PARTE QUARTA - Consiglio Nazionale Forense

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PARTE QUARTA STORIA DELL'AVVOCATURA FRANCO CIPRIANI PIERO CALAMANDREI MAESTRO DI LIBERALISMO PROCESSUALE (1946-1956) (*) SUMMARIO: l. PremessR.- 2. Il di Cn rnclutti sulla l >llrl ra del rocl i«: e il primo co nvegno dei h n lioni. - J. Lo. oconunomor:rzlo r ><:" di Chlovend• nel 1947. - 4. li sìlentioso ripudi11 dcii'RutoritRrismo proc:c:ssuale nel 1 948-50.- 5. L'approdo nlli bemlbmo rrd 1 95 1 .- 6. l S31!8i dd l952- 5:i.- 7. L'intervento .U'dneonrro» sulgiuJ ice i mu nore.- &. Cala· mnndrd e Jn conce1..ione garamittico dd protes.so. l. Premessa. Nel 2006, nel cinquantesimo anniversario della sua scom- parsa, Piero Ca lamandrei è stato commemorato dapprima nel- l'Università della ua Firenze, ill8 febbraio, con un grande con- vegno su «Piero Calamaodrei e la ricostruzione dello Stato de- mocratico (1944-1948) »( l }, e poi, molto solennemente, a Roma, il 26 settembre, da iuliano Vassalli, H quale, all a pre- senza del Presidente della Repubblica iorgio Napolitano, ha tenuto un bellissimo discor o nella ala della Lupa del palazzo di Montecitorio su « Piero CaJa mandrei e la nascita dello Repub- blica italiana» (2). In encrambe le occasioni si è quindi parl11to (*) Relazione al Convegno di studi su « C.pogmssi < C..lnmnndrd due ci nquon· tenari », tenutosi a Sulmona il 9 dictnrbrc 2006 per inizinriv• dell o l"<mdozion< niiZÌ<>· nale «Giuseppe Capograssi ». li saggio è destina to ngli St:rilli 111 onore di M• reo Com· porti. · (l) Cfr. S. CALAMANDREt, l't'ero 01/umandrei e la licostruzùme dello Stato demo· erotico, in Il Ponte, 2006, •l, p. 109 ss. (2) Cfr. VASSAW, Piero Ctrlnmandrei e la nascita della Repubblica italiana, in Giusto proc, du., 2006. }, l'· UJ ss.

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PARTE QUARTA STORIA DELL'AVVOCATURA

FRANCO CIPRIANI

PIERO CALAMANDREI MAESTRO DI LIBERALISMO PROCESSUALE (1946-1956) (*)

SUMMARIO: l. PremessR. - 2. Il rc11ircm~ilt di Cnrnclutti sulla l>llrlra del rocli«: e il primo convegno dei proce.W~allsu h n lioni. - J. Lo. oconunomor:rzlor><:" di Chlovend• nel 1947. - 4. li sìlentioso ripudi11 dcii'RutoritRrismo proc:c:ssuale nel 1948-50.-5. L'approdo nllibemlbmo proce$$u~le rrd 195 1.- 6. l S31!8i dd l952-5:i.- 7. L'intervento .U'dneonrro» sulgiuJ ice imunore.- &. Cala· mnndrd e Jn conce1..ione garamittico dd protes.so.

l. Premessa.

Nel 2006, nel cinquantesimo anniversario della sua scom­parsa, Piero Calamandrei è stato commemorato dapprima nel­l'Università della ua Firenze, ill8 febbraio, con un grande con­vegno su «Piero Calamaodrei e la ricostruzione dello Stato de­mocratico (1944-1948) »( l}, e poi, molto solennemente, a Roma, il 26 settembre, da iuliano Vassalli, H quale, alla pre­senza del Presidente della Repubblica iorgio Napolitano, ha tenuto un bellissimo discor o nella ala della Lupa del palazzo di Montecitorio su « Piero CaJamandrei e la nascita dello Repub­blica italiana» (2). In encrambe le occasioni si è quindi parl11to

(*) Relazione al Convegno di studi su « C.pogmssi < C..lnmnndrd due cinquon· tenari », tenutosi a Sulmona il 9 dictnrbrc 2006 per inizinriv• dello l"<mdozion< niiZÌ<>· nale «Giuseppe Capograssi ». li saggio è destinato ngli St:rilli 111 onore di M• reo Com· porti. ·

(l) Cfr. S. CALAMANDREt, l't'ero 01/umandrei e la licostruzùme dello Stato demo· erotico, in Il Ponte, 2006, •l, p. 109 ss.

(2) Cfr. VASSAW, Piero Ctrlnmandrei e la nascita della Repubblica italiana, in Giusto proc, du., 2006. }, l'· UJ ss.

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molto del Calamandrei uomo politico, ma, dati i temi, molto poco, quasi niente; del Calamandrei processualcivilista, sì che non si può non èssere grati agli organizzatori di questo nostro convegno, e in particolare al presidente della Fondazione Capo­grassi, Francesco Mercadante, per avere pensato di prendere spunto dal fatto che nel 2006 ricorre anche il cinquantenario della scomparsa di Giuseppe Capograssi, per ricordare contem­poraneamente i due grandi Maestri, entrambi nati nel 1889 e morti nel 1956, sì da realizzare il sogno di Salvatore Satta «di farli incontrare» (3) e da dedicare una delle relazioni al Cala­mandrei processualcivilista.

Il compito di u:nere tale relazione è stato cortesemente affi­dato a me, dandomi così l'imprevedibile privilegio di essere l'u­nico processualcivilista che sia stato invitato a ricordare l'opera di Piero Calamandrei a cinquant'anni della sua scomparsa. Devo tuttavia subito aggiungere che il compito affidatomi non è certo agevole, a tacer d'altro perché Calamandrei ha operato dall912 al 1956, ossia per 44 anni, durante i quali ha non solo scritto, come tutti sanno e come si suol dire, un'intera biblioteca, occu­pandosi di quasi tutti i problemi del processo civile, ma anche partecipato, e da protagonista, a tutte le grandi vicende che in qùei 44 anni si ebbero nel piccolo e inquieto mondo della pro­cedura civile italiana, in primis quella legata al varo, durante il fascismo, del codice di procedura civile che tuttora ci go­verna (4). Pertanto, dovendo qui contenere il discorso nei limiti di una relazione, ho pensato di analizzare gli scritti processual­civilistici successivi alla proclamazione della Repubblica, che è un periodo della vita di Calamandrei che non ho mai approfon­dito, sì da avere idee più chiare sulla sua opera di processualci­vilista durante quello che è stato giustamente definito il « decen­nio supremo della Sua vita pubblica e politica» (5).

(3) Così SAITA, Interpretazione di Calamandrei, in Solttoqui e colloqui di un gitl­rista, Padova, 1968, p. 491.

(4) Su quella vicenda v. il mio Piero Calamandrei e il codice di procedura civile, in Giusto proc. civ., 2006, J, p. !55 ss. . . . . . . . .

(5) Così REDENTI, In memoria dt Pzero Calamandret, m Rzv. trtm dtr. proc. ctv., !958, p. u.

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2. Il revirement di Cnmclulli mlln bolllà del codict> e il fJI'Ù11o coflvegllo dei procesmalisti il.aliam:

A tal fine, non senza avere ricordaro che nel dopoguerra a­lamandrei , per caso o pour cnrtsc, non completò le sue lstitu­zimti, evitando così di continuare a commenta!·e iluuovo codice (divenuto, dop<'l la caduta del fascismo, un argomento qua n l 'al­tri mai scottallte. .. ), deve dirsi cl1e dalla sua sterminata biblio­grafia si apprende che ] sue pubblica~ioni, che nei qunnmt'anni dal 1906 al !945 furono ben 355 (30 delle quali effettuate prii'IJA del 1912, quandò cominciarono ad apparire gli scritti di proce­dura) , n.ei dieci aMi dal 1946 al 1956 furono addiri tura 493 (6). delle quali, però, sol una ventina vertono sul Jxoccsso civile. Per eU più, queste ultime, stand ai ti toli , si riferisco.no quasi tutte a problemi che hallilo ben poco a eh vedere con quello del c.p.c. del 1940 e del.la sua sopravvivenza, che pure in quel pedodo era l'argomento all'o.d.g. ramo che non a caso era sem­brato ch'egli, in pubblico, avesse« ignorato non sol i vari ten­tativi di riforma, ma anche la "controriforma' ciel 1950» (7), e, in privato, si. fosse battuto [ er l'abrogazione del codice (8) . Vi­ceversa, se non ci si fermo ai titoli e si ha cura di leggere in or­dine cronologico i suoi scritti, ci si avvede che le co e, come o·edo di avere ià dimostraro (9), stavano divcrsamencc, anche e devo riconoscere che fino a ieri non avevo capito fi no a d1

punto stessero diversamente.

(6) Clr. CAI'PEU.sm, MONIXlLfO e CoRrnP., 8ib/iogrnfin Ji Pino Cnlllntnlldui in CI.LAJ.JANOIU!I, Op~rc giuriJick, A cum di CAPI'FJ.LE'Il'I, X, NApoli, 1985, p. 60J .;,

(7) Cod TARUPJ!O, C.tfnll/411dfti r le ri/ormr Jel proccsJo riuile ìu ilAAJUJ (A curo di), Piero CniDma/11/rti, Milnno. 1990, l'· J78. '

(8) osi nnco111 1'ARllfFO, U. gimlilitt duilt li1 IMiin Jnl '700 ad IJfUii, Bolo~nn , 1980, p, 290,1n noia, prcndendo~pun1o dnlloleucro dd 9 febh111io 1947 con In quolc CAtMotANDJUll.iL,IIc,. 19!J·I9S~, • c~r• di A<:~~ GAl~ GARRCJNll, Il , firmte • . 1968, p. !3~, nssacur!Ì nll avv .. Lavio Bannco che •vrebbc faun al possibile per lfquìdarc al.« !"osrnc~n1nlo » (v. nnche d ""?Il co~uè JJ' procedt~rn dVJ1~ lrn Rtftlrti>i ~ pr()('mH•· hsu, NnPQh, 1992, pp. 79 c 81). LJV!o llaanc<> ern un g•ovllne nvvocoao pìemomesc che «lcggevn u mo c $Opevn IUito» c volevo ra~oanigllnrc n Cò!ovendn: così Cll.AMANDRIU Uuio Bin11t0, in Ri11. Jir. proc., 19.:;3, I, p, 249. '

(9) V. il mio t.., rìbtllio11• d•gli nuvott~Ji n! c.p.c. dtll!J42 t 11 Jt1tllv'o dtl C111m'· glio lldXIÌmnlr /ort 11S6, 19!>2, nel mio SIYillì 111 OIIOrt ilei Po1~. Miln11o, 2006, p. 401 0$.

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Bisogna tenere presente che Calamandrei, dopo il saggio Sulla riforma dei codici, pubblicato a marzo del1945 in due pun­tate su una rivista politica, La nuova Europa (10), col quale, come recenti studi hanno posto in evidenza, dettò la strategia per la difesa dei codici (11), per tutto il resto del1945 e l'intero 1946 non scrisse un rigo né sul codice, né sul processo civile.

Nel1946 riprese le pubblicazioni la « Processuale ». L'edito­riale per annunciare la Rinascita era a firma della Direzione, ma fu scritto, «anche a nome dell'altro» direttore, soltanto da Car­nelutti, il quale, a proposito del nuovo codice, scrisse: «non sap­piamo quale sarà il suo destino; ma chi, anzièhé ripulirlo della vernice inquisitoria, volesse spingere il restauro alla demolizione dei muri maestri, distruggerebbe un'opera che fa onore al diritto italiano» (12).

La situazione, quindi, era fluida, ma, verso la fine dell'anno, gli eventi, a quanto par di capire, precipitarono, perché Carne­lutti, nel secondo e ultimo fascicolo della « Processuale », nel tornare ad occuparsi del codice, condivise il pensiero di un av­vocato di Parma, Carlo Molinari, e riconobbe che si trattava di «un'esperienza fallita»(13): non solo, ma, con molta modestia, assicurò di essersene accorto subito, «non tanto appena il co­dice è nato, quanto ancora prima che nascesse, anzi che fosse concepito» (14). Quindi, Carnelutti, nel giro di qualche mese,

(IO) Cfr. P. CALAMANDREI, Sulla riforma dei codici, 1945, in Scritti e discorsi po­litici, a cur• di BoBBIO, l, l, Flrenu, 1966, p. 87 .

(Il) V, Il BrRn bel libro dì RoNOINONE. Storia ùwlita tMin todifunvone dwlc, Milano, 200) , pp. 628 li.'- e 702 ss., il qunle hn dimostrato che:, di fronte nlle i~ronze abrogàtive dd codici. «sii nrgini più vigorosi ven nero posti dn Cnhunnndrd, Ferri o San toro Pamrclli » (nello siO!$SO senso v. G.B, FEAAt, Fl1ippo V~ss-1/i e In dc/nsclltiu<r­vollt del codico civile, in Diriuo privnto 1996. P~dov•. 19?7, pp. 6 11, 624 e 625). Ma: pur con tutlo Il rispcuo per gli ultimi due, .nl p•re evidente che Il vero salvatore de1 codici fu Cnlftmlllldl'l!l , che ftvevn beo nhrn •utorit.l: Giusej>pc Ferri era del1908 ed era in cntledra dal1936; Francesco SnnLoro PaS~a rcllì erp del 1902 ed era in cattedra dal 1930; entrambi avevano partecipato o.lla codificazione, ma non certo da massjmi protagonisti.

(12) Così P. CARNELUm, Rinascita, in Riv. dir. proc., 1946, I, pp. l e 3. (13) Cfr. P. CARNELum, Polemica sulla rt/orma del processo civile, in Riv. dir.

proG, 1916, l, p. 149. ( 14) Col;! P. CARNBLU'IT!, op. loc. ult. ci t., il quale, all'indomani della promulga­

zione, sì era Invece .J'fl'l!llft iO n far capire che il massimo artefice del codice era lui: v.

Pl.ERO CALAMANDREI MAESTRO DI Ll.BERALISMO PROCESSUALE 401

cambiò idea di 180°, schierandosi con quanti si battevano per l'abrogazione del codice.

Non sappiamo che cosa ne pensò Calamandrei (che nel frat­tempo era divenuro (ettore dell'Università di I~iren ze, fondatore c direttore de il Ponte, deputato alln Costituente e, dal novem­bre del 1946, presidente del Consigli.o nazionale forense), ma ceno è che poco dopo avvenne un fatto em-a precedenti: in­sieme con Redenti organizzò per l' li e 12 gennaio del 1947 nella sua Firenze un convegno di studiosi del processo civile.

n convegno dovette sollevare qualche perplessità, se è vero, come è vero, che gti assenti , in certo semo, furono più numerosi dei presepti. Infatti, vi andarono solo otto ordinari, uno più va­loroso e più gi vane dell'altro (Allorio, Andri li, Carnacini, Garbagnati, Liebman, Micheli, Pavanini e arra) , i quali, grazie a cinque liberi docenti (d'Onofrio, Furno, Lancelloui, Mino! i e Vocino), portarono il totale dei presenti a quattordici (com­preso, ovviameme, Calamandrci). Viceversa tredici ordinal'Ì , t,~no più autorevole dell'altro ( arneluui, Coniglio, osta, Diana, Galgano, Jacger, Lipari, Raselli, Red nti, llicca Barberis, Ugo Rocco, Rossi, Segni e Zanzuccbi), e un libero docente (ProviJl ­ciali) si limitarono a mandare la loro adesione: da notare che tra gli assenti vi fu, per« una improvvisa indi posizion », anche Redenti (15). Ad onta di dò, i presenti. approvarono Ull lungo documento, proponendo tra l'altro che fermo restando il giu­dice istruttore, al codice fossero apportate una serie di modifi­che, in primis la soppressione delle famigerate p reclusioni (16), contro le quali Calamandrei e tutti i processualisti italiani - è il caso di ricordarlo agli immemori - si erano inutilmente, ma

IO., Cnral/t~ dtlttUOIJO Prtx:tSSO ciut1c itnlmuo, in Riu, dir. proc., 1941, I, p. 43; !Jtitu­l.ÌOflt del lllibtJO proterto tluile itJtilimo, R(}mO, 1941 , p. V; Nuovo proceuo civile tla­li6110, io Foro t~ •• l 941, IV, cc. 28 e 29.

(UJ V. FuRNO, Il Couutgno degli Studio.ri dtl processo civt1e, in Riv. dir. proc., 1947, 1. p. 66.

(16) Le ~rop<_>slo _1<880tlSi in Riu. dir. pi'OC., 1947,!, p. 68 u .. In Foro it., 1947, IV, c. 37 S$., e .m Gtt"-''·· 1947, IV, (. 25 .,, Esse, quindi. non rurono pubblicate an­che nclla « 'l'dm~trale Jt, d~~: si limitò n dnr notìtiJJ dello c-o<thu<ione della Associa­zione fra gli studiosi del prOC:ei$0 civile (v_ in/m lo noto 18). Ne dedurrei che quelle proposte rurono prospcn•te solo do Cahtmondrd e non anche cl. Redenti.

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meritoriamente battuti negli anni Trenta (17). Nella stessa occa­sione i 14 presenti decisero di fondare l'Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile e di eleggere a membri del comi­tato direttivo Carnelutti, Redenti e (sempre per ultimo ... ) Cala­mandrei (18).

Se ne può dedurre che Calamandrei (con l'appoggio dei gio­vani) fece sapere agli assenti, e in particolare a Carnelutti, che il nuovo codice non era affatto un'esperienza fallita: lo si poteva pure riformare, ma non certo àbrogare.

3. La «commemorazione» di Chiovenda nel 1947.

Poco dopo, e precisamente il30 aprile 1947, Calamandrei, all'Assemblea costituente, divenne «componente il comitato consultivo per l'esame della riforma del codice di procedura ci­vile» (19). Quindi, per riformare il codice, dovevano vedersela con lui.

Consolidata in tal modo la propria posizione, Calamandrei, che era stato iniziato dal nonno magistrato «nell'arte magica della scrittura» (20), impugnò la sua penna fatata, quella con la quale riusciva a fare magie, e scrisse un saggio che sembra (così mi era sempre parso ... ) una commemorazione di Chi~­venda nel decennale della morte, ma che invece è la strenua di­fesa del codice dalle istanze abrogative degli avvocati (e di Car­nelutti).

Il saggio (che ovviamente ognuno di noi ha avuto modo di leggere, ma che non so quanti abbiano attentamente studiato), apparve nel terzo fascicolo della « Processuale » del1947. Sono pagine che, come al solito, non si possono compendiare, ma de­vono essere lette, dalla prima all'ultima parola. Chiovenda, già

(17) V. spec. CALAMANDREI, Sul progetto preliminare Solmi, 1937, in Opere giu­ridiche, cit., I, pp. 341, 345 e 365

(18) Cfr. CARNACINI, La costituzione dell'Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, in Riv. trim. dir. proc.·civ., 1947, p. 193.

(19) V. Attività dell'an. Piero Calamandrei, in CALAMANDREI, Opere giuridiche, cit., X, pp. 819 e 822. . . .

(20) Cfr. CALAMANDREI, Inventario della casa dt campagna, 1941, F~renze, rtst. 1989, p. 77.

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«elogiato» nel1940-41 (21), viene ora già in apertura parago­nato a quei «monumenti la cui imponenza si apprezza meglio quando si guardano da lontano» (22). Indi, dopo avere ricor­dato che Chiovenda, nel1925, aveva firmato il manifesto Croce, esponendosi alla «persecuzione politica» e divenendo «un sor­vegliato e un isolato» (23 ), rivelò che, alla morte di Chiovenda, il «rettore fascista dell'Università di Roma non partecipò al fune­rale, né permise che il feretro sostasse nell'atrio dell'Univer­sità» (24). Di poi, dopo avere paragonato Chiovenda a N ello Rosselli, che non aveva scelto la strada dell'esilio perché avs:va ritenuto «necessario che qualcuno rimanesse in Italia per dare l'esempio di non cedere» (25), lo presentò nei ruoli più inimma­ginabili:' «non fu mai un oppositore militante», ma (ciò nono­stante ... ) fu un «deciso e dichiarato avversario della dittatura»; la sua opera non potrebbe essere «qualificata come antifasci­sta», ma (ciò nonostante ... ) i suoi libri« appartennero, senza vo­lere» (! ), alla «letteratura della resistenza tacita o allusiva», tanto che il suo sistema potrebbe ben riassumersi «nel binomio Giustizia e Libertà» (26)! Incredibile. Ci mancava solo che Chiovenda fosse presentato come un protagonista della Resi­stenza con R maiuscola: quasi non fosse vero che proprio lui, Calamandrei, pochi anni prima, forzando in senso opposto la ve­rità, ci aveva assicurato che «Giuseppe Chiovenda è riuscito a

(21) Chiovenda fu citato ben sette volte nella Relazione al re sul c p c., firmata dal guardasigilli Grandi, ma scritta da Calamandrei (v. il mio Piero Calamandrei, la re­lazione al re e l'apostolato di Chiovenda, 1997, nel mio Scritti in onore dei Patres, cit., p. 435 ss.), il quale CALAMANDREI, Istituzioni di diritto procersuale civile, I, Padova, 1941, p. VIII, assicurò che il codice aveva il suo «anticipato commento»(!) nelle opere di Chiovenda.

(22) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda (5 novembre 1937-5 novembre 1947), in Riv. dir. proc., 1947, I, p. 169.

(23) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda, cit., p. 171. In realtà, a Chiovenda fu impedito di recarsi a Barcellona: v il mio Giuseppe Chiovenda, il mam/esto Croce e il fascismo, 1995, nel mio Scritti in onore dei Patres, cit., p. 281 ss.

(24) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda, cit., p. 171, il quale, si badi, non disse che la decisione del rettore (che era Pietro de Francisd) fosse dovuta a motivi po1itici. In effetti, pare che la ragione fosse ben diversa: v. il mio Pietro de Francisci e la Pro­cedura civile, nel mio Il processo civile nello Stato democratico, Napoli, 2006, p. 245 ss.

(25) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda, cit., p. 172. (26) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda, cit., pp. 173 e 179 (corsivi nel testo).

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costruire un sistema nettamente orientato su principi pubblici­stici ed in certo senso autoritari» (27).

Ma non è tutto, perché quel che conta è che in quella« com­memorazione» si assicura in mille modi che il codice del 1940 era solo ed esclusivamente chiovendiano: «l'apostolato [di Chiovenda) per l'ornlità » «ebbe nel codice il suo trionfo » (28) . Più precisamente, si afferma che, mentre «nel1937 il guardasi­gilli del tempo aveva fatto preparare dai suoi uffici, senza alcun concorso de.lla dottrina, un progetto di riforma del processo ci­vile, che si proponeva di essere, come allora elegantemente si usava dire, "fascista al cento per cento" per i larghissimi poteri discrezionali dati al giudice», nel1940, «il nuovo guardasigilli, se volle condurre in porto la riforma, dovette tornare alle fonda­mentali direttive della tradizione chiovendiana » (29). Per la ve­rità, nel 1939, quando pareva che il progetto Solmi stesse per diventar codice, Calamandrei aveva assicurato che il «mirabile apostolato» di Chiovenda per l' oralità stava finalmente «per trionfare» (3 O), ma ora assicurò che il trionfo di quell'apostolato si era avuto col codice, che pure era del tutto diverso dal pro­getto Solmi! Quindi, qualunque cosa si facesse, a trionfare era sempre l'ignaro Chiovenda. Da non credere. Ma chi ancor oggi invoca la leggenda del codice chiovendiano, farebbe bene a te­nerlo presente.

(27) Cosl CALA!otANOREI, LA rflatiuilà dtl <OIIe<llo di ll!ione, in Ri11. dir. proc. du., 19)9, J, p. 24- Mn , nd senso che Chiovenda fosse «studioso di sçhieUA ed• CIIzione llbcrnle», v. SA1TA, Uftimt tendrttzc cM/a l«miJ t/to/l'a1ionc, 1940, In Soliloqui, d 1., p. 225, no11cM, nc.Uo SI <:»o S<nxo, ANORIOLI1 Prc{o!lnll• n CmOVIiNOA, Princtpftj NA­poli, 196,, p. V; l'..umt.tAN, Storlogmfl• giurldlCJt o: molllpol• to, in Riv. dir- proc., 1974, p. 101, in 110 11.

(28) CAVoMANDREJ . Gimtpp• Cln~lltJtdn, ci1., p. 174. l?craltro, nd senso che «il discepolo lo chiovendianq» di Cnlnmondreì fosse « in«>nsisi<rn~». v. CAPPeLLINI, TI fa­mvno invi1ibil~. in Qundmtf /fQr~ntilli, 28, l, Mjl11no, 2000, Jl. 232 in noi~. Nel senso che 11 nome di Chiovcnda sia SUl lO rnuo per nabil11are U codlec, L WBMAN Storio1fofìn ~lnridit:a « mauipofotn », d t., p. 120: sullo strurnenmlizznzionc del nome di Chiovcndn iln pnr1c di Gmnd i, v. il mio Alcssondro Gnlontc Gamme e il macslro di Gm11df e di Cnfomqndrti, in GiltJto proc. du., 2006, l , p. 2~3 ss.

(29) CALMIANDRI!I. Giuseppe C.hif/uendn, cii ., l'· 175 . 0 0) Cosi CALAMANOIIEl, Ort~litd nel proceJso, 1940, In Opc~ gluridicM, cii .. .1 .

p . ~5 1 . ll ldVOfO Bppn n>e nei 19·10, lllQ non puÒ che essere SI BIO Strillo J>rÌmn dclJo CA• d••• di olmi, nvvenUin n luglio 19)9.

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Si aggiunga che Calamandrei, che da giovane aveva scritto favole per il Corriere dei piccoli, ora affermò: « Accadde così quello che, visto da fuori, ebbe l'apparenza di un paradosso: che tra i codici "fascisti" anzi "mussoliniani", figurò anche que­sto nuovo codice di procedura civile, che in realtà, se proprio si voleva appiccicargli una etichetta politica, avrebbe dovuto es­sere qualificato come un codice antitotalitario (e infatti non mancarono gli ortodossi che di ciò si accorsero e si indigna­rono): non solo perché alla revisione tecnica del progetto furono invitati studiosi pubblicamente noti per la loro estraneità o ad­dirittura per la loro aperta ostilità al regime, ma soprattutto "per­ché l~ sostanza del codice era un'energica reazione contro quello slittam'ento della giustizia verso la giurisdizione volontaria e verso l'illegalismo poliziesco e paternalistico, che in quegli stessi anni si compieva metodicamente in Germania, ed insieme una consapevole adesione a quella armonica concezione della giuri­sdizione civile che il Chiovenda aveva posto al centro del suo si­stema» (31) . Mentre è certo che ad indignarsi per il codice erano stati solo gli avvocati e non certo i « fascisti ortodossi », nonché che in Italia non vi era mai stata alcuna proposta di far slittare il processo civile verso la giurisdizione volontaria, né vi erano stati studiosi che, pur essendo (addirittura) « pubbli­camente noti per la loro aperta ostilità al regime», fossero stati invitati a collaborare ai codici. Sta tuttavia di fatto che Calaman­drei sostenne il contrario, dimenticando di avere sempre rimesso a Grandi la ~<definitiva decisione» di ogni questione, anche di quelle strettamente tecniche (32) , evitando di dirci che a magni­ficare il codice nella Relazione al re (che nel frattempo era stata

(31) CALAMANDREI, Giuseppe Chiovenda, cit., p. 175. (32) V. la lettera deU'8 agosto 1940 di Grandi a Filippo Vassa Ui a proposito

della norma sull'autorità del giudicato: «Ormai ho deciso e non se ne parla più. Ca­lamandrei, caro e buono come sempre, si rimette comunque a quella che sarà la mia definitiva decisione» (in RONDINONE, Storia inedzla, cit. , p . 331). Nel senso che l'opera di CaJamandrei fu «di stretta e fattiva collaborazione col legislatore», tanto che, nel momento del crollo del Regime, affiora in lui «l'incubo del collaborazionismo», GROSSI, Stile fiorentino, Milano, 1986, pp. 145 e 157 nelle note. Sul problema v. anche CoPPOLA, L'Università di ieri, 1945, in CANFORA, Il papiro di Dongo, Milano, 2005, p. 747.

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406 FRANCO CIPRIANI

messa prudentemente da parte) era stato lui (33), e criticando in­vece quanti «accusano il codice vigente di "autoritarismo" per­ché mette il giudice a contatto immediato colle parti e gli dà il potere di invitare gli avvocati a chiarire le questioni, quando queste siano rimaste oscure a lui su cui ricade la responsabilità di giudicare secondo giustizia» (34): quasi che l'accusa di auto­ritarismo fosse fondata su quell'inconsistente argomento.

Se ne può dedurre che Calamandrei, confidando sui giovani processualisti e ignorando le istanze degli avvocati di tutt'Italia e i rilievi del suo collega di facoltà Enrico Finzi (35), difese a spada tratta il codice, anche se bisogna pur dire che, per difen­derlo, dovette sorvolare su tutto: le preclusioni, il giudice istrut­tore e i suoi mille poteri discrezionali, l'impossibilità per le parti di chiedere che la causa fosse decisa sin dalla prima udienza, la sostituzione delle sentenze impugnabili con le ordinanze inim­pugnabili, i mille termini perentori a pena di estinzione rileva­bile d'ufficio, il divieto d'impugnare immediatamente le parziali (persino quelle su domanda! ... ), ossia tutte «le novità salienti del nuovo processo di cognizione» (36). Per non dire del «prin­cipio di autorità» e del <<rafforzamento dei poteri del giudice», che erano stati sbandierati nella Relazione al re (n. 12) e che ora vennero tranquillamente dimenticati; e per non parlare della in­civile cauzione per le spese, destinata a essere immediatamente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (3 7), e del potere del giudice civile di ordinare l'arresto dei testimoni, che avrebbe

()}) V. nncom il mio Pi~ro O.hmtnlltl~~ la rclo:iollt nl re t l'apostolato di Chio· t1t111do, cit. p. 435 ss. t.. rclnziooe piacque molto n Grondi, tnnt '~ vero che, qunlchc

giorno dopo nverl• ovutn, essendo nll• ricucn di chi gli scrivess~ In rdn>.ione ~r il li· ro delle obbliga•ionl dd codice civile, co~! scrisse al suo capo di g.abincuo Mondriolo:

«occorre che trovinmo il « U.lomolldrcì dcUc obbligazioni» (dr. RONDINONE, Stort'n i11dild, dt., p. 352, corsivo ncltdto).

(34) 0.LM1ANDREt, Giuseppe CbiotHJIIdo, cit., p. 178. (}5) Che si batté • lungo contro li codice: v, Mo.'ITE!.EONe, Emiro Fi11zi e la ;i­

/OfiiiD (pt"llltt) del codicr di proad11r4 dutle, In Quaderni /iomlliltì, 26, Milll1lo, 1997, p. 363 5$,; CAPI'F.I.UNt, /l fascismo ltlllisìbilc, cit., pp. 2.32 e 284.

(36) Così PtCAROI. Codi'co di pro«dmn dvi/c, ìn Bue. dir .. Il i\gg., Milnno, 1998, p. 219.

(37) Con Ili pdmo :setttenu sul c.p.c: v. il mio LA uuvo11• p., le spese lt-1 cotlitt! fasds/a e Costi11rzio11e "pubblimmt, in Quadtmi /iomllitrì, 29, 2000, Milano, 200!. ,,_ 435 S$.

PIERO CALAMANDREI MAESTRO DI LIBERALISMO PROCESSUALE 407

avuto l'onore di essere ab( gato due volte (38). D che con tutta evidenza significa eh alomandrei, forte della propria tlutoritiÌ (nel 1947 era divenuto anche linceo ... ), assicurò ex cnthedrn d1e tutte le novità del codice erano tecnicamente .necessarie, anzi «indispensabili» per conscnrire al giudice di <<ricercare In verità o impedire che il processo si trasformi in uno strumento della malafede del litigante più caltro o più ricco, n dl'lnno del più povero o del più onesto>> (39). Cb c è concetto sul quale non si poteva e non si può non ess re d'accordo, ma che non aveva alcunché a che vedere con la realtà del codice.

4. · fl silenzioso ripudio dell'autoritarismo processuale ne/1948-50.

Dopo avere suggerito «al popolo dei proccssualisti >> (40) come doveva regolarsi; e dopo avere sednto la rivolta dei campo· nenti il Consiglio nazionale forense, inizialmente rutti favorevoli all'abrogazione del c.p .c. (41), Calamandrei, il 27 novembre 1947 nel deporre come teste nel processo penale contro Grandi, did1iarò che il codice di procedura civi le del 1940 cm «liberale e democrRtk » (42)!

Indi, nel1948, quando ancora si discuteva sulle riforme da apportare al codice, scrisse per la Treccani l'appendice per la voce Appello civile, nella quale ricordò che «l'abolizione dello ius novorum (fu) introdotta nel codice del 1942 contro l'una­nime parere della dottrina e dei pratici» (43). Nello stesso anno

(38) V. il mio Sul poter~ d.t gmdicr duilt! dt ortfùtdrt l'n"~"' Jel t~S/Ùilottl, in Giusto proc. du., 2006, 2, p. 271 s.

(39) Cosi C\l.AMANOIIEI, Giu~•ppr CJn'oiH!~ttfn. eh .. p. t78 (40) J..o locu•iono è di GROSSJ, Seim111 giuridirt1 itolìaun U11 prtJ/ilo storiro 1860

1950, Milano, 2000, p . 242, il quote ritiene che il popo.lo dd proce<<uolisri J>endOS$C dalle labbro di Chiovendo: In rcalrò, noi, pitì che a hiovendo. abbiomll croduto o Ca­lamandrei.

(41) çfr. U mio Ùl rihclllout degli nuuOalll nl t.p.c. de/1!142, dr" p. 4'.5 s.. (42) V. il mio libro su TI totfitc dr prtXi!dura civile, eh., p. 4'1 l. E v. unclte l'o·

onoro cornmcnro di M()NTF.LF.QNE, Mnllunlt di dirti/o prot:Mwnlr civile4 , I, Podn ... a, 2007, p. H9, In nC)tA: .. ~ stupd'~ccnrc como i cnmblamcnri polirid fn<:dnno cnnrl>inrc opinione, "'ndendo "liberole c democmrico" il codice, che o l stto opporlre ero storo prc:sentnto come autoritorio e pubblicistico,.,

(431 Co1i ChLAMANDREI, Appello civt1•. Appmtlke, 1!148, om in Opm: glurirlir.IJ•. cit., VIli , p. 453.

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408 FRANCO CIPRIANI

annotò una sentenza della Cassazione sui lodi parziali e la loro impugnabilità, assicurando che la forma della sentenza, nella mi­sura in cui consente« una apposita impugnazione», è più garan­tistica di quella dell'ordinanza revocabile e modificabile, ma non impugnabile (44). Il codice, per la verità, aveva preferito le ordi­nanze alle sentenze parziali, ma sta di fatto che Calamandrei, quella volta, escluse, sia pure solo implicitamente, che il codice avesse scelto la soluzione migliore. Di qui il mio sospetto che quell'appendice e quella nota si11l1o state giudiziosamente poste a disposizione delleg.islatore dell950 per fargli ammettere l'im­pugnabilità immediata delle parziali e i nova in appello. Peccato che ventitrè anni dopo, nel1973, il mitico personaggio, nel rifor­mare il processo del lavoro, l'abbia dimenticato.

L'anno dopo, 1949, Calamandrei scrisse, ancora per la Trec­cani, la voce Processo, ribadendo che il nuovo codice era chio­vendiano e non aveva «alcuna di quelle stigmate di degenera­zione autoritaria e poliziesca, che erano così evidenti nelln legi· slnzione processualc della Germania uazista» (45). In partico­lare, «l' istruzione si ispira( va) in larga misura ai principi dcll'oralità e della immediatezza insegnati da Giuseppe Chio· venda» (46), quasi non fosse vero che Cbiovenda non era mai stato neppure sfiorato dall'idea del giudice istruttore. Da rile­vare che, nell'occuparsi dell 'art . 187 c.p.c., fece notare che quella norma consentiva al giudice istruttore di « accantonare» le questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dal conve­nuto (47): nel 1994 dissi che l'eloquentissimo verbo, adoperato anche da Mandrioli e Luiso, risaliva ad uno scritto del 1955 di Garbagnati (48), ma devo chiedere scusa a Calamandrei e preci­sare che in realtà quel (bellissimo) verbo è suo ( 4 9).

(44} Cfr. CALAMANOJU!l, Qu.stio11i ruii'MmtiS11(111it1t tlti /qdt pn,Pnli t sulla/oro impugna~iout, in Rlu. dir. (>l't}(;., 1948, Il , l'· 260 ss., su ~u i v. il mio Scntruu 11011 de­/inltiv~ t Jirillo d'impugffart, in Rlu, orb., 1999, p. 232.

(45) Cosi CA!.AMANDIU!I, Proasro, 1949, In Opere RÌtm'tllcht, clt., V, p. 605 (46) Cosl CILMIIINDIU!I, Pro«uo, eh., p. 610. (47} Cod C AI.AMANOREI, op. !01: uiJ. cit. (48) V. il mio llmoritarùmo ~ gnn/IIIÌSII/0 11•/ prouuo ciuilt, in lùv dir, proe ..

1994, p. JJ . and>e in nurn. (49) Da segnalare che in quell949 CALAMANDREI, Federico Cammeo (Ilei Jecen·

PIERO CALAMANDREI MAESTRO DI UBERALJSMO PROCESSUALE 409

Nel 1950, tornò a sçrivere del codice sulla « Processuale». Lo fece due volte, ma sempre in via incidentale, dapprim;l nel aggio in onore di Camelutti su li processo come giuoco, poi

nel saggio su Processo e giustizÙI, che er11 il discorso ÌJJaugurale del Congres o internazionale che si tenne a Pirenze il O settem­bre 1950. alamandrei, quindi. non intervenne mai nella pole­mica sul codice cos1 uno scritto nd boe, né tanto meno scrisse mai un saggio In dt/esn dei codice dl procedura ci/J/1e o Abrogo­zio/Te del codù:e di proc·cdum civile?, <.:Ome invece fecem nttn e Andrioli, ma, pienamente consapevole della grande« forza sug­gestiva» delle sue parole (50), preferì difendere il codice sem­pte in via apparentemente occasionale, quasi fosse un fa tto che• lo interessasse tanto poco, quanto nieme: ·on la conse­guenza che finiva con l'apparire più un testimone disinteressato che un difensore. Si tratta, quindi, di un 'altra sua lezione di vita.

Quei due saggi, però, non sono importanti solo p · la str . nua ed efficacissima dife a del codice, ma anche e soprattutto perché, unitamcnte ai su ricordati lavori del 1948-49, segnano il silenzio o, ma innegabile ripud io dell'autoritarismo proces­suale che nel 1940-41 Calamandrei :weva non solo propugnato nellA Rel4zione al re firmata dtt Grandi, ma anch teorizzaro e sponsorizzato negli ultimi capitoli del I volume delle sue htitu­ziolli(51) . In particolare, Il proC(mO come git1oco, che a tutta prima sembra il diverti seme111 di un intelleuuale, a veder bene non lo è affatto, perché Calomandrci, tra un gioco e l'altro

'Id/, tl~ll• Stia 1/t /Jrlt), poi in Opcrr giurltl!chc, cl r., X, p. 291 ss., ricordò n an •olo che C.mmeo, •Uievo di Mnrrnnt e" lillernle per C(ISdmza c formatinne cuhul'lllt » «non fu anrlfosc.isiA» (p. 297), mn unche che nd 1914 C.mmto, pur non ronnseend~lo, gli ov~ !elcfonnio (!) por chiedergli se pnrt"<:ipnvn n! roncor110 di Pftdovo. dd qunlc; lui, Columnndrcl, non snpevo null~ (p. 292). Il fnuo è per lo meno inverosirnllè c Induce • pensare che Cnlnmnndrcl obbio volur o ford 01pite che quel concorso ern stoto rhiC<ro per lu i e non cerro per Ctrmeluui, che inseynnvn commerciale n .Jtlnnin e fon !>Oi per vfnc.,..Jo (dlvonondo cosf un proccssUllli>tn, con uni e le conseguo n w che se ne blx,ro). V. U mio P<dtrico C,mmtO e lo Procetlum civil~. nd mi Sai/li iu<mar~tlfl Parrdl, d r .. p. 204 •.

(50) V. la lcucra lndiriUIIro ill8 ottobre 1954 all'edirore Vito Laterza da CALA­MANDREI, Lettere, cil., Il , p. 4}3.

(51) Per maggiori ra8l)u gli v. il mio Piero Colomondrei e il codice di procedura civile, cit., p. 178 .

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410 FRANCO CfllRJANI

(«CR{tc bollate e carte da giuocO>> ... ) (52) , ammonì che «non è permesso ba1·are>> (53) (sul che, ovviamente, siamo tutti d'ac. corda), ma avvertì che ognì paxte si barre per vincCl·e(54) (e non ceno far vincere chi ha «veramente>> ragione, se del caso la controparte ... ), giustificò tu te le tllttiche difensive, anche il bluff(55) , e accennò con favore (e sempre conte se niente fosse ... ) alla concezione liberal.e e garantistica che del processo aveva Goldschmidt (56), trovando per d! più il moùo di ricor· dare sorridendo che « Dum pendet rendet è vecchio rimprovero mosso agli avvocati» (57): quasì non fosse vero che rendet in la· lino, non esiste, tanto cbe proprio di recente è sorto il dubbio che molto probabilmente queiJ'antico rimpJovei'O fosse in realrà nuovo di zecca {58). Con la precisazione cbe egli, !n quel saggio non ribadì quel che aveva affermato trent'anni prima, quando aveva assicurato eh la funzione degli avvocati, grazie alla conce­zione pubblicistica del pro~:f'.sso, si era «elevata>> e <<nobili· tata », sì da mirare «principalmente a facilitare l'opera del giu· dice nell'interesse dello Stato» e da trasformarsi in «un eserci­zio privato di pubbliche funzioni» (59): prefel'l invece dire che «in ogni processo accade quasi sempre che, di fronte alla pane che ha fretta, ci sia quella che vuole andare adagio» (60), cast implicitamente condannando la « pubblicistica » teoria secondo

(52) CII.AMANI)REI, Il prot:ts•Q <DII" giii(XO, in Rùl. dir. {!ro<., 1950. r. J>. n. (53) CALMIANORI!l, Il proccrro mm~ giuoco, ir .. p. 30. Ci4) CALM!IINDRBI, 11 proc.sro rom~ gù1()(D, dr .. p. 26. Ci~) CAJ.AM~NDRl!J, Jl {lrt)à!S•u COI/Je Rill()(f), cit., p. J) (56) Cl.r.II~MNDIU!r, Il processo amt< gl11oco, cìr., p. 7. 9. (57) CA~DRE!, Il procos.<o come gl"'xo, cir., [>. J5.

• ~S) V. il m>o Dun1 pende t r~o<kr: 1111 autlro l11'001rtlo o"''" fr!CI!II/e ,,,,,/u~iime), m Gmsto prcx. av., 2006, ), p. 285 ss.

Ci9) Così Clt.M~DJ!.E!, TropP,i 611JIOI>11i!, Firen,>c, t921, pp. 9, 13 c JO (mo v. M.S. GIANNJNI, lircra:1o pmMio di pubbl rh~ fimvq11l, [n Hm;: dir., XV, Milono, 1966, p. 68,, e MF.NICONl, Lo ~mnuhùo nuV<Xnll/0'11 '11, llologdll, 2006 p. 6B o.). Pcraf. tro, nel senso che l'av~ocnro si~ Jl Jo~~~ùms e~~·; il num·ùts dèi propri clienti, v. CALA· MANI)IIS, Gli ~OUfKJ!II dello ,Sinio .. 1 m~mouib~ill~. l!ìH, In Op•re gùmdir:/;u, clt., lf. P-.415: Per unn rndocolecrluca, •llu t.d. conc~ oone pnbblicioric:a del proctsso, v., sullo SCIR do Sn!r~, ~ONTI!IJ!Ol<S, L n/11/n/e tf1'bnllo/o mgfl ~or/cl!lafi/C/1/i pubb//aui'd» dt/ Pr()CciSo amlc, m quesro Rwuld, 2005, p. 1199 ss., e Il mio Soluntore SntM ~ la <eJJif'lf· htil del prcxcJsQ, In Gfustofroc. r:iu., 2007, p. 9os.

(60) CAI.AMANt.lRFJ. l proe<:sso t;Om~ gi11oco, dr,, p. 35.

PIERO CALAMANDREI MAESTRO DI LJBERALlSMO PROCESSUALE 411

la quale tutti gli avvocati vorrebbero sempre e soltanto perdere tempo.

A Firenze, al congresso internazionale, quando, per effetto della ormai avvenuta riforma del c.p.c., le preclusioni erano state -immagino col suo placet- finalmente eliminate (61), Cala­mandrei, davanti ai «colleghi processualisti convenuti qui da ogni parte del mondo», assicurò che «gli studiosi di tutto il mondo» consideravano il nostro codice « come quello che me· glia rispecchia in sé i progressi della più moderna dottrina pro­cessuale » (62). Egli, per la verità, non disse quali fossero gli ;;tu· diosi stranieri che avevano elogiato il nostro codice, né tanto meno precisò che gli stranieri convenuti a Firenze «da ogni parte 'del mondo» erano solo otto (63), ma questi sono dettagli che oggi, a sessant'anni di distanza, possono e devono essere tra· scurati. Va invece segnalato che in quella circostanza egli af­fermò che il processo civile serve a raggiungere la giustizia: che è un'altra affermazione che non si può non condividere, salvo a vedere che cosa significa. Prendiamo tuttavia atto ch'egli, stavolta, non disse che il processo civile serve all'« attuazione del diritto obiettivo», come, invocando Wach e Chiovenda, aveva assicurato nel 1928, quando attaccò Carnelutti sul concetto di lite (64). Forse per questo Carnelutti gli fece notare che la nuova formula gli era particolarmente gradita, perché egli non aveva «mai assegnato al processo lo scopo di comporre la lite in modo pur che sia, ma di ottenere la giusta composizione» (65).

(61) «<l prof. Calamandrei era presente ai lavori della Commissione nazionale che preparò g1i em_endamenti»: così CASTELLETI, Intervento, in Il giudice istruttore nel processo civile, Milano, 1955, p. 169.

(62) Così CALAMANDREI, Processo e giustizia, in Riv. dir, proc., 1950, I, pp. 273 e 281.

(63) Cfr. CARNELUTTI, Impressioni sul congresso internazionale di diritto proces­suple civile, in Riv. dir. proc., 1950, I, p. 344, che (forse non a caso ... ) ebbe cura di indicarli nominativamente.

(64) Cfr. CALAMANDREI, Il concetto di« lite» nel pensiero di Francesco Carnelutti, in Riv. dir. proc. civ., 1928, I, p. 9.

(65) CARNELUTTI, Impressioni, cit., p 345 (corsivo nel testo). Ma, nel senso che, assegnando al processo lo scopo di attuare la giustizia, si« indica la funzione sociale del processo», v. TROCKER, Il rapporto processo-giudizt"o nel pensiero di Piero Ca!amandrei, in BARILE, Piero Calamandrei, cit., p. 105 (corsivo nel testo).

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412 FRANCO CIPRIANI

5. L'approdo alliberalismo processuale ne/1951.

Ma il saggio che con solare evidenza contiene non solo il de­finitivo ripudio della concezione pubblicistica e dell'autoritari­smo processuale, ma anche e soprattutto la solenne affermazione della validità della concezione liberale e garantistica del processo, quella alla quale era stato educato dal suo maestro Carlo Les­sona, si ha l'anno successivo, 1951, quando la « Processuale » si aprì cofi un suo saggio su Un maestro di liberalismo processuale. ll maestro era J ames Goldschmidt, al quale Calamandrei, come ho appena ricordato, aveva accennato già l'anno prima nel saggio su Il processo come giuoco. Ora, però, gli dedicò un intero saggio, precisando nell'asterisco iniziale che lo aveva scritto «per il nu­mero speciale che la Revista de derecho procesal di Buenos Aires pubblicherà prossimamente in memoria di J ames Goldschmidt ».

Il saggio, quindi, sembra un necrologio o uno studio in me­moria, ma è sufficiente considerare che Goldschmidt era morto undici anni prima (66) (particolare che Calamandrei, per caso o pour cause, evitò di segnalare, con la conseguenza che nessuno si è mai chiesto perché mai quel «necrologio» non fu scritto nel 1940), per capire che quel saggio, !ungi dall'essere una comme­morazione del grande studioso tedesco fuggito in Spagna nel 1933 «per sottrarsi al terrore nazista» (67), rappresenta con tutta evidenza la definitiva riaffermazione della validità delle ideologie liberali e garantistiche. Calamandrei, infatti, pur non spingendosi sino a condividere le radicali critiche mosse da Goldschmidt alla concezione del processo come rapporto giuri­dico (68), ritirò gran parte delle riserve che sulla concezione del processo come «situazione giuridica» aveva formulato nel1927, quando aveva affermato che Goldschmidt, nel suo celebre Der

(66) Cfr. MU!iRZA EsPAR7.A, JnmCJ Goltlu!Jmlrlt (1874-1940), in DoMINGo, ]uri-stnJ tllliv.rsala , TI f. M•drici-Bnrcdona, 2004, fl. 915 ss. .

(67) Cosi MUERZA .Esi'ARl'.A, op. loc. tit., il quale ricorda che Goldschmidt, quondo scoppl9 lo guorrn çivilo 'I'"Gnola, si ff1'Sfori in Inghilterra, donde passò in Uru­suay, ove, u Moot~'Vidoo, rnorl i 28 giugnu 1940.

(68) CALAMANDREJ, Un maestro di liberalismo processuale, in Riv. dir proc., 1951, I, p. 4.

PIERO CALAMANOREI MAESTRO DI LIBERALISMO PROCESSUALE 413

Prozess nls ReciJtslnge, vedeva U processo «non quale dovrebbe essere secondo il diritto processuale, ma quale so, indipenden­temente e fuori d~l diritto, si riduce ad essere nella realtà pra ­tica» (69). Ora, invece, egli escluse che le parti abbiano l'ob­bligo di dire la verità anche comro se stesse (70), rivnlurò l' opem e la fu nzione dei difensori (indipendentemente, dunque, dalla concezione pubblici tica del processo ... ) l'iconobb che gli isti ­tuti processuali vanno considerati per come funzi nan e non per come dovrebbero funzionare (71), assicurò che la teoria di Goldschmidt era fondata sui «sottili e delicati congegni ,del principio dispositivo» avverti che «chi ha il diritto dalla sua, anche. se per la insipienza del suo difensore ha perso la causa in primo grado, finisce sempre, cambiando avvocato, coll'avere ragione in appello» (72).

6. I saggi del1952-55.

Nel1951 Calamandrei pubblicò anche un vasto saggio, ap­parentemente strettamente tecnico, sulla . opravvivenzn del la querela di nullitÀ nel nosrro ordinamento, nel quale 1 rovò il modo di assicurare che quell'antico istituto costituiva una «ge­niale crea?.ione del nostro diritto sta tuta rio» (73 ): a riprova, si direbbe, che le radici del codice risalivano a qualch sec lo prima (del fascismo). A tutt'oggi , però, mentre si sraooo ancor11 scontando le conseguenze delle limitazioni poste in sede d'impu­gnazione dal legislatore del 1940 (basti pensare alle recenti sen­tenze della Cassazione sui nuovi documenti in appello) (74), non risulta che la querela nullitatis sia mai stata proposta.

(69) CALAMANDREI, Il processo come situazione giuridica, in Riv. dir p.-oc .. 1927, I, p. 224.

(70) Ct.J.AMANDRF.~ U11 1/1/l~tltO dl libora/is/1/0 proctsmn/,;, CÌJ ., r>- 2. (71) Ct.I.AMANDREI, U11mu~f/ro di libernlisllf(J ['roc<mmlc, cit., p. 5. (72) 0.LAMANDRI!t, Un maeslm di liber•lismo prormrmle, dt., l'l' · 6 e 8. (73) C ALMIANDJIEJ , Soprnvvivtnf/1 dd/In qutrc/a di nulf(t,) ucl promso dr-ile vi­

gente, in Rlu. dir. proc., 1951 , l. p. 112 ~'- · SV<!C - 127. (74) V. d• ultimo c;,..~ , u 11110~ prow in nppq/lo, in Gimto proe. ,.,;,_, 2006, J,

p. IOJ ss.

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Le conclusioni raggiunte nel1951 furono confermate da Ca­lamandrei l'anno dopo a Città del Messico, ove tenne un ciclo di lezioni su di un argomento che dieci anni prima sarebbe stato non solo improponibile, ma anche impensabile: Processo e demo­crazia (75). Che è tutto dire. La prima di quelle lezioni fu subito pubblicata nella «Processuale» del 1952 sotto il titolo Diritto processuale e costume giudiziario, ove, ovviamente, si cerche­rebbe invano di trovar tracce della concezione pubblicistica del pro<!esso e dell'autoritarismo processuale (76). Nelle altre conferenze, spaziando su tutto, assicurò che il giudice, anche se «assiste muto e impenetrabile a tutto lo svolgimento del dramma», è «il più impotta11te tra i personaggi del pro­cesso» (77) (che sono parole sostanzialmente identiche a quelle che, meno raffinatamente, ho più volte scritto anch'io) (78); riva­lutò l'antic~ brocardo habent sua sidera lites, che un tempo aveva disprezzato, ma che ora gli parve molto saggio, perché «si deve prevedere di vincere, si deve far di tutto per vincere», ma, se si perde, bisogna pur rassegnarsi (79); avvertì che «i ma­gistrati che veramente intendono le esigenze moderne della loro funzione» sono quelli che «prendono parte attiva al dibattito» per- si badi- proporre al difensore «quesiti e obiezioni e per richiamar! o alle questioni essenziali della causa» ( 80): che è un altro concetto su cui non si può non essere d'accordo.

(75) V. CAI.AM~NDI\EI, Proctsra e d~mocrazia, Padova, 1954. (76) CAI.AioiANOREI, Dirillo proceswal~ e rostume giudiziario, in Riv dir. proc.,

1952, I, p. i13 s. (77) CALAMANDREI, Giustizia e politica: sentenza e untimento, 1954, in Opere

giuridiche, cit., I, p. 638. (78) V. il mio Nr/ centenario del Regolamelltl) di Kltin, in Riu. dir. proc., 1995,

P• 981: "il giudice, c:ssendo colui tu i spetta di giudicare, ~ la pcrs no più impo~'> tante e piil temulft dd processo, colui di fronte al qunlc le parti c soprottuuo gli BvvQcoti s.ì son sempre inchlnad e. sempre .si inchinemnno », l\"Vvcrlehdn ruunvirt che questo non tlgni(ica che « ncl processo civile non si debba muovore foglio senzo Il pcrmc:.~so del giudice~. E v. i miei Il proceno civile itnlia110 trn el/icit~~'l4 e gnrn/1-tk, In Rlv. trilli. tlir. prfl<.. <iv .. 2002, p. 1258, e TI pTO<IJJlO ciliil~ /lt:/11) Stato dcmo­crlllictJ, dt., p. 20.

(79) CALAMANDREI, Gimtizio t politica, ci t., p. 647. (80) CALAMANDREI, l11diptmtlc11Za e senso di responsabilità del giudice, 1954, in

Opere giuridiche, cit., I, p. 662.

PIERO CALAMANOREI MAESTRO DI UBERALJSMO PROCESSUALE 415

Definitiva conferma dell'approdo di Piero Calamandrei alla concezione liberale e garantistica del processo si ha poi da quel ch'egli scrisse e disse nell955, dapprima nel vasto saggio su Ve­rità e verosimiglianza nel processo civile e poi neUa c nferenza te­nuta a Bari in occasione della inaugurazione del ircolo giuri­dico barese.

In Verità e verosimiglianzn egli esordl avvertendo che il giu­dice emette sempre dei giudizi di verosimiglianza e eh · perciò può sempre sbagliare, persino quando «può con scet·c i farti della causa» mediante l' ispezione . e.~ art. Ll8 c.p.c.: «anche per il. giudice più scrupoloso e attento vale il fatale limite di re­lativi.tà che è propria della natura umana» (81) . Per In verità, l'art. H8 consenriva (e turrora consente! ... ) al giudice di di­sporre anche d'ufficio l'ispezione corporale delle parti e dci t rzi (ripeto: ispezione corporale dei terzi!. .. ), ma CalamRndrei, sorvo­lando sull'oggetto dell'ispezione, preferì ricorda~e che il giudice, anche quando procede all'ispezione coi propri occhi, può sba­gliare! Non solo, ma, dopo avere per lunghe pagine ricordato c dimostrato i limiti dell'accertamento giudiziale, chi.use il suo saggio modificando radicalmente la propria opinione sull'a­zione: nel 1941, dopo avere respinto la teoria dell'azione in senso astratto in quanto, secondo Chiovenda, dava luogo all'as­surdo« diritto di avere torto» (82), aveva assicurato che il nuovo codice aveva accolto la teoria di Chiovenda dell'azione come di­ritto potestativo (83 ), ma ora, senza neppure menzionare Chio­venda, affermò che «nelle legislazioni moderne l'azione in senso astratto è il "diritto di avere torto", cioè il diritto di ottenere sulla domanda anche infondata una decisione di merito» e co­stituisce «una garanzia di libertà»(84).

Quanto poi alla conferenza tenuta a Bari per «la solenne inaugurazione» (!) del Circolo giuridico (85), essa ci fa capire

(81) CALAMANDREI, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Riv. dir proc., 1955, I, p. 165.

(82) Cfr. CAI.IIMANl>llel, lswuzioui, dt., l, p. 127. (83) Cfr. CAI.IIMANDl<,EI, lsttirn:tom, ~il., l, p. 130. (84) Così C.u.AMAND!Ull, Veritd ( 1/tl'fJ!IÌJ//g/inl/14, d t., p. 141 s. (corsivo nel testo). (85) Così CALAMANillU'J, lA /tm:ioll~ tl~/1" giurbpmdenzn ne/tempo presènte, in

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che è proprio vero che nell955 Calamandrei, che da dieci anni presiedeva con ineguagliato prestigio il Consiglio nazionale fo­rense, aveva ormai una popolarità e «un'autorità quasi senza pari», tanto che alle sue conferenze accorrevano ad ascoltarlo tutti, «primo presidente [della Cassazione] in testa» (86). In­fatti, alla conferenza barese, che oltre tutto verteva su La fun­zione della giurisprudenza nel tempo presente, furono presenti addirittura «il primo presidente della Corte di cassazione, il presidente del Consiglio di Stato e il presidente della Corte dei conti» (87). Per Bari, quindi, che non aveva (e non avrebbe ... ) mai visto tanti presidenti, dovette essere una gior­nata memorabile.

Calamandrei esordì affermando che « oggi coltivare gli studi giuridici vuol dire servire il proprio popolo, per aiutarlo a tra­durre e a comporre in termini di ragione questa istintiva e spesso indisciplinata aspettazione di giustizia» (88). Indi, dopo avere esaltato sia l'opera degli avvocati sia quella dei magistrati, ripro­pose il suo tema di sempre, quello del rispetto della legalità (89), e manifestò il proprio rammarico per il ritardo con cui la Costi­tuzione veniva attuata, rilevando tuttavia che, « anche se illegi­slatore rimane inerte, i giudici possono far sì che lo spirito della Costituzione viva nelle loro sentenze» (90). Pose poi in evidenza i limiti della logica formale e affermò che, benché avesse il so­spetto che la Corte di cassazione, dovendo occuparsi del diritto e non anche del fatto, fosse «la prima responsabile della ridu­zione della giustizia ad un gioco di logica formale», era suo con­vincimento che l'isolamento della giurisprudenza «nell'empireo della logica pura» dipendesse «non tanto dai congegni proces-

Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, p. 252, in nota. Non ho ricordi di quell'unica confe­renza barese di Calamandrei, ma posso dire che il Citcolo giuridico barese, ai primi degli anni Sessanta, era già scomparso.

(86) Così VASSALLI, Piero Calamandrei, cit., p. 150. (87) CALAMANDREI, La /tmzio11e della giurisprudenza, cit., p. 252, in nota. (88) CALAMANDREI, La /wu.ione della giurisprudenza, cit., p. 252. (89) Lo rileva GROSSI, Sti/~ /lOrr!ntino, cit., p. 147. V. infatti spec. CALAMANDREI,

Appunti sul concetto di legalità, 1944, in Opere giuridiche, cit., III, p. 52 ss. (90) CALAMANDREI, La funzione della giurisprudenza, cit., p. 271.

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suali quanto dagli uomini che li amministrano» (91). Pertanto, dal momento che egli aveva fiducia in quegli uomini (che erano convenuti sino a Bari ad ascoltarlo ... ), concluse dicendosi sicuro che «anche la Corte di cassazione riuscirà ad essere nell'avvenire sempre più vicina e sensibile alle esigenze della giustizia sostan­ziale»(92).

7. L'intervento all'« Incontro» sul giudice istruttore.

.Resta da dire dell'intervento renuto a giugno dell955' al­l'« Incontro» m.ilanesc sul giudice istruttore, organizzato dal Centro ,italiano di srudi giuridici. Come è noto, il problema era stato sollevato l'anno prima al Senato da alcuni senatori-av­vocati che non si rassegnavano a contentarsi della miniriforma dell950 e, ricordando ancora bene come si snodava il processo fino al1942, quando era in vigore la riforma Mortara dell901, pretendevano (niente di meno ... ) di potere andare anche subito al collegio, senza dover passare dalle forche caudine del giudice istruttore, che era con tutta evidenza un ostacolo sulla strada di chi voleva sentenza (93).

Il governo si attivò e perciò i difensori del codice corsero su­bito ai ripari organizzando un grande incontro a Milano tra av­vocati, magistrati e studiosi: al tavolo della presidenza, oltre il primo presidente della Cassazione Eula (lo stesso che tre mesi prima era andato sino a Bari per la conferenza di Calaman­drei) (94) e il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Battaglini, c'erano tre degli autori del codice: Azzariti (nelle ve­sti di presidente del Centro), Redenti (presidente dell'Associa­zione fra gli studiosi del processo civile) e (sempre per ultimo ... )

(91) CAI.MIANilREI, LI /tm>io11• rio/In gù~rispHrrl•11:c•, clt., p. 272. (92) CAI.AMANOKEJ, Ln /rm:t.ioue tf•lln gimùpmdell:t.•, d t.. p. 272. (93) V. il mio Rlqmlo di Fmmnco C.mclulll 11rl qwmmt•ni11o dllm~Jtrsurio

dt/1~ sco/llpnqn, in Riu. dir. proc., 2005, p. 1261 ss. (94) Nel senso che Enln fo~ amore di «dqe seri n i fondnmornnli» sull'optr•

!!Volta dnlln giuriwrudcnM in nnc:.ro dclln Corte costhu•ionnlc, v. CAI..IMMIDRFJ, C..r~< <o<tiltrdonol• • nulofliii 8imlrvnria, i.n Rtit. dir. prrN:., 1956. l. p. 8.

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Calamandrei (presidente del Consiglio nazionale forense (95) e, quindi, rappresentante degli avvocati!).

Calamandrei, che doveva pur sapere che le critiche degli av­vocati derivavano dal fatto che col nuovo codice «non si arri­vava mai al collegio» (96), che pur era il giudice naturale e l'u­nico che potesse emanare sentenze, parlò d'altro. Anzitutto, chiese ai magistrati se non fosse il caso di ridurre il numero dei componenti i collegi delle magistrature superiori, sì da «adottare dinanzi ai tribunali il sistema del giudice unico», così da far cadere nel nulla tutte le discussioni sul giudice istruttore: «questo è il primo punto sul quale io desidererei conoscere la sincera opiniòne del magistrati» (97)! Quasi avesse senso rivol­gere una simile domanda proprio ai magistrati e quasi avesse di­menticato tutto ciò che aveva scritto nel 193 7 contro il giudice unico del progetto preliminare Solmi (98).

Indi, in attesa della risposta dei magistrati, passò agli avvo­cati e assicurò che «un collega anziano e autorevolissimo» gli aveva confidato che preferiva il vecchio codice perché gli con­sentiva di «fare l'avvocato rimanendo tranquillamente in studio a ricevere i clienti e a studiare le cause» (99). Quel collega, pur­troppo, non era presente e perciò non poté né confermare, né smentire.

Infine, il giudice istruttore. Dopo avere ricordato che «il co­dice del1942 si ispira alla concezione pubblicistica, per la quale anche il processo civile persegue uno scopo di pubblicò inte­resse», assicurò che «tale concezione pubblicistica ha il suo or­gano nel giudice istruttore» (affermazione a dir poco sorpren­dente e fors'anche canzonatoria, perché quella concezione non aveva mai avuto un organo e non era certo nata col codice del 1940 ... ) e precisò che il giudice istruttore, «se deve rispondere

(95) V. LIEBMAN, Il convegno sul «giudice istruttore>>, in Riv. dir. proc, 1955, I, p. 122.

(96) Così CASTELLEIT, Intervento, cit., p. 170. (97) Così CALAMANDREI, Il giudice istruttore nel processo dvi/e, 1956, in Opere

giuridiche, cit., V, pp. 643 e 644. (98) V. CALAMANDREI, Sul progetto preliminare Salmi, cit., p. 313 ss. (99) Così CALAMANDREI, Il giudice istrul/ore, cit., p. 645.

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allo scopo per cui fu istituito, deve essere uno stimolatore delle parti, un ricercatore attivo della verità, anche quando le parti non sanno e non vogliono scoprirla » (100): quasi non fosse vero che pochi anni prima, a Città del Messico, aveva affermato che i giudici «moderni» devono sì «partecipare al dibattito», ma (solo) proponendo ai difensori «quesiti e obiezioni» e indi­cando loro «le questioni essenziali della causa» (101), non certo trasformandosi in parti e mettendosi a ricercare autono­mamente la verità. Ma poi, attenuando, aggiunse: «N o n dico che il sistema preferibile sia questo: può darsi che abbiano ra­gione coloro che, rimasti fedeli alla concezione privatistica, con­tinvano a dire che la istruzione della causa è una faccenda di intert!sse privato delle parti, e che al giudice nel processo civile deve essere riservata La posizione d1 uno spettatore» ( J 02): quasi fossero quesri i motivi per i quali gli avvocati si oppone­vano al giudice istruttore e quasi Avesse dimenticato che nelle sue lezioni messicane aveva assicurato che il giudice, anche se «assiste muto e impenetrabile a tutto lo svolgimento del dramma», è «il più importante tra i personaggi del pro­cesso» (103) e perciò non ha proprio nulla a che vedere coi semplici spettatori.

Ma, tant'è, non si poteva pretendere che Calamandrei­che era stato il primo a dare il suo placet all'idea di Grandi di affidare la preparazione e l'istruzione al giudice singolo e la d -cisione al collegio (104) - proponesse di aboJjre il iudice istruttore. Anche perché (e qui egli aveva perfewunente ra­gione) la realtà applicativa si era ormai incaricata di dimosLrarc che, per fortuna, i magistrati, «o per timidezza o per comodità, non si servono neanche dei poteri che hanno» (105), sì che non

(IOO) Cast CALMMNDIIEI, op. fOC- uft. cit. (IO!) V. supr" Il n. 6. (102) Ccisì CALAMAHI;>IIEI, op. I<X. u/1. di. (l 0}} V. nncom sttpt\! il n. 6. (104) V. ll discorso Un Cl\ L del 16 ouob~ 19J9 di CMNDI, fA ri/oi"'" /nmsta

Jcl codici, Ron1tt, 19 9, p. 22, c la leu~r• del 6 novembre t9J9 ·di \..nlnn>nnrfrci nl Mi· ni"ero nel mio 1f (()t/iu di protttltlro dvi/d, cit., p. 126.

(10.)) Cosi CALAMAN!JIU!I, Tf gludk~ islr/11/o", ci~. p. 647,

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c'era motivo di preoccuparsi del l'autoritarismo insito nell'isti­tuto del giudice istruttore: ormai, dacché erano state eliminate le preclusioni, le cause, sia pure più lentamente, arrivavllno dove dovevano arrivare. Ergo , che gli avvocati avessero pa­zienza.

8. Calamandrei e la concezione garantistica del processo.

Per concludere. La lettura delle opere processualcivilistiche scritte da Piero Calamandrei nei pochi anni della Repubblica ita­liana che gli fu dato di vivere, consente di capire che egli, quando in Italia i poté finalmente essere liberi di parlare, prese le distanze non solo, come è ovvio, dai continui «riferimenti alla dottrina corporativa» che nel 1941 aveva fatto nel I volume delle sue Istituzioni e che «oggi riescono, a dir poco, fasti­diosi>> (106) (tanro fastidiosi che, nel1970, quando quel volume fu ripubblicato da Cappelletti, si avvertì l'opportunità di elimi­nare qualche aggettivo che evidentemente, nel frattempo, era di­venuto di troppo) (107), ma anche dalle idee «pubblicistiche» (rectius, autoritarie) che in precedenza aveva sponsorizzato e presentato come chiovendiane. Naturalmente, lo fece senza dirlo e senza farlo notare, ma lo fece: che è quello che conta. Escluderei, infatti, che nell'intervento all'incontro sul giudice istruttore possa vedersi la rinnegazione di tutto ciò che aveva detto e scritto tra il 1948 e il 1955: in quella occasione egli non poteva certamente attaccare il giudice istruttore e tutto ciò ch'esso significava ·e implicava.

Purtroppo, però, a settembre del 1956 Calamandrei, del tutto inaspettatamente, ci lasciò. Aveva 67 anni. Se fosse vissuto

(1 06) C<>Sl RoDOTÀ, CdldiHO/Idf'i Piero, in D4. biogr. degli 11., 16, RomA, 1973. p. 409. srguilo da CAPPELUNI, 11/AJci.rmo invirib!le, ciL, p. 2~1 iu no111.

(107) V., scuu prcltfR di complclcua, CAI./ùi!.V.'D~Er, l>l i l lllÌOIIi, cii .• l, pp. 5. 7 e~. poi in Opore ~itmilielJe, cìt., IV, N•poli, 1970. pp. 14 , 17 e 88, ove lo «Sllllo fo. sclsro e corporolivo » è trosfom1nto ocllo «Stato altunle•, l'•cspresslone srorico dello srnto fasci~! a" corponuivo » diventA l'«.espressionc storica dello tnlo corporativo», e l'uordinomcnro outorit•rio bliSOto sul principio di Jrsalilil• divione l'«ordinrunento basolo sul prind J>lo di legolhà "·

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più a lungo, ~vrebbe probabilmente trovato il modo di essere più chiaro su quello che era accaduto, così, forse, nel 1973 non si sarebb tornati alle preclusioni e alle altre idee« chioven­dianc» del1940 (108).

Quindi, chi, come rne, qualche mese fa ha scritto di essere completamente d' accordo col Calamandrei del 19)7, quello che cooJrastò risolutamente il progetto preliminare Salmi (101) non può non avvertire om l'opportunità di precisare di essere d'accordo anche col Calamandrei del 1948-55, d1e poi è il vero Calamandrei, non a caso coosiderato «il primo vero esponente della concezione eminentemente garantistica del proces­so »(llO) . Ovviamente, l'accordo non ·i spinge fino ad asse­gnar a Chiovenda la paternità del codice cl ·l 1940, ma è com­pleto sull'essenziale e cioè nel ritenere che. allit luce della Costi­tuzione repubblicana, abbiamo il dovere morale c cientifico di combattere e debellare la c.d. concezione pubblicisticA del pro­cesso che è alla base del no tro codice e che ci ha portato nel­l'abisso nel quale ormai da tempo ci troviamo.

ll08) È signilìCllt ivo che, di fronrc nJ progetto poi sfod•to ndJn riform• dd 197} , un RWOClllo, Poi\NARIO, lul~ruc/Jio, in Tncon/ro 11l prog<~lo di d/omm tlel pro· ccrso t/~1 /nvoro, Milo no, !97 1, p. 65 s:, '?">ci'vò: esi vuoi tomo re • quclslsrcm• dr pm­cluslont che ha fatto CfttUYo pruva nd tiS ti!O>n dd processo ordinnrlo ~. r:: 1•. nnch le Sllggc c inMcohdlc pnrolc di CARNA 11'/1, llltnvclllo, ibid""· i>· 1}6 ss.

(109) V. il mio Pi•ro Cdln~~umtlr~i" il toditr: di p>rx:etlurn ci11ile. d t., p. 185. (I lO) Cusl, mo senZA ecceuuare il periodo dd 1940·4 1, E. F. R1 1, Cnlmnnudrd

e In dollrlu~t proccttunl<wilisticn del 1110 lempo, in BAR!LB, Pitro .nlnmnudm, cit·., p. %.