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Migrazioni, Genere, Accoglienza Mentor di comunità e buone praiche contro la violenza a cura di Maria Grazia Peron DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA SOCIOLOGIA, PEDAGOGIA e PSICOLOGIA APPLICATA (FISPPA) Il Progeto “SPEAK OUT! Empowering migrant, refugees and ethnic minority women against gender violence in Europe”, realizzato Đol sostegŶo fiŶaŶziario del Prograŵŵa DaphŶe dell’UŶioŶe Europea, ha ĐoiŶvolto Padova, Madrid, BarĐelloŶa, HelsiŶki e l’OlaŶda ;Aŵsterdaŵ e L’AiaͿ. Il team italiaŶo, Đoŵposto dai gruppi di lavoro ĐoordiŶai da FraŶĐa Biŵďi ;UŶiversità di Padova, DipariŵeŶto FISPPA, Đapofila europeo del ProgetoͿ, AŶtoŶella FerraŶdiŶo ;CoŵuŶe di Padova, UŶità di Progeto AĐĐoglieŶza e IŵŵigrazioŶeͿ, Alďerta Basaglia ;FoŶdazioŶe FraŶĐa e FraŶĐo BasagliaͿ, Alisa Del Re ;CeŶtro IŶterdipariŵeŶtale di riĐerĐa e studi poliiĐhe di geŶereͿ, ha proŵosso il Corso Mentor di comunità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, a cui haŶŶo parteĐipato doŶŶe ŵigraŶi, d’origiŶe ŵigraŶte e rifugiate. Il profilo della MeŶtor ĐosituisĐe uŶa proposta iŶŶovaiva Ŷel paŶoraŵa europeo. Le parteĐipaŶi al Corso haŶŶo prodoto“storie di lei” sulla violeŶza e sui ŵodi per usĐirŶe, ed uŶa Carta della Mentor di comunità iŶ uŶdiĐi liŶgue. IŶoltre haŶŶo dato vita ad uŶ’assoĐiazioŶe per sviluppare autoŶoŵaŵeŶte la prospeiva del Progeto. Il sisteŵa loĐale di welfare ha parteĐipato alla riĐerĐa di sfoŶdo, ai seŵiŶari di forŵazioŶe ed ai ĐoŶvegŶi arriĐĐheŶdo le rei aŶivioleŶza del territorio. Maria Grazia Peron, Đapo di gaďiŶeto del SiŶdaĐo di Padova, è preseŶza feŵŵiŶile autorevole iŶ uŶ luogo delle deĐisioŶi ed è iŵpegŶata da ŵoli aŶŶi sui teŵi dell’eguagliaŶza di geŶere. a Đura di M.G. PeroŶ Migrazioni, Genere, Accoglienza ISBN 978 88 6787 036 3 10,00 Progetto co-finanziato Programma Daphne Unione Europa Comune di Padova Settore Gabinetto del Sindaco U.P. Accoglienza e Immigrazione

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Migrazioni, Genere, Accoglienza

Mentor di comunità e buone prai che contro la violenza

a cura di

Maria Grazia Peron

DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA

SOCIOLOGIA, PEDAGOGIA

e PSICOLOGIA APPLICATA

(FISPPA)

Il Proget o “SPEAK OUT! Empowering migrant, refugees and ethnic

minority women against gender violence in Europe”, realizzato

ol sosteg o fi a ziario del Progra a Daph e dell’U io e Europea, ha oi volto Padova, Madrid, Bar ello a, Helsi ki e l’Ola da A sterda e L’Aia . Il team italia o, o posto dai gruppi di lavoro oordi ai da Fra a Bi i U iversità di Padova, Dipari e to FISPPA, apofi la europeo del Proget o , A to ella Ferra di o Co u e di Padova, U ità di Proget o A oglie za e I igrazio e , Al erta Basaglia Fo dazio e Fra a e Fra o Basaglia , Alisa Del Re Ce tro I terdipari e tale di ri er a e studi polii he di ge ere , ha pro osso il Corso Mentor di comunità

per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, a cui

ha o parte ipato do e igra i , d’origi e igra te e rifugiate. Il profi lo della Me tor osi tuis e u a proposta i ovai va el pa ora a europeo. Le parte ipa i al Corso ha o prodot o“storie

di lei” sulla viole za e sui odi per us ir e, ed u a Carta della

Mentor di comunità i u di i li gue. I oltre ha o dato vita ad u ’asso iazio e per sviluppare auto o a e te la prospei va del Proget o. Il siste a lo ale di welfare ha parte ipato alla ri er a di sfo do, ai se i ari di for azio e ed ai o veg i arri he do le rei a i viole za del territorio.

Maria Grazia Peron, apo di ga i et o del Si da o di Padova, è prese za fe i ile autorevole i u luogo delle de isio i ed è i peg ata da oli a i sui te i dell’eguaglia za di ge ere. a

ura di M.G

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za

ISBN 978 88 6787 036 3

10,00

Progetto co-fi nanziatoProgramma Daphne

Unione EuropaComune di Padova

Settore Gabinetto del Sindaco

U.P. Accoglienza e Immigrazione

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Migrazioni, Genere, Accoglienza

Mentor di comunità e buone praiche contro la violenza

a cura di

Maria Grazia Peron

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Prima edizione: aprile 2013

ISBN 978 88 6787 063 3

© 2013 Cleup sc“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”via G. Belzoni 118/3 – Padova (t. +39 049 8753496)www.cleup.itwww.facebook.com/cleup

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresele copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

Impaginazione di Cristina Marcato.

Questa pubblicazione del Progetto “SPEAK OUT! Empowering migrant, refugees and ethnic minority women against gender violence in Europe” è stata prodotta con il supporto finanziario del Programma Daphne dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono dovuti alla sola responsabilità della curatrice, di autrici ed autori, del Dipartimento FISPPA contractor del Progetto, e non possono esser considerati in nessun modo come punti di vista riferibili alla Commissione Europea.

Progetto co-inanziatoProgramma Daphne

Unione Europa

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3Indice

Indice

Presentazione 5di Maria Grazia Peron

Introduzione 9Significato del Progetto, reti locali, diffusione di buone pratichedi Franca Bimbi e Antonella Ferrandino

Parte 1Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

1. Le partecipanti, il Corso, l’auto-valutazione 15di Pamela Pasian

2. La “storia delle storie” 23di Alberta Basaglia, Sara Cavallaro, Giulietta RaccanelliDalle parole-chiave su migrazione e violenza, al racconto per uscirneIl corpo nelle “storie di lei”

3. La Carta della Mentor, nelle “nostre” lingue 35a cura di Eriselda ShkopiItaliano 35Albanese 37Arabo 39Bengalese 40Cinese 43Cingalese 45Filippino 47Francese 49Inglese 51Romeno 53Spagnolo 55

Parte 2Il Progetto e la rete dei servizi. Relazioni di cura e lavori in corso

1. Un questionario ed i focus. Costruire vocabolari comuni 59di Paolo Gusmeroli e Elena D’Anna

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4 Migrazioni, genere, accoglienza

2. Riflessività e ricerca di buone pratiche 63Dal Centro Antiviolenza. Prospettive del lavoro con migranti 63di Patrizia Zantedeschi

Sulla strada 66di Catia Zanforlin

Dialogo tra operatori. Una porta d’accesso alla “questione” della violenza 68di Luisa De Paoli

Conclusioni

1. La rete Mentor e la nascita di una Associazione 75a cura delle partecipanti al Corso per Mentor di comunità

2. Synthesis of the Project “Speak Out! Empowering migrant, refugee and ethnic minority women against gender violence in Europe” 77di Franca Bimbi

Appendice

1. Indicatori su migranti, rifugiati e violenza sulle donne 852. Padova – Unità di Progetto Accoglienza e Immigrazione (UPAI) del Comune. Sportelli e servizi. 903. Partecipanti al Corso per Mentor di comunità che hanno ricevuto l’attestato 924. Istituzioni e Associazioni che hanno collaborato al Progetto 93

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5Presentazione

Presentazionedi Maria Grazia Peron

Il Comune di Padova, con l’Unità di Progetto Accoglienza e Immigrazione, si è coinvolto sin dall’inizio nel Progetto Europeo “Speak Out! Empowering migrant, refugees and ethnic minority women against gender violence in Europe”, realizzato col sostegno finanziario del Programma Daphne dell’Unione Europea. Padova è stata il partner territoriale nel team italiano, mettendo a disposizione l’esperienza maturata nelle politiche per gli immigrati, la sua rete istituzionale ed associativa, nonché i rapporti consolidati con la rete istituzionale ed associativa del territorio.

Il progetto ha avuto come obiettivo formativo la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne attraverso il coinvolgimento di donne migranti, rifugiate ed appartenenti a minoranze svantaggiate. Per la sua realizzazione, nei cinque contesti prescelti, di Padova, Madrid, Barcellona ed Helsinki e di alcune città dell’Olanda, tra cui L’Aia e Amsterdam, sono stati coinvolti diversi gruppi di donne, tutte migranti, rifugiate, di minoranze o d’origine migrante, per un totale di circa 300 partecipanti, che hanno seguito circa 100 ore di formazione in ognuna delle città, a cui vanno aggiunte le persone toccate dalla disseminazione del lavoro attraverso incontri pubblici, e dei suoi risultati nelle scuole di Padova e Venezia, in altri Comuni del Veneto, ma anche in occasione di Convegni nazionali ed inter-nazionali.

Alle partecipanti al progetto è stata offerta l’opportunità di imparare a rico-noscere la violenza di genere, diventare un punto di riferimento per le vittime di violenza, diventare autorevoli sui temi e sulle problematiche relative alla violenza sulle donne, nei loro contesti di vita quotidiana, nella città e nelle istituzioni.

I partner italiani hanno progettato e promosso assieme le attività tra cui il Corso Mentor di comunità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, per il quale il Comune e l’Università hanno anche organizzato e svolto la selezio-ne delle partecipanti. È stata realizzata, nel contesto italiano, una vera e propria azione positiva, in quanto le donne migranti, pur crescendo come presenza nel territorio, ed anche come utenza nei servizi sociali e sanitari e nei Centri Antivio-lenza, tuttavia risultano poco presenti tra le volontarie e le operatrici formate per

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6 Migrazioni, genere, accoglienza

intervenire nei casi di violenza sulle donne. In questo senso, la proposta di creare un profilo di Mentor orientata all’impegno contro la violenza sulle donne ha costi-tuito un’innovazione anche nel panorama europeo. Infatti si tratta di una compe-tenza di comunità, intesa nel significato più ampio del termine, che fa riferimento ad un gruppo di donne di diverse origini nazionali e con diverse caratteristiche linguistico-culturali, capaci di agire come cittadine attive nel territorio in cui vivo-no, indipendentemente dalla loro piena cittadinanza formale.

L’esito concreto di questo tipo di impegno dipenderà anche dalla permeabilità delle diverse reti tra i servizi e nei servizi della città, a cui le Mentor chiedono di farsi promotori del riconoscimento della necessità di includere maggiormente le donne migranti sul versante della prevenzione della violenza. Per questo è stata anche svolta una ricerca nel sistema locale di welfare sulle rappresentazioni e le interpretazioni della violenza di genere, con l’obiettivo di dare un contributo allo sviluppo della rete locale antiviolenza nella direzione di una maggiore inclusione dei punti di vista delle donne di differenti orientamenti culturali.

Durante la formazione, nei quattro laboratori dedicati, le partecipanti al Cor-so hanno elaborato, tutte assieme, undici “storie di lei” sulla violenza e sui modi per uscirne ed una Carta della Mentor di comunità contro la violenza sulle donne, con linee-guida per un impegno in relazioni peer-to-peer a Padova e nel territorio. Le short stories scritte dalle corsiste e la Carta per la Mentor di comunità contro la violenza sulle donne sono stati i due principali risultati della formazione. Il Corso si è concluso con un attestato di partecipazione nel giugno 2012. Le partecipanti hanno continuato ad incontrarsi tra loro ed a lavorare per un’associazione che ha tra i suoi principali obiettivi lo sviluppo di una rete di Mentor contro la violenza sulle donne. In Italia potrebbe costituire la prima esperienza del genere. La nascita dell’associazione costituirebbe un ulteriore risultato del progetto e la prova più concreta del successo delle sue finalità: dare voce alle donne migranti, rifugiate, d’origine migrante e di nuove minoranze, attraverso un’espressione concreta della società civile femminile impegnata contro la violenza. Con questa pubblicazione il Comune di Padova intende contribuire allo sviluppo delle politiche antiviolenza, presentando una sintesi dei risultati del progetto e con la traduzione della Carta in diverse lingue, a rappresentare l’accoglienza della città di Padova verso cittadine e cittadini stranieri e migranti di tutto il mondo e l’impegno di tutti a impegnarsi per prevenire e contrastare la violenza sulle donne.

L’Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA), è stata il capofila europeo del progetto, con il co-ordinamento di Franca Bimbi. Del team italiano hanno fatto parte, oltre al Comu-ne di Padova con Antonella Ferrandino, la Fondazione Franca e Franco Basaglia di Venezia, con la sua vice-Presidente Alberta Basaglia, ed il Centro Interdiparti-mentale di ricerca e studi di genere dell’Università di Padova (CIRSPG), diretto da Alisa Del Re. Sono stati coinvolti, sia per la ricerca che per la collaborazione alla

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7Presentazione

formazione, anche giovani ricercatrici, ricercatori e dottorandi, particolarmente della Scuola di Dottorato in Scienze Sociali e del Gruppo di ricerca Globi_Lab, con alle spalle specifiche esperienze di ricerca etnografica sulle migrazioni ed i rapporti di genere. Partner Europei sono state le organizzazioni non governative Cepaim (Madrid), Surt (Barcellona), Tye Interntional (Den Hag), e Monika (Hel-sinki), ed inoltre l’Università di Helsinki, Aleksanteri Institute, the Finnish Centre for Russian and East-European Studies.

Nei diversi Paesi i partner combinavano expertise pratiche, di formazione, di ricerca e ricerca-azione nei campi delle migrazioni e della violenza sulle don-ne, con esperienze consolidate nella progettazione, conduzione e responsabilità di servizi per migranti e per donne migranti, e nei Centri Antiviolenza. Quella che presentiamo è una delle tre pubblicazioni prodotte dal progetto, dalle quali risulta la qualità, l’estensione, la riproducibilità, e dunque l’utilità, del lavoro fatto, per lo sviluppo di un’Europa inclusiva di tutte le cittadine e cittadini.

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8 Migrazioni, genere, accoglienza

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9Introduzione

IntroduzioneSignificato del Progetto, reti locali, diffusione di buone pratichedi Franca Bimbi e Antonella Ferrandino

Dopo due anni d’impegno comune, molto intenso, nel Progetto “Speak Out! Empowering migrant, refugees and ethnic minority women against gender violence in Europe”, realizzato col sostegno finanziario del Programma Daphne dell’Unione Europea, alla sua conclusione pensiamo di poterne cogliere, quasi prendendone distanza, sia i risultati più evidenti che gli obiettivi sottesi, più ampi, che si possono comprendere solo quando i risultati, con successi e limiti, sono stati raggiunti.

La finalità generale, di “dare voce” alle donne migranti, d’origine migrante, rifugiate e di gruppi minoritari, è derivata da una preoccupazione che ci ha aiutato ad identificare i due obiettivi generali del progetto.

L’assenza delle donne migranti e d’origine migrante dal dibattito pubblico sul-la violenza nei rapporti di genere indica un deficit d’inclusione sociale di una parte crescente di persone che, a vario titolo, sono cittadine europee. Proprio quando si toccano argomenti che riguardano il corpo femminile e la dignità delle donne nella famiglia e nella società, le migranti diventano oggetto del discorso, ma non ne sono il soggetto: si parla in loro nome mentre esse restano silenziose. Questo silenzio danneggia le donne e gli uomini che vivono in Europa, perché propone una società segmentata dalle differenze, invece che accogliente verso le differenze, come vuole la Carta Europea dei diritti fondamentali.

La preoccupazione ci ha fatto mettere a fuoco due obiettivi generali. Il proget-to avrebbe dovuto sollecitare il potenziamento dell’autorevolezza delle donne nei contesti della loro vita quotidiana e la loro volontà di sentirsi autorizzate ad agire rispetto al tema più difficile da affrontare: la violenza nei rapporti di genere. Ma questo obiettivo richiama di per se stesso la necessità di un lavoro di rete, tra mi-granti e native, tra iniziative di società civile ed istituzioni territoriali, tanto da sol-lecitare lo sviluppo di un tessuto di relazioni sociali nelle quali la transculturazione diventi pratica di vita quotidiana e modo per superare le esperienze d’estraneità e di diffidenza che fanno della città una “land of stranges” anche per i nativi. Da qui l’idea che dal progetto potesse nascere – ciò che non era esplicitamente previsto – una qualche forma associativa, un “corpo intermedio” attraverso il quale si po-

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10 Migrazioni, genere, accoglienza

tenziassero anche le capacità delle donne, attive in una rete più ampia, di esercitare pressioni sociali per politiche più adeguate ed incisive di prevenzione e contrasto della violenza.

Se in parte gli obiettivi sono stati raggiunti, significa che il progetto può es-sere considerato anche un modello da diffondere, perché tutte le donne europee, specialmente su questo fronte, hanno il problema di sfuggire alle retoriche della vittimizzazione, e di cominciare a diventare meno vulnerabili attraverso l’esercizio di forme più efficaci di cittadinanza attiva.

Da qui è stata definita l’offerta di una formazione per il profilo di una Mentor di comunità: una persona che opera in contesti multiculturali sostenendo relazioni transculturali tra pari. Nel progetto Speak Out! la definizione di Mentor di comu-nità si riferisce esplicitamente ad un gruppo di donne, di diverse origini nazionali e con diverse caratteristiche linguistico-culturali, capaci di agire come cittadine attive nel territorio in cui vivono, indipendentemente dalla loro piena cittadinan-za formale. La comunità di riferimento per il gruppo di Mentor può essere, allo stesso tempo, la città (come contesto di vita quotidiana e come rete di istituzioni), la comunità d’origine, la comunità d’appartenenza, il vicinato, le reti familiari, le associazioni, le istituzioni. Il gruppo di Mentor chiede a coloro che vi aderiscono di impegnarsi in prima persona nella prevenzione della violenza di genere e nel for-nire supporto alle donne che sono a rischio o che subiscono violenze, svolgendo la funzione di ponte tra donne che appartengono a gruppi di diverse origini nazionali e linguistico-culturali, verso il sistema di welfare, il sistema sanitario (pubblico e privato), e, più in generale, le istituzioni, tra le diverse comunità di appartenenza, tenendo conto in primis dei bisogni delle donne stesse.

Nella parte iniziale del progetto tutte le partner europee hanno svolto una stessa ricerca preliminare nel sistema di welfare locale (a Padova 206 questionari e 4 focus group). La survey ha coinvolto professionisti e volontari che lavorano nei servizi sociali e sanitari, associazioni e ong; si è concentrata sulla formazione e sui metodi di lavoro contro violenza sulle donne, sulle rappresentazioni della violenza, sui rischi per le donne migranti e non, sui diversi significati che può assumere il concetto di violenza di genere. I focus group sono stati condotti sia con operatrici dei servizi sia con donne migranti trattando alcuni temi presenti nel questionario.

Durante la seconda parte del progetto, Padova ha offerto un “Corso per Mentor di comunità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere” rivolto a donne migranti ed organizzato in laboratori, il più importante dei quali è stato il Laboratorio PerleParole. Nel Laboratorio PerleParole, a partire da al-cune parole-chiave e dalle narrazioni delle loro esperienze, le partecipanti, con il metodo dello storytelling, hanno prodotto racconti sulla violenza e sulle risorse a disposizione per fuggire da essa. Inoltre è stata redatta una “Carta per la Men-tor di comunità contro la Violenza sulle Donne”, che contiene le linee-guida per

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11Introduzione

agire nella società locale. Nel complesso, partendo da esperienze personali o del proprio intorno sociale, i laboratori del progetto Speak Out! hanno perseguito lo scopo di dare voce alle diversità delle donne migranti circa le loro esperienze di migrazione e di violenza privata, familiare, istituzionale e razziale. Sono stati costruiti vocabolari transculturali, considerando le diversità e declinando parole di significato opposto a violenza come reciprocità, dignità, rispetto. In tutte le defi-nizioni culturali della violenza le donne hanno riconosciuto alcune radici comuni della loro vulnerabilità.

A partire da questo lavoro, dopo la fine del Corso, dall’ottobre 2012, le parte-cipanti hanno aperto una discussione ai fini di trasformare il gruppo di Mentor in un’associazione attiva sul territorio.

Il Corso ha ottenuto due principali “prodotti”: le “short stories” e la Carta della Mentor di comunità. Entrambi sono al centro di questa pubblicazione1 che sintetizza i risultati del Progetto Speak Out! ed inoltre ha promosso le potenzialità per proseguire in un’esperienza di agency territoriale.

Le short stories hanno dimostrato la capacità del gruppo di produrre i propri punti di vista sulla violenza nei rapporti di genere nella cornice del pluralismo culturale delle voci e di trovare alcuni approcci e strumenti comuni per supportare altre donne.

La Carta può essere uno strumento per presentare e rappresentare il gruppo delle Mentor di comunità in un contesto istituzionale, nelle loro comunità e nel dibattito pubblico sulla violenza di genere.

Tuttavia, al di là dei “prodotti”, il lavoro svolto è importante per i processi messi in atto, che possono essere orientativi per ulteriori esperienze formative. I principali riguardano: l’approccio transculturale orientato al riconoscimento delle differenze oltre che all’affermazione dei diritti umani di genere; la sollecitazione della ricerca di percorsi di self-empowerment in cui il contrasto della violenza di genere, pur senza alcuna concessione al relativismo morale, si possa declinare evi-tando la gerarchizzazione tra donne migranti e native in base a presunti model-li e standard di “modernità”; l’identificazione di percorsi che, dalla formazione, suggeriscano lo sviluppo di forme di agency per moltiplicare le esperienze di self-empowerment delle donne a livello territoriale.

1 Oltre a questa pubblicazione, si vedano:Franca Bimbi (ed.), Agency of Migrant Women Against Gender Violence, The Final Comparative Re-port of the Project “Speak Out! Empowering Migrant, Refugee and Ethnic Minority Women Against Gender Violence in Europe”, Ed. AlphaBeta Verlag, Bolzano.Franca Bimbi e Alberta Basaglia (a cura di) Speak Out! Migranti e Mentor di comunità contro la vio-lenza di genere, Pubblicazione italiana del Progetto “Speak Out! Empowering Migrant, Refugee and Ethnic Minority Women Against Gender Violence in Europe”, Cleup, Collana CIRSPG, Padova.

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12 Migrazioni, genere, accoglienza

Forse Speak Out! è il primo progetto europeo sulla violenza di genere, che coinvolge donne migranti, di origine migrante, rifugiate e di minoranze, conside-rate cittadine di fatto dei Paesi Europei coinvolti, ed alle quali viene proposto un percorso di empowerment e di cittadinanza attiva, con un inconsueto approccio bottom-up, che ha evitato sia una “pedagogia per le vittime” che la formazione esclusiva di esperti esterni ai gruppi a rischio di violenza. Le Mentor, le reti di Mentor, e le altre esperienze simili sviluppate dalle altre partner del Progetto Speak Out!, costituiscono risorse importanti per il contrasto della violenza sulle donne, per sviluppare approcci peer-to-peer e per dare voce ai diversi punti di vista cul-turali. In questa prospettiva pensiamo di offrire un percorso che favorisce lo svi-luppo di una cittadinanza europea aperta al riconoscimento delle differenze, che non teme la transculturazione in atto e che è sensibile alla reciprocità di genere. Per un’Europa delle città, in cui donne e uomini di diverse origini, lingua, ideali, nazionalità, possano lavorare insieme per sconfiggere le radici della violenza nei rapporti di genere.

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13Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Parte 1

Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

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14 Migrazioni, genere, accoglienza

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15Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

1. Le partecipanti, il Corso, l’auto-valutazionedi Pamela Pasian

Profilo delle partecipanti e Laboratori del Corso per Mentor di comunità

L’Università di Padova, Dipartimento di Sociologia, ed il Comune di Pado-va, Unità di progetto Accoglienza e Immigrazione, hanno pubblicato il 3 ottobre 2011 nella pagina web dell’Università di Padova, nella pagina web del Comune di Padova e in molti uffici pubblici della città l’avviso di selezione per il “Corso per Mentor di comunità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere”. Il Corso era rivolto a donne migranti, rifugiate, d’origine migrante, o di gruppi minoritari (MRM) di qualsiasi nazionalità, residenti in Italia e prevedeva al suo termine la consegna di un attestato di partecipazione per coloro che lo avessero frequentato con regolarità.

Si è trattato di una forma di azione positiva rivolta a donne migranti e prevista dal Progetto Speak Out!.

Alle donne che chiedevano di partecipare al Corso erano richiesti specifici requisiti e motivazioni: conoscenza della lingua italiana, disponibilità di tempo da dedicare alla frequenza costante del corso, apertura alla sperimentazione di riflessioni, approcci e pratiche orientate all’accoglienza e all’accompagnamento di altre donne nei loro percorsi in città, sensibilità alle tematiche legate alla violenza contro le donne e agli approcci di genere, interesse e curiosità verso la formazione di nuove figure sociali come la Mentor di comunità, disponibilità ad utilizzare la propria esperienza di vita e la propria storia come strumenti d’empowerment e risorsa per altre donne, disponibilità a sperimentare forme di espressione creativa. Veniva infine richiesto di specificare eventuali esperienze lavorative o di volonta-riato presso enti/servizi pubblici o associazioni del privato sociale.

Cinquantotto donne hanno presentato domanda di partecipazione e tutte sono state ammesse; trentadue hanno frequentato regolarmente e hanno ottenuto al termine del Corso l’attestato di partecipazione.

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16 Migrazioni, genere, accoglienza

Caratteristiche delle partecipanti regolarmente presenti

Paese d’origineAlbania (5 partecipanti), Marocco (4 partecipanti), Romania (4 partecipan-

ti), Somalia (3 partecipanti), Costa d’Avorio (2 partecipanti), Bosnia Erzegovi-na (1 partecipante), Camerun (1 partecipante), Cile (1 partecipante), Croazia (1 partecipante), Kenya (1 partecipante), Macedonia (1 partecipante), Messico (1 partecipante), Moldavia (1 partecipante), Perù (1 partecipante), R.D. Congo (1 partecipante), Ruanda (1 partecipante), Uruguay (1 partecipante), Venezuela (1 partecipante).

EtàDa 20 a 25 anni (4 partecipanti), da 26 a 30 anni (3 partecipanti), da 31 a 35

anni (7 partecipanti), da 36 a 40 anni (7 partecipanti), da 41 a 45 anni (4 parteci-panti), da 46 a 50 anni (6 partecipanti), da 51 a 55 anni (1 partecipante).

Livello d’istruzioneDiploma scuola media superiore (11 partecipanti), studentesse universitarie

(2 partecipanti), laurea (10 partecipanti), master (5 partecipanti), dottorande di ricerca (3 partecipanti), dottoresse di ricerca (1 partecipante).

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17Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Principali tematiche ed attività del Corso per Mentor di comunità

29.10.2011Presentazione del progetto “Speak Out”.Documentario “Bellissime”, di Giovanna Gagliardo sulla storia delle donne italiane.Autopresentazione delle donne native e migranti.Franca Bimbi, Università di PadovaAntonella Ferrandino, Comune di Padova, Unità Accoglienza e ImmigrazioneAlberta Basaglia, Fondazione Franca e Franco BasagliaAlisa Del Re, CIRSPG Università di PadovaMilvia Boselli, Consigliera Comunale per le Pari OpportunitàNatalya Lyamkina, Centro Antiviolenza di ModenaJosette Saidi, Medico di Padova

12.11.2011Diritto dell’immigrazione in Europa e in Italia, Marco Ferrero, Università di Venezia.Diritto italiano sulla violenza contro le donne e questioni connesse, Maria (Milly) Virgilio, Università di Bologna.Presentazione degli obiettivi e delle metodologie del “Corso per Mentor di comunità”, Franca Bimbi, Alberta Basaglia.

26.11.2011Legislazione su rifugiati e richiedenti asilo, Alessandra Sciurba, Ricercatrice in Diritti Umani.Servizi per la promozione dell’integrazione dei migranti e dei rifugiati a Padova, Antonella Ferrandino.Autopresentazione di due donne rifugiate a Padova.Appunti di un viaggio in Afghanistan e altri paesi, Monika Bulaj, fotografa.

03.12.2011Presentazione di libri italiani e internazionali che affrontano temi multiculturali con un approccio di genere/femminista, Franca Bimbi.Storytelling a Padova, l’esperienza del gruppo di donne del quartiere Guizza, introduzione di Marisa Martinelli (insegnante). Autopresentazione delle donne che hanno partecipato al gruppo di storytelling.

Discussionidi gruppo

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18 Migrazioni, genere, accoglienza

28.01.2012Laboratorio Questioni controverse. “La violenza come disuguaglianza di genere nel mondo globalizzato”, Franca Bimbi.Laboratorio Questioni controverse. “VAW: Invisibile, visibile e misurabile”, Franca Bimbi.Laboratorio Questioni controverse. “Crimini d’onore nel dibattito europeo e italiano”, Giulia D’Odorico.

04.02.2012Laboratorio Questioni controverse. “La violenza in una città accogliente per le donne”, Francesca A. Vianello.Laboratorio Questioni controverse. “I Media nell’Europa dei diritti e della ‘bianchezza’ ”, Angela M. Toffanin.

18.02.2012:Laboratorio PerleParole. Introduzione di Sara Cavallaro (psicologa e formatrice principale del laboratorio) e Alberta Basaglia.Laboratorio Sistema di Welfare. Incontro con i servizi sociali, sanitari e con le associazioni della città.

25.02.2012Laboratorio PerleParole, Sara Cavallaro.Laboratorio Sistema di Welfare. Incontro con i servizi sociali, sanitari e con le associazioni della città.

10.03.2012Laboratorio PerleParole, Sara Cavallaro. Introduzione all’elaborazione delle “loro” storie da parte di Giulietta Raccanelli (giornalista).Laboratorio Diritti e Legislazione. “VAW and stalking nelle relazioni intime”, Annamaria Marin (avvocata).

24.03.2012Laboratorio PerleParole, Sara Cavallaro.Laboratorio Diritti e Legislazione: “Il Diritto della famiglia in Italia”, Francesca Maggiolo (avvocata).

14.04.2012Laboratorio PerleParole. Auto-aiuto nell’elaborazione delle storie e impostazione della Carta, Sara Cavallaro, Giulietta Raccanelli.Laboratorio Diritti e Legislazione. “Il Diritto del lavoro in Italia”, Chiara Santi (avvocata).

28.04.2012Laboratorio PerleParole. Auto-aiuto nell’elaborazione delle storie e impostazione della Carta, Sara Cavallaro, Giulietta Raccanelli.Risultati del questionario della ricerca preliminare, Paolo Gusmeroli.

12.05.2012Laboratorio PerleParole. Auto-aiuto nell’elaborazione delle storie e discussione della Carta, Sara Cavallaro, Giulietta Raccanelli.Laboratorio PerleParole. “Dare alla luce: differenze tra ieri e oggi e tra i diversi paesi”, Maria Biagini (ostetrica).

Le partecipanti hanno chiesto un ulteriore incontro, il 26.05.2012.In quella giornata hanno letto la versione definitiva della “Carta della Mentor di comunità contro la violenzasulle donnee i racconti ideati duranteil percorso di storytelling

Incontri di formazione e gruppi di auto-aiuto:Laboratori

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19Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

17.12.2011“Esperienze e approcci di genere per sviluppare il potere delle donne in Europa: Madrid, Helsinki e Londra”.Franca Bimbi, Università di PadovaBakea Alonso, Cepaim, MadridAndrès Arias, Universidad Complutense, MadridAino Saarinen, Università di Helsinki, HelsinkiKaarina Aitamurto, Università di Helsinki, HelsinkiIda Jarnila, Monika – Multicultural Women’s Association, HelsinkiPragna Patel, Southhall Black Sisters, Londra

15-16.06.2012 “Violenza sulle donne. Interrogativi su “le altre e noi”. Consegna degli attestati di partecipazione”. Franca Bimbi, Università di PadovaLinda L. Sabbadini, Istituto Nazionale di StatisticaFranca Balsamo, Università di TorinoAlisa Del Re, CIRSPG Università di PadovaMaura Misiti, Consiglio Nazionale delle RicercheSara Cavallaro, Fondazione Franca e Franco BasagliaAlberta Basaglia, Fondazione Franca e Franco BasagliaBarbara Bertolani, Università del MoliseNatalya Lyamkina, Centro Antiviolenza, ModenaNadine Esthel Fomen, Centro Antiviolenza, ModenaTiziana Dal Pra, Associazione “Trama di Terre”, ImolaLettura di alcuni racconti scritti dalle partecipanti al Corso per Mentor di Comunità.Consegna dell’Attestato del Corso da parte di:Daniela Ruffini, Presidente del Consiglio Comunale di PadovaFranca Bimbi Antonella FerrandinoAlberta BasagliaEvento conclusivo: “Una storia un po’ magica”, spettacolo teatrale con Sonia Bergamasco.

Seminari Pubblici

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20 Migrazioni, genere, accoglienza

01.12.2012 Incontro con la scuola secondaria di II grado “Stefanini”, Mestre (VE)

18.12.2012 Incontro con la scuola secondaria di II grado “Benedetti”, Venezia

19.02.201 Incontro con la scuola secondaria di II grado “Stefanini”, Mestre (VE)

21-22.02.2013“Non in nostro nome” Conferenza internazionale conclusiva a Venezia e a Padova

Attività di divulgazione

Valutazione del Corso per Mentor di comunità da parte delle partecipanti

Venerdì 15 e sabato 16 giugno 2012 al termine del Seminario pubblico “Vio-lenza sulle donne. Interrogativi sulle altre e noi” è stato chiesto alle partecipanti al Corso per Mentor di comunità, che avevano ritirato l’attestato, di compilare un questionario di valutazione anonimo.

Dei 32 questionari consegnati ne sono stati ritirati 29.Abbiamo chiesto alle corsiste il grado di soddisfazione/insoddisfazione ri-

spetto alle attività proposte; veniva richiesto di rispondere a tutte le tipologie di attività.

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21Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

“Le lezioni d’informazione e discussione sulla violenza” hanno generato il maggior grado di soddisfazione tra le corsiste; su 29 rispondenti, 27 si ritengono soddisfatte e solamente 2 dichiarano insoddisfazione rispetto all’attività propo-sta.

In riferimento agli “Incontri sulla legislazione” 25 persone hanno espresso soddisfazione, mentre 4 si sono dichiarate insoddisfatte.

Per quanto riguarda il “Laboratorio in generale” 25 persone si sono dette soddisfatte, 1 persona non soddisfatta e 3 non hanno partecipato sufficientemente per giudicare.

La produzione di storie durante il laboratorio ha soddisfatto 24 corsiste, 3 hanno invece espresso insoddisfazione e 2 hanno dichiarato di non aver parteci-pato sufficientemente per poter giudicare.

Infine, gli “Incontri con i servizi” costituiscono l’attività che ha fatto emerge-re un minor grado di soddisfazione: 21 persone esprimono soddisfazione, 5 ma-nifestano insoddisfazione e 3 dichiarano di non aver partecipato sufficientemente per poter giudicare.

Abbiamo inoltre chiesto alle partecipanti di proporre qualche contenuto prioritario per un prossimo Corso di Mentor di comunità. Potevano esser scelte 1 o 2 opzioni.

La risposta che ha ottenuto maggior consenso, con 14 preferenze è stata “Sta-ge presso servizi o associazioni che si occupano di violenza sulle donne”. Suc-cessivamente, si collocano “Dare più spazio alla presentazione di casi concreti di

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violenza alle donne con una discussione approfondita delle soluzioni da adottare” e “Prevedere fin dall’inizio una modalità pratica per collaborare con i servizi e le associazioni locali”, ciascuna con 12 preferenze. Infine “Prevedere stage presso servizi o associazioni che si occupano di migranti” è stata preferita da 10 parteci-panti.

Le risposte ci fanno facilmente dedurre che le partecipanti considerino im-portante mettere in pratica le abilità e competenze sviluppate durante il Corso attraverso stage e collaborazioni.

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23Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

2. La “storia delle storie”di Alberta Basaglia, Sara Cavallaro, Giulietta Raccanelli

Dalle parole-chiave su migrazione e violenza, al racconto per uscirne

Il Laboratorio PerleParole ha costituito il centro del progetto, della formazio-ne e del lavoro finale di self-help.

Dalle prime dieci parole-chiave si è sviluppato il confronto delle esperienze, la messa in comune di storie, la scrittura di gruppo e personale, altre parole-chiave. Infine sono state assemblate 11 storie, in tempi diversi, poi la Carta della Mentor contro la violenza, ed alla fine del Corso la nascita, autonoma, di un’associazione.

Dunque il percorso PerleParole ha messo in gioco presa di coscienza, crea-zione di un discorso collettivo ed una vera e propria azione di cambiamento verso lo spazio pubblico.

La creazione delle storie ha sviluppato relazioni che possiamo chiamare di cittadinanza con connotazioni espressive ed affettive, che non è rimasta fine a se stessa.

Il testo completo delle “storie di lei” si trova nel volume “Speak Out! Mi-granti e Mentor di comunità contro la violenza di genere”, a cura di Franca Bimbi e Alberta Basaglia, Cleup, Padova. Si tratta dell’Italian handbook for the Project “Speak Out!”.

Una parte importante del lavoro, per giungere alle storie e dentro le storie, ha riguardato il corpo, ovvero l’esperienza prima di sentirsi ed essere in relazione.

Le prime dieci aree di parole-chiaveDiscriminazione/diritti negati violenzaPaura/isolamento/impotenzaLimite/confineSfiducia/rassegnazione/depressionePrivato-pubblico/casa-comunità/paese dove sono/paese d’origineLotta/movimento/azione/creatività/fantasiaPotere/forza Corpo/libertà

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Rete/gruppoPartorire

Parole-chiave “cresciute” nel laboratorioPotere/forza e empowermentGenerazioneSofferenza I nostri modelliEmpatia, accoglienza, vicinanza

Il corpo e la scritturaPartire dal proprio corpo per ritrovare esperienze in ordine sparso e farle di-

ventare mattoni, tasselli da ricombinare nella fantasia, ma anche nella realtà perso-nale o conosciuta; al fine di costruire la figura della Mentor con storie che parlino per conto della sua bocca, dei suoi occhi, delle sue orecchie, del suo stomaco, del-la sua pancia, dei suoi piedi. Storie che, come tessere di un grande Jigsaw, hanno aiutato a completare la visione di insieme. La sagoma disegnata sul grande foglio bianco a grandezza naturale di una delle corsiste era lì a segnalare proprio questa esigenza: le narrazioni in cui cimentarsi appartenevano a quel corpo. E infatti, mano a mano che venivano scritte, venivano anche incollate sulla parte di quella sagoma che spettava loro. La Mentor, come Sharhazade, ha saputo raccontare e quindi scrivere molto, spesso anche di getto, senza pensarci troppo su, senza troppe intermediazioni. Quasi ci fosse un silente ma imminente bisogno di dare un senso di identità a vicende, a pensieri, a ricordi rimasti sepolti per molto tem-po. Come se ci fosse l’urgente bisogno di riconoscersi nell’atto del narrare, ma ci fosse anche, urgente, la necessità di tessere i racconti man mano che affioravano, un po’ come tessere un tappeto. Solo che la trama non veniva fissata su un ordito, ma su un foglio di carta.

Il corpo nelle “storie di lei”

BoccaLa bocca per respirare e mangiare, la bocca per parlare. Le parole per svelare

segreti. Il segreto. Una bocca che parla dopo anni di silenzio e di sottomissione. E un orecchio che ascolta.

Lei un giorno le ha chiesto di ascoltarla: “Stai per diventare custode di un segreto; il giorno in cui non ci sarò più tu dovrai svelarlo; a tuo marito e ai suoi fratelli. E così tutti in famiglia sapranno”.

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25Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

La ragazza non vorrebbe sentire. Ma sa che non può tirarsi indietro; ha deciso di accettare il peso e la responsabilità di questa storia. La donna è come un fiume in piena e l’argine non tiene più, dopo anni di silenzio le parole le escono dal cuore, scardinano il segreto e lo raccontano.“Avevo dodici anni quando lo zio di tuo marito mi ha violentata. Sono stata portata all’ospedale, ma non è stato denunciato nulla, allora non si usava. Sono passati 40 anni da quel giorno. E io ho obbedito. Non ho mai parlato, fino ad oggi”.(Cosa dirle? Solo abbracciarla? Solo guardarla? La ragazza non capisce come la don-na abbia potuto chiudersi in un silenzio così lungo, pensa che i segreti pesino troppo e che al suo posto non avrebbe obbedito, avrebbe denunciato e urlato per strada tutto quel dolore. La ragazza adesso sa. Questa storia è diventata anche sua.)Da “Il Segreto”

OcchiUn racconto. Due donne, due sguardi che si intrecciano in una sala d’attesa

di una stazione. Gli sguardi sono reciproci. Ognuna immagina la storia dell’altra. Questo incontrarsi di occhi e di pensieri aiuta entrambe a trovare il coraggio per ricominciare a vivere, per andare oltre alle violenze subite.

Gisela sollevò lo sguardo verso il cielo, oltre la tettoia della pensilina, a incontrare un punto in cui ricacciare indietro le lacrime, e per un istante rimase incantata: vide il rosa dei tramonti argentini, il grigio della monotonia della sua esistenza italiana, il bianco candore della sua infanzia, il rosso degli affetti strappati, il nero del baratro da cui era appena scappata. “La mia vita ha i colori del cielo”, pensò Gisela “e la luce magica di quest’alba sarà per me un faro”.Il grande orologio nell’atrio segnava le 5.35: troppo presto per telefonare a Fernanda e chiederle di ospitarla per qualche giorno, fino all’arrivo di suo marito Matteo da Madrid. Avrebbe aspettato almeno fino alle 7, sicuramente la sua insegnante sarebbe stata sveglia a quell’ora per accompagnare i figli a scuola. Gisela si guardò attorno: sia i bar interni che quelli esterni alla stazione erano ancora chiusi, così si trascinò verso la sala d’attesa.Dentro, avvolta con un telo da mare e distesa su una fila di sedie, sonnecchiava una donna africana. Gisela si domandò se avesse trascorso la notte lì sola. Non sembrava una donna in viaggio perché non aveva bagaglio con sé, a eccezione di una borsetta logora che aveva utilizzato come guanciale. La guardò bene, cercando di indovinarne la provenienza. Era una donna alta e robusta, con una bella pelle d’ebano e un taglio di capelli corto e ben curato. “Sicuramente viene dal Centro Africa”, pensò Gisela “anche lei straniera come me, anche lei a trovare un riparo e la luce di una nuova alba”.Da “Albe Nuove”

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26 Migrazioni, genere, accoglienza

OrecchieOrecchie per ascoltare le storie delle altre. Approfittando del tempo sospeso

regalato da un treno inaspettatamente bloccato dalla neve. Minuti, ore a disposi-zione per prestare ascolto alle compagne di viaggio che la casualità della vita ha portato in quello scompartimento. Un espediente che ha permesso la ri-costru-zione condivisa di tante vicende di vita, di tante vite diverse. Di tante donne che decidono di potersi confidare con delle perfette sconosciute, ognuna straniera per l’altra. Quasi la rappresentazione simbolica della situazione vissuta dalle corsiste, nella loro aula meticcia, lungo tutta l’esperienza del corso e del laboratorio. È il racconto più lungo; lunghezza necessaria per mostrare che combinare insieme tasselli narrativi diversi è possibile. Una delle donne si fa io narrante e tiene le fila del racconto.

Potevamo arrabbiarci come molti intorno a noi, che furiosi telefonavano a casa o al lavoro per avvisare della situazione e inveire contro la sorte, contro il tempo e contro le ferrovie italiane. Ma noi ci siamo guardate e abbiamo capito che potevamo permet-terci il lusso di non preoccuparci del tempo che passava, eravamo tranquille ed evi-dentemente senza impegni troppo incombenti per le prossime ore. Abbiamo allora scelto un’altra strada, abbiamo deciso di approfittare di quanto stava succedendo per conoscerci meglio e raccontarci le nostre storie. Il caso ci aveva portato lì, quel velo bianco ghiacciato ci offriva il perfetto pretesto per costruirci un mondo su misura, sospeso nel tempo e nello spazio innevato, un mondo dove ascoltarci e imparare. E poi ascoltare a me piace, è una cosa che so fare bene.Quella neve straordinaria e rara ci ha consentito un intreccio di testimonianze sempre più fitto, sempre più importante e coinvolgente. La prima a buttarsi nel racconto è stata Vera. Con me, attenta a non perdersi nemmeno una virgola del racconto, anche la ragazza di fronte. La quale, senza dire una parola, appoggia il giornale sulle ginoc-chia e si prepara ad ascoltare.Da “Il treno del tempo sospeso”

StomacoLa fame che non molla, la fame di chi non ha nemmeno il pane. L’attesa della

distribuzione, la fila, una bambina schiacciata nel gruppo. Non siamo in Africa, ma in Europa, nell’Est prima del crollo del muro di Berlino.

Ormai sono le 7 di sera, l’impazienza si fa sentire, le voci si alzano, qualche donna liti-ga con chi vuole fare il furbo e passare davanti. Anche lo stomaco della bambina non dà tregua, non vuole smettere di ricordarle che deve mangiare qualcosa, Ma lei deve stare lì immobile, attenta a non abbassare la guardia, perché nessuno le passi davanti. Se succedesse, tutta questa attesa rischierebbe di diventare inutile. Se questo bene-detto camion arrivasse, pensava, potrei smettere di agitarmi per i crampi della fame e

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per la preoccupazione dello sguardo della madre che diventa sempre più cupo.Quando la speranza era ormai al limite, con il buio, il camion del pane finalmente arriva. La gente con uno sguardo affamato, ma contento comincia a spingere. La bambina si sente svenire, ma resiste. Ormai non ha più la terra sotto i piedi, viene trasportata e spintonata dalla folla. Fino a quando non sente il bancone che le stritola lo stomaco già provato. Nella calca aveva perso di vista la madre, ma per fortuna il carnet lo ha lei. Lo porge alla commessa che strappa il tagliando di quella giornata e le dà la razione di pane.Nella luce della luna le due figure con passo spedito si allontanano dal grande e impo-nente magazzino, che sopra di sé sostiene le lettere illuminate dal neon dello slogan: “Il Partito Socialista Rumeno vi Protegge”.Da “Un aereo per Julie”

PanciaUna registrazione dal vivo, uno scritto che fissa associazioni mentali e rifles-

sioni dette a voce alta e offerte alle altre del gruppo. La pancia gravida e la pancia vuota. La pancia nervosa e piena di farfalle, la pancia che è l’inizio e la fine di tutte le cose. Non c’è una trama precisa qui, solo il tessere insieme un tappeto condivi-so, attorno alle pance di tutte.

Mirela: La questione di pancia l’associo subito alla questione dei sentimenti. L’amore: le farfalline allo stomaco, il trambusto che si crea quando si è innamorati! La felicità: immagino perché non lo so ancora, di tenere in grembo (nella pancia) un figlio o una figlia. Poi l’associo al lavoro: “sentire di pancia” per me significa capire, soffrire assieme, sentire le difficoltà che la persona che si racconta davanti a me ha vissuto e che vuole condividere per alleggerirsi.Anida: Se mi dici pancia, in questo momento penso alla gravidanza; si presenta alla mia mente l’immagine di un ventre morbido, accogliente, un senso di protezione ... la disponibilità… e poi penso alla tensione e alla vita emotiva che passa tutta per la pancia, la mia pancia ha dei muscoli emotivi ... per cui se mi dici pancia penso “quante ne ha passate la pancia”, insomma ci puoi trarre forza dalla tua pancia, che ti ricollega a te stessa.Solange: Io quando ho guardato l’immagine (la sagoma stilizzata della Mentor, ndr) ho pensato alla pancia, hai capito? Perché una pancia vuota crea tante cose. Uno che non mangia non è libero, uno che non mangia è sempre alla ricerca di qualcosa. Ho detto la pancia perché in Africa, per esempio, ci sono tanti problemi che riguardano il cibo, l’acqua…Charlotte: Perché la guerra è per cosa? La guerra è per soldi, per la pancia, per man-giare…Solange: C’è la guerra, non c’è acqua, vedi i bambini che soffrono tutto quanto, per cosa? Per il cibo, perché c’è la pancia vuota.

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28 Migrazioni, genere, accoglienza

Charlotte: Qualcosa di più importante è la pancia dove nasce il mondo, nasce il figlio. Il figlio fa il mondo. Questo è molto importante. Tutto comincia, la vita, il mondo comincia dalla pancia.Da “Questione di pancia”

ManiAtto unico in un interno. Il monologo è un monologo interiore. La storia

narra il dramma di una persecuzione via internet. Le mani nervose della ragazza si muovono veloci ed efficienti sulla tastiera di un computer. Mani tecnologiche e coraggiose, che alla fine hanno la forza di dire basta a quella violenza virtuale, e chiudono in un colpo il pc.

La faccia è illuminata solo dalla luce del PC; Sara è visibilmente infastidita, dice “no” con la testa. Con la mano destra, ben curata, fa dei click col mouse, per poi spingerlo via, in modo brusco. Disperata, si prende il viso con entrambe le mani. Sara– Mantieni la calma Sara. Respira. Ufffff! Ma che palle!– Che uomo! Veramente! Non ne posso più della sua continua presenza! – Va beh, ma ora sei a casa, Sara; e sei al sicuro. Si alza in piedi e fa un giro intorno al tavolo. Il suo sguardo cade sul muro bianco di fronte a lei, dove si proiettano i ricordi di un passato che non vuole più vedere e le immagini di quel rapporto finito.Sara:– Belli sì, quei momenti passati insieme. Ma in realtà sono stati di più quelli dilaniati dal tuo comportamento. – Quanti lividi sulla mia pelle. Quante parole perse. Lacrime versate. Inutili carezze. Baci amari. – Ho fatto tanto per te. Non avrei mai immaginato che saresti diventato così; quanto cieca sono stata. Ormai sono certa che è ora di chiudere con questo circolo vizioso, che non mi permette di voltare pagina una volta per tutte. Sento che continuo a cor-rere senza meta, come un criceto che inutilmente gira nella ruota.– Basta! Veramente basta! Fa un bel sospiro.Si risiede, beve un sorso di tè e con molta convinzione abbassa con un colpo secco lo schermo. E ora tutto è nero, come un sipario che si chiude sul palcoscenico della vita.Da “Ossessiva presenza”

Piedi I piedi per sostenere, per dare equilibrio. I piedi per ricordare quali sono le

radici da cui proveniamo. I piedi umili, spesso scalzi. Ma forti e tenaci, perfetti per

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29Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

scappare e per scamparla. Mezzi essenziali e necessari per andare a cercare una vita migliore e per trovare una via d’uscita. Se ne parla tutte insieme, davanti a un tè che ricorda gli odori e i colori del proprio paese lontano, un flusso di coscienza condivisa in gruppo che sa di zenzero e menta. Parlare di piedi è come per Proust parlare delle sue madeleine. Il dialogo si fa serrato, il ritmo dei pensieri fitto e apparentemente casuale. Un io narrante è superfluo. Si sceglie il discorso diretto, immediato e senza intermediazioni.

A casa di Hodan, davanti a un tè alla menta offerto da Hodan, con i biscotti portati da Sadia. Li aveva fatti lei, usando amore mescolato a ricordi e a tanto zenzero; avevano un profumo capace di amalgamare i sentimenti di tutte. C’era anche la torta di mele di Andreia, tale e quale a quella che faceva sua nonna, con quel profumo di cannella che riempiva tutte le stanze di casa.Hodan: I piedi. Sono i protagonisti di un ricordo molto importante e sono i piedi di mia mamma: un miracolo. Nonostante l’età erano incredibilmente giovani, senza segni del tempo, erano ornati da forme geometriche disegnate con l’hennè; la geome-tria della ragione e della maturità. Non era più il tempo delle trame floreali, come si usa quando si è ragazze. Avevano camminato tanto, quei piccoli piedi ancora intatti. Avevano calpestato la terra d’Africa e la avevano portata lontano, fino in America.Sadia: Penso ai piedi di mio figlio, che mi fanno ricordare i piedi di mio papà, così uguali ai miei. Piedi girovaghi che hanno calpestato Africa e Asia per arrivare fino a Padova. Penso a tutto questo e non posso che guardare i miei piedi con amore e riconoscenza.Keltoume: Guardo i miei piedi e penso che sono stati il fulcro della mia crescita. Penso a quando erano nudi, non protetti da scarpe e calze; facevano appena pochi passi, giusto per andare da un piccolo paese a un altro piccolo paese. Non avrei mai immaginato che mi avrebbero portato, letteralmente, in un altro mondo: dal sud del Marocco all’Italia. Rajae: I miei piedi sono il mio punto di partenza, il mio via. Ogni loro passo ha scan-dito il mio passato e scandirà il mio futuro. Un proverbio arabo dice: “Dove metti i piedi metti la testa”. I miei piedi mi hanno dato speranza per andare avanti, forza per migliorare le cose, per me e per mio figlio e mi hanno permesso di costruire un mondo autonomo da sola, senza bisogno di aiuto.Hind: I miei piedi sono stati lo strumento che ho usato per cambiare la mia vita, più volte. Sono loro che mi hanno portato fino in Europa con mio marito. MI hanno fatto allontanare dalla mia famiglia e dall’affetto dei miei, ma mi hanno permesso di incam-minarmi verso una vita indipendente. Sono poi stati anche il chiavistello con cui ho scardinato l’incubo che era diventata la mia vita di coppia. Erano, sono e restano la mia grande forza, la risorsa per cambiare le cose.Hodan: In un mondo in guerra, prima della testa, del pensiero, usi i piedi. Sono loro che ti salvano la vita.

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30 Migrazioni, genere, accoglienza

Andreia: La testa è senz’altro più importante dei piedi, ma i piedi la aiutano a mettere in pratica progetti e aspirazioni, a viaggiare – che è quello che al cervello piace tanto – per conoscere nuove persone, nuove realtà e per poter cambiare vita.Da “I nostri dodici piedi”

Piedi per restare e non per fuggire. Piedi che non se la sentono di scappare o che non ne hanno avuto il tempo. La testimonianza di questa impossibilità al movimento e all’azione arriva dal Camerun. Con la cronaca lucida e fredda dei rapporti velenosi di subalternità e violenza che legano le donne agli uomini.

Il matrimonio è un affare di famiglia e le responsabilità della rottura, comunque vada, ricadono sempre sulle spalle della moglie. Sei tu la colpevole: non sei riuscita a sod-disfare tuo marito e lui se ne è andato da un’altra. E tu, fallita, non sei più una brava donna. Diventi solo un grande, insopportabile problema. In Camerun mancano i servizi sociali che possono aiutare le donne e gli unici a cui chiedere aiuto sono gli zii, le zie, le nonne, le madri che hanno altro a cui pensare e non vogliono prendersi carico di queste situazioni.E poi non ci sono solo i tradimenti. Perché spesso è facile che arrivino anche le vio-lenze. Perfino un’importante giornalista della televisione di stato per anni è uscita in video con i chiari segni delle botte del marito sul viso. Eppure lei non lo ha mai voluto lasciare. Dopo anni di botte pubbliche, solo l’intervento delle autorità governative ha imposto a quella donna famosa e importante di divorziare. Pensate quindi alle altre, a quelle non belle e non famose. Pensate anche a quella rispettata professoressa di liceo della città che ha convissuto per anni con le violenze e i tradimenti del marito. Tutti sapevano, nessuno parlava e lei non fuggiva. Aspettava. È finita che un bel giorno a scuola non è più andata. Le ultime botte erano arrivate insieme all’ultima caduta, fatale.Da “Matrimonio africano”

TestaTesta; è come dire la sintesi. La sintesi di occhi, bocca, orecchie, naso e non

solo. Anche di mani e piedi. Vista, gusto, udito, olfatto. Ma anche tatto e proprio-cezione (ovvero la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista). Dire testa è come dire cervello, encefalo. Testa è la razio-nalità che dà forza. È l’ipotalamo, il centro di controllo principale, che riceve le informazioni essenziali per assicurare il buon funzionamento del corpo, per assi-curargli le reazioni più corrette, funzionali e utili. Naturalmente le informazioni arrivano sia dall’ambiente esterno che da quello interno. E a queste l’ipotalamo risponde con efficienza, inviando precisi segnali, nervosi o ormonali. Per esempio stimolando o inibendo la secrezione di adrenalina, l’ormone “combatti o fuggi”.

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31Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Due storie possono rappresentare, forse meglio delle altre, questa sintesi che si fa forza organizzata, che diventa potere e autonomia vera. La prima è quella di Zika, la seconda quella di Manuela.

Zika, la vecchia donna-bisnonna albanese capace di sfidare qualsiasi cosa, pur di salvaguardare le sue figlie e le sue nipoti. Lucida testimone delle traversie del suo paese e lucida, rispettata detentrice, fino all’ultimo, del potere di giustizia in famiglia. Malgrado la forza delle regole precostituite e malgrado la violenza ma-schile con cui ha dovuto confrontarsi nel corso della sua lunga vita.

...la mia bisnonna, Zika. Che donna, che forza. Tutti la temevano, nel senso che te-mevano un suo giudizio. Quando le figlie o le nipoti avevano problemi con i mariti, lei se ne accorgeva. Se ne accorgeva eccome, se qualcuno stava “schiacciando un po’ troppo” una delle sue figlie o anche una sua nuora. Insomma, bastava si trattasse di una delle donne della sua grande casa, che lei interveniva subito: “Riunione!” E la riunione si faceva, con la coppia e i genitori di entrambi o meglio, con i padri di entrambi. In questo un po’ discriminava: meglio trattare di queste cose con i padri. Doveva seguire le regole dell’epoca e in parte valide ancora oggi in alcuni paesi, sia che si tratti di Albania o di Italia meridionale, ma anche di altre parti, non necessa-riamente solo al sud del mondo. Da quella riunione doveva venire a galla quello che era successo, chi aveva torto e come si sarebbe rimediato perché il tal episodio non si ripetesse più. Che donna Zika! Parlava poco e aveva tanto dentro di sé, tante vite. Quante? innan-zitutto la sua e quella di suo marito, morto a soli 30 anni lasciandola da sola con 3 figli; poi quella di sua madre, orfana e vedova, eppure di una umanità unica. Zika se le portava dentro tutte, ma non bastavano mai. Quante altre vite custodiva Zika, tutte dentro alle storie che ha conosciuto, che ha aiutato a rammendare e che ha taciuto; Dentro c’erano anche le vite dei suoi tre figli, figli che ha dovuto crescere da sola, in casa dei cognati. Appena scomparso il marito, le hanno detto: “Scegli, puoi tornare a casa di tua madre” e lei ha risposto – “Anche se circondata da lupi affamati io resterò qui. Nessuno mi muove da qui, questa è casa mia: quattro pareti tirate su con la paglia e il fieno”.Chissà dove la trovava tutta quella forza, Zika. Quando l’ho conosciuta si era guada-gnata la stima di tutti ed era riuscita a costruirsi una casa dignitosa, come tutte le altre intorno alla sua; né più, né meno. Aveva sposato i figli e ora sposava i nipoti. Si pren-deva cura dei pronipoti e della serenità familiare della sua grande famiglia. Siamo in più di 40 tra figli, nipoti e pronipoti ad essere suoi discendenti.Da “La forza di Zika”

Manuela, la giovane tenace donna che abita il nostro tempo a testa alta. Ar-mata di idee chiare e di coraggio. Il coraggio di andarsene di casa per scegliere una via più lunga e sicuramente più difficile. Una scelta libera e consapevole che

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le consentirà di guadagnarsi quella esistenza che fin da piccola ha deciso sarebbe stata la sua. Mentor di se stessa e delle altre.

Avevo sfidato me stessa e volevo sapere se ce l’avrei fatta senza l’aiuto protettivo di genitori e fidanzato. Ogni tanto questo mio spirito masochista salta fuori...Il rapporto tra di noi è migliorato di brutto nella lontananza, anche se questa rottura con casa mi pesa. È difficile modificare la mentalità dei genitori, anche se non dai loro alcun motivo per preoccuparsi, ma soprattutto è difficile modificare gli aspetti negativi che ti trovi a ereditare da loro.Vedendoli litigare e vedendo come sistematicamente mio padre cercava di guastare la festa a mia madre per qualsiasi cosa, dal cibo, al tempo libero, alle vacanze, agli atteg-giamenti nei nostri confronti, fin da quando avevo 5 anni ho pensato bene che avrei combattuto contro tutta questa sofferenza caricata sulle spalle delle donne e che, di conseguenza, avrei trovato un uomo che fosse tutto l’opposto. A 15 anni avevo già deciso che a casa mia avrebbe dovuto cucinare lui. Infatti, mi sono sempre rifiutata di imparare a cucinare, almeno fino a quando non ho deciso di partire dal mio paese. Una volta in Italia però, per sopravvivere ho dovuto. E a quel punto ho anche scoperto che cucinare insieme agli altri mi piaceva davvero molto. Le faccende domestiche – pensavo – si sarebbero divise equamente. Ma soprattutto, l’uomo che avrei trovato non si sarebbe mai dovuto permettere di farmi soffrire e di trattarmi male.Queste convinzioni hanno contribuito a sviluppare in me un carattere forte, deciso, per certi aspetti altezzoso, con la certezza che avrei dato tanto solamente a chi se lo meritava. Col senno di poi, riflettendo dopo anni su come sono andati i rapporti con gli uomini, credo che delle volte si faccia fatica a capire chi si merita l’amore e chi no, e chi si merita che tipo di amore. Ma cosa significa ‘meritare’? Cosa significa ‘non soffrire’? Mentre ero nel mio paese avevo un po’ più di certezze, ma ero anche più giovane. In che modo tu puoi evitare di far soffrire gli altri? Tante volte mi sono trovata a voler mordermi le braccia quando a complimenti o a gentilezze rispondevo “no”; era una risposta automatica, incontrollabile...Cosa significa il rispetto? Il sesso? Il corpo? La complicità? La condivisione dei beni, dei valori, dei sogni? Cosa significa costruire insieme senza che nessuno prevalga sull’altro? Che cosa è la libertà, l’indipendenza? Tutti questi interrogativi si sono mol-tiplicati da quando mi sono ritrovata in un paese dove le lotte delle donne avrebbero dovuto essere state superate da tempo e invece no. Tutti questi interrogativi sono venuti a moltiplicarsi quando mi sono innamorata di un italiano. Ancora non riesco a risolverli, ma sono contenta che almeno il mio desiderio di quando avevo 5 anni si sia compiuto: sono riuscita a realizzarmi in un mestiere che ha l’obiettivo di aiutare le persone che si trovano in difficoltà, e posso parlare di due uomini importanti nella mia vita: il primo è stato premuroso, tenero e un propulsore di idee, il secondo una sfida, concreto, con buone capacità di mediazione e gioioso.Da “Manuela”

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33Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Ma le difficoltà restano, e spesso la razionalità e il tentativo di dare e avere ri-sposte stanno confinate in un angolo morto, labirintico, che frena ogni possibilità di uscita e di realizzazione personale. Nel “Cerchio della violenza” la storia della protagonista si fa specchio della storia di molte (e molti) migranti, costrette (co-stretti) quotidianamente ad affrontare difficoltà che risultano invalicabili. E ci si trova a vivere con precarietà in un paese che con le sue leggi e le sue burocrazie si dimostra incapace di accogliere. Distacco, lontananza, disinteresse: e le immigrate (gli immigrati) si ritrovano in una “land of strangers”.

Stavolta siamo in due, io e la mia collega, e ascoltiamo Anna di nuovo, le diamo le stesse informazioni. Purtroppo la brutta notizia è che se le carte non sono sistemate in un certo modo, c’è in gioco il rinnovo del permesso di soggiorno. In poche parole, è una questione vitale. Lo sappiamo bene io e Viola, la mia collega, che il permesso di soggiorno per noi cosiddetti stranieri è la vita, è la garanzia del nostro pane quoti-diano, della possibilità di avere un tetto decente sopra la testa, di avere finalmente un lavoro in regola. È una garanzia di essere soggetti di diritto o, perlomeno, di alcuni diritti... – Anna, ma stai piangendo? Gli occhi arrossati e ingranditi non riescono a trattenerle più le lacrime. Di che dolori e di che preoccupazioni sfogarsi prima?Dei datori di lavoro che per proteggere i loro interessi o per via dell’iter burocratico troppo complicato e snervante, non si informano e prendono con leggerezza gli oneri necessari per assumere un cittadino immigrato senza pensare alle gravi conseguenze della loro approssimazione (l’indifferenza è violenza!)? Del mercato del lavoro le cui disparità d’accesso sembrano essere davvero insormontabili per chi è donna, immi-grata e per di più dell’Est Europa, provenienza percepita come un ulteriore marchio negativo (il marchio è violenza!)?Della crisi economica che sforna disoccupati a tutto andare e svalorizza la manodo-pera creando una “razzializzazione” del mercato del lavoro? Una discriminazione che incita allo sfruttamento e obbliga i più deboli ad accettare condizioni sfavorevoli fino a entrare nelle grinfie delle nuove schiavitù (Non avere pari opportunità è vio-lenza!).Della politica migratoria italiana che crea, a monte, disuguaglianze giuridiche. Sfor-nando centinaia e centinaia di cittadini di seconda classe e distinguendo questi ultimi ancora in varie sottoclassi; in base al possesso o meno del fatidico titolo di soggiorno, e se il permesso lo si ha, la discriminazione si basa sulla particolare tipologia di cui si è in possesso (La disuguaglianza è violenza!)Come si affronta la violenza che così insidiosamente impregna le nostre vite da immi-grati? Parlo di quella violenza che viene largamente accettata, perché tanto è un dato di fatto. Una violenza istituzionale che ci marchia, che arriva dall’alto e si trasmette da funzionario a funzionario, da operatore a operatore fino ad arrivare alla base della piramide: alla massa, che viene magistralmente manipolata; tanto da farle accettare la violenza. Non è tanto la violenza in sé ma è la sua normalizzazione che fa paura... La

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cosa che mi conforta e che io ho ancora il potere di chiudere il cerchio della violenza. Di questo devo sempre essere cosciente. E non è perché ho dei super poteri, ma solo perché conosco cosa c’è sotto; conosco la violenza e la voglio chiamare per nome perché solo nominandola e palesandola la si può combattere.Da “Il cerchio della violenza”

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35Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

3. La Carta della Mentor, nelle “nostre” linguea cura di Eriselda Shkopi

La Carta della Mentor di comunità per prevenire e contrastare la violenza di gene-re, esprime la sintesi e la struttura del Laboratorio PerleParole: intuizioni, pensie-ri, nozioni acquisite, elaborazioni collettive, prospettive di azione, condivise con e da donne migranti, di origine migrante e rifugiate. La Carta con i suoi 13 punti, suggerisce la declinazione della pratica quotidiana di ogni Mentor, che intende portare esperienze e competenze attraversando gruppi e culture e offrendosi come ponte verso i servizi del territorio e della città. La rete di donne che già opera contro la violenza a Padova e nel Veneto è arric-chita da questa nuova esperienza che esprime la voce esigente di soggetti spesso tacitati.

CARTA DELLA MENTOR DI COMUNITàCONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

1. Il luogo della Mentor è un luogo di frontiera e di movimento; incrocio di persone, idee e culture diverse. Luogo fluido dove diventa possibile essere portatrici di un processo che aiuti a superare i pregiudizi.

2. Lo spazio della Mentor é uno spazio di fiducia e di forza che si apre e accoglie senza giudicare e senza imporre, malgrado tutto. La donna che chiede aiuto può avere in sé zone d’ombra che possono non convincere, ma anche le zone d’ombra valgono, sono sinonimo di necessità d’aiuto.

3. Il tempo della Mentor é un tempo di perseveranza e di flessibilità, composto da tanti momenti, ricchi di valore: c’é il tempo veloce e immediato dell’emer-genza; c’é il tempo più rallentato e pacato dell’ascolto; c’é il tempo che prende tempo, ed é quello della riflessione; c’è il tempo concreto e compatto dell’aiu-to; c’è il tempo realista e possibile della delusione, che comunque non è mai tempo perso.

4. La Mentor è un contenitore di storie e anche le più irreali devono essere ac-colte. Per chi le racconta non é detto che siano non-reali. Il racconto é parola: raccontare una storia aiuta a prenderne consapevolezza, sia da parte di chi ascolta, sia di chi parla.

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5. La Mentor, per costruire relazioni “vere”, deve sempre avvicinarsi come una pagina bianca. In questo modo, il sospetto non vince sul rapporto, e si ricono-scono i pregiudizi di tutti, oltre ai propri. Si affronta così anche il timore che può derivarne.

6. Nella complessità di un lavoro di cura e di sostegno, la Mentor prende forza dal gruppo di lavoro con cui collabora. Chi ha bisogno d’aiuto ha bisogni complessi.

7. Ogni azione del progetto di aiuto va concordata con la persona che la Mentor incontra, in una relazione dove la sincerità reciproca accoglie le domande e costruisce le risposte.

8. La Mentor deve usare se stessa come strumento di lavoro: flessibilità, auten-ticità e autostima la devono accompagnare sempre; nel rapporto il modo di vestire e di parlare diventano risorse.

9. Nell’incontro con una donna che subisce violenza, la Mentor deve sempre indicare una spinta vitale, raccontando della positività possibile. Le botte col-piscono i corpi che muoiono; la consapevolezza li fa vivere.

10. Nell’affrontare un’emergenza la Mentor deve sempre avere la coscienza del limite. Riconoscere i propri ostacoli é segno di professionalità.

11. La Mentor deve usare l’esperienza dei propri fallimenti per rafforzare i per-corsi delle donne che a lei si rivolgono. Non deve mai dimenticare che dalle storie di violenza non sempre si esce.

12. La Mentor deve avere gli strumenti per confrontarsi con l’uomo violento. Spesso non si può prescindere dai vissuti e dai problemi di questo uomo.

13. Strumenti di lavoro per la Mentor, anche alcune parole: intuizione, trasfor-mazione, fantasia, vita, rete, cura, contatto, limite, ascolto, formazione, incro-ci, fluidità, formazione, incroci, confronto, movimento, forza, costanza... La Mentor lavora con il corpo; testa, occhi, orecchie, mani, bocca, naso, pancia, piedi...

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37Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Karta e Mentores së komunitetit për të parandaluar dhe luftuar dhunën me bazë gjinore, shpreh përmbledhjen dhe strukturën e laboratorit “Fjalë&Perla”: parandjenjat, mendimet, njohuritë e fituara, detajimet e analizave kolektive, perspektivat e veprimit, të krijuara për dhe nga gratë emigrante, ashtu si nga grate me origjin imigrante dhe nga refugjatet.Karta me 13 pikët e saj, sugjeron si një fare udhëheqesi praktikën e përditshme të çdo mentoreje, e cila duke vën në shërbim përvojën dhe ekspertizën e vet kryqëzon grupet shoqërore dhe kulturat duke ofruar veten si një urë drejt shërbimeve lokale dhe të qytetit.Ky rrjet grash të cilat prej kohësh punojnë kundër dhunës në Padova dhe Veneto është pasuruar me këtë përvojë të re e cila shpreh zërin kërkues e subjekteve që shpesh kan qëne te heshtuara.

KARTA E MENTORES SË KOMUNITETIT KUNDRË DHUNËS NDAJ GRAVE

1. Vëndi i mentores është vëndi i kufijve dhe i lëvizjeve; kryqëzim njerëzish, idesh dhe kulturash. Vënd i ndryshueshëm në formën e tij që bën të mundur të jesh bartës i një procesi që ndihmon në kapërcimin e paragjykimeve.

2. Vëndi i mentores është hapësira e besimit dhe e forcës e hapur të gjithëve pa i paragjykuar dhe pa imponuar, pavarësisht nga gjithçka. Gruaja që kërkon ndihmë mund të ketë në vetvete disa arsyetime, disa zona jo të kjartar, që nuk bindin, por edhe hijet e brendëshme vlejnë si sinonim i nevojës për ndihmë.

3. Koha e mentores është koha e këmbënguljes dhe e fleksibilitetit, e përbër nga shumë momente me vlerë: ekziston koha e shpejtë dhe e menjëhershme e emergjences; koha më e ngadalësuar dhe e qetë e dëgjimit; koha që merr kohë, dhe kjo është për të reflektuar; koha konkrete e ndihmës; koha reale dhe e mundëshme e zhgënjimit, që megjithatë, nuk është kurrë kohë e humbur.

4. Mentorja është si një enë që mban në vetvete historit ku përfshihen edhe ato më joreale. Për ata që i tregojnë ato nuk janë joreale. Historia është e përbërë nga fjalët: të tregosh një histori të ndihmon që të bëhesh e vetëdijshme, nga të dyja anët si per dëgjuesin, ashtu edhe per folvësin.

5. Mentorja, për të ndërtuar marrëdhënie të”vërteta”, duhet gjithmonë tu afrohet grave të tjera si një fletë e bardhe. Në këtë mënyrë, dyshimi nuk do fitoj mbi raportin midis tyre, dhe do merren parasysh, përveç paragjykimeve personale, edhe paragjykimet e të tjerëve. Bëhet i mundur kështu edhe trajtimi i shqetësimit që mund të rrjedhojë nga kjo perballje.

6. Në kompleksitetin e një pune të karakterizuar nga kujdesi dhe mbështetja per të tjerët, mentorja fiton forcë nga grupi punues me të cilin bashkpunon. Kush ka nevojë për ndihmë ka nevoja komplekse.

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7. Çdo veprim i projektit ndihmues duhet rënë dakord me personin e takuar nga mentorja, në një marrëdhënie ku sinqeriteti reciprok mirëpret pyetjet dhe ndërton përgjigjet.

8. Mentorja duhet të përdori veten si një mjet pune: lakueshmeria, origjinaliteti, dhe vetëvleresimi duhet ta shoqërojnë gjithmonë ; në marrëdhëniet mënyra e veshjes dhe e të folurit bëhen të rëndësishme.

9. Në takimin me një grua që eshte subjekt dhune, mentorja duhet të sugjeroj gjithmonë një nxitje shtyse të rëndësishme duke shprehur mundesitë positive. Goditjet godasin trupat që vdesin; ndërgjegjësimi i bën ata të jetojnë.

10. Kur përballon një emergjencë mentorja duhet gjithmonë të jetë e vetëdijshme për kufirin. Njohja dhe pranimi i pengesave personale është një shenjë e profesionalitetit.

11. Mentorja duhet të përdorë përvojën e dështimeve personale për të përforcuar përvojat e grave që asaj i drejtohen. Duhet të ketë parasysh që jo gjithmonë është e mundur një rrugëdalje nga historitë e dhunës.

12. Mentorja duhet të ketë mjete për t’u perballuar me njeriun e dhunshëm. Gjatë ketyre përballjeve nuk mund të përjashtoje përvojat dhe problemet e këtij njeriu.

13. Mjetet e punës për mentoren janë edhe disa fjalë si: intuitë, transformim, fantazi, jetë, rrjet, kujdes, kontakt, kufir, dëgjim, trajnim, kryqezim, rrjedhshmëri, diskutim, lëvizje, forcë, durim ...Mentorja punon me trupin, koka, sytë, veshët, duart, goja, hunda, barku, këmbët ...

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43Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Mentor 社会组 是为了预防和反对暴力行为,发出声音和实现声援的地方:

解释,思想,获得资料,实践情况, 计计划, 移民女性特别是原移民和寻

求庇护者共同 享 验。

Mentor 有 13 点,为日常生活中的有关行为提供建 ,它能通过一群人和 同

的民俗角 使你拥有能力和 验,它 能为你提供一 桥梁,使你了解你生活

的区域和城市具有哪些公共服 。

在 PADOVA 的妇女界 开始了反对暴力行为的活 ,在 VENETO大区 种

新的 验也 在丰富和 强,而在现实生活中,当事人却常常缄默。

Mentor 社会组 是为了预防和反对社会组 是为了预防和反对社会组 是为了预防和反对社会组 是为了预防和反对对女性的暴力行为对女性的暴力行为对女性的暴力行为对女性的暴力行为

1)Mentor 社会组 是一个会面和交流的场所,是 同的思想和 同的民俗的

人在一起交集的地方。 个场所可以带给你明朗和帮 ,在 里 会有偏 。

2)Mentor场所是一个拥有信任和力 的地方,它为你敞开大门,却 评判

你,也 会强迫你。来 寻求帮 的女性,或因心中的阴影而 被说服,但

是如 ,她们恰恰最需要得到帮 。

3)Mentor的时间是坚持 懈和 断反思的时空,它有很多的时刻拥有很大的

值 在紧急情况 ,它 快速 但在倾听的时候,它却缓慢而专注 它在

时间中拥有它的空间,那是它在深刻地反思 帮 的时刻是准确的也是无限

的 它的时空是现实的,也许是失望的,但绝对 会是浪费时间。

4)Mentor 是一个故事的保 器,哪怕仿 是最 现实的故事,它也会倾听。

对于讲述的人来说,故事并 是 真实的。讲述就是词语 讲述一个故事,能

帮 人了解事实, 论对于讲的人来说, 是对于听的人来说都是如 。

5)Mentor 是为了建立 真 的 事实,它总是离你很 ,就如同靠 一张白

纸。嫌疑人就 能在 种关系中取得胜利,他除了自 批判以外, 将会得到

所有人对他的批评。

6)Mentor 在照顾和支持的具体工 中,它依靠群体的合 力 。需要帮 的

人最需要大家的支持。

7)Mentor在做 一个帮 的计划时都会首先寻询问来 者的意愿,坦诚相

是在接 和谈话过程中基础。

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8)Mentor 使用自 就如同使用一个工 的工具 柔软灵活,统一共心,自尊

自爱,至始至 它的衣着和说话的方式都会 为一种途 。

9)Mentor在接 一个被暴力侵害的女性时,它总会为你指出一条生活的道

路,指出一 美好的可能。

被暴力伤害的身体会死亡,但理智会赋予它生命。

10)Mentor 在面对紧急事 ,它有应有的良知。它明确地知道自 工 的

障碍,也明确自 的职业道德。

11)Mentor 知道在失败的 验中吸取教 ,知道在帮 前来的女性时为了使她

们变得更坚强。它 会忘记, 是 一个人 一次都能从暴力中走出来。

12)Mentor 需要有一定的行政手段 施暴者会面。它时常 能 考虑 个男人

的 长和生活的历史,以及他的一些具体的问题。

13)Mentor 的工 内容也可以用以 的一些词语来说明 直 ,改变,幻想,

生命,联系网,照顾,会面,限制,倾听,形 ,十 路口,流 ,面对,行

,增强,坚定… Mentor用身体,头脑,眼睛,耳朵,手,嘴,鼻子,肚子和

脚工 …

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45Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

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46 Migrazioni, genere, accoglienza

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47Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Ang Charter ng Gabay ng komunidad upang maiwasan at labanan ang karahasan sa mga kababaihan ay nagpapahayag ng sistesis at kabuuan ng Beads&Words Lab: mga intuwisyon o kutob, kaisipan, paniniwalang natamo, pangkalahatang pagpa-paliwanag, mga perspektiba sa pagkilos, na ibinabahagi at nagmumula sa mga ka-babaihang dayuhan, na may migrant origin at refugees.Ang Charter na may 13 puntos ay nagpapahayag ng pang araw araw na isinasagawa ng isang Gabay na nagnanais magbahagi ng kanyang mga karanasan at kakayahan. Siya ay tumatawid sa ibang grupo at kultura na nagsisilbing tulay na daluyan ng mga serbisyong nagmumula sa lokalidad at sa lungsod.

Charter ng Gabay ng komunidad Hinggil sa Karahasan Laban sa mga Kababaihan

Ang lugar ng Gabay ay isang lugar ng tawiran at pagkilos., sangangdaan ng 1.

mga tao, ideya at iba’t ibang kultura. Isang lugar kung saan nagiging madaloy na parang tubig, walang sagka sa pagbubuo ng isang prosesong maaaring ma-pangibabawan ang mga mapanghusgang pananaw.Ang puwang ng Gabay ay isang puwang na puno ng pagtitiwala at kalakasan, 2.

na tumatangkilik ng walang panghuhusga at pagdidikta, sa kabila ng lahat. Ang mga babaeng humihingi ng tulong ay maaring magkaroon ng mga isipin tungkol sa kanyang sarili na hindi nya ganap na maintindihan, ngunit mga ito ay mahalaga ring mapagtuunan ng pansin.Ang oras ng Gabay ay oras ng pagsisikap at kakayahang umangkop, na binubuo 3.

ng maraming sandali, pinagyaman ng kahalagahan.Sa isang banda, nariyan ang kagyat na oras para sa kagipitan o panganib. Sa kabilang banda, nariyan ang mabagal at banayad na oras para sa matamang pakikinig. May panahon na nangangailangan ng panahon- oras ng paninilay. May konkretong oras ng pagtulong. May realistikong oras at mayroon ding oras para sa posibleng pag-kadismaya- ngunit sa lahat ng ito, walang nasasayang na panahon. Ang Gabay ay nagsisilbing sisidlan ng samu’t saring kwento at kahit na ang 4.

pinakawalang katuturang salaysay ay nararapat pakinggan. Sapagkat para sa isang nagsasalaysay, gaano man kaimposible sa ating pandinig, hindi ibig sabi-hin na hindi ito totoo. Ang salaysay ay salita: ang pagsasalaysay ay pagbubukas ng isip ng nagsasalaysay ng kwento at sa tagapakinig nito. Ang Gabay, sa paghubog ng isang tunay na relasyon, ay kinakailangang mag-5.

mistulang blangkong papel. Sa ganitong paraan, hindi mapangungunahan ng kanyang mga hinala o pagdududa ang binubuong ugnayan at malalantad ang mapanghusgang pananaw- mula sa kanyang sa sarili at sa iba. Sapagkat komplikado ang pagbibigay ng aruga at suporta sa iba, ang Gabay 6.

ay kumukuha ng lakas sa pamamagitan ng pakikipagtulungan sa kanyang mga kasamahan. Ang nangangailangan ng tulong ay may mga pangangailangang komplikado.

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48 Migrazioni, genere, accoglienza

Ang bawat aksyon na napapaloob sa isang proyekto ay kinakailangang ipaalam 7.

sa taong tinutulungan at makipagkasundo hinggil dito. Kinakailangang maging tapat ang magkabilang panig upang mag anyaya ng mga katanungan at magbuo ng mga kasagutan.Nararapat gamitin ng isang Gabay ang sariling katauhan bilang kasangkapan 8.

sa pakikipag- ugnayan: ang kakayahang makibagay, ang pagiging tapat at pagkakaroon ng tiwala sa sarili. Kasama na rito ang paraan ng pananamit at pagsasalita. Sa pakikitungo sa isang babaeng nakaranas ng karahasan,kinakailangang ipakita 9.

ng Gabay ang lahat ng positibong posibilidad. Humahampas ang mga dagok sa mga katawang namamatay, ngunit maari silang buhayin ng pagkamulat. Sa gitna ng isang kagipitan o mapanganib na sitwasyon, kinakailangang batid 10.

ng Gabay ang kanyang mga limitasyon. Ang pagkilala sa sariling limitasyon o balakid ay tanda ng pagiging isang propesyunal.Nararapat na gamitin ng isang gabay ang kanyang mga naranasang kabiguan 11.

sa pag-akay sa tamang daan sa mga kababaihang sumasangguni sa kanya. Kinakailangang mayroong tamang kasangkapan ang isang Gabay sa pakikiharap 12.

sa isang lalaking marahas o mapag-abuso. Kalimitan, hindi dapat balewain ang pinagdaanang buhay at problema ng taong ito. Ginagamit ding kasangkapan ng isang Gabay ang ilang salita: intuwisyon, 13.

pagbabagong-anyo o traspormasyon, pantasya, buhay, pag-aaruga, ugnayan, limitasyon, pakikinig, pagsasanay, pagharap sa sangang-daan, fluidity, kumprontasyon, pagkilos, kalakasan, pagiging masigasig…. Ang Gabay ay kumikilos gamit ang buong katawan; ang ulo, ang mga mata, mga tenga, mga kamay, bibig, ilong, tiyan, at mga paa…

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49Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

La Charte de la Conseillère de la communauté pour prévenir et combattre la violence de “genre”, exprime l’essence et la structure du Laboratoire Perles et Mots, ainsi que les intuitions, pensées, connaissances acquises, élaborations collectives, perspectives d’action, partagées avec et par les femmes migrantes, d’origine migrante et réfugiées.La Charte, composée de 13 points, énonce la déclinaison de la pratique quotidienne de chaque conseillère, qui s’efforce d’apporter son expérience et son expertise à travers les groupes et les cultures en se présentant comme un tremplin vers les services locaux de la ville.Le réseau des femmes qui travaillent déjà contre la violence à Padoue et dans la région de la Vénétie s’est enrichi de cette nouvelle expérience qui exprime la voix exigeante de personnes souvent silencieuses (forcées à se taire).

CHARTE DE LA CONSEILLÈRE DE LA COMMUNAUTéCONTRE LA VIOLENCE FAITE AUX FEMMES

1. L’espace de travail de la conseillère est un lieu d’accueil, de rencontres de personnes, d’idées et de cultures différentes. Lieu fluide où il devient possible d’engendrer un processus qui aide à surmonter les préjugés.

2. La conseillère accueille dans un espace de confiance et de force, qui s’ouvre et accepte sans juger et sans contrainte, malgré tout. La femme qui demande de l’aide peut avoir en soi des zones d’ombre, mais ces zones d’ombre ont une valeur synonyme d’un besoin d’aide.

3. La conseillère consacre un temps empreint de persévérance et de flexibilité, il se compose de nombreux moments, particulièrement riches: il y a le temps rapide et immédiat de l’urgence; il y a le temps plus lent et calme de l’écoute; il y a le temps qui prends du temps, qui est celui de la réflexion; il y a le temps concrèt et compact de l’aide; il y a le temps réaliste et possible de la déception, qui cependant n’est jamais du temps perdu.

4. La conseillère recueille les histoires. Même les plus irréelles doivent être acueillies. Il se peut d’ailleurs que celles qui les racontent les considèrent comme irréelles. L’histoire correspond aux mots: raconter une histoire aide à prendre conscience, tant pour l’auditeur, que pour celui qui raconte.

5. La conseillère va construire des relations «vraies», elle doit toujours se laisser approcher comme une page blanche. Ainsi, les soupçons n’entâchent pas la relation. On accepte les préjugés de tous, en plus des siens. On aborde également les peurs qui peuvent survenir.

6. Dans la complexité du domaine des soins et du soutien, la conseillère insuffle de la force à travers le groupe de travail avec lequel elle collabore. Qui a besoin d’aide a des besoins complexes.

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50 Migrazioni, genere, accoglienza

7. Chaque action du projet d’aide doit être prise en accord avec la personne que la conseillère rencontre, dans une relation où la sincérité mutuelle accueille les questions et construit les réponses.

8. La conseillère doit se considérer comme un outil de travail: flexibilité, authenticité et estime de soi doivent toujours l’accompagner; dans la relation, la façon de s’habiller et de parler deviennent des ressources.

9. Quand une conseillère rencontre une femme victime de violence, elle doit toujours transmettre un élan vital, traduit par un comportement positif.

Les battements frappent les corps qui meurent; la conscience les fait vivre.10. En traitant une urgence, la conseillère doit toujours être consciente des limites

à ne pas franchir. Reconnaître ses obstacles est un signe de qualité de son travail.

11. La conseillère doit s’appuyer sur l’expérience de ses échecs pour renforcer les parcours des femmes qu’elle reçoit. Elle ne peut jamais oublier qu’on ne sort pas toujours des histories de violence.

12. La conseillère doit avoir les outils pour faire face à l’homme violent. Les expériences et les problèmes de cet homme ne peuvent pas être ignorés.

13. Des outils de travail de la conseillère: l’intuition, la transformation, la fantaisie, la vie, le réseau, les soins, le contact, la limite, l’écoute, la formation, les rencontres, la fluidité, la discussion, le mouvement, la force, l’endurance ... La conseillère travaille avec le corps, la tête, les yeux, les oreilles, les mains, la bouche, le nez, le ventre, les pieds ...

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51Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

The Charter for Community Mentor to prevent and fight gender violence, express the synthesis and the structure of Beads&Words Lab: intuitions, thoughts, acquired notions, collective elaborations, action perspectives, shared with and by migrants,with migrant origins and refugee women.The Charter, with its 13 points, suggests the declination of the mentor’s daily routine, who wants to bring experiences and competences across groups and cultures and to become a bridge towards local and city services. The women’s network that already operates against violence in Padova and in the Veneto region is enriched by this new experience, which express the demanding voice of people often forced to silence.

THE CHARTER FOR THE COMMUNITY MENTOR AGAINST VIOLENCE ON WOMEN

1. The mentor’s place is a border’s place, a place full of movement; a meeting point for people, ideas and different cultures. It is a fluid place where it is possible to develop a process that can help overcoming prejudices.

2. The mentor’s space is full of trust and strength; she is open and welcomes everybody without judging and forcing, nevertheless. The woman who asks for help can hide shady areas which cannot be convincing, but these shady areas are very important, because they mean that help is needed.

3. The mentor’s time is a time of perseverance and flexibility, made by many moments, rich in value: there is the fast and immediate time of emergency; there is the slow and calm time for listening; there is the time which takes time, and that is the time for reflection; there is the concrete time for helping; there is the realistic and possible time for disappointment, which, however, is not a waste of time.

4. The mentor is a box full of stories, and also the most unreal ones must be welcomed. For the people who tell them, they may be not unreal. The story is word: to tell a story helps the awareness, both for the person who tells it both for the person who listen to it.

5. The mentor, to build “real” relationships, must always come close other women as a blank sheet. In this way, suspicion does not win over the relationship, and people recognize their prejudices and others’. People can face fear which derives from that.

6. In the complexity of a care and supportive work, the mentor takes strength from her colleagues. A person who needs help has complex needs.

7. Every action of the project must be agreed by the person who the mentor meets, in a relationship where reciprocal sincerity welcomes the questions and builds the answers.

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52 Migrazioni, genere, accoglienza

8. The mentor must use herself as a tool: flexibility, authenticity and self-esteem must always be with her; in the relationship her way of dressing and talking become resources.

9. When she meets a woman who is suffering violence, the mentor must always show a vital push, being always positive. Bangs hit bodies that die; awareness makes them live.

10. When she deals with an emergency, the mentor must always have the consciousness of her limits. To recognize our limits is a sign of professionalism.

11. The mentor must use the experience of her failures to reinforce paths of women who address her. She must never forget that from stories of violence is not always possible to come out.

12. The mentor must have tools to confront with the violent man. Often, she cannot leave out of consideration this man’s life and problems.

13. The mentor’s tools are also some words: intuition, transformation, fantasy, life, care, contact, limit, listening, training, crossroads, fluidity, confrontation, movement, strength, constancy. The mentor works with her body, head, eyes, ears, hands, mouth, nose, belly, and feet.

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53Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

Carta Îndrumătoarei de comunitate pentru prevenirea şi combaterea violenţei de gen, exprimă sinteza şi structura Laboratorului Perle&Parole (Pentrucuvinte): intuiţii, gânduri, noţiuni dobândite, prelucrări colective, perspective de acţiune, împărtăşite de şi cu femei imigrante, de origine imigrantă sau refugiate politic. Carta, cu cele 13 puncte ale sale, sugerează articularea practicii cotidiene a iecărei Îndrumătoare, care intenţionează să aducă experienţe şi competenţe prin traversarea unor grupuri şi culturi şi oferindu-se ca punte de legătură cu serviciile din teritoriu şi din oraş.

Reţeaua de femei, care este deja activă împotriva violenţei în Padova şi în Veneto, se îmbogăţeşte prin această nouă experienţă care exprimă vocea exigentă a persoanelor adesea împiedicate să vorbească.

CARTA INDRUMATOAREI DE COMUNITATE ÎMPOTRIVA

VIOLENŢEI ASUPRA FEMEILOR1. Locul îndrumătoarei este un loc de frontieră şi de mişcare; un punct

de intersecţie între persoane, idei şi culturi diferite. Loc luid unde este posibil să devină vectorul unui proces care să ajute la depăşirea prejudecăţilor.

2. Spaţiul îndrumătoarei este un spaţiu al încrederii şi al forţei care se deschide şi primeşte fără a judeca şi fără a impune, în poida a orice. Femeia care cere ajutor poate avea în sine zone de umbră care pot să nu convingă, dar şi zonele umbroase sunt preţioase, iind sinonimul nevoii de ajutor.

3. Timpul îndrumătoarei este un timp al perseverenţei şi al lexibilităţii, compus din multe momente, pline de valoare: este timpul rapid şi imediat al urgenţei; este timpul încetinit şi calm al ascultării; este timpul care cere timp, si este cel al relexiei; este timpul concret şi compact al sprijinului; este timpul realist si posibil al deziluziei, care oricum nu este niciodată timp pierdut.

4. Îndrumătoarea este un recipient de povestiri în care şi cele mai neverosimile trebuie să ie luate în seamă. Pentru cine le relatează nu este sigur că nu sunt reale. Istorisirea este cuvânt: a rosti o povestire înseamnă o conştientizare atât din partea celei care ascultă, cât şi din partea celei care vorbeşte.

5. Pentru a putea construi relaţii “autentice”, îndrumătoarea trebuie să se apropie întotdeauna ca o pagină albă. În felul acesta, suspiciunea nu prevalează asupra raportului instaurat, şi se recunosc prejudecăţile tuturor, nu numai cele proprii. Astfel se înfruntă şi teama care poate să se instaleze în astfel de situaţii.

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54 Migrazioni, genere, accoglienza

6. Pentru a putea susţine o muncă de îngrijire şi sprijin atât de complexă, îndrumătoarea capătă forţă din colaborarea cu grupul de lucru. Cine are nevoie de ajutor are cerinţe complexe.

7. Fiecare acţiune a proiectului de ajutorare va i pusă de acord cu persoana pe care îndrumătoarea o întâlneşte, într-o relaţie în care sinceritatea reciprocă primeşte întrebările şi construieşte răspunsurile.

8. Îndrumătoarea trebuie să se folosească pe sine însăşi ca instrument de lucru: lexibilitatea, autenticitatea şi conştiinţa propriei valori trebuie să o călăuzească mereu; în acest raport modul de a se îmbrăca şi cel de a vorbi devin resurse.

9. Atunci când se întâlneşte cu o femeie care a fost supusă violenţei, îndrumătoarea trebuie să reprezinte o speranţă de viaţă, ca o întrupare a pozitivităţii posibile. Loviturile izbesc corpurile care mor; conştientizarea le face să trăiască.

10. Înfruntând o urgenţă, îndrumătoarea trebuie să aibă mereu conştiinţa limitei. A recunoaşte propriile obstacole înseamnă a da dovadă de profesionalism.

11. Îndrumătoarea trebuie să se folosească de experienţa propriilor înfrângeri pentru a consolida traiectoriile femeilor care i se adresează. Niciodată nu trebuie să uite că nu se iese întotdeauna din situaţiile de violenţă.

12. Îndrumătoarea trebuie să dispună de instrumentele necesare ca să se confrunte cu bărbatul violent. Nu se poate face abstracţie de iecare dată de situaţiile diicile trăite şi de problemele acestui bărbat.

13. Instrumente de lucru pentru îndrumătoare şi câteva cuvinte-cheie: intuiţie, transformare, imaginaţie, viaţă, reţea, grijă, contact, limită, ascultare, formare, interferenţe, luiditate, intersectări, confruntare, mişcare, forţă, constanţă... Îndrumătoarea lucrează cu corpul; cap, ochi, urechi, mâini, gură, nas, burtă, picioare......

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55Parte I - Il Progetto. Attività formative, lavori in corso e risultati

El Acta de la Mentora de comunidad para prevenir y contrarrestar la violencia de

género, es un documento que releja la síntesis y la estructura del Taller Perle&Parole: intuiciones, pensamientos, nociones adquiridas, elaboraciones colectivas y

perspectivas de acción, compartidas con y por mujeres migrantes de origen migrante y refugiadas.

El Acta con sus 13 puntos, sugiere las disposiciones en la práctica cotidiana de

cada mentora, que busca aportar experiencias y conocimientos a través de grupos y

culturas, ofreciéndose a sí misma como un puente entre los servicios territoriales y de la ciudad.

La red de mujeres que ya trabaja contra de la violencia en Padua y en Véneto se ve enriquecida con esta nueva experiencia que se maniiesta como la voz demandante de sujetos que a menudo son silenciados.

ACTA DE LA MENTORA DE COMUNIDAD

EN CONTRA DE LA VIOLENCIA CONTRA LAS MUJERES

El lugar de la mentora es un lugar de frontera y de movimiento, una intersección 1.

de personas, ideas y culturas diversas. Un lugar luido en donde se posibilita ser portadoras de un proceso que ayude a superar los prejuicios.El espacio de la mentora es un espacio de conianza y de fortaleza, que a pesar 2.

de todo, se abre y es acogedor, sin juzgar ni imponer. La mujer que pide ayuda puede tener lados oscuros que no nos pueden convencer, pero estos lados oscuros

se pueden interpretar como sinónimos de una necesidad de ser auxiliadas.

El tiempo de la mentora, es un tiempo de perseverancia y de lexibilidad, está 3.

compuesto de muchos momentos ricos de valores: existe un tiempo que toma

tiempo, y aquel de la relexión; está el tiempo concreto y compacto de la ayuda; existe el tiempo realista y posible de la desilusión, que sin embargo no es nunca

un tiempo perdido.

La mentora es una contenedora de historias, e incluso las más irreales tienen que 4.

ser escuchadas. Para quien las cuenta, no quiere decir que sean no-reales. Contar

la historia es la palabra: contar una historia ayuda a tomar conciencia, sea de

parte del que escucha o del que habla.

La mentora, para construir relaciones “verdaderas”, tiene que acercarse siempre 5.

como una página en blanco. De esta manera, la sospecha no triunfa sobre la

relación, y se reconocen los prejuicios de todos, incluso los propios. Así también se enfrenta el temor que pueda surgir.

En la complejidad de un trabajo de cuidado y de apoyo, la mentora toma fuerzas 6.

del grupo de trabajo con el que colabora. Quien necesita ayuda, tiene necesidades complejas.Cada acción del proyecto debe ser acordado con la persona con que la mentora 7.

se encuentre, en una relación donde la sinceridad reciproca reciba las preguntas

y construya las respuestas.

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56 Migrazioni, genere, accoglienza

La mentora tiene que utilizarse a sí misma como instrumento de trabajo: la 8.

lexibilidad, la autenticidad y la autoestima la tienen que acompañar siempre; en las relaciones, la forma de vestir y de hablar se convierten en recursos.

En el encuentro con una mujer que sufre violencia, la mentora tiene que dar 9.

siempre un impulso vital, narrando una positividad posible. Los cañones golpean a los cuerpos que mueren, la conciencia los hace vivir.

En el afrontamiento de una emergencia, la mentora debe tener siempre 10.

la conciencia del límite. Reconocer los propios obstáculos es un signo de profesionalidad.

La mentora debe usar la experiencia de sus propios fracasos para reforzar las 11.

trayectorias de las mujeres que acuden a ella. Nunca debe olvidar que de las historias de violencia no siempre se sale.

La mentora debe tener instrumentos para enfrentarse al hombre violento. 12.

Frecuentemente, no se puede prescindir de los eventos vividos y de los problemas

de ese hombre.

Herramientas de trabajo para la mentora, también pueden ser algunas palabras: 13.

intuición, transformación, fantasía, vida, red, cuidado, contacto, límite, escucha, formación, intersecciones, luidez, formación, cruces, confrontamiento, movimiento, fuerza, constancia. La mentora trabaja con el cuerpo: cabeza, ojos, orejas, manos, boca, nariz, vientre, pies...

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57Parte II - Il Progetto e la rete dei servizi. Relazioni di cura e lavori in corso

Parte 2

Il Progetto e la rete dei servizi. Relazioni di cura e lavori in corso

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58 Migrazioni, genere, accoglienza

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59Parte II - Il Progetto e la rete dei servizi. Relazioni di cura e lavori in corso

1. Un questionario ed i focus. Costruire vocabolari comunidi Paolo Gusmeroli e Elena D’Anna

Il Progetto Speak Out! prevedeva anche un’indagine preliminare sulla per-cezione e sulle rappresentazioni della violenza contro le donne, che è stata svolta nel sistema locale di welfare, su un campione di operatrici e volontarie e su un piccolo gruppo di operatori e volontari dei servizi di Padova e di Valdagno, aventi tra le proprie utenti anche donne di origine migrante. La ricerca preliminare si è composta di due parti: una survey per questionari sul tema della VAW (Violence Against Women), rivolta specificamente ad operatori e professionisti operanti nel-la rete di servizi sociali del territorio (quasi tutti, più del 90%, nativi italiani); e quattro focus group per esplorare le rappresentazioni di donne migranti, rifugiate e di minoranze (MRM) rispetto agli stessi temi della violenza contro le donne. Il questionario è stato costruito attraverso il contributo di tutti i partner europei del Progetto, che sono giunti ad una versione comune, con aggiustamenti alle differenti realtà. I focus group hanno approfondito sia i diversi vocabolari della violenza tra operatrici e donne migranti che alcuni temi controversi relativi alla violenza in famiglia, all’onore, al corpo femminile, alla prostituzione, alla violenza strutturale, sul lavoro, a quella istituzionale.

Sono stati distribuiti circa 250 questionari di cui 206 sono restituiti compilati: 152 da operatrici e 54 da operatori, prevalentemente nel Comune di Padova, e con la partecipazione del Comune di Valdagno. La ripartizione per area territoriale è la seguente: Padova 147 questionari; Valdagno 48 questionari; altri 11 questionari sono stati raccolti in comuni limitrofi al Comune di Padova. Il questionario ha raccolto prevalentemente le risposte di persone con cittadinanza italiana (93%) e nate in Italia (91%). La prevalenza di intervistate (75%) è dipesa sia dall’imposta-zione del Progetto che dai limiti del budget.

Rispetto ai profili professionali ed ai settori interessati, possiamo presentare tre macro-gruppi: circa un terzo del campione (36%) è costituito da professionisti del settore sanitario (medici, psicologi, infermieri di reparti “sensibili” in ospedale, pronto soccorso e consultori) e da operatori sociali e mediatori culturali operanti sempre in ambito ospedaliero. Un altro 30% del campione rappresenta realtà del

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privato sociale, e include il Centro Antiviolenza, ed associazioni laiche e religiose che svolgono diverse attività (housing, scuole di italiano, accompagnamento ai servizi, consulenza legale, ecc.). Abbiamo incluso nello stesso gruppo anche gli operatori di sportelli sindacali dedicati ai migranti (CGIL e CISL). L’area appros-simativamente definita del welfare pubblico raccoglie il restante 33% dei casi, ed è formata da servizi sociali del Comune, gli sportelli per migranti e rifugiati/richiedenti asilo gestiti dal Comune (es. CISI), operatori nelle scuole (insegnanti e dirigenti) e dalla polizia locale.

Circa il 24% degli operatori ha ricevuto qualche tipo di formazione sul tema della VAW negli ultimi tre anni. Se consideriamo solo le operatrici, la percentua-le sale di poco (27%), mentre si abbassa all’11% tra gli uomini. Tra i settori, la percentuale più bassa di risposte affermative è nei servizi di welfare locale, dove solo il 16% di operatori ha ricevuto formazione rispetto alla VAW negli ultimi tre anni. Tra coloro che hanno ricevuto formazione (49 casi su 203 risposte valide), il 37% l’ha avuta una sola volta, il 47% dalle 2 alle 5 volte, e solamente il 2% (4 persone) ha ricevuto una formazione continua negli ultimi tre anni. Di que-ste quattro persone, tre sono psicologhe che lavorano in un Centro Antiviolenza. Rispetto all’eventuale formazione che si vorrebbe ricevere, relativa alla VAW e a donne MRM, i rispondenti si sono concentrati sugli aspetti legislativi e normativi: “legislazione italiana, normative e documentazione delle istituzioni europee ed internazionali sulla VAW” (19%) e “legislazione italiana, normative europee sullo status ed i diritti delle donne MRM e richiedenti asilo, in riferimento alla VAW” (18%) sono infatti le opzioni prevalenti.

Alcune risposte interessanti per le politiche riguardano la visibilità della vio-lenza contro le donne. I dati sono riferiti al 67% del campione complessivo, ovve-ro a coloro che ritengono la VAW in aumento in Italia (Tabella 1).

La ricerca di sfondo è stata un presupposto importante per la formazione nel Corso per Mentor di comunità. Per non arrogarsi il diritto di parlare in nome delle “altre” e per evitare quanto possibile di applicare dall’alto i “nostri” diritti e con stili di lavoro presupposti culturali differenti, è sembrato necessario condurre una ricerca riflessiva, che potesse mettere in luce le rappresentazioni sociali, i pregiudizi reciproci, i malintesi che impediscono il riconoscimento e l’incontro, consapevoli che sia le organizzatrici del Progetto che le operatrici ed operatori, ma anche le volontarie nel campo dell’antiviolenza, offrono le loro expertise alle donne migranti (più che ad altri utenti) in rapporti che si presentano come ogget-tivamente asimmetrici.

Come parte della ricerca di sfondo, il team di Padova ha condotto anche alcuni focus group per esplorare ulteriormente, al di là del questionario, i diver-si modi di nominare e definire la violenza contro le donne, per approfondire i differenti significati che questa può assumere nell’esperienza e nel vissuto delle

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Tabella 1 – Cosa ha reso la violenza contro le donne più visibile in Italia.

Molto d’accordo

Abbastanza d’accordo

Poco d’accordo

Per niente d’accordo

Non risposte

I media parlano più della VAW

29% 54% 14% 3% 4%

Le donne denunciano di più le violenze

18% 60% 21% 2% 3%

Diverse istituzioni sono impegnate in iniziative concrete contro la VAW

9% 50% 40% 1% 3%

Diverse istituzioni sono impegnate in campagne contro la VAW

11% 54% 33% 2% 6%

Le donne impegnate in politica sono più sensibili e attive su questi temi

12% 44% 39% 5% 2%

Gli uomini impegnati in politica sono più sensibili e attivi su questi temi

3% 9% 56% 32% 3%

L’enfasi del dibattito pubblico sulla VAW occulta la reale battuta d’arresto sull’uguaglianza di genere

13% 40% 37% 10% 9%

Chi lavora nei servizi e nelle istituzioni riceve una formazione più adeguata per individuare le situazioni di VAW

2% 30% 44% 23% 4%

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donne, sia “native” che di origine migrante. L’attenzione dei focus group è stata in particolare rivolta alle rappresentazioni ed alle pratiche della violenza contro le donne e contro le donne di origine migrante, così come percepite sia da donne migranti che da chi lavora all’interno di servizi. Inoltre, si intendevano mettere a fuoco le difficoltà che le migranti, le rifugiate o le donne appartenenti a diversi gruppi linguistico-culturali incontrano nell’accedere al sistema locale dei servizi e quali possano essere i punti critici rilevati dalle non italiane rispetto allo stile di lavoro di operatrici e operatori. I “malintesi culturali” tra servizi e tra persone – operatrici ed utenti – sono stati considerati molto rilevanti per il funzionamento delle reti antiviolenza.

Sono stati organizzati quattro focus group: il primo gruppo, con operatrici e volontarie di associazioni e con il Centro Antiviolenza di Padova, era composto sia da italiane native che da donne di origine migrante, dei servizi, associazioni e/o ong nel territorio di Padova; il secondo con operatrici dell’Associazione Opera Nomadi di Padova che si occupa in particolare dei gruppi Rom e di origine Rom; il terzo con donne di origine migrante; ad un ultimo focus group “misto” hanno preso parte sia alcune delle operatrici dei servizi del primo incontro, che alcune donne di origine migrante partecipanti al terzo.

Dalla ricerca è emersa la necessità di continuare a lavorare per costruire vo-cabolari comuni, per sviluppare le sensibilità professionali verso i differenti punti di vista culturali, per trasformare i rapporti di potere in relazioni di accoglienza alla pari.

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2. Riflessività e ricerca di buone pratiche

Dal Centro Antiviolenza. Prospettive del lavoro con migranti

di Patrizia Zantedeschi

Prassi del CentroIl Centro Veneto Progetti Donna (Centro Donna) è un’associazione di volon-

tariato che opera per fornire sostegno a donne, italiane e straniere, in difficoltà e coinvolte in situazioni di violenza e maltrattamento familiare e non.

Nasce nel 1990 su iniziativa di un gruppo di donne attive nel sindacato con l’obiettivo di dare una risposta concreta alle numerose richieste di aiuto, attraver-so l’apertura di un punto d’ascolto telefonico oltre a numerose iniziative culturali e di sensibilizzazione.

Dal 2000 in particolare, l’attività del Centro si è caratterizzata in modo sem-pre più peculiare sul disagio femminile e sull’accoglienza di donne vittime di vio-lenza e dei loro figli attraverso l’attività specifica del Centro Antiviolenza, che è diventato negli anni un punto di riferimento provinciale rientrando anche nella Rete nazionale dei Centri Antiviolenza “Arianna” e del numero verde di pubblica utilità 1522.

Nell’ambito di tale Progetto, le operatrici del Centro che accolgono le donne agli sportelli, offrono loro ascolto e supporto psicologico e legale e le accompa-gnano concretamente nel difficile percorso di uscita dalla violenza. Le aiutano cioè a “districarsi” nella complessa rete di rapporti, da quelli con i figli a quelli con le famiglie d’origine, e le seguono nei rapporti con i numerosi servizi coinvol-ti, aiutandole a costruire percorsi percorribili di autonomia, a partire dalla casa, al lavoro, e le aiutano, quando è necessario, a organizzare la loro fuga da casa, a recuperare i vestiti, i documenti o i quaderni dei bambini, combattendo contro la paura, i sensi di colpa, la vergogna, la voglia di tornare indietro, di mettere la testa sotto la sabbia.

Il numero di donne che si rivolgono al Centro Antiviolenza di Padova è au-mentato negli anni, passando dai 30-40 casi dei primi anni di attività, alle 375 del

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2012. Una crescita ancora più rapida ha avuto il numero di donne straniere, che sono passate dalle poche unità iniziali a circa il 40% degli accessi degli ultimi anni.

Questo grande cambiamento ha avuto origine certamente dai profondi cam-biamenti sociali che hanno interessato anche i nostri territori, in particolare con l’aumento di presenze di migranti.

Il secondo fattore che ha determinato un aumento delle richieste da parte di donne straniere è però dovuto anche ai migliori rapporti che il Centro Antivio-lenza ha instaurato negli ultimi anni con la rete dei servizi socio-sanitari territo-riali che sempre più spesso inviano anche donne straniere, oltre a una maggiore diffusione di materiale informativo sui servizi offerti dal Centro e al conseguente aumento del passaparola e degli accessi spontanei.

Lavoro con donne straniereL’aumento di richieste di donne straniere ha imposto l’urgenza di adegua-

re l’impostazione dell’intervento e la formazione delle operatrici alle necessità e peculiarità che appartengono alle diverse culture di cui le donne sono portatrici. Rispondere infatti a esigenze tanto diverse è una sfida costante che aggiunge alla complessità già insita in un percorso di uscita dalla violenza, anche la necessità di approfondire aspetti culturali, sociali, religiosi, familiari.

Le donne straniere infatti, rispetto alle donne italiane che generalmente han-no attorno a sé un minimo di rete sociale e familiare, nella maggior parte dei casi sono inserite in reti poco efficienti se non addirittura assenti, anche perché spesso arrivano in Italia o sole o per ricongiungersi al marito già residente nel nostro Paese: pertanto o hanno le famiglie d’origine lontane, o possono affidarsi solo alla famiglia del marito.

Rispetto alle relazioni amicali e sociali, nei casi di violenza risultano partico-larmente esposte al giudizio negativo da parte dei connazionali. Le comunità dei migranti molto spesso tendono a minimizzare la portata delle situazioni di violen-za che nascono nelle relazioni di coppia, anche per il timore di mettere in difficol-tà le famiglie che già vivono situazioni di disagio e di esporre il proprio gruppo al giudizio della comunità del Paese ospitante in cui spesso sono già presenti forti stereotipi negativi.

Alla difesa dell’istituzione familiare, della privatezza della relazione di coppia, del ruolo di potere dell’uomo all’interno della società e della famiglia, caratteri-stiche comuni anche a “noi” nativi italiani, si aggiunge un desiderio di proteggere l’immagine della propria cultura. È come se le donne migranti, ancor più delle donne italiane, dovessero fare i conti con una doppia accusa di tradimento: il “tradimento” del proprio uomo, che possono esporre a una grave sanzione penale oltre che sociale, e il “tradimento” verso la propria comunità.

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Lavoro con le mediatriciAnche per questi motivi, nel lavoro con le donne straniere spesso si rileva

indispensabile il ricorso alla mediazione culturale, anche se il rapporto con le me-diatrici talvolta comporta problemi analoghi. Infatti in alcuni casi abbiamo assisti-to alla difficoltà della mediatrice ad assumere una distanza opportuna dal proprio contesto, rischiando con ciò di vanificare le proposte di aiuto alla donna che ha subito una violenza familiare. Talvolta abbiamo dovuto contrastare il rifiuto a spie-gare le procedure per allontanare il coniuge violento dalla casa familiare perché “per noi non è così semplice come per voi, non si rompe una famiglia per questi motivi”, oppure ci siamo trovate di fronte alla difesa ad oltranza di padri violenti. In altri casi la mediatrice si è riconosciuta inadeguata – anche per mancanza di formazione specifica – in quanto la violenza in famiglia la metteva in grave diffi-coltà sul piano del conflitto di valori e del coinvolgimento emotivo. D’altro canto, in alcune situazioni sono le donne a temere che la mediatrice possa giudicarle o “tradire il loro segreto”. Accade che la richiesta di una traduttrice italiana, per la distanza dal contesto originario comune, venga ritenuta talvolta più opportuna per garantire maggiore riservatezza e un rischio minore di stigmatizzazione.

Lavoro transculturaleDall’esperienza di questi ultimi anni di intenso lavoro con le donne migranti

abbiamo sempre più sentito la necessità di un confronto stretto con operatrici appartenenti alle culture delle donne straniere che vengono al Centro portando le loro storie di violenza. Abbiamo bisogno di conoscere meglio le culture da cui le donne provengono, dei loro Paesi d’origine, ma anche quelle culture nuove che le donne stanno costruendo nel Paese che le ospita, con tutta la complessità che comporta la rielaborazione e lo stare a metà fra culture diverse.

Per affrontare la sfida che il lavoro con donne migranti ci presenta quotidia-namente abbiamo messo a punto due strategie che si sono rivelate efficaci.

La prima consiste nell’introduzione di una modalità di lavoro in équipe al-largato anche ad alcune mediatrici con cui si è consolidata nel tempo una prassi comune. La seconda strategia riguarda l’inserimento nel gruppo di lavoro di psi-cologhe e operatrici provenienti da percorsi migratori o da famiglie miste e che hanno completato la loro formazione in Italia. Questo particolare profilo le rende estremamente efficaci sia nel lavoro con le donne sia nel lavoro di équipe. In en-trambi i casi si tratta di un processo di co-formazione reciproca in cui operatrici di diversa cultura mettono a disposizione le proprie conoscenze, la propria pro-fessionalità, la propria esperienza, per aumentare la comprensione di situazioni al-tamente complesse e problematiche che coinvolgono aspetti personali, relazionali, familiari, culturali e sociali.

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ConclusioniIl lavoro con le donne migranti vittime di violenza, proprio per le difficoltà

oggettive che presenta, ci pone di fronte alla necessità di operare continui distin-guo e continue ricalibrature del nostro modo di affrontare la complessità delle problematiche della violenza di genere, con tutte le donne. Il confronto con le mi-granti ci pone di fronte al tema più generale della differenza, non solo a quella fra donna e uomo e fra le definizioni dei ruoli sociali di donne ed uomini in diverse culture, ma ci ricorda anche di evitare gli errori della semplificazione, di riduzione a schemi e paradigmi, poiché la complessità non è né riducibile né semplificabile. Siamo di fronte perciò a quella irrinunciabile sfida a guardare alle persone, alle donne in questo caso, come esseri unici, con storie uniche e irripetibili.

Sulla strada

di Catia Zanforlin

Ho accettato subito con grande interesse l’invito di Antonella Ferrandino che con orgoglio mi ha presentato il Progetto Speak Out! promosso dal Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Apllicata e coordinato da Franca Bimbi, con donne di tante nazioni diverse. C’è il desiderio che si formi una rete di donne Mentor a sostegno di altre donne, la speranza che questo sia di ulteriore stimolo per lo sviluppo della rete formale tra le istituzioni, gli enti, le associazioni e che tale rete diventi davvero efficace quando c’è una situazione di violenza.

Come potevo non aderire, portando il mio contributo, ad un progetto così nuovo e concreto!

E come potevo rinunciare a trascorrere un pomeriggio, nella dignità di un’au-la universitaria, con quelle donne che da domani incontrerò per “strada” ogni volta che un’altra donna cercherà aiuto, finalmente consapevole che non si può vivere annientate dalla violenza.

Mi chiamo Catia e rivesto il ruolo di vice Commissario nella Squadra Inve-stigativa della Polizia Municipale di Padova; da molti anni sono a contatto quasi quotidianamente con tante donne e giovani ragazze, italiane e straniere, che sono alla ricerca di protezione, di qualcuno che faccia “smettere” chi le maltratta.

La prima difficoltà che incontrano è la mancanza di riferimenti precisi: dove e a chi rivolgersi.

Purtroppo il passaggio dai servizi sociali e dalle forze dell’ordine, nell’imma-ginario delle persone, talvolta ha ancora risvolti negativi che non si conciliano con il bisogno di queste donne di mantenere (o iniziare finalmente a riaffermare!) un ruolo attivo-decisionale sulle conseguenze del loro dire a voce alta quanto stanno vivendo.

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Molte di loro, è vero, hanno il sostegno di una persona amica e anche il passa-parola su dove andare, per fortuna, funziona, così che giungono nei nostri Uffici conoscendo già chi potranno incontrare.

Per molte di loro, tuttavia, specialmente per chi è in Italia da poco tempo, le risorse offerte dalle istituzioni sono lontane, sconosciute o temute.

I Centri Antiviolenza e le associazioni, risorsa qualificata e meno sofferta che non il varcare la porta di una caserma, non hanno sufficiente visibilità.

Spero proprio che le Mentor potranno fare la differenza per quelle che fa-ticano a trovare aiuto da sole e certamente sono la “differenza” per me come operatrice di polizia, perché con una divisa è più complicato avvicinare ed essere credibile con persone che arrivano da altre nazioni.

Il pomeriggio che ci siamo incontrate è stato entusiasmante: quell’aula era piena di colori e di curiosità, qualche espressione scettica di chi probabilmente più di me ha sentito promesse poi mai mantenute, un incredibile bisogno di avere informazioni reali e non dati recuperabili nei libri o su internet.

E infine anche le domande più personali: “ma come fai quando …”, inten-dendo come sia possibile nel mio lavoro entrare così spesso nei racconti dolorosi delle donne che mi avvicinano senza sprofondare nella rassegnazione e continuan-do a credere che sia possibile cambiare le cose.

Ed è stato sufficiente lasciare il numero di telefono perché l’indomani una delle quasi-Mentor mi cercasse, non per sé o per una sua amica e neppure per una donna della sua comunità: semplicemente per una vicina, cioè un’altra donna maltrattata dal compagno, che tentava di difendere la figlia e che non sapeva a chi altro chiedere aiuto.

Ho verificato che il Progetto Speak Out! stava funzionando: la quasi-Mentor ha prestato attenzione e utilizzato gli strumenti appresi al Corso di formazione per riconoscere quanto stava accadendo e infine fare da tramite con la Polizia Municipale.

Perciò abbiamo dovuto “solo” assumere quanto ci veniva segnalato e utilizza-re le nostre conoscenze professionali-tecniche e le risorse di altre strutture, uffici, enti per cominciare a cambiare le cose.

È necessario e vitale non lavorare da soli ma insieme ad altri professionisti, ai quali speriamo si aggiungano ora le Mentor di comunità che rivestono un ruolo unico ed indispensabile.

Io non vedo l’ora d’incontrarle ancora … e perciò sono molto soddisfatta di aver saputo che, finito il Corso, la loro Associazione sta nascendo davvero.

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Dialogo tra operatori. Una porta d’accesso alla “questione” della violenza

di Luisa De Paoli

Da molti anni lavoro come assistente sociale al Servizio Sociale dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Mi occupo di pazienti con un’età inferiore ai 65 anni che in occasione di un ricovero ospedaliero presentano, oltre alla loro patologia, proble-matiche di tipo sociale provocate dalla malattia stessa o già presenti nella vita della persona prima del ricovero. Vengo chiamata dai medici, dagli infermieri, da tutto il personale sanitario e, a volte, dai pazienti stessi o dai loro familiari; ognuno di loro può chiedermi una consulenza e/o un aiuto per l’attivazione delle reti sociali, fami-liari o del privato sociale. Molto spesso vengo chiamata per aiutare le persone ad esprimere una domanda di aiuto che, talvolta, viene presentata attraverso un urlo di dolore o di rabbia. A volte, vengo chiamata, per aiutare i sanitari a comprendere una domanda d’aiuto, espressa attraverso il silenzio o la passività o la resistenza da parte del paziente a non voler lasciare l’ospedale, che ci obbliga spesso a oltre-passare l’ottica “malattia/medicina” (ormai vetusta, ma in tempi di crisi dove le esigenze organizzative impongono tempi ridottissimi di degenza, talvolta ancora utilizzata). Tutto questo per concedere uno spazio dove il paziente possa arrivare con il proprio mondo e permetta a noi operatori a costruire scenari di mediazione tra professionisti con mission simili ma stili professionali a volte divergenti.

Talvolta viene richiesto il mio intervento per persone migranti, irregolarmente presenti nel territorio italiano, che presentano problematiche sanitarie; in questo caso il Servizio Sociale dell’ospedale diventa uno dei pochi riferimenti istituzionali per chi come loro solitamente abita un territorio in “qualità di inesistente”. In quel territorio “non luogo” dove concetti come la residenza, l’appartenenza territoriale, che sanciscono l’IO SONO, l’IO ESISTO, si perdono in un mare di difficoltà.

Il mio lavoro sociale si svolge in un contesto marcatamente sanitario, l’ospe-dale, dove le dimensioni linguistiche, temporali e semantiche sono spesso molto differenti da quelle che caratterizzano la mia professione. Tutto ciò presuppone un notevole sforzo per ricercare continuamente linguaggi diversificati che siano in grado di farci dialogare pur mantenendo l’autonomia professionale di ciascun ruolo. Oltre a ciò, la sincronizzazione degli interventi deve avvenire in un binario temporale condiviso da tutti gli operatori e deve essere in linea con i tempi serrati dell’organizzazione sanitaria, inoltre deve anche tenere in considerazione gli altis-simi costi ospedalieri. Dove si riesce a raggiungere l’equilibrio tra questi fattori si è in grado di leggere, in un ottica sistemica, le difficoltà delle persone creando, così, uno spazio vero di accoglienza, anche in un Pronto Soccorso.

Qualche anno fa venne da me una giovane medico del Pronto Soccorso chie-dendomi se potevamo fare qualcosa per la violenza contro le donne. Ricordo che rimasi infastidita da quella richiesta…dissi tra me e me che io non dovevo fare nul-

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la di più di quello che stavo già facendo e di certo non avevo bisogno di aumentare la mia sensibilità riguardo al problema… Volevo ribadire la mia posizione up ri-spetto al fenomeno della violenza sulle donne ed il fastidio proveniva dal mancato riconoscimento di ciò.

Da allora sono cambiate molte cose come dimostra il numero di segnalazioni fatte dal Pronto Soccorso al Servizio Sociale:

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Ma cosa è successo nel frattempo?È cominciato un dialogo intenso tra il Servizio Sociale, alcuni operatori del

Pronto Soccorso, le Forze di Polizia presenti in Azienda Ospedaliera e si è rin-forzato il dialogo esterno con le Associazioni che si occupano di contrastare la violenza contro le donne.

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Sono stato organizzati dei corsi di formazione per tutto il personale sanita-rio del Pronto Soccorso, dove a mio avviso sono emersi due elementi interessanti anche se al tempo stesso immagino scontati per chi lavora da tempo su questi fenomeni: il primo è che l’operatore di Pronto Soccorso non può permettersi di fa-vorire e stimolare la donna vittima di violenza a raccontare di sé per poi offrirle un percorso, se quest’ultimo non è chiaro, agevole e facilmente utilizzabile; il secondo elemento è il bisogno degli operatori di acquisire strumenti di comprensione verso alcuni comportamenti ambivalenti e invischianti che dimostrano le donne nei con-fronti di colui che le ha maltrattate, come per esempio il ritiro della denuncia o la ritrattazione dei fatti raccontati, oppure i ritorni ciclici della stessa donna al Pronto Soccorso. Spesso mi sento dire: ”ma allora è inutile fare tutta questa fatica se poi non serve a niente…”. Il rischio è che ci possa essere una sorta di “abbandono” del caso da parte degli operatori o ancor peggio, che la situazione non venga segnalata o che, ipotizzata una certa volontarietà da parte della donna di stare nella situazio-ne di violenza, vengano minimizzati o sottovalutati gli episodi.

Il Pronto Soccorso si è organizzato in modo che tutte le donne che arrivano al proprio triage (è un sistema che permette di stabilire un ordine tra i soggetti che giungono, dando le apposite cure prima ai casi con una priorità maggiore e di seguito quelli con priorità minore. La prima valutazione è messa in atto da un infermiere formato e preposto a questo compito) e che dichiarano di essere state vittime di violenza, vengono fatte entrare subito e sottoposte a visita medica a pre-scindere dalla gravità delle lesioni; il codice di accesso viene contrassegnato con un acronimo, e questo permette di individuare velocemente il percorso di quella persona. Tutte le situazioni di violenza, dopo aver raccolto il consenso della donna, vengono poi segnalate al Servizio Sociale.

Da questo passaggio il Pronto Soccorso rimarrà sullo sfondo e la presa in carico passa al Servizio Sociale che dopo aver analizzato la situazione costruisce, insieme alla donna, possibili percorsi di uscita dalla violenza. Ci può essere il coin-volgimento dei Servizi Sociali Territoriali, del Consultorio Familiare, del Centro Antiviolenza, delle Forze dell’Ordine, dell’Ambulatorio di Crisi della Psichiatria. Può esserci la necessità di non prendere una decisione immediata, ma accompa-gnare la donna durante una fase di riflessione offrendole un’accettazione incondi-zionata e uno spazio di ascolto.

Questo è il risultato finora raccolto dopo due anni di intenso lavoro per tutti gli operatori del Pronto Soccorso e del Servizio Sociale.

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73Conclusioni

Conclusioni

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75Conclusioni

1. La rete Mentor e la nascita di una Associazione a cura delle partecipanti al Corso per Mentor di comunità

Non era previsto che dopo la conclusione del Progetto Speak Out! nasces-se un’Associazione promossa da chi aveva frequentato il “Corso per Mentor di comunità per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere”. Tuttavia ab-biamo pensato subito di continuare a esplorare i temi affrontati durante il corso e rimanere in contatto, ma soprattutto di cercare di trasferire nella pratica ciò che avevamo appreso. Era emerso durante il corso il grande potenziale di cui il grup-po era portatore: donne immigrate di diverse provenienze, alcune anche cittadine italiane, con medi ed alti livelli di istruzione e tantissime competenze da mettere a disposizione, alle spalle grandi esperienze di vita e di lavoro, un percorso migra-torio che ha segnato la vita di tutte e permesso la costruzione e l’esperienza della resilienza, capacità che vuole e deve essere condivisa e trasmessa alla comunità in cui si vive. Al momento siamo una rete di 35 donne che hanno partecipato atti-vamente al corso ed abbiamo creato un’Associazione per: consolidare la figura di Mentor nella comunità in cui operiamo; ampliare la nostra rete di donne e forma-re altre Mentor; contrastare e prevenire la violenza di genere in tutte le sue sfac-cettature, fornendo anche strumenti di empowerment alla donna immigrata a tutti i livelli, nonché strumenti per la costruzione della resilienza; divenire un interlocu-tore autorevole nell’incidere non solo sulle policies ma anche sulle politics quanto ai temi della violenza, dell’immigrazione e della donna in generale; coinvolgere gli uomini in questo progetto; elaborare e utilizzare una terminologia propria e co-munque ragionata per quanto riguarda i temi dell’immigrazione e della violenza; distinguerci per la qualità delle azioni, degli approcci e delle metodologie; essere un luogo dove una donna possa giungervi per qualsiasi cosa. Il nostro progetto si è sviluppato utilizzando una piattaforma virtuale di comunicazione, appoggiandoci all’applicazione di Google googleGroup; la nostra piattaforma google si chiama “Mentor di comunità” ed è uno strumento interno che ci permette il confronto a distanza sia sui sugli aspetti organizzativi e logistici, che sui temi nevralgici relativi alla costituzione e al funzionamento dell’associazione. Per mezzo di questo me-dium, attivato l’11 ottobre 2012, abbiamo organizzato sinora 6 incontri nell’aula

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magna nella sede di Sociologia, del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Peda-gogia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova, messa a disposizione dal Progetto Speak Out!. Con la finalità di capire esattamente le competenze e le risorse di tempo a disposizione, abbiamo predisposto una scheda che raccogliesse tali informazioni, compilata e restituita via mail da tutte noi. Successivamente, è stata predisposta una seconda scheda che raccogliesse i punti di vista di ogni asso-ciata sugli obiettivi che l’associazione dovrebbe perseguire, sulla concezione della donna in generale e della donna immigrata in particolare, nonché la vision circa la violenza. È stato inoltre eletto il consiglio direttivo composto di 11 membri ivi comprese la Presidente e la Vice-presidente. L’Associazione RIDIM - Rete Italiana Donne Immigrate è nata ufficialmente nel marzo 2013 e sta organizzando nell’im-mediato un evento di inaugurazione al fine di far conoscere i propri propositi associativi, auspicando proficue collaborazioni con il Comune di Padova e gli altri attori del pubblico e del privato sociale nel territorio. Vogliamo essere soggetti attivi, testimoni vive della possibilità di superare i ruoli passivi secondari che ci vengono assegnati, impegnandoci sia a livello locale, nazionale che internazionale. Finalmente come Mentor del Corso Speak Out! possiamo dire “continuiamo a camminare assieme, in nostro nome!”.

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77Conclusioni

2. Synthesis of the Project “Speak Out! Empowering migrant, refugee and ethnic minority women against gender violence in Europe”by Franca Bimbi

The Project “Speak Out! Empowering migrant, refugee and ethnic minority women against gender violence in Europe” has received the financial support of the DAPHNE Programme of the European Union. Its purpose is to improve self-empowerment and agency on violence against women (VAW) issues, especially regarding migrant, refugee and (ethnic) minority (MRM) women, even though it could be considered as a general model to stress similar efforts for an active citi-zenship of European women.

The agenda against gender violence wants a new development of individual and collective agency of women against the institutional and social forms of male domination so that to overcome gender stratification among natives and migrants and the limits of the victimization approaches.

This Project takes into account the need to develop experiences of intermedi-ate bodies that can open and maintain a transcultural debate on VAW while pres-suring VAW politics from the grassroots of the European civil society.

The Project originated from one concern: in the European public debate MRM women do not have a voice, because of the fact that discussions allow only the expression of men’s and “native” women’s points of view. Especially on VAW issues, the lack of a public debate on the points of view of the MRM women about what standard rights to guarantee, meanings of violence, tools to prevent any causes, might increase MRM women’s vulnerability. MRM women are victims of a double static representation of the European society fuelled by the traditional patriarchy of migrants and the western conception of human rights in a post-pa-triarchy society. This ideological representation limits especially MRM women in the use of an important resource guaranteed for all people by the European Union in its Fundamental Charter: the right to cultural pluralism and to the recognition of differences.

The project involved different groups of MRM women in five different places: Padua (Italy), Madrid (Spain), Barcelona (Catalonia, Spain), Helsinki (Finland)

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and The Netherlands (The Hague, Amsterdam and other cities). It followed the perspective of giving voice to women from the grassroots of society through the use of self-empowerment methods and the implementation of resources for gender agency in the local contexts.

In the five contexts we tried to offer participants, both individuals and groups, with a chance to learn and reflect about:

a) recognition of gender-related violence;b) becoming a reference for all victims of violence;c) being considered as an authoritative source in their everyday lives, in the

city and by the institutions.In order to achieve these goals, the Italian team promoted the profile of a

Community Mentor: a person who operates in multicultural contexts sustaining peer-to-peer relationships and transcultural relatioships. In the project Speak Out! the Community Mentor explicitly relates to a group of women, with different na-tional origins and different cultural-linguistic characteristics, who can act as active citizens in the territory where they live, regardless their formal citizenship status. The group defined a perspective and strategy of action against violence without any distinction on the origin of its members, even if boundaries were defined. The community of reference of this mentorship group can be the city (as life context and as a network of institutions), the community of origin, the community women belong to, the neighbourhood, the family networks, the associations, the institu-tions at the same time.

This mentorship group will ask to its participants to be engaged in preventing gender-related violence and in supporting women who are at risk of, or who are victims of violence. This group will act as a connection: a) among women belonging to different national and cultural-linguistic groups;b) among migrant women, women with migrant origin, refugee women, women

belonging to social minorities, and the welfare state system, the health care system, both public and private, and, more in general, the institutions;

c) among distinct communities of origin, taking first into account women’s needs.

During the initial part of the Project we developed a preliminary research in the local welfare system with a survey (206 cases for Padua) and 4 focus groups. The survey involved professionals and volunteers working in social and health services, associations and NGOs and it focused on training and working methods on VAW, on risks perception related to VAW on migrant and non-migrant women, and on the different meanings of violence. Focus groups were conducted both with professionals and with MRM women, and discussions related especially to the meanings of VAW(Madrid’s focus group also involved men from different migrant origin). The aim of this research was to understand a) the relationship between

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79Conclusioni

professional styles and the interpretation of the migrant women presence as “cli-ents”, their demands, meanings of VAW in different cultures and in different pro-fessional groups; b) if migrant women and professionals partially share the same expectations on the reciprocal behaviour and similar meanings relating to VAW.

During the second part of the Project (100 hours), Padua offered a “Train-ing Course for Community Mentors to Prevent and Contrast Violence Against Women”. After the first step of Group Discussions, the Italian team set out four Laboratories. By always bearing in mind the Project’s aim, the most relevant Lab. was Beads&Words Lab. Beads&Words Lab. oriented attendees to reflect on some key-words, and the method of storytelling was used to create individual or col-lective short stories on violence while talking about how to escape from it. Then, a Charter for Community Mentor against Violence on Women was drafted; this Charter contains the guidelines for action in the local society. The other Laborato-ries focused on Controversial Issues, Welfare System and Rights and Legislation.

The whole training programme was primarily based on a process of recogni-tion and self-empowerment of participants, starting from the pooling of direct and indirect experiences of violence and the different skills used to face, contrast and elaborate them. Starting from personal experiences, the Speak Out! Labo-ratories aimed at giving voice to several MRM women about migration experi-ences, but also intimate, familiar, institutional and racial violence. We tried to build transcultural vocabularies, considering diversities and creating encounters and mutual comprehension. We tried to compare a transcultural vocabulary espe-cially relating to the universal words recognized by all the women working with us in opposition to violence: reciprocity, dignity, respect. In all cultural definitions on VAW considered by women or groups of women, we discovered some recurrent features of male domination through the development of a critical analysis of the hegemonic cultural aspects especially on the field of the time organization, family division of labor and sexuality.

On this basis, since October 2012 and after these training and self-help ac-tivities, participants have opened a discussion in order to transform mentorship groups in a real Association active throughout the territory.

The implementation of the Training Course for Community Mentor encoun-tered some challenges and successes.

ChallengesMany women had difficulties to attend regularly because of their work or

family reason. Some participants began to attend the Training session, but then they had to leave it.

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Women with young children could not attend the training for the whole dura-tion of the meeting and the organization could not arrange a childcare service.

An undocumented migrant woman wanted to take part at the Training ses-sions, but we could not admit her.

Some asylum seekers began to attend the sessions, but then they quit. We would like to involve in the project Roma and Travelling women: with this

purpose we had a focus group of professionals working with Roma people, but unfortunately the experiment was not successful.

SuccessesAt the beginning of the sessions, participants had the tendency to speak with

women coming from the same country of origin, but at the end of the Programme, they all were talking to each other and nationalities were considered simple adjec-tives. Some of them decided to write a short story together, with autobiographical purposes.

Trainers and organizers worked to overcome their ethnocentric stereotypes. During the initial meetings we identified participants with their nationalities or on the basis of their somatic traits and we considered them mainly as immigrants. During the course of the training, we learnt to identify them by their name and we consider them as citizens living in the same territory as us, in particular we considered their rights and their access to welfare resources and the possibility of acting together to contrast VAW.

The feminist approach of peer-to-peer relationship and the critical attitude on the diversity of each cultural assumption on VAW were developed by the lead-ers since the beginning of the Training. That was very useful for migrant women to improve their autonomy during Laboratories on controversial issues, law cases and with professionals of the local welfare system. This attitude could be very important for the implementation of a multicultural discourse on VAW and for giving authority to participants in their role of Mentor of Community.

In Padua, the group of women attending Speak Out! training and self-help group defined a new profile of agency for women, the Community Mentor and the Community Mentor Charter on violence against women was drafted, contain-ing the guidelines for an active citizenship inside the territory.

The Training had two main outcomes: the short stories and the Charter for Community Mentor

The short stories proved that the group could produce its discourse on VAW in a frame of cultural plurality of voices finding some common approaches and

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tools to support other women. The short stories will be published in Italian so that to empower the Community Mentor group as a collective of real people working in Padua and in the Veneto region.

The Charter could be a tool which presents the Community Mentor group to the institutional context, to communities and for public discussion on VAW.

After the end of the Training the whole group of migrant women started an Association to be proposed to local institutions and society. Women from Speak Out! will continue to search effective links with associations of women, migrant associations, institutions, public and private professionals, schools, in order to develop a network of people working on different levels to fight violence against women.

Our Project is very innovative. This is why we can state without a doubt that we are pioneers. The project brought together awareness-raising and preven-tion workshops, with a training course for migrant women and self-help groups, where the group of women involved could design their own workshops to prevent violence against women. This not only raised awareness on the phenomenon of gender violence, but encouraged a deep understanding of the origin and causes of violence, as well as a general view on how to lead groups and promote preven-tion.

From the practical standpoint, the meeting of women, who are citizens in dif-ferent degrees and ways, permitted to face some common roots of violence, taking into account that both, in the country of origin and in the immigration country, gender violence means violence against women by men and violence depends on the asymmetric relationship among women and men.

We also covered the main controversial issues regarding the different, “mod-ern” or “traditional” patriarchal regimes to find tools to reinterpret, debate and negotiate cultural practices considered unchallenged shared values. In this way we also worked on the mutual cultural prejudices among migrant women with different origin and among migrant and non-migrant individuals.

Considering the aim of the Project, the trainers’ perspective and the MRM women’s efforts to end VAW in gender relationships and inside social and inter-personal relationship, we are able to summarize the success of our training activi-ties as follows:a) the participants were able to put together their differences, their multiple po-

sitions and origins in order to find some practical common approach to work against violence;

b) we had the possibility to give birth to some form of intermediate bodies acting

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to improve self-support in MRM women throughout the territory;c) we increased self-awareness in the attendees and inside the five teams stress-

ing the importance of recognition of differences as well as the implementa-tion of gender rights to enlarge the substantial citizenship of MRM women, giving them the possibility to be different autonomous voices on VAW in the public European arena.

Mentor, the Mentor network, and other similar experiences developed by Speak Out! Project, are important resources to fight violence against women, to implement peer-to-peer approaches and to give voice to different cultural stand-points. In this perspective they could be a tool to improve a multicultural and gender-sensitive European citizenship, where women and men of different ori-gins, languages, ideals and nationality could work together for a better European future.

In April 2013 the Project is publishing: Agency of Migrant Women Against Gender Violence. Final Comparative Re-

port of the Project “Speak Out! Empowering Migrant, Refugee and Ethnic Minority Women Against Gender Violence in Europe, edited by Franca Bimbi, AB Edizioni Alphabeta Verlag, Bolzano.

Speak Out! Migranti e Mentor di comunità contro la violenza di genere, edited by Franca Bimbi and Alberta Basaglia, Cleup, Padua. This publication is the Ital-ian handbook of the “Speak Out!” Project.

Migrazioni, Genere, Accoglienza. Mentor di comunità e buone pratiche contro la violenza, edited by Maria Grazia Peron, Cleup, Padua. This publication is a lo-cal short handbook of the “Speak Out!” Project.

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83Appendice

Appendice

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84 Migrazioni, genere, accoglienza

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85Appendice

1. Indicatori su migranti, rifugiati e violenza sulle donne

Popolazione migrante in Italia, in Veneto e a PadovaAl primo gennaio 2011 gli stranieri residenti in Italia sono 4.570.317, il 7,5%

della popolazione residente (italiana e straniera); i cittadini rumeni rappresentano la comunità straniera prevalente (21,2% sul totale degli stranieri).

Gli stranieri residenti nella regione del Veneto, al primo gennaio 2011, sono 504.677, dei quali 253.563 donne e 251.114 uomini.

Nella provincia di Padova i residenti stranieri sono 91.649 (9,8% della popo-lazione residente), le donne sono 46.901, mentre gli uomini sono 44.748. I cittadi-ni rumeni rappresentano la comunità più ampia (30,4% sul totale degli stranieri), seguiti da marocchini (11,6%), e moldavi (11,5%). Nella città di Padova ci sono 30.933 residenti stranieri (16.138 donne e 144.795 uomini).

TAB. 1. Principali comunità straniere nella città di Padova.

Paese d’origine ResidentiRomania 8.533Moldavia 5.165Nigeria 2.287Marocco 2.051Albania 1.858Cina 1.805Filippine 1.798

Fonte: Comune di Padova, Settore Programmazione Controllo e Statistica. http://www.padovanet.it/allegati/C_1_Allegati_14714_Allegato.pdf

Violenza contro le donneItalia

Nel 2006 l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha condotto una ricerca sulla violenza contro le donne finanziata dal Ministero delle Pari Opportunità. Il campione ha compreso 25.000 donne tra i 16 e i 70 anni. Nonostante questa sia la

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più ampia e sistematica ricerca disponibile, essa non include le donne straniere. – 6 milioni 743 mila donne (un terzo delle donne che vivono in Italia) sono state

vittime di violenza fisica o sessuale; – più del 96 % delle donne vittime di violenza non la denunciano;– 5 milioni di donne hanno subito violenza sessuale;– 3 milioni 961 mila donne hanno subito violenza fisica;– 1 milione di donne sono state vittime di stupro o tentato stupro;– 2 milioni 938 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner o

dall’ex partner;– più di 7milioni di donne sono o sono state vittime di violenza psicologica (iso-

lamento, controllo, intimidazione, violenza economica, svalorizzazione);– 2 milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking).

TAB. 2. Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale da un uomo nel corso

della vita per tipo di autore e tipo di violenza subita. Anno 2006 (distribuzione percentuale).

Totale Un partner Un uomo non partner

Violenza fisica o sessuale 31,9 14,3 24,7

Violenza fisica 18,8 12,0 9,8Violenza sessuale 23,7 6,1 20,4

Stupro o tentato stupro 4,8 2,4 2,9

Fonte: Istat, La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2006.

TAB. 3. Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza nel corso della vita, ma che non la hanno

denunciata per tipo di violenza subita e tipo di autore. Anno 2006 (distribuzione percentuale).

Partner o ex-partner Da un uomo non partner

Violenza fisica o sessuale 92,5 95,6Violenza fisica 92,3 88,1Violenza sessuale 94,9 98,0Stupro o tentato stupro 94,3 92,9Stupro 94,8 87,4Tentato stupro 95,0 94,1

Fonte: Istat, La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2006.

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87Appendice

TAB. 4. Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza da un partner nel corso della vita per tipo di autore e tipo di violenza subita. Anno 2006 (distribuzione percentuale).

Attuale partner o ex-

partner

Attuale partner

Ex-partner

Attuale marito o

convivente

Attuale fidanzato

Ex-marito o ex-

convivente

Ex-fidanzato

Violenza fisica 6,7 9,2 6,8 9,5 7,7 5,0 7,8Violenza sessuale

2,4 2,7 4,3 1,9 6,9 1,2 6,1

Violenza fisica e sessuale

0,4 0,3 0,8 0,3 - 0,4 1,0

Violenza fisica e psicologica

50,4 56,4 46,9 55,9 58,8 46,1 47,3

Violenza sessuale e psicologica

13,4 15,7 11,5 15,5 16,9 6,9 14,2

Violenza fisica, sessuale e psicologica

26,8 15,7 29,8 16,8 9,7 40,5 23,6

Fonte: Istat, La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2006.

Violenza contro le donne in VenetoLa Commissione per le Pari Opportunità della Regione Veneto, in collabora-

zione con la Direzione Sistema Statistico, ha analizzato ed elaborato i dati relativi al Veneto dell’indagine nazionale multiscopo sulla sicurezza delle donne svolta dall’Istat nel 2006.

Le analisi pubblicate nel 2008 evidenziano che:– il 34,3% delle donne venete ha subito violenza (il 19,6% violenza fisica, il 26%

violenza sessuale e il 5,7% sono vittime di stupro o tentato stupro);– la più comune forma di violenza sessuale subita dalle donne è la molestia fisica

a scopo sessuale che copre quasi il 91% degli episodi subiti dalle donne venete da uomini no partner;

– la grande maggioranza delle violenze non viene denunciata, il 6,1% delle don-ne denunciano la violenza subita dal partner e solo il 4,4% da non partner.

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TAB. 5. Donne vittime di violenza nel corso della vita per tipo di aggressore e tipo di violenza subita (distribuzione percentuale).

Un uomo qualsiasi

Un partner Un uomo non partner

Violenza fisica o sessuale 34,3 13,3 28,0

Violenza fisica 19,6 10,8 11,3

Violenza sessuale 26,0 5,1 23,0Stupro o tentato stupro 5,7 2,2 3,9

Fonte: Elaborazione Regione Veneto – Direzione Sistema Statistico Regionale su dati Istat.

TAB. 6. Donne vittime di violenza da un partner nel corso della vita per tipo di aggressore e violenza subita (distribuzione percentuale).

Attuale partner o

ex-partner

Attuale marito o

convivente

Fidanzato Ex-marito o ex-

convivente

Ex- fidanzato

Violenza fisica 5,3 10,0 - 8,2 7,8

Violenza sessuale 3,4 2,3 20,5 - 4,2Violenza fisicae sessuale

- - - - -

Violenza fisica e psicologica

56,0 52,0 69,5 52,7 50,1

Violenza sessuale e psicologica

15,5 21,1 6,7 8,8 17,6

Violenza fisica, sessuale e psicologica

19,9 14,6 3,3 30,2 20,4

Fonte: Elaborazione Regione Veneto – Direzione Sistema Statistico Regionale su dati Istat.

Il Centro Antiviolenza di PadovaIl Centro Veneto Progetti Donna – AUSER è un’associazione di volontariato che opera per fornire sostegno a donne in difficoltà e coinvolte in situazioni di violen-za e maltrattamento.

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89Appendice

Il Centro è nato a Padova nel 1990 e le sue operatrici accolgono le donne in diffi-coltà offrendo ascolto e supporto psicologico e legale.I dati che presentiamo di seguito fanno riferimento agli ani 2009-2011 di attività del Centro.

Anno Numero utenti

Donne italiane

Donne straneire

Tipo di violenza

2009 215 153

(71%)

62

(29%)Romania, Moldavia, Marocco,

Russia

Prevalenza di casi di violenza fisica, seguita da casi di violenza

psicologica

2010 230 155

(67%)

75

(33%)Romania, Marocco, Moldavia,

Prevalenza di casi di violenza fisica, seguita da casi di violenza psicologica con l’aumento di casi

di stalking

2011 236 170

(72%)

66

(28%)Romania, Marocco, Moldavia,

Prevalenza di casi di violenza fisica, seguita da casi di violenza

psicologica

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2. Padova – Unità di Progetto Accoglienza e Immigrazione (UPAI) del Comune. Sportelli e servizi

– Centro Donne dal mondo, per donne migrantiSportello informativo gratuito. In collaborazione con la cooperativa E-Sfaira e l’associazione Unica Terra.

– Cisi (centro informazione e servizi per immigrati), per migrantiAttività di informazione, segretariato sociale e supporto finalizzati al rilascio e al rinnovo dei documenti di soggiorno, al ricongiungimento familiare e al rilascio di attestazioni d’idoneità dell’alloggio.

– Informazione scuola, per adolescenti migranti Attività scolastiche (mediazione culturale e linguistica, peer education) ed extra-scolastiche per le scuole secondarie di II grado.

– IS-Informazione scolastica, per adolescenti migrantiInformazione alle famiglie immigrate sul sistema scolastico italiano e sulla sua offerta formativa, supporto nel primo contatto con gli istituti superiori.

– Sportello Rar, per richiedenti asilo e rifugiatiServizio di segretariato e orientamento, attività d’informazione e counseling sulle procedure d’asilo, supporto e accompagnamento nel disbrigo di pratiche.

– Progetto Rondine, per richiedenti asilo e rifugiatiServizi di accoglienza e di integrazione in favore di richiedenti asilo e rifugiati. Fa parte del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) del Ministero dell’Interno.

– Sportello di ascolto “A porte aperte”, della Commissione stranieri del Comune di Padova.

– Facilitatori interculturaliServizio di prossimità (che supporta il più ampio servizio di mediazione sociale nel territorio), orientato a favorire i processi di convivenza civile nella comunità locale.

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– Mediazione sociale nel territorioSi pone come obiettivo quello di favorire i processi d’integrazione nei quartieri e all’interno dei condomini, affrontando le situazioni di conflitto.

– Mediazione culturaleFavorisce la mediazione inter-culturale e la riorganizzazione delle relazioni tra le persone negli uffici della Pubblica Amministrazione .

– Corsi di Italiano, per migrantiIn collaborazione con UPAI, Servizi Scolastici, CTP- Centri Territoriali Perma-nenti e varie associazioni.

Commissione per la rappresentanza delle cittadine e dei cittadini stranieri residenti a Padova

La Commissione è un organismo di rappresentanza dei cittadini non comuni-tari ed apolidi regolarmente residenti a Padova e non aventi la cittadinanza italia-na. È composta da 16 membri eletti (11 uomini e 5 donne).

È un organo consultivo per il Sindaco, la Giunta, il Consiglio comunale, le Commissioni consiliari e i Consigli di Quartiere.

Le elezioni per la Commissione si sono tenute il 27 novembre 2011, e hanno visto la partecipazione di 3.844 elettori stranieri (42,48% donne e 57,5% uomini), su un totale di 17.893 elettori, provenienti da 111 diversi Paesi extraeuropei (9.176 donne e 8.717 uomini).

L’attuale Presidente della Commissione è Egi Cenolli, studentessa dell’Uni-versità di Padova.

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3. Partecipanti al Corso per Mentor di comunità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere che hanno ricevuto l’attestato

- Hodan Abdirizak- Valbona Ajazi- Andreia Monica Amarandei - Yeslaine Avila- Lianet Camara- Maria Antonieta Carrillo- Cornelia Chirila- Denada Dedja- Charlotte Djollo- Rodica Dociu- Keltoume Hammadi- Anida Hasic- Cadigia Hassan- Mirela Ismaili- Miranda Kapllani- Solange Koffi Amlan- Florence Kouemo- Andrea Maria Laverde Barrios - Izza Marghadi- Nicole Mwelwa- Hind Nfinif - Teodora Lucia Nicolae - Dativa Niyibaho - Blanca Estela Rodriguez- Alejandra Rotta- Adriana Selfo- Sadia Yussuf Sheik Momamoud- Eriselda Shkopi- Marinka Sirotnjak- Iuliana Sucea- Felistas Wanjiru Gicheru - Rajae Zaroual

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4. Istituzioni e Associazioni che hanno collaborato al Progetto

PADOVA- Acli- Ambulatorio Multietnico Ulss 16- Assessorato Servizi Sociali- Associazione E-sphaira- Associazione Mimosa- Associazione Unica Terra- Associazione Zattera Urbana- Caritas- Centro Veneto Progetti Donna-Auser- Cisi (centro informazione e servizi per immigrati)- Cooperativa Co.ge.s - Cooperativa Città So.La.Re- Cooperativa Nuovo Villaggio- Cooperativa sociale Orizzonti- Cucine economiche popolari- Distretti Socio-sanitari Azienda Ulss 16- Gruppo storytelling quartiere Guizza- Opera Nomadi- Polizia Municipale- Razzismo stop- Servizio di Assistenza Sociale Azienda Ospedaliera- Sindacato CGIL- Sportello Centro Donne dal Mondo- Sportello Rar (richiedenti asilo e rifugiati)- Teatro Continuo- Ufficio Relazioni con il Pubblico Azienda Ospedaliera e Azienda Ulss 16- V.i.d.e.s. Veneto

VALDAGNO- Asilo nido- Assessorato all’istruzione e formazione, politiche per la promozione delle attività culturali, pari opportunità

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- Carabinieri- Centro aiuto alla vita- Cooperativa Itaca- Polizia locale- Scuole dell’infanzia- Scuole primarie- Ulss 5- V.i.d.e.s.

ROVIGO- Arci solidarietà- Caritas

TREVISO- Fuoriclasse – Scuola di Italiano per il Mondo

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______________________________________________________________________Stampato nel mese di aprile 2013

presso C.L.E.U.P. “Coop. Libraria Editrice Università di Padova”via G. Belzoni 118/3 - 35121 Padova (t. +39 049 8753496)

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