L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

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Università degli studi di Verona Facoltà di Economia Corso di Laurea Triennale in Economia e Commercio Tesi di Laurea L’impossibilità della crescita Serge Latouche e l’a-crescita Relatore: Ch.mo Prof. GianPaolo Mariutti Laureando: Michele Breda Matricola N. VR066169 Anno Accademico 2009/2010

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Questa tesi intende analizzare la vita e le opere del maggior interprete della teoria della decrescita, Serge Latouche. Si mostrerà l’evoluzione del suo pensiero e di come egli arrivi a dimostrare che un sistema di crescita, così come oggi è concepito nelle economie occidentali, non è auspicabile. Perseguire l’obiettivo della crescita economica è da escludere, poiché l’aumento di benessere dei cittadini non coincide con l’incremento del Pil

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Università degli studi di Verona

Facoltà di Economia

Corso di Laurea Triennale in Economia e Commercio

Tesi di Laurea

L’impossibilità della crescita

Serge Latouche e l’a-crescita

Relatore:

Ch.mo Prof. GianPaolo Mariutti

Laureando:

Michele Breda

Matricola N. VR066169

Anno Accademico 2009/2010

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Ringraziamenti

Grazie innanzitutto al professor Mariutti, per il tempo che mi ha concesso e per la sua

infaticabile dedizione. Il suo contributo è stato fondamentale al fine di dare serietà, precisione,

rigorosità e struttura a questa tesi. Grazie anche allo stesso Latouche, per avermi ascoltato e

aiutato attivamente nella ricerca.

Un sentito grazie ai miei genitori, che hanno saputo attendere con pazienza la conclusione dei

miei studi, fornendomi tutto l’appoggio ed il consiglio di cui ho avuto bisogno. Grazie a Lorenzo

per i costruttivi confronti economici, a Matteo per quelli relativi alla decrescita, alla Chiara per

l’allegria e la spensieratezza con la quale mi ha sostenuto. Un grazie collettivo a tutti i parenti

per la loro presenza amorevole ed il loro sempre vivo interesse.

Un semplice “grazie” non sarebbe abbastanza per ringraziare Cécile, che riesce, a dispetto

della lontananza fisica che spesso (per ora…) ci separa, ad essermi vicina più di chiunque altro.

Grazie per l’amore, la felicità, il sostegno che non ha mai smesso di donarmi.

Un grazie speciale ad Antonio, il mio mitico compagno di classe delle elementari-medie, per i

momenti indimenticabili che abbiamo vissuto insieme, e per la sincera amicizia che ancora ci

lega.

Grazie al Carpa, fedele amico e maestro di vita, per le lezioni ed i consigli che mi ha dato. Al

Conte ed Ivano, i miei travolgenti compagni di facoltà, che mi hanno permesso nella loro

infinita magnanimità di andare a sentire quel convegno di Pallante il 24 aprile 2010 al posto di

andare a spritzare con loro. A Michele Pighi, a Martino e alla Martina per avermi sempre

supportato senza mostrare evidenti segni di cedimento psicologico.

Una menzione particolare ai miei compagni di corso: la Elena, la Lalla, Marco e Attilio, grazie ai

cui consigli sono finalmente giunto alla laurea.

Grazie ad Alz, Bante, la Diana, la Elena, Giacomo e la Pamela per le interminabili e proficue

giornate di studio collettivo. In particolare un grande in bocca al lupo a Giacomo per la sua

nuova esperienza universitaria. Grazie anche all’Irene Schena per avermi introdotto alla teoria

della decrescita.

Il ringraziamento finale se lo aggiudica la Fiammy, alla quale restituisco il favore di avermi

menzionato per ultimo nella sua pluripremiata tesi. Grazie di cuore per avermi sostenuto ed

incoraggiato (“W la decrescita!!”) sempre, senza “se” e senza “ma”.

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V

Indice

Ringraziamenti......................................................................................................................... III

Indice ........................................................................................................................................V

Indice delle Figure, dei Grafici e delle Tabelle ............................................................................ IX

1. Capitolo 1: Introduzione .................................................................................................... 1

1.1. L’importanza della crescita economica ......................................................................... 1

1.1.1. La decrescita come paradigma alternativo ........................................................... 2

1.1.2. Importanza terminologica .................................................................................... 4

1.2. Oggetto della tesi ........................................................................................................ 7

1.2.1. Originalità del contributo di Serge Latouche ........................................................ 8

1.3. Metodologia della ricerca ............................................................................................ 9

1.4. Limitazioni della ricerca ............................................................................................. 11

1.5. Struttura della tesi .................................................................................................... 12

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VI

2. Capitolo 2: La Decrescita. Origini e sviluppi...................................................................... 15

2.1. Introduzione ............................................................................................................. 15

2.2. Origini del movimento e principali teorizzatori .......................................................... 17

2.2.1. Un difficile avvio. L’apporto del Club di Roma .................................................... 18

2.2.2. Georgescu-Roegen e Peccei. Due approcci diversi alla critica della società di

crescita .............................................................................................................. 19

2.2.3. Anarchia del sistema di crescita: l’esperienza di François Partant ....................... 20

2.2.4. Decrescita. Dalla coniatura del termine alla conferenza di Parigi del 2002.......... 21

2.2.5. Diffusione del tema della decrescita a livello mondiale. Contributi italiani ......... 22

2.3. I limiti della società di crescita ................................................................................... 25

2.3.1. Classificazione dei limiti della società di crescita ................................................ 26

2.3.2. L’impronta ecologica. Esempi di sfruttamento irrispettoso dell’ecosistema........ 28

2.4. La critica al Pil ........................................................................................................... 31

2.4.1. Limiti del Pil ....................................................................................................... 31

2.4.2. Alternative al Pil ................................................................................................ 39

3. Capitolo 3: Biografia di Latouche ..................................................................................... 45

3.1. Introduzione ............................................................................................................. 45

3.2. Il giovane Latouche e l’esperienza africana ................................................................ 46

3.3. Il Latouche adulto: le prime critiche al sistema di crescita.......................................... 51

3.4. Il Latouche maturo e la definizione della teoria della decrescita ................................ 55

3.5. Il Latouche attivista ................................................................................................... 59

4. Capitolo 4: Il pensiero e le opere dei tre Latouche ........................................................... 61

4.1. Introduzione ............................................................................................................. 61

4.2. Il giovane Latouche ................................................................................................... 62

4.2.1. Opere principali del giovane Latouche ............................................................... 62

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VII

4.2.2. Contenuto approfondito della principale opera del Latouche giovane: Critique de

l'impérialisme. Une analyse marxiste non léniniste de l'Impérialisme (1979) ...... 65

4.2.3. Caratteristiche del pensiero del giovane Latouche ............................................. 69

4.3. Il Latouche adulto ..................................................................................................... 72

4.3.1. Principali opere del Latouche adulto .................................................................. 73

4.3.2. Le due principali opere del Latouche adulto – Un’analisi .................................... 91

4.3.3. Il pensiero del Latouche adulto – Le caratteristiche ......................................... 103

4.4. Il Latouche maturo .................................................................................................. 106

4.4.1. Principali opere del Latouche maturo .............................................................. 108

4.4.2. Le due principali opere del Latouche maturo – Un’analisi ................................ 117

4.4.3. Il pensiero del Latouche maturo – Le caratteristiche ........................................ 126

5. Capitolo 5: La politica economica della a-crescita .......................................................... 131

5.1. Introduzione ........................................................................................................... 131

5.2. Politica economica tradizionale ............................................................................... 132

5.3. La logica delle otto R ............................................................................................... 135

5.3.1. Rivalutare ........................................................................................................ 136

5.3.2. Riconcettualizzare ........................................................................................... 138

5.3.3. Ristrutturare .................................................................................................... 140

5.3.4. Ridistribuire ..................................................................................................... 142

5.3.5. Rilocalizzare ..................................................................................................... 145

5.3.6. Ridurre ............................................................................................................ 147

5.3.7. Riutilizzare ....................................................................................................... 149

5.3.8. Riciclare ........................................................................................................... 151

5.4. Gli strumenti della politica economica di Latouche .................................................. 152

5.4.1. Un impatto ecologico sostenibile ..................................................................... 152

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VIII

5.4.2. Internalizzare i costi dei trasporti ................................................................. 153

5.4.3. Rilocalizzare le attività .................................................................................. 154

5.4.4. Restaurare l’agricoltura contadina ................................................................ 154

5.4.5. Meno produzione e più tempo libero ........................................................... 155

5.4.6. Stimolare la produzione di beni relazionali ................................................... 155

5.4.7. Ridurre lo spreco di energia .......................................................................... 155

5.4.8. Penalizzare fortemente le spese pubblicitarie ............................................... 156

5.4.9. Riordinare l’innovazione tecnico-scientifica .................................................. 157

5.4.10. Misure ulteriori ............................................................................................ 157

5.5. Un confronto con la politica economica tradizionale ............................................... 158

6. Capitolo 6: Conclusioni ................................................................................................... 159

6.1. Introduzione ........................................................................................................... 159

6.2. Latouche: una vita verso la decrescita ..................................................................... 162

6.3. I risultati ottenuti .................................................................................................... 164

6.4. La teoria della decrescita tra apocalisse e “terra promessa” .................................... 168

7. Glossario ........................................................................................................................ 173

8. Bibliografia ..................................................................................................................... 179

9. Sitografia ........................................................................................................................ 191

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IX

Indice delle Figure, dei Grafici e delle Tabelle

FIGU R E

FIGURA II.1. Importanza della crescita nella società occidentale.................................... 25

FIGURA IV.1 Indice del libro Critique de l’impérialisme (Latouche, 1979) ....................... 66

FIGURA IV.2. Indice del libro L’occidentalizzazione del mondo (Latouche, 1989) ............. 78

FIGURA IV.3. Indice del libro La fine del sogno occidentale (Latouche, 2000 c) ................ 93

FIGURA IV.4. Indice del libro L’altra Africa (Latouche, 1997) ........................................... 99

FIGURA IV.5. Indice del libro Come sopravvivere allo sviluppo (Latouche, 2004) ........... 119

FIGURA IV.6. Indice del libro La scommessa della decrescita (Latouche, 2006 b) ........... 122

FIGURA IV.7. Lo schema della logica delle otto R .......................................................... 125

GR A FICI

GRAFICO II.1. Relazione tra felicità personale e Pil reale pro capite ................................. 37

GRAFICO V.1. Aumento dell’impronta ecologica nel tempo ........................................... 144

GRAFICO V.2. Concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera.............................. 148

T A BELLE

TABELLA IV.1 I tre periodi nella vita e opere di Latouche ................................................. 61

TABELLA IV.2. Le opere e i temi nel tempo del Latouche adulto, 1980-2001 ..................... 72

TABELLA IV.3. Le opere e i temi nel tempo del Latouche maturo, 2002-2010 ................. 107

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1

Capitolo 1

Introduzione

1.1 – L’importanza della crescita economica

«La crescita è un bene», afferma Bradford DeLong (2006, p. 20). A sostegno della proposizione,

l’economista statunitense elenca numerose ragioni. La crescita economica (nel mondo

occidentale) ha permesso un incremento quasi doppio (oltre il 70%) dell’aspettativa di vita

solamente nell’ultimo secolo. La crescita economica ha dato oltre quindici centimetri in più alla

statura media dell’essere umano rispetto all’età preindustriale. La crescita economica ha

permesso all’uomo di produrre ciascun bene più velocemente, incrementando così la quantità

di tempo libero giornaliera. La crescita economica è infine un’opportunità anche per i più

bisognosi. Infatti, il reddito medio del quintile più povero della società è tendenzialmente

cresciuto allo stesso ritmo del reddito medio complessivo (si veda, per esempio, Dollar & Aart,

2002).

Non stupisce, dunque, che la crescita economica occupi un ruolo di primo piano nell’economia

e più in generale nella società odierna. Essa garantisce ad un tempo il finanziamento del

welfare state (il quale a sua volta finanzia la gestione del sistema pensionistico, della sanità,

dell’istruzione), l’aumento dell’occupazione, dei livelli salariali e in definitiva del benessere

materiale e del tenore di vita delle persone. Identificare la crescita come la maggior

responsabile della felicità dei cittadini di uno Stato moderno non sembra pertanto così fuori

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luogo. Persino il cosiddetto paradosso della felicità evidenziato da Easterlin (1974) non nega la

presenza di una correlazione positiva tra reddito e felicità. Nega solo che tale legame sia di tipo

lineare. Sarebbe d’altra parte insostenibile affermare il contrario: a controprova, si immaginino

i problemi che un paese in recessione si troverebbe ad affrontare. È inoltre comprovato che la

recessione economica, provocando il collasso produttivo ed occupazionale, genera un

profondo stato di precarietà ed insicurezza negli individui, il quale in svariati casi sfocia in

attacchi di depressione (Brusa Gallina, 2009). Ecco perché il paradigma economico dominante

ha gioco facile nel sottolineare una stretta correlazione tra un miglioramento dell’economia

(cioè del Pil) e il grado di benessere (materiale e non solo) dei suoi cittadini.

1.1.1 – La decrescita come paradigma alternativo

Alla luce dei “miracoli” provocati dalla crescita economica nei passati decenni, ma più in

generale durante l’intero corso della storia della moderna industrializzazione, viene spontaneo

chiedersi come possano esistere studiosi, sociologi, filosofi, antropologi e persino economisti

che si discostino da questo paradigma. E come sia possibile esista qualcuno che propone

addirittura la costruzione di una società basata su un paradigma opposto come quello della a-

crescita (o decrescita).

Per comprendere le ragioni a sostegno di tale paradigma alternativo è necessario muoversi in

un contesto di più ampio respiro. Si possono individuare almeno tre punti che aiutano a

giustificare l’esistenza di un paradigma alternativo alla crescita economica:

1. La questione ambientale. Nonostante l’ossimorico concetto di “sviluppo sostenibile”,1

è stato dimostrato che la crescita non è (Meadows et al, 1993) né potrà mai essere

(Georgescu-Roegen, 1975) sostenibile. L’umanità ha sorpassato già da tempo le soglie

1 È stato Serge Latouche (2006b, trad. it. 2010, p. 74-79) il primo a mettere in luce la contraddizione in termini di tale concetto, utilizzato recentemente più a scopo propagandistico-pubblicitario che per promuovere un reale futuro sostenibile.

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che delimitano un futuro sostenibile, e non sono visibili segni di un’inversione di

tendenza (Pollard, 2010). 2

2. Il sistema di valori. Sin dal tempo di Adam Smith (1776), il liberismo e la teoria della

mano invisibile si sono accompagnati all’affermarsi dei valori individualisti: è il singolo

che, grazie alla preoccupazione di sé,3 interagisce con gli altri individui, al fine di

soddisfare i propri bisogni. Le intenzioni di Smith, bisogna dirlo, non erano certo

malvagie, ma ciò ha contribuito a diffondere in maniera pervasiva l’aspetto economico

in ogni ambito del sociale. In questo modo si è dimenticata l’importanza delle relazioni

sociali, dell’altruismo, della generosità, cioè dell’agire disinteressato.

3. La questione del Terzo mondo. Molti hanno ampiamente argomentato (Latouche,

1979, 1991, 2000c; Partant 1976, 1982) che è stato il modello di crescita occidentale a

generare lo stato di miseria in cui versano i paesi del Terzo mondo. Se questa

interpretazione è corretta, appare insensato proporre al Terzo mondo l’adozione del

sistema economico responsabile o corresponsabile proprio del loro dissesto.

Appare quindi evidente che non sempre è vero l’assunto economico alla base della crescita,

ossia «più è meglio». Per questo, se si amplia il quadro interpretativo, e si aggiungono oltre a

quelli menzionati, ulteriori elementi di dibattito,4 non è affatto anomalo ipotizzare un

paradigma alternativo come quello della teoria della a-crescita, meglio nota

provocatoriamente come teoria della decrescita.

2 Al contrario, le dimensioni delle catastrofi ecologiche sono diventate via via più imponenti: la

fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico nella prima parte del 2010, durata oltre sei mesi, è stata definita come «la più grave catastrofe ambientale provocata dall'uomo nella Storia» (Gabanelli, 2010). A questo si aggiunga l’ancor più recente contaminazione delle acque del fiume Raab e Marcali ad opera di una fuoriuscita di fanghi tossici da un impianto ungherese di decantazione di residuati della lavorazione dell’alluminio: un «incidente industriale senza precedenti» (Il Giornale, 2010). 3 Così si potrebbe tradurre l’espressione self-love utilizzata da Smith (1776, libro I, capitolo 2). 4 Tra questi riportiamo i danni causati da miopi politiche (economiche e non) votate al raggiungimento di obiettivi a breve termine, la mancata inclusione delle generazioni future nei piani di sviluppo attuali, la spinta consumistica operata dai media e dalla pubblicità, le condizioni di lavoro degli operai e, contrariamente a quanto sostenuto da DeLong (2006), la ristrettezza di tempo libero.

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4

1.1.2 – Importanza terminologica

Il lessico utilizzato in questa tesi va per quanto possibile chiarito, per evitare fraintendimenti

terminologici. Infatti, già dal titolo della tesi emerge una commistione di concetti non certo di

uso comune, com’è il caso del termine a-crescita. Più avanti emergeranno termini ugualmente

poco comuni, come “impronta ecologica”, “rilocalizzazione” ed “area bioproduttiva”. Si tratta

di parole e concetti utilizzati spesso da Latouche in persona, lo studioso di cui questa tesi si

occupa.5

Data la delicatezza dell’argomento appare di fondamentale importanza chiarire fin da subito

almeno quattro termini chiave, che presentano sfumature di significato nell’uso corrente e la

cui intercambiabilità o la non-intercambiabilità va precisata, in modo esplicito, dall’inizio.

Il primo termine è quello di Crescita economica. Esso non è equivalente a sviluppo

economico. Per crescita, infatti, si intende un aumento quantitativo della produzione

finale di un’economia, cioè del Pil. Il Dizionario di Economia (Bannock et al, 1974)

riporta sotto la voce crescita economica: «processo regolare di accrescimento della

capacità produttiva di un sistema economico e quindi di accrescimento del reddito

nazionale» (Bannock et al, 1974, p. 125).

Il secondo termine è quello di Sviluppo economico. Esso coinvolge un processo più

ampio della crescita economica, poiché oltre agli aspetti quantitativi della crescita del

Pil, esso ne affronta anche i principali aspetti qualitativi. Infatti, alla voce Sviluppo

economico si può trovare la seguente definizione: «processo di crescita nel reddito

complessivo e pro capite (…) accompagnato da cambiamenti fondamentali nella

struttura delle (…) economie» (Bannock et al, 1974, p. 471).

Il terzo termine è a-crescita economica. Esso è un termine proprio del lessico di

Latouche, e del movimento teorico di cui egli fa parte. L’utilizzo del prefisso “a-”

5 Si potrebbe affermare che lo stesso termine decrescita, che useremo spesso nelle pagine seguenti, costituisca in sé un neologismo: dalla sua coniatura (ad opera di Jacques Grinevald nel 1979) al tempo presente non sono passati che trent’anni.

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5

diventa nella lingua italiana (ma anche in molte altre lingue neo-latine e non) un

“prefisso privativo” (si veda Devoto & Oli, 1990, p. 1) che nega l’aggettivo o il termine

che lo segue. Nel caso specifico, a-crescita sta a significare “senza” crescita economica.

Questo termine denota un’economia che non ha come obiettivo prefissato quello di

aumentare il proprio Pil. Quel “senza” potrebbe avere un significato ancor più

“privativo”, come il voler implicare l’opposto rispetto al termine che lo segue. In realtà,

come specifica Latouche, a-crescita in senso proprio significa escludere dai fini

economici quello del perseguimento della crescita economica, e non negare in

assoluto che un aumento del Pil sia sempre e comunque negativo. Potrebbe verificarsi

il caso, infatti, che un’economia viva in una situazione di a-crescita anche quando il

livello del Pil aumenta di anno in anno. Ciò è spiegato dal fatto che questa parola

denota un’espressa rinuncia al perseguimento della crescita economica, piuttosto che

voler negare che la crescita del Pil non ci possa mai essere.

Il quarto termine è quello di decrescita economica. Come si spiegherà a breve, è il

termine che questa tesi ha associato più spesso al contributo di Latouche e al

paradigma alternativo di cui egli è interprete. Il prefisso “de-” è ovviamente più forte

del prefisso “a-”. Entrambi negano il termine che li segue, ma nella parola decrescita

(come in ogni parola con il prefisso “de-”) c’è una presenza di “sottrazione” di

significato (Devoto & Oli, 1990, p. 525), cioè nel nostro caso di togliere, annullare la

crescita economica. Quest’idea di sottrazione di significato a rigor di termini manca nel

termine letterale a-crescita. In altre parole, in senso letterale, decrescita è un termine

più critico ed in contrapposizione alla crescita economica di quanto lo sia il termine a-

crescita. Infatti, letteralmente, se esiste una decrescita non può allo stesso tempo

esistere una crescita economica.6

6 Perché Latouche abbia preferito, ad un certo punto, utilizzare il termine decrescita in vece del termine a-crescita, lo si spiegherà brevemente più avanti e più estesamente nel Capitolo 2.

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6

Va riconosciuto tuttavia che nel linguaggio economico (anche a livello scientifico) corrente,

l’utilizzo dei primi due termini e degli ultimi due termini è spesso intercambiabile. Essi sono

cioè utilizzati come (perfetti) sinonimi. Si parla di crescita per intendere anche il processo di

sviluppo, e si parla di sviluppo per significare principalmente il processo di crescita.

Allo stesso modo, nei lavori che andremo ad analizzare in particolare nel Cap. 2 e nel Cap. 4 si

parla di decrescita economica per intendere un processo di a-crescita economica, e si

contrappone la decrescita alla crescita, quando invece sarebbe più corretto contrapporre la

decrescita allo sviluppo economico. Non è possibile eliminare completamente questa

ambiguità terminologica, vista la sua larga presenza nella letteratura. Quello che si è preferito

fare in questa Sezione è avvertire il lettore delle insidie che tale ambiguità cela.

A quest’ultima ha contribuito lo stesso autore che andremo a trattare, cioè Serge Latouche.

Egli scrive infatti:

«più che di “de-crescita” bisognerebbe parlare di “a-crescita”, così come parliamo di

“a-teismo”, poiché si tratta di abbandonare una fede e una religione: quella

dell’economia, della crescita, del progresso e dello sviluppo» (Latouche, 2006b, trad.

it. 2010, p. 11, 12).

In termini pratici, però, cosa si intende per decrescita? È lo stesso Latouche a rispondere alla

domanda:

«Decrescita è una parola d’ordine che significa abbandonare radicalmente l’obiettivo

della crescita per la crescita, un obiettivo il cui motore non è altro che la ricerca del

profitto da parte dei detentori del capitale e le cui conseguenze sono disastrose per

l’ambiente» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 11).

Ecco dunque che il termine decrescita ed a-crescita sono presentati come sinonimi,

nonostante la sfumatura di significato. A-crescita, come si è appena detto sopra, significa

letteralmente “assenza di crescita”, mentre de-crescita ha un connotato più incisivo, a causa

della diversa valenza del prefisso (Devoto & Oli, 1990, p. 525).

Non c’è da stupirsi quindi che quest’ultimo termine, decisamente più «provocatorio»

(Latouche, 2005a, trad. it. 2010, p. VIII), abbia conosciuto una diffusione maggiore del secondo

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7

nelle stesse opere di Latouche. In esse, ad ogni modo, troviamo una quasi perfetta

sovrapponibilità dei due termini. Similmente, nel corso della nostra analisi si è scelto di

utilizzare la stessa terminologia impiegata dall’economista francese, preferendo quindi il

termine de-crescita, anche per significare il termine a-crescita – una parola che, comunque,

abbiamo lasciato nel titolo del nostro elaborato.

1.2 – Oggetto della tesi

Questa tesi intende analizzare la vita e le opere del maggior interprete della teoria della

decrescita, Serge Latouche, professore emerito della facoltà di diritto, economia e gestione

Jean Monnet all’Università di Parigi XI. Soprattutto nell’ultimo decennio, egli si è imposto

all’attenzione internazionale per l’enfasi e l’efficacia con cui ha promosso l’importanza del

nuovo paradigma dell’ “economia della decrescita”. I suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati

in molti paesi, inclusa l’Italia. Invitato spesso a convegni, organizzati sui temi del benessere

socio-economico, della sostenibilità ambientale, delle riforme sociali, della globalizzazione e

delle crisi economiche e finanziarie, questo autore promette di trasformarsi in una specie di

icona in contrapposizione al paradigma dominante basato sulla crescita economica.

Il suo messaggio, come vedremo, è che un sistema di crescita, così come oggi è concepito nelle

economie occidentali (ma anche in quelle asiatiche), non è auspicabile.7 La sua proposta è di

abbandonare completamente questo concetto. In altre parole, la novità di questo autore, in

contrapposizione alla vulgata dominante, è di escludere la crescita economica come obiettivo

da perseguire, poiché l’aumento di benessere dei cittadini non coincide affatto con

l’incremento del Pil, così come oggi è misurato.

7 Si intende per sistema di crescita una società dominata dalla cosiddetto paradigma della crescita, avente cioè come obiettivo principale la massimizzazione del Pil. In questo senso si possono definire sistemi di crescita sia il sistema capitalistico sia quello socialista. Cfr. Latouche (2006b, trad. it. 2010, p. 25).

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8

1.2.1 – Originalità del contributo di Serge Latouche

Non è anomalo trovare delle critiche, anche nell’analisi economica tradizionale, all’utilizzo del

Pil come indicatore dello stato di salute di un’economia, né è anomalo segnalare qualche

accento critico sul fatto che la crescita economica “non è tutto”.

Almeno nell’accademia, tuttavia, non è facile trovare delle personalità che si spingano a

rinnegare in toto il paradigma della crescita e ad abbracciare quello che sembra essere – ma in

realtà non lo è del tutto – un paradigma opposto, cioè quello della decrescita. L’originalità di

Latouche, come studioso, sta proprio in questo suo radicalismo. Egli non muove solo qualche

critica al paradigma dominante. Non si prefigge di correggerlo. Si prefigge tuttavia di smontarlo

dalle fondamenta (cioè come vedremo dall’immaginario sociale). In alternativa egli propone il

perseguimento di un sistema cosiddetto della decrescita economica.

L’impegno di Latouche su questo fronte nasce dalla consapevolezza che i problemi che

affliggono i sistemi di crescita sono endogeni a quel sistema, e pertanto non sono curabili dallo

stesso paradigma che li ha creati. Per risolverli serve un’alternativa che fino ad ora è mancata.

La decrescita è infatti un tema di recente formazione. Come si vedrà più avanti (Sezione 2.2),

prima degli anni Ottanta il termine era sconosciuto e non era forse nemmeno stato coniato

nell’uso di cui oggi ne facciamo. Latouche ha il merito di aver individuato i problemi sociali

(prima ancora che economici) del paradigma dominante, di averli razionalizzati ed infine di

aver elaborato un sistema a tutti gli effetti alternativo, anche grazie al confronto con altri

intellettuali attenti agli aspetti sociali del nostro tempo, come è il caso di Ivan Illich.

Si può quindi affermare con certezza che, se il tema della decrescita era già presente sotto

diverse forme nel momento in cui Latouche iniziò ad interessarsene, il suo contributo al tema

rimane centrale. Il suo lavoro di sintesi e di integrazione appare fondamentale per aver dato al

tema della decrescita un “diritto di cittadinanza” all’interno del dibattito economico.

In questa tesi si è cercato di offrire un panorama il più possibile esaustivo di come si è formato

questo autore, e dei contenuti che caratterizzano le sue numerose opere. A tutt’oggi manca

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9

nel panorama della letteratura economica un lavoro bio-bibliografico su Latouche: il nostro

compito, se non è stato quello di fornirne uno esaustivo, è stato sicuramente quello di iniziare

una ricerca sulla vita e i contributi di questo autore.

1.3 – Metodologia della ricerca

L’analisi sulla vita e le opere di Serge Latouche riguardo al tema dell’economia della decrescita

è condotto con un metodo che potremmo chiamare storiografico. Intendiamo dire con questo

termine che Latouche è stato analizzato inizialmente da un punto di vista storico-biografico,

per poi proseguire con un’analisi in termini storico-bibliografici, con lo studio della sua

produzione saggistica, sia in termini di critica che egli muove al paradigma dominante, sia in

termini più pratici del messaggio teorico sugli obiettivi che l’economia della decrescita si

prefigge e i modi per ottenere questi obiettivi (Latouche, 2005a, 2006b).

Al fine di redigere la presente tesi ci siamo avvalsi, oltre che delle sue opere principali, anche

delle seguenti fonti:

Libri attinenti all’argomento della decrescita (come gli scritti di Georgescu-Roegen, di

Pallante, di Donella e Dennis Meadows).

Documenti reperiti in internet forniti spesso da grandi organizzazioni internazionali, le

quali producono periodicamente dei rapporti o dei Working papers (ci riferiamo per

esempio al World Living Report 2010, all’UN World Summit Commission 2005 ecc.).

Quotidiani e altri periodici nazionali ed internazionali, in cui erano contenuti resoconti

di convegni e dibattiti sul tema di nostro interesse o che accoglievano articoli di

studiosi interessati a queste tematiche.

Siti internet e mailing list che specificamente si sono dedicati a trattare il tema della

decrescita. Citiamo per esempio in Italia il sito del Movimento Zero, della Decrescita

felice e il Circolo della Decrescita Felice di Verona.

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10

Infine i tradizionali articoli di riviste specialistiche, i Proceedings di convegni,

conferenze e altro materiale bibliografico.

L’esposizione complessiva della tesi segue un criterio cronologico, al fine di permettere una più

agevole descrizione degli avvenimenti così come si sono presentati, e dell’evoluzione delle idee

e delle teorie del nostro autore succedutesi nel tempo.

In questo tipo di problematiche manca (ancora) una formalizzazione delle teorie in termini

matematici. Pertanto questa tesi non affronterà modelli formali complessi, né discuterà di

ipotesi e risultati propri dell’economia matematica. Le virtù, le (frequenti) critiche all’economia

di mercato e la proposta di paradigmi alternativi seguiranno invece un taglio che appare intriso

sia di sociologia che di filosofia.

Un tale approccio, se è presente negli economisti del passato, non è presente in forma così

marcata e prevalente negli economisti di oggi, i quali sono più rigorosi, ma anche più

riduzionisti, rispetto ai problemi che affrontano.

L’approccio storiografico che abbiamo seguito servirà a porre in evidenza (sia nel dispiegarsi

della biografia che dei lavori scientifici del nostro autore) come l’alternativa dell’economia

della decrescita, oltre che sui contenuti, sia alternativa anche per quanto riguarda il metodo di

esposizione: al momento, infatti, nulla o quasi nulla di matematico è stato scritto.

Conversamente, è presente un’importante componente filosofica, derivante

dall’interrogazione sulle grandi questioni morali di fondo che connaturano l’ambiente e la

società umana.

Fatta la distinzione del diverso significato che nel paradigma alternativo della decrescita

prendono termini come “teoria economica”, “analisi economica” ecc., va infine segnalato che il

nostro studio sarà sia di economia positiva, che di economia normativa. Con la prima tipologia

economica ci riferiamo allo studio di come Latouche vede l’attuale società e le attuali forze

economiche che la governano. Di essa si tratterà nella parte centrale della tesi. Con la seconda

tipologia economica (quella normativa) si affronteranno invece gli obiettivi che il movimento

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11

della decrescita si propone (sempre nell’interpretazione di Latouche) e gli strumenti che sono

ritenuti utili per raggiungere tali obiettivi. Questo sarà fatto nella parte finale (in particolare nel

Cap. 5) della tesi, come dettagliato alla fine di questa Introduzione.

1.4 – Limitazioni della ricerca

Nella stesura della nostra ricerca abbiamo potuto constatare almeno tre limiti nella nostra

indagine. Nello specifico:

1. La commistione tra economico e sociale. Come già accennato, la decrescita consiste in

una rivoluzione non soltanto in ambito economico, ma diremmo prima di tutto in

ambito sociale e culturale (Brune, 2005, p. 1), al punto da rendere possibile un’analisi

della medesima problematica da un punto di vista psicologico (Dei, 2007). La nostra

indagine verterà invece su temi prevalentemente economici. Tuttavia, anche nel

trattare l’ambito economico, non si sono potuti evitare accavallamenti e digressioni in

campo sociale. Questo nonostante si sia operata a monte una cernita tra gli argomenti

così da poter concentrare l’attenzione su problematiche prevalentemente di natura

economica.

2. Carenza di lavori critici. Questa limitazione deriva dal fatto che la decrescita è una

teoria di recente formazione. A parte Latouche e, per certi versi, Pallante e Massimo

Fini, non esistono altri studiosi che si occupino in modo organico del tema della

decrescita. Nonostante essa abbia bisogno, allo stadio attuale, di menti e interlocutori

in grado di colmare le diverse lacune presenti in numerosi aspetti della teoria, va

rilevato che la massa di ricercatori che si dedicano con rigore a questo paradigma

rimane fortemente esigua. Questa penuria di apporti rigorosi si riflette anche nella

limitatezza di materiale scientifico-bibliografico disponibile.

3. Irreperibilità dei testi. In aggiunta alla carenza di opinioni sul tema, esiste un’ulteriore

difficoltà. Non tutti gli scritti dello stesso Latouche sono reperibili almeno in Italia.

Sono risultate, per esempio, irreperibili le pubblicazioni del Latouche giovane e del

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12

primo Latouche adulto, mai tradotte nella nostra lingua. Eppure le opere scritte nel

periodo della giovinezza di Latouche costituiscono una reinterpretazione

completamente originale ed interessante del fenomeno da un lato dell’economia

occidentale e della sua tendenza imperialista nei confronti del Terzo Mondo (Latouche,

1979) e dall’altro dell’epistemologia economica così come si è andata formando negli

ultimi due secoli (Latouche, 1973).

1.5 – Struttura della tesi

Dato quindi l’oggetto della tesi, scelta la metodologia con cui impostare la nostra indagine,

sottolineate le limitazioni del nostro lavoro, si è deciso di dare alla nostra trattazione una

suddivisione in sei capitoli, così articolati:

1. Il Primo capitolo (questo capitolo) presenta il tema e l’organizzazione del lavoro.

2. Il Secondo Capitolo affronta le origini del movimento della decrescita e la sua

evoluzione fino ad oggi. Si mostreranno le condizioni che hanno fatto da presupposto

alla creazione della teoria della decrescita e gli autori che hanno contribuito alla sua

formazione. Si riporteranno i limiti relativi ad una società di crescita, le critiche rivolte

al Pil e le alternative a questo indice che secondo diversi studiosi sembrano riflettere in

modo più efficace lo stato di benessere di una nazione.

3. Il Terzo Capitolo si occupa della biografia di Latouche. Si percorrerà la storia della sua

vita, dai tempi dell’Università a Parigi fino al tempo presente. Le sue vicende negli anni

della formazione, della crescita personale e della maturazione offrono uno sfondo

interessante per meglio comprendere le posizioni che egli assumerà negli anni

riguardo alla critica all’economia dominante e le proposte sfociate nel movimento

economico della decrescita.

4. Il Quarto Capitolo si prefigge di analizzare il pensiero e delle opere di Latouche quale

teorico della decrescita. Al pari di quanto si è fatto nel Capitolo precedente, si studierà

Latouche suddividendo le sue opere in tre diverse fasi. Per questo proponiamo

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13

l’interpretazione che siano esistiti ben “tre” Latouche: il Latouche giovane, il Latouche

adulto e il Latouche maturo. Attraverso un’analisi cronologica della sua produzione si

giustificherà questa affermazione, offrendo un insieme di caratteristiche

sufficientemente coerenti per ciascuno di essi.

5. Il Quinto Capitolo entra direttamente a discutere la politica economica della

decrescita, in contrapposizione a quella più comunemente nota dell’economia

tradizionale. Dopo aver presentato brevemente obiettivi e strumenti di politica

economica propri del paradigma economico dominante, si illustreranno obiettivi e

strumenti del paradigma alternativo di Latouche. Gli obiettivi che la decrescita intende

perseguire sono molteplici (le otto R, come verranno definite) e, a causa di questa

estensione, non direttamente sovrapponibili agli obiettivi tradizionali della politica

economica. Si cerca infine di mostrare le misure che il movimento della decrescita

propone per poter realizzare questa molteplicità di obiettivi. Anche in questa

presentazione degli strumenti si cercherà un confronto esplicito con la politica

economica tradizionale, mostrando le dissonanze (e le poche assonanze) che da un

tale confronto emerge.

6. Il Sesto Capitolo tira infine le somme di quanto svolto. Si riassumeranno i principali

risultati ottenuti e si cercherà di formulare qualche considerazione in “prospettiva”

riguardo alla teoria della decrescita e più in generale al futuro dell’economia.

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15

Capitolo 2

La Decrescita: origini e sviluppi

2.1 - Introduzione

Nel Capitolo 1 si è già illustrata la correlazione tra a-crescita e decrescita, e chiarito l’utilizzo

che di quest’ultima si farà a partire da questo capitolo, come sinonimo del termine a-crescita.

Al di là dell’utilità del termine, tuttavia, diventa fondamentale chiarire la sua definizione, le

origini e gli sviluppi che esso ha intrapreso. Questo è l’obiettivo che si propone il presente

capitolo. A tal proposito, si procederà col definire la critica che essa muove sia nei confronti

della cosiddetta «società di crescita» (Latouche, 2003, p. 18), sia nei confronti dell’utilizzo del

Pil come indice di benessere di una nazione. Verranno infine forniti esempi alternativi al Pil,

capaci di scavalcare i limiti di quest’ultimo, tramite indici già esistenti, altri di recente

formazione ed uno ancora in via di definizione.

Preliminare al proseguimento della nostra analisi è un approfondito chiarimento di alcuni

termini che ricorreranno frequentemente d’ora in avanti: sviluppo, crescita, a-crescita.

Si riporta, al fine di illustrare in modo preciso il significato di sviluppo economico, la definizione

del Deardroff’s Glossary of International Economics:

«Lo sviluppo economico consiste in un incremento sostenuto del livello economico

di vita della popolazione di uno Stato, normalmente raggiunto attraverso l’aumento

della quantità di capitale fisico ed umano, e mediante un miglioramento della

tecnologia» (Deardroff, 2010, nostra traduzione).

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16

Come si evince dalla definizione, il concetto di sviluppo economico implica l’interazione di due

aspetti: uno qualitativo ed uno quantitativo. Il primo aspetto riguarda una duplice

composizione del Pil:

In termini di incidenza dei diversi settori che lo compongono. Rientra nella definizione

di sviluppo, ad esempio, un aumento dell’incidenza del settore primario a scapito del

settore terziario, qualora esso produca un miglioramento del livello economico di vita;

In termini di incidenza degli elementi all’interno degli stessi settori. Un esempio può

essere fornito dalla preponderanza, nel settore secondario di un sistema, dell’industria

siderurgica rispetto a quella tessile.

L’aspetto quantitativo riguarda in realtà il concetto di crescita. Essa è definibile come un mero

aumento dell’output, a prescindere dalla sua composizione. Possono quindi esistere casi di

sviluppo senza crescita e, interpretando la definizione in senso lato, casi di crescita senza

sviluppo, qualora quest’ultima non produca un significativo aumento del livello di vita della

popolazione. La distinzione tra crescita e sviluppo è riportata anche da Daly: «Qualcosa che

cresce diventa quantitativamente più grande; quando si sviluppa diventa qualitativamente

migliore, o almeno differente» (Daly, 1996, trad. it. 2001).

Su un piano completamente diverso si pone il concetto di a-crescita. La presenza della “a”

privativa indica un abbandono completo dell’ideale di crescita, il quale è ritenuto,

contrariamente a quanto si crede, alla lunga dannoso per l’umanità stessa. La a-crescita si

pone su un livello totalmente diverso sia rispetto allo sviluppo che rispetto alla crescita,

rendendone impossibile un inquadramento al loro interno. A-crescita non significa quindi

“crescita negativa”, come troppo spesso si è portati a pensare,1 ma piuttosto “assenza di

crescita”. Quest’ultima non è infatti ritenuta un fattore decisivo per l’innalzamento del tenore

di vita di una popolazione, il quale può essere raggiunto mediante la produzione di beni non

1 Questa confusione è dovuta soprattutto a causa del ben più provocatorio termine “decrescita”, il quale, come si è visto in precedenza, è sinonimo di a-crescita, a dispetto del termine.

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17

monetari e non scambiabili sul mercato, quali i beni relazionali. È evidente la peculiarità di un

sistema di a-crescita rispetto a qualsiasi altro sistema economico apparso nel corso della

storia.

2.2 – Origini del movimento e principali teorizzatori

Prima di procedere con l’esposizione dettagliata riguardo ai fondamenti teorici della

decrescita, si ritiene opportuno fornire una panoramica sugli eventi e sui personaggi che hanno

fondato questo filone di pensiero.

Circoscrivere la teoria della decrescita in un arco storico ben definito è un compito

quantomeno ambizioso, poiché non esiste una data convenzionale che sancisca storicamente

la sua nascita in un momento storico preciso. Sebbene si possa sostenere che alcuni temi base

della teoria della decrescita siano già presenti duemila anni fa in alcuni tra i più grandi

pensatori dell’antica Grecia,2 è sicuramente in tempi più recenti che questo filone è stato

definito e razionalizzato. Latouche (2007) sostiene che esso è nato dall'incontro di diverse

correnti intellettuali: da una parte è presente la critica alla modernità, che risale al primo

socialismo utopico di William Morris (1890) e (1892) e Charles Fourier (1971), dall'altra si

colloca la critica allo sviluppo degli anni Sessanta. È questo il caso della “piccola internazionale”

legata a Ivan Illich (Latouche, 2007). Maurizio Pallante, uno tra i maggiori teorizzatori sul tema

della decrescita sia a livello italiano che mondiale, fa risalire la nascita di tale filone ad un

periodo molto più recente, e cioè negli anni ’70, per opera di Pier Paolo Pasolini. All’epoca, il

termine “decrescita” non era ancora stato coniato, ma i temi oggetto di trattazione, erano già

ampiamente discussi (Pallante, 2008).

2 Come fa notare Scroccaro (2005a) e (2005b), sia Platone nelle sue Leges che Plutarco in De cupiditate divitiarum anticipano diversi argomenti ripresi in tema di decrescita, come il ripudio della ricchezza e la necessità di recuperare sia il senso del limite che il valore dell’otium.

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18

2.2.1 – Un difficile avvio. L’apporto del Club di Roma

Per quarant'anni, questa corrente di pensiero non è riuscita a far ascoltare la sua voce

(Latouche, 2007): nei “trenta gloriosi” anni (la definizione è di Fourastié, (1979)) del

Dopoguerra i problemi legati allo sviluppo hanno costituito un tema essenziale soprattutto per

il Sud del mondo. Nel decennio successivo, il miglioramento degli standard di vita derivato dal

boom economico e l’affermazione della società dei consumi come modello di riferimento

internazionale costituirono un clima poco fertile alla diffusione dei temi legati alla decrescita.

Nonostante lo scarso interesse dimostrato sia dal grande pubblico sia dalla stampa

internazionale, in quegli stessi anni iniziò comunque ad emergere un movimento di critica

ecologica, promosso tra gli altri dagli economisti e scienziati del Club di Roma. Esso fu fondato

nel 1968 dall'italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a

premi Nobel, leader politici e intellettuali fra cui Elisabeth Mann Borgese (Liberti, 2008). Nel

1972 il Club di Roma pubblicò un rapporto commissionato al MIT, dal titolo Limits to Growth

(Meadows et al., 1972).3 Gli autori di questo rapporto, fra gli altri, furono Donella e Dennis

Meadows, che articolarono le loro argomentazioni su tre punti:

Nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori

fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di cibo e

sfruttamento delle risorse) l’umanità incorrerà nel raggiungimento dei limiti naturali

della crescita entro cento anni.4 Il risultato più probabile sarà un improvviso ed

incontrollabile declino della popolazione e del sistema industriale.

È possibile modificare questa linea di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità

ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. Lo stato di equilibrio globale

dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra

3 Il titolo originale del rapporto, Limits to Growth, è stato erroneamente tradotto in italiano con I Limiti dello Sviluppo. Tale errore non verrà corretto nemmeno in occasione della pubblicazione del rapporto successivo, Beyond the limits (1992), tradotto in italiano come Oltre i limiti dello sviluppo (1993). 4 A partire dalla data di uscita del rapporto (1972).

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19

siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio

potenziale umano.

Se l’umanità opterà per la seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità

di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale

direzione (Meadows et al., 1972).

2.2.2 – Georgescu-Roegen e Peccei. Due approcci diversi alla critica della società di

crescita

Nello stesso 1972, Nicholas Georgescu-Roegen riprende questi concetti, definendo per primo i

“contorni” di quanto diventerà noto con il termine decrescita. Durante la conferenza Energia e

miti economici, tenuta all’università di Yale in quell’anno, egli sostiene che «non soltanto la

crescita, ma anche la crescita-zero *…+ non può esistere per sempre in un ambiente finito». Ne

consegue che «lo stato maggiormente desiderabile non è quello stazionario, ma uno di

decrescita» (Georgescu-Roegen, 1975, trad. it. 1998, p. 10).

Anche Aurelio Peccei si inserisce nel tema, con il libro, mai tradotto in italiano, The Human

Quality (Peccei, 1977). Egli è convinto che l’uomo abbia un’enorme responsabilità derivante

dall’utilizzo della tecnologia: essa è diventata il più grande elemento di cambiamento della

Terra – nel bene o nel male (Peccei, 1977, p. 18). A meno di un uso assennato di quest’ultima,

infatti, non si riusciranno a correggere situazioni intrinsecamente perverse, ma le si renderà

solo «più efficientemente perverse» (Peccei, 1977, p. 55, nostra traduzione).

La crescita, secondo Peccei, non è una panacea in grado di risolvere tutti i problemi dell’uomo,

ma, pure ammettendo che sia così, essa non potrà continuare per sempre, com’è stato in

grado di dimostrare il rapporto commissionato dal Club di Roma, di cui egli stesso è stato il

fondatore (Peccei, 1977, p. 84). Ciononostante, egli prende qualche distanza dai risultati che

emergono dallo studio. I ricercatori avevano individuato nelle risorse materiali del pianeta, e

specialmente in quelle non rinnovabili, i limiti ad una crescita perpetua; Peccei ritiene invece

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20

che detti limiti siano piuttosto di natura ecologica, biologica e soprattutto culturale (Peccei,

1977, p. 88). Egli mette in primo piano l’uomo: è unicamente l’uomo che può realizzare ad un

futuro migliore, «sviluppando le proprie possibilità e la qualità di vita, condizione

indispensabile sia per rendere ragionevoli i propri bisogni, sia per avere ragionevoli speranze di

poterli soddisfare» (Peccei, 1977, p. 161, nostra traduzione).

2.2.3 – Anarchia del sistema di crescita: l’esperienza di François Partant

Indispensabile, per l’influenza che ebbe sul pensiero di Serge Latouche e per un’ulteriore

definizione della tematica della decrescita, è stato l’apporto di François Partant (1926-1987),

un’economista che lavorò come alto funzionario presso la banca BNP Paribas. In seguito

partecipò in Africa allo studio del finanziamento del Piano di Sviluppo della Repubblica

Popolare del Congo (Ravignan, 2007). Lo scontro con una realtà economica così diversa dalla

propria lo condurrà a paragonare, tramite il libro La fin du développement (Partant, 1982), lo

sviluppo ad un’impresa neocolonizzatrice che, anziché aiutare il Terzo Mondo, lo mantiene di

proposito in una situazione di miseria.5 Durante il periodo coloniale, infatti, le società

dell’attuale Terzo Mondo «tenevano le redini della propria condizione sociale» (Partant, La fin

du développement. Naissance d’une alternative?, 1982, p. 49), mentre nel periodo definito

neo-coloniale viene loro imposto un modello mirato da un lato a rinforzare il numero degli

emarginati, dall’altro ad accentuare la loro dipendenza dagli “aiuti” dei Paesi neocolonizzatori

(Clerc, 2004).6 Questa è una situazione di forte instabilità politica: «per sua natura, la crescita

non può essere che anarchica» (Partant, 1976, p. 53), giacché non è pensabile un equilibrio

globale fintantoché persistono tensioni a livello internazionale.

5Singolarmente affine sarà l’esperienza di Serge Latouche, il quale si recherà in Congo e in Laos per attuare programmi di sviluppo economico, e rimarrà profondamente colpito dall’esperienza vissuta in quegli anni. Vedi (Latouche, 2010c). 6 Tali idee verranno riprese ed ampliate da Latouche (2008b, trad. it. 2009) nel libro Mondializzazione e decrescita. L’alternativa africana.

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21

Partant propone così un sistema alternativo, basato su quelle che egli definisce «Centrali

economiche», ossia micro-società economiche indipendenti ma coordinate tra loro, ciascuna

con l’obiettivo di «fondare (…) una società in seno alla quale sono esclusi i rapporti di

dominazione e le relazioni di potere (…) e promuovere delle attività produttive per dare ai soci

dei mezzi di sussistenza, evitando che nascano tra di loro delle contraddizioni d’interesse»

(Partant, 1976, p. 211). In questo modo, la cooperazione e la complementarietà sarebbero

privilegiati, senza tuttavia soffocare la libertà d’impresa e di scambio.

Partant morì prima di vedere la pubblicazione del suo ultimo libro La Ligne d’Horizon (Partant,

1988), in cui l’autore approfondisce in modo critico i concetti di progresso e sviluppo.

2.2.4 – Decrescita. Dalla coniatura del termine alla conferenza di Parigi del 2002

Il termine decrescita viene definitivamente ufficializzato nel 1979 da Jacques Grinevald, in

occasione della traduzione francese di un trattato di Nicholas Georgescu-Roegen, intitolato per

l’appunto La decrescita (Georgescu-Roegen, 1979, titolo originale La Décroissance). Qui,

Georgescu-Roegen presenta la decrescita come una conseguenza inevitabile dei limiti imposti

dalle leggi della natura (Georgescu-Roegen, 1979, p. 41). La sua critica dimostra, da una parte,

che non è possibile ignorare il fatto che le risorse naturali siano presenti in quantità finita,

dall’altra che il progresso tecnologico, considerato nel suo insieme, non comporta una

riduzione dell’impatto sull’ecosistema, ma al contrario un aumento del consumo assoluto delle

risorse (Georgescu-Roegen, 1979, p. 79-80). Egli arriva a concludere che le leggi della

termodinamica, e in particolare la legge dell’entropia, decreteranno esse stesse una decrescita

inevitabile della produzione in termini fisici (Georgescu-Roegen, 1979, p. 88). Tuttavia, questo

non implica necessariamente una decrescita del prodotto mondiale lordo né, tantomeno, del

benessere delle persone.

Nel 1999, Vincent Cheynet e Bruno Clémentin, due intellettuali attivi nei circoli di pensiero

vicini al tema della decrescita, creano l’associazione Casseurs de pub (“Distruttori di

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pubblicità”), che muove una critica nei confronti della società dei consumi e ripropone l’idea

della Giornata del non acquisto creata dall’associazione canadese Adbusters.

Fino agli anni 2000, la decrescita è sempre stato un argomento di nicchia, riservato a pochi

interessati e a studiosi economici e politici, che ha faticato non poco a ritagliarsi spazi su

periodici e riviste non dedicati. La prima comparsa sotto i riflettori della scena mondiale può

ritenersi il 28 febbraio 2002, giorno in cui, nella sede dell’UNESCO a Parigi, Serge Latouche

promuove, col sostegno di Le Monde Diplomatique e de La Ligne d’Horizon,7 il convegno

internazionale Disfare lo sviluppo, rifare il mondo. Qui, sia illustri nomi nel panorama dei

teorizzatori della decrescita, come Ivan Illich e Serge Latouche, sia attivisti politici ed

economici, come Jean-Pierre Berlan, Aminata Traoré, Gilbert Rist e Jacques Grinevald,

espongono la loro critica al concetto di sviluppo e soprattutto al concetto di sviluppo

sostenibile.8 Contemporaneamente, la rivista ecologista Silence (2002) dedica un numero

speciale alla decrescita, nato dalla collaborazione tra Cheynet, Clémentin, Latouche e ROCADe,

la rete del doposviluppo.9

2.2.5 – Diffusione del tema della decrescita a livello mondiale. Contributi italiani

I temi proposti dai sostenitori della decrescita assumono sempre più rilievo sulla scena

mondiale: nel 2002 viene fondato l’Istituto degli Studi Economici e Sociali per la Decrescita

Sostenibile (IEESDS) con base a Saint Étienne, che organizza, nel settembre del 2003, un

secondo convegno internazionale dedicato alla Décroissance soutenable col sostegno

dell’associazione Casseurs de Pub (Laurès, 2003). In questa occasione viene presentato il

volume Objectif Décroissance (IEESDS, 2006). redatto da Michel Bernard (della rivista Silence),

Vincent Cheynet e Bruno Clémentin (dell’associazione Casseurs de Pub), col contributo, fra gli

altri, anche dell’italiano Mauro Bonaiuti. Dato l’enorme successo riscosso sia dalla

7 Associazione fondata da amici di François Partant nel 1988, anno successivo alla morte di questi. 8 In realtà i temi trattati sono stati decisamente di più ampio respiro. Per un resoconto dettagliato sugli argomenti oggetto del convegno, si veda Berlan, Bové, Brune, Illich, Latouche et al., (2005). 9ROCADe è l’acronimo di Réseau des objecteurs de croissance pour l'après-développement.

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pubblicazione del libro (ottomila copie vendute e tre ristampe in tre anni, come conferma

l’Istituto di Studi Economici e Sociali per la Decrescita Sostenibile (2006)) sia dal loro convegno,

lo stesso gruppo di ecologisti che ruota intorno alle riviste Silence e L’Écologiste, assieme al

movimento Casseurs de pub, preso atto del successo di pubblico, pubblica nel marzo del 2004

il primo numero della rivista bimestrale La Décroissance, interamente dedicata al tema della

decrescita. Tutto questo succedeva in Francia.

In Italia il tema della decrescita si è diffuso più lentamente. Il contributo maggiore è stato dato

senza dubbio da Maurizio Pallante, autore del libro La Decrescita Felice (2005), per molti

aspetti paragonabile a La scommessa della decrescita, la cosiddetta «bibbia» della decrescita10

scritta da Latouche (2006b, trad. it. 2007). Nel suo libro, Pallante espone con linguaggio chiaro

ed immediato i motivi per i quali un sistema basato sulla crescita non può essere definito

sostenibile, e presenta gli effetti benefici di semplici accorgimenti quotidiani che aiutano in

primo luogo a combattere l’inquinamento e lo sfruttamento dell’ambiente, ed in secondo

luogo ad alzare la qualità di vita delle persone. Pallante è divenuto ben presto uno dei massimi

esponenti sulla decrescita a livello nazionale, tanto da stimolare nel 2007 la creazione in Rete

del Movimento della Decrescita Felice, ispirato al suo pensiero. Esso si propone di aggregare le

esperienze di persone, associazioni e comitati, promuovendo la coordinazione a livello locale di

gruppi di individui che abbraccino l’ideale di decrescita. Pallante è sempre stato attivo nel

settore dell’ecologia, come testimoniano, tra gli altri, i suoi due libri L'uso razionale

dell'energia: Teoria e pratica del negawattora (Pallante & Palazzetti, 1997) e Un futuro senza

luce? Come evitare i black out senza costruire nuove centrali (Pallante, 2004), in cui porta

all’attenzione del lettore l’urgenza di ridurre gli sprechi energetici per un futuro veramente

sostenibile.

Anche Mauro Bonaiuti, economista e docente all’università di Modena-Reggio Emilia e

Bologna, ha contribuito alla prima diffusione della tematica della decrescita in Italia: non solo

10 Si veda «L’Écologiste», n.20, settembre-novembre 2006.

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ha partecipato alla stesura di Objectif Décroissance (tradotto in Italia col nome Obiettivo

Decrescita (Bonaiuti et al, 2004)), curando anche la versione italiana. Ha inoltre tradotto La

teoria bioeconomica. La “nuova economia” di Nicholas Georgescu-Roegen (2001) e, affascinato

dalle idee dell’economista rumeno, ha curato anche la versione italiana, due anni più tardi, di

Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile (Georgescu-

Roegen, 2003).

Ricordiamo infine Massimo Fini e Paolo Gabrini, fortemente interessati oltre agli aspetti

economici ambientali anche agli aspetti politici. Il primo, giornalista e scrittore, ha fondato il

Movimento Zero, un movimento culturale e politico che intende non solo diffondere le idee

del fondatore, «ma vivificarle e renderle il più possibile concrete con una partecipazione attiva

nella società italiana, e non solo, attraverso tutti gli strumenti a ciò idonei: manifestazioni,

incontri, dibattiti, mezzi di informazione, legami con altri gruppi che abbiano sensibilità e

finalità affini» (Movimento Zero, 2005). Paolo Gabrini invece è responsabile del debutto sulla

scena politica di un partito interamente votato ad ideali di decrescita. Esso si chiama Partito

Per la Decrescita (PPD), ed è stato fondato nel 2007.11 Finora si è definita la teoria della

decrescita come un filone di pensiero, un movimento. La decrescita, tuttavia, non si può

esaurire in una sterile trattazione utopistico-economica. Essa è molto più di un filone di

pensiero, poiché essa si propone come scopo primario l’azione pratica, cioè l’incidere sulla

società. Si parla infatti di società della decrescita per indicare una società «fondata sulla qualità

piuttosto che sulla quantità, sulla cooperazione piuttosto che sulla competizione, a un’umanità

liberata dall’economismo e avente come obiettivo la giustizia sociale» (Latouche in Bonaiuti et

al, 2004, p. 18).

11 Statuto ed idee guida del partito sono consultabili sul sito http://www.partitodecrescita.it (Gabrini, 2007)

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2.3 – I limiti della società di crescita

La società di decrescita ha come obiettivo immediato la contrapposizione alla società di

crescita: non ci si può addentrare quindi nella definizione del concetto di società di decrescita

senza avere ben presente le implicazioni che comporta una società improntata alla crescita.

Come Latouche stesso afferma, la “società di crescita” fu «sognata dai primi economisti nel

1750 e realizzata un secolo dopo con il sistema termoindustriale, con l’uso del carbone, del

motore a vapore e dopo con il petrolio. Il suo trionfo è la società dei consumi del secondo

dopoguerra» (Latouche, 2009a), e forte più che mai ai giorni nostri (vedi Figura II.1).

La società di crescita, anziché promuovere un

ideale di benessere, inteso generalmente come

uno «stato armonico di salute, di forze fisiche e

morali» (Devoto & Oli, 1990, p. 212) tende a

perseguire puramente uno sterile ideale di

crescita quantitativa di beni, lasciandosi

completamente assorbire da tale attività. La

società sembra così protesa solo verso «la

massimizzazione della crescita economica»

(Fotopoulos, 2002, p. 31). Latouche identifica in

questo sistema la presenza di un circolo vizioso,

che comporta necessariamente una crescita per non generare situazioni di crisi economica. Il

costo del capitale, infatti, presuppone il costante aumento del prodotto interno: un privato per

ripagare un prestito deve restituire anche gli interessi maturati, lo stesso dicasi per

un’obbligazione societaria. Un aumento della crescita economica produce inoltre «effetti al

rialzo sul tasso di interesse a lungo termine, in quanto fa alzare il tasso al quale occorre

scontare gli utili futuri» (CentroSim, 2010). Anche lo Stato nei suoi programmi di spesa

pubblica non rimane immune dal costo del capitale, basti solo pensare ai sistemi pensionistici:

Fonte: Immagine tratta dalla pubblicità di una

nota società di prodotti di informatica.

FIGURA II.1. Importanza della crescita nella società occidentale

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che siano a capitalizzazione o a ripartizione, essi presuppongono comunque degli aumenti del

tasso di interesse di mercato nel primo caso, o di una combinazione tra tasso di crescita della

forza lavoro e produttività media del lavoro, nell’altro.12

2.3.1 – Classificazione dei limiti della società di crescita

Secondo diversi studiosi simpatetici al tema della decrescita, una società basata sul paradigma

della crescita presenta seri limiti. Ne abbiamo individuati almeno cinque:

1. Limite entropico: secondo Nicholas Georgescu-Roegen (1979, p. 62) un limite

categorico è costituito dal secondo principio fisico della termodinamica, il quale

sancisce che in un sistema isolato l’entropia è una funzione non decrescente nel

tempo. Qualsiasi processo economico che produce merci fisiche diminuisce la

disponibilità di energia nel futuro e quindi la sua possibilità futura di produrre altre

merci. Si deve unicamente al sole la possibilità di avere un flusso di energia costante e

durabile nel tempo. Se così non fosse, l’intero sistema energetico del pianeta Terra, di

per sé chiuso, sarebbe stato sottoposto da tempo all’azione degradante ed

irreversibile dei processi entropici (Georgescu-Roegen, 1979, p. 43). Ma non solo: nel

processo economico, anche le risorse si degradano, 13 ovvero diminuiscono

tendenzialmente le loro possibilità di essere usate in future attività economiche. Una

volta disperse nell'ambiente, tali risorse prima concentrate in giacimenti circoscritti

possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura limitata ed a prezzo di

un alto dispendio di energia (Georgescu-Roegen, 1979, p. 70).

2. Limite fisico: Dennis e Donella Meadows, insieme a Jørgen Randers (1993, p. 70), sono

concordi nel riconoscere che vi sono limiti fisici al tasso secondo il quale capitale

industriale e popolazione possono impiegare materiali ed energia, e vi sono dei limiti al

12 Si veda a tal proposito Bosi (2010, p. 384). 13 Georgescu-Roegen (1979, p. 63) afferma che «anche la materia è sottoposta ad una dissipazione irrevocabile». Egli stesso riporta un’espressione emblematica di K.D. Wilson: «matter matters too» (Wilson, 1977, p. 293-313)

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tasso secondo il quale è possibile emettere rifiuti senza danneggiare gli esseri umani,

l’economia o i processi di assorbimento, rigenerazione e regolazione da parte del

pianeta. Ed in ogni caso esiste il limite invalicabile costituito dalla legge chimica della

conservazione della massa, secondo il quale «nulla si crea, nulla si distrugge»

(Lavoisier, 1789). Questa legge è riportata ormai in qualunque argomentazione a

favore di una società di decrescita, poiché chiude di fatto qualsiasi possibilità di

crescita illimitata nel tempo.

3. Limite alla felicità: Richard A. Easterlin (1974, p. 119) ha individuato un paradosso

sociale, chiamato appunto paradosso di Easterlin. Esso afferma che la correlazione

positiva tra reddito e felicità, effettuata in comparazioni all’interno dello stesso Stato,

«appare solo debolmente», e quindi non è affatto certo che una maggiore produzione

di beni generi uno stato di “benessere” sociale (la felicità) più elevato. Questo è

dovuto al fatto che i livelli di felicità sono legati all’aspettativa sociale dei cittadini, e

tale aspettativa è funzione del comportamento altrui e solo in parte dei beni prodotti

all’interno dello Stato. Non è necessario continuare a crescere economicamente per

aumentare la felicità delle persone appartenenti ad un sistema economico, anche

perché gli esseri umani soffrono di un limite di assuefazione.

4. Limite politico: François Partant (1976, p. 53) individua un limite ben diverso nella

società della crescita; esso, a suo avviso, è di natura più che altro politico-economica.

Come evidenziato nelle pagine precedenti, egli, in base alla sua esperienza africana tra

Congo, Madagascar e Tanzania, individua un sistema perverso di “aiuti umanitari”,

mirati più a imporre il proprio modello economico sugli indigeni piuttosto che a

garantire l’indipendenza degli stessi e l’uscita dalla situazione di miseria. La sua

convinzione è che la crescita, per essere benefica, debba essere alimentata all’interno

di un sistema economico, cioè debba essere per sua natura anarchica.

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5. Limite finanziario: Serge Latouche, infine, presenta un quinto limite del sistema, di

natura finanziaria. La spirale perversa provocata dalla relazione tra tasso di interesse e

crescita economica. Qualora tale nesso venga rallentato, le ripercussioni provocano

effetti a livello sistemico. Per evitare ciò, un regime di sovracrescita diventa necessario

se si vuole sottostare alla cosiddetta «dittatura dei tassi di crescita» (Latouche, 2006b,

trad. it. 2007, p. 28).

A causa di questi limiti, il momento in cui l’umanità intera dovrà arrendersi alla necessità di

abbassare i tassi di sfruttamento del pianeta è, secondo il rapporto commissionato dal Club di

Roma, sempre più vicino (Meadows et al., 1993, p. 72). Esso ha evidenziato come oggi la

società stia usando risorse e producendo rifiuti a tassi che non sono sostenibili (Meadows et

al., pp. 69-133).

2.3.2 – L’impronta ecologica. Esempi di sfruttamento irrispettoso dell’ecosistema

Questo può essere verificato anche con riferimento al concetto di impronta ecologica. Essa

viene definita come l’area totale degli ecosistemi terrestri ed acquatici richiesta sia per

produrre le risorse che una determinata popolazione umana consuma, dall’altra per assimilare

i rifiuti che la stessa popolazione produce. È stato recentemente calcolato (Pollard, 2010, p. 34)

che l’impronta ecologica globale attuale ha superato di circa il 50% la capacità naturale del

pianeta di rigenerare le risorse.14 Continuando di questo passo, si avverte che nel 2030

serviranno l’equivalente di due pianeti Terra per sostenere il nostro sviluppo senza gravare

sull’ecosistema.

14 L’impronta ecologica si misura in ettari globali (gha). Essi sono definiti come ettari con una media capacità di produrre risorse e di assorbire rifiuti. Nel 2005, l’impronta ecologica pro-capite mondiale (equivalente alla “domanda” mondiale di risorse) equivaleva a 2,7gha, mentre la biocapacità, cioè l’area produttiva mondiale (l’”offerta” mondiale di risorse) è pari solo a 2,1gha pro-capite.

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Un esempio più tangibile, per non ripetere quello ormai ridondante della foresta e dei campi

da calcio,15 è rappresentato dalla distruzione dei banchi di pesci, tema più che mai di attualità:

secondo una recente campagna di sensibilizzazione della FAO, «il pescato di cattura è

aumentato tanto da non lasciare più spazio per un'ulteriore espansione [del mercato]. Oltre il

50 per cento dei banchi di pesci del mondo è sfruttato al massimo delle capacità, il 17 per

cento risente di uno sfruttamento eccessivo e l'8 per cento è esaurito o sta recuperando da un

uso troppo intensivo» (FAO, 2009a). Il fatto triste è che questa situazione di impoverimento

ecologico non risale al 2009: già venti anni prima, il General Fisheries Council lanciava

l’allarme: «L’influenza delle attività umane sull’ambiente marino (…) è ritenuta motivo di

particolare, grave preoccupazione globale». Una «popolazione crescente, le attività turistiche,

agricole ed industriali stanno toccando (…) i settori legati alla pesca (…) per via di un prelievo in

larga misura incontrollato» (Caddy & Griffiths, 1990). Le popolazioni di Thunnus thynnus (il

cosiddetto “tonno rosso” utilizzato in Giappone per il sushi16) nel ventennio 1970-90 si sono

ridotte del 94% (Safina, 1991, p. 34). Un simile sterminio è stato reso possibile dal problema

che sorge per tutti i beni comuni (in questo caso rivali e non escludibili: si veda Bosi, 2010, p.

47), e cioè:

1. Il sovrasfruttamento. Essendo beni comuni, tutti partecipano al consumo e nessuno si

preoccupa della loro produzione e conservazione (Hardin, 1968, p. 1243);

2. La sopraggiunta scarsità del bene non riduce il processo di sfruttamento del bene da

parte della comunità.

Il primo punto corrisponde alla logica del “prendi, ma non paghi”, la stessa logica riscontrabile

durante il periodo della corsa all’oro negli Stati Uniti. Il secondo punto ha forti implicazioni a

livello economico, persino quando il bene comune viene venduto successivamente sul

15 Ogni due secondi viene distrutta un'area di foresta grande quanto un campo di calcio (Greenpeace, 2009). 16 Proprio il Giappone è il principale acquirente di tale pesce: ne consuma l’80% del totale (Ursic, 2010, p. 61).

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mercato. L’unica retroazione correttiva del mercato capace di segnalare la scarsità del bene si

esplicita sottoforma di un aumento di prezzo, ma questo non è sufficiente ad impedire il

depredamento del bene comune.

A titolo esemplificativo si pensi che, il 5 gennaio del presente anno, 232 kg di tonno rosso sono

stati valutati a Tokio ben 175.000$ (McDermott, 2010).17 Un prezzo così alto segnala scarsità

ma non produce un allarme ecologico. Infatti non spinge a risparmiare quella risorsa ma, al

contrario, «ha l’effetto pernicioso di incoraggiare una pesca sempre più intensa» (Meadows et

al., 1993, p. 223). Questo, a sua volta, va a scapito dei Paesi più poveri e delle persone che non

possono permettersi di fruire di una risorsa che, paradossalmente, è definita comune. Paul

Lunven denuncia: «È una tendenza allarmante, poiché essa indica il potenziale pericolo che

una quota crescente del pescato mondiale sia risucchiata verso le aree sviluppate con più

ampio potere d’acquisto… lasciando meno pesce là dove sarebbe molto necessario, nelle

regioni in via di sviluppo» (Lunven, 1982, p. 18).

Come si è dimostrato, fenomeni all’inizio riguardanti la sola sfera ambientale si ripercuotono

sovente anche a livello sociale. I loro effetti, come evidenzia Partant, sono evidenti, e risiedono

essenzialmente nel forte divario tra il livello di consumo dei popoli del Sud e quello dei popoli

del Nord, accusati di politiche neocolonizzatrici: si pensi che l’85% della ricchezza globale è

posseduta dal 10% delle persone più ricche del pianeta, mentre la metà più povera della

popolazione adulta mondiale si spartisce un misero 1% della ricchezza rimanente (Davies et al.,

(2007)). Con simili premesse, non c’è da meravigliarsi se, al mondo, oltre un miliardo di

persone sono costrette a vivere ogni giorno con un reddito inferiore ad un dollaro, come si

ritrova a fare il 46% della popolazione dell’Africa Subsahariana (United Nations, 2005a, p. 6).18

17 Ciò è conseguenza, tra gli altri fattori, della decisione (definita dagli ecologisti «una presa in giro») dell’ICCAT (Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni Atlantici) di permettere la cattura di 22.000 tonnellate di tonno: ben il 50% in più di quanto gli scienziati interni alla stessa ICCAT avevano previamente consigliato (Black, 2008) 18Il trend africano è in aumento di due punti percentuali rispetto al 1990, mentre quello dell’Asia è in forte diminuzione: nell’Asia del sud la percentuale di popolazione con un reddito pari o inferiore a un

Page 41: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

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2.4 – La critica al Pil

La critica che i teorizzatori della decrescita muovono con forza contro l’attuale sistema,

definito da essi per l’appunto «sistema di crescita» (Bouchard-Fortier, et al., 2007), non può

che riflettersi per traslazione sull’indice comunemente preso come riferimento per misurare la

ricchezza prodotta da un Paese: il Pil. La seguente sezione affronterà la critica a tale concetto.

Ci occuperemo inizialmente di individuare i limiti derivanti dall’utilizzazione esclusiva del Pil

per misurare la ricchezza di un Paese. Si passerà quindi ad esaminare diversi indicatori che

negli anni sono stati suggeriti come alternativi al Pil.

2.4.1 – Limiti del Pil

I limiti del Pil sono molti e oggi sono persino riconosciuti dallo stesso “sistema di crescita”.

Per esempio, il malcontento del Presidente della Repubblica Francese Nicholas Sarkozy,

insoddisfatto della capacità degli attuali indicatori statistici di riflettere coerentemente la

realtà sociale ed economica di un Paese, favorì nel 2009 il crearsi di una commissione,

chiamata Commissione per la misura della Performance economica e il Progresso Sociale

(CMEPSP), guidata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi,19 con lo scopo di:

identificare i limiti del Pil come indicatore di performance economiche e di progresso

sociale, comprendendo i problemi relativi alla sua misurazione;

valutare quali informazioni aggiuntive dovrebbero essere richieste per la produzione

di indicatori più significativi di progresso sociale;

verificare la fattibilità di strumenti di misurazione alternativi (Stiglitz, Sen, & Fitoussi,

2009, p. 7).

dollaro al giorno è diminuito di 10 punti percentuali, toccando il minimo del 30% nel 2005, mentre nell’Asia dell’est esso si è addirittura dimezzato, passando da 33 punti percentuali a 16,6 punti percentuali (United Nations, 2005a, p. 6). 19 Oltre a 22 altri collaboratori. Significativa la partecipazione a questo rapporto di 5 Premi Nobel per l’Economia: oltre ai già citati Stiglitz e Sen, hanno partecipato attivamente alla stesura del rapporto anche Kenneth Arrow, James Heckman e Daniel Kahneman.

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Il rapporto Stiglitz-Fitoussi-Sen

Nella premessa al loro rapporto, gli autori riconoscono che viene usualmente posta molta

enfasi sul Pil nonostante il prodotto nazionale netto (che prende in considerazione l’effetto del

deprezzamento) o il reddito familiare reale (che si concentra sul reddito reale delle unità

familiari nell’economia) possano essere più rilevanti (Stiglitz et al., 2009, p.8). Essi asseriscono

inoltre che «è assodato da tempo che il Pil è un indicatore inadeguato a quantificare il

benessere nel corso del tempo in particolare rispetto alle dimensioni economiche, ambientali e

sociali, alcuni aspetti delle quali possono essere definite come sostenibilità» (Stiglitz et al.,

2009, p.8, nostra traduzione).

Quest’inadeguamento ha forse una rilevanza maggiore di quella che si possa pensare: alcuni

tra gli studiosi implicati nel rapporto ritengono che una delle ragioni per cui l’attuale crisi

finanziaria ha colto molti di sorpresa risieda nell’inadeguatezza dell’attuale sistema di

misurazione e/o che gli attori del mercato e i dirigenti pubblici non abbiano utilizzato l’insieme

giusto di indicatori statistici (Stiglitz et al., 2009, pp.8-9). Secondo questi membri, né i sistemi

di rendicontazione pubblici né quelli privati erano in grado di fornire un allarme tempestivo e

non hanno avvertito gli attori economici del fatto che l’apparente brillante crescita

dell’economia mondiale tra il 2004 e il 2007 potesse essere ottenuta a spese della crescita

futura. Forse, ipotizzano gli studiosi, se si fosse potuto disporre di un migliore sistema di

misurazione, in grado di segnalare per tempo i problemi, i governi avrebbero potuto prendere

misure tempestive per evitare o almeno contenere l’attuale scompiglio. Parimenti, se ci fosse

stata una maggiore consapevolezza dei limiti dei metodi standard di misurazione, quali il Pil, ci

sarebbe stata meno euforia rispetto ai risultati economici degli anni precedenti la crisi (Stiglitz

et al., 2009, p.9).

La prima parte del rapporto enumera schematicamente i principali argomenti che mettono in

discussione la capacità del Pil di misurare correttamente il tenore di vita dei cittadini di uno

stato:

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1. Il Pil rappresenta il valore monetario dei beni e dei servizi finali prodotti nell’economia.

Questo esclude servizi gratuiti come il servizio di volontariato o la custodia dei bambini

che i nonni praticano sempre più spesso nei confronti dei loro nipoti.20

2. Sono noti diversi casi di esternalità positive e negative nella formazione del prezzo di

un bene, che ne impediscono una corretta valutazione da parte della società se

rivalutato ai termini di semplice prezzo di mercato (Stiglitz et al., 2009, p.21).

3. Miglioramenti della qualità di un prodotto ne provocano spesso un aumento di prezzo,

ma non necessariamente in modo proporzionato. Sottostimare questi miglioramenti

può portare a sovrastimare il tasso di inflazione (Stiglitz et al., 2009, p.22).

A questi tre limiti da loro trovati potremo aggiungerne sicuramente un quarto. Esso potrebbe

essere interpretato come un corollario del terzo:

4. Un sistema a prezzi costanti, che rapporta quindi il prezzo di ogni bene ad un anno

base, si trova in difficoltà nel misurare i beni appena immessi sul mercato.

Il più evidente limite del Pil

Ci soffermeremo ora ad analizzare il limite più ampiamente discusso del Pil. Tale limite,

individuabile ai punti 1 e 2 del rapporto Stiglitz-Fitoussi-Sen, risiede nel fatto che il Pil è un

aggregato di valori unicamente positivi di beni e servizi scambiati sul mercato. Le implicazioni

erano già state denunciate da Robert Kennedy, Presidente degli Stati Uniti d’America, durante

il discorso alla nazione del 18 marzo 1968, tenuto alla Kansas University. Egli affermava che

non è possibile

«misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del

Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il Pil comprende l'inquinamento

dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre

autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi

20 È stato recentemente calcolato che gli anziani, per il sostegno ai carichi familiari in quanto nonni e l’impegno in organizzazioni di volontariato, forniscono ogni anno una serie di servizi che, se contabilizzati, arriverebbero ad un ammontare massimo di 18,3 miliardi di euro, pari all’1,2% del Pil (De Sario, Sabbatini, & Mirabile, 2010, p. 121)

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che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la

produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il Pil non tiene conto della salute

delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro

momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei

valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei

rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra

saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò

che rende la vita degna di essere vissuta» (Kennedy, 1968).

Jean Gadrey e Florence Jany-Catrice (2005) sono della stessa opinione: «tutto ciò che può

essere venduto e che ha un valore aggiunto monetario, contribuisce a gonfiare il Pil e la

crescita, indipendentemente dal fatto che questo contribuisca o meno al benessere individuale

o collettivo». Essi aggiungono che «Nella formulazione di questo indicatore non sono

comprese numerose attività e risorse che contribuiscono al benessere, semplicemente perché

non sono di natura mercantile oppure perché non hanno un costo di produzione monetario

diretto» (Gadrey & Jany-Catrice, 2005, p. 18).

Anziché gioire ogni volta che il Pil aumenta o disperarsi ogni volta che il Pil diminuisce, quindi,

sarebbe bene indagare a fondo sulle cause che provocano l’aumento o la diminuzione del Pil

stesso. In effetti le contraddizioni sono molte: il Pil aumenta anche in seguito a catastrofi

naturali (Schiffmann, 2006), ma questo dato è difficilmente di consolazione ad un Paese

devastato da un’alluvione. Allo stesso modo, la chiusura coatta di attività di sfruttamento

irregolare del territorio o l’adozione di misure che permettano di ridurre gli incidenti

autostradali sono fattori di riduzione del Pil, ma a stento si potrebbe trovare qualcuno che,

misurando la qualità della vita, abbia da recriminare per una tale diminuzione. Su questa linea

critica, la decrescita ha costruito le sue argomentazioni.

Distinzione fra benessere e ben-avere in ambito micro- e macroeconomico

Il Pil in sé non è comunque criticabile: esso è un mero indicatore e rappresenta il valore dei

beni e dei servizi finali prodotti nell’economia in un dato periodo di tempo (Blanchard, 2009, p.

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39). La critica è invece rivolta all’utilizzo che ne viene fatto, e al travisamento di significato che

di esso si è creato negli anni. I teorizzatori della decrescita, infatti, sono convinti che l’ideologia

prevalente tenda ad equiparare i concetti di ben-essere e ben-avere, come risultato

dell’influenza della logica dell’accumulazione illimitata. 21 La differenza tra questi due concetti

è fondamentale per avere una piena comprensione della critica presa in esame. La definizione

di benessere in senso proprio è già stata data,22 quella di ben-avere è legata al possesso di beni

e pertanto può essere fatta coincidere con la capacità di acquisto del singolo.

Presupposto del ben-avere è un reddito elevato o un considerevole patrimonio personale. È

quindi corretto postulare che il Pil, se rapportato alla popolazione di uno Stato, misura più che

il livello di benessere il livello di ben-avere. Ma è concettualmente sbagliato affermare che più

è alto il Pil pro-capite di uno Stato, più è alto il livello di benessere dei cittadini, come fece,

errando, Jean Fourastié.23Anche Olivier Blanchard, fra gli altri, commette lo stesso errore: in

Macroeconomia (2009), nel capitolo dedicato alla crescita, si accinge a misurare il tenore di

vita proprio tramite il confronto del prodotto pro capite tra i paesi (Blanchard, 2009, p. 225-

227). La confusione tra ben-essere e ben-avere si manifesta nelle conclusioni della sezione

citata: secondo l’economista francese, «Ciò che conta per il benessere delle persone è il loro

livello di consumo» (Blanchard, 2009, p. 227).

Tale asserzione è diretta conseguenza dell’assunto, operato anche in ambito microeconomico,

che «più è meglio» (principio di non sazietà) (Varian, 2002, p. 42). Su questa ipotesi si basa la

costruzione di preferenze «well-behaved» che, come il nome stesso dice, costituiscono il punto

di riferimento per le basilari analisi microeconometriche. E sembra non possa essere

altrimenti: «L’economia non sarebbe un argomento molto interessante in un mondo nel quale

ognuno avesse saziato le proprie preferenze relative al consumo di ciascun bene» (Varian,

21Cfr. Latouche (2006b, trad. it. 2007, p. 44-59) ed Ellul (1998, p. 98). 22 Vedi sez. 2.3. 23 «Il livello di vita è misurato dal consumo di beni e servizi che possono essere valutati monetariamente, ottenuti cioè tramite salario o altre fonti di reddito che forniscono “potere d’acquisto”» (Fourastié, The causes of wealth, 1975, p. 17-18).

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2002, p. 42). Questo assunto, a detta di chi scrive, non andrebbe elevato a carattere generale.

Da qui infatti nascono i travisamenti, e si tende a considerare ogni indiscriminato aumento di

indicatori di consumo o reddito, come ad esempio il Pil, un miglioramento del benessere

generale.

Eppure uno degli stessi teorizzatori del concetto di Pil, Simon Kuznets (1934), aveva avvertito

nel suo primissimo rapporto al congresso degli Stati Uniti che «il benessere di una nazione può

a malapena essere arguito da una misura di reddito nazionale» (Kuznets, 1934, p. 7).

Blanchard, d’altra parte, conclude la sezione del capitolo dedicato alla crescita economica con

un interrogativo più che legittimo: un più alto tenore di vita è associato ad una maggiore

felicità (Blanchard, 2009, p. 227)? La risposta, in ottica di decrescita, è sicuramente negativa.

Correlazione tra benessere e ben-avere: un dibattito acceso da oltre 50 anni

È indubbio che un legame tra benessere e ben-avere, entro certi limiti, esiste. Il problema è

individuare questi limiti e riconoscerne la validità, evitando di ergere ad assioma generale

singole sfaccettature di un discorso di per sé molto articolato e delicato. Alex Inkeles (1960), in

un articolo pubblicato sull’American Journal of Sociology, fornisce una prima interpretazione di

questa relazione, asserendo che «quelli che stanno economicamente meglio, quelli cioè con

migliore istruzione o il cui lavoro richiede più allenamento o abilità, più spesso si riconoscono

felici, gioiosi, allegri, liberi da dolore, soddisfatti dell’andamento della propria vita. Anche se la

correlazione è debole o ambigua in alcuni casi, non c’è mai stato un singolo caso di inversione

di tendenza, ossia un caso in cui le rilevazioni della felicità siano inversamente correlate alle

rilevazioni dello status, in studi coinvolgenti quindici Paesi – almeno sei dei quali furono

studiati in due differenti occasioni, attraverso l’uso di domande in qualche modo differenti.

C’è, quindi, buona ragione per sfatare il mito del “povero noncurante ma felice”» (Inkeles,

1960, p. 17). A simili conclusioni, riporta Easterlin (1974, p.103), arrivano Bradburn (1969),

Robinson e Shaver (1969), Wilson (1967) e Gurin et al. (1960). La giustificazione dei risultati

ottenuti da Easterlin nei suoi studi, ossia una relazione tra felicità e Pil reale pro capite debole

Page 47: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

37

od inconsistente a livello di confronti internazionali viene fornita da James Duesenberry

(1952). L’economista americano suppone che l’utilità che una persona ottiene dal livello di

consumo è una funzione non del livello assoluto della spesa per il consumo, ma dal rapporto

fra la sua spesa corrente e quella delle altre persone.24 Un incremento del reddito di un solo

individuo farebbe aumentare la sua felicità, ma aumentare il reddito di ognuno lascerebbe

paradossalmente (secondo il paradosso di Easterlin) la propria felicità inalterata. Si noti come

nel Grafico II.1 manchi completamente una correlazione positiva tra il livello di felicità

personale ed il Pil reale pro capite. Si noti inoltre che i valori della felicità personale sono

compresi mediamente fra 4 e 5,5 a prescindere dal livello di Pil reale pro capite.

GRAFICO II.1. Relazione tra felicità personale e Pil reale pro capite

Elaborazione dati di Easterlin (1974, p. 106).

Easterlin stesso avverte però che questa interpretazione della realtà, seppure rimanga a suo

avviso generalmente «valida» (Easterlin, Does Economic Growth Improve the Human Lot?

24 Vedi anche (Layard, 2005, p. 45) e (Solnick & Hemenway, 1998).

CubaEgitto

IsraeleGiapponeYugoslaviaFilippine

Panama

Nigeria BrasilePolonia

India

Repubblica Dominicana

0

1

2

3

4

5

6

7

0 200 400 600 800 1000 1200

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Pil reale pro capite

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38

Some empirical evidence, 1974, p. 112), è estremamente semplificata, a causa del numero di

variabili che entrano in gioco.

Il mondo dell’economia ufficiale è profondamente diviso tra sostenitori della tesi portata

avanti da Easterlin (aumentare il reddito di una nazione non serve ad aumentare il livello di

felicità della stessa)25 e sostenitori della tesi opposta: dalla crescita economica consegue un

miglioramento della felicità delle persone. Il dibattito, scaturito dalla ricerca di Easterlin nel

1974, produsse la reazione tra gli altri di Michael Hagerty e Ruut Veenhoven (2003), i quali

accusarono Easterlin di mancanza di completezza nelle sue analisi (Hagerty & Veenhoven,

2003, p. 2). Essi fornirono dati che mostravano chiaramente un aumento della felicità man

mano che il reddito del Paese aumentava (Hagerty & Veenhoven, 2003, p. 10-12).

La risposta di Easterlin fu rapida: nel 2004 egli ribatté che i risultati ottenuti dai due ricercatori

erano il frutto di rilevazioni appartenenti a due set di campioni differenti. Egli ricordò loro che

è imprudente sottovalutare gli effetti distorsivi generati dall’assimilazione di basi campionarie

non omogenee, e mostrò come questa scelta aveva influenzato tutti i loro risultati, i quali, se

riformulati in base a dati corretti, al contrario avvaloravano quanto Easterlin stesso aveva

affermato trent’anni prima (Easterlin, 2004, p. 4 e 5). Nella controversia si sono inseriti di

recente anche i ricercatori Betsey Stevenson e Justin Wolfers (2009). Essi, forti di dati più

recenti e più completi (Stevenson & Wolfers, 2009, p. 3), hanno rivalutato l’idea che il reddito

influenza positivamente la felicità delle persone, senza riuscire però a spiegare come mai i

cittadini statunitensi, dal 1972 al 2006, abbiano sofferto, a fronte di un raddoppiamento del Pil

reale pro capite,26 addirittura di un calo del livello di felicità (ibidem, p.58). La ricerca più

recente, fatta da Ed Diener (2010), mostra invece che il reddito (assieme al patrimonio) è una

misura abbastanza forte della soddisfazione della propria vita, ma un indicatore molto più

debole dei sentimenti negativi o positivi di una persona.

25 Da qui deriva la più profonda domanda “la crescita serve a migliorare l’umanità?” cfr. Easterlin (1974). 26

Fonte: US Bureau of Labour Statistics.

Page 49: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

39

Come si può notare, il dibattito in parte è alimentato a causa della difficoltà di definire cosa sia

a livello pratico il benessere umano. Il confronto tra sostenitori e detrattori del paradosso di

Easterlin è destinato a perdurare, senza probabilmente mai arrivare a conclusioni

universalmente accettate.

2.4.2 – Alternative al Pil

Il rapporto Stiglitz-Fitoussi-Sen (2009) suggerisce quattro misure per meglio fotografare il

livello di benessere di una nazione:

1. Tenere conto di aggregati che mostrino valori netti e non lordi;

2. Migliorare la misurazione empirica di attività chiave, come la fornitura di servizi

sanitari e di educazione;

3. Mettere in evidenza la situazione familiare, che più si presta a considerazioni sugli

standard di vita;

4. Considerare congiuntamente il reddito, il consumo ed il benessere;

Tenere conto di aggregati di valori netti

Il primo punto prevede di utilizzare innanzitutto aggregati di conti pubblici diversi dal Pil, che

siano in grado di tenere conto dell’ammortamento del capitale e dei valori netti dell’attività

economica piuttosto che di quelli lordi. Una prima, immediata alternativa al Pil potrebbe

quindi essere costituita dal Prodotto Interno Netto (Pin). Esso tiene presente del fatto che, se

un notevole quantitativo della produzione viene destinato al rinnovo di capitale industriale, i

beni ed i servizi finali scambiati sul mercato saranno inferiori. Il motivo per cui il Pin non è mai

stato preso in seria considerazione risiede nella non immediata quantificazione

dell’ammortamento. Inoltre, se la struttura di produzione rimane costante, Pin e Pil hanno

andamento uguale. Gli studiosi fanno però notare che recentemente la struttura di produzione

è cambiata: l’importanza che ha assunto in questi anni il settore IT ha provocato un più rapido

Page 50: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

40

processo di ammortamento del capitale, costituito in misura crescente da software e

computer (Stiglitz et al., 2009, p.24).

Pertanto, il Pin è ultimamente cresciuto a tassi più contenuti del Pil.

Diversi tentativi sono stati fatti di includere nel processo di deprezzamento del capitale i danni

ambientali provocati dal processo produttivo, ma finora senza scarsi risultati, a motivo di una

valutazione dei cambiamenti della qualità dell’ambiente non oggettiva né monetaria. I

ricercatori ipotizzano una sottrazione del valore delle materie prime come legno e metalli dai

valori di produzione di segherie e centri di estrazione per tenere conto dei danni causati

all’ambiente dall’attività mineraria e di disboscamento.

Un altro indicatore che si trova nella moderna contabilità è il reddito netto nazionale

disponibile, la cui importanza non dev’essere sottovalutata. Esso include il reddito prodotto

all’estero da cittadini nazionali ed esclude il reddito prodotto da cittadini stranieri. Esso è

simile al Prodotto nazionale netto, ma mette al centro i singoli cittadini al netto dell’intervento

dello Stato. In questo modo si è in grado di conteggiare anche gli effetti prodotti dalla

globalizzazione, tramite l’analisi della Bilancia Commerciale e del tasso di cambio.

Migliorare la misurazione dei servizi

Nel secondo punto viene ricordato che i due terzi della produzione e dell’occupazione di uno

Stato vengono forniti dal settore dei servizi. È però richiesto uno sforzo maggiore per definire

la qualità e la quantità degli stessi. Per analizzare la spesa per la sanità, essa deve essere scissa

in costo del servizio e risultato ottenuto. Si rileva anche in questa sede la presenza di fattori

non monetari che possono influenzare lo status delle persone: ad esempio, nel settore

dell’istruzione, la presenza dei genitori che aiutino il bambino a studiare influisce sulla sua

preparazione, mentre uno stile di vita corretto allunga la speranza di vita dell’individuo.

Attribuire cambiamenti nel campo dell’educazione o dell’istruzione unicamente a fattori

monetari potrebbe essere fuorviante (Stiglitz et al., 2009, p.26).

Page 51: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

41

Esaltare la situazione familiare degli individui

Nel terzo punto si consiglia di mettere in evidenza la situazione reddituale familiare degli

individui, la quale può essere calcolata con metodologie simili a quelle utilizzate per misurare

la situazione economica generale. Qui la differenza maggiore è che i cittadini pagano le tasse,

ottenendo in cambio dei trasferimenti e/o usufruendo della possibilità di godere di

agevolazioni e servizi gratuiti forniti dallo Stato. Mentre è facile aggiungere o sottrarre l’entità

dei trasferimenti di denaro presenti sottoforma di tasse ed agevolazioni, non è altrettanto

semplice includere i trasferimenti di natura non monetaria che lo Stato opera nei confronti dei

cittadini, come le prestazioni di natura sanitaria o dell’istruzione. Il rapporto evidenzia come

due famiglie con reddito e patrimonio uguale possono comunque avere due livelli di vita

diversi, a seconda che i genitori lavorino entrambi (e quindi debbano pagare baby-sitter e colf)

o che uno solo lavori, permettendo al coniuge di occuparsi delle faccende domestiche.

Considerare congiuntamente il reddito, il consumo ed il benessere

Nel quarto punto si sostiene che reddito, consumo e benessere sono interdipendenti l’uno

dall’altro, e come tali devono essere raffigurati. I flussi di reddito sono certamente importanti

per avere una prima valutazione dello standard di vita, ma forse più che il reddito conta il

consumo nel tempo. Il fattore temporale chiama a sua volta in causa il patrimonio: è per

questo motivo che una famiglia di basso reddito con alto patrimonio sta meglio di una famiglia

a basso reddito con basso patrimonio. Lo stesso discorso, secondo gli studiosi, dovrebbe

essere applicato anche al sistema economico (Stiglitz et al., 2009, p.29). Per meglio

comprendere cosa succede all’interno di un sistema economico, bisogna considerare

ugualmente cambiamenti a livello patrimoniale. Purtroppo anche in questo caso si ripropone il

problema di misurare la parte di patrimonio non monetaria. La più importante di tutte, almeno

in ambito familiare, è costituita dal capitale umano.

Page 52: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

42

Gli indicatori alternativi al Pil come misura del benessere nazionale potrebbero quindi essere

molteplici, ma tutti soffrono per non essere facilmente quantificabili.

Ulteriori indici alternativi al Pil

L’Indice di benessere economico sostenibile (ISEW) è stato ideato nel 1989 Herman Daly e John

B. Cobb (1989). Esso consiste in una lista di indicatori economici, sociali ed ambientali, espressi

in valore monetario, che fornisce un indice integrato di benessere economico. Partendo dal

consumo privato (direttamente connesso al benessere), aggiustato sulla base di un indice di

distribuzione del reddito, le voci che sono considerate positive per il benessere (servizi dal

lavoro domestico, dai beni durevoli, dalla rete viaria, ecc.) sono aggiunte, mentre quelle che

incidono negativamente su di esso (spese difensive, ovvero spese di ripristino di condizioni

precedenti, depauperamento del capitale naturale, uso di risorse non rinnovabili, effetto serra,

ecc.) vengono sottratte dall’ammontare totale (Tiezzi & Pulselli, 2007, p. 1). Per il calcolo

dell’ISEW, si cerca di incorporare nella valutazione economica anche manifestazioni sociali o

ambientali rilevanti.

Un altro utile indicatore basato sull’ISEW è rappresentato dall’Indice di Progresso Genuino, o

GPI. Quest’indice, appena fu sviluppato nel 1995, riscosse subito i consensi di circa 400 noti

economisti, i quali, dopo aver affermato che il Pil rappresenta «una misura sia inadeguata sia

fuorviante della reale prosperità», concludevano che «Urgono nuovi indicatori di progresso per

guidare la nostra società… ed il GPI è un importante passo in questa direzione» (Colman, 2001,

p. 4).27 Esso parte dagli stessi dati di consumo personali sui quali si basa il GDP, ma poi esegue

alcune cruciali distinzioni. Si aggiusta infatti per fattori come distribuzione del reddito,

aggiunge fattori come la cura dei bambini, le faccende domestiche delle casalinghe, il valore

27 Alcuni tra gli economisti che sottoscrissero quest’affermazione sono Robert Dorfman, Professore Emerito all’università di Harvard; Herbert Simon, Premio Nobel per l’Economia, 1978; Partha Dasgupta, università di Oxford; Robert Eisner, ex presidente dell’Associazione Americana dell’Economia; Mohan Munasinghe, Presidente della Politica Ambientale e della Divisione di Ricerca della Banca Mondiale; Emile Van Lennep, ex segretario generale dell’OCSE.

Page 53: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

43

del tempo libero e del lavoro volontario; sottrae fattori come il costo del crimine, dei rifiuti e

dell’inquinamento (GPIAtlantic, 2007a).

In Bhutan nel 1972 è stato ideato un altro indicatore, che misura la Felicità Interna Lorda, o

GNH. La teoria sottostante alla GNH è semplice: la crescita economica non è un fine in sé ma

un mezzo per raggiungere altri obiettivi, come pace, sicurezza sociale, un benessere ed una

felicità più elevati. Med Yones, Presidente dell’Istituto Internazionale di Gestione, ha

individuato sette aree di sviluppo socioeconomico. La Felicità Interna Lorda risulta così un

indice composto che è funzione della media totale pro capite delle seguenti misure:

1. Benessere economico: risultante sia dalla misurazione di parametri economici come la

distribuzione del reddito e l’indebitamento del cittadino, sia da sondaggi diretti;

2. Benessere ambientale: risultante da sondaggi diretti e misurazione statistica di

parametri ambientali come inquinamento, rumore e traffico;

3. Benessere fisico: risultante da misurazione statistica di parametri di salute fisica come

peso corporeo e malattie;

4. Salute mentale: risultante da sondaggi diretti e misurazione statistica di parametri di

salute mentale come utilizzo di antidepressivi e aumento o declino di pazienti in

psicoterapia;

5. Benessere sul posto di lavoro: risultante da sondaggi diretti e misurazione statistica di

parametri di lavoro come richieste di lavoro, cambi di lavoro, rimostranze sul posto di

lavoro e cause intentate ai datori di lavoro o ai dipendenti;

6. Benessere sociale: risultante da sondaggio diretto e misurazione statistica di parametri

sociali come discriminazione, sicurezza, tasso di divorzio, lamentele di conflitti

domestici, processi familiari e/o pubblici, tasso di criminalità;

7. Benessere politico: risultante da sondaggio diretto e misurazione statistica di parametri

politici come la qualità della democrazia locale, libertà individuale e conflitti con

l’estero (Yones, 2006).

Page 54: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

44

In Cina è stato ideato il Pil verde, il quale, similmente agli altri indicatori alternativi al Pil, tiene

conto delle conseguenze ambientali dello sviluppo economico (Lazzarini, 2004). Da questo

indicatore risulta che i danni complessivi causati dall’inquinamento hanno prodotto nel 2004

danni per oltre 60 miliardi di euro, una cifra pari al 3% del Pil cinese dell’epoca (Xiaohua, 2007).

Interessante l’esperimento operato in Québec: qui, un gruppo di persone ha collaborato

attivamente con la classe politica locale negli anni 1997-1999, arrivando a definire il cosiddetto

Prodotto Interno Dolce (Pid). Esso è piuttosto un “integratore” del Pil, ed è definibile come

«l’insieme dei contributi non monetari, che partecipano alla ricchezza umana e collettiva»

(Labrie, 2001). Si è poi cercato di classificare le attività della vita quotidiana nel Pil o nel Pid.

Per esempio, le cure dei pazienti in ospedale sono conteggiate nel Pil. Prendersi cura di un

paziente a casa invece no, ma attraverso quantificazioni differenti si è riusciti ad includere

questo valore non monetario nel Pid. È risultato che molti artisti contribuivano ad aumentare

sensibilmente il valore del Pid e solo in minima parte il Pil. Una buona parte del contributo alla

ricchezza da parte delle donne, dei disoccupati, dei bambini si misurava in termini di Prodotto

Interno Dolce (Labrie, 2001). Secondo questa prospettiva, persino una persona povera,

disoccupata o sottopagata può contribuire al miglioramento del livello di vita della comunità.

Ricordiamo infine che un ulteriore indice è in fase di elaborazione: si tratta dell’Indice

Canadese di Benessere (CIW). Esso sarà il frutto di una collaborazione di esperti provenienti da

tutto il Canada.28 Questo indice, quando troverà applicazione, si baserà su misure verificabili e

pubblicate regolarmente. Integrerà la comprensione della realtà economica del Canada con

informazioni che spaziano dalle iniziative di prevenzione per la salute, dalla purezza dell’aria e

dell’acqua, dall’educazione dei bambini e altri determinanti di una nazione sana (GPIAtlantic,

2007b).

28L'iniziativa è guidata, tra gli altri, dal Dr. Ron Colman, direttore esecutivo di GPI Atlantic, Roy Romanow, esperto in misure di sostenibilità, benessere e qualità della vita, i maggiori leader politici, statistici, operanti nel settore del volontariato ed esperti di comunicazione.

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45

Capitolo 3:

Biografia di Latouche

3.1 - Introduzione

Dopo aver presentato le caratteristiche salienti della teoria della decrescita, i fondamenti della

critica alla società di crescita e all’utilizzo del Pil come misura del benessere di una nazione, ci

occuperemo in questo capitolo di stilare una biografia di Serge Latouche, lo studioso che più di

ogni altro è stato in grado di diffondere il tema della decrescita all’interno dell’accademia e

soprattutto al di fuori di essa. Prenderemo in esame lo studio che egli ha compiuto, le persone

che lo hanno formato, i viaggi e le esperienze che lo hanno segnato. La nostra ricerca non è

stata esente da complicazioni, prima fra tutte l’assenza di informazioni precise su alcune tappe

fondamentali della sua vita, come il nome dell’università in cui egli si è laureato ed il contenuto

della sua tesi. Significativa in tal senso è l’assenza totale di riferimenti alla vita di Latouche nel

Palgrave Dictionary of Economics (2009), nell’Enciclopedia Britannica (2010) e persino nella

raccolta di biografie Who’s Who francese (2010).1

Si fornirà una prima suddivisione della sua vita in tre tappe: l’età giovane, l’età adulta e l’età

matura. Ogni fase verrà ripercorsa da una sezione dedicata. Le ragioni di questa suddivisione

verranno approfondite nel capitolo successivo, ma già da ora si può anticipare che questa

1 Derisoria sembrerebbe in particolar modo l’intestazione del Who’s Who: «Dizionario biografico di coloro che contano in Francia» (Who’s Who, 2010).

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classificazione è funzionale a racchiudere l’ideologia di Latouche all’interno di tre modelli di

pensiero differenti, presentanti al loro interno caratteristiche comuni.

Nell’ultima sezione, infine, si riporterà l’attività di Latouche come parte attiva in associazioni,

gruppi di ricercatori e come protagonista di numerosi convegni.

3.2 – Il giovane Latouche e l’esperienza africana

Serge Latouche nasce il 12 gennaio 1940 a Vannes, una città situata nell’ovest della Francia

sulla costa sud della Bretagna. Finita la scuola dell’obbligo, decide di proseguire gli studi a

Parigi (Latouche, 2005b), iscrivendosi nel 1957 alla facoltà di scienze politiche (Latouche,

2010a, p. 1). Tuttavia, prima di laurearsi decide di partire, nel 1964, per l’allora Congo Belga.

Qui, prima di completare la tesi esordisce nell’insegnamento alla Scuola Nazionale di Diritto e

di Amministrazione della capitale Léopoldville. 2 Soprattutto il primo periodo fu

particolarmente duro per il giovane Latouche, trovandosi «solo in mezzo a sconosciuti in un

paese (già) dilaniato dalla guerra civile» (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 27). Lo scenario era

quello della guerriglia urbana organizzata da Mobutu Sese Seko, allora capo di Stato maggiore

dell’esercito, contro Joseph Kasavubu, Capo dello Stato privo però di potere effettivo.

Il primo contatto con la realtà locale fu quello di una profonda povertà, unita a situazioni di

assoluta miseria: donne costrette a lavarsi in acquitrini paludosi, capanne costruite con argilla

compattata e tetti di paglia. Latouche constatò con rammarico che, in tanti anni, le condizioni

della popolazione locale non erano affatto migliorate. L’Africa che Latouche aveva di fronte

agli occhi era la stessa Africa d’inizio secolo, cioè l’Africa subalterna e persino dominata

dall’Occidente. Già Pietro Savorgnan di Brazzà nella sua spedizione in Africa del 1903

denunciava i soprusi dei colonizzatori europei nei confronti degli indigeni (Encyclopædia

2 La toponomastica di questo paese ha subito varie rivoluzioni. Dal 1966 per volere del Capo dello Stato

Mobutu Sese Seko, i luoghi geografici nazionali con nomi di derivazione straniera vennero ribattezzati con nomi appartenenti alla lingua locale. Léopoldville divenne così l’attuale Kinshasa e il Congo Belga fu rinominato Zaire. Nel 1997 in seguito ad una guerra civile che costrinse Mobutu Sese Seko all’esilio in Marocco, lo Zaire prese il nome di Repubblica Democratica del Congo, tuttora vigente (fonte: Wikipedia).

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Britannica, 2010b). La stessa «Africa ambigua» (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 27) è

raccontata dalla spedizione etnografica compiuta da Marcel Graiule e descritta da Michel Leiris

trent’anni dopo (Encyclopædia Britannica, 2010a). Non diversa fu l’Africa che Emmanuel

Mounier ebbe modo di conoscere bene durante la Seconda Guerra Mondiale. Il pensiero di

quest’ultimo sembra attagliarsi bene all’impostazione che Latouche inizia a sviluppare durante

il suo soggiorno: «Sfortunatamente, sotto pretesto di sfruttamento razionale del globo,

l’imperialismo capitalista si è precipitato sul lavoro a buon mercato, sulle materie prime

abbondanti e sui nuovi sbocchi commerciali, a tutto vantaggio della maggior prosperità dei

profitti e senza considerazione per i diritti dei primi occupanti» (Mounier, 1936, p. 132).

Il giovane Latouche si convince, durante il suo soggiorno in Congo, che la colpa di tanta miseria

è da attribuirsi allo sfruttamento della popolazione indigena esercitata dalla logica capitalista

occidentale. Da questa certezza, rivelatasi in seguito (a suo parere) più che infondata, nasce la

sua iniziale simpatia verso il sistema economico marxista; questo lo porterà nel 1966 ad

ultimare la tesi di dottorato dal titolo La pauperisation à l’échelle mondiale (Latouche, 1966),

un elaborato di stampo marcatamente socialista. Come lo stesso economista francese

racconta, infatti, (Latouche, 2006a), egli conclude il suo elaborato con una vibrante arringa in

favore di uno sviluppo pianificato che permetta un’accumulazione del capitale più rapida

possibile, attuabile attraverso un rapido miglioramento della tecnologia. Latouche auspicava,

con questo suo lavoro, che i paesi del sud del mondo recuperassero il prima possibile il divario

tecnologico presente rispetto ai paesi del Nord utilizzando le tecniche più sofisticate, come già

stava facendo l’Algeria di Boumédienne.

Da lì a qualche anno, la coscienza di Latouche circa la politica dello sviluppo cambierà

ulteriormente, al punto da arrivare ad affermare di aver redatto la sua tesi di dottorato

durante un periodo di «schizofrenia» (Latouche, 2006a). Motivo di questo grande distacco da

ricerche che egli stesso ha compiuto in gioventù è senza dubbio il tema dominante del suo

elaborato, che si dilungava in un’invettiva a favore di un particolare sistema di crescita, nello

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48

specifico il marxismo. Secondo Latouche, infatti, per risolvere il problema del sottosviluppo al

Sud era necessario ricorrere all’adozione di un sistema economico di impronta marxista.

Questo avrebbe permesso alle popolazioni locali di staccarsi dalla dominazione del Nord e di

dar vita ad un sistema economico autonomo e prosperoso, la cui crescita sarebbe stata

garantita dal ricorso ad una rapida modernizzazione, grazie all’apporto della tecnologia nel

ciclo della produzione. Sostenere l’adozione di un sistema di crescita (il marxismo) per risolvere

i problemi causati da un altro sistema di crescita (il capitalismo) andrà in direzione contraria

rispetto ai suoi studi futuri.

Una ulteriore tappa importante della sua formazione può essere identificata nel periodo che

egli passò nel Sud-est asiatico nel 1966, alla conclusione del suo dottorato. Latouche rimase in

Laos per due anni ad insegnare presso l’Istituto Reale di Diritto e di Amministrazione di

Vientiane, la capitale, aiutando allo stesso tempo ad organizzare la contabilità nazionale

(Latouche & Ruzzenenti, 2005, p. 1). Durante questo periodo egli entrò in contatto,

rimanendone profondamente colpito, con un’«altra» società (Latouche, 2008b, trad. it. 2009,

p. 31), che non poté inquadrare né come sviluppata né come sottosviluppata. Essa venne

pertanto definita dall’economista francese come a-sviluppata, ossia fuori dal concetto stesso

di sviluppo, il quale nella civiltà occidentale appare imprescindibile. Le comunità del villaggio

del Laos, infatti, come Latouche poté constatare, basavano parte della loro alimentazione sul

consumo di un riso appiccicoso da loro coltivato, e i contadini, dopo averlo seminato, lo

ascoltavano crescere, poiché, finita la semina, non rimanevano loro altri compiti da svolgere.

Le comunità approfittavano così del resto del tempo per dedicarsi alle feste, alla caccia e ad

altre attività (Latouche, 2006a).

Questa realtà scosse profondamente il giovane Latouche, al punto da dare avvio ad una crisi di

fede nell’economia, nella crescita e nello sviluppo, fino ad arrivare molto più tardi ad una

perdita di fede completa (Latouche, 2006a). Agli occhi di chiunque in Occidente, il

comportamento dei contadini asiatici sarebbe parso sconsiderato. Avrebbero potuto dedicare

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49

una parte considerevole del loro tempo libero per costruire capanne migliori, per allargare i

raccolti, per migliorare gli attrezzi da semina, ma ciò non avveniva, non per impossibilità

economica, ma perché essi non lo avvertivano nella loro scala di valori come necessario.

Latouche si rese conto che quella società “produceva” beni che «siamo sempre meno capaci di

fabbricare»; non beni economici, ma beni puramente immateriali, riassumibili con la parola

«gioia di vivere» (Latouche, 2007d, p. 3). Egli notò infatti che le popolazioni locali

sopravvivevano non tanto per merito degli aiuti economici dell’occidente, ma grazie alla

solidarietà, mettendo in comune il poco che essi avevano a disposizione. Essi riuscivano a

produrre ricchezza perché tra loro era presente una grandissima ricchezza relazionale. Fu

questo l’incipit che gli diede l’orientamento su ciò che sarebbe potuta essere un’“altra”

crescita, o meglio, un’uscita dalla crescita stessa, con meno beni materiali e più beni capaci di

suscitare la «gioia di vivere» (Latouche, 2007d, p. 3). Allo stesso tempo, Latouche iniziò a

maturare dei convincimenti critici su quello che stava per succedere e che sta succedendo a

tutt’oggi: lo sviluppo rischia di distruggere questa ed altre società, e con esse il loro modello di

benessere collettivo, «di arte di vivere, a volte raffinata, relativamente sobria, ma comunque in

equilibrio con l’ambiente naturale» (Latouche, 2006a).

Si può dire quindi che il soggiorno in Laos cambiò nettamente il giudizio di Latouche

sull’importanza dell’economia nella vita di uno Stato. Ciò ebbe ripercussioni quando, una volta

tornato in Francia nel 1967, venne assunto dall’università di Lille come docente di filosofia ed

epistemologia economica. Qui, forte dell’esperienza maturata, insegnò una “decostruzione

critica” dell’economia politica, ivi compresa quella leninista, ritenuta troppo incline nel

promuovere un’accumulazione del capitale di stampo occidentale. Una simile libertà di critica

e di insegnamento fu resa possibile grazie al fatto che la maggior parte dei professori era

partita per Parigi (dove andrà anch’egli ad insegnare qualche anno più tardi), lasciando

Latouche libero di organizzare i corsi come meglio riteneva (Latouche, 2006a). Il suo pensiero

fu il frutto di diversi anni di riflessione incentrata sul campo dell’antropologia economica, in

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50

cui, anche durante l’insegnamento all’università di Nanterre, egli criticò duramente l’homo

œconomicus come emerge dai lavori di John Stuart Mill (1936, p. 7) e di Adam Smith (1986, p.

119). Tale critica prendeva vantaggio dallo studio di autori come Karl Polanyi (1944), Marshall

Sahlins (1976) e Marcel Mauss (1923-1924). Durante questo approfondimento, Latouche si

rese conto che l’antropologia economica che emergeva dalle sue lezioni toccava una realtà

sociale totalmente estranea agli economisti del tempo. Al contrario, egli era fermamente

convinto che un tale approccio non poteva essere ignorato dai suoi colleghi economisti, i quali

furono chiamati a mettere in discussione le proprie convinzioni. A tal proposito pubblicò i due

libri Epistémologie et économie: Essai sur une anthropologie sociale freudo-marxiste (Latouche,

1973)3 e Le Projet marxiste: Analyse économique et matérialisme historique (Latouche, 1975)4,

attraverso i quali chiarì la sua posizione filomarxista.

Il Latouche che pubblicò il libro chiamato Critique de l'impérialisme: une approche marxiste

non leniniste des problemes theoriques du sous-developpement (Latouche, 1979) era un

Latouche profondamente diverso da quello che, poco più di vent’anni prima, aveva messo

timidamente piede in terra africana. Forte della sua esperienza in Congo ed in Laos e delle

riflessioni che aveva compiuto negli anni seguenti, egli operò un’importante distinzione tra la

matrice marxista e quella leninista del socialismo, criticando profondamente la seconda. Essa

venne accusata, dall’economista francese, di essere per troppi versi simile al sistema a cui si

contrapponeva, ossia il capitalismo. Una politica economica imperialista era indubbiamente un

tratto capitalista tuttavia il leninismo non era scevro di un’attitudine che prevedesse lo

sfruttamento sistematico di altre popolazioni ai fini dello sviluppo interno. Ciò non era più

conciliabile con il pensiero di Latouche dopo l’esperienza africana.

3 Pubblicato nella sola versione francese. 4 Pubblicato in spagnolo nel 1976 ed in portoghese nel 1977.

Page 61: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

51

3.3 – Il Latouche adulto: le prime critiche al sistema di crescita

Il Latouche adulto attenuò quindi l’interpretazione tout court marxista i concetti canonici di

sviluppo e sottosviluppo in ottica terzomondista, mostrando i pericoli di una progressiva

distruzione delle altre culture attraverso l’imporsi di una cultura esterna, quella dell’occidente

(Latouche, 2006a). Egli trovò piena corrispondenza tra le sue idee e quelle di Ivan Illich, che

divenne per lui ben presto come un «maestro» (Latouche, 2009b). Anche se ebbe poche

occasioni di vedere Illich di persona (tre sole volte, prima della morte di Illich il 2 dicembre del

2002), egli prese comunque parte in quella che definì «una piccola massoneria internazionale»

(Latouche, 2006a) che ruotava attorno a discepoli o ex-studenti di quest’ultimo, ossia i francesi

Jean Robert e Jean-Pierre Dupuy, il tedesco Wolfgang Sachs, l’iraniano Majid Rahnema ed il

messicano Gustavo Esteva (Latouche, 2007d, p. 1). Tutte queste persone condividevano la

denuncia dell’illusione creata dallo sviluppo e dell’opulenza. A tale denuncia contrapposero

una forte cultura dell’ecologia, attenta agli sprechi della società, sottolineando i quattro limiti

ecologici del pianeta nel suo insieme.

Nel 1982 entra a far parte del comitato di redazione della rivista L’homme et la société. Nello

stesso anno partecipa alla fondazione del M.A.U.S.S. (Movimento Anti-Utilitarista delle Scienze

Sociali), movimento creato in omaggio a Marcel Mauss, antropologo francese deceduto a

Parigi trent’anni prima. Le idee di Mauss verranno riprese ed ampliate da pensatori quali, oltre

allo stesso Latouche, Alain Caillé, professore di sociologia all’Università di Caen (poi a Paris X,

Nanterre), Patrick Viveret, filosofo francese, e Gérald Berthoud, docente di antropologia

all’Università di Losanna. L’anti-utilitarismo portato avanti dal M.A.U.S.S. consisteva nel fermo

rifiuto della corrente economico-filosofica fondata da Jeremy Bentham (1776), il quale

sosteneva che «la misura di ciò che è giusto o sbagliato è la massima felicità del più grande

numero di persone» (Bentham, 1776, p. 1). Gli esponenti del M.A.U.S.S. denunciavano che

un’economia concepita secondo canoni utilitaristici avrebbe mirato a massimizzare il

benessere complessivo, trascurando completamente il modo in cui esso è distribuito tra gli

Page 62: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

52

individui. In quest’ottica, infatti, «il benessere della società aumenta se tutti stanno meglio, ma

anche se aumenta il benessere di chi è già ricco, purché il suo miglioramento sia maggiore del

danno inflitto agli altri membri della società» (Bosi, 2010, p. 34). All’inizio il movimento

concepiva il proprio antiutilitarismo nei termini di una generica critica dell’economicismo

(Coluccia, 2003). Ma durante i sette anni di edizione del Bullettin du M.A.U.S.S., accanto alla

critica emergeva una maggiore consapevolezza. Attraverso un approccio storico-antropologico

lo studio dei fondamenti economicisti delle varie discipline accademiche (economia politica in

testa), si affermava tra questi studiosi la convinzione che esiste una specificità dell’utilitarismo

rispetto all’economicismo, e cioè, come avrebbe scritto Caillé nel Manifesto del M.A.U.S.S.: «il

fatto che l’utilitarismo non rappresenta un sistema filosofico particolare o una componente fra

le altre dell’immaginario dominante nelle società moderne. Piuttosto esso è diventato quello

stesso immaginario» (Caillé, 1991).5

I due libri che Latouche pubblicò in questo periodo, Faut-il refuser le développement?

(Latouche, 1986) e L’occidentalisation du monde (Latouche, 1989) fissarono la sua linea di

pensiero profondamente critica verso il modello di sviluppo occidentale. Questi lavori

trovarono il consenso di una parte piccola ma crescente degli studiosi, nonostante l’evidente

limite della sua ricerca: l’economista francese condusse infatti aspre critiche rivolte

all’occidente ed alla politica imperialista, senza senza introdurre però argomentazioni di tipo

ecologico nel suo schema (Latouche, 2006a). Tale omissione non fu casuale: sebbene egli

conoscesse i lavori del già menzionato Club di Roma,6 condividendone i principi, egli non riuscì

a trovare un modo negli anni Ottanta per integrarli nei suoi libri. Ciò accadde solo nel 1991,

con l’uscita del libro La planète des naufragés.

Latouche cominciò anche a porsi il problema di come le società del sud del mondo sarebbero

potute sopravvivere al «maremoto dello sviluppo» che si stava abbattendo su di loro in quegli

5 Tale interpretazione è confermata dallo stesso Bosi, il quale afferma che la concezione dell’utilitarismo Benthamiano, «seppure aggiornata, continua ad essere il fondamento dell’Economia del benessere moderna» (Bosi, 2010, p. 34). 6 Si veda il Capitolo 2 Sezione 2.

Page 63: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

53

anni (Latouche, 2006a). In effetti, a partire dal 1995, anno della pubblicazione del libro

L'economia svelata. Dal bilancio familiare alla globalizzazione (Latouche, 1995), egli pubblicò

una serie di opere che condannarono con durezza il modello di sviluppo economico

occidentale. Ne possiamo distinguere almeno sette:

1) Ne La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del

progresso, Latouche (1995) accusa il sistema occidentale di ridurre le persone ad

ingranaggi, al pari delle macchine. L’esercito e la burocrazia vengono indicati come

esempi di megamacchine semplici. Con il processo di globalizzazione, si avverte, tutto

il mondo tende a diventare una megamacchina dominata dalla tecnica e dal’economia,

una megamacchina-universo;

2) Ne Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti dell'occidentalizzazione del mondo

Latouche e Simon Leung (1996) denunciano i disastri sociali, culturali e materiali

causati dalla dominazione occidentale; nello stesso anno, l’economista francese

diventerà membro del comitato scientifico della rivista italiana Ecologia Politica.

3) Ne L’altra Africa, tra dono e mercato (Latouche, 1997) egli descrive come le

popolazioni dell’“altra Africa” si auto-organizzano e sopravvivono, ampliando i temi già

toccati in La Planète des Naufragés. La sua indagine focalizza l’attenzione sui metodi

con cui queste persone sopravvivono al di fuori dell’economia ufficiale, come egli ebbe

modo di rinscontrare nel villaggio del Laos. Quest’approfondimento economico-

antropologico sul continente africano gli permise di portare all’attenzione il fatto che,

nonostante in termini economici l’Africa non rappresenti nulla7, questo continente sia

invece un grandissimo produttore di un bene prezioso: la gioia di vivere.

4) Nel breve trattato (poco più di un centinaio di pagine) Les dangers du marché

planétaire (Latouche, 1998) vengono esaminate le molteplici implicazioni

dell’estensione dell’economia di mercato a livello globale, sotto l’effetto della

7 L’Africa contribuisce solo per il 2% alla formazione del Pil mondiale: a fronte di complessivi 57.228 miliardi di dollari, essa ne produce solo 1.184 (FMI).

Page 64: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

54

mondializzazione. Quattro grandi fenomeni sono il risultato di questo processo: lo

sviluppo delle imprese transnazionali, l'indebolimento delle regolamentazioni statali, la

“morsa” della finanza sull'economia ed il crollo delle economie socialiste. Le

implicazioni della mondializzazione purtroppo non si fermano qui. L’obiettivo che si

prefigge la società occidentale è quello di assicurare la dominazione dell’uomo sulla

natura, ad esempio non considerando come rilevante il costo dello sfruttamento

dell’ambiente ai fini economici;

5) Il 2000 fu un anno molto prolifico per Latouche: egli pubblicò in quest’anno ben tre

opere. Ne La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea,

Latouche (2000a) accusa l’occidente di aver perso di vista la phrónesis, traducibile

come sapienza, saggezza, cioè la ragione, e di averla persa proprio a causa della

trappola della razionalità. Diventando razionale, afferma Latouche, la ragione si è

svuotata di ogni sostanza, trasformandosi in qualcosa di totalmente astratto. Secondo

Latouche, la sfida di Minerva, ossia un’esortazione al recupero dell’ideale di phrónesis,

non consiste in un ritorno alla prudenza di Cicerone e Aristotele, bensì di un

superamento di questa, per uscire dagli intralci di una ragione a doppia faccia;

6) Nello stesso anno Latouche (2000b) pubblica Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali,

globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, in cui si sviluppano temi già inizialmente

affrontati ne La sfida di Minerva (2000a). Qui infatti viene ribadito che il ragionevole si

oppone alla “razionalità” così come l’opinabile pensiero pratico si oppone all’esattezza

del pensiero teorico. Egli afferma che sono i modelli di vita africani a cui bisogna rifarsi

per uscire da una razionalità economica dannosa, dal “delirio d’efficacia”, e ritrovare

delle pratiche “ragionevoli” che integrino il principio di precauzione che è parte

costituente della virtù della phrónesis. Per riuscire in ciò, bisogna, secondo Latouche,

ridare all’economia un assetto locale-nazionale e non globale.

Page 65: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

55

7) È con la pubblicazione del libro La fine del sogno occidentale. Saggio

sull'americanizzazione del mondo che Latouche (2000c, trad. it. 2002) raggiunge il

punto più alto nella critica diretta al sistema di crescita occidentale. L’autore in un

breve excursus storiografico spiega l’evoluzione del fenomeno di occidentalizzazione

attraverso i secoli, ribadisce il pericolo di una economicizzazione e di una

mercificazione totale del mondo, ossia una trasformazione di tutti gli aspetti della vita

in questioni economiche, se non addirittura in merci. Presenta il pericolo di una

standardizzazione dell’immaginario basato sui modelli americani pubblicizzati dai

media, la pericolosità del meccanismo definito come megamacchina, in cui gli uomini

vengono ridotti a semplici “ingranaggi”, accompagnato dal fenomeno della scomparsa

dei ceti rurali.

Complessivamente, si può affermare che, in questi due decenni, Latouche ha fatto propria la

gioia di vivere africana e la per certi versi sterile critica verso il sistema economico occidentale.

Ma da qui, la sua analisi si sposterà progressivamente mossa verso una critica più propositiva,

riconducibile al tentativo di proporre al sistema economico occidentale un programma teorico

e politico tale da permettere alla società di uscire dall’attuale logica di crescita.

3.4 – Il Latouche maturo e la definizione della teoria della decrescita

Si potrebbe stabilire quindi una data convenzionale che indichi una terza fase molto

importante nella vita dell’economista francese: a partire dagli anni 2000 ed in particolare a

partire dal 28 febbraio 2002. Come già illustrato, 8 questa fu la data in cui, grazie

all’organizzazione del mensile Le Monde Diplomatique e all’associazione degli amici di François

Partant La ligne de l’horizon,9 venne organizzato il ciclo di conferenze chiamato Disfare lo

sviluppo, rifare il mondo. Con questa iniziativa si delinea una fase in cui si passa dalle critiche

distruttive rivolte al nord del mondo e dalla ricerca di alternative per il sud del mondo, ad una

8 Si veda il Capitolo 2 Sezione 2. 9 In quel tempo Latouche ne rivestiva la carica di presidente (Latouche, 2006a).

Page 66: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

56

fase in cui Latouche ricerca delle proposte costruttive ma alternative da proporre

all’Occidente. In occasione di questa prima conferenza, Latouche, assieme al circolo di

pensatori a lui vicino, arrivò ad una conclusione fondamentale: rigettare lo sviluppo e la

crescita che vi è dietro impone necessariamente di pensare a una società radicalmente diversa,

una società che non concepisca né l’uno, né l’altro concetto; in breve, impone la costruzione di

una società basata sulla decrescita. La decrescita, secondo Latouche, non è un’alternativa, ma

è una «matrice di alternative» (Latouche, 2007a): essa sintetizza in una sola parola d’ordine un

insieme di aspirazioni a cui è necessario attenersi, chiarendone il significato.

L’ottima risposta del pubblico10 fece capire a Latouche che l’interesse suscitato dall’argomento

era grande. Decise così di aprirsi maggiormente ad una critica costruttiva dello sviluppo e della

“modernità”, intesa come occidentalizzazione del mondo, tramite il libro Il pensiero creativo

contro l’economia dell’assurdo (Latouche, 2002). Come il titolo stesso preannuncia, l’autore

questa volta frappone all’economia occidentale la costruzione di una società alternativa.

Secondo Latouche, infatti, promuovere la ricchezza creando povertà è assurdo. Egli pone

all’attenzione gli effetti negativi prodotti dal modello occidentale di sviluppo sull’umanità e

sull’ambiente. È quindi necessario rallentare prima che si scatenino lotte, cataclismi o

addirittura guerre; fortunatamente, a suo dire, nel mondo inizia ad affiorare un nuovo

pensiero creativo che aspira ad una vita sociale ed economica più equa e più giusta.

Dopo una piccola parentesi, individuabile nel volume Il ritorno dell’etnocentrismo.

Purificazione etnica versus universalismo cannibale (Latouche, 2003),11 egli pubblica Come

sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione

10

Latouche (2006a) afferma di «aver avuto la sorpresa di accogliere 700 persone per 3 giorni, di rifiutare centinaia di persone e di constatare un grande entusiasmo, mentre Bonaiuti, un po’più cauto, afferma che i presenti erano 500, oltre alle centinaia rimaste in lista d’attesa (Bonaiuti, 2004, p. 10). 11

In questo volume Latouche affronta la tematica del ritorno dell'etnocentrismo che, soprattutto a partire dal 1989 con la caduta del Muro di Berlino, si è tradotto nei paesi dell'Est e del sud del mondo in episodi spesso sanguinosi di “pulizia” etnica. In questa situazione, la preservazione della varietà culturale deve prefiggersi lo scopo di impedire l’avanzata di un universalismo cieco che imporrebbe la norma occidentale, apparentemente neutra – il mercato, i diritti dell'uomo – al resto del mondo, rivelandosi per quello che è: un paradossale etnocentrismo occidentale.

Page 67: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

57

di una società alternativa (Latouche, 2004). Questo libro, di circa cento pagine,12 è denso sia di

contenuti sia, soprattutto, di proposte: esso sintetizza in modo brillante l’essenza dei lavori

precedenti (I profeti sconfessati (Latouche, 1986), L’occidentalizzazione del mondo (Latouche,

1989), Il pianeta dei naufraghi (Latouche, 1991), La Megamacchina (Latouche, 1995) ecc.).

Dopo aver ricapitolato gli aspetti critici della sua ricerca, egli cerca di soffermarsi in modo

particolare sul versante costruttivo, che come solitamente accade, è quello di più difficile

formulazione. Tali progetti suscitarono qualche interrogativo anche tra molti di coloro che

simpatizzavano per la pars destruens dell’operato di Latouche (si veda ad es. Scroccaro, 2005c,

p. 1). Latouche qui afferma che bisogna mettere in discussione i concetti di crescita, povertà,

bisogni fondamentali, tenore di vita e, prima di iniziare a costruire, è necessario decostruire il

nostro immaginario economico, che è ciò che affligge l'occidentalizzazione e la

mondializzazione. Non si tratta ovviamente di proporre un impossibile ritorno al passato, ma di

pensare a forme di un'alternativa allo sviluppo: in particolare la decrescita condivisa e il

localismo.

L’invenzione dell’economia

A questo “breviario” segue L’invenzione dell’economia (Latouche, 2005a, trad. it. 2010). I saggi

raccolti in questo volume indagano l’origine delle categorie e delle rappresentazioni

economiche moderne tra XVII e XVIII secolo. Con tale ricerca storica l’economista francese

cerca di evidenziare come l’umanità contemporanea sia ossessionata dalla produttività, dal

consumismo e dal concetto di crescita illimitata. Egli dimostra il carattere artificiale e

innaturale dell’economia. Quest’ultima, secondo lui, è il frutto di una “invenzione” avvenuta

solo da un certo momento in poi della storia e si impone attraverso l’immaginario economico,

l’utilitarismo e il mercato. Anche in questa occasione, si sostiene che, nel pensiero

dell’Occidente moderno, la ragione ha sostituito del tutto la saggezza ed è degenerata in

“razionalità calcolante”, ovvero in puro calcolo economico. Quando ci si occupa di esseri

12 Anche a causa della sua concisione è stato definito da Le Monde Diplomatique un «breviario della decrescita» (Truong, 2005).

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58

umani, osserva infine Latouche, la razionalità strumentale e calcolante (che può funzionare per

acquistare in borsa), non basta più, perché si ha a che fare con dei valori, come la libertà, la

giustizia, l’equità.

Il 2006 è l’anno che consacra il nostro autore come il massimo esponente mondiale in ambito

di decrescita, grazie alla pubblicazione de La scommessa della decrescita (Latouche, 2006b).

Questo libro, per la vastità e l’importanza degli argomenti toccati, per le risposte che esso dà a

problemi estremamente attuali, per la maturità e la precisione con cui le argomentazioni

vengono esposte, può tranquillamente ergersi a manifesto teorico della decrescita. La

decrescita è qui proposta al contempo come provocazione e come una scommessa che vale la

pena di essere tentata. L’oggetto del libro è incentrato sulla necessità di un cambiamento

radicale di valori, di concetti e di strutture. È necessario rispondere in positivo alla sfida posta

dai paesi del sud del mondo, attraverso la revisione dei modi d’uso dei prodotti e la

rilocalizzazione dell’economia e della vita.

Appena un anno dopo, Latouche (2007) pubblica il Breve trattato sulla decrescita serena.

Questo agile volume può essere paragonato al già menzionato Come sopravvivere allo sviluppo

(2004), presentando però caratteristiche ben distinte. Se nel primo libro la decrescita veniva

tratteggiata solo nelle ultime pagine, qui la trattazione del tema appare decisamente più

centrale ed elaborata. A detta dello stesso autore, all’epoca del primo libro «l’analisi

dettagliata di quel progetto *la decrescita+ (…) non esisteva ancora» (Latouche, 2007b, trad. it.

2008, p. 7). Il Breve trattato sulla decrescita serena vuole essere un «compendio» del

complesso di analisi disponibili sul tema della decrescita (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 8).

Esso, a detta dello stesso autore, è uno «strumento di lavoro per qualsiasi responsabile del

mondo associativo o politico impegnato in particolare a livello locale o regionale» (Latouche,

2007b, trad. it. 2008, p. 8).

Per gli alti meriti conseguiti in ambito economico, scientifico e di ricerca, Serge Latouche, già

dottore in filosofia e professore di scienze economiche è stato insignito della carica di

Page 69: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

59

professore emerito di economia all’università di Paris-Sud (XI-Sceaux / Orsay), dove ha

insegnato per diversi anni nel corso di storia del pensiero economico (Latouche, 2010a, p. 1).

3.5 – Il Latouche attivista

L’attività di Latouche, come è possibile notare, non si limita alle sue seppur numerose

pubblicazioni. Egli è anche parte attiva di una serie di reti ed associazioni. Nel 1992 si affiliò

all’INCAD13, sottoscrivendone la dichiarazione assieme a, tra gli altri, Gustavo Esteva, Majid

Rahnema e Wolfgang Sachs. Questa rete internazionale si prefiggeva il compito di far

pressione sugli organismi governativi al fine di raggiungere una serie di obiettivi14:

1. Cancellare progressivamente (in ragione del 20% all’anno) tutti i debiti dei paesi del

Sud che si erano accumulati per progetti di sviluppo;

2. Riportare il reddito per persona nei paesi del Nord al loro livello del 1960;

3. Bloccare con opportuni mezzi l’utilizzo illimitato di petrolio;

4. Ridurre la quantità di elettricità utilizzata ad un ritmo tale da permettere di annullare

tutti i progetti nucleari nel giro di dieci anni;

5. De-costruire il modello globale di educazione che incoraggia e sostiene gli stati nazione

e il loro sviluppo: rimettere in vigore i sistemi di educazione praticati dalle comunità

locali in armonia con il loro ambiente culturale e naturale, che permetterà di sostenere

il buon livello di quelle comunità.

6. Iniziare una campagna di massa di programmi per un’altra educazione nel Nord come

nel Sud all’indirizzo delle élites socio-professionali a proposito della perversità dello

sviluppo

7. Trasformare tutti gli aiuti delle agenzie di sviluppo in cooperative decentralizzate

consacrate alle acquisizioni e al rinnovamento della conoscenza, alla considerazione

dei modelli di vita, alla necessità di valorizzare le diverse culture del mondo per il

13 Rete Internazionale per le Alternative Culturali allo Sviluppo. 14 Riportiamo gli obiettivi così come elencati in un numero della rivista del M.A.U.S.S. pubblicato dieci anni più tardi (Latouche et al, 2002).

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60

proseguimento di un dialogo interculturale sul dopo-sviluppo tra i popoli del Nord e

del Sud (Latouche, et al., 2002).

Latouche è anche membro della rete Sud/Nord Cultures et Développement, con base a

Bruxelles. Essa è una rete di persone che curano le relazioni tra le culture locali e la vita

politica, economica e sociale. Questa rete è nata come luogo di confronto tra gli iscritti, i quali,

condividendo le loro esperienze tramite convegni e pubblicazioni, si prefiggono di trovare

soluzioni a problemi sociali presenti nei Paesi dei quali essi fanno parte, al fine di informare e

consigliare le autorità governative (South-North Network Cultures and Development, 2000).

Latouche ricopre infine il ruolo di ricercatore al CECOD15 e ricercatore associato all’ORSTOM16

(Latouche, 2007c), da poco diventato IRD17. Si tratta di un istituto pubblico francese a carattere

scientifico e tecnologico che interviene da più di sessanta anni nei paesi del Sud per lottare

contro la povertà, le malattie, i cambiamenti climatici, le difficoltà di accesso all’acqua e la

preservazione degli ecosistemi (IRD, 2010). Il CECOD invece ha obiettivi più culturali e mira a

incoraggiare il dibattito, la conoscenza e la ricerca sulla cooperazione allo sviluppo (CECOD,

2010).

Nonostante la cessazione della sua attività didattica all’università, Latouche continua tutt’oggi

ad impegnarsi nel diffondere il messaggio costruttivo della decrescita. Egli partecipa

regolarmente a molteplici conferenze,18 soprattutto in Francia e in Italia, dove mantiene un

certo seguito, aiutato anche dalla sua padronanza della lingua italiana.

15

Centro di Studi di Cooperazione allo Sviluppo 16

Institut Français de Recherche Scientifique pour le Développement en Coopération. 17

Institut de Recherche pour le Développement. 18

Solo per menzionare le sue ultime partecipazioni, si possono ricordare alcuni dei convegni a cui egli ha partecipato nel 2010. Ha tenuto un seminario sulle relazioni tra la cultura, la tecnica e lo sviluppo all’IEDES, l’Istituto di Studio dello Sviluppo Economico e Sociale all’università di Paris 1 (Latouche, 2010a, p. 1). Il 12 febbraio 2010 ha partecipato ad un incontro alla Scuola di Studi Superiori “G.Leopardi” in occasione della presentazione del suo libro “L’invenzione dell’economia” (Università di Macerata, 2010) e l’8 ottobre 2010, nella cornice del convegno “Il clima della democrazia”, ha tenuto un intervento dal titolo “Decrescita: una via d’uscita dalla crisi” (Kuminda, 2010b).

Page 71: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

61

Capitolo 4

Il pensiero e le opere dei tre Latouche

4.1 – Introduzione

Analizzando il percorso di Latouche dalla giovinezza fino al tempo presente, si noterà come

esista un cambiamento, o meglio, una evoluzione del suo pensiero attraverso gli anni. Serge

Latouche ha dimostrato di non essere un intellettuale statico nelle sue idee, bensì aperto al

cambiamento, e pronto a mettere in discussione le sue convinzioni. Egli le ha adattate alla

propria concezione della realtà man mano che essa si formava e trasformava. È proprio a

causa di ciò che si è deciso di suddividere sia la sua biografia (nel capitolo precedente), sia

l’analisi del suo pensiero (in questo capitolo) in tre grandi periodi. La loro scansione

cronologica è riportata nella Tabella IV.1.

TABELLA IV.1. I tre periodi nella vita e opere di Latouche

I tre Latouche Periodo Caratteristica dominante

Il giovane 1957*-1979 Critica al capitalismo

L’adulto 1980-2001 Critica alle società di crescita

nel loro insieme

Il maturo 2002-… Elaborazione della teoria della

decrescita

Fonte: nostra elaborazione.

*L’anno di partenza viene fatto coincidere con la sua iscrizione all’università di Scienze politiche di Parigi.

Page 72: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

62

È scontato rilevare che tali date, pur utili per organizzare lo studio del pensiero, sono

puramente convenzionali. Non esistono cesure nette nel pensiero dell’economista francese,

quanto piuttosto una continua revisione ed aggiornamento dello stesso. Ecco che quindi, se da

un lato è egli stesso a suggerirci tali date (Latouche, De Marx à la décroissance, 2006a),

dall’altro bisogna sempre tenere presente che l’evoluzione è stata graduale, e le

sovrapposizioni fra le tre fasi (seppur apparenti) non mancano.

Questo capitolo si occuperà pertanto di seguire da vicino il cammino che il pensiero

dell’economista francese ha percorso nel tempo. L’analisi di ognuna delle fasi che scandiscono

la sua formazione sarà a tale scopo divisa in altrettante sezioni: inizialmente verranno

presentate le opere che egli ha pubblicato in quegli anni; ci soffermeremo poi ad analizzare le

opere ritenute più significative tra quelle pubblicate nel medesimo periodo; descriveremo

infine le caratteristiche del suo pensiero così comeemerge da quanto scritto nelle sue opere e

con particolare riferimento a quelle oggetto di approfondimento.

4.2 – Il giovane Latouche

Intendiamo come periodo del giovane Latouche l’arco temporale che copre gli anni dal 1957,

anno di iscrizione alla facoltà di Scienze Politiche di Parigi, al 1980. Questo periodo è

caratterizzato da una posizione di aperta rottura col sistema capitalista ed un conseguente

attaccamento ai valori socialisti. Latouche trova infatti nel marxismo, nonostante le critiche a

cui esso sarà sottoposto (cfr. Latouche, 1984) la soluzione economico-sociale all’imperialismo

delle economie capitalistiche.

4.2.1 – Opere principali del giovane Latouche

La fase “giovanile” copre gli anni della formazione arrivando fino ai quarant’anni di vita

dell’economista. Purtroppo, la produzione scientifica di Latouche in questo periodo, oltre ad

essere la più limitata in numero è anche poco diffusa. Sia la sua tesi di dottorato, sia gli altri

scritti appartenenti a quest’epoca sono di difficile reperimento perché o non pubblicati, o

Page 73: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

63

pubblicati da editori minori in tempo ormai lontano. Le opere di questo periodo sono dal

punto di vista tematico incentrate su pochi argomenti, tutti intesi alla cosiddetta decostruzione

della società capitalista.

La paupérisation à l’échelle mondiale (1966)

La tesi di dottorato, La pauperisation à l’échelle mondiale (Latouche, 1966), è l’opera con la

quale Latouche esordisce nel campo della trattazione economica. Essa analizza i rapporti tra gli

Stati del Nord e gli Stati del Sud, risultando in una serrata critica alla società capitalista

occidentale. Essa propone il socialismo come modello di sviluppo, un modello di sviluppo che a

suo giudizio consente ai paesi del Terzo mondo di risollevare la loro economia flagellata dalle

politiche colonizzatrici dell’Occidente. L’utilizzo della pianificazione della produzione

consentirebbe di ridurre, a suo parere, il divario tecnologico coi paesi del Nord in modo più

rapido di quanto un’economia di stampo capitalista avrebbe reso possibile.

In questa fase, Latouche dimostra di essere pervaso da una forma di marxismo peculiare,

ripensata e «un po’dissidente» (Latouche, 2005b). Se da un lato Marx, autore de Il capitale

(1867) sosteneva che le rivoluzioni socialiste vittoriose sarebbero avvenute per la prima volta

nell'Europa occidentale,1 dall’altro Latouche era persuaso che «il cammino della rivoluzione da

Mosca a Parigi passava per Pechino, Nuova Delhi…» (Latouche, 2005b), cioè passava per i paesi

ancora poco industrializzati. Le motivazioni di questa presa di posizione risiedono nella fragilità

della definizione di povertà relativa, la quale trova la sua giustificazione unicamente se inserita

in un livello più ampio di quello nazionale: una scala mondiale, come da titolo della tesi.

1 Questo perché è stato nell'Europa occidentale che è nato il capitalismo, il quale ha originato una classe sociale del tutto nuova: il proletariato. Cfr. Wallerstein & Stame (1984).

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Épistémologie et économie. Essai sur une anthropologie sociale freudo-

marxiste (1973)

Latouche dimostra di saper muovere pesanti critiche al sistema occidentale non soltanto

tramite un approccio storico-economico, ma anche attraverso una impostazione filosofica. Il

primo libro pubblicato da Latouche, è Épistémologie et économie. Essai sur une anthropologie

sociale freudo-marxiste (Latouche, 1973), ha proprio quest’ultimo taglio. Il volume, di ben

seicento pagine, consiste in una approfondita raccolta delle sue lezioni universitarie a Lille ed a

Nanterre, dove, come si ricorderà (si veda la Sezione 3.2), egli era stato nominato docente di

filosofia ed epistemologia economica. Partendo dallo studio degli scritti di Freud, egli arriverà

in questa opera ad applicare il metodo della psicanalisi al sistema economico capitalista. Il

risultato è un profondo rifiuto della concezione dell’homo œconomicus così come concepito da

Adam Smith in avanti. Egli infatti evidenzia forti contraddizioni riscontrate all’interno della

posizione dello stesso economista scozzese.

Le Projet marxiste: Analyse économique et matérialisme historique (1975)

Con Le Projet marxiste: Analyse économique et matérialisme historique (Latouche, 1975),

Latouche presenta il socialismo così come Marx lo ha ideato, esplorandone le fondamenta

economiche ed approfondendo il tema del materialismo storico. Secondo tale visione, si può

interpretare la storia dello sviluppo umano partendo dalla sovrastruttura, cioè dal livello

tecnologico ed economico raggiunto. Sono infatti questi fattori che determinano

l’orientamento ideologico e culturale della base sociale dell’epoca.

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65

4.2.2 – Contenuto approfondito della principale opera del

Latouche giovane: Critique de l'impérialisme. Une analyse

marxiste non léniniste de l'Impérialisme (1979)

Ogni opera del “giovane” Latouche è a suo modo di fondamentale

importanza. Questo in particolare sia per la differenza degli approcci

utilizzati (per esempio approcci storico-economici, epistemiologici ed

analitici), sia per comprendere a fondo i primi anni della sua formazione. Ma se si dovesse

scegliere un’opera che meglio rappresenti questo periodo, essa sarebbe Critique de

l'impérialisme. Une analyse marxiste non léniniste de l'Impérialisme, in cui Latouche (1979)

mostra già qualche segno di evidente rottura con quanto scritto in precedenza, come meglio si

chiarirà nella sezione seguente.

Con questo volume Latouche si propone di «smascherare le false critiche dell’imperialismo»

che nascono all’interno degli stessi paesi sviluppati: come egli stesso afferma, «è questo il

caso, al momento attuale, del marxismo-leninismo» (Latouche, 1979, p. 29, nostra traduzione).

Nell’introduzione all’opera, Latouche (1979, p. 11-40) espone il fenomeno del finto moralismo

occidentale. Secondo l’economista francese, i paesi del Nord, dietro le missioni cosiddette

“umanitarie” allo sviluppo locale nascondono un comportamento predatorio. Cioè essi

promuovono i propri investimenti nelle società del Terzo mondo, con l’obiettivo esplicito che

tali investimenti un giorno saranno ampiamente ripagati.2 Per rendere emblematica questa

posizione, Latouche riporta le parole di Salvador Allende, presidente del Cile dal 1970 al 1973:

«le imprese straniere che hanno sfruttato il rame cileno, hanno esportato nel corso

degli ultimi quarant’anni più di quattro miliardi di benefici, a fronte di investimenti

iniziali di trenta milioni di dollari» (Allende, 1972, cit. in Latouche, 1978, p. 19,

nostra traduzione).

2 Latouche avverte che questa tendenza è pericolosamente presente anche tra le file dei cosiddetti «esperti marxisti dello sviluppo economico» (Latouche, 1979, p. 27).

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66

FIGURA IV.1. Indice del libro Critique de l’impérialisme (Latouche, 1979, seconda ed. 1984).

Fonte: Latouche (1979, seconda ed. 1984, p. 299-300)

A parte questa introduzione, il libro si compone di cinque capitoli, i cui argomenti seguono

chiaramente una impostazione di stampo marxista. Il primo capitolo, Dalla critica marxista

dell’imperialismo alla critica dell’imperialismo marxista, mette in luce prima le caratteristiche

della critica marxista all’imperialismo; successivamente, Latouche mostra le contraddizioni e le

leggerezze del sistema marxista-leninista. In particolare, fra queste, la convinzione che il

capitalismo si sarebbe espanso in maniera omogenea, senza cioè creare tra nazioni

diseguaglianze di ricchezza a livello mondiale (Latouche, 1979, p. 44 e 50). L’economista

francese osserva che il capitalismo non è affatto lo «stadio supremo del capitalismo», come

affermava Lenin (1916), ma è una semplice evoluzione della pratica di accumulazione del

capitale già evidente all’origine: la sottomissione della periferia al centro non è quindi una

peculiarità della fase imperialistica ma ha anzi caratterizzato tutta la storia del capitalismo, fin

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67

dalle origini (Latouche, 1979, p. 58). Latouche muove altre critiche al sistema marxista, in

particolare su tre fronti distinti:

1. Il concetto ideologico dell’economia politica;

2. Il materialismo storico, cardine dell’immaginario marxista;

3. L’epistemologia della scienza sociale (Latouche, 1979, p. 73-79).

Ne Imperialismo e abbassamento tendenziale del tasso di profitto, secondo capitolo del libro,

Latouche cerca di reinterpretare la centralità dell’imperialismo per l’Occidente attraverso

l’impiego delle stesse categorie marxiste, in particolare utilizzando la legge dell’abbassamento

tendenziale del tasso di profitto.3 Egli, in base a questa interpretazione, spiega tre fenomeni

che coinvolgono il Sud:

1. Lo sfruttamento di questo continente a causa della facile reperibilità di manodopera a

basso costo;

2. L’importazione di materie prime a prezzi inferiori (Latouche, 1979, p. 90, 91)

3. L’esportazione verso il mercato locale di prodotti a prezzi più bassi rispetto alla

concorrenza autoctona.4

Latouche tuttavia non pensa che l’abbassamento tendenziale del tasso di profitto sia stato la

causa che ha generato il fenomeno dell’imperialismo come tentativo di salvare il sistema

capitalistico. La caduta del saggio di profitto è per di più difficile da dimostrare. Essa è minata

da tutta una serie di ambiguità che l’hanno ridotta ad un semplice «dogma ad uso

incantatorio» (Latouche, 1984, p. 108, nostra traduzione).

Latouche dimostra nel terzo capitolo, Necessità e possibilità della domanda “effettiva”,5 come

il vero presupposto della produzione capitalista sia la presenza di mercati che costituiscano

3

Si intende per abbassamento tendenziale del tasso di profitto la tendenza delle imprese in un’economia capitalista a ridurre col tempo il loro tasso di profitto, in seguito alla sostituzione del fattore lavoro, vero produttore di plusvalore, con macchinari e capitale fisso e/o variabile (Marx, 1867, libro III). 4 In particolare, la disponibilità di manodopera a basso costo permette in un’ottica marxista di aumentare anche di svariate volte il plusvalore da essa prodotto, mentre le materie prime a basso costo contribuiscono all’aumento diretto del saggio di profitto di un’impresa.

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68

sbocchi sicuri, e che tale presenza debba essere assicurata ancor prima che il processo

produttivo abbia inizio (Latouche, 1979, p. 109). Vero problema del sistema capitalista è infatti

quello di non essere in grado di generare la domanda all’interno del suo mercato; per questo

motivo esso

«fintantoché esiste un ambiente precapitalista e\o debolmente capitalista, può

effettivamente realizzare delle condizioni favorevoli alla sua crescita, sviluppando

dei fenomeni diversi che si raggruppano sotto il nome di imperialismo» (Latouche,

1984, p. 157, nostra traduzione).

L’economista francese muove una nuova critica alla teoria marxista leninista nel quarto

capitolo, intitolato non a caso Critica del concetto marxista di esportazione dei capitali. Qui,

egli spiega come ad un’investimento verso un paese estero non corrisponda forzatamente un

flusso di capitale in tale senso (Latouche, 1979, p. 175-176). Se, infatti, una società madre

origina una società controllata con sede all’estero, finanziata grazie ad un prestito concesso da

intermediari locali, quello che essa sta compiendo è al contrario una vera e propria

importazione di capitale, di ammontare pari al finanziamento e degli eventuali utili non

reinvestiti e quindi rimpatriati dalla controllata. È esattamente questo il caso degli Stati Uniti, i

quali, oltre a registrare complessivamente utili poi reinvestiti nelle società controllate

all’estero, riescono addirittura a rimpatriare più capitale di quello investito (Latouche, 1984,

Tabella 2 p. 209). Questa viene presentata come la controprova definitiva della fragilità del

concetto marxista di esportazione dei capitali, fortemente sostenuto da Lenin.

Il quinto capitolo: Trasferimenti di plusvalore e scambio ineguale, illustra come tramite il

commercio tra il centro (l’Occidente) e la periferia (il Terzo mondo) del sistema capitalista

esistano dei veri e propri trasferimenti di valore, o meglio, delle «spoliazioni» (Latouche, 1979,

p. 228) che privano i paesi del Sud del plusvalore ottenuto durante il processo produttivo,

trasferendolo al Nord. Latouche conclude il quinto capitolo con un pensiero che si può

individuare come precursore del tema dominante della sua fase adulta:

5 Si è scelto di tradurre con questo termine la parola “préalable”, che sta ad indicare un evento verificato anteriormente ed indipendentemente dal verificarsi di determinate condizioni.

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«Il vero crimine della penetrazione imperialista è senza dubbio alcuno né la

spoliazione, né l’arresto dello sviluppo, ma la trasformazione stessa del senso della

vita per delle intere popolazioni. La logica del capitale si impone sempre di più come

nuovo senso dell’esistenza» (Latouche, 1984, p. 262, nostra traduzione).

4.2.3 – Caratteristiche del pensiero del giovane Latouche

L’ideologia di quello che abbiamo definito giovane Latouche è profondamente segnata

dall’esperienza dei conflitti internazionali. Egli trascorre l’infanzia nella cornice della seconda

Guerra Mondiale, dovendo assistere in prima persona all’invasione nazista della Francia. A

distanza di 10 anni circa, si apre nel 1954 la guerra d’Algeria, la quale durerà fino al 1962.

Questa è una guerra che mira all’affrancamento dalla dominazione francese, scatenata dalle

pulsioni indipendentiste dell’Algeria che, dopo un lungo periodo di scontri urbani, attentati e

guerriglie, riuscì ad ottenere l’indipendenza col referendum del 1 luglio 1962 (fonte:

Wikipedia).

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se Latouche coltiva un forte rifiuto della guerra fin dalla

giovinezza di fronte a questo panorama, notando tuttavia come in campo internazionale non

diversamente da quello nazionale valga il principio dell’imposizione del più forte sul più

debole. È solo con la ribellione di quest’ultimo che è possible ristabilire il principio di giustizia

(Latouche, 1966). Egli troverà quindi naturale avvicinarsi alle idee marxiste, che facevano

ricadere la colpa originale dei conflitti sfociati in quegli anni sul sistema capitalista

occidentale6. Come egli stesso racconta, già adolescente simpatizza per le teorie marxiste e,

quando andrà a Parigi nel 1957 per i suoi studi universitari, si iscriverà all’Unione degli Studenti

Comunisti (UEC). Avendo presente queste premesse, non deve sorprendere che l’economista

francese decida di redigere la sua tesi di dottorato sui rapporti Nord/Sud seguendo

un’impostazione di stampo prettamente marxista.

6 «In definitiva, la causa della guerra non doveva essere ricercata nelle azioni di questo o quell’altro Stato che aprirono il fuoco. Le cause giacciono nella natura essenziale del sistema imperialista, nella logica della competizione delle potenze nazionali capitaliste per mantenere – o raggiungere, a seconda delle circostanze – una posizione dominante in un ordine economico globale sempre più integrato» (North, 2009).

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Egli non si limitò, tuttavia, ad una sterile accettazione dell’ideologia marxista, ma, sempre di

più con il progredire delle sue esperienze e la mutata percezione della realtà, egli sviluppò un

forte senso critico, che lo portò a mutare la sua posizione in maniera più decisa via via che il

tempo passava. Inizialmente, Latouche dimostrava una fede quasi incrollabile in Marx

(Latouche, 1979, p. 7).7 Il Latouche del 1966 è un Latouche fiducioso, convinto della possibilità

di una rivoluzione a tutti gli effetti globale che riesca a riscattare i paesi del Terzo mondo in

primis, e quindi i proletari dei paesi occidentali. Nel 1973 egli riuscirà a dimostrare

l’inconsistenza delle basi teoriche stesse su cui si poggia complessivamente l’economia politica

capitalista. Un simile risultato fu possibile solo dopo anni di documentazione, di ricerca e di

confronto personale con i propri studenti. Tutto questo sfociò in un particolarissimo

insegnamento universitario: come Latouche stesso afferma, il corso di filosofia economica che

tenne nell’ateneo di Nanterre non era stato insegnato da nessuno prima di allora.

Si potrebbe definire il 1979 come la fine di un’epoca. Con la pubblicazione de La critique de

l’impérialisme (1979), Latouche arriva ad alcune, importantissime conclusioni, alcune delle

quali, come si è visto, si distaccano decisamente da quelle a cui sono arrivati Marx e Lenin nelle

loro analisi economiche. È il capitalismo ad espropriare i proletari del plusvalore. È il

capitalismo che, per cercare sbocchi di mercato sicuri, è costretto a ricorrere ad una politica

imperialista, insediando le sue basi in Stati esteri. È sempre il capitalismo, infine, che opera la

spoliazione del plusvalore creato in quello Stato, importandolo dalla periferia al centro. Il

Latouche che affronta questo problema è un Latouche profondamente diverso da quello che

poco più di vent’anni prima aveva scritto la tesi sull’impoverimento a livello mondiale. Questo

Latouche disilluso osserva mediante impeccabili ragionamenti logici come il marxismo non sia

stato in grado di analizzare debitamente la tematica del dominio capitalista sul mondo,

dimostrando di avere una visione miope dell’insieme e, di conseguenza, rivelandosi inadatto

alla risoluzione della situazione del Terzo mondo.

7 Si veda l’analisi del libro riportata nella sezione precedente.

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71

Se il capitalismo è stato la causa della miseria nella quale versa il Terzo mondo ed il marxismo,

che si presenta come vera alternativa, non è in grado di contrastare efficacemente la povertà

derivante dallo sfruttamento occidentale, Latouche ammette l’impossibilità di individuare, nel

momento in cui scriveva, un sistema economico o politico che potesse fornire una soluzione a

quella situazione (Latouche, 1979, p. 28). Egli, abbastanza sbrigativamente, incaricò le

popolazioni interessate di ideare da sé una critica propositiva del capitalismo (contrariamente

a quella distruttiva avanzata Latouche, come tipico di questa fase), che permettesse loro di

uscire dallo sfruttamento occidentale. Questa, col senno di poi, suona più come una innocente

giustificazione che una leggerezza. Si può presumere che Latouche già all’epoca era alla ricerca

di una valida alternativa al capitalismo, ma data l’infruttuosità delle ricerche, col tempo egli si

renderà conto che, se un’alternativa valida al capitalismo non è mai esistita, spetterà a lui

definirla per la prima volta. È sicuramente questo un significativo passo verso la teoria della

decrescita. Egli, denunciando la deculturazione dei paesi del Terzo mondo ad opera della

società occidentale, inaugura di fatto il filo rosso che lega tra di loro le opere da lui scritte

nell’età adulta. Non si parlerà più, di conseguenza, di Latouche giovane negli scritti a venire.

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72

4.3 – Il Latouche adulto

Il 1980 rappresenta simbolicamente l’inizio di un nuovo orientamento nel pensiero di

Latouche. Egli, con gli anni, matura la convinzione che il socialismo, sia pure nella corrente

marxista, non è la soluzione alla miseria riscontrata nei popoli del Terzo mondo. Il socialismo

ed il capitalismo hanno in comune una caratteristica fondamentale: sono entrambi «sistemi di

crescita» (Mouvement Politique des Objecteurs de Croissance, 2009), e come tali devono

essere entrambi combattuti. Ci occuperemo in questa sezione di analizzare i numerosi scritti

prodotti nel ventennio 1980-2001, di metterne in evidenza le somiglianze e di far risaltare i

tratti innovativi rispetto al passato. Per offrire una visione d’insieme degli scritti di

quest’epoca, si è ritenuto utile esporre nella Tabella IV.2 le opere del Latouche adulto

organizzate per lustri e per il tema trattato.

TABELLA IV.2. Le opere e i temi nel tempo del Latouche adulto, 1980-2001

Temi Sottoperiodo 1

1980-1985

Sottoperiodo 2

1986-1990

Sottoperiodo 3

1991-1995

Sottoperiodo 4

1996-2001

Critica

all’economia

Le procès de la

science sociale

(1984)

Immaginare il nuovo

(2000)

L’invenzione

dell’economia (2001)

Critica allo

sviluppo

Faut-il refuser le

développement ?

(1986)

Critica

all’Occidente

L’occidentalizzazio

ne del mondo

(1989)

La megamacchina

(1995)

La fine del sogno

occidentale (2000)

La sfida di Minerva

(2000)

Gli esclusi del

Terzo mondo

Il pianeta dei

naufraghi (1991)

L’altra Africa (1997)

Il mondo ridotto a

mercato (1998)

Ricerca di

un’alternativa

allo sviluppo

La déraison de la

raison économique

(2001)

Fonte: nostra elaborazione. Si veda la bibliografia per dettagli sulle varie opere.

Come si evince dalla Tabella IV.2, il ventennio definito del “Latouche adulto” è stato ripartito

temporalmente per dar modo di vedere con un colpo d’occhio anche il percorso tematico

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73

seguito dall’economista francese. Si evidenzia che da un’analisi sociologica dei primi anni

Ottanta, egli arriverà a focalizzare negli ultimi anni del ventennio la sua attenzione sul

problema del modello di sviluppo occidentale, che tanto ha interessato i paesi del Terzo

mondo, e ove egli ha trascorso parte della sua vita. Le opere appartenenti alla stessa area

tematica sono in alcuni casi concentrati in un singolo sottoperiodo, ma, come si avrà modo di

notare, l’autore non si ripete mai veramente, nel senso che gli stessi temi sono ripresi in e

spesso con un taglio diverso.

4.3.1 – Principali opere del Latouche adulto

Le opere saranno prese in esame in questo capitolo in ordine cronologico per non disorientare

il lettore, al quale si propone, per una chiave di lettura più stimolante, di rapportare ogni opera

all’ambito tematico di riferimento.

Le procès de la science sociale (1984)

Il primo libro riconducibile a questa nuova fase è pubblicato nel 1984 e si intitola Le procès de

la science sociale: introduction à une théorie critique de la connaissance (Latouche, 1984).

Potrebbe risultare un libro insolito se pubblicato da un economista tradizionale, ma nel

percorso di un economista ad ampio respiro come Latouche, questa si inserisce come un’opera

non meno importante delle altre. Anche se il libro non si occupa direttamente di analisi

economica, esso tratta di importanti temi sociali e dei processi cognitivi. Ciò sottolinea il fatto

che l’economia rientra pur sempre nell’ambito delle scienze sociali (Palazzi, 2010), e l’autore

non manca certo di creare collegamenti tra sociologia ed economia. Egli, in questo saggio, si

pone l’intento di «esporre i fondamenti di una concezione della realtà sociale» (Latouche,

1984, p. 9), ossia di indagare gli elementi che, implicitamente ed esplicitamente, governano i

processi di conoscenza sociale, al fine di farne apparire i limiti principali (Frydman, 1986, p.

137).

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74

Il libro si articola essenzialmente in due parti, volte a denunciare i due “peccati capitali” della

scienza sociale:

1. Confusione degli ordini sociali e naturali;

2. L’unità della scienza.

Il primo “peccato”, secondo Latouche, è rappresentato dalla «confusione degli ordini» sociali e

naturali (Latouche, 1984, p. 55). In questa sezione si denuncia che tali ordini sono stati nel

tempo confusi: procedimenti cognitivi propri dell’ordine naturale sono stati utilizzati per

cogliere aspetti inerenti esclusivamente all’ordine sociale. Questa confusione tra gli ordini è

stata scatenata in primis dall’avvento del capitalismo, che ha portato, secondo Latouche, alla

reificazione dei rapporti sociali (Latouche, 1984, p. 60). Se il capitale si impone come rapporto

sociale, si è portati naturalmente a tentare di oggettivare i rapporti sociali, ossia di renderli

indipendenti dalla volontà e dai desideri di ciascuno, ponendoli come «entità esteriori rispetto

al soggetto epistemico (Latouche, 1984, p. 59).

Il secondo “peccato” capitale, per certi aspetti conseguente al primo, è costituito dall’unità

della scienza (Latouche, 1984, p. 89). Dopo aver esposto la sua critica al conoscimento fisico8

(sia esso sperimentale o teorico) come tecnica per indagare sia le relazioni reciproche tra

esseri umani, sia le relazioni tra esseri umani e cose, Latouche espone l’unica soluzione in

grado di arginare questo problema: porre una distinzione netta tra la scienza sociale e la

scienza naturale.

Faut-il refuser le développement? (1986)

Il libro che seguì Le procès de la science sociale (Latouche, 1984) fu Faut-il refuser le

développement? (Latouche, 1986), in cui l’economista, interrogandosi sulla reale utilità dello

sviluppo, inaugura di fatto un nuovo filone tematico nella sua produzione saggistica. Lo

sviluppo, denuncia l’autore, è un’invenzione della società occidentale (Latouche, 1986, p. 11),

8 Conoscimento significa «prender coscienza di un dato di fatto; comprensione; intelligenza» (Devoto & Oli, 1990). Il conoscimento fisico è una tecnica utilizzata dagli studiosi per conoscere i fenomeni naturali.

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75

una maschera che conduce i paesi del Terzo mondo a cancellare la propria identità culturale

(Latouche, 1986, p. 165). Lo sviluppo non è quindi altro che una nuova forma di colonizzazione

dei paesi occidentali su quelli più poveri. L’autore, in sette capitoli, riesce in una vera e propria

arringa a smontare il falso mito dello sviluppo. Essa si articola in sette punti:

I. Lo sviluppo non è «la legge e i profeti» (Latouche, 1986, p. 19). Latouche mostra già

evidenti segni di rottura con il marxismo tradizionale, contestando la nota

interpretazione marxiana rivolta all’accumulazione del capitale.9 Secondo lui, infatti, il

problema non è costituito esclusivamente dall’accumulazione del capitale, quanto

dallo sviluppo “ad ogni costo”.

II. L’imperialismo precede lo sviluppo del capitalismo (Latouche, 1986, p. 59). Con

quest’affermazione, Latouche rompe con la visione leninista, la quale sosteneva

l’inverso, ossia che l’imperialismo era la fase suprema del capitalismo (Lenin, 1916).

L’economista francese è convinto al contrario che il capitalismo non possa fiorire se

non in un mondo le cui nazioni abbiano già provveduto ad effettuare l’annessione di

numerosi territori esterni, al fine di costituire una base di mercato alla quale rivolgere

la produzione delle merci in eccesso.

III. Il sottosviluppo non è un ritardo ma l’opposto dello sviluppo (Latouche, 1986, p. 71). Di

conseguenza, i paesi cosiddetti “sottosviluppati” non devono sentirsi arretrati rispetto

ai paesi occidentali, né devono cercare confronto con essi, poiché i loro sistemi

economici sono profondamente diversi.

IV. Le “sopravvivenze”10 non rappresentano per lo sviluppo un ostacolo (Latouche, 1986, p.

99). In altre parole, le sacche di popolazione che ancora conservano stili di vita

tradizionali non sono da considerare una barriera da rimuovere ai fini di promuovere

un pieno sviluppo tecnologico del paese. Esse rappresentano invece un freno al

9 “Accumulate, accumulate! È questo che gridano Mosè e i profeti” (Marx, 1867, p. 652, nostra traduzione) 10 Così Salsano in Latouche (1989, trad. it. 1992, p. 53) traduce il termine “survivance” (Latouche, 1986, p.99). Questo termine è volto ad indicare la popolazione “esclusa” dallo sviluppo.

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sottosviluppo (Latouche, 1986, p. 101). Piuttosto che votarsi al perseguimento

dell’ideale di sviluppo, a detta dell’autore, converrebbe alla popolazione ricercare le

possibilità di soluzioni alternative. Tentare di creare una fotocopia delle società

occidentali attraverso quello che viene definito un processo mimetico11 non serve ad

altro che ad azzerare la propria cultura ed i propri valori per far posto a quelli della

società occidentale.

V. Il centro e la periferia non sono dei vasi comunicanti (Latouche, 1986, p. 137). Latouche

opera una nuova critica alla teoria marxista che immagina un paese come un sistema

di vasi comunicanti dove il plusvalore si sposta dalla periferia al centro città.

L’economista francese sostiene piuttosto il localismo dei centri abitati.

VI. Il sottosviluppo è una forma di deculturazione (Latouche, 1986, p. 163). Grave, secondo

Latouche, è il fatto che gli stati occidentali possano permettersi di giudicare la

situazione di un paese, definendolo magari “sottosviluppato”, basandosi solo su una

gretta analisi economica. «È il modo in cui il centro industriale giudica le società

diverse da lui, scegliendo di non vedere che la dimensione economica della situazione

e ottenendo, in fin dei conti, la cancellazione e la sparizione di tutte le altre

dimensioni» (Latouche, 1986, p. 165).

VII. La soluzione dei paesi definiti sottosviluppati non può essere una soluzione tecnica

(Latouche, 1986, p. 183). L’autore conclude con una critica alle politiche economiche

del Terzo mondo, siano esse liberali o marxiste, senza esporsi apertamente circa le

soluzioni da adottare (Wladimir, 1987, p. 1062). Senza dubbio egli augura la

costituzione di economie autocentrate ed autonome e, in definitiva, l’edificazione di

una civilizzazione propria ed originale, alternativa alla civiltà economica dello sviluppo.

11 Un processo mimetico è un processo di falsa imitazione di un modello preesistente, nella fattispecie la società occidentale.

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L’occidentalizzazione del mondo (1989)

Nel 1989 è la volta de L’occidentalisation du monde: Essai sur la

signification, la portée et les limites de l’uniformisation planétaire

(Latouche, 1989). È significativo anche solo il fatto che questo sia il

primo libro di Latouche ad essere tradotto in italiano, col fedele titolo

L’occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la portata e i

limiti dell’uniformazione planetaria (Latouche, 1989, trad. it. 1992). Il presente saggio è il

primo di una lunga serie di trattati che denunceranno gli sconvolgimenti culturali, economici,

sociali, ambientali e politici causati dalla globalizzazione e dalla occidentalizzazione del pianeta,

ossia l’estensione forzata della cultura e dell’ideologia occidentale ai paesi del Terzo mondo.

L’autore, nella prima parte del libro, analizza con spirito critico i processi ritenuti fautori dello

stravolgimento dei sistemi economici e culturali dei paesi colonizzati: il colonialismo del XVI

secolo (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 16), e l’imperialismo di fine Ottocento-inizio

Novecento (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 17-20). Il responsabile di questo processo di

deculturazione12 è senz’altro l’Occidente, entità dai contorni molto confusi, ma assimilabile in

linea di massima al «triangolo che chiude l’emisfero nord del pianeta con l’Europa occidentale,

il Giappone e gli Stati Uniti» (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 35).

L’autore del libro individua tre fenomeni caratteristici del processo di occidentalizzazione

ritenuti colpevoli di avviare la deculturazione di uno Stato terzo. Essi sono l’industrializzazione,

l’urbanizzazione e il nazionalitarismo.13 A dispetto dell’intento per il quale questi processi sono

stati avviati, però, essi non comportano automaticamente ed immediatamente il benessere

diffuso, ma come abbiamo visto «contribuiscono a una mostruosa riduzione in miseria del

Terzo mondo, vero e proprio fenomeno di decivilizzazione» (Latouche, 1989, trad.it. 1992,

p.84). Non va meglio ai paesi che hanno scelto il modello sovietico di sviluppo, considerato

12 Si noti l’affinità del tema con quanto già esposto in Latouche, 1986, p. 163. 13 Neologismo creato da sociologo A. Abdel-Malek per indicare la forma artificiosa di Stato importata nel Terzo mondo, che di solito precede l’esistenza di quella vera e propria nazione che tenta di costruire (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 176).

Page 88: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

78

FIGURA IV.2. Indice del libro L’occidentalizzazione del mondo (Latouche, 1989, trad. it. 1992).

Fonte: Latouche (1989, trad. it. 1992, p. 4-5)

dall’autore una variante di quello capitalistico, i quali non hanno avuto certo esiti migliori

(Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 95-96). Che una parte delle persone si considerino “povere”

è in un certo senso fisiologico per l’esistenza della macchina capitalistica, perché a livello

simbolico la povertà è il segno dell’inferiorità nell’immaginario occidentale, ed è in esso

necessario che ci sia sempre qualcuno “sotto”, cioè si trovi nei ranghi socialmente inferiori

(Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 99).

Anche l’ordine dello Stato-nazione moderno è messo in discussione da questi processi globali.

L’economia, cardine delle istituzioni di stampo occidentale, ha messo in discussione la stessa

sovranità economica degli stati. A tal proposito Latouche riprende le parole del giurista Carré

de Malberg: «Uno Stato che fosse in qualche modo soggetto a uno Stato straniero non

godrebbe neppure di un potere sovrano all’interno» (G. Massiah e J.-F. Tribillon, L’utilité de la

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connaissance, La Découverte, Parigi 1988, pag.108 cit. in Latouche, 1992). Secondo Latouche,

però, lo Stato-nazione non ha e non può avere una summa potestas economica, cioè una

sovranità economica interna ed esterna. Il potere sovrano dello Stato-nazione è letteralmente

espropriato dalla finanza transnazionale, che rende ogni Stato dipendente dagli altri. Questa

deterritorializzazione della società si accompagna alla transculturazione, tendenzialmente

monodirezionale, portata dai “consumi culturali” dominanti. Tutto ciò non porta ad un nuovo

ordine mondiale, ma ad un disordine generalizzato, e cioè una crisi di civiltà, con conseguente

fallimento dell’ideale di sviluppo.

Il fallimento dello sviluppo, e da lì il fallimento dell’occidentalizzazione delle società, non

rappresenta per l’autore il fallimento delle società del Terzo mondo, ma solo dell’Occidente

(Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 123). La soluzione che queste società indigene possono

opporre è il rifiuto dei valori occidentali e la ripresa delle tradizioni proprie della loro cultura.

L’autorganizzazione tenta di risolvere i problemi che invano il processo di occidentalizzazione

ha portato, o peggio, ha forzatamente scatenato (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 124).

L’autore non propone soluzioni concrete per risolvere il dramma del Terzo mondo, purtuttavia

enuncia che è necessario che la società occidentale riconosca l’esistenza di una umanità

pluralistica (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 145), poiché l’impresa della creazione di una

società uniforme, o meglio, conforme ai valori occidentali, è impossibile. La sola vera

universalità concepibile, dunque, «passa per un dialogo autentico tra le culture» (Latouche,

1989, trad. it. 1992, p. 148).

Il pianeta dei naufraghi (1991)

Due anni dopo la pubblicazione francese de L’occidentalizzazione del mondo (1989) ecco

pubblicato un altro libro che ne riprende i temi cardine: La planète des naufragés (1991),

tradotto in italiano come Il pianeta dei naufraghi (1991, trad. it. 1993).

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80

In questo libro Latouche sostiene che lo sviluppo, metaforicamente paragonato ad una nave,

ha irrimediabilmente fatto naufragio14. L’Occidente è riuscito a imporre il proprio modello su

scala planetaria solo a prezzo dell’esclusione e dell’immiserimento culturale (prima ancora che

economico) di miliardi di persone (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 18). Ciononostante sono

stupefacenti l’insospettata vitalità e la capacità di trasformazione di intere società, in grado di

introdurre una nuova dinamica storica. Latouche non tratta in questo libro delle potenzialità di

questa società definita «informale», ma constata, in modo semplice ma essenziale, che questo

naufragio può essere la condizione di una vera e propria «alternativa allo sviluppo» (Latouche,

1991, trad. it. 1993, p. 146). Si tratta di una alternativa fatta per ora soltanto di iniziative e di

esperienze spontanee, per di più non prive di ambiguità, ma tutte convergenti nel rendere

subordinata l’economia alla società, riaffermando il primato dei rapporti tra gli uomini sulla

produzione e sul consumo delle cose.

Il libro articola il suo discorso in due parti, denominate Il naufragio e Il rifugio. Nella prima

sezione viene evidenziato il contrasto che esiste in molti dei paesi del Terzo mondo tra le aree

urbane occidentalizzate e le aree “sopravvissute allo sviluppo”. A titolo di esempio l’autore

osserva che se si provasse a sbarcare a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, si

troverebbero le stesse architetture di vetro e di acciaio, le stesse autostrade e, per qualche

chilometro, gli stessi ingorghi che ci si aspetterebbe di trovare in una città occidentale

(Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 14). Non appena si superano i confini della città, però, il

cambiamento è tanto immediato quanto radicale. Torna a comparire la vegetazione

lussureggiante, si vedono animali al pascolo, granai rotondi dai tetti di paglia e, in prossimità,

le capanne degli «esclusi dallo sviluppo, degli indifferenti, degli emarginati» (Latouche, 1991,

trad. it. 1993, p. 15). Questi poveri, pur non essendo spesso di facile contabilizzazione

statistica, formano il vasto pianeta dei naufraghi dello sviluppo.

14 Si noti, proseguendo nell’analisi del libro, l’affinità dei temi esaminati in quanto già analizzato in Latouche (1989, trad. it. 1992)

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81

Si tratta di una categoria non uniforme: in primo luogo essa contiene i radicalmente esclusi, i

925 milioni di persone che soffrono la fame. Quarantamila bambini sono condannati a morire

di miseria ogni giorno (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 18). Per loro, denuncia l’autore, non è

stato previsto un posto al “gran banchetto” della società di consumo. Dovrebbero farne parte

anche coloro che vengono inghiottiti dagli innumerevoli conflitti che devastano il pianeta e che

arrivano a spegnersi in silenzio, vittime della mancanza di cure, indeboliti dalle carenze

alimentari (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 18). In secondo luogo ci sono i tre-quattro miliardi

di coloro che riescono a sopravvivere, con quel poco che riescono a recuperare stando al

margine della società dell’opulenza, spesso sottoforma di aiuti umanitari. I rifugiati, vittime dei

conflitti o delle catastrofi naturali, spesso aggravate dall’incuria degli uomini, formano una

specie in continua espansione. In terzo luogo esistono i contadini, coloro che possiedono un

piccolo appezzamento di terra che a stento riesce a sfamare se stessi e la loro famiglia.

Latouche sostiene inoltre che non si può più propriamente parlare di un unico Terzo mondo,15

ma si può ciononostante essere in grado di individuare ben tre sottocategorie, definite Quarti

mondi. In queste categorie si identificano gli insiemi delle persone marginali dei paesi ricchi

(un esempio sono i senzatetto), delle minoranze autoctone (come gli amerindi, gli aborigeni e

gli inuit) e dei paesi meno avanzati. Essi, in un modo o nell’altro, sono tutti naufraghi, “vittime”

dello sviluppo.

Lo sviluppo ha inciso profondamente sui valori della società occidentale, interamente votata al

progresso ed alla competizione: Latouche definisce questa attitudine come “urgenza di

vincere” (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 40). Essa è presente non solo nell’economia, ma in

ogni ambito della vita sociale: a scuola, al lavoro, in politica, nelle relazioni di coppia, nello

stesso sport, dove il piacere di giocare, l’accettazione serena della sconfitta, la complicità

15

La coraggiosa giustificazione a questa affermazione risiede nel fatto che i nuovi paesi industriali stanno per raggiungere i paesi sviluppati. Per essi non c’è più miseria, o quasi. Stanno per entrare nella grande società (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 21). Si fa presente però che non sempre si attua il “trickle down effect” (il principio in base al quale se aumenta il benessere economico della società aumenta anche il benessere economico della componente più povera), come è il caso del Brasile o dell’India.

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amichevole dei compagni di squadra quale che sia l’esito dell’incontro sono oramai venuti

meno di fronte all’imperativo della vittoria. L’urgenza di vincere è intrinsecamente legata ad

un’altra caratteristica, ossia la ricerca dell’efficienza. Non sono nuove le problematiche legate

all’efficienza di mercato o all’efficienza della produzione: “efficienza”, scrive Latouche, è solo

un’altra parola per dire “razionalità”. Si tratta di economizzare i mezzi nella realizzazione

dell’obiettivo e di mobilitare tutte le risorse a disposizione per ottenere il miglior risultato.

L’uomo, ad esempio, crede di essere stato sollevato da onerosi incarichi, che una volta erano

compiuti da esseri umani, e adesso sono svolti in forma meccanizzata. Ci si illude che il

progresso tecnologico sia foriero di un miglioramento delle condizioni di vita, ma questa

credenza può non essere sempre vera. L’osservazione di Latouche è tanto semplice quanto

efficace: «Il guadagno di tempo dei trasporti rapidi serve soltanto a estendere sempre di più le

comunicazioni e ad allungare la distanza tra il domicilio e il luogo di lavoro» (Latouche, 1991,

trad. it. 1993, p. 76).

La logica che spinge all’efficienza economica è stata sostenuta in primis dall’economia classica

del XVIII e XIX secolo, la quale afferma che il singolo, durante la ricerca dell’interesse

personale, opera allo stesso tempo nell’interesse di tutti16. Questo postulato è stato sviluppato

in particolare da Bentham all’interno della concezione economica utilitaristica. Latouche non

poteva certo esimersi dal criticare sia il primo, sia il secondo punto di vista: sono ben evidenti i

risultati di quello a cui ha portato l’anteposizione dell’interesse personale a quello della

collettività. Egli fa ricadere sulle teorie di Smith la colpa dell’invasione della “totalità” del

campo sociale da parte dell’economico (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 39). Sostenere che il

perseguimento dell’utilità personale generi un incremento dell’utilità sociale equivale a

sostenere l’identità dell’utilità individuale e dell’utilità collettiva. «La morale svanisce

completamente e così pure il contenuto stesso dell’utilità» (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p.

39). Sono pericolose le conseguenze di una condotta volta alla massimizzazione dell’utilità sia

16

Cfr. Smith (1776).

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83

individuale che collettiva, qualora vengano presi in considerazione unicamente parametri

economici: è nel nome dello sviluppo infatti che vengono spesso compiuti crimini efferati

contro l’umanità e contro l’ambiente.

Nella seconda parte del libro, Latouche si interroga sull’esistenza di un rifugio, di un’”isola

felice” sulla quale approdare dopo che la nave dello sviluppo è irrimediabilmente naufragata.

Anche se l’occidentalizzazione è sinonimo di derelizione per masse crescenti del pianeta,

Latouche riconosce infatti che «il suo fallimento finale potrebbe avere per esso effetti ancora

più disastrosi» (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 110). Esso potrebbe manifestarsi sottoforma

di un’altra guerra mondiale o di una colossale catastrofe ecologica17 . La crisi dell’Occidente

potrebbe ben significare, per i naufraghi dello sviluppo, paradossalmente una condanna a

morte pura e semplice. La dipendenza tecnica e finanziaria del Terzo mondo è discutibile e

forse superabile, ma la dipendenza alimentare, soprattutto per le popolazioni urbane, ha

raggiunto un livello tale che ogni rottura dei rapporti Nord-Sud avrebbe nell’immediato effetti

disastrosi.

Forse le uniche spiagge sulle quali i naufraghi potrebbero approdare sono quelle

dell’arcipelago dell’informale: le spiagge di una società spontanea, senza un’organizzazione

rigorosa, non capitalistica (e quindi non sfruttatrice), dotata di un’economia “altra” che si basi

su un “altro” tipo di sviluppo ed un’ “altra” forma di razionalità, non rispondente al principio

del maximin e del produttivismo, cardine dell’economia di stampo occidentale. Il surplus delle

attività artigianali, quando esiste, non dovrà essere destinato ad un continuo miglioramento

delle prestazioni produttive, ma dovrà essere destinato alla solidarietà del gruppo o alle spese

festive (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 123). Questa potrebbe essere definita, seguendo un

termine proposto da Jacques Bugnicourt, come economia popolare.

17 Esempi di questo ultimo tipo non mancano. A parte le già citate tragedie della Marea Nera nel Golfo del Messico, o della fuoriuscita di fanghi tossici da un impianto di lavorazione ungherese, si possono citare altri disastri ecologici meno recenti, come il disastro nucleare di Chernobyl del 1986, o, nello stesso anno, l’incendio dell’industria chimica Sandoz, che provocò la morte biologica dell’intero fiume Reno (Brocchi, 2007).

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È indispensabile ricercare uno sviluppo «alternativo», antiproduttivistico ed anticapitalistico,

capace di eliminare le piaghe del sottosviluppo e gli eccessi del cattivo sviluppo (Latouche,

1991, trad. it. 1993, p. 148). Si parla di sviluppo alternativo per indicare uno sviluppo che poggi

su basi diametralmente opposte rispetto a quelle su cui si basa lo sviluppo di matrice

occidentale. Non si può infatti fare in modo di ricreare uno sviluppo semplicemente diverso da

quello presente, esso deve essere anche alternativo. Lo sviluppo, conclude Latouche, è stato

ed è “l’occidentalizzazione del mondo”. Se lo sviluppo di stampo occidentale ha portato ogni

società a dipendere economicamente dalle altre, ebbene, lo sviluppo alternativo dovrà

promuovere innanzitutto il decentramento, quindi il localismo, l’autoproduzione ed in

definitiva l’autarchia. Bisognerà sganciarsi dalla misurazione canonica del consumo, la quale

non tiene conto di tre aspetti fondamentali18:

1) I servizi resi dalle autorità;

2) I beni e i servizi gratuiti;

3) I costi esterni provocati dalle trasformazioni dell’economia.

La società dei naufraghi appare dunque diventare una società “postmoderna” a causa anche

solo della sua rottura con la ragione utilitaristica. Da questo presupposto potrebbero subito

nascere due fraintendimenti:

Alcuni potrebbero dedurre che l’obiettivo della maggior felicità del maggior numero

sia ripudiato, ma ciò è vero solo in apparenza. «Il maggior numero non è un obiettivo

auspicabile e nemmeno sensato. La società deve mirare alla felicità dei suoi membri, di

tutti i suoi membri» (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 233).

La produzione materiale della società dei naufraghi non mirerà prevedibilmente alla

produzione massima. Questo però non significherà che producendo meno, i bisogni

saranno soddisfatti di meno. Neppure l’apporto di felicità derivato dalla soddisfazione

dei bisogni sarà minore, poiché la parte di felicità non derivante dal maggior numero di

18

Bertrand de Jouvenel, cit. in Latouche, 1993, p.196.

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beni di consumo sarà provvista, in misura molto maggiore, da beni relazionali,

culturali, artistici e ricreativi.

Ecco che riconducendo l’ideale di felicità al suo vero significato e non ad un’espressione di

vuota utilità, la società postmoderna si riallaccia all’ideale di equilibrio delle saggezze anteriori

e dà un contenuto pieno al vecchio obiettivo del bene comune.

La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del

progresso (1995)

Nell’opera La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del

progresso (Latouche, 1995), pubblicato contemporaneamente in francese ed in italiano, si

evidenzia come nell’economia moderna l’uomo diventi l’ingranaggio di una meccanica

complessa che raggiunge una potenza davvero notevole: una “megamacchina”, al contrario dei

sistemi di organizzazione sociale dell’antichità, come la falange macedone, l’organizzazione

dell’Egitto faraonico, la burocrazia della dinastia Ming identificati come “macchine” semplici. Il

dominio della realtà tecnoscientifica ed economica danno alla megamacchina contemporanea

un’ampiezza inedita e inusitata nella storia degli uomini. Gli effetti distruttivi del legame

sociale e dell’ambiente prodotti dalla megamacchina e dal suo apparato tecnoscientifico sono

ampiamente illustrati e denunciati, insieme con le illusioni del progresso.

Latouche torna a denunciare i danni che l’organizzazione della Megamacchina produce a

tutt’oggi, tramite i meccanismi del mercato mondiale. Tecniche sociali e politiche, tecniche

economiche e produttive si intrecciano, si fondono, si completano, si articolano in una vasta

rete mondiale realizzata da gigantesche società transnazionali che mettono al loro servizio

Stati, partiti, sette, sindacati, organizzazioni non governative. Tutto ciò va a modificare la

struttura di Stati, i quali prima erano completamente indipendenti.

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L’altra Africa. Tra dono e mercato (1997)

Bisognerà aspettare il 1997 per poter vedere un nuovo saggio di Latouche, il quale tornerà ad

occuparsi della condizione delle popolazioni africane ne L’altra Africa. Tra dono e mercato

(1997, ed. it. 2000), e a descrivere la cosiddetta economia informale. Sotto l’apparente realtà

economica (circa il 2% della produzione mondiale), infatti, l’Africa, dissanguata, in preda a

continue carestie, dilaniata e destrutturata da guerre interne, nasconde un’altra realtà. Essa

rivela l’evidente fallimento dei modelli forgiati dall’Occidente; mostra gli effetti distruttivi della

razionalità economica (Mangenot, 1999, p. 30).

Esiste un’”altra” Africa nella quale, se il mercato è presente, non si estende alla società nella

sua interezza; un’Africa capace di inserire tecniche del fai-da-te in tutti i campi e a tutti livelli,

un’Africa quindi capace di arrangiarsi, dove lo scambio sotto forma di dono coesiste con gli

effetti della mondializzazione. Tutte queste pratiche alternative di produzione e di scambio

sono emerse come risposta alla sconfitta riportata nella “guerra economica” mondiale.

L’Africa, nonostante tutto, riesce a fare tesoro di ogni esperienza: emerge così la “società

informale”, una società al di fuori dello sviluppo,19 capace di addomesticare l’economia, o

meglio, di inventare (o reinventare) un’economia che attinge la sua vitalità dal sociale e dal

culturale invece del contrario. La pratica del dono, dello scambio gratuito fondato sulla

reciprocità, limita gli effetti (specialmente quelli negativi) dei rapporti mercantili ed assicura

una solidarietà contro l’esclusione.

Il mondo ridotto a mercato (1998)

Nell’anno successivo, egli pubblicherà Il mondo ridotto a mercato (Latouche, 1998, trad. it.

2000), dai temi molto affine a quelli de L’altra Africa, in cui si soffermerà sulle implicazioni del

processo di globalizzazione sulle istituzioni politiche, in particolar modo sullo Stato-nazione,

sull’ambiente e sulla cultura. Nuovamente, egli evidenzia le colpe della mondializzazione e del

19

Simili concetti, ancora una volta, non dovrebbero risultare nuovi: si veda Latouche, 1993, pp.111-120.

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“pensiero unico” propugnato dal liberalismo, mostrandone gli effetti negativi sia all’interno del

sistema occidentale sia nei confronti dei paesi del Terzo mondo.

La fine del sogno occidentale (2000)

Nel 2000 uscirà La fine del sogno occidentale. Saggio sull’americanizzazione del mondo

(Latouche, 2000c, trad. it 2002). L’opera consiste in una forte invettiva contro l’uniformazione

economica e culturale che dall’America ha investito l’Europa e si è propagata con effetti

devastanti anche in Africa e nel resto del mondo.

Il primo effetto riscontrabile è la sparizione delle differenze nel mondo. Lingue antichissime

muoiono per abbandono, intere specie animali o vegetali vengono condannate all’estinzione

poiché ritenute non essenziali o non ottimali ai fini dello sviluppo del sistema (Latouche,

2000c, trad. it. 2002, p. 26). Le catene alberghiere hanno filiali in ogni Stato, le stesse bevande

e gli stessi cibi sono consumabili a Tokyo come in Perù. Questo a causa del processo di

deculturazione tipicamente imposto dal sistema Occidentale, che tende ad uniformare

qualsiasi aspetto della vita degli stati, sopprimendone le differenze reciproche e stravolgendo il

sistema economico, qualora esso sia sensibilmente diverso.

A tal proposito Latouche ricorda come si cerchi così insistentemente di trapiantare ovunque il

processo di industrializzazione, sconvolgendo la normale attività economica di stati la cui

ricchezza era fondata sul piccolo artigianato o sulle piccole comunità rurali. Molto spesso,

però, questo processo fallisce miseramente, col risultato di lasciare nell’abbandono più

completo popolazioni costrette a dipendere economicamente dall’Occidente. Se, però, da un

lato l’industrializzazione ha fallito, l’urbanizzazione, la terziarizzazione e la burocratizzazione

delle società dell’Africa sono pienamente riuscite (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 121). Il

fallimento complessivo dell’ideale replica di una società occidentale al Sud ha comportato ad

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88

una produzione massiccia di esclusi, ai quali non resta che cercare di sopravvivere mediante la

costruzione di una società alternativa.20

La sfida di Minerva (2000)

Sempre nel 2000, viene pubblicato La sfida di Minerva (Latouche, 2000a), in cui sono esplorati i

concetti di ragionevole e di razionale. Questi due termini hanno sempre viaggiato a braccetto,

secondo l’autore, fin verso la fine del XVI secolo, e oggi vedono la “ragione geometrica”, ossia

la pura razionalità tecnico-scientifica, come idolo incontrastato del discorso occidentale. Una

ragione che ha portato l’uomo alla costruzione della società attuale, dove la tecnologià è

asservita esclusivamente dal consumo.

Le “follie razionali” che contraddistinguono le politiche economiche occidentali sono limitate in

in Africa, laddove a vincere sono in realtà i comportamenti irrazionali e dunque ragionevoli.

Latouche racconta del contadino in Madagascar che ai consigli di un tecnico occidentale per

razionalizzare e incrementare la produzione di latte risponde “non voglio, non avrei tempo per

osservare il tramonto”; o del ragionamento antieconomico (e dunque antioccidentale) di

alcuni allevatori maliani che non sanno che farsene, di più soldi. Questo perché, spiega

l’autore, in Africa la povertà non ha lo stesso significato che assume in Occidente, perché ci

sono meno bisogni indotti e dunque meno razionalità. Razionalizzare l’africano equivale quindi

a distruggerlo, e questo in quanto diventa economicamente razionale solo ciò che conviene

agli interessi dei bianchi. Ben vengano quindi le palabre, le assemblee subsahariane con le

quali i membri di un villaggio risolvono conflitti e problemi comuni. Alle moderne democrazie

occidentali esse possono insegnare l’importanza dell’assemblea popolare per sperimentare un

potere reale; al di là della giustizia il loro obiettivo è infatti raggiungere l’armonia, l’unità. E

poco importa a Latouche se le palabre alla lunga sono soggette agli stessi mali delle assemblee

20 Il significato dato alla società alternativa è quello illustrato nel libro Il pianeta dei naufraghi (Latouche, 1993).

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occidentali: restano comunque una dimostrazione, con le loro sedute lunghissime e molte

volte inconcludenti, di come il tempo ragionevole non sia denaro.

Il rilievo della ragione, della phrónesis, così come ricordato da Latouche, è stato nettamente

ridimensionato a scapito dell’interesse economico, e alla scomparsa della “prudenza” dal

vocabolario occidentale. Secondo Latouche, «tutto si compra e tutto si vende: nulla sfugge alle

maglie dei razionale»: la phrónesis è stata così definitivamente scavalcata dall’audacia, serva

stupida del capitalismo utilitaristico. Ma se consideriamo la totalità degli elementi che

costituiscono l’umano, vedremo che affidarsi al cieco spirito geometrico è assolutamente

irragionevole. Acquistare un chilo di banane biologiche costa di più, è irrazionale

economicamente. Ma, in un’ottica etica dell’umano, è perfettamente ragionevole.

L’autore avverte anche sulla reale efficacia delle reti eque e solidali. Da un lato infatti queste

ultime, se operano in buona fede, sono un’importante strumento di “opposizione” al pensiero

unico; dall’altro, se la phrónesis viene meno, esse rischiano di tramutarsi in ciò che cercano di

combattere, diventando business: è quando i prodotti solidali si appoggiano per la

distribuzione alle grandi catene, o quando si investe di più nel merchandising che non nella

solidarietà. È un problema concreto, che riguarda anche le ONG. Latouche consiglia quindi di

tornare nel campo del ragionevole, della prudenza, la quale presuppone la conoscenza del

senso del limite. Dobbiamo quindi riconoscere che la stessa ragione è sempre minacciata dalla

contaminazione del razionale. È questa la sfida di Minerva: non si tratta di tornare alla

prudenza aristotelica, ma di superarla per uscire dagli intralci di una ragione bifronte. È per

questo che il libro dell’economista-filosofo francese è un prezioso strumento per imparare a

“ragionare” umanamente, senza essere schiavi dello spirito geometrico.

Due libri pubblicati esclusivamente in italiano: Immaginare il nuovo (2000) e

L’invenzione dell’economia (2001)

A dimostrazione del crescente interesse dimostrato dal pubblico italiano verso le sue idee,

Latouche presenta due libri destinati inizialmente alla sola distribuzione italiana. Il primo è un

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90

libro-intervista intitolato Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali, globalizzazione,

interdipendenza Nord-Sud (Latouche, 2000b), in cui egli risponde alle domande di Antonio

Torrenzano in merito alla fattibilità della creazione di una società alternativa a quella dominata

dai valori occidentali, foriera di emarginazione ed esclusione. Il secondo, dal provocatorio

titolo L’invenzione dell’economia (Latouche, 2001) è in realtà una raccolta di sette saggi che

analizzano in particolare l’evolversi della storia economica tra il diciassettesimo secolo fino al

tempo presente:

nel primo saggio egli indaga essenzialmente la costruzione dell’immaginario

economico e la nascita dell’invenzione dell’economia;

nel secondo saggio compie una vera e propria indagine sociologica in merito all’ordine

sociale naturale, e su come questo partecipi all’istituzione immaginaria della nostra

società;

nel terzo saggio analizza il rapporto tra storia ed economia, auspicandone la netta

separazione dei ruoli, ma concludendo allo stesso tempo che tale divisione non potrà

mai avvenire completamente;

nel quarto saggio mostra come sant’Agostino sia il precursore del concetto della mano

invisibile teorizzata da Smith;

nel quinto saggio riporta il contributo di Boisguilbert alla diffusione del mercantilismo,

il quale per primo sostiene che il sistema mercantilista possa portare alla felicità di

tutti;

nel sesto, brevissimo saggio, si sofferma in particolare sul personaggio di Berdard de

Mandeville;

nel settimo ed ultimo saggio parla del lusso e delle differenti posizioni che hanno

tenuto nel tempo i vari economisti a riguardo.

Tramite questi due libri, Latouche conferma la sua posizione fortemente critica nei confronti

dell’economia moderna. Secondo l’autore, l’economia non è altro che un’invenzione.

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Particolarmente interessante è il modo con cui Latouche supporta le sue tesi, utilizzando una

molteplicità di approcci: oltre a quello prettamente economico, egli utilizza anche approcci

sociologici e storici.

La déraison de la raison économique. Du délire d’efficacité au principe de

précaution (2001)

Chiude le pubblicazioni del Latouche adulto un libro che appartiene ad un ambito tematico

nuovo rispetto alla abituale produzione di Latouche: La déraison de la raison économique. Du

délire d’efficacité au principe de précaution (Latouche, 2001). Questo libro segna lo spartiacque

tra due fasi della vita di Latouche, poiché esso consiste in un’analisi dell’intreccio tra economia

e politica nella società occidentale. Latouche arriverà a proporre una prima alternativa alla

società di mercato attraverso la politicizzazione dell’economia locale, basandosi sul consenso

pubblico. Evidente è in questo senso l’apporto della palabre africana, un’istituzione sociale alla

quale partecipa la comunità di un villaggio, al fine di regolare contenziosi senza che nessuna

delle parti sia lesa.

4.3.2 – Le due principali opere del Latouche adulto – Un’analisi

Dopo aver fornito una veloce panoramica sulle opere che Latouche ha pubblicato dagli anni ‘80

al 2002, si vuole ora approfondire il contenuto di due opere ritenute esemplificative del

pensiero del Latouche Adulto. La prima ad essere analizzata sarà La fine del sogno occidentale.

Saggio sull’americanizzazione del mondo (Latouche, 2000c, trad. it. 2002). La seconda sarà

L’altra Africa. Tra dono e mercato (Latouche, 1997). È immediato notare come l’ordine in cui

saranno studiate queste due opere va in senso opposto rispetto a quello cronologico. Si è

optato per questa soluzione per non confondere il lettore in termini argomentativi: L’altra

Africa parla delle conseguenze a cui porta il processo di “americanizzazione”: è dunque bene

esplorare questo aspetto per primo.

Page 102: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

92

La fine del sogno occidentale

La prefazione alla seconda edizione italiana si apre con un’immagine

simbolo che tutti abbiamo tristemente imparato a riconoscere: lo

schianto, l’11 settembre 2001, di due aerei contro le Torri Gemelle.

Un evento simbolo della fragilità del sistema occidentale, o, per dirla

con parole di Latouche, della fragilità della «megamacchina

tecnoeconomica planetaria» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 8). Quali sono stati dunque gli

errori commessi dall’Occidente per provocare una reazione così catastrofica da parte di coloro

che abbiamo già definito come naufraghi dello sviluppo? In questo libro, Latouche cerca di

rispondere a questa domanda.

Nell’introduzione si mostra come una caratteristica precipua del sistema occidentale sia la

mondializzazione. Essa, originariamente confinata al solo ambito economico-finanziario,

ricopre ormai praticamente qualsiasi ambito del sociale, dall’ambiente alla cultura, alla

politica. Non solo: nel tempo, con la mondializzazione si è avviato congiuntamente un processo

di economicizzazione, ossia una trasformazione dei differenti ambiti della vita in questioni

economiche (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 16).

Il primo capitolo, “L’uniformazione planetaria”, spiega come il modello di vita occidentale si sia

diffuso con successo in tutto il mondo, e come esso venga imitato tramite un fenomeno di

mimetismo largamente diffuso nelle società del Sud del mondo. L’uniformità planetaria è

promossa innanzitutto dai Paesi ricchi, i quali sovvenzionano al Sud la produzione di beni o

servizi destinati al commercio con i Paesi promotori, con disastrose conseguenze a livello

sociale ed economico: da un lato si arriva ad annullare le differenze tra le varie culture,

dall’altro si mina l’indipendenza economica e culturale degli Stati poveri.21 Questo è un mezzo

più potente di quanto si creda per veicolare la propria cultura verso una popolazione estranea.

21 Latouche riporta l’esempio della fornitura gratuita da parte della Francia di servizi di informazione satellitare alle radio e alle televisioni dell’Africa occidentale, col risultato, si spiega, dell’assenza di «veri e propri mezzi audiovisivi africani» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 29).

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93

FIGURA IV.3. Indice del libro La fine del sogno occidentale (Latouche, 2000c, trad. it. 2002).

Fonte: Latouche (2000c, trad. it. 2002, p. 4-5)

Il fatto d’appartenere tutti quanti ad un’ideologia comune, caratterizzata, scrive Latouche, dall’

«accettazione di fatto della tecnica nel suo utilizzo quotidiano, la fede condivisa nella

scienza come fonte delle meraviglie della tecnica, la sudditanza forzata

all’economico» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 32),

costituisce quella che lui definisce standardizzazione dell’immaginario. Un esempio di

standardizzazione dell’immaginario è rappresentata dall’accettazione a livello mondiale della

ripartizione temporale dell’anno nei canonici 12 mesi, o della divisione del globo nei 24 fusi

orari. Latouche riconduce l’avvio della standardizzazione dell’immaginario a livello globale con

l’epoca colonialistica, della quale, si racconta, furono denunciati i saccheggi, i massacri e le

deportazioni, ma quasi mai venne riconosciuto il vero intento della conquista colonialista: per

l’economista francese non all’oro, non alle terre erano interessati i coloni europei, ma alla

conquista delle menti e dell’immaginario degli indigeni (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 39).

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94

Dove la sovrapposizione dei valori occidentali a quelli indigeni è stata possibile, le civiltà

preesistenti sono state sconvolte dall’arrivo dell’uomo bianco, cambiando completamente

faccia. Dove invece le civiltà hanno mostrato refrattarietà nei confronti della civiltà

occidentale, esse sono state «puramente e semplicemente eliminate con lo sterminio o per

declino naturale» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 40). È questa la fine che è stata riservata,

per esempio, agli indiani d’America, che hanno cercato di resistere, per quanto è stato loro

possibile, all’imposizione della legge dei bianchi sui territori nei quali essi abitavano da secoli.

Col secondo capitolo, Latouche cerca di definire gli sfuggenti contorni del soggetto da lui

definito Occidente. Esso, si scrive, è un concetto in continuo mutamento, e le definizioni che

valevano anche solo fino alla fine del secolo scorso devono essere riviste alla luce dei recenti

accadimenti. L’Occidente, come già ricordato ne L’occidentalizzazione del mondo (Latouche,

1989, trad. it. 1992, p. 34)22, è un soggetto che

«ha a che vedere con una entità geografica, l’Europa, con una religione, il

cristianesimo, con una filosofia, l’illuminismo, con una razza, la razza bianca, con un

sistema economico, il capitalismo» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 53),

senza però esaurirsi completamente in nessuno di questi aspetti. Per ognuna di tali

classificazioni egli fornisce chiarimenti, che evidenziano come in nessun caso ci sia piena

corrispondenza tra questi ultimi e il soggetto Occidente. Esso geograficamente parlando non

coincide più né con l’Europa né con la razza bianca: basti pensare al Giappone, che è diventato

a tutti gli effetti una delle maggiori potenze di stampo occidentale. Non si può nemmeno

assimilare il concetto di Occidente a quello di cristianesimo: certo, il cristianesimo occupa di

fatto un ruolo di primo piano nella cultura occidentale, e molte ONG e organizzazioni caritative

operanti nel Sud del mondo sono animate da sentimenti ispirati alla morale da esso dettata.

Da un lato, però, l’islamismo esercita un peso sempre più importante nei paesi occidentali,

dall’altro l’ateismo e l’indifferenza religiosa sono sempre più diffusi anche nelle comunità

22 Ad un lettore attento non sfuggiranno i numerosi richiami tra i temi dei due saggi di Latouche, che presentano più di una affinità a livello tematico.

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95

maggiormente legate alla fede cristiana. Neppure può essere identificato con la filosofia

illuminista: esso ne condivide gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza su tutti (basti

pensare alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo), ma la prepotenza con cui è stata

imposta la cultura occidentale fa dubitare che ad animare lo spirito occidentale ci sia

quest’unica filosofia. Forse ciò che più si avvicina ad una identificazione del mondo occidentale

è il paragone col mondo capitalista. Esiste però un vistoso limite a tale paragone: l’Occidente

esisteva già prima del capitalismo. Stabilire un’identità fra capitalismo ed Occidente, quindi,

seppur parzialmente corretto, equivarrebbe a relegare quest’ultimo all’interno di una

definizione storico-economica molto ristretta. La storia economica dell’Occidente è molto più

complessa, e comprende necessariamente anche le fasi economiche anteriori alla venuta del

capitalismo.

Il terzo capitolo, dal titolo “Il rullo compressore occidentale”, tenta di analizzare i tre processi

ritenuti da Latouche responsabili dello sradicamento di una cultura diversa da quella

occidentale: essi sono l’industrializzazione, l’urbanizzazione ed il nazionalitarismo.

L’industrializzazione è presentata come elemento indispensabile per una società che voglia

raggiungere gli standard di vita di quella occidentale. La tentazione di promuoverla c’è,

sempre, «qualunque ne sia il prezzo» (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 92). Numerosissimi

sono gli esempi di “industrializzazione fallita”, in cui dei progetti miliardari sono miseramente

falliti a spese della società.23 Secondo l’economista francese non c’è da stupirsi: la cosiddetta

scorciatoia tecnologica non è altro che un’illusione, poiché per costruire una società simile a

quella occidentale non basta una semplice o veloce industrializzazione, ma occorre anche un

substrato di rapporti umani, di strumenti e di fattori ambientali che permettano

l’insediamento di tale civiltà. Con l’industrializzazione si attua automaticamente il processo di

urbanizzazione, che provoca un’irreparabile rottura con la cultura rurale preesistente. È così

che le case finiscono per essere progettate secondo i nuovi standard urbani, e si assiste alla

23

Cfr. Latouche, 2002, p. 93-94.

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96

nascita di città dall’anima fredda, senza centro storico, né storia, né punti di riferimento.

L’ultimo elemento, il nazionalitarismo, può essere definito come la forma artificiosa dello Stato

nel Terzo mondo. Latouche spiega che,

«poiché nella comunità internazionale la personalità giuridica è riconosciuta

soltanto agli Stati di tipo moderno, solo i popoli che si sono dotati dei segni

dell’ordine statuale possono fare parte della società delle nazioni» (Latouche, 2000c,

trad. it. 2002, p. 102),

incarnata in particolare dall’ONU. Più che l’industrializzazione o la creazione di un apparato

statale funzionante ed efficiente, infatti, l’Occidente è riuscito a diffondere solo la creazione di

strumenti di potere.24 Gli stati dell’Africa sono così dotati di istituzioni di stampo occidentale

senza personale in grado di dirigerle: alla fine dei conti, l’unico vero risultato del

nazionalitarismo è l’annientamento delle forme di organizzazione sociale originarie, sostituite

da una società fortemente burocratizzata.

Il quarto capitolo, “I fallimenti dell’utopia modernista”, mostra come il sogno occidentale di un

mondo rispondente ad un modello culturale e di sviluppo comune sia naufragato senza

possibilità di essere recuperato. I tentativi falliti di impiantare il sistema occidentale nei paesi

del Sud hanno provocato essenzialmente la brutale deculturazione della popolazione locale,

col risultato di portare in alcuni casi alla nascita di

«forme aggressive di ricostruzione dell’identità culturale che vengono affermate ed

ostentate in un discorso violentemente antioccidentale» (Latouche, 2000c, trad. it.

2002, p. 112),

e la produzione di una nuova categoria di persone: gli esclusi dallo sviluppo, coloro cioè che

vivono nei cosiddetti “tre Quarti mondi”.25 Il sistema di sviluppo occidentale non è stato

replicato per la mancanza di una solida base economica ed organizzativa in grado di

24

Cornelius Castoriadis ne fornisce alcuni esempi: strumenti di potere sono gli altoparlanti nei villaggi che diffondono i messaggi del capo, le notizie ripetute sempre uguali dalle televisioni. «Qualunque caporale in qualunque Paese del Terzo mondo sa ormai manovrare le jeep, le mitragliette, gli uomini, la televisione, i discorsi (…). Questo abbiamo dato loro» C. Castoriadis, 1988, p.108, cit. in Latouche, 2002, p.102. 25

Abbiamo già avuto modo di analizzare questo concetto (Cfr Latouche, 1993, pp.15 sgg.).

Page 107: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

97

supportarlo. Si sono ricercate ovunque strategie in grado di far decollare l’economia dei paesi

meno sviluppati, cambiando la loro formula anche diverse volte nel giro di poche decine

d’anni, ma senza successo. Questo ha decretato la fine del sogno occidentale.

Il quinto ed ultimo capitolo, dal titolo “Quale speranza per i naufraghi?”, si interroga sulle

conseguenze che comporta il processo di occidentalizzazione per le società del Sud. Il primo

aspetto analizzato è la costruzione di un sentimento fortemente nazionalista negli stati in cui il

progetto di sviluppo è naufragato. Poiché l’occidentalizzazione ha generato la deculturazione

della popolazione, è normale assistere a movimenti tendenti a rafforzare l’identità culturale

dello Stato, anche in maniera estremista ed antioccidentale. Non a caso si riporta l’esempio

della facile ascesa dei fondamentalisti islamici, che trovano terreno fertile nella loro campagna

contro il bianco colonizzatore. Alcuni addirittura sfruttano questo malcontento per piegarlo ai

propri fini.

Allo stesso tempo, però, gli esclusi dallo sviluppo non stanno a guardare, e già propongono

modelli di un’organizzazione “alternativa”: al Cairo si smistano e riciclano i rifiuti con la stessa

tecnica utilizzata dagli straccivendoli, coprendo i costi di smaltimento delle fabbriche con gli

introiti derivanti dalla vendita di composta di rifiuti pronta per l’impiego edilizio e di granuli di

plastica. L’etica del dono in Camerun è così sviluppata da costituire una vera e propria rete di

mutua solidarietà paragonabile e complementare a quella fornita dalle ONG. L’economia di

queste società ha tutte le caratteristiche delle società informali che già abbiamo avuto modo di

vedere (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 146): l’accento è posto sul fai-da-te, la solidarietà

riveste un ruolo di primaria importanza, il capitale non viene accumulato, la produzione non è

fine a se stessa, il risparmio non ha l’unico scopo di aumentare la produzione.

«Il settore, infine, non si sviluppa tramite la concentrazione delle unità produttive

bensì attraverso la loro moltiplicazione, e le risorse servono in larga misura a

soddisfare bisogni culturali: spese per feste, solidarietà di gruppo» (Latouche,

2000c, trad. it. 2002, p. 165).

Page 108: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

98

Latouche conclude il suo libro sostenendo che, se la società occidentale è indiscutiblmente in

crisi, questa è la condizione necessaria per l’alba di un nuovo mondo: come direbbe Nietzsche,

“il deserto avanza, maledetto sia chi protegge il deserto” (F. Nietzsche, 1885).

L’altra Africa. Tra dono e mercato (1997)

Abbiamo fin qui preso in considerazione le caratteristiche del

modello di sviluppo occidentale, del modo aggressivo in cui esso è

stato imposto (con la forza o con l’astuzia) a civiltà di cultura

differente e delle ricadute che esso ha avuto sulle condizioni di vita

delle popolazioni africane. Con questo libro, in realtà una raccolta di

saggi, Latouche esplora i contorni di quella che definisce l’altra Africa: l’Africa non ufficiale,

l’Africa della irrazionalità economica, l’Africa che non basa la sua economia sul mercato ma,

come abbiamo già avuto modo di anticipare, sul fai-da-te. Il libro si articola in sei saggi, ripartiti

in due percorsi: un percorso teorico in una prospettiva africana e un percorso africano in una

prospettiva teorica. Per la struttura del libro si faccia riferimento alla Figura IV.4 della pagina

seguente. Essa è organizzata in due parti: la prima, Percorsi teorici in una prospettiva africana,

si occupa di analizzare le peculiarità del particolare sistema economico-sociale africano. La

seconda, Percorsi africani in una prospettiva teorica, illustra come la società africana

interagisca col mondo occidentale, e l’influenza che quest’ultimo esercita su di essa.

L’introduzione alla raccolta di saggi è una panoramica impietosa sulle condizioni del

Continente Nero: il suo prodotto interno lordo a stento arriva al 2% di quello mondiale,26 a

fronte di un tasso di crescita della popolazione che continua ad aumentare ad un ritmo del 3%

annuo. Questi dati sanciscono il fallimento dell’Africa ufficiale, quella devastata dal processo di

occidentalizzazione; esiste però, ricorda Latouche, un’altra società nel Continente Nero, che,

sottrandosi alle leggi dello sviluppo, ha trovato i mezzi per rialzarsi.

26 Fonte: IMF, 2009. Quando Latouche scriveva il libro nel 1997, esso era persino inferiore a questa pur bassa percentuale.

Page 109: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

99

Fonte: Latouche (1997, p. 5-7)

FIGURA IV.4. Indice del libro L’altra Africa (Latouche, 1997)

Page 110: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

100

Essa costituisce un’alternativa storica: così definita perché costituita in seguito ad avvenimenti

storici. L’altra forma di alternativa è quella volontaristica (Latouche, 1997, p. 24).

Un esempio tangibile di alternativa africana è la pratica del dono, bene illustrata nel primo

saggio. Essa consiste essenzialmente nel rifiuto di utilizzare la moneta come controparte di

scambio di beni o servizi, ceduti gratuitamente al prossimo: in Africa, denuncia Guy Nicolas

(1986, cit. in Latouche, 1997, p. 43), la moneta compromette le basi delle organizzazioni

sociali, in particolare quelle dei rapporti di parentela. Sorprendenti agli occhi di un occidentale

gli esempi riportati da Latouche, come per esempio quello presente in Mauritania, dove, data

la scarsità di vetture, le chiavi delle automobili sono fatte circolare tra più amici, nonostante il

proprietario della macchina sia uno solo. Certo, a chi viene offerto un dono ha l’obbligo morale

sia di accettarlo sia di ricambiare il favore, ma alla fine di una giornata, racconta Latouche, uno

ha sempre l’impressione di aver ricevuto più di quanto esso non sia stato disposto a dare.

Neanche il mercato, quando presente, è paragonabile al modello occidentale: il mercato

africano è prima di tutto «un incontro tra persone» (Latouche, 1997, p. 48), dove la

contrattazione gioca un ruolo fondamentale per assicurare al compratore ed al mercante il

giusto surplus reciproco.

Proprio sul mercato si basa il secondo capitolo, che mette in luce le differenze tra il Mercato

(con la m maiuscola) globalizzato occidentale e il mercato (o i mercati) con la m minuscola

tipici delle società dell’altra Africa. Se quest’ultimo si basa sulla gratuità, sul dono e sulla

pratica del mercanteggiamento, il Mercato di stampo occidentale poggia le sue basi sulla

moneta e sul soddisfacimento dell’interesse personale.

Latouche torna a soffermarsi su quella che chiama l’impostura dello sviluppo nel terzo saggio.

L’Occidente si prodiga tanto a diffondere lo sviluppo nelle società del Terzo mondo

essenzialmente a causa del trickle down effect, ossia il fenomeno delle ricadute favorevoli per

tutti. Questa credenza, però, non regge ad un serio esame, poiché in essa è possibile

individuare la presenza di ben tre paradossi:

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101

1) Il paradosso della creazione dei bisogni. L’economia poggia il suo cardine sul

soddisfacimento dei bisogni: per garantire che essi rimangano inesauribili, ha inventato

il concetto di scarsità (Latouche, 1997, p. 96);

2) Il paradosso dell’accumulazione. Lo sviluppo si prefiggerebbe lo scopo, grazie alla

crescita ed al conseguente trickle down effect, di sconfiggere le ineguaglianze

all’interno della società. Gli economisti sono però unanimi nel pensare che

l’accumulazione non possa realizzarsi senza una grande ineguaglianza di redditi

(Latouche, 1997, p. 98);

3) Il paradosso ecologico. Con la crescita economica si accompagna anche un

peggioramento della situazione ambientale, costringendo a destinare capitale via via

crescente alle tecnologie che ne limitino i danni (Latouche, 1997, p. 99).

La quarta parte del libro si apre con il quarto saggio, il quale è a tutti gli effetti un’indagine

etnografica verso una comunità di fabbri della Mauritania, per metà tradizionali e per metà

postmoderni. Latouche ne osserva le abitudini, la cultura, i rapporti con l’esterno, per arrivare

a fornire un quadro del progetto di società conviviale che implicitamente essi hanno costruito.

Latouche prosegue la sua indagine etnografica nel quinto saggio, in cui relativizza il concetto di

povertà: esso deve sempre essere rapportato ad un contesto. Da un punto di vista economico

quindi i paesi del Continente Nero sono effettivamente tra i più poveri del mondo, ma la

ricchezza in Africa non si misura in moneta. Un ruolo fondamentale è svolto dalla solidarietà: a

Douala, in Camerun, il surplus di cibo viene generosamente donato da una famiglia all’altra, gli

utensili vengono presi in prestito in caso di bisogno, «senza che si tenga una contabilità dei

doni» (Latouche, 1997, p. 142). Spiega molto bene Latouche che «Non si può richiamare la

povertà in un campo in cui la ricchezza è collettiva (…) e destinata alla circolazione» (Latouche,

1997, p. 143). Purtroppo, la venuta dell’uomo bianco ha avuto effetti deleteri nei rapporti di

solidarietà su cui si fondavano molte delle società africane: il senso di abbandono in cui

versano ora molti africani li ha portati a rifugiarsi nella stregoneria.

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102

Latouche espone la sua esperienza di Grand Yoff, una periferia urbana in provincia di Dakar, in

Senegal, per mostrare nel sesto ed ultimo saggio le varie sfaccettature di una società informale

chiamata a vivere a contatto con una realtà ampiamente occidentalizzata. Latouche divide la

cosiddetta economia informale su quattro livelli:

1) I «traffici», ossia il commercio di importazione ed esportazione che prevede pratiche

che spaziano dal contrabbando di droga al riciclaggio di vestiti provenienti da ONG

caritatevoli;

2) Il subappalto non ufficiale, in cui piccole imprese che producono per il mercato

occidentale fanno lavorare i loro impiegati (tra cui anche bambini) ad orari disumani,

retribuendoli con salari irrisori;

3) L’economia popolare, ossia la piccola attività imprenditoriali capace di soddisfare,

grazie ad un’innata versatilità dell’imprenditore, i bisogni quotidiani della gente;

4) L’oikonomia neoclanica, il modo cioè in cui la società riesce ad organizzarsi in reti che

forniscono diverse attività.

Quest’ultima rappresenta sicuramente l’aspetto più originale e caratteristico della società

informale e «Solo essa può essere portatrice di una via alternativa allo sviluppo impossibile»

(Latouche, 1997, p. 179). Si badi bene: Latouche non cerca in alcun modo di propugnare una

società che vive di espedienti come modello universale. Egli riconosce però che, in mancanza

di meglio, questa è senza dubbio l’alternativa più efficace. Una società informale è una società

che non guarda al profitto: esemplare è l’aneddoto del lavoratore che lavorava un’ora sola al

giorno, tanto quello che gli bastava per procacciarsi di che sopravvivere durante la giornata:

«Il mio tempo libero – disse – sono 24 ore al giorno. Ma mi capita, a volte, nel mio

tempo libero, di scegliere di lavorare» (G. Esteva, 1993, p. 43, cit. in Latouche, 1997).

Latouche, in questo libro, ha cercato di far comprendere al lettore «l’importanza del tempo,

delle energie e dei rapporti sociali» (Latouche, 1997, p. 198). La catalogazione dell’Africa come

continente sottosviluppato non è solo scorretto, ma soprattutto ingiusto nei confronti di una

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103

società che valuta la propria ricchezza su una scala di valori completamente diversa rispetto a

quella occidentala. Egli propone alle potenze dell’Occidente un nuovo messaggio: l’aiuto

all’altra Africa passa non tanto sottoforma di aiuti umanitari, quanto sottoforma di una

autolimitazione delle società del Nord. Ciò può avvenire con un cambiamento del modello

occidentale e una completa revisione del concetto di sviluppo.

4.3.3 – Il pensiero del Latouche adulto – Le caratteristiche

Possediamo ora tutto il materiale necessario per poter procedere con l’analisi delle principali

caratteristiche del pensiero di Latouche nell’epoca 1980-2001, definita “adulta”.

Si può notare come esista una vistosa presa di posizione molto più articolata rispetto alle sue

stesse convinzioni di appena vent’anni prima. Se il Latouche “giovanile” mostrava simpatia per

le teorie marxiste e leniniste, dal 1980 la rottura con queste teorie appare definitiva. Un tale

cambiamento di mentalità era già emerso all’interno dello stesso periodo giovanile: come si

ricorderà, con il libro La critique de l’impérialisme (1979) Latouche dimostra di aver già preso

nettamente le distanze dalla corrente leninista. Questo processo di allontanamento prosegue

nell’epoca adulta, al punto da rifiutare la visione stessa di sviluppo propria dell’economia

classica e di Marx in particolare.

Quali sono, allora, i motivi che hanno spinto Latouche a divergere dalle opinioni iniziali?

Noi riteniamo che se Latouche avesse passato in Francia (o in Occidente, usando il termine

nell’accezione che egli stesso ha dato) gli anni cruciali della sua formazione, egli non si sarebbe

mai interrogato realmente sui veri motivi per i quali l’Africa versa nelle condizioni attuali.27 La

stretta collaborazione con il circolo di intellettuali vicino a Ivan Illich e la lettura di Castoriadis

(1958, 1996) sono stati senza dubbio un ulteriore fattore che si è rivelato decisivo nel

determinare l’evoluzione di pensiero dell’economista francese.

27

Cfr Latouche, 1993, p. 27.

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104

Col suo soggiorno in Africa e quindi nel sud-est asiatico,28 Latouche ha appreso che il problema

del “sottosviluppo”, contrariamente a quello che sosteneva Marx, non risiede nei meccanismi

interni al capitalismo, bensì risiede nella mondializzazione, nell’uniformarsi al modello

occidentale di pensiero e di cultura, nell’ingerenza, nell’intromissione degli Stati occidentali in

questioni che non dovrebbero essere di loro competenza (Latouche, 1997, p. 214). Marx al

contrario avvalora la tesi del carattere universale della modernità occidentale (Latouche, 1997,

p. 20): essa, rivitalizzata dai principi del comunismo, doveva essere riproposta in tutti gli stati e

presa come esempio politico, economico e culturale (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 95). Qui

L’economista francese dissente fortemente e sono evidenti i segni di questo suo cambio di

rotta: se nella tesi di dottorato La paupérisation à l’échelle mondiale, Latouche (1966)

augurava ai paesi del Sud di recuperare il più rapidamente possibile il divario tecnologico che li

divideva dall’Occidente (Latouche, 2006a), il Latouche adulto cambia radicalmente idea,

asserendo che «Il sottosviluppo non è un ritardo ma l’oppposto dello sviluppo» (Latouche,

1986, p. 71). Gli stati del Sud non devono sentirsi quindi in ritardo rispetto a niente e a

nessuno, poiché non spetta a nessuno stabilire chi è in ritardo rispetto a cosa: persino la

scorciatoia tecnologica è una pura illusione (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 95). Appare

quindi ovvio che, al contrario di quello che sostiene Marx, il problema non è l’esistenza del

capitale, ma è l’esistenza dello sviluppo così come viene inteso in Occidente. Il nemico da

combattere non è quindi solo il capitalismo, ma la società di crescita nel suo insieme.

In quest’ottica, il Latouche adulto muove un’aspra critica rivolta al mondo occidentale: di esso,

Latouche rifiuta sia il sistema economico, sia l’attitudine ad ergersi come modello universale,

attuando il processo di deculturazione che tanti danni ha provocato nel Terzo mondo.

Riprendendo il contenuto della Tabella IV.2, si noterà come, nell’arco di venti anni, ben quattro

libri siano dedicati ad una critica diretta all’Occidente, e numerosi altri (quelli appartenenti al 28 Latouche, durante i due anni di permanenza in Congo, ha colto l’occasione per visitare sia i paesi limitrofi (Congo, Angola, Ruanda) sia gran parte dei paesi della costa occidentale (Costa d’Avorio, Senegal, Gabon, Nigeria, Liberia, Camerun, Togo, Benin). Durante il suo soggiorno in Laos, infine, ha viaggiato e osservato i modelli di vita di Thailandia, Cambogia, India, Nepal, Pakistan e Birmania (Latouche, 1991, trad. it. 1993, p. 10).

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105

tema del Terzo mondo e alla critica dello sviluppo) mostrano una critica indiretta allo stesso.

Se si cercasse, però, anche solo una proposta costruttiva ai problemi giustamente sollevati

dall’autore, si rimarrebbe in gran parte delusi: solo ne L’altra Africa (Latouche, 1997), si

riconosce un’esortazione rivolta all’Occidente ad astenersi da ingerire negli affari africani, ma

un’esortazione è lungi dal rappresentare una soluzione sul “da farsi” in concreto. La società

informale viene presentata come capace di risolvere i problemi africani, ma questo

equivarrebbe al curare i sintomi di una malattia senza intervenire sull’elemento patogeno. A

parte il richiamo generico ai pregi dell’economia informale, in nessuno dei libri appartenenti a

questo periodo si propone una reale alternativa al sistema economico occidentale. La carenza

di costruttività nelle opere di Latouche non è passata inosservata (Caire, 1986, p. 934), ma ciò

non deve destare stupore: la critica rivolta all’Occidente in quegli anni gli servì per focalizzare

meglio l’attenzione sul problema. Nel tempo, come successe durante il periodo della

giovinezza, egli riuscirà a far maturare il suo pensiero, arrivando all’ideazione e alla definizione

di un concetto rivoluzionario, un concetto destinato a far discutere sempre più negli anni a

venire: il concetto di decrescita.

Page 116: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

106

4.4 – Il Latouche maturo

Il 2002 appare un anno importante e a nostro avviso simbolico di una nuova svolta nella vita di

Latouche. Tra febbraio e marzo, infatti, egli parteciperà al convegno Disfare lo sviluppo, rifare il

mondo29 ed in questa sede, per la prima volta, propone una valida alternativa al sistema

occidentale, o come preferirà definirlo, alla società di crescita (Latouche, 2006b, trad. it. 2010,

p. 28). Questa svolta, come si potrà osservare, non è una frattura rispetto al Latouche adulto,

ma un suo proseguimento naturale in termini però più costruttivi. Egli, già con la pubblicazione

de L’altra Africa (1997), si rese conto che, per migliorare le condizioni di vita dei popoli del Sud,

si avrebbe dovuto preventivamente cambiare il sistema occidentale nella sua interezza. Con il

libro La déraison de la raison économique (2001) Latouche aveva già iniziato a gettare le basi di

una società «altra» persino in Occidente. Era logico, quindi, dopo anni di feroci critiche rivolte

all’Occidente, aspettarsi un periodo di riflessione in cui egli affinasse la sua ricerca ed arrivasse

all’elaborazione di un progetto del tutto nuovo.

Latouche è riuscito ad individuare, durante il suo soggiorno nei paesi del Terzo mondo, tre

caratteristiche chiave delle società altre:

1. Il distaccamento sia dall’ideale di sviluppo, inteso anche nella moderna ed ambigua

accezione di sviluppo sostenibile (cfr. Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 73), sia dal

perseguimento della crescita economica.

2. Il rilievo che ricopre la rete di relazioni sociali, sovente molto fitta.

3. Un’attenzione particolare all’aspetto ambientale, cosa tanto importante quanto

innovativa rispetto all’ideologia prevalente dell’epoca.30

29

Si segnala, per conoscere in dettaglio gli atti del convegno, il libro Disfare lo sviluppo per rifare il mondo (llich, Latouche et al, 2005), che annovera un sunto di tutti gli interventi dei partecipanti alle conferenze. 30 La dimensione ecologica non era trattata diffusamente dagli economisti contemporanei a Latouche, che riuscierà ad includere l’aspetto ambientale nella sua critica al sistema occidentale soltanto con il saggio Il Pianeta dei naufraghi (1991).

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107

Di qui alla postulazione di una società di decrescita, il passo è stato relativamente breve. Per

queste tre ragioni, essa non rappresenta un’alternativa, quanto piuttosto, come ama ripetere

Latouche, una «matrice di alternative» (Latouche, 2007a): essa condensa in una sola parola

d’ordine un insieme di aspirazioni a cui Latouche, dopo averle individuate, ha dato ordine e

rigorosità, costruendo un sistema ad un tempo coerente e rispettoso nei confronti

dell’università e dell’ambiente.

Anche in questa sezione si proporrà, data la numerosità di opere pubblicate in un così breve

arco di tempo, una loro suddivisione in due sottoperiodi ed una loro classificazione tematica

(vedi Tabella IV.3).

TABELLA IV.3. Le opere e i temi nel tempo del Latouche maturo, 2002-2010.

Temi Sottoperiodo 1

2002-2005

Sottoperiodo 2

2006-2010

Critica allo sviluppo

Il pensiero creativo contro

l’economia dell’assurdo (2002)

Decolonizzare l’immaginario

(2003)

Come sopravvivere allo sviluppo

(2004)

Critica all’economia

Giustizia senza limiti (2003)

L’invenzione dell’economia

(2005)

Decrescita

La scommessa della decrescita

(2006)

Breve trattato sulla decrescita

serena (2007)

Gli esclusi del Terzo mondo Mondializzazione e decrescita.

L’alternativa africana (2008)

Fonte: nostra elaborazione. Si veda la bibliografia per dettagli sulle varie opere.

Come mostra la Tabella IV.3, si possono delineare quattro grandi temi:

1. la critica allo sviluppo;

2. la critica all’economia;

3. la decrescita;

4. gli esclusi del terzo mondo;

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108

Con un semplice sguardo alla suddivisione per aree tematiche, si nota come Latouche abbia

scelto di esaurire l’argomento relativo alla critica allo sviluppo ed alla critica economica prima

di affrontare il tema della decrescita.31

Per quanto riguarda il primo punto, l’economista francese illustra come lo sviluppo sia in realtà

la causa, e non la soluzione, della povertà sia a livello nazionale che a livello mondiale.

La critica all’economia invece adotta una varietà di approcci (storico ed analitico, oltre che

epistemologico, gnoseologico (Latouche 2005a) e sociologico (Latouche, 2003)) per indicare

come l’economia occidentale non sia altro che il risultato di artifici costruiti nel tempo dagli

economisti (Latouche critica in particolare l’apporto di Adam Smith (1759) e (1776)).

Il tema della decrescita nasce dalla decostruzione dell’economia occidentale così come

riportata nei libri precedenti per proporre questa volta qualcosa di nuovo, ispirato al modello

delle società altre dell’Africa e del Sud-est asiatico.

Il quarto tema, quello degli emarginati del Terzo mondo, si può ritrovare, al pari dei primi due,

già nelle opere inquadrabili nel periodo del Latouche adulto. Esso però, così come trattato in

questa fase, presenta la caratteristica particolare di proporre ai paesi del sud del mondo

un’economia di decrescita per interrompere il rapporto di dipendenza «economica e culturale»

con i paesi del Nord (2008b, trad. it. 2009, p. 61). Così facendo, essi sarebbero capaci di

ritrovare l’autonomia produttiva che col tempo è andata persa. È questa «la prima tappa» da

raggiungere, sostiene Latouche (2008b, trad. it. 2009, p. 61).

4.4.1 – Principali opere del Latouche maturo

Anche in questo caso procederemo con l’analisi cronologica delle opere di Latouche. Rimane

valido l’invito a rapportare ogni libro al più vasto percorso operato dall’economista francese.

31 La critica allo sviluppo e all’economia era già stata introdotta nel periodo del Latouche adulto. Faut-il refuser le développement? (Latouche, 1986) affronta per la prima volta il tema della critica allo sviluppo, mentre Le procès de la science sociale (Latouche, 1984), Immaginare il nuovo (Latouche, 2000) e L’invenzione dell’economia (Latouche, 2001) riguardano la critica all’economia occidentale.

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109

Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo (2002) e Decolonizzare

l’immaginario. Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo (2003)

È bene considerare questi due libri congiuntamente, poiché essi, come la quasi congruenza del

titolo lascia trasparire, presentano più di una caratteristica comune. Il secondo infatti non è

che una riedizione del primo, pubblicato contemporaneamente alla conferenza tenutasi alla

sede dell’UNESCO a Parigi (2002). Le due versioni differiscono in quanto quella più recente

sottolinea maggiormente la necessità di uscire da una mentalità collettiva orientata alla

crescita per poter far posto ad un altro ideale, quello di decrescita. Entrambi i libri sono

costruiti sottoforma di intervista all’economista francese, ad opera di Roberto Bosio.

Latouche riafferma con le sue risposte che il modello occidentale di sviluppo è giunto a un

punto critico, arrivando a provocare anche irreparabili conseguenze a livello ambientale e

umano. L’assurdità dell’economia (termine finito nel titolo) risiede nel fatto che da un lato essa

si preoccupa di migliorare le qualità di vita delle persone, e dall’altro essa genera fame e

povertà. Di fronte a ciò, Latouche avverte la necessità non solo di rallentare, ma addirittura di

arrestare questa corsa allo sviluppo, prima che le ricadute negative diventino palesemente

superiori a quelle positive. A questa analisi critica, non certo nuova nella trattazione di

Latouche, ne viene però giustapposta un’altra, più creativa. Essa tenta di essere capace di

donare speranza in un mondo altrimenti condannato a perenni ingiustizie e sofferenze.

Latouche non nega che, anche in Occidente, nascano oasi che reclamano un nuovo pensiero

creativo che vuole stili di vita sociale ed economica più equilibrati e più giusti, basati su un

equilibrio pacifico mondiale più profondo e più vero. Questa cultura, inizialmente intravista

unicamente nelle popolazioni dei naufraghi dello sviluppo, scopre di avere un seguito più

vasto. Esso trova la ricchezza non nel profitto monetario, ma nell’incontro con le persone. Lo

stile di vita basato sullo scambio e sul dono valorizza le relazioni umane e migliora Ia quaIità

Page 120: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

110

della vita, come nel caso della “banca del tempo”,32 fonte di inesauribile benessere perché in

esso consiste la pienezza della vita (Latouche, 2002).

Giustizia senza limiti. La sfida dell’etica in una economia globalizzata (2003)

Tramite questo libro, Latouche (2003) conduce una nuova critica rivolta all’economia

occidentale. Le argomentazioni riportate dall’autore si muovono seguendo un approccio

questa volta di tipo filosofico. Il libro è diviso in tre parti:

1. il paradosso etico dell’economia;

2. l’ingiustizia del mondo;

3. porre rimedio all’ingiustizia economica.

Il primo punto sottolinea la necessaria relazione tra economia ed etica, relazione che le scienze

sociali cercano di sopprimere. Se già lo stesso Machiavelli definiva “giusto” ciò che aveva

successo e non ciò che era conforme alla morale cattolica della chiesa, è probabile che al

giorno d’oggi l’unica divinità presente a dar senso all’economia occidentale sia la legge

dell’efficienza. La prima parte indaga come l’economia e i suoi derivati (la finanza, la

concorrenza, la divisione del lavoro) possano contribuire alla realizzazione della giustizia. La

disamina di Latouche è impietosa:

«Un esame, anche superficiale, dei testi sull’argomento mostra immediatamente che

le condanne degli aspetti più finanziari della speculazione mercantile hanno di gran

lunga la meglio sui giudizi positivi» (Latouche, 2003a, p. 32).

La ragione di questa affermazione viene ricondotta al pensiero aristotelico, che condannava,

definendola crematistica,33 la ricerca del profitto attraverso i rapporti mercantili. È così che,

anziché utilizzare il surplus ottenuto dallo scambio mercantile per ottenere ciò di cui si ha

bisogno, si è finiti per minimizzare i costi, massimizzare i guadagni ed accumulare il capitale in

32

Le banche del tempo sono delle associazioni che fungono da intermediari nello scambio gratuito di tempo. Ciascun socio mette a disposizione degli altri soci qualche ora del suo tempo libero, per offrire prestazioni di servizi come piccole riparazioni o semplice assistenza. Il tempo così offerto dà diritto a ricevere una o più prestazioni di durata complessivamente uguale a quella da lui eseguita. 33 Intesa nella sua accezione più vergognosa, ossia la gretta accumulazione di beni e denaro (Moses, 2005).

Page 121: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

111

un circolo fine a se stesso. La morale è stata definitivamente separata dall’economia grazie

all’avvento dell’economia politica ed al duplice contributo del suo fondatore Adam Smith

(Latouche, 2003a, p. 43):

1. In The Theory of Moral Sentiments (1759), Smith divide artificiosamente la sfera

privata da quella economica;

2. Ne La ricchezza delle nazioni (1776), libera la sfera economica del sospetto di

immoralità dimostrando che il perseguimento dell’interesse personale contribuisce

normalmente attraverso la mano invisibile al bene comune.

Il risultato è evidente: i valori che hanno preso il sopravvento sono quelli derivati proprio

dall’interesse personale, come l’egoismo, la concorrenza ed il consumo (Latouche, 2003a, p.

85). Latouche sottolinea perciò la necessità di recuperare sia i valori originari, sia il senso di

giustizia.

La seconda parte del libro è in realtà un approfondimento della critica al sistema economico

nel suo complesso già iniziata con la prima parte. In essa Latouche dà una spiegazione al

motivo per il quale né si è realizzata la rivoluzione proletaria profetizzata da Marx, né sarà

facile sovvertire il sistema occidentale in qualsivoglia modo: il sistema occidentale ha

colonizzato le menti degli individui, al Nord come al Sud, esercitando un dominio del loro

immaginario (Latouche, 2003a, p. 105). Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: lavoratori in

Indonesia esposti a sostanze cancerogene con tassi di concentrazione decine, se non centinaia,

di volte più alti rispetto a quelli consentiti, star pagate milioni per pochi secondi di pubblicità,

inquinamento dell’ambiente tollerato o non tenuto sotto sufficiente controllo. «Tutti fanno (…)

il loro lavoro nel modo migliore» (Latouche, 2003a, p. 138). Il teorico della decrescita conclude

la seconda parte del suo libro con un’arringa a favore di un protezionismo «dichiarato e, se

possibile, equo» (Latouche, 2003a, p. 176), che protegga la società e l’ambiente dagli effetti

deleteri di una concorrenza sregolata.

Page 122: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

112

Nella terza parte del libro, infine, Latouche abbozza i tratti di quel che potrebbe significare una

società giusta nel contesto di un mondo devastato dall’economia, insieme unificato e diviso dal

mercato. Egli, ancora una volta, richiama l’attenzione sulla necessità di «uscire dall’economia e

riappropriarsi del denaro e del mercato» (Latouche, 2003a, p. 211).

Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell’immaginario alla

costruzione di una società alternativa (2004)

Come sopravvivere allo sviluppo (Latouche, 2004, trad. it. 2005) potrebbe definirsi a nostro

avviso una perfetta sintesi dei temi trattati da Latouche fino a quel momento. In questo agile

libro non manca nulla: esiste la pesante critica al concetto di sviluppo che da nome al libro, già

incominciata in Faut- il refuser le développement? (Latouche, 1986),34 esiste la critica al più

generale sistema economico occidentale osservata ne L’occidentalizzazione del mondo

(Latouche, 1989),35 esiste la denuncia della situazione africana osservata ne L’altra Africa

(Latouche, 1997),36 esiste infine il richiamo al concetto di phrónesis già presente ne La sfida di

Minerva (Latouche, 2000a). 37 Ma in questo libro, per la prima volta, Latouche parla

esplicitamente di decrescita. Ad essa è dedicata una parte fondamentale del libro. Si tratta di

dodici pagine, peraltro incastonate nel capitolo intitolato Come uscire dallo sviluppo.

Significativo che la prima volta che si parla di decrescita essa venga direttamente proposta

come soluzione ai danni causati dal modello sviluppista occidentale.

L’invenzione dell’economia (2005)

Analogamente a quanto accaduto per i due libri usciti nel 2002-2003, questo libro potrebbe

considerarsi a tutti gli effetti un aggiornamento dell’omonimo libro pubblicato nel 2001 solo in

lingua italiana. Al contrario, bisognerà attendere l’inizio del 2010 perché questa “nuova

34 Cfr. Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 25-29 35 Cfr. Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 23. 36 Cfr. Latouche, 2004, trad. it. 2005, pp. 64-73. 37

Cfr. Latouche, 2004, trad. it. 2005, pp. 91, 92.

Page 123: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

113

edizione” sia pubblicata anche in Italia. La versione del 2001 e del 2005 sono molto simili:

quest’ultima ne riprende infatti sia la struttura a saggi, sia gli argomenti.

Dai sette saggi iniziali,38 ne sono stati aggiunti tre di nuovi:

L’antieconomico di Aristotele: è un saggio scritto risalente agli anni ottanta. Esso

consiste in un commento al Capitolo 8 del quinto libro dell’Etica nicomachea, «il testo

economico più importante tra quelli che ci rimangono dell’antichità» (Latouche,

2005a, trad. it. 2010, p. 31). Latouche mette in evidenza come Aristotele si trovi

nell’indecisione se propendere per un sistema (adottando la terminologia attuale)

liberalista o dirigista, e come egli condanni fermamente l’accumulazione di ricchezza

fine a se stessa.

L’invenzione del lavoro nell’immaginario sociale. L’economista francese spiega come in

realtà il lavoro non sia altro che una invenzione storica che la borghesia ha creato

nell’immaginario della collettività. Da questa forzatura è poi scaturita l’invenzione

dell’economia stessa, basata per l’appunto sul lavoro. Se è vero che il lavoro nobilita

l’uomo,39 ecco che il volontariato ed il lavoro non retribuito perdono d’importanza

nella società (Latouche, 2005a, trad. it. 2010, p. 59)

L’autodistruzione dell’umanesimo liberale. Il paradosso della sintesi smithiana, ovvero

il dottor Adam e mister Smith è il saggio conclusivo della raccolta, ed analizza le

evidenti posizioni di Adam Smith in materia di filosofia morale. Esse, a detta di

Latouche, sono tanto evidenti da poter asserire che la Teoria dei sentimenti morali

(Smith, 1759) e la Ricchezza delle nazioni (Smith, 1776) potrebbero essere state scritte

da «due autori diversi» (Latouche, 2005a, trad. it. 2010, p. 183). Evidenti sono i

collegamenti con quanto già scritto in Giustizia senza limiti (Latouche, 2003).

38 Si veda la Sezione 4.3.1. 39 Latouche ricorda ironicamente che nell’antichità, al contrario, i nobili si distinguevano proprio perché potevano permettersi di non lavorare (Latouche, 2005a, trad. it. 2010, p. 62).

Page 124: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

114

La scommessa della decrescita (2006)

È stato soltanto quattro anni fa che Latouche (2006b) ha pubblicato il libro che lo ha

consacrato come uno dei più grandi teorizzatori della decrescita. Egli aveva già accennato al

concetto di decrescita nel suo precedente libro, ma ha ritenuto doveroso organizzare una

trattazione più completa in un libro che esaurisse integralmente l’argomento.

Partendo dai punti deboli di un’economia basata sulla crescita economica (primo fra tutti la

dipendenza dall’aumento del prodotto interno lordo per evitare crisi sistemiche), si mostra

come questa economia conduca ad una spirale in cui la crescita del presente è necessaria per

fornire supporto alla crescita ed alla tranquillità economica future. L’unica via per uscire da

questa spirale è quella della decrescita, ossia un sistema economico che non faccia

dell’incremento del benessere economico il suo cardine. Latouche ci tiene a precisare subito

che “decrescere” non significa retrocedere, bensì sottrarsi all’immaginario della crescita,

adottando valori e modelli di riferimento alternativi, che hanno molti punti in comune con le

società altre del Sud del mondo.

Molti problemi vengono presi in considerazione: dalla questione del Terzo mondo (ha

anch’esso «diritto alla decrescita»? (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 157)) alla questione

demografica (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 86-93). A tutti queste problematiche Latouche

riesce a rispondere esaurientemente e con argomenti convincenti, segno di una profonda

riflessione preliminare alla stesura del libro.

Latouche indaga inoltre come sia possibile realizzare a livello concreto una società di

decrescita. Esemplare in questo senso è il “programma delle otto R”, con il quale Latouche ha

evitato l’ideazione di una società utopica mediante la proposta di otto punti pratici che

consentano di realizzare un sistema incentrato sulla decrescita. Si rimanda al capitolo

successivo per un’analisi di questi punti.

Page 125: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

115

Breve trattato sulla decrescita serena (2007)

Un anno dopo, Latouche decide di pubblicare un libro più agile, che

riesca a riassumere i concetti espressi ne La scommessa della decrescita

(Latouche, 2006b) e li riproponga in un modo più accessibile anche ad un

pubblico non informato. Ciononostante, «pur riprendendo in forma

sintetica le principali conclusioni della Scommessa della decrescita (…),

questo opuscolo ha una propria originalità. Infatti integra i nuovi sviluppi della riflessione

sull’argomento, in particolare quelli che si sono prodotti con i dibattiti promossi dalla rivista

Entropia» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 8).40

Il libro si articola in soli tre capitoli:

1. Nel primo, Il territorio della decrescita, viene illustrata la definizione del termine

(Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 17) e spiegato il motivo che rende la decrescita

necessaria: la dannosità del sistema di crescita.

2. Nel secondo, La decrescita: un’utopia concreta, si riporta la spiegazione del circolo

virtuoso delle otto R. Questo circolo non implica un ritorno al passato (Latouche,

2007b, trad. it. 2008, p. 56), al contrario, esso può essere utilizzato al fine di ridare

slancio alle società del Sud.

3. Nel terzo, La decrescita, un programma politico, Latouche (Latouche, 2007b, trad. it.

2008, p. 84-87) elenca alcune misure da adottare al fine di instaurare il circolo virtuoso

da lui ideato.

Ai nuovi apporti della rivista Entropia inseriti nel Breve trattato sulla decrescita serena

(Latouche, 2007), nonostante le iniziali dichiarazioni dell’autore (Latouche, 2007b, trad. it.

2008, p. 8) è stato riservato uno spazio decisamente ristretto se rapportato al contenuto

complessivo del libro. L’apporto della rivista riguarda essenzialmente il tema della politica

economica della decrescita. In particolare, si fa notare come il virtuoso “ciclo delle otto R”

40 La rivista Entropia è una rivista nata nel 2008, che si occupa, attraverso studi teorici e politici, di definire i problemi di attuazione politica di una società basata sulla decrescita.

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116

analizzato da Latouche (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 102 sgg.) possa essere confrontato

con una analoga serie di espressioni coniate da Michael Sin gleton, indicanti i danni del

sistema termoindustriale, tutte provviste di suffisso privativo “de-”: «delocalizzazione

industriale, deflazione monetaria, delusione politica, demotivazione culturale, demistificazione

religiosa» (Singleton, 2006, p. 53, cit. in Latouche, 2007, trad. it. 2008).

Mondializzazione e decrescita. L’alternativa africana

(2008)

Cedendo alle pressioni di un suo amico, Latouche nel 2008 pubblica

una raccolta di saggi inediti sul tema del Terzo mondo, tutti di recente

redazione. Dei sei saggi di cui si compone il libro, cinque sono stati

scritti nel quadriennio 2004-2007, soprattutto in occasione di

convegni o conferenze, e il restante saggio nel 2000.

Uscito proprio agli albori della crisi economica e sociale mondiale, Latouche (2008b) rivaluta

l’importanza delle relazioni comunitarie e della felicità individuale: sono senz’altro questi i due

pilastri di un futuro che lui considera sostenibile. È all’Africa che la società occidentale deve

guardare per trovare un esempio di saggezza, di sobrietà e di convivialità (Latouche, 2008b,

trad. it. 2009, p. 44). Ai valori africani, così poco attinenti alla sfera economica, il teorico della

decrescita contrappone con pesanti critiche la logica di accumulazione e di individualismo

tipica del nostro sistema. Mirabile è il paragone fra le determinanti dei rapporti sociali in

Occidente e dell’Africa altra: nel primo caso determinarli è il mercato, nel secondo caso, è

un’ottica non piegata alle logiche del profitto, le cui determinanti si basano sui rapporti sociali

della famiglia, della comunità, della rete locale (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 89).

Una società basata su questi valori potrebbe sembrare un miraggio, ma Latouche fornisce una

versione più rassicurante: essa è tutt’altro che un miraggio impossibile.

«L’importante è sancire la rottura con la campagna di distruzione che si perpetua

sotto il nome di sviluppo, o, come si dice oggi, di mondializzazione» (Latouche,

2008b, trad. it. 2009).

Page 127: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

117

Abbandonando la moderna concezione di sviluppo, per definizione impossibile da raggiungere

pienamente, si spalancano le porte verso una società conviviale, nell’accezione che Ivan Illich

ne dà:

«il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla

creazione della vita sociale. Passare dalla produttività alla convivialità significa

sostituire a un valore tecnico un valore etico, a un valore materializzato un valore

realizzato. La convivialità è la libertà individuale realizzata nel rapporto di

produzione in seno a una società dotata di strumenti efficaci» (Illich, 1973, p. 11).

In questo contesto si inserisce perfettamente il paradigma della decrescita: essa non è infatti

una “prerogativa” degli Stati ricchi, ma al contrario essa è in grado di mostrare numerosi frutti

anche se applicata alle società del Sud del mondo. La decrescita non comporta una crescita

negativa, ma piuttosto una a-crescita, una sottrazione cioè dalla logica di crescita. Cercare di

«sostenere, o, peggio ancora, introdurre la logica della crescita nel Sud con il

pretesto di farlo uscire dalla miseria creata da quella stessa crescita condurrebbe a

un’ulteriore occidentalizzazione» (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 56).

È invece necessario instaurare una società autarchica, che sia in grado di ridare autonomia agli

stati del Terzo mondo, e indebolisca la dipendenza con gli stati occidentali.

4.4.2 – Le due principali opere del Latouche maturo – Un’analisi

Nella prima parte del terzo millennio, Latouche ha prodotto un gran numero di pubblicazioni.

Questo è sintomo di una grandissima fertilità del suo pensiero nella fase della maturità.

Cercheremo di inquadrare meglio il suo percorso mediante l’analisi di due opere che illustrano

a nostro avviso meglio delle altre l’ideologia dell’autore in questo periodo.

La prima è Come sopravvivere allo sviluppo (2004), che meglio degli altri libri conduce

una critica al concetto di sviluppo, inserendo per la prima volta il concetto di

decrescita all’interno delle sue argomentazioni;

Page 128: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

118

la seconda – appare una scelta obbligata – è La scommessa della decrescita (2006b),

capace di chiarire esattamente la posizione dell’autore in merito alla questione della

decrescita.

Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione

dell’immaginario alla costruzione di una società

alternativa (2004)

Scopo di questo libro è quello di analizzare, da prospettive diverse, lo

sviluppo ed i problemi da esso creati. Il libro propone allo stesso tempo

delle soluzioni in grado di risolvere questi problemi o di arginarne gli

effetti negativi. L’opera si compone di cinque capitoli, ognuno dei quali

indaga una specifica caratteristica dello sviluppo. Non compare nei titoli dell’indice il termine

“decrescita”: il lettore potrebbe domandarsi come mai l’autore non abbia trattato di questo

tema in maniera più esplicita. Come l’autore spiegherà nella premessa, questo compito sarà

svolto da «un’opera specifica» (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 7), riferendosi evidentemente

a La scommessa della decrescita (Latouche, 2006b), pubblicata due anni dopo.

Il primo capitolo, Vita, morte e risurrezione di un concetto, racconta come l’ideale di sviluppo

sia stato letteralmente imposto ai paesi del Sud senza che venissero preventivamente

accertate le effettive condizioni di fattibilità di un simile trapianto. L’opera di

occidentalizzazione del globo ha fallito sostanzialmente il suo obiettivo, per due ragioni

fondamentali:

1. Negli stati del Terzo mondo mancava completamente il substrato organizzativo

compatibile col modello di sviluppo imposto;

2. L’impossibilità fisica di universalizzare lo sviluppo rendeva il progetto inattuabile in

partenza: «la finitezza del pianeta renderebbe il tentativo di generalizzazione del

modello di vita americano impossibile ed esplosivo» (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p.

16).

Page 129: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

119

FIGURA IV.5. Indice del libro Come sopravvivere allo sviluppo (Latouche, 2004, trad. it. 2005)

Fonte: Latouche (2004, trad. it. 2005, p. 4-5)

Ultimamente, però, secondo l’autore, l’idea di sviluppo occidentale è ritornato in auge proprio

da coloro che ad essa hanno mosso delle critiche (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 22). Ecco

perché Latouche, più che combattere l’idea di sviluppo, cerca piuttosto di eliminarla

dall’immaginario sociale.

Il secondo capitolo, Lo sviluppo come mito e come realtà, occupa appena cinque pagine.

Latouche spiega come lo sviluppo sia in realtà il nuovo nome del colonialismo di

cinquecentesca memoria. Esso viene denotato da una connotazione generalmente positiva,

ma in realtà esso, ricorda l’economista francese, è prima di tutto il frutto

dell’occidentalizzazione del mondo (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 28).

Page 130: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

120

Il terzo capitolo è intitolato Le declinazioni dello sviluppo. Con quest’espressione si intendono

tutte le connotazioni date nel tempo al termine sviluppo. L’autore ne analizza criticamente

alcune:

Lo sviluppo sociale è a detta dell’autore al contempo un pleonasmo, poiché esso non

può che riguardare la società, ed un ossimoro, in quanto «lo sviluppo realmente

esistente non può non produrre l’ingiustizia sociale» (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p.

33);

Sviluppo umano. L’Indice di Sviluppo Umano,41 nonostante i buoni propositi di

misurare correttamente il benessere di uno Stato, non esce dall’immaginario

economico occidentale;

Lo sviluppo locale è un altro ossimoro, dal momento che esso risponde a logiche

mondializzanti e non certo localiste;

Il terzo ossimoro è lo sviluppo durevole, in quanto per sua stessa natura legato ad un

mondo finito, con limiti ben precisi quanto sconosciuti.

Il quarto capitolo, L’impostura sviluppista, racconta come la parola sviluppo non sia neanche

compresa nel vocabolario di alcune popolazioni africane, che ricorrono a locuzioni nominali per

ovviare a tale carenza (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 62). Latouche spiega come sia

infondata la credenza che lo sviluppo sia la cura per la situazione di miseria dei paesi del Sud

del mondo tramite l’esposizione dei tre paradossi del trickle down effect già esposti ne L’altra

Africa (1997).42

In Uscire dallo sviluppo, quinto ed ultimo capitolo del libro, Latouche (2004) mostra come la

decrescita, staccandosi dall’immaginario creato dall’economia occidentale, riesca in realtà a

proporsi come l’unica alternativa in grado allo stesso tempo di far respirare sia un pianeta

41 L’Indice di Sviluppo Umano, o Human Development Index (HDI), è un indice che misura il benessere interno di uno Stato, prendendo in considerazione oltre al Pil anche caratteristiche non monetarie quali l’alfabetizzazione e la speranza di vita (fonte: Wikipedia). 42

Si rimanda a tal proposito alla Sezione 4.3.2.

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121

sovrasfruttato, sia le popolazioni martoriate dallo sviluppo occidentale, alle quali viene

proposto come unica possibile medicina per sollevarle dalle loro condizioni di degrado.

La scommessa della decrescita (2006)

Latouche ha “aspettato” ben quattro anni a partire dalla conferenza

Disfare lo sviluppo, rifare il mondo di Parigi (2002) prima di scrivere un

trattato completo sulla decrescita. Non lo ha certo fatto per pigrizia

(per dissipare questo dubbio è sufficiente dare un’occhiata alla sua

produzione saggistica di questo periodo), ma per cautela, volendosi

dare tempo e modo di far maturare le idee in merito all’argomento, come già annunciato nella

premessa di Come sopravvivere allo sviluppo (Latouche, 2004, trad. it. 2005, p. 7).

Il libro si divide in due parti (si veda la Figura IV.6 alla pagina seguente): una prima, intitolata

Perché la decrescita?, ed una seconda, intitolata La decrescita, come? I titoli in sé sono

esplicativi: la prima parte evidenzia tutte le contraddizioni di un sistema di crescita, come mai

era stato fatto nelle opere precedenti. La seconda si preoccupa di esplicitare come una teoria

astratta come quella della decrescita possa avere un’attuazione pratica, evitando così che essa

venga relegata nella cerchia delle alternative utopiste.

L’introduzione si apre con una sconfortante panoramica sulle problematiche ambientali e gli

sconvolgimenti climatici in atto sul nostro pianeta, per passare poi ad una breve trattazione in

merito alla nascita della decrescita. Interessante il fatto che Latouche, per spiegare la

formazione di tale concetto, parta con l’esaminare quando, per la prima volta, la questione

ambientale è stata presa in considerazione nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite di

Stoccolma del 1972 (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 14). Latouche sottolinea infine

l’enorme apporto di Nicholas Georgescu-Roegen e, in seguito, della piccola “Internazionale”

ispirata alle idee di François Partant, Ivan Illich e Jacques Ellul, di cui Latouche è membro.

Page 132: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

122

FIGURA IV.6. Indice del libro La scommessa della decrescita (Latouche, 2006b, trad. it. 2010)

Fonte: Latouche (2006b, trad. it. 2010, p. 17-18)

Il nostro autore decide di inaugurare la parte prima del libro con il capitolo eloquentemente

intitolato L’inferno della crescita. Si mostra come un sistema (socialista o capitalista) incentrato

sulla crescita non possa sperare di perdurare indefinitamente. E ciò perché la produzione non

può aumentare all’infinito, essendo le risorse non solo limitate, ma addirittura sottoposte ad

un processo di impoverimento qualitativo. A tal proposito egli cita Nicholas Georgescu-Roegen

ed il suo “quarto principio della termodinamica”: «possiamo riciclare le monete di metallo

usate, ma non le molecole di rame dissipato attraverso l’uso» (Bonaiuti, 2001, p.140, cit. in

Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 28). Latouche continua la sua analisi indicando come, allo

stato attuale, le risorse siano utilizzate a ritmi insostenibili. Stiamo prelevando cioè dal pianeta

più risorse di quanto esso sia in grado di rigenerare tramite processi naturali. Le foreste

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123

vengono abbattute, la fauna depredata, le acque inquinate.43 Se si vuole accrescere la

produzione, saranno necessari sempre più input necessari a realizzare i prodotti finiti, ma ciò si

scontra inevitabilmente con la scarsità delle risorse naturali.

Il capitolo successivo, Si può mettere il vino nuovo in vecchie botti? Decrescita, “disvalore” e

misura del benessere, consiste in una sostanziale critica alla più nota misura del benessere:

l’indice del Pil. Latouche, forte della sua pluriennale esperienza in Africa e nel sud-est asiatico,

dove la vita è maggiormente scandita dalle relazioni sociali e dall’ottica del dono, non può

accettare che il benessere di uno Stato venga misurato unicamente in base alla quantità di

beni e servizi finali prodotti dall’economia in un anno. Egli passa quindi in rassegna una serie di

indicatori alternativi, come i già citati HDI, GPI ed il Pil verde,44 enumerandone i pregi ed i

limiti. In conclusione del capitolo, egli afferma che la decrescita non si propone tanto di

cambiare la misurazione del benessere al fine di decolonizzare l’immaginario della società, ma

di decolonizzare primariamente l’immaginario della società. Usando le parole di Latouche,

«Rivalutare viene prima di riconcettualizzare» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 59). Il vino

nuovo, ossia la decrescita, non potrà in definitiva essere messo nelle vecchie botti

dell’immaginario colonizzato dai valori dominati dal sistema occidentale.

Decrescere o arretrare? Con questa nuova domanda, che dà il titolo al terzo capitolo, Latouche

esegue una netta dicotomia tra questi due concetti, spesso, per disinformazione,

pericolosamente accostati. «Decrescita non significa recessione» (Latouche, 2006b, trad. it.

2010, p. 62). Certamente, i settori che dimostrino una spiccata insostenibilità a livello

ambientale saranno costretti ad effettuare un deciso cambio di marcia, ma questa regola non

43

Nello specifico, egli richiama un rapporto del Wwf del 2000, che informa come l’umanità consumi un totale di 2,2 ettari pro capite di spazio bioproduttivo (in altre parole, l’impronta ecologica mondiale pro capite è di 2,2gha) a fronte di un massimo di 1,8 ettari pro capite disponibili. L’ultimo rapporto del Wwf è tutt’altro che incoraggiante. Esso, pubblicato il 13 ottobre 2010, evidenzia come il trend positivo del consumo globale di risorse non si sia arrestato nemmeno nel nuovo millennio. Anzi, tale consumo nel 2007 è salito a 2,7gha pro capite, a fronte sempre di 1,8gha complessivi pro capite disponibili (Pollard, 2010, p. 32). Ci vorrebbe un anno e mezzo per rigenerare tutte le risorse consumate nel 2007, ed il trend non mostra segni di flessione. 44

Si veda il Capitolo 2.4.2.

Page 134: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

124

varrà a livello assoluto in ogni campo dell’economia. La decrescita si propone di eliminare gli

sprechi soprattutto a livello energetico e delle risorse.

Di particolare interesse è il Capitolo 4: decrescita e sostenibilità. La resilienza dello sviluppo.

Latouche aveva già ripetutamente parlato di sviluppo in passato,45 e di come questo debba

essere giudicato un male in senso lato. Non si era mai pronunciato sino a quel momento, però,

sul concetto di sviluppo sostenibile. Esso sembrerebbe un concetto compatibile con una

società ispirata alla decrescita, o certamente più compatibile rispetto allo sviluppo tout court. E

invece, Latouche presenta a sorpresa lo sviluppo sostenibile ad un tempo come ossimoro e

pleonasmo:

Sviluppo sostenibile come ossimoro: lo sviluppo inserito in un ottica di crescita è

votato unicamente ad un aumento della produzione. Poiché la produzione non può

aumentare indiscriminatamente per colpa della scarsità delle risorse, lo sviluppo

sostenibile è da considerarsi ossimorico;

Sviluppo sostenibile come pleonasmo: se si considera che lo sviluppo è un elemento

imprescindibile in una società di crescita al fine di permettere a quest’ultima di

reiterare nel tempo, lo sviluppo sostenibile è da considerarsi pleonastico.

Il quinto capitolo si intitola È necessaria una decrescita demografica? ed introduce una

tematica del tutto nuova nella trattazione di Latouche. Egli si rende conto che neppure la

crescita demografica, al pari degli altri tipi di crescita analizzati, può sottrarsi al tema della

decrescita. Sarebbe da sprovveduti pensare che una crescita demografica illimitata sia gestibile

coi mezzi che il pianeta mette a disposizione (Latouche, 2005a, trad. it. 2010, p. 89). Latouche

non pone in questo caso una soluzione a quello che non è ancora diventato un problema, ma a

nostro avviso lascia evidentemente trasparire un’apertura in favore di un controllo delle

nascite.

45

Si veda, per esempio, Latouche, (1986) e (2004).

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125

Si conclude così la prima parte del libro. La seconda si occupa di individuare le modalità con le

quali si possa instaurare una società di crescita. Latouche propone a tal fine una soluzione,

esplicata nel cosiddetto “programma delle otto R”, che occuperà i quattro capitoli successivi

(Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 101-117, 118-128, 129-138, 139-156): rivalutare,

riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare.

FIGURA IV.7. Lo schema della logica delle otto R.

Fonte: nostra rielaborazione da Latouche (2006b, trad. it. 2010, p. 102).

L’ordine è tassativo ed ognuno di questi concetti (che analizzeremo appropriatamente nel

prossimo capitolo) ha una sua collocazione ben precisa nel disegno generale, che potrebbe

essere visto come un circolo (vedi Figura IV.7).

Con una nuova domanda, Il Sud avrà diritto alla decrescita?, Latouche presenta un capitolo, il

decimo, destinato a sfatare un altro mito creatosi col tempo intorno alla decrescita. Questa

parte del libro è sostanzialmente una ripresa dei concetti presentati nel libro Mondializzazione

Rivalutare

Riconcettualizzare

Ristrutturare

RilocalizzareRidistribuire

Ridurre

Riutilizzare

Riciclare

Page 136: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

126

e decrescita (2007), con una novità sostanziale: l’inserimento delle società del Sud all’interno

del circolo delle otto R, integrando l’insieme dei concetti, come rompere, riprendere, ritrovare

e così via. È necessario incominciare col rompere, sottolinea Latouche, «con la dipendenza

economica e culturale rispetto al nord» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 161).

Contemporaneamente, le società del Terzo mondo devono riprendere il cammino dall’istante

che ha preceduto l’arrivo dei colonizzatori europei, per poter finalmente ritrovare «la propria

specifica identità cuturale» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 162).

L’ultimo capitolo del libro, intitolato Ecofascismo o Ecodemocrazia, evidenzia come la

decrescita debba mettere dei paletti alla produzione economica di uno Stato compatibilmente

alla sostenibilità ambientale, senza però trasformarsi in un ecofascismo che impedisca la libera

iniziativa economica dei cittadini. Latouche (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 173) su questo

punto è ottimista: una volta decolonizzato l’immaginario, i comportamenti virtuosi verranno da

sé, rendendo possibile quella che Latouche definisce ecodemocrazia. Si rispetterà quindi

l’ambiente non perché si è obbligati a farlo, ma perché lo si sentirà come necessario.

Il libro si conclude ricordando che le catastrofi naturali o quelle dettate da attività umane sono

dei sintomi di un profondo stato di sofferenza del pianeta. Si arriverà un punto in cui la

decrescita diventerà necessaria. Meglio arrivare ad essa serenamente e con preparazione,

piuttosto che trovarsi ad affrontare l’abisso.

4.4.3 – Il pensiero del Latouche maturo – Le caratteristiche

La scommessa della decrescita (Latouche, 2006b) segna l’arrivo di un cammino durato oltre

quarant’anni. Un cammino fatto di scoperte, di ravvedimenti, di cambi di prospettiva, di prese

di posizione, di valutazioni cangevoli. Ogni uomo è frutto del suo tempo, e questo si dimostra

particolarmente vero nel caso di Serge Latouche. Egli aveva fin da subito mostrato insofferenza

per il sistema occidentale, ma in un primo momento non fu in grado di identificare l’oggetto

della sua critica. Inizialmente ipotizzò che questo coincidesse con l’economia capitalista,

accorgendosi ben presto che questa ipotesi non reggeva ad un’analisi più accurata. Identificò

Page 137: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

127

quindi, nel periodo adulto, il problema nel sistema di sviluppo occidentale: con il procedere

delle sue ricerche, egli si convinse sempre di più di questa interpretazione.

Per diversi anni egli affinò la sua critica, definendo i contorni di ciò che bisognava proteggere e

di ciò che doveva essere cambiato, senza, purtroppo, giungere ad indicare una via

soddisfacente su come tale cambiamento dovesse avvenire. In altre parole, dalle sue ripetute

critiche focalizzate prima contro il modello economico capitalista, e solo in un secondo

momento contro il modello di crescita, non emergeva un’alternativa valida ai sistemi

economici presi in esame. La motivazione della sua incapacità di individuare un sistema

alternativo a quello già esistente viene fornita solo nel 2003 all’interno del libro Decolonizzare

l’immaginario (Latouche, 2003). Qui, egli riporta come il suo stesso immaginario fosse stato

colonizzato, col tempo, dall’immaginario della crescita. Per questa ragione la ricerca di una

soluzione al sistema economico occidentale fu così difficoltosa. Egli da una parte cercava un

sistema economico che non prevedesse la crescita economica, dall’altra non riusciva a

descriverne le caratterstiche. Il motivo delle sue ripetute critiche distruttive, tipiche del

periodo del Latouche adulto non trova giustificazione in uno sterile astio contro il sistema di

crescita. La pars costruens nella sua dialettica è stata concepita gradualmente nel lungo

processo di maturazione (da cui il nome di Latouche maturo), sfociato solo con il lavoro del

2006. Il teorico preferì affrontare direttamente l’argomento solo una volta acquisite le

conoscenze necessarie a dar corpo alla sua tesi.

Ne La scommessa della decrescita (2006b) la critica all’Occidente si inserisce perfettamente in

una critica al concetto sia di sviluppo sia di crescita. Una società costruita su questi concetti

genera disuguaglianze sociali (Latouche, 1997, p. 98), in secondo luogo alimenta un

appiattimento dei valori (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 12), in terzo luogo produce un

deterioramento dell’ambiente (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 7). Il progetto sociale della

decrescita viene presentato come la chiave che offre una risposta a questi tre problemi

contemporaneamente.

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128

Certo, Latouche ha dovuto rivedere alcune delle sue iniziali posizioni, modificandole in modo

anche sostanziale. Riportiamo a titolo di esempio un emblematico passaggio tratto da

L’occidentalizzazione del mondo (1989):

«l’obiezione ecologica è discutibile, poiché il carattere finito del mondo è sempre

relativo» (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p. 98).

Appena quindici anni dopo, però, Latouche si accorge che

«La quantità di foreste, acqua e terra disponibile è limitata» (Roy, 2001, p. 7, cit. in

Latouche, 2004, trad. it. 2005. p. 27).

Questo giudizio era già ben presente nel rapporto commissionato dal Club di Roma (Meadows

et al, 1973) e Latouche ne matura l’importanza grazie alla stretta collaborazione con la piccola

“Internazionale” che si era formata intorno a Ivan Illich.

Questo può considerarsi solo uno dei passaggi che lo hanno portato all’elaborazione di una

teoria relativamente originale nel panorama economico e sociologico italiano. Proprio il fatto

che questa «rivoluzione» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 42) interessa ogni ambito del

sociale – dal lavoro, alla produzione, alla scala di valori, al concetto di benessere,

all’importanza del dono e dell’attenzione per l’ambiente – essa, per riuscire, richiede una

preventiva decolonizzazione dell’immaginario della società. Oggi tale immaginario, come

Latouche più volte ha avuto modo di illustrare, è dominato dal paradigma della crescita. Il

Latouche maturo è consapevole che non sarà facile superare le abitudini della società odierna:

non tutti potranno essere disposti ad effettuare gli spostamenti quotidiani in bicicletta o

usando i mezzi pubblici, nel rispetto dell’ambiente. Non tutti potranno essere d’accordo nel

lavorare di meno – e guadagnare di meno – per passare più tempo con la famiglia o per

dedicarsi a momenti di crescita culturale e personale. Tuttavia essi sono passaggi obbligati al

fine della creazione di una società non più basata sull’economia, ma sulle relazioni sociali e sui

beni non monetari. Evidente in questo senso è l’influenza africana esercitata dal modello di

vita e di organizzazione sociale.

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129

In sintesi, le caratteristiche che contraddistinguono il Latouche maturo sono quattro:

1. La critica non è più relativa al solo sistema economico occidentale, ma è estesa a

qualsiasi sistema di crescita (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 26). Crescita e sviluppo

sono congiuntamente accusati di tre crimini principali:

a. Essi sono forieri di enormi disuguaglianze a livello mondiale.

b. Essi sono le cause principali della deculturazione del Terzo mondo.

c. Essi sono fautori di un futuro non sostenibile ai ritmi attuali, ritmi peraltro

crescenti (per definizione) col passare del tempo.

2. Il fattore ecologico è adesso incluso nell’elaborazione di una società alternativa.

Evidenti sono i passi mossi da quanto detto ne L’occidentalizzazione del mondo

(Latouche, 1993): il teorico della decrescita ha infatti preso atto «della finitezza della

biosfera» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 34).

3. È necessaria, previamente all’adozione di un sistema economico alternativo, una

decolonizzazione dell’immaginario collettivo, che porti ad una presa di coscienza su

come il sistema di crescita non sia compatibile con un futuro sostenibile (Latouche,

2007b, trad. it. 2008, p. 22).

4. Il sistema di decrescita è proposto come unica soluzione ai mali causati dal sistema di

crescita. Non è d’altra parte concepibile un’alternativa che, pretendendo di garantire

un futuro sostenibile, si prefigga di perseguire allo stesso tempo gli ideali di sviluppo e

di crescita economica (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 20).

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131

Capitolo 5

La politica economica della a-crescita

5.1 – Introduzione

La tesi fin qui, dopo (Capitolo 2) una breve panoramica illustrativa della nascita della teoria

della decrescita e delle motivazioni che ne giustificano l’attualità, si è focalizzata sulla vita e le

opere (Capitoli 3 e 4) di Latouche, che del movimento della decrescita è uno dei massimi

esponenti. Di Latouche tuttavia finora sono stati presi in considerazione solo le fondamenta e

gli aspetti prettamente teorici della sua teoria e le vicende della sua vita che hanno giustificato

certe scelte.

Come molte altre teorie, anche in questo caso, oltre all’aspetto dell’economia positiva esiste

anche un potenziale aspetto dell’economia normativa. Essa sarà oggetto di indagine nel

presente capitolo. Questo elemento assume particolare rilevanza nel caso specifico della

decrescita, in quanto essa:

è una teoria di rottura del paradigma economico dominante;

prevede una rivoluzione dei valori del substrato sociale;

presenta diversi punti in via di costituzione, come tutte le teorie di nuova formazione;

annovera una forte componente di idealità nel tentativo di costruire un mondo nuovo

e diverso.

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132

Un’analisi mirata dell’economia normativa della decrescita permetterà di osservare più da

vicino gli obiettivi che essa si prefigge di raggiungere e gli strumenti di cui intende avvalersi per

ottenere o favorire il raggiungimento di essi. Come si è detto (si veda la Sezione 4.4.1 del

capitolo precedente), il fine ultimo che la decrescita si prefigge, ossia la nascita di una società

egualitaria ecologicamente sostenibile, costituisce a nostro avviso un fine troppo generico e

utopistico per poter rappresentare l’elemento distintivo di una teoria economica. In effetti la

decrescita economica può sfuggire a questa accusa se è in grado di mostrare le misure da

mettere in atto e gli obiettivi intermedi da raggiungere al fine di costruire una nuova società.

Ci si può chiedere a questo proposito se gli strumenti propri del paradigma della decrescita

siano gli stessi della politica economica tradizionale, oppure se essi siano diversi. La Sezione 5.2

offre una trattazione concisa sulla politica economica tradizionale che viene spesso utilizzata

per promuovere la crescita economica. Nelle successive due sezioni sarà analizzata la politica

normativa secondo Latouche. Più specificamente la Sezione 5. illustrerà il programma delle

otto R e la Sezione 5.4 presenterà il «programma di transizione» dall’economia di oggi a quella

futura (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 169). Tale programma, elaborato dal teorico della

decrescita, si articola in nove punti, i quali saranno analizzati e confrontati nella Sezione 5.5

con la politica normativa tradizionale per far emergere similitudini e differenze tra i due

sistemi di politica economica.

5.2 – Politica economica tradizionale

Per politica economica si intende la «branca della scienza economica che studia l’intervento

dello Stato nel sistema economico e suggerisce gli strumenti da porre in essere affinché siano

raggiunti alcuni obiettivi considerati socialmente desiderabili» (Dizionari Simone Online, 2010).

La politica economica è quindi parte dell’economia politica. Se quest’ultima possiede una forte

parte di economia positiva, la prima è intrisa di una componente normativa. L’economia

politica si occupa infatti di fornire di volta in volta le indicazioni, gli strumenti ed i modelli

esplicativi per l’attuazione di determinati obiettivi.

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133

Da questa definizione di politica economica, emergono sostanzialmente due mansioni che

caratterizzano la disciplina:

1. Fissare gli obiettivi;

2. Definire gli strumenti atti a conseguirli.

Per quanto concerne il primo punto, sono molteplici gli obiettivi che la politica economica si

prefissa di raggiungere, ne citiamo solo alcuni.1

Garantire la crescita economica della nazione. Questo, per l’economia dominante,

appare come l’obiettivo primario del sistema occidentale (OCSE, 2009);

Perseguire uno sviluppo economico equilibrato, che limiti cioè la frequenza e

l’ampiezza delle oscillazioni dei cicli economici. Esso è necessario per assicurare la

stabilità del sistema nel suo insieme;

Tenere sotto controllo l’inflazione, al fine di evitare brusche fluttuazioni del valore

della moneta;

Ridurre il più possibile la disoccupazione.

La teoria economica dominante, cioè quella neoclassica, presuppone che i privati siano in

grado il più delle volte di assicurare la piena occupazione dei fattori produttivi (Blanchard,

2009, p. 164) permettendo quindi di raggiungere il massimo livello possibile del reddito

nazionale. L’intervento dello Stato non deve perciò turbare le condizioni di equilibrio

determinatesi spontaneamente, in altre parole esso deve essere minimo, specialmente in

materia di imposte. Gli economisti vedono con sospetto i fenomeni di reranking, in base al

quale lo Stato è in grado di modificare il rapporto tra i redditi dei membri della collettività

(Bosi, 2010, p. 151). In altre parole, gli interventi dello Stato non devono essere distorsivi, non

devono cioè alterare i prezzi relativi di due beni o di due attività economiche (Bosi, 2010, p.

1 Per avere una visuale d’insieme sugli obiettivi primari di politica economica stabiliti dall’OCSE nei confronti di diversi Stati nel 2007, si veda (OCSE, 2009, p. 33)

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134

185).2 Tuttavia, una completa neutralità dello Stato sulle operazioni di mercato è possibile solo

a livello teorico; l’importante è che esso limiti al massimo la sua ingerenza e non cerchi di

sostituirsi arbitrariamente agli agenti economici e al meccanismo di mercato.

Il secondo aspetto della politica economica tradizionale riguarda l’individuazione degli

strumenti da impiegare al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. A seconda degli strumenti

utilizzati, si può parlare di diversi interventi di politica economica. Ne distinguiamo quattro:

1. Monetario. La politica monetaria, prerogativa della Banca Centrale Europea, si occupa

in primo luogo di stabilire degli obiettivi sul tasso di inflazione nel medio e nel lungo

periodo, ed in secondo luogo di adottare le misure necessarie per raggiungerli.

2. Fiscale. La politica fiscale utilizza come strumento la spesa pubblica e la tassazione per

influenzare il livello di domanda e di produzione. La spesa pubblica agisce

principalmente sul lato della domanda. La tassazione agisce soprattutto sul lato

dell’offerta.

3. Industriale. La politica industriale ha come obiettivo quello di sostenere il settore

produttivo attraverso interventi rivolti alla concorrenza, ai servizi infrastrutturali,

incluso quelli della ricerca.

4. Commerciale. La politica commerciale si occupa infine di regolare l’import e l’export, di

verificare i trattati di interscambio, con l’obiettivo di promuovere la competitività

internazionale dell’economia.

Gli strumenti della politica monetaria risiedono essenzialmente nella capacità della BCE di

fissare la quantità di moneta presente sul mercato. Agendo su quest’ultima, essa riesce ad

influire sia sul livello di inflazione sia sul tasso di interesse, e quindi sul livello di attività

economica. In periodi di carenza di liquidità, essa può essere indotta a stampare più moneta al

2 Si definiscono per esempio imposte distorsive le imposte che alterano anche uno solo di questi tre aspetti:

il valore del tempo libero e del tempo lavorativo dell’individuo;

le decisioni di consumo o di risparmio nell’arco temporale del consumatore o del risparmiatore;

i prezzi relativi di due beni.

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135

fine di agevolare la stabilità dei mercati finanziari e reali. Se la politica monetaria è

necessariamente decisa a livello europeo, gli altri tre ambiti sono prevalentemente di

competenza nazionale. Il primo di questi è la politica fiscale. Attraverso l’utilizzo prevalente

della spesa pubblica, lo Stato riesce a stabilizzare la produzione, incentivarla quando

necessario in base al livello di tassazione e ripartire nel tempo l’onere del debito pubblico

(Blanchard, 2009, p. 575-578).

Più articolati sono invece gli strumenti a disposizione della politica industriale: essi

comprendono, tra gli altri, incentivi statali rivolti alla produzione, imposte pigouviane,

imposizione agevolata, regolamentazioni, sussidi ed agevolazioni. La politica economica può

modificare la dotazione dei fattori presenti all’interno del paese, spingendo verso una

diffusione della formazione professionale, dell’investimento in ricerca e innovazione,

dell’attenzione verso il rispetto ambientale (Vitali, 2008, p. 3). Data la grande varietà di

strumenti a disposizione, è bene ricordare che ogni strumento presenta indissolubilmente

pregi e difetti, una differente efficienza ed efficacia, un diverso effetto su consumatori e

produttori. Per questi motivi spesso la politica industriale non agisce solo su un fronte ma su

una pluralità di versanti, che, attraverso numerosi strumenti, mirano al raggiungimento di un

obiettivo comune.

Gli strumenti utilizzabili ai fini di esercitare la politica commerciale includono infine dazi,

tariffe, trattati, controlli quantitativi e valutari. Essi permettono di attuare politiche di

incentivazione al commercio con l’estero o, conversamente, di innalzare barriere rivolte ai

prodotti importati dall’estero, per difendere la produzione locale.

5.3 – La logica delle otto R

Dopo una essenziale quanto necessaria presentazione della politica economica tradizionale,

degli obiettivi che essa si prefigge e degli strumenti utilizzabili per il loro raggiungimento, si

procederà ora ad esaminare la politica economica secondo il Latouche che abbiamo

inquadrato nell’età matura. D’altra parte, nei due Latouche precedenti sarebbe stato difficile

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136

un abbozzo di politica economica. È il Latouche propositivo del nuovo millennio che avanza

soluzioni, alternative e nuovi modelli ad un tempo economici, politici e sociali, ed è per tutti

questi motivi che la nostra analisi verterà essenzialmente su quanto Latouche ha scritto solo

recentemente.

L’economista francese dedica invero una parte molto importante alla politica normativa della

decrescita, tanto da destinare completamente la seconda parte del suo libro La scommessa

della decrescita (Latouche, 2006b) all’approfondimento di questo tema. È questo un esempio

indicativo della natura fortemente pragmatica delle argomentazioni di Latouche, che ha scelto

di non lasciare in sospeso il tema della praticabilità di questo paradigma alternativo. Per

questo egli ha provveduto a fornire un abbozzo di quella che potremmo definire fin da ora una

politica economica altra, come altro è il sistema economico e sociale che egli propone. Gli

obiettivi che egli ritiene raggiungibili grazie alla decrescita sono otto, e, come è solito di

Latouche, sono proposti sottoforma di slogan, utilizzando altrettante parole chiave: rivalutare,

riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare.

Ognuno di questi sarà approfondito in maniera particolare nelle sezioni a seguire.

5.3.1 - Rivalutare

Il primo obiettivo da raggiungere riguarda necessariamente una cambiamento dei valori su cui

si fonda la società occidentale. I libri pubblicati durante il periodo adulto di Latouche hanno

denunciato in maniera molto approfondita e decisa come questi nel tempo si siano

progressivamente appiattiti. Illuminante in merito è la citazione di Jean-Paul Besset (2007,

p.135, cit. in Latouche, 2006b, trad. it. 2010, pp. 101-102):

«la religione dell’eccesso (…) propone un’unica morale – avere, mai abbastanza,

abusare, mai troppo, gettare, senza ritegno, poi ricominciare, ancora e sempre. Uno

spettro agita le notti di questa umanità, la depressione del consumo. Un incubo la

ossessiona, le variazioni del prodotto interno lordo».

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137

Come non pensare, allora, alla ricchezza culturale e di valori dell’altra Africa dipinta da

Latouche (1997)? Egli individua quattro poli attorno ai quali ruota una cultura che, per molti

versi, è assai più ricca della nostra: la solidarietà comunitaria,3 la fiducia in se stessi, la capacità

di apertura verso gli altri e verso il futuro e l’inserimento organico dell’uomo nell’ambiente

(Latouche, 1997, p. 126). Non serve certo cercare lontano per notare la carenza di valori in

quella che è stata definita come «la società dei consumi» (Gauthier, 1998, p. 84). È evidente

che non solo i dis-valori riportati da Besset, ma anche quelli riconducibili all’individualismo

smithiano o all’utilitarismo benthamita (già oggetto di critica da parte del M.A.U.S.S.) che

malauguratamente permeano la società occidentale non sono compatibili con una società di

decrescita. Si avanza la necessità di recuperare valori tra cui, oltre a quelli già presenti nelle

società africane, si annovera il senso di giustizia, il piacere del tempo libero, il rispetto della

democrazia. Latouche sente l’esigenza di rivisitare la considerazione che l’uomo ha per

l’ambiente naturale: esso è visto oggi come un oggetto su cui dominare e da sfruttare per

quanto possibile. L’economista francese invece sostiene che l’agire dell’uomo nei confronti del

mondo naturale deve essere piuttosto un «inserimento armonioso» (Latouche, 2007b, trad. it.

2008, p. 46).

A ben vedere, il primo passaggio del programma in otto punti elaborato da Latouche è allo

stesso tempo il più critico. Altrove è stato definito «il punto più debole» (Zippo, 2008, p. 109),

ma a nostro avviso non si può propriamente parlare di debolezza dell’argomentazione di

Latouche, quanto di criticità, o, per utilizzare le parole dello stesso autore, «difficoltà»

(Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 103). Il motivo risiede naturalmente nell’impervietà

dell’obiettivo: esso si prefigge un cambiamento radicale, e certamente non marginale,

dell’orientamento culturale, morale e relazionale della società occidentale. Un tale obiettivo

risulta forse più ambizioso di quanto non si pensi, e la sua asperità compromette

conseguentemente a livello sistemico l’intero programma di Latouche: una società di

3 Essa si esplica principalmente attraverso la pratica del dono (v. Sezione 4.3.1, il lavoro “L’altra Africa. Tra dono e mercato”).

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138

decrescita presuppone innanzitutto il recupero e la riconsiderazione di valori al momento

marginalizzati, e non potrebbe esistere altrimenti.4 Ne risulta che, per avviare una società di

decrescita, è necessario prima sensibilizzare le coscienze e mobilitare gli animi.5 È quello che

Latouche sta facendo dal 1966.

5.3.2 – Riconcettualizzare

Questo ed il passaggio precedente presentano numerose similitudini, in quanto anche in

questa sede Latouche intende agire sull’immaginario collettivo, andando a modificare

valutazioni a carattere soggettivo che col tempo e l’uso sono state oggettivate: è questo che si

intende per riconcettualizzazione. Si aggiunge che questo processo deve accompagnarsi

contestualmente a quello di rivalutazione appena analizzato, data la loro stretta correlazione.

Di riconcettualizzazione si è parlato quando si è affrontato il discorso della povertà ne L’altra

Africa (1997, pp. 138-139):6 essa deve essere sempre ricollegata ad un parametro di giudizio e

non può essere slegata da qualsiasi contesto. In altre parole non si può, secondo Latouche,

etichettare un intero continente come “povero” senza aver prima specificato i criteri che ne

hanno decretato la povertà: se si prende in considerazione il Pil è giusto indicare che la povertà

di uno Stato è meramente economica. In un’ottica di decrescita, però, ci si deve rendere conto

che il parametro più importante per giudicare la vitalità ed il benessere di un paese non è il Pil

né alcuno dei suoi derivati. Latouche arriva persino ad indicare come alternativa ad esso gli

indici nutrizionali, «più neutri e più interessanti come indicatori di un problema» (Latouche,

1997, p. 138). La convinzione di Latouche è che la povertà economica sia elemento

imprescindibile del sistema occidentale, e che funga a sua volta da giustificazione al

perseguimento dello sviluppo economico.

4 Cfr. Brune, 2005, p.1. D’altro canto, Latouche stesso riporta che «La società della decrescita

decolonizza l’immaginario, ma la decolonizzazione che produce è il requisito preliminare per costruirla» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 117). Se da un lato non si può che apprezzare la schiettezza del teorico della decrescita, dall’altro è ben evidente l’enorme scoglio da superare. 5 Per un simile richiamo vedasi anche Castoriadis (2005). 6 Vedi Sezione 4.3.2.

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139

Così come è stato messo in discussione il concetto di povertà, similarmente dev’essere fatto

per il concetto di ricchezza. Il benessere di uno Stato con un certo Pil non necessariamente è

maggiore di quello di uno Stato che possiede il Pil più basso.7 Sono molti i fattori che entrano

in gioco nella determinazione del benessere di una nazione, e non sono tutti misurabili in

termini monetari.

Altrettanto importante è «decostruire il binomio infernale scarsità/abbondanza, fondatore

dell’immaginario economico» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 103). L’idea di scarsità è

infatti generatrice di un sentimento di mancanza, e quindi di bisogno. Ed il mercato altro non è

che il luogo in cui i bisogni di beni e servizi vengono soddisfatti in cambio di una

controprestazione solitamente monetaria. La pubblicità ha lo scopo di creare sempre nuovi

bisogni nei consumatori, e di creare il malcontento per quello che già si possiede. Non c’è da

stupirsi se Latouche arriverà a definirla una vera e propria istigazione a delinquere (Latouche,

2007b, trad. it. 2008, p. 27). La progressiva privatizzazione di quello che una volta apparteneva

a tutti8 è solo un aspetto di come il mercato cerchi di inserirsi in ogni ambito della vita

quotidiana, dettando le sue leggi ai consumatori che si trovano in posizione di netta inferiorità.

Uscire dall’immaginario generato dal sistema di crescita è cosa tutt’altro che semplice. In

prima istanza, il compito maggiore è svolto dalla forza di volontà dell’individuo. Per uscire

dall’immaginario, bisogna innanzitutto volerlo. 9 Presente questo presupposto, si può

procedere con la delegittimazione dei valori dominanti, ossia una distruzione progressiva dei

valori costruiti dall’immaginario e sostituirli con altri, più genuini, reintroducendo ad esempio i

rapporti personali nell’arte di consumare (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 110). Il passaggio

successivo è osservare come, in questa ottica, lo stesso livello di benessere possa essere

raggiunto attraverso una quantità di beni inferiore. Se i beni relazionali prendono il

sopravvento, o aumentano di importanza rispetto ai beni materiali, è facile verificare la 7 Vedi Sezione 2.4.1. 8 Gli esempi riportati da Latouche, entrambi di estrema attualità, sono quello della privatizzazione dell’acqua e quello della diffusione degli OGM, i quali hanno espropriato gli agricoltori della fecondità naturale delle piante. 9 Cfr. Castoriadis, 2005, p.275

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140

veridicità di questa affermazione. Rimane comunque l’assenza di una soluzione in grado di

produrre una riconcettualizzazione immediata dell’immaginario. Molto è deciso dal

comportamento del singolo e dall’esempio che questi riceve e trasmette da e verso l’esterno. Il

processo di riconcettualizzazione ed, ancor prima, decolonizzazione, si preannuncia così molto

lungo. Una parte fondamentale sarà giocata dai media e dalle lobby che costantemente

esercitano pressione sui mezzi di comunicazione.10 In definitiva, avverte Latouche, se questo

processo non sarà effettuato volontariamente, ci sarà la possibilità concreta che l’umanità si

ritrovi a doverlo affrontare forzatamente in seguito ad una catastrofe globale causata dal

fallimento inevitabile della società dei consumi. È bene che ognuno svolga la sua parte per

impedire che questo fallimento non colpisca la società in maniera inaspettata.

5.3.3 – Ristrutturare

Ristrutturare significa «adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei

valori» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 47). Si tratta quindi di un passaggio che avviene in

un momento successivo ai primi due; esso sarà tanto meno drastico quanto più decisi saranno

stati i processi di rivalutazione e di riconcettualizzazione. La ristrutturazione implica una

conversione parziale dell’economia, che ponga al centro dell’attenzione gli individui e

l’ambiente, e non una produzione per certi aspetti fine a se stessa.

Anziché chiudere le fabbriche di automobili e licenziare centinaia di impiegati in un sol colpo,

ad esempio, Latouche propone la conversione delle stesse in impianti di fabbricazione di

cogeneratori. Questi, basati sulla stessa tecnologia del motore a scoppio, permettono la

generazione ad un tempo di energia elettrica e calore, garantendo un’efficienza energetica che

arriva tranquillamente all’80%. 11 Passi in questa direzione sono già stati compiuti dalla

comunità europea, che con la direttiva 2004/8/CE promuove negli Stati dell’Unione la

10 Cfr. Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p.117. 11 Fonte: www.rinnovabili.it/cogenerazione. Sono queste stime prudenti, paragonate a quelle di Latouche: l’economista francese, basandosi anche sui lavori di Pallante (2004), riporta valori di efficienza anche del 94%.

Page 151: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

141

diffusione degli impianti di cogenerazione a livello privato e cittadino (Unione Europea, 2004,

p. 50-60). La direttiva è stata recepita in Italia con il d.lgs 20/2007 ma al momento non ha

ancora trovato una diffusione degna di nota.

Il processo di ristrutturazione prevede l’arresto della costruzione delle centrali nucleari.

L’umanità non soffre certo di carenza energetica, e l’elettricità derivante dal nucleare può

essere prodotta in svariati altri modi, più rapidi, semplici, economici, sicuri e rispettosi

dell’ambiente. Gli impianti di cogenerazione sono una soluzione immediata ma certo non

definitiva, poiché, nonostante l’efficienza energetica, per funzionare necessitano comunque

dell’impiego di combustibili fossili. È evidente che il futuro della produzione energetica risiede

nel fotovoltaico, la cui tecnologia, una volta perfezionata,12 permetterà la generazione di

corrente elettrica con un impatto minimo sull’ambiente.

Scopo ultimo del processo di ristrutturazione è quello di uscire finalmente, anche a livello

pratico, dallo sviluppo e dall’economia di crescita, in modo deciso ma graduale. La rivoluzione

auspicata da Latouche non ha niente a che vedere con quella profetizzata da Marx: la

ristrutturazione dell’economia deve avvenire in modo autonomo, consapevole e non imposto.

Latouche (2006b) condivide con Castoriadis (2005) la critica diretta al pensiero dell’economista

dell’Ottocento: il mercato e la merce non devono essere visti come alienanti, poiché il mercato

per sua definizione è un punto di incontro tra individui. Esso è di per sé una mediazione, ed

abolirlo non avrebbe alcun senso. Il mercato e la moneta sono solo strumenti, e come tali non

possono essere definiti a priori giusti o sbagliati, né, quindi, devono essere aboliti durante il

processo di ristrutturazione. La ragione risiede nell’utilizzo che dello strumento si fa. È l’utilizzo

della moneta che deve essere rivisto: questa non deve essere più votata all’accumulazione di

capitale, ma adoperata puramente in quanto mezzo di scambio sul mercato.

A questo proposito, si sottolinea come Latouche auspichi una ripresa del modello dei mercati

africani, che si contrappongono al Mercato Unico occidentale in quanto prevedono, oltre alla

12

In termini di resa, di praticità e di prezzo.

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142

pratica del dono, anche una intermediazione diretta fra le persone, permettendo in definitiva

un’esaltazione delle relazioni umane.

5.3.4 – Ridistribuire

Ridistribuire significa «ripartire, tra Nord e Sud e all’interno di ogni società», quindi tra le classi,

le generazioni ed i singoli individui, «le ricchezze e l’accesso al patrimonio della natura»

(Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 124). Si può già notare come un primo esempio di

ridistribuzione consista nella rivalutazione dei rapporti sociali e nella ristrutturazione degli

stessi all’interno dell’ambito economico, se inseriti in un contesto di una pluralità di mercati.

Il problema maggiore, secondo Latouche, sarà quello della ridistribuzione delle ricchezze tra il

Nord ed il Sud del mondo. È evidente in questo senso l’esperienza maturata nei paesi africani e

del Sud-est asiatico, che lo ha reso sempre più cosciente di come queste società siano

depredate delle loro ricchezze dall’occidente (Latouche, 1984, p. 17-18). L’Occidente non è

creditore nei confronti del Sud del mondo, al contrario, in secoli di colonialismo prima e di

imperialismo poi ha contratto nei confronti del Sud un immenso «debito ecologico».13 Tale

debito, proprio perché non monetario, e quindi esterno ai parametri di giudizio dell’economia

occidentale, non è mai stato rimborsato: sarà necessaria una presa di coscienza da parte della

collettività durante le fasi di rivalutazione e riconcettualizzazione per porre, se non altro,

almeno un freno all’intromissione dell’Occidente nelle società del Terzo mondo.

Una particolare attenzione è dedicata da Latouche al concetto di impronta ecologica, la quale

si ricollega alla perfezione in ambito di ridistribuzione. Per non pesare più sulle società del Sud,

l’Occidente deve recuperare necessariamente un’impronta ecologica a tutti gli effetti

sostenibile, ossia al di sotto di 1,8gha pro capite, a fronte degli attuali 2,7 mondiali e degli 8 del

Belgio (Pollard, 2010, p. 34). Non si può e non si deve pensare di fare affidamento sulla povertà

del Terzo mondo per sostenere lo sviluppo dell’Occidente. Il Nord, per raggiungere un futuro

sostenibile, deve diminuire drasticamente la dipendenza dallo sfruttamento delle risorse che

13

Cfr. Latouche, 2008, p.49.

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143

non sono presenti sul suo suolo ed imparare a trovare vie alternative, per quanto possibile, di

produrre gli stessi beni con risorse inferiori o diverse. Un simile traguardo non sembra

irraggiungibile, data la sempre maggiore smaterializzazione dell’economia dei tempi recenti

(Calvo-Platero, 1996).

Questo è un esempio di ridistribuzione delle ricchezze tra le società, ma Latouche prende in

considerazione anche la ridistribuzione tra generazioni (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 48).

Un’impronta ecologica pro capite superiore a 1,8gha, ossia l’attuale quantità massima di

risorse che il pianeta riesce a rigenerare spontaneamente ogni anno, comporta

necessariamente un debito ecologico intergenerazionale. Si pensi che nel 2007 sono stati

utilizzati 2,7gha: il 50% in più di quanto il pianeta è in grado di rigenerare. Ciò implica che ci

vorrà un anno e mezzo, anziché 365 giorni, per rigenerare le risorse rinnovabili utilizzate nel

2007 (Pollard, 2010, p. 32). Le leggi di crescita esponenziali sono inflessibili a riguardo

(Meadows et al, 1993): questo trend è in aumento (si veda il Grafico V.1 alla pagina seguente),

l’impronta ecologica globale del 2007 è doppia rispetto a quella del 1996 e ancora non si vede

nessun segno di svolta verso un futuro sostenibile. Per avere un’idea più chiara di questo

concetto, si immagini la terra come un immenso patrimonio, capace ogni anno di generare

frutti. Se si andasse a consumare unicamente i frutti, il patrimonio rimarrebbe inalterato alla

fine dell’anno, e non si creerebbe alcuno scompenso futuro. Quello che sta succedendo è il

consumo da parte della società non solo dei frutti del pianeta, ma anche dello stesso

patrimonio. È questo un comportamento irresponsabile nel pieno senso del termine, poiché si

sta pregiudicando la possibilità delle future generazioni di godere del patrimonio. Inoltre,

attaccando il patrimonio, i frutti dell’anno successivo con ogni probabilità saranno minori,

innescando così una spirale perversa che sarebbe stato meglio non aver mai causato.14

14

Cfr. Meadows et al, 1993.

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144

GRAFICO V.1. Aumento dell’impronta ecologica nel tempo.

Fonte: WWF (2010)

Urge il bisogno di una severa regolamentazione che imponga alle società ed agli individui di

limitare per quanto possibile i loro consumi, e di evitare lo sfruttamento indiscriminato

dell’ambiente:

«È necessario togliere sempre maggior quantità di terra all’agricoltura intensiva, alla

speculazione fondiaria, all’impatto inquinante dell’asfalto e del cemento, alla

desertificazione per darla all’agricoltura contadina, biologica, rispettosa degli

ecosistemi» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 125).

Latouche auspica una ridistribuzione dei lavori: molto attivo sarebbe il settore di ricerca in una

società di decrescita, sempre in cerca di tecnologie funzionali e rispettose dell’ambiente, non

solo in ambito energetico, ma anche in quello dei trasporti e dell’agricoltura.

Un'altra ridistribuzione è quella dei redditi, sia all’interno della stessa generazione che fra

generazioni diverse. Nel primo caso, essa può essere effettuata sia mediante una forte

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145

tassazione del settore automobilistico e pubblicitario, sia attraverso una detassazione del

lavoro, secondo la logica “chi più sfrutta, o più esorta a sfruttare l’ambiente, più paga”.

Latouche sente l’esigenza di stabilire inoltre dei salari minimi e massimi, al fine di scongiurare il

dilagare dell’hybris, la dismisura, che ha ormai corroso il sistema di valori occidentale. Nel

secondo caso entra in gioco l’abbandono del sistema di crescita come sistema di finanziamento

della spesa pubblica. La crescita è infatti attualmente indispensabile per garantire il corretto

funzionamento del sistema pensionistico, che esso sia a ripartizione o a capitalizzazione (Bosi,

2010, p. 384-385). In una società di decrescita, dunque, il sistema pensionistico si baserebbe

esclusivamente su un criterio a ripartizione pura, basato su un solido patto intergenerazionale

al fine di garantire a tutti una pensione adeguata. Latouche non entra volutamente nel merito

della questione, poiché l’argomento è talmente vasto che richiederebbe ben più di un volume

interamente dedicato ad esso, ma assicura che il sistema pensionistico non verrebbe sconvolto

una volta eliminato il contesto di crescita e reinserito in uno di decrescita.

5.3.5 – Rilocalizzare

Col processo di rilocalizzazione si punta a produrre localmente i beni e servizi di cui necessita la

popolazione, usufruendo innanzitutto delle materie prime disponibili in loco. Questo

passaggio, a ben pensarci, è conseguenza logica del processo di ridistribuzione, e rappresenta

«lo strumento strategico più importante della decrescita» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p.

129). Si può interpretare la localizzazione in due modi:

1. Un fenomeno regionale, se lo si intende come un decentramento urbano, un

ripopolamento delle campagne ed una ripresa della produzione a livello locale;

2. Un fenomeno internazionale, se lo si intende come un abbandono della dipendenza

dalla fruizione di materie prime provenienti dal Sud e della manodopera a basso

prezzo delle popolazioni dell’Est.

Il localismo è il cuore della decrescita, ed è naturale che l’economista francese lo difenda con

così tanto vigore. Una società di decrescita è innanzitutto una società autosufficiente sia dal

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146

punto di vista energetico15 che dal punto di vista della produzione. Maggiore il grado di

localismo e di autosufficienza, migliore è la sostenibilità ambientale dell’economia, più intense

saranno le relazioni interpersonali degli individui, basate non più sullo scambio mercantile, ma

sulla reciprocità e sulla fiducia. Sostenere che Latouche auspichi un livello di localismo simile

per molti aspetti a quello già presente nella realtà africana, dove la gente è già, per forza di

cose, costretta a vivere con i soli mezzi che l’ambiente fornisce loro, non sarebbe una mera

congettura ed anzi, mostra che una società localizzata è possibile.

Con un velo di ironia, Latouche informa che, se i movimenti di merci e di capitali «devono

essere limitati all’indispensabile» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 49), le idee invece hanno

la piena autorizzazione a valicare qualsiasi frontiera. Ma la rilocalizzazione non è soltanto

economica: essa è anche politica e culturale. Di conseguenza, qualsiasi decisione che può

essere presa a livello locale, essa deve essere presa a tale livello. Estendendo il concetto, si può

affermare con tranquillità che Latouche insista, tra le altre cose, anche per la realizzazione di

un federalismo fiscale che premi gli sforzi compiuti a livello locale. Il localismo politico è

indispensabile, secondo il teorico della décroissance, per ridare nuova linfa alle attività locali.

La rilocalizzazione è innanzitutto una rilocalizzazione economica, ma questa non potrà avere

luogo senza avere alle spalle una forte partecipazione politica a livello locale: è quello che Takis

Fotopoulos (2002) definisce una democrazia di prossimità. Egli propone la suddivisione della

società in piccoli gruppi organizzati chiamati dèmoi, di circa trentamila abitanti l’uno. Secondo i

calcoli dell’economista greco, questa dimensione basterebbe a garantire il soddisfacimento dei

bisogni di ciascuno dei partecipanti e, al contrario, data la relativa ristrettezza del numero,

invoglierebbe i cittadini a partecipare alle decisioni della vita pubblica e, conseguentemente,

economica. Latouche, dal canto suo, ha già espresso la sua ammirazione per il modello di

15 I pannelli solari, già menzionati, consentono una vera autonomia energetica locale, eliminando la necessità di una centrale energetica e l’importazione di materie prime da trasformare in energia.

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147

organizzazione sociale africana, costituita dalla palabre,16 che presenta numerosi punti in

comune con quanto teorizzato da Fotopoulos (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 86-92).

5.3.6 – Ridurre

Forse il simbolo della decrescita, e l’immagine più evocativa di tutti gli otto passaggi. Non

bisogna però lasciarsi trarre in inganno dalla leggera ambiguità del termine. Ridurre non

equivale a risparmiare sui materiali per mantenere immutato il livello di consumo. È solo

attraverso la riduzione sia dei consumi sia del loro impatto sull’ambiente che è possibile

trovare la chiave di un futuro veramente sostenibile: in definitiva, il grande cambiamento della

società consisterà nel soddisfare i propri bisogni evitando di ricorrere forzatamente al

consumo, ma dirigendo la propria attenzione alla cura dei legami sociali e a un rinnovato

rispetto verso l’ambiente naturale (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 140).

Scopo della riduzione è infatti quella di garantire un miglioramento della qualità di vita,

attraverso, tra le altre cose, la forte limitazione alla produzione ed al consumo di certi beni

individuati come “tossici” per l’individuo.17 Latouche riporta quattro esempi: il nucleare, gli

armamenti, la pubblicità e la droga. Interessante l’accostamento tra droga e pubblicità, ma

d’altra parte sono noti i motivi dell’avversione dell’economista francese a questo settore (v.

Sezione 5.3.2).18 Si è usato il termine forte riduzione non a caso: nonostante le forti limitazioni

da imporre, la decrescita non vuole trasformarsi in un regime dittatoriale, e vuole consentire in

ogni caso la libera impresa, seppur soggetta a restrizioni.

Latouche identifica tre tipologie primarie della riduzione: i trasporti e l’energia, i rifiuti e gli

sprechi, il tempo di lavoro.

16

La palabre è un’istituzione sociale tipica dell’Africa alla quale partecipa tutta o parte della comunità di un villaggio. Peculiarità di questa istituzione è quella di regolare un contenzioso senza che alcuna delle parti chiamate in giudizio venga lesa (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 85). 17 Potremmo, riprendendo le parole di Varian (2002, p. 38), assimilarli ai “mali” normalmente presenti in un’economia. 18 Latouche non perderà l’occasione per ribadire anche in questa sede la tossicità e l’ingerenza senza precedenti del settore pubblicitario, avvalendosi dell’aiuto di Jean-Paul Besset (cfr. Latouche, 2006b, trad. it. 2010, pp.140-141).

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148

I trasporti sono intimamente connessi al quinto punto del programma di Latouche, ossia il

passaggio della rilocalizzazione: essi si ridurranno tanto più facilmente e naturalmente quanto

più elevato sarà il localismo raggiunto dal sistema. Una riduzione dei trasporti è necessaria per

ridurre sia l’inquinamento prodotto dal settore dei trasporti, sia la quantità di infrastrutture ad

esso dedicate. Latouche ricorda la enorme quantità di anidride carbonica prodotta non solo

durante gli spostamenti, ma anche durante la creazione di prodotti destinati alla vendita. I

climatologi hanno stabilito che la Terra non è in grado di smaltire più di 500kg di anidride

carbonica pro capite all’anno: l’equivalente di “appena” un volo andata-ritorno da Parigi a New

York, o di 5000 chilometri in auto. È ripetitivo rilevare come questi limiti siano ampiamente

sorpassati: la produzione media mondiale è doppia rispetto a quella consentita, e la sola

produzione statunitense eccede i limiti di ben sedici volte (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p.

143). I risultati sono riscontrabili immediatamente, tramite le misurazioni di concentrazione di

anidride carbonica nel tempo (Grafico V.2):

GRAFICO V.2. Concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera

Fonte: BBC (2008).

Page 159: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

149

La produzione energetica, come già anticipato, non solo deve orientarsi verso l’utilizzo di fonti

rinnovabili e migliorata dal punto di vista dell’efficienza, ma deve anche essere sottoposta in

prima persona, ad un programma di riduzione. Come Latouche ricorda, «l’energia meno

costosa e meno inquinante è quella che si evita di produrre e di consumare» (Latouche, 2006b,

trad. it. 2010, p. 147).

La crescita esponenziale della produzione degli ultimi secoli ha prodotto un relativo

incremento esponenziale dei rifiuti: riporta Latouche che le 10 milioni di tonnellate di rifiuti

prodotte in Francia negli anni settanta sono diventate 28 nel giro di trent’anni (Latouche,

2006b, trad. it. 2010, p. 149). Il riciclaggio viene qui presentato come un semplice palliativo, e

non certo come la soluzione al delicatissimo problema dei rifiuti. Latouche riesce a risolverlo

mediante il suo inserimento nell’ambito teorico della decrescita: riducendo i consumi,

automaticamente si ridurrà la quantità di rifiuti prodotti. Non solo: grazie alla rilocalizzazione si

potrà ridurre a sua volta il numero di imballaggi. Un esempio, fornito da Maurizio Pallante

(2005, p. 17-21), è quello, arcinoto, della produzione artigianale di yogurt: grazie ad un po’di

latte e all’azione di qualche colonia di batteri, è possibile produrre il proprio yogurt

direttamente in casa. Questo prodotto, decisamente più buono e genuino, consente di

risparmiare le materie prime necessarie per reperire la plastica del vasetto e l’alluminio del

coperchio un viaggio verso le nostre tavole che va dai 1200 ai 1500 chilometri. Similarmente, si

può affermare che nell’agricoltura la decrescita potrà realizzarsi in maniera più efficace, grazie

all’incentivazione della produzione biologica già presente nelle campagne di molte città.

L’ultimo (ma se ne potrebbero trovare altri) elemento che è possibile ridurre il tempo di

lavoro. Latouche riporta, in modo apparentemente provocatorio, l’idea di Jacques Ellul (1982):

secondo questo sociologo, il tempo dedicato al lavoro non dovrebbe superare le due ore

giornaliere. 19 Conseguenza diretta del minor tempo lavorativo sarebbe una maggiore

occupazione. A ben pensarci, un decremento dei consumi, della produzione e dei trasporti,

19 Ellul si appoggia per sostenere la sua affermazione a quanto sostenuto da un’associazione francese denominata Adret (1977) e (1980).

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150

unito ad un aumento dell’efficienza dei mezzi di produzione non possono che aumentare il

tempo libero a disposizione degli individui. Esso è naturalmente inconcepibile nella società

attuale, ma in una società di decrescita, non sembra essere un traguardo irraggiungibile.

Latouche avanza già alcune delle critiche che potrebbero essere mosse a questa visione, come

la noia ed il senso di vuoto che inizialmente potrebbero permeare le giornate dei lavoratori. Si

tratta solo di ripensare l’inserimento dell’individuo all’interno della società, di impiegare il

tempo libero in attività creative, relazionali o di servizio verso il prossimo, in modo analogo al

funzionamento delle banche del tempo. Il passaggio dalle otto alle due ore lavorative

giornaliere non potrà avvenire tutto in una volta, ma dovrà necessariamente avvenire per fasi.

Si possono elencare tre fattori che entrano in gioco a questo punto, di cui due che tendono ad

aumentare il livello di occupazione e uno che tende a diminuirlo. I primi due fattori sono la

diminuzione di produttività dovuta all’abbandono del modello di produzione termoindustriale

e la rilocalizzazione delle attività con il conseguente abbandono dello sfruttamento del Sud. In

direzione opposta va invece il decremento dei consumi successivo al mutamento del quadro di

valori della società.

5.3.7 – Riutilizzare

Il settimo obiettivo, il riutilizzo, richiede un’inversione di rotta rispetto alla logica produttiva

corrente: basti pensare che l’80% dei beni attualmente immessi sul mercato sono utilizzabili

una sola volta prima di finire nella spazzatura (Hulot, 2006, p.237). A questo bisogna

aggiungere una serie di fenomeni che hanno preso piede solo in tempi recenti:

l’accorciamento del ciclo di vita dei beni di consumo duraturi (come gli

elettrodomestici);

il deterioramento sempre più rapido dei prodotti (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p.

155);

l’impossibilità, per colpa delle tecnologie via via più avanzate, di una riparazione degli

oggetti da parte del singolo.

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151

Conseguenza di questo ultimo fenomeno è la spedizione dei prodotti in centri di assistenza, i

quali spesso hanno sede in Stati anche diversi da quello dell’acquirente. Sempre più frequente

è il consiglio del rivenditore di comprare un nuovo modello poiché la riparazione di quello

vecchio comporterebbe una spesa solo di poco inferiore.

Latouche, invece, corre contro questa tendenza ed insiste sulla necessità di prevedere un

riutilizzo dei componenti dei prodotti alla fine del loro ciclo di vita (Latouche, 2007b, trad. it.

2008, p. 54). Si potrà così garantire un loro reimpiego all’interno della produzione, evitando

così il passaggio preventivo degli stessi in centri di riciclaggio, di smistamento e di reimpiego.

Queste pratiche esistono già in aziende svizzere, tedesche e statunitensi (Latouche, 2007b,

trad. it. 2008, p. 53-54), le quali hanno escogitato modi ingegnosi di utilizzare i loro prodotti al

termine del loro ciclo di vita.

5.3.8 – Riciclare

È questo il passaggio conclusivo, e forse quello che ha meno bisogno di spiegazioni, di tutto il

ciclo previsto da Latouche. Quando un prodotto non è più riparabile né riutilizzabile, esso deve

essere debitamente riciclato. Non si può affermare che l’Occidente si stia impegnando

abbastanza nella promozione di politiche di riciclaggio: in merito Latouche riporta che in

Francia (ma si potrebbe tranquillamente aggiungere l’esperienza italiana) il vetro viene

recuperato non tramite il reimpiego di vuoto a rendere, ma attraverso il ben più laborioso

riutilizzo del vetro recuperato attraverso la raccolta differenziata (Latouche, 2006b, trad. it.

2010, p. 155). Numerose sono le possibilità di un riciclaggio alternativo: dal rifiuto umido

utilizzato in seguito a pratiche di compostaggio come concime naturale fino al riciclaggio dei

rifiuti in ambito casalingo.20

20 Per fare un esempio, il popolare sito di Beppe Grillo propone di riciclare l’acqua all’interno delle stesse pareti domestiche, immettendo l’acqua utilizzata per la doccia nello sciacquone del WC. Suggerisce inoltre la possibilità di dotare le case di una cisterna capace di erogare acqua potabile in seguito ad una trattazione dell’acqua piovana (Grillo, 2009). Quest’ultima soluzione è interessante se non fosse che l’acqua piovana è spesso a sua volta inquinata.

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152

Il riciclaggio nella teoria della decrescita deve assumere un peso decisamente più importante

rispetto a quanto assume oggi nell’economia dell’ambiente. Troppo poco è stato fatto in

questi anni per risolvere il problema dei rifiuti. La chiave di lettura di questo problema, fornita

dalla decrescita, ricorda che il processo di riciclaggio dei rifiuti non costituisce che l’ultima

tappa di un percorso: esso deve essere, per quanto possibile, evitato, mediante l’azione

congiunta di una minore produzione di beni di consumo e di un loro riutilizzo diretto nel

sistema.

5.4 – Gli strumenti della politica economica di Latouche

Questi otto obiettivi imposti dalla politica economica della decrescita sono decisamente

ambiziosi. Non solo essi si prefiggono di modificare il sistema sociale, ma ancor prima

presuppongono una rivoluzione culturale senza precedenti, che tocchi i valori e le abitudini

degli individui formatisi nell’arco di secoli. Latouche è pienamente consapevole di questo

limite (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 103), ma d’altra parte la decrescita per avere

successo non può venire imposta, ma deve essere percepita dalla gente come necessaria. A tal

fine Latouche propone nove misure che, presentandosi come un comune programma politico,

possono dare il via al circolo virtuoso della decrescita.

5.4.1 - Un impatto ecologico sostenibile

In altre parole, è necessario che l’impronta ecologica mondiale torni a scendere sotto gli

1,8gha pro capite. Il sorpasso della biocapacità è avvenuto nei primi anni settanta (Pollard,

2010, p. 34), ed a tale livello è indispensabile ritornare per assicurarsi di non intaccare le

riserve naturali del pianeta, assicurando così un futuro meno incerto alle generazioni che

verranno. Per raggiungere questo scopo, Latouche propone una politica che imponga

restrizioni su tutti i passaggi intermedi della produzione, al fine di incentivare il localismo. I

settori da colpire sono quello pubblicitario e dei trasporti, quello energetico e degli imballaggi,

«senza colpire il consumo finale» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 84). Ora, è difficile, allo

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153

stato attuale delle cose, pensare di colpire dei settori interi del mercato senza aspettarsi

ripercussioni sul prezzo e sulla produzione. La soluzione più immediata per disincentivare il

ricorso a questi settori durante il ciclo di produzione sarebbe un forte utilizzo di imposte

(Latouche rimane fin troppo generico sull’utilizzo di strumenti fiscali), sebbene esse

produrrebbero un effetto distorsivo sui beni finali (Bosi, 2010, pp. 180 sgg.).

5.4.2 – Internalizzare i costi dei trasporti

Latouche si rende conto che i trasporti costano alla società molto di più di quanto appaia

contabilmente. La cura di malattie respiratorie e di tumori causati dall’inquinamento, uniti alle

altre esternalità riconducibili a questo settore ammontano nella sola Francia a 25 milioni di

euro l’anno, ossia più del gettito della tassa interna sui prodotti petroliferi (Cotillon, 2006, p.

91). Latouche condivide in proposito il programma avanzato da Besset (Besset, 2007, p. 236-

237), che prevede sistemi diretti ed indiretti per ridurre l’incidenza dei trasporti sulla società:

direttamente attraverso un maggior impiego di navi e treni e, grazie all’utilizzo in maniera più

intensiva delle Zone a Traffico Limitato, un ritrovato utilizzo della bicicletta, unico mezzo

veramente non inquinante. Indirettamente attraverso l’accentramento dei servizi pubblici nei

centri urbani, il contenimento dei centri commerciali e la riabilitazione energetica degli abitati.

Gli strumenti che consentano di internalizzare i costi dei trasporti sono indicati da Negawatt

(Syrota, 2008, p. 196):

aumento della tassa interna sui prodotti petroliferi di 3 centesimi all’anno per la

benzina e di 5 centesimi all’anno per il diesel, così da portarlo allo stesso prezzo della

benzina. A partire da quel momento, entrambe le tasse continuerebbero ad

aumentare di 3 centesimi all’anno ciascuna;

aumento del bollo automobilistico annuale, proporzionalmente al grado di

inquinamento delle vetture;

agevolare contestualmente tramite incentivi statali l’acquisto di vetture elettriche,

ibride o a basso consumo di carburante;

Page 164: L'impossibilità della crescita. Serge latouche e l'a-crescita

154

imporre una tassa sui mezzi pesanti in base ai chilometri percorsi. Questo andrebbe di

conseguenza a favorire i mezzi di trasporto alternativi suggeriti da Latouche.

5.4.3 – Rilocalizzare le attività

Questo punto è essenzialmente legato al punto precedente. Da una buona rilocalizzazione

delle attività, comprese quelle non economiche, nascerà un relativo ricorso ai mezzi pubblici.

Come si è accennato prima, occorrerà questa volta fare ricorso allo strumento delle

regolamentazioni locali per promuovere le attività del posto, e prevedibilmente tassare quelle

provenienti dall’esterno. È chiara l’impostazione protezionista dell’economia voluta da

Latouche, che permetta alle piccole imprese locali di produrre senza sentire costantemente sul

collo il fiato della concorrenza spietata di paesi dal costo del lavoro più basso rispetto a quello

nazionale.

5.4.4 – Restaurare l’agricoltura contadina

Questo implica l’incentivazione di una produzione «il più possibile locale, stagionale, naturale,

tradizionale». Latouche con questa affermazione si ricollega fortemente soprattutto al discorso

della rilocalizzazione dell’attività agricola, aggiungendo, tra le altre cose, di abbandonare la

strada intrapresa dalla coltivazione di OGM, che costituiscono a suo avviso una

snaturalizzazione dell’agricoltura. Una produzione tradizionale e naturale non vuol dire solo

questo, ma implica un rifiuto chiaro di pesticidi ed antiparassitari fortemente tossici anche per

le persone. Gli strumenti per restaurare l’agricoltura contadina sono prevedibilmente gli stessi

impiegati per la rilocalizzazione delle attività: Latouche rimane molto nel vago su questo punto

e purtroppo non fornisce esempi precisi in merito.

5.4.5 – Meno produzione e più tempo libero

Si è già parlato di come uno dei cardini della politica economica della decrescita sia la riduzione

del tempo di lavoro. Attraverso l’utilizzo di regolamentazioni statali progressive che tengano

conto delle mutate esigenze della società, Latouche prevede che, in seguito ad una riduzione

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155

della domanda di beni prodotti dal mercato, corrisponda anche una riduzione dell’offerta.

Inoltre, permettendo al numero più alto possibile di persone di trovare un lavoro, si

abbatterebbe decisamente anche il numero necessario di ore lavorative. La differenza con la

società attuale è evidente. Mentre al giorno d’oggi si produce per crescere ed accumulare

sempre più il capitale, in una società di decrescita si produce ciò che serve. La creazione del

superfluo non è contemplata.

5.4.6 – Stimolare la produzione di beni relazionali

Non saranno invece posti limiti alla produzione di beni relazionali, come l’amicizia o la

conoscenza. Al contrario, questi beni, non misurabili in denaro, rientrano perfettamente nella

tipica produzione di una società di decrescita. Come spiega Latouche, «il sapere, la

conoscenza, l’arte possono essere “consumati” da tutti» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p.

86). È indiscutibile: l’Occidente non presta alla creazione ed allo sviluppo di beni relazionali

l’attenzione che essi meriterebbero. Latouche intende ovviare a questo problema soprattutto

mediante la diminuzione del tempo di lavoro. Troppo spesso, nella società moderna, progetti

od aspirazioni non possono essere raggiunti per colpa della scarsità di tempo libero a

disposizione. La decrescita restituirebbe all’uomo il tempo che l’economia gli ha sottratto,

permettendogli di realizzarsi in contesti che esulino dall’unico campo del lavoro.

5.4.7 – Ridurre lo spreco di energia

Riporta Latouche (2007b, trad. it. 2008, p. 86) che, secondo l’associazione Negawatt, è

possibile ridurre l’energia consumata dagli Stati dell’Unione Europea di un fattore 4 entro il

2050. Ciò risulterebbe, a titolo di esempio, in una riduzione delle emissioni di anidride

carbonica in Francia di tre quarti rispetto a quelle prodotte nel 1990 (Syrota, 2008). Un

grandissimo passo in avanti si otterrebbe anche, ad opinione di chi scrive, se si riuscisse a far

passare negli Stati Uniti una regolamentazione che abolisca, o disincentivi fortemente, le

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156

tariffazioni flat dell’energia. 21 Questo tipo di imposte non incentivano affatto il risparmio

energetico, anzi, molto spesso favoriscono gli sprechi. Esse sono in parte all’origine

dell’enorme consumo energetico dei 305 milioni di statunitensi, i quali, incoraggiati anche

dalla convenienza del prezzo del petrolio, consumano ogni anno 12.156Kwh pro capite, un

numero 5 volte superiore alla media mondiale e doppio rispetto a quello europeo (CENSO,

2007). Sempre Negawatt suggerisce quattro strumenti da utilizzare al fine di ridurre il consumo

energetico e, quindi, gli sprechi (Syrota, 2008, p. 197):

fornire incentivi statali che diminuiscano le spese mirate alla riduzione del consumo

energetico privato ed industriale, come la costruzione di case con muri ad isolamento

termico, doppi vetri, pannelli solari ecc.;

specularmente, regolamentare e supervisionare lo stato di dispersione termica delle

abitazioni, impedendo la costruzione di nuove case che oltrepassino determinati limiti;

eliminare gli incentivi statali presenti su tecnologie obsolete per avvantaggiare quelle

più recenti, che sono di norma più efficienti e più rispettose dell’ambiente;

eliminare l’agevolazione IVA sull’acquisto di climatizzatori.

5.4.8 – Penalizzare fortemente le spese pubblicitarie

Latouche ritorna ancora una volta sul tema della pubblicità. Essa spinge in direzione opposta

rispetto a quella auspicata dalla decrescita, spingendo gli individui al consumo e finanche allo

spreco. Latouche propone di procedere su due fronti:

1. Il fronte delle imposte. Esse hanno il compito principale di ridurre la quantità

complessiva di pubblicità, sui media (internet, radio, televisione, giornali) come nei

luoghi pubblici;

2. Il fronte della regolamentazione. Latouche si rifà a Hulot (2006, p. 254), indicando

come sia necessaria una progressiva eliminazione della pubblicità nei programmi

21 Una tariffazione flat dell’energia prevede un canone fisso al mese a prescindere dall’effettivo consumo energetico.

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157

televisivi destinati ai bambini, specialmente quella relativa a prodotti a lungo andare

dannosi per la salute.22

5.4.9 – Riordinare l’innovazione tecnico-scientifica

Secondo Latouche, l’innovazione tecnico-scientifica non può seguitare ad avanzare a briglia

sciolta. Egli chiede di fare «un bilancio serio di questo settore e riorientare la ricerca scientifica

e tecnica sulla base delle nuove aspirazioni delle persone» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p.

87). A supporto della sua tesi, egli cita Castoriadis (2005), il quale aveva già proposto

l’adozione di misure simili in passato.

Entrambi gli economisti tengono a precisare che questo riorientamento non deve

corrispondere ad una dittatura delle menti. Al contrario è essenzialmente quello di ridare

all’economia e alla società la phrónesis che col tempo l’uomo ha perduto, impedendo

un’«espansione illimitata e sconsiderata» della civiltà (Castoriadis, 2005, p. 238). In termini

pratici, questo significherà l’abbandono della ricerca sugli OGM e sui pesticidi artificiali e

concentrarsi meglio invece sull’agrobiologia; allo stesso modo, i grandi progetti infrastrutturali

come inceneritori, autostrade e TAV dovranno possedere una solida motivazione che ne

giustifichi la costruzione.

5.4.10 – Misure ulteriori

Latouche mostra come questo elenco sia soltanto una proposta, e come esso non si esaurisca

necessariamente nei nove punti da lui individuati. Al contrario, egli stesso indica come si

possano individuare ulteriori misure strumentali al raggiungimento degli otto obiettivi che la

decrescita si prefigge di raggiungere. La leva fiscale e la leva della regolamentazione possono

quindi essere utilizzate anche in altri campi, complementari a quelli già esposti. Latouche, a

titolo di esempio, riporta altre misure proposte da Attac (2006, pp. 186-187, cit. in Latouche,

22

Un esempio per tutti è la pubblicità di dolciumi o di altre sostanze ad alto contenuto calorico.

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158

2007, trad. it. 2008, p. 88),23 in cui si prevede un forte utilizzo di imposte per indirizzare

l’orientamento finanziario ed ecologico della collettività. Alcune delle misure prevedono:

l’introduzione di una tassa sulle transazioni di cambio e di Borsa;

una tassa sul patrimonio a livello mondiale, supportata dallo smantellamento dei

paradisi fiscali e la soppressione del segreto bancario;

una tassa addizionale fissa sui profitti delle imprese multinazionali, per ridurre il

fenomeno del dumping fiscale;24

una tassa sulle emissioni di anidride carbonica;

una tassa sulle emissioni nucleari a lunga durata e ad alto tenore.

5.5 – Un confronto con la politica economica tradizionale

È giunto il momento di confrontare la politica economica della decrescita, così come la

propone Latouche, con la politica economica tradizionale, per sottolineare sia i punti di

divergenza tra gli obiettivi sia il diverso utilizzo degli strumenti su cui i due sistemi fanno

affidamento.

Per quanto riguarda gli obiettivi, è immediato notare come le priorità dei due sistemi siano

radicalmente diverse. L’economia tradizionale si prefigge innanzitutto di perseguire il duplice

ideale di crescita e di stabilità dello sviluppo economico (vedi Sezione 2.3). Al contrario, la

decrescita si muove in direzione diametralmente opposta: essa rifiuta in toto l’inquadramento

all’interno degli schemi della crescita ed evita inoltre di perseguire l’ideale di sviluppo

economico. Non è certo questo un segno di miopia del teorico della décroissance,

semplicemente egli ritiene che siano altre le finalità che ci si deve prefiggere di raggiungere,

23

Attac è l’acronimo di Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e per l’Azione Cittadina. Essa «promuove ed organizza delle azioni di qualsiasi genere al fine di ridare ai cittadini il potere che la sfera finanziaria esercita su ogni aspetto della vita politica, economica, sociale e culturale nel mondo intero» (Attac, 2010). 24 Il dumping è un’azione di vendita di un bene o di un servizio a prezzi più bassi del normale. Il termine è spesso usato nel commercio internazionale quando un’impresa vende beni o servizi sui mercati esteri a prezzi nettamente inferiori a quelli praticati sul mercato interno: in tal caso si parla di “prezzi predatori” (Camera di Commercio, 2008).

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159

prima fra tutte quella della rivalutazione dell’insieme dei valori della società e la

riconcettualizzazione dei modelli di utilizzo dei beni pubblici. Questi obiettivi, sicuramente non

strettamente economici, non sono inquadrabili in nessuno schema della politica economica

tradizionale: si può affermare che essi costituiscano piuttosto i presupposti della società basata

sulla decrescita.

I traguardi che la teoria normativa della decrescita si propone di raggiungere non sono

pertanto così facilmente sovrapponibili a quelli della crescita, nel senso che il piano di analisi e

confronto è diverso. Certo, un confronto può essere più facilmente ottenuto, paragonando gli

strumenti, in particolare quello fiscale e regolamentare. Tuttavia un confronto sugli strumenti

va operato in modo cauto proprio perché siamo di fronte a finalità divergenti e spesso

difficilmente sovrapponibili.

Su un altro piano di confronto, si nota come la politica economica ideata da Latouche

coinvolga in modo decisamente maggiore le scelte dei singoli, i quali, dalla costruzione della

casa alla scelta dei mezzi di trasporto alla responsabilizzazione energetica, sono chiamati in

prima persona a partecipare attivamente alla realizzazione di una società altra. Una singolare

attenzione è posta all’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze in ogni ambito,

coinvolgendo alla base le decisioni economiche e comportamentali della società in un contesto

a misura d’ambiente.

Esaminando più specificamente gli strumenti utilizzati dalla politica economica della

decrescita, si noterà come essi siano evasivi in merito alla politica monetaria: semplicemente,

questo strumento non è utile ai fini di instaurare e promuovere una società di decrescita.

Diverso è invece il discorso rivolto agli altri tre strumenti della politica economica tradizionale,

e cioè la politica fiscale, industriale e commerciale.

Per quanto attiene la politica fiscale ed industriale, si osservi l’estensivo utilizzo di incentivi

statali, sussidi ed imposte, dirette ed indirette, atte a promuovere un diverso orientamento

nelle scelte economiche e comportamentali degli individui. Esse sono necessarie per premiare

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160

debitamente i comportamenti virtuosi e scoraggiare quelli contrari alla sostenibilità

ambientale.

Va sottolineato che la decrescita vuole mantenere la fondamentale istituzione del libero

mercato. Infatti Latouche si pone il problema di avere un sistema economico in grado di

coordinare efficacemente entrate ed uscite pubbliche, senza creare eccessivi disavanzi di

bilancio che possano compromettere un corretto equilibrio tra Stato e mercato. Si tratta, però,

di realizzare un’economia di mercato diversa, in cui si avrà un ridimensionamento degli spazi

pubblicitari, una riconversione delle imprese e la riduzione degli orari di lavoro, unita ad una

nuova politica in ambito occupazionale. In questo senso l’economia della decrescita prevede

un ampio utilizzo dello strumento della regolamentazione.

La politica commerciale di Latouche, così come si definirebbe utilizzando gli schemi concettuali

tradizionali, si esplica (vedi Sezione 5.4.3) in un forte protezionismo, che prevede innanzitutto

pesanti dazi sui prodotti provenienti dall’estero. Questo imporrebbe rispetto alla situazione

attuale una serie di problemi derivanti, ad esempio, dal ripristino delle dogane all’interno degli

stessi Stati dell’Unione Europea. Anche in questo caso, il confronto in termini di strumenti non

può essere disgiunto dall’esplicitazione degli obiettivi. Essi nei due paradigmi non coincidono

tra loro. Per esempio, il protezionismo in un’ottica di decrescita non è votato all’agevolazione

della produzione interna di uno Stato, ma piuttosto all’incentivazione della localizzazione delle

attività, dal cui successo dipende la realizzazione di una struttura economica più parsimoniosa

e votata al benessere sociale piuttosto che alla crescita economica.

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161

Capitolo 6

Conclusioni

6.1 – Introduzione

Questa tesi si è occupata di Serge Latouche e del tema principale dei suoi studi: la decrescita

economica. Nei vari capitoli che la compongono abbiamo cercato di illustrare il percorso

storico ed intellettuale dell’autore, dai primi anni della sua formazione fino ai giorni nostri. La

critica di Latouche alla società occidentale sottolinea come l’attuale modello economico,

improntato alla ricerca spasmodica della crescita economica, non sia sostenibile nel lungo

periodo (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 22). In alternativa ad esso, l’economista francese

propone un diverso paradigma socio-economico basato sui valori della a-crescita, cioè su valori

che non tengono in considerazione l’aumento del Pil fine a se stesso.

L’adozione di questo tema come oggetto della tesi non è casuale. A differenza delle

generazioni precedenti, quelle nuove non possono smettere di pensare ad un futuro

veramente sostenibile, in grado cioè di preservare l’ecosistema e la convivenza civile non

strettamente mercificata. Nelle attuali condizioni, i segnali d’allarme lanciati da un pianeta

sfruttato oltre misura sono numerosi, come hanno confermato negli anni vari studi.1 D’altra

parte, gli sforzi compiuti a livello mondiale per arginare i danni causati dallo sviluppo sono a

tutt’oggi ben lontani dall’essere sufficienti. Da qui l’interesse verso un sistema alternativo che

1 Cfr. Meadows et al, (1975), (1992) e (2004), Leape (2008) e Pollard (2010).

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162

si prefigga di risolvere in modo esplicito il tema della scarsità delle risorse naturali e il tema

della ricchezza delle relazioni umane, attraverso un radicale riassetto delle finalità e

dell’organizzazione economica.

Proprio per cercare questo paradigma alternativo, in un primo momento si era scelto di

iniziare la presente ricerca incentrandola sul tema della decrescita. Si volevano analizzare le

sue fondamenta teoriche, le critiche da essa mosse all’economia tradizionale e gli apporti

forniti nel tempo dai diversi teorici che a questo paradigma alternativo hanno contribuito. Ci si

è però immediatamente resi conto che la vastità e la complessità dell’argomento richiedevano

una trattazione troppo estesa per essere affrontata in modo esauriente in una tesi triennale,

con il rischio di creare un elaborato dispersivo.

Si è quindi optato per un restringimento del campo d’azione dell’indagine, senza però ledere

l’intenzione originaria. A tal proposito, si è incentrato questo lavoro sullo studio di Serge

Latouche e sul modo in cui questo autore ha affrontato il tema della decrescita. Abbiamo

potuto individuare con chiarezza le motivazioni che hanno spinto l’economista francese a

schierarsi contro il paradigma economico dominante e a favore di un paradigma alternativo:

quello appunto basato sulla decrescita economica. Questo restringimento dell’argomento di

tesi, oltre ad evitare la dispersione, ha permesso di raggiungere due risultati in qualche modo

originali:

1. La stesura di una prima biografia di Latouche, pur nelle sue limitazioni e nella sua forte

incompletezza.

2. Una chiave di lettura dell’evoluzione del suo pensiero, che è stato diviso in tre fasi: una

prima fase di cieca fede nel marxismo, una seconda fase incentrata sull’importanza dei

problemi e degli stili di vita del Terzo mondo, una terza fase che si concentra sulla vera

e propria teorizzazione del sistema di decrescita.

Fintantoché perdurerà il sistema economico attuale, la decrescita ed il movimento che nel

tempo si è costituito attorno ad essa non cesseranno di attrarre attenzione – non fosse altro

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163

che per curiosità. Il tema proposto è infatti oggetto di discussione in molteplici convegni, sparsi

nei quattro angoli del mondo. L’ultimo in ordine di tempo, che ha visto la partecipazione dello

stesso Latouche, è stato organizzato a Parma il 7 e l’8 ottobre 2010, nell’ambito degli eventi

Kuminda.2 In questa sede si è evidenziato come l’attuale crisi economica non sia in realtà che

la punta di un iceberg di un malessere più profondo (Latouche, 2010b). Di fronte a questi

scenari preoccupanti, il movimento della decrescita sembra formulare una proposta in grado di

sganciare la società dalla «tossicodipendenza da crescita» (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p.

26) e ridare ad essa la tranquillità che, allo stato attuale, sembra aver perso.

La teoria della decrescita è composta allo stesso tempo sia di una componente profondamente

critica, sia di una componente propositiva. Queste due anime del nuovo paradigma della

decrescita sono fortemente interrelate: per costruire una società alternativa, basata su valori e

su priorità differenti da quelle promosse dall’economia attuale, bisogna necessariamente

passare prima per un deciso rifiuto del vigente sistema economico.

In questo capitolo conclusivo tireremo le somme sui punti fondamentali della nostra analisi.

Nella Sezione 6.2 si riassumeranno le tappe principali del percorso intellettuale di Latouche,

mostrando come egli sia passato da una profonda fede nel socialismo marxista

all’elaborazione della teoria della decrescita. Nella Sezione 6.3 si esporranno i risultati ottenuti

dallo studio delle opere di Latouche. Nella sezione 6.4, infine, ci si rivolgerà al futuro,

presentando due scenari:

1. Uno scenario che preveda una rapida adozione del sistema della decrescita.

2. Uno scenario (allo stato attuale più realistico) che ignori i ripetuti allarmi ambientali

ed economici e continui a perseguire gli ideali di sviluppo economico così come è stato

fatto finora.

2 Kuminda è un evento a cadenza annuale promosso dall’associazione Cibopertutti, la quale si occupa di «contribuire attivamente alla creazione di un mercato mondiale del cibo equo e accessibile a tutti, che rispetti la sovranità alimentare dei popoli e garantisca mezzi di vita sostenibili a tutte le comunità del Sud e del Nord del mondo e sostenere un'agricoltura locale e globale basata sull'uso sostenibile e democratico delle risorse naturali» (Kuminda, 2010a).

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164

6.2 – Latouche: una vita verso la decrescita

Avendo al centro il nostro autore, la tesi è stata concepita con alla base due capitoli

fondamentali: il Capitolo 3 ed il Capitolo 4. Il Capitolo 3 tenta di ricostruire la biografia

intellettuale di Latouche. A questo fine, si sono raccolte tutte le informazioni disponibili sulla

vita dell’economista, pur nella loro incompletezza, e si è cercato di esporle ordinatamente

secondo una scansione cronologica. Questo ha fornito le basi per una migliore comprensione

dell’evoluzione del suo pensiero. Di quest’ultimo e delle opere di Latouche che lo contengono

si è occupato in modo specifico il Capitolo 4.

In entrambi i capitoli si è operata una suddivisione delle fasi della sua vita (e delle sue opere) in

tre momenti fra loro relativamente coerenti:

1. Latouche giovane (vedi Sezioni 3.2 e 4.2). Questo periodo è caratterizzato in primo

luogo da una ferma condanna alla società capitalista, in secondo luogo da un

attaccamento ai principi economici del marxismo, ritenuti fondamentali per perseguire

un ideale di sviluppo equilibrato e non intrusivo nei confronti delle società presenti nel

Terzo mondo.

2. Latouche adulto (vedi Sezioni 3.3 e 4.3). L’economista francese avverte che l’Occidente

è responsabile della povertà in cui si trova il Terzo Mondo. Egli conferma ed estende le

sue forti critiche al sistema economico e culturale dell’Occidente, ma sviluppa una

critica altrettanto convinta verso l’approccio marxista che inizialmente lo aveva

affascinato. In questa fase egli non sembra essere in grado, però, di trovare una valida

alternativa al modello oggi dominante.

3. Latouche maturo (vedi Sezioni 3.4 e 4.4). Risale a questo ultimo periodo l’elaborazione

della cosiddetta “società di decrescita”, la quale si propone di affrontare

contemporaneamente:

a. I problemi del Terzo mondo, grazie all’incentivo della localizzazione e

dell’autoproduzione.

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165

b. I problemi del mondo Occidentale, una volta liberato dalla schiavitù della

crescita.

c. I problemi ecologici, grazie ad un rinnovato inserimento dell’agire umano

all’interno di un contesto compatibile con l’ambiente.

A questi due capitoli centrali ne abbiamo aggiunti due in grado di completare la cornice

riguardo al tema della decrescita. Il Capitolo 2 ha avuto il compito di mostrare le radici teoriche

che sottendono al paradigma della decrescita. Il Capitolo 5 ha affrontato invece il difficile tema

della sua realizzazione pratica, cioè degli obiettivi e degli strumenti che il movimento della

decrescita propone per attuare il suo disegno alternativo. Si è messo a confronto la politica

economica della decrescita con quella ufficiale, facendone risaltare i punti di convergenza e,

soprattutto, i numerosi punti di contrasto.

Come si è già chiarito all’inizio della tesi (vedi Sezione 1.3), il metodo di ricerca è stato

prevalentemente di tipo storiografico. Si discosta da questo metodo in parte il Capitolo 5, il

quale, affrontando in termini normativi l’economia della decrescita in opposizione a quella

della crescita, ha dato più spazio a considerazioni logico-teoriche, piuttosto che a

considerazioni bio-bibliografiche.

Le difficoltà nella realizzazione di questo progetto non sono mancate. Il maggiore ostacolo

incontrato durante la ricerca è stato sicuramente il reperimento delle fonti. Esse nella maggior

parte dei casi si dimostravano o ripetitive oppure incomplete. In certi casi esse risultavano

addirittura di impossibile reperibilità. Le difficoltà oggettive di reperimento del materiale

(come per esempio l’assenza di una biografia completa di Latouche) hanno coinvolto in

particolare la stesura dei Capitoli 3 e 4, i quali in certi casi non sono così dettagliati come

avremmo voluto. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda la vita e gli scritti del giovane

Latouche. Dei suoi iniziali scritti, per esempio (vedi la sua tesi di dottorato), possediamo solo

dei commenti sparsi ricavati da interviste fatte allo stesso Latouche (2005b e 2006b).

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166

Questo nostro lavoro, quindi, non esaurisce completamente il compito che ci eravamo

prefissati. Ulteriori approfondimenti e ricerche gioverebbero ad una completa comprensione

di questo autore e del tema di cui egli è portatore. Sebbene si sia avuta la possibilità di un

contatto diretto con questo stesso autore, ottenendovi una schematica autobiografia

(Latouche, 2010a), molti rimangono ancora gli interrogativi sulla sua formazione. Le numerose

interviste a lui rivolte riguardano essenzialmente il tema della decrescita e della sua fattibilità,

e non il tema della formazione intellettuale e dell’evoluzione nel tempo del pensiero del suo

maggior teorizzatore (si veda ad es. Latouche, 2009a, 2009b).

Come si è più volte sottolineato, l’autore trattato e il tema affrontato non sono circoscrivibili in

un ambito strettamente economico e coinvolgono invece diverse discipline. Ne risulta che la

terminologia adottata dall’autore, e di conseguenza presente all’interno di questa stessa tesi,

segue un suo gergo particolare, che risulta in parte indecifrabile rispetto al linguaggio

economico tradizionale. Di conseguenza abbiamo costruito un Glossario essenziale, riportato

dopo questo capitolo, in cui compaiono i termini più peculiari riguardo il tema trattato.

6.3 – I risultati ottenuti

Riassumiamo di seguito schematicamente i principali risultati che questa tesi ha raccolto, in

primo luogo sulla vita e le opere di Latouche, in secondo luogo sul tema della decrescita.

Iniziamo prima con alcune considerazioni riassuntive su quanto emerso dall’analisi del

pensiero di Latouche:

1. Latouche non è un economista in senso stretto. Non utilizza gli strumenti propri

dell’economia, né tantomeno condivide gli obiettivi che un economista tradizionale

tipicamente cerca di perseguire.

2. Latouche per molti versi è assimilabile, come orientamento, agli economisti del secolo

XVIII. Gli studiosi dell’economia dell’epoca (tra i quali Adam Smith) si occupavano

dell’organizzazione sociale e statuale, oltre che di quella economica. Non era inusuale

che essi affrontassero temi attinenti alla sfera della psicologia, della filosofia, della

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167

morale, non meno di quella più propriamente economica dell’utilità e del valore dei

beni e della loro produzione. Similmente Latouche in numerosi suoi libri (cfr. ad es.

Latouche, 2000a, 2003, 2005a) spazia nell’affrontare argomenti che sembrano dominio

più delle scienze sociali che, in senso stretto, della sola economia.

3. La sua formazione e i suoi studi, d’altra parte, giustificano questa sua atipicità come

economista. Egli ricevette una formazione in scienze politiche. Le sue esperienze di

lavoro non hanno coinciso con l’attività strettamente accademica (basti pensare agli

incarichi svolti in Africa ed in Laos per conto delle autorità governative locali). Le realtà

con le quali egli si è confrontato, infine, non sono state strettamente occidentali e

spesso offrivano una base culturale di natura quasi opposta a quella del suo paese

d’origine.

4. Abbiamo già evidenziato come si possano individuare tre periodi che scandiscono la

vita intellettuale di Latouche: il periodo del giovane Latouche, del Latouche adulto e di

quello maturo. Esistono, tra di essi, degli elementi di continuità, ma anche delle

sostanziali differenze.

5. Gli elementi di continuità nei tre Latouche si possono riassumere in cinque punti

principali:

a. La critica al sistema occidentale di produzione e di scambio.

b. La visione delle relazioni internazionali in chiave Nord-Sud.

c. L’antagonismo e lo sfruttamento del Nord a danno del Sud: una visione cioè

imperialistica del primo sul secondo.

d. L’importanza e l’attenzione riguardo ai temi della disuguaglianza sociale, non

solo fra stati, ma anche fra individui e fra classi di individui all’interno di ogni

Stato.

e. La valorizzazione degli aspetti non commerciali della società e l’importanza

delle relazioni umane non mediate dal mercato.

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168

6. Gli elementi di discontinuità fra i tre Latouche, invece, possono essere così

schematizzati:

a. La fede nella teoria marxista-leninista, caratteristica del Latouche giovane, si

sfuma progressivamente nel Latouche adulto e nel Latouche maturo. Va

notato tuttavia (si vedano i punti di continuità) che diverse categorie di

pensiero proprie del marxismo rimangono nelle sue elaborazioni, come ad

esempio l’attenzione verso la disuguaglianza.

b. Il Latouche giovane accettava gli obiettivi del capitalismo occidentale (cioè la

massimizzazione della produzione), ma negava che il modo più efficace per

ottenere questi obiettivi fosse il sistema di mercato. Da qui appunto la sua

fede nel marxismo, come modo alternativo di organizzazione sociale (si veda il

punto precedente). Nel Latouche adulto e in particolare in quello maturo si

nega tuttavia la centralità degli stessi obiettivi, oltre che l’inefficacia dei mezzi

di organizzazione sociale per ottenerli. Si nega cioè che la società debba

concentrarsi sul paradigma della crescita economica.

c. Lo sfruttamento del Sud da parte del Nord viene visto in chiave

prevalentemente economica nel Latouche giovane. Nel Latouche adulto e

maturo, tuttavia, la chiave si amplia e coinvolge soprattutto gli stili di vita e i

modelli culturali delle popolazioni. Lo sfruttamento dell’Occidente diventa

deleterio proprio perché mina alla radice questi ambiti socio-culturali delle

popolazioni non occidentali. La colpa che il Latouche maturo rivolge

all’Occidente e al suo stile di crescita è quello di ridurre e in parte distruggere i

modelli di vita sviluppatisi altrove.

d. Il tema ambientale ed ecologico è quasi del tutto assente nel Latouche

giovane, mentre inizia solo ad emergere come uno dei temi fra i tanti nel

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169

Latouche adulto. Infine, tale tema diventa centrale nella proposta formulata

dal Latouche maturo.

e. Nei primi due Latouche (giovane ed adulto) prevale una elaborazione critica

della società e dell’economia. Si mostrano i mali del sistema senza proporre

però esplicite soluzioni alternative. Nell’ultimo Latouche (maturo), invece, la

proposta è esplicita e prevale sulla elaborazione puramente critica al modello

economico dominante.

Più in generale sul tema della decrescita, e sulle proposte che da questo tema provengono,

possiamo elencare i seguenti risultati della nostra ricerca:

1. Il movimento della decrescita (che abbiamo chiamato, per la sua organicità, anche

paradigma) è certamente alternativo rispetto al modello dominante, ma soffre delle

limitazioni proprie di ogni movimento (e paradigma) nascente: esistono diversi studiosi

che se ne occupano, ed ognuno di essi offre una propria chiave interpretativa. Quella

di Latouche è probabilmente la prevalente, ma non è l’unica. Abbonda quindi la

varietà, mentre manca l’essenzialità di un modello interpretativo che si contrapponga

a quello dominante.

2. Ancor oggi la teoria della decrescita si può definire un work in progress, tutt’altro che

completo. Molti dei temi da essa toccati sono confinanti con aspetti dell’economia già

ben sviluppati (come l’economia dell’ambiente, l’economia del benessere, l’economia

Nord-Sud). Tuttavia il modo con cui tale paradigma riassembla e riformula questi

campi è manca di sistematicità. Ci sono tanti aspetti in cui le domande sono ben più

abbondanti delle risposte: ad esempio, riguardo il ruolo che lo Stato e il mercato

dovrebbero assumere nell’economia della decrescita.

3. L’alternativa del paradigma della decrescita non coinvolge solo gli aspetti economici,

ma più in generale quelli socio-politici. Questo significa che la teoria della decrescita

non è esclusiva della professione degli economisti (per quanto eterodossi), ma richiede

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170

il contributo di sociologi, psicologi, architetti, ingegneri, urbanisti, ecc. Sotto questo

aspetto, essa si presenta più come un progetto di organizzazione sociale, che come

una semplice teoria economica che descrive “una realtà” produttiva.

4. La teoria della decrescita affronta il tema della felicità, negando l’importanza

quantitativa dei beni materiali, e negando persino l’importanza qualitativa di tali beni.

Per essa, invece, esiste uno stretto legame tra i “beni relazionali” e lo stato di

benessere di una comunità. Ciò significa che il mercato e lo Stato (in quanto operatore

economico) avranno meno importanza in questo paradigma rispetto a quanto lo

avranno le relazioni della società civile.

5. La politica economica della teoria della decrescita è molto ricca per quanto riguarda gli

obiettivi che intende perseguire, ma è povera (almeno allo stato attuale) per quanto

riguarda gli strumenti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi. In questo senso, essa

presta il fianco alla critica (che molti le rivolgono) di teoria utopica, cioè non

praticamente realizzabile (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 95).

6. In ogni caso, se questa “utopia” un giorno si realizzerà, o comunque se l’economia si

muoverà verso il paradigma della decrescita, la scienza economica perderà

probabilmente lo scettro di scienza principale tra le scienze sociali. Infatti nella società

della decrescita il mercato e gli scambi commerciali non saranno più così centrali nelle

relazioni umane come lo sono ora. Gli uomini non massimizzeranno la produzione e il

guadagno, ma massimizzeranno il tempo libero dedicato alle relazioni sociali e alla loro

creatività personale.

6.4 – La teoria della decrescita tra apocalisse e “terra promessa”

Secondo Latouche l’ideale di una crescita economica illimitata nel tempo è un’illusione. Come

evidenziato già nella Sezione 2.3, parlando del movimento della decrescita, esiste una serie di

limiti politici, finanziari e fisici (l’entropia) che ne impediscono la realizzazione. Si è sottolineato

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171

come i limiti del mondo fisico con le sue risorse limitate renda la crescita economica

insostenibile nel lungo periodo (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 12).

Lo sviluppo delle società umane sembrerebbe così sostenibile unicamente in corrispondenza di

una crescita zero dell’economia, ovvero in una società che persegua un

«miglioramento qualitativo di una base economica fisica mantenuta in uno Stato

stabile definito dai limiti fisici dell’ecosistema» (Daly, 2001, cit. in Latouche, 2006b,

trad. it. 2010, p. 22).

La fattibilità di questo scenario, però, viene respinta da Latouche (Latouche, 2006b, trad. it.

2010, p. 28), il quale sottolinea la fondamentale differenza tra crescita zero e decrescita. In

un’economia di crescita zero ci si limiterebbe «ad un immobilismo conservatore, (…) senza

rimettere in discussione i valori e le logiche dello sviluppismo e dell’economicismo» (Latouche,

2006b, trad. it. 2010, p. 22). È necessario quindi un netto distacco da entrambi gli ideali di

sviluppo e di crescita. Il motivo sta nel fatto che questi concetti sono intrinsecamente

interconnessi, al punto da impedire una loro separazione.

Al momento attuale, però, nonostante i ripetuti segnali d’allarme lanciati dal pianeta, si

continua ad ignorare l’insostenibilità sia dello sviluppo, sia, in modo più eclatante, della stessa

crescita economica. Anzi, negli incontri periodici dei potenti della terra (si veda per esempio

anche il recente incontro del G20 a Seoul – Novembre 2010), uno dei punti all’ordine del

giorno risulta essere proprio quello di garantire al pianeta una «crescita forte, sostenibile ed

equilibrata» (Placido, 2010). Si potrebbe controbattere, alla luce delle considerazioni fatte, che

una crescita «forte» non potrà mai per definizione essere sostenibile né tantomeno

equilibrata. Se si dovesse ritenere il paradigma della decrescita, secondo Latouche, un

progetto fattibile, si dovrebbe ammettere che l’umanità è arrivata davanti ad un bivio, con due

possibili opzioni:3

1. Rallentare ed invertire la rotta spontaneamente, adottando quanto prima il sistema

economico della decrescita.

3 Cfr. Meadows et al, (1993) e (2004).

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172

2. Ignorare l’urgenza della decisione e rimandarla ad un momento futuro.

La decrescita infatti rappresenta un’alternativa radicale rispetto al modello economico

presente, o meglio, per Latouche essa rappresenta la alternativa. Ognuno è personalmente

invitato a scegliere, sostiene Latouche, se effettuare responsabilmente «un cambio volontario

di direzione nell’interesse di tutti» (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 36) o se trasferire il

problema, come si è sempre fatto fino ad oggi, sulle spalle delle generazioni future.

L’inefficacia degli sforzi compiuti e le scelte di politica economica intrapresa sinora mostrano

come l’umanità e i suoi rappresentanti abbiano preferito cavalcare la seconda opzione, senza

mai mettere in discussione la gravità delle conseguenze a cui essa porta. Latouche e Meadows

sono concordi riguardo le scelte da fare: prima si effettua il cambiamento (cioè la scelta

dell’opzione 1), e più graduale potrà essere l’assestamento economico richiesto.4

È da notare come secondo Latouche l’abbandono dell’ideale di crescita economica sia in

definitiva inevitabile. Non si tratta quindi di decidere se rinunciare o meno al suo

perseguimento, ma solo di decidere quando farlo. Continuando al ritmo attuale, arriverà

presto il momento in cui le risorse naturali semplicemente non saranno più disponibili:

Latouche, abbastanza pessimisticamente, avverte che questo momento potrebbe arrivare

addirittura fra meno di trent’anni (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 22). Si tratta di una

visione apertamente apocalittica, in assenza dell’opzione 1.

L’economia non ha quindi scelta, secondo l’interpretazione data dalla decrescita. Essa dovrà

prima o poi inevitabilmente arrestarsi, e nonostante le rassicurazioni date da governanti ed

imprenditori, il modello di sviluppo che oggi perseguiamo non è mai stato, né mai potrà

esserlo, veramente sostenibile. Se non si interviene presto, un cambiamento di rotta

ragionato, graduale e sereno (Latouche, 2007b, trad. it. 2008, p. 33) non sarà più possibile:

l’unica alternativa sarà un brusco riassetto del sistema, la cui portata e le cui conseguenze non

sono al momento prevedibili, né auspicabili. Come mostrano le simulazioni dei modelli di

4 Cfr. Meadows et al, (1993) e (2004).

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173

Meadows et al (1993), gli sforzi a favore di un’economia di crescita provocano permanenti ed

irreversibili conseguenze nelle quantità di risorse disponibili in futuro e nella qualità di vita

delle generazioni a venire.

Fortunatamente, l’apocalisse della «scomparsa programmata della crescita non è

necessariamente una cattiva notizia», afferma Latouche (2006b, trad. it. 2010, p. 36)

richiamando le idee già formulate da Ivan Illich. Si potrebbe infatti sostenere che decrescere

non significa ridurre, ma al contrario, abbandonare un modello, a favore di un’alternativa per

nulla peggiore.

L’abbondanza della frugalità è non a caso, stando alle dichiarazioni dello stesso Latouche

(2010b), il titolo del nuovo libro del teorico della decrescita, di prossima pubblicazione. Tale

titolo, anch’esso ispirato alle parole di Illich (cfr. Illich, 1973), è un chiaro ossimoro. Per

Latouche, tuttavia, non lo è affatto: produrre più felicità non significa produrre più beni e

servizi tradizionali. Significa produrne di meno. Si lascia così più tempo a quelle attività

relazionali e di rispetto ambientale che sembrano donarci una dimensione più umana e

dunque più felice. Il tema della decrescita, paradossalmente, non è dunque un tema

apocalittico, ma diventa una proposta di una “nuova terra promessa”. Quanto fattibile, il

futuro ne sarà testimone.

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Glossario

A-CRESCITA: letteralmente “assenza di crescita”, indica un sistema economico slegato dal

perseguimento dell’ideale di crescita e di sviluppo economico. Essa si prefigge il

raggiungimento di un futuro sostenibile attraverso la sostituzione di beni materiali

tramite la sostituzione degli stessi con beni relazionali (Latouche, 2007b, trad. it. 2008,

p. 18). Sinonimo di decrescita.

ACCULTURAZIONE: scambio equilibrato, biunivoco ed integrato fra due culture che porta ad

arricchimento vicendevole. Contrario di deculturazione (Latouche, 1989, trad. it. 1992, p.

68).

BENE RELAZIONALE: servizi mercantili, ma soprattutto non mercantili, a forte contenuto

interpersonale (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 203).

BENESSERE: stato armonico di salute, di forze fisiche e morali (Devoto & Oli, 1990).

BIOCAPACITÀ: capacità di un determinato territorio biologicamente produttivo di generare un

approvvigionamento continuo di risorse rinnovabili e assorbire i rifiuti in eccesso

(GreenFacts, 2009).

CRESCITA ECONOMICA: aumento della capacità produttiva di un sistema economico che si

traduce in un aumento del reddito nazionale, cioè del Pil (Bannock et al, 1974, p. 125).

CRESCITA PER LA CRESCITA: sistema economico orientato, sia oggettivamente, sia

deliberatamente, verso la massimizzazione della crescita economica (Fotopoulos, 2002,

p. 31).

DECRESCITA: vedi a-crescita.

DECULTURAZIONE: contatto a flusso unico fra due civiltà attraverso un processo di sostituzione

della cultura debole per quella dominante. Contrario di acculturazione (Latouche, 1989,

trad. it. 1992, p. 68).

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176

DUMPING: azione di vendita di un bene o di un servizio a prezzi più bassi del normale. Il termine

è spesso usato nel commercio internazionale quando un’impresa vende beni o servizi sui

mercati esteri a prezzi nettamente inferiori a quelli praticati sul mercato interno: in tal

caso si parla di “prezzi predatori”. Derivato dall’inglese “to dump”, ossia “vendere sotto

costo” (Camera di Commercio, 2008).

ECONOMICISMO: termine usato per indicare la riduzione di tutti i fatti sociali a dimensioni

economiche. È usato anche per criticare l’ideologia economica che prevede l’offerta e la

domanda come unici fattori importanti nelle decisioni, permettendo di ignorare anche

altri fattori (Wikipedia, 2010).

ENTROPIA: processo irreversibile di consumo dell’energia e della materia.

GLOBALIZZAZIONE: termine di origine anglosassone per indicare l’attuale forma di

mondializzazione che concerne, nella sua globalità, tutto il pianeta e tutti gli aspetti della

vita (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 175).

IMPRONTA ECOLOGICA: area totale di ecosistemi terrestri ed acquatici richiesta sia per produrre

le risorse che una determinata popolazione umana consuma, sia per assimilare i rifiuti

che la stessa popolazione produce (Leape, 2008, p. 4).

MIMESI: dal greco μίμησις, ossia imitazione, si identifica con questo termine il processo che

consiste nel copiare i comportamenti, i procedimenti, i modi di fare di società straniere,

generalmente dominanti. L’imitazione può concernere tanto la tecnica quanto le forme

politiche e i modelli di consumo. Il mimetismo è uno dei fattori principali

dell’uniformazione planetaria (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 176).

MONDIALIZZAZIONE: può essere economica, tecnica, culturale. Corrisponde alla trasformazione

dei problemi e dei fenomeni locali, regionali o nazionali in problemi e fenomeni mondiali

(Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 176).

NAZIONALITARISMO: neologismo creato da sociologo A. Abdel-Malek per indicare la forma

artificiosa di Stato importata nel Terzo mondo, che di solito precede l’esistenza di quella

vera e propria nazione che tenta di costruire (Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 176).

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NEOCOLONIALISMO: insieme dei rapporti politici ed economici volti a ristabilire il controllo e lo

sfruttamento da parte di una grande potenza su quei territori che in passato erano stati

sotto il suo dominio (Centri.univr.it, 2001).

OCCIDENTALIZZAZIONE: processo attraverso cui i popoli extraeuropei sono indotti ad assumere le

caratteristiche e ad uniformare i loro usi e costumi alla cultura occidentale,

assimilandone il modello come punto di riferimento (Latouche, 2000c, trad. it. 2002).

PALABRE: istituzione sociale tipica dell’Africa alla quale partecipa tutta o parte della comunità di

un villaggio. Peculiarità di questa istituzione è quella di regolare un contenzioso senza

che alcuna delle parti venga lesa (Latouche, 2008b, trad. it. 2009, p. 87).

PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL): valore dei beni e dei servizi finali prodotti nell’economia in un

dato periodo di tempo (Blanchard, 2009, p. 39).

PRODOTTO INTERNO NETTO (PIN): valore dei beni e dei servizi finali prodotti nell’economia in un

dato periodo di tempo al netto dell’ammortamento (OCSE, 2001).

PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL): valore del prodotto generato dai fattori produttivi di

proprietà dei cittadini di una nazione, quale che sia il sistema economico in cui sono stati

impiegati (Rossi & Tronconi, 2004).

PRODOTTO NAZIONALE NETTO (PNN): Pnl meno gli ammortamenti (Rossi & Tronconi, 2004).

PRODUTTIVISMO: aumento indefinito della potenza produttiva allo scopo di soddisfare il

benessere sociale attraverso la logica dello sviluppo delle forze produttive (Latouche,

2006b, trad. it. 2010, p. 206).

REDDITO NAZIONALE NETTO (RNN): valore aggregato dei bilanci dei redditi primari netti sommati

in tutti i settori (OCSE, 2001).

REDDITO NETTO NAZIONALE DISPONIBILE: reddito nazionale netto più trasferimenti correnti in

contanti o in natura verso soggetti residenti da parte di soggetti non residenti, meno

trasferimenti correnti in contanti o in natura verso soggetti non residenti da parte di

soggetti residenti (OCSE, 2001).

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SOCIETÀ DELLA CRESCITA: società dominata da un’economia della crescita e che da questa tende

a farsi assorbire, avente come obiettivo principale (…) se non l’unico, la crescita per la

crescita (Latouche, 2006b, trad. it. 2010, p. 25).

SOCIETÀ DELLA DECRESCITA: società «fondata sulla qualità piuttosto che sulla quantità, sulla

cooperazione piuttosto che sulla competizione, a un’umanità liberata dall’economismo e

avente come obiettivo la giustizia sociale» (Latouche, 2003, p. 18-19).

SOVRACRESCITA: l’aumento della produzione «oltre ogni “ragionevole” necessità», provocando

sovrapproduzione e sovraconsumo (Latouche, 2006b, trad. it. 2007, p. 206).

SOVRASVILUPPO: contrario di sottosviluppo, indica uno sviluppo eccessivo sia in rapporto ai

Paesi meno sviluppati, sia rispetto ai bisogni essenziali e ai limiti degli ecosistemi

(Latouche, 2000c, trad. it. 2002, p. 177).

SVILUPPO: incremento sostenuto della produzione economica di uno Stato, normalmente

raggiunto attraverso un aumento sia quantitativo che qualitativo del capitale fisico ed

umano, e mediante un miglioramento del livello tecnologico (Deardroff, 2010).

SVILUPPO SOSTENIBILE: forma di sviluppo che permette di soddisfare i bisogni attuali senza

compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro (Nazioni Unite,

1987).

UTILITARISMO: Dottrina economica e sociale affermatasi in Inghilterra durante il secolo XIX, il

cui maggiore esponente fu Jeremy Bentham, a cui si deve la definizione del concetto. I

fondamenti del pensiero utilitaristico sono:

Le scelte ed il comportamento razionale dei soggetti economici tendono

inevitabilmente a massimizzare il benessere e a minimizzare la pena;

Il benessere sociale è dato dalla somma delle utilità individuali, definite come la

differenza tra i piaceri e le pene (Dizionari Simone Online, 2010).

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2 NB : In caso di opere dello stesso autore pubblicate nel medesimo anno si è utilizzata una lettera dopo la data per discriminare le voci. Tale lettera tuttavia potrebbe non essere progressiva, perché lo stesso criterio compare anche nella Bibliografia. La progressività delle lettere esiste solo unendo Bibliografia e Sitografia.

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