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199 PARTE SECONDA L’ORGANIZZAZIONE INTERNA OSPEDALIERA

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PARTE SECONDA

L’ORGANIZZAZIONE INTERNA OSPEDALIERA

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PIERO MICOSSI (°)

LA RICERCA DI UN NUOVOMODELLO DI OSPEDALE

1. Dall’ospitalità all’organizzazione scientifica

L’ospedale nasce nei secoli da due esigenze fondamentali:l’isolamento, per gli ammalati affetti da patologie contagiose, ela carità, cioè l’assistenza agli infermi a contenuto caritativo ereligioso. La morte e la malattia rimangono collocate all’inter-no della famiglia e della comunità di appartenenza, e ne costi-tuiscono un elemento fondamentale di identità e di coesione.

In questa fase il rapporto con il medico curante, per coloroper i quali ciò è possibile e proponibile, è localizzato all’inter-no del proprio domicilio e non è centrato attorno all’ospedale.

Dopo la nascita della medicina scientifica e l’applicazionesempre più sistematica del metodo sperimentale alla diagno-si e alla terapia, la competenza medica tende progressivamentea trasferirsi nell’ospedale, per conseguire le due esigenze del-la concentrazione delle competenze e della concentrazionedella casistica. Fra le malattie infettive è la tubercolosi ad assu-mere grande rilevanza nei paesi europei, con lo sviluppo delleorganizzazioni sanatoriali.

L’ospedale, tra la fine del Settecento e la prima metà delNovecento, rimane la sede per la diagnosi e la cura delle malat-tie infettive e delle malattie chirurgiche. Diventa anche la sededello studio delle malattie, con la conseguenza dello sviluppodell’organizzazione universitaria all’interno dell’ospedale.

La malattia comune, il parto, la morte rimangono ancoralocalizzate all’interno del proprio domicilio, attorno al qualesi fonda anche il rapporto con la medicina di famiglia. Si con-solida tuttavia, in tutta la prima parte del XX secolo, il fattoche l’autorità professionale e scientifica si forma e risiedenell’ospedale. La struttura organizzativa dell’ospedale è divi-

(°) Gruppo Ospedaliero San Donato.

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sionale (la nozione di divisione è una nozione di separazionedelle competenze e del territorio di ciascun luminare); la di-visione è la sede della competenza cui devono andare il servi-zio del personale “paramedico” (cioè al servizio del medico)e cui l’organizzazione deve fornire altri supporti nella stessasede dove è presente la competenza.

Il laboratorio di analisi cliniche e microbiologiche, la ra-diologia, quando se ne sviluppa la tecnologia, sono aggregatialla competenza. La struttura organizzativa dell’ospedale èbasata sui padiglioni, sia per motivi igienico-sanitari sia perle necessità di articolazione attorno alla competenza che ab-biamo richiamato.

Il sistema di comunicazione non è progettato ed esiste inquanto affidato alla comunicazione fra clinici. Il sistema ditrasporti interni è affidato ai pedoni che trasportano mate-riali, richieste, documenti e quant’altro.

Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento il quadrocambia radicalmente per alcune ragioni: l’arrivo di farmacirisolutivi (antibiotici, cortisonici e molti altri), che finisconoper diventare essi stessi tecnologia; lo sviluppo della tecnolo-gia diagnostica in campo chimico-analitico e radiologico, checomincia a richiedere essa stessa competenze molto più sofi-sticate e a proporsi come organizzazione autonoma dentrol’ospedale. Il clinico riesce sempre meno a maneggiare inmodo trasversale competenze sempre più specializzate e spe-cifiche.

A partire dalla metà degli anni sessanta assistiamo a unnuovo processo di grande rilevanza: lo sviluppo scientifico eorganizzativo autonomo di discipline non più generali maspecialistiche (la gastroenterologia, l’ematologia, la cardiologiaecc.), le quali nel corso degli anni settanta rafforzano la propriaorganizzazione scientifica, ottenendo successivamente il rico-noscimento di articolazioni organizzative autonome negliospedali, di carriere e di procedure concorsuali separate.

La frammentazione culturale va di pari passo con la fram-mentazione organizzativa degli ospedali, che seguono anco-ra, negli schemi progettuali, il criterio della competenza.

Negli anni ottanta e novanta assistiamo a un nuovo grandecambiamento della medicina, con l’arrivo di tecnologie dia-

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gnostiche di altissima sofisticazione, sia in campo radiologico(Tac, risonanze magnetiche, ecografia), sia in campo elettrofi-siologico, sia in campo chimico-analitico.

È in questa fase che la tecnologia diventa essa stessa driverdell’organizzazione e che l’ospedale sviluppa problemi rile-vanti che derivano dalla mancata progettazione di un sistemadi integrazione organizzativa e di comunicazione interna.

Dal punto di vista del sistema ospedaliero, le tipologie diospedale esistenti si sono profondamente differenziate: ospe-dale di comunità, istituto di ricovero e cura a carattere scienti-fico, grande policlinico universitario, piccolo ospedale privatoa forte focalizzazione operativa (soprattutto sulle alte tecnolo-gie), ospedali di riabilitazione. Ciò che tuttavia è più rilevante,in tale processo di differenziazione, è che le tipologie di ospe-dale si sviluppano combinando i diversi fattori in modo assolu-tamente imprevedibile e dipendente per lo più dalle caratteri-stiche e dall’estrazione culturale dei gruppi dirigenti promoto-ri: alta tecnologia o alta specializzazione e piccola dimensione,localizzazione remota e tecnologie della comunicazione, bas-sa intensità di cura ed elevata dotazione tecnologica, grossadimensione organizzativa e scarsa capacità di integrazione deiprocessi di servizio e di comunicazione, scelta mono- o poli-specialistica, coesistenza o meno di investimenti nella ricercascientifica.

Il paradigma per cui la crescita di dimensione va di paripasso con la complessità organizzativa e con l’aumento diintensità di cura, per giungere alle istituzioni che svolgonoattività didattica e di ricerca, viene completamente superato.

Diventa inoltre evidente l’effetto distorsivo della tecnolo-gia in due direzioni fondamentali: da una parte essa è capacedi produrre domanda di prestazioni per il solo fatto di essereproposta, in quanto il pubblico ritiene che le diagnosi sianopiù sicure ed accurate se utilizzano molta tecnologia; dall’al-tra la crescita della tecnologia crea un problema di equitànell’accesso alle prestazioni, come evidenzia la crisi paradossa-le del sistema sanitario americano, che unitamente al massimodella tecnologia produce il massimo di iniquità nell’accessoal servizio.

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2. Il cambiamento del contesto culturale e dei sistemi di finanzia-mento in cui operano gli ospedali

Gli anni novanta hanno visto lo sviluppo di approcci or-ganizzativi integrati al trattamento delle malattie, riferibili auna serie di mutamenti intervenuti sia nei quadri morbosi sianel contesto sociale e culturale.

Innanzitutto, l’evoluzione della maggior parte delle ma-lattie verso la cronicità ha richiesto l’introduzione di approc-ci miranti a mantenere la continuità di cura quale elementotrainante delle scelte organizzative, producendo difficoltà inorganismi sanitari disegnati per trattare problemi acuti o diabbastanza veloce risoluzione.

A ciò si è affiancata l’esigenza di combinare la bassa inten-sità di cura (dato che la stragrande maggioranza delle malattietrattate in regime di ricovero sono tali) con l’alta intensità intecnologie. Ciò ha portato a studiare e testare modelli di inte-grazione a rete, che richiedono forte capacità di gestione dellacomunicazione e della logistica.

Contemporaneamente l’organizzazione dell’attività di ricer-ca finalizzata alla cura e alla sconfitta dei grandi mali del secolo(tumori, malattie cardiovascolari, malattie infettive ecc.) ha datoorigine a istituzioni non più prevalentemente universitarie, qualigli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), incui si sono concentrate casistiche a fini di studio che tendono aseguire gli ammalati all’interno di protocolli scientifici control-lati e che hanno fortemente influenzato la cultura terapeuticadi questi settori clinici, costituendone nel tempo i punti di rife-rimento e di formazione dei gruppi dirigenti.

Sul versante del finanziamento dei sistemi sanitari abbiamoassistito alla rivalutazione di meccanismi di tipo mutualistico(Germania, Usa, Svizzera e Olanda), se pur con caratteristichediverse che hanno posto condizionamenti e limiti molto fortiall’uso indiscriminato di alta tecnologia nella diagnosi e nellacura. Mai come nell’ultimo decennio i governi dei paesi indu-strializzati hanno messo mano ripetutamente ai propri sistemisanitari, cercando di trovare un punto di mediazione fra le esi-genze di bilancio e la crescente domanda di prestazione daparte dei cittadini, spesso producente insoddisfazione politica.

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Infine, nei paesi industrializzati hanno prevalso negli anniottanta modelli di finanziamento degli ospedali fondati sulprincipio della separazione fra soggetti erogatori e soggettiacquirenti delle prestazioni, modelli che sono stati oggetto dicritiche per aver indotto fenomeni di consumismo sanitario edi crescita della quota di spesa pubblica destinata alla remune-razione dei ricoveri, in controtendenza rispetto al proclamatoobiettivo politico di ridurre i finanziamenti per le attività diricovero a favore di un’espansione delle attività sanitarie terri-toriali.

3. Multidisciplinarietà, specializzazione e dimensionamentodelle organizzazioni ospedaliere a servizio di un ambito terri-toriale determinato

La medicina moderna si trova dunque oggi ad affrontareil conflitto fra l’esigenza di garantire continuità nella cura enella conoscenza dell’ammalato e quella di operare in conte-sti ad alto contenuto tecnologico e ad alta specializzazione.

Le forme organizzative funzionali alle due esigenze sonodiverse e non facilmente compatibili l’una con l’altra.

Si può, a titolo di esempio, affermare che patologie a bassaintensità di cura e caratterizzate da cronicità dovrebbero esse-re prevalentemente trattate fuori dell’ospedale, pur dovendogarantire anche ad esse un accesso a tutta la migliore tecnolo-gia e alla migliore competenza professionale.

A ciò si aggiunge peraltro un secondo problema: la mag-gior parte della patologie croniche richiede l’integrazione dicompetenze diverse, in parte non mediche, in parte non sanita-rie; il requisito della comunicazione diviene quindi determi-nante e dominante ai fini del conseguimento della qualità delservizio e del rapporto con gli utenti.

Nella definizione dei modelli di funzionamento degli ospe-dali e di quelli di integrazione fra ospedale e territorio incon-triamo dunque la contraddizione per cui la maggior partedella competenza medica risiede nell’ospedale ed è poco di-sponibile a fornire prestazioni all’esterno in un contesto dibassa intensità di cura, mentre la domanda di cure nasce pre-

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valentemente sul territorio e richiede in modo consistente l’ac-cesso alla competenza medica e alla tecnologia ospedaliera.

Il problema centrale è quello di definire processi di servi-zio clinico-assistenziali in cui l’obiettivo della conservazionedi uno stato sufficiente/adeguato di salute e autosufficienzasociale sia affidato a un “gestore del processo” (owner of theprocess) che abbia accesso all’ottenimento di tutte le presta-zioni occorrenti al conseguimento del risultato.

Le esperienze dell’assistenza domiciliare integrata (Adi)per il trattamento delle malattie e dei problemi sociali del-l’anziano, o quelle del trattamento degli ammalati di Aids incomunità, o quelle del trattamento delle malattie psichiatri-che in comunità offrono spunti di riflessione interessanti percomprendere a quali modelli di servizio sarà opportuno rife-rirsi in futuro.

La necessità di ripensare il modello di ospedale, per quantonon eludibile, presenta tuttavia grandi difficoltà, data anchela resistenza che le professioni oppongono a qualsiasi tentati-vo di revisione delle gerarchie professionali e dati i forti vin-coli delle molte corporazioni del pubblico impiego, inclusequelle ministeriali, determinate a impedire trasformazioni chevengono percepite come minacciose.

Non pare opportuno definire modelli astratti buoni pertutte le situazioni, quali quelli che si utilizzavano nei processidi programmazione sanitaria degli anni settanta, data la multi-formità e la complessità delle stratificazioni organizzative chesi sono determinate nel tempo e nelle diverse aree del paese.È preferibile in quasi tutti i casi che la situazione concreta-mente determinatasi negli anni per ciascun territorio vengaassunta quale iniziale punto di riferimento.

Possono essere forniti alcuni criteri da utilizzare nella defi-nizione delle tipologie organizzative e operative degli ospedali.

• La valutazione dell’intensità di cura. È decisivo nella valu-tazione del destino di un ospedale che si valuti a fondo il tipodi casistica trattata e quindi il tipo di domanda che ad esso sirivolge. Questa scelta condiziona anche la scelta sull’intensitàdi capitale e di tecnologie che saranno necessarie per raggiun-gere l’intensità di cura desiderata.

• La stratificazione dei tipi di casistica trattata. Un ospeda-

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le che abbia acquisito competenza e credibilità per particola-ri attività o casistiche va valorizzato e sviluppato all’internodi esse. Vanno cioè evitate operazioni di tipo puramenteconcettuale che prescindono dalle competenze specifiche ac-quisite nel tempo dal personale, nel tentativo di perseguiremodelli ideali di ospedale o di organizzazione.

• L’accesso a tecnologie complesse all’interno di un sistemaa rete o, al contrario, la necessità di dotarsi autonomamentedella maggior parte di esse. Nella stima delle dimensioni del-l’investimento tecnologico vanno prese in considerazione tuttele possibilità di utilizzare sinergie con altre organizzazioniospedaliere, soprattutto quando ci si trova all’interno dellastessa area territoriale in presenza di sovrasaturazione di tec-nologie diagnostiche avanzate. Basti ricordare il caso dellerisonanze magnetiche in alcune regioni italiane, che supera-no quelle dell’intero Canada e che finiscono necessariamenteper essere sottoutilizzate, con tutti i conseguenti problemi dimancata remunerazione dell’investimento (che deve essereconsiderata un elemento di valutazione negativa sia per l’inve-stitore privato sia per quello pubblico). In questi casi è piùopportuno considerare la possibilità di un maggiore investi-mento in tecnologie della comunicazione e dell’integrazioneorganizzativa, al fine di utilizzare in comune tecnologie edesperienze all’interno di una rete organizzativa che supera iconfini murari delle singole strutture che ne fanno parte.

• Il dimensionamento operativo. L’analisi del case-mix edelle funzioni esistenti o da attivare va operato tenendo contodi due aspetti fondamentali: massa critica e focalizzazioneoperativa. La grande dimensione organizzativa priva di focaliz-zazione e di caratterizzazione va scoraggiata perché produceinefficienza.

• Il modello organizzativo. Per quanto non sia facile indivi-duare criteri condivisi e uniformi nella impostazione del mo-dello organizzativo, si può indicare un criterio di orientamentoutilizzabile nell’articolazione dell’organizzazione dipartimen-tale. Per le attività ad alta specialità, con basso requisito dicontinuità della cura e ad alto contenuto in tecnologia, a preva-lente utilizzazione interna alla struttura ospedaliera, il modellodipartimentale dovrebbe essere di tipo “verticale”, cioè lega-

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to alla disciplina specialistica (cardiochirurgico, nefrourolo-gico, ecc.). Nei casi invece in cui esista un forte requisito dicontinuità della cura, anche in presenza di alta tecnologia edi elevata specializzazione, è opportuno pensare a modellipiù “comunicanti” col territorio (per esempio, oncologia,malattie respiratorie croniche, Aids, ecc.). Per la bassa intensi-tà di cura, i modelli operativi possono fare riferimento all’o-spedale di comunità e confinare con la nursing home con attivi-tà sanitarie incluse. In questo caso, è necessario consideraremodelli organizzativi aperti, che prevedano la piena partecipa-zione degli operatori del territorio sia alla formulazione deldisegno organizzativo sia all’attività clinico-assistenziale. Perquanto riguarda la bassa intensità di cura, il modello organiz-zativo dovrebbe sempre tendere alla “orizzontalità”, cioè esse-re articolato attorno alle esigenze del paziente, riducendo alminimo stratificazioni di tipo specialistico.

• Il problema delle funzioni miste sorge soprattutto in rela-zione alla domanda del territorio. Dove alcune attività sonocarenti, anche se incoerenti con il modello prevalente di servi-zio cui si pensa di fare riferimento, può rendersi necessariomantenerle o includerle. Questo significa accettare il concettoche sia il modello organizzativo sia l’articolazione delle specia-lità e delle tecnologie dedicate al servizio agli utenti devonoessere flessibili e adattarsi all’ambiente territoriale, alla culturaaccumulata negli anni e anche alle abitudini dei cittadini,quando non in palese contrasto con esigenze di razionalità.

• Il grande ospedale specializzato ha un senso solamentesulla grande dimensione territoriale e si giustifica con esigenzedi concentrazione di casistica e di sperimentazione clinica. Val-ga l’esempio degli istituti di ricerca oncologici, all’interno deiquali è richiesta la presenza di un grande numero di funzionie di tecnologie difficilmente replicabili nella maggior partedegli ospedali gestiti dalle aziende sanitarie locali. Questo nondeve però precludere la possibilità di ricorrere a ospedalispecializzati di piccole dimensioni ed elevata focalizzazione(ad esempio in campo cardiochirurgico) tutte le volte chel’esperienza concreta ne dimostri l’efficacia clinica e l’effi-cienza operativa.

• L’inclusione all’interno dell’organizzazione ospedaliera

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della funzione didattica va certamente incoraggiata, in quantointroduce stimoli culturali e rafforza metodologicamente tuttolo staff clinico. La didattica non può tuttavia pretendere dideterminare a propria misura il dimensionamento e l’articola-zione organizzativa, in quanto sono proprio l’errata imposta-zione culturale e collocazione della didattica a produrre mo-delli culturali sbagliati e anacronistici nei nuovi medici. An-drebbe quindi operata una riflessione sul contenuto delladidattica e sul rapporto che dovrebbe esistere fra esigenze dispecializzazione dell’attività clinica e modelli di servizio delmedico e delle organizzazioni sanitarie nella società del nuovomillennio. L’ovvia necessità di garantire la formazione specia-listica non può determinare percorsi formativi non sufficiente-mente orientati alla produzione di medici capaci di una visioneglobale dell’ammalato e capaci di affrontare clinicamente econ capacità di giudizio la quotidianità dell’ammalato ancheal di fuori del contesto ospedaliero e senza il supporto deipresidi diagnostici di laboratorio e di radiologia.

4. L’organizzazione ospedaliera: dal modello burocratico al mo-dello di azienda di professionisti

L’ospedale viene incluso, dalle moderne teorie sul mana-gement, all’interno delle organizzazioni professionali in cuila burocrazia non ha teoricamente potere di interferenza sulmerito della scelta clinica ed è invece preposta a creare tuttele condizioni perché il professionista possa operare con suc-cesso nella cura dell’ammalato.

L’evoluzione della tecnologia e i cambiamenti nelle aspetta-tive dell’opinione pubblica hanno tuttavia messo profonda-mente in crisi il modello professionale tradizionale, in quantosempre più si è sviluppata negli ospedali una infrastrutturaorganizzativa, di comunicazione e di controllo, che funzionacon logiche proprie autonome e che stabilisce una comunica-zione con il pubblico e relazioni contrattuali con le istituzionipreposte al finanziamento delle attività sanitarie in base amodelli culturali e di management non affini alla cultura pro-fessionale del medico.

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Da qui nasce la frizione, quando non il conflitto, fra l’attivi-tà dei singoli professionisti, che si percepiscono come espro-priati della propria autorità sull’organizzazione, e gli obiettivie la missione che la struttura aziendale (ormai non più sola-mente burocratica) percepisce come propri.

Questo processo di progressivo e conflittuale adattamentodella cultura dei professionisti medici a quella aziendale richie-de anzitutto che i medici accettino di condividere nell’organiz-zazione la propria cultura e di consentire l’operare di processidi standardizzazione delle scelte cliniche.

La standardizzazione dei percorsi clinici non è tuttaviaimmediatamente conseguibile, date le differenze nelle praticheprofessionali, i molti elementi di conoscenza implicita inerentialla decisione clinica e la stratificazione dei linguaggi non fa-cilmente riducibili a elementi codificabili.

A ciò si aggiunge un secondo problema non meno com-plesso. Il processo di servizio negli ospedali procede attraversoun elevato numero di transazioni fra soggetti e servizi. Quantopiù tali transazioni non sono pianificabili in anticipo, tantopiù il successo del percorso clinico dovrà essere affidato allacapacità “negoziale” degli attori che ne sono responsabili.Sul piano operativo questo ha portato le organizzazioni ospe-daliere a introdurre crescenti vincoli alla libertà professionalee alle modalità di funzionamento delle scelte cliniche. In realtàoggi, con il crescere della complessità tecnologica e della in-tensità di cura, il processo clinico è fortemente ancorato acomportamenti standardizzati che sono esplicitamente cono-sciuti e governati dall’organizzazione, in gran parte anche dapersonale non medico.

Riassumendo, se nel passato l’ospedale era concepito comeun contenitore neutro di competenze professionali il cui suc-cesso era legato alla capacità di servizio e alla cultura dei sin-goli professionisti, oggi le organizzazioni ospedaliere deter-minano i propri obiettivi sulla base della domanda dei clien-ti/utenti, i quali sempre più costituiscono il giudice dei risultatie selezionano con proprie scelte attività e prodotti corrispon-denti alle proprie esigenze.

Ciò determina la contrattualizzazione del rapporto fra sog-getti erogatori di prestazioni e soggetti acquirenti, sia che

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questi siano individui o siano organizzazioni pubbliche o pri-vate (Asl, assicurazioni ecc.).

Le due caratteristiche fondamentali dell’organizzazioneospedaliera del futuro sono dunque le seguenti: capacità diriconoscere la domanda e di modificare comportamenti pro-fessionali e modelli organizzativi sulla base dell’evoluzionedel mercato (per quanto esso sia un “quasi” mercato); capacitàdi trasformarsi in un sistema che elabora informazioni e risolveproblemi attraverso la gestione di un grande numero di transa-zioni e di informazioni, all’interno del quale la conoscenzaprofessionale è standardizzata e condivisa, almeno nei suoielementi centrali.

5. La produzione dei servizi nell’ospedale del futuro: modelloconcettuale

Allontanandosi dai modelli concettuali di organizzazioneospedaliera strutturata attorno alle competenze professiona-li e orientandosi a un funzionamento di tipo aziendale, è ne-cessario ripensare il rapporto fra strutture e funzioni interneed è necessario rivedere il modello gerarchico su cui è fonda-to l’ospedale di oggi.

Per quanto riguarda il rapporto fra strutture e funzioni,guardando alla situazione attuale, il titolare delle funzioni dicura, cioè il primario, è in generale responsabile delle strut-ture di erogazione, le divisioni e i servizi sanitari, ne governale risorse, mentre la maggioranza delle figure professionali èdirettamente alle sue dipendenze. Fra queste, le figure infer-mieristiche sono ancora considerate ancillari rispetto alla fun-zione del medico, anche se ad esse è spesso affidato il “nego-ziato” con le altre divisioni e servizi ai fini del buon funziona-mento del sistema di relazioni con il laboratorio, la radiolo-gia, i consulenti, il magazzino ecc.

Il primario pretende inoltre di avere la responsabilità delladecisione finale sulla diagnosi di dimissione e sui programmiterapeutici.

Il modello aziendale potrebbe invece prevedere una seriedi cambiamenti piuttosto importanti.

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Innanzitutto, non più una sola responsabilità della gestio-ne dei casi nel primario, ma una responsabilità più frammenta-ta fra i medici dirigenti di primo livello, sulla base della lorocompetenza professionale e della scelta operata dagli ammalatidel proprio medico curante. L’organizzazione gerarchica, incui tutta la responsabilità e tutte le decisioni afferiscono alprimario, viene sostituita da un’organizzazione di tipo profes-sionale, in cui i professionisti hanno rapporti autonomi conpazienti affidati alla propria responsabilità, mentre il primariosvolge compiti di coordinamento nell’uso delle risorse, nelladefinizione degli standard professionali e nella pianificazioneorganizzativa.

In secondo luogo, potrebbe non essere utile che al prima-rio sia attribuita la responsabilità e il controllo sull’uso dell’in-frastruttura di degenza e del lavoro non medico (i letti, l’in-fermeria, il lavoro infermieristico).

La separazione del controllo delle risorse strutturali dalcontrollo del processo clinico ha un primo vantaggio fonda-mentale: consente di progettare il ciclo clinico sulla base dellaintensità di cura che si intende erogare all’ammalato nellediverse fasi del trattamento, prevedendo la possibilità di un’e-levata intensità nelle fasi più acute, successivamente decre-scente sulla base dell’effettiva necessità.

Consente inoltre di gestire in modo flessibile gli organiciinfermieristici, attribuendo all’unità di cura la quantità di assi-stenza all’ammalato richiesta in ciascun giorno, senza la rigidi-tà imposta dall’organico di reparto.

Per quanto riguarda il processo clinico, questo può essereconfigurato in uno schema a matrice, come trasversale o longi-tudinale rispetto a una serie di afferenze verticali costituitedai servizi di laboratorio, di radiologia, dalle consulenze, dallerisorse tecnologiche utilizzate (sale operatorie, strumentazionediagnostica) (Fig. 1).

In questo modello concettuale si realizza l’equidistanza dellacommittenza clinica rispetto a tutte le risorse e a tutte le compe-tenze disponibili, teoricamente considerando ugualmente ac-cessibili sia quelle interne sia quelle esterne all’ospedale.

Questo modello, che realizza la continuità di cura ed è co-struito attorno all’identificazione di un “padrone del proces-

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so” (owner of the process), richiede una struttura informativae di controllo disegnata in modo da consentire la gestionedelle transazioni unitarie determinate dall’identificazione delprocesso clinico in corso. Richiede dunque che, almeno proba-bilisticamente, i percorsi clinici siano riconoscibili e sovrap-ponibili in un quadro di sufficiente standardizzazione.

6. Fondamenti della conoscenza e della cultura aziendale

L’organizzazione è in economia un sistema che elaborainformazioni, risolve problemi, si esprime con la capacità ditrasformare le informazioni che provengono dai suoi compo-nenti e dai suoi clienti per prendere decisioni e dare rispostee risultati appropriati al contesto. Ciò significa che ogni orga-nizzazione elabora conoscenza generata dalle informazionitrattate (ma anche dalla cultura implicita dei suoi membri) etende successivamente a esprimerla in un sistema di valori.

Questo elemento è particolarmente importante in sanità,dove abbiamo assistito negli ultimi decenni a una profondamodificazione del concetto di salute, dell’attesa di salute e dibenessere da parte del pubblico e anche della nozione stessadi diritto alla vita, alla morte, all’uguale opportunità di accessoalle cure.

Da qui è necessario ripartire per ricostruire in un contestoaziendale la relazione fra informazioni, conoscenza e sistemadei valori; per fare ciò appare opportuno analizzare, conosce-re, standardizzare, integrare l’atto medico (o meglio la decisio-ne medica) per farne un prodotto-servizio posto al centrodell’organizzazione sanitaria.

Il modello teorico ideale dell’organizzazione professiona-le moderna è dunque quello in cui l’informazione, coniugataalla responsabilità, sostituisce la gran parte dei meccanismiautoritari e burocratici di controllo.

L’informazione e la comunicazione, in un sistema di cono-scenze che tendono ad essere sempre più esplicitate e condivi-se, permettono di orientare il comportamento dei professioni-sti agli obiettivi strategici dell’azienda, quindi anche all’effi-cienza e all’efficacia.

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Diventa dunque essenziale all’interno dell’azienda non soloche i singoli individui siano in grado di trattare informazioninon inerenti la propria conoscenza, ma ancor più che tuttal’organizzazione sia in grado di discriminare le informazioninecessarie al conseguimento degli obiettivi aziendali, in primoluogo quello della soddisfazione dell’utente.

7. L’organizzazione che apprende (Learning organisation)

La teoria comunemente accettata della conoscenza all’in-terno delle organizzazioni produttive postula che le organizza-zioni operanti in un determinato settore posseggano il medesi-mo grado di conoscenza del processo produttivo (anche sedi servizi a elevato contenuto tecnologico) e dei prodotti, eche tale conoscenza sia derivata dall’ambiente esterno all’a-zienda. La creazione della conoscenza è dunque un processoesterno all’organizzazione e viene da questa acquisito e distri-buito in modo omogeneo a tutti i dipendenti.

All’interno di questa concezione, il management ha succes-so in quanto acquisisce all’azienda tutta la nuova conoscenzanel modo e nel tempo adeguato a ottenerne vantaggi competi-tivi.

La teoria più recente pone invece l’attenzione sulle dinami-che di cambiamento, che sono in realtà l’essenza delle organiz-zazioni complesse, e sulle diverse conoscenze, socialmenteframmentate, detenute da ciascun soggetto, invece che sullaconoscenza comune da tutti condivisa.

Molti autori si sono concentrati a studiare il processo diformazione della conoscenza interno alle aziende, rilevandoche essa cresce in rapporto ai servizi disponibili e offerti allaclientela e che è generata dall’interazione fra risorse fisiche erisorse umane.

Diventa dunque evidente che il successo di un’organizza-zione è legato non solo alla capacità del capo di acquisireconoscenza innovativa dall’esterno, ma ancor più dall’atteggia-mento dell’organizzazione verso la ricerca, l’innovazione el’accumulo di nuova conoscenza.

Sorge qui un secondo ordine di quesiti, inerente il processo

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di trasformazione delle informazioni e della conoscenza al-l’interno dell’organizzazione, il cui approfondimento ha por-tato al riconoscimento nelle organizzazioni complesse della“scoperta individuale del problema” nel rapporto di serviziocon i clienti/utenti e alla necessità che l’organizzazione stessasia dotata di flessibilità sufficiente a rendere immediatamenteutilizzabile la scoperta.

Questo tipo di problematica è evidentemente molto rile-vante per la comprensione e il funzionamento di organizzazio-ni professionali in cui esiste un elevato contenuto in cultura,tecnica e tecnologia nei singoli professionisti ed è necessariofare di questa conoscenza patrimonio comune dell’organizza-zione.

L’obiettivo di un’organizzazione che intenda utilizzare laconoscenza prodotta dai propri membri per trarne vantaggiocompetitivo sarà dunque quello di sviluppare l’autonomiadegli individui, per far sì che le conoscenze implicite da essipossedute divengano patrimonio dell’organizzazione, cioèconoscenze e attività esplicite.

8. Il nuovo ambiente informativo dell’azienda di servizi

Purtroppo è molto pesante l’eredità accumulata negli anniin tema di cultura dell’informazione aziendale. Basti pensareall’idea che qualsiasi dato andava raccolto e immagazzinatoper una futura utilizzazione possibile, mentre paradossalmenteè proprio l’abbondanza di dati che spesso porta all’impossibi-lità di generare una conoscenza condivisa e quindi decisionicoerenti con l’impianto informativo.

In aggiunta, ancora poco è stato fatto in termini formativiper dotare gli operatori di una cultura dell’informazione mo-derna ed aggiornata, capace cioè di operare selezione e distrutturare l’analisi e l’ utilizzazione dei dati.

Nelle nostre organizzazioni l’ utilizzazione di grafici, di dia-grammi di flusso, di unità di misura standardizzate, di isto-grammi di distribuzione per la descrizione e il riconoscimentodelle attività routinarie fondamentali è quasi completamenteignorata, mentre è diffusissima la circolazione di opinioni e

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di giudizi non fondati su elementi di fatto e non successiva-mente testati mediante strumenti di misura.

A questo si aggiunge il fatto che spesso, nell’affrontare ilproblema della logica dell’informazione aziendale, questa èstata confusa con l’informatica e che è affidato ai grandi for-nitori di hardware di decidere su questioni la cui natura deveessere invece tipicamente interna all’azienda.

È dunque necessario, nel disegnare l’ambiente informativodi organizzazioni professionali di servizio, partire dall’approc-cio della massima parsimonia, educando operatori, professio-nisti e servizi informatici al principio che la gestione sistemati-ca dei dati richiede la preliminare dimostrazione della loroutilità e la certezza che l’organizzazione ne condivida il signifi-cato e le finalità.

Non è dunque l’abbondanza di dati che consente di risol-vere un maggior numero di problemi. Va anzi scoraggiata lateoria secondo cui aumentando le informazioni disponibilimigliora la capacità di soluzione dei problemi. È necessarioal contrario focalizzarsi sulla semplificazione del problemaper poterne generare dati standardizzabili. La standardizzazio-ne costituisce il linguaggio comune riconoscibile nell’organiz-zazione.

Infine, spesso l’informatica tende a concentrarsi sui datiinformativi e non sulle sorgenti degli stessi, interne ed esterneall’organizzazione.

Da queste premesse nasce il modello concettuale di am-biente informativo aziendale che viene qui di seguito presenta-to sinteticamente.

1. La fonte della conoscenza è costituita dalla cultura profes-sionale per come si esplicita e si riconosce nel processo diproduzione dei servizi.

2. Le informazioni sono identificate in base a quattro elemen-ti conoscitivi, che devono essere fra loro mantenuti in ambienterelazionale: il medico referente (curante rispetto al paziente)del processo, che in quanto tale non appartiene ad alcunaunità operativa; l’unità operativa cui il paziente è assegnato;il paziente, identificato in maniera univoca; la diagnosi clinica.

3. La pianificazione delle richieste di prestazioni, ordini econsulenze viene eseguita e controllata in relazione ai comporta-

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menti attesi, che sono il frutto dei comportamenti standard stori-ci. Questo significa che esiste una rappresentazione concettua-le della produzione, che si esplicita nei protocolli diagnosticie terapeutici, che rappresenta in modo attendibile almeno il60-70% di tutta l’attività clinica e che viene prodotta mediantel’analisi costante dei comportamenti diagnostici e prescrittivi.

4. Il processo produttivo è riconosciuto dalla combinazionetemporale delle richieste riferite alle diagnosi cliniche inizialeintermedia/e e finale (di dimissione) classificate utilizzandouno degli strumenti disponibili sul mercato (Icd Ix Cm o Icdx).

5. Gli outcome del processo clinico sono classificati in basealle attese dichiarate o alle linee guida delle società scientificheadottate dall’organizzazione.

6. I sistemi di contabilità sono originati dalle commesse clini-che, attribuendo ad esse i prelievi di risorse comunque effettuati.La contabilità generale alimenta la contabilità economico-pa-trimoniale sulla base delle contabilità di commessa. Il sistemadi contabilità e controllo per commessa è teoricamente indi-pendente rispetto alla struttura fisica dove le prestazioni sonoeseguite, può cioè essere alimentato anche da unità prestazio-ne/prezzo di trasferimento provenienti da ambienti esterniall’ospedale.

In sintesi, la struttura logica del controllo è derivata dalprocesso clinico-produttivo e non giustapposta ad esso.

Da questo deriva l’architettura logica del sistema informa-tivo che è presentata nella Fig. 2. Le informazioni nasconoinizialmente dalla identificazione del paziente (commessa) cheorigina un atto di programmazione dei servizi, e sono successi-vamente arricchite dal sistema di gestione degli ordini e dellarefertazione, che in realtà, dal punto di vista della organizza-zione, rappresenta la sede di riconoscimento delle transazioni.

Il sistema delle informazioni cliniche (clinical informationsystem) e il sistema di gestione del case-mix (case-mix management)rappresentano rispettivamente la simulazione organizzativae quella economica dell’andamento dell’azienda in presenzadi un certo contesto operativo. I sistemi del controllo ammini-strativo sono collocati a valle ed alimentati unicamente dadati/informazioni generati “on line”.

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9. L’ospedale-azienda

La maggiore innovazione introdotta nell’ultimo decennionella legislazione italiana e in quella di numerosi paesi euro-pei è costituita dal processo di trasformazione degli ospedaliin aziende.

Sulla nozione di azienda si è molto discusso e non si è certa-mente ancora raggiunto un punto fermo da tutti condiviso.

In termini imprenditoriali, un’azienda è un sistema natoper produrre beni o servizi i quali dovranno essere vendutisul mercato, incontrando il favore del pubblico. Perché ciòavvenga è necessario che l’azienda sia capace di remunerare esostituire continuamente le risorse che impiega nel processo diproduzione, e che nel contempo sia capace di rispondere alleinterazioni con l’ambiente esterno, leggendo scelte e opzionidei consumatori e adattando la propria gamma di prodotti.Per conseguire tali risultati l’azienda costituisce nel tempoun proprio sistema di valori, possiede una “visione” che èquella dell’imprenditore e ad essa informa cultura, compor-tamenti dei dipendenti e risposte organizzative.

Non è naturalmente possibile identificare in modo direttoil concetto di impresa con quello di azienda.

Si consideri che nel processo di aziendalizzazione degliospedali italiani erano insite sia nozioni legate all’impresa,sia nozioni legate all’azienda, sia le molte ambiguità ancoranon superate nella definizione dei rapporti economici e istitu-zionali fra amministrazioni pubbliche e aziende ad esse subor-dinate. Si tenga anche presente che l’esperienza delle aziendepubbliche, nate all’interno degli enti locali o del parastato,aveva nel passato stabilito una innaturale contiguità fra sceltedi natura aziendale-imprenditoriale e scelte politiche. Tuttociò ha fatto sì che l’azienda-ospedale sia nata mal definita e inuna situazione di sostanziale continuità con i precedenti entipubblici.

Nella legislazione pubblica sembra si sia voluta evitare l’e-voluzione dell’azienda in senso di impresa, per privilegiareuna nozione, più incerta e maldefinita, di azienda comeorganizzazione strumentale di altri enti pubblici, da essi costituitanel sistema di relazioni e di valori, incapace di remunerare le

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proprie risorse, affidata per l’equilibrio di bilancio alla coper-tura dei disavanzi da parte della pubblica amministrazione.

Il quadro si completa con l’anomalia per cui il managementè selezionato con meccanismi di tipo sostanzialmente politi-co (la fiducia dell’amministrazione regionale) ed è destinatoad essere continuamente sostituito in relazione ai cambiamentidi orientamento della pubblica amministrazione o degli eletto-ri. Non si crea in tal modo un circuito di selezione dei mana-ger che comporti competenza, conoscenza del mercato, prepa-razione specifica sui temi tecnologici, di qualità delle cure, digestione dei requisiti di sicurezza, di pianificazione degli inve-stimenti.

Il problema fondamentale in questo meccanismo è chenasce un’azienda in cui gli operatori non condividono né ilsistema di valori né il modello di servizio ed è perciò destinataa oscillare periodicamente fra le pulsioni e i desideri dei proprioperatori. Nel vuoto di strategie gestionali, questi ultimi fi-niscono per sostituire la missione naturale o istituzionale dell’a-zienda con scelte ed interessi non maturati nel rapporto congli utenti.

Lo stesso problema si pone anche per ciò che riguarda ilrapporto con il cosiddetto mercato. Esso è considerato daidipendenti pubblici un disvalore, mentre è considerato dalleaziende private un legittimo criterio di selezione.

Nel giudicare illegittima la forza del mercato nel premiareo punire i comportamenti, le aziende pubbliche mettono inrealtà in discussione la libertà di scelta degli utenti.

Tutte le ipotesi fondate sull’introduzione di meccanismidi efficienza guidati da forme di competizione “regolata” ven-gono dunque vanificate dalla combinazione dei due processi:trasformazione delle aziende in enti strumentali delle regionie negazione della libertà di scelta degli ammalati.

L’opinione di chi scrive è che i processi di aziendalizzazionevadano ripresi e ricondotti alle motivazioni originarie che nehanno giustificato l’adozione, per non far ricadere il sistemanella situazione precedente all’approvazione dei decreti dele-gati del 1992-93.

L’ospedale del futuro dovrebbe quindi configurarsi dalpunto di vista societario come un’azienda, di diritto privato

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o pubblico, autonoma rispetto alla pubblica amministrazio-ne, con piena responsabilità sui propri processi organizzativie di posizionamento sul mercato, operante all’interno di unaselezione regolata dalla scelta dei cittadini.

La pubblica amministrazione potrà peraltro avvalersi ditutti gli strumenti normativi per vincolare il contesto operativoaziendale e garantire il mantenimento di tutte le funzioni diservizio ritenute necessarie all’equilibrio del sistema, avendoa questo fine tre strumenti operativi, cioè autorizzazione,accreditamento e contratti.

10. Conclusioni

L’ospedale che abbiamo conosciuto negli ultimi decennie nel quale è cresciuta la classe professionale e managerialeattuale è destinato a mutare profondamente sotto la spinta difattori esterni economici e culturali, fra i quali paiono prevale-re i nuovi orientamenti del pubblico e la crescente domandadi autonomia nelle scelte fondamentali.

Di fronte a cambiamenti che riguardano ormai tutto ilcontesto in cui l’ospedale opera, non pare più dilazionabileuna riflessione profonda sul ruolo futuro dell’ospedale.

L’elemento centrale nel processo di trasformazione pareessere quello del nuovo contesto di comunicazione all’internodelle esigenze di continuità della cura e di pari opportunitàdi accesso alle prestazioni.

Il secondo elemento di rilievo è indubbiamente quellotecnologico, dato che l’ospedale non potrà non essere la sededi concentrazione delle tecnologie complesse, pur in presenzadella necessità di consentire l’accesso ad esse a una gammavasta e anche remota di utenti.

Tutto ciò porterà a modelli organizzativi profondamentediversi dagli attuali, in cui si perderanno i rapporti fra com-plessità e dimensione, fra specializzazione e governo autonomodei processi di cura, fra territorialità e distribuzione delle spe-cialità.

Sono destinati a mutare gli strumenti di pianificazione edè destinato a mutare il ruolo della pubblica amministrazione,

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che vedrà sempre più ridotte le funzione dirette di gestioneoperativa per assumere ruoli terzi rispetto alle organizzazioniche producono i servizi.

In questo contesto appare molto complessa la sfida propo-sta agli operatori del settore, sfida che richiede apertura cultu-rale, capacità di accettazione del rischio, determinazione nellafondazione di nuovi sistemi di valori di riferimento che sappia-no riconoscere nel pubblico un interlocutore abilitato a sce-gliere e a giudicare.

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