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Pascoli e D’Annunzio, per aspetti e caratteristich e molto differenti, sono tra i maggiori rappresentanti del Decadentismo italiano. Anche in Italia, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la crisi di valori che è all’origine della letteratura decadente trova eco nelle opere di molti scrittori. L DECADENTISMO IN ITALI

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Pascoli e D’Annunzio, per aspetti e

caratteristiche molto differenti, sono tra i

maggiori rappresentanti del

Decadentismo italiano.

Anche in Italia, tra la fine dell’Ottocento e

l’inizio del Novecento, la crisi di valori che è

all’origine della letteratura decadente

trova eco nelle opere di molti scrittori.

IL DECADENTISMO IN ITALIA

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Pascoli riesce a inventare un proprio istintivo

simbolismo e, pur essendo legato alla tradizione

classica, riesce ad essere innovatore, anche in

assenza di vitali contatti con le correnti rinnovatrici

moderne.

Pascoli e il Decadentismo

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Cultura positivista (interessi per la botanica, la zoologia)

Cultura classica e eccellente classicista,

vincitore di premi di poesia latina di Amsterdam più

volte)

Scarsa conoscenza della cultura d’oltralpe

Formazione culturale :

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Pascoli con la sua poesia fatta di sentimenti,

stati d’animo, piccole cose, cerca di penetrare il

mistero dell’esistenza, il senso profondo della

vita.

Il suo linguaggio, simbolico, teso a suscitare

suggestioni e intuizioni, fondato su accostamenti

inusuali, è fortemente innovativo nel panorama

della letteratura italiana.

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Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì il 31 dicembre  1855 da Ruggero Pascoli e da Caterina, quarto di 10 figli.

Il padre era l’amministratore della tenuta agricola “La Torre” della nobile famiglia Torlonia, originaria di Roma.

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì il 31 dicembre  1855 da Ruggero Pascoli e da Caterina, quarto di 10 figli.

Il padre era l’amministratore della tenuta agricola “La Torre” della nobile famiglia Torlonia, originaria di Roma.

BIOGRAFIA

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Nel 1862 Giovanni Pascoli insieme ai fratelli Giacomo e Luigi entrò nel collegio “Raffaello” di Urbino, diretto dai padri Scolopi, e vi rimase fino al 1871

Il 10 agosto del 1867 il padre Ruggero Pascoli fu ucciso con una fucilata mentre tornava in calesse da Cesena a San Mauro.

Poesia

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1876 Abbraccia le idee anarchico- socialisteggianti di Andrea Costa.

1877 Muore anche il fratello maggiore Giacomo che aveva fatto da padre e Giovanni si trova a vivere di lezioni private e di supplenze

Militanza politica 1879 (segretario partito)

Arrestato per atti sovversivi (accusato di urla durante un processo) fa 3 mesi di carcere. Verrà assolto con formula piena ma resta segnato dall’esperienza.

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Si allontana dalla politica nell’ ‘80 riprende gli studi

1881 – si laurea in letteratura greca1887 – si stabilisce a Massa con le sorelle Ida e Maria (nido familiare)

1895 – Ida si sposa contro la volontà del fratello

Pascoli si trasferisce a Castelvecchio (Lucca) con Maria

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"Questo è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de' miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!"

Così lui dirà:

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1897 Pascoli è nominato

professore di letteratura latina

all’Università di Messina.

1897 Pascoli è nominato

professore di letteratura latina

all’Università di Messina.

Nel 1903 è nominato professore

di grammatica greca e latina

all'Università di Pisa.

Nel 1903 è nominato professore

di grammatica greca e latina

all'Università di Pisa.

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Nel Novembre del 1905 è

nominato titolare della

cattedra di letteratura

italiana dell'Università di

Bologna, succedendo a

Carducci, che aveva chiesto

il collocamento a riposo, e

che aveva espresso parere

favorevole riguardo a tale

successione

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Nel del 1905 vince per l'ultima volta la XII Medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam.

Il 6 aprile del 1912 Pascoli muore a Bologna, per volontà della sorella Maria viene sepolto nel cimitero della loro casa a Castelvecchio di Barga.

La sorella Maria continuò ad abitare nella casa comune e custodì gelosamente le carte del poeta fino alla sua morte, nel 1953.

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Il 26 novembre del 1911 pronuncia a Barga un

discorso in favore dei feriti nella guerra libica.

In questo discorso dal titolo “La grande

proletaria si è mossa” Pascoli giustificava la

guerra di Libia in nome della povertà economica

dell’Italia.

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La poetica pascoliana

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[…] Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. [...] Ma è veramente in tutti noi fanciullo musico? [...]. In alcuni non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza falsa.

Alcuni passi

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Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei.Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. […] Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: rimpicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare

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La metafora del fanciullino  

All’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio

elaborava il mito del superuomo, Pascoli

veniva teorizzando la sua poetica, intimamente

connessa al Decadentismo

Natura irrazionale e intuitiva della poesia: si arriva alla verità non

attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando

tutte le cose con stupore, con meraviglia, come se fosse la prima

volta (rifiuto della ragione e riconosciuto fallimento del Positivismo)

Questi i punti principali

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Potere analogico e suggestivo della poesia: se il poeta-fanciullo

arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, la poesia allora deve affidarsi al potere

analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da

alcun schema mentale, culturale e storico.

Poesia come scoperta: la poesia

non è invenzione, ma

scoperta, perché essa sta nelle cose che ci circondano, anzi in

un particolare di quelle cose che solo il poeta sa vedere

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Le umili cose: per il poeta, come per il

fanciullo, sono belle e degne di poesia

anche le piccole cose, umili,

quotidiane, familiari, le piante più

consuete e modeste, gli animali, gli

eventi del mondo naturale e campestre

Il simbolismo: il fanciullo-poeta

non riesce a cogliere i rapporti

logici di causa ed effetto tra le cose,

a fissarle in un insieme o sistema

coerente. Gli oggetti vengono

piuttosto percepiti in modo isolato,

svincolato dal contesto,

scatenando così la sua

immaginazione che li carica dei

propri ricordi, delle proprie

esperienze, del proprio universo

immaginario e ne fa un simbolo.

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Ecco allora che l’aratro

dimenticato in mezzo al

campo diventa il corrispettivo

di una vita solitaria, di uno

stato d’animo pervaso di

malinconia e di tristezza.

L’albero spoglio e contorto

diventa simbolo dell’angoscia

dell’uomo, il nido vuoto

simbolo della casa vuota

delle presenze familiari

Uso non strumentale

della poesia: la poesia

deve essere pura perché

il fanciullo non si intende

di problemi politici o

morali, né di lotte

sindacali e di ideologie.

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Funzione consolatrice della poesia: la poesia invita alla fratellanza contro la comune infelicità.

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LAVANDARE  SIMBOLO di abbandono e di tristezza

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero

resta un aratro senza buoi che pare

dimenticato, tra il vapor leggero.

 

E cadenzato dalla gora viene

lo sciabordare delle lavandare

con tonfi spessi e lunghe cantilene:

 

Il vento soffia e nevica la frasca,

e tu non torni ancora al tuo paese!

quando partisti, come son rimasta!

come l’aratro in mezzo alla maggese

Poesia

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cerca una liricità più distesa, con testi più lunghi

Canti di Castelvecchio – 1903

I° edizione 1897 – definitiva 1904

è presente una tendenza narrativa e maggiore è l’impegno ideologico

Poemetti

I° edizione 1891 – definitiva 1900

è caratterizzata dalla frammentarietà, da testi brevi

Myricae

Le raccolte poeti che

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La prima raccolta poetica di Giovanni Pascoli è "Myricae“

pubblicata nel 1891.

Il titolo (che è il nome latino delle tamerici, piccoli arbusti

comuni sulle spiagge) riprende un verso di Virgilio

(Egloga IV: Arbusta iuvant, humilesque myricae), che

Pascoli mette come epigrafe all’inizio della raccolta.

MYRICAE

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Egli stesso spiega il significato e la

scelta di questo titolo: Myricae è la

parola che usa Virgilio per indicare i

suoi carmi bucolici: poesia humilis.

Pascoli ha dedicato questa raccolta

alla memoria di suo padre “A

Ruggero Pascoli, mio padre”.

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I temiGli argomenti principali che il poeta tocca in

quest'opera sono molto variegati tra loro, e vanno

dalla produzione di versi sulla natura e sul rapporto

con essa, che porta all'esaltazione delle cose più

piccole e semplici attraverso la poetica del fanciullino,

alle riflessioni sul mistero in cui è immerso il nostro

universo.

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Troviamo il tema del nido familiare e della sua

disgregazione, argomento che ci ricollega alla

sofferenza causata dalla morte e ai lutti

 che Pascoli ha vissuto, fino ad arrivare al tema

del ruolo sociale e storico della figura del poeta. 

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Impressionismo e simbolismo nella poesia Pascoliana

Poesie

TemporaleIl lampoIl tuono

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Per Pascoli il fine della poesia è circoscrivere in

maniera chiara una realtà ma sempre nel suo

fondo misteriosa e sfuggente (con ciò egli

inaugura un filone poetico novecentesco che

arriverà sino ai “correlativi oggettivi” di Montale).

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Il poeta con un atteggiamento spontaneo,

autentico e innocente, può scoprire con l’intuizione

le somiglianze e le relazioni più ingegnose, sa

cogliere le segrete corrispondenze; inoltre

rompendo con la selettività della lirica tradizionale,

Pascoli accoglie nella sua poesia tutte le cose

dalle più umili alle più alte.

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Pone inoltre attenzione nel circoscrivere in maniera

chiara, precisa una realtà che invece nel suo fondo è

sempre sfuggente.

Abbiamo così i fiori, gli uccelli, con i loro versi

onomatopeici, gli oggetti legati al lavoro dei campi,

indicati in modo preciso ma allo stesso tempo

fortemente simbolici.

Le campane annunciatrici di morte.

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Pascoli ci fa intravedere la sua visione del mondo

in accordo con il clima culturale prevalente del

Decadentismo, ovvero la perdita di una razionalità

riconoscibile nelle cose.

Anche la sintassi è rivoluzionata, infatti prevale la

paratassi sull’ipotassi con una funzione si direbbe

“filosofica”, in quanto specchio dell’impossibilità di

reperire un rapporto di causalità fra le cose.

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L’insieme di questi oggetti forma un mondo naturale

su uno sfondo misterioso e indeterminato; questo

rapporto tra determinato ed indeterminato si esprime

nella produzione poetica pascoliana attraverso

appunto audaci soluzioni sintattiche e linguistiche.

Le numerose pause, ad esempio, create dalla

punteggiatura, indicano la rottura del rapporto logico

tra le parole e creano pause, tensioni, aspettative tra

un verso e l’altro.

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Si parla di plurilinguismo in quanto Pascoli usa

una lingua grammaticale propria della

comunicazione quotidiana, insieme a una lingua

pre - grammaticale come le onomatopee, efficaci

per il loro suono e non per il loro significato, infine

una lingua post-grammaticale che è quella dei

dialetti, gerghi, parole straniere, terminologie

tecniche.

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La frase si fa nominale, tra sostantivo e aggettivo il

primo termine risulta subordinato al secondo, come

se la qualità delle cose fosse più rilevante della loro

identità, abbondano le sinestesie, analogie,

onomatopee, vocaboli fonosimbolici, allitterazioni,

paronomasie, enjambements

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Novembre pubblicata nel 1891Gèmmea l'aria, il sole così chiaroche tu ricerchi gli albicocchi in fiore,e del prunalbo l'odorino amarosenti nel cuore...

 Ma secco è il pruno, e le stecchite piantedi nere trame segnano il sereno,e vuoto il cielo, e cavo al piè sonantesembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,odi lontano, da giardini ed orti,di foglie un cader fragile. E' l'estate,fredda, dei morti.   

L'aspetto più caratteristico di questi versi è rappresentato dalla luminosità, tutte le parole chiave si richiamano a questo elemento visivo. "Gemmea" introduce anche una sensazione di freddo

 soprattutto sonoro con connotazioni e suoni molto cupi per il predominio della vocale "o".

è una descrizione caratterizzata da asprezza e da aridità: stecchite e nere trame

Nel testo di Pascoli la sensazione è di aridità intesa come assenza di vita,

intervengono sensazioni tattili che suscitano percezioni di freddo in un contesto di calore (estate) solo apparente.L'aggettivo "fredda" si ricollega sia a livello semantico con Gemmea in apertura di testo

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Pubblicata per la prima volta su «Il Marzocco» del 9 agosto

1897, alla vigilia dell’anniversario della mai

chiarita uccisione del padre, la poesia è stata inserita nella

quarta edizione della raccolta Myricae, dove compare nella

sezione intitolata Elegie. 

Attraverso questi versi, dunque, il poeta ricorda l'assassinio,

avvenuto in una sera d'estate (il 10 Agosto, giorno del martire

San Lorenzo).

X AGOSTO

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A ciò forse s'aggiunge l'altro evento drammatico di rottura

dell'idillio familiare, ovvero il matrimonio (fortemente

osteggiato dal poeta) della sorella Ida, nel 1895.

La morte è dunque la protagonista di questa poesia, in cui

anche il cielo piange stelle cadenti. 

L'autore sceglie infatti di esprimere tutto il proprio dolore

attraverso un paragone col mondo naturale, di gusto

simbolista

Questo evento drammatico apre una serie di lutti famigliari, e

dà inizio alla disgregazione del nido, che Pascoli aspirerà a

ricostituire per tutta la vita.

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Nel componimento il piano biografico viene trasposto su un piano cosmico: la compresenza di elementi cosmici in uno scenario familiare.

Leopardi ed eco manzoniano (con la parola "attonito", che rievoca il Cinque Maggio).

Dal punto di vista metrico, le quartine sono composte da decasillabi e novenari alternati.

Commento

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San Lorenzo, io lo so perchè tantodi stelle per l'aria tranquillaarde e cade, perchè si gran piantonel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:l'uccisero: cadde tra spini:ella aveva nel becco un insetto:la cena de’ suoi rondinini. Ora è là come in croce, che tendequel verme a quel cielo lontano;e il suo nido è nell'ombra, che attende,che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:l'uccisero: disse: Perdono;e restò negli aperti occhi un gridoportava due bambole in dono...

X AGOSTO

Poesia

Ora là, nella casa romita,lo aspettano, aspettano in vano:egli immobile, attonito, additale bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondisereni, infinito, immortale,oh! d'un pianto di stelle lo inondiquest'atomo opaco del Male!

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L’assiuolo

Impressionismo simbolistico

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In una prima stesura manoscritta del

componimento, troviamo espressi alcuni passaggi

oscuri in modo più narrativo e lineare; in una nota a

fianco, lo scrittore scrive a penna: "Sì, ma allora non

è più la poesia, ma la spiegazione della poesia". In

questa frase c'è tutta la "rivoluzione di

Pascoli, ovvero l'idea che la poesia possa evocare

un mondo di immagini e suoni, inconoscibile in

modo compiuto con gli strumenti razionali

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Nel componimento domina inizialmente

l'elemento naturale nella sua spontaneità (il

mandorlo, il melo, i lampi, le nubi, i campi) a cui

si affianca una presenza oscura, in questo caso

rappresentata dall'onomatopea chiù (che

riproduce il verso dell'assiuolo).

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L'assiuolo  fa parte della raccolta Myricae e compare nella

sezione In campagna. 

La poesia si svolge infatti in una campagna addormentata,

notturna, in cui il poeta fatica a scorgere la luna.

Dal buio gli arriva appunto alle orecchie un pianto triste e

lontano, il verso dell'assiuolo

Metro: tre coppie di quartine di novenari a rima alterna

ABABCDCd (dove l'ultimo verso è sempre

l'onomatopeico chiù, monosillabico).

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Pascoli si interroga quindi sul mistero che incombe sul

nostro universo e sul destino dell'uomo, votato alla morte

senza rimedio. 

La figura retorica più caratterizzante di questo componimento

è l'onomatopea, utilizzata dal poeta per rendere il verso

dell'assiuolo, chiù, che chiude ogni strofe con un sinistro

presagio di sventura. 

Questo è un tratto caratteristico del fonosimbolismo

pascoliano, ovvero della sensibilità del poeta per quegli

elementi della natura che combinano al tempo stesso fascino

e paura.

 

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Dov'era la luna? Ché il cielo

notava in un'alba di perla,

ed ergersi il mandorlo e il melo

parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi

da un nero di nubi laggiù:

veniva una voce dai campi:

chiù...

Le stelle lucevano rare

tra mezzo alla nebbia di latte:

sentivo il cullare del mare,

sentivo un fru fru tra le fratte;

sentivo nel cuore un sussulto,

com'eco d'un grido che fu.

Sonava lontano il singulto:

chiù...

Dov'era la luna: nonostante il colore perlaceo diffuso nell’aria la luna probabilmente è ancora sotto la linea dell’orizzonte, e quindi non visibile. Spicca, come spesso nella poesia pascoliana, il dato coloristico, lieve e sfumato.

un'alba di perla: analogia pascoliana, tipica della poetica del fanciullino e, più in generale, dello stile simbolista.

soffi di lampi: sinestesia, serve ad esprimere tutte le sfumature e le impressioni delle tempesta notturna in arrivo.

nero di nubi: l'espressione, anziché concen-trare l'attenzione sulle nubi, la sposta sul loro colore cupo e minaccioso. Impatto visivo

chiù: monosillabico, viene percepito come tristo presagio di morte.

nebbia di latte: focalizzano l'attenzione sulla luce notturna e lunare, che filtra per una nebbia che impedisce la vista delle stelle,

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Su tutte le lucide vette

tremava un sospiro di vento;

squassavano le cavallette

finissimi sistri d'argento

(tintinni a invisibili porte

che forse non s'aprono più?... );

e c'era quel pianto di morte...

chiù...

Lucide: il dato coloristico è ulterior-mente arricchito e al tempo stesso sfumato: le "vette" degli alberi sono rese luminose dal riflesso della luce lunare.

squassavano: onomatopeico, che contribuisce all'allitterazione della sibilante "s".

sistri d'argento:  strumenti metallici a scotimento che emettono un sibilo acuto; erano utilizzati nell'antico Egitto per il culto misterico della dea Iside, che prometteva la resurrezione dopo la morte.

Le invisibili porte della morte.

il culto di Iside, evocato dal suono dei sistri, non ha effetto

Il tema dei “cari” defunti è molto presente

Poesia

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La mia sera Canti di Castelvecchio (1903)Questa poesia é suddivisa in 5 strofe da 8 versi ciascuna. I versi sono tutti novenari tranne gli ultimi di ogni strofa che cono senari (chiuso sempre dalla parola sera). La rima é alternata e segue lo schema ABCBDEDE; però non tutte le strofe (es: 3°strofa) seguono questo schema. Le figure retoriche presenti nella poesia sono: metafore (“... tacite stelle...”), onomatopee (“..gre gre di ranelle...”), la sineddoche (“...i nidi...”), ossimori (“..fulmini fragili...”) e la metonimia (“..stanco dolore...”).

Con questa poesia l’autore vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera, cioè paragona il temporale alla vita travagliata (perdita del padre e della madre) e la sera ad un momento di pace della sua vita.

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La mia serall giorno fu pieno di lampi;ma ora verranno le stelle,le tacite stelle. Nei campi

c’è un breve gre gre  di ranelle. Le tremule foglie dei pioppitrascorre una gioia leggiera.

Nel giorno, che lampi! che scoppi!Che pace, la sera! 

Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo.

Là, presso le allegre ranelle,singhiozza monotono un rivo.

Di tutto quel cupo tumulto,di tutta quell’aspra bufera,

non resta che un dolce singultonell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,finita  in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restanocirri di porpora e d’oro. O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nerafu quella che vedo più rosa

nell’ultima sera. 

Che voli di rondini intorno!che gridi nell’aria serena!La fame del povero giornoprolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi

nel giorno non l’ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi,

mia limpida sera!

Don... Don... E mi dicono, Dormi!mi cantano, Dormi! sussurrano,

Dormi! bisbigliano, Dormi!là, voci di tenebra azzurra...Mi sembrano canti di culla,

che fanno ch’io torni com’era...sentivo mia madre... poi nulla...

sul far della sera.

Poesia

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IL GELSOMINO NOTTURNO

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E s'àprono i fiori notturni nell'ora che penso a' miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi; come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse.

I fiori del gelsomino si schiudono di notte, nell'ora in cui penso ai miei cari, morti. Sono apparse tra gli arbusti le farfalle che volano nelle ore notturne.

Già da tempo le voci rumorose del giorno tacciono: solo in una casa, là, qualcuno parla sottovoce. Gli uccellini dormono sotto le ali (della madre); come gli occhi al riparo delle ciglia

Dalle corolle dei fiori (di gelsomino si diffonde un profumo come di fragole rosse.Splende una luce, là, nella sala (della casa) L'erba nasce sopra le

tombe.

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Un'ape tardiva sussurratrovando già prese le celle. La chioccetta per l'aia azzurrava col suo pigolìo di stelle.

Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento...

E' l'alba: si chiudono i petaliun poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta,non so che felicità nuova.

Un'ape ritardataria

sussurra trovando le celle

già tutte occupate (dalle

altre api)

La costellazione delle

Pleiadi procede per il cielo

con il suo seguito di stelle.

Per tutta la notte si

diffonde il profumo

trasportato dal vento.

La luce si muove verso

l'alto sulla scala; brilla al

primo piano: si è spento..

E' l'alba: i petali del fiore un

po' stropicciati si chiudono;

dentro la corolla molle e

nascosta, cova non so quale

(indescrivibile) nuova

felicità.

Poesia

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IL GELSOMINO NOTTURNO da "Canti di Castelvecchio", 1903

Appare subito evidente che la descrizione della vita del gelsomino, che solo di notte apre la sua corolla per richiuderla ai primi raggi del sole, è solo un tenue pretesto.

La lirica, infatti, più che descrivere cose e fenomeni, è tutta una trama di impressioni e di sensazioni apparentemente disordinate e casuali, ma in realtà legate da profonde analogie che creano una magica suggestione.

Rotto ogni legame di tipo logico e razionale con la realtà che lo circonda, Pascoli scopre segrete corrispondenze e coglie il misterioso alternarsi e compenetrarsi di vita e di morte.

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La poesia è soprattutto parabola della solitudine, di chi non ha

mai partecipato attivamente allo svolgersi della vita: come

"l'ape tardiva" è rimasta senza posto nelle celle, così il poeta

è estraneo alla notte d'amore che due sposi stanno

consumando in una casa lontana. Sotto il profilo stilistico-

espressivo, oltre al ricorso all'analogia e alla paratassi, il poeta

privilegia l'uso di sostantivi e di aggettivi al posto dei verbi, in

armonia con il suo interesse per le sensazioni più che per gli

avvenimenti.

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Il poeta immagina che Ulisse, già vecchio, insofferente della riacquistata

serenità a Itaca, riprenda la navigazione, ripercorrendo le tappe delle sue

straordinarie avventure.

Ma il viaggio segna la fine delle sue illusioni, poiché la molla del suo

andare per mare, la sete di sapere, si trasforma nella consapevolezza che

nessuna conoscenza certa è possibile. Così Pascoli proietta sul mondo

antico la sensibilità inquieta della modernità e trasforma l’Ulisse omerico

nell’eroe della sconfitta, dello scacco dell’uomo di fronte al mistero e alla

morte.

Poemi conviviali/L'ultimo viaggio/XXIII Il vero

Il crollo delle certezze

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Poemi conviviali/L'ultimo viaggio/XXIII Il vero

E la corrente tacita e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E il vecchio vide che le due Sirene,le ciglia alzate su le due pupille,avanti sé miravano, nel solefisse, od in lui, nella sua nave nera.E su la calma immobile del mare,alta e sicura egli innalzò la voce.     Son io! Son io, che torno per sapere!Ché molto io vidi, come voi vedeteme. Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo,mi riguardò; mi domandò: Chi sono?     

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E la corrente rapida e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E il Vecchio vide un grande mucchio d’ossad’uomini, e pelli raggrinzate intorno,presso le due Sirene, immobilmentestese sul lido, simili a due scogli.Vedo. Sia pure. Questo duro ossamecresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,prima ch’io muoia, a ciò ch’io sia vissuto!E la corrente rapida e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E s’ergean su la nave alte le fronti,con gli occhi fissi, delle due Sirene.Solo mi resta un attimo. Vi prego!Ditemi almeno chi sono io! chi ero!     E tra i due scogli si spezzò la nave.

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Grazie