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MANUALE di FLEBOLOGIA

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  • MANUALE di

    FLEBOLOGIA

  • Parte generale (Inquadramento clinico sintetico ed essenziale) Fisiologia, fisiopatologia, emodinamica Milio Malattia venosa cronica Ligas Ulcere Antignani Linfedema e linfangiti Caniato Trombosi venosa superficiale e profonda Barbera Patologie di “confine” Baggio Diagnostica strumentale Righi Terapia medica Barbera Terapia chirurgica “tradizionale” Orsini Terapia mininvasiva ed endovascolare Leone Casi clinici (con foto e brevissima descrizione per la diagnostica differenziale) tutti ognuno per la sua parte Segni e sintomi (flow chart sinottica) Baggio-Righi Appendice Classificazione CEAP Antignani Dizionario dei termini in flebologia (facoltativo, da valutare se sia necessario sulla base del testo)

    PROPOSTA MANUALE DI FLEBOLOGIA

  • 1………….Copertina

    2………….Introduzione Presidente 3………….Indice 5………….Flebologia di base 6………….Anatomia 8………….Fisiologia 12…………..Fisiopatologia

    15…………Patologia di base 16…………Insufficienza Venosa Cronica 22………...Trombosi Venosa 26…………Ulcere 35…………Capitolo….. 36………….Dignostica non invasiva 44………….Linfedema 52………….Chirurgia Venosa 58………… Trattamento mini-invasivo ed endovascolare 68 …………..Vuoto 70 …………..Biblio Chirurgia 72……………Biblio Diagnostica 74…………...Vuoto

    76…………..Biblio Ulcere 79…………...Patologie di confine 80…………...Flebologia e Dermatologia 82…………...Flebologia e Podologia 84…………...La “gamba grossa” non flebopatica 85…………...Angiodisplasie

    89…………...Acrosindromi 90…………...Appendice: Classificazione CEAP 94…………….Bibliografia CEAP

  • 1. CENNI di ANATOMIA

    2. CONCETTI di FISIOLOGIA

    3. FISIOPATOLOGIA del CIRCOLO

    VENOSO

    FLEBOLOGIA di BASE

  • Le vene hanno la funzione di portare sangue dalla periferia

    del corpo verso il centro (Fig. 1). Nell’organizzazione anatomica del sistema veno-so vanno considerati:

    il sistema delle vene cave;

    il sistema delle vene polmonari;

    le vie di drenaggio venoso dei visceri (sistema portale e vene mesenteriche, vene intracraniche, e vene del cuore). Quest’ultimo gruppo di vene esula

    dall’ambito di interesse della flebo-

    logia, per cui non saranno trattate in questo manuale. Le vene polmonari riconducono al cuore san-gue ossigenato dai polmoni; le arterie polmo-nari veicolano sangue venoso ai polmoni per essere qui ossi-genato (Fig. 2).

    Sistema delle vene cave Il sistema delle vene cave comprende il sistema della cava superiore e quello della cava inferiore. Il primo è costituito dalle vene dell’arto superiore, profonde e superficiali, che drenano rispettivamente nel territorio sotto e sopra-fasciale, fino a convergere attraverso le omerali e l’a-scellare nella succlavia, e le vene della testa e del collo, che attraverso le giugulari, 4 per lato, raggiungono il tronco ano-nimo, che, unendosi al controlaterale, dà luogo alla vena cava

    Cenni di anatomia del sistema venoso

    Fig 1

    Fig 2

  • a livello dell’arto inferiore, il di-stretto venoso profondo, sottofa-sciale, che drena i distretti mu-scolari e scheletrici fino alla vena femorale comune, e il distretto

    superficiale, soprafasciale, che drena i territori sottocutanei, attraverso la grande e la piccola safena. I sistemi superficiale e profondo, muniti di valvole, sono uniti fra loro, oltre che dalle “crosses”, da una serie di vene perforanti, dirette ed indirette, anch’esse munite di valvole, che consentono il passaggio del san-

    gue dalla superficie verso la profondità e lo impediscono in direzione opposta, mentre le vene del piede sono avalvolate

    (Fig. 4). La vena femorale comune si continua nell’ilia-ca esterna, che, con-

    fluendo con la vena ipo-g a s t r i c a , forma la

    vena iliaca comune, la quale insie-me alla controlate-rale va a

    costituire la vena cava

    inferiore, che riceve numerosi affluenti prima di terminare come la cava superiore, nell’atrio destro.

    Fig 3

  • I due sistemi cavali sono tra loro interconnessi da una vasta rete anastomotica, la più importante delle quali è il sistema delle vene azygos

    Concetti di fisiologia del sistema venoso

    Le vene, oltre ad avere la funzione di portare sangue al cuore destro, sono vasi di capacitanza, che contengono la gran parte (circa l’85%) del sangue circolante, grazie alla loro distensibilità ed alla loro bassa resistenza. La circolazione venosa degli arti inferiori presenta aspetti particolari rispetto ad altri distretti, poiché deve contrastare, nella progressione del sangue, la forza di gravità. Pressione idrostatica La pressione idrostatica (energia po-tenziale gravitazionale) è determinata dal peso della colonna liquida conte-nuta nel sistema. In posizione orto-statica, essa è in rapporto all’altezza: 0 a livello dell’atrio destro, circa 100 cmH20 a livello dell’estremità inferio-re; di conseguenza la pressione veno-sa è uguale in ogni punto alla somma dell’energia cinetica cardiaca residua e dell’energia potenziale gravitaziona-le, e corrisponde alla caviglia a circa 85-90 mmHg; al contrario, in posizio-ne supina, la pressione idrostatica è

    costante in ogni punto del corpo e la pressione venosa risulta circa 10 mmHg (Fig. 5). I principali fattori che consentono un effi-ciente ritorno venoso sono le valvole e la pompa muscolare.

  • Valvole Rappresentano il principale fattore di conteni-mento del sangue nella stazione eretta. Esse si trovano all’interno delle vene degli arti inferiori, ed hanno la funzione di opporsi al reflusso del

    sangue dall’alto verso il basso. Sono costituite da due cuspidi, impiantate nelle pareti venose a livello delle tasche valvolari: spinte dalla corrente centripeta, flottano liberamente all’interno del lume e convergono fra di loro ad ogni inversione di corrente (Fig. 6).

    Pompa muscolare Rappresenta il più importante fattore di spinta del sangue all’interno delle vene dal basso verso l’alto, durante il movi-mento. Durante la deambulazione, la contrazione dei mu-scoli del polpaccio comporta un aumento pressorio che si ripercuote sulle vene profonde; le valvole di queste si apro-no consentendo il passaggio del sangue in senso craniale e

    quelle delle perforanti si chiudono impeden-done il reflusso. La successiva distensione muscolare determina una caduta pressoria all’interno delle vene le cui valvole si chiudo-no impedendo il ritorno della colonna di san-

    gue dall’alto, mentre le valvole delle vene perforanti si aprono risucchiando sangue dal-le vene superficiali. Il ciclo si ripete alla suc-

    cessiva contrazione muscolare assicurando il ritorno venoso verso il cuore (Fig. 7) Altri fattori

    Al ritorno venoso concorrono anche:

    la “vis a tergo”, costituita dall’energia cinetica residua della sistole ventricolare sinistra;

    la “vis a fronte”, rappresentata dal risucchio di sangue

  • venoso verso il cuore, determinato dalla pressione negativa intratoracica (6-7 mmHg < pressione atmosferica), che si realizza durante l’inspirazione, che si somma a quella in-traddominale, negativa per l’abbassamento del diaframma;

    la “vis a latere”, rappresentata dal massaggio che le arte-rie contigue esercitano sulle vene;

    il tono venoso di parete, regolato da un controllo simpati-co, che concorre a contenere la distensibiltà vasale; corri-sponde alla tensione parietale, indotta dalle fibre muscolari della media, ed interessa soprat-tutto le vene di piccolo e medio calibro;

    la “suola plantare di Lejars”, rappresentata dalla spremitura della rete venosa plantare che avviene ad ogni appoggio (Fig. 8 )

    Nel versante venoso il modo di scorrere del sangue è condi-zionato dai fattori precedentemente descritti, alcuni costante-mente presenti ed indipendenti dalla postura e dallo stato di riposo o attività del soggetto, altri influenzati dall’ortostatismo e dall’attività muscolare. Si configurano pertanto 3 modalità di comportamento dell’e-modinamica venosa, a livello degli arti inferiori, a seconda che il soggetto si trovi:

    in posizione supina ed a riposo in ortostatismo in attività fisica o deambulazione.

    L’emodinamica venosa degli arti superiori, invece, risulta più semplice, in quanto non deve contrastare la pressione idrosta-tica, essendo questa negativa perché al di sopra del punto di “zero pressione”, e pertanto non è condizionata dalla posizio-ne del soggetto.

  • a) Comportamento del flusso venoso in posizione supi-na ed a riposo Il flusso venoso è discontinuo e strettamente fasico con gli atti respiratori: durante l’inspirazione, per l’ aumento della

    pressione endoaddominale, esso si riduce a livello delle vene degli arti, mentre aumenta la progressione del sangue nelle vene addominali; durante l’espirazione aumenta il ritorno venoso degli arti inferiori, mentre diminuisce dalle vene addo-minali e degli arti superiori. La progressione del sangue essenzialmente è determinata dalle forze di propulsione (vis a tergo e vis a fronte) e da quelle che regolano la capacitanza (tono venoso e vis a late-re). b) Comportamento del flusso venoso in ortostatismo La progressione del sangue è favorita dalla vis a tergo, dalla vis a fronte e dalle forze che regolano la capacitanza ed è ostacolata dalla pressione idrostatica e dalla distensibilità ve-nosa. Le valvole si mantengono aperte quando la circolazione procede in senso centripeto e si chiudono, impedendo il re-flusso, quando si formano onde retrograde. c) Comportamento del flusso venoso durante attività

    fisica Le caratteristiche e la direzione del flusso dipendono principal-mente dalla vis a tergo e dalla vis a fronte, dalla competenza delle valvole, dal torchio addominale e dalla vasomotricità, mentre la progressione è ostacolata dalla pressione idrostati-ca. La pompa muscolare abbassa la pressione idrostatica all’e-

    stremità venulare del capillare, aumentando il gradiente pres-sorio e conseguentemente il flusso ematico; la spremitura delle vene profonde accelera ulteriormente il ritorno venoso; la conseguente caduta pressoria all’interno delle vene profon-

  • de richiama dal sistema superficiale sangue che così è pronto ad essere spinto, al passo successivo, verso il cuore; l’integri-tà delle valvole delle vene perforanti impedisce d’altra parte il reflusso. Tutte le alterazioni della circolazione sono riconducibili a due

    situazioni fisiopatologiche: le ostruzioni venose, che configu-rano il quadro delle flebopatie ostruttive, e le incontinenze valvolari, che configurano il quadro delle flebopatie da reflus-so. Tali condizioni possono coesistere, determinando quadri fisiopatologici e clinici misti (insufficienza della pompa musco-lare del polpaccio).

    Ostruzione venosa profonda L’ostruzione venosa profonda determina un ostacolo al flusso, con incremento di resistenze e progressivo accumulo di san-gue a monte. L’ipertensione venosa che ne deriva tende ad aprire nuove vie di deflusso con sviluppo di rete collaterale di supplenza che funge da by-pass naturale. L’attività muscolare durante l’esercizio fisico non è in grado di produrre una signi-ficativa riduzione della pressione, che al contrario si incremen-

    ta, determinando una forzatura degli apparati valvolari delle vene profonde e delle vene perforanti, che diventano inconti-nenti e consentono un flusso venoso retrogrado. Gli effetti emodinamici variano in relazione alla sede ed esten-sione del segmento occluso ed alle caratteristiche della circo-lazione collaterale. Mentre, infatti, l’ostruzione di una delle

    vene di gamba solitamente non interferisce con l’emodinamica globale, più difficilmente compensabili sono una trombosi dell’asse popliteo-femorale e ancor meno una trombosi iliaca. In aggiunta la presenza di un reflusso venoso lungo l’asse

    Fisiopatologia del circolo venoso

  • safenico comporta un ulteriore aumento pressorio in coinci-denza dell’attività fisica, che pone le basi, grazie all’incontro dei due reflussi – quello lungo safenico e quello breve delle perforanti – alla creazione di un locus minoris resistentiae, ove si determina la formazione dell’ulcera.

    Ostruzione venosa superficiale L’ostruzione di una vena superficiale determina alterazioni fisiopatologiche meno rilevanti, rappresentate da un quadro di ipertensione venosa superficiale, che a lungo andare può co-munque portare alla formazione di ulcere; quando il processo trombotico superficiale si estende in senso craniale alle “crosses” safeno-femorale e safeno-poplitea e da queste al sistema profondo, si viene a creare una condizione sovrappo-nibile a quella descritta per le trombosi profonde. Incontinenza valvolare Nell’insufficienza valvolare superficiale) si verifica un reflusso di sangue dalla profondità alla superficie, per cui il flusso safe-nico diviene centrifugo in ortostatismo, mentre durante l’atti-vità muscolare esso può ancora essere centripeto se le cros-ses sono continenti, in caso contrario, si realizza un reflusso che condiziona un sovraccarico di volume e di conseguenza un’ipertensione venosa, a sua volta responsabile di insuffi-

    cienza delle perforanti. Nel caso in cui è il circolo profondo ad essere incontinente mentre quello superficiale è normale, il flusso safenico è sem-pre centripeto, mentre nel circolo profondo è centripeto du-rante la deambulazione e centrifugo in ortostatismo: in tale condizione, il volume ematico proveniente dalla safena aggra-

    va l’entità del reflusso profondo fino a quando si realizza un’incontinenza delle perforanti, che a lungo andare compro-mette anche le valvole del sistema safenico. Se entrambi i sistemi sono incontinenti, il flusso è diretto al-

  • ternativamente verso l’alto o verso il basso in relazione all’atti-vità muscolare o meno, realizzandosi una condizione di stasi ed ipertensione venose. Sindrome da insufficienza della pompa muscolare del

    polpaccio La compromissione funzionale di questo meccanismo è quasi sempre conseguenza della sindrome post-trombotica. L’ipertensione venosa che si instaura a monte dell’ostruzione, determinata dalla difficoltà ad espellere adeguati volumi ema-tici, si ripercuote sulla strutture valvolari delle vene perforanti prima e delle vene superficiali successivamente, determinan-done lo sfiancamento e quindi l’insufficienza. L’occlusione trombotica dell’asse venoso profondo, e l’eventuale ricanaliz-zazione, comporta la distruzione dell’apparato valvolare delle vene profonde, che divengono anch’esse insufficienti. Tutto ciò determina la comparsa di reflussi patologici in ortostati-smo che accentuano il grado di insufficienza venosa, mentre durante la deambulazione al reflusso lungo safenico di tipo ostiale si associano, per la contrazione muscolare che spinge sangue nel circolo safenico ad alta pressione (colpo d’ariete), una serie di reflussi brevi attraverso le perforanti, che accen-tuano ulteriormente lo stato di ipertensione venosa cronica, alterando la funzionalità e la struttura anatomica del microcir-

    colo.

  • 1. INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA

    2. TROMBOSI VENOSA

    3. ULCERE VENOSE

    PATOLOGIA di BASE

  • La Insufficienza Venosa Cronica

    L’insufficienza venosa cronica rappresenta nei paesi occi-

    dentali una alterazione venosa largamente diffusa,che com-porta una notevole ripercussione negativa socio-economica con perdita di ore lavorative e incide sulla qualita’ della vita. E’ maggiormente presente nel sesso femminile con un rap-porto 3 a 1. Secondo le linee guida redatte dal CIF, il sesso femminile e’

    colpito con prevalenza su quello maschile fino alla quarta decade,dopo tale periodo non si notano significative differenze. Nei bambini e negli adolescenti le varici sono rare. La familiarita’ e’ presente nell’85% dei portatori di varici.

    Le varici in gravidanza hanno mostrato ,da studi epidemio-logici, una incidenza del 14-42% che progrediva con l’ au-

    mentare delle gravidanze.

    In ortostatismo l’ IVC e’ superiore rispetto ai soggetti che stanno prevalentemente seduti oche svolgono attivita’ lavo-rativa parzialmente seduti ed in ortostatismo. L’obesita’ e’ un fattore che condiziona l’entita’ dell’ IVC. L’insufficienza venosa cronica e’ conseguente ad uno scom-penso delle vene periferiche. Si possono distinguere un’insufficienza del sistema venoso superficiale,del sistema venoso profondo, o di entrambi. Le manifestazioni soggettive ed obiettive dell’ IVC sono la conseguenza dell'ipertensione venosa localizzata o diffusa con ripercussioni emoreologiche sulla macro e microcircolazione, l’edema ne costituisce la manifestazione caratteristica, sia sul piano fisiopatologico che clinico. L’insufficienza venosa cronica e’ una malattia che evolve

    lentamente: dai sintomi che richiamano semplicemente

  • l’ attenzione del paziente a segni piu’ gravi come le alterazioni

    cutanee o le ulcerazioni degli arti inferiori che deteriorano la qualita’ della vita e rappresentano costi socio-economici in-genti.

    Il dolore agli arti inferiori, il senso di pesantezza sono disturbi

    frequenti nei pazienti affetti da una patologia venosa in fase iniziale.

    Spesso questi sintomi sono i prodromi del fenomeno piu’ indi-cativo dell’ IVC :

    L’ edema degli arti inferiori

    di cosa si lamenta il paziente?

    gambe pesanti senso di gonfiore tensione senso di stiramento crampi notturni gambe “irrequiete”

    a. durante la stazione eretta o seduta prolungata b. con il caldo c. verso sera d. prima delle mestruazioni

    Nota bene

    i disturbi non vanno di pari in passo con le varici ai disturbi venosi non corrisponde spesso la presenza di

    varici ricercare sempre le diverse cause dei dolori alle gambe

  • E’ importante valutare in ogni paziente lo stadio dell’ IVC secondo la classificazione CEAP:

    l’edema e’ frequente ma puo’ essere assente ( c0-c1-c2) lesione trofica della cute secondo lo stadio (c4-c5-c6)

    corona flebectasica (dilatazione delle vene perimalleo-lari)

    lesioni trofiche : pigmentazione, infiltrazione, atrofia. ulcus cruris :aperta o cicatrizzata

    complicanze:

    varici

    rottura varice

    varicoflebite

    varicotromboflebite

    trombosi venosa profonda

    embolia polmonare

    patogenesi IVC alterazione parietale insufficienza valvolare ipertensione venosa

    anamnesi: cosa domandare

  • Il processo patologico

    esordisce nel

    Sistema superficiale

    Sistema profondo

    Varici Primarie Varici Secondarie

    Etiologia Ipotetica Conosciuta

    Fattori ereditari ed

    ambientali

    Trombosi Ostruzione

    Tumore Anastomosi

    A/V Displasia valvolare

    Età Professione

    Gravidanza Obesità

    Frequenza 95 % 5 %

    Frequenza Ulcere Rara Fequente

    Le Varici

  • anamnesi prossima

    tipo di disturbi

    edema: saltuario,quotidiano,serale,al risveglio

    invalidita’: riduzione della capacità lavorativa

    fattori di rischio:

    professione: lavoro sedentario, lavoro in piedi, sovrappe-so, pillola anticoncezionale

    motivi della visita: dolori, estetica, prevenzione

    anamnesi remota

    comparsa delle prime varici: gravidanza, intervento chi-rurgico,trauma.

    complicazioni: trombosi venosa profonda, embolia polmo-nare

    evoluzione: rapida, lenta.

    trattamenti: compressione, farmaci, pomate, sclerotera-

    pia, intervento. le varici sono secondarie? rischio tromboembolico? sindrome post-trombotica? fistola arterovenosa? displasia valvolare?

    esame obiettivo

  • malato in piedi

    tipo di varici: grado e decorso.

    impulso venoso retrogrado dopo un colpo di tosse per insufficienza ostiale della grande safena.

    varici pubiche dopo trombosi iliaca.

    edema: distribuzione e consistenza .

    gamba sollevata per meglio apprezzare: zone indurite

    dopo piodermite, dermatite da stasi, tromboflebite.

    palpazione comparativa delle masse muscolari, con mu-scoli surali rilasciati, se si sospetta una trombosi venosa profonda.

    misurazione della circonferenza.

    diagnosi differenziale :

    patologia arteriosa

    patologia linfatica

    patologia ortopedica

    patologia neurologica

    patologia reumatica

  • 1. Trombosi Venosa Profonda Definizione La trombosi venosa profonda (TVP) è l’ostruzione parziale o completa di una qualunque vena del sistema profondo da parte di un coagulo di sangue o trombo; in ordine di frequen-

    za sono più colpiti gli arti inferiori, la pelvi e gli arti superiori. Epidemiologia Non esistono dati univoci sull’incidenza e la prevalenza di que-sta malattia nella popolazione del mondo occidentale. Le don-ne sono più colpite rispetto agli uomini. Gli studi attuali si attestano su valori dall’1,d all’1,8 per mille della popolazione generale (Lensing 1999). Secondo un recente studio svedese il 2-3% della popolazione va incontro, nel corso della vita, ad un episodio di TVP. Fattori di rischio La TVP è favorita dalla presenza di alcuni fattori di rischio:

    allettamento prolungato con immobilizzazione, interventi chi-rurgici, soprattutto ortopedici agli arti e/o articolazioni, urolo-gici o ginecologici, alcuni deficit genetici trombofilici, rappre-sentati da carenza o alterazione qualitativa di inibitori fisiologi-ci della coagulazione (Antitrombina III, Proteina C, Proteina S), Fattore V Leiden, Mutazione G20210A della Protrombina,

    iperomocisteinemia, alterazioni qualitative del fibrinogeno (disfibrinogenemie), alterazioni dei meccanismi fibrinolitici, anticoagulante lupico, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, uso di progestinici, politraumatismi, malattie autoimmuni e

    Trombosi Venosa

  • neoplastiche. Clinica Dolore spontaneo o provocato dallo stiramento dei muscoli (dolorabilità alla pressione lungo la distribuzione delle vene

    profonde dell’arto (segno di Bauer), dolorabilità alla flessione dorso-plantare del piede (segno di Homans), dolore alla pian-ta del piede o al cavo popliteo, arrossamento, cianosi, aumen-to della temperatura cutanea, crampi, aumento della circonfe-renza dell’arto per edema franco, sviluppo tardivo di circoli collaterali; phlegmasia alba dolens (quadro clinico in cui, oltre all’alterato deflusso venoso provocato dalla trombosi dalla trombosi, esiste un vasospasmo arterioso, con pallore, ridu-zione della temperatura dell’arto interessato ed iposfigmia arteriosa). Diagnostica differenziale Trombosi venosa superficiale; ipodermite (infiammazione del tessuto sottocutaneo); rottura muscolare o tendinea, strappo muscolare; danno intrarticolare del ginocchio; cisti di Baker; vasculite cutanea; linfedema. Diagnostica strumentale EcocolorDoppler: Valuta la pervietà, la comprimibilità, lecaratteristiche morfolo-giche e strutturali del trombo, il calibro della vena, lo stato delle pareti venose, l’integrità ed il funzionamento delle valvo-le, il flusso venoso e la sua direzionalità.

    Dati sintetici Una valutazione clinica di probabilità di TVP deve essere effet-tuata prima dei tests ematici utilizzando un protocollo forma-le.

  • Valori ematici normali del D-dimero escludono la necessità di ulteriori tests.

    La diagnosi di trombosi venosa profonda deve essere confermata da uno studio di imaging, preferibilmente con ultrasonografia duplex con compressione (CUS).

    I pazienti con elevato indice di probabilità clinica per embolia polmonare devono inizire la terapia anticoagulante senza ri-tardi. L’angio-TC, combinata con la valutazione clinica di probabilità ed il test del D-dimero, è un sicuro indice predittivo per dia-gnosticare o escludere l’embolia polmonare. Ulteriori tests diagnostici sono necessari solo quando i sintomi persistono o progrediscono. 2. Trombosi Venosa Superficiale Le Trombosi Venose Superficiali (TVS) sono state considerate per lungo tempo eventi clinici di scarsa rilevanza, evoluzione rapida e prognosi favorevole. L’introduzione degli ultrasuoni nella diagnostica vascolare ha oggi modificato l’approccio a tale patologia, che non sempre è a prognosi benigna, sia per-chè talora il processo trombotico può estendersi al sistema profondo e presentare significativo rischio di embolia polmo-nare, sia perché alcune forme di TVS possono essere rivelatri-ci di neoplasia (TVS paraneoplastiche) o di altre patologie gravi. Classificazione TVS su vena varicosa

    varicoflebite TVS su vena sana

    da causa esogena

  • post-traumatiche

    da ustioni

    iatrogene

    settiche

    da causa endogena

    da anomalie della coagulazione e/o fibrinolisi

    - gravidiche, da contraccettivi, paraneoplastiche

    da anomalie dell’endotelio - Buerger, Beςhet, Mondor) Clinica e diagnosi

    Presenza di cordone arrossato, duro, dolente, lungo il decorso della vena o della varice. L’esame ecocolordoppler è utile per localizzare con precisione l’estensione del trombo ed indivi-duare precocemente il coinvolgimento del sistema venoso profondo. La TVS della grande safena aggettante nella femorale comune

    deve considerarsi a tutti gli effetti una TVP e come tale tratta-ta. . Diagnostica differenziale Linfangite, erisipela, cellulite, streptodermite, eritema nodoso, tendinite, contusione, ematoma, eritema allergico, Kaposi, TVP, SPT.

  • 1. Concetti generali

    Le ulcere degli arti inferiori colpiscono circa 1% della popola-zione adulta ed il 3.6% degli individui con età superiore a 65 anni. Il 70-80% delle ulcere sono di natura venosa; il restante è sostenuto da insufficienza arteriosa (15-25%) o da altre cause (diabete, connettiviti). Più raramente sono chiamati in

    causa fattori traumatici, infettivi, infiammatori, metabolici, ematologici o neoplastici. Nella genesi dell’ulcera è presente una alterazione del sistema vascolare sia primitivo (ulcere venose, arteriose, miste e infiammatorie) che secondario. Alla base della formazione dell’ulcera venosa, è presente una condizione di alterazione del sistema macrocircolatorio carat-

    terizzato da ipertensione venosa (determinata da due condi-zioni principali: malattia varicosa e sindrome post-trombotica), che modifica in maniera sostanziale l’anatomia e

    la funzionalità del mi-crocircolo cutaneo; inizialmente si verifica l’apertura massiva delle anastomosi artero-venose (AVA) con chiu-sura dello sfintere pre-

    capillare, ma successi-vamente si ha una pro-gressiva vasoparalisi

    Ulcere Venose

    Figure 1-2: Ulcere di natura venosa si presen-tano nella tipica localizzazione perimalleolare esterna ed interna. Si possono inoltre osserva-re l’edema e le modificazioni della cute perile-sionale che nella prima figura appare eritema-tosa e disidratata, mentre nella seconda vi è una pigmentazione bruno-rossastra

  • arteriolare (scomparsa del riflesso arterioso-costrittivo) che porta ad una alterazione funzionale dello shear stress e dell’endotelio. L’alterazione endoteliale stimola una condizione di infiammazione cronica che porta come conseguenza finale ad una condizione di ipossia con necrosi cellulare e perdita di

    sostanza. Fattori di rischio sono: obesità, flebiti, familiarità per vene varicose, caratteristici tipi di impiego e stili di vita (attività che richiedono lunghe ore in piedi o in posizione seduta), trombosi venosa profonda e precedenti interventi chirurgici per vene varicose. 2. Clinica Le ulcere venose sono caratteristicamente localizzate nella zona sopramalleolare, mediale e laterale (Figg.1-2), possono essere singole o multiple (Figg. 3-4) e coinvolgere l’intera circonferenza della gamba se non trattate; generalmente tali

    lesioni presentano margini irregolari ed appiattiti. Il letto dell’ulcera tende ad essere secernente con presenza di tessuto di gra-nulazione e di materiale fibrinoso e la superficie

    della lesione può in alcuni casi mostrare necrosi fino ad esposizione di tendini . I pazienti con ulcera veno-sa presentano edema e dolore a carico degli arti

    inferiori, che peggiora a fine giornata e viene esacerbato con l’arto declive e alleviato con mantenendo l’arto in scarico. Reperti associati sono: pre-senza di vene varicose, pigmentazione bruno-rossastra o por-

    Figure 3-4: Le ulcere venose presentano solitamente margini irregolari, frastagliati; generalmente sono uniche ma a volte possono essere multiple e confluenti

  • pora dovuta allo stravaso di eritrociti e conseguente deposito di emosiderina, dermatite eczematosa (aggravata dall’uso di prodotti topici) (Fig. 5), atrofia bianca (placche di sclerosi liscia, bianco-avorio, macchiata da teleangiectasie, presente in un terzo dei pazienti con insufficienza venosa cronica) (Fig.

    6) . Nei pazienti con lesioni di lunga data sono pre-senti cute induri-ta e fibrosi del derma e del tessuto sottocu-taneo, general-mente localizza-ta nella parte media della gamba e subito demarcata da una cute nor-male

    (lipodermatosclerosi). Complicanze associate all’ulcera venosa sono ipotrofia dei muscoli del polpaccio, infezioni, più comunemente da gram-

    positivi quali stafilococco e streptococco o batteri gram-negativi quali pseudomonas. L’esame clinico deve comprendere l’ispezione della cute (pigmentazione della cute, presenza di eventuale eczema venoso, atrofia bianca o lipodermatosclerosi) e dell’ulcera, la palpazione dei polsi con calcolo dell’Ankle-brachial Index (ABI)

    per escludere una sottostante arteriopatia, un esame della sensibilità neurologica e la ricerca di segni di ipertensione venosa. Inoltre deve essere effettuata la misurazione dell’ul-cera. L’area dell’ulcera può essere calcolata con una planime-

    Figure 5-6: Reperti frequentemente associati alle ulcere venose sono dermatite eczematosa (5) e l’atrofia bianca (6), ossia placche di sclerosi liscia bianco-avorio.

  • tria, disegnando i bordi su un foglio trasparente o valutata con fotografie seriate. In alternativa può essere misurata cal-colandone l’area in cm2 (moltiplicando i 2 massimi diametri perpendicolari). Nel 75% dei casi di ulcera venosa, la diagnosi può essere

    effettuata attraverso i soli criteri clinici. L’esame strumentale eco color Doppler completa la valutazione definendo corretta-mente la condizione morfoemodinamica del sistema venoso superficiale, profondo e perforante. 3. Terapia Obiettivo della terapia dell’ulcera venosa è non soltanto la guarigione ma anche la prevenzione della recidiva. Allo stesso tempo è di fondamentale importanza migliorare lo stato psico-logico del paziente, sia per l’accettazione e la collaborazione nel programma terapeutico, sia per la stessa qualità di vita. La terapia di un’ulcera venosa può coinvolgere uno o più dei seguenti trattamenti 1. trattamento di base

    2. terapia farmacologica 3. compressione 4. medicazione topica 5. chirurgia

    6. scleroterapia 7. altre terapie 8. misure generali Trattamento di base Il trattamento di base dovrebbe conformarsi alla regola gene-rale di considerare il paziente nella sua interezza e non foca-lizzarsi esclusivamente sulla cura dell’ulcera. In questo conte-sto di grande importanza sono lo stile di vita, la capacità deambulatoria, il lavoro, l’eventuale presenza di obesità, dia-

  • bete o altre malattie concomitanti. Terapia farmacologica Riconosce come principali bersagli il tono venoso, l’emocon-centrazione, l’aumentata permeabilità capillare, l’edema, la

    ridotta attività fibrinolitica, l’incremento del fibrinogeno pla-smatico, le anomalie della funzione leucocitaria, il controllo del dolore e delle sovrainfezioni, le malattie concomitanti. Vengono comunemente impiegati agenti fibrinolitici o favoren-ti la fibrinolisi, idrossirutosidi, diosmina esperidina micronizza-ta, prostaglandina E1, pentossifillina. Compressione Tutti i pazienti portatori di un’ulcera venosa richiedono un trattamento compressivo. E’ però necessario che il paziente sia in grado di deambulare, al fine di ottenere il massimo be-neficio dalla compressione. La compressione facilita la guarigione delle ulcere venose e può prevenire le recidive. Essa serve ad aumentare il flusso venoso, a diminuire il reflusso patologico durante il cammino, a migliorare la microcircolazione ed il drenaggio linfatico. In tal modo si riduce l’edema cronico e l’essudato e la lesione regredisce più rapidamente, mentre la recidiva dopo guarigio-ne è meno probabile.

    La terapia compressiva può essere attuata utilizzando ben-daggi o calze elastiche. Nella fase acuta dell’ulcera è preferibile una compressione con bende anelastiche, con bende all’ossido di zinco o con un ben-daggio multistrato. Quest’ultimo può essere lasciato in sede anche per una settimana, ma all’inizio del trattamento, finchè

    l’essudato e l’edema non diminuiscono, è preferibile rimuove-re ed applicare il bendaggio più spesso. I bendaggi multistrato sono risultati più efficaci rispetto ai mono – e bistrato. Il bendaggio dovrebbe essere in grado di esercitare una pres-

  • sione di riposo di almeno 20-30 mmHg a livello della caviglia e del terzo inferiore di gamba, più bassa a livello del terzo supe-riore di gamba e del ginocchio, in maniera da dare una com-pressione graduata. Nei pazienti in cui sia presente un’arterio-patia obliterante di modesta entità con un indice ABI compre-

    so tra 0,6 e 0,8, il bendaggio va praticato con molta attenzio-ne, utilizzando materiale anelastico, in maniera da esercitare una bassa pressione di riposo. Se l’insufficienza arteriosa è severa con un indice ABI al di sotto di 0,6, qualsiasi tipo di compressione è controindicata. La compressione mediante calze elastiche è utilizzata per mantenere il risultato raggiunto nella cura dell’ulcera venosa e prevenire le recidive. Generalmente sono utilizzate calze della II classe di compressione (30-40 mmHg di pressione alla cavi-glia) o della III classe (40-50 mmHg). Nei pazienti anziani o quando coesistono problemi di mobilità articolare può essere più facile far indossare due calze sovrapposte l’una sull’altra della I classe di compressione (20-30 mmHg alla caviglia). Nei pazienti allettati o che comunque camminano poco può essere presa in considerazione l’opportunità di utilizzare la calza antitrombo. In pazienti selezionati può essere utile ricor-rere alla compressione pneumatica intermittente.

    Il successo della compressione dipende anche dalla mobilità del paziente, il quale deve essere perciò incoraggiato a muo-

    versi e a compiere regolari esercizi fisici e riabilitativi. Medicazione topica Il trattamento topico dell'ulcera venosa deve assicurare la detersione della lesione, la conservazione del microambiente, la protezione dagli agenti infettanti e la stimolazione dei mec-

    canismi riparativi cellulari. E’ stato recentemente introdotto il concetto di “preparazione del letto” di una lesione o Wound Bed Preparation ovvero la “gestione globale e coordinata della lesione, volta ad accelera-

  • re i processi endogeni di guarigione ma anche a promuovere l’efficacia di altre misure terapeutiche”. Esso comprende lo “sbrigliamento” o “debridement” (autolitico, enzimatico, mec-canico) atto a rimuovere il tessuto necrotico con le compo-nenti essudative e la correzione delle alterazioni del microam-

    biente. La medicazione ideale deve possedere le seguenti caratteristi-che: non aderire, né lasciare residui sul fondo dell’ulcera, mantenere la superficie umida, essere impermeabile ai liquidi, permettendo gli scambi gassosi, creare una barriera contro batteri e miceti, stimolare la crescita del tessuto di granulazio-ne, alleviare il dolore, avere un costo ragionevole. Attualmente non esiste una medicazione ideale, né è possibile stilare dei protocolli rigorosi che siano validi per la cura di tutte le ulcere venose. L’esperienza dimostra che ogni prodot-to si rivela inizialmente efficace, ma tale beneficio decresce nel tempo, mentre un altro prodotto può poi portare a guari-gione l’ulcera. Le medicazioni locali oggi a disposizione hanno indicazioni diverse a seconda delle fasi di evoluzione e/o guarigione: pos-sono essere occlusive, semiocclusive, assorbenti, medicazioni a base di carbossimetilcellulosa, alginati, poliuretano, collage-ne, colla di fibrina, chitosano, in forma di paste, di granuli, di schiume, di gel. Recentemente è stata proposta l’applicazione

    locale di fattori di crescita, somministrati anche per infiltrazio-ne. In presenza di un’infezione, devono essere allestite colture dell’essudato ed il trattamento iniziare con antibiotici sistemici. Gli antibiotici per uso topico non sono generalmente utilizzati, perché favoriscono l’insorgenza di dermatiti da contatto.

    Nelle fasi più avanzate del processo di guarigione, quando la secrezione è scarsa e l’ulcera si superficializza, si può ricorrere alle medicazioni cosiddette biologiche, utilizzando delle sottili pellicole a base di cellulosa o di acido jaluronico, che da una

  • parte esercitano una funzione protettiva, impedendo l’infezio-ne dell’ulcera, dall’altra forniscono un buon supporto per la migrazione e la proliferazione delle cellule basali dell’epidermi-de, mantenendo un adeguato livello di umidità che evita l’es-siccamento della lesione.

    Chirurgia E’ da considerarsi complementare al trattamento conservati-vo. Essa persegue due obiettivi fondamentali, la correzione dell’al-terazione emodinamica di base e la copertura dell’ulcera me-diante innesti cutanei allo scopo di ridurre i tempi di guarigio-ne. In pazienti con ulcera varicosa la chirurgia del sistema venoso superficiale offre ottimi risultati, riducendo i tempi di guarigio-ne e le recidive a distanza, specialmente in assenza di altera-zioni del sistema venoso profondo. Per quanto riguarda le perforanti, il loro trattamento è stato di recente migliorato dallo sviluppo della tecnica di legatura sottofasciale per via endoscopica (SEPS); tuttavia, la recidiva o i il fallimento della guarigione dell’ulcera si verifica in una percentuale tra il 2,5 ed il 22%. La correzione totale dell’insufficienza delle vene superficiali e delle vene perforanti dovrebbe essere sempre effettuata, prima di considerare interventi sul circolo venoso

    profondo. Altre procedure in fase di sviluppo (valvuloplastica, i trapianto di valvola, interventi di trasposizione venosa) vanno riservate come ultima risorsa e comunque in centri specializzati. Infine, gli innesti cutanei (in letteratura non si trovano prove suffi-

    cienti dei loro effetti) possono essere attuati con varie meto-diche: “meshed split skin grafting”, “pinch grafting”, omotra-pianto di cheratinociti umani coltivati in vitro, trapianto di lembi liberi con segmenti venosi valvolati previa ulcerectomia

  • e legature delle perforanti insufficienti, “shave therapy”. Re-centemente è stato proposto l’impiego della cute artificiale e/o di equivalenti. Scleroterapia

    Nei pazienti con insufficienza del sistema venoso superficiale e in particolare in presenza di reflussi brevi da vene perforanti insufficienti può essere indicata in casi selezionati la sclerote-rapia associata a compressione, anche se è presente un’ulcera aperta.

    Recenti studi hanno proposto l’uso di scleroterapia con schiu-ma sotto guida ecografica con ottimi risultati.

    Altre terapie Ossigenoterapia iperbarica, vacuum terapia, luce polarizzata, laserterapia. Misure generali Mantenere un peso corporeo il più possibile vicino a quello ideale, effettuare passeggiate quotidiane regolari in pianura, 2-3 volte al giorno, per almeno 30 minuti, evitare lunghi periodi di stazione eretta, alzare periodicamente, la gamba al di sopra del piano del cuore, dormano con i piedi del letto sollevati.

    Nei pazienti con edema da insufficienza venosa cronica può essere preso in considerazione il drenaggio linfatico manuale.

  • 1. ……………………………..

    …………….

  • Diagnostica vascolare non invasiva

    Nella patologia venosa, gli approcci diagnostici sono abba-

    stanza nettamente divisi in due: un primo approccio riguarda la ricerca della occlusione venosa, ossia della trombosi veno-sa, ed un approccio riguarda la ricerca della incontinenza val-volare venosa, ossia essenzialmente delle vene varicose. Ovviamente i due approcci possono essere eseguiti entram-bi nello stesso paziente, anzi ci verrebbe da dire che DOVREB-

    BERO essere eseguiti entrambi, ma purtroppo le limitazioni di tempo imposte al giorno d’oggi alla classe medica, costringo-no spesso ad eseguire uno solo di questi approcci: nel pazien-te ospedalizzato per sospetto di trombosi venosa o di embolia polmonare, spesso ci si limita a ricercare le occlusioni, e le incontinenze del circolo venoso profondo che possono rispon-dere al quesito specifico, evitando di ricercare eventuali incon-tinenze del circolo venoso superficiale, mentre spesso nei pazienti ambulatoriali di giovane età con problematiche riferi-bili alle vene varicose, e con probabilità pre-test quasi nulla di avere una trombosi venosa, ci si limita a ricercare accurata-mente le eventuali incontinenze superficiali e profonde, e ci si limita ad esplorare i punti prossimali del circolo venoso pro-

    fondo, a livello delle crosse safeno - poplitee e femorali. Va comunque tenuto presente che, in caso di problemati-che medico – legali, come esame delle vene degli arti inferiori si ritiene quello che comprende la ricerca sia di ostruzioni che di incontinenze. E’ inoltre doveroso ribadire come anche la diagnostica stru-

    mentale non invasiva della patologia venosa deve, come tutte le diagnostiche, essere guidata dalla osservazione e dal pen-siero clinico, in modo da evitare esami non utili e da poter ottenere il massimo vantaggio per il paziente.

  • Va inoltre precisato che, vista la potenziale importanza per il paziente, qualora si rilevi una trombosi venosa prossimale di cui a livello inguinale non si riesca a rilevare il margine prossi-male, anche se l’esame richiesto è limitato allo studio degli arti inferiori, è imperativo ricercare il margine prossimale della

    trombosi, visto che per il trattamento del paziente tale limite può orientare verso trattamenti diversi. Attualmente la diagnostica non invasiva è essenzialmente rappresentata dall’ Eco Color Doppler. Il Doppler ad onda continua, pur con il pregio del basso costo, delle piccole dimensioni e della estrema portabilità, non consente di discriminare vasi posti a profondità diverse, e risultando poco o nulla utile nella ricerca delle trombosi veno-se profonde, è stato praticamente abbandonato. Parimenti le metodiche di tipo pletismografico, nettamente insufficienti per lo studio del tromboembolismo, non sono correntemente diffusamente utilizzate nello studio della insuf-ficienza venosa, verosimilmente sia per una maggiore com-plessità di utilizzo, sia perché le informazioni fornite non si sono fino ad ora tradotte nel suggerire un trattamento tera-peutico specifico rispetto al semplice riconoscimento della patologia di base.

    L’ apparecchio per lo studio delle vene deve essere dotato di adeguati strumenti per la stampa di immagini da affidare al paziente, e trattandosi di un esame a colori, è opportuno che la stampante in dotazione consenta l’ esecuzione di stampe a colori. La dotazione di sonde deve comprendere sia una sonda

    lineare, con cui si eseguono la quasi totalità degli studi, per esempio una multifrequenza da 4 ad 8 Mega Hertz, ed una sonda Convex di frequenza per esempio tra 2 e 4 Mega Hertz. Quest’ ultima ci consentirà appunto di esplorare sia il circolo

  • iliaco a livello addominale, sia di studiare i vasi più profondi in pazienti difficili ed obesi. La regolazione dell’ apparecchio deve essere eseguita con attenzione, ed i parametri utilizzati devono essere specifici per lo studio di flussi a bassa velocità, ed a titolo di esempio si

    può considerare di regolare la PRF attorno ai 1000 Hertz, di disporre i filtri di parete sul basso, e di incrementare il guada-gno per quanto possibile. Questo tipo di regolazione consente di visualizzare anche i flussi con velocità più basse, ma soffre del limite di creare artefatti che possono visualizzare flusso anche al di fuori delle zone in cui esso è presente, per cui bisogna porre cautela nella diagnosi di trombosi non completamente occludenti il lume vasale. Parimenti nello studio del reflusso venoso, una regolazione poco accurata può non fare evidenziare i reflussi più modesti, per cui si consiglia di memorizzare nell’ apparecchio un set-taggio specifico per gli studi venosi, e di ritornare a tale set-taggio ad ogni nuovo paziente che si esamina, visto che du-rante l’ esecuzione dell’ esame è opportuno regolare i coman-di dell’ apparecchio in maniera ancora più fine per lo specifico paziente, ma tale regolazione può essere inadeguata per il paziente successivo. Vista la struttura delle vene, che ne permette il facile colla-

    bimento, l’ uso del gel da interporre tra sonda e cute deve risultare abbondante, e consentire un facile scorrimento della sonda. Come in tutti gli esami vascolari, è importante che l’ opera-tore operi seduto comodamente, e sono da preferire le sedie che consentano ulteriore appoggio alle braccia ed alle gambe,

    in modo da consentire una posizione stabile pur appoggiando la sonda sulla cute molto leggermente. Diversa è la posizione del paziente che ci consente di stu-

  • diare al meglio i due gruppi di patologie: per studiare l’ incon-tinenza, è necessario richiedere l’ aiuto della gravità per cui è bene studiare il paziente in piedi. A tale scopo è bene poter utilizzare una apposita pedana, la pedana flebologica, che consente di studiare gli arti inferiori

    dei paziente in piedi, dall’ inguine sino alle caviglie, stando seduti e senza doversi eccessivamente chinare. Viceversa per lo studio dell’ ostruzione venosa, è favorevole avere le vene, specie quelle distali, collassate, per cui è prefe-ribile studiare il paziente disteso sul lettino. Per quanto riguarda l’ esame per la ricerca di incontinenza, le manovre proposte sono molteplici, ma le più usate sono la manovra di Valsalva e la spremitura del polpaccio in paziente con peso spostato sull’ arto controlaterale. Qualora si utilizzi la manovra di Valsalva, è bene ricordare di controllare che il paziente la svolga in modo corretto, cosa che non sempre riesce alle persone anziane. Una maniera per essere certi di una corretta esecuzione è quella di fare soffiare il paziente dentro il tubicino di uno sfig-momanometro, sino a far raggiungere allo strumento una pressione di 50 – 70 millimetri di mercurio. L’esperienza consentirà di raggiungere risultati costanti e riproducibili nel tempo. La ricerca dei reflussi viene effettuata utilizzando la metodi-

    ca Color, e viene perfezionata nei singoli punti con l’ utilizzo del Doppler pulsato, che consente di visualizzare con maggio-re esattezza la durata del reflusso. In sostanza le vene normali impiegano meno di mezzo se-condo per interrompere il flusso centrifugo, mentre si consi-dera positivo per reflusso ogni segnale di durata superiore al

    secondo. Il segnale Color consente di verificare l’ origine del reflusso, attraverso l’ esecuzione di ripetute manovre di spremitura, ed anche mediante la manovra del fiotto, ovverosia mediante la

  • compressione ritmica su una vena varicosa distale, con varia-zioni di onda che si trasmetteranno anche cranialmente se-guendo la colonna di sangue. Pazienza e metodo, oltre ovviamente ad un accurato esame clinico, sempre fondamentale, consentiranno di descrivere

    correttamente anche le situazioni più complesse. Indipendentemente dalle metodologie operatorie utilizzate, riteniamo che al giorno d’oggi non si possa pensare di interve-nire sul circolo venoso superficiale senza la premessa di un esame Eco Color Doppler ben condotto. La ricerca delle trombosi venose si esegue viceversa con il paziente sdraiato sul lettino il più comodamente possibile, con le gambe alternativamente leggermente piegate ed axtraruo-tate, per permettere uno studio agevole del poplite e delle vene della gamba. Per accertare la presenza o meno di trombosi si ricorre sia alla manovra di compressione, che alla ricerca della presenza o meno di flusso venoso. Tutte le manovre vanno ovviamente eseguite con la oppor-tuna delicatezza, visto che, per quanto rari, esistono descrizio-ni di distacco del trombo durante l’ esecuzione dell’ esame Eco Color Doppler. Nell’ interpretazione dei risultati si devono tener presenti gli

    eventuali punti deboli, rappresentati dalla difficoltà di compri-mere le vene in certi punti, come verso il canale degli addut-tori, sia per la profondità del vaso che per il dolore percepito dal paziente che tende a contrarre i muscoli, e dalla possibilità che un settaggio troppo sensibile crei degli artefatti mostran-do flusso anche dove esso è assente.

    Dove eseguibile, la manovra di compressione permette la migliore accuratezza possibile, ma attualmente si studiano distretti, come l’ addome e gli arti superiori, dove la manovra di compressione è raramente eseguibile, per cui l’ adeguato

  • riconoscimento della presenza di flusso risulta doveroso in tutti i settori esplorati. Per chi esegue la diagnosi al di fuori del puro regime di urgenza, è necessario lo studio anche delle vene distali, che sono frequentemente interessate nella pratica clinica.

    Personalmente invece di esplorare i singoli vasi e di verifi-carne la pervietà, siamo soliti esplorare l’insieme del polpaccio esercitando una certa compressione della sonda posta in tra-sversale, coi musco-li completamente rilassati, alla ricerca di eventuali segni di trombosi venosa. Nella nostra espe-rienza una scansio-ne ai margini della tibia, una ai margi-ne del perone ed una intermedia tra queste due, consen-te di esplorare tutto il polpaccio in quasi tutti i pazienti. Conviene qui ri-

    cordare come le vene tibiali anteriori non siano quasi mai interessate autono-mamente da trom-bosi venosa, ma

    eventualmente una scansione anteriore consente agevol-mente di studiare anche questo distretto.

  • Ricordiamo infine che lo studio delle vene femorali a livello inguinale deve sempre comprendere i punti più facilmente raggiunti dalla trombosi, ovverosia la crosse safeno-femorale e la biforcazione femorale. Nella ricerca della trombosi venosa l’ esame obiettivo non

    sempre è di aiuto, ma il calcolo delle probabilità a priori della presenza o meno di trombosi può risultare utile. Vista l’importanza e la presentazione clinica subdola della trombosi venosa profonda, nel sospetto è necessario eseguire con larghezza l’ esame strumentale, l’ unico in grado di esclu-dere o meno la presenza di tale patologia.

  • IL LINFEDEMA

    1. Classificazione

    Linfedema primitivo, dovuto ad alterazioni morfofunzionali congenite dei linfatici: aplasia, stenosi, dilatazione. Può essere precoce o tardivo. Linfedema secondario, dovuto ad asportazione o danno strutturale provocato di linfonodi o vie linfatiche (più frequen-

    temente chirurgici, meno infettivi o da non uso). Altre classificazioni Classificazione clinica in 5 stadi (Donini, 1998) Stadio 1: 1A: edema assente in presenza di alterazioni strumentali. 1B: edema lieve reversibile con l’ arto in scarico. Stadio 2: Edema persistente, reversibile solo parzialmente con l’ arto in scarico. Stadio 3: Edema persistente, mai reversibile neppure parzialmente, ed ingravescente (possibili erisipele recidivanti).

    Stadio 4: Fibrolinfedema, con arto “a colonna”, possibile verrucosi linfA-tica. Stadio5: Elefantiasi, pachidermite scleroindurativa.

    Classificazione in 3 stadi dell'International Society of Lympho-logy (Consensus Document 2001) Stadio I: Edema che scompare spontaneamente con l’elevazione dell’

  • arto Stadio II: Edema che non scompare con l’elevazione dell’arto e con pre-senza del segno della fovea Stadio III: Elefantiasi, fovea assente, pachidermie, verrucosi linfostatica 2. Clinica Il linfedema primitivo (Fig. 1) general-mente inizia dalle dita; dapprima di consistenza morbida, con evidente segno della fovea, negli stadi più avanzati il segno patognomonico è quello di Stemmer (Fig. 2), caratteriz-

    zato dalla im-possibilità a plicare la f a c c i a dorsale del secondo dito del piede, dito su cui l’edema si presenta inizialmente più evidente, per poi estendersi gra-dualmente alle altre dita e successiva-mente a tutto il piede e all’arto in senso

    craniale. Il linfedema se-

    condario a neo-plasia (Figg. 3-4) può invece ini-ziare dalla radice dell’arto per poi estendersi cau-

    dalmente. Il linfedema tende ad essere sin dall’inizio un edema duro, freddo, di colorito chiaro, quando non complicato da flogosi

    Fig 1

    Fig 2

    Fig 4

    Fig 3

  • (erisipela, cellulite, linfangite). Generalmente non è dolente, ad eccezione di quando è collegato a patologia neoplastica. Tende a regredire durante il riposo notturno solo negli stadi più iniziali. Se non trattato adeguatamente, può peggiorare aumentando rapidamente, fino ad assumere a volte deforma-

    zioni elefantiasiche. Se non curato, l’edema gradualmente si estende fino a diveni-re irreversibile, aumentando pure di consistenza, fino a non prendere più l’impronta, sempre più doloroso alla palpazione. L’ulcera trofica infine può comparire con elevata frequenza. I segni clinici e i sintomi presenti nel linfedema non sono spe-cifici: pesantezza, dolore e ridotta mobilità, secondariamente tensione, astenia, rigidità, intorpidimento e indurimento della cute. All’esame obiettivo bisogna poi valutare: ingrossamento dell’arto o del tronco, numero delle pliche cutanee (ascella, arto, dita), colorito e caratteristiche della cute, aumenti asim-metrici del tessuto adiposo sottocutaneo, consistenza (segno della fovea, segno di Stemmer), presenza dei polsi arteriosi, di alterazioni neurologiche e di circolo collaterale venoso, mi-surazione volumetrica dell’arto e infine range di mobilità. Altre forme di linfedema:

    linfedema prossimale o rizomielico (10 % del totale), spes-so secondario a patologia linfonodale o del bacino: inizia dalla radice dell’ arto, soprattutto alla faccia antero-mediale di coscia, con limite superiore netto e a margine indurito, e limite inferiore invece sfumato, a progressione discendente verso le regioni caudali.

    linfedema sospeso, più raro, è un edema permanente che origina in aree non alterate, ma già sede di alterazioni

    trofiche da trauma o ustione. Non va confuso con l’ edema transitorio che compare attorno a ferite, e da cui si diffe-renzia per l’assenza di concomitante flogosi.

    Complicanze del linfedema: erisipela, linfangite radicolare e

  • reticolare, raggruppabili in unica condizione clinica definita dermatolinfangioadenite (DLA). La DLA è rappresentata da una dermo-ipodermite più o meno estesa, generalmente dovuta ad infezione da streptococchi di gruppo A.

    Le forme locali (linfangiti) sono caratterizzate da un coinvolgi-mento settico delle strutture linfatiche: si presentano caratte-risticamente con una striscia eritematosa, calda e dolente lungo il decorso di una o più vie linfatiche (linfangite troncula-re), o con una chiazza eritematosa localizzata calda e dolente (linfangite radicolare), a volte accompagnata da modesta feb-bre e linfoadenomegalia satellite. Le forme estese (erisipela) sono caratterizzate da ampie aree di cute calda, arrossata, edematosa, indurita e dolente, che possono complicarsi con aree necrotiche e lesioni bollose; quasi costante la febbre, a volte molto alta, che può essere accompagnata da nausea e vomito. Le forme settiche si verificano a seguito di lesioni cutanee, anche minime, e possono complicarsi con bolle ed aree necro-tiche, setticemia e glomerulonefrite secondaria. Complicanze non infettive del linfedema: ipercheratosi, vesci-che linfostatiche, e papillomatosi o verrucosi linfostatica, pa-chidermia.

    3. Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale si pone con il flebedema, da insuffi-cienza venosa cronica (IVC), in cui ad una fase iniziale subcli-nica (alterazione microcircolatoria compensata) fa seguito la fase clinica nella quale l’edema compare in modo progressivo

    nel corso della giornata, declive ma senza coinvolgimento del dorso del piede e delle dita, molle, e regredisce durante il riposo notturno, raramente è simmetrico. Talora può esservi una condizione mista, flebolinfedema.

  • 4. Diagnostica strumentale Ecotomografia dei tessuti molli: Valuta linfonodi, tessuto sottocutaneo e tessuti soprafasciali (misurazione degli spessori) (Fig. 5), ectasie delle vie linfati-che (Fig. 6) e anastomosi linfo-venose, traendo dati utili alla

    stadiazione, anche in fase preclinica, e alla prognosi.

    EcoDoppler: Studia il circolo venoso profondo e superficiale (continenza valvolare), valido anche in fase preclinica, ed il circolo arterio-so (rilevazione Doppler delle pressioni distali), essenziale per confermare l’ uso di compressione bielastica. TC: Utile nella diagnosi differenziale tra linfedema e flebedema,

    specie nelle fasi iniziali e qualora l’ ecotomografia e l’ ecoDop-pler non siano conclusivi. RMN: Utile nell’ imaging dei tessuti molli, acquista particolare rile-vanza nell’individuare i linfatici retroperitoneali e le linfangec-

    tasie. Adenolinfoscintigrafia: Indagine di scelta in caso di dubbio diagnostico. Fornisce uno

    Fig 5

    Fig 6

  • studio funzionale e, in minor misura, morfologico, delle vie linfatiche, mediante analisi del tasso di assorbimento, della velocità di flusso e del tempo di accumulo del tracciato. Linfografia: In caso di ricostruzione chirurgica dei linfatici, visualizza il dotto toracico e localizza le fistole linfatiche. Laser-Doppler: Studia le alterazioni microcircolatorie, che sono correlate di-rettamente al grado di stasi linfatica. Monitoraggio delle caratteristiche cliniche del linfedema: può essere eseguito tramite: Misurazione indiretta della circonferenza dell’arto con metro a nastro: La metodica più facile e meno costosa. Si può trasformare in misurazione di volume mediante la formula del cilindro o del tronco di cono a seconda dei vari segmenti di arto. Misurazione diretta ad acqua del volume dell’ arto: Metodica più precisa, specie in caso di forma irregolare dell’

    arto. Richiede attenta collaborazione da parte del paziente. Impedenziometria: Analisi bioelettrica a multifrequenza, misura il volume dell’arto basandosi sul cambiamento di impedenza dovuto all’accumulo di liquidi esclusivamente extracellulari.

    Sensibile a cambiamenti anche minimi, rapida, economica e ben accetta al paziente. Proposta nello screening dei pazienti neoplasici sottoposti a chirurgia e/o radioterapia che ancora non presentano segni

  • clinici evidenti di linfedema. Per contro, è sensibile a qualsiasi modifica di temperatura sia dei liquidi extracellulari che della cute (gravidanza, flogosi, fase premestruale, alterazioni elettrolitiche.

    Tonometria: Misurazione oggettiva della tonicità del tessuto cutaneo e sottocutaneo (comprimibilità dell’edema), pertanto non utiliz-zabile nella diagnostica precoce. Batteriologia cutanea: In corso di flogosi cutanee acute, al fine di impostare una terapia mirata. 5. Terapia Essenzialmente conservativa, si compone di un approccio multiplo: Terapia fisica combinata: Basata sulla associazione di drenaggio linfatico manuale, pres-soterapia pneumatica sequenziale, bendaggio compressivo multistrato a corta estensibilità, esercizi fisici isotonici, attenta igiene della cute.

    Farmacoterapia: - Benzopireni: alfa pironi (cumarina) e gamma pironi (diosmina, rutina, esperidina). - Antibiotici ed antinfiammatori in fase di complicanza infettiva (DLA): penicilline, cefalosporine. - Diuretici generalmente sconsigliati, salvo casi particolari,

    quali il post-operatorio. Chirurgia: Di tipo derivativo e ricostruttivo (anastomosi linfo-venose), e,

  • molto raramente, negli stadi avanzati, escissionale (linfoliposuzione associata a intervento di Homans modifica-to). Indicata in caso di inefficacia della terapia fisica combinata, che comunque è da riprendere successivamente.

    Deve essere effettuata esclusivamente in strutture ad alto livello di specializzazione e con esperienza comprovata. Nelle complicanze settiche la terapia è basata sull’ impiego di antibiotici: in prima istanza è indicata l’amoxicillina, eventual-mente in associazione con acido clavulanico, a dosaggi elevati per 10 giorni, anche qualora la manifestazione clinica regre-disse prima, al fine di prevenire la successiva fibrosi locale. In associazione si può somministrare un antiflogistico

  • L’inizio della chirurgia venosa

    moderna la possiamo far risalire ai primi anni del seco-lo scorso, quando Mayo pub-blicò un nuovo intervento per strappare le vene con uno stripper extraluminale (1)

    L’intervento di stripping intraluminale, come è concepito at-

    tualmente si può far risalire alla tecnica di Keller (2) Tale intervento fu meglio codificato da Nabatoff nella seconda metà del ‘900. (3)

    Presupposto irrinunciabile era il concetto di radicalità chirurgica intesa in senso anatomico: legatura di tutte le collaterali della giunzione S-F e delle grosse collate-

    rali e perforanti lungo il decorso della safena. La safenectomia

    era solo l’atto finale. Ancora oggi è l’intervento più eseguito al mondo ed il gold standard degli inter-venti per varici degli arti inferiori (4)

    Fino ad oltre la metà del secolo scorso c’è stata una aspra battaglia tra chirurgia

    LA CHIRURGIA VENOSA

  • e scleroterapia, sanata poi dal trial di JT Hobbs del ’74, che assegnò alla chirurgia il trattamento delle varici da incontinenza della giunzione

    safeno-femorale. Alla fine degli anni ottanta però un corso di nome C.

    Franceschi propose un nuovo intervento che metteva in di-scussione le fondamenta della chirurgia flebologica tradiziona-le. L’innovazione consisteva nell’aver individuato il primum mo-vens della formazione delle varici nella disfunzione dell’emodi-namica venosa. L’intervento (CHIVA) consisteva nella legatura della safena alla giunzione SF sotto le collaterali che dovevano fungere da drenaggio. Poi la colonna venosa da incontinenza della safena veniva frazionata interrompendo la safena stessa sotto alcune perforanti che venivano dette di rientro perché durante la deambulazione aspiravano il sangue contenuto nella safena. Al di là dei risultati della tecnica, controversi ed ampiamente discussi in letteratura, “The results of the technique are very good provided a relia-ble preoperative ultrasound-guided marking and a precise

    surgical procedure are performed. Failures are due to poor haemodynamic assessment or inappropriate surgical procedure”. (5) “External banding of incompetent valve in the long saphenous vein and the CHIVA-method are less efficient in comparison with standard surgery (crossectomy plus stripping)” (6) tale intervento viene praticato in una percen-tuale molto bassa addirittura dagli stessi

  • Francesi 0,3%, come riportato da Perrin nel 2003 (7) Tutto ciò nulla toglie al valore innovativo dell’intuizione di aver individuato nell’alterata emodinamica venosa la causa delle formazione delle varici. Paradossalmente fu proprio la chirurgia tradizionale a trarre i

    maggiori profitti questa intuizione. Cambiando, nel proprio razionale, il concetto di radicalità ana-tomica con quello di radicalità emodinamica, proponendo una chirurgia “…non più indiscriminatamente ed estensivamente ablativa, ma finalizzata, ove possibile, alla correzione dell’alte-rata emodinamica venosa”. Agus GB ’91.

    E’ ormai da tutti condiviso che la comparsa delle varici è sempre legata ad una disfunzione emodinamica che crea iper-tensione venosa superficiale (8) e che qualsiasi soluzione, deve avere come obiettivo “irrinunciabile” la soppressione di tutti i reflussi”A cornerstone in the treatment of venous insuf-ficiency is elimination of sources of venous hypertension” (9).

    Ancora una volta la chirurgia tradizionale, evolvendosi, ha saputo mantenere il primato di chirurgia di scelta per la mag-gior parte dei chirurghi. Rimangono però insoluti alcuni problemi: La neovascolarizzazione della Giunzione Safeno-Femorale (cioè la formazione di neovarici nella sede di crossectomia), e le recidive (la formazione di nuove varici dopo intervento chi-rurgico). C’è molta confusione in letteratura sul concetto di “Recidiva”, e, forse anche a causa della disomogeneità della estrazione culturale del terapeuta (la flebologia, al contrario di altre specialità viene praticata da medici di diversa provenienza specialistica: Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare, Angiolo-gia, Dermatologia, Radiologia, Chirurgia Estetica, Cardiologia,

  • Medicina Generale etc.), esiste una vera e propria torre di Babele flebologica. Inoltre, la mancanza di un metro di valutazione obiettivo della gravità della malattia che renda paragonabili i risultati, la diffi-

    coltà a riprodurre quadri clinici oggettivi, i lunghi tempi di verifica della inadeguatezza di un trattamento, alimentano la proliferazione di nuove mode terapeutiche, non sempre sup-portate da studi qualitativi. Se, da un lato, è vero che non può esserci progresso della scienza senza l’acquisizione di nuove conoscenze (è giusto quindi che ci siano nuove proposte!) è anche vero, però, che l’acquisizione di queste conoscenze debbano essere compro-vate e condivise. In letteratura si trovano varie classificazioni delle varici recidi-ve, da quella Anatomo-Chirurgica di Darke, a quella Flebogra-fica do Stonebridge , a quella etiopatogenetica di Perrin. In

    tutte però è evidente una promiscuità di cause di-verse che rendono diso-mogenee le casistiche, come si evince dalla ta-bella.

    E anche quando si riesce ad individuare le diverse

    cause di recidiva, • recidive vere • varici residue • varici da progressione di malattia

    come nel caso della classificazione REVAS (Recurrent Varices After Surgery - consensus conference Parigi 1998), vengono comunque tutte incluse nel termine di Varici Recidive: i finisce poi per comprenderle tutte nel termine ri Recidiva“ Presenza

  • di vene varicose in un arto inferiore precedentemente operato

    per varici” L’eterogeneità di estrazione del terapeuta, ha permesso che anche i flebologi di estrazione non chirurgica si cimentassero nella Chirurgia Flebologica, con errori tecnici elementari che innalzano a sproposito le casistiche di recidiva. Haeger '67, in uno studio autoptico, riporta 158 (15.1%) safene residue su 837 arti operati per varici . Brandbury ‘94, su 36 pazienti rioperati per recidiva con ap-proccio subfasciale laterale, ben 26 (72.2%) “…had an intact saphenofemoral junction”. Viani ‘96, su 61 arti rioperati 31 (50’8) aveva la giunzione SF intatta. Crane '79 descrive il 57.0% di legature della crosse non ese-guite correttamente. Salvador Marques '87 riporta nei casi di varici recidive rio-perate il 54.5% di legatura non corretta. Nelle casistiche di lavori scientifici dove gli interventi vengono

    praticati da chirurghi esperti o da giovani provenienti da scuo-le di chirurgia flebologica, dove si insegna l’emodinamica, l’anatomia chirurgica con tutte le sue variabili anatomiche, le casistiche di recidiva si attestano intorno al 5% (10) L’avvento della chirurgia endovascolare, (CEST Catheter En-

    dovascular Sclerotherapy - Endovenous radiofrequency oblite-ration - Endovenous Laser Therapy ) che si propone come una chirurgia meno invasiva, ha creato una sorta di euforia tecnologica che, a mio avviso, ha “messo in ombra” i progres-

  • si fatti in termini di studio emodinamico, di definizione diagno-stica, e di indicazione terapeutica. Tanta strada c’e da fare prima che queste tecniche vengano considerate trattamento standard per le varici degli arti infe-riori.

  • 1. S.E.P.S. (Subfascial Endoscopic Perforator Surgery) Rationale della tecnica ed obiettivi L’ulcera malleolare riconosce nella sua patogenesi la presenza di varici o la persistenza di un’insufficienza delle comunicanti

    o, nei casi più gravi, la sindrome post-flebitica. L’insufficienza delle perforanti riveste un ruolo importante come fattore determinante l’ulcerazione, quando una pressione venosa profonda eccessivamente elevata venga trasmessa sulle zone cutanee, generalmente sulla faccia mediale di gamba. Obietti-vo della terapia chirurgica è sopprimere la stasi e l’ipertensio-ne venosa, riducendo gli inconvenienti prodotti dalle tecniche “open”. E’ una metodica mininvasiva per il trattamento dell’IVC di grado severo con la quale, l’interruzione delle per-foranti, viene eseguita per via endoscopica sotto diretta visio-ne. Indicazioni

    insufficienza delle perforanti

    stati avanzati di dermoipodermite

    ulcera flebostatica guarita o in fase attiva Controindicazioni

    Trombosi venosa profonda recente non ricanalizzata. Valutazione preoperatoria

    Storia clinica

    TRATTAMENTO MININVASIVO ED ENDOVASCOLARE

  • Esame fisico del paziente

    Duplex scanner per studiare: insufficienza delle perforanti, pervieta’ e continenza del circolo venoso profondo e su-perficiale

    Flebografia in situazioni particolari. Equipaggiamento tecnico 1. Carrello endoscopico

    video laparoscopio

    ottica da 10 mm

    sorgente di luce

    videomonitor e videocamera

    insufflatore di CO2 2. Strumentazione endoscopica

    Sistema ultracision”per dissezione, coagu laz io ne, sezione dei vasi e pinza da presa

    3. Materiale “disposable”

    “Spacemaker” balloon dissector (trocar da 10 mm, cannula guida, pallone dissettore)

    pinza da “ultracision”

    sistema di aspirazione

    Tecnica chirurgica L’intervento viene eseguito in anestesia generale, spinale o tronculare. Prima dell’intervento viene effettuata profilassi antitrombotica con E.B.P.M. e profilassi antibiotica “ultra short term”. L’arto, preparato in maniera sterile dall’inguine alla caviglia, viene posizionato flesso di 45° circa ed extraruotato al fine di rendere più liberi i movimenti degli strumenti. Viene praticata quindi un’incisione di 10-15 mm nella parte superiore del pol-paccio, fuori dalla zona di ipodermosclerosi, a 2 cm dal bordo della tibia e 10-12 cm al di sotto della piega del ginocchio.

  • Con dissezione per via smussa si identifica la fascia muscolare sulla quale viene praticata un’incisione di un cm per visualiz-zare il muscolo. Attraverso questa breccia viene fatto passare il dissettore (“ pacemaker balloon dissector”) che viene fatto progredire nel piano sottofasciale fino a copertura totale del

    pallone. Rimossa la camicia esterna che avvolge il pallone, questo viene gonfiato iniettando 200-300 ml di soluzione sali-na. Completata in questo modo la dissezione, il pallone viene svuotato e rimosso. Viene fatto progredire un primo trocar all’interno dei tessuti dissecati sopra la guida. Connettendo una linea di CO2 al trocar il tunnel sottofasciale viene espanso e mantenuto con un’insufflazione di 12-15 mmHg. Un endo-scopio con ottica preferibilmente di 0° viene inserito attraver-so questo trocar primario. Si ottiene così una eccellente visua-lizzazione del piano sottofasciale ed è possibile effettuare un primo bilancio della situazione anatomica. Viene quindi inseri-ta una seconda via di accesso 5 cm lateralmente e circa 3 dita distalmente alla prima incisione. Attraverso questa via viene introdotto un secondo trocar di 5 mm che verrà utilizzato per introdurre la strumentazione operatoria (dissettori, forbici, applicatori di clips…). Le perforanti di polpaccio sono visualiz-zate facilmente spingendo sul lato mediale del tunnel sottofa-sciale, mentre le perforanti più basse di Cockett sono comu-nemente localizzate nel compartimento posteriore e profondo

    e richiedono una fasciotomia paratibiale per l’esposizione. Le perforanti vengono sezionate. Vengono quindi rimossi i trocar, suturate le ferite e applicato bendaggio elastocompressivo. Nel caso in cui esista una insufficienza della grande safena, viene eseguita prima la crossectomia ed introdotto lo stripper. Lo stripping viene eseguito, però, dopo la legatura sottofa-

    sciale delle perforanti al fine di consentire una elastocompres-sione pronta ed efficace. Risultati

  • guarigione: 72% a sei mesi

    riduzione diametri: 20%

    nessun miglioramento: 8%

    recidiva 5%

    Follow-up Visite routinarie

    a 2 settimane dall’intervento

    a 30, 60, 90 gg.

    ogni sei mesi

    controlli supplementari: fino a guarigione dell’ulcera

    Complicanze

    infezioni della ferita (3% dei casi)

    t.v.p. (0,5% dei casi)

    disestesie del polpaccio e lungo il decorso del nervo safeno ( 3% dei casi)

    casi di perforanti residue - I di Cockett - (3,5% dei casi)

    Conclusioni La S.E.P.S. è una metodica mininvasiva per l’interruzione delle perforanti insufficienti semplice e sicura. Fornisce risultati precoci efficaci nel trattamento dell’insufficienza venosa croni-ca di grado severo con un basso livello di complicanze rispetto alla chirurgia tradizionale secondo la tecnica di Linton. L’intervento è più efficace nei pazienti con insufficienza veno-sa cronica secondaria ad insufficienza valvolare primitiva delle vene superficiali e delle perforanti con o senza insufficienza del circolo profondo, mentre la sua validità in pazienti con sindrome post-trombotica rimane controversa. La S.E.P.S. è una terapia chirurgica alternativa nel trattamen-

  • to dell’insufficienza venosa di grado severo e, soprattutto, trova indicazione nei pazienti con ulcera. L’esperienza riporta-ta in letteratura, ci suggerisce che, quando usata come parte di un piano di strategia per la cura globale dell’insufficienza venosa cronica, essa dà buoni risultati con un’alta percentuale

    di casi di guarigione dell’ulcera e di miglioramento dei sintomi. Sfortunatamente non risolve tutti i problemi legati all’insuffi-cienza venosa cronica! 2. Ablazione con Radiofrequenza Procedura endovascolare che utilizza corrente alternata ad alta frequenza per produrre effetto termico sfruttato per obli-terare i tronchi safenici. Essa fornisce un’energia termica con-trollata che eleva la temperatura a livello della parete vascola-re; ne risulta una distruzione dell’intima su tutta la sua super-ficie ed una contrazione ed ispessimento delle fibre collagene contenute nell’avventizia e soprattutto nella media, dovuta a deconnessione della struttura molecolare elicoidale, con man-tenimento dei ponti intramolecolari termoresistenti, e che determina una riduzione del diametro venoso. Questo feno-meno induce secondariamente una evoluzione fibrosa, che porta all’occlusione del lume. Poiché la procedura viene effet-tuata in una vena vuota, la trombogenesi è ridotta al minimo,

    e ciò elimina il rischio di ricanalizzazione per trombolisi. Materiali specifici e tecnica Il materiale oggi è commercializzato sotto un’unica sigla con il nome di “closure”. per realizzare questa procedura bisogna disporre di:

    generatore di radiofrequenza

    vecchi cateteri “closure” da 6 e 8 Fr oppure del nuovo catetere “closure fast TM” che presenta alla sua estremità distale un dispositivo termico di 7 cm di lunghezza, di un

  • diametro fisso di 7Fr.

    una scatola di strumenti chirurgici per flebectomia

    un introduttore a valve e di una guida

    una preparazione di liquido di perfusione composto da sol. Fisiologica 1000ml con aggiunta di 10000 U di eparina sodica.

    un ecografo con sonda da 7,5 MHz. con doppler pulsato. Questo intervento può essere realizzato in sala operatoria, ma può essere effettuato in ambiente attrezzato che offra le nor-me di sicurezza richieste. Procedura

    Miniaccesso alla piega del ginocchio

    Inserimento di introduttore da 6 o da 8 Fr attraverso un filo guida

    Introduzione del catetere “CLOSURE FAST TM” ecoguida-ta, posizionamento 4 cm sotto la crosse e collegamento al generatore di RF

    Compressione manuale della vena e liberazione automati-ca della RF.

    Il catetere è ritirato di 6,5 cm e la RF riattivata. Complicanze Intraoperatorie: creazione di false strade, mancata oblitera-zione Postoperatorie: TVP, TVS, ematomi, disestesie, ustioni Controindicazion

    Diametro della vena > 1,2 cm

    Arteria femorale molto vicina al tronco della VGS

  • Cure e sorvegliana postoperatoria

    Terapia con EBPM (controversa)

    Elastocompressione 3. Ablazione con Laser

    Procedura endovascolare che utilizza l’energia luminosa tra-smessa da un raggio laser per produrre effetto termico sfrut-tato per trattare l’incontinenza della grande safena. Essa chiu-de in modo permanente la vena lasciandola in situ. L’inter-vento, che può essere effettuato in sala operatoria o ambula-torialmente, non lascia segni o cicatrici sulla zona trattata in

    quanto richiede soltanto una piccola incisione sulla cute, alla piega del ginocchio, per permettere alla sonda e a una guida di piccolo calibro di entrare nella vena. Una volta all’interno della vena, la sonda viene guidata grazie al monitoraggio eco-grafico. E’ sufficiente praticare un’anestesia locale per addor-mentare soltanto l’area da trattare. E’ una tecnica semplice, minimamente invasiva, scevra da rischio di infezioni, rapida (necessita di meno di un’ora), che permette riprendere immediatamente le normali attività. Pro-duce eccellenti risultati clinici ed estetici Materiali

    Generatore laser

    Fibra laser

    kit di strumenti per flebotomia

    introduttore a valve e di una guida

    ecografo con sonda da 7,5 e doppler pulsato Tecnica Si misura e si riporta sul catetere la distanza fra il punto di introduzione del catetere e la parte superiore della vena da trattare e la si marca con steri-streep; poi, si stabilisce sulla

  • fibra laser la lunghezza riportata sul catetere, aumentata di due cm. L’aggiunta di un lock fissato sulla fibra ottica, facilita il posizionamento preciso della sua estremità prossimale e apporta una sicurezza supplementare solidarizzando fibra e catetere che evita di bruciare il catetere durante la retrazione

    della fibra ottica. Quest’ultimo viene poi introdotto nel lume venoso attraverso il filo guida e lasciato in situ dopo eventuale verifica del reflusso e lavaggio con soluzione fisiologica. La sua estremità deve essere posizionata 4 cm al di sotto della zona da trattare e la sua posizione verificata con ED se la fibra laser è difficile da identificare. Il filo guida viene ritirato e la fibra laser è quindi connessa con il generatore in posizione di stand-by. La fibra viene quindi introdotta nel catetere e fatta progredire fino a quando la sua estremità non diventi visibile. L’estremità della fibra è quindi posizionata 2 cm al di sotto dell’estremità prossimale della vena da trattare. La fibra e il catetere vengono solidarizzati, l’anestesia locale per tume-scenza, in precedenza effettuata solo nel punto di introduzio-ne del catetere, viene completata su tutta la lunghezza del tragitto della vena da trattare. L’insieme fibra-catetere viene quindi ritirato congiuntamente e gli impulsi laser liberati. Da notare che l’individuazione attraverso la cute del fascio di luce permette il di visualizzare la progressione dell’estremità della fibra laser nel corso della procedura.

    Complicanze Postoperatorie: dolore, TVP, TVS, ustioni Cure e sorvegliana postoperatoria

    Terapia con EBPM (controversa)

    Elastocompressione Procedure complementari

  • Procedura endovascolare ELVeS™ per le ulcere venose

    Ha lo scopo di eliminare i reflussi alla base delle ulcere flebo-statiche favorendo la più rapida cicatrizzazione, riducendo i tempi di guarigione ed i rischi di recidiva e di infezione.

    Utilizza uno speciale catetere contenente la fibra ottica laser, che viene introdotto, per accesso percutaneo, mediante la visualizzazione della luce guida (transilluminazione), e viene posizionato al di sotto dell’ulcera. Energia laser a bassa poten-za viene veicolata all’interno della vena nutrice dell’ulcera permettendo il suo immediato collabimento e stimolando la proliferazione delle cellule. Conclusioni La Chirurgia endovascolare delle varici comporta un certo numero di vantaggi rispetto alla chirurgia classica in termini di miglioramento delle sequele post-operatorie; queste, di rego-la, sono molto meno dolorose. La ripresa dell’attività lavorati-va normale è più precoce e la convalescenza più breve nelle procedure endolumunali rispetto alla chirurgia classica. Sul piano della validità dei risultati a distanza, studi randomizzati, controllati a due e a tre anni che permettono la comparazione fra chirurgia classica e le tecniche endovascolari non mostra-no differenze significative.

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