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P P reghiera iniziale O Dio, Padre nostro e di tutti gli uomini: siamo riuniti nel nome di Gesù, tuo Figlio unigenito e nostro Fratello, per osservare con i suoi occhi il mondo nel quale ci hai posti a vivere, per ascoltare e comprendere con la sapienza del suo cuorele situazioni in cui vivono le donne e gli uomini di oggi, tuoi figli e nostri fratelli. Gesù, nostro Maestro e Signore,ci ha assicurato la sua compagnia,la sua presenza indefettibile fino alla fine del mondo. Aiutaci a percepirla nelle situazioni e nelle esperienze di coloro che incontriamo ogni giorno. Fa’ che possano guardare a noi con fiducia e noi possiamo accostarci a loro senza pregiudizio, con l’unica preoccupazione di sintonizzarci con la loro umanità,per comprendere le loro attese, le loro aspirazioni,disponibili, per quanto ci è possibile, a condividerle. Il tuo Spirito ci aiuti a superare ogni ostacolo, a vincere ogni diffidenza; ci sostenga con la sua forza perché possiamo camminare insieme. La certezza che Gesù, tuo Figlio, è nostro compagno di viaggiosia rinvigorita dalla Parola che ascoltiamo: fa’, o Padre, che essa riscaldi il nostro cuore e muova le nostre intelligenze e le nostre mani a fare ciò che ti è gradito. Amen NOTA Questa preghiera è proposta all’inizio di ogni incontro

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PPreghiera iniziale

O Dio, Padre nostro e di tutti gli uomini:siamo riuniti nel nome di Gesù, tuo Figlio unigenito e nostro Fratello,per osservare con i suoi occhi il mondo nel quale ci hai posti a vivere,per ascoltare e comprendere con la sapienza del suo cuorele situazioni in cui vivono le donne e gli uomini di oggi, tuoi figli e nostri fratelli. Gesù, nostro Maestro e Signore,ci ha assicurato la sua compagnia,la sua presenza indefettibile fino alla fine del mondo.Aiutaci a percepirla nelle situazioni e nelle esperienze di coloro che incontriamo ogni giorno.Fa’ che possano guardare a noi con fiduciae noi possiamo accostarci a loro senza pregiudizio,con l’unica preoccupazione di sintonizzarci con la loro umanità,per comprendere le loro attese, le loro aspirazioni,disponibili, per quanto ci è possibile, a condividerle.Il tuo Spirito ci aiuti a superare ogni ostacolo, a vincere ogni diffidenza;ci sostenga con la sua forza perché possiamo camminare insieme.La certezza che Gesù, tuo Figlio, è nostro compagno di viaggiosia rinvigorita dalla Parola che ascoltiamo:fa’, o Padre, che essa riscaldi il nostro cuoree muova le nostre intelligenze e le nostre mani a fare ciò che ti è gradito.

Amen

NOTA

Questa preghiera è proposta all’inizio di ogni incontro

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PIANO

PASTORALE

DIOCESANO

2009 - 2012

VIANDANTISULLE STRADE

DI EMMAUS1

Schede per gli incontri

1 Proprio “strade” al plurale, siaperché le località Emmaus sono di-verse in Terra santa, sia perché ognistrada su cui si cammina da vian-danti-cristiani è “strada di Emmaus”

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Vita Trentina Editrice Soc. Coop.Via S. G. Bosco, 5 - 38122 Trentotel. 0461 272666 - fax 0461 [email protected] - www.vitatrentina.it

settembre 2009

Si ringrazianodon Piero Rattin e don Renato Tamanini

per la stesura di queste tracce per gli incontri

In copertinaSulle vie di Emmaus - Aldo Fabbro artista Ucai

olio su tavola 2009 (83x60)

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INDICEINDICAZIONI E SUGGERIMENTI

1. Gli Immigrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9

2. I Giovani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15

3. I Separati / I Divorziati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21

4. I Lontani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27

5. Solitudine / Abbandono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33

6. I Musulmani tra noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 39

7. Le Famiglie di fatto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45

8. Cittadinanza e corresponsabilità . . . . . . . . . . . . . . . pag. 51

9. Gli Anziani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57

10. Il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 65

11. I senza lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 73

12. I Bambini di oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79

13. I nuovi poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 85

14. La fragilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 91

15. Il Turista / L’ospite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 97

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PRESENTAZIONEINDICAZIONI E SUGGERIMENTI

Queste tracce per incontri si offrono come strumento a chiopera in ambito pastorale, per concretizzare in modalità reali epossibili quanto auspicato dal Piano Diocesano triennale “Sulle viedi Emmaus”, e cioè

- ridestare la Fede dei cristiani e delle Comunità nellapresenza del Signore Gesù Cristo nelle odierne situa-zioni di vita

- provocare una revisione di mentalità e di atteggia-menti, abilitandoli perciò stesso a “testimoni” diquella presenza

- suscitare nei singoli e nelle Comunità comportamenti einiziative conseguenti.

Le tracce possono essere utilizzate

- nei Consigli Pastorali Parrocchiali (quale momento diriflessione e di formazione)

- negli incontri dei Genitori (previsti negli itinerari diCatechesi)

- nei raduni particolari di età o categoria (giovani, anziani, ecc.: quanto meno alcuni temi ascelta degli animatori)

- nei centri di Ascolto

- negli abituali incontri di catechesi degli adulti

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La scelta degli argomenti e il numero degli incontri sono affi-dati alla discrezione degli operatori. Può accadere che qualche te-matica – particolarmente sentita a livello locale – richieda ulterioreapprofondimento: in tal caso sarà opportuno ipotizzare qualchealtro incontro, ricorrendo per questo anche all’ausilio di esperti nelsettore.

Nulla vieta, peraltro, che le 15 tematiche o situazioni qui diseguito elencate siano suddivise e distribuite sull’arco dell’interoTriennio.

Si avrà tuttavia l’accortezza di trarre dall’uno o dall’altro diquesti incontri qualche conclusione operativa, anche nel senso co-munitario. Soprattutto in riferimento alle situazioni più urgenti (ein base alle disponibilità reperibili all’interno delle Comunità), sicercherà di predisporre qualche iniziativa adeguata che offra suffi-cienti garanzie di continuità. Essa, in ogni caso, va preparata concura: con un primo accostamento alle situazioni (per poter comin-ciare a conoscerle), con una riflessione anche prolungata (peraverne una conoscenza non superficiale ma approfondita), con laprogettazione (calibrata sulle situazioni reali e sulle forze dispo-nibili).

Questi tre passaggi potrebbero così scandire l’itinerario delTriennio del Piano Pastorale Diocesano e costituire una buona mo-dalità per la sua concreta attuazione.

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GLI IMMIGRATI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Quando gli “albanesi” eravamo noi

«Quando gli “albanesi” eravamo noi, ci linciavano perché rubavamoil lavoro o facevamo i crumiri, ci proibivano di mandare i figli allescuole dei bianchi in Louisiana, ci consideravano “non visibilmentenegri” nelle sentenze in Alabama. Quando gli “albanesi” eravamonoi, truffavamo mezza Europa raccogliendo soldi per riscattare in-esistenti ostaggi dei saraceni, vendevamo i nostri bambini agli sfrut-tatori assassini delle vetrerie francesi e agli orchi girovaghi, gestivamola tratta delle bianche riempiendo di donne nostre, anche dodicenni,i bordelli di tutto il mondo. Quando gli “albanesi” eravamo noi, es-patriavamo clandestini a centinaia di migliaia oltre le Alpi e glioceani, seminavamo il terrore anarchico ammazzando capi di stato epoveri passanti, dormivamo a turno in quattro nello stesso fetido lettoed eravamo così sporchi che a Basilea ci era interdetta la salad’aspetto di terza classe. Quando gli “albanesi” eravamo noi, ci ac-cusavano di essere tutti criminali, ci rinfacciavano di avere esportatola mafia e ci ricordavano che quasi la metà dei detenuti stranieri diNew York era italiana. Quando gli “albanesi” eravamo noi, ci pesa-vano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quandogli “albanesi” eravamo noi, era solo ieri. Tanto che in Svizzera pochianni fa tenevamo ancora trentamila figli nascosti che frequentavanoscuole illegali perché ai papà non era consentito portarsi dietro lafamiglia.

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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È questa l’altra faccia della grande emigrazione italiana. Quella chemeglio dovremmo conoscere proprio per capire, rispettare e amareancora di più i nostri nonni, padri, madri e sorelle che partirono.Quella che abbiamo rimosso per ricordare solo gli “zii d’America” ar-ricchiti e vincenti. Una scelta fatta per raccontare a noi stessi, inquesti anni di confronto con le “orde” di immigrati in Italia e di mon-tante xenofobia, che quando eravamo noi gli immigrati degli altri, er-avamo “diversi”. Eravamo più amati. Eravamo “migliori”. Non è esattamente così».

(Da: Caritas Italiana – Sussidi 2008)

LA PAROLA DI DIO

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta lacomunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perchéio, il Signore, vostro Dio, sono santo.

Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostraterra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voilo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai comete stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terrad’Egitto.

Io sono il Signore, vostro Dio. (Levitico 19,1.2.33-34)

Il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano ela vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi.

(Salmo 146,9)

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Per comprendere

Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.Vale la pena tener presente che questo aggettivo “santo”, nella Bib-bia, ha a che vedere con “diversità” o “differenza”. In tal senso sipuò dire che Dio, il Dio biblico, è diverso per molti aspetti da ognialtra divinità, ma anche da come se lo immaginano gli uomini.Uno di tali aspetti (e non certo l’ultimo) è la sua sconfinata e ap-passionata considerazione per chi è povero, emarginato, e la cuiesistenza scorre grama e stentata. Il forestiero dei tempi biblici,molto spesso, apparteneva a questa categoria.

Io sono il Signore, vostro Dio. Questa solenne dichiarazione, spesso ripetuta nei codici legislatividella Bibbia, ricordava a quel primo popolo di Dio la sua specificaidentità: l’alleanza. Dio l’aveva stretto a sé con un legame moltoserio, che implicava diritti doveri in un rapporto di reale recipro-cità. Ognuno in quel popolo poteva contare sulla protezione di Dio,ma era tenuto nello stesso tempo a condividere i suoi progetti, isuoi criteri di valutazione, le sue attenzioni prioritarie, anche e so-prattutto quando erano in totale dissonanza con i modi di pensaredi questo mondo.La “diversità” (o santità) di Dio doveva poter trovare riscontro neicomportamenti del suo popolo e l’accoglienza “fraterna” dei fore-stieri era tra quelli che maggiormente la lasciavano trasparire.

(Il forestiero) tu l’amerai come te stesso…Si noti il cambiamento di linguaggio: dal “voi” al “tu”, quasi a sot-tolineare che non si tratta di una raccomandazione solo generica(per tutti e… per nessuno), quanto piuttosto di una scelta che ogniindividuo deve operare all’interno delle sue concrete situazioni divita.

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… perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.Per il primo popolo di Dio, l’accoglienza dei forestieri ha ancheun’ulteriore motivazione, che si fonda sulle sue stesse origini dipopolo: era stato forestiero in Egitto, là aveva sperimentato ilrifiuto, l’emarginazione, la perdita della sua stessa identità. Dalà Dio l’aveva liberato facendolo diventare “suo popolo”. Co-m’era possibile dimenticare quel passato, se pure lontano, onon trarne indicazioni perenni di saggezza, prima ancora chedi condotta?

La fede in un Dio che ha un debole per gli “ultimi” e la memoria in-cancellabile di una salvezza sperimentata nella propria storia: eccole ragioni che motivano e animano, nella Chiesa, ogni atteggia-mento di accoglienza verso chi è forestiero.

Così si ragiona nella Chiesa

“Sembra che la paura - in qualche circostanza purtroppo non privadi ragioni - troppo spesso amplificata artificialmente, spinga aduna reazione emotiva che non aiuta a leggere in verità il fenom-eno della migrazione e ostacola la considerazione della dignitàumana di cui ogni persona - anche quando migrante - è portatrice.Straniero non è sinonimo di pericolo o di delinquente: la maggiorparte degli immigrati che vivono e lavorano tra noi lo fanno inmodo onesto e responsabile a tal punto da costituire una presenzafondamentale e insostituibile per molte attività produttive e per lavita di molte famiglie.Per sostenere questo sguardo libero da precomprensioni e paureeccessive, le nostre comunità cristiane devono rinnovare lo sforzoeducativo sui temi dell’accoglienza e della dignità di ogni persona,

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principi irrinunciabili dell’autentica razionalità e ancor più dell’in-segnamento evangelico. In una società moderna – come vuol essere la nostra - che si fondasul rispetto delle leggi, sul senso di responsabilità da parte di tutti,i cristiani sono chiamati ad operare con gli uomini di buona volontàaffinché sia praticata la giustizia e rispettata la dignità delle per-sone, di tutte le persone.I cristiani pertanto devono farsi promotori di atteggiamenti e diuna legislazione che riconoscano i diritti delle persone oneste(anche quando sono immigrate); promuovano e sostengano la re-sponsabilità sociale di questi “nuovi cittadini” provenienti da altriPaesi; favoriscano la solidarietà verso tutti i soggetti più deboli;realizzino procedure praticabili, sensate ed efficienti per la rego-larizzazione degli stranieri presenti da tempo tra noi, ma solo for-malmente irregolari per il motivo che la burocrazia rallenta ecomplica l’applicazione di regole già in vigore”.

(I Vescovi di Lombardia alle loro Comunità – 8 luglio 2009)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Anche noi siamo un popolo che nella sua storia hasperimentato l’emigrazione…

Siamo consapevoli che a questo riguardo la Parola diDio ci interpella direttamente, così come gli ebrei cheavevano vissuto una tale esperienza “in terra d’Egitto”?

Conosciamo davvero la realtà degli immigrati, o cilimitiamo a superficiali giudizi “per sentito dire”?

Che cosa possiamo fare per conoscerla meglio, sianegli aspetti drammatici o problematici, come nei valorie nella cultura che portano?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I GIOVANI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

La lettera di Valentina

“Non è facile essere giovani oggi e non è facile da giovani,con l’entusiasmo e lo slancio dell’età, vivere i valori più veri, quelliche danno senso alla vita, in una società fortemente sbilanciata sulpresente e marcatamente divisa in se stessa; una società in cui l’in-teresse personale è il motore che spinge ogni azione, in cui l’altroè sempre visto come qualcuno che non può che toglierti qualcosa.Mi sento in imbarazzo, spesso, nel sentire i discorsi di tanti miei co-etanei che non riescono ad appassionarsi a nulla che non sia il pro-prio interesse, che non sono presi da altro che non sia il profilo diFacebook, la partita di calcio, le ragazze e i ragazzi da abbordare, ol’ultimo escluso dal Grande Fratello. La solidarietà, lo slancio versochi sta peggio, la compassione, il sentire nella propria carne le sof-ferenze della gente, sono argomenti che non vanno più di moda.Perché?

Eppure non voglio credere a chi mi dice che i giovani nonsono più capaci di nulla, nemmeno di una passione sociale, di unaappartenenza politica, o di un amore universale. Non credo in chi,disilluso da tutto e da tutti, dice che non siamo in grado di pensaread altro che a noi stessi”.

(dalla Lettera di Valentina all’Arcivescovo di Milano, in Non c’è futuro senza solidarietà, Ed .Sanpaolo)

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dal Vangelo secondo Matteo

Un giovane si avvicinò e disse a Gesù: «Maestro, che cosadevo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose:«Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è unosolo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, noncommetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai ilfalso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuocome te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose leho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Sevuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo aipoveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». Uditaquesta parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva in-fatti molte ricchezze.

Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico:difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ri-peto: è più facile che un cammello passi per la cruna di unago, che un ricco entri nel regno di Dio». A queste parole idiscepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chipuò essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è im-possibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

(19,16-26)

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Per comprendere

La bontà è il comune denominatore che motiva l’incontro tra que-sto giovane anonimo e Gesù: essa è l’aspirazione di fondo nel cuoredi quel giovane ed è, al contempo, specialità e competenza di Dio,il quale “solo è buono”.Gesù, nella sua risposta, procede per gradi: due almeno. Anzituttogli rammenta i comandamenti (che del resto il suo interlocutore giàconosce e osserva); poi, di fronte alla sua esigenza di perfezione(quale giovane non aspira al “massimo” in tutti i suoi progetti eideali?) gli offre l’opportunità di realizzarla. L’evangelista Marco,che pure riporta questo fatto, a questo punto annota che “Gesù,fissatolo, lo amò” (Mc 10, 21). La radicalità delle condizioni posteda Gesù, però, spaventano quel giovane e finiscono con l’oscurareil suo ideale di perfezione. “Se ne andò triste – commenta l’evan-gelista - ; possedeva infatti molte ricchezze”.Si noti la combinazione di questi due atteggiamenti nel comporta-mento del Signore: l’amore (fatto senz’altro di condiscendenza, dicomprensione, quasi un feeling naturale tra il giovane Rabbi e il gio-vane cercatore di Dio) e l’intransigente chiarezza (Gesù non è il tipoda fare sconti a nessuno: non è il Regno di Dio che deve adattarsialle persone, ma sono le persone che – se vogliono entrare in quelRegno - devono sintonizzare le loro aspirazioni e i loro interessisulle sue dimensioni). Non si sottovaluti però la conclusione della vicenda, vale a dire ildialogo tra Gesù e i discepoli: senza quella conclusione il messag-gio del brano suonerebbe alquanto pessimista.Gesù non riduce affatto le condizioni d’ingresso nel Regno di Dio,anzi, pare addirittura appesantirle ulteriormente con il paragonedel ricco e del cammello… Ma nemmeno questa è la sua ultima pa-rola, bensì “a Dio tutto è possibile”: anche svuotare i cuori dalle loroingombranti ricchezze per aprirli al Vangelo.

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L’insensibilità per le cose dello spirito non è affatto un ostacolo in-superabile per Dio: lo sguardo d’amore di Gesù non si posa mai in-vano su nessuno, a prescindere dagli effetti immediati che ci è datodi constatare.

Così si ragiona nella Chiesa

“I giovani sono più di altri soggetti portatori di speranza. Analiz-zando la società italiana e dentro essa la condizione giovanile,avvertiamo la presenza di segni contradditori e forti ambivalenze.Essi costituiscono lo specchio fedele dei nostri tempi. Molte voltesono invisibili, difficili da comprendere e accettare, spesso sotto-posti a critiche dal mondo adulto proprio perché ci ricordano le nos-tre manchevolezze educative e la debolezza dei nostri esempi,pensieri e valori. Si è scritto che i giovani sembrano essere un«popolo in attesa», più orientato ad adattarsi che a trasformare larealtà, quasi impauriti nel diventare adulti, nell’uscire da casa, nel-l’assumersi responsabilità, piegati a una coabitazione familiare pro-lungata.Da molte inchieste emerge una generazione di giovani in difficoltànel progettare il futuro, nell’assumersi responsabilità di lungo ter-mine, molto centrata sul presente.Coglierne le preoccupazioni e le attese significa avere il coraggio diassumerle su di noi e non liberarcene caricandole sulle loro spalle.Questo vuole dire assumere come criterio orientativo il principio diresponsabilità, inteso quale obbligo di lasciare alle nuove gener-azioni un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. I cristiani devono uscire dalla retorica negativa sul mondo giovanileper vedere la realtà in tutta la sua complessità e contraddittorietà.Il problema dei giovani siamo noi adulti: troppe volte veniamo meno

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al nostro dovere di testimonianza e di trasmissione di valori, idealie visione del mondo. Cogliendo i segni di speranza che attraversanoil mondo giovanile, dobbiamo diventare promotori di una nuova re-lazione tra le diverse generazioni, fondata su educazione, lavoro etrasmissione della fede”.

(dall’intervento di S. Pezzotta al Convegno ecclesiale di Verona)

PER RIFLETTERE INSIEME

Qual è il nostro atteggiamento abituale verso i gio-vani che conosciamo o che ci capita d’incontrare: digiudizio o di comprensione, di chiusura o di accoglienza,di pessimismo o di fiducia?

Come possiamo testimoniare ai giovani la certezza chesono amati da Dio, da Gesù?

“Il problema dei giovani siamo noi adulti” è statodetto: in che senso, secondo voi?

Nell’osservare la realtà del mondo giovanile, in tuttele sue espressioni, può e deve cambiare qualcosa nel nos-tro sguardo, nei nostri atteggiamenti?

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Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I SEPARATI. I DIVORZIATI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

“Io ero e sono alla ricerca di risposte alle mille domande chemi pongo di fronte ai divieti che la Chiesa mi impone. Non riesco acapire questa rigidità, non riesco a capire il divieto che mi vieneimposto. Non riesco a capire perché la Chiesa sembra allontanarmianziché avvicinarmi.

Il dolore è grande quando, durante la santa Messa, sto se-duta nel banco, osservo tutta quella gente che, in fila, si avvicinaal sacerdote e che gioisce perché entrerà in comunione con Cristo.E io sto lì e guardo. Mi fa male. Cerco di capire che cosa ho fatto disbagliato, quali errori ho commesso, perché io debba essere punita.Ho forse commesso errori così gravi? Mi sono macchiata di un pec-cato così grande da meritarmi una punizione? Mi sono soltanto in-namorata, innamorata di un uomo divorziato. E’ per questo che laChiesa mi punisce: perché amo? Ma allora tutti saremmo condan-nati, puniti! Il Signore non ci ha forse insegnato ad amare, o ci hainsegnato a rimanere sempre soli?… A volte mi sento tanto sola,mi sembra di non avere accanto nessuno che possa capire quanto siadifficile affrontare questa situazione, anche se so che non è così.”

(Divorziati e risposati in cerca di Dio, EDB, Elio Cirimbelli-Helga Tomasini)

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

In quel tempo gli scribi e i farisei condussero da Gesùuna donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo egli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa inflagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha co-mandato di lapidare donne come questa. Tu che nedici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e peravere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise ascrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevanonell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senzapeccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chi-natosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, sene andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. AlloraGesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno tiha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore».E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poinon peccare più».

(Gv 8,3-11)

Per comprendere

Premettiamo subito che questo brano evangelico non ci autorizza aformulare giudizi sui comportamenti di coloro che, dal punto divista della morale cattolica, si trovano in situazione “irregolare”:non solo sarebbe sviante nella prospettiva di questo incontro, madistorcerebbe anche il messaggio che questa pagina dell’evangeli-sta Giovanni intende affidarci.

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E il messaggio – ricco nella sua complessità – può essere formulatocosì:Il peccato, la colpa, è esperienza di tutti, nessuno escluso; quindiè assolutamente fuori luogo presumere di puntare il dito su qual-cuno: è un tentativo maldestro che cerca di mascherare (ma ci rie-sce male) questa ineludibile verità, sviando l’attenzione da sé aglialtri. “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro dilei”. … Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciandodai più anziani.Certo che esiste una legge, e va osservata. È Dio stesso che l’ha dataagli uomini. Ma la legge è fatta per le persone: prima vengono lepersone, non la legge. È per questo che, quando le persone infran-gono la legge, o non sono in grado di osservarla (e chi mai lo è nellasua totalità e perfezione?), Dio ha in serbo qualcosa di più adeguatoche non la legge stessa: la misericordia che perdona e rinnova.Gesù, Figlio di Dio, è l’incarnazione della misericordia del Padre; èquella misericordia fatta umanità, ma con tutta la carica divina ca-pace di eliminare il passato e aprire dinanzi un futuro totalmentenuovo. Gesù è proprio tutto questo per la donna di cui ci parla ilvangelo. E con tutto questo, Gesù non si pone contro la legge, mava oltre la legge.

Così si ragiona nella Chiesa

Dalla lettera dell’Arcivescovo di Milano agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione

“Anzitutto voglio dirvi che non ci possiamo considerare re-ciprocamente estranei: voi, per la Chiesa e per me Vescovo, siete so-relle e fratelli amati e desiderati. E questo mio desiderio di entrare

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in dialogo con voi scaturisce da un sincero affetto e dalla consape-volezza che in voi ci sono domande e sofferenze che vi appaionospesso trascurate o ignorate dalla Chiesa.Vorrei allora dirvi che la comunità cristiana ha riguardo del vostrotravaglio umano.

Certo, alcuni tra voi hanno fatto esperienza di qualche du-rezza nel rapporto con la realtà ecclesiale: non si sono sentiti com-presi in una situazione già difficile e dolorosa; non hanno trovato,forse, qualcuno pronto ad ascoltare e aiutare; talvolta hanno sen-tito pronunciare parole che avevano il sapore di un giudizio senzamisericordia o di una condanna senza appello. E hanno potuto nu-trire il pensiero di essere stati abbandonati o rifiutati dalla Chiesa. La prima cosa che vorrei dirvi, sedendomi accanto a voi, è dunquequesta: “La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o viconsidera indegni”.

In una sua recente lettera il Papa Benedetto XVI, dopo averriaffermato la non ammissibilità dei divorziati risposati alla comu-nione eucaristica, prosegue dicendo che essi “tuttavia, nonostantela loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che lisegue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, perquanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipa-zione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascoltodella Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, la preghiera, la par-tecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sa-cerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla caritàvissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli” (Sa-cramentum caritatis, n. 29). Chiedo dunque a voi, sposi divorziati risposati, di non allontanarvidalla vita di fede e dalla vita di Chiesa.

E ancora penso anche a come voi stessi, a partire dalla vostraconcreta esperienza, potrete essere di aiuto ad altri fratelli e sorelleche attraversano momenti e situazioni simili o vicine alle vostre.

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Con tutti voi, facendo mie le parole dei Vescovi delle altre Chiese diLombardia, chiedo allo Spirito santo “che ci ispiri gesti e segni pro-fetici che rendano chiaro a tutti che nessuno è escluso dalla mise-ricordia di Dio, che nessuno è mai da Dio abbandonato, ma solosempre cercato e amato. La consapevolezza di essere amati rendepossibile l’impossibile”

(Card. Tettamanzi - 2008:«Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito»)

PER RIFLETTERE INSIEME

Tra la superficialità di chi ritiene tutto lecito (anchedisfare una famiglia) e il rigore di chi giudica e con-danna senza possibilità di appello, quale sarà – secondovoi - l’atteggiamento evangelico equilibrato con cuiguardare ai separati, ai divorziati, ai risposati?

La Chiesa, nei suoi pronunciamenti morali, continuaa considerare irregolari queste situazioni e a rifiutareperciò a coloro che le vivono la possibilità di ricevere isacramenti. Anche nella Chiesa tuttavia questo è un ar-gomento di vivace discussione che in futuro potrebbeconoscere evoluzioni e svolte oggi imprevedibili. Ma in-tanto, vi sembra giusto puntare tutta l’attenzione sulfatto che si possa, o non si possa, ricevere l’assoluzionee fare la Comunione?

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Salva restando l’importanza dei sacramenti, non vipare riduttivo valutare la qualità di un’esistenza cris-tiana solo con questi parametri? Non c’è per caso del-l’altro, anzi, molto altro?

E come può allora una Comunità cristiana testimoni-are a queste persone il fascino dell’esperienza dellaFede, e quindi comunicare loro speranza e fiducia?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I “LONTANI”

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Un anziano, non credente, andò da un noto sacerdote. Sper-ava di essere aiutato a risolvere isuoi problemi di fede. Non riuscivaa convincersi che Gesù Cristo fosse veramente risorto. Cercava deisegni di questa affermata risurrezione...

Quando arrivò dal prete, c’era già qualcuno nello studio acolloquio. Il prete lo intravide in piedi nel corridoio, e subito, sor-ridente, andò a porgergli una sedia. Quando l’altro si congedò, feceentrare l’anziano signore. Conosciuto il motivo della visita, gli parlòa lungo e dopo un fitto dialogo, l’anziano si dimostrò soddisfatto,anzi, espresse il desiderio di cominciare un’esperienza di Fede.

Il sacerdote, contento ma anche un po’ meravigliato, glichiese: «Mi dica, del lungo colloquio qual è stato l’argomento chel’ha convinta di più?». «Il gesto con il quale mi ha offerto la sedia perché non mi stancassiad aspettare», rispose l’anziano signore.

(Danilo Zanella)

27INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

In quel tempo Gesù entrò nella città di Gerico e la stavaattraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo,capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù,ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo distatura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salìsu un sicomòro, perché doveva passare di là. Quandogiunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zac-cheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casatua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendociò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un pecca-tore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Si-gnore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se horubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesùgli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, per-ché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infattiè venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

(Luca 19,1-10)

Per comprendere

Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco …Per ogni ebreo ben pensante non c’era alcun dubbio: Zaccheo avevatutte le carte in regola… per essere rifiutato da Dio e escluso dallasalvezza. Infatti era ricco, e onesta o disonesta che sia la ricchezza,essa rappresenta un ostacolo tutt’altro che insignificante per en-trare nel Regno di Dio. Quella di Zaccheo con ogni probabilità erauna ricchezza disonesta, ammassata con quel brigantaggio lega-lizzato che era il mestiere dei pubblicani, gli esattori dei dazi e

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delle tasse “ad appalto”: se era notevole la somma che dovevano,per contratto, a chi comandava, non era certo questione di spic-cioli la parte che trattenevano per loro stessi. Zaccheo, oltretutto,di quei pubblicani era addirittura il capo.

Cercava di vedere chi era GesùSemplice curiosità per occupare il tempo libero, o qualcosa di piùprofondo?Il fatto di salire su un albero per soddisfarla, insospettisce; forse,dietro a quell’espediente (escogitato a ripiego alla sua scarsa sta-tura) c’è un reale desiderio di… salvezza: non di ottenerla (ne èescluso, infatti) ma almeno almeno… di vederla passare.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo Sorprendente il gesto del Signore: di solito spetta a chi è perdutosollevare lo sguardo verso il Salvatore. Qui accade esattamente l’op-posto: è Gesù ad alzare lo sguardo verso Zaccheo.

«Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».Lo chiama per nome. Del resto era ben noto in tutta Gerico quelnome. Sulle labbra di Gesù, tuttavia, deve aver avuto una risonanzaben diversa da quella abituale. C’è un tono molto autorevole nellasua voce, ma si tratta di un’autorevolezza compiaciuta, come di chiha raggiunto un obiettivo sognato e desiderato da tanto tempo.Gesù parla con autorevolezza al cuore diZaccheo perché è la com-prensione, la misericordia che lo muove.

«Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho ru-bato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»L’evangelista non ci informa sugli argomenti di conversazione cheanimarono quel giorno la casa e la mensa di Zaccheo: non è impor-tante. Determinante è la presenza di Gesù, il suo entrare e intrat-tenersi in quella casa in compagnia di quell’uomo peccatore e – a

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detta di tutti – lontano da Dio. È questo fatto, semplice e inaudito,a rivoluzionare la vita morale di Zaccheo: la sua decisione di dare insovrabbondanza ai poveri e di restituire secondo criteri che oltre-passano ogni abituale misura di giustizia, è chiaro indizio di un’esi-stenza salvata e rifatta a nuovo da quella presenza, potente emisericordiosa nello stesso tempo.

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che eraperduto».Zaccheo – per tutta l’opinione pubblica di allora – era un “perduto”,anzi, il definitivamente perduto, senza alcuna speranza di salvezza. Ciò che accadde quel giorno a Gerico, e nella sua casa in partico-lare, è la bella dimostrazione che mai, in nessun caso, è consentitoattribuire a Dio i giudizi o le conclusioni degli uomini. Nulla e nes-suno è mai perduto ai suoi occhi: la lontananza da lui può essere lasensazione che certuni provano nel loro intimo, ma nulla e nessunopuò costringere Dio a stare lontano da loro. Anzi, proprio loro eglicerca, con particolare tenerezza e comprensione.

Così si ragiona nella Chiesa

Quello che ci accomuna

Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa in-quietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione piùforte e consistente dell’esistenza, il punto di incontro e di conver-genza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quo-tidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primoanelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita ela morte, siamo tutti cercatori di felicità.

Come credenti, abbiamo una convinzione irrinunciabile, che civiene dalla nostra esperienza cristiana. Su di essa cerchiamo il con-

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fronto con tutti coloro che preferiscono la vita alla morte e cercanola felicità come la qualità profonda di questa stessa vita. La vita èbella nonostante tutte le prove e le disavventure, perché esistiamoe sperimentiamo l’amore.

Non per tutti, certo, è così. La vita è segnata in tutte le suefasi e le sue forme dalla fragilità: la fragilità del nascituro, del bam-bino, dell’anziano, del malato, del povero, dell’abbandonato, del-l’emarginato, dell’immigrato, del carcerato. In tutte le età ci sonosofferenze fisiche, psichiche, sociali. Come avviene per la felicità,anche l’esperienza del dolore ci accomuna tutti.

Chi crede ha bisogno di rinnovare ogni giorno il suo incontrocon Dio, nutrendosi alle sorgenti della preghiera, nell’ascolto dellaParola rivelata. Analogamente, si può pensare che il non credentepensoso nient’altro sia che un credente che ogni giorno vive la lottainversa, la lotta di cominciare a non credere: non l’ateo superficiale,ma chi, avendo cercato e non avendo trovato, patisce il dolore del-l’assenza di Dio, e si pone come l’altra parte del cuore di chi crede.Se c’è, una differenza da marcare, allora, non sarà forse, tanto quellatra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uo-mini e donne che hanno il coraggio di cercare incessantemente Dioe uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano es-sersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accen-dersi di desiderio al pensiero dell’ultima patria.

(Lettera ai cercatori di Dio, 1/1.5)

PER RIFLETTERE INSIEME

Quella di “lontani” è una qualifica quanto meno im-precisa, se non proprio sbagliata: umanamente parlandopossiamo avere l’impressione che certuni siano lontani

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da Dio perché non fanno parte attivamente della Chiesa,ma è decisamente sbagliato pensare che Dio – Padre ditutti – sia effettivamente lontano da loro. La vicenda diGesù alla ricerca di Zaccheo parla chiaro a questo propos-ito.

Ora, se noi siamo discepoli di questo Gesù che ha “undebole” per i “lontani”, non vi pare che tocchi a noi fare ilprimo passo verso di loro?

Avrete notato che per Gesù il primo passo è quellodella condivisione, in piena libertà: entra in casa di Zac-cheo e partecipa alla sua mensa, gode della convivialitàe del ristoro che quella casa gli offre… Stando al vangelo,non gli ha rivolto particolari prediche o ramanzine…

Non vi pare che questo comportamento da parte delSignore possa indurci a rivedere certi nostri atteggia-menti sbagliati?

E qual è allora, in questa luce, l’atteggiamento giustoed evangelico da assumere nei confronti dei “lontani”?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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SOLITUDINE. ABBANDONO

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Il ragazzo incaricato delle consegne suonò due volte. Mancavanocinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvoltoin carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.«Avanti», disse una voce dall’interno.Il ragazzo entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanzapiena d’ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c’era un vec-chio.«Guardi che stupendo pacco di Natale!» disse alleramente ilragazzo.«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce piùtriste che mai.Il ragazzo rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Intu-iva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchionon aveva certo l’aria di spassarsela troppo bene. Allora, perchéera così triste?«Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnificoregalo?».«Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrimeagli occhi. E raccontò al ragazzo la storia della figlia che si erasposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni glimandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figliaLuisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito:«Vieni a passare il Natale con noi ».

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Ilragazzo lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli deiNatali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luc-cicanti.«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il ragazzo allibito.«No», disse mestamente il vecchio. «Non c’è amore dentro».

(da: B. Ferrero, TUTTE STORIE)

LA PAROLA DI DIO

Dal libro di Giobbe

I miei fratelli si sono allontanati da me,persino i miei familiari mi sono diventati estranei.

Sono scomparsi vicini e conoscenti,mi hanno dimenticato gli ospiti di casa;da estraneo mi trattano le mie ancelle,sono un forestiero ai loro occhi.

Chiamo il mio servo ed egli non risponde,devo supplicarlo con la mia bocca.

Il mio fiato è ripugnante per mia mogliee faccio ribrezzo ai figli del mio grembo.

Anche i ragazzi mi disprezzano:se tento di alzarmi, mi coprono di insulti.

Mi hanno in orrore tutti i miei confidenti:quelli che amavo si rivoltano contro di me.

(19,13-19)

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Per comprendere

Sono le relazioni con gli altri a fare di noi delle “persone”,capaci di gestire la nostra vita con sufficiente equilibrio e maturità.Se le relazioni si allentano, si diradano, o vengono addirittura amancare, allora subentra la sensazione dell’abbandono, che perl’individuo equivale a una morte lenta e progressiva, non tantodella sua componente biologica (che comunque deperisce) quantodella sua dimensione personale: la sua tipicità, il suo valore, la suadignità, tutto in lui è come “mortificato”. La sua stessa esistenzaassomiglia più a un vegetare all’insegna della passività che a un vi-vere responsabile e attivo…

Giobbe è il personaggio biblico che meglio ha incarnatoun’esperienza di questo genere: la sua vicenda è tutta un susse-guirsi di “spogliazioni” violente e sempre più distruttive. Cominciacon la perdita dei beni, poi dei figli (strappati improvvisamente dasciagure); prosegue poi con una malattia ripugnante che lo rendeinsopportabile perfino alla moglie e a tutta la servitù: è costrettoad abbandonare la sua casa e a tagliare ogni tipo di relazione.I pochi versetti proposti per la riflessione durante questo incontroesprimono in maniera molto vivace lo sconcerto e lo sgomento cheabitano l’animo di chi vive nell’abbandono:la perdita dei beni, la scomparsa delle persone più care, la malattiasempre più grave e irreversibile, tutto si accetta (se pure in modalitàdiverse di fatica e di tormento). Nulla di questo è ancora “la fine”.Ma la rottura di ogni relazione abituale, provocata dal disinteresse,se non dal rifiuto sprezzante, di coloro che erano i più vicini e fa-miliari, questa sì: è davvero l’anticamera della morte.

(Si rileggano adagio, e con qualche breve intervallo di silenzio tral’una e l’altra, le espressioni di Giobbe).

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Anche in questo sfogo, così realistico e drammaticamenteumano, c’è per noi una Parola di Dio, o meglio: Dio ha fatto sua,ha condiviso anche quest’angoscia dell’uomo. Gesù l’ha speri-mentata come ultima drammatica prova della sua esistenza tranoi. Una solitudine e un abbandono smisurati, tali da coinvol-gere perfino Dio, il Padre suo: “Dio mio, Dio mio, perché mi haiabbandonato?”.Da quel momento – o meglio – da quella Pasqua, ogni esperienza disolitudine e di abbandono è, a tutti gli effetti, dimora privilegiatadi Dio.

Così si ragiona nella Chiesa

La solitudine è una malattia antica dell’uomo. La solitudine è lagrande malattia del nostro mondo: quello ricco come quello po-vero.La solitudine rende impotenti nel fare il bene e rende il male piùdoloroso.Questo è scritto nella profondità dell’essere umano: da soli non sivive, ma si muore! L’uomo è niente da solo: tutto si gioca nell’in-terdipendenza. Non c’è l’uno senza l’altro. La vita è interdipen-denza: senza questa dipendenza non si esiste e non c’è libertà.Eppure tanta storia occidentale è stata concepita come liberazioneda ogni legame: i legami con gli altri, quindi la famiglia, la respon-sabilità con l’altro. È vero che i vincoli hanno anche oppresso la sog-gettività. Ma la vertigine della solitudine uccide ogni soggettivitàe la fa precipitare in basso. La rende infeconda da tanti punti divista. È l’esperienza del nostro mondo ricco occidentale. La nostrasocietà si presenta sempre più come massa di individui soli. Ma chiè povero sa che la solitudine è una povertà in più. Anche il ricco nei

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momenti di debolezza scopre che la solitudine è una povertà. Ma ètroppo tardi.

In un mondo come il nostro in cui le cose comprate e possedute rap-presentano un surrogato di quello che vorremmo davvero, anche lamedicina ha ormai scoperto che le relazioni umane sono spessol’unico farmaco efficace e che la solitudine, l’isolamento, rappre-sentano una malattia difficile da sconfiggere e una “concausa” ca-pace di rendere letali anche malanni passeggeri.È vero per tutti che senza amore la vita è meno umana e meno at-traente, anche se rimane vita. Ma è vita con tanta fatica in più, inu-tile, con tanta sofferenza in più, difficile da conviverci a lungo.Si potrebbe però anche dire il contrario: quando sembra che di vitace ne sia poca, l’amicizia e l’amore fanno risorgere. Si può viverecon intensità quello che altri cercano tutta la vita trovandolo a fa-tica. L’amore fa vivere. È come l’aria, come l’acqua. La simpatia,l’interesse per la vita di un altro fa vivere. Spunta le armi della ras-segnazione, del tempo che passa e non si sa che cosa o chi aspet-tare.

(A. Riccardi – M. Marazziti, della Comunità di S. Egidio)

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PER RIFLETTERE INSIEME

La solitudine ha sovente il volto dell’anziano, ma nonsempre, non solo. Poiché è povertà o assenza di rela-zioni, essa può prosperare all’interno di ogni categoria,di ogni età, di ogni classe sociale.

Siete a conoscenza di situazioni di solitudine, di ab-bandono, nella gente che vi vive accanto?

Quali tipi di intervento potrebbe mettere in atto unaComunità cristiana?

A chi tocca cominciare?E con quali atteggiamenti?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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MUSULMANI TRA NOI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Il gruppo “camminare insieme” di Fiorano (MO) da alcunianni è impegnato in esperienze di dialogo interreligioso: famiglieitaliane si incontrano con famiglie musulmane che vivono nellazona. Insieme, consumano la cena, si scambiano informazioni sullapropria esperienza culturale e religiosa. Sono passate cosìdall’indifferenza alla conoscenza, all’incontro e all’ascolto.L’esperienza si è trasferita fuori delle mura domestiche: fedelimusulmani hanno visitato chiese, santuari e conventi. È stato ancheorganizzato un incontro tra alcune donne musulmane e le monachedel Carmelo di Sassuolo.

Siham, una ragazza del gruppo, dopo aver partecipato perla prima volta a questa esperienza, ha detto: “E’ stato un incontroparticolare con sensazioni contrastanti. Vedendo la grata che cidivideva e sentendo che le monache non escono mai se non permotivi di salute, mi sono chiesta il motivo di tutto questo. Perchéragazze della mia età fanno una scelta così difficile, in un certosenso incomprensibile? Poi parlandoci e vedendole serene, libere escherzose, capaci di battute e anche informate su ciò che avvienenel mondo, ho capito che questa esperienza poteva avere un senso.L’incontro mi ha offerto la possibilità di conoscere il cristianesimoanche da un punto di vista che non pensavo esistesse”.

(da: Missionari Saveriani, Giugno 2009)

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Si-done. Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella re-gione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio diDavide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Maegli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi disce-poli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, per-ché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sonostato mandato se non alle pecore perdute della casad’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui,dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è beneprendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero,Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano lebriciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». AlloraGesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga perte come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

(15,21-20)

Per comprendere

Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone Qui si è fuori dai confini della Palestina e d’Israele: ciò vuol direche, in questa vicenda, anche Gesù si fa in un certo senso “stra-niero”. Il vangelo sembra voler dire che non c’è incontro dell’altrosenza uscire da se stessi, senza accettare di perdere le proprie si-curezze abituali.

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Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise agridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tor-mentata da un demonio»…Entrare in comunicazione con l’altro è sempre rischiare qualchecosa di se stessi. Incontrare l’altro è sempre mettere alla prova lenostre differenze ed è una prova che occorre saper accettare e su-perare.La donna Cananea non è solo una straniera, è anche una madre,piena di sofferenza perché la sua bambina è malata. Su questo ter-reno di umanità, la differenza culturale o religiosa si smorza. Nonc’è incontro dell’altro, se questa realtà umana, questa condizioneumana comune non viene messa in preventivo.Ma egli non le rivolse neppure una parola.Occorre tempo perché le parole che si scambiano diventino vero dia-logo. L’incontro dell’altro presuppone un certo tirocinio, fatto diascolto per apprendere un po’ alla volta il linguaggio dell’altro.Pretendere di accorciare questo tempo e di raggiungere più in frettal’obiettivo, avrebbe come effetto non la fusione ma la confusione.Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudi-scila, perché ci viene dietro gridando!». Su questo cammino dell’incontro, si può provare a un certo puntoil desiderio di ritirarsi, tanto è faticosa da affrontare la prova delladiversità. E’ la soluzione che vorrebbero proporre i discepoli col lorointervento presso Gesù. Ma pretendere di eliminare il disturbo che ogni incontro con l’altrocomporta è rifiutare lo scambio. E’ rifiutare, per se e per l’altro, lapossibilità di crescere, di maturare nella propria umanità. «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casad’Israele».Gesù sembra qui voler riaffermare la sua identità. In tal modo ri-corda in maniera decisa che per incontrare l’altro, occorre primasapere chi si è ed avere chiare le differenze, altrimenti ogni incon-

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tro può trasformarsi in un vicolo cieco…E’ a partire dalla sua identità di ebreo che Gesù ha manifestatol’amore universale del Padre.«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le bri-ciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò:«Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».È evidente che l’incontro ha registrato un cambiamento di posizioneda parte di ambedue gli interlocutori. La donna, pur sempre inte-ressata a chiedere la guarigione per la sua bambina, è stata con-dotta a riconoscere l’identità di Gesù e del popolo al quale egliappartiene.E Gesù stesso, dal canto suo, nello stupore che lo coglie dinanzi allafede di questa straniera, sembra percepire in maniera ancor più vivae più profonda che la missione per cui è venuto tra gli uomini è dav-vero universale.

Così si ragiona nella Chiesa

Il dialogo tra cattolici e musulmani non mira in primo luogo a crearedegli «uguali». La prima conversione è la conversione a Dio, non ilpassaggio da una religione all’altra. Se l’evangelizzazione è e ri-mane la logica conseguenza dell’essere cristiani, si tratta di ricu-perare in primo luogo la modalità della testimonianza, coerentecon la carità, centro del cristianesimo, e con l’atteggiamento diGesù Cristo, che «non è venuto per farsi servire ma a servire» (cf. Mc10,45).Gli elementi comuni che permettono l’incontro vanno cercati conperseveranza, ben sapendo che i poli di entrambe le religioni sonoda una parte Dio e dall’altra l’uomo. In questo ambito vanno rival-utate, secondo le circostanze, tutte le modalità del dialogo di cuiparlano i documenti della Chiesa: il dialogo della vita, delle opere,

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degli esperti e delle esperienze religiose. Spesso il dialogo sui con-tenuti, pure estremamente importante, non è il primo e può di-ventare controproducente. Occorre insomma molta sapienza emolto amore: non per nascondere qualche cosa «tatticamente» maper porre in primo piano la persona.Se la buona volontà di incontrarsi e di dialogare è richiesta adambedue gli interlocutori, al cristiano è comunque domandato ilprimo passo, sull’esempio del Dio di Gesù Cristo, il quale «dimostrail suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori,Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Se dunque è giusto richiedere la«reciprocità» in molti ambiti come segno della buo na volontà di di-alogare da parte dei musulmani, è altrettanto giusto non limitarsisolamente al calcolo matematico delle rispettive offerte. Questonon implica naturalmente l’ingenuità di chi non conosce e si esponeal ricatto e alla delusione, con il rischio conseguente di passaredalla disponibilità al rifiuto, dalla prodigalità all’intolleranza. Lasapienza e la maturità umana e cristiana anche in questo caso sonoi necessari presupposti.

(Le comunità cristiane e i musulmani. Edizione per le Diocesi del Triveneto. N.16 pp. 97.98)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Quale conoscenza abbiamo dei Musulmani, della lorofede e del loro modo di pensare?

Possiamo imparare qualcosa da loro?Ci sono occasioni che possono favorire l’incontro? E

quali potrebbero essere gli argomenti su cui provare adialogare?

Quali iniziative potremmo ipotizzare in futuro perfavorire la conoscenza reciproca?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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LE FAMIGLIE DI FATTO

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Marisa e Giorgio si presentano dicendo che si conoscono damolto tempo, convivono ormai da due anni e, dopo tanti momentidi analisi e di riflessione, hanno deciso di dare valore civile alla lorounione sposandosi in Comune. Però su questa prima decisione, cheaffermano essere stata piuttosto ponderata e laboriosa, hanno pen-sato che valesse la pena verificare anche quale sia il senso del ma-trimonio religioso. Tutti e due hanno avuto una formazionecristiana. Marisa racconta che dopo la Cresima, verso i 15 anni, haabbandonato la pratica religiosa; è convinta che ci sia Dio e si ri-trova, a volte, a desiderare fortemente di entrare in contatto conLui. La natura, il silenzio, la bellezza delle opere d’arte sono gliaspetti che più la illuminano e la fanno andare verso qualcosa oQualcuno che ci attende. Però sente anche che dovrebbe conosceremeglio la fede cristiana, sa di essere piuttosto superficiale in que-sto. Giorgio racconta di essere stato impegnato fino a pochi anni fain attività di volontariato a sostegno delle Missioni, di aver anchefatto un’esperienza interessante in Africa ma poi di essersi stan-cato dei riti tradizionali della domenica, di non trovare né nutri-mento né attrazione nella partecipazione alla Messa; ci va ancoraqualche volta ma scegliendo bene, andando dove ci sono quei pretiche sanno dare spunti interessanti per la vita e la riflessione.

45INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Parlate e agite come persone che devono essere giudi-cate secondo una legge di libertà, perché il giudizio saràsenza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia.La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio.

(…) Non dite male gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male

del fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la Leggee giudica la Legge. E se tu giudichi la Legge, non sei uno cheosserva la Legge, ma uno che la giudica. Uno solo è legisla-tore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina;ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo?

(2,12-13;4,11-12)

Per comprendere

Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondouna legge di libertà…Nel linguaggio dell’apostolo Giacomo l’espressione “legge di li-bertà” sta ad indicare la volontà di Dio, cercata e amata dal cri-stiano, e che diventa in lui convinzione personale. Essa motiva eanima tutte le sue scelte, tutti i suoi atteggiamenti e comporta-menti. Nello stesso tempo, con tale espressione si vuole affermareche solo un’adesione spontanea e libera a quella volontà può con-

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sentire al cristiano di metterla in pratica, cioè di “osservare lalegge” (per dirla con il linguaggio biblico).

Nel contesto di tutta la lettera tuttavia si fa sempre più chiara l’ideache questa “legge di libertà” altro non è che il “comandamento del-l’amore” (cfr. Gv 15,12). Si comprende allora il nesso che l’apostolopone qui tra “legge di libertà” e “misericordia”: il giudizio saràsenza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La mise-ricordia ha sempre la meglio sul giudizio.Parole e opere devono essere regolate dalla convinzione che il giu-dizio di Dio (l’unico che al cristiano importa veramente) si svolgesulla base del comandamento dell’amore. Deve rimanere sempreviva la consapevolezza che l’esame finale avrà come materia unical’amore fraterno: non ci sarà nessuna misericordia nel giudizio perchi non avrà avuto misericordia; e, per altro verso, non ci sarà al-cuna condanna per chi avrà fatto della misericordia il suo stile divita e di comportamento.Chi dice male del fratello, o giudica il suo fratello, parla contro laLegge e giudica la Legge.Maldicenza e giudizio temerario sono crimini contri i fratelli, i quali– soprattutto quando sbagliano o si trovano a camminare su stradeche si discostano dalla Legge di Dio – hanno bisogno più di com-prensione e di misericordia che non di giudizio e di condanna.Ma in ultima analisi, maldicenza e giudizio sono atteggiamenti pre-varicatori che offendono Dio stesso: nascondono l’assurdo tenta-tivo di sostituirsi a lui che solo sa e può pronunciare un giudiziosulla condotta dell’uomo. Ma tu… “chi sei tu, che giudichi il tuoprossimo?”

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Così si ragiona nella Chiesa

Ringraziamo Dio che ancora oggi ci siano dei giovani che si inna-morano e fanno progetti per la vita. Accogliamoli come personeche, magari in mezzo a tante fragilità, portano in sé un tesoro pre-zioso, un sogno che riusciranno a realizzare solo con l’aiuto dellacomunità e con il supporto della fede. Non possiamo rassegnarcicon impotenza davanti al vorticoso aumento del fenomeno delleconvivenze (il 52% nel Nord Italia), che denuncia l’insufficienzadelle nostre proposte di educazione all’amore nell’età dell’adole-scenza e dei primi innamoramenti. I giovani hanno alle spalle nonsolo un vuoto di formazione cristiana, ma si trovano impreparatianche ad affrontare le esigenze che una seria relazione di amorecomporta per la sua stabilità e qualità. Inoltre teniamo presenteche i giovani sono resi incerti sia per la precarietà della situazionelavorativa ed economica sia perché vedono esperienze di fallimentimatrimoniali anche in coetanei sposati da poco. Sono inoltre figlidi quella cultura postmoderna che schiaccia sul presente, che è gui-data dall’emotività ed esposta al rischio della frammentarietà dellapropria vita in tanti scomparti. Come comunità cristiana preoccu-piamoci di accompagnarli con generosità e competenza per untratto di strada nello stile di Emmaus, fatto di ascolto, di parteci-pazione alle loro emozioni, di aiuto a scoprire con la Parola di Diola profondità e la bellezza del mistero che stanno vivendo.

(d. Sergio Nicolli, Vita Trentina 5 luglio 2009)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Quali atteggiamenti o quali valutazioni esprimiamoriguardo alle coppie “non sposate in chiesa” o convi-venti?

Da quali ragioni può essere motivata questa loroscelta?

Cosa dovremo correggere nella nostra mentalità perpoterle accostare o accompagnare senza che si sentanogiudicate?

Ma è ancora possibile al giorno d’oggi trasmettere ilsenso vero del Sacramento del Matrimonio?

E a quali condizioni?

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Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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CITTADINANZAE CORRESPONSABILITÀ

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Nella rete della Guardia di Finanza di Padova sono finiti 58benestanti, che però si facevano passare per poveri in canna pressoil Fisco, per cui sono arrivati, alcuni di loro, a chiedere perfino leprestazioni sociali agevolate, a scapito dei veri poveri e delle cassepubbliche. Tre di questi falsi poveri vivevano in alloggi di edilizia re-sidenziale pubblica, pagando affitti da 100 € al mese. Ma nei par-cheggi davanti a casa ostentavano chi una Porsche Cayenne, chiuna Porsche Carrera 911, chi una Volkswagen Tuareg e chi una Ja-guar. Un quarantanovenne titolare di una ditta di abbigliamento,oltre alla Porche Carrera 911 del valore di 76000 €, risulta essereproprietario di una villa in città e di una casa in Sardegna, per unreddito complessivo pari a 250mila €. Il reddito dichiarato? Non piùdi 2500€ l’anno. Il titolare di una ditta immobiliare si è dichiaratoquasi nulla tenente e invece è risultato proprietario di un autoca-ravan Mercedes Viano, una BMW del valore di 66mila €, una motoDucati Supersport, una barca a vela del valore di 120mila €, cinquetra ville e appartamenti in città e a Cortina.

(Avvenire, 26 giugno 2009)

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei tennero consiglio (contro Gesù)per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Man-darono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, adirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni lavia di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno,perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi iltuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». MaGesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perchévolete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tri-buto». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandòloro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Glirisposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dun-que a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è diDio». A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciaronoe se ne andarono.

(22,15-22)

Per comprendere

È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?Cesare era l’espressione simbolica del potere romano che, al tempodi Gesù, comandava anche in Palestina. Dire “Cesare” era come dire“lo Stato”. Imponeva le sue leggi e le sue tasse. Per gli ebrei, doverpagar tasse a un potere straniero era la cosa più odiosa che si po-tesse immaginare.

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Se Gesù avesse risposto “sì, è lecito”, i suoi connazionali l’avreb-bero preso per un venduto, un collaborazionista; se avesse detto“no”, i Romani stessi l’avrebbero eliminato come loro nemico. Gesùchiude la bocca ai suoi subdoli interlocutori con una risposta che lìper lì probabilmente non capiscono in tutta la sua profondità.

“Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”. Il vangelo afferma espressamente che anche Cesare, cioè lo Stato,ha dei diritti e i cittadini li devono rispettare. Così insegnavanoanche gli apostoli (cfr. Rom 13,1-9).San Paolo, per esempio, è dell’idea che la vera cittadinanza dei cri-stiani è nei cieli (cfr. Fil 3,20), ma proprio perché cittadini del cielo,sono tenuti a comportarsi da cittadini responsabili e attivi anchesu questa terra. Il menefreghismo o l’indifferenza verso i problemio le scelte che si dibattono a livello di società, di città, di convi-venza, non fa mai onore a nessuno, tanto meno ai discepoli di Cri-sto. Essi, proprio perché “cittadini del cielo”, non sono affattopreoccupati di far trionfare la loro visuale, le loro idee, ma sono te-nuti a portare il loro tipico contributo, perché le soluzioni che neverranno siano il più possibile rispondenti al vero bene comune. Sipuò pensare che “Dare a Cesare ciò che è di Cesare” voglia dire anzi-tutto e proprio questo.

“E a Dio ciò che è di Dio”.Anche Dio ha i suoi diritti infatti. Primo fra tutti quello di essere riconosciuto come unico Signore daogni credente, e quindi ascoltato, amato, cioè corrisposto per quel-l’amore immenso che egli riserva a ogni creatura.Quando questo avviene, Dio può entrare nella storia di questomondo e dimorare tra gli uomini. Allora anche “i diritti dell’uomo”(di ogni uomo e di ogni donna) hanno buona probabilità di trovareeffettivo riconoscimento all’interno della convivenza civile. Nes-

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sun altro interesse ha Dio infatti se non quello di difendere e pro-muovere la dignità dei suoi figli: tutti gli uomini, senza eccezione odiscriminazione alcuna. I farisei che tesero tranelli a Gesù erano senz’altro persone reli-giose, ma mosse più dalla fiducia in loro stessi che dalla fede in Dio.Per questo furono tacciati come “ipocriti” dal Signore.La fede autentica, che riconosce volentieri a Dio il primato nellavita di ogni giorno, è per i credenti il miglior incentivo a fare dellaloro cittadinanza su questa terra una partecipazione attiva, co-stante e responsabile.

Così si ragiona nella Chiesa

Scrive il Concilio nella Gaudium et spes: «Vi sono quelli che,pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia in pratica sem-pre vivono come se non avessero alcuna cura delle necessità dellasocietà. Anzi, molti, in vari paesi, tengono in poco conto le leggi ele prescrizioni sociali. Non pochi non si vergognano di evadere convari sotterfugi e frodi, alle giuste imposte o agli altri obblighi so-ciali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio lemisure igieniche, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, nonrendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la pro-pria vita e quella degli altri»

Sono parole di una straordinaria attualità anche per quelloche le cronache quasi quotidiane ci raccontano. È allora davveroinevitabile la domanda: è viva in noi la responsabilità sociale? Ciinterroghiamo sulle conseguenze dei nostri gesti?

Si potrebbero citare, anche solo nell’ultimo anno, decine edecine di episodi caratterizzati da un’irresponsabilità talvolta in-cosciente ma non per questo meno grave: dalla guida in stato di

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ebbrezza o sotto effetto di droghe che provoca la morte di inno-centi, che, casualmente, si trovano lungo la via, agli incendi causatidall’incuria, quando non colpevolmente e dolosamente provocati,che oltre alla distruzione dell’ambiente, uccidono persone ignare,magari in vacanza per un meritato riposo.

La responsabilità sociale rischia di diventare una categoriaperduta. La nostra cultura invece deve riprenderla e riassumerlacome elemento fondante l’esercizio della cittadinanza. Non si edu-cano i cittadini se non si aiuta a cogliere l’insostituibile valore dellaresponsabilità sociale. Così come non si vive la carità cristiana senon assumendoci pienamente la responsabilità dell’altro e deglialtri: il prossimo si ama così!

Ancora: non è solo il senso della responsabilità sociale adessersi affievolito, ma anche il senso della legalità. Pare impossi-bile: più viene sottolineata a parole l’importanza delle leggi, più ildisinteresse nei confronti di esse o l’idea che le leggi possano co-munque essere adattate o piegate alle esigenze delle singole per-sone si fa sempre più strada.

(Card. D. Tettamanzi, Discorso alla città, dic. 2007)

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PER RIFLETTERE INSIEME

La partecipazione (che non nel campo del passa-tempo o del divertimento) sperimenta al giorno d’oggiun certo calo d’interesse un po’ dappertutto…

Quali possono essere secondo voi le cause o i motivi diquesta situazione?

“Cittadinanza”, per tutti ma in specie per noi cri-stiani, implica “corresponsabilità”: come potreste (odovreste) esprimere tale corresponsabilità in quegli am-biti concreti nei quali si svolge la vostra vita?

L’ispirazione cristiana (la fede autentica, in altre pa-role) può dare qualcosa in più a chi si impegna per ilbene di tutti nei vari settori della convivenza civile. Se-condo voi, in cosa consiste questo “qualcosa in più”?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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GLI ANZIANI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Ho sempre cercato di non pesare su nessuno. Figuriamocisui miei nipoti che hanno già i loro figli e a cui ho dato l’apparta-mentino dove abitavo prima di arrivare qui. Ho scelto di lasciarlo.Che avreste fatto voi? Ho 82 anni. Non sono tanto vecchia, ma acasa, da sola, non potevo più stare. Qualche volta mi dimenticavodi prendere le medicine, certe mattine non ce la facevo proprio auscire e a fare la spesa e allora ho preso la decisione: un istitutospecializzato per gli anziani, dove poter stare con altre personedella mia età, simpatiche. Tutto spesato, tutto garantito, senzabisogno di rifare il letto, di cucinare e senza fastidi per nessuno.Andare via da casa mia non è stato facile. Una cosa è dirlo, altroè farlo. Ma alla fine ci sono riuscita. Per un po’ non ci ho dormito:i mobili, la mia biancheria, i piatti, le fotografie al muro, gli odori,i rumori, le pentole. Quando ce li hai sembra normale, non ci faicaso. Ma se non ci sono più le tue cose, poi te ne accorgi, eccome.Qui non mi è andata male. Il mangiare, a dire il vero, è senza qua-lità, ma qualche volta è accettabile. La pulizia c’è e in teoriaanche un bel giardino. In teoria, perché nel frattempo la mia sa-lute è un po’ peggiorata e senza che uno mi accompagni io in giar-dino non ci posso andare. Insomma non ci sarebbe tanto dalamentarsi se non che, quando ci stai dentro, la vita va un po’tutta alla rovescia. Quello che è normale diventa impossibile. Pro-vare per credere.

57INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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Il tempo. Dopo un po’ ti dimentichi che giorno è, perché diventatutto uguale. E’ come se non ci fosse mai niente da aspettare. Nep-pure i programmi televisivi. Perché di televisione ce n’è una pertante persone e ognuno vorrebbe guardare un programma diverso.Le cose. Non ci vorrebbe niente a comprare le pile di ricambio perla radio, i fazzoletti di carta, i succhi di frutta e una rivista. Nientese stessi fuori. Ora tutto questo mi arriva quando vengono, di tantoin tanto, i miei nipoti. Ma abitano lontano e io non voglio essere dipeso proprio adesso.Gli occhiali. Tutto diventa complicato, qui, per colpa di nessuno. Misi sono rotti gli occhiali, cadendo dal comodino. E ci ho messo moltesettimane per trovare chi mi accompagnasse a rifarli.A dirla tutta, forse la cosa che più mi comincia a pesare è il fattoche nessuno, per giorni, settimane, dice il mio nome. Se non c’è chipronuncia il tuo nome puoi avere tutto, ma è come se ti mancassel’aria. Finirà per dimenticarlo anche io?Allora mi sono detta: debboreagire. Che cosa posso fare, io, ancora? Posso essere un amica. Epure un’amica fedele. Si. Se cercate un’amica venite a trovarmi. Hodel tempo e non mi disturberete. Mi interessa quello che succedenel mondo e mi piacerebbe ascoltare i vostri racconti, parlare convoi. Mi sono detta: “Un’ora di tempo”. Il vostro e il mio. Per diven-tare amici, per contare per qualcuno. Alla faccia della solitudine.

Anna.

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LA PAROLA DI DIO

Dal libro del Siracide

Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,non contristarlo durante la sua vita.

Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.

Se non hai raccolto in gioventù,che cosa vuoi trovare nella vecchiaia?

Quanto s’addice il giudicare ai capelli bianchie agli anziani il saper dare consigli!

Quanto s’addice la sapienza agli anziani,il discernimento e il consiglio alle persone onorate!

Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice,loro vanto è temere il Signore.

(3,12.13, 25,3-6)

Dal libro dei Salmi

Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro delLibano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri delnostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi erigogliosi,per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in luinon c’è malvagità.

Salmo 92 (91), 13-16

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Per comprendere

Anche l’esperienza del popolo della Bibbia conosce storie di vec-chiaia appesantite dagli acciacchi o dalla perdita di lucidità men-tale: Sii indulgente con tuo padre nella sua vecchiaia, anche se perdeil senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. Questi li-miti, tuttavia, nulla tolgono alla considerazione e al rispetto concui si guarda al mondo degli anziani. Quanto s’addicono agli anziani il giudicare e il saper dare consigli, lasapienza e il discernimento!La cultura biblica, al pari di altre del tempo passato, riserva grandestima e considerazione a quella che oggi chiamiamo la “terza età”:è la stagione della vita in cui discernimento, saggezza, equilibrio digiudizio e padronanza di sé, maturano quasi spontaneamente.Non c’è niente di automatico tuttavia in questo: non basta averemolti anni sulle spalle per ritrovarsi senz’altro in possesso di que-gli atteggiamenti positivi e virtuosi che sono stati appena nomi-nati: la Bibbia conosce anche esperienze di anzianità che sicombinano invece lucidamente con la malvagità più sfacciata (cfr.ad esempio Daniele 13).Positivo o negativo nella terza età dipendono in gran parte da comesi vissuto in precedenza, da giovani e soprattutto da adulti; dallebasi o dai valori che ci si è dati nella vita, perché “se non hai raccoltoin gioventù, che cosa vuoi trovare nella vecchiaia?”. Un interroga-tivo, questo del Siracide, che potremmo leggermente modificare etrasformare in una conclusione di questo genere: in vecchiaia si rac-coglie ciò che si è seminato nel corso della vita…

La Fede in Dio è senz’altro una componente importante per arrivarea quella vecchiaia positiva e virtuosa che la sapienza biblica descrivecon venerazione: quanti vivono la loro esistenza nel modo giusto chepiace al Signore, “nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi

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e rigogliosi”, come si afferma nel Salmo. Anche a questo riguardo peròsi deve aggiungere che non si tratta affatto di una conseguenza au-tomatica: non una fede qualsiasi (magari superficiale o tiepida) puòassicurare una vecchiaia serena e feconda, ma quella fede che riservaa Dio il primo posto in assoluto. Questo è il senso dell’espressioneconclusiva del brano del Siracide: “vanto dei vecchi è temere il Signore”(e si noti che “temere il Signore” non significa aver paura di Dio, mavivere seriamente la propria relazione di fede con lui).

Così si ragiona nella Chiesa

La comunità cristiana può ricevere molto dalla serena presenza dichi è avanti negli anni. Penso, soprattutto, all’evangelizzazione: lasua efficacia non dipende principalmente dall’efficienza operativa.In quante famiglie i nipotini ricevono dai nonni i primi rudimentidella fede! Ma sono molti altri i campi a cui può estendersi il bene-fico apporto degli anziani. Lo Spirito agisce come e dove vuole, ser-vendosi non di rado di vie umane che agli occhi del mondo appaionodi poco conto. Quanti trovano comprensione e conforto in personeanziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio me-diante il consiglio amorevole, la silenziosa preghiera, la testimo-nianza della sofferenza accolta con paziente abbandono! Propriomentre vengono meno le energie e si riducono le capacità opera-tive, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel dise-gno misterioso della Provvidenza. Anche sotto questo profilo,dunque, oltre che per un’evidente esigenza psicologica dell’anzianostesso, il luogo più naturale per vivere la condizione di anzianitàresta quello dell’ambiente in cui egli è “ di casa ”, tra parenti, co-noscenti ed amici, e dove può rendere ancora qualche servizio. Amano a mano che, con l’allungamento medio della vita, la fascia

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degli anziani cresce, diventerà sempre più urgente promuovere que-sta cultura di una anzianità accolta e valorizzata, non relegata aimargini. L’ideale resta la permanenza dell’anziano in famiglia, conla garanzia di efficaci aiuti sociali rispetto ai bisogni crescenti chel’età o la malattia comportano. Ci sono tuttavia situazioni, in cui lecircostanze stesse consigliano o impongono l’ingresso in “ case peranziani ”, perché l’anziano possa godere della compagnia di altrepersone e usufruire di un’assistenza specializzata. Tali istituzionisono pertanto lodevoli, e l’esperienza dice che possono rendere unservizio prezioso, nella misura in cui si ispirano a criteri non solo diefficienza organizzativa, ma anche di affettuosa premura. Tutto è inquesto senso più facile, se il rapporto stabilito con i singoli ospiti an-ziani da parte di familiari, amici, comunità parrocchiali, è tale daaiutarli a sentirsi persone amate e ancora utili per la società. Caris-simi anziani, che vi trovate in precarie condizioni per la salute o peraltro, vi sono vicino con affetto. Quando Dio permette la nostra sof-ferenza a causa della malattia, della solitudine o per altre ragioniconnesse con l’età avanzata, ci dà sempre la grazia e la forza per-ché ci uniamo con più amore al sacrificio del Figlio e partecipiamocon più intensità al suo progetto salvifico. Siamone persuasi: Egli èPadre, un Padre ricco di amore e di misericordia!

(Giovanni Paolo II – Lettera agli anziani, 1 Ott. 99)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Diversi fattori fanno sì che al giorno d’oggi, nella no-stra società, la categoria degli anziani sia molto ben rap-presentata. Il che comporta delle conseguenze che vannoseriamente soppesate e affrontate con responsabilità daparte di tutti.

Dal punto di vista della dignità delle persone (primaancora che da quello della fede) vi sembra giusto consi-derare solo, o prevalentemente, l’aspetto problematicodi questo fenomeno?

Non vi sono anche altri aspetti – e positivi – che si do-vrebbero salvaguardare e portare all’attenzione di tutti?Quali, secondo voi?

Le istituzioni civili fanno la loro parte per assicurareagli anziani cura e assistenza.

Quale dovrebbe essere, accanto a questo, il contributospecifico della Comunità ecclesiale e di ogni cristiano?

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Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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IL LAVORO

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

“La mia esperienza di lavoratore?In questi 18 anni, da quando ho cominciato, ho cambiato

posto tre volte. Prima magazziniere, poi dipendente in un’impresadi trasporti. Adesso in fabbrica. Capo-reparto. Ma più che il lavoro,forse sono cambiato io in questi anni…

Non posso dire di fare il lavoro che ho scelto, che ho sempresognato; al principio mi facevano incavolare quelli che parlavano di“scelta professionale in base agli studi fatti e alle attitudini del sog-getto”. Oggi mi fanno ridere. Io ho preso il lavoro che ho trovato.Certo, se poi ho cambiato, è perché m’aspettavo qualcosa di me-glio. Ma l’ideale è un conto, la realtà invece è sempre un’altra.

I miei primi anni di lavoratore li ricordo come un periodopiuttosto fiacco: andavo a lavorare perché dovevo; più che il lavoromi stava a cuore il posto. I rapporti con i compagni erano fatti disimpatie e di antipatie, di discorsi chiassosi e superficiali; umanità,solidarietà, mi pare che ce n’era poca. Soprattutto la noia, la mo-notonia di dover cominciare ogni mattina con le solite cose: mi di-ventavano sempre più insopportabili.

La famiglia, i figli, sono stati un antidoto efficace. Per un po’di tempo almeno. Poi ho cominciato a sospettare che a provocare unvero cambiamento non sarebbe bastata la famiglia, e neanche unposto di lavoro diverso… Avrei dovuto cambiare io.Furono diversi i motivi che mi portarono a questa convinzione: lafine improvvisa e tragica di un compagno, la crisi familiare che coin-

INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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volse un altro (amico, tra il resto) che piombò in una depressionepenosa… per non dire delle notizie sempre più frequenti di chiu-sura di fabbriche e di operai sul lastrico che sentivo come provoca-zioni: perché è toccato a loro invece che a me? Qual è il santo chemi ha protetto?

È a questo punto che ho cominciato a metterci un po’ dianima in quello che faccio. Voglio dire che ho cominciato a pensare,sempre più spesso: se sono qui, in questa fabbrica, con questi com-pagni, forse non è solo per una questione di posto e di stipendio…forse potrei sforzarmi di essere una persona invece che una pedinao un numero… Parlare di un progetto più grande, o di un piano chesupera le mie modeste aspettative, beh… sono parole grosse: hopaura ad adoperarle, ma più o meno è quello che mi ritrovo a pen-sare.

E allora, ecco: da un po’ di tempo, quando la mattina vado allavoro, rivolgo un pensiero a chi so io e gli dico: Senti, se il mio la-voro non è proprio da buttar via, te lo offro. La fatica soprattutto.Che se poi posso fare qualcosa per te, dammene l’occasione, e anchegli atteggiamenti giusti…

Mi pare (ma lo dico sottovoce) che ci sia meno grigiore nellemie giornate. Si sta risvegliando in me una sensibilità che non co-noscevo: mi scopro più attento, più umano. Le ore in fabbrica pas-sano perfino più in fretta…E mi sento anche un po’ ridicolo se penso ai vari cambiamenti cheho fatto, prima di arrivare a quello davvero decisivo: il cambia-mento di me stesso.

(Enrico – operaio di fabbrica)

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LA PAROLA DI DIO

Dal libro del Qoèlet

Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uominiperché vi si affatichino. Ho capito che per essi non c’è nulladi meglio che godere e procurarsi felicità durante la lorovita; e che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro,anche questo è dono di Dio.

Ho osservato anche che ogni fatica e ogni successo otte-nuto non sono che invidia dell’uno verso l’altro. Anche que-sto è vanità, un correre dietro al vento.

(3,10.13;4,4)

Dagli Atti degli Apostoli

Quando Paolo arrivò a Corinto, trovò un Giudeo di nomeAquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia,con la moglie Priscilla… Si recò da loro e, poiché erano delmedesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Dimestiere, infatti, erano fabbricanti di tende.

Paolo diceva ai responsabili delle Comunità:“Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano

con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le ma-niere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavo-rando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse:“Si è più beati nel dare che nel ricevere!”».

(18,1.3; 20,33-35

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Per comprendere

Per la Bibbia il lavoro è un banco di prova dove ogni uomo e ognidonna si manifesta per quello che è veramente.Se si è animati da onestà, lealtà, senso di responsabilità e passioneper la giustizia, il lavoro è un’occupazione irrinunciabile e insiemegratificante, di cui godere come un dono di Dio – insegna il saggioQohèlet.Ma se si è mossi da spirito di arrivismo, di prevaricazione, di mene-freghismo nei confronti degli altri (colleghi), allora il lavoro è va-nità. Allora la fatica e lo stress che si sperimenta sono provocati piùda invidie e piccinerie che non dal lavoro in se stesso. Secondo la Bibbia è Dio che affida a ogni persona umana l’incaricodi lavorare: un incarico che la nobilita, perché quel “lavorare” èun “collaborare” con lui in quell’opera immensa che è la crea-zione.Ma la fatica che debilita, il sopruso che avvilisce, il rischio o il pe-ricolo che talora il lavoro porta con sé, questi sono effetti di un di-sordine che non c’entra con Dio: ha altre motivazioni.

Gesù a Nazaret ha appreso da suo padre, Giuseppe, il mestiere dicarpentiere e l’ha svolto quotidianamente con lealtà e competenza,tanto da essere noto ai suoi compaesani come il “carpentiere”. Cosìfacendo egli ha nobilitato ogni lavoro umano. Da allora, infatti, sipuò affermare che nel mondo del lavoro – quale che sia – vi sonoanche le orme del Figlio di Dio oltre a quelle di moltitudini di uominie donne. E’ per questo che i veri discepoli di Gesù guardano al lavoro con at-teggiamento di rispettosa venerazione.Non fanno differenze di valutazione tra lavori umili ed occupazioniprestigiose (san Paolo era fabbricante di tende da campo, e non sene vergognava affatto).

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Lavorano con onestà e responsabilità, senza diventare schiavi del-l’opera che svolgono o dei proventi che ne traggono: lavorano pervivere, non vivono per lavorare (Paolo, in nome del vangelo chesentiva di dover annunciare, sapeva porre dei limiti al suo lavoro).Oltre che assicurare un tenore di vita decoroso, il lavoro dà loro l’op-portunità di vivere la solidarietà e di esercitare la condivisione: sianei rapporti con i colleghi e con il mondo del lavoro in genere, sianella società, consentendo di soccorrere i meno fortunati con in-terventi di solidarietà concreta; è ancora l’apostolo Paolo a darel’esempio: “…vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavo-rando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è piùbeati nel dare che nel ricevere!”».

Così si ragiona nella Chiesa

Giornali e telegiornali non parlano di casalinghe che rassettanoletti, puliscono pavimenti, preparano da mangiare o lavano ipiatti... e nemmeno di operai e impiegati che escono di casa per illavoro ogni mattina. Non si danno mai tali notizie perché questeson cose che non fanno notizia. Eppure sono importanti, tanto chenon si smette neppure un giorno di compierle. Allora, forse, si puòconcludere che l’importanza non va sempre di pari passo con la no-tizia. C’è un’importanza che non fa notizia. La regola vale anche per Gesù, il Figlio di Dio che si è incarnato tragli uomini: perché mai Dio non gli ordinò di mettere subito mano al-l’opera della redenzione senza perder tempo? Perchè fargli sprecare30 anni a imparare e a svolgere il mestiere di carpentiere, per poi ri-servarne solo tre all’annuncio del Vangelo? La risposta ce la dà un celebre testo del Concilio Vaticano II: “Poi-ché in lui (Cristo) la natura umana è stata assunta senza per que-

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sto venire annientata, per ciò stesso essa è stata innalzata anchein noi a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio siè unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo,ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, haamato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si èfatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel pec-cato”.

In altre parole: se Dio ha deciso che il Figlio suo, incarnandosi,trascorresse trent’anni a fare quello che più o meno tutti fannoogni giorno, è perché voleva consacrare l’esistenza quotidiana ditutti: fatta di lavoro e di impegni che non fanno notizia. È ilPadre che ha voluto questo. Gli anni di Gesù a Nazaret, furono anni privi di racconto (le cosedi ogni giorno, si diceva, non fanno notizia), ma furono annipieni di senso. Ecco il significato di quell’affermazione: ha con-sacrato l’esistenza quotidiana. Allorché apprese il mestiere di carpentiere da Giuseppe e diventòcapace di esercitarlo con destrezza, erano le modeste richiestedella gente di Nazaret (i clienti della sua bottega!) a dare spes-sore alla sua quotidianità; la volontà del Padre, allora, passavaattraverso le normali occupazioni che riempivano le sue gior-nate di carpentiere.E a noi? Forse che giunge per altre vie? La volontà del Padre - ciòper cui ogni giorno si prega “sia fatta la tua volontà“ - arriva anoi per i canali del lavoro quotidiano, dei doveri di ogni giorno,delle cose ordinarie che attendono di essere compiute. Grazie alfatto che Gesù Cristo ha consacrato la quotidianità, esse hannoun dignità sublime già in se stesse: sono come pietre di costru-zione, già sagomate e pronte, anziché materiale ingombrante edi scarso valore. Tocca a ogni credente, tuttavia, valorizzarle per la costruzione. Lasublime dignità della vita quotidiana è solo parziale se, a questo

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punto, non subentra un atteggiamento personale, attivo. Da checosa è dato? Dalla consapevolezza, dall’intenzionalità, dalla vo-lontà. Fare una cosa solo perché si deve, è diverso dal portarla atermine sapendo di far piacere a qualcuno che si ama; è profonda-mente diverso. Le attività d’ogni giorno hanno un’altra animaquando si sa che il compierle nel migliore dei modi è un fatto chesta a cuore anche al Padre nostro; forse hanno perfino un altroesito, migliore, più soddisfacente anche sul piano umano. La consapevolezza che è volontà del Padre quel lavoro che si sta fa-cendo, diventa quindi esigenza di farlo bene, nel modo migliorepossibile.In tale prospettiva, la preghiera ha notevole importanza. Non per-ché sia una breve preghiera frettolosa, fatta una volta ogni tanto,a rendere sante e degne le occupazioni, ma perché nella preghierasi prende coscienza della loro nobiltà e preziosità agli occhi di Dio. Insomma, ad un lavoratore cristiano che si sentisse domandare“cosa stai facendo?”, non dovrebbe sembrare troppo strano ri-spondere: “sto facendo la volontà del Padre”. (Non lo dirà, per nonapparire eccentrico; ma pensarlo sì, lo può, con pieno diritto). È inquest’ottica che il lavoro di ogni giorno acquista tutta la sua su-blimità, anche da parte dei credenti.

(P.Rattin – Incarnazione e spiritualità)

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PER RIFLETTERE INSIEME

In ogni professione ci sono luci e ombre; comporta-menti e atteggiamenti talora positivi, talora negativi.

In base alla vostra esperienza – o pensando all’am-biente professionale che vi è più familiare – quali sono icomportamenti da evitare e quali invece da promuo-vere?

Di quali, tra questi ultimi, ci sarebbe più urgente bi-sogno per migliorare “il clima umano” degli ambienti dilavoro?

Anche l’esperienza lavorativa per un cristiano è “oc-casione di missione”: in che senso, secondo voi?

Portare spiritualità nel proprio lavoro: è possibile? Ecosa vorrà dire?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I SENZA LAVORO

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Mi chiamo Giovanni, ho 52 anni; ero sposato con due figli,facevo il camionista e mantenevo adeguatamente la mia famiglia.Un incidente nel quale avevo la colpa e un imbroglio da parte delcommercialista hanno fatto sì che perdessi il lavoro e finissi incarcere. Uscito dal carcere ho iniziato a cercare lavoro; ho ancheun’invalidità riconosciuta del 50% ma non sono riuscito a trovarelavoro se non per pochi giorni, un po’ di qua un po’ di là. Tiro vanticosì da 8 anni. Adesso però sono due anni che aspetto per niente;sono andato in un sacco di posti, mi sono presentato in molteaziende, ho parlato con assistenti sociali, assessori, con il sindacoma non c’è stato niente da fare. L’assistenza pubblica, a dire il vero,mi paga l’affitto di un minilocale e la luce ma per il resto devo viveredi carità. E’ vero che ho anche iniziato a bere e questo non ha certofacilitato la mia situazione ma adesso ho smesso, frequento il Clubdegli Alcolisti, cerco di essere sempre a posto ma nessuno mi prendeper lavorare, dicono che sono troppo vecchio. Sono disperato, i mieifigli sono lontani e non voglio che mi vedano in queste condizioni.Non so più che cosa fare; qualche volta mi prende la voglia di fareun gesto clamoroso per attirare l’attenzione sul mio caso ma poi mifermo perché, con la sfortuna che ho, sono sicuro che me neverrebbe solo un danno in più.

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INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dal libro del Siracide

Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri,colui che glielo toglie è un sanguinario.

Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento,versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio.

(34,25-27)

Dal libro del profeta Isaia

Non è forse questo il digiuno che voglio:sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?

Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi pa-renti?

(58,6.7)

Per comprendere

L’alta considerazione per i beni necessari alla vita è una costantenella Bibbia, così come il giudizio di condanna su coloro che, in unmodo o nell’altro, li fanno mancare.È stato compito dei profeti tenere alta tale sensibilità e far sì che di-ventasse patrimonio del buon senso comune.Il libro del Siracide, infatti, non appartiene alla corrente dei Profeti,

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ma a quella dei Saggi che raccoglie il meglio di quel buon senso informa di affermazioni apodittiche o di proverbi; tuttavia, anche conpoche battute disseminate qua e là, dà dimostrazione di quanto talesensibilità fosse unanimemente condivisa. Parole quali “uccidere”, “sanguinario”, “versare sangue”…sonomolto forti, ma si osservi che fanno da contrappeso ad altre espres-sioni, dal sapore estremamente realistico: “togliere il pane ai po-veri… togliere il nutrimento… rifiutare il salario all’operaio”.Questo breve testo è un grave capo d’accusa contro coloro che, incampo economico-finanziario o in fatto di politiche occupazionali,prendono decisioni con l’unico criterio dei vantaggi, ma ignoranovolutamente quello dei costi (che invece sono pagati a prezzo di li-cenziamenti o di riduzione delle possibilità occupazionali).

Il brano di Isaia, invece, è una provocazione a ogni credente (indi-viduo o famiglia) il cui tenore di vita è caratterizzato da serena as-senza di particolari preoccupazioni economiche.È proprio dalla prospettiva del culto, della religiosità, che il pro-feta lancia un’invettiva che ha tutta l’autorevolezza di Dio: infattiè lui, in prima persona a parlare.Il digiuno (pratica religiosa ben nota in tutte le culture) diventa inquesto oracolo simbolo ed espressione di tutti quei gesti o atti coni quali le persone credenti pensano di far piacere a Dio, suscitandola sua sensibilità, la sua considerazione.È quanto mai drastico il giudizio: se quel digiuno è un alibi che con-sente di chiudere gli occhi sulle necessità del prossimo, esso nonincontra affatto il gradimento di Dio, ma bensì il suo disgusto. (Sivedano a questo proposito anche altre affermazioni dei profeti, peresempio in Isaia 1,10-20).Tale è la considerazione che ha Dio per la dignità di tutti i suoi figli,e per i beni essenziali che la garantiscono, da relativizzare (o stra-volgere?) già nell’Antico Testamento i consueti parametri della re-

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ligiosità: vero digiuno – vera religiosità – è condividere con chi nonha: non solo il superfluo (di cui è facile far a meno), ma il neces-sario di ogni giorno.Il vangelo di Gesù, dal canto suo, è della stessa opinione (cfr. Mat-teo 25,31-46).

Così si ragiona nella Chiesa

Il primo impegno – specie per quanti hanno una responsa-bilità di governo – è di rimuovere gli impedimenti che si frappon-gono ad una dignità piena delle persone.Sono note nella nostra città, e più in generale nel nostro Paese,alcune situazioni di grave difficoltà che indeboliscono o addirit-tura minacciano la dignità delle persone. Mi riferisco anzitutto allamancanza o alla precarietà del lavoro e alla difficoltà di avere unacasa dove abitare con serenità insieme ai propri cari.

Un lavoro onesto e sicuro, una casa dove abitare, sono con-dizioni necessarie perché ogni uomo possa assolvere positivamenteil dovere della “sua” responsabilità sociale. E che siano, il lavoro ela casa, “dignitosi”, ossia degni della dignità umana! Diversamentenon potranno che prevalere il senso di sfiducia e la presa di di-stanza dalle istituzioni, dalla politica e, più in generale, dallastessa società, valutate come realtà chiuse che perseguono inte-ressi propri o particolari e non realmente impegnate a costruire ilbene comune.

È tempo di agire e di studiare con intelligenza, soprattuttoda parte di chi ha responsabilità istituzionali, le vie per rimuoverequesti impedimenti che contrastano la dignità delle persone.

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E nuovamente il riferimento è all’uomo del cuore, all’uomointeriore e sapiente che, mentre sa vedere e riconoscere i bisogni ele domande degli altri, richiama ciascuno alla propria responsabi-lità. Con il suo sguardo possiamo andare a quanti non hanno lavoroe casa e raggiungere tanti altri poveri, “nascosti” alla vista, in quar-tieri anonimi, talvolta in case degradate; poveri rassegnati che sof-frono in silenzio, ormai soli e chiusi in se stessi. Con il suo sguardoriusciamo a vedere anche quello che si finge talvolta di non sapere,cioè che chi ieri era rispettato perché aveva un lavoro oggi vive aimargini; che ci sono bambini che vanno a scuola, ma sono “traspa-renti”, nessuno li vede per quello che sono, nessuno li aiuta; che cisono donne sole con dei piccoli, ma nessuno bada a loro; che ci sonoanziani che non ce la fanno con la loro più che modesta pensione.Sappiamo che sono sensibilmente aumentate le persone costrettea ricorrere alle “mense dei poveri” per un pasto caldo e che molti diloro sono cittadini che fino a poco tempo fa non avevano questo bi-sogno.

Come è vera e inquietante, al di là del suo più profondo si-gnificato, la parola di Gesù: «I poveri li avete sempre tra voi»!

(Card. D. Tettamanzi, Discorso alla città, dic. 2007)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Il dramma dei “senza lavoro” coinvolge anzitutto co-loro che un lavoro ce l’avevano, ma – per motivi indipen-denti dalla loro volontà – l’hanno perduto.

Siete a conoscenza di situazioni di questo genere?La nostra responsabilità di credenti, a questo riguardo,

si esplica in almeno due direzioni,: sul piano socio-poli-tico e su quello dei comportamenti (personali e fami-liari).

Quali modalità di azione abbiamo in quanto cittadiniper far sì che si pongano dei limiti all’aggravarsi del fe-nomeno “disoccupazione”?

Nella Chiesa italiana (da parte di molte singole Dio-cesi) sono state prese iniziative concrete per far fronte inqualche modo a queste situazioni: ne siete a conoscenza?

E voi, come singoli, famiglie, Comunità, cosa potetefare per promuovere e attuare una vera condivisione?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I BAMBINI D’OGGI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Il Commissariato di polizia di Seattle (Washington) hadiffuso tra i genitori della città questo prontuario dal titolo:“Consigli per fare del vostro bambino un delinquente”

Fin dai primi anni, dategli tutto ciò che vuole: diventeràgrande pensando che il mondo intero gli deve tutto.Se dice delle volgarità, ridete. Si crederà spiritoso.

Non dategli alcuna formazione spirituale. Quando avràvent’anni deciderà da sé.

Non ditegli mai: “Questo è male”. Potrebbe farsi uncomplesso di colpa. E più tardi sarebbe convinto che è la società aperseguitarlo.

Raccogliete tutto quello che lascia cadere. Così si persuaderàche i responsabili sono sempre gli altri.

Lasciategli leggere tutto e vedere tutto. Magari sterilizzatele stoviglie, ma lasciate che il suo spirito si nutra di rifiuti.

Litigate sempre in sua presenza. Così, quando il vostromatrimonio andrà in frantumi, non ne sarà affatto meravigliato.

Dategli tutto il denaro che pretende, che non debbaguadagnarselo. Non sarebbe giusto che provasse le stesse difficoltàche avete affrontato voi.

Che tutti i suoi desideri siano soddisfatti; cibi, bevande,comfort… altrimenti si sentirà frustrato.

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INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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Prendete sempre le sue difese. Maestri, professori…poliziotti: sappiate che sono tutti contro di lui!Quando sarà diventato un mascalzone, giustificatevi subito col direche non avete mai potuto farci niente…

Preparatevi a una vita piena di grane. L’avrete senz’altro!

LA PAROLA DI DIO

Dal libro dei Proverbi

Chi risparmia la correzione odia suo figlio,chi lo ama è pronto a correggerlo.

Correzione e castigo danno sapienza,ma il figlio lasciato a se stesso disonora sua madre.

Correggi tuo figlio e ti darà riposoe ti procurerà consolazioni.

(13,24; 29,15.17)

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perchéli toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al ve-dere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambinivengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infattiappartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non ac-coglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non en-trerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva,imponendo le mani su di loro.

(10,13-16)

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Per comprendere

Questi due brevi brani – l’uno dall’Antico e l’altro dal Nuovo Testa-mento – possono darci un’idea abbastanza precisa sul come la fedebiblico-cristiana guarda ai bambini.

Sono persone da far crescere, cioè da educare. Senza nulla togliereagli aspetti di affettuosità e di condiscendenza, che caratterizzanogli atteggiamenti di genitori ed educatori, la fermezza che li deveanimare è ribadita con grande decisione. A dispetto di certe visualipedagogiche moderne (improntate a criteri di totale libertà e spon-taneismo) la sapienza biblica mantiene chiari gli obiettivi ai qualil’educazione deve condurre; e riserva, di conseguenza, un’alta con-siderazione anche ai mezzi che servono a raggiungerli (compresol’intervento correttivo).Il segreto, l’anima di quest’opera educativa, è l’amore per i figli:una chiave di lettura che sembra perfino scontata, connaturale; mal’esperienza dimostra che non lo è affatto. L’amore, che sa direanche certi “no” quando è necessario, più che un dato di partenza(per genitori ed educatori) è esso stesso un traguardo cui tendere.

Nelle società del tempo antico (compresa quella palestinese al-l’epoca di Gesù), se si prescinde dall’ambito strettamente familiarei bambini non godevano di grande attenzione o considerazione. Laloro presenza non di rado era percepita come elemento di disturboe il disappunto dei discepoli che vorrebbero allontanarli dal Signorene è chiara conferma.La reazione indignata di Gesù non ha lo scopo di far cambiare at-teggiamento agli adulti (i discepoli, in questo caso) nei confrontidei bambini, quanto di ribadire – con esempi molto concreti – l’at-teggiamento con cui porsi dinanzi alla bella notizia del Regno diDio che Gesù è qui a inaugurare: a chi è come un bambino appar-

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tiene il regno di Dio… chi non accoglie il regno di Dio come lo acco-glie un bambino, non entrerà in esso…Con ciò Gesù non intende affatto avallare l’idea (un po’ romanticama irreale) del bambino quale individuo perfetto in se stesso (si sa,infatti, che il bambino è per sua natura egocentrico, e che l’educa-zione ha lo scopo di correggere in lui tale tendenza così che, con lacrescita, non si trasformi in vero e proprio egoismo). Gli aspetti che Gesù vuole rimarcare, e proporre ai discepoli comeatteggiamenti da assumere, sono piuttosto: la semplicità (cioè l’as-senza di doppiezza, di malizia) e l’apertura al futuro, con quellaconnaturale attitudine a crescere che l’infanzia stessa porta con sé. È da credere che l’affettuosa accondiscendenza di Gesù verso i bam-bini veda in questi loro atteggiamenti il presupposto migliore peraccogliere quella stupenda iniziativa di Dio che è il suo Regno tranoi.

Così si ragiona nella Chiesa

Ogni giorno sulla terra si compie la meraviglia di nuove vite umaneche vengono alla luce. I bambini e le bambine sono una parte im-portante della comunità umana. E costituiscono un mondo: ilmondo dei bambini. Ognuno di loro senza eccezione è amato da Dioperché creato a sua immagine e somiglianza.

Adulti e bambini sono chiamati a camminare insieme. I bambinichiedono agli adulti attenzione, cura e impegno co stante, ma a lorovolta favoriscono la crescita degli adulti nella fede e nella capacitàdi sperare e di amare, offrendo loro il dono della semplicità e dellaspontaneità. Fra gli adulti e i bambini vi è dunque uno scambio didoni che Dio illumina e favorisce.

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Gesù invita a guardare i bambini come li guarda lui, con amore cheva oltre la nostalgia e l’emotività. Li pone davanti agli adulti comeimmagine dell’atteggiamento privo di malizia e carico di fiducianecessario per entrare in intimità con il Padre. I bambini infattisembrano dire: non sappiamo, non possiamo, non abbiamo, ma as-pettiamo tutto da voi.

Gli adulti hanno uno spirito da bambini quando, di fronte alle proveimpegnative della vita personale e familiare, sanno dire con sem-plicità: “Signore, non siamo migliori degli altri, non sappiamo sem-pre che cosa è bene, non sempre abbiamo la forza di farlo, maconfidiamo in te, Signore”.

Molte volte, nella considerazione degli adulti, i bambini sonoritenuti poveri di significato e di valore, gli ultimi arrivati albanchetto della vita. In varia misura, spesso sono emarginati edesclusi dalla convivenza umana.Gesù con la vita e con le parole mette continuamente in discussioneil nostro modo di considerare e di trattare i bambini. Giudica sev-eramente persone, comunità, istituzioni, culture che opprimono ibambini, che non onorano e non rispettano l’infanzia, a partire daiprimi istanti del concepimento.

(Catechismo della CEI “Lasciate che i bambini vengano a me” – nn. 2.11.28.33)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Per chi non ha alcuna esperienza diretta di relazionecon i bambini è sempre facile la tentazione di atteggiarsia giudice di genitori ed educatori… Questo incontro nondovrebbe ridursi a un’occasione sterile di tal genere.

La Parola di Dio che avete ascoltato – e l’opinione dellaChiesa che ne consegue – provocano a una revisione dimentalità e di atteggiamenti verso il mondo dei bambini.Pensate che questa provocazione riguardi anche voi? E inche senso?

Nelle vostre famiglie (e in quelle della vostra Comu-nità) ci sono atteggiamenti educativi che andrebberoquanto meno corretti?

Non è la prima volta che sentite le parole del vangelo“se non diventerete come i bambini…”

Che senso hanno per voi queste parole, in questo pre-ciso momento della vostra vita?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportunità,ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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I NUOVI POVERI

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

A bussare alla Caritas è stata Maria la mattina che ha vistoil vuoto nel mobiletto in cucina dove tiene la pasta, la farina, lozucchero, le bottiglie di olio e i barattoli di pelati. Enzo, il marito,era uscito, i ragazzi dormivano ancora. Tra poco si sarebbero sve-gliati per l’ultimo giorno di scuola, prima media il più grande,quarta elementare quello di mezzo. La più piccola come sempre sa-rebbe rimasta con lei. Troppo costosi gli asili privati, troppo lungala lista d’attesa per i pochi comunali. «Da una settimana non fa-cevo la spesa per non perdere i soldi dell’affitto e della luce e nonm’ero accorta che in casa non tenevo più niente. Solo il latte, ilcaffè e un poco di pane», riconosce Maria. Forse ha solo finto diignorare le provviste che si assottigliavano. «Io dicevo: adesso Enzoritorna e mi dice che ha trovato da lavorare e che quelli dove stavaprima gli hanno dato un poco di liquidazione e noi possiamo tirareavanti», racconta. Per la sua famiglia l’anno «nuovo» è cominciatoalla fine di aprile e ha portato un carico di preoccupazioni, pro-blemi, umiliazioni. La ditta dove Enzo ha lavorato per dieci anni loha licenziato con sette giorni di preavviso: era l’unico esterno inun’impresa familiare. Niente cassa integrazione, niente buonuscita:“L’ultimo stipendio e tanti saluti! Pensavamo di stare tranquilli einvece... Noi non lo sapevamo che stavamo diventando più poveri.Abbiamo sempre campato facendo sacrifici, cercando di non farmancare niente ai figli, ma senza sfizi. Il necessario, perché di più

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INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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non ce lo siamo mai potuto permettere. Adesso non abbiamo più iltelefono e ci siamo venduti la macchina». Maria si copre gli occhicon la mano: «Ho paura. Ho paura dello sfratto, ho paura che ci tol-gono i figli perché dicono che non li possiamo mantenere. Ho paurache alla fine non mi rimane neanche la speranza».

(da Avvenire, 31 luglio 2009)

LA PAROLA DI DIO

Dal libro dei Proverbi

Chi chiude l’orecchio al grido del poveroinvocherà a sua volta e non otterrà risposta.

(21,13)

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù raccontò questa parabola: «Quandoil Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gliangeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti alui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli unidagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, eporrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Al-lora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite,benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno prepa-rato per voi fin dalla creazione del mondo, perché hoavuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e miavete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo emi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere

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e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno:“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamodato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto,o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo vistomalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re ri-sponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avetefatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avetefatto a me».

(25,31-40)

Per comprendere

È noto che la Fede biblica si discosta da ogni altra visuale religiosaper la sua marcata attenzione alla persona, alla sua dignità di crea-tura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Tutto ciò che si fa al-l’altro – chiunque egli sia – Dio lo considera fatto a sé.

L’aggravarsi del fenomeno “povertà” in ambito sociale è già di persé un atto d’accusa ai credenti: non hanno saputo riconoscere i di-ritti di Dio nelle esigenze fondamentali delle persone che vivonoloro accanto.

Le affermazioni della Bibbia a questo riguardo (come quella ripor-tata sopra dal libro dei Proverbi, o altre – ancora più frequenti – neilibri dei Profeti) sono particolarmente severe e intransigenti: nonci sono scuse al menefreghismo di fronte al dilagare della povertà,tantomeno giustificazioni per chi, più o meno direttamente, lo pro-voca. Chiudere gli occhi di fronte ad esso, per la mentalità biblica, èsemplicemente “ateismo”, cioè negazione di Dio (anche se masche-

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rata da atti o atteggiamenti apparentemente religiosi). Se Dio aquesto punto non ascolta chi lo prega è perché costui, ignorando leesigenze dei poveri, ha interrotto ogni vero legame anche con Dio.

La parabola evangelica sul giudizio (che nel vangelo di Matteo con-clude tutti gli insegnamenti di Gesù) non fa che rimarcare questavisuale, ma con un’aggiunta sorprendente: chi si trova in situa-zione di necessità (quale che sia), sollecita l’attenzione operosadei credenti non solo perché è persona fatta a immagine di Dio, maanche perché incarna in certo qual modo la presenza stessa di GesùCristo. Le parole “tutto quello che avete fatto a uno solo di questimiei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” hanno come presuppostoesattamente questo dato di fatto: nei poveri – tutti i poveri – è re-almente presente lo stesso Signore Gesù Cristo.

Insomma, non è possibile andare a Dio chiudendo gli occhi sullepovertà.Se c’è un sacramento della presenza di Cristo, cioè l’Eucaristia, di-nanzi al quale la fede si fa “adorazione”, c’è pure un sacramentodella sua presenza nel povero: quella stessa fede allora si fa at-tenzione operosa, condivisione solidale e fraterna.

Così si ragiona nella Chiesa

“C’è una povertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va “com-battuta” ; una povertà che impedisce alle persone e alle famiglie divivere secondo la loro dignità; una povertà che offende la giustiziae l’uguaglianza e che, come tale, minaccia la convivenza pacifica. Inquesta accezione negativa rientrano anche le forme di povertà nonmateriale che si riscontrano pure nelle società ricche e progredite:emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale.

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La globalizzazione elimina sì certe barriere, ma può costruirne dinuove, perciò bisogna che la comunità internazionale e i singoliStati si impegnino a mantenere alto il livello della solidarietà. L’at-tuale crisi economica globale va vista in tal senso anche come unbanco di prova: siamo pronti a leggerla, nella sua complessità,quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare ri-sposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisioneprofonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo inmodo concertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancorache le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologicadel pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomida tempo sono evidenti in ogni parte del mondo.Occorre allora cercare di stabilire un “circolo virtuoso” tra la po-vertà “da scegliere” e la povertà “da combattere”. Si apre qui unavia feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, chesi potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, cheopprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre ri-scoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e altempo stesso universali. Più in concreto, non si può combattere ef-ficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Paolo aiCorinzi, cioè se non si cerca di “fare uguaglianza”, riducendo il di-slivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessa-rio. Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltroobbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate ri-sorse della terra. Quando afferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti“con la sua povertà”, san Paolo offre un’indicazione importante nonsolo sotto il profilo teologico, ma anche sul piano sociologico. Nonnel senso che la povertà sia un valore in sé, ma perché essa è con-dizione per realizzare la solidarietà.

(Benedetto XVI - Omelia 1 Gennaio 2009)

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PER RIFLETTERE INSIEME

Forse nessuno di noi fa parte di quegli 8 milioni d’in-dividui che in Italia, stando alle stime della Caritas, spe-rimentano serie difficoltà economiche …

Ma siamo a conoscenza di “nuove povertà” presentianche tra noi?

Abbiamo atteggiamenti adeguati e strumenti efficaciper individuarle?

Molte Diocesi italiane si vanno organizzando per farfronte al fenomeno con iniziative di vario genere. Noi,nelle nostre Comunità, cosa possiamo fare?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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LA FRAGILITÀ

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

Andrea non vede, non ha mai visto, non ha alcuna perce-zione della luce. Ha diciotto anni, ma un ritardo mentale lo fa ra-gionare come un bambino di sette, otto anni. Non so come sarebbela mia esistenza senza di lui, so però che essere la sua mamma mi hafatto capire i veri valori della vita. Quando, la mattina, mio figlioviene a trovarmi in camera e mi dice <Mamma, sono felice>, in quelmomento non penso a quello che non ha, a quello che non è: pensosoltanto che sono la mamma di un bambino felice. Oggi posso dire che credo, che ho una fede molto forte: quando ènato Andrea non lo sapevo. Le difficoltà della vita mi hanno co-stretto a pormi tanti perché, e adesso so con precisione che Andreac’è, e deve esserci, perché è giusto così. All’inizio ho avuto un mo-mento di ribellione, poi ho cominciato a vivere questa esperienzadi dolore e ne ho ricevuto motivi di maturazione, di arricchimento,sono diventata più forte. Mi sono resa conto che le esperienze do-lorose possono essere aggravate dalla mancanza di amore, e chealla fine forse la sofferenza più grande è proprio la mancanza diamore.

(da: Sergio Zavoli, Credere, non credere, Piemme, p.91)

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INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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LA PAROLA DI DIO

Dalle lettere di san Paolo apostolo ai Corinzi

Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per con-fondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio loha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e di-sprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha sceltoper ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possavantarsi di fronte a Dio.

Affinché io non monti in superbia, è stata data alla miacarne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, per-ché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volteho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli miha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manife-sta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi benvolentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la po-tenza di Cristo.

Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi,nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferteper Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sonoforte.

(1Cor 1,27-29; 2Cor 12,7-10)

Per comprendere

Dio ha scelto quello che è stolto… debole… ignobile e disprezzato…Lo si sapeva anche da prima di Paolo, ma nessun altri l’ha detto contanta chiarezza e convinzione come lui.Dopo averne dato dimostrazione in numerose occasioni (si pensi

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alla scelta di molti profeti, re, uomini e donne di Dio, per non diredegli apostoli… che, umanamente parlando, non avevano affatto “inumeri” per diventare ciò che poi sono diventati), Dio ha dato ladimostrazione più spettacolare di questo suo strano criteriod’azione nella persona di suo Figlio, Gesù. In lui, inchiodato allacroce, stoltezza, debolezza e disprezzo hanno trovato il loro mas-simo grado di concentrazione, ma proprio in lui, impotente e umi-liato, Dio ha operato la redenzione del mondo. Non con l’imponenza dei mezzi ci ha salvati Dio, ma con l’impotenzae la debolezza del Crocifisso.Paolo, dal canto suo, ha sperimentato che questa strana logica con-tinuava ad essere presente e attiva anche nella sua vita di apostolo:difficoltà di percorso, grane d’ogni genere, ostacoli senza numero,oltre a sofferenze, oltraggi e persecuzioni, ebbero senz’altro l’ef-fetto di prostrarlo sia fisicamente che moralmente, ma anche diportarlo a comprendere che solo questa e non altra poteva esserela via adeguata per l’annuncio di quel vangelo che sentiva di doverportare fino ai confini della terra.

A cosa si riferisca l’apostolo quando parla di quella “spina nellacarne” non ci è dato di saperlo con precisione: poteva trattarsi diuna malattia cronica che gli procurava non lieve fastidio, oppure diintralci e ostacoli che limitavano la sua opera in modo ricorrente eossessionante. In ogni caso, era l’esperienza del limite, della fra-gilità, dell’impotenza quella che si vedeva costretto ad affrontare.Non è stato facile per Paolo condividere di buon grado quella stranalogica divina della debolezza: per tre volte ho pregato il Signore chel’allontanasse da me…. «Ti basta la mia grazia – si sentì rispondere- la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».La forza è quella di Dio, non quella dell’apostolo (che si sente to-talmente debole). Quella forza (tipicamente divina) non può ope-rare al suo massimo grado d’intensità se altre forze (umane)

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presumono di competere con essa, o addirittura di sostituirla. Essaha bisogno di contenitori poveri per agire con efficacia, così’ comeil sole, che richiede la trasparenza dei vetri per poter illuminarel’interno della casa.Non è un desiderio di autoaffermazione, nemmeno la sete di pro-tagonismo, a motivare questo stile divino di comportamento; èpiuttosto un semplice dato di fatto: realtà quali redenzione, sal-vezza, liberazione dal male… non sono prodotto dell’iniziativadegli uomini: sono competenza esclusiva di Dio. Uomini e donnepossono collaborare alla crescita del suo Regno nel mondo, maquando si tratta della Grazia – che sola può trasformare i cuori erinnovare la faccia della terra – l’unica collaborazione che possonooffrire consiste nel farsi strumenti, o canali, che le consentano ilpassaggio. Strumenti tanto più limpidi e adeguati, quanto più sonopoveri e fragili.Strano tutto questo? Sì, certamente, ma è la stranezza (o lo scan-dalo?) della croce e del crocifisso.

Così si ragiona nella Chiesa

L’uomo è una creatura concepita da Dio «a sua immagine esomiglianza». La creaturaIità, però, in quanto limitatezza e dipen-denza, è anche la radice di tutte le fragilità umane che tanto ci an-gustiano. Questa condizione può dirsi voluta dal nostro Creatore,per tutti gli uomini e per ogni tempo. Perché?

Forse perché soltanto chi è «fragile» può realmente per-cepire quei bisogni che lo spingono a mettersi in relazione conun’altra persona… Forse perché soltanto chi è fragile, quandosperimenta nel suo impellente bisogno l’altrui amore, scopre lagioia di avere valore, è liberato non dalla sua debolezza, ma dalla

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sensazione dell’«inutilità» della sua debolezza. In certo senso, si fa«nuovo», coglie d’avere un rilievo, diventa così capace, a sua volta,di apertura di cuore e d’orizzonte…

Ci è proposto di guardare alle fragilità umane, soprattuttoquelle che più temiamo, come risorsa, ossia come «ragione» e «mo-tore» di un particolare impegno. Non per emarginarle o «aneste-tizzarle», bensì, al contrario, per approfittare, in un certo senso,della loro presente «invasività» nel nostro immaginario, per vin-cerne la paura e attuarne pienamente l’accoglienza, nel segno del-l’amore a esse, della chiarezza e della concretezza. Per viverleradicalmente, con convinta adesione all’intima disposizione dellaChiesa a proporsi «come comunità che ama il Cristo in coloro cheegli più ha amato» (cioè nei sofferenti e nei deboli. negli insignifi-canti, in quelli di cui nessuno s’accorge o vuol prendersi cura)…

La questione non è quella del «fragile - maneggiare concura», ma, piuttosto, quella del «.fragile – maneggiare con amore».In questo più eminente senso, le fragilità divengono qualcosa di piùdi una risorsa, anche soltanto per i protagonisti attivi di tanto vo-lontariato. … Ad esse si può e si deve guardare come una sorta didono di Dio agli uomini, una provvidenziale opportunità, piuttostoche problema, per riconoscere in che cosa risiede ai suoi occhi lavera nostra grandezza: la capacità cioè di accogliere e dare amore.Talvolta soltanto esperienze del genere permettono di scoprire chesi può mostrare il volto migliore di sé proprio nella massima fra -gilità (propria o altrui)!

… Ci ricordano che «... l’amore del prossimo non può esseresoltanto un comandamento imposto, per così dire, dall’esterno...»,ma una ragione di vita, un obiettivo da perseguire con determina-zione, una passione che proviene dal riconoscimento di essere staticreati per amore e per amare.

(A. Sabatini. Intervento al Convegno Ecclesiale di Verona)

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PER RIFLETTERE INSIEME

È un argomento questo, per il quale non è certo suffi-ciente un incontro per provocare una conversione di men-talità… Ma guardando alla vostra esperienza personale,ma anche a quella della vostra Comunità, siete convinti chesia necessaria?

Quali sono le fragilità più vistose, più appariscenti, cheosservate attorno a voi?

Alla luce della Parola di Dio, di quanto avete ascoltatoe su cui avete riflettuto fino a questo momento, qual è losguardo che si dovrebbe maturare per accostarle adegua-tamente?

Quella della fragilità è anche un’esperienza personaledi ciascuno, di ogni famiglia, di qualsiasi Comunità (anchese si manifesta in modalità non evidenti e clamorose).

Potete portare degli esempi a questo proposito?

È possibile, d’ora in poi, tentare di modificare qualcosanel vostro modo di valutare queste fragilità?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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IL TURISTA. L’OSPITE

Preghiera

Partiamo dall’esperienza

“Fare accoglienza vera, per me, significa operare in modo chegli ospiti del mio albergo possano sentirsi a casa propria. Cioè: as-sicuro una vita serena, familiare e senza troppe burocrazie; mirendo disponibile per aiutarli a conoscere, capire e godere l’am-biente montano; trovo il tempo per raccontare e lasciarmi raccon-tare le proprie vicende... senza invadenze. Questo però serve se sigarantiscono alcune ovvie pre-condizioni: cucina buona e sana,conduzione ordinata della casa, porte sempre aperte. L’ambientediventa accogliente, quando, ovunque, si respira “aria di paese”,attraverso servizi adeguati, dal volto umano, e una quiete diffusa.

Alla parrocchia domandano, da sempre, liturgie attente al-l’ospite; che qualcuno assicuri un saluto in inglese dall’ambone o un“benvenuti” alla porta delle chiese; di essere coinvolti come lettorio ministri (è segno di assemblea allargata). Al sacerdote, in parti-colare, chiedono disponibilità all’ascolto, perché durante le feriecadono molte difese, ci si guarda dentro e si può aver bisogno diuna mano amica.

Per un albergatore, credo sia importante entrare subito inempatia con gli ospiti, tenendo conto che chi sceglie la montagnasa che noi ci presentiamo un po’ chiusi, però siamo cordiali e fidati(lo considerano un ingrediente del pacchetto). Perciò cerco di aiu-tare perché possano scoprire le bellezze della nostra natura, li af-

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INCONTRI SULLE “VIE DI EMMAUS”

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fido ad esperti di mia fiducia, partecipo alle gioie o alle delusioniper le loro piccole o grandi imprese. Spesso mi accompagno a loronelle escursioni. Un dato importante: essere preparati a dare unamano quando confidano sofferenze fisiche o morali. Misuro la qua-lità della mia - o meglio - della nostra accoglienza dalle testimo-nianze che ci arrivano nel corso dell’anno.

(Alcuni albergatori)

LA PAROLA DI DIO

Dal libro della Genesi

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Quercedi Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nel-l’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che treuomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corseloro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino aterra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoiocchi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Sivada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomo-datevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di panee ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben perquesto che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dis-sero: «Fa’ pure come hai detto».

(18,1-5)

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Dalla lettera agli Ebrei

L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospita-lità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degliangeli.

(13,1.2)

Per comprendere

È risaputo che il popolo della Bibbia ha origini nomadi. Nelle anti-che culture del deserto, abitato esclusivamente da popolazioni no-madi o semi-nomadi, l’ospitalità è un dovere così radicato darisultare sacro. Il motivo è alquanto semplice: nel deserto, chi èsolo non può sopravvivere. Accoglierlo non è solo questione dibuona educazione ma di vita.Abramo, in questo antico racconto, appare in una duplice luce: èl’orientale fedele alla sacra legge dell’ospitalità e, nello stessotempo, il credente che, per aver creduto e obbedito a Dio, è entratonella sua familiarità ed è degno di accoglierlo all’ombra della suatenda.Un’accoglienza, quella di Abramo, tutt’altro che formale: la solle-citudine che la caratterizza, la generosità sovrabbondante (messain evidenza soprattutto dal seguito del racconto), la gratuità di-sinteressata, confermano un unico dato di fatto: l’ospitalità è unvalore di per se stessa, quasi un assoluto, a prescindere da ognialtro obiettivo.Che se poi sono i credenti ad attuarla, essa assume una valenzanientemeno che religiosa: non solo perché è atteggiamento gra-

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dito anche a Dio, ma per il fatto che lui stesso non disdegna dipresentarsi nelle vesti del viandante, dello straniero, dell’ospitedi passaggio… “Alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accoltodegli angeli” ricorda l’autore della lettera agli Ebrei a quei cri-stiani che han fatto il passaggio dall’ebraismo al vangelo diGesù: è chiara l’allusione a quei “tre uomini” nelle cui sembianzeDio si presentò un giorno alla tenda di Abramo (che si parli di“angeli”, anziché di Dio stesso, è tipico di quella riservatezzache caratterizzò tutta la tradizione biblica nel trattare il Misterodi Dio).Alla luce di questi testi (ma ce ne sarebbero altri nella Bibbia) sipuò quantomeno affermare che non è un caso che la rivelazione diDio (e la stessa storia della salvezza) passi per il crocevia del-l’ospitalità.

Così si ragiona nella Chiesa

L’accoglienza è un’arte: da imparare con l’aiuto di buoni maestri,da diffondere con norme precise e da consolidare con testimo-nianze.C’è accoglienza vera: quando il turista, reduce dalla città trova un ambiente cordialee s’accorge che gentilezza e calore umano entrano nel pacchetto d’of-ferta;quando noi sviluppiamo al meglio il nostro habitat fisico e cul-turale per offrire emozioni, novità e serenità, non solo rumori daLuna-Park;quando la professionalità degli addetti traspare da quello chefanno ma soprattutto dal modo come lo fanno; quando, dove ar-

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rivi, sei raggiunto da un cordiale “benvenuto” alla reception, albanco del negozio, alla porta della chiesa;quando un fiore o un sorriso in più fanno capire che tu interessinon per il portafoglio, ma perché hai bisogno di recuperarti; quando singoli e istituzioni si impegnano ad educare tutti, per-ché diano una mano nel rispettare persone, cose e natura.

L’accoglienza diventa spontanea quando si superano due scogli: lapaura dell’altro e la concezione strumentale dell’altro. Allora la dif-fidenza si scioglie e nasce la fraternità, lo scambio mercantile di-venta benevolenza.

(Commissione Diocesana Pastorale del Turismo – Trento)

PER RIFLETTERE INSIEME

La modernità ha accentuato la mobilità. Per necessità, o per turismo, oggi ci si muove di più ri-

spetto al passato. Non solo le immigrazioni ma anche ilturismo è diventato un fenomeno di massa.

È ancora possibile mettere al primo posto il valore del-l’ospitalità, e quindi dell’accoglienza, pur senza rinne-gare gli effetti e i risvolti di carattere economico che ilfenomeno turistico comporta?

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Come si può testimoniare il fatto che le persone val-gono più dei soldi che portano?

Le Comunità cristiane che si trovano dislocate nellezone interessate al turismo probabilmente hanno unavocazione o una missione diversa rispetto alle altre:quella di “specializzarsi” nell’ospitalità, nell’acco-glienza.

Quali testimonianze positive ricevono dai loro ospiti?E quali valori sono chiamate a testimoniare a loro volta?

Alla fine dell’incontro

Si cercherà di convergere su qualche conclusione condivisa da tutti:ognuno la porterà con sé quale richiamo e impegno a una revisionedi mentalità personale. Ogni volta che se ne presenta l’opportu-nità, ne parlerà con le persone con le quali entra in contatto.

Al termine dell’incontro ci si affida al Signore con la preghiera (es.PADRE NOSTRO, oppure un Salmo).

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ImpaginazioneVita Trentina Editrice sc - Trento

StampaLineagrafica Bertelli Editori snc - Trento

Finito di stampare nel mese di .......... 2009