Messaggero 2010-09 Gen-Mar

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I sacramenti: Riconciliazione Dieci minuti per te Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare Gennaio Marzo 2010 Rivista trimestrale - anno C 9

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Trimestrale di formazione e spiritualità francescana

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I sacramenti: Riconciliazione

Dieci minuti per te

Messaggio dalla Madonna del Sasso

Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare

GennaioMarzo2 0 1 0

Rivista trimestrale - anno C

9

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io MESSAGGERORivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccinidella Svizzera Italiana - Lugano

Comitato di Redazionefra Callisto Caldelari (dir. responsabile)fra Ugo Orellifra Edy Rossi-Pedruzzifra Michele RavettaClaudio Cerfoglia (segretariato)E-Mail [email protected]

Hanno collaborato a questo numero Mario Cortifra Agostino Del-PietroGino DriussiAlberto LeporiGabriella Modonesifra Andrea Schnöllerdon Sandro Vitalini

Redazione e AmministrazioneConvento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 LuganoTel +41 (91) 922.60.32Fax +41 (91) 922.60.37

Internet www.messaggero.chE-Mail [email protected]

Abbonamenti 2010Per la Svizzera:ordinario CHF 30.-sostenitore da CHF 50.-CCP 65-901-8

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CopertinaCrocefissione, dipinto su tela.Autore fra Roberto

Fotolito, stampa e spedizioneRPrint - Locarno

Intervista a don Sandro Vitalini 4

Storia del sacramento 6della Riconciliazione

Storia di un ex-voto 9

La povertà e San Francesco 11Mario Corti

Via Crucis (inserto staccabile)

Le pagine dell’OFS 22

Il programma 2010 24al Convento del Bigorio

Il silenzio che genera la parola 26fra Andrea Schnöller

Appunti di vita ecclesiale 28Alberto Lepori

La Comunità di lavoro delle Chiese 30in Ticino compie 10 anniGino Driussi

Abbiamo letto... abbiamo visto… 32

Note importantiCompilando la polizza per l’abbonamento non mancate

di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita.

Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione.

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Continuiamo a presentare i vari sacramenti. In questo numero trattiamoquello della penitenza, forse il più necessario, ma che trova le maggiori dif-ficoltà ad essere richiesto, probabilmente per una cattiva impostazione

dello stesso.Invece di presentarlo come il sacramento della conversione, si insiste a chia-marlo il sacramento della confessione, dando importanza ad una parte – l’accusa dei peccati – e non al tutto, la conversione, il cambiamento (in meglio)di vita.Questo nostro sforzo di offrire una catechesi sacramentale aggiornata è moltoapprezzato da alcuni uffici diocesani, che hanno chiesto al Consiglio Regionaledei Cappuccini della Svizzera Italiana il permesso di inserire in agili libretti suisacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo – Cresima – Eucaristia) gli ap-porti comparsi su questa nostra rivista a firma di don Sandro Vitalini e di P. Cal-listo. Il Consiglio ha acconsentito ben volentieri, sperando che anche per glialtri sacramenti si usino questi articoli, in modo da rendere un servizio alla pa-storale diocesana più completo. Sappiamo inoltre che diversi allievi dei vari corsidi Bibbia e catechesi che si tengono in Diocesi sono venuti a conoscenza delnostro “Messaggero” e lo hanno apprezzato; noi speriamo che si abbonino,perché l’aumento di chi riceve e paga la rivista è fondamentale per la sua esi-stenza.Anche ai fratelli e sorelle dell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera Ita-liana l’appello a trovare abbonamenti; dalla fondazione (eccetto un piccolo pe-riodo) il Messaggero è stato il loro foglio ufficiale; lo leggano e lo diffondono,contribuendo così a seminare, oltre lo spirito evangelico anche lo spirito fran-cescano che è una delle più autentiche interpretazioni del Vangelo. La grande novità di questo numero è un inserto tipicamente pasquale. Si trattadi una Via Crucis dettata da P. Callisto durante un pellegrinaggio della Comu-nità del S. Cuore di Bellinzona in Terra Santa. Fu tenuta nel centro di Gerusa-lemme, in quella strada chiamata “Via dolorosa” che Gesù deve aver percorsoandando dalla Torre Antonia al Calvario. Essa cerca di porci delle domande cheriguardano la nostra vita. Ogni stazione riflette una situazione umana e ponedegli interrogativi. Sulla “Via dolorosa” c’era il tempo, da una stazione all’altra– pur tra il vociferare delle persone che trafficavano, di meditare e di rispondereinteriormente a questi interrogativi. In una funzione religiosa, in chiesa o al-l’aperto, dovrebbe essere intercalata, da un minuto di silenzio prima di ognipreghiera.Con l’augurio di aver fatto un servizio ai sacerdoti per le prossime ricorrenze li-turgiche, la Redazione augura a tutti “Buon Pasqua”.

la redazione

Lettera della Redazione

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Intervista a don Sandro Vitalini

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ico Il sacramento del perdono

Sacramento del perdono? O della penitenza? O confessione? Che senso hanno questi nomi?

Consiglio di usare il termine sacramento della riconcilia-zione o del perdono. Il termine di “penitenza” traduce ilgreco “metanoia”, che significa conversione, cambiamentoradicale di impostazione di vita, ma fa pensare a flagelli,asprezze, masochismi non in linea col Vangelo. Il terminedi confessione è riduttivo, perché il perdono non dipendeda ciò che si dice, ma da ciò che si è. Se io rubo e poi re-stituisco, il perdono mi è dato perché ho mutato il mio at-teggiamento interiore. La dottrina classica ha sempreinsegnato che la contrizione perfetta – un rovesciamento dicomportamento per rapporto al peccato commesso – im-plica sempre il perdono. Il “sole” della misericordia divinasplende sempre su di noi; se noi apriamo le “imposte” dellacontrizione, la luce della sua bontà ci penetra e divinizza.Si noti che questo principio vale per ogni uomo: chi si aprealla verità, all’onestà, alla giustizia, è invaso dall’amore tri-nitario, anche se lui lo ignora. La divinizzazione è vera-mente possibile a tutti. Il Padre ci ha creati per mantenerciper sempre in un rapporto di gioiosa filiazione.

E’ un sacramento in crisi; molti sacerdoticonstatano che non ci si confessa più. Secondolei, quali sono le ragioni?

Lo diciamo in crisi, ma non è così dappertutto. Se noi pre-vediamo luoghi, tempi, confessori umani e pazienti a di-sposizione di tutti, progressivamente si riscoprel’importanza del sacramento inteso anche come aiuto aduna conversione progressiva. Il perdono è offerto univer-salmente a chiunque si pente, come la guarigione è possi-bile a tutti grazie agli anticorpi. Ma i medici restanoessenziali! Così i preti, avendo a disposizione un congruotempo e potendosi trovare in un luogo arioso, luminoso,accogliente, possono aiutare noi tutti a migliorare la nostrasituazione di fede. Ad una sposa, ad esempio, che confessad’aver lavorato in festa, di essere stata distratta nelle pre-ghiere e di aver insultato il marito, il confessore dovrà farpresente che lo sferruzzare di domenica davanti alla televi-sione o pensare ai propri acciacchi durante la preghiera nonsono peccati; bisognerà invece lottare, con un propositofermo, per dialogare con lo sposo, chiedergli scusa, por-tarlo magari a una preghiera e ad una attività caritativa co-mune. Le confessioni fatte “in serie” non erano serie! Ilsacramento va riscoperto ex novo e deve aiutare i fedeli arespirare nella libertà e nella gioia come figli di Dio. Un dia-logo positivo (fatto di tanto ascolto) aiuta il fedele a capire

che l’incontro personale con il confessore è una grazia, unsollievo, un conforto.

Si dice che questo sacramento concede il perdonodi Dio. Ma Dio può essere offeso dall’uomo cosìche lo stesso uomo debba essere da luiperdonato?

Dio è l’eterno immutabile perdono. E’ l’uomo che deve vol-gersi verso una vita corretta e riparare il male fatto al pros-simo così che esperimenti (come l’Innominato delManzoni) il conforto dolcissimo del perdono di Dio, per-dono illimitato, pieno, assoluto. La maggioranza degli uo-mini è chiamata ad ottenere questo perdono solo conl’autoguarigione derivata dalla contrizione. In quest’operadi contrizione possiamo essere aiutati da persone che cicorreggono, ci spronano, ci confortano. Più noi ci sfor-ziamo di vivere nell’amore al servizio del prossimo, megliodiscerniamo le nostre mancanze. Se cresce in noi la luce, fi-niamo per scorgere in noi quel pulviscolo atmosferico cheda una parte ci umilia e dall’altra ci butta nelle braccia delPadre. Il processo di conversione continuerà anche in pa-radiso, nel senso che la nostra persona si aprirà sempre piùalla Trinità e ancor meglio si sentirà piccola per rapporto al-l’oceano infinito di amore nel quale sarà immersa per tuttal’eternità.

Molti dicono che loro chiedono direttamenteperdono a Dio e si domandano perché devonoconfessarsi davanti a un sacerdote.

E’ giusto e necessario confessarsi a Dio, che scruta i cuori. E’lui solo che perdona! E’ una grazia però potersi confrontarecon la parola di Dio e accogliere consigli e correzioni. Sarebbeda stolti pensare che da soli ci dirigiamo egregiamente. NellaChiesa primitiva e fino al settimo secolo non si è conosciutala confessione privata. Si aveva solo quella pubblica per i cri-mini come l’assassinio e il concubinato o l’idolatria. Il ve-scovo imponeva un’ardua penitenza e concedeval’assoluzione dopo che quella era stata espletata (per es. pel-legrinaggio a Gerusalemme o a Compostela). Per le colpemeno gravi si ricorreva a pratiche penitenziali come il digiunoe l’elemosina e ci si faceva aiutare anche da monaci o laici permigliorarsi. La confessione a laici rimane un sacramentale.Un laico (per es. che assiste un malato) può ascoltare i no-stri drammi, dirci una parola in nome di Dio, assicurarci delSuo perdono, ancor prima che abbiamo la grazia di incon-trare un confessore che sia il nostro medico di fiducia e checi porti l’assoluzione. Tutta la vita va concepita come unaprogressiva conversione all’infinito amore trinitario.

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Una volta anche da noi si celebravano lecosiddette “confessioni comunitarie”. Ora sembrano proibite. Perché?

Non capisco perché siano state proibite. Nella miaesperienza ho sempre constatato che le celebrazionicomunitarie erano frequentatissime e impegnavanol’assemblea in un forte lavorio di conversione. In que-ste stesse parrocchie mai ho notato una diminuzionedelle confessioni private, anzi! Dal punto di vista pe-dagogico si è commesso un errore madornale: nellospazio di una sola generazione si è cambiata la di-sciplina penitenziale, abolendo quella forma comu-nitaria che era stata introdotta appena da pochi anni!Ora bisogna certo investire molto nella confessioneindividuale, sperando che l’altra forma, così positiva,possa essere ripresa in un futuro non lontano. Mi sia consentito di esprimere il mio sdegno e il mioscandalo, provati nei due ultimi pellegrinaggi a Lour-des. Di fronte a un grande numero di penitenti cheancora aspettavano, la cappella delle confessioni ve-niva inesorabilmente chiusa già nel corso del pome-

riggio. Ricordo che un tempo si potevano accoglierepenitenti fino a sera inoltrata. Negli ultimi anni hocercato di confessare sotto la pioggia, in rifugi di for-tuna, in cappelle dalle quali ero regolarmente scac-ciato. Quest’insipienza mi ha trafitto. Noi possiamodare il gusto del Sacramento se lo celebriamo concalma e serenità, dando a ogni penitente il tempoper esprimersi, per narrare i suoi drammi. Se a Lour-des non hanno capito questo, non hanno capitoniente!Termino con un ricordo personale. Quando divenniprete, avvertii il vescovo mons. Angelo Jelmini che aFriborgo non avevo fatto l’esame previsto per essereabilitato a confessare. Il vescovo della mia ordina-zione mi rispose: “Te lo faccio io seduta stante. Ri-cordati queste tre cose: bontà, bontà, bontà. Haicapito? Bontà, bontà, bontà. Hai capito bene? Bontà,bontà, bontà.”Sì, mons. Jelmini aveva perfettamente ragione. Se losi seguisse, mai si vedrebbe in questo sacramentoun tribunale (!), ma l’abbraccio con un Padre che ca-pisce, ama, perdona tutti.

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Dopo le utilissime risposte del nostro teologo don Vitalini, con il quale concordiamo pienamente inmerito alla funzione penitenziale comunitaria, vo-

gliamo completare la riflessione su questo sacramentocon l’aiuto di Lawrence Mick, tracciando alcuni aspettidella sua interessante e ricca storia. Questo autore ini-zia il suo libretto, che noi consigliamo nella rubrica “Ab-biamo letto per voi”, con queste considerazioni.

Sapevate che:u Ci fu un tempo in cui la chiesa primitiva permettevache il sacramento della riconciliazione fosse ricevutouna sola volta durante la vita di una persona?

u Nel medesimo tempo c’erano nella chiesa due sistemi:uno di penitenza pubblica, l’altro di penitenza privata?

u La riconciliazione e la confessione non sono esatta-mente la stessa cosa?

u Per molti secoli ai penitenti era richiesto di fare la pe-nitenza loro assegnata e poi dovevano ritornare dal sa-cerdote per ricevere l’assoluzione?

u In passato molti cristiani confessavano i propri peccatia semplici laici?

u È un mito credere che i primi confessionali siano staticostruiti nella bottega di falegname di Giuseppe e Gesù?

La storia di questo sacramento mette in luce che il ritodella riconciliazione ha avuto un passato molto vivace evariegato. Negli ultimi decenni i fedeli si sono sempre piùallontanati da questo sacramento, facendone un uso sem-pre minore. In alcune chiese i confessionali sono simili areliquie di un passato lontano. Il rito fu riformato in se-guito al Concilio Vaticano II, ma la nostra concezione ela prassi dei cristiani sembra che non abbiamo colto ap-pieno questi cambiamenti. Se si comprende la storia delsacramento, si può ricavare qualche utile insegnamentoper avvicinarci a esso in un modo più ricco e significativo,che ci aiuti a unire insieme la dimensione comunitaria delsacramento e l’aspetto della conversione personale.

Cambiamenti nel concetto di perdono e di peccato

Lungo tutto il corso dei secoli la chiesa ha sempre credutoche Cristo ha dato agli apostoli il potere di perdonare ipeccati. Ma le modalità in cui questo potere venne eser-citato e in cui si è espresso il dono della remissione deipeccati sono state molto diverse di età in età. Tali modalità presero forma specialmente a causa dei cam-biamenti che ebbero luogo nell’immagine di Dio e nellacomprensione del peccato da parte della gente. A partire

dal Concilio Vaticano II, molti cattolici hanno cominciatoa pensare Dio e il peccato in modo differente, perciò nonci si può sorprendere se anche la concezione e l’uso delsacramento della riconciliazione abbiano subito dei cam-biamenti.Naturalmente questi mutamenti non sono universali, mamolte persone sono giunte a una concezione più positiva

e amorosa di Dio rispetto a quella predominante prima delConcilio. Dio è visto più come un Padre amoroso che hamandato nel mondo il Figlio suo per la nostra salvezza,mentre prima lo si vedeva piuttosto come un poliziottoceleste che aspettava di scoprire il nostro peccato, per poipoterci punire. L’umanità di Gesù è riconosciuta più com-pletamente, facendo da contrappeso alla coscienza della

Storia del sacramentodella Riconciliazione

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sua divinità. Il suo messaggio di amore e perdono è pe-netrato maggiormente nella coscienza di molti cristiani.Nello stesso tempo molti cattolici concepiscono il pec-cato in modo diverso da prima e ciò ha egualmente con-seguenze per la vita sacramentale della chiesa. Prima delConcilio la maggior parte dei cattolici sapeva esattamentequali azioni erano peccati mortali e quali erano colpe ve-

niali. L’attenzione era quasi esclusivamente focalizzatasulle mancanze personali, con una forte rilevanza sullequestioni sessuali. Una consapevolezza crescente circa ilpeccato sociale, insieme con un’aumentata percezione econoscenza dei condizionamenti emotivi e psicologici sulprocesso decisionale delle persone, ha reso meno ovvio -per molti - quali peccati dovessero esattamente confes-

sare e quali colpe ammettere. Sono questi i più importantimutamenti avvenuti nell’ambito morale e teologico.Tali trasformazioni non avvengono in modo netto e uni-forme; spesso occorre molto tempo per discernere le im-plicazioni che ne derivano, per giungere poi ad unarinnovata visione ed alla celebrazione più autentica diquesto sacramento. Ciò è vero sia per l’individuo sia perl’intera comunità della Chiesa. Solo Dio conosce con chia-rezza il modo in cui nel futuro la nostra Chiesa sapràesprimere l’amore perdonante di Dio. Tuttavia, dando unosguardo a ciò che è stato fatto nella storia passata, po-tremo ricavare elementi che ci guidino nel fare buon usooggi di questo sacramento per la nostra vita.

Battesimo primo sacramento del perdono

Nella Chiesa primitiva il sacramento del perdono per ec-cellenza era il Battesimo e anche le parole registrate nelvangelo di Giovanni: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi ri-metterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimette-rete saranno non rimessi” si riferiscono al primosacramento che cancellava i peccati fino allora commessi.Ben presto la Chiesa si trovò confrontata con i peccaticommessi anche dopo il Battesimo; nessuna meravigliache, per averne il perdono, organizzò una prassi che ri-calcava a grandi linee il catecumenato (preparazione alBattesimo), riproponendo una vera conversione e for-mando un “ordine dei penitenti” simile all’ “ordine deicatecumeni” di chi si preparava al battesimo. Chi facevaparte dell’ordine dei penitenti doveva svolgere le opere dipenitenza assegnate dal confessore; allo scopo di favorireuna conversione profonda del cuore e del comporta-mento, queste penitenze erano spesso molto lunghe e se-vere, prolungandosi talvolta per parecchi anni.Quando la penitenza era stata completata e si giudicavache la conversione fosse avvenuta, i penitenti venivanonuovamente accolti nell’ordine dei fedeli con il rito dellariconciliazione, che veniva celebrato dall’intera comunità.Spesso questo avveniva il giovedì santo, con l’imposizionedelle mani da parte del vescovo e con la riammissione allamensa eucaristica.Nella maggior parte dei luoghi, questo itinerario peniten-ziale poteva essere intrapreso solo una volta in vita e nonera richiesto per tutti i peccati. La lista dei peccati che esi-gevano questa pubblica penitenza variava da luogo aluogo, ma le colpe comunemente ritenute gravi eranol’omicidio, l’adulterio e l’apostasia (abbandono dellafede). I peccati più leggeri si ritenevano che fossero per-donati mediante la preghiera, la penitenza personale, l’ele-mosina e la celebrazione dell’eucaristia.

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Da dove viene l’attuale prassi della confessione privata?

Verso il secolo sesto alcuni monaci irlandesi abbandonaronola loro isola per evangelizzare l’Europa e portarono metodi pe-nitenziali che avevano sviluppato nei loro monasteri. Questimetodi comprendevano la confessione (accusa), non solo deipeccati più gravi, ma anche delle colpe minori. Sembra che laforma irlandese della confessione non comprendesse in ori-gine alcun rito formale di riconciliazione o di assoluzione.Quando il metodo irlandese divenne popolare nel continenteeuropeo, i vescovi vi aggiunsero il rituale dell’assoluzione. Perun certo tempo si seguì l’ordine tradizionale dei vari elementidel sacramento: dopo aver confessato i propri peccati, il pe-nitente riceveva una penitenza che doveva essere completataprima di ritornare dal confessore per ottenere l’assoluzione.Le difficoltà pratiche generate da questa procedura divenneroevidenti quando il confessore era un missionario itinerante oquando le penitenze, per esempio, chiedevano ai peccatori dicompiere un pellegrinaggio in terre lontane. Spesso era diffi-cile, se non impossibile, ritornare più tardi per domandare l’as-soluzione. Perciò i confessori cominciarono a darel’assoluzione nel momento stesso dell’accusa, con la pro-messa che la penitenza sarebbe stata compiuta in seguito.Con l’introduzione di penitenze meno severe e con l’aumen-tata frequenza della celebrazione, il sacramento della riconci-liazione giunse a prendere una forma molto simile a quellache abbiamo sperimentato fino a poco tempo fa. Benché il rito non cambiasse sostanzialmente, diverse modi-fiche furono introdotte nell’epoca del Concilio di Trento(1545-1563), in seguito alla riforma protestante. Quel conci-lio prescrisse che i peccati gravi dovevano essere confessatisecondo il numero e il genere della colpa. Ciò portò a vedereil sacramento come una specie di “lista della spesa”, cioè unelenco di tutti i peccati, mortali o veniali, secondo il genere eil numero. In effetti ciò era richiesto solo per i peccati mortali,ma divenne pratica comune.Quando Pio X anticipò l’età della prima comunione, venneanticipata anche la prima confessione e con la maggiore faci-lità di accostarsi al sacramento eucaristico, aumentaronoanche le confessioni, forse perdendo un po’ lo scopo princi-pale, quello della conversione.

La riforma del rito

Il Concilio Vaticano II aveva stabilito che il rito e le formuledella penitenza fossero revisionati per esprimere più chiara-mente la natura e gli effetti del sacramento. I nuovi riti, pub-blicati nel 1973, prevedono tre forme per celebrare lariconciliazione. La prima di queste, prevista per la confessione

individuale, è stata talvolta descritta come se fosse esatta-mente identica al rito prima del concilio. In realtà la primaforma vuole essere un’esperienza molto più ricca e personale:comprende la lettura di un brano della Bibbia che ci ricordi labontà e la misericordia di Dio, e si suppone che ci sia deltempo per scambiare una conversazione e una preghiera trapenitente e sacerdote. I particolari del rito sono meno impor-tanti dell’esperienza globale. Questa forma del sacramento èfinalizzata a fornire l’occasione per esaminare in profondità lapropria vita e cercare una crescita spirituale con l’aiuto di unconfessore competente.La seconda forma, che colloca la riconciliazione individualenel contesto di una celebrazione penitenziale comunitaria,non prevede un tempo apposito per intrecciare un dialogoesteso. L’incontro con il confessore deve essere necessaria-mente breve, a causa del grande numero di persone coinvolte,ma questa seconda forma mette in risalto la natura comuni-taria del peccato e della riconciliazione. I canti, le letture bi-bliche, le preghiere e le espressioni di pentimento sono messein comune, mentre la confessione e l’assoluzione sono cele-brate individualmente.C’è anche una terza forma, che prevede l’assoluzione generalesenza la confessione individuale, ma è stata rigorosamente li-mitata dalla Santa Sede alle situazioni di emergenza, quandonon sia possibile offrire la riconciliazione individuale. Quandosi celebra questa forma, a coloro che hanno peccati gravi,viene chiesto di cercare un confessore al quale confessare in-dividualmente le proprie colpe entro un certo tempo.A giudizio di molti osservatori, queste nuove forme hannoavuto un successo limitato. Benché siano servite ad aiutaremolti cattolici nel compiere una più ricca esperienza di ricon-ciliazione, sembra che molti altri siano rimasti insensibili aqueste riforme. La maggior parte delle persone, almeno neipaesi occidentali, celebra questo sacramento nel contestodelle celebrazioni penitenziali della loro parrocchia in Avventoe in Quaresima, ma l’obbligo di confessarsi subito rende que-sta funzione poco accetta. La severità vaticana in merito allaconfessione comunitaria non aiuta certo a rendere sensibili ifedeli sulla realtà del peccato, specialmente sociale, cosa dicui la nostra società ha grande bisogno. Là dove queste fun-zioni sono rimaste, con l’esortazione di accedere successiva-mente ad un colloquio personale con un sacerdote perricevere l’assoluzione dopo aver riflettuto ed essersi ulterior-mente preparati, ha aiutato molti fedeli a cogliere più com-pletamente la natura comunitaria del peccato e dellariconciliazione; ma molti altri non fanno più uso del sacra-mento proprio perché, dopo una funzione penitenziale ancheben preparata e partecipata, hanno dovuto presentarsi per unaffrettato colloquio ad un confessore col quale non avevanoil tempo di potere aprire il proprio animo.

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Storia di un ex-voto 

Sulle pareti interne della chiesa della Madonna delSasso sono esposte molte tavole votive. A motivo deilavori di restauro attualmente in corso, i dipinti sono

stati tolti dai muri e accuratamente riposti in appositecasse, che li custodiranno durante i prossimi due anni. Ogniex-voto dipinto racconta una o più storie. Ma ogni tavo-letta o tela ha anche la sua storia, la storia di come è nata,di come è stata confezionata. Alla scultrice Clara Conce-prio-Sangiorgio, che ha realizzato uno dei più recenti ex-voto dipinti giunti in santuario, abbiamo chiesto diraccontarci la sua esperienza.

Signora Conceprio-Sangiorgio, alcuni anni fa deiconiugi si rivolsero a lei chiedendole di dipingereper loro un quadro ex-voto in ricordo di un fattoaccaduto nell’agosto del 2002. Può dirci qualcosadel primo incontro con la coppia e del fatto che levenne allora narrato?

Durante il nostro primo incontro i coniugi mi esposero dap-prima la motivazione che li aveva spinti a venire da me. Inseguito mi narrarono, in modo preciso, il fatto accaduto.Conoscevano almeno in parte il mio lavoro di scultrice esapevano che in varie occasioni mi ero addentrata nell’am-bito dell’Arte Sacra, per cui, quando decisero di far raffigu-rare quanto avevano vissuto nell’estate del 2002, si rivolseroa me.

Penso che questa decisione sia maturata in loro in modolento ma sempre più chiaro. All’interno della famiglia il ri-cordo dell’avvenimento accaduto durante l’estate non ces-sava infatti di destare stupore.Mi raccontarono che un giorno del mese di agosto stavanorisalendo con il loro figlio e il loro cane un ripido sentierodella valle di Osogna; contemporaneamente, in direzioneopposta, scendeva una signora anziana, anche lei accom-pagnata dal suo cane. Quando i due animali si incontra-rono si misero ad azzuffarsi e fecero perdere l’equilibrioall’anziana signora che cadde a terra e rotolò lungo un pen-dio. Giunta sul ciglio di un precipizio si arrestò però mira-colosamente, senza farsi alcun male. In quella circostanzala tragedia era sembrata loro inevitabile: rimasero dunquestupiti e sbalorditi dall’esito positivo della vicenda. Tutti erano restati sconvolti dall’accaduto e all’unanimitàparlarono di una grazia ricevuta; l’intervento di Dio avevaevitato il peggio all’anziana signora e risparmiato a tuttidrammatiche conseguenze. Nei mesi successivi i coniugi maturarono il desiderio diesternare questi loro sentimenti e, in modo discreto, con ungesto colmo di fede, decisero di far dipingere l’incidente suun quadro votivo.

Era la prima volta che le veniva chiesto didipingere un ex-voto? Quale è stata la sua primareazione?

Sì, era la prima volta che venivo interpellata per un ex-voto.Devo riconoscere che accolsi questo incarico in modo na-turale, condividendo subito l’aspetto trascendentale del-l’accaduto.

Una volta accettato l’incarico dei coniugi, qualipassi preliminari intraprese prima di mettersiall’opera?

Feci dapprima una ricerca sulla tematica e analizzai ilmodo con il quale altri artisti avevano illustrato situazioni

simili. Cercai di assimilare linguaggi che fossero af-fini al mio; dopo di che lasciai che il racconto e l’ac-caduto si concretizzassero lentamente e senza frettanel mio immaginario.Quando sentii che tutti i frammenti del “puzzle”,

forme, personaggi e colori avevano presoforma nella mia mente, schizzai un di-

segno e lo sottoposi alla famiglia,che lo approvò con entusiasmo.

Per quanto riguarda l’esecuzione,

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scegliemmo la tecnica pittorica dell’icona.Per me era un mondo ancora da scoprire. Colsi l’occasioneper imparare questa tecnica antica. Chiesi subito aiuto ad un caro amico, Alessandro Gamba-rini, che conosceva bene i segreti di quest’arte. Alcuni anniprima Alessandro era già stato il mio maestro di mosaico.Con la medesima generosità mi assistette anche nell’ap-prendimento della nuova arte, dedicandomi moltissimotempo. Mi resi subito conto di aver scelto una tecnica par-ticolarmente difficile e operosa.

Nelle chiese e nei santuari della nostra Diocesi sitrovano più di un migliaio di ex-voto dipinti. Lesono stati utili per trovare l’ispirazione e permettersi al lavoro?

Sì, certo, anche perché non avevo mai avuto occasione dientrare nella tematica. Ho pure constatato che ci sono po-chissimi ex-voto recenti di una certa fattura.

Prima e dopo la realizzazione della tavola hadiscusso con altri artisti di questo lavoro?

Ho condiviso questo cammino solo con Alessandro e que-sto mi è bastato, anche se spesso ho avuto delle incertezzesul modo di procedere.

Quali sono state le difficoltà maggiori che haincontrato durante la realizzazione dell’ex-votodipinto?

Oltre alla difficoltà della tecnica pittorica, per lunghi periodimi sono trovata a disagio nell’affrontare questo incarico.Ho cercato di analizzare le cause del mio disagio e sonogiunta alla conclusione che, se non mi immedesimavo nellasituazione, sarei rimasta bloccata; era come se l’opera me-desima mi chiedesse un patto di fede reciproca, solo cosìsarei riuscita nell’impresa. Sono situazioni che attualmentecapisco meglio e, anzi, che sfrutto, ma allora la cosa nonera così chiara.

Trattare e dipingere un “tema religioso” ha costituito per lei un’esperienza di approfondimento della sua fede?

In ogni mia pratica espressiva la partecipazione spirituale èun fattore imprescindibile. Questa consapevolezza mi aiutaad essere sempre più presente e autentica sia nel mio la-voro che nella vita.

Se le venisse nuovamente chiesto di dipingere unex-voto, accetterebbe l’incarico? In casoaffermativo, in che misura la prima esperienzafatta le faciliterebbe il compito?

E’ molto raro che rifiuti un incarico, perché ogni volta èun’occasione per imparare qualcosa di nuovo, per adden-trarmi in ambiti non ancora scoperti, per conoscere per-sone e situazioni ignote. Nell’accogliere un nuovo lavoro,mi piace rimettermi nella disposizione d’animo della primavolta, ogni nuovo compito porta certamente qualche no-vità. Le esperienze precedenti mi hanno fatto crescere e miaiutano ad affrontare nuovi incarichi con umiltà e completadisponibilità.

Intervista a cura di frate Agostino

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Il Medioevo si caratterizzò per alcuni movimenti ereticiche presero il nome di “pauperismo”. Tra di essi il prin-cipale fu il Catarismo, termine di origine greca che si-

gnifica “puro”. Movimento di origine balcanica tra i cuidogmi c’era quello della non validità dei Sacramenti con-feriti da preti indegni e che si caratterizzava per una valu-tazione metafisica di tutto ciò che era materiale, per untentativo di riforma in senso antigerarchico che venneaspramente combattuto dalla Chiesa ufficiale in quantoconteneva in sé i germi dell’immoralismo, dell’abolizionedella Chiesa e dell’anarchia. Così famosi furono gli Albi-gesi, dalla città di Albi in Provenza. Dal Catarismo sorseroi Valdesi, fondati da Pietro Valdo, un mercante di Lione, eche perciò all’ inizio presero il nome di poveri di Lione, chepredicavano un ritorno integrale alla povertà evangelica. InItalia il Catarismo ebbe particolari ma-nifestazioni: i Patarini, ascetici zelantisorti a Milano e poi diffusisi a tutta laLombardia che non esitavano ad assu-mere atteggiamenti di critica severa neiconfronti dell’autorità ecclesiastica; iFraticelli, che si opponevano all’auto-rità in nome della povertà e della li-bertà evangelica; gli Umiliati,cheesasperavano il distacco dai beni ma-teriali fino a giudicare peccato la pro-prietà esercitata dal clero; gliArnaldisti, seguaci di Arnaldo da Bre-scia, contrassegnati da una istanza diesplicito laicismo, perché secondo loroi beni appartenevano allo Stato o alPrincipe, e solo da questi potevano es-sere distribuiti ai laici. Questi movi-menti erano la conseguenza dellanascita e dell’affermarsi di una nuova classe sociale, la bor-ghesia, che avrebbe profondamente influenzato la storianei secoli successivi e che andava acquistando una nuovacoscienza civile e religiosa; è appunto nel seno di questaborghesia primordiale che sorge e dilaga la scoperta delcontrasto fra la Chiesa del fasto e delle ricchezze e del po-tere e la Chiesa degli Apostoli, con un clero ormai semprepiù esperto di affari mondani e sempre più indifferente allerichieste religiose del popolo. La spinta sovversiva era dun-que nella impossibilità di conciliare l’aspirazione a vivere lecondizioni di ultimi della società con una Chiesa romanache nella ricchezza e nel potere delle classi dominanti ri-conosceva un segno della benevolenza di Dio. Là dove imovimenti pauperistici si rifacevano ad una teologia, comeper i Catari o gli Albigesi, inconciliabile con le tradizionicattoliche, la Chiesa aveva titoli sufficienti per mettere in

moto le sue repressioni dottrinali e politiche. Ma dove ilmovimento non si proponeva che di vivere il Vangelo nelsenso della nuova società che si andava formando, laChiesa si sentiva indifesa e minacciata. E’ in questo mo-mento storico che appare la figura di Francesco la cui di-versità, nel contesto del suo mondo culturale, è cosìgrande e così assoluta, che egli dovette apparire come uningenuo, un pazzo da ammirare sì ma da tenere sotto con-trollo. Francesco di cui ciò che ci stupisce ancora oggi fula sua solitudine storica. “Il Signore mi disse che volevache io fossi un uomo pazzo nel mondo”, come tramandala Leggenda Perugina. Così probabilmente Papa InnocenzoIII, quando ricevette nel 1210 il gruppo venuto da Assisisotto la guida di Francesco per chiedere l’approvazionedella sua forma di vita, avrà in cuor suo pensato che que-

sti non fosse altro che uno dei tanti gruppi pauperistici dicui anche i suoi predecessori avevano dovuto occuparsi.Ma Francesco non si presentò come un riformatore dellaChiesa: la spinta di fede che lo aveva condotto a mutarvita e a fare comunità coi suoi seguaci investiva il signifi-cato stesso della presenza della Chiesa nel mondo. Il suobisogno di ottenere l’approvazione del Papa dimostra, oltreall’intenzione di tenersi distinto dai movimenti che face-vano una sola cosa della professione della povertà e del ri-fiuto della Chiesa ricca, anche la sua intuizione del valoreuniversale del ritorno della Chiesa ai modi di “vita aposto-lica”. Vide bene Dante quando, nel Canto XI del Paradiso,per descrivere la scelta di Francesco, utilizza la tipologiabiblica del rapporto fra Cristo e la Chiesa. Con significativoscambio, la sposa di Cristo in Dante è la Povertà salita sullacroce col suo sposo; essa se ne restò poi in disparte, “di-

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La povertà e San Francesco

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spetta e scura”, per milleduecento anni, fino a che Fran-cesco, dinanzi al padre e alla Curia, ne fece la sua Donna.Povertà rivelata da Gesù di Nazareth quando scelse comesua la parte degli ultimi, degli esclusi, degli emarginati. EFrancesco conobbe il vero senso messianico della povertàquando cominciò a frequentare fuori di Assisi i lebbrosi.Lo ricorda nel suo Testamento: “Il Signore mi condusse inmezzo a loro e feci misericordia con loro. E quando mi al-lontanai da essi ciò che mi sembrava amaro mi si mutò indolcezza”. La sua non fu più, da allora, la povertà dei pau-peristi: non fu più una qualità ascetica da contrapporre allaChiesa dei ricchi. Francesco non trasse motivo dalla propriapovertà per polemizzare con il clero, perché non la sentivacome una faticosa virtù ma come una condizione di leti-

zia nuziale. Nello stesso Testamento egli professa di averefede nei sacerdoti, quale che fosse la loro vita e la loro di-gnità, perché i suoi occhi niente potevano vedere di Gesùin questo mondo se non il suo corpo e il suo sangue chei sacerdoti rendevano presente sull’altare nel momentodella consacrazione. Tutto questo non comportava evi-dentemente un giudizio positivo o indifferente sul fasto eil potere del clero, tanto è vero che egli non ne volle maifar parte, in quanto lo stato ecclesiastico collocava inevi-tabilmente nella sfera delle classi dominanti, e anzi pre-cluse ripetutamente ai suoi l’accesso a caricheecclesiastiche. Francesco chiamò appropriatamente quelladei minori “forma di vita degli Apostoli”, per contrapporlaa quella dei “successori” degli Apostoli, che invece si mo-dellava alle corti imperiali e feudali. Per Francesco la po-vertà non è, come nei conventi benedettini o agostiniani,ascetica personale; è invece condizione della vita degli ul-

timi, e rifiuto del modello di vita delle classi dominanti, ec-clesiastiche o laiche. L’imperatore Ottone IV che passa ac-canto al suo rifugio a Rivotorto è per lui un estraneo chenon merita nemmeno di essere visto e ricevuto, mentre unbrigante che gli chiede di entrare fra i fratelli è il benve-nuto, senza neppure l’obbligo del noviziato. La letizia diFrancesco, letta nella sua prospettiva messianica, è un’iro-nia graffiante di condanna della mondana serietà dellaChiesa. E il fatto straordinario che da solo indica come giàpronta fosse in quegli anni la disposizione ad una riformadella Chiesa, fu che la sua proposta dava forma visiva eviva ad un ideale che serpeggiava nella coscienza deltempo: non sorprende così che in pochi anni i suoi seguacidivennero parecchie migliaia, in Italia ma anche oltre leAlpi. I movimenti di contestazione pauperistici si riface-vano tutti al Vangelo e lo mettevano in pratica con fedeltàletterale. Ma nel leggere i documenti rimasti della loro espe-rienza, ci rimane l’impressione che la fedeltà evangelica di-ventasse in loro qualcosa di simile al giuridicismoecclesiastico a cui si opponevano. La loro terribile serietàli rendeva simili ai loro potenti avversari, dei quali infattiavevano lo stesso sottofondo ideologico: una visione pes-simistica del mondo. Francesco rappresentò in quel pano-rama l’improvviso emergere della diversità: se egli nonprese mai posizioni polemiche né contro l’autorità eccle-siastica né contro gli eretici, fu perché egli si collocò dicolpo ben al di là del punto di equilibrio fra le due forze,sul terreno della libertà evangelica. Pur restando per tantiaspetti figlio del suo tempo, Francesco ha in sé la lucesconcertante del ”homo ludens”: le creature ai suoi occhisono buone, il mondo è pervaso da una letizia che vieneda lontano, dal cuore insondabile di Dio. Francesco, l’unicoSanto che rifiutò l’ideologia della Crociata e cercò, con stra-ordinaria anteveggenza, un’alternativa politica nel precettoevangelico dell’amore. E l’estraneità di Francesco al suo se-colo si spiega con la sua scelta di povertà da intendere nonin senso ascetico-riduttivo, ma come visione del mondoche comporta non solo la liberazione personale dagli af-fanni per i beni materiali, ma anche la liberazione dalla lo-gica del potere e dalle contaminazioni della culturadominante. La sua anticultura (l’unica verità per lui eraquella del Vangelo e sine glossa, senza commento), fu unacontrocultura: l’uomo reale al posto dei trattati sull’uomo.E non a caso il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ripresoil discorso della Chiesa povera nello spirito di Francescod’Assisi, che cioè solo una Chiesa povera può essere unaChiesa annunciatrice di pace: è l’intuizione di Francescoche vive e opera tuttora nella coscienza di chi crede.

Mario Corti

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I

VIA CRUCIS «Sulla sua via per la nostra vita»

Questa Via Crucis, dettata da P. Callisto durante un pellegrinaggio della Comunità del S. Cuore di Bellinzona in Terra Santa, fu tenuta nel centro di Gerusalemme in quella strada chiamata “Via dolo-rosa” che Gesù deve aver percorso andando dalla Torre Antonia al Calvario.

Per rendere più partecipato il pio esercizio, i numeri I. possono essere recitati da un uomo, i II. da una donna, segue un momento di silenzio, poi la preghiera recitata dal sacerdote.

I stazIone Gesù condannato a morte

I. Ogni condanna è un giudizio. Anche noi, molto spesso, veniamo giudicati anche se non sem-pre condannati. Poniamoci il problema: come accolgo i giudizi che gli altri fanno su di me? Se sono positivi mi esalto, mi gonfio, mi insuperbisco? Ma soprattutto se sono negativi, come reagisco? Penso immediatamente che il giudizio è sbagliato, dettato da invidia? Oppure mi deprimo?

II. Approfondiamo soprattutto la nostra reazione di fronte ai giudizi negativi, il nostro compor-tamento verso coloro che ci giudicano e mettono a nudo i nostri difetti. Li consideriamo su-bito dei nemici, degli uomini parziali ed invidiosi? Accogliere il giudizio degli altri dovrebbe essere una ricchezza, perché l’occhio dell’altro può aiutarti a conoscere meglio te stesso, ma se tu rifiuti il giudizio, se immediatamente lo ritieni parziale, invece di arricchirti arrischi di raccogliere rabbia fino a macinare quella sottile vendetta così da rispondere al tuo giudicante: “Pensa per te”.

C. Preghiamo: O Signore Gesù, tu sei stato giudicato dagli ebrei e dai romani. Per i primi quale bestemmiatore, per i secondi quale rivoluzionario, ma hai accolto questi giudizi con tranquillità d’animo e serenità di cuore, atteggiamenti propri dell ’innocente. Fa che anche noi, di fronte ai giu-dizi che vengono dati sul nostro operato e sulla nostra persona, possiamo aprirci per interiorizzarli e ricavarne tutto il bene possibile. Tu che verrai a giudicare i vivi e i morti alla fine dei secoli. Amen.

II stazIone Gesù è caricato dalla croce

I. Non solo i giudizi possono essere pesanti, ma soprattutto le croci. Ognuno di noi ha le sue croci. Un vecchio detto dice: “Quando nacqui mi disse una voce, tu sei nato per portare la tua croce”. Purtroppo questa croce alle volte pesa troppo sulle nostre spalle, soffoca lo spirito, chiude il cuore, e ci lascia disorientati se non disperati.

II. Come accogliamo le nostre croci? Come sappiamo aprire le braccia per accettarle, pur nel naturale disorientamento e nel conseguente dolore. I nostri limiti umani non ci permetto-no di sfuggire alla croce che fa parte integrante della nostra vita, tutto dipende dalla nostra capacità, intelligenza di accettazione. Perché subire la croce vuol dire rifiutare una lezione di saggezza e di responsabilità. Accettare la croce vuol dire accumulare tesori di esperienze anche se dolorose, arricchire la nostra anima e la nostra vita di momenti che possono essere delle lezioni profonde.

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II

C. Preghiamo: Signore Gesù, tu hai accolto la croce e ne hai fatto uno strumento di redenzione e di vita. Fa che anche noi sul tuo esempio possiamo accogliere le nostre croci con una maggior serenità di spirito possibile, e ricavarne dei benefici spirituali per poter arricchire il nostro cuore e la nostra mente con l ’esperienza accettata del dolore. Tu che nella croce hai fatto uno strumento di salvezza e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

III stazIone Gesù cade la prima volta

I. Il legno pesante della croce caricato sulle spalle piegate di Gesù ha causato questa immediata caduta. Fisicamente non ha sorretto il peso. Spiritualmente, con il gesto di cadere a terra, ha forse indicato la sua sottomissione al dolore, la sua più profonda accettazione in una posa di umiltà.

II. È possibile che anche noi, quando siamo colpiti da un dolore profondo, inaspettato, cadiamo a terra, ci lamentiamo, e forse ci disperiamo perché non eravamo pronti ad accettare quel momento doloroso. Eppure, guardando in alto e vedendo la croce, dobbiamo leggere nella stessa, non lo strumento di tortura, ma una chiave che ci apre la via del cielo. Saper accettare la croce, saper dire: “Mi alzerò, e camminerò di nuovo anche in una via che non sarà più soltanto di fiori, ma anche di spine”, vuol dire imitare Gesù e diventare suoi discepoli ubbi-dendo alla sua parola: “Chi mi ama, mi segua anche sulla strada del Calvario”.

C. Preghiamo: Signore Gesù, fatto uomo e umiliato, addolorato sotto il peso della croce che ha pro-vocato in te una caduta dolorosa. Fa che anche noi dopo il primo smarrimento possiamo guardare alla croce come mezzo di salvezza nella maturazione per una vita più responsabile. Allora sapremo rialzarci e camminare più spediti alla tua sequela, per giungere un giorno presso di te che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

IV stazIone Gesù incontra sua madre

I. Questo incontro non è registrato nel Vangelo, ma è possibile, perché se Maria fu presente al momento della crocefissione e morte del figlio sul Calvario, può averlo incontrato anche sul-la strada dolorosa. Deve essere stato un incontro straziante! Nel cuore della Vergine hanno risuonato le parole del vecchio Simeone: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te, donna, una spada trafiggerà l’anima”.

II. Tanti incontri nella nostra vita sono stati positivi, ma qualcuno sarà stato anche problemati-co. In questo momento pensiamo al volto di nostra madre, ai momenti che ci ha sorretto, aiu-tato, incoraggiato e lodato, ma anche ai momenti in cui ci ha rimproverato, magari castigato; l’ha sempre fatto per il nostro bene! Se è viva possiamo ancora dirgli grazie. Se è defunta manteniamo un ricordo riconoscente verso di lei che ci ha dato la vita e ci ha spianato la stra-da per viverla bene. E uniamo a lei il ricordo di nostro padre e di tutti i nostri famigliari. La riconoscenza è la virtù dei generosi, la misconoscenza è il difetto dei gretti. Tu, sinceramente, in che categoria ti puoi mettere? Sei un riconoscente o un ingrato?

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III

C. Preghiamo: Signore Gesù, se tu hai incontrato sulla strada del Calvario tua Madre, gli evangeli-sti non hanno avuto il coraggio di registrare le parole che vi siete detti. Forse avete taciuto. Soltanto gli occhi si sono incontrati, soltanto i vostri cuori si sono svuotati l ’uno nell ’altro, per farvi coraggio. Dona a noi la capacità di essere coraggiosi nella vita sull ’esempio di coloro che ci hanno preceduti, dei nostri genitori e dei nostri cari. Perché, come fra Te e tua Madre c’è stato un intesa profonda nella gioia e nel dolore, così fra noi ci possa essere una riconoscenza continua per il bene ricevuto e per le correzioni in cui siamo stati fatti soggetti. Tu che con tua madre Maria assunta in cielo, ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

V stazIone Gesù aiutato dal Cireneo

I. La terribile flagellazione aveva sfiancato il corpo di Gesù rendendogli impossibile continuare il viaggio aggravato dal peso della croce. Allora i soldati romani requisirono e costrinsero un tale che passava, un certo Simone Cireneo, a portare la croce. Notiamo, era uno straniero che non poteva dire di no ai romani. Se questi si fossero rivolti a un ebreo, probabilmente si sarebbe ribellato. Ma un cireneo, un uomo certamente di colore, forse a malincuore, accettò di aiutare il condannato e gli portò la croce.

II. Quanti stranieri e quanti extracomunitari, persone del terzo mondo, vengono da noi per aiutarci; noi come li trattiamo? Che sentimento abbiamo verso di loro? Siamo coscienti che la nostra economia non sarebbe così florida se non avessimo il loro aiuto? Ed allora, perché tanto razzismo, tanta incapacità di capire le loro culture, poco rispetto per la loro religione e molte difficoltà infrapposte per una loro integrazione? Questa stazione ci aiuta a riflettere sull’atteggiamento che dobbiamo avere verso questi fratelli di diverso colore, razza e religio-ne, che nessun cristiano può chiamare stranieri.

C. Preghiamo: Signore Gesù, tu sei venuto non solo per le pecore sparse di Israele, ma per raccogliere nel tuo regno tutti gli uomini di buona volontà. Verso tutti sei stato misericordioso, hai compiuto i tuoi prodigi anche in vantaggio degli stranieri, la donna cananea, il centurione romano. Fa che sul tuo esempio possiamo coltivare nel nostro cuore sentimenti di fraternità e riconoscenza verso coloro che ci aiutano a portare le croci della nostra vita, ma anche a migliorare la nostra economia. Donaci la capacità di condividere con questi fratelli i frutti del nostro benessere economico creato anche da loro, per condividere con loro e con te, un giorno il Regno dei cieli per tutti i secoli dei secoli. Amen.

VI stazIone La Veronica asciuga il volto di Gesù

I. Anche questo fatto non è registrato nei Vangeli. È una pia leggenda, il nome stesso di Vero-nica, che significa la donna del velo, lo dice. Eppure una leggenda cha ha avuto una grande tradizione nel Medio Evo; i pellegrini che andavano a Roma, dove si dice sia conservato il velo della Veronica, sono stati ricordati dai grandi poeti. Gesù ha lasciato, secondo la tradi-zione, l’impronta del suo volto nel velo della Veronica.

II. Gesù lascia l’impronta del suo volto nel nostro cuore. Essere cristiani vuol dire assomigliare a lui nei pensieri, nelle parole, nei gesti. Vuol dire imprimere il suo volto, cioè la sua perso-nalità, il suo messaggio, nella nostra vita. Ma dobbiamo saperlo anche aggiornare, questo volto. Molti cristiani conservano nel cuore il volto di Gesù Bambino, ma non l’hanno mai aggiornato con il volto, le parole di Gesù Maestro. Io come lo aggiorno? E quando il volto di Cristo si presenta insanguinato nella passione del dolore, lo accetto o lo rifiuto?

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C. Preghiamo: Signore Gesù, che hai lasciato il tuo volto impresso nel velo della Veronica, imprimi le tue sembianze, ma soprattutto la tua azione di grazia e la tua parola di verità nel nostro cuore, affinché possiamo essere fedeli tuoi discepoli. Fa che il tuo volto, la tua persona, diventi sempre più nitida e convincente mediante l ’istruzione religiosa sorretta dalla tua grazia. Lo chiediamo a te, Maestro di vita, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

VII stazIone Gesù cade la seconda volta

I. Altra stazione non registrata nei Vangeli, ma possibilissima. Perché, malgrado la croce sia portata dal Cireneo, Gesù è talmente debilitato che non riesce nemmeno a camminare da solo. Ad ogni caduta viene brutalmente rialzato e spinto avanti.

II. Anche nella nostra vita, malgrado tutti i propositi possiamo ricadere nei nostri difetti. Quan-te volte ci siamo ripromessi di far questo o quest’altro, di togliere delle imperfezioni, delle mancanze, dei veri peccati dall’orizzonte della nostra esistenza, e poi siamo ricaduti. Quale è stata la nostra reazione di fronte a queste cadute? Abbiamo affrettatamente concluso: “Sono un inietto, è inutile che mi rialzi, non ce la farò mai”. Oppure abbiamo detto: “Signore aiu-tami, tenterò un’altra volta, forse ho troppo confidato nelle mie forze, e non sufficientemente nella tua grazia. Mi rialzerò e camminerò con più coraggio, con più umiltà, verso quella stra-da che vuol togliere dalla mia vita quel peccato o quel difetto”. Ho sempre avuto il coraggio di pregare così?

C. Preghiamo: Signore Gesù, di fronte alle difficoltà tu non sei mai indietreggiato, di fronte allo scherno dei tuoi nemici, alle critiche degli scribi e dei farisei, tu sei andato avanti. Ed anche sulla strada del Calvario ti sei sempre rialzato. Fa che anche noi, uomini deboli, paurosi, che pur avendo la volontà di migliorare, alle volte non ce la facciamo, possiamo rialzarci dalle nostre cadute e con coraggio confidando maggiormente nella tua bontà e nella tua misericordia, possiamo riprendere quella via di verità e di giustizia che tu ci hai insegnato, così da raggiungerti un giorno nel tuo paradiso, dove vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

VIII stazIone Gesù incontra le donne

I. Il Vangelo è molto chiaro su questo incontro e ci riporta delle parole terribili rivolte da Gesù alle donne, tanto dure che non sembrano sue. Avrebbe detto: “Figlie di Gerusalemme non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Se si tratta così il legno verde, che ne sarà di quello secco?”.

II. Nella nostra vita siamo capaci di accogliere le consolazioni, gli aiuti che gli altri ci offrono? Potrebbe sembrare blasfemo, pensare che Gesù reagendo in un modo duro così all’incontro con le donne, non abbia saputo accogliere la loro compassione. Forse perché era una compas-sione rituale che non partiva dal profondo del cuore. Anche noi alle volte siamo più disposti ad aiutare che ad essere aiutati! Eppure, accogliere un aiuto è segno di umiltà, di capacità di rispettare l’altro, di valorizzarlo, di far nascere in noi quel senso di riconoscenza che tante volte la nostra superbia non ci permette di coltivare.

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C. Preghiamo: Signore Gesù, ci sono tante persone attorno a noi disposte ad aiutarci a rialzarci, ba-sta che noi li accogliamo e lo vogliamo. Aiutaci a non farci maturare pensieri di superbia, di auto-sufficienza. Dacci la forza di superare queste tentazioni perché possiamo diventare disponibili ad accogliere l ’aiuto fraterno che ci viene proposto, diventando riconoscenti verso coloro che ce lo hanno offerto. Tu che nella sincerità del messaggio lanciato a queste donne non avrai mancato di premiare il loro sforzo, di consolarle, facendole partecipi del tuo Regno per tutti i secoli dei secoli. Amen.

IX stazIone Gesù cade per la terza volta

I. Non vorrei che questa meditazione sulla Via Crucis, che volutamente ha un taglio piuttosto individuale, e che vuol essere un esame di coscienza personale, dimentichi anche le cadute, i peccati sociali, cioè quel male che esiste nel mondo di cui nessuno si sente responsabile. Per colpa di tutti, il mondo non é più “mondo”, ma é sporco e la natura sembra ribellarsi contro l’uomo che la tratta in modo innaturale.

II. Anche noi di fronte a tante situazioni perverse, a tante occasioni di peccati incancreniti, dovremmo sentirci responsabili. Pensiamo alla fame nel mondo, alla gente che muore di po-vertà, agli ammalati che non si possono curare per mancanza di mezzi. Pensiamo al proble-ma ecologico, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, a certi disastri compiuti dalla tecnica. Di tutto ciò siamo responsabili, ma nessuno si sente in coscienza di chiedere perdono e di riparare. Questo - purtroppo - è l’uomo caduto nel basso dell’indifferenza e dell’incoscienza, è l’uomo che alle volte, non soltanto è immorale, ma peggio ancora è amorale. Noi che sen-sibilità abbiamo di fronte a questi mali sociali?

C. Preghiamo: Signore Gesù, questa tua caduta dia un senso sociale alle nostre cadute. Ai disastri che una società del benessere compie, al perverso meccanismo economico per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Donaci la grazia di sentirci responsabili di queste assurde situazioni, per cambiar strada, di pentirci per il male sociale e politico che commettiamo per diven-tare uomini di giustizia e di pace. Tu che non hai avuto paura di denunciare il male e di richiamare alla conversione e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

X stazIone Gesù spogliato dalle sue vesti

I. Non dobbiamo ridurre questa stazione a una riflessione sul pudore. Gli ebrei erano molto pudichi. Il modo in cui Gesù sia stato spogliato dalla sue vesti, non ha posto problema né a lui né ai circostanti. Egli ha insistito sulla purezza, ma soprattutto del cuore: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

II. Noi curiamo questa purezza per vedere Dio in noi, nel prossimo e nel creato? Inoltre siamo capaci di guardare dentro di noi e di accogliere anche le nostre nudità? Siamo capaci di es-sere noi stessi senza coprirci di orpelli, di vesti finte, di riconoscere le nostre virtù, ma anche i nostri difetti, di essere sinceri valutandoci per ciò che siamo e non per quello che vorrem-mo essere. O, peggio ancora, per quello che facciamo finta di essere, mascherandoci sotto le mentite spoglie della vanità, quindi della menzogna? L’accettazione delle proprie nudità è principio di verità e di sincerità, è condizione indispensabile per migliorarci.

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C. Preghiamo: Signore Gesù, aiutaci ad accettare la nostra persona così com’è, perché soltanto attra-verso questa accettazione noi possiamo fare un piano di miglioramento per la nostra vita. Riem-piendo quelle valli di difetti che domandano di essere appianati, abbassando quei colli di superbia che chiedono di essere trasformati in strada di giustizia, come ha predicato il profeta Isaia annun-ciando la tua venuta. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XI stazIone Gesù inchiodato sulla croce

I. Giovanni evangelista presenta la crocefissione di Gesù come un’intronizzazione. Lui aveva predicato il Regno di Dio, ora viene assunto al trono quale re di questo regno. E da quel tro-no ci invita a guardarlo per imitarlo, per essere cittadini del suo regno. Da quel trono quale sovrano, Cristo Re elargisce i suoi favori; dona Maria, la madre, all’apostolo che egli ama, Giovanni; dona all’apostolo l’unica cosa che gli resta sulla terra: la madre. Promette al buon ladrone il paradiso e perdona tutti coloro che lo hanno giudicato, perseguitato, crocefisso, perché non sanno quello che fanno. Quindi perdona anche a Giuda per il suo tradimento, perdona anche a Pietro per la sua negazione, a Pilato per la condanna.

II. Noi come ci comportiamo verso quelle persone che ci hanno fatto soffrire? Siamo capaci di donare o ridonare la nostra stima e il nostro affetto perdonando di cuore? Abbiamo già ri-flettuto sulle parole del “Padre nostro”: rimetti a noi i nostri debitori come noi li rimettiamo ai nostri debitori? Tutto sta in quel “come”: noi saremo perdonati “come” (nella misura) con cui perdoneremo!

C. Preghiamo: Signore Gesù, dal trono della tua Croce aiutaci a comprendere quanto è grande la generosità di chi sa perdonare. Aiutaci a comprendere la preghiera che ci hai insegnato, che indica il modo con cui noi dobbiamo perdonare, e la misura con cui saremo perdonati. E aiutaci a sbarazzarci delle cose terrene, per giungere a te liberi da pesi materiali inutili e così godere un giorno della tua gloria, dove tu vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XII stazIone Gesù muore sulla croce

I. La morte in croce di Gesù è accompagnata da tanti segni; il sole si oscura, le tombe si aprono, un terremoto squarcia la terra, ma è accompagnata anche da un segno più grande, la fede del centurione che dice: “Questi è veramente il figlio di Dio”.

II. Noi come ci comportiamo di fronte al pensiero della nostra morte? È un pensiero che con-tinua a terrificarci, oppure ci prepariamo per un abbraccio fraterno, considerando la morte corporale come Francesco d’Assisi, nostra sorella? La morte fa parte della nostra vita, a con-dizione che si creda profondamente che con la morte non cessa la vita, ma soltanto l’esistenza fisica. La vita continuerà in un modo diverso, nell’abbraccio con quel Dio che ci ha creato per accoglierci e per donarci una vita eterna. E come ci prepariamo alla morte? Senza pensarci, come se fossimo uomini eterni?

C. Preghiamo: Signore Gesù, la tua morte è stata un grande mistero per tutta l ’umanità. Tu, Fi-glio di Dio, avresti dovuto essere immortale, ma hai voluto abbassarti a cogliere la nostra natura umana e morire di una morte infamante sulla croce. Fa che per i meriti della tua passione, morte e risurrezione anche noi possiamo accogliere questo momento estremo della nostra vita, con la fede che la stessa vita continuerà con te presso il Padre che vive e regna, nei secoli dei secoli. Amen.

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VII

XIII stazIone Gesù deposto dalla croce

I. Dopo la morte di Gesù due suoi amici occulti arrivano al Calvario per dare al suo corpo una dignitosa sepoltura. Nicodemo, quello che quasi tre anni prima, una notte, aveva avuto un lungo colloquio con Gesù. Giuseppe d’Arimatea, un sinedrista che l’aveva discretamente difeso, fin’ora suo discepolo occulto.

II. Ora la fede nella sua persona e nella sua parola, in questi due ebrei di buona volontà, diventa manifesta. Anche noi di fronte alle disgrazie più grandi come siamo capaci di reagire? Siamo capaci di leggerli come momenti di fede, di crescita spirituale, o soltanto come momenti di depressione? Siamo capaci di elaborare in noi i nostri lutti, perché non diventino causa di dolori fisici e morali, di peggioramenti di carattere? Siamo capaci di cogliere, nelle lezioni che qualsiasi morte ci offre, dei momenti di maggiore responsabilità che dobbiamo assumer-ci magari al posto di coloro che ci hanno lasciati?

C. Preghiamo: Signore Gesù, aiutaci ad accogliere da tutte le morti che ci circondano degli insegna-menti profondi per indirizzare la nostra vita, non verso i beni materiali che ci lasciano o cessano, ma verso i tesori spirituali che tante volte il lutto e il dolore ci permettono di riscoprire. Fa che li possiamo valorizzare e non buttar via come cose che poco ci interessano e che alle volte disprezziamo. Tu che con la tua morte ci hai donato la vita e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XIV stazIone Gesù posto nel Sepolcro

I. Quel sepolcro è diventato il primo cimitero cristiano. Cimitero vuol dire dormitorio dove una persona si corica, dorme per un certo tempo, ma poi si risveglia. Quel sepolcro è diven-tato il primo camposanto, dove la vita di Gesù è nuovamente germogliata nella Pasqua. Noi abbiamo l’abitudine di andare al cimitero o al camposanto almeno una volta all’anno, magari anche di più, per rendere omaggio ai nostri cari. Ma questi gesti arrischiano di diventare materiali se non sono accompagnati da un profondo ringraziamento per quello che i nostri defunti sono stati, o hanno fatto per noi. Ho mai capito perché si insiste, o pregare per i morti e non si insegna, fin da bambino, a ringraziare i morti! Eppure quello che noi siamo lo dobbiamo a loro: la vita, l’educazione, i sentimenti.

II. Una riconoscenza verso i morti deve trasformarsi anche nell’elaborazione del loro ricordo, non cancellando i possibili difetti che avevano e che magari li han fatti pesare anche su di noi, ma valorizzandoli per non ripeterli, e soprattutto ringraziandoli per tutto il bene che ci hanno fatto, promettendo loro di essere imitatori delle loro virtù e coltivatori dei loro senti-menti spirituali e religiosi. Sento i miei morti vicini, li ringrazio?

C. Preghiamo: Il tuo sepolcro Signore è lo scrigno in cui fu deposto il tuo corpo perché potesse risorgere glorioso la mattina di Pasqua. Noi crediamo che anche i nostri sepolcri un giorno si apriranno, per-ché la mistica farfalla della nostra anima, possa volare verso di te. Rendici degni e preparaci spiri-tualmente a questo volo per unirci eternamente a te che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

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VIII

XV stazIone La risurrezione

I. Ed ora una stazione conclusiva che normalmente non vi è negli antichi schemi della Via Crucis, la quindicesima. che ci invita a riflettere sulla risurrezione. Nessun vangelo narra il momento in cui Gesù è risorto; usano dei generi letterari diversi: il sepolcro vuoto, le donne e gli apostoli che vi accorrono, le apparizioni a Maria Maddalena, a Pietro, ai discepoli di Emmaus, ai dodici. Sono state diverse le modalità con cui venne comunicata la Resurrezione di Cristo ai suoi discepoli. Ma ciò che è importante non sono le modalità, ma la realtà. Tutti hanno creduto che con la sua morte Gesù di Nazaret è salito al Padre, diventando, “Signore”, cioè l’Unigenito Figlio di Dio. San Paolo dirà, che la Risurrezione è la base della nostra fede, e che dopo Cristo anche noi risorgeremo.

II. Ho fede in questa Risurrezione? Imposto la mia vita presente per meritarla il più gloriosa possibile? La mia vita cristiana é allietata dalla gioia della resurrezione, o é una vita piatta, malinconica, spesso triste?

C. Preghiamo: Signore Gesù, tu sei il risorto dai morti, il primogenito della nuova creazione. Con la tua Risurrezione hai realizzato quella parola che un giorno ci avevi comunicato: ”Quando sarò innalzato io tirerò tutti a me”. Fa che un giorno anche noi possiamo risorgere per vivere con Te nell ’unità del Padre e dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

ALLA CROCE DI CRISTO

I Astro germoglio del giardino dell’agonia. albero senza rami in cui tutto porta frutto Croce di Cristo tu effondi le radici nella roccia capace di raccogliere il seme.

tuttI: Noi ti lodiamo e ti benediciamo o Cristo Perché, con la tua Santa Croce, hai redento il mondo.

II Segno dell’alleanza dello spirito e del sangue polo del mondo, asse del tempo. segnale di una passaggio e di un superamento. Croce di Cristo, sei il memoriale del nostro futuro. tuttI: Noi ti lodiamo…

I Croce elevata in alto, braccia spalancate. Croce in cui è scritto il comandamento nuovo. Tu nell’uomo tracci la via di Dio, mostrando il prezzo del nostro riscatto. Croce di Cristo tu cancelli il debito dei giorni antichi, e ci rendi debitori dell’amore infinito di Dio. tuttI: Noi ti lodiamo….

II Segno d’infamia e segno di gloria tu dichiari che il Signore è servo. Firma di Dio al termine della storia. Scala verso il cielo, trampolino della risurrezione. tuttI: Noi ti lodiamo….

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“Andiamo incontro alla gioia:Cristo è risorto,e l'uomo scoprerinascendo in luiuna eterna infanzia.

È ormai compiutal'opera dei sette giorni.All'alba della domenicail tempo riprende il suo corsoma tutto è trasformato.

Ora abbiamo segni nuovi:il pane, seme della messe di Dio,e il vino, linfa della sua vigna.Vivete la festa della Pasqua:Cristo è risorto e l'uomo scoprecamminando con lui la sua vera patria.

È ormai compiuta l'opera del viventeannunciata promessa.Ora possiamo attingere da Luil'acqua della vita.La mensa dell'amore ci attende,siamo chiamati al banchetto di Dio; giorni d'immensa gioiain cui la Pasqua ci viene offerta.

Cantate oggi l'indicibile meraviglia;e l'uomo scopre, perdendosi in lui,una vita nuova seminata nel suo cuore,che un giorno lo farà partecipedella sua stessa risurrezione

L'uomo scoprela Pasqua

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Sorelle e Fratelli dell'OFS

Capitolo elettivo Consiglio regionaleRelazione della Ministra uscente

Mi presento a voi dopo tre anni di “servizio” che mi ha coin-volto nel tempo e nello spazio. Nel tempo perché il caricocoinvolgente nell’essere capofila di una fraternità imponeuna disponibilità a tutto tondo. Nello spazio, oltre al tempo,perché gli impegni di visite, di presenza nelle fraternità enella fraternità italiana domanda trasferte non indifferenti eassunzione di impegni. Per diverse notti un po’ insonni misono chiesta se avevo assolto al compito che mi era stato af-fidato. In partenza le intenzioni erano numerose e motivate.Ma tutti sappiamo che l’inferno (se esiste) è pavimentatodi buone intenzioni. Oggi mi sembra di presentarmi a voicon le mani colme solo di speranze. Lo spirito di Francescoa cui la mia vita da lunghi anni attinge per sostenermi e dareun senso al muoversi e al vivere quotidiano, mi consola perla pochezza del fare. Tommaso da Celano nella Vita Prima(350) dice: la prima opera cui Francesco pose mano, fu rie-dificare un tempio a Dio. Non pensava di costruirne unonuovo, ma restaurò una chiesa antica… Ben lontana da pa-ragonarmi al nostro padre San Francesco ho ripensato so-vente a queste parole: le anziane che mi hanno precedutomi parlano sovente di una nostra fraternità numerosa, vi-tale, ricca di motivazioni, capace di scelte concrete e attigenerosi, di fiducia nel Signore, attingendo forza e letizianella preghiera per essere testimoni di un carisma tutto par-ticolare. Abbiamo da poco chiuso il 2009 che ci ha vistispettatori di tanti avvenimenti dolorosi e tragici, fra ipocri-sie e avidità, ma ciascuno di noi ha anche incontrato per-sone e avvenimenti che dicono il contrario, senza urlare, nelconcreto della vita quotidiana. E’ questa positività che bi-sogna cogliere, questa seconda opzione che va cercata conpazienza, dandole spazio e credito. Allora diventa forte, mo-tore di ogni esistenza, espressione e sostegno insostituibile

della fede. In questi giorni ci è giunto il primo numero 2010di “Francesco il volto secolare” e guarda caso ho aperto allapagina scritta da Remo di Pinto che parla di Capitolo. Mipermetto riproporvi una sua frase che mi ha portato a ri-flettere: “I momenti che scandiscono i tempi delle nostre Fra-ternità, ad ogni livello, vanno tutti accolti con entusiasmoe senso di gratitudine, giacché dimostrano il procedere dellavita che si rinnova continuamente, assicurando alla Chiesala presenza vivificante a cui siamo chiamati”. E’ indiscussoche le nostre Fraternità invecchiano, ma dobbiamo conti-nuare senza perderci d’animo, il carisma di Francesco devevestirci per portare la sua letizia, la sua generosità, la suapovertà. In una parola dobbiamo continuare un camminoricco di speranza, come virtù ultima a morire; una fiaccolain una società portata al consumismo ed allo sperpero dellanatura che ci circonda, e noi ne abbiamo tanta che tanti ciinvidiano. E’ un appello accorato alla nostra famiglia tuttadel Ticino e dei Grigioni in Val Poschiavo. Avere fiducia dellapianticella che muore sotto la neve ma poi ci porta il granoricco di pane, alimento indispensabile alla nostra vita fisicae spirituale. Vorrei comunque riepilogare le attività svolte inquesti tre anni: la celebrazione del centenario di Santa Eli-sabetta e l’accoglienza della sua reliquia in Ticino, le visitefraterne ad ogni località, tra cui Poschiavo dove ci siamo re-cati due volte, i diversi capitoli, l’organizzazione dei ritiriannuali al Bigorio, i corsi di formazione ad Assisi, i corsi diformazione a Bellinzona con l’assistente regionale, le rela-zioni intrecciate con la Lombardia, la mediazione per portaread ogni Fraternità la documentazione in arrivo dal Consi-glio nazionale e internazionale, per sentirci parte di un’unicafamiglia in cammino, e per ultimo un pellegrinaggio ai luo-ghi cari a Francesco nella valle Reatina. Vorrei concluderesottolineando la gratitudine per un consiglio regionale e unsegretario alacre, solerte che assicura a tutti e a tutto l’in-formazione e la sua dedizione.

Gabriella Modonesi

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Si è svolto domenica 24 gennaio 2010 a Bellinzona, presso il Centro “Spazio Aperto” di proprietà dell’OFS dellaSvizzera italiana, il capitolo Regionale, presieduto dal Consigliere Nazionale Riccardo Farina (delegato dal ministronazionale) e da padre Piero Bolchi, Presidente della Conferenza degli assistenti regionali OFS della Lombardia.La votazione per l’elezione del nuovo consiglio ha confermato come ministra regionale Gabriella Modonesi diLugano, eletta al primo scrutinio. Viceministra è stata votata Antonietta De Carli di Locarno. Quattro sono i con-siglieri: Aldo Bernaschina di Mendrisio, Annamaria Bertossa di Bellinzona, Franchino Casoni di Bellinzona e MariaPola di Poschiavo. Il nuovo consiglio ha ricevuto il mandato di reperire immediate disponibilità per la formazione,il servizio e l’animazione delle famiglie in Regione, rispondendo con fedeltà alle istanze della Chiesa locale.La celebrazione eucaristica, presieduta da padre Piero Bolchi e con la presenza di tre Padri Assistenti locali, ha con-cluso la giornata.

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Il messaggio pasquale è più che mai attuale: invitati a ri-sorgere con Cristo già nella quotidianità che ci concerne,il francescano deve sentirsi – in virtù del Battesimo – an-

nunciatore della Pasqua in ogni contesto della vita. Risor-gere dalle nostre piccole o grandi ombre di morte, essereportatori di speranza sull’esempio e la spinta del carismafrancescano, mettersi al fianco di coloro che non hanno laforza di aprirsi alla luce di Dio che guarisce, conforta e so-stiene, attraverso la Parola e i sacramenti, la Chiesa. In rin-novata forza e vigore, sotto il consiglio e l’impulso delloSpirito Santo che ci sarà donato a Pentecoste, l’Ordine Fran-cescano Secolare cammina ricolmo di fiducia nella Chiesa,a testimonianza della nostra piena cattolicità, come s. Fran-cesco volle vivere, nella Chiesa e per la Chiesa. Una realtàsulla quale richiamo la vostra attenzione è l’opera seraficadi assistenza che viene praticata in piena adesione al Van-gelo nella nostra casa S. Elisabetta a Lugano. In un mondodove il rispetto della persona nella sua fase iniziale vieneminacciato su più fronti per una sempre maggiore banaliz-zazione della vita, le operatrici di casa S. Elisabetta si pro-digano non solo per la difesa della vita ma anche nellapromozione di essa attraverso una presa in carico profes-sionale e completa anche delle giovani madri. Il ConsiglioRegionale si preoccupa di dare maggior spazio di manovraa questa opera serafica attraverso una progettualità checoinvolgerà tutta la nostra realtà regionale. Di fronte all’as-sottigliamento di persone nelle nostre fraternità, dobbiamoriscoprire urgentemente il valore della vocazione france-scana attraverso una condivisione sincera dei beni, senzanasconderci dietro a banali attaccamenti materiali a beniche non lasceremo a nessuno, se non ci mettiamo seduti altavolo della solidarietà. Donare non significa impoverirsi!Chi ha orecchi, intenda.Auguro già fin d’ora una serena Pasqua a tutti, perché Cri-sto risorga nei nostri cuori.

fra Michele, assistente regionale

Ricordo di Sergio GuarneriUn tempo, quando mi si nominavaSergio Guarneri, pensavo subito aqualcosa di grande, la sua statura,la sua corporatura, la lunghezzadella sue braccia davano l’impres-sione di un gigante, metteva unacerta soggezione. Poi l’ho conosciuto bene, ho vissutocon lui nella famiglia francescana, ho condiviso moltimomenti intensi di spiritualità nella fraternità di Bellin-zona, durante i frequenti ritiri spirituali a Bigorio, nelcorso dei numerosi pellegrinaggi ad Assisi. Ho apprez-zato i suoi interventi nelle discussioni alle adunanze, lasua saggezza nei giudizi, i suoi consigli, la puntualizza-zione e il rispetto della Regola e della Costituzioni eanche la sua generosità nei confronti degli enti e dellepersone, da lui moralmente e materialmente assistiti. Lasua vita da francescano è iniziata il 18 giugno 1978 e nel1987 era chiamato ad essere Ministro della Fraternità,mandato che svolse fino al 1983. Seppe dare un validocontributo alla guida della Fraternità, mettendo a postomolte cose di cui ancora oggi beneficiamo: la regolaretenuta dei conti, la stesura di un programma, l’osser-vanza dei termini, dando sempre però il primo posto allapreghiera, all’approfondimento della conoscenza di SanFrancesco, alla meditazione. Poi, giunta l’ora della prova,dimostrò coraggio, pazienza e umiltà nel sopportare lamalattia e tutti i disagi che conseguono. Ha sempre sa-puto scegliere il lato positivo delle cose e la fede, auten-tica e vissuta, è stata il suo sostegno in ogni circostanza.Ora, se mi si nomina Sergio Guarneri penso a ‘qualcunodi grande’ e non per la sua prestanza fisica ma per lagrandezza d’animo. Lo penso con tanta riconoscenza,per l’attaccamento, la fedeltà e l’amore per San Francescoe la Fraternità francescana; lo penso come cristiano mo-dello, parrocchiano esemplare che non aveva mai pauradi esprimere la propria opinione e non parlava mai a van-vera; lo penso come tenero sposo, sempre premurosonei riguardi di Giuliana che lo ha seguito anche nel cam-mino francescano. Sì, qualcuno di grande il nostro Ser-gio, e grande è il vuoto che tutti proviamo, ma losappiamo accanto al Signore, alla sua famiglia, ai tantifrancescani della fraternità celeste. A noi non resta chedirgli ‘grazie’ per ciò che è stato, per ciò che ci ha dato.Sii sempre a noi vicino.

Franca

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Il programma 2010 al Convento del Bigorio

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ti Il nuovo programma per il 2010 è ricco di riproposte dicorsi “collaudati”, di nuovi spunti di approfondimento edi una nuova opportunità: quella di passare una setti-

mana di vacanza con la propria famiglia al convento.Nel dettaglio, il programma di aprile prevede due giornatecon P. Callisto, il 24 e il 25 di aprile, dedicate alla prepa-razione al matrimonio, appuntamento che sarà replicatonel weekend tra il 12 e 13 di giugno. Lo scopo di questegiornate è quello della necessaria revisione del messaggiocristiano del matrimonio per coloro che decidono di spo-sarsi in chiesa e di educare cristianamente i figli. Semprecon P. Callisto, al 25 e 26 di settembre, ci saranno duegiornate di approfondimento del messaggio cristiano cheavrà quale argomento “Le Parabole di Gesù”, seguite daaltre due giornate, il 14 e 15 di novembre, dedicate ai“Miracoli di Gesù”. Questi ultimi due appuntamenti sonoparticolarmente indirizzati a chi è dubbioso o non crede.Continuano anche per il 2010 i corsi d’introduzione all’in-terpretazione della simbologia cristiana dalle origini del cri-stianesimo ai giorni nostri. Don Claudio Premoli, storicodell’arte, illustrerà come, per l’uomo religioso, il simbolopuò esprimere più delle parole il legame tra creato e crea-zione. Le date fissate per questi corsi sono l’11 di set-tembre e il 27 di novembre.Fra Roberto propone inoltre, come ogni anno, alcune gior-nate di ritiro volte a riscoprire il silenzio, nel fine settimanadal 20 al 21 di novembre, nel quale l’ingrediente princi-pale è la profonda riflessione personale attraverso la pre-ghiera e e le silenziose “parole dell’anima”.“In cammino verso la culla”, animato dal Prof. Vaccani e previsto per il 18 e 19 dicembre, è un’esperienza meditativa in nove tappe per prepararsi al Natale e che ripercorre i millenni dell’attesa, le profezie e gli eventi che precedettero immediatamente la nascita del DivinoBambino.Padre Andrea Schnöller è l’animatore dei corsi di medita-zione al Convento del Bigorio, che si svolgeranno nei finesettimana del 9 e 10 di ottobre e del 4 e 5 dicembre.Attraverso di essi guida le persone a conoscere e praticarela meditazione cristiana, che é un cammino verso la con-sapevolezza.È un profondo contributo alla vita, quello di dedicare unpo’ di tempo a sé stessi, alla propria persona, per essere piùdisponibili verso gli altri. Per chi volesse invece “vivere” il Convento per un periodopiù lungo approfittando, oltre che della quiete e spiritua-lità, anche delle bellezze naturali di questo luogo, dal 26al 31 di luglio il convento offre la possibilità di una setti-mana di vacanza per le famiglie con bambini. P. Callisto,che sarà pure presente, animerà queste giornate.

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foto Ely Riva

Il coro del Convento del Bigorio.Luogo di silenzio, di preghiera, di meditazione.

Presupposti per iniziare una conversione interiore e ricuperare il coraggio di guardarsi dentro.

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Il silenzio chegenera la parola

«Parola» e «Silenzio» sembrano destinati ad esclu-dersi a vicenda. Dove c’è silenzio tace la parola, edove domina la parola svanisce il silenzio. In re-

altà, le cose non stanno propriamente così, anche se è beneimparare a tacere per comunicare con la sapienza del si-lenzio, ed è bene che le nostre parole siano, come i suonidella natura e i germogli che spuntano a primavera, frutti diun silenzio vasto e profondo. Infatti, come dice san Gia-como nella sua lettera: «Se uno non commette mai errori inquel che dice, è davvero un uomo perfetto, capace di do-minare tutto se stesso». Ma questo si avvera soltantoquando la parola scaturisce dal silenzio. Dice ancora sanGiacomo: «Se uno crede di essere religioso, ma non sa fre-nare la propria lingua, è un illuso: la sua religione non valeniente!».1

Non è difficile per nessuno, credo, condividere piena-mente queste due attestazioni di san Giacomo. Ma esse,se ben comprese, non contrappongono il silenzio alla pa-rola. L’opposizione tra silenzio e parola è piuttosto il futtodi una prassi che, a sua volta, può essere mal interpretatae mal compresa. Infatti, quando noi c’incontriamo conaltre persone e ci proponiamo di vivere insieme un temposignificativo di raccoglimento e di silenzio, la prima cosache ci chiediamo reciprocamente è di tacere. E’ del tuttoevidente e normale. In un ritiro meditativo, non importase di breve o di lunga durata, questa è un’esigenza fon-damentale, perché lo scopo di un ritiro meditativo è quellodi educarci all’arte dell’ascolto – di noi, degli altri e di ognievento. Ma per essere in ascolto è indispensabile che sisappia anzitutto tacere. «Se in principio era la Parola, edalla Parola venuta ad abitare in mezzo a noi è iniziata lastoria della nostra salvezza, allora, al principio della nostrapersonale storia di liberazione ci deve essere il silenzio: ilsilenzio che ascolta, il silenzio che accoglie, il silenzio chesi lascia animare». Vista la nostra particolare resistenza alsilenzio, è comprensibile che, in un ritiro, si insista sul si-lenzio. E capita, soprattutto in determinati contesti, che siinsista con tale vigore sul silenzio della parola, da susci-tare, sia pure involontariamente, la sensazione che la pa-rola sia sempre e comunque contro il silenzio. Ma la parolanon è necessariamente e soltanto proliferazione verbale,dispersione, rumore.In effetti, se la parola è «retta» parola, non è contro il si-lenzio. E’ piuttosto parola che nasce dal silenzio e checonduce al silenzio: ci svela la ricchezza racchiusa nel si-lenzio e ci fa amare e desiderare il silenzio. Vissuto libe-ramente e con piena consapevolezza, il silenzio è ilgrembo che genera la parola: quella parola che le tradi-zioni spirituali definiscono parola «veritiera», parola «uni-

tiva», parola «gentile», parola «utile», in forma sintetica:«retta» parola.Il silenzio, dunque, non è contro la parola. Però, perché leparole che escono dalla nostra bocca non siano soltatofrastuono e stordimento, vento che gira su se stesso, è in-dispensabile educarci al silenzio. Il rispetto della parola ela sua forza comunicativa esigono il silenzio. Chi parla incontinuazione e non sa tacere, corre costantemente il ri-schio di nominare invano il nome di Dio, nei confronti delquale siamo debitori di tutto, anche del dono della parola.Al contrario, se le nostre parole sono rette, allora non sonosoltanto nostre parole: diventano «parola di Dio», ossiaparole rivelatrici di senso e parole che donano vita.In riferimento alla parola, il silenzio è dunque fondamen-tale. Quello che si dice della consapevolezza della non ac-cettazione, ossia che essa è «incinta di accettazione»,«porta in grembo l’accettazione», lo si può dire del silen-zio: è «incinto di parola», «porta in grembo la parola». E’questo il motivo per cui Pitagora prescriveva a coloro chedesideravano fare parte della sua scuola un lungo tirociniodi educazione al silenzio. Gli ammessi alla scuola, ci fasapere Gallio, «da prima si chiamavano, nel periodo in cuidovevano tacere ed ascoltare, acustici. Ma quando ave-vano apprese le cose più difficili fra tutte, cioè tacere edascoltare, e già avevano cominciato ad acquistare erudi-zione nel silenzio, che veniva detto echemuthia, allora ac-quistavano la facoltà di parlare e di far domande e discrivere quel che avevan sentito e di esprimere quel chepensavano. In tale periodo essi si chiamavano matema-tici, da quelle arti, cioè, che avevano cominciato ad ap-prendere e meditare: poiché gli antichi Greci chiamavanomatematica, cioè scienze, la geometria, la gnomonica, lamusica e le altre discipline più alte. Quindi, adorni di talistudi di scienza, passavano a considerare l’opera delmondo e i principi della natura, e allora infine venivanochiamati fisici».2

Pitagora, dunque, e la scuola che da lui prende il nome,sono più impegnati nel formare e nell’educare, di quantonon lo siano nell’insegnare e nell’istruire. L’echemuthia –il controllo dell’echema, del suono – era per loro più im-portante del parlare. E’ una caratteristica che contraddi-stingue gli antichi, non solo i greci. Prima è sila, l’etica,l’educazione al retto vivere – che riguarda tanto il pensareche il parlare e l’agire – e poi soltanto viene l’istruzione.Per questo, gli antichi pensatori sono quasi sempre anchedei grandi, a volte addirittura sconcertanti, asceti. Essierano convinti che, senza l’educazione del carattere e laretta impostazione di vita, la matematica – ossia lescienze della geometria, della gnomonica, che compren-

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deva lo studio della sfera celeste e delle tecniche relativealla costruzione degli orologi solari, e della musica – ser-vivano a poco. Anzi, il più delle volte producevano piùmale che bene. Lo stesso si poteva dire della fisica, ossiadello studio dell’opera del mondo e dei principi della na-tura. Eraclito dirà: «Sapere tante cose non insegna ad avereintelligenza». E aggiungeva, sempre in questa prospettiva:«Uno è per me diecimila, se è il migliore».In un fascicoletto dedicato a santa Brigida di Svezia - cheGiovanni Paolo II proclamò, insieme a Caterina da Siena ea Edith Stein, quasi a completare la triade già esistente diBernardo da Norcia e dei fratelli di Tessalonica Cirillo e Me-todio, protettrice d’Europa -, si legge: «Tutti, oggi, in modopiù vivo rispetto a ieri, desideriamo la testimonianza dellavita al posto delle parole. O meglio: vogliamo prima con-statare la coerenza della vita e poi, come commento allavita, accettiamo le parole. Ogni giorno di più facciamol’esperienza della crisi della parola: avvertiamo che la pa-rola perde forza, luce, fascino. Essa ci attrae sempre dimeno e ci convince sempre più debolmente. Con il titolodi un libro di Vittorio Gasmann, si può dire che l’uomod’oggi soffre di Mal di parola. C’è un’inflazione impres-sionante della parola: si moltiplicano i messaggi scritti, par-lati, visivi, con ritmo frenetico. Se dovessimo leggere tutto,ascoltare tutto, vedere tutto, non faremmo in tempo a farealtro. Non riusciamo a scegliere, a selezionare, a orientarcifra le tante sollecitazioni della parola. E’ la febbre della pa-rola. Di conseguenza, questa parola così tanto usata di-viene sempre più sciupata, logorata e non credibile. E’«Babele»! E Babele stanca, smarrisce, snerva. Ma gli stessiuomini che diffidano della parola, oggi mostrano un inte-resse vivo per la testimonanza, che è la parola incarnatanella vita. E’ stato Paolo VI a dire: Gli uomini di oggi sonopiù disposti ad ascoltare i testimoni che i maestri».3

Quando la parola scaturisce dalle recondite profondità delsilenzio che ascolta la vita, allora diventa parola viva, checrea, orienta e rigenera. Per questo la Bibbia dice: «Al prin-cipio, Dio disse, e tutto fu creato»; o ancora: «Al principioera la Parola, e la Parola era Dio, era al principio pressoDio e tutto è stato fatto per mezzo di lei e senza di leinulla è stato fatto di tutto ciò che esiste».4 In entrambi icasi, il linguaggio è sicuramente quello metaforico; ma èsignificativo che la potenza e l’efficacia dell’azione crea-trice di Dio venga espresso con l’immagine della Parolache scaturisce dalle profondità del silenzio eterno – senzatempo – di Dio. Altrove invece si dice: «Quanto sono dolci al mio palatole tue parole». Essa è «luce per i miei passi». In effetti, «letue parole, Signore, sono verità». Ed è proprio perché vera,

che la parola di Dio è anche potente: «Dio con la sua pa-rola ha domato l’abisso», proclama il Siracide; mentre inIsaia, è Dio stesso che attesta: «La parola uscita dalla miabocca non ritornerà a me senza effetto». E’ sempre per lostesso motivo, quello della verità, che «neppure una delleparole dei profeti cadrà».5

La Bibbia non cessa di elogiare le qualità della parola diDio che, oltre ad essere onnipotente, funge da modelloalle parole destinate a uscire dalla bocca dell’uomo. Essa,infatti, è «retta», «integra», «benefica»; è «certa» e «ve-race», «stabile come il cielo», ossia è fedele e affidabile,perché non inganna. La parola di Dio, «nel rivelarsi illu-mina» e «tutto risana».6

Ma la parola di Dio è anche «come il fuoco e come unmartello che spacca la roccia»; è «più tagliente di ognispada e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore». E’ pa-rola messa sulla bocca dei profeti, che sono gli uomini delsilenzio, quelli che ascoltano Dio, il quale li interpella eparla loro attraverso tutti i fatti e gli eventi della vita; soloin seguito si rivolgono all’uomo e lo istruiscono.7

Occorre, quindi, «ascoltare con attenzione la parola diDio», «custodirla», «conservarla nel proprio cuore», «darlefiducia», «ricordarci costantemente di essa». E’ così che laparola di Dio «dimora in noi e ci santifica». Come dicebene Pietro nella sua seconda lettera: «Voi fate bene a con-siderare con attenzione le parole dei profeti. Esse sonocome una lampada che brilla in un luogo oscuro, fino aquando non comincerà il giorno e la stella del mattino il-luminerà i vostri cuori».8

Tali sono destinate ad essere le parole che escono dallanostra bocca. Questo dovrebbe essere la costante aspira-zione di ognuno. Ed è augurabile a tutti che così sia.

fra Andrea Schnöller

1 Gc 3,1-122 Gallio A.,, Notti attiche I, 9; matematica, parola com-posta: mathemam investigazione e tekhné, arte.

3 Masciarelli M.G., Brigida di Svezia, Paoline, Cinisello Bal-samo 2009, pp. 21-22

4 Cf Gn 1,3-29; Gv 1,1-25 Cf. Sal 119; Sal 119,105; 2 Sam 7,28; Sir 43,23; Is 55,10;Tb 14,4

6 Cf. Sal 33,4; Sal 18,31; Mi 2,7; Ap 21,5; Sal 119,89; Sal119,130; Sap 16,12

7 Ger 23,29; Eb 4.12; Dt 18,188 Ger 22,2; Sal 119,9; Sal 119,11; Sal 119,42; At 20,35; Dt8,3; 2 Pt 1,19

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Dopo il voto sui minareti

I commentatori politici hanno elencato diversi motivi chesarebbero confluiti a provocare il “sorprendente” risultatodi inserire nella Costituzione svizzera il divieto di costruireminareti. Lo storico Urs Altermatt, in una intervista con-cessa ad APIC (l’agenzia stampa dei cattolici svizzeri) hafatto tre osservazioni relative al rapporto con la religionedel risultato della votazione popolare. Ha osservato chenon meraviglia la poca considerazione che la maggioranzadegli svizzeri ha per la libertà religiosa degli altri: per secoliin Svizzera protestanti e cattolici si sono fieramente e fero-cemente combattuti, la libertà religiosa agli ebrei è stata ac-cordata su pressione straniera a metà dell’Ottocento, gliarticoli discriminatori contro i cattolici sono stati tolti dallaCostituzione federale nel 1971 (e ancora quattro cantoni amaggioranza protestante si sono opposti) e la limitazionerelativa alle diocesi cattoliche è stata abbandonata solo nel2001! Ha poi osservato che il risultato della consultazioneha dimostrato che, almeno per la maggioranza dei votanti,non vale il principio liberale che “ la religione è un affare pri-vato” : infatti la maggioranza ha votato contro un simboloreligioso, giudicando il minareto una manifestazione pub-blica e non un fatto privato, contrario all’intera comunità ri-tenuta rappresentata da altri segni religiosi (chiese ecappelle e crocefissi cristiani, “graditi” e persino polemica-mente difesi anche in edifici statali, legalmente “laici”!).Infine il risultato della consultazione ha evidenziato (manon è una novità) il ridotto seguito che hanno in sede po-litica le indicazioni delle Chiese, cioè della Conferenza deivescovi svizzeri e della Federazione delle Chiese evangeli-che: il sentimento religioso (le conclamate “radici cri-stiane”) si è manifestato contro le indicazioni deirappresentanti “ufficiali” (se così si può dire) del cristiane-simo svizzero. A conferma di una divaricazione tra Chiesee religiosità popolare che da tempo i sociologi hanno con-statato. Secondo l’analisi VOX (riferita dalla stampa del 26gennaio 2010), il 60% dei cattolici e dei protestanti inter-pellati hanno votato contro le indicazioni delle Chiese.

Premiato l’ecumenismo vodese

Dal 2004, una Chiesa o una comunità religiosa apparte-nente al Consiglio delle Chiese cristiane del Canton Vaud(CECCV) invitano a una celebrazione ecumenica nella cat-tedrale di Losanna. La cattedrale è un edificio storico che ri-sale al settimo secolo e appartiene al Cantone: con laRiforma protestante, alla quale il Paese di Vaud ha aderitonel 1536, la chiesa è utilizzata regolarmente dagli evange-lici, ma da qualche anno è messa a disposizione anche del

vescovo cattolico (che risiede a Friburgo) per celebrazioniin circostanze particolari. Queste celebrazioni sono orga-nizzate da una singola Chiesa o particolare comunità, op-pure da parecchie di esse in comune: ogni comunità è liberadi esprimere le sue tradizioni, tutti sono invitati e questocontribuisce a far cadere molti pregiudizi. La CECCV conta19 Chiese e comunità religiose: oltre alla cosiddette “Chiesenazionali” (cattolica, evangelica riformata e vecchio-catto-lica) sono associate diverse Chiese ortodosse, gli Avventi-sti, le Chiese libere e l’Armata della Salute. Lo scorsoagosto, la Comunità di lavoro delle Chiese in Svizzera, haconferito al CECCV il “label ecumenico”, creato nel 2008per onorare progetti ecumenici innovatori, e costituito daun atto ufficiale e da un logo che può essere utilizzato peri comunicati del progetto premiato. Il label rende visibilel’ecumenismo e vuole promuovere la collaborazione tra icristiani, in attuazione della Carta Ecumenica firmata nel2001 a Strasburgo dalle Chiese cristiane europee.

Collaborazione tra le religioni

Dal 2010 il Consiglio svizzero delle religioni (SCR) sarà pre-sieduto da mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion; qualenuovo membro, in rappresentanza delle associazioni isla-miche, è stata nominata Aynur Akalin, una studiosa d’ori-gine turca, attiva come mediatrice culturale e membro delComitato dell’istituto per la cooperazione interculturale diZurigo. Il Consiglio delle religioni è stato fondato il 15 mag-gio 2006 ed è composto da delegati della Conferenza deivescovi svizzeri, del Consiglio della Federazione delleChiese protestanti svizzere, della Chiesa cattolica – cri-stiana svizzera, della Chiesa ortodossa di Svizzera (rappre-sentata dal Patriarca ecumenico), della Federazione dellecomunità israelite e delle Organizzazioni islamiche di Sviz-zera. Il Consiglio vuole contribuire a creare fiducia tra le co-munità e promuovere la pace tra le comunità religiose,nonché rappresentarle nelle relazioni con le autorità civili.

I canonici di San Nicola a Friburgo

Fino al trasferimento a Friburgo del vescovo diocesano (cheora porta il titolo di vescovo di Ginevra Losanna Friburgo),il capitolo dei canonici di San Nicola rappresentava l’auto-rità episcopale per il cantone. Il capitolo era stato istituitonel 1512 da Giulio II (lo stesso che nel 1506 fondò la Guar-dia svizzera) e dotato di 15 canonici autonomi rispetto alvescovo di Losanna; il capitolo ebbe da allora un granderuolo nella vita religiosa e civile di Friburgo e del Cantone,diffuse efficacemente le idee della Controrifoma cattolicadecisa al Concilio di Trento, fornì personaggi eminenti della

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Appunti di vita ecclesiale

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vita culturale artistica politica e religiosa, tra cui diversi ve-scovi; infine fece venire a Friburgo i padri gesuiti, tra cuiPietro Canisio, fondatore del collegio St. Michel. Un tempoi canonici erano nominati dalle autorità civile, e il prevostoaveva diritto alla mitra e al pastorale. Quando nel 1924 lacollegiata di S.Nicola divenne la cattedrale della diocesi, ilcapitolo perse molti privilegi, ma continua ad avere unagrande importanza per la pastorale della città e del can-tone. Nel 2012 verrà solennemente festeggiato il 500° an-niversario della fondazione.

A proposito di matrimoni misti

I matrimoni tra persone di confessione diversa sono da de-cenni una real tà, anche in Ticino. Secondo l’Annuario sta-tistico ticinese (edizione 2009) i matrimoni tra persone didiversa religione (cattolica, protestanteo altra) furono nel 1970 in totale 162, enel 2008 ben 297 su 1678 matrimonicensiti: poco meno di un quinto. Tra lecause dei divorzi (in Ticino nel 2008 fu-rono 803) sembra che ci sia anche la di-versità di religione tra i coniugi. Ilmensile “Voce evangelica” ha fatto ese-guire da un istituto specializzato una ri-cerca che ha interrogato un campione di500 ticinesi. E’ risultato che una chiaramaggioranza (51,3%) ritiene che i ma-trimoni fra persone di religione diversasiano più esposti a problemi o dif ficoltàche non i matrimoni conclusi fra per-sone con il medesimo cre do. Una maggioranza del 70,4% degli inter-vistati dichiara tuttavia che non avrebbenulla da obiettare se i propri figlio o figliadecidessero di sposare una persona di re-ligione non cristiana: la percentuale af-fermativa è dell’86,1 % fra i giovani mascende al 56,4% per coloro che supe-rano i 55 anni. Altra domanda riguardavala religione per i figli in caso di matri-monio misto: per una maggioranza del75,9% la scelta dovrebbe essere lasciataai figli stessi, ma con l’età degli intervi-stati cresce la percentuale di coloro chepreferiscono la religione della madre (il17,6 % per gli ultra 55enni). Una piùampia informazione sul risultato del son-daggio è stata pubblicata su “Voce evan-gelica” del novembre 2009.

Cercasi cappellani militari

Come le Chiese, anche l’esercito svizzero ha carenza dipreti e pastori: un quarto dei posti sarebbe attualmente va-cante e ciò mette in difficoltà l’autorità che, per legge, deveassicurare l’assistenza religiosa ai militi. Al cappellano, re-sponsabile di regola per un battaglione (circa mille uomini)è chiesto di prestare 300 giorni di servizio entro i 50 anni,impegno considerato troppo pesante per un clero già so-vraccarico e sempre meno giovane. Tra i rimedi per farfronte alla carenza, si pensa di assumere studenti in teolo-gia quali “apprendisti” (che già devono prestare serviziomilitare) o cappellani a tempo ridotto; per ora non è previ-sta invece l’assunzione di imam, come recentemente hafatto l’esercito austriaco.

Alberto Lepori

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La Comunità di lavoro delle Chiese in Ticino compie 10 anni

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o È’ un significativo traguardo quello raggiunto loscorso 24 gennaio dalla Comunità di lavoro delleChiese cristiane nel Cantone Ticino: l’organismo

ecumenico ha infatti festeggiato il suo decimo anni-versario, dapprima con una celebrazione ecumenica -nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità deicristiani - tenutasi nella chiesa evangelica di Lugano eteletrasmessa in diretta in tutta la Svizzera, poi con unpranzo conviviale che ha riunito rappresentanti dellevarie Chiese membro, delegati del passato e del pre-sente e amici. Ma qual è la storia recente del movi-mento ecumenico in Ticino? Cerchiamo di ripercorrernele principali tappe a grandi linee.

Nella diocesi di Lugano, uno dei frutti del Concilio Vati-cano II (1962-1965) e del Sinodo 72 dei cattolici svizzeriè stata l’istituzione, il 30 novembre 1975 da parte del vescovo Giuseppe Martinoli, della Commissione ecume-nica diocesana. Venne così dato seguito a una delle raccomandazioni formulate dal Sinodo, quale premessaalla costituzione della Commissione ecumenica del Ticino. Quest’ultima, formata da 12 delegati (6 nominatidal vescovo di Lugano e 6 dal Consiglio sinodale di quellache era la Federazione delle Comunità evangeliche riformate del Ticino) si riunì per la prima volta il 6 gen-naio 1976.

Da allora, in Ticino l’ecumenismo ha certamente fattomolta strada. Dalla diffidenza iniziale e dai pregiudizi tracattolici e protestanti (le altre confessioni erano ancorainesistenti, sconosciute o fortemente minoritarie), si èpian piano creato un clima molto più fraterno, base in-dispensabile per l’avvio di una proficua collaborazione.Inoltre, con il passare degli anni la Commissione non po-teva certo rimanere indifferente alla presenza, in Ticino,di fedeli di altre Chiese cristiane, notevolmente aumen-tata, per quanto riguarda ad esempio gli ortodossi, in se-guito ai rivolgimenti politici che hanno caratterizzatol’Europa dell’Est a partire dall’inizio degli anni ’90. Giànel 1987, la Commissione ecumenica modificò i suoi sta-tuti per dare la possibilità a rappresentanti di altre Chiesecristiane presenti in Ticino di assistere alle sue riunionicome osservatori. L’invito fu accolto con gioia e interesse.Inoltre ancora prima, precisamente a partire dal 1985, mi-nistri o rappresentanti ufficiali di queste Chiese parteci-parono regolarmente alla celebrazione ecumenicacantonale organizzata ogni anno in occasione della Set-timana di preghiera per l’unità dei cristiani (che si svolgedal 18 al 25 gennaio), non più limitata dunque, com’erastato fino allora, ai cattolici e agli evangelici.

Dalla Commissione ecumenica alla Comunità di lavoro

Un’altra pietra miliare per l’ecumenismo in Ticino è stata lacostituzione ufficiale, il 23 gennaio 2000 nella cattedrale diLugano, della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nelCantone Ticino. L’atto di fondazione, nell’ambito della cele-brazione ecumenica in occasione della Settimana di preghieraper l’unità dei cristiani, venne firmato dai rappresentanti di 10Chiese: il ven. Peter Hawker per la Chiesa anglicana, il sig. Ma-noug Inyapan per la Chiesa apostolica armena, il rev. Chri-stoph Bächtold per la Chiesa cattolica cristiana, mons.Arnoldo Giovannini (a nome del vescovo mons. GiuseppeTorti) per la Chiesa cattolica romana, p. Antonio Ava Shenutiper la Chiesa copta ortodossa, la pastora Helene Fontana perla Chiesa evangelica battista, il pastore Ulrich Breitenstein perla Chiesa evangelica riformata, il rev. Hakan Nilsson per laChiesa luterana svedese, p. Mihai Mesesan per la Chiesa or-todossa e p. Ibrahim Unal per la Chiesa siro-ortodossa. La pre-dicazione, sul tema “Benedetto sia Dio… che ci ha benedettiin Cristo”, fu tenuta dal pastore Thomas Wipf, presidentedella Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera edella Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera.

Negli anni successivi si sono ritirate dalla Comunità, per man-canza di “effettivi”, la Chiesa apostolica armena e la Chiesa lu-terana svedese, mentre la Chiesa cristiana avventista delsettimo giorno è entrata come osservatrice. Presidenti dellaComunità di lavoro sono stati il pastore Martino Hauri (2000-2005), p. Mauro Jöhri (2005-2006), Paolo Sala (2006-2007) edon Maurizio Silini (dal 2007).

La costituzione della Comunità di lavoro, che ha dunque so-stituito la Commissione ecumenica, è stata il frutto della sem-pre maggiore collaborazione tra le diverse Chiese ed hacostituito il compimento di un iter assai lungo e talvolta tor-tuoso: formazione di un gruppo di lavoro, procedura di con-sultazione, scrittura e riscrittura degli statuti, loroapprovazione da parte delle autorità delle Chiese e infine lafirma, avvenuta come detto il 23 gennaio 2000, dell’atto difondazione. A proposito degli statuti, per l’allestimento deiquali ci si è ispirati dal Consiglio delle Chiese cristiane di Mi-lano, è interessante notare che tutte le Chiese, indipendente-mente dal numero di fedeli che contano in Ticino, hanno lostesso “peso”, nel senso che ogni Chiesa può nominare per laComunità di lavoro da uno a quattro delegati, ma ogni dele-gazione ha diritto a un solo voto. Situazione classica nei con-sessi ecumenici, le risoluzioni (per le quali è richiestal’unanimità) hanno carattere consultivo e non possono esserevincolanti per le Chiese.

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Compiti impegnativiPer tornare agli statuti, la Comunità di lavoro si definisce,all’art. 1, come “un organismo di Chiese che confessano ilSignore Gesù Cristo come Dio e Salvatore del mondo se-condo le Sacre Scritture e per questo cercano di risponderealla comune vocazione e glorificazione di Dio Padre e Figlioe Spirito Santo”. Nei suoi 10 anni di esistenza, la Comunitàha cercato di adempiere i compiti fissati all’art. 2, cioè te-stimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo, coltivare nelleChiese una sensibilità ecumenica, favorire una corretta ereciproca conoscenza delle Chiese, studiare e sostenere in-sieme attività ecumeniche, diffondere informazioni sulle at-tività del movimento ecumenico, cercare risposte comuni aiproblemi religiosi che interpellano la fede cristiana, proporreorientamenti e iniziative di pastorale ecumenica, discuteree chiarire eventuali incomprensioni tra le Chiese, prestareattenzione alla correttezza dell’informazione sulle Chiesenei mezzi di comunicazione sociale, diffondere l’informa-zione sulle attività delle Chiese membro, prendere posi-zione su questioni rilevanti riguardanti le Chiese, la societàe tematiche di carattere etico-religioso e curare i contatticon la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzerae con altri organismi regionali, nazionali e internazionali.Ovviamente, anche a causa delle sue forze limitate, la Co-munità di lavoro è riuscita finora ad assolvere solo in partequesto ambizioso mandato. Particolare cura è stata riser-vata alla conoscenza reciproca tra le Chiese, anche grazie

all’organizzazione di visite ad alcuni luoghi significativicome il monastero ecumenico di Bose, quello siro-orto-dosso di Arth, quello della Chiesa copta a Lacchiarella (Mi-lano), alla Comunità di Taizé, alla “Haus der Stille” diKappel am Albis e soprattutto il viaggio-pellegrinaggio inRomania, nel settembre 2007, in occasione della terza As-semblea ecumenica europea di Sibiu.Un particolare impegno la Comunità di lavoro lo ha semprededicato alle celebrazioni ecumeniche. Ne organizza due inprima persona: quella cantonale di gennaio per la Settimanadi preghiera per l’unità dei cristiani, a Lugano (quelle del2008 e del 2010 sono state trasmesse in diretta dalla Tele-visione svizzera), e quella della Festa federale di ringrazia-mento, la terza domenica di settembre, generalmente aBellinzona. A questo proposito, ricordiamo anche quella inoccasione del bicentenario del Cantone Ticino, pure tra-smessa in diretta dalla Televisione svizzera, il 21 settembre2003 a Mesocco. La Comunità di lavoro patrocina inoltre lacelebrazione ecumenica che viene organizzata ogni anno inagosto nell’ambito del Festival del film di Locarno.Conferenze con esponenti di primo piano delle varieChiese, lo studio di documenti ecumenici, la questione del-l’insegnamento religioso nelle scuole (con incontri con idocenti) e la partecipazione alla Settimana delle religionisono stati alcuni tra gli altri ambiti nei quali la Comunità dilavoro si è attivata in questi suoi primi 10 anni di vita.

Gino Driussi

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La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno, generalmente celebrata dal 18 al 25 gennaio, era imperniatasul centenario della Conferenza missionaria internazionale di Edimburgo, svoltasi nel 1910, incontro considerato di fatto l’ini-zio ufficiale del movimento ecumenico contemporaneo. Nell’estate di 100 anni fa, infatti, oltre 1000 delegati di Società mis-sionarie protestanti di diverse denominazioni, a cui si unì un ospite ortodosso, si riunirono nella capitale scozzese con lo scopodi aiutare i missionari a forgiare uno spirito comune e non concorrenziale. I promotori della Settimana di preghiera, cioè la Com-missione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità deicristiani, hanno opportunamente rivolto alle Chiese scozzesi l’invito a preparare il testo e la liturgia per la Settimana di pre-ghiera 2010, e il tema scelto è stato “Voi sarete testimoni di tutto ciò” (tratto dal cap. 24 del Vangelo di Luca).

Per ricordare questo centenario, una grande conferenza ecumenica internazionale avrà luogo a Edimburgo dal 2 al 6 giugnodi quest’anno, sul tema “Essere testimoni di Cristo oggi”.

La Settimana per l’unità 2010 sotto il segno di Edimburgo

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Mick E. L. Confessione. Per capire il sacramentoPadova, Messaggero, 2008

L’editrice Messaggero di Padova ha curato un’agile collezionedi libretti sui sacramenti che ci sono molto utili per questi numeri. Segnaliamo il presente, anche se avremmo preferito che il ti-tolo non usasse più la parola confessione che insiste sull’ac-cusa, ma la parola penitenza che sottolinea la disposizionedell’animo che deve avere chi si accosta a questo sacramento.Si tratta di un sussidio scritto da un sacerdote di Cincinnati (Stati Uniti), laureato in li-turgia, che presenta in sintesi la visione di questo sacramento e la sua storia. Opera di par-ticolare importanza per tutti i cristiani, non solo per i genitori che preparano a questosacramento i loro bambini. Un testo che può anche servire per la catechesi degli adulti eper i gruppi che vogliono riscoprire la loro fede cristiana.

Caldelari P. CallistoAtti degli Apostoli - Ritratto dellaChiesa delle origini per chi ancoranon la conosce, ma anche per chidubita o non crede nel cristianesimoBellinzona, Ed. Istituto Bibliografico, CHF 25.- (per gli abbonati del Messaggero)da richiedersi direttamente alla segreteria della Comunità del S. Cuore:[email protected]

Queste pagine non sono da leggersi tutted’un fiato, per rincorrere le vicende e i primipassi della Chiesa. Forse è più utile leggerlepasso passo, capitolo per capitolo, e poi la-sciar sedimentare le impressioni, riflettendosu fatti e parole. O addirittura paragrafo perparagrafo per assimilare meglio. Anche perquesto – come per gli altri libri su Gesù e le parabole – questa edizione si presenta conun formato non tascabile, ma da tavolino, quasi da salottino o da comodino, per sugge-rire i momenti di relax nei quali è più opportuno leggere. L’autore giunge a dire al suo let-tore di non preoccuparsi se si addormenta su queste pagine: quello che raccontanolavoreranno in lui, forse anche nei sogni. E termina scrivendo: “Non m’illudo di essere riu-scito a presentare la storia di una istituzione, la Chiesa, per me affascinante e alla qualeho cercato, malgrado i molti limiti, di dedicare la mia vita. Ma permettete che la pennascriva di ciò che abbonda nel cuore”.

Abbiamo letto...abbiamo visto...

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Convento dei CappucciniSalita dei Frati 4CH - 6900 Lugano