Ass culturale insolitaguida visita ai quartieri spagnoli e case chiuse
Napoli ologrammi in movimento - fondazionecircoloartistico.it · Esco, con un progetto di...
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Napoli ologrammi in movimento Composizioni e dissipazioni in un labirinto della mente
Napoli è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive,
come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una
Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l’altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare.
Curzio Malaparte
Napoli: non ci si può vivere, ma forse non si vive senza di lei,
forse questa città non rinascerà mai ed è condannata a stare in
questo limbo, dove attrazione e repulsione coincidono e il progetto
di fuga coincide con il ritorno.
Sempre ultima in tutte le classifiche virtuose del sole 24 ore, ma
poi qui si possono trovare echi e storie che la situano in testa a una
graduatoria intangibile che non è indicata in nessuna lista e
conosciuta da chi è capace di “vedere” le orme degli uccelli in
volo e sente le note tra le ombre.
Voglio raccontare un giorno, qualsiasi a Napoli, uno qualunque
ma sempre diverso, scendo nei quartieri per farlo.
Per vedere quello che ho già visto però in un altro colore del
giorno, per cogliere le variazioni, le sfumature del quadro in
movimento della rete dei suoi vicoli.
Esco dalla mia casa.
Si tratta di una parte del Convento di San Francesco al Monte, del
1600, che si trova in Corso Vittorio Emanuele.
Nella mia casa vivevano, in quel tempo, le monache di clausura e
molti altri ci sono passati.
Scendo lungo i grandi scaloni del palazzo e lascio le ombre con le
infinite sfumature della notte.
Le visite di Monacelli, gli scricchiolii, i colpi provenienti da
lontano, ogni tanto, anche a notte fonda, fuochi d’artificio come
messaggi di festa o codici per avvisi rivolti a chissà chi, e anche
qualche nota musicale, almeno mi sembra così nel silenzio
profondissimo della notte.
Ho l’impressione ora, mentre cammino piano, di essere nel crinale
tra la realtà del sogno che toccavo poco, fa e il sogno reale che già
comincio a fare.
Esco, con un progetto di smarrimento, nel labirinto dei quartieri
spagnoli per arrivare “altrove”continuando una narrazione della
memoria, ma la condizione è che “devo” perdermi.
I quartieri risalgono al 1536, sono pieni di negozietti di artigiani,
bar, salumerie, trattorie dove si possono gustare specialità in
ambienti semplici, anche prevalentemente puliti, contrariamente a
quanto si crede.
In questo panificio ci sono due giovani donne con un grembiule
bianco che fanno pizzette e dolci e un profumo di pane appena
uscito dal forno.
Lo smarrimento contiene l’attesa dell’inaspettato e sono sicuro che
in ogni vicolo troverò una sorpresa.
In via teatro nuovo un gruppetto di donne fuori di casa, sedute
parlano fitto, con ogni tanto urla e mimica forte; più avanti il
laboratorio di Ludovico un sarto anziano, uno degli ultimi forse di
questi artigiani che stanno diventando ricordi e nostalgia.
Poi una porta chiusa dove sino a pochi anni fa viveva un venditore
di candele magiche, il cavalier Lisi, contro il malocchio.
Lo ricordo: ho assistito a dispute tra lui e certe clienti sulle sue
candele, gli effetti, la tecnica, o meglio i riti, da seguire per farle
funzionare e i motivi quando non funzionavano, in altre parole
quando non realizzavano l’effetto sperato.
In un altro vicolo quattro ragazzi mi guardano, uno di loro ha uno
sguardo intenso, profondo e triste, è come se volesse parlarmi.
Sono aperte le case, spazi privati improvvisati sulla strada,
un’estensione della propria casa che diventa una grande rete
sociale calda, avvolgente, invadente, c’è una confusione logica di
“frontiere” che si mischiano, con la musica come legame.
La frontiera qui rappresenta uno spazio che non appartiene a
nessuno, ma è anche di entrambe le parti coincidenti.
Il confine è un territorio che può essere amichevole o
drammaticamente ambiguo, generoso o invadente. I confini sono
sempre ambivalenti e complessi.
Una donna fa scendere un cestino di vimini azzurro con una fune
dal balcone e il fruttivendolo lo riempie urlando qualcosa mentre
passa veloce un ragazzo che vende giornali per strada.
Occhi che sento addosso come denti, rifiuti accantonati, qualcuno
urla da qualche parte, cappelle con foto di morti e con fiori,
bigliettini con scritti ricordi e parole d’amore, immagini sacre,
amuleti, oggetti: sensazione di leggero pericolo sempre possibile.
Passo davanti a un “basso” e non posso evitare di guardare
all’interno.
Una grande camera con l'angolo cottura e un bagno, un
arredamento variopinto dove prevale il color rosso, con alla parete
un poster che rappresenta un giocatore di calcio, si chiama
Maradona, e la famiglia che fa colazione, mi arriva il profumo
forte del caffè buono.
Più avanti sbircio in un altro basso: un vaso pieno di fiori finti, al
centro del tavolo, sul letto una bambola con l’abito di pizzo, un
poco torbida e inquietante come tutte le bambole, sul comò
qualche fotografia d’altri tempi di volti di una volta.
Cammino e ascolto così vedo.
Poi immagino l’altrove nel tempo.
Entro nel palazzo Cammarota in via Santa Maria Ognibene al
numero 35, dove aveva vissuto Leopardi un periodo della sua vita.
Provo a immedesimarmi, divento lui che entra nella sua casa,
chiudo gli occhi e provo a giocare con la mente, mentre il portiere
interrompe la pulizia del cortile e mi guarda insospettito.
Poi, esco e scendo ancora verso il centro.
Un altro portone è aperto, entro e sbocco in un grande patio pieno
di sole.
In un angolo ricurvo un vecchio che, “sommerso” da una
“montagna” di fiori, sta componendo, con pazienza, splendidi
mazzi.
Mi avvicino e gli chiedo con tono imbambolato cosa stia facendo.
Lui alza gli occhi e con naturalezza risponde che sta lavorando,
poi chiedo se i fiori li venda e, lui, dicendo “volesse o’ Maronna”,
e mi consegna un mazzo dicendo che me lo regala.
Una ragazza, dal volto bellissimo, ha seguito la scena dalla
finestra mi sorride con naturalezza ospitale.
Ringrazio ed esco con i fiori in mano.
All’angolo della via, un’anziana prostituta mi chiede di fermarmi
qualche minuto, la ringrazio e preciso che ho un appuntamento al
bar Gambrinus e sono in ritardo, lei insiste e mentre continuo a
camminare, quando oramai sto per svoltare, sento che con aria
malinconica mi dice: “ facitilo almeno per cortesia”.
C’è colore e calore, continuo a sentirmi in qualche modo
privilegiato di questo che (mi) succede, e ne sono consapevole,
“sento” i rumori forti, gli odori, il disordine cromatico che balza
agli occhi, la luce intensa con spazi bui che poi diventano
improvvisamente luce, nei palazzi cadenti, che conservano mille
rivoli di narrazioni possibili.
Sono risalito nel viaggiare senza meta tranne quella del caso.
Ora sono in Via Trinità delle Monache al grande edificio
"l'Ospedale Militare", che risale al 1536. Fu fondato da donna
Vittoria de Silva, monaca del convento di " S. Gerolamo delle
Monache". Sull'altare maggiore si trovano due splendidi quadri:
"La S.S.Trinità che incorona la Vergine " e "I Santi della Santa
Fede".
In una delle cappelle laterali è, inoltre, rappresentata una
"Immacolata con i S.S.Francesco e Antonio"di Battistello
Caracciolo. Esco e arrivo in via S. Liborio e “incontro” Filumena
Maturano di Eduardo De Filippo.
Provo a immaginare che sia in questo basso e che sia proprio
questa giovane seduta e pensosa.
Ora deciso di andare in Piazza Trieste e Trento per visitare il
circolo artistico.
Questo è un altro luogo memorabile; nato nel 1888, l’anno in cui
morì Fernando Pessoa.
Mi ricordo una sua poesia che si lega con quest’atmosfera e il mio
vagheggiare:
Quel che mi duole non è quello che c'è nel cuore.
Ma quelle cose belle che mai esisteranno.
Sono le forme senza form ache passano senza che il dolore
le possa conoscere, o sognarle l'amore. Come se la tristezza fosse albero e,
una a una le sue foglie cadessero tra il sentiero e la bruma.
Anno pieno di eventi il 1988: la promulgazione dell’enciclica
Libertas di Leone XIII; è fondata la National geografic society; si
brevetta il grammofono e il nastro della macchina per scrivere; il
brasile abolisce la schiavitù e nasce la prima ferrovia in cina. E
appunto, in quest’anno, sorge il circolo artistico che ancora vive,
anche se è rinato molte volte e anche ora sta facendolo.
Per questo trasuda storia e atmosfere se si è capaci di seguire le
tracce intangibili della memoria, appunto, ma di una memoria che
sia non solo cumulativa, ma generativa segni per il futuro.
Penso che il futuro, soprattutto a Napoli, abbia bisogno di passato,
e che questo potrebbe essere possibile se s’imparasse una nuova
grammatica: quella che si conosceva.
Giungo alla Pignasecca, dove c’è uno dei mercati più tipici di
Napoli.
Il termine"Pignasecca" si rifà a una credenza popolare: un vescovo
fece affiggere sul tronco di un pino una bolla di scomunica e,
appena il foglio fu appoggiato all'albero, questo si seccò di colpo.
Sono dentro un caleidoscopio, in una mattina piena di ologrammi
emotivi, dove composizione e dissipazione fanno da cornice al
tempo che passa e arriva.
Come il solito trova una carta da gioco rovesciata sulla strada.
La raccolgo: è una donna di fiori, mi capita spesso, da anni
oramai, di trovare carte da gioco, rovesciate, mi capita ovunque.
Forse anche questo appartiene al mondo della noosfera che avendo
frontiere intangibili entra in questo e prova a parlare di se, come
questi muri e queste strade che hanno la memoria celata tra storie
perse nel tempo, ma che può rivelarsi, se si fanno le domande
giuste.
Non ci sono tracce visibili perché i ricordi sono persi tra questi
vicoli e queste case, nelle chiese e nelle pieghe del tempo, ma
L’identità chiede di svelarsi per esprimere con più intensità
l’anima.
Ecco, ho finito sto entrando nel palazzo del circolo artistico: il
viaggio continua.