CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE · CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ***...

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *** RASSEGNA STAMPA 11 giugno 2008 Titoli dei quotidiani Avvocati Il Sole 24 Ore L’esame forense va alla Consulta Il Sole 24 Ore Avvocati pronti alla class action Il Sole 24 Ore I consumatori: è utile, ma non sarà la bacchetta magica Professioni Il Sole 24 Ore Antiriciclaggio, meno vincoli per i sindaci Italia Oggi Riforma professioni, Alfano inizia bene. E mette d’accordo tutti Giustizia Il Sole 24 Ore Per i diritti umani sentenze a effetti ridotti Italia Oggi Concussione sì, corruzione no Italia Oggi Il decreto sicurezza verso un’approvazione sprint La Repubblica "Larghe intese per le intercettazioni" La Repubblica Scontro con la Lega, Berlusconi cede Corsera Intercettazioni, il Colle in campo «Ora serve una larga intesa» Corsera Spataro: Violante sbaglia sui pm Non siamo noi a diffondere i colloqui Corsera Berlusconi apprezza e chiede limiti severi I dubbi della Lega Il Messaggero Marini: sulle intercettazioni voltiamo pagina Il Messaggero Napolitano, il problema è reale, soluzione urgente Il Messaggero Vertice da Berlusconi sul ddl

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

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RASSEGNA STAMPA 11 giugno 2008

Titoli dei quotidiani

Avvocati Il Sole 24 Ore L’esame forense va alla Consulta Il Sole 24 Ore Avvocati pronti alla class action Il Sole 24 Ore I consumatori: è utile, ma non sarà la bacchetta magica

Professioni

Il Sole 24 Ore Antiriciclaggio, meno vincoli per i sindaci

Italia Oggi Riforma professioni, Alfano inizia bene. E mette d’accordo tutti

Giustizia

Il Sole 24 Ore Per i diritti umani sentenze a effetti ridotti Italia Oggi Concussione sì, corruzione no Italia Oggi Il decreto sicurezza verso un’approvazione sprint La Repubblica "Larghe intese per le intercettazioni" La Repubblica Scontro con la Lega, Berlusconi cede Corsera Intercettazioni, il Colle in campo «Ora serve una larga intesa» Corsera Spataro: Violante sbaglia sui pm Non siamo noi a diffondere i colloqui Corsera Berlusconi apprezza e chiede limiti severi I dubbi della Lega Il Messaggero Marini: sulle intercettazioni voltiamo pagina Il Messaggero Napolitano, il problema è reale, soluzione urgente Il Messaggero Vertice da Berlusconi sul ddl

GIURISPRUDENZA Il Sole 24 Ore Ganasce, a giudici tributari solo le controversie fiscali Italia Oggi Due giudici per le ganasce fiscali Italia Oggi Nel c/c il reddito presunto

FLASH

*** Avvocati

Gabriele Mastellarini, Il Sole 24 Ore pag. 35 L’esame forense va alla Consulta Nuovi problemi per il punteggio numerico nell’esame di abilitazione forense. Un criterio istituito nel 1934 e tenuto integro dai giudici del Consiglio di Stato che “da oltre 18 anni” alternano decine e decine di pronunce, tutte con un'unica conclusione: basta il numerino a sancire la promozione o la bocciatura del praticante avvocato dalla prova scritta. Adesso il Tar di Trento, con ordinanza depositata il 5 maggio scorso (la n. 31) ha rinviato la questione alla Corte costituzionale (che si era già espressa sul punto, respingendo i dubbi di costituzionalità, ma sotto un diverso profilo). Al di sotto della decisione del Tar c’è l’evidente richiesta che “l’angusto” voto numerico venga sostituito da un ampio giudizio di merito, dal quale si possano comprendere i motivi dell’eventuale bocciatura. Nonostante i continui richiami ad una maggiore trasparenza, le commissioni esaminatrici “continuano a conservare ingiustificatamente un’area di impenetrabile insindacabilità – scrive il Tar trentino – a fronte dell’affermata preclusione di ogni potenziale verifica degli eventuali vizi della motivazione, adottata di volta in volta”. Quel punteggio che sancisce la promozione o la bocciatura del praticante dagli scritti consente ai commissari d’esame di essere inattaccabili. In fondo, impugnare un mero e astratto voto numerico è impresa ardua, perché non dà molti appigli. E in questo senso il diritto di agire in giudizio per far valere le proprie ragioni appare compromesso. Il Tribunale trentino sospetta in questo modo la violazione all’articolo 111 della Costituzione sul “giusto processo”. Articolo, tra l’altro, posto a presidio della parità delle parti e del rispetto del contraddittorio.

Class action

Giovanni Parente, Elena Pasquini, Il Sole 24 Ore (Roma) pag. 15 Avvocati pronti alla class action L’appuntamento doveva essere per il 30 giugno ma per il debutto della class action in Italia bisognerà aspettare ancora qualche mese. Nel frattempo gli studi degli avvocati romani si preparano ad affrontare l’azione collettiva di risarcimento introdotta con dall’ultima Finanziaria. Anche le associazioni dei consumatori iscritte al registro del ministero dello Sviluppo economico e i comitati rappresentativi degli interessi collettivi dovranno aspettare ancora per poter presentare un’istanza di indennizzo da danno e la restituzione delle somme dovute ai singoli utenti per illeciti relativi ai contratti di massa conclusi sia con moduli e formulari sia a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali, quando ledano i diritti di una pluralità di soggetti. E i legali, che abitualmente assistono le imprese, mettono a puntole loro strategie in attesa che siano i giudici a fornire le prime indicazioni sui dubbi applicativi connessi alla nuova disciplina. Lovells ha al suo interno una “class action unit”, un coordinamento internazionale di tutti i professionisti che si occupano della materia nello studio e al momento punta a predisporre degli standard difensivi tenendo d’occhio le mosse delle associazioni dei consumatori. “A Roma, ipotizza Luciano di Via, socio e dipartimento Antitrust di Monelli Erede Pappalardo, potrebbero verificarsi istanze di follw up rispetto ad accertamenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e le aziende più esposte potrebbero essere i fornitori di beni e servizi di largo consumo su cui si è già acceso il faro dell’Autorithy”. “Un illecito antitrust quale ad esempio un accordo di cartello o abuso di posizione dominante – fa notare Fabrizio Arossa (Studio Freshfields Bruckhaus Deringer) – causa danno non solo ai consumatori ma anche alle imprese, attori questi ultimi escluse da novero dei soggetti che possono esercitare l’azione”. Altro problema è la norma che consente la possibilità di adesione alla class action da parte dei consumatori interessati fino all’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello. C’è poi il problema della collocazione temporale degli illeciti si cui l’istanza è proponibile. Per Luciano Di Via “il riconoscimento di un nuovo diritto alle associazioni porta a propendere per la non retroattività delle azioni; sarà uno dei primi punti su cui i giudici saranno chiamati a pronunciarsi”.

Giovanni Parente, Elena Pasquini, Il Sole 24 Ore (Roma) pag. 15 I consumatori: è utile, ma non sarà la bacchetta magica “La nuova disciplina sulle azioni collettive non sarà la bacchetta magica in grado di cambiare gli scenari attuali del consumerismo italiano” afferma Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale consumatori. “Uno strumento utile pur se perfettibile” secondo Carmine Laurenzano del Centro diritti per il cittadini “Codici”. Tante le difficoltà applicative riscontrate. “La dinamica procedurale prevista dalla norma – sostiene Silvia Castronovi, responsabile per il Lazio di Altroconsumo – favorisce i grandi centri legali con un’organizzazione più strutturata rispetto alle associazioni o ai comitati”. La creazione del consenso intorno al procedimento è un altro punto di incontro tra le associazioni. Siti internet specializzati, conferenze stampa, passaparola restano, al momento le strade più battute per raggiungere l’utenza finale. I costi ricadono sull’associazione promotrice e i fondi non sono sterminati. Se Codici, in attesa di valutare l’effettiva portata dei provvedimenti per ora si concentra sui piccoli settori, azioni di successo in tempi brevi sono l’obiettivo dell’Unione nazionale consumatori. “La chiave – propone l segretario dell’Unione – potrebbe essere iniziare azioni a più mani tra associazioni italiane”.

Professioni Benedetta P. Pacelli, Italia Oggi pag. 45 Riforma professioni, Alfano inizia bene. E mette d’accordo tutti

Il ministro della giustizia Angelino Alfano mette d'accordo ordini e associazioni. La notizia, almeno sulla carta, che il guardasigilli terrà per sè la delega sulla riforma delle professioni ha fatto tirare, infatti, un sospiro di sollievo al mondo delle professioni tout-court che, per la prima volta, incredibile a dirsi, si trova compatto e unito. Nella speranza che si arrivi a una riforma del settore e che, soprattutto, si faccia in fretta. Del resto, come ha dichiarato il vicepresidente del Comitato unitario delle professioni (Cup) Roberto Orlandi, il fatto che il ministro abbia tenuto per sè la delega fa pensare che il riordino del settore sia talmente delicato che Alfano se ne voglia occupare in prima persona. «Mi sembra un atto di attenzione di un ministro che ritiene il settore strategico e politicamente importante». Sulla stessa scia il presidente del Consiglio nazionale dei periti industriali Giuseppe Jogna, che, si dichiara soddisfatto che la delega l'abbia tenuta il ministro: «Questo sta a significare che la riforma è prioritaria per questo governo e andrà sicuramente in porto. Naturalmente», ha incalzato Jogna, «ora è necessario e urgente che il ministro si confronti con le rappresentanze delle professioni per far camminare velocemente questa riforma e far possibile che sia condivisa da tutti». E proprio sulla necessità di un confronto con le categorie, si è soffermato anche il presidente del Consiglio nazionale del dottori commercialisti e degli esperti contabili Claudio Siciliotti, che si dice certo che il ministro Alfano, «affronterà al più presto la riforma delle professioni». Anche se esclude e si augura, come dichiarato più volte, la possibilità che questa venga realizzata con un sistema duale. Ma ad accogliere con maggiore entusiasmo la notizia della mancata nomina di un sottosegretario con delega alle professioni è il Coordinamento delle libere associazioni professionali guidato da Giuseppe Lupoi: «Il segnale è positivo», ha esordito Lupoi, «e l'augurio è che possa essere l'inizio per una seria e proficua collaborazione con il ministro per la definizione di un provvedimento per la regolamentazione delle associazioni professionali in Italia». L'appello del segretario generale di Assoprofessioni Roberto Falcone è di avviare subito il dialogo con le rappresentanza professionali, tenendo conto del mutato scenario cui il ministro, a differenza dei suoi predecessori, dovrà considerare. Si tratta, delle associazioni professionali presto iscritte nell'elenco tenuto proprio dal ministro della giustizia grazie all'avvenuto riconoscimento previsto dal decreto legislativo 206 del 2007 che ha recepito la direttiva comunitaria sul riconoscimento delle qualifiche professionali. Ecco perché, ha concluso Falcone, il ministro «si interfaccerà così con un nuovo interlocutore istituzionale ai fini del riordino del sistema professionale». Ma non solo riforma delle professioni. Perché a fare le proprie richieste al neoguardasigilli è anche l'Organismo unitario dell'avvocatura che ribadisce la necessità di rimettere mano, «senza ulteriori attese», alla riforma della professione forense. L'Oua, che sarà ascoltato oggi in audizione dalla Commissione giustizia della camera, si attendeva segnali precisi in tal senso, che però, ha tuonato il presidente Michelina Grillo «fino a questo momento non ci sono stati. Le professioni e la professione forense, su cui si sono consumati vivaci scontri nella passata legislatura, sono state degradate al rango di Cenerentole, delle quali, dopo la mezzanotte, nessuno più pare volersi occupare». La vera priorità per il presidente dell'organismo unitario è una sola: fare funzionare la giustizia in Italia. Per questo, per la Grillo, è essenziale il ruolo degli avvocati, che devono essere messi nelle condizioni di lavorare in modo moderno. E questo potrà esser fatto solo a partire da una riforma della legge professionale «che non si può più rinviare. La aspettiamo da anni, ci è stata

promessa più volte, da ogni schieramento». La speranza è ora che questo governo non si tiri indietro.

Antiriciclaggio

Valentina Maglione, Il Sole 24 Ore pag. 34 Antiriciclaggio, meno vincoli per i sindaci Sindaci e organi di controllo liberi dal dovere di comunicazione all’unità di informazione finanziaria (Uif) le informazioni agli obblighi di conservare i documenti e registrare le informazioni imposte agli intermediari dalle regole antiriciclaggio. Nella bozza di Testo unico che riordina la materia è stata eliminata una delle comunicazioni richieste agli organi di controllo dal decreto legislativo 231/07 che ha recepito la terza direttiva Ue sull’antiriciclaggio. Gli organi di controllo però dovranno continuare a comunicare, senza ritardo, alle autorità di vigilanti tutte le violazioni previste dagli obblighi antiriciclaggio; a comunicare ai referenti interni le infrazioni all’obbligo di segnalazione le operazioni sospette di cui hanno notizia; e, infine, comunicare entro 30 giorni, a ministero dell’Economia, le violazioni alle disposizioni che fissano i nuovi limiti all’uso e alla circolazione di contanti, assegni e libretti postali. Si prepara a cadere, l’ulteriore obbligo posto a carico degli organi di controllo dal 231/07 ossia quello di comunicare, entro 30 giorni all’Uif, le infrazione dell’ente controllato al dovere d conservare i documenti e registrare le informazioni. Dalla versione finale dello schema di Testo unico scompare anche il dovere di comunicare al Nucleo speciale della Gdf le violazioni degli obblighi antiriciclaggio che hanno rilevanza penale. L’ultima parola spetta comunque all’Economia che dovrà vagliare il documento e portarlo al Consiglio dei ministri il prossimo 30 giugno. Anche se è lo stesso ministero dell’Economia che sta pensando a una proroga date alcune questioni ancora aperte come il nodo delle società fiduciarie. In particolare, è allo studio l’ipotesi di portare le fiduciarie sotto la vigilanza di un ente (Banca d’Italia o Consob) e cancellare, così, l’obbligo di rivelare l’effettivo titolare.

Giustizia Analisi

Marina Castellaneta, il Sole 24 Ore pag. 35 Per i diritti umani sentenze a effetti ridotti Un freno agli effetti diretti delle sentenze della Corte Ue dei diritti dell’uomo che non possono incidere sul piano interno fino a consentire la revisione dei processi nazionali passati in giudicato, senza un intervento espresso del legislatore. Che – ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza n. 129/2008 (caso Dorigo) – deve intervenire al più presto per predisporre misure “atte a riparare, sul piano processuale, le conseguenze scaturite dalle violazioni ai principi della Convenzione in tema di equo processo”. Un richiamo al legislatore che ha, come conseguenza, l’accantonamento del principio di specialità della Convenzione sul giudicato interno. Un passo indietro rispetto ad alcuni recenti orientamenti della Corte di Cassazione. Se infatti la Consulta ha respinto le eccezioni di legittimità costituzionale dell’articolo 630 del Codice di procedura penale, che consente la riapertura dei processi passati in giudicato in diversi casi, ma non nell’ipotesi di contrasto con le sentenza di Strasburgo, la Corte di cassazione ha seguito un’altra strada. Oggi rimessa in discussione. Con la sentenza n. 32678 del 3 ottobre 2006, la Suprema Corte riconosciuta l’immediata precettività delle norme della Convenzione, parametro ermeneutica ineludibile nell’interpretazione del diritto interno, aveva concluso che il giudice italiano deve adeguarsi alle sentenze di Strasburgo “anche se ciò comporta la necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura dei procedimenti penali, l’intangibilità del giudicato”. Diverso l’orientamento della Consulta ce ha segnato una netta linea di demarcazione tra effetti derivanti dal diritto comunitario e quelli della Convenzione europea. Solo nel primo caso c’è un effetto diretto che impone al giudice nazionale di disapplicare il diritto interno; nel secondo caso invece, deve essere imboccata la strada della Corte costituzionale per le norme interne contrastanti con quelle convenzionali, che hanno rango sub-costituzionali grazie all’articolo 117. Di conseguenza nel caso Dorigo, la Corte d’appello avrebbe dovuto porre la questione di illegittimità costituzionale non in relazione agli articoli 3, 10 e 27 della Costituzione, ma piuttosto al 117 che, in quanto norma interposta, rinvia all’articolo 46 della Convenzione. Articolo che impone agli Stati l’obbligo di rispettare le sentenze della Corte e di rimuovere ogni effetto contrario, con un consequenziale obbligo di revisione delle pronunce interne passate in giudicato. In Italia manca ancora una legge che permetta la riapertura dei processi penali come conseguenza dell’esecuzione effettiva delle sentenze della Corte Ue per assicurare il funzionamento delle garanzie predisposto dalla Convenzione dei diritti dell’uomo.

Emilio Gioventù, Italia Oggi pag. 3 Concussione sì, corruzione no Intercettazioni, la sorpresa è in agguato. Venerdì in consiglio dei ministri arriva il disegno di legge che rischia di mettere d'accordo con le visioni e i desideri del premier Silvio Berlusconi anche quelle ampie fette del Partito democratico che ancora si riconoscono in Massimo D'Alema, uno al quale un intervento deciso sulla giungla delle intercettazioni guarda con speranza visto che proprio lui fu pizzicato al telefono sul caso Unipol: la procura di Milano ha trasmesso a Strasburgo il dossier proprio in questi giorni Ieri una lunga riunione a palazzo Grazioli, al quale hanno partecipato oltre al premier, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, quello della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario Paolo Bonaiuti e il senatore Nicolò Ghedini ispiratore dell'impianto normativo del disegno di legge, è servita a mettere a punto i particolari più ostici. Ovvero: quando è possibile autorizzare le intercerttazioni? L'intenzione è quella di modificare la soglia della pena edittale. Oggi è possibile intercettare se il reato è punito con più di cinque anni, la quadra si sarebbe trovata intorno all'ipotesi di innalzare il tetto a 10 anni, ma in questo caso rientrerebbe il reato di concussione ma non la corruzione. Sul tavolo di discussione ieri è apparso anche un altro testo, messo a punto dai tecnici del ministero della Giustizia. Una versione preliminare e provvisoria che avrebbe consentito intercettazioni per i reati più gravi per i quali sono competenti le direzioni distrettuali antimafia, ovvero associazione per delinquere, associazione di stampo mafioso, sequestro di persona, tratta, riduzione in schiavitù. Secondo i tecnici di via Arenula per tutti gli altri reati con pene dai cinque anni in su sarebbe si sarebbe potuto introdurre un limite temporale di tre mesi. E in questo caso sarebbero potuti finire nelle orecchie del grande fratello anche gli autori dei i reati di concussione e corruzione. Nella bozza sarebbero stati fissati anche limiti all'utilizzo delle intercettazioni. Per esempio dovrebbero essere inserivibili come fonti di prova le intercettazioni autorizzate in caso di ipotesi di reato che poi invece viene derubricato. I cosiddetti brogliacci, destinati a essere distrutti subito, comunque, dovrebbero andare a finire in un archivio segreto custodito da un responsabile dell'ufficio. Discussa anche un'ipotesi di introdurre sanzioni disciplinari per i magistrati. In particolare il disegno di legge potrebbe contenere una norma che responsabilizzi il capo della singola procura che in caso di fuga di notizie, o meglio di intercettazioni, potrebbe essere sospeso o addirittura sollevato dalla fuinzione. Insomma, il governo dovrebbe andare deciso a riordinare il brogliaccio delle intercettazione, forte anche di quanto sostenuto ieri a Venezia da presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato è intervenuto in pieno dibattitto sostenendo che è una «questione annosa che prima si risolve meglio è, magari con una «formulazione del provvedimento» al quale si arri con «una larga intesa».

Francesco Cerisano, Italia oggi pag. 34 Il decreto sicurezza verso un’approvazione sprint

Decreto sicurezza verso un'approvazione sprint al senato. Le commissioni affari costituzionali e giustizia hanno lavorato a ritmo serrato per completare l'esame degli emendamenti e confezionare il testo che approderà in aula domani. L'obiettivo del governo è fare presto in modo che il primo via libera al provvedimento possa arrivare già la prossima settimana. Per questo ieri mattina c'è stato un incontro tra il presidente del senato, Renato Schifani, e i ministri dell'interno e della giustizia, Roberto Maroni e Angelino Alfano, a cui ha fatto seguito un vertice con i presidenti delle commissioni affari costituzionali e giustizia, Carlo Vizzini e Filippo Berselli, e i capigruppo di maggioranza Maurizio Gasparri (Pdl) e Federico Bricolo (Lega). L'incontro è servito a fissare i paletti alla discussione degli emendamenti. Anche se permangono alcune incertezze all'interno della maggioranza sull'ampiezza da dare, per esempio, alla confisca degli immobili affittati ai clandestini o ai poteri dei sindaci-sceriffi. Sugli affitti il nodo da sciogliere riguarda l'estensione della stretta anche ai casi di comodato gratuito. Una parte della maggioranza si è detta favorevole all'ampliamento del raggio d'azione della norma, convinta che in questo modo potranno essere puniti anche gli affitti in nero che vengono fatti passare come affidamenti degli immobili in comodato gratuito. Sull'emendamento si è però espresso negativamente il sottosegretario all'interno, Alfredo Mantovano, nel timore che possano venire intaccati gli interessi delle associazioni di volontariato. «Anche sui sindaci la maggioranza è divisa», rivela a ItaliaOggi Mariangela Bastico, ministro ombra del Pd per i rapporti con le regioni e gli enti locali. «La Lega vuole notevolmente rafforzare i poteri dei sindaci, mentre altre fette della maggioranza puntano a limitarne le prerogative stabilendo che i primi cittadini debbano prendere i provvedimenti sulla sicurezza pubblica d'intesa con il prefetto». Quel che è certo è che l'emendamento sulla prostituzione, presentato dal presidente della commissione giustizia Berselli, non farà più parte del decreto ma verrà inserito nell'apposito disegno di legge sulla sicurezza che la maggioranza confida di approvare prima della pausa estiva. «Tutto quello che non è strettamente legato al decreto legge in quanto manca dei presupposti di necessità e urgenza», ha spiegato Berselli, «finirà come emendamento al disegno di legge sulla sicurezza». Nel dl rimane la modifica del nome dei Cpt, che diventerà «Cie, perché», ha spiegato Mantovano, «c'è bisogno di riordinare lessicalmente i diversi tipi di centri per immigrati».

Giorgio Battistini, La Repubblica pag. 11 "Larghe intese per le intercettazioni" Sulle intercettazioni telefoniche Giorgio Napolitano consiglia prudenza a Silvio Berlusconi. Ma il problema c´è, ammette, e va risolto. Il problema è «reale, nessuno ormai ne dubita» e ha un «suo grado di urgenza», dice il presidente della Repubblica. Va garantito un ricorso «misurato», da trovare in ogni caso con «larghe intese». Vale a dire che il governo deve intervenire trovando o tentando un accordo con l´opposizione. Nell´atrio della prefettura di Venezia, dove il capo dello Stato è appena arrivato di ritorno dalla Festa della Marina a distribuire medaglie e onorificenze, Napolitano risponde alle domande dei giornalisti. Le sue parole, esplicite e prudenti, sembrano tentare una difficile mediazione tra le pressioni del governo e le resistenze della magistratura che si oppone alla riduzione di uno strumento importante di indagine. Il capo dello Stato, per ruolo costituzionale, è presidente del Csm, l´organo di autogoverno delle toghe.Il Quirinale non prende parte diretta alla disputa sulle intercettazioni telefoniche, sul loro eventuale eccesso, sul loro costo. Il filtro di costituzionalità verrà più avanti, quando il governo presenterà le sue decisioni in Parlamento. A chi, in via del tutto informale, richiede un´opinione preventiva sulla materia del contrasto politico, il presidente consegna raccomandazioni alla cautela. «È un problema non nuovo» dice «e nemmeno tanto recente, è già stato affrontato in precedenti legislature, e pende in Parlamento un disegno di legge del precedente governo. Naturalmente si può sempre ridiscutere l´insieme delle norme che debbono garantire alcune esigenze».Il presidente ne cita due, e sembra di capire che si tratta di due delle condizioni preventive per superare il filtro di legalità costituzionale rappresentato appunto dal giudizio del Quirinale. «C´è una esigenza sia di tutela della privatezza, sia di ricorso misurato allo strumento delle intercettazioni». Tutela della privacy per evitare che l´indagine su qualcuno possa riempire pagine di giornali con pettegolezzi privati. È già successo. E poi per evitare gli eccessi di decine di migliaia di italiani "ascoltati" nell´ambito di lunghe indagini giudiziarie. Quindi uso «misurato» di questo strumento. Anche se si tratta di una «questione effettivamente annosa». Una questione che, dice il presidente, «prima si risolve meglio è».Poi però Napolitano, dopo aver fissato i paletti del provvedimento allo studio, si fa prudente. «Come dovrà essere congegnato il provvedimento, se possa o no preoccupare tra gli altri aspetti, lo si saprà quando ci sarà un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri, e poi quando comincerà la discussione in Parlamento. Che la questione sia reale credo non ci siano dubbi. Reale e anche attuale, con un suo grado di urgenza». E tuttavia, conclude il capo dello Stato, «io non dispero che, tenendo conto anche di proposte degli anni precedenti, si possa trovare una larga intesa sulla formulazione del provvedimento».

Liana Milella, La Repubblica pag. 11 Scontro con la Lega, Berlusconi cede "Controlli su corruzione e concussione" Ha insistito fino all´ultimo, ma alla fine Berlusconi è stato costretto, anche se molto recalcitrante, a piegare la testa. Irremovibile la posizione della Lega, con un Roberto Maroni pronto a garantire pure all´opposizione che gli ascolti «continueranno a essere consentiti anche per i reati contro la pubblica amministrazione». Pronto anche, il ministro dell´Interno, a mostrare al premier i sondaggi che dimostrano come la gente si rivolterebbe contro il governo se le indagini sui colletti bianchi dovessero essere bloccate. E ancora pronto a non firmare il provvedimento qualora i punti fermi del Carroccio non dovessero essere rispettati. Forti pure le insistenze del suo consigliere giuridico Niccolò Ghedini che, con una bozza già pronta ma aperta a varie soluzioni, cerca di convincerlo della totale impercorribilità politica di una legge che escluda corruzione e concussione dalla gamma dei delitti ascoltabili. Netto anche l´atteggiamento dell´aennina Giulia Bongiorno che per la prima volta, sulla giustizia, tratta col Cavaliere per conto di Fini. Alla fine, alle dieci di sera, Berlusconi cede, ma incassa comunque un risultato importante: dopodomani, al consiglio dei ministri, ci sarà il ddl per limitare le registrazioni. Ora al testo mancano solo dei dettagli, anche se su alcuni punti strategici. Per sistemarli sono previste riunioni oggi e domani. Ma per chiudere sono state importanti le parole di Napolitano, col quale il premier fa sapere di essere «in piena sintonia». Perché il capo dello Stato ha riconosciuto quello che Berlusconi sostiene da anni: il problema delle intercettazioni «è reale» e dunque «una stretta è assolutamente necessaria». Da palazzo Chigi il sottosegretario Gianni Letta ha rassicurato il Colle sul futuro testo, garantendo che sarà misurato e punterà a conquistarsi le larghe intese cui si riferisce il presidente. Ma si tratterà di un intervento legislativo per chiudere comunque «lo scandalo degli ascolti a catena». Così ripete il Cavaliere più d´una volta quando, verso le 20 e trenta a palazzo Grazioli, arrivano Ghedini, Maroni, la Bongiorno, il Guardasigilli Angelino Alfano. I quattro sono stati insieme per tutto il pomeriggio alla Camera, a leggere e limare le bozze che Ghedini ha messo sul tavolo. La stretta c´è tutta, basta scorrere i punti del ddl. Innanzitutto il limite sui reati intercettabili. Dagli attuali cinque si passerebbe a dieci anni, ma alla fine si finirà per scendere ad otto, in modo da comprendere anche la corruzione. È molto probabile l´ulteriore sottolineatura: «I reati contro la pubblica amministrazione rientrano tra quelli che possono essere messi sotto controllo. Maroni insiste più volte durante la riunione, il nuovo ddl dev´essere «una sintesi ragionata» dei precedenti progetti Castelli e Mastella. Ai pm s´imporrà di essere più tassativi e stringenti nelle richieste. Gli ascolti non potranno durare più di quattro mesi. Non sarà più il gip, ma un organo collegiale a dare il via libera. Tutti i testi saranno conservati in un archivio riservato e resterà traccia di chiunque vi acceda (gli ultimi due punti caldeggiati dalla Bongiorno). Sulle pene per i pubblici funzionari infedeli che passano le carte e per i giornalisti che le pubblicano la partita è ancora aperta. Una norma transitoria stabilirà che i processi in corso sono salvi. L´opposizione. Maroni è convinto che ne vada cercato «il consenso». Ma la partita non sarà facile soprattutto dopo quanto sta accadendo sul decreto sicurezza. Il testo oggi sarà approvato in commissione e andrà subito in aula, ma il Pd è profondamente deluso. Anna Finocchiaro ha confidato fino all´ultimo in un´apertura, ma si è vista sbattere la porta in faccia, nonostante le rassicurazioni di Alfano. Sembrava che sull´aggravante per aumentare le pene ai clandestini potesse passare la formulazione garantista dei Democratici, ma alla fine ha prevalso il no. Perché, come dice il sottosegretario all´Interno Alfredo Mantovano, «a tutto c´è un limite». Nel dl non ci saranno le norme sulla prostituzione che Napolitano ha esplicitamente invitato a mettere nel ddl. Neppure i sindaci avranno poteri del tutto sganciati dai prefetti come pure voleva la Lega.

Marzio Breda, Corriere della Sera pag. 2 Intercettazioni, il Colle in campo «Ora serve una larga intesa»

Giorgio Napolitano imprime un brusco colpo di freno alle smanie di chi, nel governo, vorrebbe arginare subito con una legge il ricorso alle intercettazioni (e ridimensionarlo pesantemente, a costo di confermare il sospetto dei magistrati di un intervento punitivo contro il loro lavoro). «La questione è reale e attuale, attuale anche con il suo grado di urgenza... e prima la si risolve, meglio è», ammette il presidente della Repubblica. Per aggiungere però subito dopo che, proprio perché si tratta di un «problema non nuovo e non recente, affrontato anche in precedenti legislature», è meglio intervenire «tenendo conto delle proposte avanzate negli anni passati, in modo da trovare una larga intesa sulla formulazione del provvedimento».Insomma: piuttosto che procedere a tappe forzate e a colpi di maggioranza, con il rischio di creare strappi politici e incrinature nel rapporto tra poteri, è preferibile costruire un accordo che tenga tutto in equilibrio. Che sia cioè in grado di salvaguardare il valore di quello strumento d'indagine e, nel contempo, il diritto degli italiani a non vedere diffusi sui mass-media i propri fatti privati, a volte ininfluenti per le stesse inchieste, alla faccia del segreto istruttorio. Per il capo dello Stato sarebbe bene ripartire dal «disegno di legge del precedente esecutivo », elaborato dall'ex ministro Mastella e lasciato cadere. Il che, «naturalmente», non esclude che si possa «sempre ridiscutere l'insieme delle norme che debbono garantire alcune esigenze fondamentali». Vale a dire, appunto, «l'esigenza alla tutela della privacy dei cittadini » e «l'esigenza del ricorso misurato allo strumento delle intercettazioni ». Sillaba l'aggettivo «misurato », Napolitano, e dimostra così di condividere il giudizio del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, sull'eccessiva «disinvoltura » dimostrata a volte da certe Procure nel mettere sotto controllo i telefoni della gente (e magari non solo quelli), con la logica di «gettare a mare una rete per prendere tutto». Ecco dunque spiegato il suo invito a muoversi con prudenza, data la delicatezza del tema, anche se certo non si prende il lusso di entrare nel merito delle soluzioni. Dice il presidente: «Come debba essere congegnato il provvedimento, se possa o no preoccupare per altri aspetti», più o meno laterali, «lo si saprà quando ci sarà un disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri e poi quando inizierà la discussione in Parlamento ».Lui, lascia intendere durante una pausa della visita a Venezia, non ha pregiudiziali. Non ne ha oggi come non ne aveva ieri. Lo dimostrano i tre interventi che si è concesso in coincidenza con altrettanti momenti topici. Nel luglio 2006, ad esempio, bollò come «sconcertante » il gorgo di rivelazioni sul caso Unipol-Banca di Lodi e sostenne la necessità di «soluzioni equilibrate che ormai si impongono». Un anno dopo, quando divampavano le polemiche sulle iniziative del giudice Clementina Forleo, auspicò «la massima serenità e riservatezza » da parte dell'autorità giudiziaria e pronunciò un secco «no a inserire negli atti giudiziari valutazioni personali». E, l'autunno scorso, volle «ribadire il principio della segretezza degli atti d'indagine» e chiese che fosse «approfondito l'iter che conduce alla pubblicazione delle intercettazioni ». Rincalzi lasciati inevasi, dal vecchio, impotente Parlamento. Ma che stavolta potrebbero essere utilmente raccolti.

Dino Martirano, Corriere della Sera pag. 2 Spataro: Violante sbaglia sui pm Non siamo noi a diffondere i colloqui «No, l'onorevole Violante non può scaricare la responsabilità solo sui magistrati: le sue accuse sono generiche e infondate e noi non ne possiamo più di essere additati come responsabili di fughe di verbali che consentono la pubblicazione sui giornali di conversazioni intercettate...». Dunque, il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, respinge al mittente le osservazioni che l'ex presidente della Camera ha fatto sui rapporti, talvolta disinvolti, tra magistrati e giornalisti. Eppoi, aggiunge Spataro riferendosi al piano del governo, «non c'è alcun nesso tra tutela della privacy e limitazione delle intercettazioni ».Procuratore, ci sarà pure un pm che ha passato un verbale alla stampa, o no? «Lo sostiene oggi anche l'onorevole Violante, ma è incredibile che nessuno ricordi come l'attuale disciplina prevede la segretezza delle intercettazioni solo fino al momento in cui il soggetto indagato o i suoi difensori non ne abbiano avuto conoscenza. A partire da quel momento il segreto viene meno e con esso decade anche il divieto di pubblicazione del "contenuto" dei colloqui intercettati: permane il solo divieto di pubblicazione delle intercettazioni nella loro integralità, la cui violazione è però punita come mera contravvenzione estinguibile attraverso una modesta oblazione, quindi del tutto priva di efficacia deterrente ».Converrà che la pena è inesistente. «Appunto, si aumentino queste pene. Inoltre, se si vuole impedire la pubblicazione delle intercettazioni anche dopo la conoscenza da parte di avvocati ed indagati, non resta che fare una cosa: spostare il venir meno del segreto al momento in cui, in un'apposita ed obbligatoria udienza in contraddittorio dinanzi al giudice, i verbali non siano depurati delle registrazioni irrilevanti ai fini delle indagini. Fino a quel momento, come già prevedevano i ddl Flick e Mastella, le intercettazioni dovrebbero essere custodite in un "archivio riservato". Non si capisce, invece, perché Violante ed altri puntino il dito contro i magistrati quando la quasi totalità dei casi noti vede la pubblicazione delle conversazioni dopo che esse sono state acquisite in copia anche dagli avvocati e, dunque, non sono più segrete».La ricetta del governo: meno intercettazioni, più privacy. «La si finisca una buona volta di dire che, per risolvere il problema del voyeurismo giudiziario, bisogna limitare l'uso delle intercettazioni ai soli campi del terrorismo e della mafia. Non c'è nesso tra il problema della riservatezza da garantire e la limitazione dell' uso di uno strumento investigativo che, tra l'altro, è sempre più importante nei processi da quando, prima il centrosinistra e poi il centrodestra, hanno reso incerto lo strumento della prova orale rispetto alla fase delle indagini». Durata delle intercettazioni e lista dei reati per i quali sono autorizzate. Che ne pensa? «E' assurdo anche pensare a limitare la durata delle intercettazioni. Ma ancora più grave sarebbe limitare la categoria dei reati ed il tempo per cui le intercettazioni sono utilizzabili, così come le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni: si tratterebbe di un grande regalo ad ogni tipo di criminalità, compresa quella dei "colletti bianchi"».

Lorenzo Fuccaro, Corriere della Sera pag.3 Berlusconi apprezza e chiede limiti severi I dubbi della Lega Silvio Berlusconi apprezza quanto sostiene il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sulle intercettazioni. Ed è appunto perché la questione è diventata una emergenza che si deve porre un argine al fenomeno e trovare una soluzione. E l'urgenza di agire rapidamente, sottolineata dal Presidente, rappresenta per Berlusconi la conferma che l'allarme lanciato sabato scorso era più che fondato. Berlusconi, quindi, va avanti. «Gli italiani sono con noi e noi non ci fermiamo: una stretta ci vuole», dice ai suoi collaboratori. Ecco perché ieri pomeriggio si è tenuto un incontro alla Camera tra il Guardasigilli Angelino Alfano, il ministro dell'Interno Roberto Maroni, Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia e Nicolò Ghedini, deputato Pdl e avvocato del presidente del Consiglio. Dopo due ore non si è trovata un'intesa complessiva, ma soltanto un accordo di massima sulle sanzioni pecuniarie previste per gli editori. Il clima tuttavia induce all'ottimismo. Ecco perché Ghedini ha dichiarato che «il governo ha trovato un accordo e venerdì presenterà un testo in Consiglio dei ministri ». La sospensione si è resa necessaria per consentire ai tecnici del ministero di via Arenula di stendere una traccia. E per definire nei dettagli il provvedimento è stato deciso di proseguire in nottata, nel corso di un secondo vertice con lo stesso Berlusconi a Palazzo Grazioli durato anch'esso un paio d'ore. «L'accordo è nelle cose», commenta al termine Alfano La bozza su cui si sta lavorando, secondo alcune indiscrezioni, riprende i passaggi chiave del testo predisposto nel 2005 dall'allora Guardasigilli Roberto Castelli e del successivo disegno di legge di Clemente Mastella del 2007.Il nodo riguarda la cosiddetta «pena edittale» ovvero la pena minima a partire dalla quale le intercettazioni sono possibili. Berlusconi ha insistito che non sia inferiore ai dieci anni, e in questo caso rientrerebbero una serie di reati molto gravi, non solo il terrorismo e le attività mafiose. Per lui indicare questo limite è un modo per venire incontro alle esigenze sia dei magistrati sia degli alleati. Ma questa linea non ha convinto la Lega nord. Maroni ha argomentato che questo tetto è eccessivo e, se accolto, lascerebbe fuori concussione e corruzione. Cosa che, ha obiettato il responsabile del Viminale, gli elettori del centrodestra non comprenderebbero.

Massimo Martinelli, Il Messaggero pag. 4 Marini: sulle intercettazioni voltiamo pagina E’ un giurista che va al sodo, Annibale Marini; presidente emerito della Corte Costituzionale e professore universitario, preferisce trovare situazioni concrete piuttosto che eleganti e raffinate alchimie del diritto. Soprattutto quando c’è di mezzo la privacy della gente. Perchè, come dice lui stesso, «Questo argomento interessa cinquanta milioni di italiani».Presidente Marini, cosa c’è di raffinato e di elegante nella proposta che il governo di appresta a presentare sulle intercettazioni telefoniche? «Semplice: il problema viene prospettato sotto il profilo del diritto alla privacy. E su questo c’è un consenso generalizzato: tutti coloro che non sono oggetto di indagine devono essere messi al riparo dalle intercettazioni telefoniche».Su questo sembrano tutti d’accordo.«Infatti. Ma il problema è un altro, sul quale si fa finta di non capire». Lo dica lei.«Il problema è stabilire ”quando” si può intercettare. Nel senso che la situazione che si è determinata in Italia è che ci mettiamo ad ascoltare le conversazioni altrui senza che esista alcuna prova a carico della persona interessata». Sembrava che il problema fosse quello di individuare per quali reati consentire le intercettazioni.«Ma è inutile fare un catalogo dei reati. Perchè poi qualsiasi magistrato potrà dire che esisteva il fumus di quel certo reato per il quale poteva intercettare e ha intercettato. E nessuno potrà contestare questa decisione».E allora? «Allora bisogna risolvere il problema che il professor Giuliano Vassalli ha ben spiegato sul vostro giornale. Occorre stabilire che le intercettazioni devono essere fatte, anzi possono essere fatte, a completamento della prova, non per acquisirla».Mi spieghi meglio. «Quando c’è un tizio sul quale sono state già raccolte prove di colpevolezza, per avere una conferma delle sue responsabilità in ordine ad un certo reato ci si può mettere ad ascoltare le sue telefonate. Ma non può essere, al contrario, che ci si mette ad ascoltare un tizio per vedere se ha commesso qualche reato, senza avere prima nulla di concreto a suo carico». Qualcuno potrebbe osservare: se il pm avesse già le prove, non avrebbe bisogno di intercettare.«Esatto. Il problema è proprio questo, che siccome le prove non le sanno acquisire con gli strumenti tradizionali, allora ci si mette ad ascoltare le conversazioni del Paese. Potrei definirle intercettazioni ”al buio”. Questa sua proposta di intervento farebbe perdere di significato alla protesta dei magistrati, che lamentano una diminuzione delle possibilità di indagine.«Esatto. Le dirò anche che questa mi sembra una proposta condivisibile: perchè se impostiamo la normativa sul tipo di reato, si finisce nel fare una disquisizione giuridica molto elegante e raffinata e si rischia di perdere di vista il problema vero».Sulle sanzioni è d’accordo?«Sulle sanzioni, dobbiamo avere il coraggio di dirlo: quando viene fatta un’intercettazione senza che ce ne siano i presupposti processuali, il magistrato deve risponderne in proprio, penalmente. Perchè viene ad essere violato un diritto fondamentale della persona: quello di parlare al telefono senza essere ascoltati da altri».

Paolo Cacace,Il messaggero pag. 5 Napolitano, il problema è reale, soluzione urgente E’ un problema «reale» e «attuale» che va risolto «con urgenza». Ma senza iniziative avventate. Possibilmente attraverso «larghe intese» in Parlamento. Ruota intorno a questi concetti il pensiero di Giorgio Napolitano sul ”giro di vite” nelle intercettazioni telefoniche giudiziarie allo studio del governo Berlusconi. Il capo dello Stato ne parla con i giornalisti nella sede della prefettura veneziana dopo aver partecipato in Arsenale alla suggestiva cerimonia per la festa della Marina militare. A chi osserva che l’aberrante scandalo-sanità di Milano è venuto alla luce soprattutto grazie alle intercettazioni disposte dai magistrati, Napolitano risponde: «Il problema non è nuovo, né recente... Pendeva in Parlamento un disegno di legge del precedente governo». E spiega: «Naturalmente si può sempre ridiscutere l’insieme delle norme che debbono garantire alcune esigenze fondamentali: la tutela della privacy e un ricorso misurato allo strumento delle intercettazioni telefoniche». Parole attentamente calibrate, ”paletti” che sintetizzano bene l’opinione di Napolitano secondo cui i giudici non vanno ostacolati, ma va rispettata la privacy dei cittadini e il ricorso allo strumento d’indagine dell’intercettazione deve essere «misurato». «Si tratta di una questione annosa - soggiunge il capo dello Stato - prima viene risolta, meglio è». Naturalmente egli non entra nel merito delle misure all’esame del governo, ma ne frena gli impulsi eccessivi: «Come debba essere congegnato il provvedimento, se possa o no preccupare per altri aspetti lo sapremo quando il ddl sarà approvato dal Consiglio dei ministri e quando inizierà la discussione in Parlamento». Ma sulla necessità di agire Napolitano è convinto. «Che la questione sia reale - osserva - non credo che vi siano dubbi. Ed è una questione attuale con il suo grado di urgenza». Tuttavia Napolitano spinge il governo a muoversi con cautela, tenendo conto del contributo dell’opposizione e del precedente ddl messo a punto da Mastella. L’appello per un consenso bipartisan è chiaro: «Non dispero che, tenendo conto di proposte degli anni precedenti, si possa trovare una larga intesa sulla formulazione del provvedimento». Le parole di Napolitano appaiono in sintonia con il richiamo del vicepresidente del Csm Mancino alla maggioranza perché non sia troppo «disinvolta» su un tema così delicato e riportano ad un indirizzo coerentemente espresso in più occasioni dallo stesso capo dello Stato. Sin dal luglio del 2006 quando - in occasione della cerimonia del Ventaglio - ricordò che in tema d’intercettazioni vi sono diversi valori da tutelare: 1) la sicurezza dei cittadini, garantita con il ricorso a tutti i moderni mezzi d’indagini; 2) i diritti individuali alla privacy; 3) i diritti dei giornalisti a svolgere la loro professione. Un anno dopo, Napolitano, al Csm, invocò «massima serenità» e «riservatezza» ed esortò i giudici a «non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti». Ancora: nel novembre 2007, quando scoppiò il caso delle intercettazioni Rai-Mediaset, Napolitano avvertì che «occorreva approfondire l’iter che conduce alla pubblicazione delle intercettazioni».

Marco Conti, il Messaggero pag. 5 Vertice da Berlusconi sul ddl Penso sia impossibile escludere i reati contro la pubblica amministrazione». Al termine di una dura giornata di riunioni, il ministro leghista dell’Interno Roberto Maroni, fa capire quanto forte sia la resistenza del Carroccio ad escludere dal capitolo delle intercettazioni i reati di corruzione e concussione. Su questo punto la Lega non intende mollare e ieri pomeriggio il ministro Maroni e il capogruppo Roberto Cota hanno eretto un muro invalicabile anche per una tenace come Giulia Bongiorno. La presidente di An della commissione Giustizia della Camera è però riuscita a spuntare il requisito della collegialità dell’organo che può disporre le intercettazioni (non più solo il gip), mentre al ministro Angelino Alfano e a Nicolò Ghedini (FI) è toccato il compito di tenere il più possibile ferma la linea rigida dettata dallo stesso Berlusconi sabato scorso a Santa Margherita Ligure. Al vertice che la pattuglia di ministri ed esperti hanno avuto nel pomeriggio nell’ufficio del presidente del Consiglio al piano d’aula della Camera, è seguita una lunga riunione serale a palazzo Grazioli con lo stesso Berlusconi. Il Guardasigilli ha consegnato al premier il testo messo a punto dai suoi uffici subito dopo la riunione pomeridiana e che dovrebbe essere presentato venerdì nel consiglio dei ministri. Un disegno di legge, e non un decreto, per venire incontro alla richiesta - che il Quirinale ha reiterato al sottosegretario Gianni Letta anche ieri l’altro - di una soluzione «il più possibile condivisa con l’opposizione». I contatti con i ministri ombra del Pd Tenaglia (Giustizia) e Minniti (Interno) sono proseguiti per tutta la giornata di ieri. La sponda del Pd è servita a Lega e An per ammorbidire l’iniziale rigidità del Cavaliere che aveva indicato la possibilità di intercettazioni solo per i reati di terrorismo e criminalità organizzata.Berlusconi è rimasto molto soddisfatto per la definizione «un problema reale» che il Capo dello Stato ha dato delle intercettazioni. Inviduata e riconosciuta l’esigenza di una migliore regolamentazione della materia, il governo si è quindi messo a lavoro per interpolare la riforma fatta dal precedente governo-Berlusconi, con previsioni contenute nel testo dell’ex Guardasigilli Clemente Mastella.Oltre alla collegialità dell’organo che può disporre le intercettazioni, si interverrebbe sulla durata e sui criteri di conservazione dei verbali in un apposito archivio riservato. Verrebbero invece confermate le sanzioni per giornalisti e magistrati. Il braccio di ferro tra il Cavaliere e i suoi alleati è però ancora in corso. Berlusconi non vorrebbe allargare l’elenco dei reati intercettabili e ieri sera Maroni ha provato a convincere il Cavaliere a suon di sondaggi. Alla fine Maroni sembra averla spuntata e ha dato il via libera al ddl che verrà presentato nel consiglio dei ministri di venerdì.

GIURISPRUDENZA

Cassazione Maria Grazia Strazzulla, Il Sole 24 Ore pag. 33 Ganasce, a giudici tributari solo le controversie fiscali Le liti sulle ganasce fiscali sono di competenza del giudice tributario solo quando il provvedimento riguarda la riscossione dei tributi. Pertanto, il giudice tributario davanti al quale sia stato impugnato un atto di fermo amministrativo, dovrà accertare la natura dei crediti, trattenendo a sé solo la controversia di natura tributaria rimettendo al giudice ordinario la parte di valenza non fiscale, in base al principio della traslato iudicii. E’ quanto stabilito dalle Sezioni Unite civili della Cassazione con ordinanza 14831 del 5 giugno. Debora Alberici, Italia Oggi pag. 34 Due giudici per le ganasce fiscali Sulle ganasce fiscali non sempre decide il giudice tributario. Infatti, il contribuente deve opporsi al fermo amministrativo davanti all'Autorità giudiziaria ordinaria se il credito a monte non è fiscale. Come per esempio una cartella esattoriale emessa per contributi Inps o per un'infrazione stradale. Se invece la cartella è su un'imposta il ricorso va presentato alla Ctp. Lo hanno stabilito le s.u. civili della Cassazione con la sentenza n. 14831 del 5 giugno 2008. La posizione assunta dal Collegio di legittimità parte da una considerazione ben precisa: il fermo amministrativo non è un'esecuzione forzata. Non solo. I recenti interventi delle Corte costituzionale, che hanno alleggerito e circoscritto le competenze delle commissioni tributarie (per esempio la sentenza n. 34 del 2006), hanno pesato molto sulla decisione delle sezioni unite. «Se questo necessario ancoraggio alla natura tributaria del rapporto», si legge in sentenza, «è il fondamento della legittimità costituzionale della giurisdizione tributaria, anche per quanto riguarda il fermo bisogna affermare che in tanto il giudice tributario potrà conoscere delle relative controversie in quanto le stesse siano attinenti a una pretesa tributaria». E per non far incorrere il cittadino in nessuna «trappola formale» la Cassazione ha previsto la possibilità di continuare un giudizio, instaurato di fronte al giudice sbagliato, davanti al magistrato competente. Infatti, «il giudice adito dovrà verificare se i crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo oggetto dell'impugnazione siano crediti di natura tributaria e, in esito a tale accertamento, affermerà o declinerà la propria giurisdizione, nel primo caso, trattenendo la causa per la decisione del merito; nel secondo caso, rimettendo la stessa, innanzi al giudice competente». Stessa cosa quando il provvedimento di fermo amministrativo, contro il quale il cittadino si oppone, concerne più crediti di diversa natura. In questo caso il giudice separerà le cause, trattenendo solo la parte per la quale è competente.

Debora Alberici, Italia Oggi pag. 46 Nel c/c il reddito presunto Stretta della Cassazione sull'accertamento fiscale dei redditi del professionista. Tutte le somme che transitano sul conto bancario, anche se cointestato con la moglie, vanno imputate all'attività di lavoro autonomo, compresi i passaggi di denaro prima versato e poi prelevato che il contribuente attribuisce a somme «affidategli in amministrazione». Per far cadere l'accertamento deve dimostrare che quelle somme non sono frutto della sua attività e, sul fronte del passaggio di soldi, «deve dare la prova analitica della inerenza alla sua professione di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione bancaria». Un cocktail di princìpi, messi nero su bianco dalla Cassazione nella sentenza n. 14847 del 5 giugno 2008, che fanno cadere tutti gli ostacoli, e ormai non erano molti, per accertare con facilità i redditi dei professionisti. E non è finita qui. Manca ancora un tratto per completare il quadro: infatti dalle motivazioni emerge che l'accertamento resta valido, nei confronti degli eredi, anche se il contribuente è morto prima che si concludessero le indagini della Guardia di finanza. L'equazione più o meno è questa: il professionista versa dei soldi in banca. Il fisco accerta il reddito presumendo che tutte le somme siano frutto dell'attività, e chiede le maggiori imposte. Poi si ferma ad aspettare la prova contraria del contribuente che deve dettagliare ogni operazione, sulla provenienza e sull'inerenza con la sua attività. Altrimenti paga. Insomma, il professionista ha un bel da fare se non vuole pagare più imposte di quelle che gli spettano. Tutto ciò emerge chiaramente in alcuni fondamentali passaggi delle motivazioni. «La prova contraria» sul passaggio di denaro, ha infatti spiegato la sezione tributaria, «dev'essere circostanziata e non può consistere nella mera affermazione che sul conto corrente confluivano anche somme di pertinenza di terzi». Infatti, «al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente, dall'articolo 32 del d.p.r. n. 600 del 1973, non è sufficiente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell'esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza della sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto». Niente da fare neppure sul fronte della morte del contribuente. Infatti, ha motivato la Cassazione, per l'utilizzazione del verbale redatto dalla Guardia di finanza non è necessario «instaurare un contraddittorio con il contribuente sin dalla fase di accertamento». È una facoltà del fisco e non un obbligo. Insomma la Suprema corte ha accolto in pieno il ricorso dell'amministrazione finanziaria bocciando le due decisioni di merito che avevano annullato l'accertamento per mancanza di prove. Infatti, secondo la commissione tributaria regionale della Campania, nella valutazione dei fatti andava considerato che il conto bancario era cointestato, che il professionista svolgeva attività politica e quindi era depositario delle somme di altri, e infine che era morto prima della fine delle indagini.

FLASH Il Sole 24 Ore pag. 14 “Larghe intese per la privacy” Sulla polemica delle intercettazioni interviene il Capo dello Stato sia per contenere, da un lato, gli eccessi del Governo che vorrebbe limitare fortemente il ricorso a un prezioso strumento della magistratura inquirente, dall’altro per invitare l’opposizione e soprattutto l’Italia dei valori a non fare sbarramento e a prendere atto che il problema esiste e ha assunto orami una dimensione tale da minacciare la privacy dei cittadini. Napolitano invita al dialogo perché “si può sempre discutere l’insieme delle norme che debbano garantire alcune esigenze fondamentali” perché “c’è un’esigenza sia di tutela della privatezza sia di ricorso misurato allo strumento delle intercettazioni”. Nella maggioranza la Lega continua a fare muro sui reati contro la pubblica amministrazione che Berlusconi vorrebbe escludere dalle intercettazioni: oggi il tetto di pena oltre il quale il Pm può chiedere al Gip l’autorizzazione agli ascolti è di 5 anni; Berlusconi insiste perché sia portato a 10; il che significherebbe però, lasciar fuori la corruzione ( e non la concussione). La durata degli ascolti non potrà superar i 4 mesi, prorogabili solo in casi eccezionali. La privacy sarà tutelata anche attraverso la creazione di un “Archivio riservato” delle intercettazioni irrilevanti (in quanto estranee alle indagini) e illegali, al quale potranno accedere solo alcuni soggetti, con un sistema di rintracciabilità degli stessi. Ad autorizzare le intercettazioni non sarà più il Gip monocratco ma un organo collegiale. I processi in corso non saranno toccati dalla nuova disciplina. Il Ddl sarà esaminato venerdì al Consiglio dei ministri e la base di partenza saranno i Ddl Mastella e Castelli. Badanti escluse dalla confisca delle case La norma sulle confische degli appartamenti affittati agli stranieri irregolari potrebbe essere modificata con un emendamento che dovrebbe essere votato oggi dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia. Prevede, in sostanza, di essere applicata nei casi di stranieri “privi di titolo di soggiorno” con un’interpretazione estensiva che dovrebbe salvare non solo le badanti che vivono nella stessa abitazione del datore di lavoro, ma anche quelle che vivono per conto proprio in appartamento e hanno, per esempio, fatto la domanda per il decreto flussi ma non sono rientrate nel provvedimento. Non dovrebbe passare poi la richiesta leghista di inasprire i poteri ai sindaci previsto dal decreto. Da martedì 17 il decreto sarà votato e lunedì scade la presentazione degli emendamenti. Filippo Berselli ha ritirato il suo emendamento contro la prostituzione mentre resta l’altra norma contestata dell’aggravante di pena per chi commette un reato ed è anche clandestino.

( a cura di Daniele Memola)