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Maria Concetta Di Natale

Il Museo Diocesanodi Palermo

FLACCOVIO EDITORE

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Grafica Dario Taormina

Fotografie, Enzo Brai, Palermo

Proprietà artistica e letteraria riservata all’Editore a norma della Legge22 aprile 1941, n. 633. È vietata qualsiasi riproduzione totale o parziale anche a mezzo di fotoriproduzione, Legge 22 maggio 1993, n. 159.

ISBN 88-7804-295-1

www.flaccovio.com [email protected]

© 2006 copyright by S. F. Flaccovio s.a.s. - Palermo, via Ruggero Settimo, 37

Stampato in Italia - Printed in Italy

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Il Museo Diocesano di Palermo

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Introduzione

Nel presentare il catalogo della Mostra allestita nel salone Filangieri del PalazzoArcivescovile nella primavera del 1998, così scrivevo: «è questa dunque una occa-sione che si offre alla Città per ricordare le tappe fondamentali di un percorso dellospirito umano le cui varie componenti di un’arte legata alla fede e alla devozione soloun Museo Diocesano può significativamente proporre: …Ex sacris imaginibusmagnum fructum…».

Silenziosamente, da quel momento i lavori – sia quelli di restauro architettonico edi adeguamento dei locali (compreso il rinvenimento e la sistemazione delle areearcheologiche), sia quelli riguardanti la catalogazione, lo studio, la selezione delleopere da esporre presenti nei nostri depositi – sono continuati a pieno ritmo, e l’e-sortazione latina dei padri conciliari tridentini sopra citata campeggia oggi su unaparete nella sala di accoglienza del Museo Diocesano, riaperto dopo 22 lunghianni grazie ai concomitanti sforzi di progettisti, maestranze, tecnici e dirigentidella Soprintendenza, della Prof.ssa Maria Concetta Di Natale e dei suoi collabo-ratori, introducendo il percorso espositivo e ricordando a noi ed ai visitatori l’im-portantissimo ruolo ricoperto dalle immagini e dalle suppellettili sacre che conser-viamo, non solo per il culto e l’evangelizzazione, ma anche per la cultura e la sto-ria del territorio.

Il nostro Museo vuole difatti proporsi come «strumento di evangelizzazione cristia-na, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di frui-zione artistica, di conoscenza storica», secondo gli auspici della Lettera circolaredella Pontificia Commissione per i BB.CC. della Chiesa su La funzione pastoraledei musei ecclesiastici (15 agosto 2001).

Peraltro, facciamo tesoro di quanto il Santo Padre Giovanni Paolo II, di veneratamemoria, in occasione della sua visita al Parlamento italiano (14 novembre 2002),ebbe a dire, dando forza al nostro discorso: «Già negli anni degli studi a Roma e

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poi nelle periodiche visite che facevo in Italia come Vescovo, specialmente durante ilConcilio Ecumenico Vaticano II, è venuta crescendo nel mio animo l’ammirazioneper un Paese in cui l’annuncio evangelico, qui giunto fin dai tempi apostolici, hasuscitato una civiltà ricca di valori universali ed una fioritura di mirabili opere d’ar-te, nelle quali i misteri della fede hanno trovato espressione in immagini di bellezzaincomparabile. Quante volte ho toccato, per così dire, con mano le tracce gloriose chela religione cristiana ha impresso nel costume e nella cultura del popolo italiano, con-cretandosi anche in tante figure di Santi e di Sante il cui carisma ha esercitato uninflusso straordinario sulle popolazioni d’Europa e del mondo. Basti pensare a SanFrancesco d'Assisi ed a Santa Caterina da Siena, Patroni d’Italia».

Se è vero che l’opera d’arte comunica un messaggio, ci auguriamo che ogni fruito-re ben disposto riceva serenità e pace interiore, ed impari, sull’esempio di Abra-mo che ospita senza saperlo Dio apparso sotto forma di tre angeli, il valore civilee cristiano dell’accoglienza, che sta dietro le due raffigurazioni dell’episodio bibli-co che aprono e chiudono non a caso l’esposizione.

Mons. Giuseppe RandazzoDirettore Museo Diocesano

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CRITERI MUSEOLOGICI

PER UN MUSEO D’ARTE CRISTIANA

Il Museo Diocesano è quel sito privilegiatoche consente di offrire alla pubblica fruizio-ne significativi capolavori d’arte sacra, chenarrino la storia della fede, della cristianadevozione e della variegata espressione arti-stica di una Diocesi. Sembra idealmente ri-collegarsi agli indirizzi della Controriforma,sicché sia possibile anche oggi trarre ex om-nibus sacris imaginibus magnum fructum...1,frase emblematica scelta come filo condut-tore del Museo Diocesano di Palermo2. Nel-la Lettera circolare sulla funzione pastoraledei Musei ecclesiastici del 5 agosto 2001 si ri-corda infatti che “nel periodo post tridenti-no quando il ruolo della Chiesa in ambitoculturale fu rilevante, il Cardinale FedericoBorromeo, Arcivescovo di Milano (…), con-cepì la sua collezione di pittura come luogodi conservazione e nello stesso tempo comepolo didattico aperto ad un pubblico sele-zionato. Per questo le affiancò la BibliotecaAmbrosiana nel 1609 e nel 1618 l’Accade-mia di pittura, scultura e architettura e nepubblicò nel 1625 un catalogo il Musaeon,inteso però in senso squisitamente illustrati-vo. In tali iniziative, che riprendono model-li di mecenatismo tipici dell’aristocrazia deltempo, è evidente l’integrazione tra Biblio-teca, Museo e Scuola, per realizzare un pro-getto formativo e culturale unitario”3.Legandosi al passato e aprendosi al presen-te il Museo Diocesano oggi, come notaMons. Giancarlo Santi, “è pensato comeuno strumento ecclesiale che, utilizzando inmodo originale strumenti e tecniche di co-municazione tradizionali, faciliti il dialogotra le generazioni contigue e, più in profon-dità, con le generazioni che nel corso dei se-

coli hanno comunicato a noi la fede. Anchein una società che diventa sempre più aper-ta verso tutte le culture, senza conoscere ap-parentemente limiti geografici o culturali, ilnuovo che fa leva sui linguaggi artistici, puòdiventare uno straordinario e nuovissimostrumento di comunicazione a dimensioneinternazionale”4.Se da un lato un Museo Diocesano deve ar-ticolarsi e proporsi come un moderno conte-nitore di opere d’arte, disposto secondo i piùconsolidati criteri scientifici, le più aggiorna-te teorie museologiche e le più recenti tecni-che espositive, deve altresì chiaramente pre-sentarsi e distinguersi come un luogo pro-priamente idoneo a contenere, conservare eoffrire lo spaccato di fede cristiana di un am-pio arco di tempo in cui si è sviluppata la sto-ria sia dei committenti, ora nobili famiglie,ora alti prelati, ora importanti congregazionireligiose o laicali, sia degli artisti, ora pittorie scultori, ora maestri di arti decorative di-verse, sia dei devoti fruitori.La ricordata lettera circolare sottolinea co-me questo Museo sia “intimamente legato alvissuto ecclesiale, poiché documenta visibil-mente il percorso fatto lungo i secoli dallaChiesa nel culto, nella catechesi, nella cultu-ra e nella carità (…), documenta l’evolversidella vita culturale e religiosa oltrechè il ge-nio dell’uomo”; e continua “il Museo eccle-siastico può diventare il punto di riferimen-to principale attorno a cui si anima il proget-to di rivisitazione del passato e di riscopertadel presente negli aspetti migliori e talvoltasconosciuti”. “I beni culturali, infatti, inquanto espressione della memoria storica,permettono di riscoprire il cammino di fedeattraverso le opere delle varie generazioni.Per il loro pregio artistico rivelano la capaci-tà creativa degli artisti, artigiani e maestran-

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ze locali che hanno saputo imprimere nelsensibile il proprio senso religioso e la devo-zione della comunità cristiana”5.Il percorso cronologico contestuale tra le di-verse tipologie di opere d’arte si presenta,pertanto, come il criterio espositivo più ido-neo per le varie collezioni del Museo, con-sentendo sia una generale percezione delloscorrere e del conseguente mutare nel tem-po dei gusti e degli stili, sia la ricomposizio-ne ideale della Chiesa d’origine o di prove-nienza, dove tutte le svariate opere d’artecompresenti svolgevano singolarmente ecomplessivamente precise funzioni, nell’in-tento di ricreare il messaggio univoco del-l’arte cristiana. Non si deve, infatti, dimenti-care, come nota Gianni Carlo Sciolla, che,“in taluni periodi storici come quello dellaControriforma, la funzione devozionale-di-dattica delle immagini assume una centrali-tà rinnovata per il loro carattere di propa-ganda e di persuasione sia a livello indivi-duale che collettivo”6.Di fondamentale importanza diviene per-tanto fornire informazioni, in maniera chia-ra e sintetica, circa il luogo di provenienzadell’opera esposta, corredandola, ove possi-bile, con fotografie relative alla chiesa d’ori-gine, qualora ancora esistente, o di vecchieimmagini, stampe, dipinti, foto storiche, chela raffigurano, nonché, auspicabilmente e amaggior ragione, della cappella dove eraubicata, in modo da tracciarne ab origine l’i-tinerario attraverso secoli di storia e cristia-na devozione. Come nota ancora Sciolla, “inun Museo l’oggetto viene distaccato dallasua cornice originale, viene isolato o inseritoin una sequenza artificiosa con altri oggetti ecambia la sua illuminazione”7. Nei pannellididattici che devono accompagnare e guida-re discretamente il visitatore, è opportuno,

dunque, fornire non soltanto nozioni stori-co-artistiche, ma anche notizie legate al di-venire devozionale dell’opera esposta, allasua iconografia e al messaggio iconologico, anotizie agiografiche e al locale culto dei San-ti di volta in volta raffigurati. Fondamentalirisultano ancora le fotografie relative ai re-stauri, documentando le fasi del prima e deldopo, sottolineando così importanti recupe-ri e fermando nella memoria immagini talo-ra devotamente care pur nelle loro pesantiridipinture. Informazioni utili da fornire alvisitatore sono anche le eventuali esposizio-ni di opere a importanti mostre che ne han-no consentito una più globale fruizione eapprofondita conoscenza, i cui risultati ac-quisiti divengono strumento di corretta di-vulgazione. L’architetto museografo che sioccupa dell’allestimento deve porre tuttaviamolta attenzione che gli apparati didatticisiano posti in secondo piano, che non diven-tino prevaricanti rispetto alle opere d’arte,vero protagonista dell’esposizione8, nei con-fronti delle quali devono assolvere solo aduna funzione di supporto. Le informazionifornite al visitatore devono aiutare a com-prendere quel legame che c’è tra le genti delpassato e quelle del presente, come a diveni-re il luogo, per dirla con Walter Benjamin,di un “appuntamento misterioso fra le gene-razioni che sono state e la nostra”9.Le opere d’arte mobile in genere e le suppel-lettili liturgiche, in particolare, trovano ido-nea sede espositiva nei Musei Diocesani, co-me pure in Tesori di Cattedrali (ovvero insintesi nei Musei Ecclesiastici), dove, cometutte le diverse opere d’arte decorativa delMuseo, vanno inserite nello specifico percor-so cronologico insieme ai dipinti e alle scultu-re, e dove peraltro possono esserne apposita-mente delucidate le primarie funzioni liturgi-

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che e le variazioni tipologiche nel tempo.Dalle sale espositive, inoltre, possono taloraessere momentaneamente prelevate per unpiù proprio uso, aderente all’originaria desti-nazione, in occasione di celebrazioni liturgi-che particolarmente solenni. Non a casoGianni Carlo Sciolla nota che “la funzione li-turgica di un’opera d’arte è collegata alla suaspecifica finalità nell’ambito delle cerimoniereligiose”10.Il Museo Diocesano di Palermo, dopo lun-ghi anni di forzata chiusura al pubblico, of-fre oggi ai visitatori una mirata selezione diopere d’arte delle sue prestigiose collezioni,accompagnate da pannelli esplicativi e foto-grafici in cui sono fornite preziose indicazio-ni che consentono l’unitaria riappropriazio-ne di estesi brani di fede, storia e arte chesembravano perduti. Vengono a tale scopofornite anche immagini delle sale espositivedel Museo Diocesano così come si presenta-va nell’allestimento degli anni venti-quaran-ta dovuto a Mons. Guido Anichini e cin-quanta-settanta curato da Mons. FilippoPottino11, riesumando pagine di vita cittadi-na del secolo scorso da tempo dimenticate.“Un museo ecclesiastico – per citare ancorala ricordata lettera circolare del 2001 – si ra-dica sul territorio, è direttamente collegatoall’azione della Chiesa ed è il riscontro visi-bile della sua memoria storica. Non si ridu-ce alla semplice raccolta di antichità e curio-sità, come intendevano nel RinascimentoPaolo Giovio e Alberto Lollio, ma conserva,per valorizzarle, opere d’arte e oggetti di ca-rattere religioso. Un museo ecclesiatico nonè neppure il Mouseion, ovvero il tempio del-le Muse, nel senso etimologico del termine(…), ma è l’edificio nel quale si custodisce ilpatrimonio storico-artistico della Chiesa. In-fatti anche tanti manufatti che non svolgono

più una specifica funzione ecclesiale conti-nuano a trasmettere un messaggio che le co-munità cristiane viventi in epoche lontanehanno voluto consegnare alle successive ge-nerazioni”12.

LA STORIA DEL MUSEO

Il Museo Diocesano di Palermo fu fondatonel 1927 dal Cardinale Alessandro Lualdi(1904-1927), il cui ritratto è attualmenteesposto nella Sala Azzurra del primo pianodel Museo. Il presule aveva attuato così l’o-rientamento di Papa Pio XI che, integrandole disposizioni di Papa San Pio X, avevapromosso l’istituzione di tali Musei d’artecristiana legata al culto, destinati a racco-gliere quel materiale artistico che rischiavadi andare perduto nelle chiese in abbando-no. Il Museo era inaugurato in occasione del“festino” in onore di Santa Rosalia e la pri-ma direzione fu affidata a Mons. Guido Ani-chini13.Il nucleo iniziale delle opere del Museo Dio-cesano di Palermo era costituito soprattuttodalle numerose sculture che decoravano laCattedrale della città prima della ristruttura-zione progettata da Ferdinando Fuga, tristefrutto della cultura dell’epoca, e che eranoprecariamente ammassate nei sotterraneidella chiesa e del Palazzo Arcivescovile14. Lostesso Anichini scriveva a proposito dellaCattedrale: “la smania delle cupole fece sa-crificare il carattere basilicale del tempio,che perdette all’interno il suo aspetto antico(…). Con gli elementi forniti dallo sventura-to del maggior tempio palermitano, si è ingran parte costituito il Museo Diocesano diPalermo”15. Tra questi sono gli straordinaribassorilievi marmorei provenienti dalla fa-

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mosa tribuna di Antonello Gagini e aiuti(fig. 1), nonché altri, tra cui mensoloni, figu-re simboliche e diverse decorazioni a marmimischi (fig. 2), così caratteristiche dell’artesiciliana e che avevano dato una particolareimpronta nel XVII secolo alla Cattedrale.Questa in quel periodo si caratterizzò conelementi tipici dell’arte barocca più specifi-catamente siciliana, tuttavia senza che venis-sero distrutti splendidi complessi artistici deisecoli precedenti, come appunto la concaabsidale con la tribuna gaginiana e il coro li-gneo quattrocentesco, commissionato dal-l’arcivescovo barcellonese Nicolò Pujades(1466-67). Erano pure raccolti nel Museo di-

versi frammenti scultorei di mausolei di arci-vescovi, già nello stesso Duomo (fig. 3). No-ta ancora Mons. Anichini: “Dopo l’inconsul-to rifacimento del Duomo, a cui lasciò il pro-prio nome Ferdinando Fuga, una parte con-siderevole di marmi era stata depositata neisotterranei della Cattedrale, dell’Incoronatae del Palazzo Arcivescovile: erano frammen-ti preziosi di eleganti cappelle, di mausoleiarcivescovili, della celebre tribuna del Gagi-ni (….). Può bene immaginarsi in che statosono tornate alla luce dopo un secolo e mez-zo di indecoroso oblio”16. In questo momento iniziale di formazionedel Museo, la scultura era dunque maggior-

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Fig. 1 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala (C) della Rinascenza.

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mente presente rispetto alla pittura e agli al-tri settori delle arti, ma si raccoglievano an-che i materiali artistici diversi asportati dal-le chiese in demolizione a causa degli sven-tramenti subiti dal centro storico palermita-no già dalla fine dell’Ottocento.Appoggiavano il Cardinale Lualdi nella suaopera l’allora Soprintendente alle Belle ArtiFrancesco Valenti e il Direttore del MuseoNazionale di Palermo Enrico Brunelli, cui sideve il passaggio al Museo Diocesano dellemattonelle maiolicate già raccolte da Mons.Bartolomeo Lagumina.Il Museo constava del vestibolo e, come no-tava lo stesso Anichini, “nelle sale terrene

erano stati collocati i marmi più pesanti: pri-meggia tra questi il grande capitello corintiosul quale Antonello Gagini posava, nelloscolpirle, le sue divine Madonne”17 (fig. 4),della scala ornata da stemmi arcivescovili,tra cui quello con l’aquila del CardinaleGiannettino Doria (1607-1642), iscrizioni emattonelle maiolicate, che portava alla saladel lucernaio, che esponeva lapidi sepolcra-li, come quella dell’Arcivescovo SimoneBeccadelli di Bologna (1445-1465). Nel se-condo piano, in una sala e nella stanza delladirezione erano esposti quadri di diversoperiodo storico, nella sala detta della ‘Rina-scenza’, sculture prevalentemente della bot-

Fig. 2 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala (A) dei marmi.

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tega gaginiana (fig. 5), come quelle già nellacappella di Santa Cristina, insieme ad altredi secoli diversi, nella sala detta della ‘Pittu-ra classica’ dipinti di vario periodo storico,dal XV al XVIII secolo, in quella della ‘Pit-tura del Settecento’ dipinti di questo secolo,in un’altra sculture decorative delle demoli-te cappelle della Cattedrale, tra cui il bustodell’Arcivescovo Giovanni Lozano (1669-1677) disegnato da Paolo Amato e scolpitoda Antonio Anello, “fiancheggiato da undrappeggio a grande rilievo di stile baroccomolto ricco e di effetto” e alcuni paliotti ri-camati18 (figg. 6-7-8). “Il 14 luglio del 1927veniva solennemente inaugurato il MuseoDiocesano di Palermo con l’intervento delcompianto Card. Lualdi, di Mons. Filippi

Arcivescovo di Monreale, di Mons. Lagumi-na, Vescovo di Girgenti, del Podestà di Pa-lermo, On. Di Marzo, e di una schiera di ar-tisti e di cultori e amatori d’arte della città diPalermo” e Mons. Anichini stesso parlava“delle origini e degli scopi di esso; metterecioè al sicuro tanto patrimonio d’arte e distoria, che potrebbe per tanti motivi esserein pericolo di dispersione, e tenere in mostrai documenti delle benemerenze della Chiesanella vita civile”19. Fissava in quel periodocosì solo due delle funzioni del museo dio-cesano: la conservazione e l’illustrazione.Alla fine della II Guerra Mondiale il MuseoDiocesano di Palermo era pressoché inesi-stente e fu il Cardinale Ernesto Ruffini(1945-67) che si preoccupò di farlo risorge-

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Fig. 3 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala F.

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re, affidandone la direzione a Mons. FilippoPottino. Questi, oltre a recuperare le preesi-stenti opere d’arte, portate in diversi rifugidurante il periodo bellico, raccolse molti di-pinti che, cautamente ricoverati a San Mar-tino delle Scale prima dei bombardamenti,non trovarono più le chiese d’origine ovetornare, perché distrutte o danneggiate oabbandonate.Si provvide poi ad ampliare i locali già desti-nati al Museo, divenuti insufficienti. Il mate-riale così raccolto, dopo un necessario re-stauro, venne esposto e il Museo aperto alpubblico il 21 giugno 1952, con una inaugu-razione in occasione del Concilio PlenarioSiculo20 (figg. 9-10).Nella nuova disposizione del Museo, de-scritta nella Guida di Mons. Pottino, non siutilizzava più la vecchia scala e si costruivaun ingresso più grande nel secondo cortiledel Palazzo Arcivescovile. I marmi più pe-santi erano esposti nel cortile e negli am-bienti del piano terreno del precedente in-gresso. La nuova scala era pure ornata damarmi, ferri battuti e dipinti.Al primo piano era la direzione del Museo,la sala dedicata allo “Zoppo di Gangi”, cheraggruppava opere dei secoli XVI, XVII eXVIII, la ‘sala del Settecento siciliano’, cheesponeva dipinti di tale periodo, la ‘sala diSanta Rosalia’ che raccoglieva quelli di di-versi secoli raffiguranti la Santa patrona diPalermo, che veniva coerentemente eviden-ziata da parte di una istituzione museale, co-me quella della Diocesi, particolarmente at-tenta alle devozioni cittadine.Si saliva poi, tornando indietro, al secondopiano, dove nell’ampia e luminosa ‘sala deiTrittici’, erano esposte preziose tavole deisecoli XII-XVI. Seguiva la ‘sala di Santa Ce-cilia’, che conteneva dipinti del XV e XVI

secolo (fig. 11), come pure la successiva ‘sa-la dei velluti’, in cui erano anche esposti vel-luti di seta con ricami d’argento di diversoperiodo. La progressione di queste lumino-se sale terminava con quella dedicata a ‘Pie-tro Novelli’, in cui erano pure riunite operedei suoi allievi e altre. Si passava poi per lasuggestiva loggia (fig. 12), realizzata per col-legare i vecchi ai nuovi locali del Museo, chesi affacciava su due cortili del Palazzo Arci-vescovile, dove erano esposte statue gaginia-ne e anche mattonelle maiolicate. Seguiva la‘sala dei Gagini’ (fig. 13), con sculture laura-nesche, opere di Domenico Gagini e botte-ga e con diversi frammenti marmorei dellasmembrata tribuna di Antonello Gagini del-la Cattedrale (fig. 14). Si tornava alla pittura

Fig. 4 - Il Museo Diocesano nel 1927, vestibolo.

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del Cinquecento con la ‘sala di Mario diLaurito’ (fig. 15), ove non erano raccoltetutte le sue opere esposte al Museo e checonteneva anche altro materiale artistico,come interessanti sculture lignee e paliottiricamati non coevi. Nella successiva ‘sala diSant’Agata’, oltre al fercolo processionalecon la statua lignea della titolare, erano visi-bili ancora dipinti del Settecento siciliano ediverse opere d’arte decorativa, come scul-ture lignee dorate e reliquiari d’argento (fig.16). Nella seguente ‘sala del Vasari’ erano,insieme ad altre opere d’arte, due opere delfamoso artista toscano, in deposito dal 1927e recentemente passate alla Galleria Regio-nale della Sicilia di Palazzo Abatellis. Nella‘sala del Barocco’ (fig. 17) erano poi ricom-

posti alcuni brani scultorei già facenti partedi mausolei arcivescovili del Duomo, pavi-menti di mattonelle maiolicate e altre opere.Per uscire era necessario rivisitare alcune sa-le, fino a quella di Mario di Laurito, da do-ve si scendeva nel cortile attraverso la scalapreesistente, sul cui pianerottolo erano rac-colti alcuni progetti di trasformazione e re-stauro della Cattedrale21.Mons. Filippo Pottino si rendeva conto del-la complessiva mancanza di un ordine cro-nologico globalmente coerente nel Museo:“quanto alla disposizione nei vari ambientisono state tenute presenti esigenze di rag-gruppamenti, seppure in modo approssi-mativo, sia per difficoltà opposta alla distri-buzione e capacità dei locali, che delle con-

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Fig. 5 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala (C) della Rinascenza.

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Fig. 6 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala della direzione.

Fig. 7 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala (D).

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dizioni di luci, nondimeno, pur sacrifican-do talvolta cronologie, scuole e pause spa-ziali, v’ha qualche raggruppamento omoge-neo in successione cronologica”22. L’esposi-zione museografica di Mons. Pottino, infat-ti, per i tempi in cui era stata realizzata, sipuò considerare come un ben riusciutosforzo organizzativo, sia per la collocazionedelle opere nelle ampie e luminose sale dal-le grandi finestre, che offriva talora scorcisuggestivi, come nella loggia delle statue,sia per la varietà e la qualità del materialeesposto che veniva così portato alla cono-scenza del pubblico. Accanto, infatti, alleopere cosidette di “arte maggiore” Mons.

Pottino aveva sistemato e valorizzato di tan-to in tanto anche quelle, ormai solo conven-zionamente definite “d’arte minore”, graziea una moderna e aperta sensibilità artisticache lo distingueva e in linea con quella cheera la specifica funzione dei Musei Diocesa-ni, nati proprio per accogliere anche mate-riali d’arte decorativa, come le suppellettililiturgiche legate al culto. Dopo il 1952, come scrive Mons. PaoloCollura, successivo direttore del Museo,“ragioni di carattere economico impediva-no che il Diocesano rimanesse aperto alpubblico”, malgrado nel 1965 fosse statoinserito dal Ministero della Pubblica Istru-

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Fig. 8 - Il Museo Diocesano nel 1927, Sala E.

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Fig. 9 - Il Museo Diocesano nel 1952: inaugurazione. Fig. 10 - Il Museo Diocesano nel 1952: inaugurazione.

Fig. 11 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala di Santa Cecilia.

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Fig. 12 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Loggiadelle statue.

Fig. 13 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala dei Gagini.

Fig. 14 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala deiGagini.

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zione nella categoria dei “Grandi Museid’Italia”23. In seguito, scrive ancora questi,“il clamoroso furto del Caravaggio”, avve-nuto nella notte tra il 17 e il 18 ottobre1969, “impose la necessità di trasportarecon urgenza al Diocesano le numerose ope-re d’arte che si trovavano nelle chiese chiu-se al culto”24. Così dal 1970 al 1972 Mons.Collura raccoglieva numerosi prodotti arti-stici che venivano restaurati per la maggiorparte dalla Soprintendenza competente enel 1972 il Museo, ancora una volta più ric-co di opere d’arte, in particolare di pitturasiciliana, veniva riaperto al pubblico con

una nuova inaugurazione, promossa dalCardinale Salvatore Pappalardo (1970-1996) (figg. 18-19-20).La mancanza di fondi e di personale e i con-tinui guasti alle strutture dell’edificio co-stringevano Mons. Collura a chiudere il Mu-seo, pur continuando a lavorarvi e a racco-gliervi materiale artistico, prendendone an-che in deposito da chiese, ove per momenta-nee contingenze sarebbe rimasto a rischio.Mons. Paolo Collura lasciava tuttavia il Mu-seo sempre accessibile a studiosi e studenti. Ilocali venivano riaperti saltuariamente peruna più vasta fruizione, anche con l’organiz-

Fig. 15 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala di Mario di Laurito.

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zazione di visite guidate, in concomitanza conle Rassegne del Sacro nell’Arte25, che si teneva-no periodicamente nel Palazzo Arcivescovile.Il Museo manteneva ancora, intorno agli an-ni Ottanta, la sistemazione riportata nellaGuida di Mons. Filippo Pottino nel 1969,che ripeteva pressappoco l’ordinamento del1952, con gli ampliamenti di materiale e levariazioni che Mons. Paolo Collura avevapotuto qua e là apportare.A metà degli anni Ottanta del XX secolo siiniziavano i restauri del secondo piano delPalazzo Arcivescovile, dove, in ambienti ade-guatamente ristrutturati dall’Arch. Salvatore

Forzisi e dall’Ing. Francesco Siragusa, eranotrasferiti gli uffici già al piano terra26.Negli anni Novanta gli stessi procedono allanuova sistemazione degli ambienti del pianoterreno, di quello seminterrato e del pianonobile, i cui splendidi saloni di ricevimentodel Palazzo erano stati destinati dal Cardina-le Salvatore Pappalardo con illuminata lungi-miranza a sale museali, sotto la guida del nuo-vo direttore del Museo Diocesano, Mons.Giuseppe Randazzo. La trifora, restaurata27

(fig. 21), si pone come emblematico simbolodel Palazzo Arcivescovile, segno della restitu-zione alla città di Palermo del suo Museo

Il Museo Diocesano di Palermo

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Fig. 16 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala di Sant’Agata.

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La storia del Museo

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Diocesano che, insieme alla Galleria Regio-nale della Sicilia di Palazzo Abatellis, consen-te di completare la visione della storia dell’ar-te palermitana e, nello specifico, dell’arte cri-stiana. La trifora, gotico-catalana, insieme alportale durazzesco, di ispirazione napoleta-na, sono le uniche parti superstiti della primi-tiva facciata del Palazzo, voluto nel 1452 dal-l’Arcivescovo Simone di Bologna (1445-1465), di cui recano lo stemma, completatonel 1460 con chiara matrice culturale iberi-ca28. Lo stemma interno al portone è dell’Ar-civescovo Didaco Haedo (1589-1603). Dal 1991, con la collaborazione del Dott.

Maurizio Vitella, prima, e del Dott. Pier-francesco Palazzotto, poi, l’inventario delleopere del Museo è stato verificato e infor-matizzato, l’archivio fotografico è stato rior-dinato e i volumi della Biblioteca, speciali-stica nel settore storico-artistico, arricchitadalla cospicua e continua donazione di testidel Cardinale Salvatore Pappalardo, ed oggianche del Cardinale Salvatore De Giorgi,sono stati catalogati.Essendo stati ultimati gli scavi archeologici,emersi nel corso dei lavori degli anni 1991-92, guidati dalla Dott. Carmela Angela DiStefano, e degli anni 1999-2000, dalla Dott.

Fig. 17 - Il Museo Diocesano dopo il 1952, Sala del Barocco.

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Francesca Spatafora,29 per conto della com-petente Soprintendenza, e definiti anche irestauri del piano seminterrato e di quelloterreno, si è proceduto ad una temporaneaesposizione, per la ferma volontà della So-printendente Dott. Adele Mormino, checonsente di offrire una generale significativacampionatura del ricco e vario patrimoniodel Museo attraverso i secoli. Si resta tutta-via in fiduciosa attesa che si possano com-pletare i restauri del piano nobile del Palaz-zo Arcivescovile, ampliando il percorso conaltre stanze, come l’interessante salone dalcaratteristico pavimento maiolicato, prove-niente da una villa settecentesca di Bagheria,e la cappella affrescata da Guglielmo Borre-mans (figg. 22-23), ambiente prestigiosoquest’ultimo, il cui motivo d’interesse con-tribuirà ad aumentare l’importanza della visi-ta al patrimonio artistico raccolto nel Museo,

non appena sarà completato l’ultimo lottodei restauri programmati da tempo. Non acaso Maurizio Calvesi scriveva in proposito:“Eccezionale è certamente (...) la cappella af-frescata dal Borremans, che andrà promossaal rango di una delle più preziose gemmed’arte della città di Palermo; ariosa e turbi-nante di cristiana letizia, nella flagranza e fra-granza dei colori, nell’attacco impeccabile eaereo di un passo come di danza, così garba-tamente avvitato e Rococò”30. Fu l’Arcivesco-vo Matteo Basile (1731-36), negli anni 1733-36, a commissionare al Borremans gli affre-schi della sala adiacente il torrione trecente-sco, poi trasformata in cappella dal Cardina-le Ruffini, nonché delle altre sale del pianonobile sul lato della Cattedrale, di cui sono ri-emersi brani, che lasciano sperare ulteriorirecuperi31. Lo stemma dell’Arcivescovo Basi-le è dietro l’altare della cappella; di fronte

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Fig. 18 - Il Museo Diocesano nel 1972: inaugurazione. Fig. 19 - Il Museo Diocesano nel 1972: inaugurazione.

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Il percorso museale

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compare quello del Cardinale AlessandroLualdi (1906-1927), nella parete di sinistraquello del Cardinale Ruffini (1945-67). Dopo il completamento dei lavori a curadell’architetto della Soprintendenza LinaBellanca32, un altro architetto della Stessa,Marilù Miranda, progettava un allestimento“rispettoso del manufatto monumentale incui veniva realizzato, tanto da permettere lavisione contemporanea sia dell’architetturadell’edificio contenitore, che delle opered’arte in esso esposte”33.Il Museo Diocesano così apre di nuovo isuoi battenti per la prima volta agli alboridel terzo millennio, in occasione del XXX

anniversario di episcopato del CardinaleSalvatore De Giorgi Arcivescovo di Paler-mo. Sono in questa fase di esposizione prov-visoria separate forzatamente le sculturemarmoree e i materiali lapidei diversi, comei marmi mischi, o le mattonelle maiolicate,esposti nel piano seminterrato, dai dipintipresentati nel piano terreno, contestualmen-te alle diverse opere d’arte decorativa, man-tenendo così solo parzialmente l’intento diriproporre l’unitarietà dei diversi settorid’arte compresenti nelle chiese d’origine e illoro unitario messaggio di fede cristiana at-traverso i secoli.Il Direttore del Museo, Mons. Giuseppe

Fig. 20 - Il Museo Diocesano nel 1972: inaugurazione. Fig. 21 - La Trifora gotico-catalana del Palazzo Arci-vescovile.

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Il Museo Diocesano di Palermo

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Fig. 22 - Cappella Borremans.

Fig. 23 - Guglielmo Borremans, Adorazione dei Magi, 1733-34, affresco, Cappella del Palazzo Arcivescovile.

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Sala dei fondi aurei. Pittura a Palermo dal XII al XV secolo

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Randazzo, in occasione dell’inaugurazione,nota che “l’antica sede vescovile si apre cosìalla città ed acquista una rinnovata funzionedi polo culturale, di luogo istituzionale incui arte e fede, in un connubio estetico e pa-storale, convivono con il precipuo scopo direndere visibili grandi capolavori del passa-to e far meditare il visitatore del presente suquanta devozione ha motivato la realizzazio-ne di questo patrimonio”34.

IL PERCORSO MUSEALE

Supportato, per dirla con Gianni CarloSciolla, dai criteri “della nuova scienza mu-seologica, che insieme alla museografia (… )si è prefissa l’indagine storica sulle collezio-ni, sulle varie forme e finalità dell’istituzionemuseo e quindi anche delle modalità dellafruizione delle opere che conserva”35, il Mu-seo Diocesano tende a proporre un percor-so cronologico che contestualmente esponeopere d’arte di settori diversi per riproporneil messaggio globale originario. L’attuale percorso espositivo del Museo, perquanto provvisorio e non ancora completo,consente di focalizzare l’attenzione su uncomplesso notevole di opere d’arte cristianache hanno bisogno di tutto l’interesse e l’a-morevole cura dei più diretti fruitori perchépossano continuare a vivere e perché il loromessaggio possa essere trasmesso alle gene-razioni future. “L’accesso al museo ecclesia-stico – pertanto – richiede una particolarepredisposizione interiore poiché qui si ve-dono non soltanto cose belle, ma nel bello siè chiamati e invitati a percepire il sacro”36.Si offre quindi una panoramica delle più si-gnificative opere del Museo dal XII al

XVIII secolo, scelte tra quelle in migliorestato di conservazione, poiché molte sonobisognose di urgente restauro. Sarebbe au-spicabile, infatti, che ai finanziamenti relati-vi agli ultimi progetti della ristrutturazionedei locali del piano nobile del Palazzo Arci-vescovile, se ne aggiungessero altri destinatial restauro delle opere. Inevitabile peraltro èstata la selezione di quelle più emblematicheattraverso il tempo a causa dell’attuale limi-tazione degli spazi espositivi. Se, come nota-va Mons. Anichini, “fra le regioni d’Italia, laSicilia è forse quella che presenta maggiorvarietà di manifestazioni nel campo dell’ar-te, recando l’impronta delle varie civiltà edelle genti diverse che, col succedersi dei se-coli, passarono per la bella Trinacria”37, ilMuseo Diocesano riesce, tuttavia ad offrirneun interessante, ricco e variegato spaccato.

SALA DEI FONDI AUREI

PITTURA A PALERMO DAL XII AL XV SECOLO

Superata la prima sala d’accoglienza in cui ètemporaneamente esposta la tela con la De-scrizione del Distretto della Parrocchia di S.Nicolò all’Albergheria fatta nell’anno 1749,pregevole testimonianza della topografia del-la città nel XVIII secolo con i relativi edificiecclesiastici, in parte ormai perduti, e i pan-nelli didattici con le notizie storiche sul mu-seo, si accede alla Sala II (fig. 24), dalla qua-le inizia il percorso attraverso l’arte cristianadi Palermo dall’età normanna con il mosaicodel XII secolo raffigurante la Madonna oran-te, già detta Madonna della Luce (fig. 25),proveniente dalla Cattedrale della città38. Pu-re dal Duomo provengono la colonnina tor-tile e il frammento di fregio in calcarenite co-evi (fig. 26), frammenti di decorazioni archi-

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tettoniche, i cui elementi caratterizzanti,quali ad esempio le palmette tripunte, richia-mano quelle analoghe non solo degli ornatidei mosaici, ma anche dei codici miniati del-l’epoca39. Sarebbe opportuno affiancare que-sti frammenti architettonici della Cattedrale,nonché il codice miniato, significativamenteproveniente dallo scriptorium dello stessoDuomo al tempo di Gualterio “Protophami-liaros” del Re, Arcivescovo di Palermo dal1168 al 1193, poi conservato presso l’Archi-vio storico Diocesano, che attualmente, permotivi di spazio, sono allocati nella grandevetrina all’interno della scala della sala dellatrifora40. L’Epistolarium, codice membrana-ceo, presenta diverse iniziali miniate stretta-mente affini a quelle del Liber Cantus Choridella Biblioteca Nazionale di Madrid, che Fi-lippo V di Spagna portò con sé a Madrid,nonché stilizzate aquile, droleries e elementidecorativi in cui emergono le immancabilipalmette tripunte41 (fig. 27).Altro dipinto d’età normanna è l’Odigitria, laMadonna della Perla (fig. 28), così appellata“per le molte perle ex voto che la ricopriva-no”, come spiega Mons. Filippo Pottino nel-la sua Guida del Museo. Fu donata da “Mat-teo d’Ajello Gran Cancelliere dei Re nor-manni, fondatore della chiesa detta appuntodel Gran Cancelliere dove la tavola ebbe cul-to per secoli trasferitavi alla fine del Seicentoda chiesa preesistente sul posto stesso”. Lachiesa e il suo monastero, distrutti con l’ulti-ma guerra, “avevano anche un belvedere chesi affacciava sul Cassaro di fronte a PiazzaBologni”42. È interessare quanto scrive ancheil successivo Direttore del Museo Diocesano,Mons. Paolo Collura: “Nel marzo e nel mag-gio del 1171 Matteo d’Aiello, vicecancellieredi Guglielmo II, re di Sicilia, consegnava aMarotta, prima badessa del monastero di S.

Maria de Latinis, da lui fondatovi in Paler-mo, i beni immobili e mobili dettagliatamen-te elencati in due documenti notarili” neiquali “particolare attenzione è riservata allagrande icona della Madonna delle Perle oImperlata, che ambedue descrivono con lestesse parole: abbiamo donato anche un’al-tra icona grande, nella quale è l’immaginedella gloriosissima Vergine Maria, che tienCristo sulle braccia. Essa nella corona diCristo, nella corona della Vergine e tutt’in-torno ha cinque libbre ed once tre d’argen-to e nella corona della Vergine ci sono settesmeraldi grandi e otto perle grandi a mododi lupini e nella corona di Cristo ci sonoquattro smeraldi grandi ed altri dodici sme-raldi piccoli e sedici perle della quantità diun cece, e nella corona di Cristo e della Ver-gine ci sono millequattrocentonovantadueperle”43. Continua Mons. Paolo Collura:“Oggi l’argento, gli smeraldi e le perle nonci sono più, ma la tavola (...) splende in tut-ta la sua fascinosa bellezza nel Museo Dio-cesano di Palermo”, dopo essere stata mes-sa in salvo prima che il 9 maggio 1943 i bom-bardamenti distruggessero “la chiesa del mo-nastero del Gran Cancelliere, dove era statavenerata per otto secoli”44. Sembra di vederela ricchezza di perle così caratteristica dell’o-reficeria d’età normanna di cui rimane tra ipiù preziosi il rifulgente esempio della coro-na di Costanza del tesoro della Cattedrale diPalermo45. Mons. Pottino ricorda a proposi-to della tavola che “il titolo primitivo era diMadonna dell’Udienza”, che bene confermala secolare devozione di questa immagineche trova testimonianza nella pala della chie-sa di Maria Santissima Ausiliatrice (via Sam-polo), già residenza di campagna delle suoredel Monastero del Cancelliere, dipinta daGiuseppe Crestadoro nel 1781-82 raffigu-rante il Sogno del Gran Cancelliere46.

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Sala dei fondi aurei. Pittura a Palermo dal XII al XV secolo

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Significativo appare quanto narra OttavioCaietano nel 1654 sulla Santissima Vergine im-perlata a proposito di una donna che “vintada cieca cupidigia (...) involassi una delle per-le più grandi della corona e nel pugno chiusoseco la portò via (…) ma ecco che non potèpiù aprire la mano”, fino a quando, pentita“di tutto cuore del commesso fallo”, non tor-nò in Chiesa a restituire la perla47. La tavola della Madonna della perla è stataesposta alla Mostra Federico e la Sicilia, dal-la terra alla corona, tenutasi nel 1995 nei lo-cali dell’Albergo dei Poveri di Palermo, se-

de privilegiata delle Grandi Mostre dellaRegione Siciliana, grazie alla modernaapertura con cui ancora oggi, per la co-struttiva operosità del nuovo Direttore,Mons. Giuseppe Randazzo, il Museo si èposto anche nel lungo periodo di forzatachiusura48.Maria Andaloro, la curatrice della sezionerelativa alle Arti figurative e suntuarie dellaMostra, scrive della tavola: “Quanto all’a-spetto compositivo e iconografico, esso ap-pare condensato nel generico imago glorioseVirginis Marie Cristum in ulnis tenens”, se-

Fig. 24 - Sala dei fondi aurei.

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condo la descrizione, riportata tradotta dalCollura e in latino dal Garufi, del ricordatodocumento relativo alla donazione del117149. La studiosa continua: “in vero, ilsoggetto consiste nella Vergine rappresenta-ta a mezza figura, nell’atto di sorreggere ilFiglio, seduto sul suo braccio sinistro, conambedue le mani. La particolarità del gesto,sul quale è costruito il nesso Madre-Figlio,induce a riconoscere nello schema iconogra-fico qui presente quella variante che, nel re-pertorio elaborato dalla Sandberg Vavalà,corrisponde alla quinta modificazione dellagrande famiglia dell’Odigitria”50.L’utilità di offrire al visitatore indicazioni

come questa, è sottolineata anche nella piùvolte ricordata Lettera circolare del 2001,ove si precisa che “alla breve scheda tecnicaidentificativa che comprenda il titolo dell’o-pera, l’autore, la datazione, la materia, laprovenienza, è auspicabile affiancare due di-versi tipi di sussidi illustrativi, in supportoinformatico e cartaceo. Il primo comprendeschede che mettano in relazione ciascunaopera con quelle presenti all’interno del mu-seo e fuori di esso sul territorio. Il secondocomprende schede che approfondiscono laconoscenza delle singole opere, indicando ladestinazione liturgica o paraliturguica, il si-gnificato del nome, il contesto spazio-tem-porale originario, le simbologie ed eventual-mente aggiungendo richiami a oggetti piùfamosi, spiegazioni iconografiche, note agio-grafiche e brevi riferimenti bibliografici. Il

Fig. 25 - Ignoto mosaicista, Madonna orante, XII seco-lo, mosaico in pasta vitrea (part.).

Fig. 26 - Ignoto scalpellino, frammento di fregio in calcarenite

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Sala dei fondi aurei. Pittura a Palermo dal XII al XV secolo

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tutto può favorire e orientare lo studio, con-testualizzando globalmente la conoscenzadei manufatti esposti”51. Nel percorso espositivo del Museo si passaall’età Sveva con un’altra preziosa tavola,l’Odigitria, già della chiesa di San Nicolò al-l’Albergheria, detta la Madonna della Spersa(fig. 29), perché la sua festa cadeva nella Do-menica dell’Ottava dell’Epifania, quando,secondo la narrazione evangelica, il Reden-tore all’età di docici anni si separò dalla Ma-donna, fermandosi a conversare con i Dot-tori nel Tempio. Dell’opera scrive Maria An-daloro: “Il dipinto nel suo nucleo originariocomprendente la Vergine e il Bambino è unframmento di indubbio interesse (...). Ilgruppo corrisponde all’iconografia dell’O-digitria e precisamente a quello che nell’ela-borazione del tema fornito dalla SandebergVavalà è il tipo puro. Un particolare piutto-

sto raro è dato dalla mano destra della Ma-donna a forchetta”52. Anche questo dipintodoveva essere in passato ricoperto da unamanta, la cui asportazione ha dovuto causa-re la perdita della pellicola pittorica delmanto della Vergine, mettendo a nudo lapergamena che ricopre la tavola, particolaredi non poco interesse, ed era dipinta a tem-pera, secondo una tecnica dell’epoca.Dello stessa epoca sveva è il diploma con cuiFederico II concede alla Cattedrale di Paler-mo due prebende canonicali, pergamena del1210 cui è legato il sigillo in ceralacca rossacon l’immagine dell’imperatore, tenente loscettro nella destra ed il globo nella sinistra53,

Fig. 27 - Ignoto miniatore, Epistolario codice mem-branaceo, seconda metà XII secolo, c. 57 recto (part).

e, XII secolo.

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Fig. 28 - Ignoto pittore, Madonna della Perla, 1171, tempera su tavola.

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Criteri museologici per un Museo d’Arte Cristiana

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Fig. 29 - Ignoto pittore, Madonna della Spersa, XIII secolo, tempera su pergamena applicatasu tavola.

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Il Museo Diocesano di Palermo

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che momentaneamente è esposto nella gran-de bacheca della sala della Trifora, ma cheandrà opportunamente avvicinato alla tavoladella stessa epoca nell’auspicata esposizionecomplessiva delle opere del Museo.Meno nota è ancora un’altra opera, più tar-da, verosimilmente della fine del XIII seco-lo, non chiaramente giudicabile prima di unrestauro, la Madonna orante su rame, dalfondo aureo, proveniente dalla Chiesa diSan Giovanni dei Lebrosi, anch’essa provvi-soriamente esposta nella stessa vetrina dellaSala della Trifora54.Un’altra tavoletta mandata a Denver nel1993 in occasione della Mostra Vatican Trea-sures 2000 years of art and culture in the Va-tican and Italy, in concomitanza di una visi-ta del Papa per la giornata mondiale dellagioventù, è quella raffigurante Santa Olivacon i Santi Elia, Venera e Rosalia (fig. 30),opera tradizionalmente ritenuta del 1194 inriferimento all’iscrizione della tela del 1703di Giacinto Colandrucci per la Chiesa delSantissimo Salvatore, oggi in deposito alMuseo Diocesano, raffigurante la Santa inabiti di monaca basiliana che ad essa riman-da “tabula omnium antiquissima ad 1194 inEcclesia Sancte Mariae de Ammirato”. Lacornice dell’opera in legno d’abete rivestitad’ebano porta incastonati dei piccoli meda-glioni d’avorio finemente scolpiti, raffigu-ranti la vita di Santa Rosalia, da datare allafine del XVII, inizi del XVIII secolo55. La ta-voletta è un importante recupero del MuseoDiocesano da collezione privata, essendo inorigine della Chiesa della Martorana. Fu ilconte Salvatore Tagliavia ad acquistarla perdonarla al Museo. Mons. Anichini conside-rava quest’opera “il cimelio più pregevoledel Museo”56. È significativamente rappre-sentato in questa tavoletta, dove protagoni-sta primaria evidenziata dalle maggiori di-

mensioni è Sant’Oliva, rispetto alle immagi-ni di Santa Venera, Sant’Elia e Santa Rosa-lia, come, dopo il 1624, quando quest’ulti-ma assurge a Santa taumaturga e liberatricedalla peste, divenendo la principale patronadella città, nuovi committenti e nuovi devo-ti pensano di far realizzare una raffinata cor-nice entro la quale vengono inserite storiedella sua vita, conferendole un nuovo ruoloemergente nell’opera. Si voleva, verosimil-mente anche, sottolinearne l’antichità delculto della vergine Rosalia a Palermo, pre-sentando peraltro la Santa in abiti basiliani,secondo le ricordate remote tradizioni chela volevano monaca nel monastero del San-tissimo Salvatore57. Nelle storiette d’avorio,appositamente realizzate da abili maestri si-ciliani, si vede Santa Rosalia, secondo l’ico-nografia e l’agiografia tramandata dal padregesuita Giordano Cascini58, dopo il commia-to dalla regina normanna, tentata dal diavo-lo, cui, riscattando la debolezza di Eva, resi-ste, e ancora mentre incide nella roccia del-la grotta l’usuale iscrizione, assorta in pre-ghiera davanti al Crocifisso, incoronata dirose e via via accompagnata dagli angeli dauna grotta all’altra, dalla Quisquina all’Erc-ta, fino alla sua immagine in estasi alla pre-sentazione alla Madonna e all’Incoronazio-ne da perte di Cristo59. L’iconografia dellestoriette è tratta dalle incisioni fatte realizza-re a Roma da Giordano Cascini nel 162760 epoi inserite nel suo volume edito dopo la suamorte avvenuta nel 1635 a cura di un altrogesuita, Pietro Salerno, nel 165161. La stessaiconografia si ritrova puntualmente nellescene relative alla Vergine palermitana dellaseconda grandiosa vara processionale d’ar-gento realizzata nel 1631 su progetto dell’ar-chitetto del Senato Mariano Smiriglio daGiancola Viviano, Francesco Ruvolo, Mat-teo Lo Castro, Giuseppe Oliveri, Michele

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Sala dei fondi aurei. Pittura a Palermo dal XII al XV secolo

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Fig. 30 - Pittore e maestri siciliani, Sant’Oliva e i Santi Elia, Venera, e Rosalia, 1194, tempera su tavola ecornice in ebano con scene della vita di Santa Rosalia in avorio del XVII-XVIII secolo.

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Ferruccio, oggi nella nuova cappella dedica-ta a Santa Rosalia nella Cattedrale di Paler-mo62. La tavoletta è uno dei significativiesempi di come si possano fornire nei pan-nelli didattici, che devono accompagnare eguidare il visitatore, non soltanto le nozionistorico-artistiche, ma anche notizie legate aldivenire storico-devozionale dell’opera, e airisvolti iconografici e iconologici, in relazio-ne alle notizie agiografiche legate al culto lo-cale del santo raffigurato.Dipinta su fondo aureo è la tavola della San-ta Restituta che, dal monastero di Santa Chia-ra, passò alla sacrestia della Cattedrale, dovela sua presenza è documentata dal 1332.Mons. Filippo Pottino definisce l’opera “discuola siciliana del secolo XIV” e informache, quando venne trasferita al Museo, “fu li-berata da una sottile lamina d’argento trafo-rata che la ricopriva”63. L’opera, privata dun-que in anni piuttosto recenti, alla metà delXX secolo, della sua manta d’argento, senzatramandarne l’immagine neppure con unadocumentazione fotografica, attende di esse-re inserita nel percorso espositivo del Museodopo un idoneo restauro.Nel XIV secolo, periodo storico turbolentoe sanguinoso per la Sicilia, non vengonotuttavia meno i contatti commerciali con-sueti all’isola con i maggiori porti d’Italia.Alle comunità immigrate, come la coloniapisana, si devono opere d’arte di diversa ti-pologia, sia suppellettili liturgiche d’argen-to ornate di smalto, sia sculture marmoree,sia dipinti, che giungono dalla città d’origi-ne per commissioni dalla Sicilia da partedelle famiglie che vi si trasferiscono. Questacommittenza non siciliana induce gli artistilocali a guardare come modelli le opere im-portate, provocando la richiesta di lavori digusto affine e larealizzazione di manufattidi ispirazione doscana.

Tra le opere pisane importate più significati-ve del Trecento è il trittico del Museo Dioce-sano raffigurante Sant’Anna con la Madonnae il Bambino tra i Santi Giovanni Evangelistae Giacomo Apostolo (fig. 31), che sul listellodi base reca la firma: Iacopo Di Michele di-pingitore ditto Gera da Pisa me pinse. Il pit-tore attivo tra il 1371 e il 1395, rimanda daun lato ai modi senesi di Luca di Tomè e dal-l’altro a quelli del pisano Cecco di Pietro64.L’opera proviene dall’Arciconfraternita del-l’Annunziata di Palermo, già in via Squar-cialupo, distrutta dai bombardamenti dellaseconda guerra mondiale. Mons. FilippoPottino ricorda, a proposito della chiesa,che: “sul prospetto si leggeva la data 1501”,

Il Museo Diocesano di Palermo

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Fig. 31 - Iacopo De Michele detto Gera da Pisa (1371-1395), Trittico della Madonna con Sant’Anna e il Bam-bino, tempera su tavola (part.).

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Sala dei fondi aurei. Pittura a Palermo dal XII al XV secolo

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Fig. 32 - Antonio di Francesco da Venezia detto Antonio Veneziano, Ruolo dei Confrati defunti,1388, tempera su tavola.

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che “nel 1517 vi si compì il tragico epilogodella congiura di Luca Squarcialupo”, e che“del tempio rimane soltanto il campanile in-corporato nell’edificio del conservatorio dimusica”65. In questo trittico, secondo il Lon-ghi, il pittore “sembra distinguersi dalla co-mune trafila pisana seneseggiante per mag-giori rapporti con la cultura fiorentina del pe-riodo 50-70 (...) probabilmente per l’azionedi quel notevole pittore che fu Francesco Ne-ri da Volterra, operoso a Pisa, ma educatopiuttosto a Firenze”66. Lo studioso ancora no-ta come il fondo d’oro del trittico lavorato aouvrage a compassi, molto diffuso a Pisa, fos-se “importante per l’origine del fondo estofa-do” che verrà usato a lungo in Sicilia67. Diffu-sa a Pisa è l’iconografia della Sant’Anna conla Madonna e si ricordano in proposito leanaloghe figure di Cecco di Pietro e di Gio-vanni di Nicola e quella del Museo Princetonattribuita a Francesco Traini, che il Carli sti-ma di origine pisana68. A Palermo sono anco-ra di Gera da Pisa due sportelli laterali di unosmembrato polittico. Si tratta delle tavole deiSanti Giorgio e Agata della Galleria Regiona-le della Sicilia di Palazzo Abatellis69, che mo-strano forti affinità stilistiche con i Santi late-rali del trittico del Museo Diocesano, fornen-do uno dei tanti esempi di come la pittura diuno dei due Musei palermitani si affianchi,completandola, al panorama di quella espo-sta nell’altro. In presenza di spazi espositivipiù ampi, con il futuro allestimento, sarà uti-le riproporre tali immagini nel pannello di-dattico dedicato all’artista.Da Pisa, dove era attivo nella realizzazionedei famosi affreschi del Camposanto neglianni 1385-1388, Antonio di Francesco daVenezia, detto Antonio Veneziano dovettemandare a Palermo il tabellone, firmato edatato 1388, An. da Vinexia pinxit, con ilRuolo dei Confrati defunti della Confraterni-

ta di San Nicolò di San Francesco, raffigu-rante nel timpano la Flagellazione di Cristo,nei tondi più grandi la Madonna, San Gio-vanni e le figure degli Evangelisti accompa-gnati dai loro simboli apocalittici, e nei ton-di più piccoli gli Apostoli (fig. 32)70. Comeannota Gaspare Palermo nella sua Guida,“La Confraternita di S. Nicolò di San Fran-cesco, la prima Casa di disciplina de la Cita-te di Palermo” annovera tra i confrati de-funti “re Fridericus tertius Regni Siciliae”71,sottolineando l’importanza dei committentiche potevano rivolgersi a famosi artisti pe-ninsulari, senza badare a spese.Lo stesso schema compositivo è usato dall’a-nonimo pittore siciliano che dipinge il Ne-crologio della Confraternita dei Santi Simo-ne e Giuda del Monastero della Martoranadel 1396, esposto a Palazzo Abatellis, cheraffigura i dodici apostoli nel tabellone e laPietà con i confrati in adorazione nella cu-spide, una modesta risposta locale ad un au-lico modello72. L’inserimento nel pannellodidattico dell’immagine del Ruolo di Palaz-zo Abatellis evidenzia al visitatore tale deri-vazione dell’opera locale da quella importa-ta. Entrambe le tavole presentano le figurecaratteristiche dei confrati vestiti di saccocon i cappucci e i segni dei flagelli sulle spal-le. Doveva probabilmente ripetere lo stessoschema, che si rifà al prototipo di AntonioVeneziano, il Ruolo dei Confrati defunti del-la confraternita di San Pietro Martire dipin-to da Giovanni Bujchiello nel 1414, di cuiresta solo la notizia documentaria73. Gene-vieve Bresc Bautier individua tre tipologie diopere d’arte che vengono abitualmentecommissionate dalle confraternite: il ruolodei confrati defunti, il gonfalone processio-nale e la tavola, per lo più un trittico, perl’altare principale della chiesa74.Allo stesso Antonio Francesco da Venezia è

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attribuita dal Longhi la Madonna con ilBambino di Palazzo Abatellis, ancora un di-pinto che molto probabilmente giunge daPisa e che mostra come il maestro nella suapittura, su reminiscenze venete, innesti unacultura padovana non scevra di influssi fio-rentini, senesi e pisani, la cui riproduzionefotografica potrà completare il previsto pan-nello didattico dedicato alla sua opera nelMuseo Diocesano75.Alla fine del Trecento sono poi da porre idue sportelli di uno smembrato trittico,proveniente dalla chiesa di San Giovannidei Lebbrosi di Palermo, raffiguranti quel-lo centrale la Madonna in trono con il Bam-bino e nella cuspide superiore la Trinità, ri-

proposta secondo l’iconografia diffusa inToscana del Dio Padre con la colomba del-lo Spirito Santo che regge la croce del Fi-glio, e quello laterale San Giovanni Battista,recante il cartiglio con la simbolica scritta,Ecce Agnus Dei qui tolli(t) pecca(ta mundi),che culmina con la figura dell’Angelo an-nunziante, cui doveva corrispondere nellacuspide del terzo sportello mancante l’An-nunziata (fig. 33)76. Entrambi sono caratte-rizzati non dall’usuale fondo aureo punzo-nato con elementi fitomorfici e floreali, mada un tappeto di fiori variopinti. Un analo-go sfondo è comparso, dopo il recente re-stauro, nella tavoletta tardo-trecentesca delSantuario di Altavilla Milicia, raffigurante

Fig. 34 - Maestro delle Incoronazioni, Trittico dell’In-coronazione della Vergine, fine XIV-inizi XV secolo,tempera su tavola (part.).

Fig. 33 - Pittore toscaneggiante, Madonna con Bambi-no, XIV secolo, tempera su tavola (part.).

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la Madonna con il Bambino, San Francesco eil committente77. Questo è uno dei possibiliraffronti programmati per il futuro percor-so espositivo nel pannello dedicato ai duescomparti, di cui è pure possibile docu-mentare le fasi prima e dopo il restauro,grazie alle fotografie conservate nell’Archi-vio Fotografico del Museo. La biblioteca,l’archivio fotografico, la diateca, sono stru-menti indispensabili per la storia del Mu-seo e delle sue collezioni e come tali devo-no essere curati e sistemati, schedati conmoderni sistemi che ne consentano unafruizione non riservata solo agli addetti ailavori, ma aperta in particolare ai giovani,ai quali l’accesso potrà essere agevolato an-che grazie a moderni sistemi computerizza-ti. “L’apporto di nuove tecnologie multi-mediali”, come sottolinea ancora la Letteracircolare del 2001, può essere utile a “pre-sentare virtualmente, sinteticamente e visi-vamente l’intimo legame del museo con ilterritorio da cui provengono i pezzi in essocontenuti. In questo senso il museo eccle-siastico si specifica come museo integrato ediffuso”78. È in fase di costruzione, nell’am-bito della Comunicazione del Museo, il si-to specificatamente dedicato in cui trove-ranno spazio tutte le informazioni utili perla sua fruizione anche virtuale79.Tra le nuove acquisizioni del Museo è un’o-pera di maestro veneto del XIV secolo, unapregevole tavoletta raffigurante la Madonnacon il Bambino e San Giovanni Battista, re-cente dono di Mons. Giuseppe Pecoraro,già esposta per la prima volta nella Mostraorganizzata nel salone Filangieri nel 1998, eattualmente in attesa di una nuova sistema-zione nei locali del Museo80. Il salone delpiano nobile del Palazzo prende il nomedall’Arcivescovo Serafino Filangieri (1762-76), che negli anni 1764-76 ne affidò la de-

corazione a fresco a Gaspare Fumagalli, ilquale vi lavorò con il figlio81. Tra le opere d’importazione toscana può in-serirsi anche la tavola raffigurante una dolcee accattivante figura di Madonna con il Bam-bino della fine del XIV, inizio del XV seco-lo, che probabilmente proviene dalla Chiesadi Santa Maria della Catena di Palermo82.Personalità pittorica, verosimilmente locale,che guarda alle opere pisane, senesi, fioren-tine, attiva tra la fine del XIV e l’inizio delXV secolo, è il “Maestro delle Incoronazio-ni”, così denominato da Vigni e Carandente,in occasione della Mostra di Antonello daMessina del 195383. Del 1419, secondo ilMongitore, che vi lesse questa data, Hocopus fieri fecit fraternitas S. Nicolai S. Franci-sci A.D. MCCCCXVIIII, è il trittico dell’In-coronazione della Vergine tra i Santi Giovan-ni Battista e Nicola, della confraternita diSan Nicolò in San Francesco, poi passato al-la sacrestia della Chiesa di San Nicolò loReale e oggi facente parte delle collezionidel Museo (fig. 34)84. Lo stesso Maestro del-le Incoronazioni dipinge una replica pres-socché coeva del trittico per la confraternitadi San Pietro La Bagnara di Palermo, oggiesposto alla Galleria Regionale della Siciliadi Palazzo Abatellis, raffigurandovi unaidentica Incoronazione della Vergine, peròtra i Santi Pietro e Paolo, come richiesto dal-la committenza85. Roberto Longhi sottolineacome il Maestro delle Incoronazioni “rap-presenti il decadentismo gotico in Sicilia inuna forma marcata e secca (...) senza ardiredi liberarsi della partitura architettonica delTrecento toscano nelle sue varie ibridazionipisane”86. Recentemente è stato attribuito alMaestro delle Incoronazioni un gonfaloneprocessionale di collezione privata di Paler-mo, raffigurante da un lato la Crocifissione e

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Fig. 35 - Maestro delle Incoronazioni, Abramo e i tre angeli, fine XIV-inizi XVI secolo, tempera su tavola.

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dall’altro la Resurrezione, opera della finedel XIV, inizi del XV secolo87, che si vienead aggiungere alle altre già riferite al pittorea Palermo, come la tavoletta con l’Annun-ciazione della Galleria Regionale di Paler-mo, con cui presenta notevoli affinità88. Allostesso artista è attribuita la tavoletta cuspi-data con Abramo e i tre Angeli, simbolicaraffigurazione della Trinità, e il committentedell’Ordine teutonico, proveniente dallachiesa della Magione di Palermo, che è dive-nuta l’immagine emblematica del MuseoDiocesano essendo riprodotta nella coperti-na della Guida di Mons. Pottino (fig. 35),quasi a simbolo dell’accoglienza che il Mu-seo vuole offrire ai visitatori89. La tavolettadovette costituire il modello per l’affrescodello stesso soggetto che Tommaso De Vigi-lia dipinse nella cappella del casale di Risa-laimi, non a caso, come la chiesa della Trini-tà della Magione, appartenente ai CavalieriTeutonici; l’affresco staccato è oggi espostoa Palazzo Abatellis90. Un pannello didatticoche ripropone tutte le opere del corpus del“Maestro delle Incoronazioni”, nonché lealtre derivate da queste, che non manchi didare indicazioni su Chiese e Confraternitedi provenienza e sulle diverse devozioni, po-trà essere di notevole interesse nel definitivopercorso espositivo del Museo.Un altro pregevole trittico che Filippo Potti-no definisce “di scuola siciliana del sec. XV”è quello del 1420 raffigurante la Madonna introno con il Bambino tra i Santi GiovanniBattista e Caterina (fig. 36)91. L’opera, che re-ca in basso la data MCC(CC)XX, provienedalla Chiesa della Misericordia nel piano diSant’Anna, riedificata in forma di oratoriodalla Compagnia di Santa Maria di Gesù,dove la vide Lazzaro Di Giovanni che così ladescrive: “Nel mezzo vi è la Madonna sedu-

ta su di una sedia lavorata a mosaico, la qua-le tiene in braccio il Bambino Gesù ed è cor-teggiata da quattro angeli due per lato. Dallaparte destra vi è S. Giovanni Battista il qualetiene in mano una croce ed in una strisciapendente a caratteri gotici si legge: EcceAgnus Dei qui tollit peccata e dall’altro lato viè S. Caterina la quale in una mano tiene unlibro e nell’altra una palma. Sotto la sedia incui sta seduta la Madonna vi è in cifre goti-che l’anno 1220 in cui fu fatto”92. Il tritticopresenta affinità, già notate dal Di Marzo93,con la figura di San Giovanni Battista del ci-tato trittico del Maestro delle Incoronazionie uno spiccato gusto toscano nell’ornato geo-metrico che decora il trono della Vergine, in-serendosi pertanto tra le opere legate al filo-ne culturale toscaneggiante in Sicilia. Il pra-to verde ai piedi del Battista, che rientra nel-la cultura del Gotico fiorito, parrebbe ri-mandare inoltre a quello dello sportello conSan Giovanni Evangelista, già parte di unosmembrato trittico, di Palazzo Abatellis, at-tribuito al Maestro del Polittico di Trapani,altro anonimo artista locale del periodo chesi ispira a modi toscani94. Tali affinità cultura-li sarà possibile evidenziarle al visitatore at-traverso immagini e indicazioni nel relativopannello esplicativo, ove non mancherannoindicazioni sui risultati dei restauri attual-mente in corso, e sull’iconografia di SantaCaterina d’Alessandria, secondo la tradizio-ne, martirizzata nel IV secolo. La LegendaAurea ne ricorda l’origine regale; la Santaporta infatti nei dipinti spesso la corona, an-che se il suo principale attributo iconografi-co è la ruota dentata alla quale fu legata peril martirio, ma che venne poi distrutta da unfulmine. È talora anche presentata nell’attodi calpestare l’imperatore Massenzio e ac-compagnata dalla spada con cui venne deca-

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Criteri museologici per un Museo d’Arte Cristiana

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Fig. 36 - Pittore toscaneggiante, Trittico con la Madonna e il Bambino tra San Giovanni Battista e Santa Caterinad’Alessandria, 1420, tempera su tavola (durante il restauro).

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Fig. 37 - Matteo de Perruchio, Trittico con la Madonna e il Bambino tra Santi Alberto e Pietro, 1422, tempera sutavola.

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pitata95. Diffuso nell’epoca e particolarmentein Sicilia è il rametto di corallo al collo delBambino, prefigurazione del suo martirio esimbolo del suo sangue versato per la salvez-za dell’umanità.Del 1422 è un altro trittico, raffigurante lostesso tema dell’Incoronazione della Verginetra i Santi Alberto e Pietro e, nella predella,Cristo morto tra la Madonna, San Giovanni egli Apostoli, riferito a Matteo de Perruchio,già nell’oratorio di Sant’Alberto al Carmine(fig. 37)96. Gioacchino Di Marzo pensa che iltrittico sia da identificare con quello che ilCannizzaro, riportando erroneamente i dati,vide con la firma di Matteo De Perruchio e ladata 1412, Hoc opus depinxit magister de Per-ruchu an. D. 1412, anche se l’anno 1422 è an-cora oggi leggibile in alto nel dipinto97. L’ope-ra si caratterizza per certe asprezze e durezzeche rimandano ancora alla pittura toscana eparticolamente ai modi di Nicolò di Tomma-so, pittore fiorentino attivo nella seconda me-tà del XIV secolo, cui sono attribuite opereanche a Pisa98. Stefano Bottari raffronta que-sto trittico con quello, raffigurante pure l’In-coronazione della Vergine, già in San PietroLa Bagnara ed oggi a Palazzo Abatellis, inse-rendolo nel filone della pittura di maestri si-ciliani di ispirazione pisana99. Entrambi i trit-tici presentano la particolarità, rispetto aquelli maggiormente legati all’arte toscana(come quelle dello stesso Maestro delle Inco-ronazioni appena ricordato), di non recaredietro le principali figure della Madonna edel Cristo il drappo retto da angeli, che faquasi da sfondo e insieme da baldacchino,racchiudendo ancora di più i due sacri perso-naggi. Il Perruchio è documentato a Palermodal 1392 al 1435. Tra le notizie documentarierisulta particolarmente interessante la com-missione da parte della Confraternita di San-

ta Barbara del Castellammare di una iconaper l’altare maggiore della relativa chiesa raf-figurante l’Incoronazione della Vergine, sog-getto che dunque il maestro dovette trattarepiù volte100. Notizie storiche, firme perdute, eraffronti offrono ancora una volta interessan-ti spunti da sottolineare al visitatore.Tra le prime presenze di croci dipinte concapicroce polilobati della Sicilia occidentaleè quella del Museo Diocesano, provenientedall’Oratorio di San Giovanni di Malta, giàin via Maqueda a Palermo, distrutto a causadell’ultima guerra mondiale, raro esempiotardo-trecentesco o dei primissimi anni delQuattrocento, purtroppo non facilmentegiudicabile per le ridipinture, che s’attarda aricalcare moduli desueti, come il nimbo sol-

Fig. 38 - Pittore siciliano, Croce dipinta, inizi XV seco-lo, tempera su tavola.

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levato che fuoriesce dall’incrocio dei braccie le aureole con ornati a rilievo101 (fig. 38).L’opera si distingue per la presenza nel ca-pocroce superiore al posto dell’usuale im-magine del Redentore benedicente, della fi-gura di un angelo, elemento più facilmenteriscontrabile nelle croci d’area messinese.

La croce presenta un Cristo morente, ca-ratterizzato da una generale rigidità forma-le, nei capicroce laterali le figure della Ma-donna e San Giovanni e in basso il simbo-lico teschio di Adamo, cosicché simbolica-mente e visivamente il sangue salvifico diCristo, lavi il progenitore e l’umanità tuttadal peccato originale. La grande diffusionee l’originalità delle croci dipinte della Sici-lia occidentale del XV secolo, la cui pittu-ra si articola sia nel recto sia nel verso, sa-ranno prossimamente descritte e illustratein un apposito pannello fotografico chepresenterà, come significativo esempio,quelle di Palazzo Abatellis chiarendone lecaratteristiche iconografiche e i messaggiiconologici102.Ai primi del Quattrocento, al decadere del-la potenza dei baroni locali, e al 1415, all’ar-rivo del primo vicerè, corrisponde l’infil-trarsi nell’isola della nobiltà e dei prelatispagnoli, molto più che nei periodi prece-denti. Si ha dunque una maggiore circola-zione di opere della penisola iberica, di ar-tisti spagnoli nell’isola e di commissioni didipinti e opere d’arte decorativa, come ar-genterie e oreficerie d’ispirazione spagno-leggiante. Quando poi nel 1442 Alfonso ilMagnanimo ricongiunge la Sicilia a Napoli,nella capitale campana, attivo centro cultu-rale, giungono pittori da ogni parte dell’a-rea mediterranea, i cui riflessi non mancanoperaltro di irradiarsi nell’isola, che si aprecosì ad altri contatti artistici, inserendosinel più ampio giro di quella circolazionecon maggiori recezioni dalla Spagna e dal-l’Italia centro-meridionale. Nel percorsomuseale, attraverso le opere ricordate, èpossibile evincere il travaglio politico e cul-turale che l’isola e Palermo subirono allon-tanandosi dalla cultura toscana tardo-tre-

Fig. 39 - Pittore spagnolo, Incoronazione della Vergine,fine del XV secolo, tempera e olio su tavola.

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centesca, per passare agli influssi spagnolidel XV secolo voluti dalla dominazione vi-cereale, fino a quelli rinascimentali italiani.Questi ultimi giungono più tardi ed hannominore presa in una città legata al passato ealle tradizioni come Palermo, dove la classenobiliare dominante e il clero erano restiiparticolarmente in quell’epoca a recepirequalunque rivoluzione innovativa, compre-se quelle che avvenivano in campo artistico.Tra le opere di importazione iberica checircolavano in Sicilia nel periodo del vice-regno poteva essere anche la tavola raffigu-rante l’Incoronazione della Vergine di Mae-stro spagnolo del tardo Quattrocento (fig.39), nuova acquisizione del Museo, prezio-so dono di Mons. Giuseppe Pecoraro, cheviene ad aggiungersi quale ulteriore gemmaalla già ricca quadreria. La tavola, apparsaanni or sono nel mercato antiquario conuna improbabile attribuzione a TommasoDe Vigilia103, proveniva da una nobile fami-glia palermitana e, salvata da un possibileacquisto fuori dell’isola, viene a costituireoggi un significativo esempio di opere spa-gnole presenti a Palermo. L’opera è stataaccostata a quelle del Maestro di SantaChiara di Palencia, attivo nella vecchia Ca-stiglia, fra Palencia e Burgos, negli anni1490-1510104. Palencia è infatti un centroimportante della cultura ispano-fiammingain Castiglia. A questo maestro o ad altroche rappresenti una cultura affine, si puòcomunque riferire questa Incoronazionedella Vergine, che ripropone contempora-neamente anche il tema della Trinità. Entrouna simbolica mandorla è infatti racchiusala figura del Dio Padre che reca sul petto lacolomba dello Spirito Santo e nel suo man-tello contiene l’immagine del Figlio nell’at-to d’incoronare Maria. La composizione

centrale è racchiusa entro un coro di ange-li, in basso, musicanti. Risulta quasi giu-stapposto il tema iconografico tipicamentetoscano dell’Incoronazione della Vergine,davanti ad un drappo di preziosa stoffa ret-to dagli angeli e accompagnato analoga-mente in basso da altri musici, all’altro del-la Trinità ove il Padre allarga le braccia perreggere la Croce con il divino Figliolo.Tra le opere in deposito temporaneo alMuseo è l’affresco staccato quattrocente-sco raffigurante la Madonna dell’Itria, giànella chiesa omonima, poi denominata del-la Pinta, da cui proviene (fig. 40)105. La pri-mitiva chiesa risalente ad anni successivi al1390 fu demolita nel 1620 per dar luogo al-la Porta di Castro, dedicata al vicerè contedi Castro, e la seconda venne ricostruita vi-cino all’oratorio di San Mercurio, dove futrasferita l’immagine, oggetto di grande de-vozione. Dopo la demolizione della chiesa

Fig. 40 - Pittore siciliano, Madonna dell’Itria, XVsecolo, affresco staccato.

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della Pinta nel 1648, che fece spazio ai ba-luardi del Palazzo Reale, le opere di quellae della confraternita dell’Annunziata, pas-sarono in questa chiesa, che venne puredetta della Pinta. Quando si collocò nell’al-tare maggiore la pittura dell’Annunciazionedella prima metà del XVI secolo (oggi neidepositi del Museo), l’affresco fu imbianca-to e solo recentemente, spostando la tavo-la, è riemerso ed è stato restaurato. L’attua-le esposizione dell’opera consente così lasua fruizione e un’adeguata conservazione,in attesa della conclusione dei restauri del-la Chiesa e di tutti quegli accorgimenti e si-stemi di sicurezza, elementi indispensabiliper la sua riproposizione in loco. Nell’af-fresco, da datare al pieno Quattrocento, so-no state notate reminiscenze goticheggiantialla Gentile da Fabriano, novità rinasci-mentali, dal “rigore masaccesco e alla chia-rità di Piero, che da Arcangelo di Cola sideclinano attraverso Girolamo Di Giovan-ni e Giovanni Boccati”106. Il tema iconogra-fico della Madonna dell’Itria era diffuso aPalermo nel Quattrocento; si ricorda infat-ti che un’opera dallo stesso soggetto dove-va dipingere Tommaso De Vigilia nel 1457per la chiesa di Santa Margherita e non ca-sualmente l’impostazione dell’affresco è si-mile a quello della tela del 1488, dello stes-so maestro, raffigurante la Madonna con ilBambino tra i Santi Gerolamo e Teodoro,già nel Monastero delle Vergini ed oggi neidepositi di Palazzo Abatellis107. La Madon-na dell’Itria appare solitamente retta da“due monaci dell’ordine di San Basilio chechiaman Caloiri”, per dirla con il Mongito-re, in ricordo di un’antica tradizione che daCostantinopoli giunse in Sicilia108. Raffron-ti significativi, come questi, possono chiari-re al visitatore particolari devozioni locali.

SALA DELLA TRIFORA

ARTE A PALERMO NEI SECOLI XV E XVI

Nuova, sia pure temporanea, acquisizionedel Museo è la Croce dipinta già del Collegiodi San Rocco di Palermo109 (fig. 42), restaura-ta a cura della competente Soprintendenza einserita nell’esposizione per volontà della So-printendente Adele Mormino sensibile alla“matrice spirituale della produzione cultura-le”, che sottolinea come “l’uso cultuale e li-turgico non viene negletto né annullato dal-l’espressione artistica, al contrario la esalta ela vivifica”110. L’opera offre, in questa fase disistemazione provvisoria del Museo, unasuggestiva presentazione con lo sfondo dellatrifora, e consente peraltro visivamente il raf-fronto con l’altra croce dipinta, posta nellasala precedente e con quella reliquiaria dellastessa sala. La Croce, verosimilmente di tar-da ispirazione bizantina, dopo il restauro sipresenta tuttavia come un’opera fortementecompromessa che ha mantenuto ancora ilvolto del Cristo, come ce lo ha consegnatoun restauro ottocentesco che ne ha irrime-diabilmente manomesso l’immagine. È statocomunque preferibile nell’intervento odier-no lasciare questa ridipintura ottocentesca,segno peraltro della volontà di restaurare ecomunque di far arte dell’epoca, piuttostoche presentare il drammatico Cristo, che ri-manda alle immagini del Gotico doloroso,diffuse in Sicilia, senza volto.Altra preziosa nuova acquisizione del Mu-seo è una Croce d’argento del XV secolo, ri-maneggiata nel 1586, dalla duplice funzioneprocessionale e reliquiaria, dono del Cardi-nale Salvatore Pappalardo111 (fig. 43). L’ope-ra consente di arricchire il panorama dellesuppellettili liturgiche dei secoli XV e XVIdel Museo. La croce, di area centro-italiana

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Sala della Trifora. Arte a Palermo nei secoli XV e XVI

del XV secolo, passata al Papa Sisto V nel1586, come si rileva dall’iscrizione: Ex donoXisti V Pont. Max. Anno DNI 1586, traeispirazione, come nota Maurizio Vitella, dal-le croci processionali dai capicroce trilobati,quali ad esempio quella del XV secolo dellaChiesa di San Cipriano di Trieste o l’altra diBartolomeo Rocchi della Chiesa dell’Inco-ronata di Lodi, nonché anche quella riferitaa Giovanni di Spagna del Museo Diocesanodi Mazara del Vallo112.Non è stato possibile esporre in questa fasedue tavole del palermitano Tommaso De Vi-

gilia, il pittore più richiesto dalla committen-za della Sicilia occidentale della seconda me-tà del XV secolo, del quale sono al MuseoDiocesano due opere di dubbia attribuzioneche versano in cattivo stato di conservazione,per le quali solo dopo il restauro sarà possi-bile un preciso pronunciamento e comunquel’esposizione. Si tratta del San Nicolò con lestoriette laterali relative a scene della sua vi-ta, che presenta strati di ridipinture che lorendono ingiudicabile, tranne che per qual-che tratto del viso che parrebbe tradire il pri-mitivo intervento del più famoso pittore del

Fig. 41 - Sala della Trifora.

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Quattrocento palermitano, e della Madonnacon il Bambino tra le Sante Agata e Lucia, giànella chiesa della Pinta113. Quest’ultima tavo-la nei volti dei personaggi, particolarmentenelle figure della Madonna con il Bambino enei due angeli dietro il parapetto, sembramaggiormente riferibile al maestro, mentreaggiunti in un momento successivo parreb-bero gli angeli-putti reggicorona. Tra le noti-zie essenziali da affiancare ai dipinti del pit-tore, di cui si auspica un prossimo restauro ela conseguente esposizione, è l’indicazioneche lo documenta attivo a partire dal 1444.Nel testamento del famoso pittore Gaspareda Pesaro del 1461 risulta che Tommaso abi-

tava nella casa confinante con quella delmaestro scomparso nel quartiere Seralcadi(Capo) a Palermo, avvalorando l’ipotesi diun alunnato di Tommaso presso Gaspare114.Non è poi casuale, circa l’importanza e la fa-ma del pittore nel tempo, che, come riferisceGioacchino Di Marzo, una sua opera ancoranel 1519 venisse indicata come modello peruna scultura ad Antonello Gagini115.La stima goduta da Tommaso De Vigiliapresso i contemporanei dovette essere dovu-ta sia alla sua facile vena artistica, sia alladolce e accattivante aristocraticità dei suoipersonaggi, nonché alla sua congeniale ca-pacità di adattamento ai desideri di una

Fig. 43 - Argentieri romani, Croce reliquaria, XV seco-lo e 1586, argento sbalzato e cesellato.

Fig. 42 - Ignoto pittore, Croce dipinta, XV-XVI seco-lo, tempera su tavola con ridipinture del XIX secolo.

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committenza non aperta alle novità e legataal potere iberico. Egli riesce a rielaborarecon gusto personale forme diverse, senza ri-sultare eclettico, creando un’arte tipologica-mente affine a quella di Angiolillo Arcuccio,attivo a Napoli e legato agli esempi valenza-ni di Jacomart Baço e del suo seguace JuanRexach, che però Tommaso unisce agli in-flussi catalani del Borassà da un lato e dell’-Huguet dall’altro116. Sono presenti inoltrenel pittore caratteri stilistici tipicamente ita-liani, da quelli “marchigiani” a quelli “ligu-ri- piemontesi”, segno tangibile della variacircolazione della cultura in Sicilia nel perio-do117. Del resto che Tommaso De Vigilia sialegato ai modi gotico cortesi, per cui sembrarimandare ad Antonio da Fabriano, rendecertamente non casuale l’antica tradizionaleidentificazione del pittore con l’aiuto del“Maestro del Trionfo della Morte”, che do-vette comunque conoscere, come pure l’o-pera di Antonello da Messina118. Il grandepittore messinese tuttavia viaggia e rinnovail suo bagaglio culturale, mentre il maestropalermitano verosimilmente non si muovedalla Sicilia e resta compiacentemente chiu-so nella ben avviata bottega locale, teso adappagare i desideri di una committenza es-senzialmente ecclesiastica.Attribuita al cosiddetto Maestro delle Ma-donie, che s’inserisce nella cultura pittoricatra De Vigilia e Guglielmo da Pesaro, pres-socchè suo coetaneo e rivale, figlio di Ga-spare, è la tavola della Madonna Libera In-ferni del Museo119, altra opera la cui esposi-zione, condizionata al restauro e allo spazionelle sale, costituirà, come le precedenti, unfondamentale tassello nel percorso conosci-tivo della pittura del Quattrocento sicilianoe delle più caratteristiche iconografie legatealla devozione dell’epoca. Di Guglielmo da

Pesaro, come del padre, si hanno diversenotizie documentarie, ma nessuna operacerta120. Le notizie biografiche relative al pit-tore risalgono alla nascita, che dovette avve-nire intorno al 1430, mentre l’inizio dellasua attività pittorica è documentata dal1457121, e doveva già essere morto nel1488122. Viene al pittore concordemente ri-ferita la Croce dipinta della Cattedrale diCefalù, databile intorno agli anni 1460-65,che presenta forti analogie con il politticodell’Incoronazione della Vergine del Mona-stero del Santissimo Salvatore di Corleoneoggi esposto a Palazzo Abatellis e allo stes-so attribuito123. Accanto alla recente attri-

Fig. 44 - Guglielmo da Pesaro, Breviario miniato,1452-53, pergamena, c. 1r.

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buzione al pittore del trittico della Madon-na del cardellino della Chiesa Madre diCaccamo124, si può affiancare questa tavoladel Museo, che presenta dettagli pittoricidi estrema raffinatezza. Guglielmo, oltre adessere legato alla pittura spagnola catala-neggiante, più che a quella rinascimentaleitaliana, che pur conosce, e a quella pro-venzale e genovese, rivela anche rapporticon l’opera di Antonello da Messina125. Gu-glielmo Da Pesaro doveva essere, come ilpadre Gaspare, miniatore oltre che pittore,e a lui sono attribuite alcune carte del Bre-viario miniato della Cattedrale di Palermodel 1452-53, commissionato dall’arcivesco-vo Simone Beccadelli di Bologna di cui lacarta 1r. riporta lo stemma126 (fig. 44).Significativa è comunque la dizione Maestrodelle Madonie perché proprio per quest’areamontana della Sicilia vengono realizzate ta-lune tipologie di opere d’arte del tutto origi-nali. È il caso dei calici di maestranza paler-mitana tardo-quattrocenteschi e del primoCinquecento che Maria Accascina definisce“madoniti”, caratterizzati da una decorazio-ne con foglie di cardo, che si ispira a model-li iberici, barcellonesi, sotto la coppa, e talo-ra anche nel nodo e ad ornamento della ba-se polibata, secondo la tipologia dell’epo-ca127. Il cardo è peraltro un simbolo cristolo-gico e bene si adatta, dunque, come orna-mento di calici e ostensori del periodo, sacricontenitori del sangue e del corpo di Cristo. Probabile aiuto di Tommaso De Vigilia fuPietro Ruzzolone, pittore palermitano attivotra la seconda metà del XV e la prima delXVI secolo, con il maestro probabilmentepresente nella realizzazione degli affreschidella cappella del casale teutonico di Risalai-mi (dei quali gli vengono attribuiti in parti-colare i resti di una Crocifissione, le figure

della Maddalena e di San Giovanni oggiesposti a Palazzo Abatellis), e di quelli dellaChiesa di Sant’Anna la Misericordia di Pa-lermo, dove sopravvive solo una Pietà, conle analoghe immagini della Maddalena e delSan Giovanni molto simili alle precedenti128.La sua più importante opera superstite è laCroce dipinta della Chiesa Madre di TerminiImerese, che gli venne commissionata nel1484129. Nel 1497 Pietro Ruzzolone s’impe-gnava a dipingere per la Chiesa di Santa Ma-ria della Grotta di Palermo un quadro raffi-gurante i Santi Filippo e Giacomo “della illastatura et forma et scannellu prout est de-pictum quatrum Santi Cosimi e Damiani”.

Fig. 45 - Pietro Ruzzolone, Santi Cosma e Damiano,fine XV secolo, tempera e olio su tavola.

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Perduto il primo quadro, rimane quello deiSanti Cosma e Damiano (fig. 45), già nell’o-monima chiesa della confraternita ed oggiqui esposto, che presenta peraltro stringentiaffinità compositive con l’abbozzo raschiatodei Santi Pietro e Paolo della Galleria Regio-nale della Sicilia di Palazzo Abatellis, chePietro Ruzzolone lasciò incompleto, nel ver-so dell’omonima tavola poi dipinta da Ric-cardo Quartararo130. Delle diverse opere at-tribuitegli, possono considerarsi suoi i duedipinti raffiguranti i Santi Crispino e Crispi-niano, esposti nella stessa sala del Museo,già nella chiesa detta di San Crispino dellamaestranza dei calzolai, che si distinguonoper la sontuosità degli abiti e la ricercata raf-finatezza delle stoffe tipiche dell’epoca (fig.46)131. Mons. Filippo Pottino ricorda che “nel-la Chiesa di S. Leonardo si trasferì nel 1620, laconfraternita dei calzolai portandovi dall’altrache lasciarono le effigi dei protettori dipinti sutavola da Pietro Ruzzolone”, e continua, “laChiesa (…) prese il titolo dei Santi patroni deicalzolai dei quali si notava l’emblema in mar-mo nell’architrave della porta d’ingresso”132. Ilmonumento, fortemente danneggiato daibombardamenti dell’ultima guerra mondialenel rione di Ballarò133, è oggetto attualmentedi restauro nell’ambito dei locali della vicinaBiblioteca Comunale.Tra le notizie significative da ricordare ri-guardo all’artista è l’importante commissio-ne del 1499 da parte di Giovanni de Ribesal-tes “milite, conservatore del regio patrimo-nio in Sicilia e marammiere ossia fabbricieredel Duomo di Palermo”, per affrescare lacappella “sopra l’altare di Santa Cristina el’arco di essa” nella Cattedrale di Palermo.Nella stessa cappella lavorarono AntonelloCrescenzio e Riccardo Quartararo, dipin-gendovi tele raffiguranti le Sante Vergini pa-

Fig. 46 - Pietro Ruzzolone, San Crispino, fine XV seco-lo, tempera e olio su tavola.

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lermitane, tra le quali Santa Cristina, allorala principale patrona di Palermo. Gli affre-schi di Pietro Ruzzolone, rovinatisi, furonofatti ridipingere, nel 1665, per volere delpretore del Senato palermitano OttavioCorsetto, conte di Villalta134. Le sculturemarmoree raffiguranti le Sante Vergini pa-lermitane realizzate per la stessa cappelladella Cattedrale, fortunosamente sopravvis-sute nel tempo, sono oggi esposte nel pianoseminterrato del Museo. È interessante ri-cordare anche che, come era peraltro con-suetudine del tempo, i pittori non disdegna-vano di occuparsi di opere d’arte che solo insecoli successivi sarebbero state considerate“minori”, e Pietro Ruzzolone dipingeva nel1499 “l’armi del Duomo apposte ai blando-ni o grossi ceri per accompagnare nella pro-cessione il corpo ossien le reliquie di S. Cri-stina”, e, ancora, nel 1504 forniva il disegnoper le “grate” di ferro della cappella dai luiaffrescata della chiesa di San Nicolò all’Al-bergheria di Palermo, che avrebbe poi rea-lizzato il fabbroferraio Michele da Roma135.Pietro Ruzzolone ampliava il suo bagaglioculturale di ispirazione devigiliana tramitel’innesto di novità colte dall’ambiente napo-letano e particolarmente dall’opera di Cri-stoforo Scacco. L’artista, legato alla culturacatalana e provenzale, risente peraltro anchedi modi pittorici circolanti variamente nel-l’Italia centrale.A Nicolò da Pettineo è stata riferita dal De-logu la tavola raffigurante Santa Cecilia,(dallo stesso definita Santa Barbara) del Mu-seo Diocesano136, di cui il Di Marzo ricordala provenienza dall’altare dedicato alla San-ta nella Cattedrale137. La tavola, altro impor-tante tassello della pittura siciliana presenteal Museo, è bisognosa di restauro per unaopportuna esposizione. Il pittore firma e da-

ta nel 1498 la Madonna con il Bambino e an-geli musicanti della Galleria Regionale dellaSicilia138. La Santa Cecilia del Museo Dioce-sano, pure attribuita a Riccardo Quartara-ro139, è da riferire a quest’ultimo maestro eaiuti, tra cui molto probabilmente proprioNicolò da Pettineo, ritenuto talora suo alterego. Anche se Nicolò da Pettineo non fosseda identificare con Nicolò da Randazzo, Ni-colò da Catania, Nicolò cittadino di Mon-reale e di Palermo, come si rileva dai docu-menti, o comunque non con tutti loro, la ta-vola del Museo Diocesano potrebbe esseresempre riferita al Quartararo e a quel Nico-lò da Pettineo, suo aiuto, che firma la Ma-donna di Palazzo Abatellis, dove è evidentela lezione quartararesca140.Passando da una figura di artista di primopiano ad un’altra, sia pure solo attraversoun’emblematica selezione del ricco e variopatrimonio di opere d’arte del Museo Dioce-sano di Palermo che sono esposte in questafase provvisoria, s’incontrano, ancora nellasala della trifora, le opere di Vincenzo da Pa-via che dovette nascere in questo centro allafine del Quattrocento dalla famiglia degliAzani, risultando erroneo il nome Anemolocon cui era stato pure appellato. Risale aglianni 1519-20 un suo primo viaggio a Paler-mo, dove ritornò nel 1529, dopo quel sog-giorno a Roma, che gli diede il soprannomedi Romano, e le soste a Napoli e Messina, cit-tà quest’ultima dove dal 1528 era già Polido-ro da Caravaggio. Così dopo un apprendista-to lombardo e bresciano, Vincenzo da Paviasi sarebbe ispirato al Raffaello delle Logge eai suoi aiuti, non ultimo proprio Polidoro daCaravaggio. Dal 1529 al 1557, data di morte,Vincenzo lavorò alacremente a Palermo, co-me dimostrano le numerose opere tuttora esi-stenti nel capoluogo isolano141.

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Criteri museologici per un Museo d’Arte Cristiana

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Fig. 47 - Vincenzo da Pavia, San Cono e storie della sua vita, 1536, tempera e olio su tavola.

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Sono al Museo Diocesano dell’artista il SanCono del 1536 circa e il Sant’Antonio Abate,del 1550 circa, con storiette della loro vita, ilprimo proveniente dalla Chiesa di Santa Ma-ria di Portosalvo, il secondo dalla chiesa diSanta Maria di Valverde, già nella Chiesa diSant’Antonio a Porta Termini (figg. 47-48),entrambe restaurate in occasione della Mostradedicata al pittore curata da Teresa Viscuso142.Nella Chiesa di Santa Maria di Portosalvoogni anno si teneva una solenne festa dedica-ta a San Cono con indulgenza plenaria. Il cul-to di Sant’Antonio, considerato il padre del

monachesimo, dal potere taumaturgico, eralegato agli ospedali, come non a caso quelloannesso alla chiesa di Sant’Antonio143. Una volta restaurate le ricordate tavole quat-trocentesche è ipotizzabile il loro inserimen-to in questa sala della Trifora, e lo slittamen-to delle opere del “Romano” nell’attuale sa-la XI vicino, e in prosecuzione, a quelle diMario Di Laurito. Lo spostamento consenti-rà così un maggiore rigore cronologico e ri-pristinerà l’evidente dialogo tra il De Pavia ei pittori tardomanieristi come lo Zoppo diGangi, pure presente in quella sala, che

Fig. 49 - Scultore siciliano, Sant’Oliva, fine XVI-iniziXVII secolo, legno policromo a estofado.

Fig. 48 - Vincenzo da Pavia, Sant’Antonio Abate e sto-rie della sua vita, 1550, olio su tavola.

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guardavano alle sue opere fino ai primi annidel Seicento.Nell’usuale rapporto di interscambio tra levarie arti, si è già notato come pittori, scul-tori e architetti erano soliti dare i loro dise-gni anche per prodotti d’arte minore o ap-parati decorativi anche effimeri. Così ancheVincenzo da Pavia eseguì nel 1539 il disegnodi un leggio in noce per il coro della Catte-drale di Palermo, che doveva essere scolpitodall’intagliatore Antonio Barbato144. Questi,napoletano, era il cognato e il socio in affaridi Giovanni Gili, il più noto degli intagliato-ri in legno del periodo e dall’affinità cultura-

le gaginiana. Quel leggio dovette andareperduto, se non è da identificare con quelloconservato al Museo, pure proveniente dal-la Cattedrale, che presenta una base fine-mente scolpita dai modi stilistici e decorati-vi caratteristici dell’arte della bottega gagi-niana della fine del XV, inizi del XVI secolo,che potrebbe essere stato ideato dal Da Pa-via, il che renderebbe comunque significati-va la sua esposizione dopo un restauro chesi presenta urgente per le condizioni in cuiversa l’opera145. La parte superiore del leg-gio del Museo è un’aggiunta posteriore. Adartisti di scuola gaginiana doveva verisimil-

Fig. 51 - Argentiere palermitano, Reliquiario di SantaLucia, XVI secolo, argento sbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 50 - Argentiere palermitano, Calice, fine XV-iniziXVI secolo, argento sbalzato e cesellato.

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mente riferirsi il Romano per le due edicolecon “decorazioni architettoniche in legno”relative alla Deposizione Scirotta, già in San-ta Cita e alla Flagellazione del 1542, que-st’ultima insieme al dipinto, conservata neidepositi di Palazzo Abatellis, provenientedalla chiesa di San Giacomo La Marina146.Si può ipotizzare che nella collaborazionetra Vincenzo e la bottega gaginiana, ancheper edicole, il pittore avrebbe potuto sugge-rire talvolta il disegno ad uno degli artistidella cerchia del Gili. Il tabernacolo ligneocon gli angeli dipinti da Mario di Laurito èun chiaro esempio al Museo Diocesano diun’edicola d’ispirazione gaginiana (vedi sa-la XI)147. Sono infatti poche le pitture cin-quecentesche ancora inserite nelle pregevo-li cornici create appositamente per esse e

con le quali si completavano. Attraverso isecoli, se si sono salvati i dipinti, più facil-mente invece sono andati perduti i lorocontenitori, poco considerati e bollati d’in-feriorità trattandosi d’opere d’arte decorati-va, nonché maggiormente soggetti al varia-re del gusto e ad essere considerati fuorimoda. Tali dipinti tuttavia venivano spessosin dall’origine inseriti nelle cornici e pote-va lo stesso pittore calcolarne entro il loroambito la giusta visione o inserirvi lunette epredelle, creando in ultima analisi un inse-parabile unicum.Si passa così all’unica grande vetrina dedica-ta alle opere d’arte decorativa della suggesti-va sala della Trifora, dove sono inseriti alcu-ni esempi che partendo dal periodo nor-manno (già ricordati) giungono al tardoQuattrocento e al Cinquecento, epoca cui èspecificamente dedicata la sala. Tra le nuoveacquisizioni di suppellettili liturgiche delMuseo sono diversi significativi calici affinialla tipologia madonita, doni del CardinalePappalardo (fig. 49) e di Mons. Pecoraro148,recanti il marchio della maestranza degliorafi e argentieri di Palermo, l’aquila a volobasso con la sigla RUP, Regia Urbs Panormi,tra i primi punzoni di questi maestri che nel1447 fondarono la loro maestranza149. Nelperiodo sono diffuse non solo le foglie dicardo, ma anche i fiori, elemento ornamen-tale preferito pure per le stoffe, come si puòrilevare anche da quelle riprodotte nelle ta-vole del Quattrocento e del Cinquecentodello stesso Museo. Tra le più antiche stoffedella collezione dei paramenti sacri del Mu-seo è il paliotto di velluto verde con ricami incordonetto d’oro e ad appliqué, della primametà del Cinquecento, proveniente dallaCattedrale, che presenta il motivo inusualeper l’epoca dei draghi affrontati150. Il paliot-to, di produzione italiana, è stato già esposto

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Fig. 52 - Paolo Bramè, I Santi Placido, Vittorino, Euti-chio e Flavia, fine del XVI secolo, olio su rame concornice reliquiaria d’ebano.

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nella Mostra del 1998, e attualmente atten-de, come tante altre opere d’arte, il restauroglobale dei locali del Museo per potere tor-nare alla pubblica fruizione. Tra le opere d’arte decorativa è la sculturalignea dai modi attardati, legata ancora amodelli quattro-cinquecenteschi, il reliquia-rio a busto di Sant’Oliva (fig. 50) che il re-cente restauro a cura dell’Ufficio dei BeniCulturali dell’Arcidiocesi di Palermo, haconsentito di ricondurre alla fine del XVI,inizi del XVII secolo, non a caso provenien-te dalla Cappella del Palazzo Napoli dietrol’omonimo cantone dei Quattro Canti151.L’esemplare più significativo delle suppellet-tili liturgiche della grande vetrina della saladella trifora è il reliquiario di Santa Lucia,cinquecentesco, ancora dalla tipologia goti-cheggiante, come era in uso in Sicilia nell’e-poca, caratterizzato da guglie, pinnacoli eimmancabili foglie di cardo, che è stato espo-sto al Museo Regionale Pepoli di Trapani nel1989 in occasione della Mostra Ori e argentidi Sicilia (fig. 51)152. Particolarmente signifi-cativo, e non casuale nell’esposizione che de-dica l’ambiente ad opere del XV e XVI seco-lo, è l’accostamento visivo e il puntuale raf-fronto offerto dall’edicola d’argento del no-do del reliquiario e dalla trifora stessa sala,alla cui tipologia gotico-catalana si ispira. Re-cita ancora la Lettera circolare del 2001: “Pa-lazzi episcopali, ambienti curiali, che in mol-ti casi vengono utilizzati come sedi di museiecclesiastici, devono poter mantenere la loroidentità e nel contempo porsi a servizio del-la nuova destinazione, di modo che i fruitorisiano messi in grado di apprezzare congiun-tamente il significato dell’architettura e il va-lore proprio delle opere esposte”153. Obietti-vo che qui parrebbe raggiunto.Nella stessa vetrina trova spazio espositivo

anche il sigillo in ceralacca rossa con imma-gine del sovrano sul cavallo a galoppo, conla spada sguainata già pendente dalla letteraesecutoria del 1448 della conferma di quat-tro grani per ogni oncia pagata sulle gabelledella Dogana e della Secrezia di Palermo,concessa dal Re Alfonso il Magnanimo allaMaramma, la Fabbriceria della Cattedrale154.Salendo lungo le scale che affiancano la ve-trina, è possibile osservare un excursus del-l’arte scriptoria. Dal ricordato codice nor-manno si passa infatti a quello quattrocente-sco di Simone Beccadelli e dunque all’av-vento della stampa con il Pontificale secun-dum ritum Sacrosancte Romanae Ecclesiae,preziosa edizione giuntina del 1520, e con iLibri Missarum (II e III) di Giovanni Pierlui-gi da Palestrina, editi a Roma tra il 1567 e il1570. Ancora ornati con miniature, esclusi-vamente come strumento di preziosità deco-rativa, quando i testi a stampa erano ormaioltremodo diffusi, sono qui esposti l’Auten-

Fig. 53 - Argentiere palermitano, Leggio con Immaco-lata, 1698-99, argento sbalzato e cesellato, tartaruga.

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tica delle reliquie dei Santi Mamiliano, Nin-fa, Proculo, Golbodeo ed Eustozio, del 1666(con le immagini dei Santi, e gli stemmi diPapa Alessandro VII e di Palermo con l’an-cora sempre presente Genio pagano dellacittà), e il Messale-Ufficiatura della Settima-na Santa, miniato per l’Arcivescovo PietroMartinez Rubio (1656-1677), cui si affiancail Canon missae stampato a Roma nel 1640,che reca lo stemma dello stesso Arcivescovosui piatti della legatura155. Nella stessa vetri-na è un piccolo dipinto con cornice reliquia-ria raffigurante i Santi Placido, Vittorino, Eu-tichio e Flavia attribuito a Paolo Bramè, fon-damentale presenza al Museo di una perso-nalità artistica, la cui attività si alterna trapittura e miniatura, significativa per la circo-lazione culturale a Palermo tra la fine delCinquecento e l’inizio del Seicento (fig.52)156. Paolo Bramè nasce a Palermo nel1560 e si forma nella bottega d’arte paterna.Fondamentale il suo viaggio a Roma tra il1584 e il 1589, quando torna a Palermo. Nel1592 lavora all’allestimento dell’arco trion-fale del vicerè Enrico di Guzman conte d’O-livares insieme a Giovan Paolo Fonduli,Giuseppe Alvino, Mariano Smiriglio e Gia-como Gagini, sotto la guida di Giovan Bat-tista Collipietra, figure tutte carismatichedella cultura della maniera dilagante in quel-l’epoca. Dopo un successivo soggiorno ro-mano, negli anni della maturità si dedica an-che alla miniatura157. Si ricordano le carteminiate firmate dall’artista raffiguranti laDecollazione del Battista e i Santi Francesco eLorenzo, già nei volumi dei Capitoli delle ri-spettive Compagnie, entrambe oggi in colle-zioni private158. “In rapporto agli artisti pa-lermitani”, come nota Teresa Viscuso, “ilBramè si pone come tramite non solo dellacultura romana, ma anche di quella maniera

internazionale che si configura sullo scorciodel secolo e che da Roma sposta la sua aread’influenza a Napoli e alla Sicilia”159. Minia-to è ancora il più tardo Ruolo della Compa-gnia del Santissimo Rosario in Santa Zita, adopera di Francesco Gramignani, plausibil-mente nella prima metà del ’700.Tra le suppellettili liturgiche è stato qui inse-rito, legandolo per l’originaria punizione disupporto ai volumi citati, il leggio con l’Im-macolata in argento e tartaruga, opera dimaestranze palermitane che reca il marchiodel console degli argentieri di Palermo del1698-99, Virgilio Cappello160 (fig. 53). L’ope-ra, un’importante testimonianza della lavo-razione della tartaruga, più nota a Trapani,anche presso le maestranze palermitane161, èstata nel 2004 esposta alla Mostra dedicataall’Immacolata tenutasi preso la Basilica diSan Francesco d’Assisi di Palermo e all’al-tra, dalla stessa tematica, svoltasi nel 2005 inVaticano162.Salendo le scale si accede alle prime due sa-le del piano nobile già fruibili grazie a un in-tervento della Sovrintendenza, fortementevoluto dalla Dott. Adele Mormino, e realiz-zato dall’Architetto Lina Bellanca. Il lorouso è destinato attualmente all’esposizionedi opere d’arte restaurate e dei depositi a ro-tazione che non possano trovare immediata-mente posto nel circuito espositivo perma-nente del Museo, nonché a piccole mostretemporanee, e altre attività culturali. In que-ste Sale dunque, sono temporaneamenteesposte, opere come la scrivania della com-pagnia di San Giovanni Battista di Malta, inlegno impiallacciato e intarsiato, opera del1790 che reca in avorio al centro il Battesi-mo di Cristo e ai lati la croce dell’ordine diMalta, la testa del Battista, la corona e altriattributi del Santo come la Spada, l’Agnus

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Sala della scultura del Quattrocento

Dei e il libro dei Sette Sigilli; e alcuni ritrat-ti di arcivescovi palermitani, facenti partedella vasta quadreria apposita, che attendeun idoneo spazio espositivo, tra cui emergequello del Cardinale Giannettino Doria163

(fig. 54). Sono anche esposte le tele con San-ta Rosalia in abiti di monaca basiliana, già ri-cordata, di Giacinto Calandrucci del 1703(nella sala azzurra in deposito temporaneo),e la Processione dell’Urna di Santa Rosalia,della metà del Settecento, proveniente dallaChiesa dell’Annunziatella a Porta Sant’Aga-ta all’Albergheria164 (restaurate nel 2003 ri-spettivamente con il contributo della Fon-dazione del Banco di Sicilia e degli Amicidei Musei Siciliani). Un’analoga scena dellastessa processione è riproposta da ValerioVillareale nel 1818 nel bassorilievo a sinistradella nuova Cappella di Santa Rosalia dellaCattedrale di Palermo165. Giacinto Calan-drucci, pittore palermitano attivo a Roma,dipinge nell’Urbe questa tela di Santa Rosa-lia per la chiesa del Monastero del Santissi-mo Salvatore di Palermo, dove una tradizio-ne voleva che la Santa si fosse ritirata166. Es-sa compare in abiti basiliani come nella ri-cordata tavoletta del Museo, ove è raffigura-ta insieme a Sant’Oliva a Santa Venera e aSant’Elia, alla quale si dovette ispirare Gior-dano Cascini per l’incisione del suo volumedel 1651 e che dovette fare riproporre nellastatua della Santa posta al culmine della ci-tata vara d’argento della Cattedrale del1631167. Una replica più tarda del dipinto delCalandrucci è la tela con Santa Rosalia mo-naca basiliana della Chiesa del Gesù di CasaProfessa168. Le due immagini della Santa di-pinta come monaca basiliana, sono ripropo-ste nel pannello fotografico della Sala II, econsentono di fornire tasselli sulla devozio-ne della Santa a Palermo e della sua grandediffusione nel XVII e XVIII secolo. Del Ca-

landrucci è attualmente nella Sala Verde delpalazzo la Madonna dei Peccatori pentiti, del1707, proveniente dall’omonimo Oratorioin via Maqueda, poi passata alla Chiesa del-l’Assunta, recentemente restaurata169. Saràtalora possibile accedere dalla Sala Gialla aquella Verde, normalmente utilizzata comesalone di rappresentanza dell’Arcivescovo,in modo da visionare anche quest’opera e lealtre che compongono l’arredo dell’ambien-te, tra cui lo straordinario Crocifisso d’avo-rio della metà del Settecento con croce rive-stita di ametista con capicroce in bonzo do-rato, riferito a maestri trapanasi (FrancescoNolfo o Alberto Tipa) e strettamente raf-frontabile a quello della Chiesa della Magio-ne di Palermo170, o il Bancone dei Superiori

Fig. 54 - Ignoto pittore, Ritratto del cardinale Giannet-tino Doria, XVII secolo, olio su tela.

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della fine del XVII secolo, proveniente daun oratorio di congregazione171. Nella restaurata Sala Azzurra (successiva al-la Gialla) è stata in qualche modo ricreatal’atmosfera dei ricchi saloni del piano nobi-le con l’inserimento di arredi d’epoca dell’e-dificio nonché con il cofanetto già dei Duchid’Orleans172. Tutte e tre le sale riportano alcentro della volta lo stemma dell’Arcivesco-vo Giovan Battista Naselli e Montaperto deiduchi di Gela e principi di Ficarazzi (1853-1870), committente dei lavori di ristruttura-zione di questi ambienti.Qualora gli attuali spazi espositivi del Mu-seo fossero stati disposti come un unico sus-seguirsi di grandi ambienti in cui le opered’arte tutte, pittura, scultura ed arti decora-tive potevano confrontarsi consentendo dimostrarne il più ampio panorama secondoun percorso cronologico, sarebbe stato au-spicabile che nelle stesse sale fossero espo-ste, accanto ai dipinti dei maggiori artisti delQuattrocento e del Cinquecento palermita-no, anche sculture marmoree e lignee. Nonessendo stato possibile in questa fase realiz-zare l’iniziale proposito museologico, lesculture marmoree sono state allocate nelpiano seminterrato. Una scala consente al visitatore di scendere alpiano sottostante lasciando ampio spazio allavista degli scavi archeologici effettuati dallacompetente Soprintendenza173, in occasionedei restauri del Palazzo Arcivescovile, che of-frono un ulteriore elemento di interesse dellavisita al Museo, pur essendo estranei al per-corso d’arte sacra, ma tuttavia parte integran-te della storia della città di Palermo e del vis-suto dei suoi cittadini. Sono stati opportuna-mente lasciati in deposito al Museo tutti queiframmenti di ceramica ritrovati durante gliscavi che, studiati dalla Direttrice dello scavo,Francesca Spatafora, sono stati esposti e spie-

gati al visitatore da appositi pannelli didatti-ci174. Dalle aperture delle due prime sale delpiano cantinato è possibile peraltro vederel’altra parte degli scavi archeologici emersi,durante lo stesso restauro, che sono visibilianche dal primo atrio del Palazzo Arcivesco-vile dove insiste l’ingresso del Museo.Attraverso un lungo corridoio, dove pannel-li fotografici forniscono notizie e immaginidel piano nobile del Palazzo destinato adambiente espositivo e non ancora restaura-to, si giunge alle sale dedicate alla sculturamarmorea dei XV e XVI secolo, ambienti incui la bottega gaginiana fa da protagonista.

SALA DELLA SCULTURA DEL QUATTROCENTO

Dalla diaspora provocata dall’interruzionedei lavori per l’arco di Alfonso d’Aragona aNapoli giunsero in Sicilia Domenico Gaginie Francesco Laurana, portandovi le già ac-quisite novità rinascimentali. Il primo si sta-bilì nell’isola e vi trapiantò la sua famiglia,fondando la più attiva e ricercata bottega diartisti della seconda metà del XV secolo. Ilfiglio Antonello continuò l’attività del pa-dre, anzi l’ampliò notevolmente fino allaprima metà del XVI secolo175. Tra le sculture del XV secolo sono due sta-tue della Vergine Annunciata, (fig. 56) unadell’Angelo annunciante (ritenute dal Kruftopere di bottega)176, quella delle Sante Aga-ta, (fig. 57) Oliva (fig. 58) e un mezzo bu-sto di Santa, verosimilmente Cristina, (fig.59) provenienti dalla cappella dedicata aquest’ultima nella Cattedrale, riferite a Pie-tro di Bonitate dal Pottino, fatta eccezioneper quella a mezzo busto che riconduce aDomenico Gagini177. Il Kruft invece consi-dera di bottega gaginiana questo busto, co-

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Sala della scultura del Quattrocento

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me la Sant’Oliva e la Sant’Agata178. Di Mar-zo ritiene di Domenico Gagini la mezza fi-gura di Santa Cristina, una delle due Vergi-ni in piedi, (di cui non sono chiari gli attri-buti iconografici, forse da individuare nel-l’Annunciata) e la figura di Santo monacoacefalo, forse San Basilio o San Benedetto,che Kruft riferisce dubitativamente a FazioGagini, figlio di Antonello, della stessaprovenienza dalla Cattedrale, sito nel pas-saggio che unisce la sala della scultura delQuattrocento a quella del Cinquecento179.Il Di Marzo non da al maestro invece le sta-tuine delle Sante Agata e Ninfa (oggi rico-nosciuta come Oliva)180. Si tratta comunquedi sculture dovute alla famosa scuola gagi-

niana che dominò per quest’arte tutta l’iso-la dalla seconda metà del XV a tutto il XVIsecolo. In questa sala sono illustrate le vitee i principali attributi iconografici delleSante vergini patrone di Palermo: per San-ta Cristina, martire cristiana, la macina,simbolo di uno dei martiri che subì, quan-do venne buttata nel lago di Bolsena conuna macina al collo e miracolosamente tor-nò in superficie (da cui la corda che si vedenel busto); per Agata, nata a Catania, mar-tirizzata nello stesso periodo, le mammelleche le vennero asportate in uno dei suppli-zi subiti; per Oliva il simbolico ramoscelloche rimanda al suo nome, come nella statuaun tempo scambiata per Santa Ninfa, il cui

Fig. 55 - Sala della Scultura del Quattrocento.

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Fig. 56 - Bottega gaginiana, Annunciata, seconda metàdel XV secolo, marmo.

Fig. 57 - Bottega gaginiana, Sant’Agata, seconda metàdel XV secolo, marmo.

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Sala della scultura del Quattrocento

Fig. 58 - Bottega gaginiana, Sant’Oliva, seconda metàdel XV secolo, marmo.

Fig. 59 - Domenico Gagini e aiuti, Santa Cristina,seconda metà del XV secolo, marmo.

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attributo è invece una coppa con il fuoco181.Il Pottino ricorda inoltre le formelle raffigu-ranti episodi della vita e del martirio delleSante Cristina, Ninfa, Oliva che, insieme adaltre perdute, formavano un grande arco co-struito nel 1496 nella cappella di Santa Cristi-na e che, nel 1626 furono trasportate in quel-la di Santa Rosalia182, per poi finire in partesmembrate e in parte distrutte nell’infaustaristrutturazione della Cattedrale alla fine delXVIII secolo. I brani superstiti furono am-massati in magazzini della Cattedrale, con lericordate statue, per poi fortunatamente pas-sare al Museo Diocesano. Gioacchino DiMarzo riferisce dell’attività di Domenico Ga-gini per la Cappella di Santa Cristina nel1477 e ritiene che possano essere sue le for-

melle dell’arco marmoreo del 1496, che Ba-ronio e Auria ritengono di Antonio Gagini183,spingendo verso la plausibile ipotesi di studioche le formelle siano opera di Domenico conla collaborazione del giovane figlio Antonel-lo, già avanzata da Filippo Pottino184. Kruft ledata al 1501 e riferisce a Gabriele Di Batti-sta185. Queste formelle che componevano l’ar-co della cappella, insieme ad altre che sonoandate poi perdute, dal 1626 al 1635 furonotrasportate nella nuova cappella dedicata aSanta Rosalia, come riferisce Mons. Potti-no186. Tre di queste formelle, già relative allavita di Santa Cristina, furono adattate a quel-la di Santa Rosalia, costituendo la parte cen-trale del nuovo arco che Mons. Paolo Collu-ra da a Gabriele Di Battista che, nel 1501,

Fig. 60 - Domenico, Antonello Gagini e bottega, Ricomposizione dell’arco di Santa Cristina, fine XV-inizi XVIsecolo, marmo.

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Sala di Antonello Gagini e del Cinquecento

completava il lavoro dopo la morte di Dome-nico Gagini187. Piuttosto che rappresentarescene della vita di Santa Rosalia, come ritieneMons. Collura, perché recano le scritte S. Ro-salia rosis coronatur e S. Rosalia Panormumremigrat188, è possibile che esse si riferiscanoagli episodi relativi alla preghiera di SantaCristina e a quello del rientro della Santa aBolsena, e che le scritte siano un’aggiunta del1626, tesa ad esaltare la nuova patrona di Pa-lermo, di cui il padre gesuita Giordano Casci-ni ricostruiva, dopo il miracoloso ritrovamen-to delle ossa del 1624, in quegli stessi anni,agiografia e iconografia189. Il Cascini infattiscrive in riferimento all’arco marmoreo dellacappella barocca di Santa Rosalia: “viene ri-partito l’arco in undici quadri di marmo effi-

Fig. 61 - Bottega gaginiana, Madonna di Trapani, XVsecolo, marmo alabastrino policromo.

Fig. 62 - Bottega gaginiana, Santa Barbara, 1496,marmo policromo.

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giato con le storie delle Vergini tutt’e cinque,e cioè nel mezzo con quelle di S. Rosalia, edue per ciascuna delle altre”190. Delle tre for-melle riadattate a storie della vita di Santa Ro-salia sono superstiti solo due, essendo andataperduta, quella che, secondo Mons. Collura,raffigurava “Santa Rosalia che esce dalle mu-ra di Palermo accompagnata da un angelo”191.Il Kruft nella ricostruzione grafica delle for-melle dell’arco della prima cappella di SantaCristina le articola nel seguente modo: 1) San-ta Cristina in preghiera, 2) la Santa in carcere,3) Cristina interrogata dal padre, 4) il suppliziodella ruota, 5) la Santa trasportata in barca, 6)condotta dall’Arcangelo Gabriele alla sua cittànatale, 7) Cristina nella culla di ferro sul fuoco,8) scena di martirio, 9) Cristina lascia rovinarel’idolo di Apollo sulla polvere, 10) scena dimartirio, 11) morte di Santa Cristina192. LaSanta dopo aver subito diversi martiri morìcolpita da frecce. La ricomposizione delle for-melle fatta dal Kruft nella ricostruzione grafi-ca da proporre nell’esposizione museale com-prenderebbe solo la mancanza delle formelle2, 8 e 10. È dunque auspicabile la presentazio-ne della ricomposizione grafica e fotografica(fig. 60), eseguita da Enzo Brai con l’ausilio disistemi informatici, in pannelli didattici, delleformelle che componevano l’arco della cap-pella di Santa Cristina prima e quello di San-ta Rosalia poi, affiancandovi le parti essenzia-li dei relativi testi del Di Marzo, e delle altrefonti che consentono di ricostruirne la storia.È, inoltre, ipotizzata qui l’esposizione, di tut-te queste formelle conservate al Museo, ten-tando anche la riunione in una struttura, si-mulante l’arco, possibilmente non in muratu-ra, lasciando gli spazi vuoti delle mancanti einserendovi le altre193. Sarebbe utile, anche nelgenerale intento di far rivivere le devozioni lo-cali, affiancare un pannello fotografico con

l’immagine della vara di Santa Cristina, giànella stessa cappella dedicata alla Santa inCattedrale e oggi conservata nella Cappelladelle Reliquie, opera del 1556 di Paolo Gilicon la collaborazione di Andrea di Peri e Sci-pione Casella, le cui formelle d’argento raffi-guranti scene della vita della Santa sono stret-tamente derivate da quelle dell’arco marmo-reo gaginiano, come consentono ancora dievidenziare le parti originali superstiti, mal-grado anche la vara abbia subito nel tempodiversi restauri194.Non poteva mancare al Museo una statuamarmorea della Madonna di Trapani, unadelle diverse copie dell’originale di Nino Pi-sano realizzata ante 1368, del Santuario del-l’Annunziata di quella città. La statua delMuseo, dalla policromia non originale, maridipinta, è opera di bottega gaginiana delXV secolo195. (fig. 61)Nella stessa sala è una statua di Santa Barba-ra (fig. 62), altra martire, vissuta nel III seco-lo in Asia Minore e ricordata nella Legendaaurea, e solitamente accompagnata da unatorre con tre aperture simboleggianti la Trini-tà, in cui venne rinchiusa dal padre196. L’ope-ra proviene dal coro della Cappella del Semi-nario Arcivescovile (già proveniente dallaChiesa dedicata alla Santa), oggi ad uso dellaFacoltà Teologica San Giovanni Evangelista,nell’edificio contiguo al palazzo Arcivescovi-le, dove la statua non è stata riportata per la-sciarla alla più ampia fruizione museale. Lascultura portava la data 1496 e l’iscrizionecon i nomi dei committenti: “C. P. MagnificoJoanne Antonio Perdicaro Egregio NotarioAntonio Scolaro Rectoribus”196. La statuamarmorea era stata trasferita nella Chiesa diSanta Barbara in via Alloro, costruita nel1666 dalla maestranza degli stagnari, insiemealla confraternita della Sciabica, distrutta dai

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Sala di Antonello Gagini e della Scultura del Cinquecento

bombardamenti dell’ultima guerra mondia-le197. La costruzione del Seminario Arcivesco-vile fu voluta dall’Arcivescovo Cesare Marul-lo, che lo fece realizzare prospiciente all’at-tuale Villa Bonanno, proprio sul sito dell’an-tica Chiesa di Santa Barbara Sottana, affidan-done la realizzazione all’architetto piemonte-se Giorgio Di Faccio, che venne iniziata nel1583 con cerimonia ufficiale alla presenza diMarcantonio Colonna e celebrata con tre me-

daglie commemorative coniate da NibilioGagini e da una lapide di Vincenzo Gagini,ancora visibile nel vestibolo d’ingresso198. Nel1587 viene realizzato da quest’ultimo il bal-cone con le mensole figurate del Palazzo Ar-civescovile, divenendo il modello per l’altrodovuto nel 1840 ad Emmauele Palazzotto eValerio Villareale, che presenta nelle mensoleteste di artisti (da sinistra: Pietro Novelli,Ignazio Marabitti, Giuseppe Venanzio Mar-

Fig. 63 - Francesco Laurana, Giovane cavaliere giacente, seconda metà del XV secolo, marmo.

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vuglia, Giuseppe Velasco, Vincenzo Riolo)199.Nello stesso ambiente dedicato alla sculturadel Quattrocento è programmato l’inseri-mento della figura di un giovane cavalieregiacente, proveniente dalla distrutta Chiesadi San Giovanni e Giacomo a Porta Carini,riferita a Francesco Laurana200, restaurata daMauro Sebastianelli (a spese degli Amici deiMusei Siciliani) (fig. 63). Lauranesco è consi-derato dal Pottino il bassorilievo a mo’ di“stiacciato” raffigurante la Fuga in Egitto, ta-lora considerato di Antonello Gagini201 di cuiè previsto l’inserimento tra i marmi della salasuccessiva dedicata a quell’artista.

Mons. Pottino definisce “tardo rinascimenta-le” l’altorilievo marmoreo della Madonna diLoreto della stessa sala202. Dell’opera è oppor-tuno spiegare l’iconografia, poco diffusa inSicilia.Attende per essere esposto dopo un idoneorestauro, come numerose altre opere conser-vate nei depositi del Museo, il rilievo centina-to in terracotta invetriata raffigurante la Ma-donna con il Bambino, attribuito ad Andreadella Robbia nell’ultimo quarto del XV seco-lo, proveniente dalla Chiesa di San Nicolò LoGurgo, dove era posto sulla facciata nel latosinistro del portale203.

Fig. 64 - Sala di Antonello Gagini e della Scultura del Cinquecento.

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Sala di Antonello Gagini e della Scultura del Cinquecento

SALA DI ANTONELLO GAGINI E DELLA SCUL-TURA DEL CINQUECENTO

Tra le opere dell’inizio del Cinquecento so-no le sculture di Antonello Gagini e bottega.Opera di cultura gaginiana, da datare tratardo-Quattrocento e primo Cinquecento èil Crocifisso in mistura proveniente dallaChiesa di San Nicolò Lo Gurgo204. L’esposi-zione dell’opera è condizionata ad un urgen-te restauro, la cui illustrazione potrà fornireal visitatore interessanti notizie sulla sua tec-nica realizzativa che sapientemente uniscelegno, tela e colla, già utilizzata nella botte-ga di Antonello Gagini e dal maestro stesso,come nei Crocifissi della Chiesa Madre diAlcamo e di Assoro205, e che avrà una largadiffusione in epoca successiva specialmentenell’area trapanese dell’isola.

Fig. 65 - Antonello Gagini e aiuti, Elemento decorativodella tribuna della Cattedrale, 1507-1515 ca., marmo.

Fig. 66 - Antonello Gagini e aiuti, Lo “Spasimo” e la“Elevazione della Croce”, 1507-1515 ca., marmo.

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Dovuta alla bottega gaginiana è la statua li-gnea di San Giacomo Maggiore, di cui unprogrammato restauro dovrebbe consentirela prossima esposizione. La scultura, prove-niente dalla Chiesa dei Santi Giovanni eGiacomo a Porta Carini, che non esiste più,dove era pure l’altra di San Giovanni, che sitrova oggi nella Chiesa di San Giovanni deiLebbrosi, presenta, come già notava Mons.Filippo Pottino, caratteri vicini all’arte gagi-niana206. Un preciso raffronto si può fare conla statua marmorea dello stesso soggetto giànella tribuna e ora posta tra quelle che orna-no la conca absidale della Cattedrale207. SanGiacomo fu detto Maggiore per distinguer-lo dall’altro apostolo, cugino di Gesù defini-to Minore, era il fratello dell’EvangelistaGiovanni e morì decapitato al tempo di Ero-de Agrippa, intorno al 42 d. C.208 Si può pu-re inserire in ambito gaginiano la scultura li-gnea dorata di San Giovanni Battista, operatardo-cinquecentesca, proveniente dallaChiesa di San Cristoforo, già nella Chiesa diSan Giovanni Battista La Galca, anch’essabisognosa di un restauro che ne consental’esposizione209.

Nella sala è esposta la scultura marmorea diSanta Restituta riferita dal Kruft ad Antonel-lo e Giacomo Gagini, proveniente dallaChiesa di Santa Chiara e poi passata in Cat-tedrale. La statua di cui fece il disegno Anto-nello nel 1535, fu realizzata dal figlio Giaco-mo nel 1557210. A Fazio Gagini Kruft riferi-sce la formella già posta alla base della statuadi Sant’Elena già in Cattedrale, oggi nel San-tuario di Gibilmanna, conservata nei deposi-ti del Museo in attesa di essere esposta vici-no a quella della Decollazione del Battista,opera di Scipione Casella del 1542, base del-la statua del Santo proveniente dall’omoni-ma cappella della Cattedrale211.La tribuna marmorea della conca absidale

Fig. 67 - Bottega di Antonello Gagini, Capitello dellaTribuna della Cattedrale, 1507-1515 ca., marmo.

Fig. 68 - Antonello Gagini e aiuti, Parasta della Tribu-na della Cattedrale, post 1507, marmo.

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Sala di Antonello Gagini e della Scultura del Cinquecento

della Cattedrale di Palermo fu commissio-nata dall’Arcivescovo Giovanni Paternò nel1507 ad Antonello Gagini, con atto notarileredatto alla presenza del vicerè don Raimon-do Cardona. In quell’occasione l’artista ave-va presentato un disegno dell’opera su per-gamena212. La grandiosa opera, smembrataalla fine del XVIII secolo, come ricordato,su progetto di Ferdinando Fuga, venne ingran parte riutilizzata nella Cattedrale stes-sa. Dei numerosi frammenti finiti nei depo-siti della stessa e già ricoverati al MuseoDiocesano si espongono solo taluni elemen-ti decorativi (fig. 65), taluni peraltro ritenu-ti proprio della mano del maestro dal Kruft,due formelle, cui dovettero collaborare conil maestro i figli213. Una raffigura l’Elevazio-ne della Croce e l’altra, particolarmente si-gnificativa, ripropone in marmo lo Spasimodi Raffaello (fig. 66), oggi al Museo del Pra-do di Madrid, proveniente dalla Chiesa di

Santa Maria della Vittoria di Palermo, per laquale era stato realizzato e che divenne fon-te d’ispirazione per gli artisti dell’epoca chene proposero diverse repliche. Particolar-mente significativo risulta in proposito ri-cordare che la cornice marmorea del dipin-to era stata realizzata proprio da Antonello eche oggi è in attesa di essere ricomposta nel-la Chiesa cui era destinata ab origine214.Gioacchino Di Marzo, a proposito della for-mella marmorea di tal soggetto, scrive:“Consta intanto del sommo Antonello averedinanzi scolpito per la parte inferiore nelfondo della Tribuna del Duomo stesso, duestorie dello Spasimo e della Sepoltura diCristo, le quali poscia egli tolse, sostituendo-ne altre del Transito ed Assunzione di No-stra Donna sotto la statua di essa recata incielo dagli angeli. Notando quindi l’Auria,l’Amato e il Mongitore come opere di quelsommo due storiette (…) dello Spasimo e

Fig. 69 - Veduta della Cattedrale, incisione da Grami-gnani, 1760.

Fig. 70 - Veduta della Tribuna, incisione da Di Marzo,1880.

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del Cristo deposto (…) esistenti nella Cap-pella del Crocifisso e distinte dalle altre duedei soggetti medesimi, che ivi facevan partedell’arco di marmo di questa cappella ese-guite da Fazio e Vincenzo Gagini dopo il1539”. Conclude il Di Marzo: “sembra daciò lecito sospettare, che le cennate due sto-rie scolpite da Antonello (...) siano le stesseche furono poi locate nella cappella anzidet-ta (…). Nulla altronde di queste rimane più

ai nostri giorni, giacchè distrutta la vecchiacappella (...) andarono disperse”215. Graziealle indicazioni date dal Di Marzo è statodunque possibile individuare le due storiet-te che lo studioso non ebbe la fortuna di ri-trovare nei diversi depositi di materiali dellaCattedrale e del Palazzo Arcivescovile e chesono distinguibili da quelle attualmente nel-l’altare del Crocifisso della Cattedrale, purericordate dallo stesso come opere di Fazio eVincenzo Gagini, che l’avevano realizzateper arco della stessa cappella, di cui si po-tranno affiancare le immagini nell’esposizio-ne museale. Nella bottega gaginiana viene più volte ripe-tuto il tema dello “Spasimo”, nella Chiesa diSan Nicolò di Randazzo, da Antonino Gagi-ni e Baldassare Massa, nella Badia Grandedi Alcamo e ancora da Antonino nella Chie-sa di Sant’Antonio Abate a Palermo216.L’unica parasta della tribuna conservata alMuseo, di cui è programmato il prossimo in-serimento nella sala, considerata opera diAntonello dal Kruft217, come le altre sparsenelle cappelle della Cattedrale, è caratteriz-zata da quel repertorio decorativo ricco dicandelabra, grottesche, figure mostruose edi animali, tipico del periodo tra la fine delQuattrocento e l’inizio del Cinquecento ches’incontra nelle più diverse manifestazionidell’arte, dalle cornici lignee a quelle dei co-dici miniati anche in Sicilia. Non a casoGioacchino Di Marzo nel descrivere l’operasi sofferma sugli ornati di tali paraste mar-moree: “Con vaghi avvolgimenti di foglie,con putti, vasi, maschere, sirene e stranigrotteschi animali viene dato libero campoa’ capricci del gusto, il quale però, guidato-vi dal miglior sentimento dell’arte, vi attingein vero il sommo della bellezza (...) Comun-que non si possa concepire più adesso qual

Fig. 71 - Ricostruzione della Tribuna marmorea dellaCattedrale, da Kruft.

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Sala del Barocco

sorprendente effetto dovevan produrre po-sti nella tribuna a decoro di sì gran copia dipilastri terminati da conforme eleganza dicapitelli”218. Qualora vi sarà uno spazio suf-ficiente al Museo, sarà utile di certo inserirenei pannelli didattici anche le immagini del-le diverse paraste riprodotte nel volume delDi Marzo, nonché qualche immagine dellaloro attuale ubicazione nella Cattedrale. Èauspicabile inoltre una maggiore presenzadi capitelli, molti ancora nei depositi delMuseo, raffrontabili anch’essi con le ripro-duzioni dello stesso testo219 (fig. 67).Filippo Pottino così si sofferma sulla parastadel Museo: “Della Tribuna fece parte, conaltre, la candelabra di straordinaria elegan-za, mirabile per finezza d’esecuzione, perfantasioso intreccio di motivi ornamentali dirami, di foglie, figure, animali, per cereamorbidezza plastica. Dalla base a soggettopagano faunesco, con l’arca dei sacrifici siaccede con le variazioni più ardite in se-quenza di delicatissimi ornati al sommo, cul-minante con la figurazione del simbolicopellicano che nutre col suo sangue i piccolinati. Chi non scorge nascosta, ma animatri-ce un’intenzione che trascende il libero gio-co dell’ornato in frequenza immateriale diespressione che trasporta intanto al gustodei raffaelleschi grotteschi delle Logge Vati-cane”220 (fig. 68).Sinteticamente Francesco Abbate riesce aindicare le componenti culturali dell’arte diAntonello: “alla base (…) si pone innanzitutto la tradizione paterna, arricchita dallaschiera numerosissima di collaboratori e se-guaci (...) e, forse ancor più determinantequella lauranesca. Su queste basi le caratteri-stiche figurative di Antonello crescono ag-giornandosi sui grandi fatti napoletani e ro-mani del primo Cinquecento, tanto scultorei

che pittorici: Giovanni da Nola, gli Spagno-li, Sansovino, ma anche il portato leonarde-sco-raffaellesco di un Cesare da Sesto”221.Particolarmente utili si presentano in questocaso i pannelli fotografici e didattici che mo-strano la tribuna quando era ancora in situnella conca absidale della Cattedrale, attra-verso un’antica stampa del Gramignani (fig.69), la sua riproposizione del Di Marzo (fig.70) e la ricostruzione grafica del complessoscultoreo fatta dal Kruft (fig. 71), per offrirecosì un’immagine perduta222. È stato inoltreesposto lo studio della ricostruzione dell’in-tera tribuna marmorea realizzato dagli allie-vi dell’Accademia di Belle Arti di Palermo,

Fig. 72 - Plastico della Tribuna marmorea della Catte-drale, ricostruzione del Prof. Salvatore Rizzuti e deisuoi allievi.

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guidati dal prof. Salvatore Rizzuti223, checonsente di riproporre così un’immagineperduta (fig. 72). Indispensabile risulta tut-tavia la prossima auspicabile esposizionedella parasta e di altri frammenti di elemen-ti decorativi della tribuna, perché gli appa-rati didattici non risultino prevaricanti, co-me già notato, rispetto alle opere del Museodi cui vogliono in qualche modo far riviverela storia ma che sono le vere protagonistedell’esposizione e che l’allestimento e gli ap-parati ad esso collegati non devono mai so-verchiare.Non si possono non riportare alcuni passi diGioacchino Di Marzo, relativi ai feroci com-menti dell’illuminato studioso sull’antistori-ca ristrutturazione della Cattedrale e losmembramento della tribuna: “Chiamatoespressamente in Sicilia dal napolitano Sera-fino Filangieri, arcivescovo di Palermo, ilfiorentino architetto cavalier FerdinandoFuga, che in Napoli era a servizio della cor-te, ed avutone incarico di proporre checchéstimasse opportuno fare nel duomo paler-mitano, che si dicea, bisognoso di risarci-mento in molte parti delle sue fabbriche,non avea esitato costui nel maggio 1767 adar fuori un disegno di total rinnovazione,per cui distruggendo quanto più si potessedi preziosità dell’antico in quel famoso tem-pio, si desse luogo ad ammodernarlo dipianta, a svecchiarlo del gotico e a tutto ri-farlo di nuovo toscano stile. Alla vandalicaproposta vivamente si opposero i Palermi-tani e lungo tempo resistettero (...) ma perdisavventura prevalsero (...) in fine le auto-rità e i maneggi del napolitano prelato (...) ecosì a re Ferdinando fu carpita nel 1781 ladecisiva deliberazione di dare effetto ad unde’ più pazzi e dannosi devastamenti, chesegnano di maggiore onta e vergogna l’uma-

na stoltezza. Fu allora che datosi corso perquasi vent’anni all’opera di spietata distru-zione, (...) scomparve affatto la grand’absi-de per dar luogo al cappellone odierno, an-dando con quella totalmente distrutta escomposta la mirabile opera del Gagini. Diquell’immensa composizione di pregiatissi-mi marmi, che contenea non meno di qua-rantacinque statue, oltre le mezze figure, lestorie ed ogni bellezza di ornati, nulla piùfu lasciato a serbarne a’ posteri alcuna di-stinta idea della passata magnificenza,sconvoltone, divisone e separatone il tutto(...) Ma da quel tanto, che di sì pregiatesculture scampò alla sfrenata barbarie de’rinnovatori, risulta tuttavia in modo insi-gne (...) l’altissimo valore di Antonello edella sua scuola”224.Tra i frammenti marmorei che attendono diessere esposti sono pure lastre con intarsi amosaico già del soglio reale realizzato daPietro di Bonitate nel 1472 e di quello arci-vescovile, entrambi della Cattedrale, realiz-zato nel 1544 da Giacomo, Fazio Gagini ecollaboratori225.

SALA DEI MARMI MISCHI

Numerosi sono i frammenti di marmi mischibarocchi provenienti dalla Cattedrale di Pa-lermo, insieme ai frammenti marmorei deimausolei degli arcivescovi, dalla stessa pro-venienza, smembrati nella ricordata funestaoperazione progettata da Ferdinando Fuga eche, nella vecchia esposizione museale, era-no, ove possibile, talora parzialmente ricom-posti, grazie anche a descrizioni di studiosilocali, preziose fonti storiche per l’arte sici-liana, come l’Amato e il Mongitore226. Il foltogruppo degli angeli putto marmorei fram-

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Sala del Barocco

mentari, tanto cari a Mons. Paolo Collura,analogamente provenienti dalla Cattedrale,danno il segno dell’arricchimento della de-corazione barocca nel passare dal marmo mi-schio a quello tra mischio, da cui emergevanofestosi putti, talora di gusto serpottesco. Lospazio a disposizione attualmente consentiràl’esposizione forse solo di un esempio di taliaccattivanti sculture, da affiancare a quellaperaltro purtroppo in atto esigua dei marmimischi (fig. 73), anch’essa da incrementareprossimamente con la scelta di alcuni deitanti pregiati frammenti ancora conservatinei depositi del Museo.Particolarmente interessante è la collezionedelle mattonelle maiolicate del Museo, rac-colta da Mons. Bartolomeo Lagumina e pas-sata dal Museo Nazionale a quello Diocesa-no per volontà del Direttore del periodo,Enrico Brunelli. Una parte delle mattonelledella stessa collezione si trova nel vestibolo

che precede il tesoro della Cattedrale di Pa-lermo, un’altra è conservata nei depositi delMuseo e solo una piccola, ma significativa,parte è attualmente in esposizione227. È indi-spensabile per opere come queste spiegareorigine e funzione al visitatore. Si tratta perlo più di mattonelle maiolicate di censo deisecoli XVI, XVII e XVIII, provenienti orada oratori, ora da chiese e monasteri, comequelle con lo stemma di Santa Maria di Mon-serrato dei Padri Benedettini Spagnoli, oquello di San Benedetto a Monreale, con unastella sormontata dalla corona del re nor-manno Guglielmo II, o quello del Monaste-ro dell’Assunta dell’Ordine dei Carmelitani.Alcune recano stemmi di nobili famiglie, odi vescovi, ma anche di artigiani. Si segnala-no quelle della Congregazione del Santissi-mo Sacramento, quella della Madonna dellaMazza della Confraternita del Soccorso,quella della Madonna della Consolazione nel

Fig. 73 - Marmoraro palermitano, Marmi mischi, secolo XVII.

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Fig. 74 - Maestri siciliani, Mattonelle maiolicate dicenso, XVII-XVIII secolo.

Fig. 75 - Giuseppe Di Bartolo da Caltagirone, La Madon-na con il Bambino e i Santi Rocco e Francesco di Paola,1887, mattonella maiolicata.

Fig. 76 - Maestri siciliani, Mattonelle maiolicate di censo, XVI-XVII secolo.

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deserto, oggi non più esistente, la cui devo-zione fioriva nell’Oratorio di San Mercurio,descritta dal Cannizzaro, come riporta il ca-nonico Antonino Mongitore, quella già del-la distrutta Chiesa di San Giovanni decollatocon la croce dei Cavalieri di Malta, quellacon l’Annunciazione, dell’omonima Confra-ternita già a Porta San Giorgio, quella con laMadonna delle Grazie, nella tradizionale ico-nografia che la propone mentre allatta ilBambino – con l’iscrizione: Prop(rietas) delVen(erabile) Monas(tero) di S. Maria la Ver-gi(ne) –, quella con la Maddalena con il vasodell’unguento dell’omonima Confraternita,quella con le insegne del Santissimo Crocifis-so all’Albergheria, quella con l’Ecce Homo,Signori della Pietà, del Monte di Pietà (figg.74-75); tra le mattonelle maiolicate constemmi vescovili si ricorda quella con le in-segne araldiche di Mons. Ludovico I de Tor-res228. La mattonella maiolicata che presentala Madonna con il Bambino tra i Santi Rocco

e Francesco di Paola come lascerebbero sup-porre le figure di Gesù e Maria sullo sfondo,anch’esse tuttavia, non originali, poiché ilCristo è contornato dalla corona di dodicistelle attributo iconografico dell’Immacola-ta, reca la firma del maestro maiolicaro, Giu-seppe Di Bartolo di Caltagirone, fatto assairaro, e la data 1887 (fig. 76)229.Ritorna al Museo Diocesano, dopo aver perun certo periodo di tempo ornato l’altaremaggiore della Cattedrale di Palermo, il pa-liotto architettonico di argentiere palermitanodel 1738 (fig. 77), proveniente dalla Chiesadei Santi Cosma e Damiano (e, forse, primadalla chiesa della confraternita di Gesù e Ma-ria in Sant’Aniano che si trovava pure al Ca-po, le figure del Santo medico e dell’angelo inrame dorato di sinistra sono peraltro un rifa-cimento del XX secolo su calco di quelle didestra ancora esistenti), da ricondurre verosi-milmente all’ideazione dell’architetto NicolòPalma, secondo l’uso del tempo che vedeva

Fig. 77 - Argentiere palermitano, paliotto d’altare, 1738 ca., argento sbalzato e cesellato.

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Fig. 78 - Ricomposizione del soffitto dipinto della navata della Chiesa dell’Annunziata, Mario di Laurito, 1536,legno dorato, tempera su tela.

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anche importanti architetti esercitarsi nel for-nire disegni di apparati decorativi230. L’operad’argento veniva protetta e nascosta da uncontropaliotto ligneo, dorato nelle parti piùinterne e colorato nelle esterne, pure conser-vato al Museo e che merita di essere affianca-to al primo nell’esposizione quando vi sarà lospazio disponibile231. In attesa che questo pa-liotto d’argento possa divenire anche nella sa-la del Museo la parte frontale di un altare si-mulato, ornato con tutte le usuali suppelletti-li liturgiche e sormontato da una pala d’alta-re, in modo da ricreare l’ambiente di prove-nienza e la funzione originaria, si sono postiai suoi lati due angeli tedofori lignei e doratidella metà del XVIII secolo, provenienti dal-la Confraternita della Madonna degli Ago-nizzanti232, per rimandare in qualche modoproprio all’ambientazione originaria.

SALE DI MARIO DI LAURITO, DELLE VEDUTE

DELLA CITTÀ E DEL MANIERISMO

Si torna al piano terreno attraverso una sca-la che riporta al percorso relativo alla pittu-ra e alle arti decorative dal Cinquecento.Nel pianerottolo sono stati inseriti i pannel-li didattici, già realizzati per la Mostra delleopere del Museo del 1998233, che presentanole riproduzioni di antiche fotografie dell’in-tero complesso del soffitto dipinto del 1536della Chiesa dell’Annunziata di Mario diLaurito234, quand’era ancora in situ, nonchéla ricomposizione, realizzata da Enzo Braicon moderni mezzi tecnici, delle tele (fig.78), recentemente restaurate per essereesposte alla Mostra di Vincenzo da Pavia,curata da Teresa Viscuso, entro le perdutecornici235. Diviene così più intelligibile l’ori-ginaria univocità di quell’insieme di dipinti

già mirabilmente riuniti dalle cornici ligneedel soffitto variamente lavorato, arricchito eimpreziosito da fregi fitomorfi aurei, interes-sante e raro esempio di carpenteria sicilianadella prima metà del Cinquecento, purtrop-po oggi distrutto. Il soffitto rappresenta dun-que un triste esempio di apparato decorativoche segue il destino del suo contenitore ar-chitettonico, che, essendo ancora considera-to elemento ornamentale secondario, mino-re, al tempo della seconda guerra mondiale,venne salvato solo nella parte dipinta. Stac-cate così le tele, vennero abbandonate le cor-nici lignee magistralmente scolpite da abilimaestranze palermitane. E il soffitto caddesotto i bombardamenti insieme alla chiesa;non essendosi allora provveduto a salvarel’intero complesso, l’opera d’arte nel suo in-sieme e non solo una parte236.

Fig. 79 - Ricomposizione del soffitto dipinto del transet-to della Chiesa dell’Annunziata, Mario di Laurito,1536, legno dorato, tempera su tela.

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Fig. 80 - Mario di Laurito, Tabernacolo con angeli, legno dorato, tempera su tavola, prima metà del XVI secolo.

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Fig. 81 - Mario di Laurito, Ricomposizione del trittico del Cancelliere entro la cornice, tempera e olio sutavola, prima metà del XVI secolo.

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Queste tele, l’unico complesso di opere cer-te di Mario di Laurito, sono tutte conserva-te al Museo Diocesano, grazie anche allasensibilità del Dott. Vincenzo Abbate, Di-rettore della Galleria Regionale della Sicilia,che ha ceduto in deposito al Museo Dioce-sano anche le due che si trovavano nei depo-siti di Palazzo Abatellis e che si spera, quan-do verrà realizzato il nuovo Museo, possanoessere tutte quivi complessivamente esposte.Oggi è stata realizzata solo l’esposizione diuna piccola parte, ponendola al centro dellasala dedicata alle opere del tardo manieri-smo, coerentemente rimontate nel soffitto,consentendo così la visione originaria, previ-sta dal pittore che non le aveva rifinite comesarebbe stato necessario fare per le pale d’al-tare che andavano viste a distanza più ravvi-cinata. L’architetto della Soprintendenza,Marilù Miranda, che ha curato l’allestimen-to, le ha inserite in una cornice lineare, comeinesistente, fungente solo da supporto, la-sciando alle immagini dei pannelli di riporta-re alla memoria le cornici originali, ma senzaoperare un falso storico. Nell’esposizione,come nel restauro, i criteri scientifici ispiratia Cesare Brandi si devono mettere in attonon solo per la pittura e la scultura, ma ana-logamente per tutte le opere d’arte decorati-ve. Le tele, che raffigurano Scene della vitadella Vergine, occupavano la navata centralee terminavano nel transetto della chiesa (fig.79). Qui erano al centro l’Annunciazione cir-condata dalle figure dei Profeti Isaia, Gere-mia, Daniele e Ezechiele, seguivano nella na-vata la Visitazione, la Nascita di Gesù, l’Ado-razione dei Magi, la Circoncisione, la Fuga inEgitto, la Disputa con i Dottori, la Sacra Fami-glia, le Nozze di Cana, la Predicazione di Ge-sù, l’Ascensione, la Pentecoste, la Madonnadel Soccorso, la Madonna Odigitria, la Mortedella Vergine e l’Assunzione.

Fig. 82 - Mario di Laurito, San Benedetto, sportellolaterale del Trittico del Cancelliere, tempera e olio sutavola, inizi del XVI secolo.

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Fig. 83 - Giovanni Gili e Mario di Laurito, San Nicola di Mira, legno policromo a estofado, prima metà delXVI secolo.

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Purtroppo queste tele avevano subito giànotevoli danni quando si trovavano ancoranel luogo originario. Il Di Giovanni nel1894 scrive: “per la ristorazione” del soffit-to dipinto “fu fatta l’impalcatura da più didieci anni e fin oggi non si è messo mano al-l’opera”237. Il Siciliano nel 1917 fornisce al-tre preziose notizie: “le tegole di coverticciospostate, in parte rotte e mancanti lasciava-no all’interno della chiesa penetrare le acquepiovane rovinando le tele dipinte dal Laure-to le quali, tarlate, lacerate, mancanti pezzi,e con macchie di umidità, pendevano abrandelli e molte figure qua e là avevanoperduto il colore (...) Poterono in dicembre1916 intraprendersi i lavori di ripristino e diconsolidamento (...) del soffitto. Ne furonoesecutori i Professori Vittorio Griffo e Filip-po Fazzone (...) le tele dipinte vennero in-collate sopra un’altra tela, (...) tutte le partimancante di queste tele si supplirono con latela della stessa grana (...) e sono state co-perte con tinte d’accompagno, avendo tenu-to conto di non entrare con tinte di restauronel campo delle pitture originali, le quali so-no state semplicemente tenute a secco e conaccuratezza si sono fatte scomparire le mac-chie d’umidità. Ond’è che i dipinti così con-solidati e restaurati sono tornati ad occupa-re i lacunari del soffitto”238. Le tele del soffit-to del transetto, raffiguranti l’Annunciazio-ne della Vergine tra quattro profeti, vennerorestaurate nel 1918, come risulta dalla rela-zione dell’allora Soprintendente Ettore Ga-brici, che sottolinea come “i restauri delletele sono stati eseguiti in guisa che nulla diarbitrario venisse ad alterare l’aspetto origi-nario dei dipinti”239. Il restauro operato a cu-ra della Soprintendenza, tuttavia, per quan-to serio, attento e studiato, ha avuto i limitilegati all’epoca in cui venne eseguito. Ciò èevidenziabile dalla stessa relazione del So-

printendente che, considerando queste tele“di carattere decorativo”, le tratta diversa-mente che se fossero opere da “cavalletto”240.Tutto ciò non sarebbe certo avvenuto oggicon i moderni criteri del restauro scientificoche non avrebbe consentito tra l’altro che sirifacessero le aureole dei personaggi sacri“con l’intonazione dell’oro antico”, che si ri-costruisse la figura quasi totalmente mancan-te dell’angelo annunziante o che i ritocchi sifacessero con tinta neutra e a tempera. Co-munque è merito della Soprintendenza deltempo di aver evitato quel restauro di ripri-stino che avevano intrapreso i rettori dellachiesa, che avrebbe rappresentato un “falso”sia dal punto di vista “storico” sia “estetico”,per rifarsi ancora una volta al pensiero di Ce-sare Brandi, il padre del moderno restauroscientifico.Sotto il soffitto, nella sala della Maniera, èstata collocata la custodia a tabernacolo di le-gno dorato della prima metà del XVI seco-lo, proveniente dalla Cattedrale, che, primadel recente restauro curato dalla competen-te Soprintendenza, recava al centro l’imma-gine, non originaria e non pertinente, dellaMadonna con il Bambino, già attribuita a Ce-sare Magni, e che presenta negli sportelli la-terali due angeli di Mario di Laurito (fig.80)241. I decori del tabernacolo ligneo sonostrettamente raffrontabili a quelli delle para-ste della tribuna gaginiana, come sarà possi-bile evidenziare in un altro pannello esplica-tivo, e come divenne caratteristico per mol-te cornici lignee di dipinti della prima metàdel Cinquecento. Si potrebbe inserire inquesto ambiente anche uno di quei fram-menti marmorei che riportano gli stessi de-cori degli intagli lignei della cornice.Grazie a questa serie di tele, per quantomolto rovinate, restaurate e già all’originedestinate ad essere guardate a distanza, è

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Fig. 84 - Mario di Laurito, Madonna con il Bambino e i Santi Rocco, Sebastiano, Venera, Rosalia, Cristina,Ninfa, Agata e Oliva che proteggono Palermo, 1530, tempera e olio su tavola.

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stato possibile attribuire al pittore diversealtre opere tra cui il Trittico del Cancellieredel Museo, proveniente dalla chiesa delCancelliere, già nella Chiesa del Monasterodi Monte Vergini, dunque, come nota Vin-cenzo Abbate, “di sicura alta committenzaclaustrale benedettina”242. Con quest’opera sientra nella sala della torre che partendo dal-le opere di Mario di Laurito raccoglie anchediversi dipinti raffiguranti vedute della cittàe della Cattedrale. Le varie parti smembratedel Trittico raffigurante l’Adorazione dei Ma-

gi tra i Santi Girolamo e Benedetto e la Nati-vità nella lunetta, oltre ad essere riunite, ven-gono affiancate da un pannello riportanteuna fotografia dell’opera ancora nella cap-pella della Chiesa del Cancelliere, quandoera armonicamente legata e impreziosita dal-la ricca cornice (fig. 81), che ancora una vol-ta grazie a moderne tecniche è ricompostada Enzo Brai. L’opera dovette essere adatta-ta entro quella cornice in occasione del rifa-cimento della Chiesa del Cancelliere tra Seie Settecento. La tavola centrale del trittico

Fig. 85 - Simone de Wobreck, Palermo liberata dalla peste, 1576, olio su tavola, (part.).

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con l’Adorazione dei Magi è stata esposta alMetropolitan Museum di Manila, nel 1994,per la Mostra 2000 years of Vatican tresaures,realizzata in occasione di una visita in queiluoghi del Papa. Il trittico, come tutte le al-tre opere di Mario di Laurito del MuseoDiocesano, è stato restaurato a cura dellacompetente Soprintendenza in occasionedella ricordata Mostra di Vincenzo da Pavia.I Magi sono ammantati da sontuose vesti or-nate da preziosi monili e recano i loro donientro auree suppellettili. Stoffe, catene, cali-ci, pissidi rimandano ai rari esempi supersti-ti dell’epoca e consentono interessanti raf-fronti. Si notino le catene, le fibule che chiu-dono i manti che ricordano il tipico gioiellodell’epoca dalla forma circolare, caratteriz-zato da una gemma centrale e circondato diperle, gioielli tutti raffrontabili ad esempio aquelli analoghi facenti già parte del Tesorodella Madonna di Trapani, oggi esposti alMuseo Regionale Pepoli della città243. Anchela mitra del Santo Abate è ingemmata e tem-pestata di perle, come ad esempio quella delTesoro della Cattedrale di Palermo già dettadell’Arcivescovo Giovanni Carandolet e re-centemente ricondotta alla committenza delCardinale Giannettino Doria e alla realizza-zione dell’abile orafo smaltatore Don Camil-lo Barbavara244. I bordi del piviale sono figu-rati (fig. 82), come gli stoloni policromi rica-mati delle pianete quattro-cinquecentesche,ad esempio quella di velluto operato dellaChiesa Madre di Petralia Soprana, che ri-chiama immagini antonelliane, come quelledel polittico di San Gregorio del 1473245.Ammantato da una casula con stolone figu-rato analogamente a quelli del Trittico delCancelliere è una statua lignea di San Nicoladi Mira246 (fig. 83), opera attribuita allo scul-tore Giovanni Gili e al pittore Mario DiLaurito della prima metà del XVI secolo,

come si è potuto ipotizzare dopo il restauroscientifico operato sulla scultura lignea,(grazie all’interessamento del Rotary ClubPalermo-Cefalù), significativamente espostoaccanto al trittico247. La scultura, rivestita daun doppio strato di tela, nello stolone figu-rato consente peraltro uno specifico raffron-to non solo con quello del piviale del SanBenedetto del Trittico del Cancelliere dallestesse particolari edicole turrite, ma anchecon i personaggi più semplicemente descrit-ti e analogamente inseriti entro archi dello

Fig. 86 - Simone de Wobreck, Flagellazione, oilio sutela, 1585.

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Fig. 87 - Vincenzo La Barbera, Santa Rosalia intercede per Palermo, 1624, olio su tela.

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stesso pittore già nel Monastero del Santissi-mo Salvatore, oggi nei depositi di PalazzoAbatellis248. È pertanto possibile ipotizzareche la scultura realizzata dall’abile maestroGili fosse stata poi dipinta da Mario di Lau-rito o all’interno della sua bottega249. L’attri-buzione al Gili è supportata dal raffrontocon la scultura del San Vito, opera del mae-stro del 1532, individuata da PierfrancescoPalazzotto, che necessita di un urgente re-stauro250. San Nicola, nativo di Patara in Li-cia, vissuto al tempo delle persecuzioni diDiocleziano, vescovo di Mira, presente alConcilio di Nicea, viene generalmente dettodi Bari perché le sue spoglie furono traslatea Bari nel 1087, essendo Mira caduta in ma-no ai Saraceni251. Il San Nicola di Mira pro-viene dalla Chiesa di San Nicolò lo Gurgu,sita vicino a quella di San Domenico, da lun-go tempo chiusa al culto. In un inventariodel 1846 dell’Archivio Storico Diocesano di

Palermo, relativo alla Chiesa di San NicolòLo Gurgo, si ricorda una “statua antichissi-ma” di San Nicola “con baculo e taddemad’argento”252, che a quel tempo erano statipignorati e oggi sono andati perduti. In oc-casione del restauro della statua di San Ni-colò è stato allestito nel Museo il laboratoriodi restauro in una delle sale del piano semin-terrato, in modo che il visitatore potesse ve-dere il restauratore all’opera, ricevere spie-gazioni sulle modalità dell’intervento stesso,improntato ai criteri del restauro scientificodi Cesare Brandi anche su un’opera d’artedecorativa e già certamente legata a partico-lare devozione, ma ormai destinata solo al-l’esposizione museale e alla conseguentefruizione. Quest’iniziativa è inserita in un piùampio programma che prevede una serie direstauri che saranno condotti con le stessemodalità, aperti al pubblico, realizzati da re-stauratori di comprovata esperienza, inseriti

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Fig. 88 - Pittore siciliano, Veduta della Cattedrale di Palermo, ante 1726, olio su tela.

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negli specifici albi professionali e seguiti nonsolo dagli esperti del Museo, ma anche, co-me è prassi, dalla competente Soprintenden-za. Le varie fasi del restauro non verrannosolo documentate da immagini fotografiche,ma illustrate in appositi pannelli didattici.Tale iniziativa, promossa dal Direttore delMuseo Mons. Giuseppe Randazzo, coadiu-vato dal vicedirettore Dott. PierfrancescoPalazzotto, e realizzata grazie all’abilità delrestauratore Mauro Sebastianelli, si apprestaa diventare una delle diverse fonti d’interes-

se offerte dal Museo Diocesano che tende aporsi come un moderno contenitore propul-sore di conoscenze non solo di fede, devo-zione, arte e storia, ma anche di informazio-ni diverse non ultime nozioni tecnico-scien-tifiche.Tra le altre opere del pittore Mario di Lauri-to al Museo Diocesano, che attualmente nonè stato possibile esporre per mancanza dispazio, è la Dormitio Virginis253 che è stretta-mente raffrontabile alla tela dallo stesso sog-getto del soffitto dell’Annunziata, come pe-raltro la Natività della lunetta e l’Adorazionedei Magi del Trittico del Cancelliere che sem-brano trovare tutte il loro prototipo in quelletele, purtroppo ormai sbiadite, dove le figurerisultano talora evanescenti. Il pittore dipinseancora un’altra versione della Morte dellaVergine, molto vicina stilisticamente e com-positivamente alle precedenti, tanto da nonlasciare dubbi sulla sua attribuzione, anchesolo attraverso una vecchia immagine foto-grafica, che sarà opportuno, nella prossimaauspicabile nuova esposizione delle opere neilocali complessivamente restaurati, affiancarein un pannello fotografico254.Mario dovette nascere a Laurito, vicino Sa-lerno, nella seconda metà del XV secolo, mala prima notizia certa della sua attività risaleal 1501 a Napoli. Nel 1503 risulta già trasfe-rito in Sicilia e della sua produzione pittori-ca nell’isola rimangono diverse notizie do-cumentarie ma nessuna opera superstite,fatta eccezione per il ricordato soffitto del-l’Annunziata. Mario di Laurito, partendo aNapoli da esperienze di tipo melozzesco-an-toniazzesche, affini ai modi di Cicino daCaiazzo, giunto in Sicilia, si lascia trasporta-re verso forme devigiliane, forse spinto a ta-le scelta dai desideri della committenza loca-le, tanto che prima che Gioacchino Di Mar-zo ritrovasse l’atto di commissione del sof-

Fig. 89 - Giuseppe Venanzio e Alessandro EmanueleMarvuglia, Modello per la cupola della Cattedrale diPalermo, inizio del XIX secolo, legno policromo.

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Sale di Mario di Laurito, delle vedute della città e del manierismo

fitto dell’Annunziata al pittore, queste televenivano riferite proprio a Tommaso De Vi-gilia255. La sua pittura, non scevra di caratte-ri fiamminghi, volge verso un’intonazionespagnoleggiante alla Jacomart Baço, tramiteJuan Rexach. A Napoli Mario dovette cono-scere anche l’opera di Francesco Pagano,con il quale presenta certe affinità culturali,come probabilmente anche quella di Riccar-do Quartararo, di cui peraltro potè poi rive-dere i dipinti anche in Sicilia. In Mario diLaurito sono notevoli inoltre le influenze an-

tonellesche; se potè conoscere l’opera di An-tonello a Napoli, certamente rafforzò tale co-noscenza in Sicilia, come dimostrano i suoidiversi dipinti tratti da modelli antonelliani,non ultime le due Dispute di San Tommaso edi San Domenico, oggi esposte a PalazzoAbatellis, che rimandano ad un esemplareperduto, già nella chiesa di San Domenico diMessina. L’arte di Mario mostra inoltre fortisomiglianze con quella di Antonello De Sali-ba, tanto che alcune sue opere, come lo stes-so Trittico del Cancelliere, sono state talora a

Fig. 90 - La sala della Maniera.

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questi attribuite256. Recenti ricerche docu-mentarie hanno permesso di rilevare unapossibile attività del pittore in qualità di mi-niatore presso l’Abbazia di San Martino del-le Scale257. Un dipinto, raffigurante la SacraFamiglia con San Gioacchino e Sant’Anna, daaggiungere agli altri a lui attribuiti, è stato inol-tre individuato nella Chiesa Madre di Corleo-ne258, opere da presentare affiancate a quelleesposte del pittore, in futuro, tramite pannellifotografici, per completarne la visione dellapoliedrica attività.Dopo il recente restauro, si può considerareopera di Mario di Laurito anche la tavola raf-figurante la Madonna con il Bambino e i SantiRocco, Sebastiano, Venera, Rosalia, Cristina,Ninfa, Agata e Oliva che sovrastano e proteg-gono la città di Palermo, offrendone una inte-ressante veduta ove non manca la Cattedrale(fig. 84). La tavola venne commissionata dalSenato di Palermo come ex voto perché la cit-tà era stata risparmiata dalla peste che avevacolpito Messina e altri centri dell’isola e por-tata solennemente nella Chiesa di Santa Vene-ra il 26 luglio 1530, come informa il Manga-nanti259. La pittura, ove sono raffigurati tutti iSanti “patroni di Palermo”, si trova al MuseoDiocesano, come precisa Mons. Pottino, in“deposito da parte della pia e nobile Compa-gnia della Pace che la possiede come proprie-taria della Chiesa di Santa Venera non più of-ficiata perché fatiscente”260. Grazie alla dispo-nibilità della Compagnia, l’opera è stata la-sciata in deposito al Museo, offerta, dunque,ad una più generale fruizione261.Tra i Santi protettori contro il terribile flagel-lo della peste sono in particolare Rocco e Se-bastiano. Il primo, vissuto tra il XIII e il XIVsecolo, è solitamente raffigurato con basto-ne, bisaccia e conchiglia, attributi usuali delpellegrino che si riferiscono al suo viaggio aRoma. È caratteristico il suo gesto di mostra-

re il bubbone nella gamba e spesso è accom-pagnato da un cane. San Sebastiano, martirecristiano del III secolo, è solitamente rap-presentato con il corpo martoriato da frec-ce, che tuttavia non lo uccisero, riferendosiad uno dei diversi martiri subiti262.Un’altra storica veduta della città offre unadelle più importanti opere attribuite al pitto-re Simone de Wobreck, la grande tavola raf-figurante Palermo liberata dalla peste con l’in-tercessione dei Santi Rocco, Sebastiano, Cri-stina e Ninfa, esposta nella stessa sala dellatorre263 (fig. 85). L’opera fu realizzata nel1576, anno di fondazione della chiesa di SanRocco, da cui proviene, per ricordare, comeex voto, la processione del Crocifisso Chiara-monte dalla Cattedrale partita dal piano del-la Badia Nuova, alla presenza del Duca diTerranova, Carlo Aragona, raffigurato nel di-pinto insieme alla Compagnia dei Bianchi, af-finché Palermo fosse salvata dalla peste264. Latavola presenta parti ridipinte che parrebbe-ro ripensamenti dell’artista stesso nelle variefasi del lavoro, come potrà meglio chiarire unauspicato restauro. Si noti l’interessante ve-duta di Palermo dell’epoca con la Cattedrale,il Palazzo Arcivescovile con la trifora, assurtaa simbolo suo e del Museo Diocesano, dopoil recente restauro, e il Palazzo Reale. Simone de Wobreck, nativo di Harlem, èdocumentato a Palermo dagli anni 1577-1578 e tra le principali tappe note della suaattività sono la realizzazione delle quattrotele perdute per la sala delle Quattro Colon-ne, detta anche dei Quattro Venti, del Palaz-zo Reale di Palermo, volute dal vicerè Mar-co Antonio Colonna265.È esposta all’inizio della Sala della Maniera,in continuità con quella della torre, la Flagel-lazione firmata e datata Simon De Wobreck f.1585 (fig. 86) che, come nota Teresa Viscuso,

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Sala della Maniera

Fig. 91 - Pietro D’Asaro detto il Monocolo di Racalmuto, Adorazione dei Magi, olio su tela, inizio del XVII secolo.

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“dipende in modo scoperto dall’omonimodipinto di Vincenzo da Pavia” del 1542266. Lastudiosa sottolinea come “la svolta più speci-ficatamente fiamminga diviene sempre piùcaratterizzata in quasi tutta la produzionedel Wobreck degli anni Ottanta e ben si legaanche ai caratteri del manierismo italiano(...) tramite gli esempi del da Pavia”267. Nellasala dedicata alla maniera sarebbe stato per-tanto più utile poter esporre anche le operedi Vincenzo da Pavia del Museo che tuttaviaattualmente concludono il panorama dellapittura precedente della sala della Trifora.Ancora un’importante opera inserita nellastessa sala della torre, che ricorda un’altramiracolosa liberazione dalla peste, è quellache raffigura Santa Rosalia che intercede perPalermo di Vincenzo La Barbera (recente-

mente restaurata con il contributo delFAI)268 (fig. 87). Dopo il rinvenimento delleossa di Santa Rosalia, il 15 luglio del 1624, inuna grotta del Monte Pellegrino, il 15 agosto1624, la città, ancora scossa dal morbo e percontro profondamente grata per la sua in-tercessione, assume la Santa come protettri-ce269. In quest’occasione il Senato commis-siona il dipinto a Vincenzo La Barbera, dicui lo stesso dovette realizzare altre versioni,come la Santa Rosalia pellegrina, della Chie-sa Madre di Caccamo, con la collaborazionedel suo allievo Francesco La Quaraisima, ealtre due dallo stesso soggetto di quella delMuseo, Santa Rosalia che intercede per Paler-mo, che presentano una analoga veduta del-la città, una sita nella Chiesa della confrater-nita di Santa Rosalia ai Quattro Santi Coro-

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Fig. 92 - Gaspare Bazano (Lo Zoppo di Gangi)Sant’Antonio Abate, olio su tela, 1600.

Fig. 93 - Gaspare Bazano (Lo Zoppo di Ganci) Lacomunione di Sant’Onofrio, olio su tela, 1620.

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Sala della Maniera

nati di Palermo270, e l’altra in cui Santa Rosa-lia intercede presso la Vergine e la Trinità, ol-tre che per la città anche per le anime dei de-funti che vi sono raffigurati, della Chiesa diSant’Anna la Misericordia271.Scrive in proposito Mons. Paolo Collura: “Ilprimo (...) ad aprire la nuova serie di opered’arte, destinate a celebrare la gloria dellaSantuzza in tutto il mondo cattolico, fu ilpittore Vincenzo La Barbera (...). La telacommissionatagli il 27 luglio dal Senato Pa-lermitano per la somma di onze 67 e tarì 6,era già pronta il 24 agosto 1624 e fu portatain processione il 4 settembre successivo. Es-sa è degna di nota non solo per l’interessan-

te prospettiva che fa da sfondo, cioè il laza-retto, il porto e il Monte Pellegrino, ma an-che perché, (...) oltre agli elementi iconogra-fici tradizionali, cioè il giglio, il libro e la co-rona di rose, il pittore aggiunge per la primavolta il nuovo dato caratteristico, cioè il te-schio”272. La presenza del teschio nelle tema-tiche iconografiche della nuova Patrona diPalermo è reminiscenza della sua vita terre-na, dalla quale si è staccata precocementeper assurgere a glorie eterne e non transito-rie. L’attributo iconografico più insistente ecaratterizzante la Santa è la corona di rose,che quasi sempre poggiata sul capo comeun’aureola, qui le viene posta dagli angeli

Fig. 94 - Antonio Alberti (il Barbalonga), Santa Ceci-lia, olio su tela, prima metà del XVII secolo.

Fig. 95 - Giuseppe Alvina (il Sozzo), La Crocifissione,olio su tela, fine del XVI secolo.

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per volere divino. Se il giglio è chiara allu-sione alla sua purezza, le rose, che pure so-no noto simbolo mariano, rimandano daun lato direttamente al suo nome, dall’altroal rosario, che tiene nelle mani, legando ul-teriormente la Vergine palermitana alla di-vina Madre273.Giordano Cascini, che scrive della vita dellaSanta, il cui un primo testo in latino, De vitaet inventione S. Rosaliae, del 1631274, con lafirma autografa dell’Arcivescovo Giannetti-no Doria, è conservato nella vara d’argentodella Cattedrale275, testimoniando l’impor-tante ruolo che il padre gesuita dovette ave-re nella stesura ufficiale della “vita” e nella suaconseguente definizione iconografica, appellasimbolicamente il rosario di Rosalia “miste-riosa” corona, sottolineando il particolarerapporto che unisce la Santa alla Madonna276.Nel rosario mariano, infatti, le rose bianche ri-mandano ai misteri gaudiosi, quelle rosse aimisteri dolorosi, quelle giallo-oro ai gloriosi etutte insieme circondano allusivamente il ca-po della Protettrice di Palermo.Altro elemento costante nel vario quadroiconografico di Santa Rosalia è il bastone dapellegrino, appoggio per il divino viandantedi Emmaus e per la Vergine romita nel suomistico viaggio verso Dio. Talora Santa Ro-salia tiene in mano un libro, sacro testo dacui attinge forza, qualche volta, come nel di-pinto del La Barbera, posto sotto il teschio.Compare nell’iconografia di Santa Rosaliaanche la clessidra, ricollegabile come il te-schio al tema del memento mori, riferendosiquello alla caducità terrena e questa alloscorrere inesorabile del tempo. Libro chiu-so, teschio, clessidra sono “tutti simboli dimorte”, come scrive Maurizio Calvesi, del“tempo che porta la corruzione e il disfaci-mento (...) Se dunque la morte trionfa sulle

cose umane, cosa trionfa sulla morte, sulpeccato? (...) L’amore in Cristo che garanti-sce la vita eterna”277.Ancora ricordano il pellegrinaggio della Santaaltri elementi iconografici, che talora l’accom-pagnano, quali la ciotola per attingere l’acquaal pozzo, la bisaccia e la conchiglia. Quest’ulti-ma, posta a mo’ di borchia sul mantello dei fe-deli che si recavano nel Santuario di San Gia-como Maggiore a Santiago di Compostela, di-viene simbolo generico del pellegrino.Vincenzo La Barbera nativo negli anni1576-77 si firmava: Thermitanusque Hime-reus pictor. Figura di architetto di spicconella cultura del tardo manierismo, fu ancheattento alla realizzazione di opere d’arte de-corativa, fornendo disegni per apparati effi-meri, per paliotti d’altare e arazzi278. La suafamiglia era di origini genovesi, circostanzache dovette giocare un ruolo notevole nellasua formazione artistica. Sposò nel 1597 Eli-sabetta, figlia di Antonino Spatafora, en-trando a far parte della bottega del suoceroe ricoprendo nel tempo gli stessi incarichi diquello279. In occasione della prima proces-sione delle reliquie di Santa Rosalia, nellaprima urna d’argento della nuova Patrona diPalermo, Vincenzo La Barbera progettò ungrandioso arco trionfale per la nazione ge-novese280.Nella sala della torre è inserita pure una ve-duta della Cattedrale di Palermo prima dellariforma fughiana, databile tra la fine delXVII secolo e il 1726 (recentemente restau-rata per conto dell’Associazione Amici deiMusei siciliani con il contributo dei LionsNew Century di Palermo) (fig. 88). La Catte-drale non presenta infatti il campanile baroc-co del 1726, data, come nota PierfrancescoPalazzotto, che si pone, dunque, come ter-mine ante quem per la realizzazione dell’ope-

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Sala della Maniera

Fig. 96 - Maestro siciliano, Madonna di Monserrato, seconda metà del XVI secolo, legno policromo a estofado.

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ra. Il campanile del 1726, dovuto all’Archi-tetto Giovan Biagio Amico, è stato sostituito,dopo il terremoto del 1823 con quello neo-gotico dell’Architetto Emmanuele Palazzot-to (1826-1835)281. La stessa facciata dellaCattedrale viene riproposta da Valerio Villa-reale nel 1818 nel bassorilievo a destra dellaCappella di Santa Rosalia della Cattedrale diPalermo282. Negli anni 1608-1640 era statol’Arcivescovo Giannettino Doria a fare ri-strutturare il Palazzo Arcivescovile secondoil gusto del suo tempo con la realizzazionedei balconi con lo stemma dei Doria.Si espone inoltre il modello ligneo per il ri-vestimento goticheggiante della cupola pro-posto da Giuseppe Venanzio e AlessandroEmmanuele Marvuglia all’inizio dell’Otto-cento283 (fig. 89).Nella Sala della Maniera è esposto anche il di-pinto raffigurante l’Adorazione dei Magi, giànell’Oratorio del Rosario in Santa Cita, operadi Pietro D’Asaro (fig. 91), variante degli altridallo stesso soggetto della Galleria Regionaledella Sicilia di Palazzo Abatellis284. In tuttequeste opere è una profusione di preziosestoffe, ricchi monili, raffinate suppellettili, co-me era in uso nelle corti del periodo. Il dipin-to è stato esposto alla Mostra In EpiphaniaDomini, tenutasi nel 1992 nella Cattedrale diPalermo e alla ricordata Mostra di Manila del1994285. Pierfrancesco Palazzotto nota che“straordinaria è la cornice in pero ebanizzatotipica per le modanature e le applicazioni dicartocci ed elementi vegetali intagliati e dora-ti della fine del ’600. L’opera era posta allespalle dei superiori nella parete di controfac-ciata dell’oratorio ed è un tipico esempio del-le pitture che venivano appositamente collo-cate in quel punto. L’iconografia dei Re Magiche offrono doni al Signore era infatti una evi-dente allusione ai tre Superiori”286.

Fig. 97 - Maestro siciliano, San Sebastiano, secondametà del XVI secolo, legno policromo.

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Sala di Pietro Novelli e del Seicento

Il pittore firmava i suoi quadri come Mono-colo di Racalmuto, centro dove nacque nel1579 e morì nel 1647, poiché era cieco di unocchio287. La sua pittura è vicina a quella tar-do-manierista, pure presente al Museo consignificative opere, di Gaspare Bazano, LoZoppo di Gangi288. Il Monocolo di Racalmu-to, come nota Maurizio Calvesi, si lascia in-fluenzare da Caravaggio, “anche nello stile asuo modo luministico in versione povera epopolare, di umile impronta poetica”289.Di Gaspare Bazano si espongono i dipinticon Sant’Antonio Abate (1600) (fig. 92), diprovenienza incerta, e la Comunione di San-t’Onofrio, opera del 1620, proveniente dalladistrutta Chiesa di San Giacomo alla Marina(fig. 93)290. In quest’ultima opera anche il Ba-zano sembra avere recepito solo superficial-mente la lezione del Caravaggio. La produ-zione artistica di questo pittore è stata a lun-go confusa con quella di Giuseppe Salerno,contraddistinto dallo stesso soprannome, loZoppo di Gangi, e solo recentemente distin-ta291, come è opportuno chiarire nell’appositopannello didattico. Sono state inoltre inseritenella Sala della Maniera la Santa Cecilia delpittore messinese, caposcuola della primametà del Seicento, Antonio Alberti, detto ilBarbalonga, proveniente dalla Chiesa di San-ta Ninfa dei Crociferi292, (fig. 94) una Madon-na con il Bambino di Maestro fiammingo293, ela Crocifissione di Giuseppe Alvina detto ilSozzo (fig. 95). L’artista nel 1577 aveva lavo-rato agli apparati effimeri per l’ingresso a Pa-lermo del Vicerè Marco Antonio Colonna ecollaborò ai lavori di ristrutturazione degliappartamenti del Palazzo Reale di Palermo294.Verosimilmente opera di scultore sicilianodella seconda metà del XVI secolo è la Ma-donna di Monserrato, scultura lignea poli-croma, con il verso del trono pure dipinto,

Fig. 98 - Argentiere palermitano, Reliquiario a bracciodi San Pietro Martire, prima metà del XVII secolo,argento e rame dorato, sbalzato, cesellato e fuso.

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opera in corso di restauro, che dovrebbeconsentire un più preciso pronunciamentoattributivo poiché talune fonti la ritengonod’importazione spagnola (fig. 96)295. Lascultura proviene dalla Chiesa dei PadriBenedettini detta di Monserrato al Castelloa mare, fatta costruire nel 1662 da DonCarlo Maria Ventimiglia, distrutta daibombardamenti dell’ultima guerra. L’operaè un tipico esempio di prodotto artisticovoluto dalla classe dominante, legata ancheculturalmente alla Spagna. È utilmente illu-strata in questa sala la devozione di originespagnola alla Madonna di Monserrato, an-che attraverso la riproduzione di altre ope-re come quella che è l’unica opera firmatae datata 1582 di Giuseppe Sirena, raffigu-rante la Madonna di Monserrato con i SantiVincenzo Ferreri, Eulalia e Barbara, già indeposito per lungo tempo al Museo Dioce-sano di Palermo e solo recentemente resti-tuita alla Chiesa di Santa Eulalia dei Cata-lani da dove proveniva296. Il Di Marzo ritie-ne l’artista “il più bravo discepolo” di Vin-cenzo da Pavia297. La sua attività è docu-mentata ad Alcamo e a Palermo negli anni1579-1585. Una recente proposta di studioipotizza che possa trattarsi di quel “Giu-seppe pittore” che nel 1560 si voleva fartornare da Napoli per completare quel di-pinto di Sciacca rimasto incompleto per lamorte di Vincenzo de Pavia298.Di Maestro siciliano della seconda metà delXVI secolo è la scultura lignea policroma diSan Sebastiano di chiara ispirazione gaginiana(recentemente restaurata a cura del Soropt-mist Club di Palermo) (fig. 97)299. Si auspicache possa essere esposta dopo il necessariorestauro la scultura lignea dorata della primametà del XVI secolo raffigurante la Madonnadel Piliere, proveniente dall’Oratorio di San-

ta Maria degli Angelini, dove venne trasferitanel 1653, come annota il Mongitore, dallaChiesa di Santa Maria del Piliere300. La statui-na, già sita su di una colonna nella primitivaChiesa, era oggetto di particolare venerazio-ne, dopo il miracoloso rinvenimento nel 1539da parte di alcuni muratori che scavavano unpozzo, come tramandato da Gaspare Paler-mo, che si rifà alle fonti locali301.Agli epigoni della attività della bottega gagi-niana, a Nibilio Gagini e ai suoi aiuti si può ri-ferire il calice proveniente dal Seminario Arci-vescovile di Palermo, altra preziosa nuova ac-quisizione del Museo302. Tra i reliquiari antro-pomorfi sono quello a busto di Santo Vescovoin argento fuso e rame dorato sbalzato e cesel-lato, opera di argentiere siciliano della fine delXVI inizi del XVII secolo, proveniente dallaChiesa di Santa Ninfa dei Crociferi303. Altra ti-pologia di reliquiario antropomorfo, a brac-cio, è rappresentata da quello di San PietroMartire, in rame dorato e argento, sbalzati ce-sellati e incisi, opera di argentieri siciliani del-la prima metà del XVII secolo (fig. 98)304. Neimedaglioni in rame dorato della base sonoraffigurati: lo stemma del committente, la fi-gura di San Pietro Martire, in abiti domenica-ni, con un coltello conficcato nel capo, simbo-lo del martirio, ricordato dalla palma che recain mano, ancora Sant’Antonio Abate con ilcaratteristico fuoco da cui protegge i suoi de-voti, in mano e il maiale ai piedi, e infine SanGiovanni Battista, vestito di pelli.Un ostensorio del Seicento spagnolo si poneancora a ulteriore testimonianza dei rapportistretti tra viceregno e regno305. L’opera, recen-te dono di Mons. Pecoraro, è tipologicamenteraffrontabile a quello più tardo, del 1702, del-l’argentiere spagnolo Antonio Cansino dellaConfraternita del Santissimo Cristo del Amor yNuestra Senora de la Amagura di Siviglia306.

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Fig. 99 - Bernardo Castelli, Lapidazione di Santo Stefano, 1619, olio su tela.

SALA DI PIETRO NOVELLI E DEL SEICENTO

Nel soffitto della sala è ricomparso, grazie al re-cente restauro, l’affresco con lo stemma del-l’Arcivescovo Giovanni Lozano (1668-1676)307.In questa sala sono in parte riuniti i dipintiprovenienti dall’Oratorio di Santo Stefano,quello principale con La lapidazione del San-to, opera firmata e datata 1619 dal genoveseBernardo Castello (fig. 99), e le altre quattrotele ottagonali prive delle cornici di fine Sei-cento, che per essere esposte necessitano direstauro. La presenza culturale genovese aPalermo è peraltro fondamentale anche perl’influenza sulle opere locali. Si ricorda lapala dello stesso Bernardo Castello raffigu-

rante Il martirio di San Giorgio della Chiesadi San Giorgio dei Genovesi di Palermo308.A queste opere si affianca un pannello conle fotografie dello stato attuale dell’oratorio,il tavolo dei Superiori dei primi del XVIIIsecolo, oggi nel Salone Filangieri, a cui si ag-giungerà un’immagine ricostruita al compu-ter ancora una volta da Enzo Brai, di uno deidipinti reinserito entro la sua cornice, in au-spicio di un prossimo restauro che consentaalle tele di tornare entro l’originale incorni-ciatura a cui restituire la primitiva cromia delpero ebanizzato anziché l’attuale fondo bian-co frutto di una ridipintura del 1755 (fig.100)309. Nell’Oratorio erano otto tele rettan-golari e quattro ottagonali, poste nella con-trofacciata, tutte passate al Museo, di cui so-

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Fig. 100 - Pittore genovese, Gamaliele che appare in sogno a Luciano, ricostruzione entro la cornice, prima metàdel XVII secolo.

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Fig. 101 - Pietro Novelli, Pietà, olio su tela, 1646 ca.

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Fig. 102 - Pietro Novelli, San Francesco di Paola, 1635, olio su tela.

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Fig. 103 - Bartolomeo Ferruccio, San Lorenzo, 1626,argento e rame dorato sbalzato, cesellato e fuso.

Fig. 104 - Bartolomeo Ferruccio, Santa Rosalia, 1626,argento e rame dorato sbalzato, cesellato e fuso.

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no esposte quelle ottagonali raffiguranti sce-ne della vita di Santo Stefano: Giuliana di Co-stantinopoli davanti la tomba del Santo, Ga-maliele che indica in sogno al prete Luciano latomba del Protomartire, la guarigione dellacieca presso la sua tomba, la celebrazione a Ro-ma dei corpi dei Santi Stefano e Lorenzo310.Dovrebbe provenire da una delle chiese pa-lermitane dedicate al Santo il dipinto cara-vaggesco di ambito napoletano con la Decol-lazione del Battista, della prima metà delXVII secolo311.La pittura di Pietro Novelli e della sua scuo-la presente al Museo offre un interessanteesempio di un’arte che si rilevò di fonda-mentale importanza per lo sviluppo dellacultura artistica palermitana del periodo. Siespongono l’Annunciazione, proveniente daSant’Ignazio all’Olivella, la Pietà, già nellaChiesa del Saladino e poi in quella di SantaChiara (fig. 101), il San Francesco di Paola,già nella Cattedrale, mentre è tornata al luo-go d’origine la Madonna e Santi Carmelitanidella Chiesa di Santa Maria di Valverde, or-mai riaperta al culto, dopo lunghi anni dipermanenza al Museo, e non è stato possibi-le ancora inserire per motivi di spazio la Ma-donna con i Santi Benedetto e Luigi, già nel-la Chiesa di San Carlo dei Milanesi312. La te-la raffigurante San Francesco di Paola fu di-pinta dal Novelli nel 1635, quando il Cardi-nale Giannettino Doria istituì in onore delSanto la Messa cantata (fig. 102). L’opera, incui Giulia Davì nota “realismo riberesco”,era posta prima nella cappella dedicata alSanto e poi in sacrestia313. Dell’Annunciazio-ne è stata ipotizzata la provenienza ora dallaChiesa dell’Olivella, ora dalla Casa dei PadriOlivetani, ora ancora dal Convento dei Be-nedettini di Monreale per lo stemma similea quello di Guglielmo II314. Del pittore si

conserva un disegno, verosimilmente auto-grafo, relativo all’iconografia dell’Annuncia-zione a Palazzo Abatellis315. La Pietà è unopera tarda del monrealese, datata da Ago-stino Gallo al 1646316. L’opera si ispira ai mo-di del classicismo bolognese317.Pietro Novelli è il pittore più famoso del Sei-cento in Sicilia, che con lui si apre al Baroc-co. Figlio di Pietro Antonio, frescante e mo-saicista, si trasferisce nel 1632 a Napoli e poia Roma, inserendo così nel suo bagaglio cul-turale, già ispirato ai modi del Van Dyck pre-sente a Palermo al tempo della peste, nuovimodi caravaggeschi. L’esposizione delle sueopere del Museo Diocesano si pone ancorauna volta a completamento di quelle già frui-bili a Palazzo Abatellis318.Sono qui esposti i reliquiari antropomorfid’argento e argento dorato, fuso, sbalzato ecesellato, dei Santi Lorenzo e Rosalia del 1626,opera dell’argentiere palermitano BartolomeoFerruccio, che recano pure il marchio delconsole della maestranza degli argentieri pa-lermitani Pietro Tigano (figg. 103-104)319. Ledue opere provengono dall’Oratorio di SanLorenzo della città.

SALA DEL SETTECENTO

Con il chiaro intento di privilegiare la SantaPatrona di Palermo nel percorso espositivodel Museo, dalla prima all’ultima sala, si riuni-scono ancora in quest’ambiente alcune opereche la raffigurano, come la tela con Santa Ro-salia eremita del Palazzo Arcivescovile, dell’i-nizio del XVIII secolo, recentemente indivi-duata da Pierfrancesco Palazzotto quale ope-ra del napoletano Nicola Malinconico320, pit-tore di estrazione giordanesca, e provenientedalla Chiesa di San Nicolò di Bari della “Con-

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Criteri museologici per un Museo d’Arte Cristiana

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Fig. 105 - Vito D’Anna e aiuti, Incoronazione di Santa Rosalia, olio su tela, prima metà del XVIII secolo.

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trada dello Spirone e delli Ciaculli” del fondoVetrano, come ha rilevato Giovanni Mendolada un inedito inventario del 1710321. La telacon l’Incoronazione di Santa Rosalia, già nellaChiesa di Santa Maria degli Angelini o del Pi-liere, è dovuta a Vito D’Anna e aiuti (restau-rate a cura dell’Associazione Dimore storichee della Fondazione del Banco di Sicilia) (fig.105)322. Il Cavalier D’Anna è uno dei capo-scuola del Settecento palermitano.Si espone in un’apposita grande vetrina il pa-liotto ricamato con fili di seta policromi e gra-ni di corallo con al centro La presentazione diSanta Rosalia alla Madonna, opera dell’iniziodel XVIII secolo, proveniente dalla Chiesa diSanta Rosalia distrutta per il taglio di via Ro-ma del 1917, cui era annesso un monastero disuore benedettine, cui si deve verosimilmentequesto raffinato ricamo (fig. 107)323. Il paliot-to fa coppia con un altro analogo raffigurantela Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor,che non è stato possibile esporre per mancan-za di spazio324. L’opera ha lasciato peraltro po-

sto all’altro paliotto della prima metà delXVIII secolo, pure ricamato con grani di co-rallo, raffigurante l’Agnus Dei (fig. 106), tratralci fitomorfi e floreali, dovuto a maestranzepalermitane, peraltro aduse ad impreziosirecon coralli trapanesi i loro ricami325. Tutti e trei paliotti sono stati esposti alla Mostra dell’Ar-te del corallo in Sicilia, tenutasi nel Museo Re-gionale Pepoli di Trapani nel 1986326.Altra opera che simbolicamente si pone nel-l’ultima sala è ancora quella che riproponel’iconografia di Abramo e i tre Angeli, que-sta volta dipinta da Pietro dell’Aquila327. Ilpittore siciliano conobbe a Roma diretta-mente le opere dei grandi maestri del Rina-scimento e del Classicismo del primo Baroc-co. La tela, proveniente dalla distrutta Chie-sa di San Pietro Martire, è da datare verso lafine del XVII secolo.Tra le opere d’arte decorativa del Museo è lascultura in ceroplastica, donata al Museodall’Avv. Guido Russo Perez, raffiguranteCristo deposto, attribuita ad Anna Fortino

Fig. 106 - Ricamatori siciliani, Agnus Dei, prima metà del XVIII secolo, paliotto in tappeto moirè, ricamato con filidi seta policromi, d’oro e grani di corallo.

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Fig. 107 - Suore benedettine palermitane, inizio del XVIII secolo, Presentazione di Santa Rosalia alla Vergine,paliotto ricamato con fili di seta policromi e grani di corallo.

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(fig. 108)328. Dell’artista il Mongitore scrive:“Nacque in Palermo Anna Fortino, ed aven-do sortito vivacissimo ingegno s’applicò allapittura ed ebbe per maestra Rosalia Novelli(…) Riuscì però a maggior segno espertissi-ma nei lavori di cera, onde s’ammirano conalto stupore le immagini da lei formate (…)per la delicatezza del lavoro, de’ colori ed al-tre parti ammirabili”329.Esposti nella stessa grande vetrina dedicata al-le opere d’arte decorativa della fine del Sei-cento e del Settecento, sono due ostensori rag-giati, solari, in rame dorato e corallo, uno, ine-dito, proveniente dalla Chiesa dell’Assunta(fig. 109) e già passato al Tesoro della Catte-drale di Palermo, opera di maestri corallaritrapanesi della metà del XVII secolo, realizza-to con la tecnica del retroincastro, caratteriz-zata dalla presenza di elementi baccelliformidi corallo levigato, inseriti nel rame doratopreforato dal verso e ornato da smalti bianchi,

e l’altro che unisce al rame e al materiale ma-rino la filigrana d’argento e le pietre policro-me, opera della stessa maestranza della finedel XVII, inizi del XVIII secolo330 (fig. 110).Questo s’inserisce nella seconda tipologia del-la produzione tardo-barocca di quei maestricorallari, che, alla più antica tecnica del re-troincastro, sostituirono quella della cucitura,tramite fili metallici e pernetti, di motivi fito-morfi di corallo su rame dorato. Nel tempoprivilegiarono talora l’accoppiamento di fili-grana d’argento e pietre policrome, come nel-l’ostensorio del Museo, tal’altra di avorio emadreperla, sostituendoli agli smalti. L’operache presenta ancora la tipologia degli ostenso-ri barocchi dalla base circolare, con più nodirotondi nel fusto, solitamente ornati da testi-ne di cherubini alate, e raggiera lanceolata, èstata esposta alla Mostra sull’Arte del coralloin Sicilia del 1986331.Opera di maestri trapanesi della metà del

Fig. 108 - Anna Fortino, Cristo deposto, prima metà del XVIII secolo, ceroplastica.

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Fig. 109 - Maestranze trapanesi, Ostensorio, fine delXVII secolo, rame dorato e corallo.

Fig. 110 - Maestranze trapanesi, Ostensorio, inizi XVIIIsecolo, rame dorato, corallo, filigrana d’argento, pietrepolicrome.

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XVIII secolo è la scultura raffigurante il Mar-tirio di San Sebastiano in alabastro e alabastrocarneo, che è stata esposta alla Mostra Mate-riali preziosi dalla terra e dal mare, tenutasi alMuseo Regionale Pepoli di Trapani nel 2003(fig. 111)332. Nella bacheca accanto sono altredue statuine in alabastro raffiguranti i SantiDomenico e Vincenzo Ferreri, che rientranonella stessa produzione settecentesca dellemaestranze trapanesi333. Nella stessa bachecasono un Tabernacolo d’argento, che riproponenostalgicamente una facciata di un palazzo digusto manierista, opera dell’argentiere paler-mitano (come dichiara il marchio della mae-stranza, l’aquila con le ali a volo basso e la si-gla RUP) Antonino Mollo, di cui reca le ini-ziali, come pure quelle del console Giacinto

Omodei, che lo vidimò nel 1709, e una coppiadi reliquiari a palmetta in argento e legno do-rato, opera di maestri palermitani del 1718,come si rileva dal marchio del console dell’an-no, Salvatore Pipi (accompagnato ormai dal-l’aquila di Palermo dalle ali spiegate a volo al-to, come avvenne dal 1715) e della prima me-tà del XIX secolo334.Un significativo recupero del Museo Diocesa-no sono le due teste in stucco, frammenti di al-trettante statue di Giacomo Serpotta del 1728,raffiguranti la Clemenza e la Fede, provenientidall’Oratorio del Miseremini in San Matteo,già nell’abside della Chiesa, prima che fossedecorato nel 1792 in stile neoclassico dall’Ar-chitetto Emanuele Cardona, poi passate allacollezione di Luchino Visconti, riacquisite alMuseo per l’interessamento di Mons. PaoloCollura (figg. 112-113)335, e di recente restaura-te a cura dell’Ufficio dei Beni Culturali del-l’Arcidiocesi. Di Giacomo Serpotta il Canoni-co Antonino Mongitore scrive: “Visse in cosìalta riputazione che non solo in Palermo maanche in varie parti del Regno fu ansiosamen-te chiamato a faticare: e riuscendo sempreuguale a se stesso da per tutto divenne famo-so”336. Illustrare in un pannello didattico laChiesa di provenienza dell’opera e statue ana-loghe a queste realizzate dal Serpotta negliOratori di Palermo, non solo è utile per la co-noscenza del visitatore, ma può anche diventa-re motivo di interesse verso ulteriori visite aicapolavori d’arte cristiana della città.Si caratterizzano per gli esuberanti motivi or-namentali rococò un ostensorio d’argento, del1764-65, (fig. 114) che reca il marchio del con-sole della maestranza degli argentieri di Paler-mo Francesco Mercurio, con il punzone dellacittà, l’aquila con le ali spiegate a volo alto, uncalice marchiato nel medesimo anno, e unapisside d’argento del 1769-70, periodo delconsolato di Felice Di Filippo, di cui reca le

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Fig. 111 - Maestranze trapanesi, San Sebastiano, metàdel XVIII secolo, alabastro e alabastro carneo.

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iniziali, entrambi provenienti dall’Oratorio diSan Lorenzo337. Il secchiello d’argento del1750-51 forse proviene dall’Oratorio della Ca-rità di San Pietro ai Crociferi, dei Sacerdoti338.Esemplificativi dell’artigianato artistico localedel Settecento sono anche alcuni paramenti li-turgici qui esposti, quali una tonacella di taffe-tas lanciato, broccato a liage repris degli anni1740-50 e l’altra rosacea di damasco gros deTours, broccato a liage repris del primo quar-to del XVIII secolo. Le tonacelle vengono in-dossate da diaconi e suddiacono durante lecelebrazioni più solenni. Quella rosacea pro-viene dalla Chiesa di San Giovanni decollato,in parte distrutta dai bombardamenti del1943, sede della Compagnia di San GiovanniBattista La Galca; come nota Maurizio Vitel-la, “si tratta di un’interessante produzione di

stoffe definita bizzarre in auge nel primo quar-to del XVIII secolo, ornate da caratteristicimoduli di ispirazione orientaleggiante, consoggetti irreali, geniali e scarsamente rappor-tabili ad elementi naturali. Questi ultimi inve-ce sono alla base di altri tessuti prodotti tra il1730 e il 1750 convenzionalmente definiti Re-vel dal cognome del tessitore lionese che perprimo diede vita a tali disegni e la tonacella afondo laminato del Museo Diocesano èespressione di questa tipologia, caratterizzatada un’interpretazione fortemente pittoricadell’elemento vegetale, costituendo tra anforee strumenti musicali: si notino le trombe e itamburelli che si intrecciano con i rami fioritia mo’ di panoplie, interessante soluzione dise-gnativa che, per la qualità dell’attuazione, ri-manda sia nell’ideazione che nell’esecuzione

Figg. 112 e 113 - Giacomo Serpotta, Fede e Clemenza, 1728, stucco.

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ad ambito francese”339 (fig. 115). Queste sacrevesti rappresentano un assai esiguo esempiotra quelle già selezionate e schedate scientifi-camente da Maurizio Vitella ed esposte allericordate Mostre che si sono svolte nel 1998e nel 1999 nel Salone Filangieri del PalazzoArcivescovile di Palermo340 tenendo viva neicittadini di Palermo l’attenzione per un Mu-seo che manifesta nelle sue opere l’inscindibi-le binomio di arte e fede. Si auspica la prossi-ma esposizione di altri parati sacri, come, traquelli ricamati, la pianeta del XVIII secoloappartenuta all’Arcivescovo Giovan Battista

Naselli (1853-1870)341, che offre ancora unatestimonianza dell’attiva presenza degli Arci-vescovi di Palermo nell’attenzione alle opered’arte legate al culto.È stato restaurato, a cura della competente So-printendenza, il Fercolo di Sant’Agata, che èesposto in quest’ambiente conclusivo del Mu-seo (fig. 116). L’opera, proveniente dalla Chie-sa di Sant’Agata fuori le Mura, già passata alMuseo Archeologico, fu verosimilmente rea-lizzata dal maestro palermitano Matteo Calan-dra, nel 1680, su disegno dell’architetto del Se-nato Paolo Amato e dorata dai maestri Vin-

Fig. 114 - Argentiere palermitano, Ostensorio, 1764-65,argento dorato sbalzato e cesellato.

Fig. 115 - Ricamatore siciliano, pianeta, inizi del XVIIIsecolo, taffetas e ricami (riportati) con fili di seta poli-cromi e d’oro.

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cenzo De Allegra e Francesco Roccuglia342. Ilfercolo dovette essere non solo ridipinto ma ingran parte rifatto alla metà del ’700, come la-scia rilevare la decorazione attuale anche dopoil restauro. Tra le storie della Santa dipinte nel-la base, interessante per il messaggio iconolo-gico e soprattutto relativamente ad un’operalegata alla devozione, è la figura del Genio diPalermo che tiene in braccio la piccola Agata,che non è solo, come nota Mons. Filippo Pot-tino, “una bizzarra eco della lunga polemicatra Catania e Palermo sul luogo natale di quel-la Vergine martire”343, ma è anche palese testi-monianza, platealmente portata in pubblicaprocessione, della compresenza di pagano ecristiano, che non è rara in Sicilia. Non è, in-fatti, l’unico caso in cui il Genio di Palermo èaccostato ad altre Sante cristiane: lo si trova in-fatti spesso affiancato a Santa Rosalia, nuovaPatrona di Palermo344, che subentra al Geniopagano, dunque, nella protezione della città,secondo peraltro la tradizione cristiana di le-garsi al mito passato trasformandolo e rinno-vandolo con la nuova fede.Si auspica di potere esporre anche la por-tantina settecentesca, dorata e dipinta che,verosimilmente proveniente da nobile fa-miglia palermitana, venne utilizzata dal-l’Arcivescovo Pietro Gravina (1816-1830),di cui reca lo stemma345.All’uscita, in esterno entro un’apposita edico-la in stucco nell’androne del Palazzo Arcive-scovile, una tela della seconda metà del XIXsecolo raffigura la Madonna del Rosario conSan Domenico e Santa Rosalia, che presenta laSanta dunque legata questa volta all’ordinedei Domenicani346. L’opera, recentemente re-staurata (a cura della Fondazione del Bancodi Sicilia), è tornata al suo luogo d’origine a ri-badire la devozione costante nel tempo a Pa-lermo nei confronti della Patrona.

Solo dopo il restauro del piano nobile delPalazzo arcivescovile sarà tuttavia possibilecompletare l’esposizione delle opere delMuseo Diocesano che custodisce ancora neidepositi capolavori d’arte soprattutto dei se-coli XVI, XVII e XVIII e che potrà presen-tare anche opere dell’Ottocento e del Nove-cento, segnando le tappe salienti della pre-senza del sacro nell’arte contemporanea aPalermo e il percorso della fede cristiana at-traverso le opere fino ai giorni d’oggi.

Fig. 116 - Matteo Calandra, Vincenzo De Allegra eFrancesco Roccuglia, su disegno di Paolo Amato, San-t’Agata, legno policromo dorato, 1680 (con rifacimentidella metà del XVIII secolo nel Fercolo).

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Note

1 Decreti del Concilio di Trento, Sessio 25, del 4-12-1563. 2 Questa frase è stata prescelta come titolo nel 1998per una Mostra nel Salone Filangeri del Palazzo Arci-vescovile di Palermo che esponeva opere del MuseoDiocesano di Palermo, mentre questo era ancorachiuso e in fase di ristrutturazione. Cfr. Capolavorid’arte al Museo Diocesano. Ex sacris imaginibusmagnum fructum…, catalogo della Mostra a cura diM. C. Di Natale, Palermo 1998.3 Lettera circolare sulla funzione pastorale dei Museiecclesiastici, 15 agosto 2001, p. 5.4 G. Santi, Introduzione, in Musei Diocesani in Italia,“Famiglia Cristiana”, 7 marzo 2004, p. 11.5 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, pp. 1-2.6 G. C. Sciolla, Studiare l’arte. Metodo, analisi e inter-pretazione delle opere e degli artisti, Torino 2001, p.109.7 G. C. Sciolla, Studiare l’arte…, 2001, p. 113.8 Ducan F. Cameron, A view point: the museum as acommunication system and implications for museumeducation, in “Curartor”, I, 1968, pp. 33-40.9 W. Benjamin, Sul concetto di Storia, a cura di Gian-franco Bonola e Michele Ranchetti, Torino 1997, p.23.10 G. C. Sciolla, Studiare l’arte…, 2001, p. 109.11 F. Pottino, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo1969.12 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, p. 4.13 G. Anichini, Il Museo Diocesano di Palermo, Paler-mo 1927, p. 17. Cfr. pure F. Pottino, Il Museo Dioce-sano…, 1969, p. 6. Una lapide ricorda l’evento, cfr. R.Garufi, Regesto cronologico, in Arti decorative nelMuseo Diocesano di Palermo. Dalla città al Museo, dalMuseo alla città, catalogo della Mostra a cura di M. C.Di Natale, Palermo 1999, p. 167. Per la storia delMuseo cfr. pure M.C. Di Natale, Il Museo diocesano diPalermo, in Interventi sulla “questione meridionale”.Saggi di storia dell’arte, a cura del Centro di studi sullaciviltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Pre-vitali”, Roma 2005, pp. 401-409.14 Cfr. I. Bruno, Gioacchino Di Marzo e il clima cultu-rale e artistico palermitano nella seconda metà dell’Ot-tocento, in Gioacchino Di Marzo e la Critica d’arte nel-l’Ottocento in Italia, atti del Convegno a cura di S. LaBarbera, Palermo 15-17 aprile 2003, Palermo 2004. p.

266. Cfr. pure M. C. Di Natale, Marmi gaginiani alMuseo Diocesano di Palermo. Criteri di Museologia, inAtti del Convegno internazionale di studi sulla Scultu-ra meridionale in età moderna nei suoi rapporti con lacircolazione mediterranea, Lecce 9-11 giugno 2004, inc. d. s.15 G. Anichini, Il Museo Diocesano di Palermo, in“Arte Cristiana”, A. XII, n. 6, Giugno 1929, pp. 162-170.16 Ibidem.17 Ibidem.18 G. Anichini, Il Museo Diocesano..., 1927, p. 15.19 G. Anichini, Il Museo Diocesano…, in “Arte Cristia-na”, 1929, p. 170.20 F. Pottino, Il Museo Diocesano…, 1969.21 Ibidem.22 F. Pottino, Il Museo Diocesano..., 1969, p. 7.23 P. Collura, Il Museo Diocesano aperto al pubblicooffre una rassegna delle manifestazioni dell’arte plasti-ca e pittorica siciliana e spunti di godimento estetico edi fruttuose meditazioni, in “Voce nostra”, 19-3-1972,p. 3.24 Ibidem.25 Cfr. I Rassegna del Sacro nell’Arte Contemporanea,Palermo 1976. 26 F. Siragusa, S. Forzisi, Il Museo Diocesano di Paler-mo, in Sacra. Opere d’arte del Museo Diocesano diPalermo, Palermo 2004, p. 27.27 S. Forzisi, S. Siragusa, Il Palazzo Arcivescovile diPalermo. Vicende di Restauro, in Arti decorative alMuseo..., 1999, p. 170. 28 R. Garufi, La fabbrica del Palazzo, in Arti decorativenel Museo…, 1999, p. 144, che riporta la precedentebibliografia.29 C. A. Di Stefano, Gli scavi del 1991-1992 e F. Spata-fora, Panormos: Dalla fondazione fenicia all’età roma-na, e Gli scavi del 1999-2000, in Sacra…, 2004, pp. 33e 35 e 37.30 M. Calvesi, Il Palazzo Arcivescovile di Palermo, in IRassegna…,1976, p. XIII. 31 T. Viscuso, Note storiche sul Palazzo Arcivescovile, inI Rassegna…, 1976, pp. XVII-XXII. Cfr. pure M.Guttilla, Arte e restauro nella decorazione a fresco delPalazzo Arcivescovile di Palermo, in Arti decorative nelMuseo…, 1999, p. 23.32 L. Bellanca, Il Museo Diocesano di Palermo, inSacra…., 2004, p. 29.33 M. Miranda, Il Museo Diocesano di Palermo, inSacra…, 2004, p. 51.

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34 Mons. G. Randazzo, in Sacra…, 2004, p. 13.35 G. C. Sciolla, Studiare l’arte…, 2001, p. 108.36 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, p. 9.37 G. Anichini, Il Museo Diocesano…, in “Arte Cristia-na”, 1929, p. 162.38 M. C. Di Natale, Arti Minori nel Museo Diocesano diPalermo, “Quaderno dell’Archivio Fotografico delleArti Minori in Sicilia”, n. 3, premessa di A. Buttitta,Palermo 1986, p. 35.39 Ibidem.40 G. Travagliato, Diplomi, codici, libri nelle collezionidell’Archivio Storico Diocesano. Arte e storia nellascrittura, in Sacra…, 2004, p. 117.41 M. C. Di Natale, La miniatura a Palermo nell’etàtardo-normanna; e L’epistolario dell’Archivio diocesanodi Palermo, in Federico e la Sicilia dalla terra alla coro-na. Arti figurative e arti suntuarie, catalogo dellaMostra a cura di M. Andaloro, Siracusa-Palermo1995, pp. 385-390, che riporta la precedente biblio-grafia. 42 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, pp. 14 e 37.43 P. Collura, La Madonna delle Perle di Matteo d’Aiel-lo (1171), in “B C A Sicilia”, A. V, n. 3-4, 1984, pp.101-102.44 Ibidem.45 G. Guastella, La corona di Costanza d’Aragona, inFederico e la Sicilia…, 1995, pp. 63-81, che riporta laprecedente bibliografia. Cfr. pure M.C. Di Natale, Igioielli dell’Imperatrice Costanza e la nuova esposizionedella corona nel tesoro della Cattedrale di Palermo, inL’oreficeria d’Oltralpe in Italia, convegno tenutosi aTrento, a cura della Soprintendenza per i Beni storico-artistici il 18-4-2005, in corso di stampa negli atti.46 F. Pottino, Chiese di Palermo distrutte a causa dellaguerra negli anni 1941-1943, opera postuma, Palermo1974, p. 37. G. A. Favata, G. D’Anna, La chiesa diMaria SS. Ausiliatrice, storia, arte, architettura, Paler-mo 2005, pp. 18-19.47 O. Caietano, Raguagli delli Ritratti della SantissimaVergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono invarie Chiese dell’Isola di Sicilia, Aggiuntavi una breverelazione dell’Origine e miracoli di quelli. Opera postu-ma del R. P. Ottavio Caietano della Compagnia diGesù. Trasportata nella lingua volgare da un devotoservo della medesima Santissima Vergine. E cresciutacon alcune pie meditazioni sopra ciascun passo dellavita della medesima, Palermo 1664, p. 73.48 M. Andaloro, Un gruppo di tavole per l’arredo litur-gico, L’Odigitria di Santa Maria de Latinis e il Cancel-

liere Matteo d’Aiello, in Federico e la Sicilia…, 1995,pp. 443-447, che riporta la precedente bibliografia.49 Ibidem.50 Ibidem.51 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, pp. 14-15.52 M. Andaloro, L’Odigitria della Chiesa di San Nicolòall’Albergheria, in Federico e la Sicilia..., 1995, pp.449-472, che riporta la precedente bibliografia.53 L’opera proveniente dall’Archivio Storico Diocesa-no di Palermo è stata selezionata dal Dott. GiovanniTravagliato, vicedirettore dell’Archivio, cfr. G. Trava-gliato, Diplomi, codici, libri…, in Sacra..., 2004,pp.117-119.54 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 14.55 M. C. Di Natale, scheda n. 185, in Vatican Treasures2000 Years of Art and Culture in the Vatican and Italy,catalogo della mostra a cura di G. Morello, Milano1993, pp. 289-290, che riporta la precedente biblio-grafia. Cfr. pure P. Palazzotto, Sante e Patrone. Icono-grafia delle Sante Agata, Cristina, Ninfa e Oliva nellechiese di Palermo dal XII al XX secolo, Palermo 2005,p. 24.56 G. Anichini, Il Museo Diocesano…, in “Arte Cristia-na”, 1929, p. 169.57 M. C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decorative,introduzione di A. Buttitta, con contributi di P. Collu-ra e M. C. Ruggieri Tricoli, “Archivio Fotograficodelle Arti Minori in Sicilia”, Palermo 1991, p. 19.58 G. Cascini, Di Santa Rosalia Vergine palermitana,libri 3, Palermo 1651.59 Ibidem. Cfr. pure P. Collura, Santa Rosalia nella Sto-ria e nell’arte, Palermo 1977, e M. C. Di Natale, SantaRosalia nelle arti decorative…, 1991.60 S. Cabibbo, Santa Rosalia tra terra e cielo. Storia,rituali, linguaggi di un culto barocco, Palermo 2004, p.157, precisa anche che le incisioni fatte realizzare daG. Cascini nel 1627 furono inserite negli Acta Sancto-rum del 1748.61 G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651.62 M. C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae Servatrici, concontributi di M. Vitella, Palermo 1994, passim e p. 68.63 F. Pottino, Il Museo Diocesano..., 1969, p. 14. 64 M. C. Di Natale, La pittura pisana del Trecento e deiprimi del Quattrocento in Sicilia, in Immagine di Pisa aPalermo, “Atti del Convegno di studi sulla pisanità aPalermo e in Sicilia nel VII centenario del Vespro”,Palermo 1983, p. 272, che riporta la precedentebibliografia.65 F. Pottino, Chiese di Palermo…, 1974, p. 19.

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66 R. Longhi, Frammento siciliano, in “Paragone”,1953, p. 6.67 Ibidem.68 E. Carli, Pittura pisana del Trecento, Milano 1958, p.54. 69 R. Longhi, Frammento..., 1969, p. 6. Cfr. pure M. C.Di Natale, La pittura pisana…, 1983, p. 272 e V. Abba-te, Il Palazzo, le collezioni, l’itinerario, in G. C. Argan,V. Abbate, E. Battisti, Palazzo Abatellis, Palermo1991.70 M. C. Di Natale, La pittura pisana ..., 1983, p. 274,che riporta la precedente bibliografia. L’opera reca leseguenti iscrizioni in alto: In nomine Dni ih xpi ameano a nativitat MCCCVI quisti sono li defunti de la fra-ternitat di Santo Franchisco la prima casa di disciplinadi la gitate di palmo dipinta MIIILXXXVIII, e inbasso: An da Vinexia pinxit.71 G. Palermo, Guida istruttiva per Palermo e i suoi din-torni riprodotta su quella del Cav. D. Gaspare Palermodal beneficiale Girolamo Di Marzo Ferro, Palermo1858. Per i nomi dei confrati cfr. F. Lo Piccolo, I Disci-plinati di San Nicolò lo Reale a Palermo. Un’indagineprosopografica (secoli XIV-XV), in “Bollettino dellaDeputazione di Storia Patria per l’Umbria”, XCIX(2002), pp. 563-597.72 M. C. Di Natale, La pittura pisana ..., 1983, p. 274,che riporta la precedente bibliografia. Per i nomi deiconfrati cfr. F. Lo Piccolo, Una Confraternita femmini-le di disciplina a Palermo e il suo necrologio (secoliXIV-XV), in “Bollettino della Deputazione di StoriaPatria per l’Umbria”, C, (2003), pp. 491-503.73 G. Bresc Bautier, Artistes, patriciens et confreries.Production et consommation de l’oeuvre d’art à Paler-me et en Sicile occidentale 1348-1460, Roma 1979, p.213.74 Ibidem.75 R. Longhi, Frammento ..., 1969, p. 8.76 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 12.77 M. C. Di Natale, Le Confraternite dell’Arcidiocesi diPalermo. Committenza, arte e devozione, in Le Confra-ternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e Arte, cata-logo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Palermo1993, p. 24, tav. 6.78 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, p. 24.79 Il sito (www.museodiocesanopa.it) è curato grafica-mente dal dott. Sergio Intorre.80 M. C. Di Natale, Capolavori d’arte…, 1998, p. 45. 81 M. Guttilla, Arte e restauro nella decorazione …, inArti decorative…, 1999, p. 23.

82 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969; nella tar-ghetta del Museo nell’allestimento di Mons. Pottino latavoletta era definita di “scuola siculo-bizantina delsec. XV”. N. A. Lo Bue, La pittura del ’400 al MuseoDiocesano, in “Atti dell’Accademia di Scienze Letteree Arti di Palermo”, Palermo 1983, p. 483, che ritienel’opera di provenienza ignota.83 G. Vigni, G. Carandente, Antonello da Messina e lapittura del Quattrocento in Sicilia, Venezia 1953, pp.46-48.84 A. Mongitore, Le Confraternite di Palermo, ms. delXVIII sec. della Biblioteca Comunale di Palermo aisegni QqE9, f. 28.85 R. Longhi, Frammento..., 1969, p. 6. Cfr. pure M. C.Di Natale, La pittura pisana…, 1983, p. 272 e V. Abba-te, Il Palazzo…, in G. C. Argan, V. Abbate, E. Battisti,Palazzo Abatellis, 1991.86 R. Longhi, Frammento ..., 1969, p. 11. Cfr. pure E.Lugaro, Presenze fiorentine nella pittura siciliana traTre e Quattrocento, in Arte in Sicilia (1302-1458), Attidel Convegno a cura di G. Bellafiore, Palermo 1986,p. 137.87 M. C. Di Natale, Le Croci dipinte in Sicilia. L’areaoccidentale dal XIV al XVI secolo, introduzione di M.Calvesi, Palermo 1992, p. 47, figg. 69,70.88 Ibidem. R. Longhi, Frammento..., 1969, p. 6. Cfr.pure M. C. Di Natale, La pittura pisana…, 1983, p.272 e V. Abbate Il Palazzo…, in G. C. Argan, V. Abba-te, E. Battisti, Palazzo Abatellis, 1991.89 F. Pottino, Il Museo Diocesano..., 1969.90 M. C. Di Natale, Tommaso De Vigilia, “Quadernodell’A.F.R.A.S.”, n. 4, Palermo 1974, prefazione di M.Calvesi, scheda n. 8, pp. 25-28, che riporta la prece-dente bibliografia.91 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 14.92 L. Di Giovanni, Le opere d’arte nelle chiese di Paler-mo, ms. della Biblioteca Comunale di Palermo, aisegni 20QA49, 1880, f. 46r e v. cfr. Trascrizione ecommento a cura di S. La Barbera, Palermo 2000, p.139. Sull’oratorio cfr. anche P. Palazzotto, Palermo.Guida agli oratori. Confraternite, compagnie e congre-gazioni dal XVI al XIX secolo, Palermo 2004, pp. 214-222.93 G. Di Marzo, La Pittura in Palermo nel Rinascimen-to, Palermo 1899, p. 54, ritiene l’opera come il tritticodell’Incoronazione, già nella Confraternita di SanNicolò in San Francesco, oggi al Museo Diocesano, diNicolò di Magio da Siena.94 Cfr. M. C. Di Natale, La pittura pisana..., 1983, p.

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282, che riporta la precedente bibliografia. 95 Cfr. Bibliotheca Sanctorum…., ad vocem, Roma,1961-1967.96 Cfr. M. C. Di Natale, La pittura pisana..., 1983,p.282, che riporta la precedente bibliografia. Sull’ora-torio di Sant’Alberto cfr. pure P. Palazzotto, Palermo.Guida agli oratori..., 2004, pp. 79-81.97 G. Di Marzo, La Pittura in Palermo ..., 1899, p. 58riferisce quanto scrive P. Cannizzaro, Religioni Chri-stianae Panormi libri sex, ms. del 1638 della Bibliote-ca Comunale di Palermo ai segni QqE36, f. 742. 98 M. C. Di Natale, La pittura pisana ..., 1983, p. 282.99 S. Bottari, La pittura del Quattrocento in Sicilia, notealle tavole di V. Librando, Firenze 1954, p. 13.100 M. Nannipieri, De Peruchio Matheus, in L. Sarullo,Dizionario degli artisti siciliani, vol. II, Pittura, a curadi M. A. Spadaro, Palermo 1993, p. 158. 101 M. C. Di Natale, Le Croci dipinte..., 1992, n. 4, p. 124.102 M. C. Di Natale, Le Croci dipinte..., 1992.103 Catalogo della casa delle Aste e delle Esposizioni,Importante vendita di oggetti di alto antiquariato,Palazzo Tagliavia, Palermo 1979, n. 639, p. 141.104 L’opera, proveniente dalla nobile famiglia palermi-tana dei Lo Bue di Lemos, è stata riferita al Maître deSanta Clara de Palencia da Didier Bodart, in una peri-zia fatta su richiesta di Mons. Pecoraro. 105 F. Campagna Cicala, scheda n. 2, in XV Catalogo diopere d’arte restaurate (1986-1990), Palermo 1994, pp.37-42.106 Ibidem.107 Cfr. M. C. Di Natale, Tommaso De Vigilia..., 1974,n. 3, p. 20, n. 31, p. 39, che riporta la precedentebibliografia. 108 A. Mongitore, Palermo divoto di Maria Vergine eMaria Vergine Protettrice di Palermo, T.I., Palermo1719.109 M. C. Di Natale, Le Croci dipinte…, 1992, p. 117,nota 9.110 A. Mormino, in Sacra…, 2004, p. 15.111 Cfr. M. C. Di Natale, Capolavori d’arte..., e M. Vitel-la e B. Rocco, scheda n. 1, in Capolavori d’arte..., 1998,pp. 60 e 106-107. Mons. Benedetto Rocco fornisce undettagliato elenco delle reliquie contenute negli appo-siti ricettacoli della croce.112 Cfr. M. Vitella e B. Rocco, scheda n. 1, in Capolavo-ri d’arte…., 1998, pp. 106-107.113 Cfr. M.C. Di Natale, Tommaso De Vigilia, p. II,“Quaderno dell’A.F.R.A.S.”, n. 5, Palermo 1977, pre-messa di M. Calvesi, scheda n. 55, p. 42, che riporta la

precedente bibliografia.114 M. C. Di Natale, Tommaso De Vigilia..., 1974, p.13.115 G. Di Marzo, La Pittura in Palermo..., 1899, p. 120.116 M. C. Di Natale, Tommaso De Vigilia..., 1974. Cfr.pure M. C. Di Natale, ad vocem Tommaso De Vigilia,in L. Sarullo, Dizionario..., 1993, pp. 163-165, cheriporta la precedente bibliografia.117 R. Longhi, Frammento..., 1969, p. 16.118 M. C. Di Natale Guggino, Echi antonelleschi nellapittura palermitana tra la fine del XV e gli inizi del XVIsecolo, in Antonello da Messina, Atti del convegno distudi tenuto a Messina dal 29 novembre al 2 dicembre1981, Messina 1987, pp. 347-383.119 S. Bottari, La Pittura del Quattrocento..., 1954.120 M. C. Di Natale, ad voces Guglielmo e Gaspare daPesaro, in L. Sarullo, Dizionario..., 1993, pp. 406-408,che riporta la precedente bibliografia. 121 G. Bresc Bautier, Guglielmo Pesaro (1430-1487). Lepeintre de la Croix de Cefalù et du polyptique de Cor-leone?, in MEFRM, t. 86, 1974, 1, pp. 213-249. 122 Ibidem.123 Ibidem.124 M. C. Di Natale, San Giorgio nella cultura artisticasiciliana, in R. Cedrini, M. C. Di Natale, Il Santo e ildrago, Palermo 1993, introduzione di A. Buttitta, p.66. 125 M. C. Di Natale, ad vocem Guglielmo da Pesaro, inL. Sarullo, Dizionario..., 1993, pp. 406-408. 126 M. C. Di Natale, Un codice francescano del Quattro-cento e la miniatura in Sicilia, “Quaderno dell’Archi-vio Fotografico delle Arti Minori in Sicilia”, n. 1, pre-messa di M. Calvesi, Palermo 1985, che riporta la pre-cedente bibliografia. P. Palazzotto, Venite Adoremus.Natività d’arte nelle chiese di Palermo dal XII al XIXsecolo, Palermo 2004, p. 22. Cfr. pure M.C. Di Nata-le, La croce dei cavalieri di Malta nelle arti decorative inSicilia, in La presenza dei Cavalieri di San Giovanni inSicilia, collana di Studi, Romma A. II, vol. II, 2002, p.36. G. Mendola, Un approdo sicuro. Nuovi documentiper Van Dyck e Gerardi a Palermo, in Porto di mare,1570-1670, Pittori e pittura a Palermo tra memoria erecupero, catalogo della Mostra a cura di V. Abbate,Napoli 1999, p. 104.127 M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIXsecolo, Palermo 1976.128 M.C. Di Natale Guggino, Echi antonelleschi...,1987, pp. 347-383. Cfr. pure M.C. Di Natale, ad vocesTommaso De Vigilia e Pietro Ruzzolone, in L. Sarullo,

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Dizionario..., 1993, che riporta la precedente biblio-grafia.129 Cfr. M. C. Di Natale, Le Croci dipinte ..., 1992, p. 72e scheda n. 15, pp. 137-138, che riporta la precedentebibliografia.130 M.C. Di Natale, ad vocem Pietro Ruzzolone, in L.Sarullo, Dizionario..., 1993, pp. 470-472.131 G. Di Marzo, La Pittura in Palermo..., 1899, p. 221.132 F. Pottino, Chiese di Palermo…, 1974, p. 21.133 Ibidem.134 M.C. Di Natale, ad vocem Pietro Ruzzolone, in L.Sarullo, Dizionario ..., 1993, pp. 470-472. 135 Ibidem.136 R. Delogu, La Galleria Nazionale della Sicilia, Roma1962, p. 40.137 G. Di Marzo, La pittura…, 1899, p. 181.138 Cfr. M.C. Di Natale, ad vocem Nicolò da Pettineo, inL. Sarullo, Dizionario ..., 1993, che riporta la prece-dente bibliografia. Si veda pure T. Pugliatti, Nicolò daPettineo pittore. Su una firma ignorata e su alcuni rap-porti culturali nella pittura siciliana fra XV e XVI seco-lo, in Scritti in onore di Alessandro Marabottini, Roma1997, pp. 111-114.139 Cfr. M. G. Paolini, La pittura in Palermo e nella Sici-lia occidentale negli ultimi decenni del Quattrocento enei primi del Cinquecento, in Vincenzo degli Azani daPavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di CarloV, catalogo della mostra a cura di T. Viscuso, 1999,che riporta la precedente bibliografia alla nota 66 di p.186.140 Cfr. M. C. Di Natale, ad vocem Nicolò da Pettineo,in L. Sarullo, Dizionario ..., 1993, che riporta la prece-dente bibliografia.141 Per Vincenzo da Pavia si rimanda a Vincenzo degliAzani... 1999. Cfr. pure G. Di Marzo, Vincenzo daPavia detto il Romano pittore in Palermo nel Cinque-cento, “Documenti per servire la Storia di Sicilia”,della Società Siciliana per la Storia Patria, IV serie,vol. XIII, Palermo 1916.142 Ibidem. Cfr. schede di T. Viscuso nn. 60 e 75, inVincenzo degli Azani…, 1999, pp. 374 e 408, cheriporta la precedente bibliografia.143 Ibidem.144 M.C. Di Natale, Una predella inedita di Vincenzo daPavia, in “Storia dell’Arte”, n. 61, 1987, pp. 183-188.145 Ibidem. Cfr. pure M. C. Di Natale, Arti minori...,1986, p. 42.146 Ibidem. Cfr. pure T. Viscuso, scheda n. 67 in Vin-cenzo degli Azani…, 1999, p. 391, che riporta la pre-

cedente bibliografia.147 M. C. Di Natale, Mario Di Laurito, “Saggi e ricer-che dell’Istituto di storia dell’arte della Facoltà di let-tere dell’università di Palermo”, Palermo 1980, p.105.148 Cfr. M. C. Di Natale, Capolavori d’arte…, e M.Vitella, schede nn. 2-4, in Capolavori d’arte..., 1998,pp. 59-60 e 108-110. 149 M. Accascina I marchi delle argenterie e oreficeriesiciliane, Busto Arsizio, 1976. Cfr. pure S. Barraja, Imarchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII seco-lo ad oggi, saggio introduttivo di M. C. Di Natale,Milano 1996.150 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 56. Cfr.pure M. Vitella, I tessili nel Museo Diocesano di Paler-mo, in Arti decorative…, 1999, p. 125.151 Cfr. M. C. Di Natale, Capolavori d’arte…, in Capo-lavori d’arte…, 1998, p. 63, fig. 51, p. 66 (prima delrestauro). Cfr. pure S. La Barbera, Scultura lignea nelMuseo Diocesano di Palermo, in Arti decorative…,Palermo 1999, p. 76, fig. 1 (dopo il restauro). La noti-zia della provenienza dell’opera dalla Cappella delPalazzo Di Napoli mi è stata a suo tempo gentilmentefornita da Quintino Di Napoli. Cfr. pure P. Palazzot-to, Sante e Patrone..., 2005, p. 38. La scultura lignea èstata restaurata da Gaetano Correnti.152 M. C. Di Natale, scheda n. II, 20, in Ori e argenti diSicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo dellamostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp.192-193. Cfr. pure M. C. Di Natale, La raccolta diargenteria sacra nel Museo Diocesano di Palermo, inArti decorative nel Museo…, 1999, p. 107.153 Lettera circolare…, 15 agosto 2001, p. 13.154 M. C. Di Natale, Sala fondi aurei…; e G. Travaglia-to, Diplomi, codici, libri…, in Sacra…, 2004, pp. 57 ep. 117.155 Ibidem.156 T. Viscuso, ad vocem Paolo Bramè, in L. Sarullo,Dizionario ..., 1993, pp. 53-54, che riporta la prece-dente bibliografia.157 Ibidem.158 M. C. Di Natale, Le vie dell’oro..., in Ori e argenti...,1989, p. 30. 159 T. Viscuso, ad vocem Paolo Bramè, in L. Sarullo,Dizionario..., 1993, pp. 53-54.160 M. C. Di Natale, scheda n. II, 91, in Ori e argenti diSicilia... 1989, p. 247.161 Cfr. M. C. Di Natale, I maestri corallari trapanesidal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi dalla terra

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e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentaletra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della Mostra acura di M. C. Di Natale, Palermo 2003, p. 36.162 Bella come la luna pure come il sole. L’Immacolatanell’arte in Sicilia, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2004, p. 78 e sche-da R. Vadalà, p. 164. Cfr. pure Una Donna vestita diSole. L’Immacolata Concezione nelle opere dei grandimaestri, catalogo della Mostra a cura di G. Morello, V.Francia, R. Fusco, Roma 2005, p. 262. 163 P. Palazzotto, Un’opera un luogo. Arti decorative dicommittenza confraternale al Museo Diocesano diPalermo, in Arti decorative…, 1999, p. 72 n. 22.164 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia a Santa Rosalia.Opere d’arte restaurate del Museo Diocesano di Paler-mo dal XVII al XIX secolo, Palermo 2003, p. 26.165 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, p. 24.166 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, p. 18. Cfr.pure M. C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti…, 1991,p. 21. 167 G. Cascini, Di S. Rosalia…, 1651. Cfr. pure M. C.Di Natale, S. Rosaliae patriae…, 1994, pp. 30-31.168 Ibidem.169 L’opera è stata restaurata da Anna Cappuzzo e pub-blicata prima del restauro da P. Palazzotto, Gli orato-ri di Palermo, Rotary Club Palermo, premessa di M.C.Di Natale, introduzione di D. Garstang, Palermo1999, p. 105.170 M. C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi…, inMateriali preziosi…, 2003, p. 46.171 P. Palazzotto, Un’opera un luogo..., in Arti decorati-ve…, 1999, p. 59.172 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 83. L’ope-ra porta all’interno la firma dell’artigiano francese chela realizzò: Auecoc Ainè et Cerniere fecit.173 C. A. Di Stefano, Gli Scavi del 1991-92 e F. Spatafo-ra, Gli scavi del 1999-2000, in Sacra…., 2004, pp. 35 e37.174 F. Spatafora, Cultura materiale dall’antichità all’etàbizantina, in Sacra…, 2004, p. 43.175 G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia neisecoli XV e XVI, Palermo 1880-83.176 H.W. Kruft, Domenico Gagini und seine werastalt,Monaco 1972, cat. 65, figg. 59-60, che riporta la pre-cedente bibliografia. Solo una delle due sculture mar-moree raffiguranti l’Annunciata proviene dalla Catte-drale, l’altra dalla Chiesa di Santa Maria di Portosal-vo? (Cfr. cat. 64, fig. 201), come risulta in una letteradel marzo 1982 relativa alla Chiesa di Santa Maria di

Portosalvo contenente la richiesta da parte di Mons.Paolo Collura di una statua di Angelo che formavaunico gruppo con l’Annunciata “al fine di ricomporrenell’originaria unità la mirabile opera d’arte entro lemura più sicure del Museo”, conservata nel fondoarchivistico del Museo Diocesano in deposito pressol’Archivio storico diocesano.177 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.178 H.W. Kruft, Domenico Gagini..., 1972, pp. 252-253.Cfr. pure F. Negri Arnoldi, Revisione di DomenicoGagini, in BdA, LIX 1-2, 1974, che riporta la prece-dente bibliografia; P. Palazzotto, Sante e Patrone...,2005, p. 26.179 G. Di Marzo, I Gagini …., 1880-83, pp. 82-85. H.W. Kruft, Antonello Gagini und seine söfne, Monaco1980, Keth, fig. 523, p. 438.180 G. Di Marzo, I Gagini …., 1880-83, pp. 82-85.181 Per l’iconografia della Sante cfr. Bibliotheca Sancto-rum, ad voces, Roma, 1961-1967.182 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.183 G. Di Marzo, I Gagini …., 1880-83, pp. 82-85.184 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.185 H.W. Kruft, Domenico Gagini…, 1972, p. 260, sirifà agli studi di E. Mauceri. Notizie di Sicilia. Palermo- Sculture nei magazzini del Duomo, in “L’Arte”, IV,1901, p. 428, che aveva individuato queste formelleancora ammassate nei magazzini del Duomo, doveerano sfuggite al Di Marzo, che le riteneva perdute.186 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.187 P. Collura, Santa Rosalia…, 1977, p. 58.188 Ibidem.189 G. Cascini, Di S. Rosalia Vergine..., 1651.190 Ibidem.191 P. Collura, Santa Rosalia..., 1977, p. 58.192 H.W. Kruft, Domenico Gagini…, 1972, p. 260.193 Per tale ipotesi di esposizione museale dell’operacfr., M. C. Di Natale, Marmi gaginiani..., in Atti delConvegno..., La scultura meridionale..., 2004, in c. d. s. 194 M. C. Di Natale, Oreficeria e argenteria nella Siciliaoccidentale al tempo di Carlo V, in Vincenzo degliAzani…, 1999, p. 80, che riporta la precedente biblio-grafia. Cfr. pure G. Di Marzo, Notizie di alcuni argen-tieri che lavoravan nel Duomo di Palermo nel secoloXVI, in “Archivio Storico Siciliano”, n. s. A III, fasc.III, 1879, pp. 374-370; L. Boglino, Palermo e SantaCristina. Memorie e documenti, Palermo 1882.195 Per la diffusione delle copie della Madonna di Tra-pani cfr. H. W. Kruft, Die Madonna von Trapani undihre kopien, Studien zur Madonnen-Typologie und zum

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Begriff der Kopie in der Sicilianischen SkulpturdesQuattrocento, Mitteilungen des KursthistorichenInstitutes in Florens, 14, 1970, pp. 297-322.196 Per l’iconografia della Santa cfr. Bibliotheca Sancto-rum, ad vocem, 1961-1967.197 F. Pottino, Il Museo Diocesano..., 1969, p. 24 e Chie-se di Palermo…, 1974, p. 20.198 R. Vadalà, Il Palazzo Arcivescovile di Palermo, inSacra…, 2004, p. 127. Cfr. pure T. Viscuso, Note stori-che…, in I Rassegna..., 1976, pp. XVII-XXII.199 Ibidem.200 B. Patera, Francesco Laurana in Sicilia, Palermo1992, p. 84.201 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.202 Ibidem.203 M. Reginella, Le collezioni ceramiche nel Museo Dio-cesano e nel Palazzo Arcivescovile di Palermo, in Artidecorative nel Museo…, 1999, p. 48, che riporta laprecedente bibliografia. Cfr. pure F. Negri Arnoldi,Due esempi di terracotta in Sicilia, in Splendori di Sici-lia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalo-go della mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano2001, pp. 108-113.204 M. C. Di Natale, Arti minori…., 1986, p. 42. Cfr.pure S. La Barbera, La scultura lignea..., in Arti deco-rative nel Museo…, 1999, p. 77.205 H. W. Kruft, Antonello Gagini..., 1980, kat. 4, fig.390, p. 366; kat. 9, fig. 395, p. 367.206 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26. Cfr.pure M. C. Di Natale, Arti minori nel Museo…, 1986,p. 46 e S. La Barbera, La scultura lignea…, in Arti deco-rative nel Museo…, 1999, p. 84.207 G. Di Marzo, I Gagini…, 1880-1883, tav. XI. 208 Cfr. Bibliotheca Sanctorum, vol. VI, 1965, ad vocem.209 S. La Barbera, La scultura lignea…, in Arti decorati-ve nel Museo…, 1999, p. 85.210 H. W. Kruft, Antonello Gagini..., Monaco 1980,kat. 101, fig. 428, p. 409. 211 H. W. Kruft, Antonello Gagini…,1980, kat. 2, fig.505, p. 435.212 G. Di Marzo, I Gagini…, 1880-1883, tav. XI. Cfr.pure M. C. Di Natale, Arti minori…., 1986, pp. 46-49.213 H. W. Kruft, Antonello Gagini..., 1980, kat. 81, figg.3 e 157, p. 386.214 M. A. Spadaro, Il complesso dello Spasimo e l’altaredi Antonello Gagini, in Vincenzo degli Azani..., 1999,pp. 39-47.215 G. Di Marzo, I Gagini…., 1880-83, p. 506-507.216 H. W. Kruft, Antonello Gagini…, 1980, kat. 2, fig.

477, p. 427; kat. 15, fig. 485, p. 432; kat. 115, fig. 407,p. 413.217 H. N. Kruft, Antonello Gagini…,1980, kat. 81, figg.58 e 59.218 G. Di Marzo, I Gagini…., 1880-83, p. 236219 H. W. Kruft, Antonello Gagini…, 1980, kat. 81,figg. 160-169. I capitelli della tribuna gaginiana, con-servati al Museo Diocesano, schedati da Kruft, sonoritenuti tutti opera di bottega. 220 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 26.221 F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. IlCinquecento, Roma 2001, p. 310.222 G. Di Marzo, I Gagini ..., 1880-83, tav. X, b. H.W.Kruft, Antonello Gagini….,1980. Cfr. Pure M. C. DiNatale, Capolavori d’arte…, in Capolavori d’arte…,1998, p. 65 e segg.223 S. Rizzuti, La tribuna di Antonello Gagini nella Cat-tedrale di Palermo, in Sacra…, 2004, p. 133.224 G. Di Marzo, I Gagini ..., 1880-83, p. 226. 225 G. Anichini, Il museo diocesano..., 1927, p. 11.226 Per il volume di G. M. Amato, cfr. G. Villari, G.Meli, Il tempio dei Re con la ristampa anastatica com-pattata del De Principe Templo Panormitano (1728) diG. M. Amato. Traduzione a fronte di A. Morreale,contributi di R. Di Natale, A. Lombardo, G. M.Spanò, prefazione Card. S. Pappalardo, Palermo2001. A. Mongitore, La Cattedrale di Palermo, ms. delXVIII sec. della Biblioteca Comunale di Palermo, aisegni Qq73.227 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 67. Cfr.pure M. Reginella, Le collezioni ceramiche..., in Artidecorative nel Museo…, 1999, pp. 40-52, che riporta laprecedente bibliografia.228 M. Reginella, Le collezioni ceramiche…, in Artidecorative nel Museo…, 1999, pp. 40-52.229 Ibidem.230 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 79.231 Ibidem.232 Per la Confraternita cfr. R. Sinagra, scheda n. I, 16,in Le Confraternite…, 1993, p. 80.233 Cfr. Capolavori d’arte al Museo Diocesano..., 1998,figg. 61-65. I pannelli e gli studi per la ricomposizionevisiva delle opere sono stati realizzati da Enzo Brai.234 M. C. Di Natale, Mario di Laurito, 1980, n. 1, pp.87-95, che riporta la precedente bibliografia.235 Cfr. M. G. Paolini, La pittura a Palermo e nella Sici-lia occidentale negli ultimi decenni del Quattrocento enei primi del Cinquecento, in Vincenzo degli Azani…,1999, p. 149 e segg.

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236 M.C. Di Natale, Arti decorative a Palermo..., 1988,p. 13.237 V. Di Giovanni, La chiesa dell’Annunziata a PortaSan Giorgio in Palermo, Palermo 1894, 11, nota.238 G. Siciliano, Un prezioso monumento del sec. XV,Palermo 1917, p. 23 e 67.239 Cfr. M. C. Di Natale, Mario di Laurito…, 1980, n.1, pp. 87-95, che riporta le relazioni dei restauri.240 Ibidem.241 M. C. Di Natale, Arti Minori..., 1986, p. 56. Cfr.pure M. C. Di Natale, scheda n. 8, in XIV Catalogo diopere d’arte restaurate (1981-1985), Palermo, pp. 48-53, che riporta la precedente bibliografia.242 V. Abbate, Tra fiaba di Corte e realtà: l’“Adorazionedel Bambino” nella pittura siciliana tra Cinque e Seicen-to, in In Epiphania Domini. L’adorazione dei Magi nel-l’arte siciliana, catalogo della Mostra a cura di M. C. DiNatale e V. Abbate, introduzione di A. Buttitta, Paler-mo 1992, p. 76. Per il Trittico del Cancelliere cfr. pureF. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 14. M. C. DiNatale, Mario di Laurito, ..., 1980, n. 1, pp. 87-95; M.C. Di Natale, The Magi, e scheda n. 13, in 2000 Yearsof Vatican Treasures “...And The Will Come from Afar”,catalogo della mostra a cura di G. Morello, Milano1994, p. 29 e pp. 46-47, che riporta la precedentebibliografia; la scheda n. 35 di M. G. Paolini, scheda n.35, in Vincenzo degli Azani…, 1999, pp. 310-312 e P.Palazzotto, Venite adoremus…., 2004, pp. 30-31.243 Cfr. Il tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madon-na di Trapani, catalogo della mostra a cura di M. C. DiNatale e V. Abbate, Palermo 1995.244 M. C. Di Natale, Oro, argento e corallo tra commit-tenza ecclesiastica e devozione laica, e scheda n. 29, inSplendori di Sicilia…., 2001, pp. 39 e 569.245 F. Zeri, F. Campagna Cicala, Messina Museo Regio-nale, Palermo 1992, p. 68.246 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 56; Cfr.pure S. La Barbera, La scultura lignea..., in Arti deco-rative nel Museo…, 1999, p.78.247 Il restauro è stato realizzato grazie all’intervento delRotary Club Palermo-Cefalù, Presidente Dott. NataleBellia, da Mauro Sebastianelli, cfr. M. C. Di Natale, Ilrestauro della scultura lignea di San Nicola di Mira delMuseo Diocesano di Palermo e M. Sebastianelli, Ilrestauro della statua di San Nicola di Mira, in RotaryClub Palermo-Cefalù. Progetto del Centenario, Ilrestauro della statua di San Nicola di Mira del MuseoDiocesano di Palermo, Palermo 2005, pp. 12-36.248 M. C. Di Natale, Mario di Laurito…, 1980, n. 11,

pp. 110-114.249 S. La Barbera, La scultura…, in Arti decorative…,1999, p. 78.250 P. Palazzotto, Gli oratori..., 1999, pp. 25 e 162.251 Bibliotheca Sanctorum, ad vocem, vol. IX, Roma1967.252 Archivio Storico Diocesano, Fondo Curia Arcive-scovile, n. 1182, Sacre visite del Cardinale FerdinandoMaria Pignatelli (1839-1853).253 Cfr. M. C. Di Natale, Mario di Laurito,.., 1980, n.13, p. 115, che individua l’opera al Museo. Cfr. pureM.G. Paolini, scheda n. 38, in Vincenzo degli Azani…,1999, p. 122.254 M. C. Di Natale, Mario di Laurito..., 1980, n. 12, p.114.255 M. C. Di Natale, Mario di Laurito..., 1980.256 M. C. Di Natale Guggino, Echi antonelleschi ...,1987, pp. 347-383.257 M. C. Di Natale, Dallo splendore della suppellettileall’aurea cromia della miniatura, in L’eredità di AngeloSinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV alXX secolo, catalogo della Mostra a cura di M. C. DiNatale e F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, p. 152.258 M. C. Di Natale, Oreficeria e argenteria nella Siciliaoccidentale al tempo di Carlo V, in Vincenzo degliAzani…, 1999, p. 71.259 O. Mangananti, Sacro Teatro palermitano, ms. dellaprima metà del XVII sec. della Biblioteca Comunaledi Palermo ai segni QqD13, tomo III, f. 1040.260 F. Pottino, Il Museo Diocesano ..., 1969, p. 18.261 Si ringrazia per l’interessamento il Prof. SalvatoreBordonali, presidente della Congregazione di Sant’E-ligio, Consiglio d’Amministrazione del Museo Dioce-sano di Palermo. 262 Per l’iconografia dei Santi Rocco e Sebastiano cfr.Bibliotheca Sanctorum, ad voces, Roma 1961-1967. Perl’iconografia di San Sebastiano in Sicilia cfr. pure A.Virga, San Sebastiano. Iconografia e arte in Sicilia,Palermo 1993.263 Cfr. T. Viscuso, ad vocem Simone de Wobreck, in L.Sarullo, Dizionario ..., 1993, pp. 572-3.264 Cfr. P. Palazzotto, Santa e Patrona..., 2005.265 V. T. Viscuso, autorem Simona de Voberti, p. 34 inL. Sarullo, Dizionario..., 1993, pp.572-73.266 Ibidem.267 Ibidem.268 P. Collura, Santa Rosalia ..., 1997, p. 96. Cfr. pure P.Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, pp. 8-11.269 M. C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae ..., 1994.

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270 M. C. Di Natale, schede nn. II, 5, 6, in Le Confra-ternite ..., 1993, pp. 147-148. Cfr. pure A. Contino, S.Mantia, Vincenzo La Barbera architetto e pittore termi-tano, premessa di M. C. Di Natale, Termini Imerese1998.271 G. Mendola, Dallo Zoppo di Gangi a Pietro Novelli.Nuove acquisizioni documentarie, in Porto di mare,1999, p. 65. Cfr. pure P. Palazzotto, Da Santa Rosalia...2003, p. 10.272 P. Collura, Santa Rosalia ..., 1977, p. 96.273 Per l’iconografia di Santa Rosalia cfr. G. Cascini, DiSanta Rosalia..., 1651; P. Collura, Santa Rosalia...,1997; M. C. Di Natale, Santa Rosalia..., 1991 e M. C.Di Natale, S. Rosaliae Patriae..., 1994.274 G. Cascini, De vita et inventione S. Rosaliae, Paler-mo 1631.275 Per la vara di Santa Rosalia cfr. M. C. Di Natale, S.Rosaliae Patriae ..., 1994, e M. C. Di Natale, I maestriargentieri e la Santa Patrona, in Il Seicento e il primofestino di Santa Rosalia, Fonti documentarie, a cura diE. Calandra, Palermo 1996, pp. 39-43, che riportanola precedente bibliografia.276 M. C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae ..., 1994.277 M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino 1990, p.28 e p. 25.278 Cfr. M. C. Ruggieri Tricoli, ad vocem Vincenzo LaBarbera, in L. Sarullo, Dizionario ..., vol. I, Archittura,a cura di M. C. Ruggieri Tricoli, 1993, p. 241-243.279 A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera..., 1998.280 M. Vitella, Il primo festino, in M. C. Di Natale, S.Rosaliae Patriae…, 1994, pp. 81-117.281 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, pp. 14-17.282 Ibidem.283 P. Palazzotto, Scheda dell’opera, in Palermo nell’e-tà dei Neoclassicismi. Disegni di architettura conservatinegli archivi palermitani, a cura di M. Giuffrè e M. R.Nobile, Palermo 2000, pp. 102-104.284 Cfr. V. Abbate, Tra fiaba di corte..., in In Epipha-nia.., 1992, p. 82; M.C. Di Natale, scheda n. 14, in2000 Years of Vatican Treasures ..., 1994, p. 47, cheriporta la precedente bibliografia.285 Ibidem.286 P. Palazzotto, I tesori provenienti dagli Oratori, inSacra…, 2004, pp. 112-113. Cfr. anche P. Palazzotto,Venite adoremus…, 2004, p. 42.287 Cfr. Pietro D’Asaro: “Il monocolo di Racalmuto”(1579-1647), catalogo della mostra a cura di M. P.Demma, Palermo 1985 e M. P. Demma, ad vocem Pie-tro D’Asaro, in L. Sarullo, Dizionario ..., 1993, pp.

136-138, che riporta la precedente bibliografia.288 Per Giuseppe Salerno e Gaspare Bazano, entrambisoprannominati Lo Zoppo di Gangi cfr. Vulgo dictu luzoppo di Gangi, catalogo della Mostra, Gangi 1997.289 M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio…., 1990, p.251.290 Cfr. M. Vitella schede nn. 6, 25, in Vulgo dicto luZoppo…, 1997, pp. 146, 184.291 Cfr. Vulgo dictu lu Zoppo…, 1997.292 E. Natoli, Alberti Antonio detto il Barbalonga, in L.Sarullo, Dizionario..., 1993 pp. 4-5, che riporta la pre-cedente bibliografia.293 F. Pottino, Il Museo Diocesano, 1969, p. 18.294 T. Viscuso, Giuseppe Albina detto il Sorro, in L.Sarullo, Dizionario..., 1993, pp. 5-7, che riporta la pre-cedente bibliografia. Cfr. pure Porto di mare..., 1999.295 S. La Barbera, La scultura lignea..., in Arti decorati-ve nel Museo..., 1999, p. 82.296 F. Pottino, Il Museo Diocesano…, 1969, p. 18. Cfr.pure M. C. Di Natale, Capolavori d’arte…, in Capola-vori d’arte…., 1998, p.88.297 G. Di Marzo, Vincenzo da Pavia…, 1916, pp. 104-105.298 G. Mendola, ad vocem Giuseppe Sirena, in L. Sarul-lo, Dizionario…., 1993, p. 503.299 S. La Barbera, La scultura lignea…, in Arti decorati-ve nel Museo… 1999, p. 88. La scultura lignea è statarestaurata da Gaetano Correnti. Cfr. anche P. Palaz-zotto, scheda n. 90, 94 Images of saluation masterpie-ces from vatican and italian collections, catalogo dellamostra (Toronto-Canada), a cura di G. Movello,Roma 2002, pp. 232-233.300 A. Mongitore, Palermo divoto di Maria Vergine..., t.I, 1719, p. 348-352. Cfr. pure M. C. Di Natale, Artiminori…, 1986, p. 49 e S. La Barbera, La sculturalignea…, in Arti decorative nel Museo…, 1999, p. 80,con precedente bibliografia.301 Ibidem. Di Marzo-Ferro, Guida istruttiva per Paler-mo e suoi dintorni riprodotta su quella del cav. D.Gaspare Palermo..., Palermo 1858, p. 149.302 M. Vitella, scheda n. 7, in Capolavori d’arte….,1998, p. 113. Cfr. pure M. C. Di Natale, La raccolta diargenteria sacra..., in Arti decorative nel Museo…,1999, p. 109. 303 M. Vitella, scheda n. 6, in Capolavori d’arte…, 1998,p. 112. Cfr. pure M. C. Di Natale, La raccolta di argen-teria…, in Arti decorative nel Museo..., 1999, p. 112. 304 M. C. Di Natale, La raccolta di argenteria…, in Artidecorative nel Museo..., 1999, p. 111.

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305 M. Vitella, scheda n. 12, in Capolavori d’arte...,1998, p. 118.306 M. C. Di Natale, La raccolta di argenteria…, in Artidecorative nel Museo...,1999, p. 112.307 Il dott. Giovanni Travagliato ha individuato lostemma dell’Arcivescovo Lozano, nonché di tutti glialtri arcivescovi palermitani di cui ha in corso di pub-blicazione l’intera sequenza. 308 Cfr. Porto di mare..., 1999; per La lapidazione diSanto Stefano di B. Castello cfr. anche G. Travagliato,scheda n. 104, in Images of saluation..., 2002, pp. 243-244.309 P. Palazzotto, Gli oratori di Palermo..., 1999, p. 157n. 16.310 P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori…, 2004,p. 158.311 P. Palazzotto, I tesori provenienti…, in Sacra…,2004, p. 112.312 G. Davì, Pietro Novelli al Museo Diocesano, inSacra... 2004, p. 107. 313 G. Davì, Pietro Novelli..., in Sacra…, 2004, p. 107.314 M. P. Demma, scheda n. II, 74 in Pietro Novelli e il suoambiente, catalogo della Mostra, Palermo 1990, p. 348.315 G. Davì, Pietro Novelli…, in Sacra…, 2004, p. 109.316 A. Gallo, Elogio storico di Pietro Novelli, Palermo1830, p. 44.317 G. Davì, Pietro Novelli…, in Sacra…, 2004, p. 109.318 V. Abbate, Il Palazzo…, in C. G. Argan, V. Abbate,G. Battisti, Palazzo Abatellis, 1991.319 M. C. Di Natale, scheda n. II, 60, in Ori e argenti…,1989, p. 229. Cfr. pure G. Mendola, scheda n. 64, inSplendori di Sicilia, 2001, p. 400.320 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, p. 23.321 Ringrazio il Prof. Giovanni Mendola per avermigentilmente segnalato la provenienza dell’opera. Cfr.Archivio di Stato di Palermo, Notaio Cristoforo Ragu-sa, IV stanza, vol. 4071, c. 229. Per la chiesa cfr. F. LoPiccolo, in Rure sacra, Palermo 1995, p. 227.322 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, pp. 24-26.323 M. C. Di Natale, scheda n. 149, in L’arte del coralloin Sicilia, catalogo della Mostra a cura di C. Maltese eM. C. Di Natale, Palermo 1986, p. 334, che riporta laprecedente bibliografia.324 Ibidem.325 M. C. Di Natale, scheda n. 172, in L’arte del coral-lo…,1986, p. 366, che riporta la precedente bibliografia.326 M. C. Di Natale, schede nn. 149 e 172 in L’arte delcorallo…, 1986, pp. 334-366 che riportano la prece-dente bibliografia.

327 F. P. Campione, Pietro dell’Aquila, ad vocem, in L.Sarullo, Dizionario... 1993, pp. 149-151 che riporta laprecedente bibliografia.328 F. Pottino, Il Museo Diocesano…, 1969, p. 30. Cfr.pure M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 74.329 A. Mongitore, Memorie di pittori, scultori, architettie artefici in cera siciliani, a cura di E. Natoli, Palermo1977, pp. 42-43.330 M. C. Di Natale, scheda n. 139, in L’arte del coral-lo…, 1986, p. 321, che riporta la precedente biblio-grafia.331 Ibidem.332 P. Palazzotto, scheda n. V.10.3, in Materiali preziosi…, 2003, p. 258.333 M. C. Di Natale in scheda n.V.5.2, in Materiali pre-ziosi…, 2003, p. 227.334 M. C. Di Natale, La raccolta di argenteria…, in Artidecorative nel Museo…, 1999, pp. 112-114.335 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 98, cheriporta la precedente bibliografia. Cfr. pure P. Palaz-zotto, Palermo. Guida agli Oratori..., 2004, pp. 230-231. Restaurata da Serena Bavastrelli.336 A. Mongitore, Memorie di pittori,… , 1977, p337 M. Vitella, schede nn. 13 e 15, in Capolavori d’ar-te…, 1998, pp. 119 e 121. Cfr. pure M. C. Di Natale,La raccolta di argenteria sacra..., in Arti decorative nelMuseo..., 1999, p. 119.338 P. Palazzotto, I tesori provenienti…, in Sacra…,2004, p. 113.339 M. Vitella, Manufatti tessili del Museo Diocesano diPalermo, in Sacra…, 2004, p. 122.340 M. Vitella e R. Civiletto, schede, in Capolavori d’ar-te…, 1998, pp. 122-134; e M. Vitella, I tessili nelMuseo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nelMuseo …, 1999, pp. 124-134.341 M. Vitella, Manufatti tessili…, in Sacra…, 2004, p.123.342 M. C. Di Natale, Arti minori nel Museo…, 1986, p.63, che riporta la precedente bibliografia. Cfr. pure S.La Barbera, La scultura lignea…, e G. Mendola, Dairifacimenti al restauro. La “vara” di Sant’Agata, in Artidecorative nel Museo…., 1999, pp. 88 e 99. GiovanniMendola rileva il nome dello scultore e dei doratori.Cfr. pure P. Palazzotto, Sante e Patrone..., 2005, p. 48.343 F. Pottino, Il Museo Diocesano..., 1969, p. 29.344 M. C. Di Natale, Arti minori…, 1986, p. 63.345 M. C. Di Natale, Arti decorative..., in Arti decorati-ve nel Museo…, 1999, pp. 19-21.346 P. Palazzotto, Da Santa Rosalia…, 2003, p. 26.