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M a n u a l i d i s c i e n z e p s i c o s o c i a l i psicologia della comunicazione cibernetica, fenomenologia e complessità Mauro Maldonato e llissi Gruppo Editoriale Esselibri - Simone SP12 Estratto della pubblicazione

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psicologia dellacomunicazionecibernetica, fenomenologiae complessità

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Copyright © 2002 Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Serie - Ottobre 2002

Copertina: Gianfranco de Angelis

Il catalogo è consultabile al sito Internet: www.ellissi.it

Stampa: CECOM - Via Cardaropoli - Bracigliano (SA)

Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale

© è un marchio della ESSELIBRI S.p.A.ellissi

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Questo libro nasce da alcune riflessioni svolte nel corso delle mie esperienze diinsegnamento presso la Seconda Università di Napoli, l’Università della Basili-cata e la Pontificia Università Cattolica di San Paolo del Brasile. Le lezioni quiraccolte nascono da una rilettura della psicologia della comunicazione allaluce della teoria fenomenologica e della teoria della complessità.Sono state queste prospettive — unificatesi presto in un metodo teoricamenteateoretico — a orientare il mio cammino e a consentirmi di ri-costruire, in unatrama unitaria, discipline differenti come la cibernetica, l’etologia, la psicologiafenomenologica, la linguistica, la semiotica, la psicoanalisi, la comunicazionepersuasiva e altro ancora. In tal senso, il mio inestinguibile debito di riconosci-mento va ai maestri e amici Bruno Callieri ed Edgar Morin, che mi hanno fattovedere, da angolazioni teoriche differenti, come la conoscenza si nutra inces-santemente di sguardi liberi, molteplici.La mia più viva gratitudine va a Daniela Cutino per l’attenzione, la cura e il rigorecon cui ha sorvegliato il farsi di questo libro. Devo molto alla passione e allacuriosità dei miei allievi. Da loro ho tratto le motivazioni a dar forma editoriale aqueste esperienze. Ringrazio, in particolare, Antonella Radogna per le tante in-terrogazioni che mi hanno aiutato a gettar luce su alcune cruciali questioni.Esprimo, inoltre, un senso di calda riconoscenza verso i tanti amici e colleghi chehanno, in modo diverso, migliorato il progetto iniziale del libro: penso, tra glialtri, a Roberta Barni, Rosita Borriello, Paolo Broccoli, Antonio Cardellicchio,Francesco Cormino, Edgard de Assis Carvalho, Nurimar Maria Falci, FedericoLeoni, Carlo Lottieri, Humberto Mariotti, Oscar Nicolaus, Sergio Petrosino, DarioViganò, Alessandro Vitale; ancora, a Mario Bologna e Luigi Vicinanza, che mihanno aiutato ad attraversare — in una ormai quasi decennale esperienza gior-nalistica — i territori sovente distanti e poco familiari della comunicazione mas-smediatica; last but not least, ai tanti colleghi e amici dell’Università della Basi-licata — Aldo Corcella, Margherita Fasano, Michele Goffredo, Paolo Masullo,Ferdinando Mirizzi e altri ancora — che, in questi anni, sono stati prodighi diconsigli preziosi nella mia esperienza universitaria in Basilicata.

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Introduzione

La comunicazione è un concetto apparso molto di recente, almeno nel sensoin cui lo si intende oggi. Il termine, in realtà, è in uso da lungo tempo con altredeclinazioni. Si è dovuto, però, attendere la metà del XX secolo perché la suaestensione semantica raggiungesse l’ampiezza che oggi tutti conosciamo.Fin dalle prime elaborazioni compiute in ambito cibernetico, il termine-concet-to comunicazione ha consentito di connettere livelli di realtà, dinamiche efunzioni, diverse e distanti tra loro, che gli hanno conferito progressivamenteun ruolo più generale, presto identificato con la modernità. La comunicazioneè diventata così, via via, il terreno di confluenza di studi teorici ed empirici daipresupposti filosofici ed epistemologici molto diversi tra loro, come la semioti-ca, la cibernetica, la linguistica, la sociologia, la psicologia, l’etologia ecc.Forse è plausibile affermare che l’insieme delle pratiche che oggi chiamiamo‘comunicazione’ esiste da sempre. Da sempre, infatti, l’uomo ha comunicato,proprio come ha da sempre usato il linguaggio o gli utensili (le risorse essenzialidell’uomo preistorico per la propria sopravvivenza). In tal senso, la comunica-zione nasce quando il linguaggio e gli utensili diventano tutt’uno. Da un lato losviluppo di capacità sempre più sofisticate di comunicare e dall’altro la crescitadel dominio sull’ambiente, hanno favorito, sia filogeneticamente sia ontogene-ticamente, l’evoluzione umana nel corso dei millenni.In breve, uomo e comunicazione si sono sviluppati insieme, perché insieme sisono sviluppati il linguaggio verbale, il suo sistema gestuale, le sue pratichesimbolizzate. Sebbene non vi siano, in letteratura, evidenze incontrovertibili suquali fossero i modi e le forme del comunicare dell’uomo preistorico primadella scrittura, è plausibile supporre che segni, gesti e suoni, fossero tutt’unocon i suoi atti comunicativi. Come Darwin ha chiarito, ad assolvere le funzioniadattative fondamentali è stata proprio l’interazione di questi segni, gesti esuoni; delle espressioni della paura, dell’aggressività e del pericolo; della costru-zione degli utensili e della trasmissione sociale delle tecniche per realizzarli ecc.

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Con la nascita del linguaggio e del bisogno di comunicare, l’uomo ha comincia-to a elaborare prodotti culturali e ad affinare abilità tecniche specifiche che neimillenni hanno dato al linguaggio un suo specifico profilo e hanno trasformatola comunicazione in un sistema complesso di simboli. Ciò ha avuto sul pianoevolutivo effetti formidabili. Tutto il sistema cognitivo ne è stato influenzato, inuna dinamica circolare che ha visto l’evoluzione biologica promuovere l’evolu-zione culturale e viceversa. Le capacità comunicative sono diventate così lacausa e l’effetto, la premessa e l’esito dell’acquisizione di una competenza co-municativa essenziale alla sopravvivenza, in un processo fondato sulla strettainterdipendenza di tutte le sfere dell’attività umana.Ma come nasce la moderna nozione di comunicazione? Se fino quasi alla metàdel Novecento tale nozione era sconosciuta fuori dagli ambiti del linguaggio edella tecnica, tra gli anni Quaranta e Cinquanta vedono la luce due opere deter-minanti per lo sviluppo successivo delle scienze della comunicazione: Cyberne-tics or Control and Communication in the Animal and the Machine di Nor-bert Wiener (1948) e la Teoria generale dei sistemi di von Bertanlaffy (1950).In realtà già nel 1942 Wiener (insigne matematico del Mit di Boston) firmòinsieme ad altri studiosi l’articolo Behavior, Purpose and Teleology, che puòessere considerato il testo fondatore della moderna teoria della comunicazione.Ad esso fece seguito, pochi anni dopo, Cybernetics or Control and Commu-nication in the Animal and the Machine, forse la sua opera più nota.Nasce così la cibernetica. Per la prima volta nella storia della modernità, unateoria scientifica tenta di ‘federare’ tutte le leggi generali che governano lerelazioni tra i fenomeni naturali e quelle tra i fenomeni culturali. Impegnati, daun lato, nella produzione di risultati misurabili scientificamente e, dall’altro,nella definizione delle dinamiche generali dei fenomeni propriamente umani,gli scienziati della cibernetica — studio matematico dei codici che definisconole analogie tra fenomeni di differente natura (il mondo della vita, naturale oartificiale) — propongono di elevare la comunicazione a valore centrale e para-digma unificante del ‘gran libro dell’universo’.In quanto scienza delle relazioni tra sistemi naturali e culturali, la ciberneticadiviene presto — con il contributo di antropologi come Bateson, di neurofisio-logi come McCulloch e Ashby, di logici come Pitts, di fisici e matematici comevon Neumann, Turing e von Bertanlaffy, di psichiatri come Watzlawick, di po-

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litologi come Elazar e altri ancora — la disciplina cardine di tutto il modernoconcetto della comunicazione: un concetto che rimetterà in questione i para-digmi e le concezioni classiche della scienza e, al tempo stesso, inaugurerà unadelle più prodigiose rivoluzioni scientifiche di tutti i tempi.Ciò nondimeno, ancorché profondamente insoddisfatti del ‘metodo’ delle scienzeclassiche, questi ricercatori erano davvero poco interessati a fondare un nuovo‘metodo’ scientifico. Erano, al contrario, di gran lunga più interessati ad unanuova definizione dell’uomo e della realtà e a rinnovare l’insieme delle discipli-ne scientifiche (e le loro relative specializzazioni), i cui confini erano da lororitenuti angusti e inadeguati. Proprio a partire da Wiener, essi rifiuteranno sem-pre di delimitare i confini della nuova scienza.Accanto alla Cibernetica, un grande tentativo di integrazione delle scienze na-turali e umane fu compiuto da Bertanlaffy, con la sua Teoria generale deisistemi. Intorno al 1947 lo studioso viennese rese note le sue idee sul «BritishJournal of Philosophy of Science» (che raccoglievano gli appunti di una serie diconferenze) relative ai ‘sistemi’, che verranno pubblicate più tardi nella suaopera più importante: Teoria generale dei sistemi (1950). Qualche anno piùtardi, nel 1954, dall’incontro tra von Bertanlaffy, Boulding (economista), Ra-paport (biomatematico) e Gerard (fisiologo) nacque la Società per la RicercaGenerale sui Sistemi, il cui scopo era quello di incoraggiare lo sviluppo dimodelli teorici applicabili a settori diversi della conoscenza.Con i concetti di complessità organizzata o complesso di elementi interagen-ti, von Bertanlaffy (principale teorico della teoria dei sistemi che fu fortementeinfluenzato dal gestaltismo e dalla psicologia fenomenologica) tenta di individuarei principi invarianti di un qualsiasi sistema — sia esso fisico, biologico, psichico osociale — individuando in ognuno di essi analogie strutturali o isomorfismi.Naturalmente, individuare analogie tra le strutture di un sistema (o di più siste-mi) non significa identificare la natura dei suoi elementi. Per Bertanlaffy, il fattoche la legge della gravitazione di Newton rappresenti il comune denominatoredi una mela, del sistema planetario e del fenomeno delle maree, non significaaffatto che tra le mele, i pianeti e gli oceani vi siano somiglianze. Non è proce-dendo con una reductio ad unum della molteplicità del reale ai casualismi dellehard sciences che si perviene ad una concezione unitaria del mondo. Ammes-so che ad essa si possa mai pervenire, l’unica via possibile è quella della ricerca

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e dell’individuazione di un isomorfismo delle leggi nei diversi campi di indagine.È chiaro che il tentativo di unificazione del sapere espone al rischio dell’assunzio-ne del linguaggio logico-matematico quale unico linguaggio possibile: rischio,questo, valido per i sistemi chiusi della fisica convenzionale, più che per i sistemiaperti della biologia, che scambiano continuamente energia, materia e informa-zioni con l’ambiente. Un organismo vivente è, infatti, un sistema aperto fondatosu un equilibrio dinamico di flussi in ingresso e in uscita. Proprio all’opposto di unsistema chiuso, dove lo stato finale è determinato da condizioni invarianti nellepremesse e negli esiti, un sistema aperto si regge su un equilibrio instabile chepuò essere raggiunto in diversi modi e a partire da diverse condizioni iniziali.Questa nuova visione della scienza (e, più in generale, della conoscenza) in-fluenzerà profondamente la psicologia, già fortemente sollecitata dalla psicoa-nalisi ad aprirsi a piani teorici ed empirici altri, ad allontanarsi dalle derive deiriduzionismi cognitivistici e biologistici della mente. Inoltre, i contributi dei teo-rici della Gestalt, della psicoanalisi (Lacan dirà che «l’inconscio è strutturatocome un linguaggio»), dell’etologia, dell’antropologia, della semiotica, delle tec-niche della comunicazione persuasiva e altro ancora, porteranno non solo adaccrescere la complessità (cfr. Morin) del comportamento comunicativo, ma adabolire di fatto le barriere che hanno sempre separato le scienze della naturae le scienze dello spirito, portando un forte contributo nella de-biologizzazionedello studio dell’intelligenza e della mente.Ma a cosa alludiamo, oggi, con la definizione di ‘psicologia della comunicazio-ne’? In forza di quali teorie e di quali pratiche ne parliamo? È chiaro che unarisposta a tali domande richiede non solo una preliminare descrizione dellecomplesse dinamiche in gioco nel comportamento umano, ma anche un con-gedo da quei modelli meccanicistici che la rubricano a scambio di informazionicome i processi di codifica e di decodifica.Come vedremo in seguito, un’interazione comunicativa non è solo la codificadi messaggi in segni e comportamenti che le loro esperienze e capacità glimettono a disposizione, ma uno scambio reciproco di intenzioni comunicativetra individui sollecitati da tensioni, bisogni e aspettative, cioè un atto interpreta-tivo delle intenzioni reciproche di uno o più soggetti.Naturalmente, tra il messaggio emesso e le intenzioni dell’emittente non vi ècoincidenza. Esso è perlopiù un insieme di segni che può verosimilmente pro-

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vocare una risposta desiderata. Il messaggio, infatti, può essere codificato inparole scritte o pronunciate, gesti, espressioni del viso, immagini, musica oqualsiasi altro insieme di segni interpretabili da un ricevente. Ora, nel lasso ditempo tra codifica ed emissione, il messaggio è indipendente sia dall’emittentesia dal ricevente. Che si tratti di scrittura, di onde elettromagnetiche, degli effet-ti di una qualsiasi fonte luminosa o di qualsiasi altro insieme di segni, esso èslegato da qualsiasi referente. Se qualcuno non vi leggesse un significato, essoresterebbe solo un fenomeno fisico.Tuttavia, quando i segni codificati giungono ad un ricevente, quest’ultimo liassume e li decodifica con gli strumenti teorici ed empirici che ha a disposizio-ne. Tali dinamiche sono assolutamente individuali. Non esistono, infatti, dueindividui che abbiano la medesima esperienza, così come non esistono indivi-dui che possano ricavare il medesimo significato da un insieme di segni. In ognicaso, se il messaggio è stato codificato con una sufficiente abilità e se, soprat-tutto, i soggetti interagenti hanno esperienze simili, è probabile che parte delsignificato trasmesso dall’emittente possa raggiungere il ricevente.A questo punto, però, alcune sequenze possono non realizzarsi. Intanto, ilmessaggio potrebbe non essere percepito dal ricevente (un’interferenza, unrumore o altro ancora potrebbero determinare errori nella percezione del mes-saggio); potrebbe esser considerato di scarsa importanza rispetto ad altri stimo-li disponibili; o potrebbe, addirittura, venire frainteso per differenze di esperien-ze e visioni tra l’emittente e il ricevente.Alla percezione e alla decodifica del messaggio segue l’interpretazione secondoquel che esso evoca nel ricevente: egli può rifiutarlo, memorizzarlo, interpretar-lo in un senso opposto alle intenzioni dell’emittente (specialmente se tale mes-saggio mette in questione radicate credenze o atteggiamenti); può codificare unmessaggio in risposta a quello ricevuto; oppure far qualsiasi altra cosa sia statastimolata dalla comunicazione.A questo punto è necessario fare alcune osservazioni. Sebbene per decenni si siaritenuto che a essere attivo fosse solo l’emittente e il ricevente avesse un ruolotendenzialmente passivo (e che, in forza di ciò, il ricevente, di fronte ad un emit-tente esperto e competente sul piano comunicativo, fosse piuttosto indifeso),l’orientamento attuale è quello di ritenere che la comunicazione tra due individuisia un processo straordinariamente attivo, che vede il ricevente intervenire attiva-

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mente sul contenuto del messaggio, ricercando in esso stimoli attentivi che sele-zionerà, reintepreterà e, infine, utilizzerà nel modo a lui più consono.Nulla, però, di questo processo passa direttamente dall’emittente al ricevente.Se fino a qualche decennio fa era ovvio paragonare il processo comunicativo alpassaggio degli elettroni da una fonte di energia, tramite i fili, ad una lampadi-na elettrica (il processo di illuminazione), oggi tale assunto non è consideratopiù vero. Un messaggio generato dal sistema nervoso di un individuo non sitrasferisce fisicamente al sistema nervoso centrale di un altro individuo. Nonc’è alcun effetto meccanico in tale processo.Piuttosto che di energia che si sposta linearmente da un ambito all’altro, è piùcorretto parlare di uno scambio di intenzionalità la cui meta (il dialogo, la persua-sione, l’incontro) non è necessariamente garantita. La comunicazione, infatti, èun’attività di due o più individui che entrano in relazione o, se si vuole, la relazio-ne che questi individui stabiliscono mediante l’elaborazione di contenuti recipro-camente scambiati. Certo è che ogni messaggio viene codificato dall’emittente inbase alla sua conoscenza del ricevente e, viceversa, viene interpretato (almenoparzialmente) in base alla conoscenza che il ricevente ha dell’emittente.In definitiva, un messaggio è un’attività estremamente complessa. Usiamo iltermine attività non a caso, perché esso non consiste mai in un unico tipo disegni. Come vedremo, un individuo che parla non comunica solo mediante leparole, ma anche attraverso il tono e le diverse modulazioni della voce, la velo-cità dell’eloquio, la mimica facciale, la posizione del corpo, i gesti e addiritturagli abiti che indossa.Del resto per comunicare un giornale utilizza non solo le parole che stampa,ma anche il corpo dei caratteri utilizzati, la posizione di una notizia o di unarticolo nella pagina, il titolo, la presenza o l’assenza di illustrazioni o fotogra-fie, la collocazione di certe notizie in questa o quella pagina. Tutte queste carat-teristiche vanno considerate nella loro complessità.In conclusione, la comunicazione tra due individui non è mai semplice. Essipossono conoscersi bene; possono aver stabilito modi di comunicazione effica-ci; possono addirittura, conoscendosi o meno, mostrare grande competenzacomunicativa; ciò nondimeno, la comunicazione resterà una sinfonia incompiuta.

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Modelli e prospettive 13

Modelli e prospettive

I primi tentativi di definire la comunicazione nacquero in ambi-to matematico. I modelli prevalenti rappresentavano il passag-gio di un segnale da un emittente ad un destinatario attraversoun canale (fig. 1). In questa sequenza, mutuata dal modello difunzionamento della comunicazione tra macchina e macchina,il segnale non riveste alcun potere di significazione.Nell’interazione umana, invece, i pensieri e le emozioni trauno o più soggetti interagenti rendono il processo di gran lun-ga più articolato; la comunicazione diviene, infatti, un prismache si scompone in una molteplicità di livelli: linguistici, semio-tici, intrapsichici e di comunicazione non verbale. Un atto co-municativo si esprime, cioè, attraverso movimenti complessidove l’emissione, il passaggio e la ricezione del messaggio siintrecciano con determinate dinamiche dei contesti sociale,culturale e ambientale, mediati da specifici codici linguistici,fotografici, grafici ecc.La definizione e l’analisi degli elementi di base della comunica-zione ha favorito l’elaborazione di approcci concettuali diversi-ficati. Partendo da premesse filosofiche ed epistemologichediverse, le diverse discipline hanno messo in rilievo differentimomenti del processo comunicativo in modo da fornire unquadro esplicativo della comunicazione umana.Qui di seguito verranno prese in considerazione alcune teorieche, in maniera diretta o indiretta, rivestono importanza ai finidi una trattazione dei diversi indirizzi di psicologia dellacomunicazione.

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14 Capitolo 1

Fig. 1 - Gli elementi di base del processo di comunicazione

1. La teoria informazionale

La prima teoria della comunicazione, ispirata ad un modello matematico del-l’informazione, fu formulata, nel 1949, da Shannon e Weawer, ingegneri pres-so i Bell Laboratories negli Stati Uniti. Nato allo scopo di migliorare l’efficienzae l’efficacia della comunicazione telefonica, il loro modello fu applicato, in unsecondo momento, alla comunicazione umana interpersonale e ad altri ambiti.Secondo tale teoria è possibile considerare la comunicazione come un fenome-no immateriale (non più connesso a mezzi di trasporto) che riguarda «tutti iprocedimenti attraverso i quali un pensiero può influenzare un altro».In questa visione, fortemente improntata ad un’epistemologia fondata sullacausalità lineare, l’atto comunicativo è un processo di trasmissione di informa-zioni fondato sul passaggio di messaggi tra soggetti interagenti. Il modello do-minante è quello dell’interazione macchina-macchina e uomo-macchina.Nel primo caso, cioè quando si considera la trasmissione macchina-macchina(come nella trasmissione tra due apparecchi telefonici), la sorgente di informa-zione S invia ad un destinatario D un messaggio M che viene codificato daltrasmettitore T in un segnale S attraverso un canale C. Il segnale S, giunto alricevente R, viene decodificato in un messaggio per arrivare al destinatario D.È qui, evidentemente, dato per presupposto un codice comune fra il mittente eil destinatario.

La sequenza può essere rappresentata dal seguente schema:S (sorgente) → M (messaggio) → T (trasmettitore) → S (segnale) → C (canale) →S (segnale) → R (ricevitore) → M (messaggio) → D (destinatario).

Nel caso della comunicazione umana, i fattori in gioco nell’azione comunicati-va sono quelli definiti nella figura 2: la sorgente di informazione S è il soggetto

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che produce il messaggio, il trasmettitore T (il mezzo fonatorio, mimico ogestuale attraverso il quale è trasmesso il messaggio), il segnale S1 (l’informa-zione inviata), il canale C (il mezzo fisico-ambientale che favorisce la trasmissio-ne del messaggio), il destinatario D (il soggetto ricevente) e, infine, il ricettoreR (gli organi dei sensi e della percezione del soggetto ricevente).Qui, il messaggio viene a essere codificato dal trasmettitore (il pensiero viene aessere trasformato in un codice trasmissibile) e decodificato dal destinatario D(l’operazione di ricezione e trasformazione dei significanti in pensieri) in basealle proprie capacità di decifrazione. Naturalmente, la trasmissione dell’infor-mazione ha una gamma di possibilità prefissate.Va detto che il modello di Shannon e Weaver (dove il trasmittente e il riceventenon hanno alcuna possibilità di cambiare la natura del messaggio) non escludela presenza di una fonte di rumore nel contesto ambientale che può interferirecon la trasmissione del segnale.

Fig. 2 - Il modello informazionale di Shannon e Weaver (1949)

Sebbene questo modello abbia molta importanza sul piano storico, i suoi limitisono di non piccolo momento. Intanto, tale modello non contempla alcunaforma di feed-back. Inoltre, la sua applicazione alla comunicazione umana com-porta non poche difficoltà relative al processo di codifica del pensiero prever-bale nel pensiero verbalizzato: come è evidente, ciò è decisivo per ogni formadi comunicazione.La distinzione tra questi due momenti chiarisce come tra il messaggio codifica-to dall’emittente e il messaggio decodificato dal ricevente non vi sia necessaria-mente coincidenza. Ciò comporta che la comunicazione possa verificarsi soloparzialmente, verificarsi in maniera errata o non verificarsi affatto.

Sorgenti diinformazione

Trasmittente

Fonte dirumore

Destinatario

Ricevente

Segnalericevuto

Segnalericevuto

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16 Capitolo 1

2. La teoria della Gestalt

Fu Ehrenfels, nel 1890, con le osservazioni sulle «qualità gestaltiche», a porre lebasi della teoria della Gestalt.Muovendo una serrata critica all’atomismo e al connessionismo della psicolo-gia dell’Ottocento, lo studioso tedesco asserì che la percezione si realizza attra-verso l’integrazione di contenuti di coscienza associati a complessi percettivicostituiti da elementi separabili gli uni dagli altri; e che, in conseguenza di ciò, èimpossibile riunire queste qualità rintracciando le affinità tra gli elementi, leparti o le posizioni costituenti il tutto. Né, d’altra parte, queste possono identi-ficarsi nella somma delle relazioni tra i loro elementi.Secondo Ehrenfels un fenomeno possiede «qualità gestaltiche» se è determina-to da complessi spaziali, temporali (o spazio-temporali) ‘sovrapuntuali’. Questicomplessi devono poter essere distinti in posizioni differenti, ma non necessa-riamente in parti diverse.È necessario, infatti, che le differenti posizioni abbiano qualità elementari rico-noscibili, anche se non necessariamente differenti. Tuttavia, affinché un campopercettivo possa distinguersi e prender forma, è indispensabile che tra alcuneposizioni del campo in questione e l’ambiente circostante — cioè tra figura esfondo — vi sia una qualche differenza qualitativa.Un ruolo cruciale per la nascita della teoria della Gestalt lo ha avuto il princi-pio della non sommatività di Ehrenfels, secondo il quale molte caratteristicheche sembrano esser proprie dei singoli elementi del sistema, sono invece ap-partenenti al ‘tutto’. Come vedremo oltre, tale principio svolgerà un ruolo deci-sivo nello studio e nella teoria delle dinamiche familiari, dove un approccio edun’analisi sommativi delle caratteristiche e dei comportamenti individuali degliappartenenti risulta metodologicamente implausibile.Da tale principio hanno tratto alimento tre teorie fondamentali: la teoria dellaproduzione, che ha avuto nella cosiddetta ‘Scuola di Granz’ la sua massimarappresentazione (Meinong, Witasek, Höfler); la psicologia della totalità, cheha avuto nella ‘Scuola di Lipsia’ la sua espressione fondamentale (Krueger,Sander, Rudert, Wellek e altri); infine, la teoria della forma, che ha avuto nella‘Scuola di Berlino’ la sua più alta espressione (Wertheimer, Köhler, Koffka,Lewin e altri).

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Per gli studiosi di teoria della forma — di certo la più rilevante per la ‘psicolo-gia della comunicazione’ — è possibile estendere le evidenze derivanti dallostudio della percezione all’intero ambito della psicologia. In linea generale sipuò affermare che ogni azione parziale è la conseguenza del nesso tra tutte leposizioni di un tutto (che si trasmette tramite il tutto), il quale si riorganizzasecondo la natura del luogo e l’estensione delle interferenze (quando siano dientità significativa).In via di principio, se è vero che in una ‘forma’ le singole dinamiche vengonodeterminate da fattori non particolari, è nondimeno vero che queste contribui-scono a influenzare le dinamiche circostanti. Tali eventi tendono a introdurreelementi positivi nel sistema, sebbene non possano produrre precise regolaritàin tutti i campi psichici. Diversamente, esse introducono un’interna concordan-za nella quale ogni parte si richiama all’altra, così come queste sono richiamatedal tutto. In tale equilibrio non è ammessa alcuna variazione. Qualsiasi pertur-bazione avrebbe l’effetto di introdurre nel sistema discordanze interne, asim-metrie, distorsioni o contraddizioni.Per i teorici della Gestalt la vita psichica è determinata, nel suo insieme, da unagerarchia articolata su diversi livelli che si intersecano e si condizionano l’unocon l’altro, tendendo tuttavia all’equilibrio. Tra i diversi livelli vi sono interazionirapidissime, che variano continuamente a seconda dei casi fino a raggiungere ilmigliore equilibrio finale. La realizzazione dell’integrazione percettiva è basatasulla distribuzione dello stimolo e dello stato del soggetto, la cui interazionereciproca raggiunge, nelle forme forti, istantaneamente lo stato ottimale. Visono, poi, processi che si svolgono molto lentamente. In alcuni casi, le dinami-che in gioco in determinati ambiti — come ad esempio quello scientifico, orga-nizzativo, sociale, artistico — possono essere molto lente e durare mesi e anni.Anche in queste forme deboli le dinamiche non cambiano. Queste, infatti, nonsono determinate da un sistema di direttive, di prescrizioni, di regole o di indi-cazioni operative, ma da dinamiche che — dopo la comparsa di un nuovoproblema o di una nuova idea — spingono verso la meta (ancora ignota) dellasoluzione: in altri termini, a mantenere in vita un determinato processo sono glistessi vettori che lo hanno avviato e sostenuto. Le leggi della forma determi-nano le dinamiche globali della vita psichica sia quando queste scorrono dall’in-terno verso l’esterno, sia quando queste vanno dall’esterno verso l’interno.

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18 Capitolo 1

3. La teoria semiotica

Il segno del mondo è il nostro discor-so del mondo.

SEGRE

Un contributo fondamentale al chiarimento delle istanze in gioco nel processocomunicativo è giunto dal modello semiotico informazionale (Eco, 1975), natodall’intersezione del modello semiotico della comunicazione con il modello infor-mazionale conosciuto come ‘teoria di Shannon e Weaver’. Secondo tale teoriamittente e destinatario (il primo che produce e trasmette il messaggio e il secondoche lo decodifica) sono titolari di competenze linguistico-comunicative diverse, mahanno in comune la capacità, attraverso codici denotativi, di produrre significazio-ne e, dunque, senso. In tale prospettiva, dove la comunicazione è l’esito di unprocesso di negoziazione e di cooperazione (ma anche di rifiuto o di indifferenza),il mittente e il destinatario non sono macchine di codifica e decodifica, ma soggettiattivi di una relazione che si arricchisce di un insieme di valori linguistico-comunica-tivi intersoggetivamente vincolanti interni ad un analogo contesto di riferimento.Secondo tale modello, dunque, il mittente — cioè colui che inaugura la comu-nicazione — codifica un messaggio (sostanza materiale, segno grafico, suono oimmagine, in una combinazione di informazioni strutturate secondo regole checambiano da codice a codice) e lo invia al destinatario, che riceve e decodificail messaggio. Quest’ultimo, che ha il suo riferimento in un determinato conte-sto (verbale o suscettibile di verbalizzazione) viene espresso in un codice, cioè inun insieme di elementi dotati di senso.A sua volta il messaggio viene percepito dal destinatario come un insieme diparti, di frasi e parole, scelte all’interno del contenitore-codice. L’esempio piùcomune di codice è la lingua — comune sia al codificatore sia al decodificatoredel messaggio (mittente e destinatario) — che si struttura e si realizza attraversoun contatto, un canale fisico o anche una connessione psicologica che consen-te la comunicazione stessa.Nel 1979 Eco ha introdotto in letteratura — con il lettore modello — unacategoria che chiarisce bene gli assunti precedenti. Lettore modello è, infatti,il destinatario ideale di un processo di comunicazione che riesce a interpretare

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un testo proprio nel senso desiderato dal mittente. Dal canto suo, il mittenteavrà bene in mente, nel momento in cui dovrà produrre una qualsiasi forma dicomunicazione, la figura ideale che dovrà comprendere il suo messaggio eanche l’insieme dei riferimenti e dei sottocodici in esso impliciti o presupposti(come vedremo oltre, questo modello avrà molta importanza nella comunica-zione pubblicitaria).Per il grande filologo e linguista russo Jakobson (1966), a strutturare un sistemacomunicativo sono i seguenti elementi: un mittente, un destinatario, un codicecomune ed uno stesso contesto di riferimento. Tale modello, che enfatizza ilruolo di uno degli elementi dello schema, consente di individuare differenti ap-procci possibili. Il processo comunicativo viene, quindi, a concentrarsi sull’uno osull’altro dei fattori che lo costituiscono, assumendo specifiche funzioni.

CANALE(fàtica)

CODICE(metalinguistica)

MITTENTE ⎯⎯⎯⎯→ DESTINATARIO(emotiva) (conativa)

CONTESTO(referenziale)

MESSAGGIO(poetica)

Fig. 3 - Il modello di Jakobson (1966)

Tali funzioni, nello schema di Jakobson possono essere così sintetizzate:— funzione referenziale: l’attenzione è focalizzata sul contesto fisico o cultu-

rale dei soggetti della comunicazione. Ad esempio: «la stazione è moltogrande»;

— funzione emotiva o espressiva: l’attenzione è focalizzata sul mittente, cioèil parlante fa riferimento a se stesso, esprimendo la propria soggettività

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(emozioni, atteggiamenti, valutazioni ecc.). Ad esempio: «sono molto colpi-to da quello che è accaduto»;

— funzione conativa: l’interesse si concentra sul destinatario. Lo scopo è quellodi modificare le convinzioni del destinatario e di influenzarne il comporta-mento. Ad esempio: «faresti un ottimo affare ad acquistare questo compu-ter»;

— funzione fàtica: l’attenzione è rivolta al canale. Non si cerca di trasmettereun contenuto, ma di assicurarsi che la comunicazione tra mittente e destina-tario sia corretta. Esempi di funzione fàtica sono i saluti, che hanno lo scopodi confermare i rapporti tra le persone;

— funzione poetica: l’interesse si concentra sul messaggio, in particolare sullacostruzione del discorso, al fine di ottenerne una più intensa suggestività. Lafunzione poetica caratterizza i testi letterari;

— funzione metalinguistica: l’attenzione è concentrata sul codice. È quantosi verifica quando spieghiamo un’espressione o parliamo del sistema lingui-stico. Durante una conversazione, il mittente e il destinatario vogliono veri-ficare se il codice usato è lo stesso: un segno inviato potrebbe non esserecompreso, o compreso solo parzialmente. In tal caso, il mittente potrebbeeliminare il dubbio sostituendo il segno ambiguo per rendere il messaggiocomprensibile.

Come è evidente, benché le somiglianze con il modello di Shannon e Weawernon siano irrilevanti, qui vengono introdotti due elementi nuovi: il contesto e ilprocesso interpretativo; in breve, la decodificazione. Viene, cioè, chiamato incausa il ruolo (attivo) svolto dal destinatario, che si realizza in una complessaattività di elaborazione e di trasformazione del dato per la decodifica e la com-prensione del messaggio. È da sottolineare qui la partecipazione attiva del de-stinatario, tutt’altro che soggetto di ricezione passiva.

In questa prospettiva, si distinguono due tipi di intenzione:1) l’intenzione primaria del mittente nei confronti del destinatario;2) l’intenzione secondaria del destinatario che decodifica il messaggio.

È superfluo affermare che il messaggio non potrà mai essere compreso deltutto: sia perché il mittente non è in grado di trasmettere precisamente (quan-d’anche lo volesse) tutto quel che desidera; sia perché il destinatario potrà co-

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gliere, inevitabilmente, solo parte del messaggio. È come se quest’ultimo stral-ciasse un determinato evento dall’universo di messaggi che percepisce e cheegli qualifica come segni, ristrutturandoli nei suoi elementi fondamentali.Tale operazione non è arbitraria: in primo luogo, perché si realizza all’internodi un codice precostituito; in secondo luogo, perché l’esistenza del mittenteimplica un evento-comunicazione che presuppone una significazione. Si tratta,in ogni caso, di una ristrutturazione dell’oggetto (o di una decostruzione e rico-struzione) che il destinatario effettua quando comprende l’oggetto come mes-saggio. In altri termini, è il ricevente a decidere che un determinato evento siaun segno.

Dal modello di Jakobson possono essere derivati molti modelli comunicativi.Tra i più interessanti figura la cosiddetta comunicazione seduttiva esposta daVolli, relativamente alla pubblicità, i cui tratti distintivi sono:— l’emittente, molto esposto e visibile;— il ricevente, sottoposto a pressione;— il contatto, esaltato;— il messaggio, notevolmente elaborato.

Le funzioni coinvolte in tale schema sono quelle emotiva, fàtica, poetica econativa. In ambito pubblicitario, per un’azienda è fondamentale verificare se ocome si attua la comunicazione deduttiva: se il mittente è particolarmentevisibile, se vi è corrispondenza tra gli ideali, lo stile e l’immaginazione del pro-duttore e dell’ipotetico destinatario.Più di recente la semiotica si è individuata come area di ricerca per lo studiodell’atto comunicativo come rapporto fra testo e contesto: per dir meglio,come interazione reciproca fra le parti testuali e contestuali. L’attenzione allasituazione interattiva (che produce l’enunciato) implica un modello di comuni-cazione che, diversamente dalle concezioni meccanicistiche e astrattamenteprocedurali, si costituisce come una modalità concreta di un atto linguistico chesi compie fra due o più interlocutori in un contesto definito.La relazione che si instaura tra testo e contesto incide fortemente sulla dimensionesemantica dell’azione comunicativa: l’enunciato prodotto non risulta esattamentecodificabile e decodificabile, ma è sottoposto dal parlante e dall’ascoltatore ad unprocesso di interpretazione libera. Di grande importanza è stato qui il contributo di

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Wittgenstein, che in Ricerche filosofiche (1967) ha definito il linguaggio «un giocolinguistico» retto da un complesso di regole, i cui enunciati possono essere spiegatisolo in relazione ai «giochi», ovvero ai contesti in cui si collocano.Nella sua prospettiva, il significato di un testo non rappresenta un elementosemioticamente definito, ma risulta determinato dalla situazione interattiva incui è prodotto: si potrebbe dire che il senso di una parola può essere colto soloall’interno del contesto in cui quella stessa parola è collocata. La corretta inter-pretazione di un enunciato dipende così dalla capacità degli interlocutori diassociare, in modo adeguato, le frasi ai contesti di riferimento.Ha scritto Wittgenstein (1967): «Chiamerò ‘gioco linguistico’ […] tutto l’insie-me costituito dal linguaggio e dalle attività di cui è intessuto. E questo nostrolinguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradi-ne e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunge in tempidiversi; e il tutto circondato da un rete di nuovi sobborghi con strade diritte eregolari, e case uniformi».Per restare alla metafora di Wittgenstein, attraversare le strade di una città,costruire un nuovo edificio, ristrutturare quartieri o aree urbane, significa realiz-zare sul piano semiotico un nuovo ‘gioco linguistico’, istituendolo all’internodell’ordine linguistico precedente e scomponendolo in una molteplicità di gio-chi linguistici, tanti quanti sono le attività dell’interazione umana (Bonfantini,1987). In un gioco linguistico, naturalmente, sono da ricercare sempre le ma-trici, le condizioni di possibilità formali e le regolarità della significazione: è intal senso che si può dire che il significato di una parola è il suo uso nellinguaggio. Il significato di una parola si comprende sempre a partire dai suoiusi regolamentati e istituzionalizzati.L’uso della parola, si potrebbe dire, è il gioco che noi giochiamo con essa:un gioco certo ordinato da regole e, tuttavia, non regolato in tutte le sueparti da regole. In tal senso nessun gioco, che sia veramente tale, rispondea versioni predisposte, ad una trama preordinata di regole, poiché in talcaso il gioco stesso perderebbe — assieme alla relativa libertà e originalitàdelle mosse — la sua stessa peculiarità. Tuttavia, se questo è vero, è veropure che non vi è atto linguistico che non sia inscritto in una grammaticaprecostituita dagli usi, dalle abitudini, dalle convenzioni, dalle istituzioni (Bon-fantini, 1984).

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La comunicazione richiede una continua attività di interpretazione. In tal sensoun altro importante elemento riguarda la comunicazione come atto linguisti-co, la teoria secondo la quale dire qualcosa implica sempre un’azione. Su que-sto terreno un ruolo fondamentale è stato svolto dalla teoria degli atti lingui-stici di Austin (1962). Come vedremo oltre, per Austin sono tre i tipi di azionelinguistica che vengono eseguiti simultaneamente nel parlare: l’atto di direqualcosa (locutorio); l’atto nel dire qualcosa (illocutorio); l’atto con il direqualcosa (perlocutorio).Tale distinzione chiarisce come ogni enunciato esprima sempre molto dipiù del proprio significato letterale. Austin ha distinto, inoltre, tra atto eforza dell’atto: il modo in cui è interpretato un enunciato dipende dallaforza illocutoria contenuta nell’atto. Gli indicatori di questa forza sono costi-tuiti dai verbi, dall’accento, dall’ordine delle parole, dall’intonazione, dallapunteggiatura.

4. La teoria interazionista

L’approccio interazionista alla comunicazione è fondato sullo studio e l’analisi diquelle situazioni dove i singoli comportamenti si definiscono reciprocamente.

Sul piano metodologico si distinguono sostanzialmente tre orientamenti:1) il primo studia il comportamento non verbale all’interno del processo comu-

nicativo;2) il secondo analizza l’incidenza della comunicazione sulla formazione dell’in-

dividuo;3) il terzo segue il processo di sviluppo del bambino attraverso l’acquisizione di

significati e simboli provenienti dal mondo adulto.

Tale approccio fonde i tre piani di ricerca in una prospettiva euristica basatasullo studio del comportamento di soggetti interagenti durante l’interazionecomunicativa.La struttura del processo comunicativo viene scomposta nelle azioni verbali enon verbali facendo emergere tutti gli elementi che favoriscono la trasmissionedi contenuti e i comportamenti in gioco nello scambio comunicativo.

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In altri termini, per i sostenitori della prospettiva interazionista la comunicazio-ne non può essere definita come uno scambio di informazioni tra fonti diverse,ma come un’occasione dove più individui scelgono di collaborare, organizzan-do e coordinando i propri livelli di comportamento.Tale teoria attribuisce importanza non tanto allo scambio di notizie, bensì all’or-ganizzazione e alla disposizione comunicativa degli interlocutori. Essa affondale radici nella teoria della Gestalt, in particolare nel concetto che assumel’oggetto della percezione nella sua totalità e non già nella somma dei singolielementi.La teoria interazionista si consolida intorno alla fine degli anni Quaranta, so-prattutto per il contributo fornito dalla Teoria Generale dei Sistemi di vonBertalanffy. Sul piano epistemologico, essa nasce in antitesi al concetto di cau-salità lineare, facendo appello ad un concetto di causalità circolare in base alquale un sistema è determinato dalle relazioni fra i suoi elementi e dalle relazio-ni tra queste e l’ambiente.Negli anni Sessanta, a partire da tale teoria, si diffusero diversi studi sulla comu-nicazione che focalizzavano la loro attenzione sui comportamenti non-verbali:tra gli altri, vanno ricordati il modello delle capacità sociali di Argyle e Ken-dom (1967); il modello dell’equilibrio di Argyle e Dean (1965); la teoria strut-turale di Birdwhistell (1970); gli studi di Ekman e Friesen (1978); il modello diinterazione sociale dei programmi di Scheflen (1968).Altri studiosi, fra i quali Sacks, Schegloff e Jefferson, hanno posto al centrodella propria ricerca l’analisi della conversazione, intendendo con questotermine qualsiasi «state of talk», cioè ogni comune situazione discorsiva.Secondo tali autori, la comunicazione tra individui si struttura come un’inte-razione conversazionale, in apparenza libera e priva di regole, ma in so-stanza costituita da un ordine preciso. In tal senso, gli interlocutori non solodevono mostrare di saper codificare e de-codificare le informazioni, masoprattutto di saper organizzare il proprio comportamento in modo intelli-gibile e comunicativo.In altri termini, si tratta dell’acquisizione di una vera e propria competenzaconversazionale che assicuri — nella interdipendenza di fatto dei partecipanti— la sincronia (e la sintonia) della conversazione, il rispetto dei turni di inter-vento e dei processi decisionali. È bene qui evidenziare che i meccanismi di

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interazione non sono rigidi, ma negoziabili, ancorché non sempre consapevol-mente.Un approfondimento su questo terreno è venuto dall’analisi della conversazio-ne compiuta da un gruppo di sociologi americani che si ricollegano al modelloteorico di Goffman e a quello della etnometodologia. Questi studiosi hannodimostrato che la conversazione è un’attività retta da regole, procedure e me-todi prodotti e rispettati dagli interlocutori.La conversazione richiede che gli interlocutori non solo possiedano la com-petenza linguistica necessaria per codificare e decodificare i messaggi, maanche una competenza conversazionale: i partecipanti, cioè, devono or-ganizzare il proprio comportamento in modo che risulti comprensibile e,dunque, comunicativo per gli interlocutori. Tale competenza garantisce lasincronia e il rispetto dei turni di parola, in modo da favorire una correttaconversazione.

5. La teoria pragmatista

Un contributo decisivo alla prospettiva interazionista è venuto dalla cosiddettaScuola di Palo Alto. Per gli scienziati del Mental Research Institute di PaloAlto (Bateson, Jackson, Watzlawick e altri) la comunicazione non può essereuna qualsiasi attività formale e procedurale fra uno o più interlocutori, ma unfenomeno che ‘comprende’ i soggetti e ne determina il sé. Diversamente dal-l’approccio interazionista, la comunicazione non è definita dal «mettersi in co-municazione» di individui diversi o dal «parteciparvi», ma è determinata dal loro«essere» in comunicazione.

Nella riflessione dei fondatori della Scuola di Palo Alto hanno svolto una pro-fonda influenza la Teoria Generale dei Sistemi di von Bertanlaffy (1950) e lateoria dell’interazione fra organismo e ambiente, che si realizza proprio graziea due funzioni fondamentali:1) la funzione di informazione, che è l’oggetto della comunicazione stessa;2) la funzione di comando, che è il modo in cui l’informazione deve essere

recepita.

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