Pasolini Tommaso Anzoino

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TOMMASO ANZOINO. PIER PAOLO PASOLINI. da IL CASTORO, NUMERO 51, DICEMBRE 1975. In un'intervista al « Giorno » (1964) lei dichiarava: « Credevo che il romanzo, come genere, fosse finito, in quanto che io avevo esaurito certi ar- gomenti miei, e tendevo a dar ragione a quelli che parlavano di crisi del romanzo (del resto se ne parla da quando sono nato). Adesso, dopo una lunga meditazione sui problemi linguistici, le rispondo che sì, è possibile, quanto mai pos- sibile, anzi, mai come ora è stato possibile!» Per quanto riguarda quel che dicevo sul «Giorno» in quel pezzetto del '64, che io non ricordo, credo di essermi spiegato meglio in un paragrafo della mia rubrica sulla rivista «Tempo", ripubblicato sul volume Ostia, in appendice. Non scrivo romanzi perché io

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TOMMASO ANZOINO.

PIER PAOLO PASOLINI.

da IL CASTORO, NUMERO 51, DICEMBRE 1975.

In un'intervista al « Giorno » (1964) lei dichiarava:

« Credevo che il romanzo, come genere, fosse

finito, in quanto che io avevo esaurito certi ar-

gomenti miei, e tendevo a dar ragione a quelli

che parlavano di crisi del romanzo (del resto se

ne parla da quando sono nato). Adesso, dopo

una lunga meditazione sui problemi linguistici,

le rispondo che sì, è possibile, quanto mai pos-

sibile, anzi, mai come ora è stato possibile!»

Per quanto riguarda quel che dicevo sul «Giorno» in

quel pezzetto del '64, che io non ricordo, credo di

essermi spiegato meglio in un paragrafo della mia

rubrica sulla rivista «Tempo", ripubblicato sul volume

Ostia, in appendice. Non scrivo romanzi perché io

non sono un romanziere di professione: ho scritto i

miei romanzi tardi e perché mi sono trovato in situa-

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zioni « nuove », in cui l'ambiente era prima di tutto

«romanzesco» per me. Scrivere romanzi per me è si-

gnificato vivere nella scrittura la situazione romanze-

sca dell'agnizione dell'altrove. Non escludo che questo

nella mia vita possa succedere un'altra volta. Ma è difficile perché gli

ambienti in Italia non sono molti: quello dei privilegiati primi, quello

borghese e piccolo-borghese, quello operaio, quello contadino e sotto-

proletario.

L'unico ambiente che non conosco fisicamente, per partecipazione di-

retta, per coazione, è l'ambiente operaio. Dunque è quest'ultimo che

potrebbe farmi rivivere una situazione romanzesca e farmi di conseguenza

ritrovare il diritto di essere narratore. Oppure potrei avere un ritorno di

fiamma per l'ambiente contadino o sottoproletario. Sto meditando ma

sapendo che non ne farò niente, un Nuovi ragazzi di vita. Nel casó che

il ritorno di fiamma lo avessi per il mondo contadino, esso difficilmente

sarebbe italiano: sarebbe piuttosto africano, o arabo, o indiano. Quanto

alla minaccia dell'esotismo, potrebbe succedere che i paesi contadini

del terzo Mondo finissero col diventare, anche oggettivamente, del tutto

prossimi; ma per il momento non so in quale veste potrei scriverne.

L'unica possibilità sarebbe che io imparassi--anche male--il somalo

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o l'eritreo o un dialetto qualsiasi mai usato come lingua scritta (il piú

sensato sarebbe lo swaili): e devo dire la verità, la cosa mi piace, mi

tenta, mi entusiasma. Escluderei invece di poter mai scrivere in tutta la

mia rimanente vita del mondo borghese o piccolo borghese; oppure del

mondo dei privilegiati primi: non potrei mai esserne mimetico; d'altra

parte non ne sono abbastanza distaccato e privo di odio per parlarne in

italiano puro, di codice (tutt'al piú potrei riadottare la lingua sognata e

labile di Teorema).

Un'opera comprendente tutti questi mondi sociali ? Ebbene sí, ci ho

pensato: un'opera ciclica, coi racconti inseriti uno nell'altro, come nella

Matriona, cominciando con la prima metà del primo racconto e fi-

nendo con la sua seconda metà: con decine e decine di prestazioni mi-

metiche, perché il narratore del racconto contenuto sarebbe un perso-

naggio del racconto contenente. Quindi si avrebbero le piú varie possi-

bilità linguistiche: un ricco del mondo dei privilegiati primi che racconta

di un poveraccio del mondo sottoproletario; un sottoproletario che rac-

conta di un industriale; un sottoproletario che parla di un altro sottopro-

letario; un piccolo borghese che racconta di un grande industriale; un

industriale che racconta di un contadino; un contadino che racconta

di un piccolo borghese: e tutti costoro (le combinazioni potrebbero con-

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tinuare quasi all'infinito) parl~rebbero, poi, nei loro rispettivi dialetti o

koine dialettizzate ecc.

2 Un'operona tutta voluta e velleitaria; un gioco di pazienza. Ma invec-

chiando si diventa impazienti; e cosí anche i parziali risultati che questa

macchina una volta messa in moto, mi farebbe forse ottenere, fanno

parte dellá rinl:r,cia dovuta all'impazienza, e soprattutto alla mancanza

di fiducia nella stabilità del mondo che produce simili macchine lette-

rarie.

Ancora in quell'importante 1964, verso la fine, annunciava, con

qualche titubanza e non senza emozione, e soprattutto con

molto scandalo, che era nato l'italiano come lingua nazionale:

la lingua, cioe, della rivoluzione industriale, borghese, della tec-

nologia, dell'azienda; in seno a questa nuova realta linguistica

il fine della lotta del letterato sarebbe stata la espressivita lin-

guistica (il fine di quella rivoluzione linguistica sarebbe stato,

invece, il prevalere della comunicatività sulla espressivita); quel-

la lotta del letterato avrebbe dovuto coincidere con la liberta del-

I'uomo rispetto alla sua meccanizzazione. Quale tipo di sviluppo

ha avuto la questione per lei7

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La questione è rimasta al punto in cui era in «quell'importante 1964».

Transfuga io mi sono transitoriamente trasferito nel translinguismo ci-

nematografico. C'è stato di mezzo l'importante 1968. Il compagno

operaio è stato riscoperto al di fuori degli schemi dell'egemonia ope-

raia del PCI (almeno cosí si afferma, si crede: è la Verità); si riac-

cendono speranze nuove di rivoluzione dal basso. Ma secondo me la

televisione, per esempio, è piú forte di tutto questo: e la sua mediazione,

ho paura che finirà per essere TUTTO: il Potere vuole che si parli in un

dato modo (quello che piú o meno accennavo in quel mio scritto):

ed è in quel modo che parlano gli operai, appena abbandonano il mondo

quotidiano, famigliare o dialettale in estinzione (estinzione piú lenta

perd, della storia che attua il superamento). In tutto il mondo cib ché

viene dall'alto è piú forte di cid che si vuole dal basso. I tecnici cinesi

nello Yemen sono carismatici. Sono scesi dal cielo a costruire strade e

a portare pere in scatola. Non c'è parola che un operaio pronunzi in

un intervento che non sia ~voluta» dall'alto. Cid che resta originario

nell'operaio è cid che non è verbale: per esempio la sua fisicità, la sua

voce, il suo corpo. Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal

potere. 3

Qualche anno fa, Alberto Asor Rosa, probabilmente con un po'

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di fretta, notificava il suo pensionamento, proponendo come

epigrafe del «corso vitale della sua tumultuosa esperienza»

alcuni versi di ll glicine:

Ho perduto la forza;

non so piú il senso della razionalità;

decaduta si insabbia

--nella tua religiosa caducità--

la mia vita, disperata che abbia

solo ferocia il mondo, la mia anima rabbia.

La sua rabbia è rimasta: le ultime poesie mi pare lo confermino;

il mondo, invece, ho l'impressione che non le appaia piu tant~

feroce quanto banale.

No. A me sembra che il mondo sia oggi molto feroce, e che banale se

mai, fosse durante gli Anni Cinquanta. Volgendoci indietro la visióne

che si presenta ai nostri occhi è una visione di banalità: la Speranza il

Prospettivismo, I'lntegrazione ainnocente», la polemica anti novecén-

tesca, la Razionalità, I'lmpegno, il problema del Sud, l'intellettuale come

prete o guida spirituale, il generale ottimismo, lo stalinismo, sia prima

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che dopo il XX Congresso. La ferocia era terribile e all'antica (i campi di

concentramento nell'URSS, la schiavitú delle «democrazie» orientali

l'Algeria). Questa ferocia all'antica, naturalmente, permane: vedi non

solo il Vietnam, ma il Brasile, la Grecia, per esempio, e soprattutto l'Err-

trea--dove il Negus, di cui non si pud parlar male per non confondersi

coi fascisti--attua una delle repressioni piú orrende che si conoscano:

incendi di interi villaggi, giovani decimati e impiccati a gruppi nelle

piazze ecc. Ma oltre a questa vecchia ferocia (che è lenta a estinguersi,

come i dialetti: piú lenta della storia che cosi velocemente la supera)

c'è la nuova ferocia che consiste nei nuovi strumenti del Potere: una

ferocia cosi ambigua, ineffabile, abile, da far sí che ben poco di banale

resti in cid che cade sotto la sua sfera. Lo dico sinceramente: non con-

sidero niente di piú feroce della banalissima televisione: le leggi che

regolano una trasmissione televisiva sono tra le piú ferree e intrasgredibili

che abbia mai conosciuto l'umanità: la Santa Inquisizione non è nulla

jn confronto. E la repressione che essa opera nell'intimità di ogni citta-

dino è la piú immedicabile che mai si sia sperimentata: la costruzione e la

4 conferma della falsa idea di sè--con conseguente sviluppo di quello che

Laing chiama «sistema del falso io» e gli esiti schizoidi sono irrever-

s~ili. La stessa cosa si pud dire di tutti gli strumenti della Produzione

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(danno meno scandalo solo perché non invadono il terreno propria-

mente culturale). Mai il mondo è stato tanto «regresso» (gli Anni Cin-

quanta in tal senso erano ancora anni della classicità), e di conseguenza

tanto nevrotico e duro, moralistico e infelice.

Gli studenti, anche quelli che a Valle Giulia «facevano a botte

coi poliziotti », hanno condotto, come lei dice, « una guerra

civile », cioè di borghesi giovani e buoni contro borghesi vecchi

e cattivi; la storia, probabilmente, le ha dato ragione.

Sentirsi dare ragione dalla storia è sconfortante. Bisogna passare subito

dalla parte del torto! Adesso ho deciso di stare sospetto compagno di

strada con i gruppi di « Potere operaio» e « Lotta continua», mettendo

a tacere parte della mia coscienza.

Ma la Rivoluzione, lei dice, continuando a riferirsi agli studenti,

un'altra cosa, cioè è classista: gli operai e i contadini da una

parte e la borghesia dall'altra. Ma questi operai e questi conta-

dini in Italia ci sono?

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Sí, questi operai e questi contadini in Italia ci sono. Lo sono nel « corpo ».

Osservavo un ragazzo operaio, a Carrara, durante un dibattito, che mi

muoveva delle obiezioni radicali, famigliari al Movimento Studentesco

e ai piccoli gruppi a sinistra del PCI. Niente di nuovo: il tono predicatorio

il moralismo, il ricatto in nome della lotta come necessità di giusti

l'accusa di tradimento, il linguaggio tutto perfettamente prevedibile ecc.

Eppure... Ia sua voce, il suo corpo, il suo sesso--cose a cui non si

pensa mai quando parla un borghese anche giovane--erano « dati » che

restavano estranei al suo discorso e stavano sul suo discorso come pre-

senze protettrici e propiziatrici. Si sentiva che aveva avuto una infanzia

di povero, con u~a madre donna del popolo, un padre operaio, una casa

nuda, compagr~etti poveri come lui; ~he aveva mangiato i cibi che man-

giano i poveri, semplici ma non nutrienti, e la sua carne era rimasta un

po' infantile e debole (gli operai sono sempre fisicamente piú deboli degli

studenti); nej suoi occhi, mentre parlava, la rabbia, I'acrimonia, la po-

lemica, si trasformavano in un ingenuo dispiacere: dispiacere di dover

dire quello che diceva--con gentilezza d'altronde--e che in certi

momenti gli dava quasi un tremore di pianto. Egli usava la sua intelli-

genza e la sua cultura (forse di autodidatta per il quale gli argomenti

della nuova sinistra erano stati una rivelazione), ma gettava nella lotta

anche il suo corpo: e questo corpo correggeva il suo discorso, vi aggiun-

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geva significati e necessità reali; la dissociazione schizoide era solo alla

superficie; all'interno la coesione era profonda: la sua voce era piú

vera della sua parola.

Si dirà che questo è il mio « mito » popolare. Va bene, ma mi si opponga

qualcosa che non sia l'altro mito, quello della comune accezione, pas-

sato tale e quale dalla retorica operaista comunista ai gruppi della nuova

sinistra (che essendo formata da giovani, sanno soltanto ciò che è

scritto--e di questo «mito» non è mai stato scritto niente--esso è

stato solo vissuto). L'operaio è tale perché è esistenzialmente operaio:

ed è una storia retorica, ricattatrice e moralistica quella che non include

l'esistenza.

La Rivoluzione, lei dice, in Teorema, può farla solo «chi vera-

mente morisse di consunzione, vestito da mugik, non ancora

sedicenne... »

Parole come « rivoluzione », « ragione », « realtà », « storia », « popolo »,

«proletariato», «sottoproletariato» ecc. sono parole particolarmente po-

lisemiche: tanto polisemiche che da sole non significano nulla, e quindi

hanno sensi diversi a seconda del contesto. Dò un caso limite: la pa-

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rola «rivoluzione» in un sintagma comunista e in un sintagma neo-co-

munista.

Io ho usato mille volte questa parola--e quante volte vilmente ! quante

volte solo per tacitare la mia coscienza e ricercare complicità! quante

volte per giustificare il mio essere altrove, magari perduto in una voglia

smaniosa di solitudine! E i sensi che questa parola ha assunto nel mio

uso sono tanti quanti i sintagmi in cui l'ho usata. Nei versi qui sopra ci-

tati la parola «rivoluzione» aveva una significazione pressoché mistica e

donchisciottesca: davo per scontato infatti che la «rivoluzione» dovesse

essere fatta dai giovani (?), con riferimenti palingenetici (i soliti, ma

insolitamente efficaci): accettavo dunque per ipotesi e per absurdum

(si tratta dopotutto di versi), un dato di fatto irriducibile a fatto reale,

come un assalto a un mulino a vento. Una volta compiuta questa ope

razione, una volta accettata cioè la possibilità (prospettata non da m~

ma da me subito accolta e amata) di una simile rivoluzione, ho detto

appunto, che essa potrebbe essere fatta da «chi veramente morisse d

consunzione ecc. ». L'ho resa dunque impossibile radicalizzandola. E

stata l'operazione tipica del ricatto che ci siamo fatti reciprocamente ne

biennio '68-'70. Il « mugik sedicenne» che ci crede tanto che ne muore

è il corrispettivo studentesco corporale di quel giovane operaio di Car

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rara di cui ho parlato nella risposta precedente. Io scelgo casi estrem.

e avrò le mie buone ragioni (che non so). Tuttavia devo dire a mia giu

stificazione, che non esercito mai tale ricatto su delle persone partico

lari: ma solo in poesia, rivolgendomi a una persona generale.

Comunque la la rivoluzione, per lei, è un mito; e nemmenc

«popolare», ma «mistico».

Ma per chi la rivoluzione non è un mito ? Lei mi risponderà: per la « class~

operaia »: ma io non sono una « classe », sono un uomo. Prendiam~

allora un « uomo » della « classe operaia »: per esempio quel giovan~

operaio di Carrara. Cosa crede, che anche per lui, singolo ragazzo ch~

lavora, la rivoluzione non sia un mito; qualcosa cioè che si attua oltn

la « durata» del suo tempo esistenziale? Spero poi che l'accezion~

con cui lei usa la parola « mistico » non sia quella del nostro ricatt~

quotidiano. Stalin diceva a Bulgakov: « Ma lei è un mistico» e Bulgako~

rispondeva: «Sí, lo sono» (ora sono io che la ricatto). Ma il momen~-

mistico della rivoluzione è l'unico che può essere complementare al s~

momento pragmatico. Non bisogna certo mitizzare la rivoluzione p

pensarla: ma bisogna mitizzare la rivoluzione per farla.

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In un'intervista a Ferdinando Camon, lei disse:

« Resta il fatto che il sottoproletario e il contadino sono eve

sivi soltanto perché '' sono'' e, in particolari situazioni locali

nazionali, possono essere dei sovversivi (rivoluzionari o guen

glieri, a scelta, secondo chi se li accaparra per primo). Pen~

agli eroici banditi sardi».

Un «corpo» è sempre rivoluzionario; perché rappresenta l'incodificabil

E;in esso che viviamo le situazioni codificate--vecchie o nuove--ren-

dendole instabili e scandalose. Se poi il «corpo» vive una «vita indegna

di essere vissuta» (un negro, un sardo, uno zingaro, un ebreo, un in-

vertito, un miserabile) è anche manifestamente rivoluzionario (mentre

ta!e funzione non è manifesta nel «corpo» di un commendatore, di un

mmistro ecc.). Un povero, un infelice sono sempre, di per sé eroici:

sia che sl rassegnino sia che si ribellino--e sia anche che cómpiano

azioni delittuose--che sono sempre senza alternativa reale. La Mafia

per esempio, è esecrabile nel momento in cui il suo vertice si confondé

con il potere centrale: ma là dov'è decentrata, e in basso, non mi sembra

affatto cosí esecrabile. Un «picciotto» fa una cattiva scelta, va bene:

ma qual'è l'alternativa a tale scelta ? Essere buon cittadino di che paese ?

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Un «riformismo», appoggiato, per esempio, dai sindacati e da

un partito «serio» come l'ha definito ironicamente lei, non può

essere un'alternativa «reale»?

A Sana i russi hanno costruito un ospedale nuovo, bellissimo. Sono scesi

dall'alto, e indubbiamente hanno fatto le cose con serietà, come si addice

a chi è investito dal carisma. A Sana si muore di meno: ma qual'è la vita

che fa da alternativa a tale soprawivenza? Un «tutto» perfetto, una

struttura medioevale intatta, sono stati manomessi, ma non sono finiti

(è la solita storia). Alle norme che regolavano una vita da molti secoli

--fissate una volta per sempre--si sono sostituite norme nuove « mo-

derne», «civili»: I'esigenza principe è quella di fare dello Yemén una

nazione come tutte le altre; di perdere la propria identità, di omologarsi.

Come in tutte le nazioni del Terzo Mondo ciò è indifferenziato: la scelta

neocapitalistica o socialista sono interscambiabili. Ambedue i modelli

appartengono ad un mondo ugualmente avanzato, che dall'alto della

sua modernità, manda tecnici che sono, in definitiva, uguálmente repres-

sivi. Non si sa quale sia la vera volontà, quella che si manifesta dal basso

dei popoli medioevali soprawissuti--per qualche ragione misteriosa

ma evidentemente buona --fino ad oggi. Probabilmente si tratta di

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una volontà conservatrice: i Re, i Feudatari, i Capi tribú ecc. erano cer-

tamente piú vicini al popolo che non i « benefattori » occidentali o

orientali: essi facevano parte di quel «tutto», che in moltissimi casi non

si è mai autocriticato e non ha mai iniziato un'autodistruzione di propria

8 iniziativa. Voglio dire con questo che una condizione umana medioevale o

preistorica è migliore di una situazione umana borghese o socialista ? Sí,

voglio dire questo. A un giovane rivoluzionario non passa neanche lon-

tanamente per la testa che la sua lotta non debba avere come scopo

quello di assicurare al povero (operaio sfruttato o contadino miserabile)

un treno di vita pi~colo borghese (non c'è altra alternativa, perché que-

sto treno di vita è quello della storia). Da che punto del mondo io con-

testo disperatamente tutto questo? E chiaro: da un punto del mondo

dove urge un desiderio folle di regresso. Ma non c'è progresso senza

profondi recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni

di vita anteriori: dove si era comunque realizzato l'uomo spendendovi in-

teramente quella cosa sacra che è la vita del corpo.

Un tecnico americano e una guardia rossa disprezzano analogamente

(sia pure per ragioni del tutto diverse) la necessità di questi recuperi, e

si pongono con spirito analogamente sacrilego di fronte al passato.

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Il riformismo insegna a rispettare tutto, in nome di una democrazia

reale--che invece è e continua a essere formale--: insegna a rispettare

l'individuo « bambino », I'individuo « cittadino », I'individuo « malato »

(autoeducazione, autogoverno, autoterapia) ecc.: non insegna a rispet-

tare la volontà di un popolo. Ed è su questo punto che esso può e

deve essere smascherato.

Ad Altamura, lo ha detto la TV, il60 % dei bambini in età scolare,

come si dice: «evadono»; se andassero a scuola s'imborghe-

sizzerebbero senza rimedio?

Quel piccolo groppo di idee deprimenti e avvilenti che un giovane rivo-

luzionario ha in testa come meta della rivoluzione, comprende natural-

mente anche un'idea della scuola come servizio pubblico. C'è una

grande disperazione dentro quella testa: la paura di perdere la presenza

con la « sistemazione», I'ansia piccolo-borghese (ex contadina) per il

domani, la fobia per la miseria e l'insuccesso: è una specie di piccola e

intensa malattia mentale, tenuta nascosta, taciuta. Ma dev'essere ben

grave se è essa che presta limmagine,del «domani migliore»: un do-

mani in cui tutti avranno la casa assi~rata, con gli annessi beni di con-

sumo e il denaro per acquistarli, i~ cui tutti andranno a scuola per im-

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padronirsi della dovuta cultura,~cc. La Borghesia, durante tutto il suo

periodo di gloria, cioè per un,secolo, un secolo e mezzo, si è affannata a

smentire Rousseau, a dichiarare romantica e falsa la sua idea del « buon

selvaggio», senza casa, senza elettrodomestici, senza brache, senza

scuole. Adesso la Borghesia è meno sfacciata. Ammette oggettivamente

--rispettandola in astratto--una cultura selvaggia, e pensa già ottimisti-

camente a un'integrazione, con soddisfazione reciproca. Ad Altamura o

nel Basso Sudan ci sono dei selvaggi: si comincia col non negarne piú

uno stato di realtà, e si cominciano a creare strutture per diffondere la

propria cultura fingendo di assimilare quella subalterna.

Il ~(buon selvaggio», invece, non è un mito; esso esisteoggettivamente:

esiste una felicità selvaggia -- mitissima, contadina, pastorale-- che

ignora scuole e ospedali. Mia madre è vissuta in una Casarsa ancora

selvaggia, e anche io, nella prima parte della mia infanzia, quando si

medicavano !e ferite pisciandoci sopra o si allontanava la tempesta

facendo segnl di croce con una fraschetta di ulivo. Io però ero destinato

a d!venire un piccolo borghese terrorizzato dall'idea della miseria e

dell insuccesso, quindi pavento la mancanza di scuole e ospedali, e di

tutte le altre comodità. Ma sono giunto a un punto della vita in cui la

vita mi appare comunque bella e felice. Gli uomini anonimi, che riem-

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piono a milioni le città e le campagne, mi sembrano dei santi.

Ancora alla TV uno scugnizzo napoletano, che m'ha ricordato

i suoi Riccetti, ha detto che non vuole andare a scuola perché

preferisce fare « u mariuolo». E un fatto che può avere la sua

poesia o, forse, può averla avuta; certo, però, che il «popolo»

oggi, non può essere piu rappresentato dai felici «mariuoli».

Il dialetto, il corpo e i « mariuoli » sono molto piú lenti nell'estinguersi che

la storia nel superarli.

Se lei crede ancora nella rivoluzione, ma non come mito poetico

(Che Guevara, mi pare, diceva che il dovere di un rivoluzionario

è «fare» la rivoluzione), lei, personalmente, sente ancora la

volontà di lottare ?

Monologo di un re

Capperi, si cantava a D.,

10 soldati, ufficiali, uomini di governo;

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sul mare del nord brillava un'insolita giornata di sole;

avevo vent'anni

e da poco ero Re;

consideravo il Re di Danimarca come mio padre--

o uno dei padri, ché di padri ne abbiamo un esercito:

a vent'anni essi ci guardano con distacco o con odio,

ma sempre con una dissennata voglia d'insegnare -- che cosa poi ?

Adesso ho la loro età;

qui a F. altro che canti militari di gioia !

Altro che banchetti ufficiali per uomini soli

che si ubriacano e si danno manate sulle spalle !

Qui si cantano strane antifone;

e naturalmente sono presenti, di diritto, preti e femmine.

Avevo vent'anni

e avevo ucciso il Mostro;

gliel'avevo fatta

da bravo eroe, come ce ne sono pochi e non lo sanno;

e perciò grandi feste, grandi amori;

il domani toccava a noi,

come se ci fossero chissà quanti altri Mostri da uccidere;

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non ce ne furono piú, com'era normale;

quello che avevo vinto, nelle foreste di D., era un caso unico

ma non importa, i nostri petti erano ugualmente pieni

di gioia e di certezza del futuro;

e ora sono qui, la vita se n'è andata

ho l'età di quel vecchio bacucco del Re di Danimarca

che mi aveva chiamato pieno di dolore e di ansia per il suo popolo

(che ci credessi io a qúeste cose va bene, ma lui il vecchio saggio!)

e ascolto le fatali antifone

che non si può proprio dire che siano allegre;

sto morendo,

ma non di morte naturale:

io muoio di ferite:

ho ucciso infatti (alla mia età !) un nuovo Mostro;

sí, pensate, nelle foreste intorno alla mia città, a F.,

si è presentato un Mostro: un secondo caso unico, è evidente;

I'ho affrontato, come quando avevo vent'anni --

cosa dovevo fare ?--e sono riuscto a farlo fuori un'altra volta !

Incredibile: però la vittoria stavolta non me la godo;

non si beve, non si fa bisboccia

non si guarda con gli occhi ubriachi a un lungo domani;

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e stata una vittoria infelice:

anche se i Mostri sono stati due, e due le vittorie,

un uomo non gode che una sola vittoria nella vita !

Una nuova reli~ione, lei dice, in Teorema, potrebbe fare una ri-

voluzione: «ma il nuovo tipo di reli~ione che allora nascerà (e

~e ne vedono ~ià nelle nazioni piú avanzate i primi se~ni) non

avrà nulla a che fare con questa merda (scusi la parola) che è il

mondo bor~hese, capitalistico o socialista, in cui viviamo ».

E un futuro da «profezia»?

Chi ama veramente la vita non pensa mai al futuro. Sia chiaro però:

secisi è una volta illusi che nel mondo c'è qualcosa di giusto e qualcosa

di ingiusto, e ci si è poi accorti che giustizia e ingiustizia non sono che

un aspetto--uno dei tanti delle cose--io penso che si debba continuare

a vivere (e a lottare) come se quell'illusione fosse rimasta intatta:

Preghiera su commissione

Ti scrive un figlio che frequenta

la millesima classe delle elementari.

Page 22: Pasolini Tommaso Anzoino

Caro Dio,

è venuto un certo signor Homais a trovarci

dicendo di essere Te:

gli abbiamo creduto:

ma tra noi c'era uno scemo

che non faceva altro che masturbarsi,

notte e giorno, anche esibendosi

davanti a fanti e infanti, ebbene..

Il Signor Homais, caro Dio, Ti riproduceva punto per punto:

aveva un bel vestito di lana scura, col panciotto

una camicia di seta e una cravatta blu;

veniva da Lione o da Colonia, non ricordo bene

E ci parlava sernpre del domani.

Ma tra noi c'era quello scemo che diceva che invece Tu

avevi nome Axel..

12 Tutto questo al Tempo dei Tempi.

Caro Dio

liberaci dal pensiero del domani.

E del Domani che Tu ci hai parlato attraverso M. Homais.

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Ma noi ora vogliamo vivere come lo scemo degenerato,

che seguiva il suo Axel

che era anche il Diavolo: era troppo bello per essere solo Te.

Viveva di rendita ma non era previdente.

Era povero ma non era risparmiatore.

Era puro come un angelo ma non era perbene.

Era infelice e sfruttato ma non aveva speranza.

I'idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l'idea del domani;

non solo, ma senza il domani, la coscienza non avrebbe giustificazioni.

Caro Dio, facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.

Intervista a cura di Tommaso Anzoino, 1970.

La vocazione letteraria di Pasolini è stata precoce, come del resto tante

vocazioni letterarie; precocissima se, a sette anni appena compiuti, scri-

veva dei versi dove si parlava di « rosignoli » e di « verzura », sebbene, al-

lora, non distinguesse un rosignolo da un fringuello o un pioppo da un ol-

mo. E Pasolini stesso a raccontarlo, nella breve introduzione di se mede-

simo e dei suoi versi al « lettore nuovo » per una recentissima raccolta di

poesie: « Ho cominciato come rigidamente « selettivo " ed " eletto " ».

E un'affermazione che Pasolini fa, e noi accogliamo, con tutte le limita-

Page 24: Pasolini Tommaso Anzoino

zioni del caso; ma anche sappiamo che Pasolini crede a una illogica logica.

per usare un esempio di « sineciosi » (la parola è di Fortini) tanto a lui

cara, molto sotterranea, o sottocarnale, che percorre la sua carriera, in-

cominciata, probabilmente, proprio al tempo dei « rosignoli » e delle « ver-

zure ». Non sarà stata proprio predestinazione, ma molto « selettivo » e

molto « eletto » Pasolini è sempre stato.

Il suo esordio poetico avviene, esclusa ~uella del Contini, senza una

voce di accompagnamento: nessuno di quei clamori che accompagneranno

le successive prove: recensioni a non finire, premi, insulti, applausi, pro-

cessi, apologie, sino agli onori delle battute degli sketch televisivi. Nel 1942

pubblica, a sue spese, presso la Libreria Antiquaria di Bologna, il suo

primo volumetto di versi, Poesie a Casarsa. Sono poesie in dialetto friu-

lano; le ragioni di questa scelta ce le fornisce lui stesso, come farà spes-

sissimo, per ogni altra scelta:

Ora, c'è stato un periodo di quest,a nostra storia in cui l'unica liberta ri-

masta pareva essere la libertà stilistica: il che implicava passività sul fronte

esterno e attività sul fronte interno. Ma non poteva trattarsi che di una libertà

illusoria [...] Tuttavia t...] dotava chi iniziasse il suo apprendistato fra il '30

e il '40--e, in parte, tuttora--del senso di una estrema libertà stilistica:

Page 25: Pasolini Tommaso Anzoino

una lingua fondamentalmente eletta e squisita, classicistica nella sostanza, con

le tangenti però della dilatazione semantica, del pastiche, della pregrammati-

calità pseudo-realista [...] In un simile tipo di lavoro, non si poteva non avere

il senso, inebriante, di essere estremamente liberi: quasi che non ci fosse fine

alla catena delle invenzioni. Era addirittura possibile inventare un intero sistema

linguistico, una lingua privata [...] trovandola magari fisicamente già pronta, e con

quale splendore, nel dialetto (secondo l'esempio, in nuce, del Pascoli) (Passione

e ideologia, pp. 486-87).

In questa apparentemente infinita disponibilità stilistica il dialetto si

poneva come la piú vera, se non l'unica, « realtà »: fisica e spirituale.

Lo stato d'animo del poeta, infatti, era quello « di chi viva--e lo sap-

pia-- in una civiltà giunta a una sua crisi linguistica, al desolato e

violento, je ne sais plus parler rimbaudiano » (La poesia dialettale del

'900 in Passione e ideologia, p. 137); uno stato d'animo che è « no-

stalgia »: nostalgia per un mondo e per una lingua dalla quale, tuttavia

era « distinto »: « una lingua non sua, ma materna, non sua, ma parlata

da coloro che egli amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candi-

damente: il suo regresso da una lingua a un'altra--anteriore e infini-

tamente piú pura--era un regresso lungo i gradi dell'essere ~> (ibidem).

Ma questo « regresso ~> non avviene « attraverso le vie psicologicamente

Page 26: Pasolini Tommaso Anzoino

normali del razionale »: è una « reimmersione », per cui « conoscere equi-

valeva ad esprimere », cioè a un atto d'amore filologico, un'adesione « sen-

suale » a parole, suoni che la lingua dialettale offre a una particolarissima

e privata necessità di conoscere.

E scontato, quindi, che un'operazione di questo tipo non possa ap-

prodare a esiti di poesia popolare; né Pasolini lo nasconde: dopo aver de-

finito, « congetturato » come dice lui, la poesia popolare come prodotto

del rapporto tra le due classi sociali, dominante e dominata, borghesia e

popolo, precisa:

Quando esso [rapporto] è iniziativa di un individuo o di un gruppo della classe

super~ore (direzione quindi discendente) il suo risultato sarà sempre una « poesia

culta » che nel contatto o nell'interesse (qualunque questo sia) col mondo

inferiore, assume caratteri o di « maccaronico » [...] o di « squisito ~> [...] Se

invece tale rapporto è iniziativa di un individuo o di un gruppo di individui

della classe inferiore (direzione ascendente) il suo risultato sarà allora precisa-

mente quella che si chiama « poesia popolare » (La poesia popolare italiana,

in Passione e ideologia, p. 170). 15

« Squisita » è, infatti, la sua poesia friulana, poesia di un borghese

colto, infelice, già allora, per esserlo o, meglio, nell'esserlo, perduto nel

Page 27: Pasolini Tommaso Anzoino

recupero sensuale-filologico di un mondo cui nostalgicamente, furiosamente

e dolcemente tende, per conoscerlo e per riconoscersi in esso. Un'opera-

zione, quindi, di « selezione » e di « elezione ~>, anche se il dialetto, dopo

le prime prove, « era diventato esattamente quello parlato a Casarsa e non

un friulano inventato sul Pirona » (un dizionario friulano-italiano) (Intro-

duzione all'ultima antologia delle Poesie, p. 8).

Altra genesi che non sia quella sensuale-filologica non è possibile

trovare, anche se, successivamente, nel già citato saggio sulla poesia dialet-

tale, che risale al '52, Pasolini cercherà di evidenziare le indiscutibili, sul

piano teorico, intenzioni antiaccademiche dell'operazione dialettale, non-

ché anticonservatrici.

La nostalgia per il mondo friulano e, sopratutto, per il dialetto friu-

lano; la nostalgia di un uomo di una civiltà in crisi (filologica) per una

civiltà ancora pura, incorrotta, vergine, è già nell'epigrafe che Pasolini

pone all'inizio delle Poesie a Casarsa: « Ab l'alen tir vas me l'aire /

qu'eu sen venir de Proensa: / tot quant es de lai m'agensa ». L'autore dei

tre versi è il trovatore provenzale Peire Vidal: « Con il respiro tiro verso

di me l'aria / che io sento venire di Provenza: / tutto quanto è di laggiú

mi dà piacere ».

Page 28: Pasolini Tommaso Anzoino

Pasolini non è lontano dalla patria come Peire Vidal, ma si sente

ugualmente esule, escluso dalla sua terra, una terra che è sí « l'incantevole

paesaggio casarsese, [ ... ] una vita rustica, resa epica da una carica accorante

di nostalgia » (Passione e ideologia, p. 137), ma è, sopratutto, un tempo

della vita, un tempo di- felicità, di sensazioni, ormai perduto: « Fontana

di aga dal me país. / A no è aga pi fres-cia che tal me país. / Fontana di

rustic amour ». L'irripetibilità di certe sensazioni (« a no è aga pi fres-cia

che tal me país ») fuori di quel Friuli dal quale il poeta si sente escluso,

è come una dolorosa privazione dalla felicità. La nostalgia per il « rustic

amour », di un amore, cioè, che lui non può provare, lui malato di una

civiltà diversa, deriva dal senso, quasi fisico, dell'esclusione. Sono versi

importanti, che il poeta colloca come dedica alla raccolta: acquistano il

valore emblematico di tutta un'esperienza sentimentale e letteraria.

Il ritorno al Friuli, il processo di conoscenza di quel mondo, non av-

viene, è stato già detto, attraverso le vie del « razionale »: « Jo i soj un

spirt di amour / che al so país al torna di lontan ». Il desiderio di capire

è per il poeta un atto d'amore. E questo sarà un limite insormontabile

per Pasolini: un rapporto di quel tipo, un rapporto sensuale, nell'acce-

zione piú estesa del termine, non potrà che essere parziale, e non solo per

Page 29: Pasolini Tommaso Anzoino

la evidente, obbiettiva « personalità » del rapporto, ma anche, e sopratutto,

per la continua, ineluttabile riduzione dell'esperienza conoscitiva all'esi-

genza, privata, di sfogare un sentimento. Per questo, alla fine, il poeta si

sentirà « tradito » dal suo Friuli: « dopu che tant intòr / di lòur ài spase-

màt / di amòur par capiju, par capí il puòr / lusínt e pens so essi, a si àn

sieràt / cun te i to òmis sot di un sèil nulàt » (« dopo che tanto intorno /

ad essi ho spasimato / di amore per capirli, per capire il povero, / lu-

cente e duro loro essere, si sono chiusi / con te i tuoi uomini sotto un

cielo annuvolato »). La « chiusura » di quel mondo nei confronti del poeta

è come un atto di ingratitudine, il primo di una lunga serie di cui Pasolini

si sentirà vittima. Ma se il Friuli si mostra ingrato di fronte a tanto amore,

accade, forse, perché non ha saputo, o voluto, ridursi al poeta, al mito

del poeta.

Abbiamo anticipato uno dei motivi conclusivi dell'esperienza dialettale-

friulana di Pasolini; ma ci è parso necessario, per chiarire meglio la natura

del rapporto tra il poeta e quella terra. Un rapporto, lo ripetiamo, sen-

suale; lo stesso che lega, misteriosamente, il paesaggio, la natura, alle

creature umane; viventi, tutti, della stessa vita, colta, quasi sempre, nelle

vibrazioni piú sottili e oscure: « Sera imbarlumida, tal fossàl / a cres l'aga

na femina plena / a ciamina pal ciamp. / Jo ti recuardi, Narcís, ti vèvis ii

Page 30: Pasolini Tommaso Anzoino

colòur / da la sera, quand li ciampanis / a súnin di muart » (« Sera lumi-

nosa, nel fosso / cresce l'acqua, una donna incinta / cammina per il

campo. / Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore / della sera, quando le

campane / suonano a morto »). Il procedimento analogico, qui particolar-

mente chiaro, tra l'immagine dell'acqua che cresce nel fosso e quella della

donna incinta che « ciamina » nel silenzio del campo, esprime, appunto,

il senso, fisico, della vita che emerge dall'oscurità. Un richiamo, ancora,

se non altro a livello di suggestione, si può fare al Pascoli (Il gelsomino

notturno), dell'influenza del quale si parlerà piú tardi. Nella seconda ter-

zina appare Narciso, il « giovinetto », il primo dei tanti giovinetti della

poesia di Pasolini, simbolo, anche esso, della vita che ha in sé il germe

triste della morte, vestito del colore della sera: quindi cielo, aria, natura

anche esso, di una sera che è presentimento intenerito di morte. Ancora:

il mistero della vita, dell'uomo, della natura, creature d'una stessa sen-

suale vitalità: « Jo i nas / ta l'odòur che la ploja / a suspira tra i pras /

di erba viva [...] I nas / tal spieli da la roja » (« Io nasco / nell'odore

che la pioggia / sospira dai prati / di erba viva [...] Io nasco / nello

specchio della roggia »). La gioia della vita giovane è la stessa della terra,

del cielo: « Rit, tu, zòvin lizèir, / sintínt in tal to cuàrp / la ciera calda

e scura / e il fresc, clar sèil » (« Ridi, tu, giovane leggero, / sentendo nel

tuo corpo / la terra calda e scura / e il fresco, chiaro cielo »). Ma anche

Page 31: Pasolini Tommaso Anzoino

la tristezza, quieta, d'una vita lenta, eternamente uguale: « ma nualtris si

vif, / a si vif quiès e muàrs / como n'aga che a passa / scunussuda enfra

i bars » (« ma noi si vive, si vive / quieti e morti, / come un'acqua che

passa / sconosciuta fra le siepi »). E accanto alla vita, la morte: una pre-

senza sempre vicina, proprio perché « naturale », come per il Nini muàr~

che cresce, innocente, tra il silenzio della vita e della morte: « Il soreli

scur di fun / sot li ramis dai moràrs / al ti brusa e sui cunfins / tu i ti

ciantis, sòul, i muàrs » (« Il sole scuro di fumo, / sotto i rami del gel-

seto, / ti brucia e tu, da solo, sui confini, / canti i morti »). In una

condizione di esistenza in cui vita e morte sono termini sempre presenti,

in una stessa innocenza e inconscienza, si giustificano Li letanís dal bel

fí: « Jo i soj un biel fí, / i plans dut il dí / ti prej, Jesus me, / no

fami murí / [...] .To i soj un biel fí / i rit dut il dí, ! ti prej, Jesus me, /

ah fami murí ». Ma la vita, e la morte, sembrano essere innocenti, dolcis-

18 sime e insieme violente sensazioni quando si è giovinetti, come Narcís

dopo che si è cresciuti, dopo che si è diventati uomini, la vita diventa

inerte dolore, anonimo scorrere di stagioni, sconfortato. Qualcosa, allora

deve esistere, per illuminare, sia pure per un attimo, la « lenta acqua che

scorre tra le siepi », qualcosa che non si può trovare dentro di noi o nella

terra: un Dio, un Cristo che pure ha promesso qualcosa: <~ Pleàisi, zent

cristiana, / a scoltà un fil di vòus, / fra dut chistu sidín, / che al ven ju

Page 32: Pasolini Tommaso Anzoino

da la cròus » (« Piegatevi, gente cristiana, / a sentire un filo di voce, /

fra tutto questo silenzio, / che scende dalla croce »).

Il richiamo alla religione, al Cristianesimo, introduce nel rapporto

poeta-Friuli un primo elemento « oggetíivo », una presenza diversa dal-

l'amore privato; la « regressione » alle buie viscere di quel mondo trova

una realtà, anche, di uomini che vivono una vita « sociale », fatta di inge-

nue speranze: « Vegnerà el vero Cristo, operajo, / a insegnarte a ver veri

sogni ». Il mondo semplice, primitivo, innocente del Friuli incomincia ad

esprimere una coscienza nuova di sé, della sua realtà, che non è piú sol-

tanto « naturale », ma sta diventando « storica », « sociale », o meglio:

protostorica e protosociale. Ma questo processo è sopratutto il riflesso

d'uno sviluppo dell'avventura interiore del poeta che guarda al dolore dei

poveri piú concretamente, anche se i poveri, piú che una « classe », sono

una « natura », una forma di vita innocente: « Lassi in reditàt la me

imàdin / ta la coscientha dai sòrs. / I vuòj vuòiti, i àbith che a nasin / dei

me tamari sudòurs. / Coi todescs no ài vut timòur / de lassà la me dove-

netha. / Viva el coragiu, el dolòur, / e la nothenta dei puarèth! (« Lascio

in eredità la mia immagine / nella coscienza dei ricchi. / Gli occhi vuoti

i vestiti che odorano / dei miei rozzi sudori. / Coi tedeschi non ho avuto

paura / di lasciare la mia giovinezza. / Viva il coraggio, il dolore e l'in-

Page 33: Pasolini Tommaso Anzoino

nocenza dei poveri! »).

Anche la presenza dei ricchi, piú che un fatto sociale, è un fatto~

morale: lo sfruttamento cui sono sottoposti i poveri coincide con la

privazione della libertà di vivere la loro vita di bellezza, di gioventú:

« I siòrs a no i pàJn il timp: / i dis robàs a la belessa / ai nuostris paris

e a nos » (« I ricchi non ci pagano il tempo: / i giorni rubati alla bellezza, l9

/ ai nostri padri e a noi »). Questo allargamento di interessi, da una vi-

sione sensuale-privata del rapporto coI Friuli a una visione piú reale, so-

ciale, corrisponde a uno svolgimento della poetica di Pasolini, comple-

mentare a una nuova, fondamentale esperienza culturale: la « scoperta

di Marx ». Preciseremo questo fatto successivamente, a proposito della

poesia in lingua, coeva di questo dialettale, dove è piú evidente.

Due sono i temi piú frequentemente proposti in quest'ultima poesia

dialettale, e che si ritrovano sopratutto nelle sezioni intitolate Testament

Coran e Romancero: la Resistenza e il problema sociale: « In mieth da

la platha un muàrt / ta na pontha de sanc glath. / Tal paese desert coma

un mar / quatro todéscs a me àn ciapàt / e thigànt rugio a me àn menàt /

ta un camio fer in ta l'umbría. / Dopo tre dis a me àn piciàt / in tal moràr

Page 34: Pasolini Tommaso Anzoino

- de l'osteria » (« In mezzo alla piazza c'era un morto / in una pozza di

sangue agghiacciato. / Nel paese deserto come il mare / quattro tedeschi

mi hanno preso / e gridando rabbiosi mi hanno condotto / su un camion

fermo nell'ombra. / Dopo tre giorni mi hanno impiccato al gelso del-

l'osteria »).

Anche qui un problema politico viene inteso come problema mo-

rale: la libertà è libertà di vivere, di essere felice, di essere giovane

(il « Nini » aveva conosciuto allora la sua prima, dolcissima esperienza

d'amore); l'oppressione è la privazione di questi elementari, primitivi e per-

ciò « puri » diritti; la violenza nazista si accanisce non contro il « pa-

triota », ma contro l'innocente che dal sole è trascinato all'ombra, su un

camion. E la violenza della morte crudele si addolcisce in quel gelso gen-

tile, accanto all'osteria.

Il problema sociale della povertà, dello sfruttamento, dell'emigrazione

cui i contadini friulani sono costretti, si stempera nell'accoramento della

solitudine, dell'attesa sconfortata, dell'incapacità di trovarne le « ragioni »:

« Signòur, i sin bessòj, no ti ni clamis pí! / No ti ni òlmis pí an par an, dí

par dí / [...] Vegneít, trenos, puartàit lontàn la zoventút / a sercià par

il mond chel che cà a è pierdút. / Puartàit, trenos, pal mond a no ridi mai

Page 35: Pasolini Tommaso Anzoino

20 pí / chis-ciu legris fantàs paràs via dal país » (« Signore, siamo soli, non

ci chiami piú! / Non ci guardi piú anno per anno, giorno per giorno! /

[ .... ] Venite, treni, portate lontano la gioventú / a cercare per il mondo cic

che qui è perduto. / Portate, treni, per il mondo a non ridere mai piú /

questi allegri ragazzi scacciati dal paese »). Il richiamo alla croce, al

Cristo operaio tace: Dio è troppo lontano, troppo splendente per le miserie

di questa povera parte di terra. I giovani che stanno per emigrare, che

cantano per soffocare il pianto, che si ubriacano per non capire, sono por-

tati via dal treno, lontano, per il mondo, dove non rideranno piú. La vita

nel Friuli, povera, misera, era pur sempre gioventú; e l'ingiustizia è questo

violento spegnersi dell'innocente, pura gioventú.

Anche nei momenti di piú « obbiettivo » impegno conoscitivo, dunque,

il mito del Friuli è pur sempre presente: la terra della gioventú, della vita

felice, misteriosamente, inconsapevolmente felice; e innocente. Il « regres-

so >~ del poeta è quindi un viaggio nella regione dell'anima, alla ricerca

dell'innocenza perduta. Il poeta, d'una civiltà « superiore », stanca, cor-

rotta, cerca nella purezza di un suo mito il conforto alle sue sofferenze di

uomo in crisi che non vuole conoscere la sua crisi, perché il rifiuto della

razionalità glielo impedisce. Il Friuli che, per conoscere, ha tanto amato,

Page 36: Pasolini Tommaso Anzoino

non gli si rivela che un tempo di sensazioni felici, risentite, forse, col rim-

pianto, ma ancora e sempre sconosciuto: « Dis lusíns coma l'aga, / lumíns

frescs, ta l'umit / co la sera a si dislaga / ta li rojs che a profúmin... / A

è dut finít, dut: / un Friúl che al vif scunussút cu la me zoventút / di là

dal timp, ta un timp / sdrumàt dal vint » (« Giorni lucenti come l'acqua, /

freschi lumicini, nell'umido / della sera che si scioglie / sulle rogge pro-

fumate... / Tutto è finito, tutto: / un Friuli che vive sconosciuto con la

mia gioventú, / al di là del tempo, in un tempo / rovesciato dal vento »)

Dopo la pubblicazione delle prime poesie in friulano, nel '42, Pasolin

incomincia a scriverne anche in italiano; le pubblicherà molto piú tardi.

nel '58, nella raccolta L'usignolo della Chiesa cattolica. L'anno prima

(1957) pubblicherà un'altra raccolta di poesie, Le ceneri di Gramsci,

composte, però, in gran parte, dopo quelle dell'Usignolo.

La prima raccolta appare tutta pervasa da un senso di infelicità, di

scoramento; il mondo friulano riusciva talvolta, con i suoi paesaggi, i

suoi fanciulli innocenti, ad acquetarlo; nella poesia in lingua i paesaggi,

quando ci sono, sono estranei, « oggettivi »: i sentimenti, anche i piú

puri, si corrompono. Come se la « lingua » avesse in sé qualcosa di maligno,

di infetto: l'« orribile statua [...] nel museo degli adulti »: « privo di te

Page 37: Pasolini Tommaso Anzoino

com'è dolce il paesaggio / padano, senza ombre di miraggi! » [...] « Senza

la tua minaccia d'alabastro / rivivrò gli slanci per mia madre, / le sog-

gezioni pel mio grembo, ladro / di tenerezze e gentili vergogne... » Sono

versi del poemetto intitolato Lingua: è una poesia-storia, la storia d'un'espe-

rienza felice, o almeno, piú sincera, alla quale il poeta vorrebbe tornare,

ma che, purtroppo, deve finire. L'abbiamo anticipata, pur non essendo tra

le prime della raccolta, perché ci pare sia qui il nodo della crisi che avvi-

lisce ed estenua il poeta: il desiderio di restare in un mondo privato,

sicuro, materno, e la necessità, dapprima awertita confusamente, poi piú

precisa e autoritaria, di guardare fuori di sé, al mondo degli altri, alla

storia. La fanciullezza che nel Friuli era « natura », senso gioioso della

vita, appena velato dal presentimento della morte, diventa, nelle poesie

in lingua, purezza trepidante sotto la minaccia, la paura, ma anche il

desiderio, del peccato: « Lasciami, o Fatale, / sciogli la delicata / stretta

della tua mano / che m'incanta di male » (Supplica).

Il rapporto, ambiguamente sensuale, innocenza-peccato, ripropone

quello vita-morte de La meglio gioventú; e come questo si risolveva nel

mito d'una natura « sensuale », morbosamente vibrante di sottili sensa-

zioni, cosí quello si colloca nel mito d'una religione, non primitiva, ma

« fanciulla », in cui i confini tra innocenza e peccato si confondono in una

Page 38: Pasolini Tommaso Anzoino

trepidazione di sensi: gioia, sofferenza, angoscia misteriosa. E la stessa

divinità è fanciulla, ambigua: « TURRIS EBURNEA. Seni di avorio, / nidi

22 di gigli, / non v'ha violato / mano di padre. / Fianchi lucenti / di nere

nuvole / non vi fa scuro / la nostra pioggia » (Litania). E ancora: « Cristo

il tuo corpo / di giovinetta / è crocifisso / tra due stranieri. / [...] Battono

i chiodi / e il drappo trema / sopra il Tuo ventre » (La Passione).

~ la religione « sensuale-viscerale » di cui parla il Ferretti, legata a

una esperienza vissuta esclusivamente in sogni, visioni. L'esperienza

dolorosa della vita, patita non nella società, nella storia, ma nella casa

nella famiglia, nella carne, nelle lacerazioni dello spirito, porteranno ii

poeta a una ben diversa « interpretazione » della religione. Da quelle espe-

rienze, dal convincimento della « diversità » e della « unicità » della propria

condizione, dal suo immutato « amore per il mondo », il cristianesimo di

Pasolini trarrà la sostanza eretica, « scandalosa », della sua testimonianza:

« Bisogna esporsi (questo insegna / il povero Cristo inchiodato?) / [...]

Noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna, tra le pupille / limpide di

gioia feroce / scoprendo all'ironia le stille / del sangue dal petto ai

ginocchi, / miti, ridicoli, tremando / d'intelletto e passione nel gioco /

del cuore arso dal suo fuoco, / per testimoniare lo scandalo » (Crocifi:s-

Page 39: Pasolini Tommaso Anzoino

sione). Questa vocazione di testimonianza scandalosa sarà la peculiarità

piú duratura del cristianesimo pasoliniano: lo scandalo di una religione-

passione opposta alla religione-autorità della Chiesa cattolica

Ma la professione di disperato amore che viene da quella croce non

basta; l'amore non basta per capire gli uomini. La crisi del distacco dal

mondo fanciullo diventa, gradualmente, questa crisi: all'amore, alla pas-

sione « deve » sostituirsi la ragione. ~ la « scoperta di Marx », come s'inti-

tola l'ultima sezione della raccolta; ma è, sopratutto, la scoperta di Roma

di un mondo diverso, lontano per sempre, dal Friuli-madre: « Fuori dai

tempo è nato / il figlio, e dentro muore. / E ogni giorno affondo / nel

mondo ragionato, / spietata istituzione / degli adulti » (La scoperta di

Marx). La « lingua » e il « tempo » cui aveva tentato, disperatamente

di sottrarsi, impongono, ora, i propri diritti. Ma non c'è nessuna gioia

in questa scoperta: Marx non è che un simbolo freddo di ragione, e Roma

una città straniera, a cui egli è ignoto, provenendo, com'è, da « un'altra

storia ». 2:

Con Le ceneri di Gramsci, pubblicate, come s'è detto, nel 1957,

Pasolini ottiene il primo riconoscimento « ufficiale » per la sua produzione

letteraria: il premio Viareggio. Due anni prima aveva pubblicato Ragazzi

di vita e aveva altresí ottenuto un premio, il Colombi-Guidotti, piuttosto

Page 40: Pasolini Tommaso Anzoino

sconosciuto, almeno ai non addetti e, comunque, passato inascoltato e

inosservato nel clamore del can can sorto, e creato, intorno al romanzo,

e culminato in una denuncia per oscenità. Le poesie raccolte sono quindi,

in gran parte, coeve del romanzo, e si noterà; ma si muovono su di un

piano diverso, almeno apparentemente: testimonianza d'una crisi indi-

viduale-storica le prime; documento ambiziosamente « oggettivo » il

secondo. Alla base della nuova poesia di Pasolini è, prima di tutto, la sco-

perta di Roma, di una Roma fuori dalla tradizione, dalla storia, dalla ci-

viltà: una Roma preumana e subumana:

A Roma dapprima vissi a Piazza Costaguti, vicino al Portico d'Ottavia (il

ghetto! )~ poi andati nel ghetto delle borgate, vicino alla prigione di Rebib-

bia, in una casa restata definitivamente senza tetto (tredicimila lire al mese

di affitto). Per due anni fui un disoccupato disperato, di quelli che finiscono

suicidi poi trovai da insegnare in una scuola privata a Ciampino per venti-

settemi;a lire al mese. Nella casa di Rebibbia, nella fascia delle borgate, ho

cominciato [...] la mia « opera poetica » vera e propria, dalle Ceneri di Gramsci

alla Poesia in forma di rosa (Introduzione al « lettore nuovo », cit.).

Il primo impulso del poeta è quello di « capire », ancora una volta:

capire gli altri per chiarirsi a se stesso. E per capire il nuovo mondo che lo

Page 41: Pasolini Tommaso Anzoino

circonda è necessario che la « memoria » si spenga, consapevole di essere

fuori dalla storia: « ~ necessità il capire / e il fare: il credersi volti / al

meglio, presi da un ardire / sacrilego a scordare i morti... » (L'umile Italia).

La religione e la ragione, la passione e l'ideologia, il vecchio e il nuovo

atteggiamento, a volte separati, e dolorosamente, a volte mescolati in

una superiore, ma « oscura » sintesi d'amore, sono gli strumenti che il

poeta trova, cercandoli dentro e fuori di sé, per « capire ». Perché il

mondo da cui è attirato, il mondo degli esclusi, di quelli che hanno

24 vissuto sinora, incolpevoli, fuori dalla storia, non può essere « sistemato »,

« organizzato >; da un atto di forza raziocinante (ed è questo un motivo

che trover~mo sin nell'« ultimo » Pasolini): il « preumano » ha bisogno

di giustizia, ma di una « sua » giustizia. Il sottoproletariato che cinge

d'assPdio, dalle borgate squallide, la città eterna sembra pronto: « Un

esercito accampato nell'attesa / di farsi cristiano nella cristiana / città,

occupa una marcita distesa / d'erba sozza nell'accesa campagna: / scen-

dere anche egli dentro la borghese / luce spera aspettando una umana //

abitazione, esso, sardo o pugliese, / dentro un porcile il fangoso desco /

in villaggi ciechi tra lucide chiese... » (L'Appennino). La Roma borghese

la Roma del potere, sente, tutt'intorno, questa ansia che sale, minacciosa

pur soltanto nel suo essere: « La jungla delle anime scure / come la

Page 42: Pasolini Tommaso Anzoino

pelle e gli occhi, che / la moderna vita nutre a dure / necessità e bassezze

ormai è / su Roma, la stringe in impure / confusioni, in ciechi smarri-

menti / di stile, come una piena sale / oltre i rotti argini: impotente /

la Roma del potere ne sente, / ancora plebe, l'ansia nazionale » (L'umile

Italia). Parecchi anni piú tardi, nel '68, nella già citata intervista a

Camon, Pasolini nominerà « razzismo » borghese l'atteggiamento della

storia e della civiltà che ha impedito, e impedisce, a quell'« ansia nazio-

nale » di realizzarsi. E le responsabilità non sarebbero soltanto dei borghesi

che, quando lui parlava di quel sottoproletariato, lo « avrebbero voluto

mettere in prigione »; ma dei comunisti, « che mi ridevano in faccia »

degli Asor Rosa, « borghesi comunisti » che lo « analizzavano come spie di

un Comitato Rivoluzionario ». E diciamo questo non per riattizzare delle

polemiche, il che non avrebbe piú senso, ma perché ci sembra necessario

tenerlo presente per comprendere certe poesie delle Ceneri di Gramsci

e, sopratutto, I'accanimento doloroso con cui Pasolini si rivolge a quel

mondo, escluso da « tutti » gli altri, sobbarcandosi l'ingrato compito di

« conoscerlo » ed « esprimerlo ».

Il poemetto che da il titolo alla raccolta risale al 1954 e rappresenta,

senza dubbio, il tentativo piú completo che il poeta compie per chiarire

Page 43: Pasolini Tommaso Anzoino

a se stesso la propria crisi. Ma non per uscirne. E il rifiuto, pur sempre

legittimo, di uscire da una crisi non si motiva in Pasolini unicamente per

una « delusione ideologica » o per una sovrabbondanza di « passione », ma

anche per una scelta di poetica. Rispondendo, nel 1962, a una inchiesta

di « Nuovi Argomenti », Sette domande sulla poesia, cosí scriveva Paso-

lini: « Nella storia nostra--e nella specie mia--/ non la poesia è in

crisi, ma la crisi è in poesia ». Risolvere, e positivamente, una crisi signi-

ficherebbe « sistemare » e, quindi, « finire » una realtà, in noi o fuori di

noi; significherebbe (anche a non voler prendere alla lettera quel distico)

inacidire il lievito della poesia; di qui, anche, l'avversione passionale di

Pasolini per tutto ciò che è dottrina, sistema, organizzazione.

L'incontro con Gramsci, con le sue povere ceneri, avviene nel Cimitero

degli Inglesi, in una triste giornata di maggio, di « impuria aria », abba-

gliata di « cieche schiarite », sotto « un cielo di bava ». In questa atmo-

sfera pesante, grigia, sparsa di « una mortale pace » appare la piccola

tomba: « Uno straccetto rosso, come quello / arrotolato al collo ai

partigiani / e, presso l'urna, sul terreno cereo, // diversamente rossi,

due gerani. / Lí tu stai, bandito e con dura eleganza / non cattolica,

elencato tra estranei // morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranza / e

vecchia sfiducia, ti accosto, capitato / per caso in questa magra serra... »

Page 44: Pasolini Tommaso Anzoino

Intorno, le tombe aristocratiche, borghesi; piú lontano, il fragore sordo

« del dimesso rione » che lavora, in violenta contrapposizione. E il poeta,

nel suo povero, umano tormento « del mantenermi in vita »; nel suo

tormento piú grande, « immedicabile », per usare un aggettivo a lui caro,

del borghese che ama e odia il suo mondo; che vede la profonda divisione

che Gramsci ha indicato « e ora, scisso /--con te--il mondo... », e

non sceglie; che in questa non volontà trova la ragione della propria

« sussistenza ». ~ l'affermazione del proprio « scandalo »: « Lo scandalo

di contraddirmi, dell'essere / con te e contro di te; con te nel cuore, /

in luce, contro te nelle buie viscere ». La contraddizione dolorosa che è

il nodo della crisi non può sciogliersi: l'adesione a Gramsci nella « luce »

dell'intelligenza acuisce, nello stesso tempo, il distacco da lui: « attratto

da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione // la sua allegria,

26 non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza... »

L'« eresia » del poeta trova qui la sua piú lucida denuncia: la « vita

proletaria » che lo « attrae » non è quella della « classe » operaia, o

contadina, « organizzata » nella lotta e nella coscienza; è la vita senza

coscienza se non di essere: « quella vita non è che un brivido, // corporea,

collettiva presenza; / senti il mancare di ogni religione / vera; non vita,

ma sopravvivenza //--forse piú lieta della vita--come / d'un popolo

di animali, nel cui arcano / orgasmo non ci sia altra passione // che per

Page 45: Pasolini Tommaso Anzoino

l'operare quotidiano: / umile fervore cui dà un senso di festa / l'umile

corruzione. » In nome di che cosa « Mi chiederai tu, morto disadorno, /

d'abbandonare questa disperata / passione di essere nel mondo? » La

« ragione » non è un'alternativa: non c'è alternativa. Per questo il dramma

del poeta è un « dramma irrisolto ».

Il tentativo di dare una dimensione storica al proprio dramma indi-

viduale è visibile anche ne Le ceneri di Gramsci, quando si denuncia

drammaticamente, l'incapacità dell'« ideologia », anche marxista, di cono-

scere la « natura » del « millenario » popolo; nei limiti, evidentemente

in cui un « mito » riesce a storicizzarsi. La « insufl~cienza » ideologica

di Pasolini, sulla quale tutti, o quasi, sono d'accordo, non è tanto una

mancanza di chiarezza teorica e pratica, quanto una resistenza della vo-

lontà, della coscienza a violare il « rispetto » che si deve all'autonomia

dell'uomo, del popolo, intesi al piú basso livello esistenziale, extrasocio-

logico. :~ una linea che Pasolini porterà avanti sempre, fino ad oggi, con

tale intransigenza da qualificarsi come una sorta di dommatismo morale.

Quanto, poi, al tentativo di storicizzare la sua crisi, questo processo

va inteso in un senso tutto particolare: non tanto il poeta riesce a ogget-

tivare nella storia il suo « scandalo », la sua « eresia »- quanto, piuttosto

Page 46: Pasolini Tommaso Anzoino

dalla storia accoglie dei fatti, delle lezioni dalle quali il suo dramma,

ancorché pacificarsi e risolversi, si sostanzia di nuovo dolore e di nuova

« storicità ». i~ il caso dei tre maggiori poemetti, successivi a Le ceneri

di Gramsci: Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi e La terra

di lavoro. Sono tutti del 1956, un anno cruciale della storia del mondo e

in particolare, del mondo comunista: l'anno del XX Congresso del PCUS

e della rivolta d'Ungheria: l'anno della « speranza » e della « sconfitta ».

Il pianto della scavatrice, tuttavia, non è un canto di speranza o alla

speranza; ma il canto della inadattabilità del poeta ad accedere a una

speranza che venga da fuori del suo mondo e del suo mito: « Ecco, se

acceso / alla speranza--che, vecchio leone / puzzolente di vodka, dal-

l'offesa // sua Russia giura Krusciov al mondo -- / ecco che tu ti

accorgi che sogni. [...] Anzi, quel nuovo soffio di vento // ti ricaccia

indietro dove / ogni vento cade: e lí, tumore / che si ricrea, ritrovi //

il vecchio crogiolo d'amore, / il senso, lo spavento, la gioia ». i~ l'insor-

gere, sempre, del sentimento, quel sentimento che lo fa vergognare di

non poter essere « al punto in cui il mondo si rinnova », di non potersi

accordare col mondo; quel sentimento che lo richiama indietro, al « vecchio

crogiolo d'amore » in cui si consuma e si rinnova la disperata comunione

col « suo » mondo escluso dalla storia.

Page 47: Pasolini Tommaso Anzoino

Eppure, in quei mesi, nell'« esilio » di Rebibbia, egli s'era sentito

come rinascere. Aveva incominciato a conoscere il mondo divenuto « sog-

getto / non piú di mistero ma di storia », vivendo nelle vive esperienze

« di Marx o Gobetti, Gramsci o Croce ». I pochi amici che andavano

a trovarlo « mi videro dentro una luce viva: / mite, violento rivoluzio-

nario // nel cuore e nella lingua. Un uomo fioriva. » Ma era stato non

piú che un passeggero « eroico furore », una vampata di giovanile entu-

siasmo. Il poeta, vecchio della sua mancanza di speranza, guarda, di nuovo

angosciato, la scavatrice che distrugge urlando « ciò che era / area erbosa,

aperto spiazzo » e che sarà « cortile, bianco come cera / chiuso in un

decoro che è rancore [...] in un ordine che è spento dolore ».

Non c'è polemica contro il progresso che distrugge la « natura»,

tema, peraltro, assai poco « eletto »; né d'altra parte, come osserva il

Fortini, un atteggiamento possibilista del poeta al riformismo; ma solo

l'accoramento, razionalmente immotivabile, per « ciò che muta, anche /

per farsi migliore »: l'atteggiamento di chi non riesce ad accedere a una

speranza « oggettiva ». Per questo guarda angosciato gli operai che innal-

28 zano « il loro rosso straccio di speranza ».

Una polemica in versi si distingue tra gli altri poemetti per un piú

Page 48: Pasolini Tommaso Anzoino

preciso obbiettivo polemico e per una piú marcata impostazione « ideo-

logica ». Il tempo morale della poesia è quello dei tragici fatti d'Ungheria-

all'amico comunista awilito, confuso, « perduto », addita « le rosse ban-

diere [...] cascare t...] senza vento ». S'è compiuto il tradimento del

popolo, e l'errore è stato commesso dai capi, dai « politici », dai « tatti-

cisti », dal « prospettivismo » letterario: a vi siete assuefatti, / voi, servi

della giustizia, leve // della speranza, ai necessari atti / che umiliano il

cuore e la coscienza. / Al voluto tacere, al calcolato // parlare, al deni-

grare senza / odio, all'esaltare senza amore; / alla brutalità della pru-

denza // e all'ipocrisia del clamore. / Avete, accecati dal fare, servito /

il popolo non nel suo cuore // ma nella sua bandiera ». Gli uomini del-

l'idea hanno voluto guidare il popolo, che è odio e amore, « senza odio »

e « senza amore »: non hanno saputo conoscerlo; e lo hanno servito in

ciò che esso non capiva e non chiedeva.

La polemica, meno violenta nelle parole, ma non nel sentimento, si

allarga ad « altri compagni di strada » che « ossessi » dalla paura di essere

ciò che furono, chiedono « il mistico rigore d'un'azione / sempre pari

all'idea ». Non è questo che egli chiede: « ~ all'errore / che io vi spingo,

al religioso / errore ». ~ il richiamo all'« eresia », il richiamo che con-

tinuerà a ripetere, nei momenti di maggior impegno « civile », sino

Page 49: Pasolini Tommaso Anzoino

ad oggi.

I1 poemetto si conclude con la descrizione della triste festa popolare:

i ragazzi « dentro i panni festivi » pazzi di gioia nella loro « generosità

senza pudore »; gli uomini, ubriachi, con le famiglie, intorno alla sporta

della merenda; i « giovincelli pugili » in mezzo al pubblico, ironico e cat-

tivo, allegro e infido. Ma è un'atmosfera ambigua, sovrastata, « non sai »

se da « piú intenso dolore » o da « piú intenso amore ». Tutto, a poco

a poco, diventa falso, innaturale, smarrendosi in una infinita mestizia

senza perché. Sulla « sfiorita festa » aleggia, alla fine, « tanta malinconia ».

E in questo un po' troppo dolce sentimento in cui si diluisce « la vita », si

smorzano, senza piú vento, anche la passione e l'ira del poeta.

La terra di lavoro, l'ultimo componimento della raccolta, segna l'ap-

prodo del poeta a una desolata verità: la delusione patita non può che

riportare alla « vecchia passione », al « paradiso terrestre »; ma infecondi

entrambi, perché chiusi, ormai, a quel mondo che tanto aveva amato.

Come il Friuli, un tempo, ma con in piú una consapevolezza nuova. Quei

poveri che viaggiano, tristi, squallidi, abbandonati, nel treno che attra-

versa la terra di lavoro, che « con una vita di altri secoli, sono / vivi in

questo », e che, tuttavia, per un momento, avevano veduto « una pura /

ombra che già prendeva nome / di speranza », « la luce del riscatto »,

Page 50: Pasolini Tommaso Anzoino

sono stati rinchiusi nel ghetto, fuori della storia. E colpevoli sono tutti

guelli che vivono nella storia: « Gli è nemico chi straccia la bandiera /

ormai rossa di assassini; // e gli è nemico chi, fedele, / dai bianchi

assassini la difende. / Gli è nemico il padrone che spera // la loro resa,

e il compagno che pretende / che lottino in una fede che ormai è

negazione / della fede ». E, insieme agli altri, impotentemente colpevole,

è anche il poeta: « e anche la tua pietà gli è nemica ».

Non a torto la critica ha considerato Le ceneri di Gramsci la piú

significativa delle opere di Pasolini. La crisi che il poeta ha lucidamente

¨~hiarito a se stesso rimarrà come motivo di fondo di tutta la produzione,

in versi e in prosa, successiva: ora sotterraneo, ora in primo piano; ora

ricondotto a personale e privata esperienza, ora dilatato a lacerante con-

dizione del mondo. In questa raccolta Pasolini è riuscito eflfettivamente a

concretizzare, in poesia, in linguaggio, un'esperienza sentimentale e cultu-

rale per certi aspetti privilegiata. Nell'Usignolo della Chiesa cattolica i

miti privati si traducevano in una lingua a volte preziosa, ricercata; a

volte idilliaca, intenerita; a volte anche volutamente prosaica. Ma sempre

disancorata da una realtà che non fosse quella morbosamente sensuale

dei sogni e delle visioni. Di qui la sovrabbondanza dei procedimenti

Page 51: Pasolini Tommaso Anzoino

analogici, il continuo ricorso alle immagini, alle comparazioni, sotto l'in-

fluenza, anche, del Pascoli, che si riscontra pure in certe strutture metriche.

Il discorso si fa piú concreto verso la fine, con la « scoperta di Marx », di

30 Roma, della realtà.

Nelle Ceneri di Gramsci queste scoperte sono la condizione e la

determinazione del nuovo linguaggio. E Pasolini stesso a confermarcelo:

La stessa passione che ci aveva fatto adottare con violenza faziosa e ingenua

le istituzioni stilistiche che imponevano libere esperimentazioni inventive, ci fa

ora adottare una problematica morale, per cui il mondo che era stato, prima,

pura fonte di sensazioni espresse attraverso una raziocinante e squisita irrazio-

nalità, è divenuto, ora, oggetto di conoscenza se non filosofica, ideologica: e

impone, dunque, esperimentazioni stilistiche di tipo radicalmente nuovo (Pas-

sione e ideologia, p. 488).

Questo nuovo « sperimentalismo », proprio per il diverso tipo di

impegno che lo sollecita, conduce il poeta al rifiuto d'una poesia « libera »

d'inventarsi e di un linguaggio altrettanto libero: « la lingua che era

stata "portata tutta al livello della poesia" tende ad essere aabbassata

tutta al livello della prosa", ossia del razionale, del logico, dello storico

Page 52: Pasolini Tommaso Anzoino

con l'implicazione di una ricerca stilistica esattamente opposta a quella

precedente. Ne deriva una, probabilmente imprevista, riadozione di modi

stilistici prenovecenteschi, o tradizionali nel senso corrente del termine,

in quanto rientrati ormai naturalmente nei confini del linguaggio razionale,

logico, storico, se non addirittura strumentale » (ibidem, p. 489).

Per questo ritorno alla « tradizione » sono stati fatti i nomi di Car-

ducci e, principalmente, di Pascoli (rinviamo, per questi aspetti, alle

illuminanti analisi di Ferretti, Asor Rosa, Bàrberi Squarotti); si potrebbe

anche fare il nome di Leopardi, dell'ultimo, ovviamente. I1 passaggio dalla

poesia lirica al poema epico-lirico avviene, infatti, sotto il segno di un

illuminismo poetico attento, con un rigore insospettabile in Pasolini, a

realizzare nella concretezza del linguaggio la logica interna al pensiero,

al sentimento. L'esito piú alto di questa poesia, infatti, è quello di aver

razionalizzato, e quindi concretizzato, e quindi, anche storicizzato, una

crisi che muoveva da troppo volutamente oscure origini.

Questo ci interessa sopratutto mettere in evidenza: una coerenza, che

non potrà certo essere irreprensibile, come tutte le coerenze in poesia, tra

poetica e poesia. Un'analisi approfondita nei dettagli qualitativi di questa

coerenza, porterà sicuramente a giudizi di « valore » non sempre positivi;

Page 53: Pasolini Tommaso Anzoino

ma questo potrebbe anche non interessare troppo, a meno di non fare del

« valore poetico » un canone mitico.

« L'ho già detto tante volte, in tante interviste [...]: ciò che mi ha spinto

a essere comunista è stata una lotta di braccianti friulani contro i lati-

fondisti, subito dopo la guerra (I giorni del Lodo De Gasperi doveva

essere il titolo del mio primo romanzo, pubblicato poi nel 1962 col titolo

Il sogno di una cosa). Io fui coi braccianti. Poi lessi Marx e Gramsci »

(Al lettore nuovo, p. 10).

Il primo romanzo di Pasolini, dunque, nasce sotto l'impulso di una

precisa esperienza storico-sociale, nel '48-'49, alla conclusione, o quasi, del

movimento neorealista. E del romanzo neorealista ci sono alcuni ingre-

dienti: l'ambiente popolare-contadino, il motivo sociale, la denuncia mo-

rale; la fiammella conclusiva della speranza: « il sogno di una cosa ».

E, ancora, il linguaggio: concreto, realistico, impostato molto frequente-

mente sul dialogo, sulle descrizioni minuziose, senza particolari « inven-

zioni » (ma non che nel neorealismo non ve ne siano). Ma accanto, o sotto,

tutto questo c'è il Friuli; non il Friuli-Provenza del letterato nostalgico,

ma il Friuli mitologico-popolare pure cantato ne La meglio gioventú. Il

motivo centrale del romanzo, il « nucleo lirico », infatti, non è il « lodo

Page 54: Pasolini Tommaso Anzoino

De Gasperi », un provvedimento inteso a risolvere il problema della

disoccupazione bracciantile, ma la casa dei Faedis, la famiglia patriarcale

che coagula intorno a sé tutte, o quasi, le azioni del romanzo. I Faedis

sono contadini proprietari, cattolici osservanti: le loro ragazze vanno dalle

monache ad aiutarle a tenere l'asilo; le donne vanno ogni sera alla « fun-

zione »; il capo famiglia pensa che « i comunisti sono tutti delinquenti,

gente che non ha voglia di lavorare! »; ma ugualmente ospita i giovani

32 col fazzoletto rosso al collo, dopo le dimostrazioni. D'altra parte religione-

chiesa e comunismo sono realtà che convivono senza problemi e senza

nemmeno rispettosi formalismi: nella sede del Partito, alla parete, è

appeso il crocifisso accanto al ritratto di Stalin; e Nini, uno dei giovani

comunisti, troverà lavoro con la raccomandazione del pievano. Non c'è

alcun riflesso, in questo, di certi atteggiamenti cristiano-marxisti di Paso-

lini, che, peraltro, devono ancora maturare: è una « qualità » dell'anima

popolare che il poeta rinviene nel suo Friuli. Ed è, comunque, un aspetto

marginale.

La casa dei Faedis, e molto spesso la stalla, infatti, è il luogo in cui

si radunano e si esprimono le « qualità » di quella gente: le chiacchiere

delle donne, i silenzi brontolosi degli uomini, i rossori improvvisi delle

ragazze, le innocenti protervie dei fanciulli; e poi il vino, le canzoni

Page 55: Pasolini Tommaso Anzoino

gridate nell'ubriacatura, le amicizie dei giovani, il lavoro dei campi, le

tirchierie, il vestito nuovo una volta all'anno. In disparte, quasi schiac-

ciata sotto il peso di questa vitalità esuberante, Cecilia, la ragazza che

dimostra meno anni di quanti ne ha, col viso « di agnellino », sempre

silenziosa, vergognosa, che sente, sbigottita, nascere dentro di sé l'amore

per Nini, e piange, quando le cugine e le amiche, piú sfrontate, alludono

al suo « moroso ». Cecilia è uno dei pochi personaggi femminili di Pasolini,

ma la sua femminilità non è sesso: è la dolcezza del volto, il languore puro

degli occhi; sono le paure misteriose, i fremiti angosciosi di tanti « giova-

netti » delle poesie friulane e della prima poesia in lingua. La disperazione

di non poter essere donna (Nini si è sposato con un'altra) si risolverà,

silenziosamente, innocentemente, in un convento. ~ il mito della fanciul-

lezza « vittima incolpevole »; come in Eligio, il « compagno » di Nini

che vive la sua breve vita spegnendosi a poco a poco. La giovinezza si

consuma con la sua allegria. L'allegria delle feste paesane, delle bevute.

delle canzoni; l'allegria violenta del « loro » impegno politico, del « loro »

comunismo: « E correndo si lanciavano grida quasi allegre, perché il riu-

scile a sfuggire era un successo sui poliziotti »; « Allora [...] i ragazzi

per non voler darsi vinti, cominciarono a cantare anche loro, a tutta forza

con le voci che si perdevano nel silenzio dei campi freddi e verdini:

~Avanti popolo, alla riscossa, bandiera rossa, bandiera rossa...» »; l'allegria

Page 56: Pasolini Tommaso Anzoino

della vita stessa, per povera che sia, l'allegria « naturale » di Eligio, figlio

del popolo, si consuma nella fame patita in Jugoslavia, dov'era andato per

trovare lavoro e da dove era tornato deluso e malato; nello spietato lavoro

alla cava, patito con sorridente semplicità, per spegnersi nella morte,

all'ospedale, ormai finita, distrutta. Una morte che assume il significato

d'un martirio, la testimonianza d'una « cosa » che la gioventú, e il popolo,

hanno dentro ma non sanno esprimere:

Stette a guardarlo per qualche tempo fissamente: pareva che qualcosa come

un sorriso nascesse in fondo ai suoi occhi spenti. Puntò ad un tratto un dito

verso il Nini, ma il braccio gli ricadde subito, mentre nuovamente diceva, ge-

mendo, delle parole senza senso. « Una cosa », pareva dicesse, « una cosa! ».

E accennava, come ammiccando, a qualcosa che sapevano bene lui e il Nini e

Milio. Ma non parlava, non riusciva a dire che cosa fosse. Ce l'aveva negli occhi.

Non sarebbe riuscito a dirlo nemmeno quand'era forte e pieno di vita, figurarsi

se riusciva a dirlo adesso che stava morendo » (p. 213).

Non è dimcile cogliere nella vicenda di Eligio spunti che saranno poi,

con ben altra « epicità », sviluppati ne Le ceneri di Gramsci e, in maniera

ancora diversa, nei romanzi successivi.

Page 57: Pasolini Tommaso Anzoino

Come a una « mitologia popolare », ma di tipo diverso, populistico,

si devono ricondurre i due capitoli in cui è descritta la lotta per il « lodo

De Gasperi ». La lotta è quasi una festa: « allegria ». I ragazzi ne sono

i protagonisti, naturalmente, perché i ragazzi sono la figurazione del

popolo, giovane, appunto, per natura. E insieme ai ragazzi, la bandiera:

Livio [...] fece due passi verso la parete opposta, dove, dietro l'armadio,

stava appoggiata la bandiera, e ridendo la tirò fuori di tra i calcinacci e la

srotolò. « Domani sventolerai in testa alle Avanguardie di San Giovanni », disse.

« Auguri! ». Gli altri risero divertiti alle sue parole. « Domani », continuò un

adolescente di Braida, afferrandola, « ti metteremo sotto il naso dei Pitotti e

degli Spilimbergo ». « Che sentano bene di che cosa sai! », gridò Onorino, e la

scosse forte per un lembo: la bandiera si spiegò del tutto e quasi ricoperse le

teste di quelli che erano accanto. « Evviva la nostra bella bandiera », gridò

Eligio, cominciando ad agitarla allegramente (pp. 93-94).

Appare evidente la fondamentale retoricità e della scena e delle parole

che si pronunziano, come avviene nel migliore, o peggiore, populismo e

neorealismo, e che scade, a volte, a livello di vera e propria puerilità:

« Ma non c'era niente da fare, quel giorno, con la forza del popolo »

(manca solo il punto esclamativo) (p. 127). « "A domani!" gli gridò dietro

Page 58: Pasolini Tommaso Anzoino

Eligio. Poi ognuno pedalò verso casa sua, col cuore leggero per la bella

vittoria » (p. 129).

Il giorno successivo alla « bella vittoria » la polizia e l'esercito riescono

a disperdere i dimostranti: è la sconfitta. Ma c'è la casa dei Faedis ad

accogliere i giovani coi fazzoletti rossi al collo; e in quella casa, col vino,

le chiacchiere, le ragazze, la « festa » dei giovani continua. E tornando

a casa, allegri, sentono d'aver vinto ugualmente, perché sono sfuggiti alla

polizia, e perché possono cantare ancora Bandiera rossa.

Tutto questo, se proprio lo si vuole etichettare, è neorealismo; ma

non basta per fare de Il sogno di una cosa un romanzo neorealista. I miti

privati del poeta: il Friuli, la gioventú, non riescono, per quanto Pasolini

si impegni, a storicizzarsi. Non che nel neorealismo manchino « miti » e

« idilli » e « lirismi »; anzi: sono queste le sue piú evidenti « qualità ».

Ma è che nel neorealismo la mitizzazione, in genere, segue, o si accompagna,

a una presa di coscienza, confusa, nebulosa ecc. della realtà, e di una realtà

politico-sociale « specifica »; nel romanzo di Pasolini, invece i miti sono

pre-esistenti alla realtà, a quella realtà: sono miti della memoria.

Si è già detto dell'importanza fondamentale che ha avuto per Pasolini

Page 59: Pasolini Tommaso Anzoino

il trasferimento a Roma. Lo vogliamo ribadire con le sue stesse parole:

« Roma nella mia narrativa ha quella fondamentale importanza [...] in

quanto "violento trauma e violenta carica di vitalità", cioè esperienza di

un mondo e quindi in un certo seno ' del " mondo » (« La Fiera lettera- 35

ria », 30 giugno 1957). L'ambiguità di quell'attenuazione « in un cerro

senso » può confondere. Potrebbe far intendere, per esempio, che il popolo

della periferia, delle borgate è « il >~ popolo; ma è un'affermazione che

non regge: la maggior parte dei critici, da Salinari a Ferretti ad Asor Rosa,

l'hanno destituita di valore. Al massimo sarà il « popolo » della mitologia

pasoliniana. E non riesce difficile convincersene. Ma dalla lettura delle

Ceneri di Gramsci, sopratutto, abbiamo tratto la convinzione che per

Pasolini esiste un mondo, un popolo, che vive fuori dalla storia perché

dalla storia è stato escluso, e non solo dalla borghesia, ma anche da quelli

che vivono e lottano per il popolo. Il ghetto si è richiuso: né il calcolo

borghese, né il razionalismo marxista possono riaprirlo. Vi si può entrare

solo con l'amore; e una volta entrato, il poeta, fattane esperienza, può fare

l'esperienza « del » mondo, la dolorosa esperienza del mondo. Ed è un dolore

tutto suo, ché lui solo, e non quelli del ghetto, possono averne coscienza

Questa la « passione » di Pasolini nel periodo in cui scrive Ragazzi di vita,

e non solo in quel periodo, come abbiamo visto. E questa 1'« ideologia »:

Page 60: Pasolini Tommaso Anzoino

Per far parlare le cose, bisogna ricorrere a una operazione regressiva: infatti

le « cose »--e gli uomini che ci vivono immersi, sia proletari, nelle « cose »

intese come lavoro, lotta per la vita, sia borghesi, nelle « cose » intese come

totalità e compattezza di un livello culturale--si trovano a dietro » allo scrit-

tore.filosofo, allo scrittore-ideologo. Tale operazione regressiva si traduce quindi

in una operazione mimetica (dato che i personaggi usano un « altro » linguaggio,

rispetto a quello dello scrittore, atto a esprimere un « altro » mondo psicolo-

gico e culturale). L'operazione mimetica è poi l'operazione che richiede le piú

abili e accanite ricerche stilistiche (data la necessaria contaminazione di lin-

guaggi, quello del narratore e quello del personaggio, lingua e dialetto ecc.).

Sicché risponderei, in conclusione: bisogna, certo, lasciar parlare, fisicamente, im-

mediatamente le cose: ma per « lasciar parlare le cose », occorre « essere scrit-

tori, e anche perfino vistosamente scrittori » (« Nuovi Argomenti », 1957).

Una teoria che, appunto teoricamente, appare ineccepibile; meno,

forse, poco dopo, quando ne riassume, un po' sumcientemente, la so-

stanza: ~ La lingua non è che un mezzo [...] se il personaggio e l'ambiente

36 scelti sono popolari, il romanziere usi o totalmente o parzialmente il

dialetto, se il personaggio e l'ambiente scelti sono borghesi, il romanziere

usi la koiné: vedrà che non sbaglia ».

Page 61: Pasolini Tommaso Anzoino

L'« operazione mimetica » cui Pasolini ricorre, da « vistoso scrittore »,

si dispone a tre livelli di lingua: il dialetto, la « contaminazione », la

lingua sua, la koiné. Il ricorso al dialetto, a differenza del friulano, lingua

materna, affettiva, sensuale, è qui una necessità « scientifica », di poetica.

Piú o meno scientifica ne sarà stata l'esperienza, l'acquisizione, con o

senza registratore; altrettale la riduzione del vasto dialetto romanesco al

gergo di borgata. Già questa operazione, tutt'altro che quantitativa, può

convincere della ingenua velleità (ammesso che Pasolini l'abbia mai avuta)

di fare di quel popolo « il » popolo. Anzi, proprio questa riduzione al

gergo, al di là della necessità della mimesi, vuole sottolineare la riduzione

al ghetto, l'esclusione dalla Roma « civile ». Né dovrebbe sorprendere

l'obbiettiva esiguità lessicale di quel gergo (non piú di centoventi voci

registrate nel vocabolarietto, a fine libro) e in gran parte riconducibili

a tre motivi: il sesso, il denaro, il movimento. Se il popolo, quel popolo,

è « natura », « pura fisicità », l'espressione non si realizza che a signifi-

carne gli elementari bisogni e istinti. A questo si aggiunga il frequentissimo

usi di costrutti brachilogici del tipo dei famigerati « li mortacci »,

« vaffan... » e « fijo de na mignotta » che si adattano, proprio per la loro

polisemanticità, a qualunque occasione e a risolvere qualunque situazione.

L'insistenza può essere fastidiosa (a un certo punto anche un cagnolino

Page 62: Pasolini Tommaso Anzoino

è un « fijo de... »), ma « scientificamente » la si deve registrare. Senza

considerare per forza che quel linguaggio è fastidioso perché quel mondo

è fastidioso.

Ma il filologo Pasolini, a un certo punto, com'è suo costume, si ap-

passiona a quel gergo e cosi per puro, questa volta, amore di filologia,

sembra volerci informare che, per esempio, « prostituta » in quel gergo

si può dire in quattro o cinque modi. Tanta disponibilità di sinonimi

potrebbe, anche, essere tipico di quei ragazzi di vita; ma stupisce, di contro,

la « univocità » per significare altre cose. Cosí come non riusciamo a

spiegarci, se non, appunto, con il puro interesse filologico, per esempio,

questo passo: « fece il Riccetto schioccando con la bocca. "Ih li zeeeeppi",

fece poi, guardando sull'acqua, "li zeeeeppi! » Sul pelo della corrente

passavano un po' di rottami, una cassetta fraccica e un orinale » (p. 11).

« Zeppi », c'informa l'autore, vuol dire « stecchi »; e di stecchi un fiume

ne trasporta tanti, certo molto di piú che non rottami, cassette « fracciche »

e, sopratutto, orinali; il Riccetto, inoltre, non andava proprio in cerca di

uno « zeppo ». Evidentemente deve essere una parola « interessante ».

Si veda, ancora: « poi, dopo un po', ciondolando pieni di fiacca, s'alzarono

e come un branco di pecore si spostarono, su verso lo spiazzo di sabbia

sotto la cannofiena, davanti al galleggiante » (p. 17).

Page 63: Pasolini Tommaso Anzoino

In un contesto in lingua, tutt'altro che insidiato da urgenze dialettali,

si stacca, con studiata evidenza, la ~ cannofiena », cioè l'altalena. ~ un

esempio, anche, di quella « contaminazione » tra dialetto e lingua che è

senz'altro l'artificio piú usato nel romanzo e, anche per questo, il piú

rischioso. Si veda quest'altro « pezzo »:

« An vedi questi! », gridò per esempio il Caciotta squadrandosi una donna

bella alta con un sedere cfie non finiva mai, che veniva giú assieme a un bas-

setto quattr'occhi: quando gli passarono davanti struscinandoli il Riccetto e il

Caciotta ghignando e piegandosi fin quasi a toccar terra con le froce del naso,

cominciarono a fare « Pffff, pffff », sputacchiando come due caccavelle. Il

quattrocchi si voltò di trequarti: e quelli allora chi li resse piú?, guardandosi

negli occhi e piegandosi come pupazzi, sbottarono a sganassare a callara. « Che

fforza! », gridava il Caciotta. Ma una madama veniva proprio diretta verso di

loro, e allora loro, taja!, partirono di corsa, tutti allegri, su verso Villa Bor-

ghese... (pp. 71-72).

i~ un pezzo di bravura, a vari livelli di lingua: volgare, gergo di

borgata, gergo piú comune (« quattrocchi », « madama »); c'è persino

l'onomatopea. Un altro pezzo di bravura, ma questa volta tutto in dialetto,

Page 64: Pasolini Tommaso Anzoino

è il racconto di Caciotta dell'avventura col « cocommeraro » (pp. 89-90).

Una « trovata », a meno di occultatissimi significati allegorici, è la zuffa

dei cani (pp. 190-91 ) che mentre si guardano furiosi o si azzannano,

38 « pensano » con le parole dei ragazzi di vita, cui appartengono.

Se è facile giustificare il gergo nei dialoghi, e non solo nei dialoghi,

la qual cosa risponde a una scelta di poetica, non è altrettanto facile

giustificare e giudicare la « contaminazione », che soddisfa piuttosto a

esigenze di gusto e di invenzione. Il rapporto lingua-società che si risolve

nel dialetto, non si può porre con altrettale precisione a proposito della

« contaminazione »: lí c'è una « mimesi » che è trascrizione, o quasi

qui una intersecazione di livelli linguistici di cui è impossibile individuare

i riferimenti.

Possibile, invece, è individuare la funzione della « lingua », quella dello

scrittore. Dovrebbe consentirgli di emergere dal mare della fisicità del

gergo e del dialetto e collocare la materia alla giusta distanza. A parte

i passi che obbediscono alla necessità di portare avanti la narrazione nei

luoghi per cosí dire neutri, in genere la lingua è adoperata (come il dia-

letto su altri) su tre motivi principalmente: il paesaggio, l'umorismo e la

Page 65: Pasolini Tommaso Anzoino

tenerezza. Il primo certamente piú « oggettivo » degli altri.

Il paesaggio cittadino è, quasi sempre, la borgata: la sporcizia, la

polvere il sole, il fango, le case miserabili, le baracche; violento come chi

le abita, in una precisa identificazione. Ci sono delle concessioni al gusto

se di gusto si può parlare, del tipo: « i muraglioni che al calore del sole

puzzavano come pisciatoi >~; « L'aria era tirata e ronzante come la pelle

d'un tamburo; le pisciate anche appena fatte, che rigavano il marciapiede,

erano secche; i mucchi d'immondezza si sfregolavano abbrustoliti e senza

piú odore. A fare odore erano solo le pietre e i bandoni ancora caldi del

sole », dove natura, paesaggio e vita si contagiano vicendevolmente.

Il paesaggio naturale vede molto spesso il sole, caldo, ossessivo, che

spacca le pietre e fa « sturbare » i ragazzi che non mangiano dal giorno

prima. Ma spesso anche la sera, la notte: « Da una parte il cielo era

tutto schiarito, e vi brillavano certe stellucce umide, sperdute nella sua

grandezza, come in una sconfinata parete di metallo, da dove, sulla

terra, venisse a cadere qualche misero soffio di vento » (p. 99). ~ un

cielo lontanissimo, estraneo alle vicende della borgata, come un cielo

d'un'« altra » vita. « L'enorme scatolone con tutte le finestre illuminate,

s'alzava solo in mezzo al cielo, dove qualche stella tristemente brilluc-

Page 66: Pasolini Tommaso Anzoino

cicava. La Elina stava rintanata là dietro, vicino ai reticolati o le fratte

che circondavano i terreni lottizzati, ridotti ancora a enormi depositi

d'immondezza, con intorno o in mezzo qualche tugurio e qualche muc-

chio di breccia » (p. 110). Qui il cielo è quasi nascosto dall'« enorme

scatolone », dagli « enormi depositi di immondezza », testimonianze inu-

mane d'una vita inferiore; si noti, peraltro, la raffinata e intenerita pre-

ziosità di « brilluccicava ». « La luna era ormai alta alta nel cielo, s'era

rimpicciolita e pareva non volesse piú aver che fare col mondo, tutta

assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Al mondo,

pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argeGto,

pioveva giú una luce grandiosa, che invadeva tutto. Brilluccicava, in

fondo all'orto... » (p. 145). Un idillio, pensoso, che l'autore, per non

commuoversi, interrompe introducendo quei « sedere » e « sederino d'ar-

gento » che sono, nonostante tutto, preziosità; ritorna l'altrettanto pre-

zioso e tenero « brilluccicava ».

Il paesaggio, e attraverso di questo la lingua, quindi, è molto spesso

in contrappunto discriminante con la « vita » di quei ragazzi, anche negli

intenerimenti lirici. E la lingua « borghese », sopratutto attraverso certi

paesaggi, contribuisce a « isolare » nel ghetto quella vita. L'intenziona-

lità di questa operazione non è quasi mai evidente, per quelle scivolate

Page 67: Pasolini Tommaso Anzoino

liriche a cui Pasolini si lascia andare, ma anche per l'efficacia « oggetti-

vante » di certe descrizioni.

L'umorismo, anche nel senso piú banale e comune della parola, e

l'ironia, sono « posizioni » quantaltri mai « oggettivanti ». Ma Pasolini

non è certamente adatto a usare questi strumenti (o almeno non lo era

allora), o per eccesso di « scientificità » o per eccesso di « amore »; per

eccesso di « posizione », comunque. Piuttosto banale, anche se intiepi-

dita da un alito di tenerezza, questa « invenzione »: « e un capoccione

che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro sarebbe morto di vec-

chiaia » (p. 8). Poi Pasolini prova a prendere in giro, un po' alla buona,

il napoletano ubriaco che ha insegnato al Riccetto un gioco di carte:

a poi riprese in mano la mano del Riccetto e ricominciò coi giuramenti

d'amicizia, risalendo a certi confusi e maestosi principi generali che il

Riccetto, che aveva un'idea molto piú chiara e un piano molto piú con-

creto nella capoccia, faceva fatica a seguire » (p. 38). Altrettanto con

delle prostitute insultate da un ragazzetto di vita: « " A paragule zozze ",

gridava piú forte, a quelle che nel frattempo se ne stavano acquattate

diplomaticamente in fondo tra le fratte, in sacro raccoglimento » (p. 77).

Piú riuscita, invece, l'ironia sul Lenzetta che tenta di travestirsi da ra-

gazzo educato:

Page 68: Pasolini Tommaso Anzoino

«" E noi forse nun c'annamo a rubbà? ", fece sempre per tirarla su

di morale, con la sua solita delicatezza, il Lenzetta, ~ semo disoccupati,

semo! " » (p. 152). Non ci pare che siano aspetti insignificanti: questo

tentativo di « prendere la posizione » attraverso l'ironia Pasolini lo ripe-

terà spesso successivamente. Anche in lingua sono, quasi sempre, le

espressioni intenerite per i ragazzetti: « la testa tutta riccioletti », « gli

occhi neri come il carbone e le guance belle rotonde di una tintarella tra

l'ulivo e il rosa », « con la nuca piena di riccioletti », « col suo vocino

d'uccelletto » e cosí via. ~ di nuovo il poeta che s'intenerisce per la fan-

ciullezza che, anche quando è malvagia, è tenera. Proprio questi usi

« privati » della lingua sono la spia per rilevare il grado di oggettività

del racconto.

Il capitolo che dà il titolo al libro si apre con una citazione da Tol-

stoj: « Il popolo è un grande selvaggio nel seno della società ». Che il

popolo di cui parla Pasolini sia spesso, se non sempre, altra cosa di cui

parlano i sociologhi, lo ha rivelato lui stesso, ne Le ceneri di Gramsci.

un popolo senza età e senza tempo: esistenza pura, animalità pura,

ma non è un'astrazione, sia pure passionale: è una realtà. E non man-

Page 69: Pasolini Tommaso Anzoino

cherebbero le possibilità di determinarlo storicamente: il dopoguerra, le

borgate miserabili, e, prima ancora, il fascismo, e, sempre, il capitalismo

sono i fatti della storia che stanno dietro, o davanti. Ma ~< dentro » quei

mondo i fatti della storia non esistono piú, perché quel popolo non

riesce a prenderne coscienza, e nessuno e nuìla può fargliene prendere 4

nesio; perché in quei ragazzi non c'è svolgimento di tempo, di storia:

chi si sistema esce; come Riccetto, che nella seconda parte del libro ap-

pare solo di rado e, alla fine, come testimone estraneo.

E chiaro, quindi, che Ragazzi di vita non è un romanzo, anche se in

copertina c'è scritto; non può essere un romanzo, ed è inutile rimpro-

verarglielo come una colpa, se il romanzo è qualcosa di speciale. Non

c'è un personaggio perché anche il personaggio è svolgimento, storia: è

un documentario, la testimonianza di una forma di vita che l'Italia uffi-

ciale, tutta, ignora, o vuole ignorare e che Pasolini raccoglie e presenta

con tutta la violenza della sua (di lei e di lui) passione. E di « pezzi »

da documentario ce ne sono moltissimi. Questo è un documento di mi-

mica gergale, con tanto di spiegazione: « E senza dire niente coi polpa-

strelli del pollice e dell'indice si tirò la pelle delle guance sotto gli occhi.

Voleva dire che era a bottega » (p. 114). Le pagine 205 e 206 sono un

« esemplare » squarcio di vita popolana: la lite fra due donne, ancorché

Page 70: Pasolini Tommaso Anzoino

usato e abusato. C'è pure il folklore d'un esorcismo (pp. 211-12).

Ma c'è da dire, infine, che il linguaggio stesso, non poche volte,

costringe Pasolini al documento: il gergo finisce col condizionare le

situazioni, addirittura col proporle. Di qui la « monotonia » degli epi-

sodi, non solo delle espressioni. Per cui le situazioni « diverse », nono-

stante le pretese di oggettività, finiscono con l'essere quelle piú paso-

liniane.

Se a Ragazzi di vita si è rimproverato di non essere abbastanza romanzo

o di non esserlo proprio, a Una vita violenta si è rimproverato di essere

« troppo » romanzo. Questa volta, infatti, c'è una storia, c'è un perso-

naggio, un protagonista e c'è, anche, il tentativo abbastanza scoperto

di farne un eroe positivo, secondo i « canoni del realismo socialista ».

Addirittura questa formula « ancora ideale, da precisarsi nella teoria,

da realizzarsi » è diventata « l'unica possibile ipotesi di lavoro. Per una

44 ragione molto semplice: il socialismo è l'unico metodo di conoscenza

che consenta di porsi in un rapporto oggettivo e razionale col mondo »

(Inchiesta sul romanzo, cit. ).

A parte la confusione tra socialismo e marxismo a proposito del

Page 71: Pasolini Tommaso Anzoino

« metodo di conoscenza », c'è da dire che questa « teoria », se mai ha

interessato veramente Pasolini, è stata subito lasciata cadere; una delle

ragioni, e non certo l'ultima, è da ricercarsi proprio nell'approssimazione

teorica, frutto, piuttosto che di analisi storica, della « cotta » per Marx

e piú ancora, per Gramsci e la sua letteratura nazional-popolare.

La vicenda di Tommaso Puzzilli non si svolge, come quella di Ra-

gazzi di vita, fuori dalla storia, ma ne partecipa, al livello piú basso,

naturalmente; al livello, cioè, di istinto, di violenza, di disperazione, di

fede. Cosí Tommasino, all'inizio, è fascista: « e non sentí nemmeno

Tommaso che guardando Mussolini diceva: " Ecchelo, chi è stato 'n'omo! »

e se lo stava a filare con ammirazione, tutto malandro » (p. 38). Con i

fascisti partecipa alla manifestazione contro i cecoslovacchi, violenta e

allegra, a base di insulti, pernacchie e secchi di « ciufega ». L'adesione di

Tommasino e dei suoi amici al fascismo è « naturale », connaturale alla

loro violenza: « Semo sempre prepotenti e lo potemo fa'! »; « Noi, la

tirannia, l'avemo potuta fa', ma a voialtri ancora nun ve riesce! », dice

Ugo, cui i partigiani hanno ammazzato il padre e il fratello, rivolto ai

comunisti. E l'anticomunismo è la componente « politica » del fascismo

di Tommasino, e non solo del suo:

Page 72: Pasolini Tommaso Anzoino

« " Ma io je lo magnerebbe a loro, er core », fece Tommaso a voce

bassa, con una faccia gialla di odio. « Si me dassero carta bianca a me

li metterebbe tutti co' la faccia contro ar muro! " » (p.- 49).

Ma Tommaso è un ragazzo di vita in crisi, perché la storia, quella

che conta, entra anche nelle borgate. ~ un'irruzione violenta, dapprima,

con le camionette della polizia, i cani, le botte, gli arresti: è « la batta-

g]ia di Pietralata » come dice il titolo, programmaticamente epico, del

quarto capitolo del romanzo. Tommaso non vi partecipa: era con Irene

la ragazza che s'è trovato alla Garbatella. Il rischio scampato gli fa ca-

pire che è necessario fare il " bravo ragazzo ", o almeno mostrare di

esserlo.

Ma la storia entra nella borgata anche in un'altra maniera: con l'INA

casa.

Tommaso s'è fatto due anni di carcere per una coltellata data a uno

della Garbatella che lo aveva insultato e aggredito. Torna da « bottega » e

trova una casa nuova, « civile »:

Poi, con un nodo alla gola, per la commozione, che quasi piangeva, Tommaso

Page 73: Pasolini Tommaso Anzoino

entrò dentro, ingrugnato, un poco, per non far vedere quello che provava. Era

sempre vissuto, dacché se ne ricordava, dentro una catapecchia di legno marcio,

coperta di bandoni e di tela incerata, tra l'immondezza, la fanga, le cagate:

e adesso, invece, finalmente, abitava nientemeno che in una palazzina, e di

lusso, con le pareti belle intonacate, e le scale con delle ringhiere rifinite al

bacio (p. 180).

Il nuovo quartiere gli impone una nuova esperienza di vita: gente

diversa, di un'altra « razza »: la borghesia e la piccola borghesia. E que-

sta presenza è tutt'altro che odiosa, tutt'altro che combattuta:

« Me farebbe ricarcerà », stava pensando, « pe sapè perché li pijano pe~

stronzi! Intanto, stronzi stronzi, eccheli llí! Nun pensano a niente, giocano, se

divertono, se fanno le studentine, pzt! E c'hanno er papà che je passa 'a

grana! ». « Questi me sa », continuò a pensare, « che tra de loro nun se fanno

cattiverie... E che, conoscheno 'a vita, questi? Eppure me ce vorrebbe mischià

in mezzo a loro! Mannaggia la morte, vorrebbe pure io esse stato ammaestrato

cosí, esse bravo ragazzo come loro! » (p. 187).

Il sottoproletario Tommasino tende « naturalmente » a diventare pic-

colo-borghese: la casa nuova, la fidanzata, con gli impegni « civili ~> e

Page 74: Pasolini Tommaso Anzoino

« borghesi » che comportano, lo spingono a cercare una integrazione in

quel sistema dal quale, prima, era stato escluso. Cosí pratica un po' la

« parrocchia » e chiede di « segnarsi alla democrazia ». ~ chiaro che è

stato il sistema a chiamarlo all'integrazione, impedendo, o cercando di

46 impedire, a Tommasino di farsi una coscienza « proletaria »; è chiaro ed

è anche « oggettivo ». A questo punto il romanzo poteva anche « reali-

sticamente » concludersi. Ma Pasolini s'era proposto un programma ben

piú « completo ». Perciò Tommaso si ammala di tubercolosi e viene rico-

verato al Forlanini. Qui, durante una rivolta di « sanatoriali » appoggiata

dai ricoverati (altro « documento » di letteratura epico-popolare), Tom-

maso fa la sua scelta: aderisce alla lotta, si schiera con i « compagni »,

sui quali prima aveva esercitato la sua ironia e il suo sarcasmo. Ed è una

adesione violenta e istintiva, segno che la « natura » non s'è ancora « cor-

rotta ». Questo impegno dà all'ex ragazzo di vita la possibilità di sco-

prirsi, dentro, una ricchezza nuova, un po' retoricamente: « Aaaah », so-

spirò Tommaso, « so' stato ricco, e non l'ho saputo! ».

Cosí, appena uscito dal sanatorio, chiede di « segnarsi » al PCI: « E

cosí fu: dopo qualche giorno, Tommaso si presentò alla sezione, con le

due persone che dovevano fare da testimoni [...], fu segnato, pagò quello

Page 75: Pasolini Tommaso Anzoino

che doveva pagare: e finalmente riuscí a intigne er pane dentro er sugo:

si mise la tessera in saccoccia, pronto a lottare pure lui per la bandiera

rossa » (p. 277).

L'amara ironia di Pasolini ci riconduce ai motivi degli ultimi poe-

metti de Le ceneri di Gramsci: il distacco dóloroso tra il « popolo », la

povera gente e tutto il resto, Partito compreso. La disperata solitudine

di questa gente trova la sua rappresentazione nell'alluvione:

Non era successo niente: una borgata allagata dalla pioggia, qualche cata-

pecchia sfondata, dove ci stava della gente, che, nella vita, ne aveva passate

pure di peggio. Ma tutti piangevano, si sentivano spersi, assassinati. Solo in

quel pannaccio rosso, tutto zuppo e ingozzito, che Tommaso ributtò lí a un

cantone, in mezzo a quella calca di disgraziati, pareva brilluccicare, ancora, un

po' di speranza (p~ 324~.

Il « pannaccio rosso », già altre volte simbolo di una disperata-spe-

ranza, ripropone tutta la mitologia popolare di Pasolini. Come la morte

di Tommaso, l'eroe dell'alluvione, eroe continuamente diseroicizzato dal

gergo e dall'autoironia. Tommaso muore per una ricaduta della malattia;

ha chiesto di morire nella casa nuova, ma il suo « martirio » s'è con-

Page 76: Pasolini Tommaso Anzoino

sumato nella borgata.

Il romanzo « programmatico » di Pasolini si conclude cosí. Ed è la

conclusione piú coerente, all'interno della « logica » pasoliniana. Se si

deve esprimere un giudizio su ciò che Una vita violenta è, e non su ciò

-he non è, bisogna dire, appunto, che è un'opera coerente alla passione.

ai miti, e anche all'« ideologia » di Pasolini. Incoerenza potrebbe es-

serci con quei richiami che abbiamo visto al romanzo « realistico-sociale »

o « socialista »; ma quello era un discorso piú in prospettiva che riferito

alle sue esperienze.

Una vita violenta è la seconda prova di un personalissimo « ciclo dei

vinti »: rispetto al primo romanzo quello che c'è di diverso, anche nel

linguaggio, è dovuto all'allargamento degli interessi « sociologici ». Il

gergo di borgata, della « malavita », è sempre presente, ma è affiancato

da un dialetto piú largo, con un vocabolario molto piú ricco; la « con-

taminazione » si sostanzia e qualifica maggiormente della componente in

]ingua; e questa ha un uso molto piú esteso. Ma permangono, anche, i

« vizi » del primo romanzo: i « pezzi di bravura » ad effetto filologico;

gli intenerimenti per le « creature »: Tito e Toto, i due fratellini di

Tommaso, ne fanno, piú degli altri, le spese, fino a diventare pretesto

Page 77: Pasolini Tommaso Anzoino

di tenerezza; come scrive Asor Rosa sono « angioletti, scesi quasi per

caso in questo inferno di baracche » (Scrittori e popolo, p. 423). E si

ripropone l'ironia, come strumento di distacco, molto piú efficace che non

nel primo romanzo, e vaccino contro la pietà, molto piú contenuta.

Il difetto della storia di Tommaso non è la « programmaticità », né,

ci pare, la « scoperta » programmaticità, cioè la intrusione della « vo-

lontà » dell'autore che fa violenza a un « realistico » svolgimento di

fatti in senso « ideologico »: alla « sua » ideologia Pasolini è sempre

abbastanza coerente, a quella de Le ceneri li Gramsci, sopratutto. Il di-

fetto è nell'insorgenza continua, ma in questo romanzo meno sensibile,

della pietà e della commozione e dei conseguenti luoghi comuni. Paso-

48 lini è passato dalla « preistoria » mitologica di Ragazzi di vita alla « sto-

ria », nel tentativo di farne un « poema nazional-popolare ». Non lo ha

mai dichiarato esplicitamente, a quanto ci risulta; né ci sarebbe riuscito

per l'obbiettiva ristrettezza ideologica della sua visione. Al di là di

queste, confessate o inconfessate, velleità, Una vita violenta costituisce

il tentativo di uscire dal documento amore-filologia per confrontare con

la storia una, se vogliamo, personalissima tematica.

l~assione e ideologia è il titolo del volume che raccoglie i piú importanti

Page 78: Pasolini Tommaso Anzoino

saggi di Pasolini, già pubblicati su riviste o, nel caso dei primi due, La

poesia dialettale del '900 e La poesia popolare italiana, come prefazioni

ad altre opere. I saggi sono stati scritti nel decennio tra il 1948 e il 1958

il periodo piú ricco di fermenti per la poesia di Pasolini. Dei primi due

saggi si è riportato l'essenziale nel primo capitolo, a proposito della

poesia dialettale; degli altri si escluderanno dall'esame le numerose ana-

lisi che, per la loro occasionalità, non oífrono sufficienti spunti di inte-

resse generale.

Il titolo della raccolta è significativo della qualità dell'impegno cri-

tico e teorico di Pasolini; il quale, tuttavia, com'è sua abitudine, ne dà

in una nota a fine libro, la sua spiegazione:

Passione « e » ideologia: questo « e » non vuole costituire un'endiadi (pas-

sione ideologica o appassionata ideologia), se non come significato appena se-

condario. Né una concomitanza, ossia: « Passione e nel tempo stesso ideologia ».

Vuol essere invece, se non proprio avversativo, almeno disgiuntivo: nel senso

che pone una graduazione cronologica: « Prima passione ~ e poi ideologia ,>, o

meglio: ff Prima passione, '~ ma poi ~ ideologia » (p. 493.

Questa « gradualità » si specifica ancor meglio, nei suoi termini quali-

Page 79: Pasolini Tommaso Anzoino

tativi, qualche rigo dopo: « La passione, per sua natura analitica, lascia

il posto all'ideologia, per sua natura sintetica ». L'ideologia, insomma, 49

è l'inserimento nella visione storica della « individuazione », della « con-

statazione » dei fatti; in particolare dei fatti letterari.

In questo senso una analisi, piú che una sintesi, appare il saggio sul

Pascoli nel quale il tentativo di una visione storica è appena accennato.

Per cui l'interesse di queste pagine è tutto nell'esame della figura poetica

del Pascoli nelle sue componenti psicologiche e stilistiche:

Nel Pascoli coesistono, con apparente contraddizione di termini, una « os-

sessione », tendente patologicamente a mantenerlo sempre identico a se stesso,

immobile, monotono e spesso stucchevole, e uno « sperimentalismo » che,

quasi a compenso di quella ipoteca psicologica, tende a variarlo e a rinnovarlo

incessantemente In altri termini coesistono in lui, per quanto meglio ci riguarda,

una forza irrazionale che lo costringe alla fissità stilistica e una forza inten-

zionale che lo porta alle tendenze stilistiche piú disparate (p. 270).

La lezione pascoliana ha esercitato su Pasolini ben piú di una sug-

gestione stilistica, sopratutto nelle prime poesie, sia in friulano sia in

lingua, come, del resto, su tutti i poeti del '900; ma, accettando per

Page 80: Pasolini Tommaso Anzoino

buono quel giudizio, si deve pensare che la suggestione si sia esercitata,

nonostante la riluttanza di Pasolini, molto piú in là. E, se si rilegge la

conclusione del saggio, tale sospetto diventa piú consistente:

Per concludere: la convivenza [...], nel Pascoli dell'«ossessione» e delle

« tendenze » risolve l'apparente inconciliabilità [...1 col prevalere della prima

sulle seconde: in modo che l'allargamento linguistico prodotto da queste ultime

--in senso innovativo e per definizione antipetrarchesco--è solo quantitativo,

in fondo: non è l'allargamento linguistico di un Manzoni o di un Verga: dovutc

com'è, questo, a un realismo di origine ideologica, a una visione del mondo

presupponente un punto di vista portato fuori dal mondo [...] Nel Pascoli

quell'allargamento linguistico è sempre in funzione della vita intima e poetica

dell'io, e, quindi, della lingua letteraria, nel suo momento centralistico e in

definitiva ancora tradizionale (p. 275).

Il rischio di accettare quel sospetto lo fa correre al lettore lo stesso

Pasolini, e non certo per un inconscio « complesso pascoliano », quanto

50 per l'assenza di quella « sintesi », di quella « ideologia » che gli avrebbe

consentito di caratterizzare e, quindi, di distinguere « storicamente »

l'esperienza pascoliana.

Page 81: Pasolini Tommaso Anzoino

Piú valido, appunto perché piú « sintetico » è il giudizio che esprime

su Gadda, nel quale la soluzione linguistica è vista come conseguenza di

una crisi storica. Anche in Gadda, quindi, l'« ideologia » succede a una

« passione »: « La sua angoscia--che è angoscia sociale--è dunque

senza rimedio--e il suo stile sarà sempre uno stile tragicamente misto,

ossessionato, poiché egli, accettando le istituzioni che crede buone, è

costretto a infuriarsi senza requie contro gli istituti effettualmente cat-

tivi » (p. 323).

Sbaglia però quando afferma che « la sua [di Gadda] funzione non

è critica » perché mancherebbe della speranza « prospettivistica ». E non

è coerente sopratutto se si tiene conto delle polemiche contro il « pro-

spettivismo » del realismo socialista e del PCI.

Dal saggio Osservazioni sull'evoluzione del '900 incomincia senza

clubbio la parte piú interessante della raccolta: qui si vede la « pas-

sione » che determina l'« ideologia ». L'occasione nasce dal problema se

Ci sia O no una nuova cultura. La risposta di Pasolini è problematica-

mente affermativa:

Page 82: Pasolini Tommaso Anzoino

Oggi una nuova cultura, ossia una nuova interpretazione intera della realtà

esiste, e non certamente nei nostri estremi tentativi di borghesi d'avanguardia

nello sforzo sempre piú inutile di aggiornare la nostra: esiste, in potenza, nel

pensiero marxista; in potenza, ché l'attuazione è da prospettare nei giorni in cui

il pensiero marxista sarà (se è questo il destino) prassi marxista nella storia

di una nuova classe sociale organizzante la vita. Ma benché in forma potenziale

esiste, agisce, già oggi, se quel pensiero marxista determina, nei nostri paesi oc-

cidentali, una lotta politica e quindi una crisi nella società e nell'individuo:

esiste dentro di noi, sia che vi aderiamo, sia che la neghiamo; e proprio in

questo nostro impotente aderirvi, e in questo nostro impotente negarla (p. 330).

L'interesse del passo non è solo nella « poetica » amarezza di quel-

l'impotenza; il motivo l'abbiamo già incontrato (d'altronde la data del

saggio, 1954, è la stessa del poemetto Le ceneri di Gramsci); l'interesse

è sopratutto nella equazione che si può incominciare a - stabilire: crisi

nella società = crisi nella poesia. Difatti una nuova cultura e, quindi.

una nuova poesia non « può essere altro che il prodotto di una nuova

società »; in assenza di questa è la crisi. E in questa crisi è l'occasione

per la poesia, per una nuova poesia:

Ma a noi questa situazione in cui viviamo quotidianamente, di scelta non

Page 83: Pasolini Tommaso Anzoino

compiuta, di dramma irrisolto per ipocrisia o per debolezza, di falsa « disten-

sione », di scontento per tutto ciò che ha dato una sia pur inquieta pienezz~

alle generazioni che ci hanno preceduto, sembra sufficientemente drammatica

perché possa produrre una nuova poesia (p. 330).

~ questo il discorso che ci rivela il significato particolare di « ideo-

logia » in Pasolini: ideologia = poetica.

Lo troviamo confermato in un saggio di tre anni piú tardi: La con-

fusione degli stili. Scartate le soluzioni di un realismo del « concreto-

sensibile », della vita quotidiana, di un realismo « prospettivistico »,

che cosa sembrerebbe piú coerente che « mettere l'accento » su quella

crisi?:

sulla divisione interna, che, separando il mondo politico-sociale in due parti

--la borghese, attuale, e la socialista, futura, ma operante già nelle coscienze--

viene a separare, o almeno a incrinare, ogni particolare di quel mondo, ogni suo

fenomeno? Seguire, drammaticamenEe, il serpeggiare di quella linea divisoria, di

quella sutura, di particolare in particolare, di superficie interna in superficie

interna, di pagina in pagina, di stilema in stilema? (p~ 348).

Page 84: Pasolini Tommaso Anzoino

Ma la « contemplazione ~ di questa divisione non è possibile; ne è

possibile, invece, il « pensiero ». E allora non resta che cercare « al di

là della divisione », lí dove si trova l'« " anima " del tempo »: « Nel

dramma, nel dolore della divisione: da attingere--se ci è lecito mo-

raleggiare un poco -- attraverso una grande intransigenza interiore o

una grande pietà per il mondo esterno » (p. 349).

L'ultimo saggio della raccolta, La libertà stilistica è, nella linea dei

52 precedenti, ancora piú intimo, ancora piú rispondente a quel processo

di riduzione di una « crisi storica » a « crisi privata » e viceversa. E

diciamo « viceversa » non perché non sappiamo quale differenza ci sia

nella diversa posizione dei due termini, ma perché cosí ci pare che sia in

Pasolini: la crisi storica determina la crisi privata, la quale, a sua volta,

la alimenta incessantemente, proprio per quella volontà di « non sce-

gliere ». Lo « spirito filologico », all'inizio « aspirazione », quasi « ispi-

razione »; poi « strumento di una diversa cultura », in continua lotta per

adattare « il periscopio all'orizzonte e non viceversa », presiede anche

« all'atteggiamento politico, al dií~icile, doloroso e anche umiliante atteg-

giamento d'indipendenza, che non può accettare nessuna forma storica e

pratica di ideologia, e che insieme soffre come d'un rimorso, d'un indi-

stinto e irrazionale trauma morale, per l'esclusione da ogni prassi, o

Page 85: Pasolini Tommaso Anzoino

comunque dall'azione » (p. 491).

~ l'ennesimo, doloroso, esame di coscienza; non certo compiaciuto;

ma sterile. Nonostante sia la strada delle « sperimentazioni » che con

quella «libertà » il poeta percorre, « una strada d'amore ». La quale

ultima parola, collocandosi come esponente alla relazione « passione e

ideologia », finisce col motliplicarne all'infinito i valori irrazionali.

In Alí dagli occhi azzurri, pubblicato nel '65, Pasolini ha raccolto una

ventina di lavori e di abbozzi di lavori scritti tra il 1950 e il 1964: una

vera carriera poetica. I1 1950, s'è visto, è stato un anno fondamentale

per Pasolini: l'anno del suo inserimento a Roma. E Roma è il « nume »,

il « demone » di questa raccolta, sopratutto nella prima parte; come di

~ranco Citti, che della Roma sottoproletaria di Pasolini è stato, poi,

l'interprete, è il « demone » che « percorre questo libro » (p. 515).

La scoperta e la conoscenza di Roma, la ricerca di una lingua e di

uno stile che esprima quella conoscenza sono i motivi che giustificano la

prima parte del libro. Gli stessi titoli di alcuni « pezzi » sono program- 53

matici: S~uarci di notti romane, Notte sull'ES, Studi sulla vita del Te-

staccio, Appunti per un poema popolare, Dal vero, ecc. Roma, s'è detto.

Page 86: Pasolini Tommaso Anzoino

Ma è una Roma già subito pasoliniana. Già nel primo « saggio », Squarci

di notti romane, protagonista non è la metropoli, varia, composita, di-

visa; con i suoi quartieri, le piazze, le vie, la gente; protagonista è la

Roma degli « orinatoi », degli « odori »: una Roma degradata ad ani-

malità fisiologica, quasi la proiezione della borgata e della sua vita nella

città. ~ infatti la topografia di Roma è sopratutto una topografia morale.

« A San Lorenzo la delinquenza ha un sapore trasteverino: ma piu

squallido. C'è intorno piú vita borghese. Quindi piú vizio. Le cose si

fanno piú di nascosto, come in una città di provincia » (p. 77). Coeren-

temente con questa Roma, l'« interprete », il « testimonio », il « roman-

ziere » non potrà che essere uno « sfiatatoio », « questo tubo di scarico,

questo apparecchio ricevénte e trasmittente attraverso al quale la Roma

innominabile trova una via di espressione » (p. 12): colorita immagine

della « mimesi ».

E Gabbriele, primo « ragazzo di vita » è la prima esperienza umana

che Pasolini fa in questa Roma. La scelta, quindi, è subito fatta. Ora è

necessario approfondire la conoscenza e i modi per tradurla, da buon

« apparecchio ricevente e trasmittente ». La conoscenza continua attra-

verso Rafele, che fa ritrovare a Pasolini la imrnagine cara del fanciullo

innocente-perverso:

Page 87: Pasolini Tommaso Anzoino

Il bambino poi tace, mentre come due ladri risalgono la scala; e sta anzi

quasi per piangere. Ha paura che il notaio se ne vada senza dargli niente. Non

ha il coraggio di chiedergli i soldi, e perciò il mento quasi gli trema e gli si è

formata una accigliata, furiosa ombra nell'arco delle sopracciglia, nella bocca.

Ma il notaio caccia tre fogli da cento; cerca poi di~6alutarlo affettuosamente,

ma Rafele intascando le piotte corre giú verso ponte Sisto senza neanche guardarlo

in viso, tanta è la distanza tra la vecchiaia del notaio e la sua infanzia (p. 75).

Attraverso il Romanino, ma in termini piú « scientifici »: « Vive den-

tro di lui una vita " doppia» di lenza, un patrimonio di convenzione

54 rionale: una assoluta mancanza di pietà. L'istinto di difesa ha compiuto

in lui, debole, un irrigidimento insolubile, ormai non può piú tornare

indietro dalla sua immoralità, dal suo inconscio e tremendo pessimismo »

(pp. 83-84).

Ma anche la registrazione « fisica », mimetica, si consostanzia imme-

diatamente del sentimento pasoliniano:

Uno, che dei suoi coetanei sconosciuti chiamano « A ricce' », per doman-

Page 88: Pasolini Tommaso Anzoino

dargli del fuoco, appoggiato allo stipite della porta, sta aspettando il suo turno:

ha le gambe col lungo, leggero, e castigato calzone domenicale, incrociate, e

il grembo, cosí casto dentro quel calzone senza un'ombra nel grigio, un po~

spinto in avanti, abbandonato come sta con le spalle allo stipite, e il torace

sottile inguantato in un maglione di lana nera [...] Il viso d'un bruno quasi

cinereo, equino, un po' scavato. Espressione di avidità, frigida e scattante, la

calma ostentata... (p. 89).

Il « riccetto » in questione è il Riccetto di Ragazzi di vita; come

l'Amerigo delle pagine successive è l'Amerigo del romanzo. Sono questi,

infatti, gli anni in cui Pasolini sta pensando e scrivendo Ragazzi di vita.

Ed è significativo che questo « pezzo » s'intitoli Appunti per un poema

popolare, testimonianza dell'incontro col Gramsci nazional-popolare e

di certe velleità poi rientrate.

Nello stesso tempo va avanti la ricerca stilistica, anche se la dire-

zione, il dialetto, è già indicata dalla scelta dei contenuti. Tuttavia ci

sono altri « esperimenti », come ne Il biondomoro, una satura in cui la

mescolanza di prosa e di versi, di poesia in prosa o viceversa, di lingua

di dialetto, di « contaminazione » obbedisce a esigenze a volte squisi-

tamente, a volte impacciatamente letterarie e in cui certi miti si dichia-

Page 89: Pasolini Tommaso Anzoino

rano piú esplicitamente che altrove: « zozzo di innocenza il ragazzo del

rione », o si dilatano in « preziose » strutturazioni: « Innocenza, si-

lenzio del peccato, / peccato, silenzio dell'innocenza sua, / vita, silenzio

della morte, / morte, silenzio della vita sua, / zozzo ner sole del Rione, /

puro nel sole del Rione » (p. 43).

Un altro esperimento è Gas, « relitto d'un romanzo umoristico », in

cui un professor Giubileo vive una sua serie di esperienze piuttosto

ambigue, e non tanto in senso morale quanto in senso poetico, cariche,

piú o meno, come sono, di allusività e di vago pirandellismo. Né l'umo-

rismo fa certo una prova brillante, data la obbiettiva carenza o di sim-

patia o di odio nei confronti del personaggio.

Ma la ricerca di Pasolini è tutta rivolta al dialetto e i lavori succes-

sivi, posteriori anche a Ragazzi di vita e a Una vita violenta, si possono

considerare le prove migliori. La tecnica del racconto, innanzi tutto, è

cambiata: non piú il bozzetto, ma la « rappresentazione », nei perso-

naggi, della vicenda. Si tratta, infatti, di vere e proprie sceneggiature, se

non altro nell'impostazione, tre delle quali, poi, realizzate in altrettanti

film: La notte brava, Accattone, Mamma Roma e La ricotta. A1 cinema

Pasolini non è approdato soltanto perché sfiduciato dalla letteratura: « il

Page 90: Pasolini Tommaso Anzoino

segno-oggetto al posto del segno-parola », come dice Siciliano; né solo

perché il pubblico del cinema è piú vasto del pubblico del libro e, quindi,

piú adatto ad essere quella « nazione-popolo » cui il messaggio nazional-

popolare deve rivolgersi;la vocazione alla regia in Pasolini è nel suo spe-

rimentalismo. E proprio nel periodo piú sperimentale, nella prima parte

di Alí dagli occhi azzurri, troviamo delle « didascalie » di questo tipo:

Su Testaccio si vedrà sempre un cielo caliginoso e allucinato. Tepore prima-

verile ancora gelido; vernice.verde degli alberi macchiati dal viola o dall'indaco

di alberelli da frutta, con grazia da paesaggio giapponese. Panoramica iniziale

--dall'alto, come in qualche classico del cinema francese, René Clair: Porta

Portese, Riformatorio dei minorenni--di uno stinto, solido barocco romano--

lungoteveri alti, deserti. Ma questo di scorcio: l'obbiettivo si fermerà subito

contro la riva di Testaccio... (p~ 81).

i~ un brano del '51; il primo film Pasolini lo girerà un decennio

piú tàrdi.

D'altra parte la tendenza a « rappresentare » negli altri il suo mes-

saggio o non messaggio o, comunque, una sua interpretazione, sembra

essere la tendenza dell'ultimo Pasolini che, sappiamo, ha scritto ultima-

Page 91: Pasolini Tommaso Anzoino

mente alcune tragedie in versi, non ancora pubblicate (escluse Pilade e

56 AD~abulazione), nelle quali i personaggi gli fanno da « interposta per-

sona ». La « rappresentazione », quíndi, non solo obbedisce a esperimenti

di maggiore « obbiettività » della realtà esterna, ma anche della realtà

piú intima.

Tornando alle quattro « rappresentazioni ~ di prima, l'adozione del

dialetto nelle battute del dialogo e della lingua nelle didascalie elimina il

rischioso ed equivoco procedimento della « contaminazione », fissando in

una loro disperata autonomia, di lingua e di azione, i personaggi. Ed è

sopratutto da questo tragico isolamento di uomini, di cose, tra impassibili,

o quasi, descrizioni di « esterni » o di « azioni » (tranne i soliti intene-

rimenti per i piccoli, gli « agnellini », come per la « creatura » di Nan-

nina) che nasce quella forza disperata da epopea popolare che è in Accat-

tone, sopratutto. In quel ghetto dove le parole e le azioni esprimono,

rappresentate, ironia, sarcasmo, violenza beffarda, vigliaccheria, dispera-

zione, malvagità; in quel mondo di « papponi », di prostitute, di inno-

cenza anirnale e di violenza animale, Accattone interpreta, fino in fondo,

la sua parte di « allegro » e « disperato » eroe popolare; e come tutti gli

eroi, alla fine, muore; e nella morte trova la sua pace: « Aaaah... Mo

sto bene! ».

Page 92: Pasolini Tommaso Anzoino

Tutta la parte di Accattone, è chiaro, è « costruita »; sopratutto alla

fine: « La motocicletta era fracassata contro la parte davanti di un camion.

Accattone stava lungo, sanguinante, sul marciapiede, nel posto dove poco

prima lui e gli amici avevano tanto riso » (p. 362): muore, cioè, « pro-

prio » dove prima era stato « allegro »; ma è « costruita », ci pare, coeren-

temente; e non a una realtà, per obbiettiva che sia, ma alla realtà che

l'autore ha scelto e riproposto drammaticamente. Questa drammatizza-

zione della vicenda, fuori da ogni « programma », libera da ogni « vo-

lontà » dí conoscenza, comporta sempre una riduzione al mito popclare

di Pasolini, ma proprio perché « rappresentata » acquista una sua autono-

mia impedendo di per sé, e quindi « obbiettivamente », e quindi « poeti-

camente » gli interventi « privati » dell'autore, la qualcosa ha sempre co-

stituito un limite alle realizzazioni di Pasolini.

Mamma Roma ha, già nel titolo, il programma della sua epicità: è 57

un mondo, una forma di vita che lotta per superarsi, per migliorarsi.

I,'oggetto di tanto amore è Ettore, il figlio della prostituta, al quale

Mamma Roma vuole dare un'altra forma di vita: la vita onesta del

piccolo borghese. Ma la « natura » ha le sue leggi: Ettore, figlio di un

mondo, non riesce, come altri prima di lui, ad integrarsi in un « altro ;>

Page 93: Pasolini Tommaso Anzoino

mondo: si ribella, va a rubare in un ospedale, viene preso. Finisce, legato

su di un letto di cemento:

Si agita inutilmente, proprio come un animaletto pestato, che non sa come

perché, chi l'ha pestato, e crede ingenuamente che agitandosi possa ottenere

qualcosa--la vita di sempre che ha appena riconosciuto, e perduto. Cosí quelle

mutandine bianche, sulla pancia che si contorce, si tira, ricade giú, si rialza

smaniando, sono come uno straccio che si agita appena appena un po~ piú

bianco nel biancore brutale dell'alba (p. 464).

Il simbolismo, si potrebbe dire, è scoperto. Ma a parte il fatto che non

è detto che, questo, necessariamente, debba essere una colpa poetica; è

che la « rappresentazione » ha incontrato un limite, in se stessa, e l'autore

è intervenuto, dall'esterno, a concludere, un po' come un deus ex machina.

D'altra parte anche Mamma Roma, alla fine, nel suo delirio disperato, è

uscita dalla « rappresentazione ».

Un equilibrio perfetto, invece, tra rappresentazione e « significato »,

piú o meno simbolico, ci pare sia stato realizzato da Pasolini ne La ricotta;

parliamo del testo letterario; ma del film, nonostante le polemiche, il pro-

cesso per lo « scandalo », si può dire la stessa cosa. Stracci, il poveraccio

Page 94: Pasolini Tommaso Anzoino

che fa da comparsa, in un film di cassetta, nella scena della crocifissione,

è un uomo alle prese con il problema elementare della sopravvivenza:

mangiare; in un'altrettanto elementare incoerenza di vita: « Io nun te

capisco: mori sempre de fame, e sei dalla parte dei signori che te fanno

morí de fame! », gli dice il « Cristo » beffardo, inchiodato a fianco a lui.

Ma Stracci, in quella falsa, e perciò « empia », scena della crocifissione è

l'unica natura « vera ». Empia, sacrilega, falsa non è Maddalena che fa lo

spogliarello davanti al poveraccio in croce, tra le risate delle comparse che,

58 prima, avevano ripetuto l'oltraggio dell'offerta all'affamato innalzato sulla

croce; empio, perché falso, è tutto ciò di « vero » che circonda Stracci;

il regista prima di tutto: « In mezzo a uno spiazzetto seduto sulla sua

sedia da spiaggia. i~ assorto nei suoi sublimi pensieri (« Cinema nuovo »,

Antonioni, ecc.). Si riscuote dalla sua sublime meditazione e, a bassa voce,

quasi sofferente, mormora: " La corona " » (p. 468).

La « falsità » del personaggio qui è descritta un po' dall'esterno; risulta

molto meglio rappresentata nell'intervista con l'inviato di Tegliesera, nella

quale Pasolini prende in giro, anche, se stesso e tutto l'artificioso bagaglio

di cultura che si porta appresso. E come il regista sono tutti quelli che

assistono, falsi, alla crudele « verità » che si sta rappresentando in quella

scena; e, piú di tutti, quelli che arrivano alla fine, a godersi lo spetta-

Page 95: Pasolini Tommaso Anzoino

colo: i « signori », i « padroni » « col naso in alto, delusi, visti come

dalle croci, che storcono la bocca accorgendosi, da quello sciopero, che

Stracci " esisteva " » (p. 487). Stracci, che « sciopera », che non risponde

piú all'« azione », morto sulla croce per indigestione, è la scandalosa « ve-

rità » di quella scena. E il compatimento, vizio antico di Pasolini, è

assente; c'è solo la pietà che viene da una dolorosa, « rappresentata »

verità.

Il penultimo capitolo del libro è costituito da una poesia che ha dato

il titolo all'opera: è dedicata a Sartre che aveva raccontato a Pasolini

la storia di Alí dagli occhi azzurri. ~ proposto il nuovo motivo del poeta

« civile »: non piú il sottoproletariato che cinge Roma d'assedio sarà pro-

tagonista della « sua », e perciò « vera » rivoluzione, ma il Terzo Mondo,

i poveri, i servi dell'Africa, dell'Asia, dell'America Latina, che trascine-

ranno con sé i fratelli diseredati dell'Italia, dell'Europa, dell'America

ricca: « deponendo l'onestà / delle religioni contadine, / dimenticando

l'onore / della malavita, / tradendo il candore / dei popoli barbari-~/

dietro ai loro Alí / dagli Occhi Azzurri--usciranno da sotto la terra

per uccidere--/ usciranno dal fondo del mare per aggredire--scende-

ranno / dall'alto del cielo per derubare / e prima di giungere a Parigi /

per insegnare la gioia di vivere, / prima di giungere a Londra / per

Page 96: Pasolini Tommaso Anzoino

insegnare a essere liberi, / prima di giungere a Ne~v York, / per insegnare

come si è fratelli--distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / depor-

ranno il germe della Storia Antica. / Poi col Papa e ogni sacramento /

andranno su come zingari / verso nord-ovest / con le bandiere rosse /

di Trotzky al vento... (p. 493).

I1 mito della plebe nazionale, piú che sostituito, è integrato in quello

della plebe universale. Le esperienze dei viaggi, in India, in Africa, hanno

consentito a Pasolini di verificare a un livello enormemente piú largo la

« sua » conoscenza del mondo. La profezia di Pasolini, a parte il riferi-

mento « meta-politico » alla rivoluzione permanente ed esportata, si inse-

risce, d'altra parte, nel clima di « attenzione » verso il Terzo Mondo

tipico degli anni sessanta. Ma per Pasolini è stata, sopratutto, un'accen-

sione d'amore, come sempre. Per questo, piú tardi, ha potuto, e dovuto,

rinnegarla:

Perché rinnego questa profezia? Perché mentre allora ero solo e ridicolo a

farla, oggi è divenuta merce comune: ma questo non significa che io presun-

tuosamente voglia attribuirmi il monopolio di certe idee e la prerogativa ad

appassionarmene: no, vuol dire che quella profezia era giusta allora ma in

quanto era sbagliata; era un capriccio vitale e fecondo della passione politica

Page 97: Pasolini Tommaso Anzoino

un rovesciamento voluto e cosciente del buon senso del futuro. Perché dunque

il' fatto che tale speranza posta ndla potenzialità rivoluzionaria dei contadini del

Terzo Mondo ora è sbagliata? Perché non è guardata in prospettiva rivoluzio-

naria (Intervista a F. Camon, pp. 132-33).

Non si tratta piú del « tradimento ~> d'un'anima rivoluzionaria, come nel

'56, come ne Le ceneri di Gramsci: si tratta d'un'operazione ben piú ingiu-

sta, perché distorce una « natura ». ~ un motivo, questo, che è stato ampia-

mente illustrato da Pasolini stesso nell'intervista all'inizio di questo libretto.

Rital e Raton è l'ultimo « esperimento » della raccolta: un saggio,

piú che un racconto, percorso continuamente da brividi, da sussulti

di mitologia privata, di sociologia, di descrizioni, di considerazioni. In

un contesto cosí drammaticamente, ma nel linguaggio pacatissimamente

sconvolto si muove la presenza inquieta e inquietante di Brahim, il gio-

vane arabo che gira per Parigi portando dentro di sé, e cercando, « qual-

cos'altro ». La spiegazione del titolo può servire a comprendere il simbo-

lismo o, piú modestamente, l'allusività di certe situazioni: « gli arabi sono

chiamati dai razzisti francesi " raton ". E gli italiani per le stesse ragioni

sono chiamati " rital " » (p. 508). La presenza di Brahim, un « raton »,

dunque, incute una paura « come se la presenza di altri destini minac-

Page 98: Pasolini Tommaso Anzoino

ciasse i nostri » (p. 494). Brahim, insomma, è il portatore della crisi; colui

che, se accettato, sconvolgerebbe tutto. Un preannuncio di Teorema.

Le due raccolte di poesie degli anni '60, La religione del mio tempo

(1961) e Poesia in forma di rosa (1964) indicano, accanto a frequenti

ritorni, e spesso veramente fastidiosi, ai motivi della poesia precedente,

un nuovo atteggiamento di Pasolini di fronte alla realtà. La storia, la

civiltà borghese hanno preso definitivamente il sopravvento su di lui,

come realtà che si impone con tutto il peso della sua volgarità, della sua

ipocrisia, della sua corruzione. Costretto, Pasolini deve rinunciare ai suoi

miti, alla sua pietà, al suo amore; solo l'impotenza rimane, ma non uguale:

una volta era dolorosa, chiusa; ora diventa rabbiosa. Ma lo sforzo della

rabbia non può durare: è una tensione insostenibile a lungo, nel cuore e

nella poesia; al suo esaurimento succede l'ironia e, piú ancora, l'autoiro-

nia. Come se il distacco dal mondo amato cosí soffertamente, l'aggres-

sione del mondo borghese di cui, purtuttavia, egli è ed è sempre stato

parte, lo costringano a guardare se stesso piú da vicino, o piú da lontano,

a vedersi qual'è e quale appare, o, peggio ancora, quale « deve » essere:

« un donchischiotte di tre anni ».

Nella prima raccolta, La religione del mio tempo, i ritorni ai vecchi

Page 99: Pasolini Tommaso Anzoino

motivi sono piú frequenti; nel poemetto La Ricchezza è riproposto il

mondo della borgata, quello giovanile, allegro, insolente, violento; e

quello adulto, abbrutito dal « feroce Frascati », dalla malattia, dalla mi-

seria; è riproposto il « sesso, consolazione della miseria », con immagini

a volte veramente urtanti per la loro retorica, che il realismo del linguag-

gio, altrettanto retorico, non può che appesantire: « La puttana è una re-

gina, il suo trono / è un rudere, la sua terra un pezzo / di merdoso

prato, / il suo scettro / una borsetta di vernice rossa: / abbaia nella

notte, sporca e feroce / come un'antica madre: difende / il suo possesso

e la sua vita ». Poi tocca ai « magnaccia » e a tutti gli altri « rifiuti del

mondo ».

Ma il motivo ricorrente, piú degli altri, è quello della « ricordanza »,

strutturato spesso con la meccanica sentimentale propria del Leopardi di

Vaghe stelle dell'Orsa: la realtà presente richiama, per contrasto o per

analogia, la realtà passata, o il sogno passato. Cosí la proiezione al « Nuo-

vo » di Roma città aperta rievoca la « luce » della Resistenza, il fantasma

del fratello partigiano, e il dolore di scoprire, ancora una volta, che « tutta

quella luce, / per cui vivemmo, fu soltanto un sogno / ingiustificato,

inoggettivo, fonte / ora di solitarie, vergognose lacrime » (Lacrime). Per

quanto sincero sia qui, e altrove, Pasolini dà l'impressione di uno smar-

Page 100: Pasolini Tommaso Anzoino

rimento « querulo », come dice Asor Rosa, di una incapacità di uscire

dalle modulazioni della pietà. E il poeta stesso pare accorgersene, se non

a livello di coscienza critica, almeno a quello di volontà: « mi sforzo a

capire ogni cosa, ignaro / come sono d'altra vita che non sia / la mia,

fino perdutamente a fare // di altra vita, nella nostalgia, / piena espe-

rienza: sono tutto pietà, / ma voglio che diversa sia la via / del mio

amore per questa realtà » (La religione del mio tempo).

Una poesia « civile » che sia religiosa, com'è nelle ambizioni del poeta,

non può continuare per la strada dell'elegia, lacrimevole o no. E cosí

anche lo « stile » s'innalza, l'andamento della poesia si fa piú sostenuto

anche se con i modi piú tradizionali della buona retorica, come nelle into-

nazioni delle frequentissime « imprecazioni »: « Guai a chi non sa che

è borghese / questa fede cristiana, nel segno // di ogni privilegio, di

ogni resa, / di ogni servitú; che il peccato / altro non è che reato di

lesa // certezza quotidiana » (ibidem), con quell'esordio « guai » ripe-

tuto per la settima volta in otto terzine.

Ma anche qui, nel poemetto che dà il titolo alla raccolta, il processo

della « ricordanza » leopardiana è visibile: due ragazzi, « poveri, allegri

cristi quattordicenni » sono l'occasione per riandare al tempo finito del

Page 101: Pasolini Tommaso Anzoino

Friuli, della semplice, innocente, dolce-violenta religione del Friuli; e que-

sto ricordo acuisce il dolore nella visione della Chiesa presente: « tutto

distrugge la volgare fiumana // dei pii possessori di lotti: / questi cuori

di cani, questi occhi profanatori, / questi turpi alunni di un Gesú cor-

rotto // nei salotti vaticani, negli oratori, / nelle anticamere dei ministri,

nei pulpiti: / forti di un popolo di servitori ». La corruzione della Chiesa

si poggia sulla « viltà » del tempo, che essa stessa ha provocato; viltà

di borghesi grandi e di borghesi piccoli, brulicanti « intorno a un benes-

sere / illusorio » ; viltà che è « paura », mancanza « di vera passione » ;

cioè « irreligiosità ».

A volte pare che la vera colpa della Chiesa sia quella di non aver

saputo corrispondere ai sogni del poeta, al « dolceardente » usignolo della

chiesa cattolica; a volte, come nell'epigramma A un Papa, scritto per

la morte di Pio XII, quelle colpe si concretizzano, in un tono di oratoria

profetizzante e anatemizzante: « Migliaia di uomini sotto il tuo pontifi-

cato, / davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili. / Lo sapevi,

peccare non significa fare il male: / non fare il bene, questo significa

peccare. / Quanto bene tu potevi fare! E non l'hai fatto: / non c'è stato

un peccatore piú grande di te ». ~ il passaggio dal poemetto epico-lirico

all'« epigramma », dall'elegia all'invettiva, in una progressiva, diversa ac-

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quisizione di dati « reali » alla poesia, che lo porterà all'approdo dispe-

rato della « rabbia ». La realtà che ora gli si impone è tanto diversa da

quella antica: il « popolo » non è piú: è la « massa », ora, al suo posto:

« Altre mode, altri idoli, / la massa, non il popolo, la massa / decisa a

farsi corrompere / al mondo ora si affaccia, / e lo trasforma, a ogni scher-

mo, a ogni video / si abbevera, orda pure che irrompe / con pura avi-

dità, informe / desiderio di partecipare alla festa. / E s'assesta là dove il

Nuovo Capitale vuole » (Il glicine).

Non serve piú, ora, il suo « offeso angosciarsi »: è fallito il suo pri-

vato sogno di amore. E da questo fallimento non potrà che nascere una

« disperata rabbia » che proprio nell'aggettivazione, tuttavia, ripropone,

sterilmente, la sua impotenza.

Ma quell'amore per il popolo degli esclusi è il « vizio assurdo » di

Pasolini: se in Italia non c'è piú speranza, la speranza verrà dall'Africa,

dall'India. Il sogno de Le ceneri di Gramsci sembra aver trovato una

nuova incarnazione; l'« ansia nazionale » del sottoproletariato romano si

trasferisce nell'Africa « unica mia / alternativa... »: « Forse a chi è nato

nella selva, da pura madre, / a essere solo, a nutrire solo gioia, / tocca

rendersi conto della vita reale: / rinunciare a obbedire al sesso per pen-

Page 103: Pasolini Tommaso Anzoino

sare, / finire d'essere fanciullo per diventare cittadino, / tradire gli Dei

per lottare con Marx! » (Alla Francia). Ma il processo di questo nuovo

« popolo » non sarà diverso da quello delle plebi italiche. Dalla cono-

scenza « amorosa » di un'India « immensa borgata romana », come dice

il Ferretti, alla speranza di Alí dagli occhi azzurri, alla desolazione della

« deludente linea grigia », dell'ineluttabile imborghesimento (nella già ci-

tata intervista Camon): un'altra sconfitta del « troppo amore ».

La ripetizione di questo meccanismo: amore-delusione che è ancora,

nonostante i tentativi di rifiutarvisi una volta per sempre, il motivo cen-

trale della poesia, ripropone, come causa originaria, e proprio come « pec-

cato originale », la « mancata scelta » ideologica delle Ceneri di Gramsci.

Per quanti fatti, realtà nuove la storia s'incarichi di offrirgli, Pasolini

rimane nella sua angosciosa e sterile « libertà ». Il livello, l'orizzonte

della « conoscenza » possono allargarsi, possono anche trovare concreti

riferimenti nella storia, ma l'acquisizione resta sempre una « passione »,

sempre meno ardente e sempre piú sfiduciata. Per i nemici che incontra

non può che preparare gli strali, a volte piú, a volte meno vibranti, della

sua polemica che riesce tanto piú spuntata quanto piú si sostanzia di

« nostalgia »; come nell'epigramma In morte del realismo: il « realismo »,

« corpo ideologico » nato dalla Resistenza e dalla sua « rivoluzione », è

Page 104: Pasolini Tommaso Anzoino

ucciso dai « restauratori » della « lingua », dal « socialismo bianco » dei

64 Cassola e dai velleitarismi neoborghesi dei « neosperimentali »; motivi

ripresi nella Reazione stilistica, in maniera piú esplicita e violenta. Anche

qui un « tradimento », un'« offesa », senza possibilità di risposta « posi-

tiva », con l'infecondo conforto della nostalgia di ciò che poteva essere

e non è stato.

In Poesia in forma di rosa si ripropone lo svolgimento consueto delle

raccolte poetiche di Pasolini: motivi di « ritorno »: la difesa della « tene-

rezza », dell'« elegia », « l'inclinazione allo scisma » e, piú vecchi ancora,

il Friuli, la fanciullezza; e, accanto, i motivi « nuovi »: la viltà borghese.

la necessità disperata di dare un « nuovo scandalo », l'invettiva, la pro-

fezia, l'ironia. Parlare di svolgimento è improprio: non c'è, infatti, un

processo limpido di liberazione dai primi motivi e acquisizione dei nuovi:

spesso sono compresenti, a conferma della incapacità di Pasolini di libe-

rarsi completamente dalla « sua » tradizione, nonostante le ripetute dichia-

razioni di fallimento di quella « esperienza di nostalgia » Il rischio minore,

in questo caso, è quello di stancare il lettore; il rischio maggiore è, invece,

quello di stancare la propria poesia, nella continua tensione di inventare

nuove immagini per quel mondo ormai tante volte riinventato. Le infi-

Page 105: Pasolini Tommaso Anzoino

nite risorse letterarie di Pasolini riescono a volte a mascherare questo

sforzo; altre volte, invece, dare corpo al fantasma ossessivo della fanciul-

lezza friulana, per esempio; costringe il poeta a scoprire tutta la consun-

zione di quel mito. E allora vediamo il giovinetto rappresentato nel com-

piere « fino al sangue » « dolcissime » masturbazioni sulle tombe di « sol-

dati italiani e tedeschi », pronti a vendicarsi, la notte, con lacrimose e

sanguinose apparizioni (Una disperata vitalita). Non si contesta, ovvia-

mente, il diritto di mitizzare la « gioia solitaria ~> di un fanciullo; si

vuole verificare, piuttosto, lo sfruttamento sino al limite di un motivo

già tante volte proposto.

Ma è piú utile passare ai nuovi motivi. Il « terrore della realtà e della

solitudine » lo spinge a « cercare nuove alleanze » « che non hanno altra

ragione / d'essere, come rivalsa, o contropartita, / che diversità, mitezza e

impotente violenza: / gli Ebrei... i Negri... ogni umanità bandita... »

(La realtà). La conoscenza di questa nuova e antica umanità riesce a com-

muovere il poeta, come sempre; ma la nuova « rabbia ~> pare smuovere

quella commozione dalla desolata staticità dell'impotenza: un nuovo sogno

ora appare: il profeta « che non ha / la forza di uccidere una mosca... »

che « urla » la sua profezia: « Ah Negri, Ebrei, povere schiere / di se-

gnati e diversi, nati da ventri / innocenti, a primavere / infeconde, di

Page 106: Pasolini Tommaso Anzoino

vermi, di serpenti, / orrendi a loro insaputa, condannati / a essere atro-

cemente miti, puerilmente violenti, // odiate! straziate il mondo degli

uomini bennati! / Solo un mare di sangue può salvare, / il mondo, dai

suoi borghesi sogni destinati // a farne un luogo sempre piú irreale! /

Solo una rivoluzione che fa strage / di questi morti, può sconsacrarne

il male! » (ibidem). I1 tono « naturalmente ~> retorico della poesia civile,

suggestionato a volte da una tradizione lontanamente biblica, disciplinato

in una struttura metrica severamente tradizionale, anche se non « classica »,

è il tono di queste prime nuove poesie. Una misura, quindi, rigorosa-

mente letteraria, che spesso, tuttavia, cede a movimenti di raffinata sa-

pienza stilistica, o a sovrabbondanza passionale, o a effetti realistici, o,

nei momenti migliori, a « prosaicità ». Come in Pietro II, poesia d'occa-

sione, come tante altre, e non solo di questa raccolta, scritta nei primi

giorni del marzo del 1963, durante il processo per il film La ricotta: apo-

logia della sua eretica religione, del suo modo di intendere la santità: « I1

santo è Stracci ». I1 processo, la condanna, conseguenze di uno « scan-

dalo », diventano l'occasione per riproporre la divisione tragica tra il

poeta, il « diverso » e la classe borghese che lo giudica; ma il tono è molto

meno drammatico e retorico di altre volte, molto meno carico: consente

persino di fare un po' di ironia: « Ecco, sono stato condannato. / Fatto per-

sonale, cicuta che dovrò bermi da solo. / Come l'eroe di un'operetta di do-

Page 107: Pasolini Tommaso Anzoino

lore, in coturni / tra il basso coro, scendo nella notte--tiepida--/ l'or-

renda scalea. Gli amici se ne vanno a cena. / Solo. Con tre gatti di foto-

grafi, e la piccola / folla che non guardo, eroe compreso nel suo dolore ».

L'ironia, e soprattutto l'autoironia, è il tono nuovo di questa rac-

colta di poesie; il tono nuovo di gran parte dell'« ultimo Pasolini ».

Piú spesso è esercitata sulla propria funzione di poeta; del poeta di

una volta: « Ma lasciamo stare: / ho descritto fin troppo, / e mai

oralmente, / i miei dolori di verme pestato / che erige la sua testina e

si dibatte / con ingenuità ripugnante » (Una disperata vitalità, VI3; e del

poeta di oggi, che prende coscienza della mistificazione del proprio « me-

stiere » e ne denuncia, volontariamente, i già di per sé chiari strumenti

e meccanismi: « Verità evanescente della situazione domestica, l'ossessione

narcissica, sempre per l'infatuata, arbitraria irrazionalità dell'idea dell'abiu-

ra » (Poema per un verso di Shakespeare); « Continuare ossessive itera-

zioni visionarie, il reportage interpolato anaforicamente al motivo del-

l'abiura » (ibidem); e la falsità programmata di un nuovo stile: « ironia,

sul melodramma -- caduta di ogni speranza di comprensione presso i

destinatari di letteratura, che, per fenomeno contradditorio, assume una

forma di recitativo melodrammatico, in una levigatezza linguistica gene-

rica, da « traduzione »--con sopra appunto l'allegria del suicidio, per

Page 108: Pasolini Tommaso Anzoino

una cerchia specializzata di destinatari » (ibidem).

Altre volte l'ironia vuole proporre un mito nuovo di poeta, dopo quel-

lo del « diverso »,~dell'« unico »: « Sotto / di me, che mi batto come un

Don Chisciotte di tre anni, / un Orlando noioso, tirato dai miei bei fili »

(ibidem), ma, questa volta, senza la fastidiosa esibizione di un singola-

rissimo destino.

I1 « ripiegamento » dell'ironia è, a questo punto, una necessità della

storia umana e poetica di Pasolini: è finito il tempo del « pianto », del-

l'amore fanciullo; ora il poeta, a quarant'anni, « deve » fare « il poeta

padre », come scrive nel Frammento epistolare, al ragazzo Codignola:

tra il poeta e il ragazzo c'è ormai una « immedicabile disparità », non

voluta, né sentita intimamente, ma imposta, appunto, dalla vita. E il

poeta-padre ha il dovere di ripiegare sull'ironia.

Con questo nuovo strumento Pasolini potrebbe dare una svolta alla

sua carriera di poeta, incominciare da capo; ormai ha « abiurato » dal

« ridicolo decennio » degli anni '50; si trova di nuovo, come sempre,

solo, ma con in piú una consapevolezza nuova del suo quasi inutile me-

stiere di poeta. Quale, dunque, potrà essere il suo « progetto di opere

Page 109: Pasolini Tommaso Anzoino

future »? Tutto, o niente: qualunque cosa, qualunque opera: un nuovo

Inferno, una Passionale storia della poesia italiana, una Bestemmia; giac-

ché « non conta né il segno né la cosa esistente ». La demistificazione

della poesia e della letteratura sembra totale: la poesia può anche con-

tinuare, ma solo per « inerzia ». Il poeta ha trovato il suo posto: « Ah

oscure / tortuosità che spingono a un " destino d'opposizione "! / Ma

non c'è altra alternativa alle mie opere future » (Progetto di opere fu-

ture). Un destino non certo nuovo; anzi, il suo destino di sempre. Speci-

ficato, nei termini antichi: non l'Opposizione con la o maiuscola, « potere

nel potere », che segue il Potere nell'« atto trionfante »; ma l'opposizione

con la o minuscola, di chi non può « essere amato da nessuno, e nessuno

può amare ». Un destino, come sempre, di « martire », ridicolmente espo-

sto: « Bisogna deludere. Saltare sulle braci / come martiri arrostiti e ridi-

coli: la via della Verità passa anche attraverso i piú orrendi / luoghi

dell'estetismo, dell'isteria, // del rifacimento folle erudito » (ibidem).

Ma c'è di nuovo, una « novità » stilistica. La nuova testimonianza sarà,

quindi, un nuovo esperirnento di stile: « Solo una nobik broda / d'ispira-

zioni miste, demistifica ». La svolta, dicevamo, potrebbe essere questa.

Lo sarà quando Pasolini riuscirà a liberarsi completamente del passato,

dai suoi vecchi impegni di poeta privato e civile; se mai ci riuscirà.

Page 110: Pasolini Tommaso Anzoino

questa contraddizione che tiene prigioniero il poeta: sentimentale e, quin-

<li, stilistica. Cosí in Vittoria, una delle poesie alle quali Pasolini tiene

di piú, perché vi vede « prefigurato » lo spirito politico e idealistico d'oggi.

L'autoironia è pronta a demistificare, sul nascere, la poesia: « Bene, mi

sveglio per la prima volta in vita mia / col desiderio d'impugnare un'ar-

ma. / I1 ridicolo è che lo dico in poesia // [...] Non è la mia che fre-

nesia dell'alba. / A mezzogiorno sarò coi miei connazionali / alle opere,

ai pasti, alla realtà che inalbera // la bandiera, oggi bianca, dei Destini

Generali »; ma davanti al vecchio mito della Resistenza tradita si arresta.

68 Ed è naturale. Si può ironizzare sulla realtà presente, sulla propria mito-

poiesi, ma una volta consentito al mito di riproporsi, l'ironia deve tacere.

La contraddizione è, quindi, nella volontà: lo stile la segue. Per cui è

ovvio che il poeta debba commuoversi per quei partigiani, giovani, inge-

nuamente risuscitati e crudelmente riseppelliti; come è ovvio il tono

tribunizio-profetico dell'esortazione a fare piazza pulita: a vadano, tanto

per incominciare, dai Crespi, dagli Agnelli, / dai Valletta, dai potenti

delle Società / che hanno portato l'Europa sulle rive del Po: // è giunta

per ognuno di loro l'ora che non ha / proporzione con quanto ebbe e

quanto odiò. / Coloro poi che hanno sottratto al bene comune // capitale

prezioso, e che nessuna legge può / punire, ebbene, andate, legateli con la

Page 111: Pasolini Tommaso Anzoino

fune / dei massacri ~>; come è ovvio l'intenerimento per l'infelice fra-

tello: « Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro / umile della fami-

glia, grossa testa di secondogenito, / mio fratello riprende il sanguinoso

sonno, solo`// tra le foglie secche, nei sereni / eremi di un bosco delle

prealpi, perso nell'oro / della pace d'una interminabile Domenica ». Co-

sicché il verso conclusivo « Eppure, è questo un giorno di vittoria » non è

dettato dall'ironia, ma dall'antica pietà.

Teorema, il libro pubblicato nel '68, quindi l'ultimo sino ad oggi, non è

la sceneggiatura del film omonimo, anche se è « un libro da film o per

film » (Camon). Non c'è una battuta di dialogo, non c'è una « rappresen-

tazione » come in Accattone o La ricotta. L'autore stesso, d'altra parte,

definisce l'opera: « parabola » e il contenuto « una irruzione religiosa

nell'ordine di una famiglia milanese », borghese. Qui è la prima novità

dell'opera: il mondo borghese. i~ la prima volta, infatti, che Pasolini

sceglie di parlarne direttamente. La qualcosa comporta due grossi pro-

blemi: la posizione da assumere e, di conseguenza, la lingua da adottare.

Tl Pasolini « realista » del sottoproletariato è stato mimetico; ora, nei

confronti della borghesia, non sa o non può esserlo (l'ha detto all'inizio

dell'intervista lui stesso); quindi un « romanzo » sulla borghesia non può

scriverlo: può scrivere una « parabola » però, la~ cui programmatica alle-

Page 112: Pasolini Tommaso Anzoino

~oricità gli consente di adottare una lingua neutra (« sognata e labile »),

che si limiti a descrivere: dai fatti cosí esposti emergerà, direttamente,

il significato simbolico. E cosí è infatti. Nella descrizione, dei « dati »,

della vicenda, la prosa va avanti piana, scorrevole, senza un sussulto di

partecipazione. Nella prima parte, dopo la descrizione dei personaggi: il

padre, la madre, il figlio, la figlia, la serva, segue la descrizione dei modi

in cui tutti i membri della famiglia e, prima di questi, Emilia, la serva,

si concedono al giovane ospite, in una successione di fatti « puramente

casuale », perché sono « compresenti e contemporanei ». Nessuna storia

e nessuno svolgimento, quindi. Nella seconda parte, altrettanto casual-

mente, sono descritte le conclusioni, se cosí si possono chiamare, di quella

eccezionale esperienza: il padre dona la fabbrica agli operai, si spoglia

nella stazione di Milano e scompare, nudo e urlante; la madre cerca dispe-

ratamente di ritrovare in altri rapporti sessuali il « rapporto ~> misterioso

e sconvolgente con il giovane ospite; il figlio abbandona tutto per la pit-

tura in una impotente crisi di significati e di valori; la figlia impazzisce

per il ricordo di quell'esperienza; la serva torna al suo paese e incomincia

a fare miracoli.

L'allegoria, nonostante le apparenze, è facile a cogliersi: l'eccezionale,

il miracolo è lo sconvolgimento della vita borghese, basata sulla sicurezza

Page 113: Pasolini Tommaso Anzoino

del possesso; il primo borghese della famiglia, il padre industriale, è il

primo ad accorgersi di « non possedere » qualcosa. Lo sconvolgimento

avviene attraverso la violenza: negli « allegati » Pasolini riporta un ver-

setto del libro di Geremia: « Mi hai sedotto, Dio, e io mi sono lasciato

sedurre, mi hai violentato... » e aggiunge « anche in senso fisico ». Dun-

que Dio, o un'esperienza religiosa, per farsi sentire nel mondo borghese,

ha bisogno della violenza, come Cristo nel Vangelo secondo San Matteo

nei riguardi dei mercanti nel tempio; perché il mondo borghese ha per-

duto, anzi, non ha mai avuto, una religiosità. I1 borghese è conservatore

in quanto pensa sempre a « domani », al suo domani. I1 povero, il sem-

plice, l'umile, il « religioso », no. Cosí Emilia: « Tu vivi tutta nel pre-

sente / Come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi, / tu non ci pensi,

al domani » (p 106). Il titolo della poesia da cui sono tratti questi versi

è illuminante: Complicità tra il sottoproletario e Dio. Per questo Emilia

« ragazza di basso costo, / esclusa, spossessata del mondo » è « eletta »

e va a compiere miracoli tra l'ingenuo stupore e l'ingenua fede dei suoi

poveri e semplici compaesani, quasi alla periferia della grande città.

A questo punto, a svelare la « parabola » interviene lo stesso autore,

~ntroducendo un giornalista che pone alla povera gente radunata intorno

alla « santa », una serie di domande, per una « inchiesta sulla santità ».

Page 114: Pasolini Tommaso Anzoino

Pasolini si scusa col lettore per il linguaggio che dovrà adoperare: quello

<. usato nel commercio culturale quotidiano--i giornali, la televisione--

e, meglio che dozzinale, addirittura volgare ». Ma il discorso è tutto paso-

liniano; ché di discorso si tratta, e non di domande e risposte. Quei con-

~adini, infatti, non saprebbero rispondere. E le risposte, inoltre, sono nella

logica stessa delle domande: « Per quale ragione, secondo lei, Dio ha

scelto una povera donna del popolo per manifestarsi attraverso il mira-

colo? [...] Per la ragione che i borghesi non possono essere veramente

religiosi? » (pp. 176-77). Sono definizioni: « Essa tla « santa matta »,

Emilia] non è una terribile accusa vivente contro la borghesia che ha

ridotto--nel migliore dei casi--la religione a un codice di comporta-

mento? ». Solo all'ultima domanda non c'è risposta. E perciò l'abbiamo

riproposta a Pasolini nell'intervista: « Ma il nuovo tipo di religione che

allora nascerà (e se ne vedono già nelle nazioni piú avanzate i primi segni)

non avrà nulla a che fare con questa merda (scusi la parola) che è il

mondo borghese, capitalistico o socialista in cui viviamo? » (p. 179).

Pasolini ci ha risposto: « Chi ama veramente la vita non pensa mai al

futuro ». Una risposta di semplicità « evangelica », uguale all'ultimo verso

della Preghiera su Commissione: « Caro Dio / facci vivere come gli

uccelli del cielo e i gigli dei campi ». Una risposta che mette in crisi

tutto il rigore del « ragionamento ».

Page 115: Pasolini Tommaso Anzoino

Lo stesso accade alla fine della seconda « inchiesta », sulla « dona-

zione ». Stabilito che la donazione della fabbrica da parte del padre-pa-

drone agli operai non è un atto isolato, ma « rappresenta, piuttosto, una

generale tendenza di tutti i padroni del mondo moderno »; e che attra-

verso una serie di donazioni o di « concessioni » « la mutazione dell'uomo

in piccolo borghese sarebbe totale », « fino alla completa identificazione

del borghese con l'uomo »; in questo universo borghese saprebbe la bor-

ghesia « rispondere alle domande che la storia--che è la " sua " storia

--le pone? ». A quest'ultima domanda non segue una risposta, né un'al-

tra domanda. Anche qui, dunque, un « ragionamento » si conclude senza

possibilità di risposta « logica ». A meno di non `rispondere: no; ma la

negazione, nonché risolvere, aggrava il drammatico problema che l'intervi-

statore-Pasolini rileva.

I1 finale di Teorema conferma questa dolorosa scoperta di Pasolini:

le risposte, le soluzioni della « logica », borghese o no, conducono l'uomo

per un cerchio vizioso dal quale non si esce se non con il rifiuto della

« logica » (ma chi può rifiutarla se essa è nel mondo?). L'urlo inumano

che esce dalla gola del padre, nel deserto dove è fuggito, è la risposta

assurda, . « fuori [ ... ] dalla volontà » di chi « esiste » e di chi « sa », ma

Page 116: Pasolini Tommaso Anzoino

non può esprimere: « ~ un urlo / in cui in fondo all'ansia / si sente

qualche vile accento di speranza; / oppure un urlo di certezza, assoluta-

mente assurda, / dentro a cui risuona, pura, la disperazione. / Ad ogni

modo questo è certo: che qualunque cosa / questo mio urlo voglia signifi-

care, / esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine ». A tanto

drammatica conclusione giunge questo « manualetto laico, a canone so-

speso », come lo definisce Pasolini, nel risvolto della copertina, che pone

i problemi « senza pretendere di risolverli ».

Un tentativo di « conoscenza », fuori dalla tradizione logica Pasolini

lo compie con il nuovo strumento che ha trovato: la psicanaiisi. Altri

impieghi, contemporanei, di questa forma di 'conoscenza sta operando nei

film di questo periodo, Edipo re, per esempio, e nel teatro, Pilade. Ma

la sua adozione è, per ora, marginale: la « parabola » si spiega diversa-

mente, come abbiamo visto. i~ nell'Appendice alla parte prima, in una

serie di poesie-confessioni dei vari personaggi, che qualche trovata psicana-

litica fa la sua apparizione, sopratutto intorno a un rapporto padre-figlio

e madre-figlio in cui il « vero » rapporto col giovane ospite confluisce,

in una eccezionale incestuosità che approfondisce, appunto, l'« ecceziona-

lità » di quelle esperienze. i~ un motivo, quello del rapporto padre-figlio,

che ritroveremo proposto anche, con maggiore importanza, in A,~abu-

Page 117: Pasolini Tommaso Anzoino

lazione.

L'ultimo Pasolini, se è lecito dire cosí, si muove, nella letteratura, in

una situazione di assoluta, o quasi, solitudine. Se continua a scrivere poe-

sie, mi ha detto, piú o meno, durante il colloquio che ho avuto con lui

per l'intervista, lo fa per « inerzia », sopratutto: una dolorosa inerzia

che gli deriva dal suo mestiere di poeta e che lo costringe a scrivere. C'è

una parte di lui che per le tante esperienze di vita e di cultura, per il

tanto amore profuso un tempo per esse, non può tacere. Questo atteg-

giamento si trova in una delle ultime poesie, Appunti per un'arringa

senza senso: « Qualcosa rifluisce e torna al punto di partenza / (ché nulla

va perduto) / e il corpo in cui questo avviene resta con quel poco

d'anima / che è necessaria a tirare avanti infino alla fine » (« Nuovi Argo-

menti », marzo-giugno 1970). La leggera ironia di quell'« infino alla fine ~>,

cosí civettuosamente letterario, non è solo un modo stilistico, ma la spia

dì una stanchezza senza speranza. E « versi assolutamente senza speranza,

che non sia l'affastellante vitalità del provare sentimenti e dello scrivere »

sono quelli de La poesia della tradizione (« Nuovi Argomenti », gennaio-

marzo 1970) dedicata ai giovani di oggi (« Oh generazione sfortunata! »)

« fanciullescamente » pragmatici, « puerilmente » attivi, fieri del nuovo

mito della « organizzazione ».

Page 118: Pasolini Tommaso Anzoino

Pieno di speranza Pasolini non lo è stato mai; al contrario, è stato

il poeta delle speranze tradite; ma pure, in quella sua poesia della dispe-

razione, c'era una vitalità, che si traduceva anche in termini di linguag-

gio. Ora, invece, questa « vanità » della speranza, diventa, coerentemente, 73

vanità di linguaggio, banalità, usualità: « Smetto di essere poeta originale,

che costa mancanza / di libertà: un sistema stilistico è troppo esclusivo. /

Adotto schemi letterari circolanti, per essere piú libero. / Naturalmente

per ragioni pratiche » (Trasumanar e Organizzar, « Nuovi Argomenti »,

gennaio-marzo 1969). Il suo « commercio linguistico » non ha piú pro-

blemi: « Niente contaminazione. Pura koiné » (ibidem).

Non è un motivo nuovo: già in Poesia in forma di rosa e, in partico-

lare, nel Progetto di opere future, questo « disimpegno ~ stilistico era

stato preannunciato. Ma questa volta Pasolini sembra andare piú in pro-

fondità: stabilita la « vanità » di un impegno « originale », tanto vale

registrare, o meglio, ripetere quello che ci circonda, con tutta la sua

illogicità: « Tendo dunque con tutto me stesso all'agrammaticale / (però

rielaborato in studio) / Vorrei mimare l'ecolalia, essere fatico, fatico /

e cosí esprimere, al grado piú basso, il tutto » (ibidem). Ma queste dichia-

razioni di « poetica » restano, come sempre, in gran parte irrealizzate.

Page 119: Pasolini Tommaso Anzoino

All'« impegno », al suo impegno, Pasolini rimane « immedicabilmente »

fedele; con meno slancio, con meno rabbia di prima; con maggiore stan-

chezza. Perché poi continua a eccitare il suo spirito civile alle varie occa-

sioni che la storia e la cronaca propongono. Come contro gli studenti

pseudo-rivoluzionari della famosa e « scandalosa » poesia Il PCI ai

giovani, con la quale difende i poliziotti proletari e sottoproletari con-

tro gli universitari borghesi che dicono di voler fare la rivoluzione, ma

fanno una guerra civile di borghesi contro borghesi, aspettando un enne-

simo sterminatore di questa società che riporti pace e ordine, un altro

Hitler, per esempio.

Oppure l'occasione « civile » si trasforma, con qualche sforzo, in una

costruzione allegorica, come in L'ottobre del 1969 (Poemi zoppicanti,

« Nuovi Argomenti », ottobre-dicembre 1969) dove l'antitesi « natura-

storia » è riproposta in quella « chiesa-tempio », quando nel primo ter

mine s'intenda, appunto, la vita generosa e pura e nel secondo l'« orga-

nizzazione »: sindacale, in questo caso, o partitica, o religiosa che sia. Al-

74 trove i due linguaggi, quello dell'impegno diretto e quello dell'allegoria

coesistono, come in Ortodossia (La restaurazione di sinistra, « Nuovi Argo-

menti », aprile-giugno 1970). Il rimprovero, esplicito, è rivolto ai comu-

Page 120: Pasolini Tommaso Anzoino

nisti del « Manifesto »: « L'eretico, dunque, non cercò con disinteressato

amore l'eresia; / non se lo sognò nemmeno! / Oppose serietà a serietà; /

ricercò la purezza originaria del pensiero. / Lottò, in realtà, per la vera

ortodossia. // [...] Gli autori del « Manifesto » dunque furono impa-

vidi / ma per creare nuova certezza, nuovi ripari a chi », col verso lasciato

sospeso, com~è nuova abitudine dell'ultimo Pasolini. Questi comunisti

che non hanno volutó essere eretici fino in fondo stanno costruendo

« un'altra chiesa » (il termine è usato diversamente dalla precedente poe-

sia), invece di distruggere quella che già c'era; perché « nessuno, se

non i barbari, / ha mai voluto distruggere una chiesa ». E quindi ritorna

ancora, il vecchio mito: i barbari sono le forze « pure » della storia, i

« diversi ». E con questo mito, il mito della sua « dileasità », iiersità

c2di colui

che dando tutto sè esibito « scandalosamente » al mondo;

arricchito di una dimensione piú precisamente « storica »: oggi, in questa

società dei « Doveri » e della « Integrazione », « bisogna pure che qual-

cuno porti sulle miserabili spalle / una croce (" merda n e altre parole

illeggibili c.s.) / Perdere una reputazione per una santità equivoca: mah! /

Ma bisogna pure che ci sia qualcuno pieno di croste, / l'Intoccabile /

Chi punta poco per perdere o vincere poco / vuole contemplare lo spet-

tacolo di chi vince o perde molto / possibilmente di chi perde molto,

Page 121: Pasolini Tommaso Anzoino

horror mundi /--alludiamo a noi stessi, tanto per cambiare, / e per

screditarci ancora un po~, se ce ne fosse bisogno /--non abbiamo fatto

infatti in tempo a essere cattivi figli / che già siamo cattivi padri (parole

illeggibili c.s.)--ottenendo una paterna disapprovazione da quelle caro-

gne dei figli » [Charta (sporca), Poemi zoppicanti, cit.]. E evidente la

coscienza che Pasolini ha della stanchezza di questo mito del quale riesce

anche a sorridere, con un po' di pena, ma dal quale non riesce a stac-

carsi. Da qui l'« inerzia » della sua poesia; da qui la solitudine ideologica,

l'impossibilità di capire i « giovani rivoluzionari », il « gergo » parlato

nei loro « covi ». Da qui l'attaccamento, disperato ma stanco, ai suoi

sogni, alle esperienze vissute nella nostalgia, come la Resistenza: « bru-

ciate nel vostro ottuso rigore / (come altri si drogano) / e non risognate

CLN, non celebrate anniversari; / non avete avuto esperienza dei giorni

di sole del '47; / ciò che accadde sotto il sole è legato al sole; / se quel

sole a voi fu precluso / e oggi la vita, tutta per voi, / dà esclusiva-

mente a voi questo sole del 21 dicembre 1969, / non andate a ripescare

ciò che accadde in quel solario / a meno che come poeti non sappiate

rievocare quel solario, / e non è il caso vostro; lasciate morire chi deve

morire » (La raccolta dei cadaveri, cit.).

~ Le « osservazioni » di Pasolini sono, dunque, sempre le stesse; se

Page 122: Pasolini Tommaso Anzoino

danno, a volte, I'impressione di essere diverse accade perché lo « speri-

mentalismo », le « tendenze » stilistiche riescono a rinnovarle. Abbiamo

usato di proposito i termini che Pasolini stesso ha usato nei confronti

del Pascoli nel saggio raccolto in Passione e ideologia, perché abbiamo

avuto la conferma che quel giudizio non era del tutto estraneo a chi lo

pronunciava. Le dichiarazioni di « poetica » restano spesso intenzioni: è

vero che il linguaggio, generalmente, è cambiato: s'è fatto piú discorsivo,

piú « prosaico », volontariamente banale, a volte; è vero che non ci sono

piú i versi inteneriti, i crudi realismi, le raffinate analogie; che le strut-

ture metriche della tradizione sono state progressivamente ripudiate per

composizioni piú libere, ma sempre controllate (basti vedere con quanta

precisione Pasolini riesce a isolare nel verso la parola piú importante);

ma è anche vero che tutto questo rinnovamento non è avvenuto in pro-

fondità, perché basta che i vecchi miti insorgano e anche il linguaggio

si adegua: cosí abbiamo i riecheggiamenti biblici, le non infrequenti male-

dizioni e profezie: il tono serio e impegnato. E la « passione » che pre-

vale sempre sull'« ideologia »: solo nei momenti di silenzio di quella può

parlare questa. Cosí troviamo le « novità » delle dichiarazioni di poetica.

Se le « occasioni » stimolano la « passione » il poeta continua a scri-

vere, come Geremia, le sue lamentazioni; se stimolano l'« ideologia » il

Page 123: Pasolini Tommaso Anzoino

poeta può « inventare », può « sperimentare » o, senz'altro, distaccarsi

76 un po', con l'ironia e l'autoironia da questa nostra storia alla quale « non

c'è mai vera alternativa, mai ». Altrimenti, come gli « innocenti » ragazzi

di Poema politico non potrà opporre altro che il suo pianto.

La tendenza allo « sperimentalismo » trova una conferma nell'ultima,

finora, ricerca di Pasolini; I'oggetto di studio: il teatro. Nei primi mesi

del '68 ha pubblicato, sul numero 9 di « Nuovi Argomenti » il Manifesto

per un nuovo teatro, proponendo un « teatro di parola ». Citiamo dal rie-

pilogo: a La sua novità consiste nell'essere, appunto, di Parola: nell'op-

porsi, cioè, ai due teatri tipici della borghesia, il teatro della Chiacchiera o

il teatro del Gesto o dell'Urlo, che sono ricondotti a una sostanziale unità:

a) dallo stesso pubblico (che il primo diverte, il secondo scandalizza); b)

dal comune odio per la parola (ipocrita il primo, irrazionalistico il secon-

do) ~>. Il teatro di Parola si propone come « un teatro che sia prima di tut-

to dibattito, scambio di idee, lotta letteraria e politica, sul piano piú de-

mocratico e razionale possibile: quindi un teatro attento sopratutto al

significato e al senso, ed escludente ogni formalismo ». Il manifesto, sti-

lato con una certa civetteria letteraria, non senza una punta di ironia, si

occupa di tutti i problemi che possano riguardare il teatro: i destinatari,

la lingua, gli attori, il « rito » teatrale. Per quanto riguarda i destinatari

Page 124: Pasolini Tommaso Anzoino

il pubblico, questo sarà costituito dai « gruppi avanzati della borghesia »

cioè dalle « poche migliaia di intellettuali di ogni città il cui interesse cul-

turale sia magari ingenuo, provinciale, ma « reale " ». Attraverso questi

gruppi il teatro di parola potrà raggiungere « realisticamente » la classe

operaia: « Essa è infatti unita da un rapporto diretto con gli intellet-

tuali avanzati. E questa una nozione tradizionale e ineliminabile della

ideologia m~arxista e su cui sia gli eretici che gli ortodossi non possono non

essere d'accordo, come su un fatto naturale » (p. 12).

Dunque nel teatro di Parola, a differenza di quello borghese e di quello

underground, non ci saranno « conferme » di convinzioni borghesi o anti-

borghesi, ma « scambio di opinioni e di idee ». Ma tanta sicurezza pro-

grammatica è posta in crisi dallo stesso Pasolini in una noticina, che ri- 77

vela una certa misura di ambiguità e provocazione: « Non è detto, certo,

che gli stessi gruppi culturali avanzati siano qualche volta scandalizzati e

soprattutto delusi. Specie quando i testi siano a canone sospeso, cioè pon-

gano i problemi, senza pretendere di risolverli » (p. 11). Ci sembra im-

portante questa nota: quale scambio di « idee », quale processo positivo

potrà realizzarsi in quell'aristocratica cerchia di pubblico cui è destinato

il teatro di Parola se i testi saranno a « canone sospeso »? Saprà, quel

pubblico, anche quel pubblico, avere l'umiltà di accettare dei problemi

Page 125: Pasolini Tommaso Anzoino

che lautore non pretende di risolvere perché non si possono risolvere?

Una discussione a « canone sospeso >~, ché altro non si potrebbe avere;

una discussione che lasci insoluti i problemi può non deludere un pub-

blico che, per mestiere o vocazione, dovrebbe avere l'abitudine, anche,

di risolvere i problemi? Per questo pensiamo a una « provocazione ».

I due testi teatrali che Pasolini finora ha pubblicato, Pilade, sul nu-

mero 7-8 di « Nuovi Argomenti » (1967) e A~abulazione, sul numero i5

(1969), sono, in diversa misura, opere a « canone sospeso », come Teore-

ma, del resto. Di quest'ultima opera si ripropone il rifiuto della « logica »,

della « ragione » come possibilità di conoscenza e, a maggior ragione, di

soluzione dei problemi. Cosicché quella disponibilità alla « discussione »,

che dovrebbe essere tipico del teatro di Parola, ci appare ancora una volta

ambigua e provocatoria, in un senso tuttaltro che negativo, non tanto nei

confronti della società borghese, quanto proprio di quel pubblico sele-

zionato CUi 1I teatro dovrebbe essere rivolto.

Il « canone aperto » in Pilade è, se non bastasse la vicenda a esplici-

- tarlo, dichiarato nelle battute conclusive dell'Epilogo. Pilade, giunto alla

fine della sua storia, « dovrebbe » chiedersi « qual è la novità » di quella

sua storia; e alla domanda del « vecchio >~: « E perché non te lo chiedi? »

Page 126: Pasolini Tommaso Anzoino

risponde: « Perché non ho risposta. E vero: / tutto ciò che non finisce,

finisce secondo verità. / Ma io non so capire questa fine sospesa / della

mia storia; né i nuovi sentimenti / in cui, bene o male, senza conclu-

sione, / io continuo a vivere » (p. 123). Pilade non sa capire perché si

78 è liberato da Atena, la ragione; perché ha scoperto che la ragione è sempre

e soltanto « consolatrice ». Cosí le sue azioni sono sempre apparse « sna-

turate »; cosí i suoi ideali, i suoi entusiasmi. Nel farsi, ogni cosa si rivela

in una luce che non è piú quella di prima, dal momento in cui, dall'oscu-

rità emerge. E la tragedia si chiude con un'imprecazione: « Che tu sia

maledetta Ragione, / e maledetto ogni tuo Dio e ogni Dio ». Con la rive-

lazione di quest'epilogo è possibile fare miglior luce sulla vicenda, in

verità di non sempre facile decifrazione.

Ad Argo la tirannia di Clitennestra e di Egisto è stata abbattuta. Ore-

ste, il regicida, fuggito ad Atene ed assolto dal tribunale che Atena ha co-

stituito, ritorna; ma è un uomo cambiato: un uomo non piú sottomesso al

« passato » e alle sue divinità, le Furie, ma alla nuova dea, ad Atena.

Quindi non vuole piú essere tiranno: chiede al popolo se deve essere Re.

E il popolo lo acclama Re. Cosí mutato appare irriconoscibile ad Elettra,

anche essa regicida, ma tenacemente legata al passato, alla tradizione, alla

Page 127: Pasolini Tommaso Anzoino

religione: a tutto ciò che è « sacro ». La città, intanto, sotto il nuovo go-

verno, progredisce: « La città ora è un'altra. / Sopravvivono, certo, quelli

che come sempre / s'incaricano di custodire il passato. / Ma, in realtà,

noi cittadini di Argo / ci costruiamo giorno per giorno il futuro. / Il

reddito di ciascuno di noi è cresciuto del doppio. / I commerci della no-

stra città si sono moltiplicati » (p. 30). E il Coro che parla cosí, i citta-

dini che « contano »: i nuovi borghesi, se si vuole. Ma un giorno metà

delle Furie, le « passioni intransigenti e ossessive / della religione antica »,

quelle Furie che Atena aveva trasformato in Eumenidi, benigne deità del

sogno, ritornano ad essere quello che erano prima, riconducendo nel popo-

lo le antiche paure. Oreste riconosce in questo la giustizia degli dei: « Ah,

è troppo giusta, la giustizia degli dei! / Essi mi hanno ascoltato con grande

attenzione, / certo, quando io, nel momento della scoperta / di una nuova

divinità, / che, da una nazione piú avanzata, ho portato / qui nella mia,

ancora contadina e ossessionata / da povertà e religione / mi sono offerto

di sacrificarmi! » (p. 41). I poveri, i contadini sono sempre rimasti schiavi

delle furie: solo Oreste e il suo Parlamento hanno creduto in Atena. Que-

sto ha capito Pilade, il silenzioso e misterioso compagno di Oreste, il 79

« diverso », « lui che non giudica, ma giudicando ama, / [...] lui che è

forte, ma la sua forza la dona ».

Page 128: Pasolini Tommaso Anzoino

Pilade è venuto in città « a mettere in dubbio l'ordine, ormai santo »

della vita secondo ragione, portando in essa il suo odio ma anche un « ter-

ribile / sanguinario, puro, disperato amore ». Cosí si trova alla testa di

una schiera di affamati, di contadini, di operai, e la conduce vittoriosa-

mente fino alle porte di Argo. La regressione al passato: miseria, paura,

religione, ha permesso a Pilade tutto questo; ma sul punto in cui quel pas-

sato, quel sogno sta per diventare realtà egli smarrisce la propria sicurezza,

la propria fede: « Io odio l'irrealtà / in cui vorrei vivere rinunciando a

quel diritto. / Sono un'anima in pena /--e non sono neanche tanto

sicuro / della sincerità del mio dolore » (p. 59). Di fronte all'improvvisa

ambigua incertezza di Pilade, in Argo assediata Oreste ed Elettra si ricon-

ciliano, trovando in questo patto una nuova realtà: « Le Furie nel Tem-

pio, Atena nel Parlamento ». Il necessario compromesso tra passato e fu-

turo, tra relígione e ragione ne snatura i termini stessi, ma fa di Argo

una città « nuova », davanti alla quale Pilade è arrivato « vecchio », come

gli dice Oreste: « I sentimenti che t'hanno spinto / lontano dalla città,

nell'abiura, prima, / poi nella rivolta armata / e ragionata, / sono ora

giunti in te / alla loro maturità estrema e piú alta » (p. 92). Atena è stata

piú veloce: ella, non Pilade, compirà la seconda rivoluzione di Argo, la

« vera rivoluzione ».

Page 129: Pasolini Tommaso Anzoino

Pilade, rìella solitudine della « terra di nessuno », alla ricerca di se

stesso, con una disperata voglia « di morire o di amare », ritrova se

stesso incontrando Elettra, vivendo con lei un amore che è incestuoso,

anche se nessun legame li unisce. A questo amore conduceva, misteriosa-

mente, la vita di entrambi; « Tutto quello che noi abbiamo fatto / io

Elettra, tu Pilade, / per la nostra città e contro la nostra città, j non

portava allora alla gran luce / il cui pensiero ci accecava... / ma a questo

angolo buio... / a questo po' d'erba, che guardo soffocando... » (p. 105).

Questo amore sacrilego e sacro è l'unica cosa che resti a Pilade- non piú

80 lo spirito, ormai « offuscato dall'idea della sconfitta »; non piú il corpo

« che non è piú giovane né privilegiato ». In quell'amore Pilade vede

« qualcosa che la natura rifiuta », « una sfida a tutte le coscienze », la pos-

sibilità di sottrarsi a quella vita che appare come un gioco beffardo di

false successioni tra « Furie » ed « Eumenidi » manovrato da Atena: « C'è

nell'uomo un diritto / (a perdersi, a morire) / che Atena non sorveglia,/

e che nessun altro Dio conosce. / Ebbene, io lo esercito. / E mentre

siamo qui / travolti dagli avvenimenti, / una musica, che dà scandalo e

vergogna / scorre stupendamente nella mia carne » (p. 114). In Argo,

intanto, Atena celebra il suo trionfo: i cittadini, una volta uguagliati

dalla rassegnazione, dai « religiosi terrori che dà la miseria », ora sono

felicemente uguagliati « nella certezza irreligiosa della ricchezza ».

Page 130: Pasolini Tommaso Anzoino

Non è stato facile dipanare dall'intrico delle vicende i motivi che abbiamo

cercato di illustrare. La confusione, naturalmente, è voluta, è « obiettiva »,

cosí come il carico simbolico che personaggi e vicenda si portano appresso.

Cosicché l'analisi dell'opera non può far altro che registrarne le compo-

nenti significazioni simboliche, lasciando sospeso, com'è richiesto dalla

struttura stessa dell'opera, ogni interpretazione « definitiva ». E queste

comp\onenti sono molte, e diverse. E possibile, innanzí tutto, registrare

quella autobiografica: Pilade è, in gran parte della vicenda, Pasolini stesso:

la sua evoluzione è, per molti aspetti, quella dell'autore. La « diversità »,

l'« ambiguità » del personaggio, quel sentirsi appartenere, a diversi li

velli, a entrambe le « classi » sono caratteri del mito personale di Paso-

lini; come pure, alla fine, il rifiuto della ragione « consolatrice ». Addirit-

tura, se proprio si vuole cercare un motivo unificatore dell'opera, lo si

può trovare nell'autobiografismo, a conferma della tendenza generale

della poesia di Pasolini. Cosí si possono spiegare anche altri motivi del-

l'opera: come il conflitto « natura-ragione », o « passato-futuro », o

« popolo-organizzazione »; come la sfiducia nelle pseudo trasformazioni

sociali viste come progressivo assorbimento nell'unità, passiva, senza spe-

ranza, delle diversità attive e rivoluzionarie; come il rifugio nella psica-

nalisi (il rapporto « incestuoso » Pilade-Elettra), vista ora come possibi-

Page 131: Pasolini Tommaso Anzoino

lità nuova di conoscenza dopo il fallimento della ragione e della logica, 81

borghese e marxista. Isolare un motivo e farne la chiave di lettura dell'ope-

ra non ci pare possibile, tranne, come s'è detto, per quello autobiografico;

ma solo nella misura in cui tutte le opere, e segnatamente quelle di Paso-

lini, sono autobiografiche. Lo stesso motivo « politico », che forse po-

trebbe, piú degli altri, aspirare al ruolo di indicazione di lettura, se fosse

isolato, non potrebbe giustificarsi; è necessario, infatti, non solo ricon-

durlo nell'ambito dell'« ideologia » politica dell'autore, la qualcosa, legit-

timamente, si può e si deve fare; ma è necessario, sopratutto, verificarne

~a consistenza e la validità rispetto alla considerazione di fondo sulla « ra-

gione », in apparenza animatrice di quel processo « politico », ma in

realtà vanificatrice. La compresenza di motivi, o problemi « sospesi » è

realizzata, sul piano dello stile, con l'adozione di una lingua assolutamente

letteraria, e il piú possibile neutra, coerentemente alla poetica del teatro

di Parola, per la quale quest'ultima, in sé e per sé, e non la sua « pronun-

cia » è lo strumento obbiettivo della trasmissione. Tuttavia non è infre-

quente l'apparizione di stilemi cari alla lingua personale dell'autore, so-

pratutto quando l'oggetto descritto è un ragazzo, o un paesaggio, o il

sesso. Come non è infrequente il tono da riecheggiamento biblico in

alcune profezie e in alcune declamazioni, già apparso in precedenti prove.

Page 132: Pasolini Tommaso Anzoino

Il secondo testo teatrale di Pasolini, come s'è detto, è AD~abulazione.

Nel prologo, detto dell'ombra di Sofocle, c'è, esplicitamente, un richiamo

al teatro di Parola: « Sono qui arbitrariamente destinato a inaugurare /

un linguaggio troppo difficile e troppo facile: / difficile per gli spettatori

di una società / in un pessimo momento della sua storia, / facile per i

pochi specialisti in poesia » (p. 14). Nell'epilogo il padre, il protagonista

della vicenda, denuncia, altrettanto esplicitamente, la volontà del « ca-

none sospeso »: « Che cosa ti sto raccontando, mio povero Cacarella ?/

La mia vita? La storia di un solo padre? Ah no, / questa non è la storia

di un solo padre. E non ha un solo senso ». Ma nonostante i vari « sensi »

82 c'è un'azione che si svolge, una trama. Una famiglia borghese: il padre,

industriale; la madre, padrona di casa probabilmente « squisita »; il figlio,

contestatore del mondo e dei genitori, piuttosto fiaccamente; comunque in

dissidio, almeno per quanto riguarda lo studio: « Gli studi mi fanno im-

parare / il modo di accettare tutto / quello che era già preparato per

me: / ma non l'hai già esaurito tu? » (p. 23). Il figlio, oltre che diverso,

appare al padre addirittura di un'altra razza: il biondo, strano per un figlio

di borghesi, dei suoi capelli, ne denuncia la estraneità. Un sogno che il

padre fa e che non sa spiegarsi: dei giardini, una stazione, un ragazzo, o

un ragazzo-padre, precipita l'uomo in una crisi che egli sa « religiosa »:

« Io e Dio giochiamo a rimpiattino: / lui si nasconde dentro il mio so-

Page 133: Pasolini Tommaso Anzoino

gno, e io, del resto, / come per tutta la vita, mi nascondo nella realtà ».

(p. 26). Per non nascondersi piú nella realtà, la rinnega: rinnega l'ironia,

la buona educazione, la paura del ridicolo, la buona reputazione: le qua-

lità del borghese ricco e sicuro di sé.

A questa crisi del padre il figlio risponde cercando di reintegrarsi:

torna a studiare, a ubbidire; ad assomigliare al padre, dunque, proprio

mentre questi sta lasciando tutto per assomigliare al figlio. La diversità,

infatti, tra padre e figlio, non è nel loro essere « uomini »: in questo « un

figlio è uguale al padre, / in fondo già vecchio, come tutti / i figli dei

padri padroni »; ma nell'essere il figlio misteriosamente « ragazzo ». Per

questo oscuro, folle desiderio di regredire allo stato di figlio, il padre si

farà trovare nudo, nella sua stanza, « pronto a fare l'amore, ma senza /

sua madre sotto di lui... ». Il figlio, naturalmente, fugge; viene ripreso e

ricondotto a casa. I tentativi di spiegazione tra padre e figlio sono inutili:

all'amore del padre per il « mistero » del figlio, questi oppone l'avvilente

certezza di non essere quello che il padre crede. Quindi tenta di ucci-

derlo e fugge di nuovo. Il padre, si perdoni la banalità di questa nostra

riduzione a didascalia, si rivolge a un negromante per scoprire dove si

nasconda; lo raggiunge in casa di una ragazza e qui, dal buco della serra-

tura, spia per vedere « ciò che è » il figlio; quindi lo uccide. Nell'epilogo

Page 134: Pasolini Tommaso Anzoino

riassume cosí il fatto: « i padri / vogliono far morire i figli (per questo

li mandano / in guerra) mentre i figli vogliono uccidere i padri / (per

questo, per esempio, protestano contro la guerra, / e disprezzano, pieni

di fierezza, la società dei vecchi / che la vuole). Ebbene io, anziché / voler

uccidere mio figlio... / volevo esserne ucciso!! / Non ti pare strano? /

E lui, anziché voler uccidermi /--o lasciarsi uccidere / volenteroso e

rassegnato / come i suoi coetanei obbedienti--/ non voleva né ucci-

dermi né lasciarsi uccidere! ! / Né l'una cosa né l'altra, capisci, Caca-

rella? / Non gliene importava niente di me, / e di tutte le uccisioni, vec-

chie e nuove, / che legano un padre a un figlio... / Quindi si era liberato

di tutto, / se ne andava via, se ne stava per conto suo, / mi ignorava, mi

fuggiva, era altrove. / Se questo era il futuro, era il tutto imprevedibile »

(p. 111). Ci è parso necessario riportare questo lungo brano perché con-

sente di illuminare un po' il groviglio di situazioni in cui la tragedia si

inviluppa. Il padre uccide nel figlio il fallimento del tentativo di sottrarsi

a una logica, alla sua logica. Il rifiuto della realtà non è stato totale: egli

è rimasto « padre »: non è riuscito ad assomigliare al figlio, a « regre-

dire » a quella che non era la sua natura. Il figlio, e non il padre, era

riuscito a dare scandalo di sé, a sottrarsi alle « regole », a realizzare

fuori dalla realtà, la propria libertà e, quindi, la propria « vera » realtà:

« Però so che non c'è bisogno che le azioni / di vero amore o di vero

Page 135: Pasolini Tommaso Anzoino

odio servano a qualcosa, / che non importa che il mondo che metti in

imbarazzo / col tuo troppo odio o il tuo troppo amore, / I'abbia vinta,

infine, facendo di te il suo buffone » (p. 103). Ci si accorge subito che

viene riproposto, qui, veramente per l'ennesima volta, il mito della testi-

monianza « scandalosa » di se stesso, insieme a tutti gli altri traumi che

Pasolini adulto, Pasolini-padre, ha sofferto, primo di tutti quello dell'in-

comunicabilità con i « figli »: ne abbiamo già parlato a proposito del

Frammento epistolare, al ragazzo Codignola; ma non ci si può limitare a

ricondurre i motivi della tragedia alla ovvia esperienza autobiografica. In

questa seconda tragedia la volontà del « canone sospeso » diventa dav-

vero imbarazzante per chi voglia tentare un'analisi dei contenuti, molto

piú che per Pilade. Sembra che l'intento principale dell'autore sia quello

di provocare il lettore, lo spettatore; di costringerlo a verificare su quei

problemi la validità delle sue idee, delle sue certezze, dei suoi metodi.

I] piú utile di questi potrebbe essere quello psicanalitico: Freud e Jung,

d'altra parte, sono nominati direttamente nell'opera, nell'episodio del

padre e della negromante. Ed è proprio questa a rilevare nell'analisi psica-

nalitica tradizionale del rapporto padre-figlio un limite: « Si è sempre

steso un velo su questo, / con la pretesa che si tratti soltanto / di un

rapporto di rivalsa o di rivalità. / E la causa della rivalsa sarebbe l'odio

per il nonno, / mentre quello della rivalità, sarebbe l'amore per la mo-

Page 136: Pasolini Tommaso Anzoino

glie, / o, in generale, il sesso femminile. ~ tutto qui? / non c'è proprio

altro? ». Alla psicanalisi, ancora, si riferisce la condizione di « impo-

tenza » dei padri nei confronti dei figli; e, ancora, lo stesso sogno da cui

ha origine tutta la tragedia. Se la psicanalisi venga applicata da Pasolini

secondo ortodossia o no, è un problema, ci pare, di secondaria impor-

tanza, dal momento che, per « principio » Pasolini è « eterodosso », e di

questa eterodossia ha fatto una ragione, se non la ragione, della sua

poesia. Prescindendo dal fatto che un'ortodossia ideologica non deve

costituire, necessariamente, il canone cui riferire l'analisi di un'opera, ché,

. allora, il giudizio sarebbe relativo a « quella » ideologia o teoria o quello

che si vuole, e non alla « poetica » che sottende l'opera. Ora, la poetica

del « canone sospeso », nonostante tutte le dichiarazioni di « logicità », si

pone invece come la rivalutazione permanente dei motivi irrazionali. E la

psicanalisi si presta ottimamente, ma non tanto come « terapia » quanto

come « occasione », « provocazione ». L'adesione, in una misura per ora

imprecisabile, di Pasolini alla psicanalisi discende evidentemente da una

constatazione di fallimento dell'esperienza conoscitiva razionale, cioè, in

gran parte, del marxismo-dottrina; ma non lo impegna tanto sul piano

conoscitivo quanto su quello della problematica pura. D'altra parte Pa-

solini ha sempre posto in discussione la validità della conoscenza logica.

Soltanto che prima la « passione » e la sua « ideologia » (ma tuttora,

Page 137: Pasolini Tommaso Anzoino

anche, almeno nelle poesie) riuscivano, e riescono, a concretizzarsi, co-

munque, in un impegno di conoscenza, di presenza critica e, quindi, di

giudizio. Nelle due tragedie e, in misura diversa, in Teorema, quando, 85

cioè, Pasolini, sceglie di parlare « per interposta persona », di « rappre-

sentare » dei fatti, chiari od oscuri che siano, rifiuta, praticamente, la

concretezza lirica per una infinitamente libera disponibilità di invenzioni

o di rappresentazioni. Ci pare che si possa trovare, ín questo un influsso

della sua esperienza cinematografica, sopratutto di quella degli ultimi film,

e della sua concezione dello « strumento linguistico cinematografico ».

Scriveva nel 1966, pubblicando la sceneggiatura di Uccellacci e Uccellini:

« Lo strumento linguistico su cui si impianta il cinema è dunque di tipo

irrazionalistico: e questo spiega la profonda qualità onirica del cinema, e

anche la sua assoluta e imprescindibile concretezza, diciamo, oggettuale ».

~ vero che lo strumento linguistico della poesia è, invece, un « sistema

reale, storicamente complesso e maturo », ma non è certo inadattabile

nella sua infinita disponibilità al simbolo e all'irrazionale, a « qualunque »

operazione mitopoietica. Una volta, cioè, constatato il fallimento della

ragione e, anche, della « passione », che pure era un modo, e lo è, lo

ripetiamo, tuttora, di conoscenza, per quanto « viscerale », tendente « in »

una logica; una volta, cioè, rifiutato il « canone » della logica e, quindi,

della storia, si offre al poeta un'inconsumabile disponibilità di occasioni

Page 138: Pasolini Tommaso Anzoino

di poesia, tante quante sono le « invenzioni » che la parola, irrazional-

mente usata, può offrire. ~ chiaro che l'irrazionalità di questo uso non si

riferisce, come per il teatro dell'« Urlo » (cosí lo chiama Pasolini) alla

sua alogica, bruta pronuncia; ma alla capacità della parola, nell'immagine

poetica, nel mito di « oggettualizzare », per usare l'espressione della pre-

cedente dichiarazione di Pasolini, in sé e per sé, fuori da ogni controllo

logico e storico, o prima di ogni controllo logico e storico, le tendenze

irrazionalistiche che si trovano nel poeta. E si sono sempre trovate; solo

che ora la scoperta della psicanalisi può offrirgli un contributo di « spe-

rimentazioni » vastissimo.

Il rischio, insomma, è quello che non la realtà, anche qualunque essa

sia, provochi gli strumenti e il loro impiego, ma che questi, fuori o prima

di ogni controllo logico e storico, provochino realtà che si giustificano

86 soltanto perché sono. Può sembrare, questo, un processo alle intenzioni;

mentre l'intenzione di Pasolini potrebbe essere quella di dare una risposta

a una presunta o reale crisi della poesia e della letteratura. Ma forse lo

stato d'animo che è al fondo dell'ultima attività di Pasolini è quello che

lui stesso denuncia nella prima risposta dell'intervista, quando parla del

progetto d'un'opera futura: « mancanza di fiducia nella stabilità del

mondo che produce simili macchine letterarie ». E allora si deve richia-

Page 139: Pasolini Tommaso Anzoino

mare in causa quella che abbiamo definito l'« inerzia » dell'ultimo Paso-

lini, autorizzati, in un certo senso da lui stesso: non si tratta solo del-

l'inerzia di un'anima che, tuttavia, sente, proprio per questo, di dover

continuare a testimoniare se stessa; ma anche dell'inerzia di un intelli-

gente letterato che, proprio per questo, sente di dover fare, ogni tanto,

degli « esperimenti ».

Per quanto riguarda l'attività cinematografica di Pasolini dobbiamo pre-

cisare che, essendo l'interesse di questo libretto principalmente rivolto

al poeta e allo scrittore, ci limiteremo ad alcune indicazioni di carattere

generale, senza entrare nel merito dei problemi specifici, compito, tra

l'altro di ben piú qualificati esperti.

Abbiamo già rilevato che l'approdo di Pasolini al cinema sia da rife-

rire sopratutto alla sua vocazione di sperimentale, piú che a una obbiet-

tiva sfiducia nella letteratura. Piuttosto, a quest'ultimo fatto, si può richie-

dere la giustificazione del maggior impegno cinematografico rispetto a

quello letterario nell'ultimo quinquennio.

Il problema del destinatario, lettore o pubblico delle sale di proie-

zione, non ha mai costituito una preoccupazione determinante per Paso-

Page 140: Pasolini Tommaso Anzoino

]ini: tranne che per il teatro di Parola non pare che il problema dei

« fruitori » abbia avuto specifica presenza nell'elaborazione « ideologica »

di Pasolini. Anche quando si poneva l'obbiettivo del poema « popolare ».

il suo interesse si rifletteva scarsamente sul problema del popolo come

destinatario. Ma nel colloquio che abbiamo avuto durante l'intervista la

questione è venuta fuori: Pasolini ha coscienza che il « messaggio » let-

terario, oggi come ai tempi della « rivoluzione » manzoniana, è riservato

a un'elite; esagerando, probabilmente, ha detto che attualmente scrive

solo per gli amici e, comunque per assai pochi interessati. Il cinema,

invece, gli offriva la possibilità di comunicare con un pubblico molto piú

vasto, per l'obbiettiva maggiore facilità di aggancio di questo mezzo. Per

questo, anche per questo, i suoi primi film, da Accattone al Vangelo se-

condo Matteo, si ispiravano a una precisa volontà di poema « epico-popo-

lare». La svolta rappresentata da Uccellacci e Uccellini (1966) si spiega

ovviamente con l'insorgere di nuove, o diverse esigenze poetiche, certa-

mente meno « popolari », ma non per questo meno valide; ma testimo-

niano, anche, della rinuncia a un campo piú vasto di destinatari. La qual

cosa, se non è, come non è, un limite, può pur sempre essere un condi-

zionamento, anche nel senso del rifiuto di certo tipo di condizionamento.

Pasolini è un regista poeta o, forse meglio, « un poeta che fa dei

Page 141: Pasolini Tommaso Anzoino

film »: sono d'accordo tutti, lui compreso. « Tecnicamente » il cinema di

poesia si caratterizza per un'operazione che Pasolini stesso definisce

« soggettività libera indiretta » (Il « cinema di poesia », in « Filmcritica >;,

aprile-maggio 1965). La « soggettività » corrisponde, grosso modo, in let-

teratura, al discorso diretto: I'autore si fa da parte e apre le virgolette.

Nel cinema, che usa immagini, una « soggettiva » è questa: « Come

vista da Accattone, Stella cammina per il praticello zozzo ». Natural-

mente lo « sguardo » di Accattone non può essere oggetto di una mimesi,

come potrebbe esserlo la lingua. Cosicché il regista che « si immerge in

un suo personaggio, e attraverso lui racconta la vicenda ~ rappresentá il

¨ mondo, non può valersi di quel formidabile strumento differenziante in

natura che è la lingua. La sua operazione non può essere linguistica ma

s~ilistica ~ (ibidem). Questa natura « stilistica » dell'operazione fa sí che

88 « la soggettività libera indiretta nel cinema implichi una possibilità

stilistica molto articolata; liberi, anzi, le possibilità espressive compresse

dalla tradizionale convenzione narrativa, in una specie di ritorno alle ori-

gini: fino a ritrovare nei mezzi tecnici del cinema l'originaria qualità

onirica, barbarica, irregolare, aggressiva, visionaria. Insomma è la " sog-

gettiva libera indiretta " a instaurare una possibile tradizione di " lingua

Page 142: Pasolini Tommaso Anzoino

tecnica della poesia " nel cinema » (ibidem). La « libertà » stilistica di un

regista è quindi notevolmente piú larga e disponibile di quella di uno

scrittore. E si può pensare che anche questo fatto sia uno dei motivi che

hanno attratto Pasolini al cinema piú che alla letteratura. D'altra parte

abbiamo già indicato, a proposito di A~abulazione, l'influsso che la

immensa disponibilità del linguaggio cinematografico ha esercitato su quel-

I'opera ~etteraria.

Anche nel film storico il regista gode di maggiore libertà; perlomeno

Pasolini, il quale rifiuta, come impossibile, la « ricostruzione », adottando

il piú libero e « stilistico » procedimento analogico:

Nei miei film storici non ho mai avuto l'ambi~ione di rappresentare un

tempo che non c'è piú: se ho tentato di farlo, l'ho fatto attraverso l'analogia:

cioè rappresentando un tempo moderno in qualche modo analogo a quello pas-

sato [...] è il persistere del passato nel presente che si può rappresentare ogget-

tivamente [...] il passato diviene una metafora del presente (ll sentimento della

storia, in « Cinema nuovo », marzo-giugno 1970).

Mito, analogia, favola, simbolo sono i procedimenti stilistici che Pa-

solini assume nei suoi film. Anche nel « neorealista » Accattone, epopea

Page 143: Pasolini Tommaso Anzoino

del sottoproletariato disperato e allegro; anche ne La ricotta, mito d'una

religione « vera », d'una santità « vera » in una realtà falsa e ipocrita.

Mito, ancora, ne Il Vangelo secondo Matteo, prima ancora che nella rea-

lizzazione, nella volontà: « Il mio interesse principale, il mio obbiettivo

non era la storia, ma il mito » (Intervista su « Filmcritica », cit.). E,

prima ancora: « la figura di Cristo dovrebbe avere [...] la stessa violenza

di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si

sta configurando all'uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia,

brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria

identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teo-

logico senza religione » (in « Il Giorno », 6 marzo 1963).

Mito personale, dunque, della « implicita tendenza » al Vangelo che

sempre, dalle poesie dialettali, è stata presente in Pasolini. E ai miti della

sua poesia si rifà anche la favola, comica e ideologica (ideo-comica, l'ha

chiamata l'autore) di Uccellacci e Uccellini: la povertà e la fame del Terzo

Mondo, la nostalgia del primitivo, la crisi del comunismo, sopratutto nei

confronti dei sottoproletari. Ma qui una realtà rivissuta tanto intima-

mente e, quindi, tanto liberamente disponibile ad adozioni e soluzioni sti-

listiche corre il rischio di non essere, sempre, intesa nel suo senso; perciò

Pasolini è costretto a ricorrere a una didascalia per informare gli altri

Page 144: Pasolini Tommaso Anzoino

che il corvo è un intellettuale di sinistra, il rappresentante dell'ideologia

che Si accompagna ai « semplici » Totò e Ninetto. Il tema centrale della

favola: la crisi del marxismo degli anni ~50, la necessità, per risolversi, che

si accorga della nuova, o vecchia, realtà « religiosamente », cosí come aveva

insegnato il San Francesco della piccola favola nella grande favola, si

risolve in una serie di felici momenti stilistici che, se pure non sempre

riescono a unirsi in un iter narrativo corrente, piú che coerente, testi-

moniano della validità artistica di una « passione » immessa in una fer-

tile disponibilità stilistica.

Nei film successivi: Edipo Re, Teorema, Porcile, Medea, la proble-

matica via via proposta è meno conoscibile a livello di metodologia « ra-

zionale », marxista: si introduce la psicanalisi che, insieme, è strumento

di conoscenza e ulteriore arricchimento di disponibilità stilistica, proprio

in relazione a quella « profonda qualità onirica del cinema » come s'è

detto precedentemente, a proposito degli influssi del cinema sulla poesia.

Non tentiamo un'analisi di questi film in quanto esula dal nostro com-

pito e per la quale rimandiamo alle ben piú qualificate analisi riferite in

bibliografia. Solo vorremmo accennare alle corrispondenze di certi motivi

dei film nella poesia e, segnatamente, in Pilade e A~:abulazione. Prescin-

Page 145: Pasolini Tommaso Anzoino

dendo dalle ovvie corrispondenze dei due Teorema, ci pare utile e, piú, si-

gnificativo, indicare il motivo dell'« enigma » e del « mistero » presente

nelle due tragedie e in Edipo Re: non l'enigma del mondo, ma l'enigma

che è nell'uomo, in se stessi, Pilade il padre, Edipo chiedono di chia-

rire; il motivo del conflitto padre-figiio in A~abulazione e in Porcile; il

motivo tra mondo barbaro e mondo civile in Pilade e in Medea.

Nel 1971, sette anni dopo Poesia in forma di rosa, Pasolini pubblica

il suo ultimo libro di poesie, Trasumanar e organizzar, che raccoglie gran

parte dei versi pubblicati su « Nuovi Argomenti ».

Di questa riduzione, o rallentamento, della produzione letteraria il

motivo fondamentale è da ricercarsi nell'impegno che l'attività di regista

gli procura, fornendogli, indubbiamente, soddisfazioni se non altro piú

ampie; e Pasolini non ha mai trascurato il problema del « pubblico ».

Ma giustificazioni dirette le fornisce lui stesso: « la mancanza di fidu-

cia nella stabilità del mondo che produce simili macchine letterarie », (com~:

dice nell'intervista che apre questo lavoro), « l'aflermazione caparbia, e

quasi solenne, dell'inutilità della poesia » (come scrive nel risvolto di

copertina di Trasumanar e organizzar); affermazione che deriva dalla vo-

Page 146: Pasolini Tommaso Anzoino

lontà di « resistere contro ogni tentazione di letteratura-azione o lettera-

tura-intervento ~>.

Dichiarazioni di questo tipo, con conseguente « disimpegno stilistico »,

non sono nuove: c'erano già in Poesia in forma di rosa, in particolare in

« Progetto di opere future »; come non nuovo è il recupero dell'ironia per

scherzarci su piú o meno amaramente:

« Che cosa comunico, alla fine / délla mia carriera di poeta, che sotto

sotto, / si considerava indispensabile all'umanità? » (La nascita di un nuovo

tipo di bu~one).

In quest'ultima raccolta c'è il tentativo di trovare le ragioni di questa

inutilità; e, al solito, l'« ambiguo » Pasolini ne trova due: l'im~ossibilità,

o l'incapacità sua di capire: « ...forse ciò con cui ebbi tanta confidenza / si

è tramutato, e io non ho piú s~mprensione per esso »; l'impossibilità, o

l'incapacità sua di comunical e, ossia di stabilire un rapporto reciproco

tra se stesso e gli altri:

« Che cosa comunico, se non comunico piú, / se, tutto sommato, non

ho mai comunicato / altro che il piacere di essere ciò che sono / Ciò che

mi insegnò mia madre? » (La nascita di un nuovo tipo di bu~one).

Page 147: Pasolini Tommaso Anzoino

Un'ennesima confessione che conferma tutto ciò che s'è detto di Paso-

lini, del suo fin troppo esibito soggettivismo « scandaloso », della visce-

ralità, direbbe Ferretti, della sua conoscenza e del suo rapporto col mon-

do. Dalla consapevolezza di questa vanità della poesia, vanità intesa sia

come inutilità, sia come esibizionismo, doloroso e civettuolo insieme, deriva

una scelta stilistica: il poeta smette di essere « poeta originale », perché

un sistema stilistico « è troppo esclusivo », e adotta « schemi letterari

collaudati » (Comunicato all'Ansa). Ma proprio per « vanità » il poeta

ama anche « concedersi una certa libertà linguistica rasentante talvolta

l'arbitrarietà e il gioco (cose in precedenza mai avvenute, poiché le sue

mistificazioni furono sempre ingenue, appassionate e zelanti) », come

scrive nel risvolto di copertina.

Questa è la novità delle ultime poesie: un atteggiamento meno pas-

sionale e viscerale, perché piú sfiduciato e consapevole, un distacco a

volte addirittura schizoide, come vorrebbe far intendere il poeta se l'ironia

non rivelasse l'insanabilità del conflitto. E il conflitto è sempre lo stesso:

da una parte la « natura », dall'altra la « storia »; da una parte l'« umano »

dall'altra 1'« istituzione », la « Chiesa », 1'« organizzazione ». Organizzare

significa snaturare, far violenza alla natura:

Page 148: Pasolini Tommaso Anzoino

« La contemporaneità temporale del trasumanar non è l'organizzar? ».

Ed è una violenza tanto piú tragica e dolorosa in quanto è una necessità

storica, della quale anche i « violentati » sono felicemente consapevoli

innocentemente convinti. La « Chiesa », 1'« ortodossia » sono indistrut-

tibili:

« Qui stanno costruendo un'altra Chiesa, se non mi sbaglio. / Ah bar-

bari, unici amici miei, / nessun uomo di Chiesa ha mai distrutto una

Chiesa; / la lotta è sempre stata tra l'ortodossia vecchia e la nuova / Que-

sto mi dispera, e mi tiene fuori dal gioco » (Rifacimento de " L'orto-

Solo dai « barbari », dunque potrebbe venire la salvezza, da quelli che

vivono col « corpo », con ciò che di innocentemente umano c'è ancora,

senza paure, senza angosce, senza compromessi, seguendo il naturale pia-

cere che la libertà del proprio corpo destina loro. Come i « corpi » liberi

del Decamerone, dei Racconti di Canterbury e, probabilmente, delle

M~le e una n~tte.

Questa specie di disperato appello ecologico-antropologico-politico è,

forse, l'ultimo della serie: fra poco non ci saranno piú « barbari »: l'orga-

Page 149: Pasolini Tommaso Anzoino

nizzazione sistemerà tutto: si prepara l'avvento dell'« entropia borghese ».

L'entropia borghese, cioè la conversione di tutti e di tutto nell'orga-

nizzazione-sistema che la classe borghese sta preparando, è la marea ch~

sta per sommergere anche l'ultima spiaggia.

«...la borghesia sta trionfando, sta rendendo borghesi gli operai, da

una parte, e i contadini ex coloniali dall'altra. Insomma, attraverso il neo-

capitalismo, la borghesia sta diventando la condizione umana. Chi è nato

in questa entropia, non può in nessun modo, metafisicamente, esserne fuor;.

:~ finita. Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l'ultima

generazione che vede degli operai e dei contadini: la prossima genera-

zione non vedrà intorno a sé che l'entropia borghese ».

Questa affermazione si trova a pagina 162 di Empirismo eretico,

la raccolta di saggi e note che Pasolini ha pubblicato nel 1972, e vuole

essere una giustificazione (« apologia ») della scandalosa poesia Il PCI ai

giovani. Ma è un'affermazione che va al di là della necessità contingente:

è il motivo di fondo dell'ultima produzione pasoliniana: la troveremo,

infatti, come suggello del recent;ssimo Calderón.

Page 150: Pasolini Tommaso Anzoino

La sostanza dell'affermazione, tuttavia, non è nuova: l'entropia bor-

ghese è la dilatazione, nella storia, dell'istituzione per antonomasia, della

istituzione invincibile: la borghes;a. Ai margini restano, senza neanche

piú resistere, se non col loro corpo, gli « esclusi »: l negri, gli ebrei, i

poveri, soprattutto: i « diversi ». ~ la riproposizione, sotto altra forma,

dell'antico mito pasoliniano, il conflitto corpo-ragione che si risolve col

trionfo della ragione sistematrice. ~: una ragione astorica, metafisica, che

ha « trasumanato », « organizzato », o sta trasumanando o organizzando

le singole storie, le singole civiltà, le ideologie, le prassi, i comportamenti.

In Emplr~smo eretico questa affermazione non ha certo la rilevanza

che qui le stiamo dando: gli scritti raccolti, quasi tutti pubblicati, tra il

1964 e il 1971 su riviste o giornali, trattano perlopiú di questioni lingui-

stiche, letterarie e cinematografiche. Ma alla luce di quell'affermazione

anche questioni abbastanza tecniche, anche se non solamente tecniche

come quelle linguistiche, acquistano una prospettiva nuova. Come quella

della nuova lingua nazionale che il neocapitalismo tecnico-burocratico sta

imponendo attraverso, soprattutto, i mass-media:

« ...la nuova stratificazione linguistica, la lingua tecnico-scientifica, non

si allinea secondo la tradizione con tutte le stratificazioni precedenti, ma

Page 151: Pasolini Tommaso Anzoino

si presenta come omologatrice all'interno dei linguaggi » (p. 23). Questo

tema occupa alcune decine di pagine di Empirismo eretico, svolgendosi in

risposte ad altri studiosi, in riprese e approfondimenti e chiarimenti che

tuttavia ne confermano la sostanza: alla luce, come si diceva, dell'« en-

tropia borghese », questa forza « omologatrice » della nuova stratifica-

Zione linguistica diventa una forza convertitrice, diventa strumento di

« organizzazione ».

A questo rischio sembra sottrarsi il linguaggio cinematografico. E

quasi metà delle trecento pagine di Empirismo eretico sono dedicate a

questioni di cinema, soprattutto di linguaggio cinematografico. E non certo

immeritatamente Pasolini rivendica a se stesso « il merito di aver inau-

gurato in Italia, per quel che riguarda il cinema, l'uso della ricerca se-

m.ologica ».

Non è questa la sede competente per interpretare il discorso tecnico

di Pasolini sul cinema: una monografia, per cosí dire parallela a questa

in CUl Pasolini scrittore appare, ha colmato ampiamente la lacuna che

qui Sl lasaa. A noi basta accennare al discorso sulla qualità del linguaggio

cinematografico, sullo specifico filmico che il regista piú discusso oggi

traccia su EmPir~smo eretico. Partendo dall'affermazione che il linguaggio

Page 152: Pasolini Tommaso Anzoino

del cinema è la realtà e le parole sono le cose, o viceversa, Pasolini ricerca

in che cosa consista la « transustanziazione semantica di un segno quando

questo passa dal campo comunicativo al campo espressivo ». Consiste,

secondo quanto aveva detto Galvano della Volpe, nella « disposizione alla

polisemia ». Ma non solo il linguaggio poetico, di parole, è « polisenso »;

anche il linguaggio cinematografico, di cose, è « polisenso »: « la ' res ' al

cinema non è monosemica ». Il linguaggio del cinema diventa un « meta-

linguaggio » anche perché ha un « tempo » e uno « spazio » diversi che

nella realtà.

La lucidità e l'impegno che Pasolini pone nel suo abbozzo di « gram-

matica cinematografica » sono anche testimonianza della validità che il

cinema, il « cinema d'arte », naturalmente, ha per lui: non altrettanto,

come s'è visto, si può dire per la poesia. Ma il ritratto che Pasolini fa

dell'autore di cinema è lo stesso, antico ritratto che faceva di se stesso

poeta:

« La libertà (dell'autore) non può essere manifestata altrimenti che

attraverso un grande o un piccolo martirio... Egli, nell'atto inventivo,

necessariamente scandaloso, si espone--e proprio alla lettera-- agli

altri: allo scandalo appunto, al ridicolo, alla riprovazione, al senso di

Page 153: Pasolini Tommaso Anzoino

diversità, e perché no?, all'ammirazione, sia pure un po' sospetta » (p. 274).

L'ultimo testo che Pasolini ha pubblicato, riel 1973, è Calderón, un

lavoro per il teatro. E: questo il terzo, dopo Pilade e A~abulazione, ma

è l'unico che sia apparso in volume. Al teatro Pasolini ha incominciato

a pensare dal 1968, quando su « Nuovi Argomenti » ha pubblicato il-

Manifesto per un nuovo teatro (se ne parla a.p. 77 di questo libretto).

Calderón, il drammaturgo spagnolo, è un pretesto polemico: .al La

vida es sueho si contrappone un « la vita non è sogno » che potrebbe essere

il secondo titolo del dramma di Pasolini. Ma senz'altro piú rispondente

potrebbe essere il secondo titolo « la fine del sogno ».

Il dramma, diviso in sedici episodi e tre stasimi Iquesti ultimi servono

al poeta per dire, attraverso uno « speaker », certe cose al pubblico), è

impostato su uno schema fisso, ripetuto tre volte:

Rosaura, giovane alto-borghese, di nobile discendenza, non riconosc~

la realtà che la circonda, la sua realtà sociale;

Rosaura, sottoproletaria, prostituta, non si riconosce nella sua baracca

Page 154: Pasolini Tommaso Anzoino

Maria Rosa, moglie borghese, cerca di rifiutare la propria collocazione

famigliare e sociale.

A uno schema fisso corrispondono anche i personaggi: i personaggi

« sani »: Basilio, padre di Rosaura e marito di Maria Rosa, campione di

« sanità » borghese, donna Lupe, Stella; i personaggi « malati », cioè

« scandalizzanti », « diversi »: le due Rosaure, Maria Rosa, Sigismondo,

Manuel.

Tra questi due tipi di personaggi si svolge un conflitto la cui risolu-

zione, a favore del personaggio « sano », cioè della ragione, dell'« orga-

nizzazione », è scontata. Perché questi « vive »; l'altro, il « diverso »

sogna: e la vita, come s'è detto, non è sogno.

Un altro schema fisso, o struttura, è possibile rinvenire: la prima

Rosaura s'innamora di Sigismondo, che le rivela d'essere suo padre, la

seconda Rosaura s'innamora di Pablo, che risulta essere suo figlio.

Questa estrema semplicità di strutture è la coerente interpretazione

della poetica del « Teatro di parola »: le situazioni sono gli appoggi su

cui scorre il discorso « ideologico ». Dice lo speaker nel secondo stasimo:

Page 155: Pasolini Tommaso Anzoino

«...l'autore continua a detestare, con tutta la relativa lucidità della sua

ragione, ogni scenografia che non sia solo irldicativa: perché se non è

tale, altro non è che un elemento di quel rito sociale che il teatro è per

la borghesia, e che l'autore quindi non può amare ».

La situazione ha la stessa funzione « indicativa » della scenografia:

la sua semplicità riducibile a schema, e a schema ripetuto (per esempio

le tre scene dei risvegli sono identiche nelle battute) denuncia lo stesso

rifiuto di realismo che è denunciato dalla essenzialità puramente indica-

tiva della scenografia. Quello che conta, insomma, è il discorso, l'ideolo-

gia. E il discorso parte dal problema degli « esclusi ». Dice Pablo a Ro-

saura, la prostituta sottoproletaria:

6 « I ' membri normali ' sono ' membri normali ': a loro, / nel migliore

dei casi, basta un fascismo democratico. Restano gli ' esclusi ': tu, Ve-

lázquez, i Negri, / i matti, i delinquenti, gli andalusi. Cosa devono fare? ~.

Velázquez, il maestro di Pablo, « escluso » perché rivoluzionario e

perché omosessuale, aveva detto che « gli esclusi devono gettare i fiori

e prendere le armi ». Ma non aveva ragione: « perché anche tra gli

esclusi ci sono gli esclusi ». Rosaura è una di questi:

Page 156: Pasolini Tommaso Anzoino

« Sí, perché tu sei esclusa come povera, / ed esclusa inoltre come put-

tana. / Come povera, sei negata tra i negati, / come puttana, anche i

negati ti negano ».

L'area dell'esclusione, quindi, si va sempre piú restringendo: una

volta erano gli operai, i contadini: ora anche questi si sono « inclusi »,

inghiottiti dal Leviatano borghese.

La borghesia, dunque: ent~opia assimilante ed annullante; la bor-

ghesia ormai eterna, ed eterna perché sa rinnovarsi pur rimanendo bor-

ghesia; e per rinnovarsi, per liberarsi concede ai suoi figli di farle la

rivoluzione.

«...Dunque / la Borghesia, per liberarsi / del suo recente passato

(cultura, arte, artigianato, / coltivazione dei campi, oltre / la Chiesa,

immagino), ha bisogno--contro se stessa--di figli rivoluzionari ». I

« figli rivoluzionari », « figli molto seri », « pieni di senso del dovere »

sono quelli contro cui, in altre poesie, Pasolini ha polemizzato, a volte

violentemente, piú spesso con amara ironia. Il risultato di questa rivo-

luzione:

Page 157: Pasolini Tommaso Anzoino

« Apprerìdiamo a distruggere, come già / aveva appreso Hitler. Quando

tutto / ciò che il potere vorrà distruggere sarà distrutto, / i giovani figli

avranno esaurito il loro compito ».

La borghesia che una volta si è servita di Hitler e del fascismo per

rinnovarsi, oggi si serve di questi giovani « seri », cioè « organizzati » per

rinnovarsi ancora. Non è un'affermazione nuova: con tutta la volontà di

« ambiguità » con cui l'autore la pronuncia, giustifica le polemiche che

ha suscitato e che suscita.

La rivoluzione, allora, si può soltanto sognare: è l'ultimo sogno di

Maria Rosa, prima di rit'ornare a « vivere »: è un sogno che rievoca certe

poesíe di Le cener~ d~ Gramsci:

<~ ...cantando / entrano gli operai. Hanno bandiere rosse / strette nei

pugni, con le falci e i martelli; hanno i mitra imbracciati; hanno fazzo-

letti / rossi annodati al collo, sui colletti anneriti / delle tute... ' Siete

liberi'--ci ripetono, / come se noi non fossimo piú in grado / di capire

queste parole--' Siete liberi ' ».

Page 158: Pasolini Tommaso Anzoino

L'ultima parola del dramma, però, spetta a Basilio:

« Un bellissimo sogno, Maria Rosa, davvero / un bellissimo sogno.

Ma io penso / (ed è mio dovere dirtelo) che proprio / in questo momento

comincia la vera tragedia. / Perché di tutti i sogni che hai fatto o che

farai / si può dire che potrebbero essere anche realtà. / Ma, quanto a

questo degli operai, non c'è dubbio: / esso è un sogno, niente altro che

un sogno ».

Con questo ultimo rifiuto di speranza Pasolini finisce.

La morte ha colto, tragicamente e violentemente, Pasolini la notte

del 2 novembre 1975, alla periferia di Ostia, in mezzo a una squallida

borgata.

Anche morendo, dunque, il poeta ha voluto essere scandaloso, testi-

mone-martire dello scandalo che piú d'ogni altro aveva denunciato sino

all'ultimo giorno della vita: la violenza.

A conclusione d'una vita e d'una straordinaria carriera letteraria, ci

sembra utile proporre una riflessione che, se conclusiva non vuole, né

Page 159: Pasolini Tommaso Anzoino

può essere, possa, tuttavia, in qualche misura, avere una funzione rias-

suntiva.

Da anni, ormai, Pasolini non scriveva piú romanzi: il suo impegno

di narratore probabilmente si era concluso; poesie ne continuava a scri-

vere, di tanto in tanto; di quelle speciali poesie civili e morali che

abbiamo esaminato nel capitolo precedente. L'ultima sua produzione è

stata, quasi esclusivamente, saggistica: Empirismo eretico nel 1972, Scritti

corsari nel 1975. Ma il genere « saggistica » non è forse il piú adatto

per indicare il carattere degli scritti raccolti in questi due libri. I temi

« teorici » si sono fatti via via meno frequenti, mentre sempre piú insi-

stente è apparso l'articolo di costume, il commento ai fatti della cronaca,

la denuncia, la polemica su singoli accidenti o su casi piú generali.

Cosí troviamo, negli Scritti corsari, ma sarebbe piú giusto dire ritro-

viamo, la descrizione d'una società ormai « omologata » in un « univer-

so » tecnologico, consumistico che è totalitario e repressivo quanto piú

si mostra tollerante e permissivo; la denuncia di uno « sviluppo senza

progresso », di una centralizzazione acculturante che distrugge le « cul-

ture periferiche » e, piú drammatica e disperante, anche perché tragi-

camente profetica, la denuncia dell'orrore della « mancanza di pietà ».

Page 160: Pasolini Tommaso Anzoino

E troviamo, anche, i motivi piú ambigui delle contraddizioni pasoli-

niane, come il recupero nostalgico di un'età precapitalistica, contadina,

paradossalmente libera e liberante anche nella sua repressività.

Queste dichiarazioni, a parte lo scalpore che, oggettivamente, hanno

sempre sollevato, si caratterizzano non solo e non tanto per ciò che ,so-

stanzialmente dichiarano, ma anche per come, formalmente, e cioè poe-

ticamente, sono espresse.

Pasolini, cioè, non scriveva, per esempio sul « Corriere della Sera »,

come il cronista di costume usa scrivere sulla terza pagina: il suo stile,

il suo linguaggio, costruito spessissimo su immagini, violento e candido

insieme nella qualità, finisce con l'essere poetico, anche nella « provo-

cazione » piú scandalosa. E, del resto, il linguaggio della provocazione

non è certamente quello della semplice « comunicazione ».

Gli ultimi scritti di Pasolini ci pare offrano la possibilità di definire

questa ultima sua produzione letteraria come quella di un moralista. E

questa figura di letterato ci piace caratterizzarla con le parole che Cesare

Luporini usò a proposito di Leopardi: « ... elaboratori di immediate espe-

Page 161: Pasolini Tommaso Anzoino

rienze umane, specifiche d'un'epoca, d'una classe... il cui pensiero è ca-

ratteristicamente segnato da un'accentuazione ottimistica o pessimistica

della visione del mondo e delle cose, che, come tale, esula dalla pura

indagine scientifica ».

E vorremmo concludere su Pasolini ancora con ie parole di Luporini:

«.. egli fu un grande moralista, apparizione molto rara nella tradizione

itallana e proprio per questo non facilmente comprensibile presso di noi ».

FINE.

NOTIZIE BIOGRAFICHE.

Pier Paolo Pasolini è nato a Bologna nel 1922. La fanciullezza e la giovinezza

le ha trascorse in gran parte nel Friuli, a Casarsa, il paese della madre, dove

andava a « villeggiare » e dove sfollò nel '43 rimanendovi sino al '49, e in

varie città del Veneto e dell'Emilia studiando a Reggio Emilia, a Bologna

dove ha frequentato l'Università e si e laureato in lettere..Nel '49 si è trasferito

a Roma; dopo aver insegnato per qualche tempo in una scuola privata, si è

dedicato completamente al suo lavoro di scrittore e di regista diventando uno

dei testimoni piú sensibili e appassionati della crisi del nostro tempo e uno

degli intellettuali piú rappresentativi di questi anni.

Page 162: Pasolini Tommaso Anzoino

E' stato assassinato, in mezzo alle baracche della periferia di Ostia, la notte

del 2 novembre 1975.