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Michel FOUCAULT

Liberare la libertà

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Il fondamento del sapere

• La domanda che anima la filosofia foucaultiana è quella relativa al fondamento del nostro sapere. Quali sono le basi sulle quali si è costruita la cultura, la nostra nozione di verità, il nostro modo di pensare e vedere le cose, i nostri rapporti umani?

• Per rispondere a tali non nuove domande egli si avvale di una metodologia originale che complessivamente possiamo indicare come metodo archeologico-genealogico.

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L’archeologia (L’archeologia del sapere – 1969)

• L’indagine archeologica va alla ricerca di quelle nozioni implicite e scontate che “fanno apparire naturale una certa concezione che è invece espressione di una certa struttura culturale” (Massarenti, 401).

• In ogni tempo esistono condizioni implicite, ossia certi assunti metodologici, certi atteggiamenti verso il mondo, certi modi di pensare e di agire inscritti nel «dna» degli uomini di una data epoca che accompagnano la nascita di una certa visione del mondo e delle cose, e di un certo sapere in un determinato campo, e anzi determinano a volte la nascita di certe discipline culturali.

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A priori storici

• Queste condizioni sono gli a priori storici di quelle discipline, i quali vanno ritrovati con una ricerca minuziosa sul campo, cioè sui documenti di una determinata epoca, e ricostruiti allo stesso modo di come un archeologo ricostruisce un ambiente antico grazie ai reperti ritrovati.

• Gli a priori storici hanno un po’ la stessa funzione di quelli kantiani (ai quali F. si ispira): essere le condizioni di possibilità date in ogni sapere. Solo che gli a priori kantiani sono strutture della soggettività trascendentale, cioè costituzioni del soggetto conoscente che è sempre quello e non muta, mentre gli a priori di F. si costituiscono in un dato momento storico e cambiano da epoca a epoca.

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Foucault sull’archeologia

• “Con archeologia vorrei designare non esattamente una disciplina ma un campo di ricerca, che sarebbe il seguente. In una società le conoscenze, le idee filosofiche, le opinioni di tutti i giorni, ma anche le istituzioni, le pratiche commerciali e poliziesche, i costumi, tutto rimanda a un certo sapere implicito proprio di queste società. Questo sapere è profondamente diverso da quello che si può trovare nei libri scientifici, nelle teorie filosofiche, nelle giustificazioni religiose, ma è esso a rendere possibile in un dato momento la comparsa di una teoria, di un’opinione, di una pratica”

(M. Foucault, Le parole e le cose, intervista con R. Bellour, in Idem, Antologia. L’impazienza della libertà, tr. it. di G. Costa, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 29).

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La genealogia

La dimensione genealogica del metodo foucaultiano attinge a Nietzsche. Il filosofo di Röcken aveva concepito la genealogia quale ricerca che, tornando indietro verso la dimensione originaria di un dato fenomeno culturale, ne coglie la natura profonda in quell’impulso all’autoaffermazione nei confronti del mondo e degli altri uomini che egli chiama volontà di potenza. Ebbene se volontà di potenza è affermazione di un potere, Foucault, ritiene che sempre nelle questioni culturali siano in gioco relazioni di potere. Un dato sapere emerge sempre come effetto di alcuni rapporti di forza, emerge perché riceve la sua forza da una data situazione in cui vi è qualcuno che spinge e vince le resistenze, in una dinamica inesausta di confronto fra spinte contrastanti. La genealogia ricostruisce queste spinte per cogliere l’impulso che contraddistingue una data forma di sapere e l’interesse che essa promuove.

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Strutture epistemiche o epistemi(Le parole e le cose – 1966; L’archeologia del

sapere - 1969)

• La ricerca archeologica e genealogica ci consente di cogliere quegli a priori storici, quei modi di porre i problemi e di pensarli che costituiscono dei veri e propri regimi di razionalità o epistemi (dal greco epistéme = sapere stabile).

• Essi connotano le varie epoche della cultura e sono all’origine e al tempo stesso l’effetto di tutte le produzioni culturali di un dato periodo.

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Individuazione e utilizzo euristico dell’episteme

• Dunque• 1) una volta che si siano indagate

archeologicamente e genealogicamente le condizioni sociali, politiche, economiche e culturali di un dato periodo storico,

• 2) si può stabilirne l’episteme cioè la tendenza fondamentale, il nucleo di idee-base che formano la griglia fondamentale di tutte le espressioni culturali di quel periodo.

• 3) quando poi indagherò singole produzioni di quel periodo, conoscerne l’episteme mi sarà di grande aiuto per comprenderle.

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Foucult sull’episteme

• Così Foucault può affermare: “Quando parlo di episteme intendo tutti i rapporti che sono esistiti in una certa epoca fra i vari campi della scienza […] Sono tutti questi fenomeni di rapporti fra le scienze o fra vari ‘discorsi’ nei vari settori scientifici che costituiscono quella che io chiamo ‘episteme’ di un’ epoca”.

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Importanza dell’episteme

• L’episteme di un determinato periodo delimita anche i campi di ciò che si può e non si può indagare, addirittura delimita e costituisce gli oggetti di indagine, dando luogo a nuove discipline e branche della scienza. Pensiamo per esempio alla nascita della nozione di inconscio come oggetto di studio. Esso è dato da un modo di pensare assolutamente tipico dei secc. XIX e XX, mentre prima tale oggetto non avrebbe neppure avuto la possibilità di essere pensato come oggetto di studio.

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Strutture epistemiche medioevali (analogia e identità)

• Nella storia le strutture epistemiche si succedono senza un legame razionale e senza un senso. Esse quindi possono essere solo descritte, ma non giustificate.

• Nel Medioevo-Rinascimento vi era un modo fondamentale di atteggiarsi di fronte alle cose che era fondato sull’analogia. L’uso analogico della razionalità permetteva di istituire relazioni tra microcosmo macrocosmo e ordinamenti metafisici del mondo. Sotto il profilo linguistico si concepiva un’identità tra la parola e la cosa significata: “le parole avevano la stessa realtà delle cose che esse significavano” (così accade nelle parole dei culti e del mondo sacro), come in un altro ambito della vita, il valore della moneta non era solo indicato ma era il valore del metallo della stessa moneta.

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Strutture epistemiche moderne (classificazione e rappresentazione)

• Nei secc. XVII e XVIII la razionalità assume una forma classificatorio-ordinativa in cui ad ogni cosa si fa corrispondere il segno che la rappresenta. Vi è una sorta di pathos (passione) dell’ordinamento e del sistema che racchiude il vivente in categorie definite e immutabili per poi rappresentarlo con segni adeguati e privi di possibilità di equivoco.

• Linguisticamente si introduce l’idea di rappresentazione. Le parole non sono le cose ma le rappresentano, così come in campo economico la moneta vale non per il metallo di cui è fatta, ma per l’immagine del principe che è stampata e che rappresenta la fonte e la garanzia del suo valore.

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Strutture epistemiche del contemporaneo

Dopo la rivoluzione francese, al pathos della classificazione sincronica si sostituisce quello storicistico e genetico. Mi interessa non tanto e non solo una classificazione di fenomeni che li rappresenti tutti e li renda percepibili in un solo sguardo e in un medesimo tempo, ma la loro storia, la loro origine-genesi e il loro sviluppo diacronico, cioè attraverso diverse epoche.Via via tale paradigma si arricchisce di una prospettiva che va alla ricerca delle strutture nascoste del visibile, cioè quelle impalcature non immediatamente percepibili che sostengono la realtà: per esempio l’impalcatura delle regole grammaticali e linguistiche che sostengono il nostro modo di parlare, l’impalcatura delle regole economiche che sostengono il nostro vivere sociale, l’impalcatura degli epistemi a sostenere la cultura ufficiale di un dato periodo esprimentesi in precise pratiche discorsive ossia le scienze, cioè quanto viene detto sulla realtà.

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Strutturalismo

A tutto ciò si riferisce la corrente dello strutturalismo coeva alla riflessione di Foucault, secondo la quali, i fenomeni linguistici (De Sassure) e quelli sociali e culturali (Levi Strauss) sono governate da strutture anonime. La lingua per esempio come sistema di segni connesso secondo regole è la struttura di quanto noi concretamente diciamo parlando. In ambito antropologico i rapporti di parentela con certi assunti biologico morali nelle civiltà (es. il divieto di incesto), sono la struttura dello sviluppo di una data civiltà.

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Applicazione del metodo

• Una volta esplicitata la metodologia di ricerca di Fuocault si può passare ad uno sguardo sui risultati della sua ricerca, codificati nelle sue opere maggiori, a partire da quello che egli ritenne il suo primo libro vero e proprio, la Storia della follia (1961).

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L’applicazione del metodo:la storia della follia

Da dove proviene il modo in cui noi trattiamo i malati di mente? Qual è l’origine delle istituzioni che abbiamo adibito a tale compito? Qual è il senso che noi attribuiamo allo stesso concetto di follia e di malattia mentale?

Un’indagine archeologica su tali argomenti può contribuire a comprendere la derivazione del fenomeno dall’episteme moderno e precisarne alcune conseguenze, focalizzando l’attenzione su alcune strutture di pensiero ancora operanti nella nostra contemporaneità.

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La storia della follia

La follia rappresenta tutto ciò che scienza, tecnica, razionalismo ed etica borghese hanno represso a partire dal secolo XVIII. Essa si configura come l’episodio di una storia della repressione di quel fondo dionisiaco della vita (Nietzsche) che viene conculcato attraverso una rigorosa definizione di ciò che è giusto, lecito, razionale, e funzionale allo sviluppo ordinato della società.

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Il presupposto della libertà• Tale considerazione evidenzia ex contrario alcuni assunti

diremmo etico-filosofici di Foucault, che connotano il suo atteggiamento di ricerca. Egli respira da un lato un clima esistenzialistico che esalta la dimensione della libertà, dall’altro egli intende la libertà stessa non come progetto politico-razionale, ma come rivolta anarchica totale, cioè come la ricerca utopica di una dimensione di originaria assenza di qualsivoglia costrizione, che attraversi anzitutto gli aspetti finiti della personalità umana, le dimensioni edoniche e pulsionali, il desiderio, l’istintuale, l’orgiastico.

• Lungi da affidarsi a progetti politici o a filosofie emancipative della storia, egli ritiene che la letteratura e l’arte siano gli strumenti più efficaci per oltrepassare i limiti del dato, della costrizione culturale, sociale, economica, etica e poliziesca, per attingere ad un universo di trasgressione anarchica e di libertà cosmica.

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Archeologia di un silenzio

• La ragione occidentale progressivamente riduce a silenzio il fondo dionisiaco dell’umano. Foucault intende fare l’ «archeologia di questo silenzio». (M. Foucault, Storia della follia, prefazione del 1961 in Idem, Antologia. L’impazienza della libertà, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 10), individuandone la nascita all’interno della cultura o meglio dell’episteme sei-settecentesca e il suo perdurare sino ad oggi nelle forme tipiche del contemporaneo.

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La nascita del concetto dalle pratiche di esclusione

• Anzitutto bisogna sottolineare che lo stesso concetto di follia non riguarda fenomeno già dato, ma è studiato nel suo prendere vita a partire da concrete e storiche pratiche di esclusione alle quali, in un dato momento, alcuni uomini sono stati sottoposti nelle loro società.

• Esse comportano la separazione del territorio della normalità, della socialità e della quotidianità accettata, da un ESTERNO in cui regnano la mancanza di senso e di ragione, la SRAGIONE, come la chiama F.

• A partire da questo gesto si comincia a definire il concetto moderno di follia e il trattamento degli uomini segnalati con le stigmate del folle.

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Il Medioevo • Vi sono tre fondamentali momenti dello sviluppo

dell’atteggiamento nei confronti della follia il cui esito è la sua manifesta repressione.

1) Il Medioevo-Rinascimento, epoca in cui l’insensato è escluso ma protetto perché incarna la critica alle pretese della ratio e la coscienza della tragicità dell’esistenza umana. Il mondo umano con tutte le sue preoccupazioni è follia agli occhi di Dio, mentre reciprocamente, come accade in Niccolò Cusano, la saggezza di Dio non può che essere follia per gli uomini: «La saggezza di Dio, quando se ne può scorgere lo splendore, non è una ragione a lungo velata, ma una profondità smisurata. Il segreto conserva in essa tutte le dimensioni del segreto, la contraddizione non cessa di contraddirsi sempre, sotto il segno della contraddizione principale che esige che il centro stesso della saggezza sia la vertigine di ogni follia» (M. Foucault, Storia della follia, tr. it. di F. Ferrucci, Rizzoli, Milano 1963, p. 38).

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Poteri oscuri della miseria e rispetto medievale del folle

Egli è inoltre depositario di una sacralità «dovuta anzitutto al fatto che per la carità medievale, egli partecipava ai poteri oscuri della miseria. Egli la esaltava forse più di ogni altro. Non gli si faceva forse portare il simbolo della croce, ritagliato nei suoi capelli? Sotto questo simbolo Tristano si è presentato per l’ultima volta in Cornovaglia, ben sapendo di avere in tal modo diritto alla stessa ospitalità di tutti i miserabili; e, pellegrino dell’insensato, col bastone appeso al collo e la croce ritagliata sul cranio, era sicuro di entrare nel castello del re Marco: «Nessuno osò impedirgli il passaggio alla porta, ed egli attraversò la corte imitando lo sciocco con grande gioia dei servitori…» (Tristan et Iseut -ed Bossuat- , p. 220 in M. Foucault, Storia cit., p. 67).

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Epoca dell’assolutismo (per Foucault, l’età «classica»)

2) Età classica (epoca dell’assolutismo, seconda metà del Seicento)L’esclusione della follia viene elaborata in perfetta coerenza con la struttura epistemica dell’epoca. Il pathos della schematizzazione razionalistica e della classificazione, costruisce la categoria di follia come l’estraneo rispetto alla ragione. Anzitutto ciò avviene sul piano teoretico. Cartesio nelle Meditazioni metafisiche contrappone in modo assoluto i due ambiti contro l’antica tradizione viva ancora in Erasmo e Montaigne secondo cui il folle è il toccato da Dio, persona sacra e portatore di saggezza profonda e incomprensibile: «La non ragione del XVI secolo formava una sorta di rischio aperto, le cui minacce potevano sempre, almeno di diritto, compromettere i rapporti della soggettività e della verità. Il procedere del dubbio cartesiano sembra testimoniare che nel XVII secolo il pericolo è scongiurato e che la follia viene posta fuori dal dominio di pertinenza nel quale il soggetto detiene i suoi diritti alla verità […]. Ora la follia è esiliata.» (M. Foucault, Storia cit., p. 53).

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Età classica, l’internamento

Ma tale forma di esclusione ed esilio avviene anche nella società e nelle sue strutture. Nel 1657 Luigi XIV costruisce «Ospedale generale», una struttura di internamento con la quale si intendeva «impedire la mendicità e l’ozio come fonte di disordine» (Foucault, Storia, cit., p. 68) e in tal quadro affrontare il problema del vagabondaggio, dell’accattonaggio, della povertà estrema e dell’emarginazione. Una sorta di patto implicito vuole che il vagabondo e l’emarginato vedano riconosciuto il proprio diritto ad essere nutriti, se accettano di perdere la libertà ed essere rinchiusi nella struttura dove verranno rieducati al lavoro per poter godere, nell’esclusione, di una sorta di tolleranza sociale. È così che inizia quello che F. chiama il «Grande internamento»: i folli fino ad allora tollerati, sono rinchiusi assieme a libertini, prostitute, mendicanti, delinquenti, cioè tutti coloro che oggettivamente ostacolano l’affermarsi dell’etica borghese della famiglia che avvia e introduce al lavoro produttivo.

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Età classica, l’internamento (2)

«A partire dalla creazione dell’ Ospedale generale ce dall’apertura delle prime case di correzione in Germania e in Inghilterra, e fino al termine del XVIII secolo, l’età classica rinchiude. Rinchiude i dissoluti, i padri dissipatori, i figli prodighi, i bestemmiatori, gli uomini che ‘tentano di sopprimersi’, i libertini. E delinea […] l’esperienza particolare che essa fa della sragione. Ma in ogni città si trova inoltre tutta una popolazione di folli. Circa la decima parte degli arresti operati a Parigi per l’Ospedale generale concerne individui ‘insensati’, uomini ‘in demenza’, persone ‘dallo spirito alienato, o ‘ diventate del tutto folli’ Fra questi e gli altri nessun segno di differenza» (p. 113).Che i folli vadano assieme agli esclusi è sintomo inequivocabile dell’esclusione della follia: un gesto tipico che ha come conseguenza l’internamento cioè la stretta delimitazione di confini insuperabili per i soggetti catalogati come «fuori dalla ragione».

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Il XIX secolo: la medicalizzazione

3) La terza fase è quella successiva alla Rivoluzione francese, cioè il XIX secolo. Tale periodo vede il sorgere dei primi veri e propri manicomi . Ciò comporta uno spostamento concettuale: il folle da emarginato confinante con la delinquenza diviene malato di mente. Il folle viola l’etica borghese del lavoro, non può entrare neanche forzatamente nelle dinamiche produttive, è del tutto refrattario ad ogni normalizzazione sociale. Da questa forzata separazione dal resto della società nasce l’idea che la follia sia una forma di alienazione che richiede trattamenti particolari e addirittura una disciplina specifica che ne studi patogenesi e sintomatologia abbozzando le prime ipotesi eziologiche e terapeutiche. La follia viene medicalizzata, nasce la psichiatria come disciplina medico scientifica. Così la follia diventa la non verità che viene trattata dalla verità della scienza, la sola a poter stabilire discrimine tra normalità e anormalità.

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Riconoscimento della specificità della follia

• Ciò comporta un riconoscimento di specificità che implica la separazione dei folli dai delinquenti e dai reprobi, ma una nuova forma di internamento medicalizzato. Foucault ha riassunto tutto ciò in una tabella molto esplicativa (cfr. Foucault, Storia, cit., p. 391).

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Forme di liberazione Strutture di protezione

Soppressione di un internamento che confondeva la follia con tutte le altre forme della sragione.

Designazione di un internamento non più terra di esclusione ma luogo privilegiato in cui la follia deve raggiungere la propria verità.

Costituzione di un asilo che si propone un fine esclusivamente medico.

Imprigionamento della follia in uno spazio invalicabile che sia luogo di manifestazione e contemporaneamente di guarigione.

Acquisizione da parte della follia del diritto ad esprimersi, di essere ascoltata, di parlare a proprio nome.

Elaborazione intorno e al di sopra della follia di una specie di soggetto assoluto che è tutto sguardo e le conferisce uno statuto di puro oggetto.

Introduzione della follia nel soggetto psicologico come verità quotidiana della passione, della violenza e del delitto.

Inserimento della follia all’interno di un mondo non coerente di valori e nei giochi della cattiva coscienza.

Riconoscimento della follia nel suo ruolo di verità psicologica, come determinismo irresponsabile.

Separazione delle forme della follia secondo le esigenze dicotomiche di un giudizio morale.

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Esiti della medicalizzazione Dunque in sostanza, malgrado i riconoscimenti, la medicalizzazione non apporta significative novità nella condizione del folle come escluso, segregato e represso. Anzi si potrebbe dire che le forme di repressione e contenimento diventando più sottili, diventano anche più sistematiche.

ALLA FINE DELL’OPERA F. indica alcune vie per ridare voce alla follia:Nell’arte con Goya e Artaud, in filosofia con De Sade e Nietzsche la follia potrebbe essere ricompresa come espressione della percezione tragica dell’esistenza umana, delle sue contraddizioni dalle forme mostruose e inquietanti perché irrisolvibili nella forma compiuta e serena della pura ragione e come distruzione dei valori del razionalismo borghese che tutto vorrebbe irrigimentare all’interno di un sistema sociale normalizzato e razionalizzato in funzione della massimizzazione dell’utile.La Storia della follia può essere considerata atto d’accusa contro psichiatria tradizionale, contro la struttura del manicomio e il maltrattamento malati di mente cioè un testo che anticipa i temi dei movimenti antipsichiatrici.

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Dall’archeologia alla genealogia (L’ordine del discorso 1970, Sorvegliare e punire 1975– La volontà di sapere

1976)

Nella fase matura della riflessione focaultiana il nostro autore insiste più sulla dimensione genealogica della ricerca, la quale punta ad individuare la radice di potere di determinati discorsi (sistemi di sapere relativamente chiusi, autosufficienti e autoregolantisi, come la scienza psichiatrica,che danno luogo ai loro oggetti, come per es. la follia, ma anche determinano e dominano i modi di vita dei soggetti che li affermano). Dopo che dei discorsi ha individuato l’ “archivio”, cioè il complesso di regole anonime o a priori storici che ne regolano il dispiegarsi in dati periodi, ora l’indagine punta a ricostruire le trame di forze che hanno accompagnato il loro affermarsi come verità (volontà di potenza e volontà di verità nietzschianamente coincidono).

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Microfisica del potere

Già nella Storia della follia emerge il ruolo determinante del potere nel produrre i discorsi e le dinamiche di repressione. Successivamente F. affronta tali dinamiche in diversi ambiti come la politica, la sessualità, l’etica.Qui emerge il rapporto fondativo che ha il potere rispetto al discorso ritenuto vero, alla disciplina «scientifica». Si tratta tuttavia di un potere non da intendersi come un moloch fisso, statico e ben identificabile, ma qualcosa di fluido che si esprime in una catena di rapporti, una rete di relazioni che si ristrutturano continuamente e che attraversano ogni aspetto, anche il più insignificante, della vita umana. Perciò la disciplina che lo studierà sarà un microfisica del potere (cfr. l’antologia omonima del 1977).

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Definizione del potere (1)

• “Con potere non voglio dire “il Potere”, come insieme di istituzioni e di apparati che garantiscono la sottomissione dei cittadini in uno Stato determinato. Con potere non intendo nemmeno un tipo di assoggettamento, che in opposizione alla violenza avrebbe la forma della regola. Né intendo, infine, un sistema generale di dominio esercitato da un elemento o da un gruppo su un altro, ed i cui effetti, con derivazioni successive, percorrerebbero l’intero corpo sociale. L’analisi in termini di potere non deve postulare, come dati iniziali, la sovranità dello stato, la forma della legge o l’unità globale di una dominazione, che ne sono solo le forme ultime…”

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Definizione del potere (2)

• “…Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o, al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le strategie infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno generale o la cui cristallizzazione istituzionale prendono corpo negli apparati statali, nella formazione della legge, nelle egemonie sociali” (M. Foucault, La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli, milano, 1978, p. 81).

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Significato della definizione di potere

Il cuore della definizione è certamente la frase che parla della “molteplicità di rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano”. Che cosa è tale “molteplicità di rapporti di forza”? Dobbiamo immaginare una data situazione umana, circoscritta come un ambiente (di qualsiasi tipo: svago, lavoro, amore, gioco, politica, scienza, economia, territorio, istituzione, scuola, etc.). Foucault dice che in ogni situazione umana è presente una molteplicità di forze: volontà di affermarsi, di fare, di disfare, di decidere, di esprimersi, di far tacere altri e così via. Tali forze, tali energie entrano in un variegato rapporto fra loro, proprio nel campo, cioè nella situazione umana, in cui esse si esercitano e prendono vita. Tale rapporto va via via organizzandosi, ma mai in modo definitivo. L’organizzazione di tali forze, che vede il prevalere di qualcuno su qualcun altro in determinate occasioni è fluida e in continuo movimento, producendo di volta in volta i suoi effetti ultimi, cioè le diverse configurazioni istituzionali del Potere tradizionalmente inteso.

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Normalizzazione e controllo• Il potere, complessivamente considerato in una data

epoca e in un dato contesto di civiltà, nella sua tendenza dominante non si esprime sempre in modo costrittivo e autoritativo, ma anche e soprattutto in modo obliquo e strategico. Le sue sono strategie di convinzione, indirizzo, rinforzo attraverso premi o punizioni, influenza indiretta, controllo e contenimento dei comportamenti.

• Ciò avviene tramite l’uso oculato di dispositivi finalizzati a questo. Che cosa è un dispositivo? Vediamo che cosa pensa a proposito il filosofo Giorgio Agamben che ha affrontato tale tema focaultiano in un suo recente testo (Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006).

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Il dispositivoGiorgio «Agamben ricostruisce la logica di funzionamento del termine dispositivo nel discorso teorico di Foucault. E ipotizza che essa sia intrecciata con una certa eredità hegeliana che giunge a lui tramite l’insegnamento di Jean Hyppolite, suo illustre predecessore alla cattedra del Collége de France. In un testo dedicato al pensiero di Hegel, Hyppolite sottolineò, con evidenza, il ruolo del termine “positività” nel giovane Hegel. Questo termine indicava come l’elemento storico consiste in “un carico di regole, riti, e istituzioni che vengono imposti agli individui da un potere esterno, ma che vengono, per così dire, interiorizzati nei sistemi delle credenze e dei sentimenti ”. Questa definizione è analoga a come, infatti, Foucault definisce il dispositivo.Foucault, quindi, sottolinea che il potere non è il luogo della violenza bruta, al contrario esso agisce tramite dispositivi che funzionano attraverso la produzione di un soggetto. In altri termini, se pensiamo a certi istituti come la confessione, Foucault ci mostra che in essi si determina innanzitutto una procedura volta ad oggettivare la condotta di un soggetto, il quale a sua volta è costretto a prendere posizione rispetto a se stesso. La”libertà” del soggetto e la sua assunzione di responsabilità di fronte a se stesso, cioè, sono elementi funzionali all’operatività di un dispositivo; anzi, è il dispositivo stesso a produrre le condizioni di manifestazione del soggetto, a prevederne e invocarne l’evidenza storica.

Mentre le teorie classiche del potere ruotano intorno a una concezione della forza che tende a identificarsi, necessariamente e in ultima istanza, con la violenza e la repressione, Foucault ci mostra come le condizioni di esercizio effettivo del potere abbiano di mira la costituzione della libertà del soggetto». Igino Domanin in www.ariannaeditrice .it

In sostanza il dispositivo è un sistema di regole che passano per la coscienza del soggetto e premono perché essa venga fuori nella direzione voluta dal potere attraverso una serie di condizionamenti istituzionali, morali, psicologici, emotivi, culturali. Potremmo dire che il dispositivo è il potere in quanto condiziona dall’interno la libertà umana.

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La società disciplinare

• In Sorvegliare e punire (1975) tale prospettiva sul potere viene analizzata in vista della denuncia della nascita di una società disciplinare che, negli istituti detentivi, nati nella prima metà dell’Ottocento, sostituisce l’intento di vendicare o retribuire i crimini, con quello di regolamentazione totale dell’individuo, sin negli aspetti più profondi della sua anima, resi oggetto del provvedimento di coercizione carceraria.. L’idea diventa pian piano quella della correzione dell’anormale.

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Il fine della “penalità”

“La penalità nel XIX secolo ha come obiettivo, in maniera sempre più insistente, non tanto la difesa generale della società, quanto il controllo e la riforma morale degli individui […]. Tutta la penalità del XIX secolo diviene un controllo non tanto di quello che fanno gli individui – è conforme o no alla legge? – ma di quello che possono fare, di quello che sono capaci di fare, di quello che sono inclini a fare, di quello che sono in procinto di fare. Così la grande nozione della criminologia e della penalità, verso la fine del XIX secolo, è stata la scandalosa nozione, in termini di teoria penale, di pericolosità” (M. Foucault, La verità e le forme giuridiche, in Idem, Antologia, cit., p. 85).

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La sorveglianza universale e l’ideologia del panopticon

• «Nel 1791, l'utilitarista britannico Jeremy Bentham pubblicò un progetto di carcere modello, che battezzò col nome di Panopticon. Bentham immaginò un edificio semi-circolare, al cui centro era collocata la sede dei sorveglianti, mentre le celle si trovavano lungo la circonferenza e erano interamente esposte allo sguardo delle guardie; dei muri isolavano i prigionieri l'uno dall'altro, così da render loro impossibile vedersi e comunicare reciprocamente. La torre di sorveglianza, con un sistema di imposte, permetteva di vedere senza essere visti. In questa maniera, ciascun prigioniero - non potendo mai avere la certezza di non essere sorvegliato - si sarebbe sempre comportato con disciplina. Come nota David Lyon, in questa parodia laica dell'onniscienza divina, l'invisibilità e la conoscenza - o lo sguardo - asimmetrici sono una garanzia di potere e di introiezione della sua volontà nei soggetti, che non possono mai sentirsi sicuri di essere soli, grazie all'ingegnosità strumentale del dispositivo di sorveglianza». (http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/panopt.htm)

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Foucault sul panopticon

• «L’effetto principale del panopticon è indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità, capace d’assicurare quella che è la funzione automatica del potere: far sì che la sensazione del controllo sia permanente anche laddove la sua attuazione è discontinua; obbligare il detenuto alla sensazione di essere controllato ed osservato costantemente, pure se questa percezione non gli è possibile da verificare. Quindi fondamentale non è la presenza ininterrotta del sorvegliante, bensì che il detenuto ne abbia solamente la sensazione. Siamo così giunti all’idea di un’alterità fisicamente determinata. È l’idea che Foucault chiamerà bio-politica, ovvero la presenza del potere fin nelle più piccole particelle del corpo della persona. Una presenza non necessariamente fisica, ma che è sufficiente sentire-percepire.

• Grazie a questa inestinguibile sensazione, il detenuto avrà sempre davanti l’alta torre centrale, ma non saprà mai se il sorvegliante è presente al suo interno. La torre infatti possiede delle persiane che coprono le finestre e non ne permettono la visione interna; delle chicanes, al posto delle porte, per evitare ad ogni minimo riverbero di lasciar trasparire la presenza del guardiano.

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Foucault sul panopticon (2)

• Ecco perché il panopticon è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti. Infatti, mentre nell’anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere, viceversa nella torre centrale si vede sempre, senza mai essere visti.

• Oltre a quanto riportato, il panopticon si basa altresì su una relazione fittizia: non è necessario far ricorso alla forza per costringere il condannato alla buona condotta, il pazzo alla calma, lo scolaro alla buona educazione. Le istituzioni sulla base del panopticon non hanno inferriate o catene perché basta che le separazioni siano nette e le aperture ben disposte. Questa del panopticon è una geometria della certezza e non della fortezza, la forza costrittiva e il controllo della diversità passa attraverso una chiara superficie di applicazione.

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Foucault sul panopticon (2)• Bentham non lo dice, Foucault però lo ricorda: il panopticon si è principalmente

ispirato al serraglio del re che l’architetto Le Vaux aveva costruito a Versailles (poi andato distrutto, ma di cui rimangono tuttora progetti e disegni). Esso fu importante perché rappresentò il primo serraglio in cui gli animali non erano disseminati in un parco. Differentemente, vi era un padiglione ottagonale che al primo piano comprendeva l’unica stanza del re e i cui lati si aprivano con ampie finestre su sette gabbie; l’ottavo lato era l’ingresso, dove erano rinchiuse varie specie di animali. All’epoca di Bentham questo serraglio era scomparso, ma nel programma del panopticon si trova un’analoga preoccupazione per l’osservazione individualizzante, per la caratterizzazione e la classificazione, per l’organizzazione analitica dello spazio. Il panopticon è un serraglio del re. L’animale è sostituito dall’uomo e questo dovrebbe farci riflettere circa il modo di rapportarsi all’alterità: rispetto all’altro si ha un atteggiamento naturalista e scientista e osservare l’altro, senza avvicinarlo per paura del contagio, analizzarlo e catalogarlo, entro parametri determinati, è la modalità di rapportarsi alla diversità perseguita dalla modernità.

• Dunque panopticon è per eccellenza luogo di sperimentazione, di analisi e di controllo. (http://www.silsismi.unimi.it/SILSISMI/Indirizzi/Indirizzi_doc/scienze_educazione/foucault%)

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Sesso

• La sessualità nell’epoca contemporanea diventa anch’essa oggetto dell’attenzione del potere secondo una strategia estremamente raffinata. Non è tanto la tabuizzazione del sesso, bensì la fuoriuscita del sesso dall’ambito della prassi per divenire oggetto del discorso a normalizzare e contenere la dimensione libidica. E’ proprio l’affiorare del sesso al livello del discorso veritativo, detenuto in modo privilegiato dalla scienza, a costituire lo strumento di controllo concettuale della sessualità. Attraverso il discorso emergono le strategie di contenimento promosse poi praticamente dalla società.

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Misure di normalizzazione

• Pedagogizzazione del sesso per indirizzarlo su pratiche adulte considerate morali (divieto della masturbazione);

• L’isterizzazione del corpo della donna, considerato niente più che un utero per la riproduzione (donna madre o non-madre);

• La psichiatrizzazione del piacere perverso con la ricerca di dimensioni patologiche che s classificano l’intera personalità

• La socializzazione delle condotte procreatrici affinché la condotta riproduttiva sia regolamentata e orientata a fini sociali

(cfr. S. Givone – F. P. Firrao, Filosofia, vol. III a cura di F. Moriani, Bulgarini, Firenze, 2012, p. 602).

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Biopolitica

• Ultima fase della riflessione di F. è incentrata sul tema della biopolitica, cioè del rapporto tra il potere e la vita. La biopolitica si avvale di un biopotere che si esercita sui corpi e sui loro processi biologici (nascita, morte, riproduzione, malattia) in “termini di utilizzazione e controllo come mezzi di produzione” (Givone, cit., p. 603). Ciò è visibile nelle politiche moderne di regolamentazione delle nascite e della popolazione. Il potere sulla vita sostituisce l’antico potere sovrano di dare la morte. La vita come spazio vitale, salute, benessere, sostituisce nei progetti del potere il classico espansionismo politico - cfr il Lebensraum o spazio vitale nazista come oggetto di rivendicazione che conduce alla guerra cioè dunque all’ uccisione reciproca «in nome della necessità di vivere» (Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano, 1991 p. 39).

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Biopotere e scienza medica

Il biopotere va naturalmente di pari passo con lo sviluppo della medicina per organizzare la società in base alla distinzione dicotomica tra sano e malato che implica quella morale-sociale tra ciò che è normale e ciò che è deviato:

all’interno di tale progetto si collocano l’esaltazione della salute e della forma corporea, dell’igienismo e della pulizia, della vita pienamente fiorita e sicura, anche sotto il profilo economico (assicurazioni sulla vita), fino a giungere all’eugenetica, cioè alla selezione di individui aventi determinate caratteristiche considerate positive rispetto all’eliminazione di coloro che tali caratteri non possiedono.

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Processi di liberazione

Il secondo e il terzo volume della Storia della sessualità, intitolati rispettivamente L’uso dei piaceri e La cura di sé (il primo era La volontà di sapere), cercano di analizzare la costituzione del soggetto etico a partire dalla concezione antica della “cura di sé” intesa come lavoro su se stessi per rendersi liberi, per realizzarsi eticamente come persone, per diventare padroni delle proprie espressioni corporee e mentali, contro la doxa (opinione) comune e le sue illusioni.

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Cura di sé e soggettivizzazione

• La cura di sé è una pratica di soggettivizzazione, cioè qualcosa che noi dovremmo mettere in atto per difenderci come soggetti autonomi contro il potere. È una “tecnologia del sé” cioè una serie di azioni pensate e metodologicamente sistematiche per agire e trasformare se stessi, sia sotto il profilo corporale sia sotto quello dell’anima sempre in funzione di difesa contro il potere. Quest’ultimo non è eliminabile, ma ad esso è opponibile la costruzione lenta e faticosa di una certa autonomia soggettiva. Questa viene chiamata da Foucault “disassoggettamento” ovvero processo che permette di emanciparsi da un “assoggettamento” da una schiavitù nei confronti di un potere.

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La filosofia e il disassoggettamento

• Tale è da sempre stato il compito critico della filosofia, la cui finalità è sempre stata quella di permettere al soggetto di “darsi una morale”, riducendo al minimo l’influenza dei “giochi di potere” (M. Foucault L’etica della cura di sé come pratica di libertà, p. 305), e consentendo a ciascuno di fare della propria vita qualcosa di bello. Ciò consente anche di opporre una precisa entità soggettiva alle strutture anonime che vorrebbero governare l’esistenza (secondo quanto aveva sottolineato lo strutturalismo, che in tale frangente esige di essere superato).

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Il soggetto contro l’oggettività matematizzante del sapere cartesiano

• Così il soggetto, come persona nella sua pluralità di dimensioni razionali e affettive, con la sua struttura desiderante e progettante, con la complessità della sua vita biologico-mentale alla ricerca inesausta del suo centro, che noi indichiamo come “io”, si oppone anche a quella dimensione di evidenza oggettiva e assoluta indicata da Cartesio come criterio della verità. Ad esso viene sostituito, tramite la cura del sé, un soggetto “ascetico” che con lo sforzo di valorizzazione del sé – attraverso la cura socratica del conosci te stesso - si fa portatore di un’istanza soggettiva, vitale e vissuta di verità, a soppiantare l’impersonalità anonima della scienza.

• Ecco in ultimo lo scopo emancipativo di tutta la riflessione di Foucault: un sapere costruito dal soggetto per il soggetto, contro saperi e poteri – intersoggettivi e/o oggettivi e anonimi - che sovrastano e schiacciano con la loro forza macchinale e impersonale la vitalità espansiva dell’io e la ricerca della sua realizzazione possibile.

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