PSICONEURO - Doctor33 · concepita, né è concepibile, alcuna relazione tra i grandi sistemi...

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P SICO N EURO E NDOCRINO I MMUNOLOGIA E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATA IL MANUALE Francesco Bottaccioli Anna Giulia Bottaccioli

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Euro 55,00

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Diverso e unico rispetto a quanto � nora pubblicato sulla PNEI, questo volume riassume in sé � loso� a, � sio-logia e clinica.

Garantisce una trattazione estesa e aggiornata del modello PNEI, sia dal punto di vista epistemologico, sia da quello � siologico.

Mostra, nella sezione dedicata alla prevenzione, le evidenze scienti� che sul ruolo dell’ambiente � sico e so-ciale, dell’attività � sica, dell’alimentazione, della meditazione, delle psicoterapie, delle terapie complementari. Nella sezione clinica, in dialogo critico con i modelli dominanti, presenta una nuova lettura della � siopatologia e della cura integrata.

È scritto in modo unitario, utilizzando i contributi specialisti presenti come approfondimenti integrativi. Non è quindi una collezione di contributi di vari Autori.Il libro si rivolge:

• agli studenti che trovano sempre più frequentemente la PNEI come disciplina nel loro piano di studi;• ai professionisti della cura, consegnando loro un modello innovativo di prevenzione e cura, ricco

di indicazioni operative e di suggerimenti;• ai ricercatori e ai docenti perché diano il loro contributo al cambiamento paradigmatico in atto.

Francesco Bottaccioli (Umbertide 1949) si è laureato con lode sia in Filoso� a e Storia della scienza, alla Sapienza Università di Roma, sia in Neuroscienze cognitive e Psicologia, all’Università dell’Aquila. È membro della direzione scienti� ca e docente dei Master in Psiconeuroendocrinoimmunologia delle Università degli Studi dell’Aquila e di Torino. Ha fondato la Società Italiana di Psiconeuroendocrinoim-munologia (SIPNEI), di cui è stato il primo Presidente e, successivamente, il Presidente onorario. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e libri di successo, di cui alcuni sono stati pubblicati in altre lingue. Ha collaborato, dalla sua fondazione, all’inserto “Salute” del quotidiano La Repubblica e ad alcune Opere dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, tra cui “XXI secolo” e “Treccani Medicina”.

Anna Giulia Bottaccioli (Roma 1987) si è laureata con lode in Medicina e Chirurgia alla Sapienza Università di Roma, dove ha proseguito la sua specializzazione in Medicina Interna. È docente dei corsi SIPNEI (Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia) e SIMAISS (Scuola di medicina integrata) accreditati per la Formazione continua in medicina. È medico esperto in Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese. Socio ordinario SIPNEI, Lazio. È attiva nella ricerca clinica con pub-blicazioni peer-review.

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATAIL MANUALE

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIAE SCIENZA DELLA CURA INTEGRATAIL MANUALE

Francesco BottaccioliAnna Giulia Bottaccioli

ISBN 978-88-214-3766-3

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L’integrazione tra i principali sistemi biologici è alla base della vita. Una verità lapalissiana, che è stata oscurata dal pregiudizio del paradigma riduzionista, che ha diffuso il mito, ammantato di scienza, dell’auto-matismo e dell’autonomia dei sistemi, come se la vita fosse una somma di dispositivi comandati geneticamente per svolgere singole funzioni. Nel paradigma riduzionista non solo la psiche non ha alcuna relazione con i sistemi biologici, ma non è concepita, né è concepibile, alcuna relazione tra i grandi sistemi biologici, tra il sistema nervoso, l’endocrino e l’immunitario. Ciò è francamente ridicolo sul piano scientifico, ma è la conseguenza dell’approccio riduzionista che, quando si appli-ca all’intero organismo, mostra la sua natura di pseudoscienza.Come abbiamo visto nel Capitolo 3, in questi ulti-mi 40 anni, da quando Ader, Cohen, Besedovsky, Pert e Felten, ognuno nel suo campo, iniziarono a produrre prove inoppugnabili sulla comunicazione tra sistemi, è stata dura scalare la montagna della pseudoscienza riduzionista. Adesso, le più rinoma-te riviste scientifiche dedicano monografie, sezioni speciali, estese review alla comunicazione tra siste-mi biologici ed è facile imbattersi in editoriali che sprizzano sorpresa, come l’ultimo che abbiamo letto prima di mandare in stampa questo volume. Si tratta di un editoriale introduttivo alla sezione speciale che Science del 19 agosto 2016 ha dedicato alla neuroimmunologia [1], il quale, accanto alla constatazione che il sistema immunitario partecipa alla genesi e allo sviluppo di rilevanti patologie del sistema nervoso – come la neurodegenerazio-ne (dalla sclerosi multipla all’Alzheimer e al Par-kinson), le psicosi, la depressione e i disturbi del neurosviluppo – evidenzia con grande sorpresa

La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche

CAPITOLO

11

il ruolo essenziale del sistema immunitario nello sviluppo e nel funzionamento corretti del cervello [2,3]. Quindi, l’azione dell’immunità nel cervello non è solo fonte di patologia, ma anche di fisiolo-gia: senza l’esposizione a un sistema immunitario ben funzionante, il cervello non si sviluppa e non funziona correttamente. È il fragoroso crollo del dogma riduzionista sul sistema immunitario come potenziale nemico del cervello, che, per questo, lo terrebbe sistematica-mente al di là della barriera ematoencefalica.Oggi abbiamo le prove che la comunicazione tra sistema neuroendocrino e sistema immunitario è operativa persino tra organismi semplici, come gli invertebrati [4]. Ecco un’altra verità elementare oscurata dal riduzionismo: la fisiologia, a ogni li-vello di evoluzione della vita, è integrazione. Senza integrazione tra sistemi non c’è vita, a nessun livel-lo, dall’organismo più semplice al più complesso.

Nell’essere umano l’integrazione fisiologica include la psiche

Nella fisiologia umana, l’integrazione diventa an-cora più complessa: i livelli di integrazione tra si-stemi biologici includono la regolazione psichica, che infatti non è confinata nel comparto speciale della “vita di relazione”, separata dalla vita or-ganica e biologica, come da quasi due secoli ci raccontano gli scienziati riduzionisti. I processi mentali, che le scienze psicologiche e comporta-mentali riassumono nel concetto di “motivazione”, influenzano il sistema immunitario e, a loro volta, sono influenzati dalla sua attività [5]. Come vedremo in questo capitolo, l’esposizione a stress emozionali o a condizioni di vita di solitudi-ne incrementa l’attività infiammatoria del sistema

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo198

muscolo-scheletrico e il neurovegetativo al control-lo degli organi interni. La realtà è molto più com-plessa, perché, per esempio, è appurato che le fibre sensoriali svolgono anche funzioni di regolazione del sistema immunitario. A sua volta, il sistema immunitario influenza l’attività dei nervi sensoriali, come nel caso del dolore: la stretta connessione tra cellule immunitarie e fibre sensitive, che si realizza nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale, condiziona, infatti, la ricezione degli stimoli dolo-rosi, che possono essere amplificati o inibiti dalle citochine rilasciate dalle cellule immunitarie.Così, il sistema motorio, come abbiamo già se-gnalato nel Capitolo 10 e come vedremo più nel dettaglio nel Capitolo 14, svolge anche funzioni cognitive e mnemoniche. Il sistema neurovegetativo, chiamato anche auto-nomo (autonomic, nella letteratura internazionale), ma che in realtà è fortemente integrato con il cer-vello, è organizzato in tre sistemi: il simpatico, il parasimpatico e l’enterico (detto anche “secondo cervello”).I Box 11.1 e 11.2 forniscono i dettagli sull’orga-nizzazione di questi sistemi, che sconfessano la visione tradizionale basata sul lineare antagonismo simpatico-parasimpatico e sull’assoluta autonomia dell’enterico. Mettono anche in luce la sostanziale fallacia della “teoria polivagale” di Porges, basata sulla gerarchia “vago intelligente, simpatico, vago rettile”, già discussa nel Capitolo 10.

immunitario. Per converso, l’infiammazione, che dal sistema immunitario raggiunge il cervello o che è prodotta dalle cellule immunitarie che fanno parte integrante del tessuto cerebrale, aumenta la sensibilità del cervello alle diverse esperienze della “vita di relazione”. La conseguenza è che i processi motivazionali possono essere immersi in una matrice cerebrale infiammatoria, causando comportamenti disfunzionali e stati di sofferenza psichica, da cui possono scaturire anche veri e propri disturbi psichiatrici, che analizzeremo nel dettaglio nel Capitolo 18.Prima di vedere come i sistemi biologici e il si-stema psichico comunicano tra di loro, è tuttavia opportuno fornire alcune conoscenze aggiornate sul collegamento tra il sistema nervoso centrale (che abbiamo discusso in dettaglio nel Capitolo 7) e il resto del corpo.

IL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO, INTERFACCIA TRA IL CERVELLO E IL RESTO DEL CORPO

Il collegamento tra il cervello e il resto del corpo si realizza tramite il cosiddetto sistema nervoso periferico, che, a sua volta, è organizzato in sistema somatico e sistema neurovegetativo. Il somatico è diviso in sensoriale e motorio. Nella visione classica, il sensoriale è deputato alla ricezio-ne dei segnali, il motorio all’attivazione del sistema

Box 11.1 Il sistema neurovegetativo (nervoso autonomo)

Il primo studio scientifico sul sistema neurovegetativo fu realizzato agli esordi del XIX secolo da Marie François Xavier Bichat, che abbiamo già incontrato nel Capitolo 2. Il fisiologo francese de-scrisse «un sistema nervoso della vita organica» (o vegetativa) centrato sui gangli, che, contrariamente all’opinione al tempo dominante, non costituiscono un unico nervo, il cosiddetto “gran simpatico”, bensì «ciascun ganglio è un centro particolare, indipendente dagli altri nella sua attività». I gangli comunicano indubbiamente tra loro e con il cervello, scrive Bichat, ma non possono essere visti come un unico nervo. Da fine anatomista, egli descrisse anche i gangli sacrali, «che non presentano alcun collegamento con i gangli superiori» (Bichat, 1801). Oggi sappiamo che si era imbattuto nella porzione sacrale del parasimpatico. Da questi primi studi trascorse più di un secolo prima che avvenisse una sistemazione delle cono-scenze scientifiche sul sistema neurovegetativo, che fu realizzata da due anatomisti e fisiologi, en-trambi della Cambridge University in Inghilterra: Walter H. Gaskell (1847-1914) e John N. Langley (1852-1925). Il primo lo definì “sistema nervoso involontario”, ma fu la definizione del secondo che passò alla storia: “sistema nervoso autonomo”, anche se lo stesso Langley si rese conto che quella definizione, se presa alla lettera, rappresentava una forzatura e quindi era sbagliata.

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 199

Infatti, nella sua monografia sul tema, avverte il lettore: «Per autonomia intendo autonomia loca-le»; e aggiunge: «La parola autonomia indica senza dubbio un maggior grado di indipendenza dal sistema nervoso centrale di quello che è in realtà [...] ma io penso che nella scienza per descrivere nuovi concetti occorra inserire nuovi termini, anche se essi possono non essere precisi nella descri-zione» (Langley, 1921). Con tutto il rispetto per Langley, per evitare equivoci, preferiamo adottare la dizione, oggi per la verità non molto in uso, di “sistema neurovegetativo”.Imprecisione ed equivoci sembrano aver segnato la storia dello studio del sistema neurovegetativo, spesso mal rappresentato e perfino trascurato nei textbook e nei meeting internazionali di neuro-scienze, come denunciano gli autori di un’ampia e molto istruttiva review sul tema (Wehrwein et al., 2016). La principale concezione errata, che ancora si può leggere in alcuni manuali e anche in alcune teorizzazioni (si veda la “teoria polivagale”), è quella che vede simpatico e parasimpatico definiti dal loro antagonismo funzionale: il primo sarebbe il sistema dell’eccitazione, della lotta e dell’attività, il secondo quello della quiete, della conservazione, dell’accumulo. E ancora: il simpatico contrae i vasi, il parasimpatico li dilata; laddove è attivo l’uno è disattivo l’altro. Tali affermazioni hanno ciascuna una parte di verità, ma, se assolutizzate, diventano nettamente sbagliate e fuorvianti. Tuttavia, prima di fare alcuni brevi esempi delle funzioni del simpatico e del parasimpatico, è opportuno un cenno alla loro organizzazione.Entrambi condividono una configurazione di fondo, che è mostrata dalla Figura 11.1: i neuroni inviano gli assoni ai gangli, che, a loro volta, proiettano assoni a tessuti e organi. Le fibre nervose dei primi neuroni si chiamano pregangliari, quelle dei secondi postgangliari. Inoltre, entrambi svolgono funzioni di ricezione sensoriale, anche se in questa funzione si distingue soprattutto la porzione vagale del parasimpatico. A parte queste condivisioni di fondo, vediamo le differenze.

Sistema simpatico: organizzazioneDai neuroni dell’area intermedio-laterale del midollo spinale, nel tratto che va dalla prima vertebra toracica (T1) alla seconda lombare (L2), fuoriescono assoni che formano sinapsi con i gangli del simpatico, che sono organizzati in una catena a fianco della colonna vertebrale, chiamata catena simpatica paravertebrale. Inoltre altre fibre simpatiche si connettono a gangli molto importanti, diffusi nelle cavità addominali, definiti collettivamente gangli prevertebrali. Fa eccezione a questo schema l’innervazione della parte interna delle ghiandole surrenali, la cosiddetta midollare, che riceve direttamente gli assoni simpatici senza intermediazione gangliare.Il sistema simpatico innerva tutti gli organi, con l’unica eccezione delle ghiandole lacrimali. Ricevono solo un’innervazione simpatica i vasi sanguigni, la ghiandola pineale (epifisi), la midollare del surrene, il grasso bruno (deputato alla produzione di calore) e, secondo l’opinione attualmente predominan-te, anche la milza. Infine, l’innervazione fondamentale degli organi linfoidi (midollo osseo, timo, linfonodi e milza) è di tipo simpatico, anche se si ipotizza una qualche presenza parasimpatica, in particolare nei tessuti linfoidi della mucosa (Bellinger et al., 2014).

Sistema parasimpatico: organizzazioneI neuroni del parasimpatico sono organizzati in due divisioni: la cranica e la sacrale. A livello cra-nico gli assoni parasimpatici viaggiano con i nervi cranici III, VII, IX e X, mentre a livello sacrale fuoriescono dall’area delle prime tre vertebre sacrali (S1, 2, 3). I gangli con cui fanno sinapsi sono per lo più collocati nelle vicinanze degli organi bersaglio. Non tutti gli organi sono innervati da fibre parasimpatiche (si veda sopra).

Funzioni del simpatico e del parasimpatico: correggere le idee tradizionali sbagliateI neuroni pregangliari di entrambi i sistemi utilizzano l’acetilcolina (ACh) come neurotrasmettitore principale, anche se non unico. I postgangliari parasimpatici usano ancora ACh, mentre quelli sim-patici rilasciano noradrenalina (NE) e adrenalina (E), quest’ultima soprattutto dalla midollare del surrene. I recettori per l’ACh si distinguono in muscarinici e nicotinici, mentre quelli per l’NE e l’E in α- e β-adrenergici. Tutte le classi di recettori per il neurovegetativo hanno diversi sottogruppi.

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo200

La visione scolastica, che vede il simpatico legato all’attività e il parasimpatico alla quiete, è solo parzialmente vera poiché, se è vero che il simpatico accelera la frequenza cardiaca e alza la pressione arteriosa e il parasimpatico fa il contrario, è altrettanto vero che è quest’ultimo a stimolare la motilità e il tono dei muscoli dello stomaco, nonché ad attivare le secrezioni necessarie alla digestione e a determinare, durante l’eccitazione sessuale, l’erezione del pene e la congestione dei vasi sanguigni della clitoride.Inoltre, i due sistemi hanno diverse modalità di relazione tra loro (Wehrwein et al., 2016): 1) pos-sono agire in antagonismo, come nel caso del cuore, dei bronchi e dello stomaco, anche con effetti diversi: nel cuore il simpatico aumenta la frequenza del battito e il vago la diminuisce; nella trachea e nei bronchi il simpatico rilassa la muscolatura liscia, mentre il vago la contrae; nello stomaco il vago attiva la peristalsi, mentre il simpatico la blocca; 2) possono agire in collaborazione e sinergia, come nel caso dell’induzione del rilascio di insulina da parte della cellule β del pancreas e come nel caso

C7 T1T2T3T4T5T6T7T8T9T10T11T12L1L2L3L4L5S1S2S3

Catenaparavertebrale Occhio (dilatazione pupilla)

Ghiandole nasaliGhiandole submascellari, sublingualiGhiandola parotide

G. cervicalesuperiore

PARASIMPATICO SIMPATICO

StomacoFegatoPancreasMilzaIntestino tenueColon

CuorePolmoni

CER

VIC

ALE

LOM

BA

RE

SAC

RA

LETO

RA

CIC

A

RettoVescica

Organisessuali

G. stellato

G. celiaco

G. mesentericosuperioreG. mesentericoinferiore

Plesso ipogastricoinferiore

Nervo splancnicoX ne

rvo

cran

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IX n

ervo

cra

nico

VII nervocranico

III nervo cranico

G. ottico

G. submandibolare

G. genicolato

G. sfenopalatino

G. ciliare

Colon

Intestinotenue

PancreasFegato

StomacoBronchiPolmoni

EsofagoLaringe

Circolazionecelebrale

Parotide

GhiandoleSubmascellari

Sublinguali

Cuore

RettoRene

VescicaOrgani sessuali

GhiandoleLacrimali

OraliNasali

Occhio(costrizione pupilla)

Figura 11.1 Il sistema nervoso parasimpatico e simpatico. Lo schema fondamentale di organizzazione è lo stesso nei due si-stemi: neuroni pregangliari si connettono ai gangli da cui fuoriescono gli assoni che vanno a innervare tessuti e organi. I gangli del simpatico sono organizzati in una catena a fianco della colonna vertebrale, nel tratto toraco-lombare (dalla prima vertebra toracica T1 alla seconda lombare L2, di norma), chiamata catena simpatica paravertebrale. Inoltre sono presenti altri gangli molto importanti, diffusi nelle cavità addominali, definiti collettivamente gangli prevertebrali. La figura non mostra una fondamentale connessione simpatica, quella con la midollare del surrene (si veda più avanti in questo capitolo).I gangli del parasimpatico, che normalmente sono molto più vicini agli organi di quelli del simpatico, vengono raggiunti da fibre pregangliari che provengono da due aree del sistema nervoso centrale: dal tronco dell’encefalo, tramite i nervi cranici III, VII, IX, X, e dalla porzione sacrale del midollo spinale. Come si vede dalla figura, la gran parte degli organi presenta una doppia innervazione, simpatica e parasimpatica. Le più rilevanti eccezioni sono: le ghiandole lacrimali innervate solo dal parasimpati-co, mentre i vasi sanguigni, la ghiandola pineale e il grasso bruno (non indicati nella figura) sono innervati solo dal simpatico. Anche la milza sembra essere innervata solo dal simpatico, anche se vi sono ancora controversie al momento in cui scriviamo.Infine, non è indicata in figura l’attività ricettiva di entrambi i sistemi: in particolare, il nervo vago e il nervo splancnico ripor-tano al sistema nervoso centrale informazioni provenienti dalle fibre sensoriali, cui le fibre parasimpatiche e simpatiche sono strettamente connesse all’interno dei suddetti grandi nervi.

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 201

Box 11.2 Il sistema nervoso enterico (il secondo cervello)

Nell’originaria divisione che, ai primi del Novecento, John N. Langley fece del sistema neurovegeta-tivo, la terza componente, il sistema nervoso enterico, per decenni scomparve dalla ricerca anatomo-fisiologica. Poi, negli anni Ottanta-Novanta, è tornata alla ribalta per merito di alcuni scienziati, in particolare di Michael D. Gershon della Columbia University. Il suo saggio The Second Brain del 1998 (Il secondo cervello, tradotto in italiano dalla UTET nel 2006) ha molto incoraggiato la ricer-ca sul sistema nervoso enterico, che si è anche avvalsa, in anni recenti, della crescente importanza assegnata al microbiota intestinale, di cui parleremo nel Capitolo 14. Il risultato complessivo di questa ripresa delle ricerche sull’intestino è stato quello di rivalutarne il ruolo centrale per la salute dell’intero organismo.Come mostra la Figura 11.2, il tubo intestinale presenta due tipi di innervazione. Una che proviene dal simpatico e dal parasimpatico, l’altra intrinseca. Quest’ultima è composta da due plessi nervosi, dotati complessivamente di alcune centinaia di milioni di neuroni (da 200 a 600 milioni), organiz-zati in gangli (Furness et al., 2014). Il primo plesso (detto plesso mienterico) è collocato tra due strati di fibre muscolari dentro la tonaca muscolare esterna (cosiddetta muscularis externa); l’altro (detto plesso submucoso) sta sotto l’epitelio mucosale dell’intestino. Il plesso mienterico è presente in tutto l’apparato, dall’esofago all’ano, mentre il plesso submucoso è presente solo nell’intestino tenue e nel colon.

dell’erezione del pene e dell’eiaculazione (la prima funzione con una prevalenza parasimpatica, la seconda con prevalenza simpatica); 3) possono agire in modo indipendente l’uno dall’altro, come nel caso di organi e tessuti innervati solo da uno dei due sistemi, oppure nel caso che lo stesso sistema svolga funzioni opposte. Per esempio il simpatico, contrariamente al solito, può svolgere funzioni di vasodilatazione a causa del fatto che alcune fibre simpatiche, che normalmente rilasciano nora-drenalina che è un potente vasocostrittore, in questo caso rilasciano acetilcolina: queste fibre, dette simpatiche colinergiche, sono presenti nei vasi delle gambe, con funzione appunto di vasodilata-zione. Tuttavia, la vasodilatazione simpatica può avvenire anche se l’adrenalina e la noradrenalina stimolano alcuni recettori β-adrenergici, che non sono tutti vasocostrittori. Alcuni di questi recettori sono vasodilatatori, come i β2,3. I cosiddetti β-bloccanti di terza generazione, farmaci che si usano in patologie cardiache e, da ultimo, anche nell’ipertensione, bloccano selettivamente il recettore β1 (vasocostrittore) e attivano i recettori β2,3 vasodilatatori (Gorre et al., 2010). Lo stesso fenomeno si verifica nella circolazione sanguigna cerebrale, dove l’acetilcolina ha un’azione vasodilatatrice, che può diventare vasocostrittrice se viene recepita dal recettore muscarinico M1. Da questi dati derivano altre due correzioni della visione tradizionale del sistema neurovegetativo: il simpatico e il parasimpatico non funzionano mai secondo lo schema on/off. È il sistema nel suo complesso che è sempre attivo in un bilanciamento variabile. Inoltre, non è vero che il simpatico si attiva sempre in blocco. Sotto stress, soprattutto se è rilevante, certamente la scarica è generalizzata, ma nella normale fisiologia il simpatico è più o meno attivo a settori, dando così un fondamento em-pirico alle prime osservazioni di Bichat, di 200 anni fa, sul ruolo differenziato dei vari gangli simpatici.

Riferimenti bibliograficiBellinger D.L., Nance D.M., Lorton D. (2014), Innervation of immune system in Kusnekov A.W., Anisman H. (Eds.), The Wiley-Blackwell handbook of psychoneuroimmunology, Wiley-Blackwell, Chichester, pp. 24-72.Bichat F.X. (1801), Anatomie générale appliquée à la physiologie et à la médecine, Brosson, Paris.Gorre F., Vandekerckhove H. (2010), “Beta-blockers: focus on mechanism of action. Which beta-blocker, when and why?”, Acta Cardiol 65(5): 565-570.Langley J.N. (1921), The autonomic nervous system, Cambridge University Press, Cambridge.Wehrwein E.A., Orer H.S., Barman S.M. (2016), “Overview of the anatomy, physiology, and pharmacology of the autonomic nervous system”, Compr Physiol 6(3): 1239-1278.

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo202

Il sistema nervoso enterico svolge, in modo autonomo e al tempo stesso integrato al sistema nervoso centrale tramite la mediazione del neurovegetativo, un insieme di funzioni relative: 1) al governo dei processi digestivi, producendo l’onda peristaltica (serie di contrazioni e dilatazioni delle tonache muscolari dall’esofago, dello stomaco e dell’intestino) che consente al cibo di scendere lungo il canale alimentare e subire i processi di trasformazione e digestione; 2) allo stimolo alla produzione dei succhi gastrici e pancreatici necessari ai processi digestivi; 3) al controllo dei patogeni eventual-mente ingeriti e dell’equilibrio del microbiota intestinale: questa funzione di controllo dei processi infiammatori è svolta in stretto collegamento con il sistema endocrino e con quello immunitario, entrambi presenti in modo massiccio e strutturato. Le cellule dell’epitelio intestinale, dette enterocromaffini, producono peptidi, come la sostanza P, il peptide intestinale vasoattivo (VIP) e numerosi altri, nonché neurotrasmettitori come la serotonina, che hanno un’influenza diretta sull’infiammazione (Margolis et al., 2016).A livello dell’epitelio intestinale e sotto la mucosa sono presenti batterie di tutte le principali classi delle cellule immunitarie, addensate nelle cosiddette placche di Peyer, ma ben presenti anche nella cosiddetta lamina propria.

Riferimenti bibliograficiFurness J.B., Callaghan B.P., Rivera L.R., Cho H.J. (2014), “The enteric nervous system and gastrointestinal innervation: integrated local and central control”, Adv Exp Med Biol 817: 39-71.Margolis K.G., Gershon M.D. (2016), “Enteric neuronal regulation of intestinal inflammation”, Trends Neurosci 39(9): 614-624.

Vago

Epiteliointestinale

PP Submucosa

Muscolareesterna

Vago

Vago

Gangli

ACh

NE

Simpatico

Simpatico

A B

Figura 11.2 Il sistema nervoso enterico. A. Viene mostrata l’innervazione del sistema nervoso centrale verso l’intestino tramite il sistema parasimpatico (in verde) e simpatico (in rosso) con il rilascio dei rispettivi neurotrasmettitori: acetilcolina (ACh) e noradrenalina (NE). B. L’innervazione parasimpatica vagale (in blu) si connette con il plesso nervoso mienterico collocato den-tro la muscolare esterna. L’innervazione simpatica (in rosso) si connette sia con il plesso mienterico sia con quello submucoso, stringendo collegamenti anche con le cellule immunitarie (in azzurro), particolarmente addensate nelle cosiddette placche di Peyer (PP). Le due reti neuronali del secondo cervello, con connessioni reciproche, sono in verde. Il plesso mienterico è presente in tutto il tubo intestinale, dall’esofago all’ano. Il plesso submucoso solo nell’intestino.

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 203

La Figura 11.3 descrive i passaggi che, da uno sti-molo nocivo che colpisce la cute, determinano la contemporanea attivazione della fibra nervosa sensoriale e delle cellule immunitarie (dendriti-che e mastoidi). I neuroni sensoriali nocicettivi (cioè quelli deputati alla trasmissione dello stimolo dolorifico) vengono attivati sia dalle citochine e chemochine prodotte dalle cellule immunitarie, sia, secondo le più recenti ricerche, da recettori in grado di catturare prodotti dei patogeni [6]. Da questo punto di vista, il sistema nervoso e il sistema immunitario funzionano come un sistema di difesa integrato, poiché sia i neuroni sia le cel-lule immunitarie esprimono recettori per patogeni e per materiali provenienti da cellule morte, ma anche per segnali che provengono dall’ambiente extracellulare, come la concentrazione di ossigeno e di acidi. A ciò va aggiunto che neuroni e cellule immunitarie condividono recettori per citochine, chemochine e neuropeptidi, che del resto vengono prodotti sia dalle cellule nervose sia dalle cellule immunitarie. È per questo che, come mostra la fi-gura, entrambi i sistemi cooperano per rispondere a stimoli nocivi e, al tempo stesso, per informare il cervello di quello che sta accadendo in periferia, tramite l’invio di segnali dolorifici (nocicettivi), la cui intensità è strettamente legata al ruolo del sistema immunitario. Infine, nei primi anni del secolo presente, è stata identificata una nuova fondamentale relazione tra il sistema nervoso e le cellule immunitarie, incen-trata sul ruolo antinfiammatorio del vago, con la collaborazione del simpatico.Nel 2002, un’ampia rassegna su Nature mostrò in modo dettagliato le evidenze sul ruolo antinfiam-matorio del vago [7]. Nel 2003, su Circulation (la rivista dei cardiologi americani), un gruppo italiano composto da fisiologi dell’Università di Modena e da farmacologi clinici dell’Università di Messina pubblicò i risultati di un lavoro speri-mentale con il quale dimostrò che la stimolazione del nervo vago ha un potente effetto antinfiamma-torio, misurato con la riduzione del TNF-α, una delle più importanti citochine infiammatorie [8].Ci sono però altri due fenomeni concomitanti all’attivazione del vago: innanzitutto l’attivazione dell’asse dello stress, con aumento della produ-zione di cortisolo e quindi con un potenziamento dell’effetto antinfiammatorio; inoltre, la parallela attivazione del simpatico. Un’illuminazione su questo punto è venuta dall’os-servazione che il riflesso antinfiammatorio del vago

COME I SISTEMI BIOLOGICI COMUNICANO TRA DI LORO

Dal sistema nervoso al sistema immunitario

Il sistema nervoso periferico, nella sua compo-nente sensoriale e in quella neurovegetativa, ha un’azione rilevante su vasi e cellule immunitarie. Tramite neuropeptidi e neurotrasmettitori, rila-sciati dalle fibre nervose, gli attori della risposta immunitaria (linfociti e altre cellule immunitarie, cellule che presentano l’antigene, endotelio vasale) ricevono input stimolanti o inibenti, che condizio-nano l’esordio e l’evoluzione dell’infiammazione.Al riguardo, c’è innanzitutto da ricordare la con-nessione anatomica già descritta nel Box 11.1. Studi decennali del gruppo di David Felten, di-rettore del Centro di neuroimmunologia della Scuola di medicina della californiana Loma Lin-da University, hanno ampiamente documentato l’estesa innervazione degli organi linfoidi, che, ricordiamo, sono divisi in primari (timo e midollo osseo) e secondari (milza e linfonodi): i primi sono produttori di cellule immunitarie, i secondi sono luoghi di maturazione e attivazione delle stesse. L’innervazione degli organi linfoidi è realizzata da fibre neurovegetative rilascianti soprattutto noradrenalina, acetilcolina e neuropeptidi.A tale proposito, un ruolo di rilievo è svolto dai plessi di fibre nervose simpatiche che avvolgono i vasi arteriosi che penetrano negli organi linfoidi. Queste fibre stringono un rapporto anatomico diretto innanzitutto con le cellule mastoidi, che normalmente sono adiacenti alla vascolatura. Que-ste cellule, chiamate anche mastociti (si veda il Capitolo 9), sono altamente infiammatorie poi-ché sono in grado di rilasciare grandi quantità di sostanze attive, come l’istamina e altre sostanze che provocano vasodilatazione e infiammazione. Rilevante è il fatto che queste cellule sono presenti non solo sotto la cute e le mucose del corpo, ma anche in organi fondamentali tra cui il cervello, dove possono produrre infiammazione.È stato dimostrato che i mastociti possono esse-re attivati in senso infiammatorio dai principali neuropeptidi (CGRP, sostanza P, neuropeptide Y, NGF, VIP), nonché da adrenalina e noradre-nalina e da altre sostanze rilasciate dalle fibre nervose, causando la cosiddetta infiammazione neurogenica, cioè prodotta direttamente dalle fibre nervose.

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo204

calcolata in 1/300/anno nei bambini e 1/800/anno negli adulti. La sepsi può sopraggiungere anche molti anni dopo l’intervento, con una mortalità molto alta (50-70%). Insomma, in assenza di mil-za, è come se mancasse un snodo fondamentale nel complesso circuito che controlla l’infiammazione

è abolito dall’asportazione della milza (splenec-tomia), per cui l’animale da esperimento va in shock settico nonostante la stimolazione vagale o la somministrazione di nicotina, che stimola nel macrofago un riflesso antinfiammatorio [9]. In effetti, l’incidenza della sepsi post-splenectomia è

Cervello

Vaso

Macrofagi

CitochineChemochine

CGRP

SP

CitochineChemochineIstaminaN

ocic

ezio

ne

DRG

Linfonodi

Monociti

Mastocita

Dendritica

Stimolinocivi

Fibrasensorialenocicettiva

Cute

Patogeni

VASODILATAZIONE Stravaso

1

3

2

4

5

5

2

Figura 11.3 La cooperazione tra fibre sensoriali e cellule immunitarie. La figura illustra (1) la capacità condivisa che hanno le fibre sensoriali e le cellule immunitarie di recepire segnali che provengono dai patogeni, orchestrando una risposta congiunta. Le fibre sensoriali da un lato invieranno un segnale di dolore al cervello (nocicezione), dall’altro (2), tramite il ganglio della radice dorsale (DRG) del midollo spinale, produrranno neuropeptidi (sostanza P [SP] e CGRP, il peptide correlato al gene della calcitonina) che retroagiranno verso il vaso sanguigno, causando vasodilatazione e infiammazione. Gli stessi fenomeni vengono prodotti dalla degranulazione dei mastociti (3) con rilascio di mediatori dell’infiammazione, tra cui l’istamina. La vasodilatazione e la presenza di citochine e chemochine indurranno il richiamo dei monociti circolanti che, anche per le modificazioni dell’endotelio vasale nel frat-tempo intervenute, saranno in grado di fuoriuscire dal vaso (4) entrando nei tessuti (che nella figura sono rappresentati dalla cute), dove si attiveranno contro i patogeni. Infine, i macrofagi attivati e, in particolare, le cellule dendritiche migreranno verso i linfonodi (5) presentando l’antigene ai linfociti T helper, per il completamento della risposta immunitaria.

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 205

tramite il ganglio celiaco, stimola la milza a produr-re, tramite le fibre simpatiche, noradrenalina, che induce i linfociti T a rilasciare acetilcolina; questa, a sua volta, legandosi a uno specifico recettore dei macrofagi (α7-nicotinico), inibisce l’attività infiam-matoria di queste cellule immunitarie.Si può quindi credibilmente concludere che sia il sistema neurovegetativo nella sua interezza (vago e simpatico tramite la milza) a regolare l’infiamma-zione periferica, con ulteriore buona pace per la strabica “teoria polivagale”, che vede solo l’azione del vago.

nei vasi e quindi tiene a bada il rischio di shock emorragico. Il dato sulla milza rafforza le conclusioni di altri ricercatori che pongono l’accento sul ruolo del sim-patico [10,11], ricordando che, a oggi, è chiaramente documentata solo l’innervazione simpatica della milza, mentre deboli sono le evidenze su quella pa-rasimpatica. Da qui la spiegazione oggi più accettata, mostrata nella Figura 11.4, dove si vede che la rice-zione da parte del vago di un segnale infiammatorio come il TNF-α (vago afferente) induce una risposta del vago efferente il quale, non direttamente ma

Macrofago

Microbiota

Intestino

Linfocita

NE

ACh

TNF-α

Milza

REGOLAZIONEINFIAMMAZIONE

Stres

s

Vago

affer

ente

Vago

effe

rente

Figura 11.4 La regolazione simpato-vagale dell’infiammazione. Lo stress, le infezioni e altre condizioni possono alterare il microbiota intestinale e innescare una risposta infiammatoria sostenuta da varie cellule immunitarie, tra cui macrofagi, mastociti, natural killer (qui per semplicità è indicato solo il macrofago). Il nervo vago (afferente) possiede recettori sia per le componenti microbiche sia per le citochine e le chemochine rilasciate dalle cellule immunitarie (qui è indicato solo il TNF-α). La ricezione degli stimoli da parte del vago afferente induce una risposta vagale in uscita (vago efferente) che, secondo la visione attuale, attiva le fibre simpatiche contenute nel ganglio celiaco (non mostrato in figura), le quali nella milza, tramite il rilascio di noradrenalina (NE), indurranno i linfociti T a produrre acetilcolina (ACh). L’acetilcolina, recepita dal recettore α7-nicotinico collocato sul macrofago, regolerà l’attività del ma-crofago in senso antinfiammatorio. Un’ipotesi alternativa, invece, propone che sia il nervo splancnico (quindi del sistema simpatico) a controllare l’infiammazione, sempre tramite la produzione di acetilcolina..

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo206

accompagnato da una riduzione di IL-6 e TNF-α, la stessa citochina la cui concentrazione viene ri-dotta dai farmaci biologici che costano parecchie migliaia di euro all’anno.Non bisogna dimenticare, però, che sono dispo-nibili antiche e sperimentate tecniche di mani-polazione del sistema neurovegetativo, come la meditazione, il massaggio, l’osteopatia e l’agopun-tura: la Figura 11.5 mostra la più antica tecnica di neuromodulazione, che da molti secoli stimola le stesse aree oggi bersaglio dei dispositivi elettrici di stimolazione vagale (sull’agopuntura torneremo in dettaglio nel Capitolo 16).

Dal sistema immunitario al sistema nervoso

Nel paragrafo precedente abbiamo visto la co-municazione bidirezionale tra sistema nervoso periferico e sistema immunitario.A livello centrale, le citochine prodotte dal sistema immunitario sono in grado di segnalare pratica-mente in tutti i reparti del cervello, ma, in partico-lare, nelle aree ipotalamiche e ippocampali. Nel 1975, per la prima volta, con i lavori di Hugo O. Besedovsky, che abbiamo più volte ricordato, venne dimostrato che nel corso di una reazione immunitaria si hanno modificazioni neuroendo-crine. L’ipotesi formulata fu che dalle cellule im-munitarie partissero segnali capaci di giungere

Infine, è rilevante la constatazione che il riflesso nervoso veloce, messo in atto dal sistema neuro-vegetativo, è anche in grado di andare a bersaglio, sull’area infiammata, indipendentemente dalla sua collocazione nello schema corporeo.Manipolare il vago e il neurovegetativo è quindi diventato un obiettivo terapeutico da realizzare con dispositivi medicali (Vagus Nerve Stimulation, VNS) generatori di corrente elettrica a basso vol-taggio e a frequenza variabile, che possono essere impiantati a permanenza sulle emergenze occipitali del vago, oppure utilizzati come dispositivi porta-tili, anche in altre aree di accesso al vago, come il collo a livello del plesso carotideo, oppure l’orec-chio esterno, a livello della conca (Figura 11.5).A oggi, il massimo utilizzo di dispositivi di sti-molazione del vago riguarda le forme resistenti di epilessia, ma il governo degli Stati Uniti ha au-torizzato l’utilizzo di questi dispositivi anche per altre patologie, tra cui la depressione ricorrente e le cefalee, di cui parleremo nel Capitolo 18. Non mancano però gli esperimenti in altre patologie su base infiammatoria, come l’artrite reumatoide. Uno studio [12] di grande interesse ha dimostrato che persone con artrite reumatoide in atto, scar-samente controllata anche dalle terapie più inno-vative, come i cosiddetti farmaci biologici (di cui tratteremo nel Capitolo 19), trovano un beneficio clinico significativo dalla stimolazione del nervo vago. In questi pazienti il miglioramento clinico è

Figura 11.5 La stimolazione del nervo vago tramite dispositivi elettrici e tramite agopuntura. A. La stimolazione del vago tramite un dispositivo elettrico portatile, il cui elettrodo viene appoggiato sulla conca del padiglione auricolare (per gentile concessione di VITOS®). B. La stessa stimolazione tramite elettroagopuntura. C. La linea rossa e quella blu indicano i territori dei nervi grande e piccolo occipitale, dove, a livello della nuca, vengono impiantati a permanenza dispositivi elettrici, ma possono anche essere punti in cui viene inserito l’ago per trattare alcuni tipi di cefalee. In particolare il punto GB20 (colecisti-20, indicato dalla freccia), dal quale si può accedere al piccolo nervo occipitale e da qui ai nervi cranici faciale e vago, viene usato anche per disturbi cerebrovascolari, tra cui TIA (attacchi ischemici transitori) ed epilessia [13].

Grandeoccipitale

Piccolooccipitale

A CB

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 207

Qui le modalità di ingresso sono numerose: • Entrando in aree cerebrali in cui la barriera è

scarsa o assente, come l’ipofisi e i cosiddetti organi circumventricolari (eminenza mediana, area postrema e altri). La segnalazione cito-chinica a questo livello può essere importante soprattutto per la regolazione della pressione arteriosa e dell’equilibrio idrico, che sono tra le più importanti funzioni regolatorie svolte da queste aree cerebrali.

• Inducendo la produzione, al di là della barriera, di mediatori infiammatori, come la prostaglan-dina E2 (PGE2).

• Utilizzando specifici sistemi di trasporto, che sono stati identificati sia per le citochine sia per i neuropeptidi [15,16].

• Inducendo la sintesi di citochine nel cervello.

Riguardo alla produzione delle citochine diret-tamente nel cervello, è dimostrato che il gruppo delle “magnifiche tre” (IL-1, IL-6, TNF-α) viene normalmente prodotto da parte delle cellule mi-crogliali e degli astrociti.Soprattutto l’ipotalamo, l’ippocampo, il talamo e i gangli della base esprimono, normalmente, anche a livello dei neuroni, basse quantità di citochine in-fiammatorie, le quali, quindi, entrano nei normali processi di attivazione cerebrale. La produzione cerebrale di citochine apre un altro sorprendente (per i riduzionisti) paragrafo delle relazioni tra cervello e immunità.

Il sistema immunitario del e nel cervello serve anche alle attività cognitive e per la produzione di nuove cellule nervose

Si sa, da quasi un secolo, che il cervello contiene una classe di cellule, le microgliali, che hanno un’origine embriologica diversa dalle altre cellule nervose e si comportano come i macrofagi: sono vere e proprie cellule immunitarie. Tuttavia, per decenni, la pre-senza di queste cellule è stata considerata un’ecce-zione, che confermava la regola del cervello come organo al riparo dal sistema immunitario. Quella che era un’eccezione è poi diventata un’anoma-lia, come direbbe Thomas Kuhn, sulla quale per decenni e con grande difficoltà, anche di natura tecnica, hanno lavoratori scienziati che, alla fine, hanno prodotto un cambio di paradigma. Infatti, oggi è assodato che il cervello ha un proprio sistema immunitario, interno al tessuto cerebrale,

fino al cervello. L’ipotesi venne confermata dallo stesso Besedovsky nel 1981 e poi definitivamente nel 1986.Gli anni successivi hanno ampiamente dimostra-to che le citochine infiammatorie, IL-1, IL-6 e TNF-α, sono in grado di indurre modificazioni biologiche rilevanti sia a carico dei principali assi neuroendocrini, soprattutto l’asse dello stress, sia a carico dei più importanti sistemi di neurotra-smissione cerebrale.L’IL-1, in particolare, è un potente attivatore dell’asse dello stress (ipotalamo-ipofisi-surrene), di quello della crescita (GH) e della prolattina, mentre inibisce l’asse tiroideo e gonadico (sugli assi neuroendocrini si veda il Capitolo 8).Al tempo stesso, è documentata l’azione delle ci-tochine, in particolare di IL-1, sui principali neu-rotrasmettitori, con incremento del metabolismo e quindi del consumo di noradrenalina, dopamina e serotonina. Inoltre, rilevante è l’azione eccita-toria dell’IFN-γ sul recettore del glutammato, che come vedremo, è il più importante neurotra-smettitore eccitatorio, il cui disordine si pensa sia alla base dei disturbi psichiatrici (disturbi dell’u-more, psicosi, disturbi dello spettro autistico; si veda il Capitolo 18) e della neurodegenerazione: un’ulteriore conferma del pieno coinvolgimento del sistema immunitario nei disturbi del sistema psiche-cervello.

LE VIE DI COMUNICAZIONE IMMUNITÀ-CERVELLO

Le citochine, dal sistema immunitario al cervello, seguono tre vie: una umorale, che porta le citochi-ne con la circolazione sanguigna, l’altra nervosa, che convoglia i segnali immunitari al cervello tra-mite le grandi vie di collegamento nervoso (ner-vi cranici, in particolare il nervo vago) e, infine, un’altra linfatica, scoperta nel 2015 e che abbiamo descritto nel Capitolo 7, che ha reso il cervello un organo come gli altri, anch’esso dotato della rete di drenaggio linfatico, che porta via dall’organo an-che le cellule immunitarie. La Figura 11.6 illustra la via nervosa e quella umorale di comunicazione immunità-cervello.La via nervosa è rilevante per la segnalazione cito-chinica che parte dall’apparato gastrointestinale, dal fegato in particolare, come luogo cruciale della risposta infiammatoria. La via umorale è quella che porta le citochine circolanti a contatto con la barriera ematoencefalica, di cui abbiamo parlato nel Capitolo 7.

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tramite i “plessi corioidei”, che sono il luogo di produzione del liquido cerebrospinale.Che ci fanno le cellule T memoria a spasso nel cervello? Ovviamente svolgono la classica funzione di controllo dei patogeni, ma non solo: svolgono un fondamentale ruolo trofico, di stimolazione

composto dalle cellule microgliali, dalle natural killer, dai mastociti e dal sistema del complemento. Inoltre, negli spazi meningei risiedono mastociti e viaggiano linfociti T, B e macrofagi.Inoltre si è scoperto che le cellule T memoria pos-sono viaggiare agevolmente nel cervello entrando

Cambiamenticomportamentali

PGE2NO

IL-6, IL-1β,TNFα

Monociti attivati e macrofagi

CVO

VIA UMORALE

Targetcerebrali

Targetcerebrali

Cambiamenticomportamentali

IL-6, IL-1β ,TNFα

NTS

Nervovago

Monociti attivati e macrofagi

VIA NERVOSA

Figura 11.6 Le due vie di comunicazione dal basso verso l’alto, dal sistema immunitario al cervello. A sinistra la via umorale, che, tramite la circolazione sanguigna, porta le citochine direttamente negli organi cerebrali cosiddetti circumventricolari (attorno ai ventri-coli) che non hanno barriera ematoencefalica. Invece, laddove c’è la barriera, le citochine possono passare tramite specifici sistemi di trasporto (non indicati) o anche tramite la stimolazione della produzione di altre sostanze, come ossido nitrico (NO) e prostaglandine (PG). A destra, la via nervosa che – in particolare tramite il nervo vago, il quale presenta recettori per le citochine – porta i segnali immunitari prima dentro il nucleo del tratto solitario (NTS) e da qui alle altre strutture cerebrali, in particolare al sistema limbico (ipotalamo, ippocampo e amigdala). (Fonte [14, p. 97])

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 209

cerche hanno documentato che la produzione di IFN-γ da parte dei linfociti T meningei influenza positivamente il comportamento sociale dell’anima-le da esperimento e lo sviluppo delle connessioni ce-rebrali, che invece vengono entrambi compromessi dalla carenza di cellule T e di IFN-γ [19].

Dagli ormoni all’immunità

Nel Capitolo 8, al quale rinviamo, abbiamo ampia-mente descritto la storia della neuroendocrinologia e i principali assi neuroendocrini. La Figura 11.7 descrive i principali effetti degli ormoni sul sistema immunitario, effetti che possono essere di stimolo o di inibizione/regolazione. Occorre tenere presente, però, che nella realtà dell’organismo gli effetti degli ormoni sull’immunità non rispondono tout court al-

del tessuto cerebrale. In presenza di linfociti T, infatti, le cellule microgliali rilasciano citochine a basse quantità che fungono da fattori di crescita, in particolare per l’ippocampo, che, come sappiamo, è l’area cerebrale deputata alla memoria [17].I ricercatori parlano di “profilo protettivo”, as-sunto dalle microgliali in presenza di cellule T memoria, che stimola le funzioni cognitive e anche la neurogenesi, la formazione di nuove cellule ner-vose, soprattutto nell’ippocampo. Ricerche sperimentali di un gruppo di neuroscien-ziati tedeschi dell’Università di Dresda, tra cui Gerd Kempermann, molto attivo nello studio della neu-rogenesi nel cervello adulto, ha documentato che il sistema immunitario e le citochine da esso prodotte sono presenti nella “nicchia neurogenetica” e ne influenzano positivamente l’attività [18]. Altre ri-

Ipotalamo

Ipofisi CRH

ACTH

Sistemanervososimpatico

Neuropeptidi

IL-1, TNF, IL-6

Celluleimmunitarie

NoradrenalinaDopamina

Cortisolo

Adrenalina

Surrenali

Locus coeruleus

MIFGH/IGF-1MSHEndorfineOTTEPRLMT

+ –

+

––

++––––+++

Figura 11.7 Gli effetti degli ormoni sul sistema immunitario. Il disegno riassume le conoscenze attuali sulle influenze degli ormoni sull’immunità ed evidenzia l’azione delle citochine nel cervello. I segni + e – indicano, rispettivamente, attivazione e inibizione, anche se occorre avere chiaro che sono una semplificazione, poiché l’azione degli ormoni è diversa a seconda dei circuiti immunitari su cui essi agiscono, dei loro livelli di concentrazione plasmatica, nonché dello stato in cui si trova il sistema immunitario.CRH (Corticotropin Releasing Hormone) = ormone che rilascia la corticotropina; E = estrogeni; GH/IGF-1 (Growth Hormone/Insulin-like Growth Factor-1) = ormone della crescita/fattore di crescita insulino-simile di tipo 1; MIF (Macrophage Inhibitory Factor) = fattore inibitorio dei macrofagi; MSH (Melanocyte Stimulating Hormone) = ormone che stimola i melanociti; MT = melatonina; OT = ossitocina; PRL = prolattina; T = testosterone. (Fonte [14, p. 101])

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ronale, assieme a quella elettrica e magnetica) non riguarda una sola molecola, ma più neurotrasmet-titori insieme: per esempio, la serotonina molto fre-quentemente viene rilasciata assieme al glutammato e così anche altri neurotrasmettitori vengono “co-rilasciati”, spesso assieme a neuropeptidi. Inoltre, è normale che la neurotrasmissione avvenga per grossi volumi, con il rilascio di neurotrasmettitori non solo dagli assoni, ma anche dai dendriti e dal corpo cellulare, in modo da “bagnare” territori cerebrali ampi, dove vengono coinvolte anche le cellule gliali, che recepiscono i segnali e, a loro volta, rilasciano proteine e neurotrasmettitori che si riverberano sull’attività dei neuroni.È la cosiddetta “trasmissione extrasinaptica”, con effetti cerebrali estesi e di più lungo periodo della trasmissione sinaptica tradizionale, che abbiamo descritto nel Capitolo 7.

Neurotrasmettitori e neuropeptidi

Cosa sono i neurotrasmettitori e come vengono prodotti e utilizzati dal cervello?Il sistema nervoso, in generale, usa due classi di sostanze per la comunicazione: 1) piccole moleco-le, che sono aminoacidi o sintetizzate a partire da aminoacidi (con l’eccezione dell’acetilcolina, il cui precursore è la colina); 2) brevi catene di amino-acidi. I primi vengono definiti neurotrasmettitori, i secondi neuropeptidi. La sintesi dei neurotrasmettitori avviene all’interno del neurone, dopodiché la molecola viene caricata in una vescicola che si fonderà con la membrana cellulare e successivamente, rompendosi, libererà all’esterno il suo contenuto (meccanismo di eso-citosi). Il segnale dei neurotrasmettitori sarà poi recepito da sistemi recettoriali molto articolati che attiveranno una cascata di eventi all’interno della cellula ricevente. La Tabella 11.1 riassume i principali neurotrasmettitori indicando anche i loro precursori.Rilevante è il fatto, non indicato in tabella, che alcuni trasmettitori derivino l’uno dall’altro. Per esempio, dalla tirosina si sintetizza dopamina da cui, per passaggi successivi, si sintetizza noradre-nalina e poi adrenalina. Dalla glutammina si sinte-tizza sia il GABA sia il glutammato, ma il GABA deriva anche dal glutammato e il glutammato si può assumere tal quale dagli alimenti, così come l’istamina. La melatonina, che consideriamo un ormone, in realtà deriva da un neurotrasmettitore, la serotonina.

la logica +/– indicata nella figura, perché numerose sono le variabili che possono intervenire. Per esem-pio la concentrazione dell’ormone, come dimostra il cortisolo, che, affinché abbia effetti sull’immu-nità, deve avere una concentrazione plasmatica superiore o inferiore ai livelli giudicati normali. Oppure, lo stato in cui si trova il sistema immuni-tario: per esempio, la melatonina che, in condizioni di normalità del sistema immunitario, svolge un fisiologico ruolo di stimolo del circuito immunita-rio di tipo 1, che garantisce la sorveglianza verso i tumori e le cellule infettate da virus (si veda il Capitolo 9), mentre, in corso di artrite reumatoide e di altre simili malattie infiammatorie, può avere un effetto di esacerbazione dell’infiammazione.

LE PAROLE DELLA GRANDE CONNESSIONE

Dopo aver esaminato le relazioni dirette tra i siste-mi nervoso endocrino e immunitario, viene spon-taneo chiedersi di che entità siano le differenze tra le molecole impiegate. In effetti, la distinzione tra un neurotrasmettitore e una citochina è diventata meno chiara, poiché i nervi possono sintetizzare e rilasciare sostanze infiammatorie, come l’istamina, e citochine, come IL-1 e IL-6; d’altra parte, le cel-lule del sistema immunitario possono sintetizzare e rilasciare neurotrasmettitori e neurormoni, come CRH, ACTH, endorfine, VIP ecc. Insomma, il lin-guaggio che usa il nostro organismo è unitario ed è fondato su parole riconoscibili da tutti i reparti del network. Tuttavia, unitario non significa uniforme: è bene quindi approfondire le parole che i diversi sistemi usano per comunicare tra loro.Ormoni e citochine sono stati trattati, rispettiva-mente, nei Capitoli 8 e 9, qui vediamo le parole del sistema psiche-cervello.

LE PAROLE DEL SISTEMA NERVOSO: NEUROTRASMETTITORI, NEUROPEPTIDI

Come abbiamo visto nel Capitolo 7, la vecchia vi-sione della neurotrasmissione sinaptica, basata su neuroni specializzati nella produzione e nel rilascio di singoli neurotrasmettitori, non regge più. Di nor-ma, la trasmissione del segnale chimico (che, come sappiamo, è una delle forme di comunicazione neu-

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 211

odierno: il glutammato e la serotonina. I Box 11.3 e 11.4 forniscono informazioni dettagliate sulle due molecole che confermano lo stato di grande difficoltà, se non di confusione, della ricerca scien-tifica e soprattutto di quella applicata alla clinica, fondata sul riduzionismo. Per mezzo secolo il glutammato è stato visto solo come un aminoacido, poi a metà degli anni Ottan-ta è stata riconosciuta la sua fondamentale azione di trasmettitore cerebrale e, più recentemente, la sua centralità in molte patologie del sistema psiche-cervello: dalla neurodegenerazione alla de-pressione, alle psicosi, agli stati d’ansia. Da qui, il riflesso mentale riduzionista, così rias-sumibile: se spegniamo il segnale del glutammato, potremmo trattare molte patologie del cervello e della mente. In realtà, come vedremo nel Capitolo 18, l’applicazione della ketamina, antagonista re-cettoriale del glutammato, può essere utile come trattamento d’emergenza di forme particolarmente gravi di depressione a rischio immediato di suici-dio, ma, con tutta probabilità, non può essere una terapia di fondo, anche perché spegnere il segnale del glutammato vorrebbe dire spegnere il cervello, tanto diffuso è quel segnale nell’organo. Il riduzionista non contempla il fatto che c’è una via fisiologica di regolazione della scarica del glutammato, che è la regolazione dello stress, in quanto è il cortisolo che stimola il rilascio di glutammato e sono gli endocannabinoidi che lo

Di rilievo, infine, il fatto che il sistema nervoso usi molecole molto semplici e largamente diffuse nel re-sto dei tessuti, come l’ATP (molecola energetica per eccellenza), l’ossido nitrico (molecola diffusa nei vasi sanguigni con funzioni vasodilatatorie) oppure l’acido arachidonico, della serie dei grassi polinsa-turi, con effetti rilevanti su altri tessuti e sistemi, in particolare sull’infiammazione, di cui parleremo nel capitolo sull’alimentazione (si veda il Capitolo 14).Nella classe dei neuropeptidi, invece, vengono collocate molecole che in parte abbiamo già visto parlando degli ormoni e che vedremo in altri capi-toli, come è il caso dei peptidi natriuretici atriali, che esamineremo nel capitolo sulle malattie car-diovascolari (si veda il Capitolo 17).La Tabella 11.2 riassume i principali neuropeptidi raggruppati per organi, con l’avvertenza che si tratta di una lista incompleta, ma che dà l’idea della pluralità delle sostanze e della loro ubiquità. Diversi peptidi cerebrali, infatti, sono presenti anche nell’intestino e in altri organi.

Glutammato e serotonina

Non potendo dilungarci nell’esame particola-reggiato di tutte le “parole” del sistema nervoso, vogliamo focalizzare l’attenzione su due neuro-trasmettitori al centro della ricerca e del dibattito

Tab. 11.1 I neurotrasmettitori

Neurotrasmettitore Precursore

Acetilcolina Colina

Dopamina Tirosina

Noradrenalina Tirosina

Adrenalina Tirosina

Serotonina Triptofano

Istamina Istidina

Melatonina Serotonina

Aspartato Ossalacetato

Acido γ-aminobutirrico (GABA) Glutammina

Glutammato Glutammina

Glicina Serina

Adenosintrifosfato (ATP) Adenosindifosfato (ADP)

Adenosina ATP

Acido arachidonico Fosfolipidi

Ossido nitrico Arginina

Tab. 11.2 I neuropeptidi

Cervello: sistema ipotalamo-ipofisi

Ormoni ipotalamici: TRH, GnRH, somatostatina, CRH, GHRH, vasopressina, ossitocina, neuropeptide YOrmoni ipofisari: ACTH, β-endorfina, α-MSH, prolattina, LH, GH, TSH

Cervello: epifisi Melatonina

Apparato gastrointestinale VIP, CKK, gastrina, sostanza P, neurotensina, encefaline, insulina, glucagone, bombesina, secretina, somatostatina, TRH, grelina

Cuore Peptidi natriuretici atriali

Altri Bradichinina, calcitonina, CGRP, neuropeptide Y, galanina, angiotensina II

α-MSH = ormone che stimola i melanociti; ACTH = ormone adrenocorticotropo; CGRP = peptide correlato al gene della calcitonina; CKK = colecistochinina; CRH = ormone che rilascia la corticotropina; GH = ormone della crescita; LH = ormone luteinizzante; GHRH = ormone che rilascia l’ormone della crescita; GnRH = ormone che rilascia le gonadotropine; TRH = ormone che stimola la tirotropina; TSH = ormone che stimola la tiroide; VIP = peptide intestinale vasoattivo. (Fonte [20, p. 297])

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Box 11.3 Il glutammato: dalla cucina agli onori della scienza

Benché fin dagli anni Trenta del Novecento il glutammato fosse stato individuato nel cervello, per mezzo secolo è rimasto confinato al metabolismo cerebrale dagli studi del celebre biochimico Hans Adolf Krebs. Poi, a metà degli anni Ottanta, venne riconosciuto come neurotrasmettitore, ma solo negli ultimi due decenni è progressivamente cresciuto l’interesse dei neuroscienziati per questa sostanza.

È presente in tutto il cervello, ma anche in altri sistemiIl glutammato è il maggiore trasmettitore attivante (eccitatorio) del nostro cervello, al punto che si stima che tra l’80 e il 90% delle sinapsi cerebrali siano glutammatergiche. Ma la molecola è presen-te praticamente in tutte le cellule del cervello, neuroni e gliali, collocata sia nel citoplasma sia nei mitocondri dei corpi e dei processi cellulari, anche se, nei neuroni glutammatergici, il glutammato è concentrato (compartimentalizzato) nelle vescicole sinaptiche (Hassel et al., 2012). Dal glutammato deriva il suo antagonista, il GABA (acido γ-aminobutirrico), il più importante neurotrasmettitore inibitorio: l’uno è lo yang e l’altro lo yin, direbbero i cinesi antichi.Ma, essendo un aminoacido, è ben presente nei processi metabolici e di produzione dell’energia: è un fattore chiave nel metabolismo dell’ammoniaca tramite la sintesi di glutammina che incorpora NH3 (quindi partecipa alla detossificazione); è un mattone nella costruzione dei peptidi e delle proteine; entra nella sintesi del più importante sistema antiossidante intracellulare, il glutatione.Viene convertito in glutammina e da qui nuovamente sintetizzato, processo che ha come sede elettiva la sinapsi “a tre” con la cellula gliale, tra due neuroni, dove si realizza il ciclo glutammato-glutammina; la glutammina poi verrà assunta dal neurone per essere riconvertita a glutammato, dando vita al cosiddetto ciclo della glutammina. Tuttavia, può essere prodotto anche a partire dal glucosio. Anzi, virtualmente tutto il glucosio che entra nel cervello potrebbe eventualmente essere convertito in glutammato. Infatti una delle funzioni essenziali del ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA, detto an-che ciclo di Krebs o ciclo dell’acido citrico) che, tra gli altri substrati, utilizza il glucosio, è proprio quella di produrre α-chetoglutarato da cui si formerà il glutammato.Il segnale del glutammato è quindi vitale: viene recepito da due grandi classi di recettori, ionotropici e metabotropici, ed è strettamente regolato da sistemi di trasporto e riassorbimento che evitano l’eccesso del segnale nello spazio sinaptico e in generale nel comparto extracellulare. Un suo eccesso, infatti, è all’origine di meccanismi di danno neurale riassunti nel concetto di eccitotossicità, che si presenta come via finale comune di numerose patologie cerebrali, sia acute, come ictus e trauma cranico, sia neurodegenerative di diversa origine e manifestazione, come l’Alzheimer, la sclerosi multipla, il Parkinson e altre.

Stress e glutammatoRicerche recenti hanno stabilito una connessione stretta tra stress e glutammato. Il cortisolo, princi-pale ormone della risposta di stress, induce un rapido rilascio di glutammato soprattutto nell’ippo-campo, nella corteccia prefrontale e nell’amigdala, che sono poi le aree che “lavorano” la risposta di stress, con attivazione finale dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del braccio simpatico del sistema neurovegetativo. Gli endocannabinoidi rappresentano il fisiologico freno al rilascio di glutammato. Nel Capitolo 18 forniamo altri dettagli, evidenziati anche nella Figura 18.1, cui rinviamo.

Il glutammato, il cervello e l’intestinoÈ noto dalla ricerca giapponese dei primi anni del secolo scorso che, accanto a salato, dolce, acido e amaro, abbiamo un quinto gusto chiamato umami, che, in giapponese, vuol dire saporito (Ikeda, 1912). L’umami è stimolato dal glutammato. Negli ultimi 100 anni, il glutammato ha avuto un lar-ghissimo impiego in cucina proprio per la sua capacità di rendere saporiti e appetitosi i cibi. Per questo, soprattutto nei cibi pronti, nei dadi da brodo e nei ristoranti di basso livello, se ne fa un grande uso per mascherare la scarsa qualità dei cibi. Il cervello, infatti, viene ingannato: la stimo-lazione dei recettori per il glutammato, presenti nella lingua, nella bocca e anche nello stomaco e nell’intestino, dà la sensazione che il cibo mangiato sia ad alto contenuto proteico.

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 213

Il cervello è sensibilissimo al glutammato ingerito: il messaggio viene veicolato non solo dalla bocca, ma anche dallo stomaco tramite il nervo vago. Esperimenti recenti (Kondoh et al., 2009) dimostrano che il glutammato nello stomaco causa il rilascio di serotonina che attiva il vago che porta il messaggio all’ipotalamo dorso-mediale, all’abenula e all’amigdala e quindi alle aree cerebrali che governano la fame e la sazietà, ma anche i circuiti delle emozioni. Un ingerimento eccessivo di glutammato, proprio perché stimola notevolmente il vago, può produrre una sindrome vagale conosciuta come “sindrome da ristorante cinese”, con sudorazione profusa, cefalea, alterazione del ritmo cardiaco e anche svenimenti. Nonostante questi effetti avversi di breve e di lungo periodo, incredibilmente, tra i neuroscienziati c’è chi consiglia di aggiungere glutammato ai cibi “salutari” per aumentarne l’appetibilità e quindi il consumo e, al tempo stesso, indurre sazietà (Bojanowska et al., 2016).

Riferimenti bibliograficiBojanowska E., Ciosek J. (2016), “Can we selectively reduce appetite for energy-dense foods? An overview of pharmacological strategies for modification of food preference behavior”, Curr Neuropharmacol 14(2): 118-142. doi: 10.2174/1570159X14666151109103147.Hassel B., Dingledine R. (2012), Glutamate and glutamate receptors in Brady S.T., Siegel G.J., Albers R.W., Price D.L. (Eds.), Basic neurochemistry, 8th ed., Academic Press-Elsevier, Waltham.Ikeda K. (1912), “On the taste of the salt of glutamic acid”, Proc 8th Int Congr Appl Chem 38: 147.Kondoh T., Mallick H.N., Torii K. (2009), “Activation of the gut-brain axis by dietary glutamate and physio-logic significance in energy homeostasis”, Am J Clin Nutr 90(3): 832S-837S.

Box 11.4 La serotonina: dal mito al caos

I neuroni che producono serotonina sono collocati nei cosiddetti nuclei del rafe. Nel cervello umano sono circa 160.000 i neuroni distribuiti, come indica la Figura 11.8, sulla linea mediana del tronco dell’encefalo, dal bulbo passando per il ponte fino al mesencefalo. In quest’ultima area si trovano i neuroni del nucleo del rafe dorsale (DRN nella sigla internazionale), che rappresentano la principale fonte di serotonina verso l’encefalo. I nuclei più bassi, in particolare il rafe magno, proiettano invece verso il midollo spinale, in particolare verso il corno dorsale, dove la serotonina entra nella regolazione della ricezione del dolore fisico (nocicezione). Negli anni Ottanta del secolo scorso, in concomitanza con la sperimentazione e la messa in commercio dei nuovi farmaci antidepressivi serotoninergici, cioè che potenziano la disponibilità di serotonina cerebrale, il neurotrasmettitore divenne una celebrità mondiale. Veniva diffusa l’idea che la sua carenza fosse all’origine di moltissimi problemi mentali, de-pressione in primo luogo, ma anche altri disturbi psichiatrici e metabolici, come l’iperfagia e l’obesità.Insomma, la serotonina e i farmaci che ne potenziano la disponibilità erano pubblicizzati come “la molecola e le pillole della felicità”. Negli ultimi due decenni, questo paradigma ha accumulato molte anomalie, che ne sanciscono la sua sostanziale falsità. Vediamole.Intanto, non è vero che la serotonina venga sempre attivata dalla gratificazione e si colleghi al buonu-more. Tutte le sperimentazioni più recenti (che è sempre bene ricordare vengono realizzate su modelli animali, quindi con enormi difficoltà di interpretazione del buonumore del ratto, che, come è noto, ha difficoltà a sorridere), pur con sottolineature diverse, convergono nel concludere che il circuito della serotonina si attiva in presenza (o in previsione) sia di stimoli gratificanti sia di stimoli avversi (Bocchio et al., 2016; Cohen et al., 2015). Anche lo stretto collegamento tra serotonina e dopamina, che giustificherebbe il ruolo di molecola della felicità della prima, viene messo in dubbio da uno degli effetti avversi più comuni dei farmaci serotoninergici: il calo del desiderio sessuale, che si accompagna a un aumento della prolattina, conseguenza, secondo ricerche recenti, dell’azione antagonista svolta dalla serotonina sulla dopamina (Lyons et al., 2016). Come sappiamo (si veda il Capitolo 8), la pro-duzione di prolattina viene controllata dalla dopamina: se la dopamina cerebrale si riduce, a causa dell’eccesso di serotonina, cresce la produzione di prolattina e cala il desiderio sessuale.

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Inoltre, altre ricerche sperimentali (Marcinkiewcz et al., 2016) hanno documentato il collegamento tra serotonina e amigdala e un’altra area collegata allo stress, il nucleo del letto della stria terminale (BNST, Bed Nucleus Stria Terminalis). La somministrazione di un serotoninergico causa nell’animale un’attivazione del circuito BNST con aumento del CRH, l’ormone ipotalamico master dello stress (si veda il Capitolo 8), che blocca la produzione di dopamina e stimola un comportamento ansioso e avversivo: ansia che spesso si registra in corso di trattamento con antidepressivi serotoninergici anche negli umani. Infine, negli ultimi tempi è crollato un altro pilastro del paradigma mitologico della serotonina: il controllo della fame. Sulla base di questo mito, una quantità non misurabile di persone, per decen-ni, ha assunto farmaci serotoninergici o precursori della serotonina (triptofano e altri) per ridurre lo stimolo della fame e quindi dimagrire, con fallimenti sostanziali ed effetti avversi anche gravi a livello cardiovascolare. Adesso sappiamo che, con tutta probabilità, i due circuiti della serotonina, quello cerebrale e quello intestinale e plasmatico, hanno ruoli opposti nel controllo del metabolismo.

Nuclei della base

Lobo temporale

Nucleo del rafe dorsale

Nucleo del rafe pontinoNucleo pontino del rafecentrale superioreNucleo del rafe magnoNucleo del rafe pallido e oscuro

Talamo

Figura 11.8 Le vie serotoninergiche. Si basano su circa 160.000 neuroni organizzati in nuclei lungo la linea mediana del tronco dell’encefalo, che proiettano in alto verso l’encefalo e in basso verso il midollo spinale, connettendosi al corno dorsale per il controllo della nocicezione.

Seguito

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 215

Il circuito intestinale della serotonina è quello decisamente più imponente: si calcola che più del 90% di tutta la serotonina presente nell’organismo venga prodotta dalle cellule enterocromaffini dell’intestino e che il 2-3% venga caricato dalle piastrine, che la rilasciano in funzione procoagulante per mantenere l’equilibrio del sangue (emostasi). Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che la serotonina è prodotta anche dalle cellule del tessuto adiposo, poiché è stata documentata nel tessuto grasso l’attività dell’enzima triptofano idrossilasi 1 (TPH1). Questo enzima sintetizza serotonina a partire dal triptofano, da cui il nome chimico del neurotrasmettitore: 5-idrossitriptamina (5-HT in sigla). Il THP1 sintetizza la serotonina fuori dal sistema nervoso centrale e periferico, mentre l’altra forma dell’enzima, il THP2, è attiva nel cervello e anche nel sistema nervoso enterico. Il tessuto grasso è distinto in bianco e bruno: il primo serve da accumulo e da riserva energetica, il secondo invece è la sede della produzione del calore (termogenesi) e quindi funge da spesa energetica. È chiaro, quindi, che se l’energia va verso il grasso bianco, il tessuto si espande e noi ingrassiamo; se invece va in parte verso il grasso bruno, viene bruciata, non si accumula e il corpo rimane snello. Diversi gruppi di ricerca hanno documentato nell’animale che la soppressione del segnale periferico della serotonina, con il blocco di alcuni suoi recettori, conduce a una riduzione dell’accumulo dei lipidi nel grasso bianco e a un aumento dell’attività termogenetica del grasso bruno (Oh et al., 2016). A controprova, è noto che l’aumento della serotonina, prodotto dagli antidepressivi serotoninergici, causa aumento del peso e disturbi metabolici. Infine, la serotonina intestinale è sottoposta a uno stretto controllo poiché, se in eccesso, è un potente fattore infiammatorio.Da questa pur sintetica disamina ci pare emerga con chiarezza la complessità del segnale della serotonina, che non può essere mitologicamente uniformato. La stessa molecola chimica, la 5-idros-sitriptamina, in diversi sistemi fisiologici e nello stesso sistema, in contesti diversi, produce effetti diversi: indagare e apprezzare le differenze è la prima regola dell’indagine scientifica. È per questo che la logica che sta dietro al mito della serotonina, frutto di un pensiero scientifico primitivo pla-smato dal mercato, ha prodotto e produce danni alla salute che solo ora si iniziano a quantificare (Carvalho et al., 2016), come documenta il nascente allarme sull’incremento del rischio emorragico in corso di trattamento con serotoninergici (Laporte et al., 2016) anche in gravidanza, con aumento del rischio di partorire prima del tempo (Eke et al., 2016).

Riferimenti bibliograficiBocchio M., McHugh S.B., Bannerman D.M. et al. (2016), “Serotonin, amygdala and fear: assembling the puzzle”, Front Neural Circuits 10: 24. doi: 10.3389/fncir.2016.00024.Carvalho A.F., Sharma M.S., Brunoni A.R. et al. (2016), “The safety, tolerability and risks associated with the use of newer generation antidepressant drugs: a critical review of the literature”, Psychother Psychosom 85(5): 270-288. doi: 10.1159/000447034.Cohen J.Y., Amoroso M.W., Uchida N. (2015), “Serotonergic neurons signal reward and punishment on multiple timescales”, Elife 4: e06346. doi: 10.7554/eLife.06346.Eke A.C., Saccone G., Berghella V. (2016), “Selective serotonin reuptake inhibitor (SSRI) use during pre-gnancy and risk of preterm birth: a systematic review and meta-analysis”, BJOG May 30. doi: 10.1111/1471-0528.14144. [Epub ahead of print]Laporte S., Chapelle C., Caillet P. et al. (2016), “Bleeding risk under selective serotonin reuptake inhibitor (SSRI) antidepressants: A meta-analysis of observational studies”, Pharmacol Res. pii: S1043-6618(16): 30776-30779. doi: 10.1016/j.phrs.2016.08.017. [Epub ahead of print]Lyons D.J., Ammari R., Hellysaz A., Broberger C. (2016), “Serotonin and antidepressant SSRIs inhibit rat neuroendocrine dopamine neurons: parallel actions in the lactotrophic axis”, J Neurosci 36(28): 7392-7406. doi: 10.1523/JNEUROSCI.4061-15.2016. Marcinkiewcz C.A., Mazzone C.M., D’Agostino G. et al. (2016), “Serotonin engages an anxiety and fear-promoting circuit in the extended amygdala”, Nature 537(7618): 97-101. doi: 10.1038/nature19318. [Epub ahead of print] Oh C.M., Park S., Kim H. (2016), “Serotonin as a new therapeutic target for diabetes mellitus and obesity”, Diabetes Metab J 40(2): 89-98. doi: 10.4093/dmj.2016.40.2.89.

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gioia. Anche uno sguardo, una smorfia del viso, un sorriso, una mezza parola del nostro interlocutore, se sono in grado di modificare le nostre sensazioni fisiche e psichiche, rappresentano esperienze emo-zionali, che possono finire lì o, invece, agganciarsi a memorie più o meno coscienti, più o meno anti-che e rafforzarle o modificarle.

Il cicaleccio interiore

Quando si dice che il cervello è costantemente at-tivo, perfino nella condizione in cui è inserito il “pilota automatico” del Default Mode Network (DMN, si veda il Capitolo 7), dovremmo dire che anche la psiche è costantemente attiva, anche quan-do, dominante il DMN, vagabonda tra frammenti di immagini e pensieri, in quello che il Dalai Lama, con un’immagine efficace, chiama il “cicaleccio in-teriore”, molto simile al verso straziante delle cicale dentro la chioma di un albero nel sole di agosto.La propensione della psiche umana al cicaleccio interiore si basa sul fatto che siamo animali sociali e che quindi dobbiamo costantemente fare i conti con l’altro da noi, interpretandone le motivazioni e possibilmente prevedendone i comportamenti. Dobbiamo anche fare i conti con noi in relazione con gli altri. La nostra psiche monitora i rapporti noi-loro e si preoccupa costantemente di valutare come noi siamo visti dagli altri nel contesto rela-zionale. Per questo continuamente ci raccontiamo storie che interpretano gli eventi e i contesti della nostra vita.Quest’attività mentale, in psicologia, viene defi-nita “ruminazione”, in analogia con l’attività dei ruminanti che rimasticano lo stesso cibo ingerito. Essa non ha necessariamente un significato nega-tivo, poiché una sua componente è la riflessione, cioè l’esame interiore, anche reiterato nel tempo, di un problema al fine di risolverlo. Questo aspetto è vitale per accrescere la nostra capacità di fare fronte alle necessità della vita e al carico di stress che comportano: la riflessione migliora ciò che vie-ne chiamato il nostro “controllo esecutivo”, cioè la capacità di non farci trascinare dall’automatismo mentale, di mostrare flessibilità e disponibilità a cambiare idea, ad aggiornare le nostre convinzioni, partendo da un riesame dei dati della realtà.C’è però un’altra componente della ruminazione, che in lingua inglese viene denominata brooding, che potremmo definire rimuginare senza focaliz-zare per decidere, bensì esponendosi passivamente a una condizione interiore che può essere anche

interrompono [21,22]: per ulteriori dettagli si veda il Box 11.3.Sulla serotonina potremmo dire, con un celebre aforisma, “massima è la confusione sotto il cielo”. Dopo alcuni decenni di glorificazione di questo neurotrasmettitore, la cui carenza è stata indicata all’origine di pressoché tutto quanto interessi la vita psichica di noi umani, dalla depressione all’au-tismo, dall’obesità fino all’eiaculazione precoce, siamo passati a repentini rovesciamenti di fronte. Come dettagliamo nel Box 11.4, adesso non solo la serotonina non è più l’incontrastata “molecola della felicità”, ma addirittura può essere coinvolta nell’ansia e nell’obesità, al punto che si stanno sperimentando farmaci antiserotoninergici per combattere l’obesità!

LE PAROLE DELLA PSICHE: EMOZIONI, IMMAGINI, SOGNI, PENSIERI

Nel capitolo precedente abbiamo chiarito che è un errore ritenere di leggere l’attività psichica con l’alfabeto dei neurotrasmettitori e dei circuiti cere-brali. L’attività psichica si fonda e dipende dall’at-tività cerebrale e dalla neurochimica, ma il suo al-fabeto è diverso. Non si può pensare di conoscere la tristezza o la felicità facendo affidamento sulla rilevazione dei livelli di dopamina: la conoscenza delle dinamiche dei circuiti dopaminergici è essen-ziale per comprendere la fisiologia della psicologia, cioè l’influenza delle dinamiche psichiche sulla biologia e di quest’ultima sulla psicologia, non per comprendere le dinamiche psicologiche.Vanno tenute insieme e conosciute entrambe le dimensioni, perché come già sappiamo e come ve-dremo ulteriormente anche nelle prossime pagine, sono strettamente intrecciate, anche se ognuna va letta con il proprio alfabeto. Al riguardo consenti-teci un inciso: quando si leggono testi o si ascolta-no lezioni universitarie il cui titolo è “psicofisiolo-gia”, nel caso in cui si limitino a descrivere circuiti cerebrali, metodiche di indagine del cervello e molecole nervose, occorrerebbe far presente che si tratta di neurofisiologia, non di psicofisiologia. La psiche ha il suo linguaggio, fatto di emozioni, immagini, sogni, pensieri. Per emozioni non dovremmo solo intendere ri-levanti stati psichici dotati di una certa durata temporale, come quando abbiamo una giornata, più giorni o addirittura uno stato di tristezza o di

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 217

Tra i due tipi di stressor, di natura sociale e na-turale, il primo è un attivatore dello stress molto più potente del secondo. Tuttavia, vivere in una condizione di isolamento sociale espone a una maggiore reattività infiammatoria anche a stressor naturali, come per esempio a un agente patogeno.In sostanza, il sistema immunitario delle persone che vivono e si sentono sole, è “segnato” in senso infiammatorio e ormai abbiamo le prove che la segnatura è epigenetica.

EPIGENETICA IMMUNITARIA DELLE AVVERSITÀ SOCIALI

Steven W. Cole, immunologo e oncologo del Campus di Los Angeles, ha documentato che in particolare due classi di cellule immunitarie, le dendritiche e i monociti, sotto l’influsso delle av-versità sociali, strutturano una risposta stabile di tipo infiammatorio, che può rimanere silente nel tempo e, successivamente, riattivarsi sotto stress. Molto studiate sono le condizioni di isolamento sociale e di sconfitta sociale, che, accanto al lutto e a una grave malattia, rappresentano i fattori fondamentali della trascrizione genica infiamma-toria [26].Cole ha denominato questo profilo epigenetico “risposta trascrizionale conservata alle avversità” (Conserved Transcriptional Response to Adversity, CTRA), che più recenti ricerche hanno confermato essere presente anche in altri contesti diversi da quelli occidentali, come nel caso di ex-bambini soldato del Nepal [27].

Sentirsi aiutati

Una condizione opposta a quella dell’isolamento si ha quando ci si sente aiutati. L’essere umano spon-taneamente cerca supporto, in particolare quello dei propri cari e soprattutto quando non sta be-ne. Uno studio prospettico, che ha seguito per 13 anni oltre 3000 ultracinquantenni di entrambi i sessi, realizzato da un gruppo di ricercatori della Oxford University, ha documentato che c’è una riduzione significativa della mortalità nelle persone che dichiaravano di ricevere supporto dal proprio coniuge e che avevano una rete di amicizie non ec-cessivamente grande (6-7 persone), ma stabile [28]. A riprova di ciò, diversi studi sperimentali, riassunti nella già citata review di Irwin e collaboratori [25], mostrano che la somministrazione di endotossina (una sostanza che induce infiammazione) in sogget-ti sani rende più sensibili agli stimoli negativi e, al

fortemente negativa e capace di avviarci lungo la china della depressione.Ognuno di noi, per stile emozionale o per condi-zione contingente, può essere low/high brooding, un “rimuginatore” poco o molto attivo. Uno studio, che ha coinvolto un centinaio di stu-denti universitari statunitensi, ha dimostrato che gli high brooding, se sottoposti a una condizione di stress sperimentalmente indotto, sviluppano maggiore sintomatologia depressiva e, a un succes-sivo test cognitivo, commettono molti più errori dei low brooding [23]. L’eccessivo rimuginare ha quindi reso questi ragazzi, che hanno dovuto af-frontare una prova stressante, più fragili, sia sul piano emotivo sia su quello cognitivo. Altri studi, usando sempre modelli standard di induzione dello stress nel laboratorio di psicologia, hanno documentato che questa fragilità interiore, misurata con maggiori sintomi di paura e ansia, si traduce in un incremento delle citochine infiam-matorie IL-6 e TNF-α [24] e spesso si accompa-gna a un senso di solitudine e di inadeguatezza personale.

Sentirsi soli

Essere isolati, con scarsi legami sociali, o anche sentirsi soli, nonostante si viva in un contesto fami-liare e sociale adeguato, è probabilmente la condi-zione psichica più dolorosa e anche più pericolosa per la salute umana. La persona che si sente sola è in un permanente stato di allerta, ha paura degli altri, del loro giudizio, ha paura di essere rifiutata, si sente in colpa, non ha prospettive.Recentemente, un’ampia review di un gruppo dell’Università della California, Campus di Los Angeles, con Michael R. Irwin, psichiatra, diret-tore del Cousins Center for Psychoneuroimmuno-logy, ha revisionato tutti gli studi più significativi relativi agli effetti dell’isolamento sul sistema im-munitario umano [25]. L’isolamento e l’esclusione sociale, sia negli uomini anziani, sia in quarantenni maschi e femmine, sia nei bambini, sono associati a: 1) un tipico profi-lo psicologico, caratterizzato da ansia, paura di ricevere valutazioni negative da parte degli altri, estrema sensibilità al rifiuto; 2) un forte incremen-to (raddoppio) dei livelli dei marker infiammatori (PCR, proteina C-reattiva e interleuchine); 3) una notevole reattività del sistema immunitario a stres-sor sia di natura sociale sia di tipo naturale (per esempio vedere un serpente che attacca).

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Wilde, dopo la condanna per sodomia, scriverà soprattutto della vergogna patita: morirà 3 anni dopo l’uscita dalla prigione, all’età di 46 anni. Una lunga serie di studi degli anni Novanta su omosessuali con HIV ha dimostrato che la ver-gogna, che porta a nascondere la propria identi-tà sessuale, causa autosvalutazione e incremento dell’infiammazione. Anche in soggetti sani la ri-evocazione di sentimenti di vergogna provoca un incremento del TNF-α [32]. La vergogna è stata studiata anche in persone che hanno subito uno stress traumatico. Dalle ri-cerche più recenti sembrerebbe che sia questo il sentimento più rilevante collegato alle memorie traumatiche, e non la paura, come si pensava [33].

I sogni, parte integrante della dimensione psichica

Come è noto, le persone che hanno subito un trau-ma e che hanno un disturbo da stress post-trau-matico hanno anche frequenti incubi, che possono rafforzare le memorie traumatiche.Dopo l’impennata con Freud e la successiva caduta verticale negli ultimi 60 anni, la scienza dei sogni [34] sta tornando in auge, poiché è davvero sin-golare espungere dallo studio del cervello e della psiche umana una condizione così integrata alla vita cosciente. La ricerca scientifica ha ripreso a interessarsi della nostra vita onirica quando è risultato chiaro che è dormendo che consolidiamo i nostri ricordi e che questo fenomeno accade sia nelle fasi del sonno più attivo, REM, sia in quelle del sonno più profondo, NREM (sul sonno si veda il Capitolo 13). Da que-ste ricerche è emerso che i sogni, contrariamente a quanto si pensava in precedenza, vengono prodotti anche in fasi di sonno profondo NREM: addirittura è stato documentato che si può sognare e ricordare i sogni anche sotto anestesia generale, una condizione che, per definizione, dovrebbe abolire ogni forma di attività mentale di tipo cognitivo [35]. Per Freud, i sogni erano manifestazione di desi-deri inconsci e il loro studio era la porta d’accesso all’inconscio. Secondo i più recenti orientamenti su un tema difficilissimo da studiare, ma che andrà studiato sempre meglio se si vuole avere un quadro unitario del sistema psiche-cervello, i sogni possono funzionare come integrazione della nostra memoria autobiografica [36]. Possono quindi rafforzare e aggiornare memorie dotate di un solido e antico significato emozionale, agganciandovi frammenti

tempo stesso, più reattivi alla gratificazione sociale. In questi studi, le persone con infiammazione in-dotta mostravano una maggiore attività del circuito neurale del premio (striato ventrale) alla vista di persone amate e di familiari stretti piuttosto che alla possibilità di ricevere un compenso in denaro. Quindi la percezione del sostegno sociale è più ricercata e gratificante del denaro.La percezione dell’aiuto, con tutta probabilità, mette in atto un contesto di suggestioni positive, centrate sulla protezione, cui la psiche umana è par-ticolarmente sensibile, come dimostrano le ricerche sull’effetto placebo, che altro non è che il frutto delle aspettative della persona. Al riguardo gli studi di Fabrizio Benedetti, illustrati nel suo Approfondi-mento, dimostrano che «gli stimoli sociali possono attivare nel cervello del paziente neurotrasmettitori che si legano agli stessi recettori ai quali si legano gli agenti farmacologici» [29, p. 190]. Insomma, il sostegno sociale è come un farmaco. Le aspettative positive, però, non riguardano solo chi riceve aiuto: anche il cervello di chi lo fornisce ha una significati-va gratificazione, riducendo l’attivazione delle aree cerebrali dello stress e aumentando quelle della gratificazione, come dimostrano studi realizzati con la risonanza magnetica funzionale [30].

Sentirsi inadeguati, vergognarsi

Sentirsi inadeguati, vergognarsi sono sentimenti comuni alla gran parte degli esseri umani: chi non li ha mai provati è forse perché ha altri problemi psichici. Di solito, sono fenomeni transitori anche relativi a fasi della vita (l’adolescenza, per esem-pio), che vengono ridimensionati da gratificazioni e sostegni sociali. Possono però costituire un tratto della personalità o di una condizione traumatica. La persona che ne soffre tende ad avere un at-teggiamento sottomesso, vorrebbe sparire e ciò è visibile anche da come si presenta: sguardo basso e postura non eretta.La rispettabilità è per noi molto importante. È un sentimento, tipicamente umano, costruito social-mente: prende forma precocemente nella nostra psiche ed è rintracciabile già in un bambino di 5 anni [31]. Sappiamo dalla storia che la sanzione sociale, che determina la perdita della rispetta-bilità, può arrivare fino alla messa alla gogna di una persona: tra i più celebri che hanno subito l’ostracismo troviamo Galileo Galilei (dalla Chiesa cattolica), Baruch Spinoza (dalla sinagoga) e Oscar Wilde (dalla giustizia di Sua Maestà britannica).

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 219

patologo Hans Selye. Due gli aspetti centrali del suo lavoro: 1) stimoli stressanti di natura diversa (un microrganismo, un agente fisico, un’emozione) possono attivare l’asse dello stress; 2) fondamen-tale è la capacità di adattamento dell’organismo di fronte agli stimoli stressanti: se l’adattamento ha successo, ci troveremo in una condizione di eu-stress, se non ha successo ci troveremo in distress. Le malattie, quindi, possono derivare dal cattivo adattamento allo stress. La sua è pertanto una visione dinamica, molto di-versa da quella precedente del fisiologo statunitense Walter Cannon (1871-1945), che vedeva il sistema dello stress come un sistema di emergenza centrato sull’attivazione del sistema nervoso simpatico; una volta superata l’emergenza e disattivato il simpatico, il sistema consentiva all’organismo di tornare alle medesime condizioni di partenza (omeostasi). A partire dagli anni Ottanta del Novecento si è sviluppata una visione scientifica dello stress che supera definitivamente ogni idea omeostatica. Come scrive Andrea Minelli nel suo Approfon-dimento, «l’organismo non si sforza di riportare i suoi sistemi omeostatici ai loro valori “norma-li” di equilibrio (stability through constancy), ma mette in opera modificazioni multisistemiche e coordinate (stability through change), fisiologiche e comportamentali, atte a raggiungere un nuovo equilibrio e migliore fitness».Il sistema dello stress si presenta quindi come un sistema adattativo fondamentale che, recependo stimoli ambientali di varia natura, induce l’intero organismo (psiche e sistemi biologici) a produrre risposte adattative di tipo allostatico, che richie-dono cambiamenti efficaci per il mantenimento della salute. Tuttavia, anche le risposte adattative più efficaci non possono evitare l’accumularsi di un “carico allostatico”, che è l’inevitabile prezzo paga-to al trascorrere del tempo e alle ingiurie della vita.Resta la domanda di Irwin: c’è una specificità degli stressor psicosociali?

Le due tradizioni di ricerca

A questa domanda dette una risposta affermati-va un grande psicologo, Richard Lazarus (1922-2002), che con la collega Susan Folkman, attual-mente professore emerito dell’Università della California, elaborò i concetti di appraisal (valu-tazione degli stressor) e di coping (strategie di adattamento). Lazarus evidenziò che gli stressor psichici, a differenza di quelli fisiologici, hanno

di materiale, registrati nella vita da svegli, che nel sonno si presentano “iperassociati” ad altri fram-menti, magari in modo bizzarro. Ma possono anche contrastare e cambiare quelle memorie.Da qui il crescente interesse a insegnare, soprattut-to a persone che soffrono di incubi traumatici, a produrre sogni lucidi, caratterizzati dalla capacità di cambiare la scena, intervenendo attivamente nel sogno. Capacità spontaneamente presente in molte persone [37] e che un ramo delle antiche tecniche meditative orientali coltiva come pratica sotto il nome di Yoga Nidra, che può essere di grande utilità in molte condizioni traumatiche e dolorose, come mostrano i primi studi pilota [38], con l’avvertenza di non applicare l’insegnamento dei sogni lucidi a persone affette da psicosi, per-ché molto probabilmente potrebbe peggiorare le tendenze deliranti [39].

COME LE PAROLE DELLA PSICHE DIVENTANO PAROLE BIOLOGICHE: IL SISTEMA DELLO STRESS

Michael R. Irwin e collaboratori, alla fine della review sopra citata sulla “co-regolazione dell’in-fiammazione e del comportamento sociale”, dopo avere affermato che sarebbe ora di vedere i feno-meni psicologici anche come “fenomeni fisiolo-gici”, cioè con effetti pertinenti sulla regolazione della vita dell’organismo, si chiedono se gli stressor sociali utilizzino gli stessi meccanismi degli altri agenti stressanti oppure se vi siano “meccanismi specializzati” [40] dedicati al collegamento tra dimensione psicosociale e dimensione biologica.È nostra opinione che, molto probabilmente, la ricerca dei prossimi anni non troverà meccanismi speciali, ma confermerà, con maggiori e più pre-gnanti conoscenze, il ruolo del sistema dello stress come fondamentale via di adattamento dell’orga-nismo, nella sua interezza, all’ambiente fisico e sociale. Già ora abbiamo nuove conoscenze sulla neurobiologia dello stress, che vanno in questa direzione, come vedremo in queste pagine finali

Il sistema dello stress: da una visione emergenziale a una regolatoria

Come abbiamo visto nel Capitolo 3, la ricerca scientifica sullo stress ha avuto il suo punto di svolta con gli esperimenti dell’allora giovanissimo

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo220

Le vie biologiche del sistema dello stress

Nel Capitolo 8 abbiamo dedicato ampio spazio all’esame del sistema dello stress, mostrando quan-to imponente e variegata sia la mobilitazione di ormoni e neurotrasmettitori a partire dai nuclei ipotalamici (si veda in particolare la Figura 8.3). Accanto alla cascata neuroendocrina, viene atti-vato il braccio nervoso dello stress, fondato sul sistema nervoso simpatico che, da un lato, rilascia noradrenalina in tutti i tessuti, in particolare, nel brevissimo periodo, sulla parete dei vasi sanguigni, nella cute e nel cuore; dall’altro lato, stimola la par-te interna delle ghiandole surrenali, la midollare, a produrre catecolamine, soprattutto adrenalina e noradrenalina.Ricerche recenti di tipo anatomico hanno ulte-riormente chiarito le vie che collegano le cortecce cerebrali, sede dell’elaborazione degli stress psi-cosociali, alla midollare del surrene.Un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Pittsburgh, negli Stati Uniti, ha documentato che, nella scimmia, le aree corticali comunicano, trami-te una connessione multisinaptica, con la midollare del surrene [42]. La novità di rilevo sta nel fatto che fino a ora si pensava che la midollare surrenalica, centrale di rapida risposta di stress, fosse governata dal si-stema ipotalamico e dai nuclei noradrenergici del tronco dell’encefalo, insomma da aree profonde del cervello. Si ipotizzava ovviamente che le aree corticali frontali potessero dare il via al meccani-smo della risposta di stress, ma fino a ora non c’era la dimostrazione che ciò avvenisse.Adesso, la documentazione presentata sulla ri-vista della National Academy of Sciences degli Stati Uniti dimostra che le cortecce che vengono attivate in corso di stress e che “scaricano” sulla midollare del surrene sono alcune aree motorie e prefrontali mediali.Quelle motorie, come illustra la Figura 11.9, ar-rivano direttamente alla midollare, tramite la via corticospinale. Le prefrontali mediali e le porzio-ni anteriori della corteccia cingolata arrivano ad attivare la midollare tramite le connessioni con l’amigdala e l’ipotalamo. Quindi, tramite le cortecce motorie, i muscoli di tutto l’organismo vengono mobilitati e, tramite le cortecce prefrontali mediali e del cingolo anterio-re, arriva lo stimolo simpatico alla midollare del surrene, inducendola a rilasciare le catecolamine.

bisogno di una mediazione da parte della mente, che li valuta, li “pesa”, cognitivamente ed emoti-vamente. Per questo, di fronte allo stesso stressor, due persone possono rispondere (coping) in modo completamente diverso. Lo studioso statunitense andò anche oltre: pog-giandosi sulle ricerche del fisiologo John Wayne Mason (1924-2014) sulle scimmie, suggerì che gli stressor fisiologici hanno un minore impatto sull’asse dello stress rispetto a quelli psicologici. Quindi, ipotizzò, anche i sistemi che attivano, for-se, sono diversi [41].Le osservazioni e gli studi di Lazarus sulla pecu-liarità degli stressor psicosociali hanno dato vita a una tradizione di ricerca sullo stress che usa stru-menti di valutazione delle caratteristiche e del li-vello di intensità dello stress individuale, che sono di grande interesse e utilità, scientifica e clinica. Ai fini di una cura che valuti il paziente nella sua interezza, infatti, è fondamentale conoscere le ca-ratteristiche e il livello di stress. Per questo, pro-poniamo al lettore uno strumento di valutazione semplice ed efficace elaborato nell’ambito della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmu-nologia da David Lazzari, che lo presenta nel suo Approfondimento. Tuttavia, questa tradizione di ricerca psicologica sullo stress si è sviluppata su un binario parallelo a quella biologica, inaugurata da Selye.Oggi, per fortuna, proprio per la diffusione del paradigma della Psiconeuroendocrinoimmuno-logia, le due tradizioni si intrecciano sempre più, mettendo in campo valutazioni psicobiologiche integrate dello stress, come vedremo nel dettaglio nel capitolo conclusivo di questo volume.Giunti a questo punto, possiamo trarre alcune conclusioni.A nostro avviso, aveva ragione Selye a rimarcare che il sistema dello stress è il master system dell’or-ganismo, attivato da fattori di natura diversa. Que-sto concetto è alla base della comprensione della comunicazione tra i sistemi che, come vedremo ancora più da vicino nei capitolo clinici del manua-le, ci fa capire come sia possibile che un’infiam-mazione d’organo o un tossico ambientale possano attivare il sistema dello stress con conseguenze emozionali.Al tempo stesso, aveva ragione Lazarus a rimarcare la peculiarità degli stressor psicosociali, che dipen-dono dalle caratteristiche della psiche individuale.Tuttavia, occorre ancora chiedersi: ci sono vie bio-logiche speciali per gli stressor psicosociali?

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Capitolo 11 • La grande connessione: le relazioni bidirezionali tra i sistemi biologici e tra questi e la psiche 221

getiche), utile, nel breve periodo, ad affrontare lo stimolo stressante. Pericolosa, nel medio lungo periodo, perché i mediatori dello stress (ormo-ni, neurotrasmettitori, acidi grassi, specie reattive dell’ossigeno, citochine) possono alterare, anche in profondità, l’equilibrio e lo stesso assetto anato-mico dei sistemi fondamentali: cervello, immunità, metabolismo.Le conseguenze dell’iperattivazione cronica del sistema dello stress vengono ampiamente trattate in altri capitoli e in particolare in quelli a carattere clinico, con riferimento alle diverse patologie.

Insomma, quello che accade nella nostra psiche, il significato e la valutazione che il nostro stile emo-zionale e cognitivo danno all’evento stressante, giunge, tramite le cortecce prefrontali, alla piat-taforma neurale che, da un lato, attiva la cascata ormonale (braccio neuroendocrino dello stress) e, dall’altro, la rapidissima scarica di adrenalina e noradrenalina (braccio nervoso dello stress). Al tempo stesso, il sistema muscolo-scheletrico riceve una sferzata di allerta. Ciò ha come con-seguenza fisiologica la mobilitazione delle risorse interne (cognitive, attentive, metaboliche, ener-

CRH

ACTHCortisolo

Surrene

AdrenalinaNoradrenalina

Sistemamuscolo-scheletrico

CuoreRespiroMetabolismo

AmigdalaIpotalamo-Ipofisi

1

23

4

Figura 11.9 L’asse dello stress. La figura mostra i due bracci del sistema dello stress: il braccio nervoso che attiva la midollare del surrene (in blu) con produzione di adrenalina e noradrenalina e, al tempo stesso, vari sistemi tra cui il cardio-respiratorio e il muscolo-scheletrico (quest’ultimo tramite la via spino-talamica, in giallo), il braccio neuroendocrino (ipotalamo-ipofisi-corticosurrene) con la cascata degli ormoni CRH-ACTH-cortisolo, i cui livelli nel sangue circolante vengono monitorati dall’ipotalamo e dall’ipofisi (feedback negativo). La figura mostra anche i collegamenti tra le aree corticali, attivate in corso di stress psicosociale, e la midollare del surrene: in blu le prefrontali mediali (1, 2: la ventro-mediale e la orbito-frontale) e le aree anteriori della corteccia cingolata (3, 4: la pregenuale e la subgenuale, cioè rispettivamente le aree che stanno prima e sotto il “ginocchio” della corteccia cingolata); in giallo le aree motorie (tra cui la premotoria, la motoria primaria, la supplementare motoria e le aree rostrali e caudali della corteccia cingolata). (Fonte [42])

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo222

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo224

A1. L’EFFETTO PLACEBO E NOCEBO

Fabrizio Benedetti Un placebo è una sostanza inerte o un trattamento me-dico senza alcuna proprietà terapeutica, mentre l’ef-fetto placebo, o risposta placebo, è l’effetto che segue alla sua somministrazione. Tale effetto consiste in un cambiamento organico o mentale che avviene in se-guito al significato simbolico che viene attribuito a un evento o a un oggetto in ambito sanitario. È importante sottolineare che l’effetto placebo non è dovuto alla sostanza inerte in sé, poiché una zolletta di zucchero o un bicchiere d’acqua non acquisiranno mai proprie-tà terapeutiche. Ciò che gioca un ruolo essenziale è il contesto psicosociale che ruota intorno alla terapia e al paziente. Il contesto è costituito da qualsiasi oggetto o da una persona presente durante il trattamento che “co-munichi” al paziente che si sta effettuando una terapia e che quindi si prevede una riduzione dei sintomi nel prossimo futuro. Al fine di misurare l’effetto placebo è necessario escludere una serie di fattori che nulla hanno a che fare con l’effetto placebo reale [1].Il miglioramento clinico osservato dopo la sommini-strazione di un placebo (e in seguito a qualsiasi terapia) può essere dovuto a una serie di fattori che non c’en-trano nulla con l’effetto placebo reale. Per esempio, la remissione spontanea di un sintomo è un evento molto comune ed è necessario escluderla mediante lo studio di un gruppo che non riceve alcun trattamento (gruppo storia naturale). La differenza fra il gruppo che non riceve alcun trattamento e il gruppo che riceve il placebo rappresenta l’effetto placebo reale. Un altro fenomeno da escludere è la regressione verso la media, un fenomeno statistico dovuto al fatto che i pazienti tendono a ricevere la loro prima valutazione clinica quando un sintomo o un parametro fisiologico sono vicini al loro massimo valore, e che tale valore tende a essere minore quando il paziente torna per una seconda valutazione. Anche in questo caso, la riduzione del sin-tomo non è dovuta al tipo di intervento cui il paziente può essere stato sottoposto (per esempio un placebo). Altri fattori che possono determinare un miglioramento sono l’ambiguità del sintomo stesso (spesso si ha solo un’impressione soggettiva di una lieve riduzione), la

tendenza del paziente a compiacere il medico, il possi-bile effetto di concause non identificate, per esempio una dieta particolare che il paziente sta effettuando all’insaputa del medico.Tutto ciò è vero non solo in ambito farmacologico, ma anche per le procedure chirurgiche e le terapie psico-logiche. Se questi fattori non vengono esclusi e alcune regole metodologiche fondamentali non sono seguite, si rischia di incorrere nell’errore di scambiare altri fe-nomeni con l’effetto placebo. Perciò, il vero effetto placebo, o risposta placebo, è un fenomeno psicobiolo-gico che coinvolge meccanismi molto complessi a livello cerebrale. È importante sottolineare, inoltre, che non esiste un solo effetto placebo, ma molti. Per esempio l’aspettativa del miglioramento clinico, la riduzione dell’ansia, l’apprendimento e la memoria, nonché i fattori genetici, sono tutti meccanismi cerebrali alla base del vero effetto placebo. Come descritto di seguito, differenti effetti placebo avvengono con differenti mec-canismi e in differenti sistemi e apparati dell’organismo.

Meccanismi psicologici

La distinzione fra meccanismi psicologici e neurobiologi-ci è certamente da considerarsi artificiale, in quanto i due meccanismi sono da considerarsi come un continuum di eventi mentali e biologici. Qui vengono differenzia-ti gli aspetti psicologici da quelli biologici sia a scopo descrittivo/didattico sia perché l’approccio psicologico è più mirato alla descrizione degli eventi mentali e del comportamento, mentre l’approccio neurobiologico mira a comprendere gli eventi biochimici e cellulari che avvengono nel cervello del paziente. Oggi si conosco-no almeno due meccanismi dell’effetto placebo [1]. Il primo: l’aspettativa e l’anticipazione della riduzione di un sintomo inducono una reale riduzione del sintomo attraverso meccanismi cognitivi in cui i lobi frontali giocano un ruolo di primo piano. Per esempio, aspettarsi un beneficio terapeutico, e quindi un miglioramento clinico, può ridurre l’ansia oppure attivare i meccanismi cerebrali di “ricompensa”, cioè quei meccanismi che ci permettono di anticipare un evento piacevole. In questo caso, l’evento piacevole è rappresentato dalla riduzione o dalla scomparsa di un sintomo. Il secondo: un mecca-nismo di apprendimento può spiegare in alcuni casi la risposta placebo. In questo caso, la ripetuta associazione

APPROFONDIMENTIFabrizio Benedetti, David Lazzari, Andrea Minelli

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fra il contesto intorno al paziente (per esempio una si-ringa o il personale medico) e il principio farmacologico attivo (il farmaco contenuto nella siringa) induce una ri-sposta condizionata, perciò, dopo ripetute associazioni, la sola vista della siringa o del medico sarà sufficiente a indurre la riduzione del sintomo.

Meccanismi biologici

L’analgesia da placebo si è rivelata negli ultimi anni il miglior modello per comprendere la neurofarmacologia e la neuroanatomia dell’effetto placebo. Diverse linee di ricerca indicano che il contesto intorno a un trattamen-to analgesico (per esempio le suggestioni verbali) attiva i sistemi oppioidi endogeni. Un passo importante nella comprensione di questi meccanismi neurobiologici è stato fatto quando si è osservato che, bloccando le so-stanze oppioidi endogene prodotte dal nostro cervello con un antagonista oppioide, il naloxone, l’analgesia da placebo scompare. Oggi sappiamo che l’analgesia da placebo è dovuta a meccanismi sia oppioidi sia non op-pioidi, in relazione alla procedura utilizzata per indurre la risposta placebo. Infatti il naloxone blocca l’analgesia da placebo quando si effettua un precondizionamento con morfina, mentre la risposta placebo non è bloccata dal naloxone se il precondizionamento è effettuato con un farmaco non oppioide, per esempio il ketorolac. In questo caso, il meccanismo coinvolge il sistema endo-cannabinoide [2].L’identificazione neuroanatomica dei meccanismi op-pioidi è stata ottenuta mediante tecniche di neuroimma-gine. In particolare, è stata descritta l’attivazione di una via discendente inibitoria in seguito alla somministra-zione di un placebo [3]. Queste regioni cerebrali sono state identificate mediante la tomografia a emissione di positroni, che ha mostrato come un farmaco oppioide, il remifentanil, e un placebo attivino le stesse regioni, in particolare la parte rostrale della corteccia cingolata anteriore (rACC) e la corteccia orbito-frontale (OrbC). Inoltre, in questo studio è stata trovata una covariazione dell’attività di rACC con quella del bulbo rostro-ventro-mediale (RVM) e della sostanza grigia periacqueduttale (PAG), suggerendo che tutto il circuito nervoso discen-dente rACC-PAG-RVM sia attivato sia dal remifentanil sia dal placebo. È bene ricordare a tale proposito che sia l’ACC sia la PAG sono ricche di recettori oppioidi.Utilizzando un’altra tecnica di neuroimmagine, la ri-sonanza magnetica nucleare funzionale, le regioni ce-rebrali coinvolte nell’analgesia da placebo sono state descritte in dettaglio [4]. Infatti, si è potuto dimostrare come l’anticipazione dell’analgesia, indotta dal placebo,

attivi la corteccia prefrontale dorso-laterale, la quale inibirebbe la trasmissione del dolore a livello del talamo e dell’insula. La dimostrazione definitiva che in queste aree avviene una liberazione di oppioidi endogeni in seguito a una procedura placebo è stata ottenuta uti-lizzando tecniche di legame recettoriale in vivo, in cui è possibile osservare e quantificare l’attivazione dei recet-tori oppioidi in vivo nell’uomo [5]. Questo approccio ha dimostrato che la somministrazione di un placebo nel dolore sperimentale in soggetti volontari sani induce l’attivazione dei recettori mu (μ) degli oppioidi in di-verse aree cerebrali, come la ACC, la PAG e il nucleo accumbens. Oltre all’attivazione dei recettori oppioidi, nel nucleo accumbens avviene anche un’attivazione dei recettori per la dopamina, indicando quindi l’alto grado di complessità della risposta placebo [6].

Oltre il dolore

Negli ultimi anni sono stati studiati altri sistemi e altre condizioni mediche, rivelando ancora una volta che non si può parlare di un singolo effetto placebo, ma di molti effetti placebo con diversi meccanismi. A questo riguar-do, la malattia di Parkinson ha fornito dati importanti. Un placebo somministrato a pazienti parkinsoniani attiva la dopamina endogena nella via nigro-striatale, cioè in quella stessa via che è danneggiata nella ma-lattia di Parkinson [7]. Questo studio ha utilizzato la tomografia a emissione di positroni al fine di valutare la competizione fra dopamina endogena e raclopride per i recettori D2/D3, una metodologia che permette di identificare il rilascio di dopamina endogena. Paral-lelamente a questo studio, sono stati analizzati pazienti parkinsoniani ai quali erano stati impiantati due elet-trodi nei nuclei subtalamici per la stimolazione cronica terapeutica. In tali pazienti sono state indotte diverse aspettative di miglioramento della performance moto-ria, utilizzando diverse procedure placebo. I risultati dimostrano che un placebo è in grado di modulare gli effetti terapeutici della stimolazione del nucleo subta-lamico, suggerendo pertanto che una procedura place-bo sia in grado di modulare l’eccitabilità neuronale di alcune regioni cerebrali. Inoltre, registrando da singoli neuroni nel paziente parkinsoniano, è stato dimostrato un effetto placebo a livello di singoli neuroni. In altre parole, singoli neuroni del nucleo subtalamico cambia-no la loro attività in seguito a somministrazione di un placebo, e tali cambiamenti sono in stretta relazione con la sintomatologia clinica [8].Lo studio del sistema immunitario e del sistema endo-crino ha fornito dati importanti per comprendere le ri-

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Parte 3 • I sistemi di regolazione e l’unità dell’organismo226

L’effetto nocebo riveste un’importanza particolare nella nostra società. Un esempio è rappresentato dai messag-gi lanciati dai mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, la radio e i giornali, riguardo ai pericoli e ai danni per la salute. Spesso questi messaggi sono falsi o esagerati, eppure inducono aspettative negative in coloro che li ricevono. Alcuni studi recenti hanno di-mostrato che i disturbi, come la cefalea, spesso imputati alle radiofrequenze dei telefoni cellulari, non sono altro che effetti psicologici, cioè effetti nocebo. Analogamen-te, gli effetti collaterali dei farmaci, descritti nel foglio della confezione (il cosiddetto bugiardino), qualche volta sono solo effetti nocebo: leggere che un farmaco può indurre nausea può provocare realmente nausea in alcuni soggetti. Una diagnosi negativa può sortire lo stesso effetto, in cui il paziente presenta una sintoma-tologia più severa al solo aspettarsi un peggioramento della sua situazione.Un meccanismo importante nell’effetto nocebo è l’ansia anticipatoria, cioè quella forma di ansia che precede l’arrivo di una situazione di stress. L’ansia anticipatoria induce l’attivazione nel cervello di una sostanza, la co-lecistochinina (CCK), la quale produce a sua volta un effetto amplificante sul dolore. Questo effetto va sotto il nome di iperalgesia da nocebo: quando il soggetto si aspetta la comparsa di un dolore intenso, la sua ansia attiva la CCK che aumenta la percezione del dolore.

La terapia senza contesto

Fino a ora la componente placebo di un trattamento medico è stata studiata somministrando un placebo, che non è nient’altro che una terapia finta, al fine di elimi-nare l’effetto specifico della terapia stessa. È possibile cambiare questo approccio sperimentale in senso dia-metralmente opposto, cioè eliminando la componente placebo e mantenendo l’effetto specifico di una terapia [11]. Per fare ciò, una terapia, per esempio farmacolo-gica, è somministrata all’insaputa del paziente, cioè in maniera inaspettata. Se si paragona l’effetto del farmaco somministrato di nascosto con l’effetto ottenuto me-diante la somministrazione in piena vista del paziente, l’efficacia del farmaco “nascosto” è minore. Ciò è stato dettagliatamente descritto per diversi antidolorifici di uso comune, come la morfina, la buprenorfina, il tramadolo, il ketorolac e il metamizolo. In altre parole, una terapia somministrata di nascosto è meno efficace di una terapia effettuata in piena vista del paziente.La differenza fra la somministrazione di nascosto, in cui il paziente non ha alcuna aspettativa di beneficio terapeutico, e quella alla vista del paziente, in cui il

sposte placebo derivanti dal condizionamento classico. Per esempio, dopo ripetute associazioni fra una bevan-da dal gusto particolarmente forte e un farmaco immu-nosoppressore che inibisce le risposte immunitarie, la bevanda è da sola in grado di produrre gli stessi effetti immunosoppressori del farmaco. Analogamente, la ri-petuta somministrazione in un determinato contesto di un farmaco che aumenta l’ormone della crescita induce risposte placebo condizionate, nelle quali il solo atto della somministrazione (senza tuttavia somministrare alcun farmaco) produce un aumento dell’ormone [9].Vi sono altre condizioni patologiche che sono state oggetto di studi recenti, tuttavia i meccanismi sono molto meno conosciuti. Per esempio, un trattamento placebo nella depressione e nell’ansia influenza l’at-tività di diverse regioni cerebrali, come la corteccia cingolata e la corteccia orbito-frontale; tuttavia non è del tutto chiaro quali meccanismi siano implicati [1]. Analogamente, la tossicodipendenza è stata studiata con tecniche di bioimmagine, ma pochi studi esisto-no in questo ambito. Vale però la pena ricordare che l’aspettativa gioca un ruolo importante nell’assunzione delle droghe. Per esempio, se viene somministrata un’amfetamina a un tossicodipendente dicendogli che è un’amfetamina, gli effetti sul suo comportamento e le risposte cerebrali sono molto maggiori rispetto a quando gli si dice che è un placebo. In altre parole, mentre nel primo caso il tossicodipendente si aspetta un effetto, nel secondo caso non si aspetta alcunché. Quindi l’effetto farmacologico di una droga è raffor-zato dall’aspettativa [1,10].Alcune varianti genetiche sono correlate con la rispo-sta placebo, sebbene le ricerche in questa direzione siano ancora scarse a causa della complessità dell’ap-proccio metodologico e del disegno sperimentale da effettuare [10].

L’effetto nocebo

L’effetto placebo può andare anche in direzione op-posta [1,10]. Per esempio, se il soggetto si aspetta un incremento di un sintomo, si può avere un reale incre-mento. In tal caso, si parla di effetto nocebo. I meccani-smi alla base dell’effetto nocebo sono praticamente gli stessi dell’effetto placebo, solo che vanno in direzione opposta. Per esempio, possono essere coinvolti mecca-nismi di aspettativa o apprendimento. Poco si sa sulle sue basi neurobiologiche, considerati gli inerenti pro-blemi etici. Infatti, al fine di studiare l’effetto nocebo è necessario indurre aspettative negative, e ciò provoca stress nei soggetti che si sottopongono a esse.

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psicologica gioca un ruolo essenziale nella performance fisica. Molte sostanze credute ergogeniche inducono in realtà solo un effetto placebo, in cui il solo fatto di credere e aspettarsi un incremento della performance mentale e fisica ha effetti reali sul cervello e sul sistema motorio.

L’impatto sociale in ambito non medico

Sebbene il concetto di placebo rimanga strettamente legato all’ambito della medicina, è interessante notare che i concetti di base possono essere applicati nella vita di tutti i giorni, durante la quale si è sottoposti a conti-nui inganni e condizionamenti che possono modulare non un sintomo, bensì le nostre percezioni e i nostri comportamenti. In altre parole, spesso i nostri giudizi sul mondo che ci circonda sono solo il frutto delle nostre suggestioni, convinzioni, credenze e aspettative [1,10].

NOTE BIBLIOGRAFICHE

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[7] De la FueNte-FerNáNDez r., ruth t.j., SoSSi V. et al. (2001), “Expectation and dopamine release: mechanism of the placebo effect in Parkinson’s disease”, Science 293(5532): 1164-1166.

paziente si aspetta un effetto terapeutico, rappresenta la componente placebo (psicologica) della terapia, anche se nessun placebo è stato somministrato. Ovviamente, maggiore è la differenza, maggiore è la componente placebo, e minore è l’effetto del farmaco. Per esempio, un farmaco può essere efficace quando somministra-to in piena vista del paziente, ma del tutto inefficace quando somministrato di nascosto. In questo caso la differenza è enorme e ci dice che il farmaco di per sé è del tutto inefficace, e la sua somministrazione alla vista del paziente produce solo un effetto placebo (psicolo-gico). Al contrario, se non vi è alcuna differenza fra la somministrazione in piena vista del paziente e la sommi-nistrazione di nascosto, il farmaco risulta essere efficace.Queste osservazioni sono importanti per diversi motivi. In primo luogo, la somministrazione di nascosto di una terapia evidenzia come la componente placebo sia pre-sente anche in assenza di somministrazione di un pla-cebo. In seconda istanza, appare chiaro come la com-ponente placebo non sia nient’altro che la componente psicosociale che si trova intorno al paziente. Quando il paziente non sa di ricevere qualcosa, e quindi non si aspetta nulla, l’effetto del farmaco è minore. Terzo, l’effetto di un farmaco somministrato di nascosto rap-presenta il reale effetto farmacodinamico della sostanza iniettata, senza la “contaminazione” della componente psicologica. Quarto, dal punto di vista strettamente etico, è possibile testare l’efficacia di una terapia senza la somministrazione di alcun placebo.

Il placebo nello sport

La somministrazione di un placebo può indurre anche un aumento della performance fisica, con un’imme-diata ricaduta sullo sport. Per esempio, è possibile effettuare un condizionamento farmacologico con morfina nella fase di allenamento di una competizio-ne, e poi sostituire alla morfina un placebo il giorno della competizione, dicendo all’atleta che è la mor-fina dei giorni precedenti. Con tale procedura, un placebo mima gli effetti della morfina somministrata nei giorni precedenti, con il conseguente incremento della tolleranza al dolore. È evidente che in tal caso il problema etico è cruciale, poiché un placebo non è rilevabile in un test anti-doping, visto che è acqua fresca. Tale problema etico non è stato risolto, poiché queste procedure di condizionamento farmacologico nello sport sono molto recenti [1,10].A parte queste procedure di condizionamento farma-cologico, l’effetto placebo nello sport sembra avere un’importanza fondamentale. Infatti, la componente

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[10] BeNeDetti F. (2014), “Placebo effects: from the neurobiological paradigm to translational impli-cations”, Neuron 84(3): 623-637.

[11] colloca l., lopiaNo l., laNotte M., BeNeDetti F. (2004), “Overt versus covert treatment for pain, anxiety and Parkinson’s disease”, Lancet Neurol 3(11): 679-684.

[8] BeNeDetti F., colloca l., torre E. et al. (2004), “Placebo-responsive Parkinson patients show de-creased activity in single neurons of subthalamic nucleus”, Nat Neurosci 7(6): 587-588.

[9] BeNeDetti F., pollo a., lopiaNo L. et al. (2003), “Conscious expectation and unconscious condi-tioning in analgesic, motor and hormonal placebo/nocebo responses”, J Neurosci 23(10): 4315-4323.

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