collidere contro una petroliera alla fonda, non era così impossibile

che i sistemi elettronici e le unità umane attivate per la protezione ed il

monitoraggio delle operazioni militari in corso prima durante e dopo la

tragedia avversero potuto rilevare qualcosa di utile per le indagini.

Mi sono chiesto che se effettivamente vi fosse stato un parallelo traffico di

armi con la Somalia, doveva altresì esservi stato un parallelo sistema di

protezione. Proprio perchè quel tipo di operazioni non erano delegate a dei

contrabbandieri di chinotto ma a persone con una preparazione militare o

almeno con una ampia copertura in tal senso e, se tale protezione vi era

effettivamente stata, non poteva che essere stata delegata a quei reparti

dedicati per le operazioni clandestine che in Livorno avevano

sostanzialmente casa ove vi erano certamente i reparti da quali

provenivano coloro inseriti in quei settori candestini delle forze armate e

dell’intelligence in allora esistenti; alcuni dei quali ho potuto conoscere

durante la mia permanenza sia alla Folgore che a Camp Darby ed altri

invece resi noti alla collettività perchè uccisi in Somalia o poco dopo la

stessa missione.

Gente che ha potuto in via ipotetica vedere, sentire e relazionare al proprio

livello superiore, dal capocellula all’autorità politica, quanto ha appunto

visto sentito e comunicato mentre la tragedia è avvenuta oppure quanto ha

rapportato nei momenti successivi, magari apportando qualsivoglia

classifica di segretezza sui propri inforep o reports che può ancora oggi

essere eventualmete declassificata. Documenti che se esistenti sono infatti

Page 19: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

ancora oggi potenzialmente estraibili da qualche segreteria speciale ma

solo con un intervento politico, con un serio intervento politico e non solo

una mera azione politica che possa offrire le risposte banali e cartolari già

avute.

Per quanto concerne invece gli israeliani voglio spiegare che non ho mai

detto, contrariamente a quanto mi è stato attribuito dalla procura, che la

tragedia del Moby Prince è stata causata da una battaglia fra “agenti del

mossad e terroristi palestinesi” avvenuta nel porto di Livorno. Non ho mai

detto una fregnaccia del genere e fortunatamente vi sono i video degli

interrogatori che potranno un giorno meglio definire quanto ho risposto ai

magistrati.

Ho parlato di israeliani e di una loro attività in essere nei momenti della

tragedia perchè sapevo della loro presenza in quel periodo nella zona

livornese, presenza riferita a dei civili di cittadinanza israeliana che

operavano all’interno di una società privata che forniva dei servizi di

sicurezza di elevata qualità sul territorio livornese e nella provincia; sapevo

che gran parte di loro proveniva da esperienze militari nella Difesa dello

Stato di Israele, perchè in quegli anni chi generalmente lasciava le forze

armate del proprio paese e desiderava restare nell’ambiente entrava in

questi circuiti, oggi noti e meglio organizzati mentre a quel tempo erano

gestiti quasi esclusivamente dai britannici, dai sudafricani e dagli israeliani

alcuni dei quali avevo già incontrato mentre io stesso avevo operato

all’estero in tal senso fra il 1989 e la fine del 1990. Niente di spionistico

Page 20: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

quindi ma un altro aspetto della sicurezza paramilitare, utilizzata anche da

molti governi in termini di consulenza e di formazione e come ho detto oggi

considerata una prassi ordinaria.

Sono stati prima gli uomini della Polizia di Stato poi quelli del Sismi ad

identificare i cittadini israeliani operanti nella società di sicurezza privata

presente all’Elba come ex appartenenti al Mossad, non li ho mai indicati

come tali ma solo come ex militari israeliani.

Ho detto invece che per quanto era a mia conoscenza questi israeliani

operavano nella zona livornese e nella zona di Savona già prima della

tragedia del Moby Prince e non solo dopo che l’armatore del traghetto ebbe

ad incaricarli della sicurezza a bordo, magari lavoravano per altri incarichi

ma certamente erano già attivi a Livorno.

Faccio presente ai lettori che da altre indagini relativi ai fatti somali ed al

traffico di armi, è emerso che l’intelligence israeliana aveva effettivamente

attivato in quegli anni un monitoraggio mirato verso alcuni elementi dei

paracadutisti italiani sia essi operativi in Somalia che nelle loro caserme

livornesi. Forse gli stessi militari italiani presumibilmente già presenti a

Bosaso in Somalia prima della missione Restore Hope ed Ibis.

Informo per questo i lettori che durante il confronto che ho accettato di

sostenere con un ex collega della Folgore in servizio nelle forze speciali, al

quale i magistrati mi hanno autorizzato di somministrare dei quesiti, gli ho

Page 21: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

chiesto quindi della sua eventuale esperienza diretta o conoscenza

operativa della presenza di militari italiani a Bosaso prima durante e dopo

la missione italiana in Somalia, considerando che Bosaso che era una

zona fuori dalla competenza della operatività della stessa missione italiana.

L’ex collega ha risposto inizialmente riferendosi a Bosaso a mio avviso

quasi in modo positivo, poi ha chiesto di essere eventualmente sollevato

dal segreto ed il magistrato ha giustamente interrotto i miei quesiti che si

sono quindi rivolti alla volontà di avere una conferma, ottenuta, della mia

presenza negli uffici del suo comando laddove mi era invece sempre stata

negata o dipinta di millanteria ogni mia espressione in tal senso.

E’ infatti oggi possibile dimostrare veritiera la mia presenza all’interno di

uffici del comando di reparti di elevata qualità, all’interno di uffici di forze di

polizia e di altri uffici fino a prima negata e descritta come millanteria di una

sorta di povero frustrato. Magari c’ero solo per un caffè ma occorre capire il

perchè per tutte le volte che sono stato in questi luoghi la mia presenza

non è mai stata documentata, immediatamente negata e risultata tale solo

dopo i miei sforzi in tal senso o dopo aver più semplicemente fonoregistrato

gli incontri.

Nella mia ipotesi, che ho fornito ai magistrati elaborata dai risultati delle

ricerche condotte e converse coi fatti del Moby Prince ho parlato che nel

periodo della tragedia il traffico di armi italiano diretto in Somalia era

presumibilmente protetto da operatori dei settori clandestini della nostra

intelligence militare, quasi tutti provenienti dai nostri reparti speciali di base

Page 22: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

a Livorno, facendo il nome di chi avrebbe potuto eventualmente offrire

anche la propria memoria, nome che ho fatto nel modo già descritto

offrendogli tutte le garanzie di legge per la tutela dei suoi interessi.

Ho detto che parte di quel traffico poteva essere distratto anche verso altri

destinatari frai quali dei palestinesi, perchè i risultati acquisiti dalla mia

successiva presenza in Libano nel 2007 mi avevano confermato questa

ipotesi e la ragione dell’interesse israeliano di monitorare questi eventi in

quel tempo, tramite le loro antenne sul territorio, ovvero quegli stessi

operatori di sicurezza privati che il nostro Sismi ci dirà essere stati degli

agenti del mossad, non il Piselli. Gli stessi operatori che la Navarma poi

impiegherà a bordo dei suoi traghetti.

Ho detto ai magistrati che questo gruppo operativo israeliano utilizzava dei

piccoli pescherecci italiani basati anche a Piombino coi quali

raggiungevano Livorno, che sostanzialmente affittavano pagandone gli

armatori dei quali ho indicato i dati anagrafici ai magistrati sempre con le

stesse garanzie di legge già sopra spiegate. Uno di questi è stato arrestato

poco dopo per presunti fatti di droga mentre è emerso realmente che

almeno uno di questi pescherecci era presente nella rada del porto di

Livorno la sera della tragedia del Moby Prince.

Per quanto concerne il termine “battaglia“ questo non è effettivamente

sbagliato, termine che i magistrati mi hanno attribuito perchè ho

effettivamente parlato di un ipotetico scontro avvenuto fra chi era a bordo di

Page 23: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

una imbarcazione piccola, simile ad un peschereccio, e chi proteggeva il

traffico di armi clandestino verso la Somalia che era a bordo di tre

motoscafi veloci con almeno tre operatori imbarcati su ognuno di essi,

partiti sia dal porto di Livorno che provenienti da Marina di Pisa e diretti

nella rada di Livorno.

Ho parlato effettivamente che una piccola imbarcazione è andata in

fiamme, indicando non il “XXI Oktoober II” come mi è stato attribuito dai

magistrati bensì il peschereccio affittato dagli israeliani, che era molto più

piccolo della nota nave della Shifco. Piccolo peschereccio che prima di

affondare ha quasi colliso mentre era già in fiamme con la petroliera alla

fonda nella fiancata opposta a quella contro la quale si è scontrato poco

dopo il Moby Prince.

Questo è stata la ipotetica “battaglia” di cui ho parlato, nessun terrorista

palestinese presente a Livorno quella sera quindi come mi è stato

attribuito. In realtà l’unico riferimento che fatto inerente un palestinese

riguardava un collaboratore del contingente italiano della prima missione in

Libano, quella di Angioni e Pertini per capirci, che ancora offriva qualche

notizia perchè residente in Toscana ed ancora in contatto con degli

elementi della Folgore e del “Tuscania”.

Orbene sono cosciente che agli occhi di chi è estraneo alle operazioni

militari in tal senso tutto questo potrà somigliare ad un film, ma per chi è

addentro all’ambiente non è così impossibile ipotizzare l’attività di una

Page 24: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

aliquota di osservatori nascosti dentro un anonimo peschereccio che

monitora un obiettivo di interesse operativo, imbarcazione che per qualche

ragione finisce in fiamme forse per un banale incidente o forse per uno

scontro con chi proteggeva l’obiettivo osservato, esfiltrandosi poi dalla zona

nei modi possibili o preventivamente già pianificati da una precedente

opera di intelligence condotta in modo tale da valutare tutti gli indici di

rischio e di compensarli sia con mezzi propri che coi mezzi d’ambiente.

Personalmente ho svolto delle attività simili nel mio lavoro, per esempio

quando insieme alla polizia giudiziaria era necessario superare la

sorveglianza e la protezione di alcuni soggetti indagati sui cui mezzi o nelle

cui case dovevo piazzare dei sistemi di intercettazione ambientale, si pensi

per esempio ad una riunione di rapinatori o di trafficanti di droga,

calcolando preventivamente tutti i rischi, dall’indice di pericolosità degli

stessi indagati, ai rischi di ambiente fino alla eventuale attività di sgancio o

di confronto nel caso questi si fossero accorti della nostra presenza.

Trattandosi di banditi, magari anche armati, è idoneo ipotizzare che la

polizia giudiziaria presente, armata, avesse potuto reagire dando così vita

ad uno scontro armato motivo per il quale questo tipo di operazioni sono

pianificate in forza del minimo indice di rischio per le persone estranee.

Per offrire un esempio semplice a chi legge e non ha un quadro chiaro di

cosa è avvenuto nella rada di Livorno, si può ricostruire immaginativamente

la scena pensando ad una auto al cui interno vi sono dei soggetti che

monitorano altri soggetti su altre auto, circondate da tanti camion che si

Page 25: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

muovono in un piazzale non grandissimo carichi di armi e di esplosivi,

mentre un bus di linea colmo di passeggeri segue il suo normale percorso

passandovi vicino, fino a quando queste auto si scontrano ed accade

qualcosa che fa mutare percorso al bus tanto da finire contro un enorme tir

parcheggiato carico di benzina causando il rogo che ucciderà i passeggeri

del bus.

Per cercare di comprendere il percorso del Moby Prince, che lo ha portato

dalla sua rotta ordinaria contro la petroliera alla fonda, ho sviluppato in

allora anche un’altra ipotesi, ripeto solo una ipotesi, rispetto ad una

potenziale “presa nave” la quale è nata dalla valutazione della dinamica

della collisione, dalla valutazione della posizione dei corpi delle vittime,

dalla valutazione dei residui degli esplosivi trovati a bordo e dalla attenta

valutazione di quanto riportato dalla testimonianza di un presunto

pescatore e radioamatore che disse di aver visto dei motoscafi sottobordo

del Moby Prince con gente che sembrava salire o scendere dalla nave,

prendendo immediatamente atto che avrebbe potuto semplicemente aver

visto la pilotina dei piloti del porto.

Proprio questa ultima testimonianza fu inoltre a suo tempo scartata dai

magistrati dopo che vi fu un tentativo di ricostruire il collegamento via radio

con tale Luccio, che disse di trovarsi in mare durante una trasmissione

televisiva, che finì in una sorta di burla con il presunto testimone che in

realtà stava trasmettendo da una auto parcheggiata a due passi dalla regia

dicendo di essere quello stesso Luccio che vide cosa accadde la sera della

Page 26: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

tragedia del Moby Prince ed ingannando anche gli stessi autori della

trasmissione.

Il racconto originale aveva invece nei suoi contenuti degli elementi che

successivamente hanno avuto dei riscontri nelle mie ricerche, ovvero la

presenza di almeno un motoscafo visto poi anche da altri testimoni più

genuini sottobordo del Moby Prince, con sopra tre uomini che rimasero in

silenzio e inattivi nonostante l’emergenza.

Motoscafo la cui presenza portò la procura a sentire il senatore Andreotti

rispetto a degli eventuali segreti militari atteso che egli era in carica nel

1991, audizione che fu pubblicizzata sui giornali proprio mentre con

l’avvocato Palermo stavamo cercando di raccogliere la testimonianza di

personale militare che avrebbe potuto saperne di più di quei motoscafi,

militari che invece si allarmarono proprio per quel tipo di articoIo che

riguardava esattamente quello su cui ci stavamo confrontando, che credo

pubblicò il settimanale Panorama, ex colleghi che individuarono in me non

più una sorta di “mediatore di testimonianza” ma un “infame” che li aveva

traditi.

Nei risultati delle mie ricerche evidenziai infatti dei motoscafi che si erano

mossi da Marina di Pisa verso il porto di Livorno passando per il

Calambrone, ove questo Luccio disse di averli visti e di aver sentito

qualcosa via radio che riportò al suo amico radioamatore a terra, un

livornese che conoscevo bene perchè inserito nella protezione civile e col

Page 27: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

quale potei parlare anni dopo, il quale confermò che Luccio aveva

effettivamente visto dei motoscafi descrivendone le dinamiche che in

minima parte risultarono essere compatibili con gli elementi di riscontro che

avevo raccolto.

Ho parlato poi della ipotesi di una “presa nave” rispetto alla posizione dei

corpi delle vittime del Moby Prince perchè questi sono stati ritrovati tutti o

quasi tutti in un unico ambiente, come radunati in esso, ma in realtà i

passeggeri del traghetto non avrebbero avuto il tempo di essere stati resi

edotti in così pochi minuti della ubicazione esatta dei punti di ritrovo in caso

di emergenza ed in modo così ottimale per raggiungerne uno ed uno solo

tutti insieme, soprattutto grazie ai soli avvisi informativi sulle misure di

sicurezza che generalmente in quel periodo erano tramessi via interfono o

tramite video e non sempre ascoltati da tutti i passeggeri intenti a

posizionarsi in cabina o nei vari punti del traghetto.

I rapporti ufficiali ci hanno inoltre sempre detto che le vittime erano morte

poco dopo l’incendio, che la sopravvivenza a bordo è stata scarsa e

scadeva così l’ipotesi che avessero potuto effettivamente affrontare

l’emergenza superando le fiamme ed il fumo da più punti della nave per

raggiungere il salone nel quale sono stati ritrovati in massa.

Prendeva invece spessore l’ipotesi che questi fossero già stati radunati nel

salone prima della collisione, come avviene nelle procedure di “presa nave”

di tipo militare concentrando le persone in un unico ambiente e dividendo

Page 28: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

da questi il comandante ed il personale in plancia più importante, ipotesi

rinforzata anche dal presunto cambio di rotta della prua del Moby Prince.

Relativamente alle tracce di esplosivo di tipo militare che sono state

repertate da un perito del tribunale, queste erano certamente scadenti per

valutare l’ipotesi di un attentato o di una bomba a bordo per questo le ho

ipoteticamente ricondotte alla dotazione individuale degli operatori intenti

alla “presa nave”, come generalmente avviene nel corso di queste attività

sia condotte da unità di intervento speciale di tipo istituzionale sia da parte

di operatori privati con una simile esperienza. Piccole quantità di esplosivo

non idonee per un attentato ma certamente capaci di produrre una azione

utile per abbattere delle porte o delle antenne di comunicazione per

esempio con delle piccole cariche taglienti e demolenti.

Inoltre nel corso delle attività di recupero dei resti delle vittime dalla nave

da parte dei VV.FF. i quali li ponevano nelle sacche che poi ci

consegnavano sotto bordo per portarle all’hangar Karin B, sono state

recuperate alcune armi da fuoco, delle pistole che personalmente potei

vedere riconoscendo in queste quelle tipiche in dotazione alle FF.PP.

italiane e ricondotte a chi perito nel rogo lavorava in esse ma anche un

modello che in quegli anni non era così comune, non immediatamente

attribuibile a nessuno.

In aggiunta sembrava esservi un numero di vittime superiore ai 140 corpi

ufficialmente riconosciuti, ovvero 147, motivo per cui nacque l’ipotesi della

Page 29: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

presenza di altre persone perite a bordo ma nel corso dei miei interrogatori

ho sottolineato che proprio la confusione generale vigente dentro l’hangar

Karin B ed il terribile stato di quel che trovavamo dentro le bodybags

avrebbe potuto indurmi in errore nel conteggio dei corpi durante la

ricomposizione dei resti.

Quanto sopra ha giustificato l’ardita ipotesi della “presa nave” sviluppata

con la piena consapevolezza che avrebbe stimolato una reazione critica,

ma comunque compatibile e complementare con l’ipotetica azione militare

legata ad un precedente scontro avvenuto nelle acque in cui il Moby Prince

navigava.

Ipotesi che mi sarei aspettato eventualmente considerate essere di scarso

valore investigativo da parte degli inquirenti ma non tali da meritare quella

volontà riduzionista, delegittimante e sostanzialmente denigratoria che ho

ricevuto.

Ipotesi nate dalla mia convinzione che poco prima della collisione fra il

traghetto e la petroliera alla fonda vi fosse stata in essere una attività

emergenziale tale da condizionare i movimenti di più navi, attività militare e

conflittuale confermata anche dal ritrovamento dei resti di una

imbarcazione nel fondale della rada di Livorno proprio al punto nave della

zona di collisione.

Page 30: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

Per quanto concerne le anomalie del traffico radio nei momenti del may

day queste potevano essere a mio avviso anche ipoteticamente

riconducibili ad una attività di tipo militare compatibile con lo scenario sopra

ipotizzato.

La nebbia, che nel corso della mia attività la sera del 10 aprile 1991 non ho

mai avvistato, salvo il fumo dopo il rogo, avrebbe (laddove esistente) potuta

essere stata prodotta bruciando gasolio in mare da parte di chi necessitava

di occultare la propria attività di trasferimento di carichi da una piccola

imbarcazione proveniente dal porto di Livorno ad una più grossa nave

“balena” presente in rada.

Il fatto più importante che mi ha permesso di rinforzare questa ipotesi è

stato la raccolta di notizie in ambienti americani che sembravano

avvalorare l’ipotesi di un qualche incidente avvenuto prima della collisione

del traghetto e del successivo rogo, incidente che aveva allarmato tutti i

sensori di sicurezza e le unità di pronto impiego, compreso un sistema

mobile di comunicazione e di monitoraggio presente dentro la base di

Camp Darby e non solo quello della base di Coltano del quale ha parlato

un anonimo telefonista durante una trasmissione televisiva, dicendo di

essere un dipendente italiano della base e che gli americani avevano visto

tutto coi loro sistemi di monitoraggio elettronico.

Persona che avevo creduto di poter identificare tramite un altro dipendente

italiano della base che avevo segnalato alla autorità procedente unitamente

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ai militari italiani inseriti in un dispositivo di elevata qualità presumibilmente

attivati la sera della tragedia.

Unità satellitare mobile, ovvero un camion container attrezzato simile a

quelli in uso all’artiglieria contraerei, che era parcheggiato dentro la base di

Camp Darby anche la sera del 10 aprile 1991, da utilizzare sia per le

attività di monitoraggio e controllo che per la gestione dei voli dell’elicottero

in uso al comando di Camp Darby che in quel periodo era ad esclusiva

conduzione americana, con la sola presenza italiana rappresentata da un

ufficiale di collegamento della Folgore, dai carabinieri della Setaf e da una

aliquota di operatori speciali inseriti in un dispositivo in allora esistente a

livello Nato.

Tornando alla mia persona, a quel Piselli del Moby Prince, ho letto una

descrizione fortemente denigratoria nei motivi della richiesta di

archiviazione da parte della procura procedente, nella quale si toccano dei

fatti della mia vita in modo riduttivo, supponente, superficiale, induttivo ed

oggettuale tale da rinforzare l’ipotesi di avere a che fare con una sorta di

povero scemo o di alcolizzato da fumosa birreria.

Premesso che non bevo e non fumo, che la mia salute mentale seppur

provata da talune esperienze traumatiche sembra ancora soddisfare i

canoni clinici della cosiddetta normalità, che conduco una vita semplice

dedicata a mia moglie ed ai miei figli, posso rispondere a quella

delegittimante descrizione che ho letto senza creare polemiche ma nel

Page 32: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

pieno rispetto del lavoro dei magistrati, evidenziando alcune conclusioni

errate che mi sono state attribuite, una parte delle quali ho già descritto nei

contenuti sopra esposti ove ho spiegato che non ho mai parlato di

“battaglia fra agenti del mossad israeliano e terroristi palestinesi” avvenuta

nelle acque di Livorno bensì della presenza di cittadini israeliani che poi il

Sismi ci dirà essere stati ex agenti del mossad ed ove non ho mai detto che

il “XXI Oktoober II” è la nave affondata, bensì ho parlato di un piccolo

peschereccio presumibilmente compatibile coi resti individuati poi dalla

procura procedente.

I magistrati nella richiesta di archiviazione nella parte che mi riguarda

sembrano in un passaggio di rinforzo alla loro valutazione schernire il fatto

che “gli agenti del mossad possano o meno toscaneggiare”. Sempre

premesso quanto ho già detto rispetto a questi israeliani faccio comunque

presente in via indicativa che nella Difesa israeliana militano alcuni ufficiali

che sono cresciuti nella comunità ebraica livornese, con almeno uno dei

quali usavo distribuire da bambino “il gong” che era un manifesto di

Livornocronaca poi diventato Il Vernacoliere, militare israeliano che posso

assicurare parlare il livornese meglio di me che sono cresciuto nel quartiere

del porto di Livorno.

I magistrati trovano inoltre, sempre nella loro relazione, alcuni nomi che ho

indicato come operatori dell’intelligence militare statunitensi come “poco

americani”. Non posso far altro che evidenziare che alcuni membri della

mia famiglia emigrati nei primi del ‘900 negli USA hanno oggi lo stesso

Page 33: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

cognome, Piselli, ma sono cittadini americani da molte generazioni che

hanno mantenuto quindi ai loro occhi un cognome “poco americano”.

Nel corso di quella richiesta di archiviazione, nei punti che mi riguardano,

ho potuto contrastare alcuni commenti e delle dichiarazioni che tendono a

descrivermi come un millantatore in forza del risultato delle indagini

condotte pregne di notizie valutative in tal senso e non qualitative. Grazie al

recupero dei documenti che mi furono sequestrati nel novembre del 2007

per una accusa che poi si è rivelata infondata dopo cinque anni di indagini,

si può infatti evincere da questi documenti in alcuni casi l’esatto contrario di

quanto invece scritto nella stessa richiesta di archiviazione, tanto che ho

definito essere stata una sorta di “omissione di occhi di ufficio” la svista

della loro presenza atteso che quegli stessi documenti erano già in

possesso di chi ha scritto la stessa richiesta di archiviazione.

Rispetto alle accuse ricevute di aver condotto delle illecite intercettazioni e

di aver violato un segreto di ufficio, queste non hanno portato ad altro che a

giustificare il sequestro di tutto quanto era in mio possesso, atteso che

sono state archiviate per l’infondatezza della notizia di reato ma dopo ben

cinque anni. Anni i quali hanno sostanzialmente rappresentato non solo

uno strumento estorsivo quanto un elemento ostativo il mio normale

percorso professionale che fu interrotto proprio per la natura delle accuse

con tutte le complicanze conseguenti per la mia vita privata e sociale.

Page 34: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

Oggi non lavoro più come consulente per la polizia giudiziaria, non svolgo

più le consulenze per gli studi legali in materia di tutela dei minori, avvocati

ai quali ho dovuto spiegare l’opportunità di non avvalersi della mia

esperienza nonostante la loro volontà di nominarmi consulente di parte.

Alla fine della fiera, come si suol dire, poco conta chi sono o chi sono stato

di fronte ad una tragedia come quella del Moby Prince, che rimarrà senza

una verità certa fino a quando le indagini saranno viziate dalle dinamiche

della “difesa del proprio ufficio” che sovente condiziona la bontà di una

indagine laddove questa possa indirizzarsi verso l’operato di talune

amministrazioni dello Stato, specie se di sicurezza, oppure nel caso possa

evidenziare un operato mediocre, lacunoso o trascurante dell’ufficio stesso.

La verità di una strage muore sempre con le vittime ma nel caso del Moby

Prince c’è una differenza, c’è ancora infatti la possibilità di recuperare

documenti e memorie da dentro la politica dei cassetti delle segreterie

speciali senza disturbare dei governi stranieri, per quel che ne so basta

andare a Roma e saper cercare.

Sono e intendo restare un cretinotto qualsiasi, stanco del peso di trenta

anni di lotta per difendere la mia storia contro quanto è accaduto nella mia

vita nel 1986 e soprattutto stanco del pregiudizio che nasce e prende

sempre più vita dalla ignoranza della collettività, che spesso legge ma non

vede, che sovente sente ma non ascolta e che fin troppe volte partecipa

Page 35: "quel Fabio Piselli del Moby Prince" - Appello di Sara Moi

alla ricerca della verità di una strage che ha mietuto tante vite con una

enfasi emotiva a breve termine, che negli anni in cui ho pubblicato il mio

Blog ho cercato di sensibilizzare verso il sostegno a lungo termine di chi

cerca la verità e non solo alla partecipazione di un corteo commemorativo

di un solo giorno.

Mi auguro fortemente che la politica attuale possa dar vita ad una seria

commissione di inchiesta bicamerale, tale da sfondare le porte della

segreteria speciale e di tirar fuori dai cassetti quei segreti utili per capire

cosa accadeva intorno al Moby Prince la sera della tragedia…..