«Peacekeeping, dall’Italia più uomini» L’ANALISI€¦ · 8 Il Sole 24 Ore Martedì 29...

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Kirkuk Aleppo Bassora Mar Arabico Golfo Persico Mar Caspio Mar Mediterraneo Mosul Benghasi Kandahar Tripoli Damasco Beirut Baghdad Sana’a Ankara Kabul Ramallah EGITTO ARABIA SAUDITA IRAN INDIA GIORDANIA PAKISTAN ALGERIA TUNISIA TERRIT. PALESTINESI Pil 2014 -0,8% Le due fazioni Fatah e Hamas hanno formato l’anno scorso un governo di unità ma le divisioni restano. Hamas mantiene di fatto il controllo su Gaza (dove nel 2014 c’è stato l’ennesimo conflitto con Israele), l’Anp - che fa capo a Fatah - governa la più ricca Cisgiordania LIBIA Pil 2014 -24% La Libia del dopo Gheddafi è un Paese spaccato tra il governo legittimato dalla comunità internazionale, a Tobruk, e quello delle milizie islamiche, a Tripoli. È inoltre punto di partenza e cuore del traffico di migranti IRAQ Pil 2014 -0,5% I contrasti tra sciiti, sunniti e curdi, mai appianati dopo la caduta di Saddam Hussein, sono passati in subordine dopo la nascita del governo di coalizione di al-Abadi (sett. 2014). Dall’inizio del 2015 la priorità è la guerra all’Isis e la riconquista dei territori perduti YEMEN Pil 2014 0% Gli scontri settari innescati dalla Primavera Araba, con le dimissioni del presidente Saleh, hanno visto un’escalation dal settembre 2014, con l’avanzata dei ribelli Houthi e la nascita di una coalizione a guida saudita per respingerli. Il Paese è uno dei santuari del terrorismo islamico AFGHANISTAN Pil 2014 +2,0% Tutt’altro che completati la pacificazione del Paese e il disimpegno delle forze straniere. A settembre del 2014 è stato formato un governo di unità nazionale e sono stati avviati colloqui con i talebani, che però continuano a combattere come ha confermato ieri la conquista di Kunduz LIBANO Pil 2014 +2,0% La guerra in Siria ha fatto riemergere le tensioni settarie mai sopite e la fragilità dello Stato, evidenziata in maniera quasi simbolica dalla recente crisi dei rifiuti, specchio di debolezza, corruzione e inefficienza del governo di unità nazionale TURCHIA Pil 2014 +2,9% Tradizionale ponte tra Est e Ovest è diventata, con due milioni di rifugiati, il ponte tra guerra siriana e Ue. Dopo le ultime elezioni, vinte dall’Akp del presidente Erdogan senza maggioranza assoluta, non è stato possibile formare un governo e il 1° novembre si tornerà alle urne SIRIA Pil 2014 +0,5% Travolto da una guerra civile in corso ormai da quattro anni e mezzo tra il regime di Assad e un’eterogenea coalizione sunnita, il Paese ha visto dal 2012-13 la drammatica ascesa dell’Isis che controlla ampie porzioni del territorio e ha accentuato l’esodo di profughi Fonte: Elaborazioni IlSole24Ore e Banca Mondiale I fronti caldi, dal Nordafrica all’Afghanistan

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  • 8 Il Sole 24 OreMartedì 29 Settembre 2015 N. 268

    La nuova mappa disegnata dai conflitti. La guerra ha travolto nazioni e frontiere ma anche l’Islam, mentre il Califfato ha accentuato le divisioni tra sciiti e sunniti, tra laici e religiosi

    Il Medio Oriente che non c’è piùazzerato dall’Isis e dalla fine dei raìs

    L’Onu e il terrorismoLA POSIZIONE ITALIANA

    «Colpito il crociato»L’omicidio a Dacca in Bangladesh, notizia riferita dal sito di intelligence «Site»

    Gli 007: «Margini di ambiguità»I servizi segreti italiani stanno effettuandoverifiche sull’attendibilità della rivendicazione

    L’ANALISI

    GerardoPelosi

    Roma puntaal Consigliodi sicurezza

    Se una ventina d’anni fa avessero pronosticato al giovane boyscout Matteo Renzi, ai suoi primi passi in politica proprio sulla scorta degli ambiziosi obiettivi del Millennio, che un giorno sarebbe dipeso proprio da lui, dalle sue scelte, far ottenere all’Italia la candidatura di membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu si sarebbe pensato a un folle visionario. Eppure il percorso politico del premier messo in moto dai MillenniumGoals potrebbe trovare il suo coronamento in quell’ambizioso risultato al quale, in linea di massima, il nostro Paese accede una volta ogni novedieci anni (l’ultima fu nel biennio20072008). 

    Da oltre un anno in ogni incontrointernazionale,  in  ogni  vertice, Renzi e i suoi ministri fanno campagna elettorale per chiedere il voto nelle elezioni che si terranno nel giugno 2016 a New York per la nomina dei 10 membri non permanenti del Consiglio di sicurezza per il biennio 20172018. Al gruppo dei Paesi occidentali spettano due seggi ma i candidati sono tre: oltre all’Italia, l’Olanda e la Svezia. È dunque in atto una sana, civile competizione tra Paesi europei (la Svezia è da sempre molto compatibile con ilsistema Onu mentre sull’Olanda 

    pesano da sempre le ombre di Srebrenica). Gli elementi per decideresono i più diversi ma il fatto che siamo il primo contributore come forze di peacekeeping tra i Paesi occidentali è un plus che il premier ha ricordato a tutti i suoi interlocutori in queste ore dal presidente iraniano Rohani a quello egiziano Al Sisi fino ai leader di Paesi meno noti mail cui voto potrebbe essere alla fine decisivo. Senza contare che presiedere nel 2017 il G7 avendo all’attivo l’elezione al Consiglio di sicurezza Onu aumenterebbe leadership e credibilità dell’Italia.

    «Stiamo facendo campagna elettorale – ha ammesso Renzi – nel giugno 2016 vedremo se l’Italia avrà i numeri». Rientra nella stessa strategia (seggio Onu e presidenza G7) quel recupero di credibilità internazionale dell’Italia alla quale Renzi sta lavorando ad esempio per attirare investimenti esteri (ieri a New York  l’incontro con  la business community al fondo Blackrock). Risponde alla stessa logica lo stanziamento nel Def di maggiori fondi per la cooperazione allo sviluppo specie verso quei Paesi da dove provengono i flussi migratori. E servirà allo scopo anche la gestione della crisi libica aiutando gli sforzi dell’inviato Onu Bernardino Leon per la creazione di un Governo provvisorio e poi per una risoluzione che consenta l’uso della forza contro i trafficanti di immigrati. Se poi a questo si aggiungerà, come molti sperano, l’assegnazione delle Olimpiadi aRoma nel 2024 (ieri Renzi ha incontrato a New York il capo del Cio, Thomas  Bach)  –  indipendentemente da chi siederà a Palazzo Chigi– l’Italia farebbe davvero il pieno.

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    di Alberto Negri

    u Continua da pagina 1

    N essuno  attraverseràpiazza  Firdous  a  Baghdad,  dove  nel  2003venne abbattuta la statua di Saddam, o alzerà gli occhi al cielo perosservare i grattacieli medioevali di Sanaa in Yemen. L’orizzonte da cui sono nate millenarieciviltà è un cumulo di rovine. E neanche il più ottimista dei rifugiati giunto in Europa dalla Siria può pensare di tornarci perchéla distruzione materiale ed economica della guerra è stata accompagnata da quella morale, dalla scomparsa di ogni residuo di tolleranza e convivenza civile.

    Per questo se mai ci sarà ungiorno  la  ricostruzione  dellaSiria, dell’Iraq, dello Yemen odella Libia, e anche del lontanoAfghanistan, tutto ci appariràsoltanto una replica dell’originale, come avvertiva l’archeologo italiano Paolo Matthiae, loscopritore di Ebla. Ma se si puòrifare un capitello di Palmira, èimpossibile replicare una società  sradicata  dalle  fondamenta. Fondamenta assai fragili  perché  l’80%  del  MedioOriente è l’eredità della disgregazione dell’Impero Ottomanoe delle successive sistemazionicoloniali  anglofrancesi,  cuisono seguiti i tragici fallimentidegli Stati laici e autocratici. 

    Quel Medio Oriente non esiste più neppure sulla carta geografica. Mentre Putin e Obama ieri stavano discutendo a New York, un altro pezzo della regione più nevralgica del mondo, custode di riserve di petrolio e di gas, scompariva, inghiottita dauna battaglia del Califfato, da un 

    raid di Assad, da un bombardamento saudita o della coalizioneinternazionale. La guerra ha travolto Stati e frontiere ma anche l’Islam: l’Isis ha reso ancora più aspra la separazione tra sciiti esunniti, tra laici e religiosi, tra una maggioranza musulmana e minoranze che si sono dissolte. Icristiani  sono  scomparsi  dalcuore dell’Iraq per rifugiarsi in Kurdistan, così come gli yezidi oi mandei, di cui nessuno ha mai parlato ma che vivevano lungo il

    Tigri da migliaia di anni. Sono diventate laceranti anche le divisioni etniche, come quella che oppone i curdi a ad Ankara e rischia di diventare una questioneinsanabile per la Turchia, storico membro della Nato. 

    Le costruzioni postcolonialisono pericolanti perché si è liquefatto l’unico collante che le teneva insieme, il nazionalismo, anche nelle sue forme più esasperate come quella di Saddam Hussein in Iraq o di Gheddafi in Libia. Caduti i raìs sono crollati gli Stati che rappresentavano e sono in crisi di legittimità anche le monarchie del Golfo che dopoavere esportato problemi finanziando l’Islam radicale ora vedono i guai tornare a casa propria. 

    È sintomatico che i soli a reclamare ancora una nazione (eun territorio), oltre ai separati

    sti curdi, siano i palestinesi cheieri hanno innalzato la loro bandiera all’Onu. Per Washington,che ha votato contro, è intervenuta l’ambasciatrice SamanthaPower: «Alzare la bandiera palestinese non è un’alternativa ainegoziati e non porterà più vicini alla pace». Una dichiarazione surreale: nessuno parla più di negoziati. Gli israeliani hanno  evitato  commenti  inutili.Dalle alture del Golan vedonoben altri stendardi sventolare all’orizzonte.

    L’unica bandiera che garrisce al vento è quella nera delCaliffato che di fatto ha abbattuto i confini coloniali. Forsenon è un caso che il video dimaggiore successo dell’Isis siaquello in cui un bulldozer disintegra  in pieno deserto uncartello con la scritta SykesPicot, il nome dei due diplomaticidi Gran Bretagna e Francia chenel 1916 disegnarono la spartizione del Levante arabo. 

    Negli ultimi decenni gli islamisti hanno cercato in ogni modo di creare uno Stato islamicogovernato dalla sharia: in Sudan, in Afghanistan, in Yemen,nel Sahel africano. L’idea eraquella di impossessarsi di unoStato preesistente e farlo proprio, mentre alQaeda e Osamabin Laden puntavano a spargere il terrore mirando al nemicolontano, Stati Uniti e Occidente. Ma l’11 settembre non ha avuto gli effetti sperati lasciandoimmutati gli equilibri geopolitici del Medio Oriente. AlQaeda  seminava  paura  ma  non cambiava il mondo.

    Il Califfato nasce in Iraq proprio da questa intuizione. È inutile combattere il centro del po

    tere, è molto più efficace prendersi le periferie concentrandosi sui territori dove il governo è più debole e più forte lo scontento. Così nasce lo Stato Islamico: un pezzo di Iraq cui aggiungere un pezzo di Siria facendo saltarele frontiere tracciate sulle ceneridell’Impero Ottomano. L’Isis è nei fatti la dimostrazione che il mondo può cambiare: è con questo che ha calamitato i consensi locali dei sunniti e mobilitatol’afflusso dei foreign fighters. Si è parlato molto dei jihadisti occidentali, dei convertiti. Ma la realtà è che i combattenti stranieri di prima linea sono ceceni, uzbeki, jihadisti di tutte le nazionalità  addestrati  in Afghanistan, Yemen, Sudan, Maghreb e Sahel.

    Quello dell’Isis è un esercitomotivato e professionale. Altrimenti non avrebbe sbaragliatoquello iracheno, messo spalle al muro Assad e dato filo da torcerea milizie sciite sperimentate come quelle dei libanesi Hezbollahe dei Pasdaran iraniani. Chi haviaggiato con Hezbollah sa perfettamente che nel Qalamoun siriano hanno combattuto contro ceceni che adottavano le stesse tattiche  di  guerriglia  usate  aGrozny contro i russi.

    Ecco perché la guerra al Califfato  non  si  vince  soltantocon i raid aerei. Questo lo sacertamente Putin e anche Obama che non vuole impegnaretruppe nel Levante. Ma soprattutto  entrambi  sanno,  comepure gli Stati della regione convolti    Turchia,  Iran,  ArabiaSaudita  che il Medio Oriente èall’anno zero e la soluzione militare non basta a ricostruireun mondo che non c’è più.

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    «Peacekeeping, dall’Italia più uomini»Renzi ai ceo di Wall Street: «Mantenute le promesse sulle riforme, il Paese è ripartito»Gerardo PelosiNEW YORK. Dal nostro inviato

    pIl lavoro di Matteo Renzi in questi giorni a New York si sta sviluppando dentro e fuori il Palazzo di vetro dell’Onu. Con un obiettivo preciso: far capire a tutti gli interlocutori, siano essi capi di Statoe di Governo, rappresentanti dellabusiness community oppure opinion leader, gli sforzi che il Governo italiano sta facendo per «rimettere in moto l’Italia», trasformare un Paese conosciuto solo come bella destinazione turistica in un luogo attraente anche per gli investitori esteri. Nella mattinata di ieri Renzi ha partecipato a un breakfast  nella  sede  del  fondo Blackrock con gli investitori americani. Intorno allo stesso tavolo con Renzi, Larry Fink, Presidente e ceo di Blackrock, John Paulson (edge fund Paulson and Co.), PeterHancock (presidente e ceo Aig), Greg Fleming (Morgan Stanley), Indra Nooyi (presidente e ceo Pepsi), Brian Moynihan (presidente e ceo Bank of America), Nancy Prior (Fidelity), George Walker (Neuberger Berman). Un incontro dal quale Renzi ha tratto la conclusione che «siamo considerati solidi, stabili e con molte carte ancora da giocare». Soprattutto perché «un anno fa ci chiedevano se avremmo fatto la fine della Grecia ed oggi pensano che possiamo competere con la Germania; un anno fa gli investitori ci chiedeva

    no di fare la riforma del lavoro, della pubblica amministrazione e lamentavano la mancanza di stabilità per la legge elettorale». Tutte cose che sono state affrontate e risolte(«naturalmente  vanno  implementate nei prossimi mesi  chiarisce Renzi  ma la direzione dimarcia è molto chiara») e i risultatisono evidenti. Per alcuni di loro, anche «sorprendenti». Oggi le domande sono quasi tutte sulla poli

    tica e l’economia europea, «cose che non dipendono più solo da noi». Per molti di loro, inoltre, alcune scelte come il decreto sulle banche popolari, che ha suscitato polemiche in Italia, è il segnale cheinvece «il mercato è aperto, non cisono più le rendite di posizione, non ci sono più sempre i soliti che governano certi settori dell’economia». Un clima che potrà favorire maggiori investimenti esteri in Italia. 

    Una ritrovata fiducia confermata anche dai dati dei consumatori, «non solo un dato statistico  dice Renzi  ma un pezzo della 

    scommessa economica che abbiamo fatto». Fiducia, consumi interni e maggiori investimenti esteri sono infatti le condizioni per la ripresa della crescita. E se qualcuno gli chiede se non ha esagerato a dire che l’Italia potrebbe superare la Germania, Renzi conferma: «No, non ho esagerato. Possiamo fare meglio della Germania, se facciamo bene il nostro lavoro. Al momento non è così ma possiamo competere con i nostri amici tedeschi in molti settori, se facciamo quello che dobbiamo fare». 

    Evita di pavoneggiarsi più ditanto il presidente del Consiglio con chi gli ricorda che è stato paragonato a un nuovo Bill Clinton: un accostamento che «mi fa straordinariamente piacere ma chi conosce la politica sa che è assolutamente imparagonabile: quello chemi interessa è che l’Italia si rimettain moto ed è positivo che l’Italia siastimata all’estero». 

    Il premier non manca di bacchettare (lo aveva già fatto settimane fa) chi a Bruxelles vorrebbe mettere bocca sulle scelte fiscali dell’Italia e sulla riduzione delle tasse sulla casa «per tutti e per sempre inserita nel Def».

    Sulla Siria il premier confermala posizione italiana che non intende «inseguire posizioni di singoli Paesi», leggasi la Francia. Una situazione che Renzi giudica «complicata» ma il bilaterale tra Putin e Obama è un elemento positivo. 

    «L’Italia farà comunque la sua parte  assicura Renzi  senza intervenire in Siria perché mancano anche i presupposti giuridici al di là delle valutazioni politiche». L’importante è non replicare situazionicome la Libia in cui all’intervento non è seguita una strategia sul lungo periodo e su questo «c’è un giudizio condiviso da moltissimi». 

    Renzi ha incontrato ieri a lateredei lavori dell’assemblea generale dell’Onu  il  presidente  iraniano Hassan Rohani (che sarà in Italia in novembre) e quello egiziano Al Sisi. Un giro d’orizzonte sulla crisi in Medio Oriente e la lotta al terrorismo con apprezzamenti per le posizioni italiane. 

    La lunga giornata di Renzi all’Onu si conclude con l’intervento sulle operazioni di peacekeeping voluto dal presidente americano Obama e al quale partecipano 50 Paesi. Renzi ha annunciato davanti al presidente americano Obama che l’Italia metterà a disposizione un battaglione di fanteria altamente specializzato (dai 300 ai 500 uomini), uno squadrone di elicotteri e una compagnia del genio costruzioni per  le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite . Il premier lancia la proposta di creare caschi blu per la protezione del patrimonio culturale minacciato dalla furia distruttiva dell’Isis, dei veri e propri “caschi blu della cultura”.

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    KirkukAleppo

    Bassora

    Mar Arabico

    GolfoPersico

    MarCaspio

    Mar Mediterraneo Mosul

    Benghasi KandaharTripoli

    DamascoBeirut

    Baghdad

    Sana’a

    Ankara

    Kabul

    Ramallah

    EGITTO

    ARABIA SAUDITA

    IRAN

    INDIA

    GIORDANIA PAKISTAN

    ALGERIA

    TUNISIA

    TERRIT. PALESTINESI

    Pil 2014 -0,8%

    Le due fazioni Fatah e Hamas hanno formato l’anno scorso un governo di unità ma le divisioni restano. Hamas mantiene di fatto il controllo su Gaza (dove nel 2014 c’è stato l’ennesimo conflitto con Israele), l’Anp - che fa capo a Fatah - governa la più ricca Cisgiordania

    LIBIA

    Pil 2014 -24%

    La Libia del dopo Gheddafi è un Paese spaccato tra il governo legittimato dalla comunità internazionale, a Tobruk, e quello delle milizie islamiche, a Tripoli. È inoltre punto di partenza e cuore del traffico di migranti

    IRAQ

    Pil 2014 -0,5%

    I contrasti tra sciiti, sunniti e curdi, mai appianati dopo la caduta di Saddam Hussein, sono passati in subordine dopo la nascita del governo di coalizione di al-Abadi (sett. 2014). Dall’inizio del 2015 la priorità è la guerra all’Isis e la riconquista dei territori perduti

    YEMEN

    Pil 2014 0%

    Gli scontri settari innescati dalla Primavera Araba, con le dimissioni del presidente Saleh, hanno visto un’escalation dal settembre 2014, con l’avanzata dei ribelli Houthi e la nascita di una coalizione a guida saudita per respingerli. Il Paese è uno dei santuari del terrorismo islamico

    AFGHANISTAN

    Pil 2014 +2,0%

    Tutt’altro che completati la pacificazione del Paese e il disimpegno delle forze straniere. A settembre del 2014 è stato formato un governo di unità nazionale e sono stati avviati colloqui con i talebani, che però continuano a combattere come ha confermato ieri la conquista di Kunduz

    LIBANO

    Pil 2014 +2,0%

    La guerra in Siria ha fatto riemergere le tensioni settarie mai sopite e la fragilità dello Stato, evidenziata in maniera quasi simbolica dalla recente crisi dei rifiuti, specchio di debolezza, corruzione e inefficienza del governo di unità nazionale

    TURCHIA

    Pil 2014 +2,9%

    Tradizionale ponte tra Est e Ovest è diventata, con due milioni di rifugiati, il ponte tra guerra siriana e Ue. Dopo le ultime elezioni, vinte dall’Akp del presidente Erdogan senza maggioranza assoluta, non è stato possibile formare un governo e il 1° novembre si tornerà alle urne

    SIRIA

    Pil 2014 +0,5%

    Travolto da una guerra civile in corso ormai da quattro anni e mezzo tra il regime di Assad e un’eterogenea coalizione sunnita, il Paese ha visto dal 2012-13 la drammatica ascesa dell’Isis che controlla ampie porzioni del territorio e ha accentuato l’esodo di profughi

    Fonte: Elaborazioni IlSole24Ore e Banca Mondiale

    I fronti caldi, dal Nordafrica all’Afghanistan

    LA FINE DI UN MONDOLe costruzioni postcoloniali sono pericolanti perché è venuto meno il nazionalismo, sono crollati gli Stati, sono in crisi di legittimità le monarchie

    Ucciso cooperante italiano, l’Isis rivendicapÈ stata rivendicata dall’Isis l’uccisione del cooperante italiano Cesare Tavella a Dacca, colpito perché «occidentale» e «crociato». L’informazione è stata diffusa dal sito internet di intelligence Site, diretto da Rita Katz, e le autorità italiane e l’intelligence ne stanno verificando la correttezza, visto che la rivendicazione presenterebbe margini di ambiguità.

    L’agguato è avvenuto nel cuorediplomatico della capitale bengalese. Il cooperante italiano, identificato dalla polizia del Bangladesh comeCesare Tavella, veterinario di circa 50 anni, è stato ucciso per strada nel ricco quartiere residenziale di Gulshan da almeno tre uomini armati che lo hanno raggiunto in moto e «crivellato di colpi». La Farnesina ha confermato il decesso, senza for

    nire ulteriori dettagli, mentre l’ambasciata italiana  che ha informato la famiglia  sta seguendo il caso in stretto contatto con gli inquirenti locali. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha espresso cordoglio e vicinanza ai familiari. 

    I servizi occidentali erano consapevoli della pericolosità del Bangladesh. Proprio ieri il Foreign Office britannico, così come aveva 

    fatto l’ambasciata spagnola, aveva messo in guardia i propri connazionali dalla minaccia terroristica nel Paese del Sudest asiatico, riferendo in particolare di «informazioni affidabili» secondo cui «militanti potrebbero pianificare di colpire interessi occidentali in Bangladesh».  Solo  domenica  la squadra australiana di cricket aveva rinviato la propria partenza per 

    un tour nel Paese nel timore di attacchi mirati.

    Tavella, secondo la polizia, erain tenuta da jogging quando è statoraggiunto per strada dal commando armato verso le 19. Testimoni hanno raccontato ai media locali diaver sentito almeno tre spari, che hanno ferito l’uomo all’addome, alla mano destra e al gomito sinistro.Gli uomini armati hanno quindi la

    sciato l’italiano «in una pozza di sangue» e sono riusciti a scappare. Alcuni passanti hanno caricato il corpo per portarlo agli United Hospitals, dove Tavella, secondo una fonte ospedaliera, è arrivato già morto «con numerose ferite».

    Nel Paese c'è una considerevolepresenza islamista e le modalità dell'uccisione sembrano indicare che l'obiettivo fosse proprio Tavella. Difficile, tuttavia, in queste prime ore riuscire a capire se l'italiano fosse nel mirino in quanto cooperante di una ong occidentale o per altri motivi.La polizia ha co

    munque subito escluso  l’ipotesi della rapina finita male, visto che lavittima aveva ancora con sé tutti i suoi effetti personali. A Dacca Tavella lavorava come project manager per una Ong olandese, la Icco Cooperation, che ha uffici in Bangladesh. In particolare si occupavadel  progetto  Proofs  (Profitable Opportunities for Food Security), nel settore dell’agricoltura locale edell’alimentazione. Aveva cominciato a lavorare nell’ambito dello sviluppo nel 1993, in diverse ong internazionali soprattutto in Asia.

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    IMPEGNO RAFFORZATOAnnunciata la messa a disposizione di un battaglione di 300500 militari, elicotterie una compagnia del genio

    ANSA

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    Cooperante. Cesare Tavella