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WWW.DEMOCRATICA.COM PAGINA 2 Il rebus Consultazioni Al via i colloqui del Presidente della Repubblica per formare il governo: si prevedono tempi lunghi, ancora liti M5s-Lega n. 158 martedì 3 aprile 2018 “Anche se sapessi che domani il mondo andrà in pezzi, vorrei comunque piantare il mio albero di mele” (Martin Luther King, assassinato il 4.4.1968) PAGINA 5 Salvini, pasdaran di Putin che non serve all’Italia RUSSIA PAGINA 6 PAGINA 4 La guerra commerciale è solo all’inizio Martina: “Incompatibili con destra e 5 stelle” USA-CINA PARTITO DEMOCRATICO P erché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono gli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri fra i campi, ai prati e alle radure - insieme alla natura? (Milan Kundera, La lentezza, 1994) E se andare controcorrente si rivelasse la mossa azzeccata? Già, perché correre sempre a perdifiato nella politica italiana è diventata un’ossessione. Figlia senz’altro della frenesia generale del nostro tempo, certamente, ma anche forma subalterna e schiava dell’irragionevolezza. Elogio della lentezza presidenziale L’EDITORIALE /1 Mario Lavia SEGUE A PAGINA 2 G li ultimi dati statistici Istat ed Eurostat confermano che l’economia italiana è uscita dal 2017 ed è entrata nel 2018, appena prima del voto dello scorso 4 marzo, a buona andatura. Anzi, una andatura più che buona considerando i trend del passato del nostro Paese. La produzione industriale, dopo essere aumentata del 3,5% nel 2017 (dati corretti per i giorni lavorativi), è cresciuta secondo l’Istat del 4% a gennaio 2018 rispetto a gennaio 2017. E secondo le stime di Confindustria la crescita tendenziale della produzione è stata poi del 4,1% a febbraio e del 3,6% a marzo. La crescita minacciata dalle ricette populiste L’EDITORIALE /2 Marco Fortis SEGUE A PAGINA 3 Rebus da www.giocando.com/rebus - Soluzione “Bruma notturna”

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PAGINA 2

Il rebusConsultazioni Al via i colloqui del Presidente della Repubblica per formare il governo: si prevedono tempi lunghi, ancora liti M5s-Lega

n. 158martedì3 aprile

2018

“Anche se sapessi che domani il mondo andrà in pezzi, vorrei comunque piantare il mio albero di mele” (Martin Luther King, assassinato il 4.4.1968)

PAGINA 5

Salvini, pasdaran di Putin che non serve all’Italia

RUSSIA

PAGINA 6PAGINA 4

La guerra commerciale è solo all’inizio

Martina: “Incompatibili con destra e 5 stelle”

USA-CINAPARTITO DEMOCRATICO

Perché è scomparso il piacere della lentezza? Dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo? Dove sono gli eroi sfaccendati delle canzoni

popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle? Sono scomparsi insieme ai sentieri fra i campi, ai prati e alle radure - insieme alla natura? (Milan Kundera, La lentezza, 1994)E se andare controcorrente si rivelasse la mossa azzeccata? Già, perché correre sempre a perdifiato nella politica italiana è diventata un’ossessione. Figlia senz’altro della frenesia generale del nostro tempo, certamente, ma anche forma subalterna e schiava dell’irragionevolezza.

“Elogio della lentezzapresidenziale

L’EDITORIALE /1

Mario Lavia

SEGUE A PAGINA 2

Gli ultimi dati statistici Istat ed Eurostat confermano che l’economia italiana è uscita dal 2017 ed è entrata nel 2018, appena

prima del voto dello scorso 4 marzo, a buona andatura. Anzi, una andatura più che buona considerando i trend del passato del nostro Paese. La produzione industriale, dopo essere aumentata del 3,5% nel 2017 (dati corretti per i giorni lavorativi), è cresciuta secondo l’Istat del 4% a gennaio 2018 rispetto a gennaio 2017. E secondo le stime di Confindustria la crescita tendenziale della produzione è stata poi del 4,1% a febbraio e del 3,6% a marzo.

“La crescita minacciata dalle ricette populiste

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2 martedì 3 aprile 2018

Elogio della lentezza (note su Mattarella)

Forse è il momento di rallentare. Di cantare l’elogio della lentezza come metodo politico. In parole povere: è que-sta l’arma segreta di Sergio Mattarella alle sue prime consultazioni post-elezioni.

Se la velocità fa rima con modernità, di contro la len-tezza si intreccia con la memoria. Lasciamo ancora par-

lare Kundera: “C’è un legame segreto fra lentezza e memo-ria, fra velocità e oblio. Prendiamo a delle situazione più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli fugge. Al-lora, istintivamente, rallenta il passo ..”

E infatti non a caso la lentezza politica riman-da alla memoria di avvenimenti passati, all’an-damento appunto lento delle discussioni e delle trattative di tanti anni fa, quando per esempio le consultazioni del capo dello Stato poteva-no durare settimane, addirittura mesi. Al con-trario, negli anni a noi più vicini si faceva tut-to in quattro e quattr’otto, e non solo perché le elezioni davano indicazioni inequivoche grazie al simil-maggioritario ma anche per una sorta di frene-sia che prendeva un po’ tutti, dai Presidenti ai cittadini comuni ai giornali compassati - chi non ricorda il leggenda-rio “Fate presto” del Sole 24Ore.

Ma stavolta si cambia. Quanto durerà questa crisi? Quanti gior-ni impiegherà Mattarella per risolverla? Pochi scommettono che il tutto si chiuderà entro aprile (anzi, c’è anche chi prevede che non si chiuderà affatto) e i più prevedono metà maggio, se va bene. O forse anche oltre, se necessario. Pur senza arrivare agli eccessi del Belgio - 541 giorni senza governo! - non è scontato che senza un nuovo inquilino a palazzo Chigi il Paese sia destinato alla rovina: meglio meno ma meglio, scriveva uno che di fretta ne aveva anche troppa come Lenin.

A quanto pare, il Presidente sa bene che il giro di consultazioni che inizia mercoledì non porterà a molto. Mattarella ascolterà tut-ti (mezz’ora al massimo per ciascuno) con il garbo che gli italiani hanno imparato a apprezzare e abbastanza silenzioso: non sta a lui esprimersi, d’altronde. Più che parlare si accinge a chiedere: che cosa pensate di fare in questa situazione nella quale nessuno ha i

numeri per governare? E di certo, sarà attento, il Presidente, cari-co di un’esperienza politica che ha ben pochi paragoni, a cogliere i più piccoli segnali di novità da questo o da quello - politici per lo più giovani, all’esordio nelle vesti di leader, lontanissimi dalla sua cultura politica.

Quindi dovrebbe concludere questo primo giro con una pausa di riflessione nel weekend; e la settimana prossima dare vita ad un secondo giro di consultazioni. A quel punto, se non ritenesse del tutto diradate le nebbie, Mattarella potrebbe affidare un incarico a una personalità, o forse un pre-incarico (come quello che Napolita-

no diede a Bersani: verifica se hai la maggioranza e vieni da me a riferire).

Dopodiché c’è il buio. L’incaricato potrebbe fare anch’egli uno o due giri di colloqui con i partiti o

anche solo con alcuni di essi. Potrebbe riuscire nell’intento, e quindi tornare al Quirinale per sciogliere la riserva. O al contrario, potrebbe rinunciare, così che il Presidente si troverebbe costretto ad affidare l’incarico ad un’altra per-sonalità magari dopo un altro giro di giostra; e il tempo passerebbe.

Ma la lentezza occorre - manzonianamente - per sopire, troncare. O per meglio dire, smussare

gli angoli, trovare convergenze, fossero anche non parallele, condurre passo passo due ambiziosi come

Di Maio e Salvini a incontrarsi o forse provare a far se-dere tutti intorno ad un immaginario tavolo politico per un

esecutivo in qualche modo “terzo”.Una crisi lenta, dunque, come una volta. Come certe crisi del-

la fine degli anni Settanta - periodo di grandi convulsioni sociali e politiche - con ripetute cadute dei governi e sempre con l’arzillo Mariano Rumor in pista: si ricorda il luglio del ‘69 trascorso nel cal-do di Roma a discutere intorno al cosiddetto “tavolo degli esperti” per definire uno straccio di programma. E ancora Rumor cadde il 3 ottobre del 1974, aprendo una crisi che si chiuderà soltanto 51 giorni dopo, con l’insediamento del quarto esecutivo a guida Aldo Moro. Nella tarda stagione del pentapartito, De Mita fu costretto a lasciare da Craxi (e da qualcuno dei suoi): e ci vorranno addirittura 64 giorni per trovare una soluzione (toh, Andreotti). Ma la crisi più drammatica doveva ancora venire, nel 1992: Il 28 giugno nascerà il primo governo guidato da Giuliano Amato, 66 giorni dopo l’inse-diamento delle nuove Camere. Il record da battere. Ma Sergio Mat-tarella non ha fretta, e fa bene.

Politica

Mario LaviaSegue dalla prima

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Stavolta darsi tempi più lunghi

può essere la carta vincente

del Presidente

4Aprile

5Aprile

10,30 Presidente del Senato Elisabetta Casellati11,30 Presidente della Camera Roberto Fico12,30 Presidente emerito Giorgio Napolitano16,00 Per le Autonomie (SVP-PATT, UV)16,45 Gruppo Misto del Senato17,30 Gruppo Misto della Camera18,30 Fratelli d’Italia Rampelli, Bertacco e Meloni

10,00 Pd, Marcucci, Delrio, Martina e Orfini.11,00 Forza Italia, Bernini, Gelmini e Berlusconi.12,00 Lega, Giorgetti, Centinaio e Salvini. 16,30 Cinque Stelle, Toninelli, Grillo e Di Maio

3 martedì 3 aprile 2018

La crescita minacciata dai populisti

Sempre a gennaio 2018 il fatturato dell’industria rilevato dall’Istat è aumentato tendenzialmente del 5,3% e la produzione delle costru-zioni del 7,6%. Non solo: l’export italiano è cresciuto del 9,5% ri-

spetto a gennaio dello scorso anno, cioè di più delle esportazioni degli altri maggiori Paesi UE, come, ad esempio, Olanda (+9,4%), Germania (+8,8%), Francia (+8,7%), Polo-nia (+4,4%), Spagna (+3,2%) e Regno Unito (+0,7%).

I critici delle politiche economiche degli ultimi due Governi a guida PD possono ar-gomentare che l’Italia dopo la lunga crisi 2008-2013 sconta ancora profondi disagi so-ciali ed occupazionali. Ma non possono cer-to negare che l’economia e la stessa occupa-zione si siano riprese in modo significativo. Ciò non significa che ci si debba compiacere dei risultati raggiunti o ignorare l’esistenza di un diffuso malcontento tra la popolazio-ne italiana, specie al Sud. Ma è fondamen-tale mettere dei punti fermi nell’analisi del-la situazione economica del Paese, specie in tempi come quelli di oggi dove i dati di fatto vengono stravolti continuamente da ogni sorta di fake news o dalle sceneggiate dei talk show. D’altronde, nessuno è ancora riuscito a dimostrare che con ricette alter-native agli 80 euro, al taglio dell’Irap lavo-ro, al super-ammortamento, all’Industria 4.0, al reddito di inclusione, ecc., cioè con le misure avviate in questi ultimi anni, altre ipotetiche compagini governative di diver-so orientamento politico avrebbero saputo far di meglio nel rilanciare l’economia. E soprattutto è da capire dove esse avrebbero potuto eventualmente reperire più risorse da destinare al contrasto della povertà sen-

za scassare i conti pubblici. In uno scena-rio fantascientifico, è del tutto evidente che mettendo a repentaglio l’onorabilità del de-bito pubblico italiano anche i Governi Ren-zi e Gentiloni avrebbero potuto introdurre una flat tax al 15% o regalare a milioni di persone il reddito di cittadinanza. Ma que-sta, appunto, è fantascienza, non economia.

L’economia reale, invece, è quella dei crudi numeri. Che ci dicono che il PIL per abitante dell’Italia negli ultimi anni non era mai aumentato dell’1,6% come è accaduto nel 2017 se non nel lontano 2006. E che nel-la nostra storia per ritrovare una crescita maggiore di questo indicatore di be-nessere pro capite bisogna ad-dirittura risalire al +1,7% del 2001. Considerata la pecu-liare crescita demografica negativa dell’Italia de-gli ultimi anni e quella positiva della maggior parte delle altre nazio-ni europee più avanza-te, è altresì importante sottolineare che nel 2017 il PIL per abitante italia-no è aumentato solo un po’ meno di quello tedesco (+1,8%) e di più di quelli di Da-nimarca (+1,5%), Francia (+1,4%), Belgio (+1,2%), Regno Unito (+1,1%) e Svezia (+1%).

Ancor più significativo è il dato compara-to della crescita dei consumi privati per abi-tante. Se consideriamo i 10 più grandi Paesi dell’Unione Europea (cioè escludendo Lus-semburgo e Irlanda) con i più alti PIL pro capite, è innegabile che l’effetto combinato degli 80 euro, dell’eliminazione della tassa sulla prima casa e della crescita occupazio-nale e dei redditi spinta dal Jobs Act e dalle decontribuzioni abbia molto giovato all’Ita-lia. Infatti, tra i suddetti dieci Paesi l’Italia è

stata prima per crescita dei consumi privati nel 2015, terza nel 2016 e di nuovo prima nel 2017. Non era mai accaduto che il nostro Paese facesse registrare una simile perfor-mance dei consumi per abitante negli ulti-mi ventuno anni, cioè da quando esistono le serie storiche Eurostat complete per tutte le nazioni analizzate. In particolare, i con-sumi privati pro capite sono aumentati in Italia dell’1,5% nel 2017, cioè più che in Ger-mania (+1,4%), Olanda (+1,3%), Finlandia (+1,3%), Regno Unito (+1,1%), Svezia (+1%), Danimarca (+0,9%), Francia (+0,7%), Belgio (+0,7%) e Austria (+0,7%). Evidentemente

le politiche economiche avviate nel nostro Paese dai Governi Renzi

e Gentiloni, tra l’altro senza pregiudicare i conti pub-

blici anzi stabilizzandoli, sono servite a qualcosa. E magari un giorno ciò sarà loro riconosciuto.

Quanto alle ferite so-ciali, occupazionali e ter-ritoriali ancora aperte,

a cui la semplice ripresa aggregata dell’economia

italiana non ha potuto dare una completa risposta, consi-

derati anche i vincoli di bilancio esistenti, è ora tutto da vedere se esse

troveranno adeguato lenimento nelle fanta-siose politiche economiche senza copertura finanziaria promesse dalle realtà politiche uscite vincenti dalle ultime elezioni. Sareb-be un vero peccato se gli sforzi di riforma e di rilancio dell’economia faticosamente so-stenuti dall’Italia in questi anni fossero mes-si a repentaglio da decisioni azzardate che non solo ci porrebbero fuori dall’Europa ma che non risolverebbero nemmeno i proble-mi strutturali che sono alla base del disagio dei ceti sociali ancora sofferenti.

Economia

Marco FortisSegue dalla prima

Le politiche

economiche avviate da Renzi

e Gentiloni hanno dato i loro frutti

L’economia reale è migliorata: nel 2017 il Pil per abitante è cresciuto come non accadeva dal 2006

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4 martedì 3 aprile 2018Partito democratico

Martina: “Incompatibili con destra e 5 stelle”

“So che siamo in un momento difficile, ma io non credo che il Pd sia destinato all’estinzione. Credo invece in un lavoro che

possa rilanciarci, perché il Pd ha ancora una funzione fondamentale per il Paese”. Lo ha detto Maurizio Martina, ospite questa mat-tina di Circo Massimo su Radio Capital.

Per Martina “spetterà a noi giocarci bene questa responsabilità. Io credo nella ripar-tenza”.

Per questo il reggente fissa anche dei tem-pi, “almeno un anno che ci consenta di ri-mettere a fuoco i fondamentali del nostro progetto e ripartire” perché “l’esito eletto-rale non può essere rimosso, rilanceremo il progetto dell’attività parlamentare all’oppo-sizione e nel Paese per fare quel lavoro di

riorganizzazione delle idee e di presenza sul territorio”.

La linea politica rimane quella sancita in Direzione e votata da tutto il Pd: rimanere all’opposizione per ripartire. “Non c’è pos-sibilità per noi di dialogare con destra e Sal-vini – ha spiegato Martina-. Ci sono punti so-stanziali di differenza tra noi e loro”.

La stessa distanza c’è con il Movimento di Di Maio, per il segretario del Pd “una que-stione innanzitutto di merito. Ad esempio non ho capito dove vuole portare l’Italia il M5s dentro la partita europea”.

Quanto ai rumors che in giornata hanno parlato di un possibile slittamento dell’As-semblea del Pd, interpellato dai giornali-sti alla Camera il segretario ha assicurato: “L’assemblea nazionale sarà convocata a breve dal presidente Orfini e si terrà entro il mese di aprile”, anche perché, ha spiegato, la data non può slittare oltre per “obblighi statutari”.

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“Per ripartire il Pd torni tra la gente”Le voci dei territori

Tra di noi in tanti hanno indicato uno dei motivi della sconfitta nella litigiosità dentro e fuori il Pd, una litigiosità che ha causato rabbia, delusione, e anche noia. Adesso dobbiamo tornare a essere quel Partito Democratico nato con l’intento di cambiare il Paese, di aiutare le persone stando però tra loro, parlando e ascoltando tutti. Tocca a noi, ai circoli riportare quell’entusiasmo e quel coraggio che serve ad affrontare i grandi temi dei nostri territori. Dobbiamo tornare con i piedi per terra, alla realtà, solo così potremo diventare di nuovo punto di riferimento del Paese. Apriamo le porte dei nostri circoli, creiamo aggregazione, luoghi di discussione e soprattutto torniamo a coinvolgere i giovani, che è ciò che davvero manca nei territori. Solo così facendo recupereremo l’elettorato, ma soprattutto recupereremo credibilità.

Monica VittoneCircolo Cuorgnè in Canavese

Dobbiamo tornare con i piedi per terra e coinvolgere giovani

Abbiamo perso, è un dato di fatto. Siamo stati chiusi in noi stessi, troppo concentrati nelle nostre beghe interne per avere il tempo e la voglia di ascoltare gli umori ed i bisogni dei nostri concittadini. Siamo arrivati al punto di non ritorno. Ora abbiamo due strade davanti: una comoda discesa che porta all’oblio totale, oppure una difficile risalita. A noi la scelta. La soluzione può partire dal basso: apertura dei circoli con orari precisi, ascolto dei cittadini ed aiuto nella soluzione dei loro problemi, organizzazione di eventi sui problemi del territorio che mettano al primo posto l’ascolto. Servono persone pronte a ad andare fra la gente, ad ascoltare e anche a dare risposte. Ma soprattutto dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle persone. Dobbiamo essere più empatici e meno didattici, e dobbiamo saper ascoltare.

Ada Pozzi Circolo San Benedetto del Tronto Nord

La soluzione può partire dal basso e dall’ascolto

Molti hanno spiegato benissimo perché sostenere un governo 5 Stelle sarebbe un suicidio politico. Quello che mi colpisce è questa mistica del ricongiungimento col nostro (presunto) popolo. C’è un 50% (la metà) del Paese dimenticato, che non ha scelto Di Maio, né Salvini, non ha ceduto alla lusinga populista, nè xenofoba, non si riconosce nel vaffa, probabilmente cerca risposte più serie a problemi complessi. Forse perché non urla, non schiuma rabbia, questo non sembrerebbe “popolo” degno di essere rappresentato. Per me bisognerebbe ripartire da lì, mantenendo accesa la fiammella di una speranza. Oggi, con lo strumento di una opposizione seria e costruttiva, che è un’altra cosa necessaria, come il governo, in una democrazia che funziona. Altro che “Aventino”. Dobbiamo essere più empatici e meno didattici, e dobbiamo saper ascoltare.

Luciano CrollaCircolo Pd Arenella

Ripartiamo dal 50% del Paese che non ha scelto i populisti

5 martedì 3 aprile 2018

Salvini, pasdaran di Putin che non serve all’Italia (e all’Europa)

Un ultrà putiniano si aggira per l’Europa. Al cospetto del quale pure l’eterno amico e fedele compagno di avventure Silvio Berlusconi arrossisce. Si tratta di Matteo Salvini, leader del partito che vuole diventa-re egemone nel centrodestra e che vuole guidare il prossimo governo italiano. Con questi intenti: “Appe-

na sarò a Palazzo Chigi toglierò le assurde sanzioni alla Russia che stanno causando un danno incalcolabile all’economia italiana”. Un programma ideologico, prima ancora che politico ed economico.

Che ben si concilia con le frasi pronunciate da alcuni politici russi dopo la vittoria elettorale di Cinque Stelle e Lega lo scorso 4 marzo. Leonid Slutsky, uno dei più potenti deputati russi, nonché presidente della Commissione Esteri della Duma, sostiene che l’a-vanzata delle forze populiste e anti-europeiste permetterà “ai rap-porti russo-italiani di svilupparsi in modo costruttivo”. Il motivo? E’ semplice: sia la coalizione di centrodestra sia il M5S, afferma Slut-sky, “invitano al rafforzamento del partenariato con la Russia e alla cancellazione delle sanzioni illegali dell’Ue”. Il parlamentare, infat-ti, bolla come “illegali” le sanzioni di Bruxelles contro Mosca, ma non le azioni che le hanno scatenate: l’annessione russa della Cri-mea e il sostegno militare del Cremlino ai separatisti del Donbass.

È proprio qui che sta la differenza tra la sfida di governo che s’immagina Salvini e quella che invece avevano messo in campo gli esecutivi a guida Pd. “La posizione italiana è molto semplice - diceva Matteo Renzi nel corso di un incontro con Vladimir Putin a San Pietroburgo quando era presidente del Consiglio - le sanzioni non si rinnova in maniera automatica ma, o c’è un giudizio su quello che sta accadendo, o di-ventano ordinaria amministrazione”. Una posi-zione seria, non ideologica, che aveva contribu-ito a fare dell’Italia uno degli attori più ascoltati in Europa su questa vicenda. Ora Salvini, alme-no a parole, vuole ribaltare il registro, prendere una posizione netta (onorando l’accordo siglato tra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin), inevi-tabilmente acuire lo scontro ed esporre il nostro Paese in maniera del tutto avventata.

“A causa della sanzioni contro la Russia, le nostre imprese perdono 10 miliardi di export”. Quante volte il leader della Lega ha pronunciato questa frase? Innumerevoli. E ancora oggi insiste con questa teoria. Dei motivi per cui Mosca è oggetto di sanzioni da parte dell’Unione Europea (non entriamo qui nel campo del-le sanzioni americane) non fa mai cenno. Parla solo di questi 10 miliardi persi dalle imprese italiane. Una cifra smontata da un ec-

cellente fact-checking dell’Agi, che ridimensiona le cifre citate da Salvini e imputa il calo dell’export

non solo alle sanzioni ma anche al rallentamen-to dell’economia russa verificatosi negli ultimi anni. Tanto che nel 2017, a sanzioni ancora in essere, l’export italiano verso la Russia è torna-to a crescere.

La questione delle sanzioni alla Russia è tutt’altro che un tema semplice. Riguarda gli

equilibri politici ed economici non solo di un Pa-ese ma di un intero continente. C’è il Gruppo Vi-

segrad, che declina la propria ostilità alla Russia sia sotto il profilo delle politiche energetiche sia sotto il

profilo delle scelte militari, sotto l’ombrello della Nato. C’è la Germania e il progetto Nord Stream 2, il gasdotto che dovreb-

be collegare Mosca e Berlino passando sotto il Baltico, ci sono le pressioni americane, il ruolo di Macron in Europa. Un’Europa che finora ha avuto bisogno di una posizione equilibrata come quella italiana per evitare derive in un senso o nell’altro. E a cui invece non serve un altro “gallo” in un pollaio fin troppo rumoroso.

Russia-Italia

Stefano Cagelli CONDIVIDI SU

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Il leader della Lega porta il dibattito sulle sanzioni alla Russia sul piano ideologico

La posizione equilibrata

dell’Italia negli ultimi anni aveva

contribuito ad evitare derive

6 martedì 3 aprile 2018

La guerra commerciale tra Usa e Cina è solo all’inizio

Le trattative, evidentemente, non sono andate a buon fine. I col-loqui sottotraccia che, secondo molti analisti, avrebbero dovuto evitare il progredire della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina

sono stati spazzati via dalle ultime mosse sia di Donald Trump che di Xi Jinping, segretario del Partito Comunista Cinese e presidente del-la Repubblica. Il governo della superpotenza asiatica ha infatti annunciato l’operatività dei dazi su 128 beni importati dagli Usa, tra cui car-ne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari, in risposta alla “stretta protezioni-stica” decisa dall’amministrazione americana su acciaio e alluminio. Le tensioni commer-ciali tra Washington e Pechino si stanno ri-percuotendo sui mercati globali, preoccupati per il rischio di escalation. Anche perché sono in molti a pensare che siamo solo all’inizio.

La stretta di Trump su alluminio e acciaio

Il mese scorso Donald Trump ha firmato alla Casa Bianca il provvedimento che impo-sto i dazi al 25% sull’acciaio e al 10% sull’allu-minio importato. Una decisione che ha fatto seguito all’imposizione della stessa misura sui pannelli solari. Misure chiaramente rivol-te contro la Cina. Esigenze di sicurezza na-zionale, questo il motivo principale utilizzato dall’amministrazione per giustificare una tale mossa. Sotto accusa le “pratiche commercia-li ingiuste” che hanno decimato le industrie Usa del settore, causando la perdita di 94mila posti di lavoro. In particolare, “i sussidi della Cina e la sua continua sovracapacità sono le radici della crisi”.

La risposta cinese, un messaggio biunivoco

Pechino non ha affatto gradito le stretta imposta da Trump. Il ministro del Commer-cio cinese ha parlato delle misure decise da-

gli Usa contro acciaio e alluminio come di un “abuso delle clausole di sicurezza” del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, e colpiscono seriamente il principio della non discriminazione nel sistema multilaterale del commercio. Di qui la decisione di definire, il 23 marzo scorso, i beni target da colpire in risposta alle politiche americane. Le misure sono entrate in vigore il 2 aprile: una doppia serie di dazi, al 15% su 120 beni, tra cui la frutta come mele e man-dorle, e al 25% su carne di maiale e derivati per un valore nel 2017 di 1,1 miliardi di dollari, che fanno della Cina il terzo mercato Usa di riferimen-to.

Sono in molti però a pensa-re che dietro questa risposta di Pechino vi sia un atteggiamento biuni-voco, se non benevolo. Vengono infatti colpiti settori non vitale per l’economia americana, mentre vengono esclusi prodotti di vitale im-portanza come tutto il mondo dell’alta tecno-logia. La Cina sembra quindi voler dire agli Usa che non è disposta ad assistere inerme allo show imposto da Trump ma, al tempo stesso, tende la mano per evitare che lo scon-tro si possa trasformare in qualcosa di non recuperabile. Una freccia nell’arco di Xi Jin-ping, per esempio, potrebbe essere quella del blocco delle importazioni di rifiuti che devo-no essere riciclati in Cina. Ma Washington ha già minacciato una catastrofica ripercussione sull’economia mondiale se questo dovesse ac-cadere.

Le prossime mosse americaneNonostante la minaccia dell’escalation,

l’amministrazione Usa sembra già proiet-tata al passo successivo. Lo scontro è infatti destinato ad inasprirsi – e secondo qualcuno a trasformare quelle che sono ancora della scaramucce in una vera e propria guerra – sull’approvazione attesa da parte di Trump di

altre misure fino a 60 miliardi di dollari, che includono 1.300 beni importati dalla Cina, tra telecomunicazioni, hi-tech e aerospazio. Il concetto che Trump vuole colpire è quello del “furto di proprietà intellettuali” messo in atto regolarmente da Pechino.

Il 22 marzo The Donald ha firmato il “Presidential memorandum”

sulle azioni contro “le leggi, le politiche, le pratiche cinesi

in materia di tecnologia, proprietà intellettuale e innovazione”. Entro gio-vedì 5 aprile il segretario al Commercio Wilbur Ross renderà noto l’e-lenco dei beni colpiti, per

50-60 miliardi di dollari. Inoltre sempre Ross dovrà

istruire “azioni contro la Cina” in sede di Wto, mentre il

segretario al Tesoro, Steven Mnu-chin, studierà “restrizioni sugli investi-

menti delle aziende cinesi negli Stati Uniti”. Tutti e due dovranno riferire al presidente il 22 maggio. Difficile, se non impossibile, pen-sare a una marcia indietro improvvisa.

Il doppio binario con Mosca:commerciale e diplomaticoIn tutto questo, sta cominciando a muover-

si anche Mosca. Viktor Yevtukhov, vicemini-stro dell’Industria e del Commercio, ha fatto sapere che la Russia a iniziato a sviluppare misure di risposta agli Stati Uniti, introdu-cendo dazi reciproci (“che saranno istituiti a breve”) e sottolineando che si rivolgerà al tri-bunale del Wto, “come faranno altri Paesi”. Parallelamente, ne, sembrava essersi riaper-to il canale diplomatico tra la Casa Bianca e il Cremlino, con Trump che aveva fatto filtrare l’ipotesi di un incontro con Putin a Washin-gton o in un luogo neutro. Ipotesi che però sembra essere tramontata dopo lo scontro legato all’espulsione di 60 diplomatici russi, poi corrisposto da Mosca, nel contesto della vicenda del tentato omicidio dell’ex spia rus-sa Sergei Skripal.

Mondo

Con la stretta di Trump

e la risposta di Pechino siamo solo all’inizio

dell’escalation

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7 martedì 3 aprile 2018

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8 martedì 3 aprile 2018

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