quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello ...

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1 V.G.M.G. 1 settembre 2021 Carissime sorelle e carissimi fratelli, la lettera di questo numero del nostro Notiziario non può che iniziare con un ricordo grato e ricco di affetto per la nostra sorella suor Graciela Beatriz Armada che in modo così veloce e inaspettato ci ha lasciati per il cielo. Per tutte noi, Piccole Suore, per la sua famiglia e per quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello stesso momento, di desiderio di crescere ogni giorno più nella fiducia e nella speranza in Colui che è il Signore della storia e conosce tutte le nostre necessità. Continuiamo a ricordare con affetto anche le sorelle della Regione Beato Giuseppe Nascimbeni e suor Ivana Mabel Lineares a cui abbiamo chiesto di continuare ad accompagnare il cammino della Regione. Insieme alle sorelle della Regione e, successivamente di tutto l’Istituto, stiamo avviando un processo di discernimento che ci aiuti a cercare il bene per la porzione di Istituto che vive in Argentina, Uruguay e Paraguay, doni nuovo slancio e vigore alle nostre comunità fiaccate in questi due anni dalla morte repentina di suor Maria Rosa Calderaro, suor Agnese Luciana Cameli e suor Graciela. Ci uniamo tutti in preghiera per questa intenzione. Mentre scrivo queste righe ancora non abbiamo il nominativo di chi sarà la prossima Regionale, mentre speriamo che, nei prossimi giorni, la consigliera suor Sonia possa partire per l’Argentina e accompagnare le sorelle in questo tempo non facile. Alla futura superiora regionale e al consiglio tutto il nostro sostegno ed incoraggiamento. Ringrazio di cuore per i tanti messaggi giunti da più parti per esprimere vicinanza, preghiera, dolore, gratitudine a Dio per aver condiviso momenti significativi con la nostra consorella. Come comunicato nella circolare 17 del 15 agosto 2021 non mi è possibile andare in Argentina causa le restrizioni ancora in vigore, quindi

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Carissime sorelle e carissimi fratelli,
la lettera di questo numero del nostro Notiziario non può che
iniziare con un ricordo grato e ricco di affetto per la nostra sorella suor
Graciela Beatriz Armada che in modo così veloce e inaspettato ci ha
lasciati per il cielo. Per tutte noi, Piccole Suore, per la sua famiglia e per
quanti l’hanno conosciuta è un tempo di dolore e, nello stesso momento,
di desiderio di crescere ogni giorno più nella fiducia e nella speranza in
Colui che è il Signore della storia e conosce tutte le nostre necessità.
Continuiamo a ricordare con affetto anche le sorelle della Regione Beato
Giuseppe Nascimbeni e suor Ivana Mabel Lineares a cui abbiamo chiesto
di continuare ad accompagnare il cammino della Regione.
Insieme alle sorelle della Regione e, successivamente di tutto
l’Istituto, stiamo avviando un processo di discernimento che ci aiuti a
cercare il bene per la porzione di Istituto che vive in Argentina, Uruguay e
Paraguay, doni nuovo slancio e vigore alle nostre comunità fiaccate in
questi due anni dalla morte repentina di suor Maria Rosa Calderaro, suor
Agnese Luciana Cameli e suor Graciela. Ci uniamo tutti in preghiera per
questa intenzione.
Mentre scrivo queste righe ancora non abbiamo il nominativo di
chi sarà la prossima Regionale, mentre speriamo che, nei prossimi giorni,
la consigliera suor Sonia possa partire per l’Argentina e accompagnare le
sorelle in questo tempo non facile. Alla futura superiora regionale e al
consiglio tutto il nostro sostegno ed incoraggiamento.
Ringrazio di cuore per i tanti messaggi giunti da più parti per
esprimere vicinanza, preghiera, dolore, gratitudine a Dio per aver
condiviso momenti significativi con la nostra consorella.
Come comunicato nella circolare 17 del 15 agosto 2021 non mi è
possibile andare in Argentina causa le restrizioni ancora in vigore, quindi
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mantengo gli impegni presi in precedenza, e dal 22 agosto al 6 settembre
sarò tra le sorelle dell’Angola, altra porzione d’Istituto colpita da lutti e
situazioni difficili e successivamente, insieme alla vicaria suor Arcangela
saremo in Togo fino al 28 settembre. Sia in Angola che in Togo avremo la
gioia di ricevere la professione di alcune sorelle: 2 professioni temporanee
in Angola e 6 professioni perpetue in Togo (non saremo presenti invece
per le 8 professioni temporanee del Togo). Tutto poniamo sotto la
protezione della S. Famiglia.
Proseguiamo, ora, nella sintesi ragionata delle riflessioni che
quest’anno ci hanno accompagnato intorno al tema dell’uscire. Prendiamo
in considerazione il periodo da marzo a giugno. Come nella Lettera
precedente, teniamo presenti tre aspetti: il riferimento al tema fondante
della Chiesa in uscita (cfr. EG 20-24); il vissuto di Madre Maria, donna
completamente dedita agli altri perché radicata in Cristo; l’esperienza della
pandemia come sfida a uscire da una logica vecchia per abbracciare la
novità del Vangelo.
La Chiesa in uscita è una Chiesa in cui lo Spirito è all’opera e il
frutto maturo dello Spirito è la santità. Lo Spirito spinge fuori, sollecita a
essere liberi e creativi, rende aperti alla realtà, capaci di riconoscere e
accogliere quanto Dio va operando nelle donne e negli uomini del nostro
tempo. Lo Spirito plasma la vita nella modalità della cura,
dell’accompagnamento, del farsi dono. Ci rende persone, famiglie e
comunità audaci, capaci di scommettere sul futuro e di infondere speranza,
pronte ad avventurarsi attraverso nuovi percorsi di annuncio. Questa è la
santità, frutto di una Chiesa che esce di sacrestia e affronta l’avventura
della vita insieme ai propri contemporanei.
Santo è colui che ama dell’amore di Dio: lascia che Lui ami in noi
e così la vita si espande e noi usciamo dai pregiudizi, dalle difese,
dall’attaccamento ai nostri modi di pensare e di fare. E questo non per uno
sforzo della volontà, ma come conseguenza naturale del radicamento nel
Signore.
In questo anno noi Piccole Suore e i laici che condividono il
carisma di Nazareth siamo particolarmente sollecitati a riflettere sulla
universale chiamata alla santità perché attendiamo con trepidazione la
canonizzazione di Madre Maria e viviamo con gioia il centenario della
nascita al cielo del Fondatore e l’inizio del processo diocesano sulle virtù
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eroiche di sr Pura Pagani. Quello che ci deve muovere è l’appello, rivolto
a ciascuno di noi, per una trasformazione interiore lasciata compiere
interamente al Signore. È questo ciò che hanno fatto i nostri Beati.
In particolare guardiamo a Madre Maria, la cui santità è
riconoscibile nel modo di pregare: dimentica di sé, era protesa verso il
Signore. Progressivamente, pur rimanendo imbevuta di una modalità di
preghiera devozionale e vocale, ha saputo maturare una dimensione
mistica, dalla quale è fiorita un’orazione interiore, silenziosa, frutto di un
profondo incontro con il Mistero che ci abita. La sua preghiera nasceva da
una purificazione di pensieri, parole e sentimenti, per raggiungere
l’essenziale. Richiedeva calma, tempi prolungati, distacco da sé.
Questo stile di preghiera, segnato da un chiaro movimento di
uscita, ha reso Madre Maria donna interiormente robusta, libera e
flessibile. Lungi dall’essere una preghiera intimista, incentrata sul proprio
io, ella ha saputo attingere al rapporto costante con Gesù nel Tabernacolo
e riconosciuto nelle persone che incontrava la forza per “farsi pane” con
Cristo, per manifestare agli altri il suo amore e raggiungere tutti, divenendo
per loro un pane, fragrante e gustoso, di condivisione e disponibilità.
La Madre sapeva vivere più lo spirito che la lettera, uscire da
schemi e consuetudini esteriori per andare al cuore della vita, incarnando
quella misericordia verso i piccoli e gli ultimi che è il modo migliore per
imitare il Signore Gesù. Madre Maria ci insegna che “uscire da” e “uscire
verso” sono due movimenti inscindibili che il Figlio incarnato ha compiuto
per primo e che chiede anche a noi di percorrere per avere vita in
abbondanza e donarla senza riserve.
Dobbiamo tuttavia riconoscere che è difficile vivere “la preghiera”
anziché “le preghiere”, e a maggior ragione lo è per noi, che viviamo in
un’epoca frenetica, per la quale il silenzio e l’ascolto sono un esercizio
inutile, uno spreco di tempo. Siamo sempre di corsa, la fretta accompagna
le nostre giornate e ci diamo poco tempo per fermarci e rientrare in noi
stessi. Così diventa difficile attingere alla sorgente della Vita che ci
trasmette energia, senso, direzione anche perché, immerse in questo clima
frenetico, “temiamo” il tempo libero da impegni e, se non abbiamo
qualcosa da fare, ce lo troviamo…
Tuttavia, l’esperienza dolorosa e prolungata della pandemia ci ha
costretto a fermarci e a ripensare la nostra vita in tanti suoi aspetti, a
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discernere ciò che conta, a separare il superfluo dal necessario per
reimpostare la vita verso una direzione di pienezza e fecondità. Questo si
realizza solo attraverso piccole scelte quotidiane, nelle quali sappiamo
rinunciare a ciò che ci fa ammalare nel corpo e nello spirito per scegliere
ciò che invece ci fa vivere in modo sano, libero, aperto alla realtà e al bene.
In questo senso il Covid-19 ci sta dando una grande mano perché
ci scuote dal nostro torpore e dall’abitudine e ci impone di cambiare modo
di pensare e stile di vita. È questo il tempo favorevole che non dobbiamo
lasciarci sfuggire perché, come ci ha ricordato il Papa, non possiamo
sprecare l’occasione di cambiamento insita nella tragedia che stiamo
attraversando. Per cogliere questa opportunità, recuperiamo il silenzio
contemplativo che ci fa vivere alla presenza di Dio e ci rigenera fin nelle
profondità del nostro essere e lasciamo che nello spazio interiore che
progressivamente gli lasciamo libero, lo Spirito lavori per creare persone
nuove, sante della santità di Dio.
Termino questa seconda Lettera di sintesi dell’anno ringraziando
di cuore il Gruppo Uscire della Regione Maria di Nazareth che si è
impegnato, con passione, a presentare la tematica dell’uscire nei notiziari
di questi mesi. Credo che tutte ricordiamo che il prossimo anno sarà legato
alla tematica della Prossimità e attenzione al diverso, come indicato nelle
linee formative per il sessennio.
Carissime sorelle e carissimi fratelli nella S. Famiglia, desidero
proprio raggiungere tutte e tutti e ognuno in particolare. L’Istituto ha
bisogno di voi per dare fecondità e visibilità nuova al carisma, dono nella
Chiesa, a quanti ci accostano nelle parti del mondo dove siamo presenti.
Preghiamo e cerchiamo di crescere nella comunione tra noi perché ognuno
si senta sempre più Istituto, parte viva di questa bella Famiglia, una perla
preziosa ed unica, scelta dal Signore per la gioia di molti.
Dio benedica ciascuno e doni a tutte e a tutti la sua pace,
Vostra aff.ma Madre
Suor Simona Pigozzi
(a cura di Suor Flaviana Giacomelli)
Rileggiamo ancora qualche stralcio delle circolari di Madre Maria.
Circolare N. 1 (24.3.1926)
Carissime nella S. Famiglia
Con il cuore riboccante di gioia vi partecipo una straordinaria grazia
concessa al nostro Istituto. Il dì 11 febbraio le nostre Suore di Viterbo
(asilo Pio X) sono passate ad abitare una gran parte del monastero di S.
Rosa. Ora quella è casa nostra.
Di tanto favore dobbiamo rendere grazie alla S.F. al Venerato Padre e a S.
Rosa che si è degnata accoglierci in casa sua. Inoltre dobbiamo
riconoscenza vivissima verso l’Eminentissimo nostro Cardinale Protettore
Gaetano De Lai, al suo segretario Monsignor Tondini, all'Eccellentissimo
Vescovo di Viterbo e altri Prelati i quali unitamente all'Onorevole Senatore
Montresor lavorarono indefessamente, e non badando a viaggi e sacrifici
riuscirono ad appianare ostacoli, difficoltà che parevano insuperabili […]
Il 1° corso di santi spirituali Esercizi per comodità del Predicatore sarà dal
2 all'8 Maggio e le Suore invitate dovranno essere qui il 29 o 30 Aprile, la
partenza 10 - 11 Maggio, mese consacrato a Maria SS. mamma nostra
celeste; mese di grazie e di benedizioni. Apparecchiatevi dunque ai S.
Esercizi colla preghiera e con umiltà di mente e di cuore.
Per vostra norma la casa di Brescia è stata chiusa, non andate per la
fermata. Le suore nostre di Milano hanno cambiato casa, ora abitano in S.
Francesca Romana - Via Spalanzani N. 30. L’indirizzo asilo Viterbo è –
Monastero S. Rosa.
La casa di Marcheno e quella di Vittadone furono chiuse e questo per poter
aprire una casa molto importante in Bologna città. In Calcinato, con l’aiuto
della S. F., dopo appianate molte difficoltà, siamo rientrate in casa nostra,
così quell’orfanatrofio è nostro.
Raccomando di trovare buone giovani secolari per gli esercizi che saranno
ai primi d’agosto.
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Auguro a tutte buona Pasqua che il Divin Risorgente sia a voi tutte, ed a
ciascuna in particolare, apportatore di grazie specialissime, specie di un
notevole rinnovellamento spirituale.
Pregate tanto tanto per me ch'io sempre vi ricordo salutandovi tutte e
implorando dalla S.F. e dal Ven. Padre ogni più eletta benedizione sulla
Superiora e su tutte. Credetemi nel Cuor di Gesù
Vostra aff.ma Madre Maria dell’Immacolata di Lourdes
Circolare N. 3 (13.4.1929)
Anche in quest'anno la morte ha visitato ripetutamente l'Istituto delle
piccole suore della S. F. In tre mesi tre suore sono volate in paradiso e una
di queste era superiora. Buon per loro che, venendo lo sposo, le trovò con
la lampada accesa, come le vergini prudenti.
Carissime, stiamo sempre apparecchiate, sempre pronte a fare la volontà
di Dio vivendo in umiltà, obbedienza e carità. Non dimentichiamo mai le
massime del carissimo Ven. nostro Padre, cioè, di vivere in maniera come
se ogni giorno dovessimo morire.
La vita è un volo, un lampo che passa, il tempo che il Signore ci dà
impieghiamolo per fare molte opere buone, guadagnare anime a Gesù. La
sposa deve tutelare gli interessi dello sposo, ebbene lavoriamo, rendiamoci
ogni giorno missionarie nei nostri paesi, dove l’obbedienza ci ha posto e
sforziamoci di divenire ogni giorno più umili, non in teoria, ma in pratica
e così non temeremo né la morte né il giudizio, e un dì passeremo da questa
all'altra vita come in un'estasi d'amore introdotte da Gesù Maria Giuseppe
nei tabernacoli eterni, in compagnia del nostro Ven. Padre e carissime 136
consorelle defunte.
Alla morte di una consorella defunta ricevuto l’avviso, siate sollecite nel
mandare il denaro per la celebrazione della Santa Messa di suffragio acciò
venga presto sollevata, liberata dal Purgatorio. Non fate come qualche
superiora che, le 14 SS. Messe per le consorelle defunte che avrebbe
dovuto far celebrare nel 1928, aspettò fino a marzo di quest'anno. Se tutte
le superiore avessero fatto così, povere sorelle morte! Che ciò non succeda
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più, più. Mandate magari l'importo, per la S. Messa, in francobolli che per
noi è lo stesso, ma spedite subito.
In omaggio al Giubileo sacerdotale di S.S. Pio XI noi piccole Suore S. F.
doteremo un seminarista indigeno, che, a suo tempo, sarà sacerdote e andrà
nella terra delle missioni a far conoscere e amare il Signore, salvare delle
anime.
L’ideale del Carissimo Padre era di mandare le sue piccole suore in mezzo
ai pagani e agli infedeli, come sempre si chiede a Dio con l’orazione -
Eterno Padre ecc. – Ma l’ora nostra non è ancor giunta, e intanto il
sacerdote Indigeno farà le parti nostre. Siate pertanto puntuali nel fare ciò
che ora vi consiglio. Per tale dotazione occorre mandare all’opera
Pontificia pro Clero Indigeno £. 300 annue, per sei anni.
E per raggranellare detta somma basta che ogni suora mi mandi un
francobollo da 0,50 all’anno, e così senza toccare la cassa dell’Istituto
avremmo quanto è necessario per quest’opera santa, meritoria.
Consoleremo il Cuore del S. Padre, appellato – “Il Papa delle Missioni” –
Per l’acquisto del S. Giubileo non prendetevi pensiero. In tutti i corsi di
Esercizi saranno fatte le pratiche raccomandate per l’acquisto del
medesimo. Invece quelle suore che fecero gli esercizi in febbraio u.s. lo
acquisteranno nelle parrocchie ove si trovano.
Fate col massimo fervore il bel mese di maggio consacrato a Maria SS.
Onoratela più che vi è possibile esercitando tanti atti di virtù. Date dei colpi
mortali al maledetto amor proprio. Schiacciata la testa a questo è vinto
tutto. In questo mese prendetelo di mira con volontà risoluta, col voglio
dei santi e vi assicuro che la nostra cara mamma Maria SS. vi otterrà da
Gesù tanta grazia e forza per essere vittoriose. Questo è il più bel fioretto,
l’ossequio più bello che dovete offrire alla Madonna, e vi renderete a Lei
tanto care. I vostri sforzi siano accompagnati da fervide preghiere. Con la
preghiera ben fatta tutto si ottiene.
Raccomandandomi caldamente alle vostre preghiere, vi prego dal Signore
ogni sorta di benedizioni e lasciandovi nelle braccia di Gesù Maria
Giuseppe credetemi
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LA CASSA RURALE E IL COMITATO PARROCCHIALE
Riportiamo il testo dell’intervento di Suor Loretta Francesca Pontalto
nell’incontro del 24 luglio 2021 tramite piattaforma.
La seconda metà dell’Ottocento è caratterizzata dalle linee del magistero
di due pontefici e da importanti mutamenti nella vita della Chiesa.
Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti; pontificato 1846 -1878)
Leone XIII (Gioacchino Pecci; pontificato 1878 - 1903).
Per comprendere l’azione sociale che la Chiesa svilupperà soprattutto sul
finire del secolo, è necessario far riferimento, se pur brevemente, a questi
due pontefici.
Pio IX (Pontefice dal 16 giugno 1846 al 7 febbraio 1878)
Gli esordi del suo pontificato parvero confermare la sua fama di liberale.
Concesse immediatamente un’amnistia per reati politici; promosse la lega
doganale con il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana; emanò,
nel 1848, una Costituzione che introduceva notevoli ampliamenti della
libertà e, soprattutto, un Parlamento. Quando, nello stesso 1848, il Regno
sabaudo sfidò l’Austria per portare aiuto ai ribelli milanesi e per scalzarla
dalla penisola, il papa, al pari degli altri sovrani italiani, inviò un piccolo
contingente del suo esercito.
Successivamente, la sua fama di liberale, ricevette durissimi colpi. Si ritirò
dalla Prima guerra d’indipendenza e, costretto ad abbandonare Roma a
causa di tumulti popolari, chiese l’intervento di una potenza straniera – la
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per via militare, il suo potere.
Il suo pontificato, il secondo più lungo della Chiesa dopo quello di san
Pietro, avrebbe, da allora, conosciuto un progressivo irrigidimento politico
e dottrinale, come dimostrarono il Concilio Vaticano I e l’enciclica Quanta
cura che conteneva Il Sillabo, dura denuncia del pensiero laico e moderno.
Nel 1870 il Concilio Vaticano I votò, su pressione dello stesso pontefice,
il dogma dell’infallibilità papale, suscitando forti opposizioni tra gli stessi
partecipanti al concilio.
Il 20 settembre 1870 fu proprio Pio IX a osservare l’ingresso dei reparti
italiani in Roma. 1
Pio IX rifiutò sempre di riconoscere il nuovo Stato italiano, denunciato
come usurpatore dei suoi possedimenti e, con il non expedit (1874), proibì
ai cattolici di partecipare alle consultazioni elettorali e, per estensione, di
partecipare alla vita politica dello Stato italiano (né eletti, né elettori).
Nacque così la famosa questione romana, uno dei grandi nodi irrisolti nella
costruzione del nuovo Stato e che avrebbe trovato soluzione soltanto nel
1929, con la firma del Concordato tra lo Stato italiano e Pio XI.2
L’Opera dei congressi e dei comitati cattolici
L'Opera dei congressi e dei comitati cattolici, spesso abbreviata in Opera
dei congressi, fu un'organizzazione cattolica italiana che dal 1874 al 1904
“mirò a riunire e a riordinare i cattolici e le associazioni cattoliche in una
comune e concorde azione per difendere i diritti della chiesa e del papato,
gli interessi religiosi e sociali degli italiani, secondo i desideri e le direttive
del papa, sotto la guida dell’episcopato e del clero.
1 Notizie tratte da http://www.150anni-lanostrastoria. it : Pio IX, la parabola di un papa che si credeva liberale; https://it.wikipedia.org/Papa PioIX 2 https://it.wikipedia.org/: la questione romana.; https://www.fattiperlastoria.it/questione-romana: il conflitto tra lo Stati italiano e la Chiesa.
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Il movimento raccolto nell’Opera dei congressi era tutto stretto intorno al
papa «prigioniero», con una struttura gerarchizzata e capillare, concatenata
a livello nazionale, regionale, diocesano e parrocchiale, per far vibrare
anche nel cuore del più umile dei fedeli il dramma di una chiesa che si
confrontava con il mondo moderno”.3
Le sue origini possono essere fatte risalire ad un'assemblea di cattolici
riuniti a Venezia il 2 ottobre 1871 per celebrare il terzo centenario della
battaglia di Lepanto. In quel contesto fu annunciata l'iniziativa di fondare
anche in Italia l'Opera sovra ogni altra importantissima dei Congressi
cattolici e l’idea di convocare nel più breve termine possibile un primo
Congresso dei cattolici italiani.
Durante il primo Congresso, convocato sempre a Venezia dal 12 al 16
giugno 1874, vennero gettate le fondamenta dell'organizzazione e fu letta
la dichiarazione di principi, ripresa poi in apertura di ogni successivo
congresso: «Il Congresso è cattolico e non altro che cattolico… Il
Cattolicesimo è dottrina completa, la grande dottrina del genere umano. Il
Cattolicesimo non è liberale, non è tirannico, non è d'altra qualità. [...] Il
Cattolicesimo è la dottrina che il Sommo Pontefice, insegna o solo dalla
sua Cattedra o congiuntamente con i Vescovi, successori degli Apostoli.
Ogni dottrina difforme da quella è scisma ed eresia. Al supremo giudizio
del Sommo Pontefice il Congresso sottopone le sue deliberazioni».
Scopo fondamentale dell'Opera dei congressi era quello di tutelare i diritti
della chiesa, ridotti ai minimi termini dopo l'unificazione italiana, e di
promuovere le opere caritative cristiane (dopo il loro scioglimento imposto
dalla legislazione antiecclesiastica) coordinando le attività delle
associazioni laicali cattoliche. In ambito nazionale l'organizzazione si
uniformava al divieto pontificio contenuto nel non expedit (le direttive
pontificie erano chiare: nessun partito cattolico in Italia per il momento,
ma solo azione cattolica).
L'Opera dei congressi era organizzata in modo gerarchico e accentrato, con
sede centrale a Venezia e una struttura periferica articolata in comitati
3 Cfr R. Cona, Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento in AA.VV., Vita
religiosa e sociale dal periodo austriaco all’età liberale. Le visite pastorali. Atti
dell’incontro di studio svoltosi a S. Fermo Maggiore il 19 novembre 1983, Verona, 1984,
p. 56.
congressi nazionali, in cui si discutevano le questioni di maggiore
rilevanza per il movimento cattolico. Nell'adunanza plenaria del 27 agosto
1881 venne denominata “Opera dei congressi e dei comitati cattolici in
Italia” «per indicare che essa era insieme Opera di organizzazione e
associazione distinta e autonoma da ogni altra associazione cattolica».4
Successivamente conobbe un rapido sviluppo, radicandosi soprattutto
in Lombardia e nel Veneto, promuovendo una vasta attività economica e
sociale con la fondazione di casse rurali, società di mutuo soccorso e
cooperative.
Nel 1887, al congresso di Lucca, l’attività dell’associazione venne
organizzata in cinque sezioni:5
Battista Paganuzzi
V) Musica sacra ed Arti del disegno.
In particolare la seconda sezione era organizzata nel modo seguente:
Istituzioni Sociali ed Economiche di carattere generale
Casse rurali ed Istituti di Credito
Istituzioni Sociali ed Economiche del settore manifatturiero
Istituzioni Sociali ed Economiche a favore delle classi rurali.
L’Opera organizzò venti Congressi:
• I: Venezia, 12-16 giugno 1874
• II: Firenze, 22-26 settembre 1875
• III: Bologna, 9 ottobre 1876 (sospeso dall'autorità pubblica
dopo la prima giornata)
• IV: Bergamo, 10-14 ottobre 1877
• V: Modena, 21-24 ottobre 1879
• VI: Napoli, 10-14 ottobre 1883
4 A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi (1874-1904) Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma, 1958, p. 63, n. 70. 5 https://it.wikipedia.org/: Opera dei congressi e dei comitati cattolici
• XV: Milano, 30 agosto-3 settembre 1897
• XVI: Ferrara, 18-21 aprile 1899
• XVII: Roma, 1-5 settembre 1900
• XVIII: Taranto, 2-6 settembre 1901
• XIX: Bologna, 10-13 novembre 1903
• XX: Modena, 9-13 novembre 1910
L’attività dell’Opera dei congressi fu sostenuta dai pontefici, in particolare
da Leone XIII. Il movimento intransigente respirava nel clima
ultramontano diffuso durante tutto l’Ottocento in molti paesi europei.
L’ultramontanesimo si esprimeva in atteggiamenti non solo di obbedienza
e di adesione, ma anche di rispettosa devozione al papato romano di fronte
ai vari problemi della chiesa e della società moderna, sviluppando
molteplici aspetti, che andavano dal piano dottrinale e dogmatico, a quello
devozionale, giuridico, letterario, politico, sociale.
Leone XIII (Pontefice dal 20 febbraio 1878 al 20 luglio 1903)
Leone XIII, che trovò ispirazione nella sua opera di rinnovamento della
chiesa nel pensiero di Tommaso d'Aquino, è ricordato nella storia dei papi
dell'epoca moderna come il pontefice che ritenne che fra i compiti della
chiesa rientrasse anche l'attività pastorale in campo socio-politico. Se con
lui non si ebbe la promulgazione di ulteriori dogmi dopo quello
dell'infallibilità papale, solennemente proclamato da papa Pio IX durante
il Concilio Vaticano I, egli viene tuttavia ricordato quale primo papa delle
encicliche. Egli ne scrisse infatti ottantasei, con lo scopo di superare
l'isolamento nel quale si trovava la Santa Sede dopo la fine dello Stato
Pontificio con la perdita del potere temporale in seguito alla presa di Roma
(20 settembre 1870) e l'Unità d'Italia.
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Ancora come vescovo di Perugia manifestò le sue capacità di
amministratore fermo e chiaro e divenne noto per le sue posizioni
favorevoli alla conciliazione tra cattolicesimo e cultura
contemporanea, un moderato di larghe vedute.
Leone governò la chiesa per più di 25 anni, manifestando doti eccezionali
e ottenendo grandi successi per la chiesa e per tutto il mondo cattolico del
tempo. La sua opera più grande fu il tentativo di riconciliare la chiesa
con l’epoca moderna, offrendo una risposta cristiana alle acute
questioni sociali, politiche e culturali del suo tempo.
Le sue posizioni contro il socialismo, il comunismo e il nichilismo nella
Quod apostolici muneris (28 dicembre 1878), contro la massoneria nella
Humanum genus (20 aprile 1884), la sua trattazione del matrimonio nella
Arcanum illud (10 febbraio 1880) sono improntate alla più autentica
tradizione dottrinale cattolica. Ma ciò che maggiormente lo distinse fu
l’apertura del dialogo fra la chiesa e il mondo moderno.
In molte delle sue encicliche egli sviluppò la sua teoria, per lo più
modellata sul pensiero di Tommaso d’Aquino, dello Stato cristiano,
dando rilievo all’indipendenza e alla dignità dello Stato. Nella enciclica
Aeterni Patris (4 agosto 1879) pose in evidenza l’importanza della teologia
e della filosofia di Tommaso d’Aquino, approvando ufficialmente la
filosofia neoscolastica.
In Vaticano promosse lo studio dell’astronomia e delle scienze
naturali, esortando gli studiosi cattolici a studiare e ricercare in modo
obiettivo; il 18 agosto 1883 aprì l’Archivio Vaticano agli studiosi di ogni
confessione (l’archivio e la biblioteca del Vaticano furono, da allora in poi,
centri di studi storici d’importanza internazionale); Leone XIII si
dimostrò un progressista anche in materia di scienze bibliche, fissando
nella Providentissimus Deus (18 novembre 1893) nuovi criteri
scientifici per la ricerca biblica.
Uomo e papa ben consapevole del valore del mistero dell’incarnazione,
dedicò 11 encicliche a Maria e al Santo Rosario, una all’opera redentrice
di Cristo e una all’Eucarestia. Istituì la festa della Sacra Famiglia e,
sviluppando una iniziativa di Pio IX, nell’anno giubilare del 1900 consacrò
l’intero genere umano al Sacro Cuore di Gesù.
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Leone XIII è noto anche per essere il primo papa, dopo quasi mille anni di
storia, a non esercitare più in forma attiva il potere temporale, fatta
eccezione per l'ambito della Città leonina, fino alla soluzione della
Questione romana” sancita con i Patti lateranensi l'11 febbraio 1929.6
Leone XIII e la questione sociale
Anche l’aspetto politico del pontificato di papa Leone XIII è sicuramente
da ricordare. In un'allocuzione concistoriale del marzo 1878, il pontefice
ribadì le ragioni temporali della Santa Sede, ma con un tono meno
aspro di quello del suo predecessore Pio IX, sicché parve aprirsi la
possibilità di una qualche conciliazione con il Regno d’Italia, subito
compromessa però dall'atteggiamento anticlericale del governo della
sinistra storica al potere. Leone cercò quindi, poggiando sull'opinione
pubblica cattolica internazionale, di tenere viva la questione romana e di
ottenere, mediante l'appoggio delle potenze straniere, una restaurazione
del potere temporale, ma la manovra fallì.
Un'allocuzione concistoriale del maggio 1887, in cui Leone auspicava un
atteggiamento conciliativo anche da parte italiana, sollevò ancora una
volta le speranze, presto svanite però per una ripresa di
anticlericalismo. Negli anni successivi, Leone non riuscì a ottenere un
miglioramento dei rapporti della Chiesa con l'Italia.7
I cattolici - e quasi tutti gli italiani – vivevano un profondo dilemma,
conseguente al “non expedit”: essere buoni fedeli o buoni cittadini del
“nuovo” Stato?
Dentro una società con la concitazione liberale da una parte e l’ansia di
socialismo dall’altra, ma entrambe con tanti dubbi sulla strada da scegliere,
Leone XIII vuole entrare nella nuova società, vuole creare il cattolicesimo
sociale, vuole la presenza della chiesa e dei cattolici dentro la società, e
che siano anch’essi protagonisti.
6 https://it.cathopedia.org/wiki/Papa_Leone_XIII 7 Cfr articolo di Eugenio Russomanno, Leone XIII. Il rispetto dell’uomo e della sua dignità, 06.11.2012 in https://it.clonline.org/.
15
E delinea una concezione dello stato, della libertà e della “democrazia”.
Fu proprio Leone XIII a usare per la prima volta le due parole “democrazia
cristiana”, verosimilmente ispirate da Giuseppe Toniolo; o forse fu lo
stesso pontefice a ispirare l’esimio sociologo Toniolo).
Leone XIII considera che anche in Italia, nonostante l’arretratezza
economica e industriale, emerge la cruda realtà del duro proletariato e
comprende che vi sono nazioni che, con l’industrializzazione hanno
innestato delle marce in più.
Sa che in Germania e in altri Paesi europei ha una grande risonanza il
Manifesto di Marx (1848) e vengono dibattute le grandi questioni sociali
contemporanee, come la necessità per l’operaio di associarsi per fini
primari ed immediati, quali la riduzione degli orari di lavoro, l’aumento
dei salari, il divieto dei lavori pesanti ai fanciulli e alle donne. Erano le
prime pietre miliari, che furono poi alla base delle idee sociali dibattute dai
partiti cattolici sorti nei vari Paesi.
Un altro grosso segnale viene dall’Inghilterra, il Paese che aveva visto per
primo il nascere della rivoluzione industriale e i gravi problemi ad essa
connessi e dove era sorta la prima associazione sindacale della storia. Non
erano mancati preti audaci che non stavano in sacrestia, ma svolgevano
attività di difesa dei diritti del lavoro, andavano nelle fabbriche, nelle
grandi miniere e nei porti a incontrare e a parlare con i lavoratori.
In Italia il pontefice cerca una soluzione alla “questione romana”, una
conciliazione tra il Vaticano e il governo italiano che aveva nel Crispi
l’esponente più significativo della linea anticlericale.
Era ormai necessario anche in Italia un intervento chiarificatore della
chiesa su tutto il problema sociale. E l’intervento ci fu con l’enciclica
Rerum novarum, con la quale si realizzò una svolta nella chiesa cattolica,
ormai pronta ad affrontare le sfide della modernità come guida spirituale
internazionale.
“Era chiaro che la seconda rivoluzione industriale stava cambiando il volto
dell’Europa: il mondo contadino scandito dai ritmi della natura e dai
rintocchi del campanile iniziava a sfaldarsi, nasceva la fabbrica, il lavoro
operaio, un movimento socialista ateo e anticlericale, le città brulicavano
di nuovi arrivati sradicati dalla campagna, nuove opportunità e nuove
spaventose ingiustizie.
16
Scrisse George Bernanos: «La famosa enciclica di Leone XIII, voi la
leggete tranquillamente, coll’orlo delle ciglia, come una qualunque
pastorale di quaresima. Alla sua epoca, ci è parso di sentirci tremare la
terra sotto i piedi».
Forse sarà suonato strano ad alcuni cattolici del tempo leggere su
un’enciclica - ovvero un atto così solenne di magistero - ragionamenti
competenti e accorati sulla necessità di stabilire un minimo salariale, un
tetto nell’orario di lavoro e condizioni più degne nell’impiego dei fanciulli.
Tutte cose che a noi oggi appaiono scontate (o quasi) ma nel 1891 un
padrone poteva far lavorare nella sua fabbrica, legalmente, bambini di 10
anni. Leone XIII non era certo un rivoluzionario, ma il solo chiedere
l’intervento dello stato per assicurare una soglia così minima di diritti per
i lavoratori gli costò l’accusa di “papa socialista”.8
La chiesa si ergeva a guida dell’uomo contemporaneo, offrendogli gli
strumenti per superare un periodo di grave crisi. Leone XIII raccolse la
grande ansia non solo dei cattolici in lunga attesa da trent’anni, ma
l’angoscia dei figli più umili, cattolici o no; raccolse le ardenti posizioni
innovatrici di tanti sacerdoti e vescovi ed intervenne. Prendendo coscienza
della condizione di crisi e di disagio morale, oltre che materiale ed
economico, in cui le masse dei lavoratori erano venute a trovarsi a seguito
del vertiginoso sviluppo industriale, con la Rerum novarum (15 maggio
1891) diede un vigoroso impulso allo sviluppo del cattolicesimo sociale e
alle nuove tendenze di “democrazia cristiana” e indicò alcuni principi ben
fermi:
il compito dello stato di promuovere la prosperità pubblica e
privata quando l’iniziativa dei privati non basti;
il valore umano del lavoro che non può essere considerato come
una semplice merce;
la condanna della lotta di classe, ma al tempo stesso il diritto degli
operai di associarsi per la tutela dei loro diritti.
L’enciclica ebbe un grande successo e suscitò ovunque l’interessata
ammirazione di chi sentiva che veniva finalmente offerta la possibilità di
giungere alla soluzione di tanti problemi; le masse lavoratrici si resero
8 Da “L’Osservatore Romano”, 30 settembre 2019.
17
conto che avevano ormai trovato nella chiesa una potente e disinteressata
alleata e nel Papa un difensore strenuo dei loro diritti troppo volte
ingiustamente calpestati. Anche nel campo liberale moderato suscitò
commenti favorevoli. Quelle parole erano rimedi spirituali e civili che in
un certo senso stemperavano gli animi.
L’enciclica, definita dai cattolici la “Magna Carta del Lavoro” 9,
proponeva una terza via tra il conservatorismo dei partiti liberali e
l'atteggiamento eversivo dei socialisti, definendo l’orientamento
dell’azione politica e sociale dei nascenti sindacati e partiti cattolici.
L’elemento cardine del pensiero sociale di Leone XIII è il rispetto
dell’uomo e della sua dignità.
Tutto ciò che può ledere questo principio fondamentale viene condannato,
in particolare la deificazione del denaro, del progresso, della tecnica e della
capacità di controllo e sfruttamento della natura.
Un altro fattore innovativo fu l’attenzione nei confronti dei compiti dello
Stato in materia sociale. Secondo il Papa, lo Stato ha il dovere di rimuovere
le cause del conflitto tra operai e padroni, diventando arbitro e legislatore
attento ai diritti e ai doveri di tutte le classi sociali.
In questo senso a Leone XIII fu giustamente attribuito il nome di "Papa dei
lavoratori" e di "Papa sociale": con la prima enciclica esplicitamente
sociale nella storia della chiesa cattolica formulò i fondamenti
della dottrina sociale della chiesa, traendone i principi soprattutto dal
pensiero di Tommaso d'Aquino.
Paolo VI lo ha definito «vero avvocato del popolo e fondatore della
sociologia cristiana, la scienza della buona società vissuta secondo i
principi cristiani».10
Se il non expedit aveva impedito ai cattolici la partecipazione alla vita
politica, non ne aveva però impedito l’azione sociale. Leone XIII ne fu il
sostenitore convinto ed anche per l’Opera dei congressi manifestò
apprezzamento e incoraggiamento.
18
Particolare rilevanza ebbe il IX Congresso italiano dell’Opera dei
congressi e dei comitati cattolici tenutosi a Vicenza (14-17 settembre
1891) nel quale si poté registrare una fruttuosa novità, perché don Luigi
Cerutti (1865-1934), cappellano di Gambarare (Venezia), lanciò l’idea
delle cassi rurali cattoliche. Egli come profeta fece da apripista nel
cogliere la dirompente novità del messaggio cooperativistico che già
circolava in Italia, sull’esempio delle casse rurali tedesche fondate da
Guglielmo Federico Raiffeisen. Al Congresso di Vicenza don Luigi
Cerutti “rese pubblico il suo manifesto di mobilitazione dei cattolici nel
campo della cooperazione di credito, per il riscatto delle masse rurali: si
trattava di un modesto volantino, fatto circolare tra i congressisti, nel
quale, riconosciuta l’importanza fondamentale della questione operaia,
denunciava senza mezzi termini l’esistenza di una non meno grave
questione rurale. Il contadino non salverà la sua identità umana e cristiana
con le sole pratiche di pietà o con la sola appartenenza ad associazioni
religiose: egli ha bisogno di uno strumento adeguato e tale strumento è
appunto la Casse Rurale.11
Don Luigi Cerutti l’aveva fondata a Gambarare (Venezia) il 26 febbraio
1890.
La positiva esperienza maturata in un anno costituiva una prova della
validità della proposta che egli aveva avanzata.
La visione sociale di Leone XIII aveva profondamente influenzato, dal
punto di vista teorico, il pensiero dei cattolici impegnati e dato nuove
motivazioni per la loro azione. Termini come “salario “ ed “operaio”
diventarono da allora in poi sempre più importanti nei dibattiti successivi,
e favorirono gli studi su temi di cruciale importanza, come la proprietà e il
credito. Anzi, con il termine “operaio” si cominciò ad indicare non solo i
lavoratori dell’industria, ma anche quelli dell’agricoltura, con i problemi
sempre legati alla crisi agraria che l’inchiesta Jacini aveva posto in luce.
11 Cfr. Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco, fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione mondiale, Tip. Andreis, Malcesine (VR), 2001, p. 272.
19
Mali come la pellagra, l’analfabetismo, l’alcolismo e l’usura affliggevano
il settore.
“I cattolici più sensibili decisero di imboccare questa strada per ragioni
non solo religiose ed umane,ma anche politiche, con lo scopo di sbarrare
la strada alla propaganda socialista, che stava facendo progressi e proseliti.
Il piano del Cerutti era semplice: per salvare materialmente il contadino
dalla miseria, strapparlo dalle grinfie dei padroni liberali ed alle sirene del
«vangelo socialista» non erano più sufficienti le sole pratiche di pietà o le
processioni, e proponeva le casse rurali come significativo passo in avanti
per il mondo rurale, enumerandone i grandi vantaggi”.12
Era chiaro che l’enciclica Rerum novarum e il magistero sociale di Leone
XIII avevano portato ad una svolta significativa la riflessione e l’impegno
dei cattolici nel sociale, superando quel senso piuttosto rigido di chiusura,
di difesa, di condanna che aveva caratterizzato gran parte del pontificato
precedente.
“Infatti, dopo esperienze di durata più che decennale, finalizzate alla
promozione del laicato di attività devozionali e caritative, nell’ultimo
decennio dell’Ottocento, in ritardo rispetto alla realtà italiana ed all’azione
dei cattolici di altri paesi, il movimento cattolico italiano attivò cooperative
agricole, casse rurali, associazioni assicurative di mutuo soccorso, ecc.,
tutte rigorosamente confessionali, entrando in concorrenza con i
programmi politici ed economici della borghesia liberale e del proletariato
socialista”.13
L’organizzazione cattolica intransigente attecchì nel fertile terreno veneto.
Le diocesi si organizzarono con i comitati diocesani, e i comitati
parrocchiali si diffusero in modo capillare. Nella diocesi di Verona il
comitato diocesano fu fondato nel 1879 e il card. Luigi di Canossa offrì
sostegno e incoraggiamento per la diffusione dei comitati parrocchiali.
I comitati parrocchiali e le società di reciproca carità, a cui era chiesto di
ramificarsi per rispondere a tutti i bisogni che emergevano dalla vita della
parrocchia, erano interpellati dai risvolti sociali e religiosi della crisi
economica.
20
L’idea lanciata dal Cerutti al Congresso di Vicenza offrì nuovo impulso
alla diffusione delle casse rurali cattoliche.
Secondo il Gambasin, nella diocesi di Verona “il movimento cattolico non
prese piede fino a quando non scesero in campo i sacerdoti «sociali» e
«fisiocrati», come don Giuseppe Baldo, don Giuseppe Trecca, don
Giuseppe Nascimbeni, quei sacerdoti, cioè, che di fronte alla gravità delle
condizioni economiche delle campagne seppero rimboccarsi le maniche e
farsi contadini con i contadini”.14
“Dopo il 1891 don Giuseppe Manzini, leader carismatico di grande
penetrazione tra le masse contadine, attuò nel territorio di Legnago, nella
Bassa veronese, un’azione di recupero morale ed economico delle classi
più povere: fu un’iniziativa che costituì un’esperienza trainante per il
movimento cattolico veronese, dirompente per la sua novità rispetto alla
prima intransigenza, che era stata la dote peculiare dei cattolici veneti dopo
il 20 settembre 1870. Tutti questi fermenti di novità stavano ad indicare
che per i credenti era giunta al termine l’epoca dell’illusione di restituire
Roma al papa, e che era scoccato all’orologio della storia il momento di
un’azione attiva ed efficace”.15
Nel distretto di Legnago, il capoluogo della Bassa veronese in cui più forti
erano stati cambiamenti del mondo agricolo, le sofferenze dei poveri e la
propaganda socialista, don Manzini, sostenuto ed affiancato dall’arciprete
don Davide de Massari e da don Giuseppe Trecca, fondò la prima cassa
rurale della diocesi nel 1892 e ne fu propagandista nelle assemblee
diocesane, ben presto galvanizzate dalla sua oratoria capace di suscitare
profondi entusiasmi e di convincere circa la necessità di una partecipazione
14 A. Gambasin, Gerarchia e laicato in Italia nel secondo Ottocento, Antenore, Padova, 1969, p. 155. 15 Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco, fondatore, beato.
Dal microcosmo gardesano alla dimensione mondiale, cit., pp. 306-307, n. 135.
Don Giuseppe Manzini (1866-1956) fu figura di primissimo piano nella storia religiosa e sociale di Verona dall’ultimo decennio dell’Ottocento fino alla Liberazione. Svolse la sua attività a diretto contatto con gli ambienti rurali della Bassa veronese e fu apostolo dell’urgenza degli interventi da attuare per risolvere i gravi problemi di natura socio- economica con i nuovi mezzi propagandati dal Cerutti. Al suo fianco operò il quasi coetaneo don Giuseppe Trecca (1871-1955), futuro biografo del Nascimbeni.
21
responsabile e solidale dei poveri per il superamento dei propri bisogni
economici.16
Nell’assemblea dell’aprile del ’94 egli celebra i trionfi delle prime casse
rurali e dopo questa adunanza la diffusione delle casse rurali assume un
ritmo travolgente a fronte del ristagno di quelle dei liberali fino ad un totale
di 77 nel ’97; dal ’95 esse sono sostenute da un apposito istituto di credito,
la Banca cattolica; dal ’96 sono controllate sotto il profilo morale e
amministrativo da una Confederazione diocesana. Le casse rurali aderenti
alla Confederazione diocesana nel 1898 erano 84.
Le casse rurali cattoliche avevano queste caratteristiche: la confessionalità,
la circoscrizione limitata, preferibilmente parrocchiale, e la responsabilità
solidale e illimitata dei soci, con l’intento di smuovere l’inerzia del
contadino, animarlo ad un sempre maggior senso di responsabilità
facendogli sentire la solidarietà non solo come apportatrice di vantaggi
economici, ma anche come un dovere umano e cristiano.17
Le nuove istituzioni creditizie, oltre che aiutare economicamente molte
famiglie nella piccola impresa, avevano lo scopo di diffondere uno spirito
di fattiva collaborazione, incoraggiando un miglioramento morale e
religioso dei soci.
Proprio secondo questo modo di sentire le necessità dei suoi parrocchiani,
don Giuseppe Nascimbeni attivò l’istituzione della Cassa Rurale a
Castelletto nel 1896. “Sempre aperto e sensibile ad ogni iniziativa atta a
procurare il bene dei suoi parrocchiani, fece sue le ansie e le sollecitazioni
della chiesa espresse nelle encicliche di Leone XIII e nei movimenti
cattolici a favore delle masse operaie e, sull’esempio dei suoi confratelli,
aggiunse alle altre opere sociali già attuate a Castelletto, anche la Cassa
Rurale.18
Dal discorso del Cerutti al Congresso di Vicenza alla decisone del
Nascimbeni erano trascorsi cinque anni. Molto probabilmente il parroco
16 Cfr. ibidem, p. 307, n. 135. 17 Cfr R. Cona, Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., pp. 76-77. 18 Beatificationis et canonizationis Servi Dei Iosephi Nascimbeni sacerdotis fundatoris Instituti Parvarum Sororum a S. Familia (1851-1922). Positio super virtutibus, Tip. Guerra, Roma, 1983, VI parte, p. 169. D’ora in poi: Positio super virtutibus Iosephi Nascimbeni.
22
attese i risultati della gestione non solo finanziaria, ma anche morale e
sociale, di questi enti di nuova concezione, e cercò in questo tempo di
tessere una rete di opinioni favorevoli al nuovo tipo di banca, che esponeva
in prima persona lo stesso parroco e l’onorabilità della parrocchia, nella
convinzione che la cura del benessere materiale avrebbe portato frutti
anche nel campo spirituale.
La Cassa Rurale Cattolica di Castelletto (1896-1935)
[L’argomento doveva essere illustrato nell’incontro del 17 gennaio u.s., in
apertura dell’anno nascimbeniano, ma essendosi protratta in quel contesto
la trattazione dell’aspetto storico di Verona, all’istituzione della Cassa
Rurale di Castelletto è stato dedicato uno spazio piuttosto breve.
Il testo scritto, tuttavia, è stato riportato in Notizie di Casa Nostra, maggio-
giugno 2021, pp. 37-40; alle pp. 32-37 il paragrafo: “Uscite di sacrestia!:
don Giuseppe Nascimbeni e l’impegno nel sociale” illustra come le tante
iniziative di carattere creditizio siano state poste in atto da sacerdoti attenti
alle indicazioni del magistero e che, di fronte alla gravità delle condizioni
economiche delle campagne, seppero rimboccarsi le maniche e farsi
contadini con i contadini.
Si rimanda a questo articolo per conoscere come l’iniziativa creditizia sia
stata coraggiosamente attuata a Castelletto da don Nascimbeni nel 1896].19
I comitati parrocchiali nella diocesi di Verona
19 Il tema è ampiamente documentato in Positio super virtutibus Iosephi Nascimbeni, VI parte, pp. 169-195; cfr anche: G. Trecca, Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di Brenzone, 1932, pp. 96-97; M. Gecchele, Contemplazione e azione. Le Piccole Suore della Sacra Famiglia nei primi cento anni di vita, Tipolitografia “La Grafica”, Vago di Lavagno (Verona), 1994, pp. 335-340; Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco, fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione mondiale, cit., pp. 271-278.
23
principale del movimento cattolico. Nella diocesi di Verona, il comitato
diocesano era stato istituito nel 1879; l’anno successivo, il 17 giugno nel
palazzo vescovile era stata riunita la prima adunanza diocesana dei
comitati parrocchiali.
In occasione della prima adunanza dei comitati parrocchiali erano state
portate alla ribalta alcune resistenze che si interponevano all’accoglienza
dell’apostolato laicale moderno.
Nella diocesi di S. Zeno faceva problema la definizione del ruolo del laico
che, secondo la teologia del Vaticano I, doveva essere semplice esecutore
e mandatario, con vincoli di dipendenza gerarchica, anche nello
svolgimento di un’azione temporale nel mondo.20 L’ingerenza dei laici era
ritenuta un fatto inaudito nella storia e l’apostolato laicale rivestiva un
carattere di sussidiarietà e di contingenza, come una necessità per
l’insufficienza numerica del clero.
Il card. Luigi di Canossa incoraggiava e sosteneva la diffusione dei
comitati parrocchiali con esortazioni quaresimali, con riunioni diocesane
e con visite pastorali. Anche il vescovo veronese, come avveniva in tutto
il Veneto, aveva scritto due circolari vescovili, invitando caldamente i
parroci ad adoperarsi per l’istituzione del comitato parrocchiale in ogni
parrocchia, mediante la scelta di alcuni fra i parrocchiani “più intelligenti
e fervorosi”.21
L’azione del comitato nasceva dalla parrocchia in cui crescevano
particolari pratiche di pietà, si celebravano i riti che consacravano i
momenti salienti della vita del cristiano dalla nascita al matrimonio, alla
morte, si organizzavano processioni e sagre campestri, e terminava
nell’ambiente politico-sociale
“Entro l’ambito parrocchiale il comitato continuava a svolgere la
tradizionale azione delle associazioni religiose, sostenendo le pie unioni e
le pratiche di devozione, attendendo alla catechesi e praticando la carità
20 Sul ruolo del laico cfr. A. Gambasin, Gerarchia e laicato in Italia nel secondo Ottocento, cit., pp. 13-14; R. Cona, Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., pp. 57-60. 21 Archivio Curia Vescovile di Verona (ACVVr), Lettere pastorali e circolari di Luigi di Canossa, 3 gennaio 1887 e 17 marzo 1879.
24
cristiana, ma aveva spostato sempre più il suo campo di azione dalla
pratiche di pietà all’impegno politico ed economico nelle casse rurali e
nelle associazioni di mutuo soccorso, si serviva della stampa, dei
pellegrinaggi e di tutti gli strumenti culturali e tecnici che avevano
cominciato a diffondersi in quei tempi”.22
Sul finire del secolo i comitati parrocchiali, a cui era stato chiesto di
ramificarsi per rispondere a tutti i bisogni che emergevano dalla vita della
parrocchia, interpellati dai risvolti sociali e religiosi della crisi economica,
mostravano di essere ormai giunti al capolinea.
Se dal 1874 al 1890 è preminente nei comitati la preoccupazione di far
conoscere statuti e finalità delle preesistenti confraternite, di promuoverne
la diffusione e nello stesso tempo di assorbirle nell’Opera, dagli anni ’90 i
comitati cessarono di essere la rassegna delle confraternite, il loro campo
di azione si spostava sempre più dalle pie pratiche alla politica e
all’economia; si estendeva il campo della cura pastorale oltre i tradizionali
confini chiesastici o delle confraternite, fino al municipio, alla scuola, alla
banca, al giornale, al partito e al sindacato.23
La pubblicazione della Rerum novarum del 1891 costituì uno spartiacque
nella storia del movimento laicale. Il 1897 che costituì l’apogeo
dell’intransigentismo per l’organizzazione imponente dell’Opera dei
congressi, registrava a Verona solo sessantaquattro comitati parrocchiali.24
È noto però che il 26 maggio 1898 il prefetto di Verona, su indicazione del
ministero degli interni, decretava lo scioglimento di tutte le società che si
denominano cattoliche con i comitati diocesani e i comitati parrocchiali
perché “mirano a sovvertire le istituzioni che ci reggono”.25 Questo
scioglimento fu sospeso qualche mese più tardi su istanza del vescovo
Canossa.
Il conte Teodoro Ravignani, incaricato dal vescovo a presiedere l’Opera
dei Congressi a Verona – un compito che egli conservò fino allo 22 Q. Bortolato, Mons. Giuseppe Nascimbeni (1851-1922), parroco, fondatore, beato. Dal microcosmo gardesano alla dimensione mondiale, cit., p. 306, n. 133. 23 Cfr. A. Gambasin, Gerarchia e laicato in Italia nel secondo Ottocento, cit., pp. 154- 159. 24 A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei congressi (1874-1904), cit., pp. 668- 669. 25 Cfr. R. Cona, Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., p.78.
25
scioglimento definitivo nel 1904 - dimostrava la sua preoccupazione per il
progressivo declino dei comitati parrocchiali. Nel giugno 1900 egli con
rammarico confidava al Paganuzzi, Presidente dell’Opera dei Congressi:
“Fredda e sonnolenta è purtroppo oggimai la vita dei comitati di questa
diocesi. Né le altre associazioni di indole economica se ne interessano gran
fatto, perché attendono un po’ troppo alla sola economia”.
Anche don Manzini constatava, un mese dopo, nell’adunanza diocesana:
“L’opera principale del movimento cattolico è il comitato parrocchiale, ma
è riuscita questa opera fra noi? No pur troppo, nonostante gli sforzi del
comitato diocesano e le benedizioni del vescovo. E ciò per quali ragioni?
Se si dicesse per colpa del clero, egli si leverebbe a difesa; sarà dunque per
colpa delle umane cose”.26
Il comitato parrocchiale di Castelletto
Da una dichiarazione inviata da don Nascimbeni il 28 dicembre 1897 alla
curia vescovile, interessata a conoscere la statistica esatta delle opere
religioso-sociali esistenti nelle varie parrocchie della diocesi,27 si evince
che erano attive nella parrocchia di Castelletto due opere religioso-sociali:
1) la Cassa Rurale di cui era Presidente il parroco don Giuseppe
Nascimbeni, con 81 soci; 2) Il Comitato Parrocchiale di cui era presidente
il Sign. Brighenti Antonio, con 14 membri attivi.
Vi è poi un’ulteriore esplicitazione: “Al Comitato Parrocchiale aderiscono
tutte le associazioni Cattoliche della Parrocchia: Confraternita del SS.
Sacramento, Oratorio Maschile, Oratorio Femminile, Madri cristiane,
Congregazione dei Terziari e Istituto della Sacra Famiglia”.28
26 Le affermazioni del conte Ravignani e di don Manzini sono tratte da cfr. R. Cona,
Parrocchie e movimento cattolico nel secondo Ottocento, cit., p. 78. 27 A.C.V.Vr., Circolari Vescovili, b.18, Lettera inviata agli arcipreti della città e della diocesi dal canonico G.Batta Peloso, vicario generale vescovile e assistente ecclesiastico del comitato diocesano, in data 26 dicembre 1897. 28 A.S.F.C., Busta Documenti vari. Relazione del Nascimbeni alla curia vescovile,
28.12.1897.
26
Come si può notare, il comitato parrocchiale di Castelletto presentava una
sua specificità, dato che la sua presidenza era affidata ad un laico e dato
che al comitato aderivano tutte le associazioni cattoliche, dalle
confraternite, agli oratori, all’Istituto della Sacra Famiglia, di recente
fondazione.
Si ipotizza che, essendo il comitato costituito da quattordici membri, le
varie associazioni della parrocchia vi partecipassero in rappresentanza.
Nella mente del vescovo Canossa il parroco sarebbe dovuto essere “il
capo” del comitato parrocchiale29, ma ormai, sul finire del secolo,
venivano rivalutati la figura e il ruolo del laico e si riscoprivano le
dimensioni ecclesiali della sua azione in rapporto alla sua appartenenza
sacramentale alla chiesa.
Giova ricordare che la vitalità di questo comitato parrocchiale si situava
nel periodo di maggior decadenza dell’Opera dei congressi nella diocesi
veronese. Anche la parrocchia di Castelletto aveva dunque maturato una
sua identità che vedeva l’associazionismo di vecchio e di nuovo conio, più
che e in termini di confronto, in termini di collaborazione. Si andava
preparando un fronte comune all’incombente minaccia del socialismo.
Non si hanno notizie più esaustive riguardo al Comitato parrocchiale di
Castelletto, né riguardo la data della sua istituzione, né riguardo i tempi
della sua azione e non si conoscono nemmeno i nomi di coloro che vi
facevano parte.
Potrebbe essere anche questa una via da esplorare; forse si scoprirebbero
tanti altri filoni auriferi che consentirebbero di scoprire nuove ricchezze e
di guardare al Fondatore come un uomo attento alle indicazioni della
Chiesa e, al tempo stesso, profondamente vicino a quel “povero popolo”
che ha profondamente amato, anche attraverso l’attuazione di quelle
iniziative in campo socio-economico che contribuivano a riscattarlo dalla
miseria, che lo incoraggiavano a coltivare i frutti economici e morali della
solidarietà tra i poveri attraverso uno spirito di cordiale collaborazione.
Suor Loretta Francesca Pontalto
29 A.C.V.Vr., Circolari Vescovili, b.18, 17 maggio 1879; 30 marzo 1881.
27
Tibagi – 1 luglio 2021
Ricordiamo con gioia i fratelli e le sorelle della Piccola Casa di Nazareth
che ieri, 1 luglio 2021, a Tibagi (Brasile) hanno rinnovato le Promesse
Evangeliche di Vita, nella Celebrazione Eucaristica delle ore 19:00 nella
Parrocchia Nossa Senhora dos Remédios a Tibagi, per il terzo anno:
Arivan Freitas Machado e Janice Alberti Gomes Machado, Marli
Aparecida Shutz Rozeng e Lucinei de Jesus Mello Souza.
Eleviamo l’inno di lode e di ringraziamento a Dio per la loro condivisione
del carisma.
SUOR PURA PAGANI
OMELIA 2 LUGLIO 2021 - S. ZENO IN MOZZO - MATTEO 9,9-13
La breve pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato potrebbe
risuonare come una pagina autobiografica. È Matteo che ricorda il suo
primo incontro con Gesù, l’incontro che ha cambiato radicalmente la sua
vita. Questo incontro è sigillato dal verbo che lui ricorda in quel brano che
abbiamo appena ascoltato, quell’invito esplicito di Gesù: “Seguimi”,
“Seguimi”.
Mi viene spontaneo, fermando l’attenzione su questa pagina del Vangelo,
rivedere il dipinto straordinario di Caravaggio che si trova a Roma nella
Chiesa di S. Luigi dei Francesi, dove questo grande pittore descrive la
meraviglia, lo stupore di Matteo, che si sente peccatore, ma chiamato dal
Santo dei Santi, che è Gesù.
Il Caravaggio annota, proprio nella sua bravura artistica, questo stupore,
questa meraviglia: “A me rivolgi questo invito?”. Gesù insiste “Seguimi”.
“Proprio te, peccatore, furfante, che sei lontano dalla verità, che sei lontano
dalla giustizia, Io chiamo proprio te, ti chiamo a seguirmi”. S. Agostino
spiega questo verbo “seguire” in una maniera stupenda: “imitare”,
“seguire” Gesù.
Matteo cambia radicalmente la sua vita, da peccatore diventa apostolo, da
apostolo diventa evangelista, colui che consegna alle prime comunità
cristiane il messaggio del Vangelo. Eppure vediamo che dall’incontro con
Matteo nasce un’intesa, una comunione, un dialogo, vorrei dire anche
un’amicizia di Gesù con il mondo dei peccatori, dei pubblicani. Gesù non
disdegna di fermarsi a tavola con loro.
Riflettendo su questa pagina del Vangelo, mi è venuto spontaneo collegare
l’esperienza religiosa, cristiana, di Piccola Suora della S. Famiglia, della
Serva di Dio Suor Pura Pagani.
Ovunque è passata, Suor Pura ha lasciato un segno. È stata una donna
capace di accogliere, di condividere le sofferenze, le miserie, i dolori, il
peccato stesso della gente.
San Zeno non venivano
soltanto le persone pie,
grazie all’accoglienza di
cominciavano un
lontano da Dio a colui che
indica la strada per
che la sua missione non è
rivolta ai giusti, ma ai
peccatori, perché non
malati. Gesù lo vediamo
come medico e medicina.
medicina: medico perché sapeva fare la diagnosi della situazione delle
persone; medicina perché dava lo strumento, la medicina giusta, per poter
cambiare vita, per mettersi sulla strada di Dio. Ed è quello che il Signore
chiede a ciascuno di noi.
Penso che potremmo meravigliarci e stupirci quando il Signore fa a noi la
proposta di seguirlo, di imitarlo. Potremmo dire: “Ma chi sono io, ci sono
tante persone migliori di me”, eppure Gesù fissa lo sguardo su di noi.
Rivolge lo stesso invito che ha rivolto a Matteo, a Suor Pura. Lo rivolge a
ciascuno di noi, “Seguimi”, “Imitami”, “Vieni con me, segui le mie orme,
lascia da parte quel mondo che non ti ha soddisfatto per nulla, ti indico Io
la strada per raggiungere la vera felicità, il vero benessere, ti indico la
strada per star bene con te stesso e con gli altri”.
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Sono convinto che Suor Pura questo lavoro lo ha fatto prima di tutto su se
stessa per diventare utile, preziosa per gli altri.
Solo se curiamo noi stessi riusciamo a curare anche i nostri fratelli, solo se
abbiamo un po’ di attenzione verso noi stessi riusciamo a essere utili e
preziosi verso gli altri.
Questa capacità di Suor Pura di donarsi totalmente agli altri, nasceva
proprio perché Suor Pura prima di tutto ha voluto “guarire” se stessa.
Se voi avete avuto modo di conoscere Suor Pura, voi sapete il cammino
che ha dovuto fare di sofferenza, di umiliazione, di croce per raggiungere
quel grado di santità che la Chiesa, ci auguriamo, riconoscerà.
Adesso abbiamo iniziato il processo per la beatificazione; si sta svolgendo
un processo minuzioso, lento, prima di proclamarla beata.
[Anche riguardo a Maria Domenica Mantovani, religiosa delle Piccole
Suore della Sacra Famiglia, figlia spirituale del Beato Giuseppe
Nascimbeni, dobbiamo dire ancora “Beata Maria Domenica Mantovani”,
ma ci auguriamo di poterla invocare come santa. Già tutto è fatto, manca
solo che venga stabilita la data e che Papa Francesco la dichiari
ufficialmente Santa per la Chiesa universale].
Miei cari, il Signore ci ha parlato attraverso l’esperienza di Matteo; il
Signore ci parla attraverso l’esperienza di fede di Suor Pura, adesso tocca
a noi fare la nostra parte. Quel “seguimi” sentiamo rivolto a ciascuno di
noi. Dobbiamo seguire, imitare Lui perché questo è il cammino che porta
alla vocazione primaria: la santità.
Tutti dobbiamo puntare in alto, alla santità. Il Signore ha portato alla
santità Matteo, ha portato alla santità, non ancora dichiarata, Suor Pura,
ma ricordatevi che la santità non è un’opzione per il cristiano; è lo scopo;
è la vocazione primaria. Tutti dobbiamo puntare in alto, alla santità.
Buon cammino a ciascuno di voi; lo dico, soprattutto, un buon cammino
per me.
FAMIGLIA IN TOGO” - 4 luglio 2021
“Il granello gettato nella nostra terra togolese, quindici anni fa, è in piena
crescita”; è su queste parole che Suor Julienne Sépopo Zoli delle Piccole
Suore della Sacra Famiglia ha aperto la celebrazione pubblica del giubileo
di cristallo, quindici anni di presenza della sua Congregazione in Togo, il
4 luglio 2021.
Celebrazione nel corso della quale 24 Suore Juniores hanno rinnovato i
loro voti nella Congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,
professando castità, povertà e obbedienza.
Nella sobrietà, la Messa di circostanza è stata presieduta dal RP Jean Noël
Akpabie, responsabile della quasi-parrocchia “St Jean Baptiste de Yokoè
e concelebrata dal RP Jean-Pierre Sadè, responsabile aggiunto, nella
cappella della Congregazione a Yokoè.
Per la circostanza, il RP Akpabie ha ricordato alle suore che i voti non sono
un diploma. Esse sono soprattutto delle inviate di Dio, sono chiamate ad
operare per essere dei cammini di grazia per tutti. Le ha esortate ad essere
segni significativi di Dio.
Suor Marie-Rose Afomale, che ha fatto la sua prima rinnovazione dei voti,
si è sentita ricolma di gioia in questo giorno. “Come ogni vita, il mio
cammino non è stato facile, è contemporaneamente impegno e bellezza.
Tutto ciò che ho potuto fare è stato pura grazia”.
“Ogni rinnovazione mi ricorda la mia prima professione, ciò mi permette
di crescere, di maturare nella formazione, di imparare ad accogliere i
disegni di Dio nella mia vita” ha dichiarato Suor Jeanne Gbevon.
Edmond Vidzro - JRI, Promotore di eventi,
Direttore della redazione Virgomaria
Casa Madre 4 luglio 2021
Omelia
In questo felice giorno della rinnovazione dei vostri voti, vorrei rivolgermi
a voi carissime Sylvie e Florentine in modo speciale raccontando un
aneddoto. Per il suo compleanno, una bambina che ama moltissimo gli
animali chiede ai suoi genitori di regalarle un bel cane. Il giorno della festa,
a metà pasto, durante la presentazione dei doni, i genitori conducono in
sala da pranzo un grosso cane, un pastore tedesco la cui grandezza
imponente era quasi uguale a quella della bambina. Colpita dalle
dimensioni colossali del cane, che ovviamente non poteva essere avvolto
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in una confezione regalo, la bambina guarda i genitori con gli occhi
spalancati e attoniti e sussurra timidamente: “Grazie per il regalo; ma
ditemi: è proprio a me che offrite questo cane? Non è piuttosto me che
offrite al cane? Quello che stava aspettando era un cagnolino con cui
giocare. Quello che le viene offerto, invece, è piuttosto un vero cane da
guardia che considererà lei, la sua padrona, come un piccolo giocattolo. Ed
è questo ribaltamento dei ruoli che la spaventa, giustamente.
Carissime sorelle, non è questa la forte emozione che ci coglie quando
pensiamo seriamente al nostro cammino nella vita consacrata? Non è
questo il sentimento di stupore e timore che proviamo per la grandezza
della nostra missione? Chi di noi non si è mai interrogato sull'immensità
del compito da svolgere? Diciamolo in tutta sincerità: la vita consacrata è
un mistero così grande che il cristiano che se ne rende conto veramente
non può fare a meno di mormorare, come questa bambina intimidita, in
tutta umiltà: è un dono offerto a me o, piuttosto, sono io un dono per gli
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altri? Come dice la prima piccola suora Madre Maria Domenica
Mantovani: “Non abbiamo paura di niente, coraggio e fiducia”.
In questo giorno importante del vostro cammino, la Provvidenza ha voluto
che i testi sacri parlino di san Paolo che si trova davanti ai corinzi in una
situazione analoga a quella sperimentata dal Signore davanti alla sua gente:
come nell’aneddoto appena raccontato, è ben difficile capire e far
comprendere come sia possibile che la potenza di Dio possa passare
attraverso persone che sembrano segnate dalla “debolezza”. Anche
Ezechiele narra per ben due volte la sua vocazione, senza tacere la
drammaticità della sua situazione al cospetto dei suoi fratelli, davanti ai
quali è testimone fino a patire nella propria carne e nel proprio cuore ciò
che è chiamato ad annunciare.
Carissime suore Sylvie e Florentine, la vita in cui vi impegnate ancora non
è propriamente un'oasi di felicità la cui quiete non sarà turbata da difficoltà.
Al contrario, anche la vita religiosa presenta dolori e afflizioni.
A volte poi, come nel caso di Gesù, le sofferenze vengono dalla Comunità
stessa, cioè dalle persone che amiamo e a cui ci dedichiamo. Nei momenti
di difficoltà, ricordatevi la frase di Madre Maria Domenica Mantovani che
avete scelto: “Non abbiamo paura di niente, coraggio e fiducia”.
Perché un profeta è rifiutato dalla gente della sua stessa casa? Ci sono
diverse ragioni che potrebbero spiegare tale avversione, che potrebbe
portare anche alla persecuzione.
Innanzitutto, c'è la pretesa di conoscere bene le origini di Gesù: la sua
gente, la sua famiglia, la sua parentela, la sua storia, i suoi pregi e difetti.
“Cosa può uscire di buono, nuovo, speciale da quest'uomo che ha le nostre
stesse origini?". Quindi troppa "familiarità" con il profeta può renderlo
inascoltato al suo messaggio. Dimentichiamo presto che non è un eletto
del popolo, ma un inviato di Dio. Ricordatevi sempre che siete mandate in
missione in Italia da Dio.
C'è anche il rifiuto del cambiamento. Agli uomini piace la novità intorno
a loro ma non in loro; non sono pronti a correre il rischio di mettere in
discussione le situazioni e le loro convinzioni. Tuttavia, un profeta è
essenzialmente un uomo che annuncia la novità di Dio e l'esigenza della
conversione. Non sorprende quindi che il suo messaggio si scontra con il
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baluardo di idee preconcette e tradizioni consolidate, che imprigionano il
popolo.
C'è anche la tendenza a voler esercitare dei diritti sui profeti.
Vorremmo imporre loro tante cose, in nome della loro appartenenza al
popolo. Quando succederanno quelle avversioni, non abbiamo paura di
niente, coraggio e fiducia.
Il vero profeta non è un cortigiano; non è al servizio di alcun nazionalismo
partigiano. Serve solo la verità. La sua missione consiste nello spianare nei
cuori la via per la quale Dio passa e va incontro agli uomini. Non ha altro
interesse da difendere che quello della verità e della libertà.
Siate dunque a vostra volta Suore le cui parole e gesti rasserenano, persone
piene della presenza di Dio che stanno accanto agli altri per condividere i
loro dolori, alleviare le loro sofferenze, guarire le loro ferite, dare loro
ragioni per vivere e per morire. Potete compiere questa missione solo
essendo umili, semplici, convinte della vostra scelta e vivendo seriamente
i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. E per finire: non
abbiamo paura, coraggio e fiducia.
Don Rodrigue Akakpo
Yokoé 4 luglio 2021
Omelia 4 luglio 2021
Es 2,2-5; 2Cor 12, 7-10; Mc 6, 1-6 - “Non è il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di
Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone?”
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
la pagina del Vangelo è semplice e senza artifici. Gesù sperimenta una
cocente delusione a casa sua, nel suo villaggio. Gli abitanti di Nazareth
riconoscono in Gesù una saggezza e un potere straordinario: “Da dove
viene ciò? Cos’è questa saggezza che gli è stata data, e i miracoli che si
realizzano con le sue mani?”, ma si rifiutano di riconoscere in lui un inviato
di Dio. “Non è il carpentiere?” Il profeta, l’inviato di Dio come dovrà
essere per essere creduto. Coltiviamo la tolleranza e soffriamo che Dio
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coscientemente o incoscientemente lo zelo missionario di un inviato di
Dio.
Gli uomini sono gli stessi da sempre. La limpida proclamazione di Mosè
nel Dt 19,15 “In mezzo a voi, tra i vostri fratelli, il Signore vostro Dio farà
sorgere un profeta come me, e voi l’ascolterete” non è stata sufficiente. Per
parlare agli uomini Dio sceglie sempre degli esseri che sono loro vicini e
se per caso invia un angelo, questi appare quasi sempre sotto forma umana:
l’angelo Raffaele a Tobia e l’angelo Gabriele a Maria.
Noi tutti qui presenti siamo interpellati come voi che state per rinnovare i
vostri voti. Siamo degli inviati di Dio, occorre prenderne coscienza. Il
mondo e la sua atmosfera in cui noi siamo missionari, Dio lui stesso lo
descrive così bene nella prima lettura: “Figlio d’uomo, io ti mando ai figli
di Israele, verso un popolo di ribelli che si è rivoltato contro di me e ha il
viso duro e il cuore ostinato. A loro io ti mando e dirai: “Così parla il
Signore Dio…Che ascoltino o non ascoltino sapranno che c’è un profeta
in mezzo a loro”. Siamo profeti, siamo dei segni di Dio là dove siamo
inviati.
Per finire, permettetemi un aneddoto familiare: un uomo incontra una
giovane che porta in spalla il suo fratellino e prova pietà per lei: “Tu porti
un pesante fardello”. La giovane guarda l’uomo, sorride e gli risponde;
“Non è un fardello, è mio fratello”. Quando siamo delusi e stanchi per il
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peso degli uomini, ricordiamoci che sono nostri fratelli e andiamo avanti
con gli occhi fissi su Gesù in croce.
Rendiamo grazie a Dio e lodiamolo, lui che ci ha fatto l’onore di inviarci
in missione. Domandiamogli di rafforzare la nostra fede, la nostra speranza
e la nostra carità perché né le delusioni né i successi intralcino la nostra
generosità e il nostro coraggio missionario. Che l’ospite, lo straniero, il
malato o il vicino semplicemente sia sempre per noi un cammino di grazia.
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Suor Luana Mariela Diblasi – Suor Florentine Balom – Suor Adriana Collini
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Omelia
Cari fratelli e sorelle, nella Festa dell’Assunzione celebriamo il momento
in cui la Beata Vergine Maria fu accolta nella celeste gloria di Gesù suo
Figlio […].
La Solennità che stiamo celebrando va colta alla luce della Risurrezione.
Infatti l’Assunzione al cielo di Maria è un canto alla vittoria di Cristo sul
peccato e sulla morte. Nella Beata Vergine Maria assunta in cielo la
promessa della Risurrezione dei nostri corpi alla fine dei tempi ci viene
assicurata perché in Lei il mistero della nostra risurrezione è già avvenuto.
Anzitutto la celebrazione di questa Solennità della Madonna assunta ci
spinge a imitare le virtù della nostra Madre celeste, Colei che la Chiesa ci
presenta come: Icona perfetta di fede, serva obbediente e disponibile,
discepola fedele, donna attenta, umile e discreta, madre paziente e sposa
perfetta, (e modello di consacrazione per le persone consacrate).
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L’imitazione della Madonna Santissima ci porta ad essere come lei
discepoli e imitatori di Gesù Cristo.
Ora mi rivolgo a voi, Suor Christine e Suor Fleur che oggi rinnovate i
vostri voti in questa famiglia religiosa. Vorrei ricordarvi queste parole su
cui ci siamo molto soffermati ieri durante il nostro ritiro spirituale: la
Chiesa ha bisogno delle persone consacrate per diffondere il buon profumo
di Cristo in questo nostro mondo.
La Beata Vergine Maria ci sostenga nel nostro cammino di fede e sempre
interceda per noi.
Casa Madre – 15 agosto 2021
La gioia dell’ammissione al noviziato di Melissa ha ridestato in tutte le
Piccole Suore in Italia e nel mondo la speranza che altre giovani seguano
la chiamata di Cristo: “Vieni e seguimi” anche nella terra che ha dato
origine alla nostra famiglia religiosa.
Trovata la perla preziosa, Melissa lascia con gioia quanto possiede. È un
espropriarsi per conseguire il di più, è un lanciarsi nell’avventura
dell’Amore di Dio, il Tutto che riempie la vita e la rende segno luminoso
della Sua Presenza.
Con Melissa si apre il noviziato a Roma – Viale Vaticano il 22 agosto
2021. La maestra delle novizie è Suor Monica Belussi.
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Melissa con la maestra delle novizie e con la Madre
Melissa con la sua comunità della Nuova Casa Gioiosa – Castelletto
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28 agosto 2021
Moi, Je suis la vigne, et vous, les sarments (Gv 15,15)
Rendiamo grazie a Dio, fonte di ogni bene, per il suo sguardo amorevole
su di noi.
Con gioia, fiducia e disponibilità, osiamo rispondere, con la professione
religiosa tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia, per seguire Cristo nel
mistero di Nazareth. Per questo, vi invitiamo ad unirvi a noi, alla nostra
comunità e alle nostre famiglie con la preghiera che sarà per noi un segno
di amore, di comunione e di fraternità.
Francisca GNAGUIMBA; Honorine DOSSOU; Léonie AKODEGNO;
Marie Reine ADENYO; Nicole KOLA; Rosaline AKOMAKLO; Sandra
AGBOGAN; Virginie KOTOKO
“Rinnovarsi ad ogni battito del cuore - Fondatore
Rendiamo grazie a Dio, fonte di ogni bene, per il suo sguardo amorevole
su di noi.
Con gioia, fiducia e disponibilità, osiamo rispondere, con la professione
religiosa tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia, per seguire Cristo nel
mistero di Nazareth. Per questo, vi invitiamo ad unirvi a noi, alla nostra
comunità e alle nostre famiglie con la preghiera che sarà per noi un segno
di amore, di comunione e di fraternità.
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MISSIONARIA MONDIALE 2021
«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20)
Cari fratelli e sorelle,
quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio, quando riconosciamo la sua
presenza di Padre nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a
meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato. La relazione
di Gesù con i suoi discepoli, la sua umanità che ci si rivela nel mistero
dell’Incarnazione, nel suo Vangelo e nella sua Pasqua ci mostrano fino a che
punto Dio ama la nostra umanità e fa proprie le nostre gioie e le nostre sofferenze,
i nostri desideri e le nostre angosce (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium
et spes, 22). Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui viviamo e il suo bisogno
di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci parte attiva di
questa missione: «Andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,
chiamateli» (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può sentirsi estraneo o
lontano rispetto a questo amore di compassione.
L’esperienza degli Apostoli
La storia dell’evangelizzazione comincia con una ricerca appassionata del
Signore che chiama e vuole stabilire con ogni persona, lì dove si trova, un dialogo
di amicizia (cfr Gv 15,12-17). Gli Apostoli sono i primi a riferirci questo,
ricordando perfino il giorno e l’ora in cui lo incontrarono: «Erano circa le quattro
del pomeriggio» (Gv 1,39). L’amicizia con il Signore, vederlo curare i malati,
mangiare con i peccatori, nutrire gli affamati, avvicinarsi agli esclusi, toccare gli
impuri, identificarsi con i bisognosi, invitare alle beatitudini, insegnare in
maniera nuova e piena di autorità, lascia un’impronta indelebile, capace di
suscitare stupore e una gioia espansiva e gratuita che non si può contenere. Come
diceva il profeta Geremia, questa esperienza è il fuoco ardente della sua presenza
attiva nel nostro cuore che ci spinge alla missione, benché a volte comporti
sacrifici e incomprensioni (cfr 20,7-9). L’amore è sempre in movimento e ci pone
in movimento per condividere l’annuncio più bello e fonte di speranza:
«Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1,41).
Con Gesù abbiamo visto, ascoltato e toccato che le cose possono essere diverse.
Lui ha inaugurato, già oggi, i tempi futuri ricordandoci una caratteristica
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essenziale del nostro essere umani, tante volte dimenticata: «siamo stati fatti per
la pienezza che si raggiunge solo nell’amore» (Enc. Fratelli tutti, 68). Tempi
nuovi che suscitano una fede in grado di dare impulso a iniziative e plasmare
comunità, a partire da uomini e donne che imparano a farsi carico della fragilità
propria e degli altri, promuovendo la fraternità e l’amicizia sociale (cfr ibid., 67).
La comunità ecclesiale mostra la sua bellezza ogni volta che ricorda con
gratitudine che il Signore ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,19). La «predilezione
amorosa del Signore ci sorprende, e lo stupore, per sua natura, non può essere
posseduto né imposto da noi. […] Solo così può fiorire il miracolo della gratuità,
del dono gratuito di sé. Anche il fervore missionario non si può mai ottenere in
conseguenza di un ragionamento o un calcolo. Il mettersi “in stato di missione” è
un riflesso della gratitudine» (Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie, 21
maggio 2020).
Come gli Apostoli e i primi cristiani, anche noi diciamo con tutte le nostre forze:
«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Tutto ciò
che abbiamo ricevuto, tutto ciò che il Signore ci ha via via elargito, ce lo ha donato
perché lo mettiamo in gioco e lo doniamo gratuitamente agli altri. Come gli
Apostoli che hanno visto, ascoltato e toccato la salvezza di Gesù (cfr 1 Gv 1,1-
4), così noi oggi possiamo toccare la carne sofferente e gloriosa di Cristo nella
storia di ogni giorno e trovare il coraggio di condividere con tutti un destino di
speranza, quella nota indubitabile che nasce dal saperci accompagnati dal
Signore. Come cristiani non possiamo tenere il Signore per noi stessi: la missione
evangelizzatrice della Chiesa esprime la sua valenza integrale e pubblica nella
trasformazione del mondo e nella custodia del creato […]
Un invito a ciascuno di noi
Il tema della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno, «Non possiamo
tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20), è un invito a ciascuno di
noi a “farci carico” e a far conoscere ciò che portiamo nel cuore. Questa missione
è ed è sempre stata l’identità della Chiesa: «essa esiste per evangelizzare» (S.
Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). La nostra vita di fede si indebolisce,
perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell’isolamento personale o
chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige una crescente
apertura capace di raggiungere e abbracciare tutti. I primi cristiani, lungi dal
cedere alla tentazione di chiudersi in un’élite, furono attratti dal Signore e dalla
vita nuova che Egli offriva ad andare tra le genti e testimoniare quello che
avevano visto e ascoltato: il Regno di Dio