Patrizia Scala - Le Ville Di Stabia
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Patrizia Scala
Le Ville di Stabia
1
Indice
1. LA VILLA ROMANA 3
2. CENNI STORICI SU STABIAE 6
2.1. GLI SCAVI: DAGLI INIZI AD OGGI 6
3. VILLA SAN MARCO 11
3.1. STORIA 11
4. VILLA ARIANNA 14
4.1. STORIA 14 4.2. STRUTTURA 14 4.3. SECONDO COMPLESSO 17
5. VILLA DEL PASTORE 18
5.1. VILLA DI ANTEROS E HERACLO 19
6. VILLE RUSTICHE 20
6.1. VILLA CARMIANO 20 6.2. VILLA PETRARO 20 6.3. ALTRE VILLE 21
SITOGRAFIA 22
GLOSSARI 23
IL PICCOLO ARCHEOLOGO 23
LA MITOLOGIA DELLE VILLE DI STABIAE 27
2
Indice delle figure Figura 1 Villa Rustica .......................................................................................................................... 3
Figura 1 Villa d’otium.......................................................................................................................... 4
Figura 2 La nuvola di cenere e lapilli durante l'eruzione del 79 (clicca sulla figura per avviare il
video) ................................................................................................................................................... 7
Figura 3 La primavera o Flora di Stabiae ............................................................................................ 7
Figura 4 Libero D'Orsi alla Grotta di San Biagio ................................................................................ 8
Figura 5 Scheletro ritrovato nel 2006 ................................................................................................ 10
Figura 6 L'atrio con l'impluvium ed il lariario ................................................................................... 11
Figura 7 La cucina.............................................................................................................................. 12
Figura 8 Affreschi di una diaeta ......................................................................................................... 12
Figura 9 Il colonnato del peristilio ..................................................................................................... 13
Figura 10 L'atrio ................................................................................................................................. 14
Figura 11 Decorazione a piastrelle..................................................................................................... 15
Figura 12 L'affresco del mito di Arianna ........................................................................................... 16
Figura 13 Il colonnato della palestra .................................................................................................. 16
Figura 14 Parete affrescata di un ambiente ........................................................................................ 17
Figura 15 La statua del Pastore .......................................................................................................... 18
Figura 16 La città fortificata .............................................................................................................. 19
Figura 17 L'affresco di Nettuno e Amimone ..................................................................................... 20
Figura 18 Stucco di un Amorino con cesto ........................................................................................ 21
Figura 19 Pianta di Villa Cappella degli Impisi ................................................................................. 21
3
1. La Villa Romana
Il termine latino usato dagli antichi scrittori per designare i fabbricati costruiti al di fuori delle città
era villa, una parola che pare individuare uno spettro semantico piuttosto ampio: per i Romani,
infatti, erano villae sia le fattorie destinate alla sola produzione agricola, da esse denominate
rusticae, sia le lussuose residenze pensate per il riposo ed il tempo libero, le cosiddette ville d'otium.
Tra questi due estremi vi erano naturalmente soluzioni intermedie: esistevano infatti sia ville
produttive adeguatamente attrezzate anche per il soggiorno temporaneo sia ville di lusso
comprendenti settori ideati per colture talvolta a carattere fortemente specializzato.
Figura 1 Villa Rustica
A- corte
B- cucina
C- forno
D- apodyterium
E- tepidarium
F- caldarium
G- gabinetto
H- stalla
J- stanza di deposito per strumenti rustici
K-L- cubicula
M- passaggio
N- stanza da pranzo
O- stanza per il pane
P- stanza del torchio del vino
Q- corridoi
R- cella vinaria
S- fienile
T- aia
V- cubicula
W- stanza per un torchio
X- stanza con molino a mano
Y- frantoio
Z- stanza per la pressa
Con il progressivo diffondersi presso le classi dirigenti italico-romane di raffinate abitudini di vita
di origine greco-orientale si sviluppò inoltre, già a partire dal II secolo a.C., la consuetudine di
edificare nell'ambito stesso delle città o nelle loro immediate vicinanze prestigiose ville: queste
4
ultime dette urbanae, erano per lo più circondate da vasti giardini e godevano di una privilegiata
posizione panoramica.
Nella villa rustica vi erano due corti (cortes), una interna, l'altra esterna, e in ciascuna una vasca
(piscina); la vasca della corte interna serviva per abbeverare gli animali, l'altra, per alcune
operazioni agricole come macerar cuoio, lupini, ecc. Attorno alla prima delle due corti sorgevano le
costruzioni in muratura e formavano, tutte insieme, la villa rustica in senso più ristretto: cioè, la
parte della fattoria dove abitavano i servi.
Ne era il centro una spaziosa cucina (culina): giacché nella fattoria la cucina non è, come in città, la
stanza in cui i cuochi attendono alla loro arte, ma luogo di riunoine e di lavoro. Vicino alla cucina,
in modo da poter usufruire del suo calore, erano le stanze da bagno per i servi, la cantina, le stalle
dei buoi (bulina) e dei cavalli (equilia); se vi era posto, anche il pollaio, ciò per la credenza che il
fumo fosse salutare al pollame. Lontani dalla cucina e possibilmente rivolti verso nord erano,
invece, quegli ambienti che, per la loro destinazione, richiedevano un luogo asciutto, come i granai
(granaria), i seccatoi (horrea), le stanze in cui veniva conservata la frutta (oporothecae). I magazzini
più esposti al pericolo dell'incendio potevano anche costituire un edificio (villa fructuaria)
completamente separato dalla villa rustica.
Figura 2 Villa d’otium
5
Adiacente alla villa rustica vi era l'aia; lì vicino sorgevano alcuni capannoni, come la rimessa dei
carri agricoli (plaustra) o il nubiliarum, un luogo in cui riporre provvisoriamente il grano in caso di
improvviso acquazzone.
E' incerto dove abitassero i servi: sappiamo, però, che vi erano le stanze da letto (cellae familiares),
l'ergastulum, una specie di prigione in cui gli schiavi che scontavano una mancanza attendevano ai
lavori più duri, e il valetudinarium per gli schiavi ammalati. Mancando la villa urbana, le stanze
migliori venivano riservate al padrone.
La villa urbana veniva costruita in un luogo da cui si godesse ampiamente la vista della campagna o
del mare; costruzione di puro lusso, non avendo come la fattoria uno scopo pratico né una funzione
necessaria , questa villa nella complicazione e nella ricchezza dei suoi ambienti rispecchiava i gusti
e attestava i mezzi di chi l'aveva edificata. Vi erano delle ville alle quali non era annessa una tenuta,
ma sorgevano in limitate aree di terreno, in mezzo a boschetti, parchi e giardini; queste ville, che nei
testi sono indicate anche col nome di praetoria, nell'età imperiale divennero numerosissime; se ne
vedono i ruderi in Italia, in Francia, in Svizzera, nella Germania sud-occidentale, in Inghilterra, nell'
Africa settentrionale.
Lo spirito pratico dei Romani, buoni apprezzatori delle comodità della vita, fece giungere la villa
romana dovunque erano penetrate le loro armi e la loro civiltà; ville grandi e comode, ben aereate
d'estate, ben riscaldate d'inverno. Queste ville presentavano i tipi più diversi. Gli scrittori antichi
rilevano come caratteristica della villa urbana che in essa dal vestibolo si entra direttamente in un
peristilio, e non, come nelle case di città, nell'atrio.
Le parti più importanti della villa erano le seguenti: Triclini: ve n'erano per l'estate e per l'inverno,
per grandi e piccoli ricevimenti; da grandi finestre lo sguardo dei commensali spaziava sul
paesaggio circostante. Cubicula: non solo quelli destinati al sonno della notte, ma anche i cubicula
diurna, per riposare durante il giorno o studiare; davanti al cubiculum poteva esservi un'anticamera.
Stanze da studio: come la bibliotheca o la zotheca con quest'ultimo nome si intendeva un cubiculum
adatto a salottino. Bagno: costruito come le grandi thermae pubbliche, ne aveva tutti gli ambienti
essenziali: apodyterium, caldarium, tepidarium, frigidarium, cioè: spogliatoio, stanza per il bagno
caldo, stanza d'aspetto e stanza per il bagno freddo; e inoltre la piscina per nuotare all'aperto e un
area per far la ginnastica dopo il bagno (gymnasium sphaeristerium). Porticati: sorgevano un po'
dappertutto, sostenuti da lunghe file di colonne, servivano per passeggiare al coperto se il tempo era
cattivo (ambulationes) o, più larghi e lunghi, potevano essere percorsi a cavallo o in lettiga
(gestationes).
6
2. Cenni storici su Stabiae
Sulle origini di Stabiae non si hanno date certe: la zona era sicuramente già abitata durante l'età del
ferro, come testimonia il ritrovamento di alcune tombe. La realizzazione di un piccolo centro
urbano si deve invece agli Osci che scelsero il territorio di Varano per la sua posizione strategica,
data la vicinanza al mare e le fertili campagne circostanti.
In seguito fu abitata da Greci, Etruschi e Sanniti:
questi ultimi scendendo dai monti dell'Irpinia e del
Sannio occuparono la pianura campana e costituirono
una lega tra le città vesuviane conquistate con capitale
Nuceria Alfaterna; fu in questo periodo che Stabiae
divenne una città fortificata e si provvide alla
costruzione di un piccolo porto, che comunque non
ebbe grande importanza, sopraffatto da quello di
maggiori dimensioni di Pompei: la zona circostante al
villaggio fu denominata Ager Stabiano.
I Sanniti mantennero il possesso del territorio fino al
308 a.C. quando i romani li sottomisero e imposero a molte città della Campania la condizione di
alleato. Tra il 90 e l'89 a.C. Stabiae, Pompei ed altre città italiche si ribellarono al dominio dell'Urbe
accusata di non riservare loro gli stessi privilegi che avevano, invece, i cittadini romani: fu questo a
provocare la Guerra sociale. La reazione di Roma non tardò ad arrivare e anche Stabiae capitolò il
30 aprile del 89 a.C. a seguito dell'assedio di Lucio Cornelio Silla: la città fu distrutta e mai più
ricostruita come borgo fortificato. Grazie all'amenità delle terre, la bellezza del panorama e la
ricchezza di acque la zona fu scelta dai romani per la costruzione di ville residenziali, finemente
decorate e dotate dei maggiori comfort per l'epoca, come palestre, ambienti termali e, in alcuni casi,
anche di una discesa diretta al mare. La zona fu colpita da un violento terremoto nel 62 e molte
costruzioni rimasero lesionate o, in alcune casi, furono rase al suolo: non era ancora stata
completata la ricostruzione che la mattina del 24 agosto del 79 un'improvvisa eruzione del Vesuvio
seppellì Stabiae sotto una fitta coltre di cenere e lapilli.
Rispetto a Pompei ed Ercolano, dopo l'eruzione, la ripresa della vita a Stabiae fu alquanto
immediata: tuttavia il tessuto urbano non si sviluppò più in collina, ma lungo la linea di costa,
sfruttando la piana che si era formata a seguito dell'emissione di ceneri e lapilli e che diventerà poi
il cuore dell'odierna Castellammare di Stabia.
2.1. Gli Scavi: dagli inizi ad oggi
Gli scavi archeologici di Stabiae iniziano ufficialmente il 7 giugno 1749 con una spedizione di sette
uomini con a capo l'ingegnere spagnolo Rocque Joaquin de Alcubierre e l'ingegnere svizzero Karl
Jakob Weber per volontà di re Carlo di Borbone. In realtà i primi interessi nel condurre una
campagna di scavi per riportare alla luce l'antica città vesuviana risalgono a un secolo prima,
quando, verso la fine del XVI secolo, il vescovo Milante, senza troppo successo, aveva chiesto che
venissero effettuate delle spedizioni proprio per recuperare le vestigia di Stabiae.
7
Nel 1748 sull'onda del successo degli scavi che si stavano svolgendo a Ercolano, re Carlo decise di
ritrovare Stabiae, disponendo di avviare una campagna di scavo che partì il 23 marzo dello stesso
anno: seguendo la Tavola Peutingeriana, uno stradario dell'impero romano risalente al IV secolo, il
sito dell'antica Stabiae era da ricercarsi a nord del fiume Sarno, presso la collina di Civita. Già dai
prime esplorazioni vennero alla luce monete, statue, affreschi e addirittura uno scheletro umano:
purtroppo però Rocque Joaquin de Alcubierre, direttore dello scavo, non aveva ancora capito che
non si trattava di Stabiae, bensì di Pompei; la corretta interpretazione del sito avvenne soltanto
quindici anni dopo, nel 1763, grazie al ritrovamento di un'iscrizione che faceva chiaramente
riferimento alla Res Publica Pompeianorum.
Nonostante questo, il 7 giugno 1749 partirono gli
scavi anche presso la collina di Varano, il sito della
vera Stabiae, dove pochi anni prima erano
riaffiorati diversi reperti. I primi risultati furono
davvero sorprendenti: vennero esplorate la Villa
San Marco e la Villa di Anteros ed Heraclo nel
1749, Villa del Pastore nel 1754, Villa Arianna nel
1757 e il secondo complesso nel 1762.
Figura 3 La nuvola di cenere e lapilli durante l'eruzione del 79 (clicca sulla figura per avviare il video)
La prima sessione di scavi terminò nel 1762 quando le attenzioni si spostarono sugli scavi di
Pompei che offrivano maggior interesse: i reperti e degli affreschi ritrovati nelle ville stabiane
furono portati alla Real Reggia di Portici, anche se, tra il 1806 e il 1834, vennero trasferiti al Real
museo di Napoli.
Rocque Joaquin de Alcubierre, contrario alla
chiusura dello scavo, scrisse molte lettere al
ministro Bernardo Tanucci, chiedendogli il
permesso di poter riavviare le esplorazioni presso
l'antica Stabiae.
La tenacia di Alcubierre fu premiata nel 1775
quando fu finanziata una seconda campagna di
indagini, questa volta svoltasi a cielo aperto e
concentrata nella parte occidentale della collina, nei
pressi di Villa Arianna e del secondo complesso per
poi estendersi poco dopo a tutto il costone; inoltre
furono riportate alla luce parti di alcune villa
rustiche, in particolare nel territorio di Gragnano,
come Villa del Filosofo nel 1778, Villa Casa dei
Miri, Villa Ogliaro, Villa Petrellune nel 1779, Villa
Cappella degli Impisi nel 1780 e Villa Medici nel
1781.
Figura 4 La primavera o Flora di Stabiae
8
La seconda fase di scavo durò soltanto sette anni e si concluse nel 1782 quando si decise di
abbandonare definitivamente le ricerche su Stabiae e dirottare gli uomini e l'armamentario su
Pompei.
Nel corso del XIX secolo il sito di Stabiae fu quasi del tutto dimenticato a favore della vicina realtà
di Pompei e soltanto verso la fine del secolo sembrò riaccendersi un piccolo interesse; tra il 1876 e
1879, a seguito dei lavori di costruzione della cappella di San Catello nella cattedrale di
Castellammare di Stabia, furono rinvenuti alcuni reperti risalenti sia al periodo precedente sia a
quello successivo all'eruzione: infatti, a una profondità di circa sette metri, si ritrovarono iscrizioni,
segmenti di strade e soglie di abitazioni, mentre a una profondità di circa tre metri furono trovate
colonne, sarcofagi, affreschi e un pezzo di muro appartenuto a una conceria di pelli. Probabilmente
dopo l'eruzione del Vesuvio in questa zona fu ricostruita, come testimonia anche un cippo, la strada
che collegava Nuceria Alfaterna con Sorrentum, sul cui ciglio sorgevano diverse come necropoli
come dimostrano, oltre ai ritrovamenti stabiani, anche altri più recenti nei pressi di Vico Equense.
Altro elemento d'interesse verso Stabiae fu la pubblicazione nel 1881 da parte di Michele Ruggiero,
direttore degli Scavi di Antichità del Regno d'Italia, di una raccolta che comprendeva diari di scavi,
planimetrie, lettere e cartografie risalenti alle esplorazioni fatte alla fine del XVIII secolo.
Nel 1950 Libero D'Orsi, preside di una scuola media di Castellammare di Stabia e appassionato di
archeologia, assieme a pochi operai, con non poche difficoltà sia a causa dello scetticismo dei
proprietari terrieri, sia per problemi economici, ottenne la possibilità di effettuare degli scavi
archeologici sulla collina di Varano, dove due secoli prima i
Borbone avevano riportato alla luce le antica vestigia della città
romana di Stabiae e dove alcuni anni prima, tra il 1931 e il
1933, in alcuni fondi agricoli erano riaffiorate parti di mura.
Con l'aiuto delle mappe redatte durante gli scavi borbonici, a
partire dal 9 gennaio 1950, vennero riportati alla luce alcuni
ambienti di Villa San Marco e Villa Arianna e nel 1957 quelli
di Villa Petraro, domus ritrovata per caso ma poi nuovamente
interrata dopo alcuni anni di studio: le indagini procedettero
per dodici anni fino a interrompersi definitivamente nel 1962 a
seguito della mancanza di fondi; la notizia dei ritrovamenti
archeologici fece in poco tempo il giro del mondo tanto che
illustri visitatori, come Margherita d'Austria, la duchessa Elena
d'Aosta, i reali di Svezia e gli ex sovrani della Romania, fecero
visita alle rovine di Stabiae.
Figura 5 Libero D'Orsi alla Grotta di San Biagio
Durante questi anni una grande quantità di reperti fu rinvenuta, così come alcuni degli affreschi
ritenuti più importanti furono staccati per consentirne una migliore conservazione: i quasi novemila
reperti raccolti furono ospitati presso alcuni locali seminterrati della scuola media Stabiae di cui
Libero D'Orsi era preside; la possibilità di visitare questa mostra permanente è durata alcuni anni
poi a causa del basso numero di visitatori, la scarsa campagna pubblicitaria e l'inadeguatezza dei
locali ha portato l'Antiquarium stabiano alla chiusura in attesa di migliore collocazione.
9
La prolungata mancanza di fondi ha provocato un effetto di stasi negli scavi durante tutto il periodo
che va dagli anni sessanta alle fine degli anni novanta: nonostante tutto, spesso per motivi piuttosto
casuali, si sono rinvenuti numerosi resti di ville e necropoli come nel 1963, quando fu scavata Villa
Carmiano, poi sotterrata, nel 1967 riaffiorò parte del secondo complesso e della Villa del Pastore,
sotterrata nuovamente nel 1970, oppure nel 1974 quando fu scoperta una villa appartenente all'ager
stabiano, ma situata nell'attuale comune di Sant'Antonio Abate e il cui scavo non è stato ancora del
tutto ultimato: oltre a queste ville, altre, specie quelle rustiche, furono scoperte in tutto l'ager
stabiano, in particolar modo tra Santa Maria la Carità e Gragnano; tutte, dopo una breve
esplorazione furono nuovamente sepolte. Nel 1980 a seguito del violento terremoto dell'Irpinia
parte del colonnato tortile del peristilio superiore di Villa San Marco fu quasi totalmente distrutto,
senza considerare gli ingenti danni che le ville subirono: l'evento causò la chiusura al pubblico degli
scavi, riaperti soltanto dopo quindici anni. Nel 1981 gli scavi entrarono a far parte della neonata
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei che comprendeva oltre sito
stabiano anche gli scavi di Pompei, Ercolano e Oplontis e sempre nello stesso anno, a seguito di
lavori di asportazione di lapillo, fu rinvenuto parte del cortile di Villa Arianna, all'interno del quale
erano presenti due carri per uso agricolo, di cui uno restaurato e successivamente esposto al
pubblico. Nel resto degli anni ottanta si è proceduto soltanto a interventi di manutenzione e
restauro, così come negli anni novanta, eccetto pochi eventi importanti, come il ritrovamento di
alcune sostruzioni presso Villa Arianna nel 1994, la riapertura del sito archeologico al pubblico nel
1995 e il recupero di alcuni ambienti della palestra di Villa Arianna nel 1997.
Il nuovo millennio si è aperto con la fondazione di una associazione onlus italo-americana chiamata
Restoring Ancient Stabiae (RAS), che insieme alla collaborazione della Regione Campania e la
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei hanno elaborato un progetto
per la creazione di un parco archeologico destinato a far conoscere le ville stabiane e, allo stesso
tempo, a garantirne la manutenzione e l'esplorazione. A supporto di questo progetto è nato anche il
Vesuvian Institute, un istituto internazionale per l'archeologia che svolge funzioni sia ricettive che
di polo di ricerca per studenti e archeologi impegnati nei vari tirocini e stage offerti dall'istituto
stesso.
Nel 2003, in seguito a violenti acquazzoni, parte del costone della collina di Varano è franato
portando alla luce alcuni ambienti, anche di notevole fattura, di una domus romana: si trattava di
una villa di cui si ignorava l'esistenza, nemmeno segnalata nelle mappe borboniche; non si è ancora
accertato se si tratta di una villa d'otium oppure di una semplice casa dell'antico abitato di Stabiae,
prima della distruzione da parte di Silla.
Il 2006 è un anno ricco di eventi: nel mese di giugno, a seguito di lavori di pulitura di una zona
della collina di Varano sono stati riportati alla luce alcuni ambienti appartenenti alla Villa di
Anteros ed Heraclo, costruzione già scoperta dai Borbone nel 1749 ma poi nuovamente seppellita
ed andata perduta: purtroppo, a seguito della mancanza di fondi, lo scavo è stato nuovamente
interrotto. Nel mese di luglio dello stesso anno, campagne di scavo promosse dalla RAS, hanno
fatto riaffiorare il peristilio superiore di Villa San Marco, con l'individuazione dell'angolo estremo,
grazie alla presenza di una colonna angolare sempre in stile tortile: nelle vicinanze della colonna è
stato ritrovato anche il primo scheletro umano di Stabiae, probabilmente un fuggiasco rimasto
vittima di un crollo; alle spalle del peristilio vennero scoperte anche tre cubicula. Queste scoperte
10
hanno richiesto diversi anni di studio e indagini, effettuati con alcune tecniche all'avanguardia, non
invasive del territorio, come l'utilizzo di magnetometri e georadar.
Nel 2008 sia Villa San Marco che Villa Arianna sono state interessate da esplorazioni che hanno
riportato alla luce, nella prima villa, una serie di cubicula, due latrine e un giardino dove era posta
l'entrata secondaria, mentre nella seconda è stato scoperto parte del grande peristilio che all'epoca
romana affacciava direttamente sul mare.
Nonostante però l'impegno delle diverse
associazioni, spesso sono stati lanciati allarmi di
denuncia nei confronti della poca manutenzione e
pubblicizzazione del sito stabiano; altro aspetto
negativo è la mancanza di un'adeguata sede per
l'antiquarium stabiano, chiuso ormai da molti anni.
Si è discusso su vari progetti che prevedono lo
spostamento del museo o presso la Reggia di
Quisisana o presso un ex convento di suore
stimmatine, ma poco è stato fatto fino a oggi.
Figura 6 Scheletro ritrovato nel 2006
In tal senso qualcosa si è messo in moto nel mese di giugno del 2008 con l'apertura del Museo
diocesano sorrentino-stabiese, ubicato presso la chiesa dell'Oratorio a Castellammare di Stabia e che
conserva numerosi reperti provenienti dalla necropoli sotterranea della cattedrale stabiese come
lapidi, colonne, capitelli e suppellettili, ma anche reperti più recenti risalenti all'epoca
rinascimentale: il museo ha riscontrato subito un buon successo di pubblico, toccando quota
duemila visitatori nel giro di pochi mesi. Sempre a sostegno di una campagna di rilancio degli scavi
stabiani è stato organizzato nell'estate 2008 a Villa San Marco uno spettacolo canoro del cantante
Lucio Dalla.
Nel 2009 nuovi scavi hanno riportato alla luce un'antica strada romana che corre lungo il perimetro
settentrionale di Villa San Marco; si tratta di una strada lastricata che collegava il borgo di Stabiae
con il lido sottostante: lungo tale arteria è presente in buone condizioni una porta di accesso alla
città, la prima ritrovata, e lungo le mura sono disegnati una miriade di graffiti e piccoli disegni in
carboncino. Dall'altro lato della strada è stato inoltre scoperto un quartiere termale di una nuova
villa esplorata in parte in epoca borbonica. Nel corso dello stesso anno a Villa Arianna è riaffiorato
un giardino considerato come il miglior conservato al mondo, mentre a Casola di Napoli, a pochi
metri da una palazzina abusiva è riaffiorato un tratto di strada romana con l'ingresso ad una domus
appartenente all'Ager Stabiano. Nel maggio 2010, durante i lavori per il raddoppio del binario della
linea ferroviaria Torre Annunziata - Sorrento della Circumvesuviana, tra le stazioni di Ponte Persica
e Pioppaino, è stata scoperta una villa risalente al I secolo: tra gli ambienti esplorati un reperto
termale, un forno per la produzione di pane e diversi ambienti servili tutti finemente affrescati. Nel
2012, dopo due anni di lavoro, si sono conclusi i lavori di restauro delle ville sul pianoro di Varano,
che hanno portato alla totale sostituzione delle vecchie coperture con nuove in legno, in modo da
preservare maggiormente affreschi e mosaici ed alla sistemazione di copie delle pitture, nella loro
posizione originale, asportate durante gli scavi borbonici e degli anni cinquanta.
11
3. Villa San Marco
3.1. Storia
Villa San Marco è una villa residenziale romana che
prende il nome da una cappella dedicata a San
Marco, costruita nel XVII secolo proprio nella zona
della villa, ormai scomparsa. Ha un'estensione di
circa undicimila metri quadrati, di cui seimila
riportati alla luce, con i lavori di scavo che
procedono ancora oggi, e può vantare il primato di
essere la più grande villa d'otium dell'antica
Campania.
Figura 7 L'atrio con l'impluvium ed il lariario
Dopo l'eruzione del Vesuvio del 79, la struttura fu esplorata per la prima volta dai Borbone nel
periodo compreso tra il 1749 e il 1782 e, in seguito, da Libero D'Orsi tra il 1950 e il 1962: risultò,
sin dalla sua scoperta, in un ottimo stato di conservazione grazie allo spesso strato, di circa cinque
metri, di cenere e lapilli che l'avevano protetta dall'incuria del tempo.
Villa San Marco è stata costruita durante l'età augustea, ed è stata notevolmente ampliata con
l'aggiunta di ambienti panoramici, il giardino e la piscina nell'età claudia: nonostante non si conosca
esattamente il nome del proprietario, sono state fatte diverse supposizioni che hanno portato a
pensare che potesse appartenere o a un certo Narcissus, un liberto, sulla base di alcuni bolli ritrovati
su delle tegole, oppure alla famiglia dei Virtii, i quali avevo dei sepolcri poco distanti dalla
costruzione.
Fondazione Restoring Ancient Stabiae a Superquarq 2007
L'ingresso della villa è posto a circa cinque metri di profondità: questo è caratterizzato da un
piccolo portico con delle panche in pietra utilizzate dalle persone in attesa di essere ricevute dal
proprietario. Superato l'ingresso si entra nell' atrium affrescato con zoccolatura in nero e zona
mediana in rosso con raffigurazioni di centauri e pelli di pantere; al centro è collocato un
impluvium, mentre lungo le pareti laterali si aprono tre cubicula, con una piccola scala che
conduceva al piano superiore, crollato a seguito dell'eruzione. Sulla parete est è posto il larario,
adornato con degli affreschi che riproducono marmi preziosi: questa tecnica era utilizzata
soprattutto durante l'età dei Flavi per evitare di acquistare a prezzi più elevati dei marmi veri.
Sempre nell'atrio ci sono i basamenti per una cassaforte andata perduta che, oltre alla tradizionale
funzione, aveva anche il compito di mostrare a tutti la ricchezza della famiglia
12
Sulla destra dell'atrio è l'accesso al tablinio, da cui parte un breve corridoio, in cocciopesto, che
conduce a un cortile porticato dove è situato
l'ingresso dalla strada alla villa: la porta d'accesso
al cortile era in legno e al momento dello scavo è
stato possibile eseguirne un calco. Nei pressi di
questi ambienti sono stati recuperati una statua in
bronzo di Mercurio, un corvo a grandezza naturale
per fontana e un candelabro bronzeo. Il tablinio ha
una decorazione in IV stile, con zoccolo rosso e
scomparti con ghirlande e animali, mentre la
pavimentazione è in tassellato bianco delimitato da
due fasce in nero.
Figura 8 La cucina
Nel 2008, a seguito di nuovi scavi sono stati rinvenuti alcuni ambienti non segnalati sulle mappe
borboniche, come una scala, un sentiero pedonale, e un giardino con al centro un grosso olmo, oltre
a due latrine e diversi ambienti, uno con letto, lavabo e piano di cottura e un altro in cui è stata
ritrovata una piccola cassetta contenente una moneta, una spatola e un bottone d'osso.
La cucina, posta alle spalle dell'atrio, ha pianta rettangolare e delle notevoli dimensioni: presenta un
grosso bancone in muratura su quattro archi, un piano cottura in frammenti laterizi e una grande
vasca. Nonostante la poca importanza dell'ambiente e quindi l'assenza di affreschi e di mosaici, le
pareti sono infatti rivestite di intonaco grezzo e la pavimentazione in semplice cocciopesto, sono
stati ritrovati diversi elementi di interesse come, ad esempio, dei graffiti lasciati dagli schiavi: si
nota una nave a remi, dei conti forse della spesa o per i turni, due gladiatori e un poema di dodici
righe. Sono collegati alla cucina diversi ambienti di servizio: è presente una stanza che
probabilmente fungeva da magazzino e altri ambienti che originariamente dovevano essere delle
diaetae, ma che durante l'età flavia, a seguito della costruzione del peristilio, furono rimpicciolite e
utilizzate come depositi o come cubicula; a sostegno della tesi che questi ambienti fossero stati delle
diaetae sono le loro particolari decorazioni, troppo sontuose per ambienti di servizio: sono infatti
pavimentate in tassellato bianco e nero e una
decorazione parietale in terzo stile con zoccolo nero
e la parte superiore in giallo ocra.
Gli ambienti termali della villa sono di notevoli
dimensioni, hanno una pianta triangolare e si
trovano tra l'ingresso e il ciglio della collina: tra
questi e l'atrio è stato ricavato, in uno spazio
residuo, un piccolo viridario protetto da un muro
dove si aprono sei ampie finestre: dai resti degli
affreschi si deduce che questo era finemente
decorato con raffigurazioni di grossi rami pendenti.
Figura 9 Affreschi di una diaeta
13
L'accesso alla zona termale è consentito da un atrio, arricchito con rappresentazioni di amorini
lottatori e pugili, al quale segue l'apodyterium, il tepidarium, il frigidarium, la palestra e il
calidarium: la piscina che si trova nel calidario, il cui accesso è consentito da scalini in pietra, ha
una lunghezza di sette metri, una larghezza di cinque e una profondità di un metro e mezzo. A
seguito di ulteriori scavi nella piscina, parte del fondo è stato asportato mettendo in luce una grande
fornace in mattoni alimentata da uno schiavo, che la raggiungeva tramite un corridoio sotterraneo, e
che riscaldava una grande caldaia in bronzo: questa è stata asportata nel 1798 da Lord Hamilton per
essere trasportata a Londra, ma durante il viaggio la nave su cui fu caricata, la Colossus, rimase
vittima di un naufragio. I vapori caldi prodotti dalla caldaia passavano nelle intercapedini delle
pareti tramite dei tubi in terracotta, riscaldando tutta la stanza: si suppone che il calidario fosse
ricoperto da lastre di marmo. Dal quartiere termale inoltre partono una serie di rampe che collegano
la villa con la zona più pianeggiante a ridosso della costa.
Il grande peristilio è circondato da un lungo porticato con al centro una piscina lunga trentasei metri
e larga sette, la quale, nella parte terminale, ha un ninfeo, in parte ancora da esplorare, decorato con
affreschi raffiguranti Nettuno, Venere e diversi atleti, asportati dai Borbone e conservati al Museo
archeologico nazionale di Napoli e al Museo Condè di Chantilly, in Francia. Nel giardino del
peristilio erano presenti al momento dell'eruzione dei platani: la certezza è data da studi di
archeologi che durante gli scavi hanno analizzato i vari strati vulcanici e hanno trovato le impronte
delle radici di questi alberi: proprio come avvenuto per i calchi degli umani, all'interno di queste
forme è stato versato del cemento liquido in modo da ottenere il loro calco: inoltre gli archeologi
hanno calcolato che, al momento dell'eruzione, l'età di questi alberi andava dai settantacinque ai
centocinque anni.
Sul giardino si aprono diverse diaetae affrescate ognuna in maniera differente: la prima è decorata
in quarto stile e sulle pareti si ritrovano raffigurati
Perseo con ali ai piedi che mostra la testa di
Medusa recisa, un offerente, una musa di spalle
con la lira, Ifigenia, una figura nuda e una donna
che scopre una pisside, mentre sul soffitto è
raffigurata una Nike con in mano la palma della
vittoria. In una seconda stanza è raffigurata la
storia di Europa rapita dal toro, mentre nella stanza
successiva sono presenti frammenti di un dipinto
raffigurante un giovane disteso su un triclinio con
accanto un'etera.
Figura 10 Il colonnato del peristilio
Altre stanze invece, quelle di rappresentanza, in parte crollate, si aprono sul ciglio della collina, in
posizione panoramica: esse avevano un rivestimento di marmo nella parte inferiore ed erano
affrescate in quella superiore. Le pareti del peristilio sono affrescate con zoccolatura nera e riquadri
in rosso e ocra, mentre la pavimentazione è a mosaico bianco, che nelle bordature nei pressi delle
colonne riproduce disegni geometrici in bianco e nero.
Villa San Marco è dotata anche di un secondo peristilio, posto nel lato meridionale, forse lungo
circa centoquarantacinque metri, così come indicato da studi geofisici realizzati nel 2002 e
14
recuperato in gran parte nel 2008, e caratterizzato da portici sorretti da colonne tortili, crollate in
seguito al terremoto del 1980: il soffitto del portico è affrescato con diversi dipinti raffiguranti
Melpomene, l'Apoteosi di Atena, Ermes psicopompo, la Quadriga del sole con Fetonte e il
Planisfero delle stagioni, rinvenuto nel 1952 e raffigurante un globo con all'interno due sfere
intersecanti e due figure femminili che rappresentano la Primavera e l'Autunno con intorno degli
amorini; molto probabilmente poi l'opera era completata dalle figure dell'Inverno e dell'Estate ma la
mancanza dei frammenti rende l'interpretazione difficoltosa. In questo peristilio è collocata anche
una meridiana: in realtà durante lo scavo questa è stata ritrovata in un deposito in quanto la villa, al
momento dell'eruzione, era in ristrutturazione ed è stata successivamente riposta nella sua posizione
originaria.
4. Villa Arianna
4.1. Storia
Villa Arianna è la villa d'otium più antica di Stabiae, risalente al II secolo a.C.. Essa è situata
all'estremità ovest della collina di Varano, in
posizione panoramica; occupa un'area di circa
undicimila metri quadrati di cui attualmente scavati
e visitabili soltanto duemilacinquecento. La prima
campagna di scavi fu svolta da Karl Weber tra il
1757 e il 1762 e la villa fu chiamata primo
complesso, per distinguerla dal secondo complesso,
altra villa d'otium, da cui è separata tramite uno
strettissimo vicus: dopo aver staccato le decorazioni
di maggior rilievo e aver asportato le suppellettili, la
villa fu nuovamente rinterrata.
Figura 11 L'atrio
Gli scavi sono ripresi nel 1950 a opera di Libero D'Orsi e fu in tale periodo che la villa fu
denominata Arianna per la presenza di una pittura a soggetto mitologico che raffigura Arianna
abbandonata da Teseo.
D'Orsi effettuò gli scavi di ambienti della villa che si affacciavano sul ciglio della collina, alcuni dei
quali andati perduti a seguito di eventi franosi; il lavoro degli archeologi continua ancora oggi e in
particolare gli scavi interessano la zona sud e quella del grande peristilio o palestra che è stato
riportato alla luce quasi completamente, insieme a nuove camere, colonne e finestre, nel corso del
2008.
4.2. Struttura
Villa Arianna, secondo le mappe redatte durante le esplorazioni dei Borbone e da quanto emerso
dagli scavi, ha una pianta molto complessa, frutto di continui ampliamenti della struttura e per
questioni di comodità viene divisa in quattro sezioni: l'atrio, gli ambienti termali, il triclinio e la
palestra.
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L'atrio tuscanio, risalente all'età tardo
repubblicana, è pavimentato con mosaico bianco-
nero e presenta affreschi parietali, solitamente
figure femminili e palmette su fondo nero e rosso,
che hanno caratteristiche riconducibili al terzo
stile. Al centro dell'atrio è presente un impluvium
mentre tutto intorno sono presenti numerose
camere: due di queste, poste alle estremità
dell'ingresso dell'atrio, conservano stupendi
decorazioni che imitano architetture come colonne
ioniche che reggono il soffitto a cassettoni
appartenenti all'arte tipica del secondo stile.
Figura 12 Decorazione a piastrelle
Negli altri cubicula invece sono stati ritrovati gli affreschi più importanti dell'antica Stabiae, tutti
asportati in epoca borbonica e oggi conservati al museo archeologico nazionale di Napoli, e
raffiguranti del figure mitologiche di Medea, Leda col cigno, Diana, la Flora e la Venditrice di
amorini. La Flora o Primavera di Stabiae è stato ritrovata nel 1759, ha una grandezza di soli
trentotto centimetri per ventidue e risale al I secolo: l'affresco rappresenta la ninfa greca Flora,
intesa dai romani come la dea della Primavera, girata di spalle nell'atto di raccogliere un fiore da un
cespo, allegoria di purezza, il tutto su uno sfondo di colore verde acqua; la Flora è sicuramente
l'opera più conosciuta di Stabiae, tanto da diventarne il simbolo, non solo in Italia, ma anche
all'estero come testimonia l'emissione di un francobollo in Francia, durante la settimana dedicata ai
beni culturali protetti dall'UNESCO, che riportava proprio la Primavera di Stabia.
Altra opera di grande importanza è la Venditrice di amorini, ritrovata nel 1759, risalente anch'essa
al I secolo, rappresenta una donna nell'atto di vendere un amorino a una fanciulla: tale affresco ebbe
notorietà nel XVIII secolo, influenzando il gusto neoclassico e fu riportato su numerose porcellane,
stampe, litografie e quadri, come testimoniato dall'abate Galiani che da Parigi, in una lettera
indirizzata al ministro Bernardo Tanucci, scriveva:
« Quella pittura d'una donna che vende amoretti come polli, io l'ho vista ricopiata qui a Parigi in più
di dieci case »
(Ferdinando Galiani)
oppure dal professore Alvar González-Palacios che scriveva:
« Poche ideazioni del mondo antico hanno avuto un così vasto consenso di pubblico in epoca
neoclassica come questa charmante composition... Essa è stata copiata infinite volte in ogni
possibile tecnica e in tutti i paesi europei »
(Alvar González-Palacios)
Dal fondo dell'atrio si accede a un peristilio quadrato scavato in epoca borbonica ma poi ricoperto e
oggi non ancora esplorato. Il triclinio e gli ambienti circostanti affacciano direttamente sul ciglio
della collina e, grosso modo, sono cronologicamente collocabili nell'età neroniana: nel triclinio sono
presenti raffigurazioni di storie care alla divinità di Venere come l'affresco rinvenuto il 14 aprile
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1950 che fa riferimento al mito di Arianna, abbandonata da Teseo sull'isola di Nasso fra le braccia
di Ipno che viene scorta da Dionisio, rappresentato con occhi di falco.
Nella stessa stanza sono presenti anche gli affreschi di Licurgo e Ambrosia, Pilade, Ippolito,
raffigurato mentre una nutrice gli svela l'amore provato dalla sua matrigna Fedra e Ganimede, rapito
dall'aquila per essere portato dinanzi a Giove.
Gli ambienti minori intorno al triclinio hanno una colorazione parietale o rossa o gialla e riportano
decorazioni minimaliste come amorini, figure volanti, paesaggi e medaglioni con al centro busti di
personaggi; uno di questi ambienti ha una
particolare decorazione detta a piastrelle: dopo una
zoccolatura in rosso, dove sono affrescate figure
femminili e amorini, inizia la decorazione con le
piastrelle al cui centro sono presenti diverse
raffigurazioni che si ripetono ogni quattro fasce,
ossia nella prima fascia sono disegnate figure
femminili e uccelli, nella seconda fiori e
medaglioni, nella terza amorini e uccelli e nella
quarta rose e medaglioni, alcune delle quali
picchiettate dagli stessi Borbone affinché nessun
altro potesse impossessarsene.
Figura 13 L'affresco del mito di Arianna
Nelle vicinanze del triclinio sono presenti due diaetae intercalate da un triclinio estivo: la prima
diaeta è decorata con un zoccolatura in giallo dove sono raffigurati diversi paesaggi, una zona
mediana bianca che riporta diversi amorini e la predella, sempre bianca, con decorazioni che
ricordano mostri marini e paesaggi con pigmei. La seconda diaeta ha un pavimento a mosaico
bianco, una zoccolatura in giallo e il resto delle pareti affrescate con candelabri, cavallette, uccelli e
farfalle. Nella parte antistante questa zona della villa, sul ciglio della collina, è presente una terrazza
con archi e pinnacoli, aggiunte nel corso del I secolo.
La palestra, chiamata anche grande peristilio, è
ubicata all'estremità ovest della villa ed è stata
aggiunta successivamente alla costruzione, con
molta probabilità durante l'età Flavia: si tratta di
un'opera lunga centottanta metri per ottantuno di
larghezza con oltre cento colonne in opera listata e
rivestite di stucco bianco, danneggiate dal
terremoto del 1980; il suo circuito ha la misura di
due stadi secondo le misure indicate da Vitruvio
per questi tipi di edifici.
Figura 14 Il colonnato della palestra
Gli ambienti termali sono di dimensioni minori rispetto alle altre ville di Stabiae ma in ogni modo
sono presenti un calidarium absidato con vasca, un tepidarium e un frigidarium: nel 2009 è stato
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rinvenuto un giardino di grosse dimensioni, precisamente centodieci metri di lunghezza per
cinquantacinque di larghezza, considerato come il miglior conservato al mondo, in quanto sono
ancora ben visibili le tracce delle piante presenti al momento dell'eruzione. Numerosi sono anche gli
ambienti di servizio come la cucina, una peschiera, una scala in muratura che conduceva al primo
piano e una stalla, dove sono stati ritrovati due carretti agricoli, uno dei quali è stato restaurato ed
esposto al pubblico: questo carro ha due grosse ruote che superano la cassa ed era fabbricato in
ferro e legno così come testimoniato da studi approfonditi; inoltre nelle sue immediate vicinanze è
stato ritrovato anche lo scheletro di un cavallo con le zampe posteriori alzate, imbizzarritosi per lo
spavento causato dall'eruzione, di cui si conosce anche il nome, Repentinus, come riportato da
un'incisione nella stalla. Villa Arianna era collegata a una struttura ai piedi della collina, sulla
spiaggia, tramite una serie di sei rampe sostenute da archi in muratura.
4.3. Secondo complesso
Il secondo complesso è una villa d'otium situata sul
ciglio della collina di Varano tra la Villa del Pastore
e la Villa di Arianna: da quest'ultima villa il
secondo complesso è separato da uno strettissimo
vicus. La costruzione fu esplorata per la prima volta
nel 1762 da Karl Weber, nel 1775 da Pietro la Vega
e infine nel 1967 da Libero D'Orsi: oggi soltanto
una parte, circa mille metri quadrati, è stata riportata
alla luce e l'accesso avviene tramite Villa Arianna;
proprio per la loro vicinanza vengono spesso
confuse come un'unica villa.
Figura 15 Parete affrescata di un ambiente
La struttura si compone di due zone, una più antica collocabile intorno al peristilio che è stata
edificata intorno al I secolo a.C. e una di più recente costruzione, probabilmente un ampliamento o
una fusione con un'altra struttura già esistente, risalente all'età imperiale. Il peristilio possiede un
porticato su tre lati e diversi ambienti tra cui anche un oecus, andato perduto in seguito a un evento
franoso, e diversi ambienti panoramici che si affacciavano direttamente sul mare; sul lato ovest è
presente una peschiera quadrata con canne di piombo con zampilli. Il lato sud invece è chiuso e
presenta uno pseudo-portico adornato con colonne poggiate su un muro alle cui spalle si trova il
quartiere termale che comprende un calidarium absidato con una vasca, un tepidarium anch'esso
con vasca e giardino, un laconicum con tetto a cupola e una cucina. Nella parte nord, quella di più
recente costruzione, prossima a Villa Ariana sono presenti un triclinio, un cubiculum e diversi
ambienti di cui non è stata ancora chiarita la funzione: questi, insieme a parte del peristilio con gli
ambienti panoramici, sono oggi gli unici visitabili. La maggior parte della opere della villa sono
state portate via dai Borbone, così come parte della pavimentazione in tessellato geometrico bianco
e nero; tuttavia resistono pareti ben conservate dal caratteristico fondo nero in terzo stile.
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5. Villa del Pastore
La villa del Pastore deve il suo nome al ritrovamento di una statua raffigurante un pastore: tale
ritrovamento sarebbe avvenuto il 19 settembre
1967 mentre erano in corso i lavori di scavo della
vasca della villa.
La costruzione sorge sul costone del pianoro di
Varano, in posizione panoramica, a poca distanza
da Villa Arianna e dal secondo complesso ed è
stata esplorata per tre volte: la prima esplorazione,
quella della sua scoperta, risale al periodo che va
dal 1754 al 1759 ad opera di Karl Weber e fu
portato alla luce un grande giardino; la seconda
campagna di scavi, sotto la guida di Pietro la Vega,
è stata effettuata tra il 1775 e il 1778, proseguendo
quello iniziato alcuni anni prima; la terza e ultima
esplorazione risale al periodo compreso tra il 6
aprile 1967 e il 16 settembre 1968: le indagini
furono iniziate a seguito di un ritrovamento di un
muro perimetrale dopo che si erano svolti alcuni
lavori per la rimozione di uno strato di lapilli da un
terreno da destinare a uso agricolo.
Figura 16 La statua del Pastore
Lo scavo degli anni sessanta fu finanziato dalla proprietaria del terreno e, una volta accertata la
presenza di strutture antiche, il sopraintendente dell'epoca, Alfonso De Franciscis, chiese di
espropriare tutta l'area tra Villa Arianna e Villa San Marco in modo tale da riunire in un unico
percorso le ville dell'antica Stabiae: in attesa di tale permesso la villa fu nuovamente sepolta nel
1970 per evitare che si rovinasse. A seguito di vari problemi burocratici la causa di esproprio va
avanti ancora oggi e la villa rimane sepolta: in futuro l'associazione RAS dovrebbe occuparsi del
suo recupero.
La villa del Pastore risale a un periodo compreso tra l'VIII secolo a.C. e il 79 e si estende su una
superficie di diciannovemila metri quadrati, circa duecentoquattromila se si considera anche l'area
del giardino; si suddivide in due parti: un'ampia zona scoperta e una serie di locali adibiti a uso
abitativo, entrambe con una pianta rettangolare. L'area del giardino scoperto ha un andamento che
va da ovest verso est ed è delimitato a sud da una parete a emiciclo, mentre al nord si trova un
criptoportico fenestrato lungo centoquarantacinque metri, al quale corre parallelo, ma posto in una
zona leggermente inferiore, un colonnato: al centro del giardino è presente una natatio con gradinata
in marmo. Nella parte dell'emiciclo è stata ritrovata la statuetta che dà il nome alla villa: si tratta di
un'opera marmorea, alta circa sessantacinque centimetri, con una base di sedici, in stile ellenistico e
rappresenta un anziano pastore vestito con grezzi pelli, che porta sulle sue spalle un capretto,
mantenuto per le gambe con la mano sinistra, nella quale si trova anche un cesto con uva e pane,
mentre nella mano destra porta una lepre. Nella parte meridionale la parete termina con archi
rovesci realizzati in laterizi e in opus reticulatum con cubilia in tufo giallo e cruma di lava rossiccia.
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Sempre nel giardino, nell'angolo sud occidentale, si trova un porticato di dieci metri di lunghezza
per due di larghezza, pavimentato a mosaico bianco e nero: da qui si accede in un ambiente a opus
latericium caratterizzato da una piccola nicchia affrescata in azzurro. Nella stesso angolo di giardino
furono poi ritrovate due ante in laterizio, affrescate in rosso, che permettevano l'accesso a un grosso
ambiente, probabilmente un tablino; fu inoltre rinvenuto un piccolo ninfeo quadrato al centro del
quale era posto un labrum marmoreo. La seconda parte della villa, quella dedicata alla vita
quotidiana, dispone di una quindicina di ambienti raccolti intorno a un cortile centrale: sul lato
settentrionale di questo cortile si apre il quartiere termale, nel quale si riconoscono un apodyterium,
un calidarium, una cucina e un vestibolo. Dalla zona termale un'esedra funge d'accesso a un
impluvium sul cui fondo si apre un larario. Studi recenti hanno dimostrato che la villa si sviluppava
su tre livelli, in quanto, a seguito di alcuni eventi franosi, sono affiorate una serie di sostruzioni che
avevano la duplice funzione di contenimento della collina e di base di sostegno della villa; come le
altre ville d'otium stabiane anche Villa del Pastore era collegata direttamente al mare da una serie di
rampe che digradavano verso la spiaggia.
5.1. Villa di Anteros e Heraclo
Dell'antico abitato fortificato di Stabiae, posto su una collinetta alta circa cinquanta metri, protetto
dai monti e dal mare e distrutto durante l'occupazione di Silla, il 30 aprile del 89 a.C., sono stati
ritrovati pochissimi resti. Nel 1759 Karl Jakob Weber aveva parzialmente individuato e descritto
parte della vecchia città che si estendeva su un'area di circa quarantacinquemila metri quadrati; in
seguito, precisamente nel 1950, Libero D'Orsi, a circa trecento
metri da Villa San Marco aveva riportato alla luce diversi ambienti
che riconducevano a un nucleo abitativo come resti di case,
botteghe, parti del macellum a cui confluivano le merci
provenienti dal vicino piccolo porto e una cisterna che si
affacciano su una strada basolata: si tratta con molta probabilità di
edifici scampati alla distruzione sillana come dimostrano anche le
decorazioni in primo stile.
Figura 17 La città fortificata
A oggi però questi resti sono ancora interrati e l'unica testimonianza dell'antico borgo è una porta
ubicata tra villa San Marco e un'altra villa in fase di esplorazione.
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6. Ville rustiche
6.1. Villa Carmiano
Villa Carmiano deve il suo nome al luogo nella quale è ubicata, ossia in località Carmiano, nel
comune di Gragnano ed è una villa rustica dell'ager stabiano posta a poco meno di un chilometro
dal pianoro di Varano dove sono situate le ville d'otium di Stabiae. La costruzione è stata riportata
alla luce nel corso degli scavi effettuati da Libero
D'Orsi nel 1963 e a seguito del suo stato di
abbandono e per conservarne meglio le strutture
murarie è stata nuovamente sepolta nel 1998: al
momento della sua scoperta la villa non era stata
ancora esplorata da alcuno e ciò è stato molto utile
sia per scoprire importanti novità sullo stile di vita
dei romani sia per la notevole quantità di reperti che
sono stati ritrovati.
Figura 18 L'affresco di Nettuno e Amimone
La villa ha una superficie di circa quattrocento metri quadrati e risale all'ultimo quarto del I secolo
a.C.: del proprietario si conoscono soltanto le iniziali, MAR.A.S., incise su un sigillo in bronzo;
inoltre dalla qualità dei dipinti si suppone che il proprietario fosse un ricco agricoltore. Dopo aver
superato l'ingresso dove è posta anche la cuccia del cane, si entra nell'ampio porticato coperto,
interamente dipinto, sul quale si aprono quasi tutte le stanze e dove si trova il larario dedicato a
Minerva: le stanze di servizio, quindi la cucina con forno, torchio, vasca per la raccolta del mosto e
una cella vinaria con dodici dolii dalla capacità complessiva di settemila litri di vino e gli ambienti
usati per il deposito del raccolto e degli utensili per lavorare la terra sono pavimentati in terra
battuta, mentre la zona residenziale come il triclinio, finemente decorato con pitture in arte flavia,
ha una pavimentazione in cocciopesto; proprio dal triclinio provengono le opere più importanti
come la raffigurazione di Nettuno e Amimone, Bacco e Cerere e il Trionfo di Dioniso.
6.2. Villa Petraro
Villa Petraro è una villa rustica dell'ager stabiano situata in località Petraro, dalla quale prende
anche il nome, al confine tra Castellammare di Stabia e Santa Maria la Carità: la costruzione
anticamente si trovava nella piana del Sarno, in una zona boscosa a ridosso di una antica strada
lastricata romana tra Stabiae e Nuceria. La villa è stata scoperta nel 1957 a seguito di alcuni lavori
di estrazione di lapilli da utilizzare in ambito industriale e la sua esplorazione è proseguita fino al
1958, quando dopo averla spogliata di affreschi ed elementi decorativi di maggior importanza è
stata nuovamente sepolta: anche in questo caso la campagna di scavo è stata seguita da Libero
D'Orsi.
Villa Petraro ha una lunghezza di trentasette metri e una larghezza di ventinove e si estende su di
una superficie di circa mille metri quadrati, è composta da due livelli come testimonia la presenza di
una scala e al momento dello scavo risultava crollata la parte occidentale. Costruita originariamente
durante la prima età augustea, la villa al momento dell'eruzione del Vesuvio doveva essere
interessata da lavori di ristrutturazione e molto probabilmente la si stava trasformando da villa
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rustica a villa d'otium, come testimoniano alcuni cumuli di materiali edili e progetti di decorazioni;
inoltre la posizione in cui essa si trovava favoriva
questo cambiamento da uso agricolo a residenziale,
in quanto si trovava a pochi metri dalla spiaggia e
aveva una bellissima vista sull'attuale golfo di
Napoli. Presenta un ampio cortile centrale con un
criptoportico al nord per proteggerla dal sole,
colonne realizzate in opus vittatum al sud, mentre
nella parte est erano in via di realizzazione delle
nuove colonne: sempre nel cortile sono presenti un
forno e un pozzo.
Dalla zona centrale si diramano i vari ambienti della
villa: si trovano depositi, ambienti di lavori, triclini,
cubicula e sei ergastula, ossia celle per gli schiavi.
Figura 19 Stucco di un Amorino con cesto
A seguito dei lavori di ampliamento la villa è stata dotata, nella parte orientale, anche di una zona
termale, nella quale è presente una scala che porta al piano superiore: l'ambiente termale è
composto da un calidarium con copertura a botte, così come gli altri ambienti, un frigidarium, nel
quale erano in costruzione nuove vasche, un tepidarium, fornito di tubi fittili per il riscaldamento
della stanza, un praefurnium e un apodyterium, lo spogliatoio. I pannelli decorativi che furono
asportati e conservati nell'Antiquarium stabiano si trovavano proprio negli ambienti termali e
rappresentano scene bucoliche, divinità fluviali, amorini e rappresentazioni mitologiche come
Pasifae, a cui viene presentata la vacca in legno, Narciso, che si specchia in acqua, Psiche, un Satiro
con capro ed un Satiro con rhyton; la maggior parte delle pareti della villa però erano state rivestite
di intonaco bianco prossime alla decorazione oltre a venticinque bassorilievi in fase di rifinimento.
Tra i reperti più importanti alcune bottiglie in vetro soffiato, brocche in terracotta e un torchio
oleario: infatti le principali attività agricole della zona erano concentrate sulla produzione di olio e
vino.
6.3. Altre ville
Oltre alle ville più conosciute, nel corso degli anni,
sia durante l'epoca borbonica che durante gli scavi
di Libero D'Orsi o ancora per motivi piuttosto
casuali, sono riaffiorate diverse ville rustiche sparse
per l'intero ager stabiano, in particolare nella zona
di Gragnano, Sant’ Antonio Abate e Santa Maria la
Carità. Purtroppo la maggior parte di queste, dopo
la loro scoperta, sono state parzialmente esplorate,
depredate degli oggetti e affreschi di maggiore
importanza e poi nuovamente sotterrate o addirittura
andate distrutte.
Figura 20 Pianta di Villa Cappella degli Impisi
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Sitografia
http://www.youtube.com/watch?v=RCdXidsRV90
http://www.youtube.com/watch?v=02fZxEUcTmU
http://www.youtube.com/watch?v=xjbx0l5pg6w
http://it.wikipedia.org/wiki/Stabiae
http://it.wikipedia.org/wiki/Scavi_archeologici_di_Stabia
http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_romana
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Glossari
Il piccolo archeologo
Voce Descrizione
Ambienti termali
Le antiche terme romane erano costituite di norma da una successione di stanze, con all'interno la sala del frigidario, solitamente circolare e con copertura a cupola e acqua a temperatura bassa, seguita verso l'esterno dal tepidario, con acqua a temperatura moderata, e infine dal calidario, generalmente rivolto a mezzogiorno, con bacini di acqua calda.
Apodyterium Spazio non riscaldato adibito a spogliatoio
Atrium grande sala, nella parte anteriore della domus. . Luogo in cui erano tenute le "memorie" degli antenati ed il lararium.
Calidario Il calidario (o caldario; dal latino caldarium o calidarium, da caldus o calidus = "caldo") era la parte delle antiche terme romane destinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore.
Il calidario poteva comprendere il laconico, il sudatorio (ambienti surriscaldati per provocare la sudorazione) e l'alveo (vasca per il bagno in acqua calda).
Il calidario poteva avere forma rotonda o rettangolare, con una o più vasche (piscinae) di acqua calda, o bagni individuali. Gli architetti li costruivano generalmente nel lato sud o sud-ovest delle terme, allo scopo di sfruttare il calore naturale del sole. Nelle strutture più antiche il calore era ottenuto con semplici bracieri. Col tempo venne sempre più utilizzato dai Romani un sistema di riscaldamento per mezzo di aria calda circolante sotto il pavimento e attraverso le pareti, l'ipocausto, la cui ideazione veniva attribuita a Sergio Orata.
Il pavimento del Calidario era formato da uno strato di calcestruzzo, che poggiava su pilastri di mattoni (suspensura) in uno spazio cavo destinato alla circolazione dell'aria calda. Questo sistema poteva essere completato trasportando l'aria calda anche nelle pareti del calidario per mezzo di condotti in laterizio (tubuli). Negli scavi archeologici, la presenza delle strutture dell'ipocausto (le suspensure in mattoni e i tubuli nelle pareti), permettono di identificare i calidari, e quindi le terme.
Colonne ioniche
La colonna è un elemento architettonico verticale portante di sezione circolare formato generalmente da base, fusto e capitello; se la sezione del fusto ha una qualunque altra forma che non sia il cerchio, si parla più propriamente di pilastro. Nella colonna ionica il fusto ha la caratteristica di appoggiare su una base, a differenza dell'ordine dorico ove esso poggia direttamente sullo stilobate. Tale base può assumere, a seconda del periodo e al luogo di costruzione, fogge differenti. Quella più diffusa è la base attica che si compone di due elementi principali: tori e scozie. Il toro è una modanatura a forma semicircolare mentre la scozia è una modanatura concava a forma di canale.
Cubicula Ai lati sinistro e destro dell'atrium si aprivano i cubicula (al singolare cubiculum), le piccole e buie camere da letto simili a delle cellette senza finestre alla cui illuminazione
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provvedevano soltanto delle deboli lucerne che poco evidenziano quei capolavori di affreschi o di mosaici che spesso decoravano queste stanze, e le alae, due ambienti di disimpegno aperti.
Diaeta Nel peristilio si aprivano due stanze grandi e lussuose: diaeta e padiglione per intrattenere gli ospiti
Frigidarium Il frigidario era la parte delle antiche terme romane dove potevano essere presi bagni in acqua fredda. Il frigidario poteva avere forma rotonda, o più spesso rettangolare, con uno o più vasche di acqua fredda. Nella sala si giungeva attraverso il calidario e il tepidario
Impluvium dal lat. in = all’interno e pluvia = pioggia, era una vasca quadrangolare a fondo piatto progettata per raccogliere l'acqua piovana e si trovava nell'atrio, un locale all'interno di una tipologia di abitazione (domus) diffusa tra i greci, gli etruschi ed i romani.
Nell'impluvium confluiva l'acqua piovana, per questo era collocato in corrispondenza del compluvium, cioè l'apertura di solito centrale nel tetto, da dove entrava la luce solare che illuminava di riflesso tutte le stanze adiacenti.
L'impluvium era incassato di circa 30 cm al di sotto del piano del pavimento e spesso era collegato ad una cisterna nella quale veniva immagazzinata l'acqua in eccesso, a cui si poteva ricorrere nei momenti di necessità; l'acqua della cisterna fungeva anche da regolatore termico della casa nei periodi di calura eccessiva.
Labrum fontana di acqua fredda
Larario I Lari (dal latino lar(es), "focolare", derivato dall'etrusco lar, "padre") sono figure della mitologia romana che rappresentano gli spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale.
Naturalmente, i più diffusi erano i Lares familiares, che rappresentavano gli antenati. L'antenato veniva raffigurato con una statuetta, di terracotta, legno o cera, chiamata sigillum (da signum, "segno", "effigie", "immagine").
All'interno della domus, tali statuette venivano collocate nella nicchia di un'apposita edicola detta larario e, in particolari occasioni o ricorrenze, onorate con l'accensione di una fiammella.
Meridiana Detta anche più correttamente orologio solare o sciotere, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Ha origini molto antiche e nella sua accezione più generale indica in massima parte gli orologi solari presenti sui muri degli edifici. In senso stretto, con meridiana si dovrebbe intendere unicamente l'indicatore del passaggio del Sole a mezzogiorno.
Natatio Ampia vasca scoperta divisa in due settori, con pareti a gradinate e rivestimento in marmo locale, alimentata da un sistema idrico centrale.
Ninfeo E’ in origine un edificio sacro a una ninfa (da qui il nome), in genere posto presso una fontana o una sorgente d'acqua.
Nella civiltà greco-romana con ninfeo si indicavano dei "luoghi d'acque", ossia strutture presentanti vasche e piante acquatiche presso i quali era possibile sostare, adibire banchetti
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e trascorrere momenti di otium. Un ninfeo aveva spesso una o più esedre, dalle quali l'acqua si incanalava in vasche di varia foggia.
Nell'edilizia domestica o residenziale romana, i ninfei erano sale generalmente affacciate sul giardino-peristilio, destinate a banchetti e caratterizzate da un'edicola mosaicata da cui scaturiva l'acqua. Tali edicole potevano essere decorate anche con incrostazioni in spuma di lava e conchiglie Il peristilio rappresentava la terra all'asciutto, mentre il ninfeo, sempre ad esso a fianco, la terra umida.
Oecus Oecus tricliniare o triclinium, la grande e sontuosa sala da pranzo, la più ampia della casa, dove si tenevano i banchetti con gli ospiti di riguardo. I triclini erano lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti. In epoca imperiale il triclinio fu sostituito come sala per feste e ricevimenti dall'exedra. L'esedra (exedra), era un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi colorati.
Palestra (o Ginnasio)
Lo spazio dove ci si allenava nella lotta, nel combattimento, ma dove anche ci si riuniva per discutere, tenere delle conferenze, parlare di filosofia.
La palestra in senso stretto era di regola formata da una corte a peristilio al cui centro vi era appunto la terra battuta su cui ci si allenava, e sotto i cui colonnati si aprivano stanze dai molteplici usi. Vi era spesso un deposito per l'olio per ungersi, una sorta di spogliatoio dove depositare gli abiti, magazzini di vario tipo e una stanza in cui raccogliersi per discutere o tenere lezioni.
Dagli inventari inoltre scopriamo che spesso erano presenti offerte dei cittadini e non potevano mancare le statue delle due divinità protettrici del ginnasio: Ermes, che essendo il messaggero dai piedi alati è protettore in particolare dei corridori, ed Eracle, protettore degli altri atleti.
Peristilio Pristylium, consisteva in un giardino (Hortus) in cui crescevano con ordine ed armonia erbe e fiori, con sentieri, aiuole (e a volte piccoli labirinti), sapientemente curati dal giardiniere che spesso le sagomava a forma di animali; era circondato su ogni lato da un portico (Porticus) generalmente a due piani, sostenuto da colonne: il tutto arricchito da numerose opere d'arte, ornamenti marmorei, da affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche). Era la zona piu' luminosa, e spesso una delle piu' sontuose. Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina.
Nel Peristylium affacciavano anche le camere da letto padronali, generalmente a due piani, sostenuti da colonne: lo arricchivano numerose opere d'arte e ornamenti marmorei.
Pisside In origine indicava un vasetto di bosso per contenere piccoli oggetti: era di legno, di argilla o d'avorio. Successivamente il nome si è esteso a designare un vaso sacro a forma di coppa.
Secondo stile
Il secondo stile pompeiano è uno dei quattro "stili" (ma sarebbe più corretto parlare di schemi decorativi) della pittura romana. Detto stile architettonico, si colloca nel periodo che va dall'80 a.C. alla fine del I secolo a.C. circa.
Soffitto a cassettoni
I cassettoni o lacunari sono cavità ricavate in un soffitto e disposte in maniera regolare (solitamente a scacchiera). Le forme geometriche più comuni cui si fa riferimento per la base delle cavità sono il quadrato, il rettangolo e l'ottagono, ma vi sono esempi di impiego di diverse forme nello stesso soffitto. Si tratta di un elemento già presente nell'architettura antica: un esempio eccellente è costituito dai lacunari ricavati nella cupola del Pantheon,
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con funzione sia strutturale che estetica.
Stile ellenistico
Stile che riguarda il periodo dell'ellenismo, che viene convenzionalmente datato dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla conquista romana dell'Egitto (ultimo regno ellenistico indipendente) nel 31 a.C. Tuttavia, grazie alla profonda influenza che l'arte ellenistica ebbe sull'arte romana essa andò ben oltre la convenzionale data della battaglia di Azio, raggiunse con i propri motivi stilistici e iconografici le varie rinascenze europee e, a più riprese, continuò ad influenzare tutta l'arte occidentale e soprattutto quella dell'Asia centromeridionale dove aveva posto direttamente radici tre secoli prima.
Tablinio Nella parete dell'atrium, posta direttamente di fronte all'ingresso, si apriva una grande stanza detta tablino (tablinum), la stanza-studio del padrone di casa dove erano conservati gli archivi di famiglia e dove riceveva i suoi clienti: aveva gli angoli delle pareti foggiate a pilastri, era separata dall'atrium soltanto da tendaggi, e aveva un'ampia finestra che dava sul peristylium da cui riceveva luce ed aria; era arredata spesso con un grande tavolo ed una imponente sedia posti al centro della stanza, mentre di lato erano sistemati alcuni sgabelli, tutti arredi dalle gambe tornite e decorate con intagli in osso, in avorio o in bronzo; lucerne su lunghi candelabri per illuminare l'ambiente, un braciere a terra per riscaldarsi, strumenti da scrivere e oggetti in argento ostentati sul tavolo a far bella mostra completavano l'arredamento tipico.
Tepidarium Ambiente delle terme attrezzato per i bagni di acqua tiepida o come spogliatoio
Terzo stile Il terzo stile è uno dei quattro "stili" (ma sarebbe più corretto parlare di schemi decorativi) della pittura romana. Detto stile ornamentale, dal punto di vista cronologico, si sovrappose al secondo stile ed arrivò fino alla metà del I secolo, all'epoca di Claudio (41-54). In esso venne completamente ribaltata la prospetticità e la tridimensionalità caratteristiche dello stile precedente lasciando il posto a strutture piatte con campiture monocrome, prevalentemente scure, assimilabili a tendaggi e tappezzerie, al centro delle quali venivano dipinti a tinte chiare piccoli pannelli (pinakes) raffiguranti scene di vario genere. Tipiche sono le ornamentazioni con candelabri, figure alate, tralci vegetali
Triclinio Il triclinio era il locale in cui veniva servito il pranzo nelle case degli antichi romani. Il pavimento del locale aveva un'inclinazione di circa 10° su tre lati della stanza, verso il tavolo basso posto al centro. Un solo lato aveva il pavimento in piano e serviva ai servi per portare le vivande in tavola.
Nelle case degli antichi romani, specialmente dei patrizi il triclinio era molto comune. Veniva usato per intrattenere gli ospiti. I commensali sedevano sdraiati su dei cuscini attorno ad un tavolo basso.. Le case dei patrizi avevano almeno due triclini e non era difficile trovare case con quattro e più triclini. In queste case il triclinius maius, (grande sala da pranzo) era usato per dare delle feste alle quali erano invitati un gran numero di ospiti. I triclini più piccoli venivano usati per un piccolo gruppo di ospiti di riguardo.
Il triclinio prese il nome dai tre letti, i Lecti Conviviuales o Tricliniares[1] su cui i padroni di casa e i loro ospiti si sdraiavano per tutta la durata del pranzo. Ogni letto era capace di ospitare tre commensali che stavano sdraiati sul lato sinistro. Durante il banchetto, canti e danze servivano ad allietare gli ospiti.
Viridario Dal lat. viridarium, der. di virĭdis «verde»; cfr. anche verziere]. Nell’antica Roma, il giardino della casa patrizia, situato nello spazio centrale del peristilio, con aiuole e fontane, o nel cavedio.
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La mitologia delle ville di Stabiae
Mito Storia
Amorini Personificazione mitologica del dio Amore, in quanto raffigurato nella poesia e nell’arte con aspetto di fanciullo, per lo più nudo e alato; dall’età ellenistica in poi si diffonde il motivo dei molteplici amorini, soggetto di molte pitture e sculture decorative romane.
Apoteosi Raffigurazione artistica della gloria di una divinità o eroe.
Atena (o Minerva) Nella mitologia greca è nata armata di tutto punto dal cervello di Zeus spaccato con un'accetta da Efesto dopo che Zeus aveva inghiottito la prima moglie Metis. Atena oltre che dea guerriera è anche la dea della ragione, della arti, della letteratura e della filosofia, del commercio e dell'industria. Insegnò agli uomini la navigazione, ad arare i campi, ad aggiogare i buoi, a cavalcare e alle donne a tessere, a tingere e a ricamare. Era anche una dea fiera che puniva severamente chi osava competere con lei.
Diana E’ una dea italica, latina e romana, signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne, cui assicurava parti non dolorosi, e dispensatrice della sovranità. Nella mitologia greca questa dea romana assomigliava alla dea Artemide (dea della caccia, della verginità, del tiro con l'arco, dei boschi e della Luna). Secondo la leggenda, Diana - giovane vergine abile nella caccia, irascibile quanto vendicativa - era amante della solitudine e nemica dei banchetti; era solita aggirarsi in luoghi isolati. In nome di Amore aveva fatto voto di castità e per questo motivo si mostrava affabile, se non addirittura protettiva, solo verso chi - come Ippolito e le ninfe che promettevano di mantenere la verginità - si affidava a lei.
Dionìso E’ una divinità della religione greca. Inizialmente fu un dio arcaico della vegetazione, in particolare era legato soprattutto alla pianta della vite (quindi alla vendemmia e al vino) e all'edera (in particolare alcune specie di edera, contenenti sostanze psicotrope e che venivano lasciate macerare nel vino). Uno dei suoi attributi era infatti il sacro Tirso, un bastone con attorcigliati pampini ed edera; altro suo attributo è il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendono in altezza oltre l'orlo. Successivamente venne identificato in special modo come Dio del vino e quindi della sfrenatezza dei sensi e dei piaceri
Europa La fanciulla era figlia del re fenicio Agenore e sorella di Cadmo, fondatore di Tebe. Un giorno, mentre giocava sulla riva del mare con le sue compagne, Zeus si invaghì della sua bellezza e ricorse ad una delle sue metamorfosi per avvicinarla. Assunse le sembianze di un toro mansueto, così Europa gli si avvicinò incuriosita e cominciò ad accarezzarlo. A un certo punto le venne voglia di cavalcarlo. Zeus non aspettava altro: se la dette a gambe rapendo Europa, che se ne stava aggrappata sulla sua groppa. Attraversarono il mare e giunsero nell'isola di Creta; Europa, conosciuto Zeus nella sua vera identità, si innamorò di lui. Dalla loro unione nacquero Minosse, leggendario re di Creta, e Radamante.
Fetonte E’ figlio di Apollo, dio del Sole, e della ninfa Climene. Secondo il mito, Fetonte, per far vedere ad Epafo che Apollo era veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole; ma, a causa della sua inesperienza, ne perse il controllo, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo
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vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli abitanti della terra chiesero aiuto a Zeus che intervenne per salvare la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano
Flora E’ la dea romana e italica della fioritura dei cereali[1] e delle altre piante utili all'alimentazione, compresi vigneti e alberi da frutto[2]. Col tempo venne intesa come dea della primavera.
Ganimede Giovinetto, figlio del dardanide Tros, o di Laomedonte o di Ilo, e di Calliroe; fu rapito in cielo, per la sua bellezza, dall’aquila di Zeus o da Zeus stesso in forma di aquila, per fungervi poi da coppiere della mensa degli dei.
Ifigenia figlia di Agamennone costretta a dover sacrificarsi affinché le navi, radunate in Aulide da più di tre mesi per il persistere della bonaccia non potevano partire. Agamennone chiamò allora l'indovino Calcante perché gli dicesse che cosa poteva fare. E l'indovino gli ricordò che alcuni anni prima aveva offeso gravemente la dea Artemide: avendo trafitto con un bel colpo un cervo, si era vantato d'essere un cacciatore più bravo della dea stessa della caccia. E ora Artemide pretendeva la sua vendetta: Ifigenia doveva essere sacrificata. Bisognò far venire da Micene la bella Ifigenia: la fanciulla sgomentò, non disse d'essere contenta di spendere la vita per il bene della Grecia e per l'onore di suo padre; e volle salire da sola sull'altare. Ma, mentre il sacerdote immergeva già il coltello nel suo petto, l'altare venne circondato da una densa nebbia, e, quando questa si ritirò, invece del corpo insanguinato della giovinetta, si trovò sull'altare il corpo di una cerbiatta. Artemide aveva avuto pietà dell'intrepida ragazza e l'aveva sostituita con la cerbiatta, portando via Ifigenia viva in Tauride, dove il re del luogo, Toante, la fece sacerdotessa della dea che l'aveva salvata.
Ippolito Raffigurato mentre una nutrice gli svela l'amore provato dalla sua matrigna Fedra Ippolito è un personaggio della mitologia greca, figlio di Teseo; il nome di sua madre varia a seconda degli autori: la più comune è Antiope, ma altri mitografi nominano anche le Amazzoni Ippolita oppure Melanippa. La versione più nota della sua leggenda è quella tramandata dall'opera di Euripide: Ippolito. Secondo questa variante della storia, Afrodite fu la causa della sua morte. Egli disprezzò la venerazione di Afrodite in favore di quella di Artemide e, per vendetta, Afrodite fece sì che la sua matrigna, Fedra, si innamorasse di lui, sapendo che Ippolito l'avrebbe respinta. Fedra cerca vendetta nei confronti di Ippolito suicidandosi e, nella sua lettera di addio, dicendo a Teseo, suo marito e padre di Ippolito, che Ippolito l'aveva violentata. Ippolito era vincolato da un giuramento a non menzionare l'amore di Fedra per lui e nobilmente si rifiutò di difendersi nonostante le conseguenze.
Leda col cigno Nella mitologia greca Leda era figlia di Testio e moglie di Tindaro, re di Sparta. La leggenda narra che Zeus, innamoratosi di lei, si trasformò in un cigno e si accoppiò con Leda, che generò due uova. Da un uovo sarebbero usciti i Dioscuri, Castore e Polluce, mentre dall'altro Elena e Clitennestra. La tradizione mitica è discordante riguardo a quale fosse la progenie divina; secondo alcune versioni i figli immortali di Zeus non sarebbero stati i Dioscuri ("figli di Zeus"), ma Polluce ed Elena, mentre gli altri due sarebbero figli di Tindaro. Secondo un'altra versione del mito, Leda trovò l'uovo, frutto dell'unione tra Zeus e Nemesi, dal quale sarebbe uscita Elena
Licurgo e Ambrosia
La leggenda colloca Licurgo in Tracia, dove era detto signore degli Edoni, popolazione affine a quella dei Bistoni. Intorno alla sua figura furono elaborate dagli antichi parecchie altre tradizioni. Si disse che Licurgo aveva così agito perché istigato da Era che odiava Dioniso. Presso i tragici Licurgo avrebbe insultato Dioniso insieme con le Menadi, e lo avrebbe messo perfino in ceppi; ma Dioniso si vendicò mettendo Licurgo negli stessi ceppi che egli aveva sofferto e sprofondandolo poi nell'Ade. Secondo altri Ambrosia una delle Menadi, minacciata da Licurgo invocò la Terra dalla quale fu
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mutata in un ceppo di vite che avvolse Licurgo tra le spire dei suoi tralci, esponendolo così legato alla vendetta delle altre Menadi. Era dovette liberarlo brandendo sopra le Menadi il gladio di Ares.
Medea E’ una figura della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia. Era inoltre nipote di Elio (secondo altre fonti di Apollo) e della maga Circe, e come quest'ultima era dotata di poteri magici. Invece secondo la variazione del mito (Diodoro Siculo), il sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialpo.
Melpomene Nella mitologia greca, Melpomene era la musa del canto e dell'armonia musicale. Figlia di Zeus e di Mnemosine, divenne, successivamente, la musa della tragedia, probabilmente a causa del suo rapporto con Dioniso, e sotto questa veste ci è più nota oggi. Il suo nome è derivato dal verbo greco Melpo melpomai che significa "per festeggiare con danze e canti". Melpomene è raffigurata riccamente vestita, dallo sguardo grave e severo, di solito ha in mano una maschera tragica e calzata di coturni, tradizionali sandali tragici, con in mano uno scettro ed un pugnale insanguinato. Con ciò, la musa indica che la tragedia è un'arte molto difficile che richiede ingegno eccezionale e una fantasia vigorosa.
Mercurio Il dio con le ali ai piedi creduto il messaggero degli dei, era Hermes, figlio di Zeus e della ninfa Maia; venne inteso come la personificazione del vento. Questo dio fu perciò protettore di tutto quanto era inconsistente come l'aria. Proteggeva gli avvocati, i quali si rivolgevano a lui per farsi ispirare brillanti oratorie (inconsistenti come l'aria) e anche i mercanti, che lo pregavano per ottenere sempre maggiore capacità di eloquenza (altrettanto inconsistente come l'aria) in modo da poter vendere meglio i loro prodotti. A Mercurio/Hermes, si rivolgevano a dire la verità in molti, tutti quanti avevano a che fare con gli spostamenti veloci, simili a quelli del vento quando passa e se ne va in fretta, tra cui vi erano i viaggiatori.
Musa Sono, figlie di Zeus e di Mnemosýne (la "Memoria") la loro guida è Apollo[2]. Esse infatti rappresentavano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'«eterna magnificenza del divino»[3].
Nettuno Dio delle acque correnti e in seguito divenne, dopo il 399 a.C., il dio del mare e dei terremoti trasformandosi nell'equivalente del dio greco Poseidone. Secondo la mitologia abitava in fondo al mare e comandava ai mostri marini ed alle tempeste. Viene spesso rappresentato ritto su di un carro trainato da cavalli marini, e con un tridente nella mano destra come simbolo di comando.
Nike Dea della vittoria presso i Greci. Secondo Esiodo era figlia del titano Pallante e di Stige, sorella di Zelos (Emulazione), di Cratos (Forza) e di Bia (Violenza). Nella battaglia tra gli dèi e i Titani abbandonò le schiere di suo padre. Guidò Eracle all'Olimpo. Ma la "vittoria dai dolci doni", per lo spirito greco l'aspirazione più nobile e affascinante dell'uomo, non poteva non diventare figlia di Zeus, figura parallela dell'altra sua figlia, Atena. Le si tributavano onori dopo ogni vittoria sia che fossero vittorie in guerra che in competizioni atletiche. Ad Atene fu in parte assimilata dalla dea Atena, infatti gli ateniesi adoravano una Atena Nice, questa però, non aveva le ali.
Perseo con Medea E’ un eroe di origine argiva; figlio di Zeus e di Danae, figura tra i diretti antenati di Eracle. La storia di Perseo comincia nel mare, perché Acrisio, padre di Danae, vi fece gettare il bimbo di pochi mesi e la madre, dentro un'arca di legno. Questo perché un oracolo aveva detto ad Acrisio che un figlio di Danae, divenuto adulto, l'avrebbe ucciso; egli allora aveva rinchiuso la figlia in una camera di bronzo inaccessibile. Ma
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Zeus, in forma di pioggia d'oro, era sceso nella stanza da una fessura e si era unito a Danae, così mettendo al mondo Perseo; Acrisio aveva allora deciso di liberarsi del nipote affidandolo al mare con sua madre. L'arca fu sospinta dai flutti sulle rive dell'isola di Serifo, nelle Cicladi, dove i naufraghi furono salvati e ospitati da Ditti, fratello del re Polidette. Quest'ultimo, quando Perseo fu adulto, gli ordinò di recidere e portargli la testa di Medusa (l'unica, delle tre Gorgoni, mortale) come dono per le sue nozze con Danae, cui egli aspirava. Il giovane, con l'aiuto di Atena e di Ermes, riuscì nell'impresa: andò prima dalle sorelle Graie - le "vecchie donne" mai state giovani - che egli privò dell'unico occhio e dell'unico dente che avevano in comune, riuscendo così ad estorcere loro il segreto della sede delle Ninfe. Esse gli dettero i calzari alati, la cappa (o secondo un'altra versione, un elmo) che rendeva invisibili, e una bisaccia dove porre la testa recisa di Medusa. Perseo si innalzò nel cielo grazie ai calzari alati e, con l'aiuto di Atena, che teneva al disopra di Medusa uno scudo di bronzo levigato, che faceva da specchio, decapitò il mostro.
Pilade E’ un personaggio della mitologia greca. Il padre, Strofio, era Re della Fòcide e la madre, Anassibia, era figlia di Atreo e sorella di Agamennone e Menelao. Pilade crebbe con il cugino Oreste, con cui era legato da un'amicizia profonda. Lo affiancò infatti nella vendetta su Clitennestra ed Egisto per l'uccisione di Agamennone e lo accompagnò nelle successive peregrinazioni in Tauride dalle quali riportarono a casa Ifigenia. Alla fine sposò la cugina Elettra, sorella di Oreste.
Teseo nelle braccia di Ipno
cfr mito di Teseo e Arianna
Venere E’ una delle maggiori dee romane principalmente associata all'amore, alla bellezza e alla fertilità, l'equivalente della dea greca Afrodite. Sono molte le ipotesi sulla nascita della dea. C'è chi sostiene che essa scaturì dal seme di Urano, dio del cielo quando i suoi genitali caddero in mare dalla castrazione subita dal figlio Crono, per vendicare Gea, sua madre e sposa di Urano. Un'altra ipotesi è che essa sia nata da una conchiglia uscita dal mare. Venere è la consorte di Vulcano. Veniva considerata l'antenata del popolo romano per via del suo leggendario fondatore, Enea, svolgendo un ruolo chiave in molte festività e miti della religione romana.