l'età moderna

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1 a Lezione 01/03/2005 L’età moderna. Cosa segna l’inizio della modernità? Nella storia generale il Rinascimento dà vita all’età moderna; nel diritto questo è retrodatato ed indica la scoperta del diritto romano (XII sec.). Qui, però, non siamo in epoca moderna e quindi va ricercato in un altro un elemento + da discrimine. Alcuni storici considerano un fenomeno istituzionale: la nascita dello Stato moderno. Si ha una svolta in quanto nel Medioevo non vi erano poteri assoluti validi erga omnes, mentre con lo stato moderno un’autorità si innalza rispetto alle altre. È un potere tendenzialmente incompatibile con gli altri. Lo Stato cerca di combattere il feudalesimo, di ridimensionare la Chiesa stabilendo un rapporto diretto col suddito. Nel Medioevo, invece, abbiamo dei corpi intermedi, ovvero gruppi di potere che scompaiono nello Stato moderno. Questa però è solo una delle tesi, in quanto non si può dare una risposta univoca alla nascita della modernità che si verifica in momenti diversi. Ad esempio in Inghilterra si parla di Stato nell’XI sec, in Francia alla fine del 1200 con Filippo il Bello, in Spagna col matrimonio tra Fernando di Aragona e Isabella di Pastiglia, in Italia nel 1861 e così via. 1

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1 a Lezione 01/03/2005

L’età moderna.

Cosa segna l’inizio della modernità? Nella storia generale il Rinascimento dà vita

all’età moderna; nel diritto questo è retrodatato ed indica la scoperta del diritto

romano (XII sec.). Qui, però, non siamo in epoca moderna e quindi va ricercato in un

altro un elemento + da discrimine.

Alcuni storici considerano un fenomeno istituzionale: la nascita dello Stato moderno.

Si ha una svolta in quanto nel Medioevo non vi erano poteri assoluti validi erga

omnes, mentre con lo stato moderno un’autorità si innalza rispetto alle altre. È un

potere tendenzialmente incompatibile con gli altri. Lo Stato cerca di combattere il

feudalesimo, di ridimensionare la Chiesa stabilendo un rapporto diretto col suddito.

Nel Medioevo, invece, abbiamo dei corpi intermedi, ovvero gruppi di potere che

scompaiono nello Stato moderno. Questa però è solo una delle tesi, in quanto non si

può dare una risposta univoca alla nascita della modernità che si verifica in momenti

diversi. Ad esempio in Inghilterra si parla di Stato nell’XI sec, in Francia alla fine del

1200 con Filippo il Bello, in Spagna col matrimonio tra Fernando di Aragona e

Isabella di Pastiglia, in Italia nel 1861 e così via.

Un’altra tesi sostiene invece che lo Stato moderno sia uno sforzo fatto da numerosi

teorici (Machiavelli) che non hanno considerato che il diritto non è cambiato affatto;

se infatti nel Medioevo c’erano tentativi della Chiesa di punire le eresie, ciò continua

anche con lo Stato moderno.

Il punto di partenza secondo questi storici quindi sarebbe un altro ed è rappresentato

dall’assolutismo giuridico a partire dalle codificazioni. Occorre precisare che una

delle pagine fondamentali della storia è la codificazione in senso moderno-tecnico

che è dato dal codice napoleonico del 1804. Prima di questa data non si hanno

codificazioni in senso tecnico.

Questi storici (Grassi) ritenevano che vi fossero molti difetti nel diritto moderno

come pure dei vantaggi in quanto il diritto non era nelle mani del potere politico. C’è

stata infatti una fase (1100-1800), in cui il potere politico non era “attento” al diritto,

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ossia non ne disponeva in maniera materiale. Oggi il diritto si lega al potere politico.

Il vantaggio del diritto medievale è che questo è partorito dalla società; con le

codificazioni lo Stato decide di appropriarsi il monopolio della produzione legislativa

cosicchè le confraternite e i gruppi di potere non possono più fare le leggi. Si ha però

un’aggravante: il primo codice è civile. Come mai lo Stato si appropria prima del

diritto più legato alla società? In passato molto spesso il diritto pubblico si è occupato

dei rapporti giuridici attraverso fonti quali statuti anche se evitava di disciplinare

questioni di diritto privato disciplinate dal diritto romano o dalle consuetudini. La

modernità nel suo senso deteriore si ha quando lo Stato ha deciso di disciplinare tali

ambiti.

Cesarini Sforza scrisse “Il diritto pubblico dei privati”, in cui sottolineava la velleità

dello Stato che si intrometteva in questioni che non lo riguardavano.

Questo impianto alla “Grassi” induce a ritenere che tale concezione possa definirsi

“assolutismo”. Occorre però fare una precisazione: l’assolutismo comunemente è

associato al re Sole. Da un po’ di anni però gli storici sono diffidenti verso questa

associazione. Si dubita che vi sia mai stato un potere così assoluto, in quanto per

essere tale deve essere pervasivo di tutte le aree. L’assolutismo è nato con le

codificazioni: il sovrano travestitosi da potere democratico s è appropriato della

normazione giuridica ad appannaggio della società. Si potrebbe obiettare che, dal lato

medievale, il diritto non offriva garanzie; dal lato moderno si è avuto un passaggio

verso la certezza del diritto lasciando inalterato il regime precedente.

L’antico regime è un’espressione inventata dai giacobini, in quanto con la

Rivoluzione francese si è deciso di dare un taglio netto col passato. L’opera che ha

dato il nome al fenomeno è di Alexis de Tocqueville, liberale che voleva dimostrare

che tra antico e nuovo regime non vi era differenza: “L’antico regime e la

rivoluzione”. L’antico regime è un assetto di poteri del periodo che va dalla

formazione dello stato moderno alla Rivoluzione francese.

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Multitudo aut ratio.

Che rapporto vi è con le scansioni cronologiche? Vi è un rapporto tra due concetti:

multitudo aut ratio, due chiavi interpretative. Una società per esprimere le proprie

volontà le deve manifestare in forme rappresentative. Oggi una distinzione può essere

fatta tra rappresentanza diretta e indiretta che è una sorta di “tradimento” della

democrazia. Prima si distingueva tra una forma data dalla rappresentanza quantitativa

(multitudo) e una qualitativa (ratio); la prima si ha nel Medioevo, la seconda nel’età

moderna.

Nel Medioevo vi era da una parte l’Impero, dall’altra la Chiesa. Nei Comuni gli

abitanti eleggevano i loro rappresentanti sulla base della multitudo. Questa era una

rappresentanza quantitativa a livello basso perché Dio era il signore della terra.

Lo Stato moderno cambia le regole perché si instaura quasi sempre su basi

monarchiche. Per tradizione la Corona quasi sempre è dinastica, ossia si trasmette per

via ereditaria. Si avvalora così il criterio della ratio, per cui chi esercita il potere lo fa

perché è migliore degli altri non perché è designato dai più. Non vi sono forma di

rappresentanza quantitativa, ma ceti che si impongono perché ritenuti migliori per

formare la rappresentanza.

In Europa vi sono organismi come le Corti di giustizia che affiancano i sovrani in

funzioni amministrativo- giurisdizionali. Non c’è rappresentanza di multitud ma

portatori di ratio. La Chiesa insegnava che nelle decisioni di collegi non si doveva

avere la maggioranza ma scegliere la “senior pars” (=parte più sana). Questa parte è

chiamata ad esprimere ciò che la società si attende.

L’antico regime è tutti basato sulla ratio. Quando alla vigila della Rivoluzione

francese sono convocati gli Stati Generali col giuramento della Pallacorda si decide

di votare non più per ceti ma per teste. Si ha il passaggio dalla ratio alla multitudo.

Il Corpus Iuris.

Vi sono degli elementi antichi che indicano modernità come ad esempio l’opera di

Giustinaino. Questi ha determinato un’operazione culturale alquanto artificiosa sul

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diritto romano. Questa fictio ha una sua motivazione pratica e politica: nella storia del

diritto nulla si spiega da sé, come effetto del diritto. Non c’è una scienza del diritto,

prodotto della volontà politica. Per Giustiniano la volontà era quella di porsi come

nuovo Cesare, imperatore (ciò indica un’operazione anacronistica). Per 16 anni (552-

568) si riappropria di una parte di Italia e sogna di dare forma al diritto romano. Nel

554 con la sua “Pragmatica Sanctio” obbliga i territori italiani conquistati (prima

c’erano le invasioni barbariche) ad utilizzare il suo diritto come diritto del’impero.

Nei decenni precedenti (529) aveva promulgato il Codex. Cos’è? È l’insieme di

norme imperiali.

L’ordinamento romano era sì giurisprudenziale considerando però gli insiemi dei

pareri della dottrina (e non in base ai precedenti). Altri ordinamenti sui quali si

innesta un potere politico forte prevedono un approccio verticistico (legge del capo).

Ulpiano dice: “quod principi placuit legis habit vigorem”; in certi periodi la volontà

del principe è direttamente norma. Il tardo periodo imperiale prevede tale principio in

maniera forte. La forma di legge tipica era infatti la constitudo (= legge imperiale),

priva di forza particolare.

Nel Codex vennero raccolte le constitutiones imperiali (di tutti i predecessori di

Giustiniano). L’idea del codice non fu improvvisa, in quanto vi erano altri codici, in

particolare quello gregoriano, ermogeniano e teodosiano (438). Che fine fa il Codex?

Scompare e non vi è traccia, in quanto di lì a poco Giustiniano ne scrisse un altro.

Il secondo passaggio si ebbe nel 533 col Digestum. Mentre nel Codex si

raccoglievano le constitutiones precedenti, il Digestum (denominato anche Pandette)

era un’opera creativa, che raccoglie gli “iura”, ovvero l’elaborazione e i responsi

della dottrina. Si hanno frammenti di giuristi romani che rappresentano le regole

scritte del diritto romano, cioè i pareri, aventi valore di legge, in quanto raccolti nel

Digesto.

Questo è formato da 40000 frammenti scritti da circa 40 giuristi che formano i 50

libri. È evidente che questi frammenti sono dei veri ritagli, cioè Giustiniano dà

oradine al “quaestor sacri palatii” (Triboniano) di raccoglierli da tutto il diritto

romano classico. Il Digesto non è una opera scientifica, in quanto nel Digesto

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vengono prese tesi a sé e accostate fra loro. Giustiniano non è uno storico. Il Digesto

verrà riscoperto nel Tardo Medioevo da Irnerio (1080), tedesco di nascita e giurista di

Bologna, in tre tappe: prima i libri 1-24 denominati “Digestum Vetus”, poi i libri 38-

50 ( = “Digestum Novus”), infine i libri 24-38 che fomano il “Digestum Infortiatum”.

Ci sono dei lemmi (iura) basilari nella storia del diritto per la cultura dell’Occidente.

Per esempio il libro I si intitola “De iustitia et de iure”, in cui v è un frammento di

Ulpiano (D.1.1.10) in cui si afferma che “Iurisprudentia est divinarum atque

humanarum notizia” (=la giurisprudenza è la conoscenza delle cose divine e umane).

Si considera qui il diritto come scienza e non come tecnica e come conoscenza della

natura fisica e metafisica (ha lo stesso valore della religione); è un sapere che

contiene tutti gli altri.

Consideriamo gli ultimi libri del Digesto (47-48). I giuristi romani si occupavano di

diritto civile; il Digesto ovviamente contiene diritto privato. Questi due libri sono

detti “terribiles” in quanto contengono diritto criminale (=penale).

Nel 533 Giustiniano procede ad un’altra opera: le “Institutiones”. Prima di lui un

altro giurista, Gaio, aveva scritto le Istituzioni. Queste sono una sintesi di leges e iura

preparati in 4 libri: libro I sulle persone, libro II sui diritti reali, libro III sulle

obbligazioni e contratti; libro IV sulla responsabilità nei processi. Le Institutiones

furono imposte alle università dell’epoca che prevedevano il seguente programma di

studio: 1 anno di Institutiones, 3 anni di Digesto, 1 anno di constitutiones.

Nel 534 Giustiniano ripubblica il Codexche assume la denominazione di “Codex

ripetiate praelectionis”. Si hanno 12 libri in cui sono raccolte le constitutiones in

ordine cronologico (denominate col nome dell’imperatore). È evidente qui il forte

spirito cristiano; basti pensare che la prima constitutio è del 380 di Teodosio e

Valentiniano (editto di Tessalonica) in cui si proclama la religione cristiana come

religione dell’impero. Un altro esempio è dato dal primo libro del Codex intitolato

“De summa trinitate”.

Gli ultimi libri del codice sono denominati “tres libri” e stanno a parte in quanto si

occupano della oraganizzazione dell’impero, argomento poco approfondito negli

studi.

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L’ultima tappa dell’opera di Giustiniano è data dalle “Novellae”, intervanti apportati

da Giustiniano al Codex per aggiornarlo. Si ha così il paradosso: tanti imperatori

hanno detto “dopo di me il diluvio”, nel senso che nessuno avrebbe fatto altre leggi,

ma Giustiniano stesso intervenì per modificare la sua raccolta di leggi.

Le novelle sono conosciute con 2 fonti: una raccolta nell’Alto Medioevo detta

“Epitomae Iuliani” (124 novelle tradotte); nel Tardo Medioevo si ritrova un’altra

raccolta denominata “Authenticum” (134 novelle) ritrovate da Irnerio che ne ha

attestato l’autenticità (“hoc authenticum est”; da qui il nome alla raccolta).

In seguito tutto questo blocco prenderà il nome di “Corpus Iuris Civilis”(dopo il

1000). Già da prima però fu riorganizzato in 5 volumi:

1. Vetus, che comprendeva il Digestum Vetus;

2. Infortiatum, che comprendeva il Digestum Infortiatum;

3. Novum, che comprendeva il Digestum Novum;

4. Codex, che comprendeva i libri 1-9 del Codex (esclusi i tres libri in quanto

ritenuti “poco interessanti”);

5. Volumen parvum, che comprendeva le Institutiones, i Tres libri del Codex, le

Novellae (97 su 134 dell’Authenticum), divise in 9 raccolte chiamate

“collationes”.

Esiste una decima collatio in cui sono ricompresse costituzioni germaniche, il trattato

di Costanza (stipulato tra Federico Barbarossa e i Comuni) e i libri feudorum che

raccolgono consuetudini medievali. Questa collatio è un’opera aperta che non

inserisce opere non per forza giustinianee.

Un giudizio complessivo sul corpus Iuris. È un’opera legislativa con un occhio al

passato dato dalla volontà di reinstaurare la “Renovatio Imperii”, ovvero la romanità

politico giuridica. Ha un occhio poi puntato al futuro ovvero alla Chiesa: si rimpasta

il diritto tenendo conto dello spirito cristiano.

2 a Lezione 02/03/2005

Le episcopalis audentia.

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Tra il 552 e il 568 Giustiniano è stato imperatore di Occidente e ha tentato di imporre

il Corpus alle popolazioni assoggettate dell’Italia adriatica. È certo però che il suo

lavoro in pochi anni è accantonato, soprattutto il cuore della operazione che è il

Digesto; non si sa se il materiale vigeva dopo la sua elaborazione. Se ne avrà traccia

solo nel II millennio con Irnerio.

Un importante imperatore prima di Giustiniano è Costantino; in questo periodo si

sviluppa un fenomeno rappresentato dagli “episcopalis audentia” (=tribunali

vescovili). Come nascono? Hanno un’origine “romantica”: in una lettera del 57 d.C.

Paolo scrive ai Corintii in cui diceva loro di evitare di potare le loro liti davanti ai

tribunali imperiali per non dare scandalo e un motivo in più per essere perseguitati.

Costantino emette una constitutio nel 318 d.C, inserita nel codice teodosiano, in cui si

diceva che chiunque poteva trasferire un giudizio davanti all’episcolarum iudicium. Il

giudizio ordinario è così sospeso fino ala pronuncia (lodo) del vescovo e il giudice

ordinario deve considerare “pro sanctis” la decisione del vescovo.

Che commento hanno fatto gli storici? Vismara dice che la scelta di Costantino aveva

una ragione pratica: alleggerire il peso che gravava sui tribunali ordinari che

diventavano quasi il braccio esecutivo della giustizia cristiana.

Costantino poi emana una seconda costituzionenel 333 che non rientra nel Codex

Theodosianus, in quanto appare come una sorta di interpretazione autentica della

prima costituzione. Chiarisce infatti che le pronunce vescovili non sono impugnabili;

in secondo luogo si stabilisce che la causa deve essere trasferita al tribunale del

vescovo anche su richiesta unilaterale. Il tribunale del vescovo può essere adito non

solo quando ci sono le liti tra cristiani ma anche per le liti tra cristiani e non. Si

favoriscono così forse tropo i cristiani tanto è che nel 398 Arcadio e Onorio emanano

un’altra costituzione in cui si dice che si può andare avanti dal giudice ecclesiastico

solo quando vi sia il consensus di entrambi i litiganti. Questo consenso può essere

anche tacitus.

Quando Giustiniano diventa imperatore e tenta la selezione tra i materiali deve

scegliere tra le tre costituzioni e opta per quella di Arcadio e Onorio e la inserisce nel

Codex ripetitae praelectionis. Tuttavia fu costretto a rimangiarsi quanto detto con le

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Novellae. In una di queste, infatti, si dice che tutte le volte in cui in una controversia

fosse coinvolto un chierico la decisione spettava sempre al tribunale del vescovo. Poi

c’è un altro aspetto che è imposto: se un suddito dell’impero vede che il magistrato

laico presso il quale sta conducendo causa è inerte o assente, ovvero gli nega

giustizia, può chiedere l’intervento del vescovo. Il vescovo diveniva così un ispettore

dell’impero. In una società in cui la presenza della Chiesa è pervasiva, non è strano

cheil vescovo controlli l’operato dei magistrati.

Si prevede poi che le sentenze possano essere oggetto di appello davanti ai tribunali

secolari (il vescovo non ha l’ultima parola).

Tutto ciò riflette l’integrazione di due ordinamenti (imperiale e temporale). Quando

l’Impero Romano crolla il polo imperiale viene meno e le figure vescovili resteranno

importanti. Il vescovo comunque non agisce in prima persona nel giudizio ma delega

giuristi (non si escludono comunque i vescovi magistrati).

L’Alto Medioevo.

La storia delle “episcopalis audentia” ci avvia all’Alto Medioevo, periodo storico

compreso tra il 476 e il 1000. Questa espressione appare molto dozzinale per gli

storici. I caratteri di questo periodo (denominato protomedioevo da Grassi) sono dati

dal tracollo della civiltà romana, in quanto perse la cultura greco-romana soprattutto a

livello giuridico con l’avvento delle invasioni barbariche. Abbiamo così il

primitivismo, il reicentrismo, l’ontologismo. La civiltà torna ad una visione primitiva

dei bisogni, si ha uno scarso uso della scrittura, un crollo della letteratura e per i

rapporti di produzione si torna ad uno stadio primitivo (economia di sussistenza), è

frequente il nomadismo per sopravvivere (primitivismo).

Cosa è il reicentrismo? È il primato della cosa rispetto al soggetto. Gli antropologi

insegnano che nelle società primitive gli uomini non hanno coscienza di sé ma

avvertono il senso della natura (panteismo). Ciò ha una ricaduta giuridica in quanto

rilevava per il diritto la res e si considerava la realtà oggettiva interpretata anche con

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elementi magici. Su ciò non vi è riflessione filosofica ma solo storica. Non vi è

cultura giuridica, il diritto è praticato in maniera spontanea.

L’ontologismo. L’ont indica l’esasperazione dell’essere. Si ha un atteggiamento di

appiattimento sulla realtà e ciò vale anche sotto il profilo giuridico. È come accettare

lo status quo senza obiezioni. Vi sono due matrici. Una cristiana e una germanica. Per

il Cristianesimo è provato che molti padri della Chiesa sono teorici. Un esempio è

sant’Isidoro di Siviglia, teorico della predestinazione, tipico riflesso

dell’ontologismo. Le popolazioni germaniche del nord ritenevano che Dio

intervenisse continuamente nella prassi (anche nei processi) perché Dio è la storia.

Un risultato concreto dell’ontologismo è l’importanza attribuita alla consuetudo in

quanto la società è appiattita all’esistente e quindi nessuno osava comportarsi in

maniera diversa dalle testimonianze degli anziani. La lex altomedievale è un

momento di cristallizzazione della consuetudo. Rotari, re dei Longobardi la afferma.

La consuetudo è una lex in potentia indicando il suo eventuale divenire legge.

Le popolazioni barbariche. Visigoti e Ostrogoti.

Come arriva a questa formazione sociale? Le popolazioni barbariche arrivano

soprattutto dal nord Europa e dalla Germania. I popoli germanici sono stati ben

dipinti alla fine del I sec d.C. da Tacito, che scrive un’opera sui Germani in maniera

molto profetica. Dice che sono dediti alla guerra, la società è propensa a combattere

ed è compatta e coesa. Quelli che decidono sono i guerrieri; il perimetro politico

coincide con quello militare. Le decisioni sono alquanto plateali percuotendo la

plancia sullo scudo. Altra notazione: i reati sono il tradimento e la viltà perché la

società è compatta; per gli altri reati risolvono tutto con il pagamento in parte al re o

alla comunità (tipo multa), in parte all’offeso (tipo risarcimento danni).

I popoli in concreto sono i Goti che fanno cadere l’Impero Romano e che si dividono

in Visigoti (Francia e Spagna meridionale). Questi sono autori della “Lex romana

visigothorum” detta anche Breviari Alaricii nel 506. la legge contiene leges e iura

(come nel futuro Corpus Iuris); le leges sono quasi tutte tratte dal codice teodosiano,

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le seconde da alcune operette, ovvero le Pauli Sententiae e il Liber Gai, sintesi del

diritto romano.

A chi si applicavano le leggi? Prima si diceva solo ai Visigoti, altri consideravano

una applicazione territoriale. (in caso di confusione si ricorreva alla personalità del

diritto, ovvero si considerava la stirpe).

La Spagna vede il suo diritto influenzato dalla Chiesa. In Italia, invece, vi sono gli

Ostrogoti dal 493, cacciando i Goti di Odoacre, guidati da Teodorico. Questi

rimangono fino al 552. Gli Ostrogoti si caratterizzano in quanto, mentre i Visigoti

erano più rozzi ma si integravano meglio, erano più elaborati e meno integrabili. Con

loro si ha l’editto di Teodorico integrando elementi barbari e romani. Questo

disciplina il diritto di asilo: quando un reo commetteva un reato aveva il diritto di

essere ospitato in un luogo sacro. Nell’editto di Teodorico si prevede che se un

soggetto si rifugia in Chiesa può essere scacciato anche con la forza.

Alcuni studiosi indicano Teodorico come un re dei Visigoti; in tal caso di

concluderebbe che la Francia già nel sec V conosceva una netta separazione tre

potere laico e religioso.

3 a Lezione 08/03/2005

Le popolazioni barbariche. I Longobardi.

La molteplicità culturale dei sec. V e VI produce uno scadimento della cultura

italiana.

La popolazione barbarica più importate è quella dei Longobardi che presentano tutte

le caratteristiche descritte da Tacito nell’opera sui Germani (vedi II lezione). I

Longobardi si stanziano nell’Italia in particolare a nord tra il 568 e il 774. Il primo

sovrano è Alboino. Questo popolo non è proprio germanico; vengono dalla Pannonia

(attuale Ungheria). Sono selvaggi e soprattutto nomadi. Se il diritto romano si basa

sulla territorialità, i Longobardi introducono una visione del diritto basata sulla

personalità. I Longobardi sono guidati da un re che ha bisogno dei suoi fedeli

chiamati duchi (da “dux”=capo militare). Questi sono in genere grandi capifamiglia o

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meglio capitribù, in quanto la società si compone di un esercito formato da varie

“fare” (=famiglie).

I Longobardi erigono a capitale Pavia; una volta stanziati in Italia, dopo aver cacciato

i Bizantini, non sono più nomadi e lo stanziamento comporta una diversa struttura

amministrativa. Ai duchi si sostituiscono i gastaldi che comandano i gastaldati (tale

fenomeno si avrà anche con i Franchi).

I Longobardi sono un popolo germanico e vivono di consuetudini. Vivono in uno

stadio bravo fino a quando nel 643 viene promulgato l’editto di Rotari, un re che

decide di fare delle leggi. Cosa significa per un re longobardo nel VII sec. Fare delle

leggi? Significa semplicemente cristallizzare, “fotografare” una situazione normativa

esistente. Rotari si propone di mettere per iscritto le “antiquae leges” dei padri che

prima non erano scritte. Con ciò si fa riferimento alle consuetudini, dette

“Kavvarfida”.

Gli storici si sono chiesti: come mai Rotari si è deciso a mettere per iscritto le leggi?

Egli forse è costretto a promulgare questo editto in quanto il suo popolo è in crisi e

ciò serve a compattarlo. A conferma di questa ipotesi sta il fatto che il primo capitolo

(≈ articolo) si occupa di un reato molto particolare: l’attentato alla vita del re. Tutto il

sistema delle pene del resto è tipico presso i Longobardi. Il diritto longobardo non

prevede la differenza tra un illecito civile e penale. Oggi la differenza è formale e sta

nel tipo di sanzione anche se nulla vieta che i due rami non possano avere delle

oscillazioni nel tempo. Un esempio è dato dall’arresto per indebito.

Presso i Longobardi non esiste tale differenza perché il diritto altomedievale è

reicentrico, ovvero basato sull’oggettività e non su ciò che si pensa. Se il mio cavallo

rompe lo steccato del vicino non conta nulla se il cavallo l’ho mandato apposta o

meno. Gli elementi psicologici sono tralasciati a beneficio degli elementi materiali.

Chi commette il danno ha solo un obbligo di risarcire il danno. I Longobardi non

riconoscono altra misura riparatrice. La somma di denaro pagata all’offensore è detta

“guidrigildo”. A chi bisogna pagare? Qui subentra un’altra caratteristica del diritto

longobardo.

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Abbiamo detto che i Longobardi prevedono delle tribù compatte a livello militare (vi

è un vincolo di sangue). Tale vincolo si traduce in una costante e permanente

solidarietà a livello giuridico. Oggi appare assurdo che i Longobardi adottassero la

solidarietà anche in campo penale: se si ammazza una persona bisogna risarcire la

famiglia. D’altra parte vi è la faida, ovvero la vendetta privata data dalla possibilità di

farsi giustizia che spetta di diritto alla persona offesa nei confronti dell’offensore.

L’editto di Rotari prevede ancora la faida, anche se viene scoraggiata a favore di

un’altra soluzione tipicamente germanica data dalla composizione pecuniaria che

prevede il pagamento del guidrigildo. Nel momento in cui la società subisce

un’evoluzione la faida quindi perde la sua importanza.

A chi va il guidrigildo? In genere alla persona offesa o alla sua famiglia. L’editto di

Rotari prevede anche qui un’evoluzione, in quanto per metà va al “fiscus”, entità che

gestisce il denaro della comunità, centro di imputazione fiscale che comprende che il

risarcimento deve essere versato anche a favore della comunità e non solo nelle

tasche dell’offeso, in quanto anche questa è offesa dall’illecito.

(C’è un episodio nelle fonti altomedievali in cui si racconta che un longobardo diceva

ad un altro di “avere il padre nel portamonete” nel senso che questi gli aveva pagato

il guidrigildo).

Come si svolge il processo? Tra le caratteristiche della cultura altomedievale abbiamo

l’ontologismo (=non si immagina un mondo diverso da quello che è) che coincide col

panteismo (=tutto ciò che esiste è permeato dalla volontà divina). Il rapporto tra Dio e

l’uomo è di due tipi: trascendente (= Dio non è legato alla realtà) e immanente (=Dio

è presente nella realtà).

Il processo longobardo parte dal presupposto che se Dio c’è allora deve intervenire

nel processo. La figura giuridica che raggruppa le possibili modalità di intervento

divino in sede giudiziale è data dalla “ordalia”. Questa si manifesta attraverso varie

modalità concrete che oggi non hanno senso. Un esempio è dato dall’estrazione di un

anello dal calderone da parte del reo che prova la sua innocenza; oppure vi è il duello

che vede vincitore chi Dio aiuta. Abbiamo poi il giuramento (oggi vi è solo per i

testimoni). Beccarla infatti dice che è inutile che il reo prima della morte giuri di

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essere innocente. Nella società longobarda non si discute dell’intervanto e quindi è

ovvio il giuramento del reo; se questo manca sarebbe intervenuto Dio. L’editto di

Rotari prevede che si applichino il duello e il giuramento.

Un altro aspetto è dato dalla distinzione tra il reato tentato e consumato (oggi

presente in diritto penale). Se io piazzo una bomba che non esplode si ha un reato

tentato; se esplode è reato consumato. Si ha quindi la distinzione tra atto preparatorio,

rato tentato e delitto consumato.

Per quanto riguarda l’aspetto civilistico il diritto longobardo conosce la successione,

ma come tutti i popoli germanici ne applica solo un tipo: quella legittima, in quanto

esiste un vinclo di solidarietà.

Un altro aspetto civilistico è dato dal “mundio”: questa è una tutela imposta alla

donna per compiere qualsiasi atto giuridicamente rilevante. In diritto romano la

donna è quasi parificata all’uomo; nel diritto altomedievale vi sono delle consuetudini

che fino al 1600-1700 si ispirano al mundio, regola secondo cui la donna può

compiere atti di disposizione, contrarre, disporre del suo ma solo dietro

l’autorizzazione del marito o di figura maschile. Il mundio si diffuse soprattutto a sud

Italia.

Chi sono i destinatari dell’editto? La Lex Romana Visigothorum si riteneva fosse una

legge territoriale, ovvero valida per tutti. L’editto di Rotari prevede invece principi

contrastanti col diritto romano. Tuttavia i Romani non hanno rinunciato al diritto

romano; per questo l’editto è tendenzialmente applicato ai Longobardi. Come

vivevano i Romani? Applicavano il diritto romano anche se non bisogna dimenticare

la ferocia dei Longobardi e la loro presenza dominante. Quindi probabilmente

potevano applicare il diritto privato romano e non quello pubblico.

Dopo qualche decennio diventa re Liutprando (712-744). Questo scrisse più editti di

cui non sappiamo esattamente il numero. Abbiamo solo un brogliaccio unico

composto da 153 capitoli (articoli). Che cosa cambia con Liutprando? Egli è passato

alla storia come colui che ha dato vita al futuro stato pontificio dando un territorio

chiamato Sutri, pegno dato come prova della sua devozione al cristianesimo (anche se

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il popolo era pagano e legato all’Arianesimo). Probabilmente ciò è una manovra

politica, che incide sulle regole giuridiche dettate da Liutprando.

I Longobardi, a differenza dei tardo Romani, praticavano molto la servitù. Liutprando

prevede la “manumissio”, ovvero la liberazione del servo davanti all’altare.

Liutprando riconosce poi il diritto di asilo, rappresentato dal rifugio del reo in Chiesa

(chiamato poi immunità territoriale). Altro esempio della influenza religiosa su

Liutprando è dato dai lasciti pii. Si apre così una prima breccia verso la successione

testamentaria.

Vi è poi un altro aspetto civilistico relativo alle pene, rappresentato dalla sostituzione

del guidrigildo con la confisca del bene.

Nell’editto di Liutprando è interessante il capitolo 118. (Oggi le leggi sono formulate

in modo secco. Nelle società antiche le leggi sono più articolate e dialogate). Qui il re

invece di dettare norme imperative confessa una sua perplessità ritenendo non più

rispondente al periodo storico il duello giudiziale (frma ordalica), in quanto ingiusto.

Aggiunge poi che il duello comunque rimarrà in vigore i quanto tale è la

consuetudine per la gens romana. Il rex, infatti, non è completamente libero di creare

fattispecie nuove, ma è vincolato alla situazione presente. Così come Rotari ha detto

di essersi limitato a tradurre le leggi dei padri, anche Liutprando ha preso atto di

consuetudini esistenti dichiarando la sua contrarietà verso una di queste, ma è

prigioniero di logiche che lo sovrastano. Conta molto più la consuetudine che la lex.

Un’ultima norma dei capitoli liutprandei è data dal capitolo 91. questo risponde alla

domanda: quali sono i destinatari degli editti di Liutprando? Sono probabilmente tutti

i sudditi. Questa tesi è avvalorata dal capitolo 91 che va sotto l’argumentum

(=contenuto) “De scrivis (o scribis)” (=sugli scrivani). Chi sono gli scrivani? Sono

dei soggetti, esperti più o meno di diritto che si occupno della redazione per iscritto di

atti giuridici. Molto vagamente sono paragonabili ai notai, con la differenza che gli

scrivani erano dei poveracci. Cosa dispone il capitolo 91? Se le parti stabiliscono “per

convenentiam inter se” di allontanarsi (subdiscendere) “de lege sua”, gli scrivni non

saranno ritenuti colpevoli di ciò. Cosa vuol dire? Le parti sono due soggetti che

vogliono tra loro stipulare un atto, un accordo. La parola “convenentia” significa

14

Page 15: l'età moderna

“venire insieme”, ovvero raggiungere un punto di accordo. Le parti quindi possono

accordarsi tra loro. Su cosa? Sul loro allontanarsi dalla loro legge. Cosa è la “lex

sua”? evidentemente Liutprando si riferisce ad un ordinamento in cui i soggetti sono

portatori di leggi diverse in cui i soggetti entrano in contatto pur apparentemente

diversi. È una società in cui i soggetti fisicamente stanno vicini, ma vivono secondo

la loro stirpe. È il principio della personalità del diritto che è uno dei criteri di

applicazione del diritto in contrapposizione con quello territoriale. Prima non vi era la

possibilità di accordo sull’applicazione di un’altra legge; con Liutprando si ha ciò. Se

vi è un altro accordo lo scrivano che lo accetta non è punito. Prima, quindi, i “notai”

non potevano accettare accordi del genere. Cosa significa abbandonare la propria

legge? I Longobardi arrivano in Italia e probabilmente fanno vita a sé, non legati ai

Romani. Col tempo però gli estremi si sono incontrati. Liutprando quindi fa

riferimento ad un accordo tra un longobardo e un romano. Prima fra questi soggetti

potevano esserci degli accordi non regolati dal diritto. Liutprando dice che una delle

parti potrò abbandonare il proprio ordinamento di partenza.

Il professor Schioppa dice in merito alla personalità del diritto che questa si ha

quando all’interno di uno stesso ordinamento più diritti sono riconosciuti come validi

e la loro attuazione dipende dalla appartenenza alla stirpe. Abbiamo quindi tanti

diritti quante sono le stirpi. Queste popolazioni sono i Longobardi, che applicano le

consuetudini, l’editto di Rotari e quelli di Liutprando, e i romani, che applicano il

diritto romano “imbastardito”, ovvero quello volgare. Se gli scrivani recepiscono

l’accordo, l’atto giuridico è salvo. Si ha così un primo superamento della personalità

del diritto. Si può dedurre per “argumetum a contrario” che prima di Liutprando la

situazione era diversa.

Se vogliamo dare un giudizio all’esperienza longobarda è interessante ciò che dice

Gioacchino Volpe. Questi afferma che i Longobardi sono stati un popolo ferocissimo;

un altro loro torto è dato dal fatto che i Longobardi si sono macchiati della colpa di

aver prospettato per la prima volta in Italia la presenza contestuale di due poteri: laico

e temporale. Si è creata così una dicotomia tra obbligo di fedeltà alla Chiesa da una

parte e di rispetto delle leggi secolari dall’altra. Gli Italiani sono stati sottomessi a due

15

Page 16: l'età moderna

regimi in seguito alla donazione di Sutri. Si ha uno Stato con una forte impronta

clericale non in grado di imporre né istituti religiosi né quelli laici.

Le popolazioni barbariche. I Franchi.

Passiamo ad un’altra popolazione: i Franchi. Questi sono una popolazione germanica

guidata inizialmente da Clodoveo,figura quasi mitologica che istituisce il regno dei

Franchi nel 481 e si converte al Cristianesimo. La Francia così esce dalla barbarie

religiosa e sposa la religione romana (da qui il nome di “re cristianissimo”). I Franchi

sconfiggono le popolazioni stanziate nella Gallia (=Francia). Istituiscono un regno a

nord; a sud fanno i conti con i Visigoti e con i Burgundi (nell’attuale Borgogna).

L’insediamento è quello che dà origine alla denominazione di Francia.

La storia dei Franchi si lega a quella italiana quando, a causa delle tensioni tra pai e

longobardi guidati da Desiderio, furono chiamati i Franchi guidati dal re Carlo. Come

mai chiamano i Franchi? Perché si sono convertiti al cristianesimo. Quando i Franchi

vengono in Italia Carlo Magno è incoronato da Leone III nella notte di Natale

dell’800, diventando re di Italia. Si stabilisce così che il rex non è più longobardo ma

franco in “condominio” con la Francia. Nell’800 è incoronato imperatore; si ha così

un miracolo i quanto risorge l’Impero Romano sotto la veste di sacro Romano Impero

Germanico. Con il “germanico” si riconosceva ad un imperatore di Europa di

occupare il vertice dell’Impero che aveva la sede principale ad Aquisgrana.

Anche l’aggettivo “sacro” è una forzatura: è il papa a incoronare l’imperatore,

realizzando un’operazione politica nuova ovvero il connubio tra potere religioso

(Leone III) e imperiale. L’Impero romano era stato unitario comprendeva quanto

conquistato dai Romani; il Sacro Romano Impero è un’unione dinastica, tra corone

francese, italiana, spagnola germanica e delle entità politiche conquistate da Carlo.

Ciò ha delle conseguenze sul piano amministrativo. Come si organizza

l’amministrazione franca? I Longobardi erano organizzati in ducati; i Franchi in

contee, in quanto sono nominati come capi territoriali a vita alcuni aristocratici detti

conti. Questi sono nobili che controllano con poteri civili e militari un dato territorio.

16

Page 17: l'età moderna

Anche i Franchi tolgono di mezzo i conti perché quando una società in genere s

evolve, cerca di creare una struttura politica più controllabile dal centro. Mentre i

conti sono legati all’imperatore in base ad un legame tra re e pari, ci si rende conto

che occorre creare delle figure controllabili da sé in quanto i collaboratori potrebbero

“fare le scarpe” all’imperatore. (un capopartito ha più interesse ad appoggiare un

inetto che deve tutto a lui che uno bravo).

I soggetti in questione sono i “missi dominici”, funzionari itineranti che circolano per

l’Impero, portatori degli interessi dell’imperatore. Questi fa due cose tipiche nella

società medievale: amministrare la giustizia e riscuotere le tasse. Cosa succede per

l’Italia? Qui non ci sono istituzioni, eccezione fatta per la Chiesa. Carlo nomina

spesso come missi dominici esponenti dell’alto clero (soprattutto abati o conti).

Questo pone il problema del rapporto tra Carolingi e Chiesa. I Carolingi sono

chiamati in Italia dai papi, quindi tra loro c’è sintonia. I papi però non si erano accorti

che i Carolingi avevano la pessima abitudine di impicciarsi degli affari della Chiesa,

nelle vicende teologiche. Ciò porta a teorizzare l’ideologia teocratica. Questa

tendenza si manifesta anche nella tipologia di legislazione. Il tipico modo di

legiferare è dato dai “capitularia”. Abbiamo una doppia distinzione: per contenuto e

per il rapporto di che hanno con le leggi preesistenti. Cominciamo dal rapporto col

contenuto. Abbiamo due tipi di capitularia: “ecclesiastica” e “mondana” (=legati alla

vita nel mondo). I primi sono quelli con cui i Carolingi si intrufolano negli affari

della chiesa. Sono la riprova del fatto che questi si sentono paladini della Chiesa e di

avere la possibilità di disporre di questa come cosa loro.

I capitularia in rapporto alle leggi preesistenti prevedono alcuni legati a materie

specifiche nuove (“per se scrivendo”) e un’altra categoria denominata “capitularia

legibus addenda”, ovvero capitolari che si sommano alle leggi. Come viene in mente

agli imperatori tale distinzione? Si giustifica per il fatto che siamo nella mentalità del

legislatore altomedievale che pensa di aggiungere solo un tassello al sistema delle

leggi già esistente e solo una piccola parte del suo lavoro determinerà nuovi settori.

17

Page 18: l'età moderna

4 a Lezione 09/03/2005

Quando una società medievale si estende senza limiti sul territorio è inevitabile che si

abbia la frammentazione del potere. Quanto più l’Impero e la Chiesa si propongono

come “universale” tanto più il potere è frazionato in entità minor. Tuttavia queste

figure sono più sbiadite in quanto s fa riferimento per diritto ai feudatari.

Il potere politico nel Medioevo. Il feudo.

Come nel Medioevo si realizza il potere?

Il fascino della storia del diritto medievale è quello che bisogna liberarsi della nostra

concezione di potere politico come di un potere erga omnes. Il Medioevo e una parte

dell’età moerna non conoscono in maniera nitida questa forma di potere perché quelle

dimensioni incalcolabili sullo spazio del mondo favoriscono chi esercita veramente il

potere. Il potere politico medievale è sempre relativo, ovvero che riguarda una

relazione tra soggetti, gruppi di soggetti, territori definiti. Per capire meglio tutto ciò

cominciamo a parlare del potere relativo per eccellenza: il feudo o diritto feudale.

Questo forse è nato in epoca carolingia (non tutti gli storici sono d’accordo), quindi

alla fine dell’Alto Medioevo (900-1000). Il feudo è una forma di protezione; non è

un’invenzione medievale perché già esisteva in età antica. Presso i Romani c’erano i

“clientes” che dipendevano dal padrone. Perché si decide di ricorrere a questa

sofisticata protezione? Il feudo nasce quando si allentano i vincoli della solidarietà e

familiare e quando, in particolare all’interno dell’ordinamento carolingio, il centro

(=l’imperatore) si accorge di non avere più il pieno controllo dei suoi funzionari,

ovvero dei conti. Volendo dare una definizione di feudo, questo è un legame di

carattere personale tra due soggetti posti in ruoli diversi. Vi è un soggetto che è il

superiore il quale pretende la fedeltà e il sostegno e in cambio offre protezione e

sussistenza al sottoposto (“usque effusionem sanguinis”=fino a spargimento sangue).

Il feudo è un vincolo, quindi il potere politico è relativo.

Gli storici hanno teorizzato che il feudo si compone di tre elementi:

1. l’elemento personale;

18

Page 19: l'età moderna

2. l’elemento reale;

3. l’elemento locale (o materiale).

1. È l’elemento più importante perché il feudo è un legame tra un soggetto A e uno B

imbevuto di “fidelitas” (=fedeltà). Ciò è evidente nella cerimonia di investitura, in cui

un signore si inginocchia davanti al dominus ch’egli stringe le mani in segno di

protezione. Il feudatario ottiene così dal vassallo il giuramento, momento culminante

dell’investitura con cui si sottopone fino alla morte al signore. Le parti sono tenute ad

obblighi rispettivi. Il vassallo si obbliga innanzitutto a non tradire (obbligo di “non

facere”) e ha obblighi di “facere” dati dalla formula: “auxilium-consilium”. Cosa

vuol dire? Il vassallo si obbliga ad aiutare il feudatario e a consigliarlo. Circa

l’auxilium, l’aiuto per eccellenza è dato dall’andare a fare la guerra. Il feudatario

prima si fa affiancare dal vassallo e poi si fa sostituire completamente. Quasi sempre

l’auxilium consiste nel prestare servizio a cavallo. In una società proto-agraria, avere

un cavallo indica che il vassallo è benestante. Egli quindi non è un plebeo ma è un

uomo che conta anche se in maniera inferiore ai feudatari e all’alto clero.

Il consilium è l’impegno del vassallo a consigliere il feudatario in momenti difficili,

ad esempio quando il feudatario deve decidere in processi o quando deve riscuotere le

tasse.

Quando finisce l’obbligazione? Con la morte di uno dei due e il tradimento

(“fellonia”), è giustificato alle origini lo scioglimento del legame personale.

2. L’elemento reale è il “beneficium”. Nell’età antica questo indicava una

concessione provvisoria solitamente di terre da parte del più potente nei confronti del

meno potente. Entra nell’obbligazione feudale in quanto è la provvidenza che

giustifica il rapporto vassallatico. Quali sono di solito i beneficia? Il primo e classico

caso è la terra: Carlo Martello confiscò le terre alla Chiesa e le concesse ai suoi prodi.

Ci sono anche molte altre tipologie; la più importante di queste è l’honor (=carica

pubblica). La carica pubblica era data dal dominus al suo fedele come oggetto del

rapporto vassalatico. Altre volte erano date cappelle, chiese, luoghi pii, a volte doti

(istituzioni ecclesiastiche) in beneficio.

19

Page 20: l'età moderna

Il beneficium risente della obbligazione vassallatica; se il legame personale si spezza

anche il beneficio non ha ragione di essere. Qual è la sorte del beneficium nel

momento in cui cade il vincolo personale? Si ha il suo ritorno nella disponibilità, nel

patrimonio di chi lo ha concesso (dominus). Questa operazione vale finché il legame

vassallatico è connesso strettamente e personalissimamente a due soggetti e basta.

Tuttavia, nella evoluzione storica comincia ad aprirsi qualche crepa.

Si pone il problema dell’ereditarietà del feudo. È l’esigenza di conservare il

beneficium nel patrimonio del feudatario; è l’aspettativa del vassallo di trasmettere la

concessione del beneficium. Nel 1037 l’imperatore franco Corrado il Salico con

l’Editto di Milano stabilisce il diritto alla successione nel feudo (nel beneficio) dei

figli e del fratello del vassallo. Per poter far scattare questo editto occorre una

condizione: una nuova investitura. Resta la volontà così del dominus di guardare in

faccia il suo nuovo vassallo.

Dalla ereditarietà del feudo si passa col tempo, probabilmente nel XII sec, ad un altro

fenomeno: l’alienabilità del feudo. Il vassallo può alienare il beneficium. Il dominus è

colui che ha il beneficium però anche il vassallo ce l’ha. Che tipo di diritto esercitano

sulla res? Il vero diritto è il possesso (“possessio”) che nel diritto feudale assume

coloriture diverse a seconda che si consideri il vassallo o il feudatario. Entrambi

hanno il dominium; il dominio del signore che ha la prova della titolarità del diritto è

“directum” (titolarità formale). Il vassallo ha un dominio utile, in quanto arreca utilità

al signore (oggi si configurerebbe come multiproprietà). Cosa succede quando il

dominus utilis pretende di alienare il feudo? Vende solo quella specie di proprietà in

capo a lui ovvero il dominio utile. Quando il vassallo vuole alienare il bene deve

tenere conto del vincolo feudale. Il signore deve dare l’assensus feudale, ovvero il

consenso a vendere; poi c’è una seconda possibilità data dal retratto. Il beneficium è

riportato nel patrimonio del dominus directus; ciò è più propriamente detto

“devoluzione”.

Come si può giustificare l’alienazione feudale? March Bloch dice che questo

fenomeno si può definire come “fedeltà messa in vendita”. Cosa vuole dire?

20

Page 21: l'età moderna

All’inizio abbiamo un vincolo di sangue; nel 1100-1200 i vecchi valori di fedeltà

perdono importanza e vengono venduti al miglior offerente.

3. L’elemento locale è dato tecnicamente dalla “immunitas”, ovvero l’esenzione dal

“munus”, che si contrappone alla communitas. L’immunitas è l’assenza della

sottoposizione ai diritti della comunità. Non è sottoposto a vincoli finanziari, fiscale,

coercitivo, giudiziario. Si ha un’esenzione giustificata per il fatto che il dominus non

risponde degli incarichi collettivi ma è lui a proporre incarichi.

La Chiesa nell’Alto Medioevo.

L’ultimo protagonista dell’Alto Medioevo giuridico è la Chiesa. Che ruolo svolge? È

un’istituzione guida, in quanto è l’unico ente che rappresenta la comunità e la

continuità della tradizione romanistica. Di questa però rimangono le briciole. La

Chiesa altomedievale fa suo un famosissimo brano di una costituzione di Costantino.

Egli scriveva che la consuetudo è valida quando non è “contra legem” o “contra

rationem”. Costantino dice che la consuetudo non gli va bene a meno che non sia

conforme alla legge e alla ratio, altrimenti nel contrasto vince la legge. Egli non può

assumere che questa posizione perché per lui prevale la lex. La Chiesa si

impadronisce di tale espressione. Vi è un mondo in cui prevalgono i fatti e nessuno si

impadronisce del compito di creare diritto. In questo “guazzabuglio” di consuetudini

la Chiesa si ritaglia un ruolo. Quale di queste consuetudini si salva? La Chiesa

utilizza un parametro che non è la legge, i quanto priva di spessore. Si ricorre alla

ratio, in quanto la Chiesa si considera depositaria della ratio e quindi può indicare la

“consuetudo bona” e quella “mala”. Tale operazione è ancora una volta svolta nelle

strutture vescovili (v. dietro II lezione); in particolare nei vescolari e nei monasteri.

Nei primi vi è il vescovo che fa giustizia. Questo è chiamato per decidere se un

comportamento è buono o cattivo; riunisce i saggi e si ha il “laudamenta curiae”. Il

laudamento è un lodo, ovvero il provvedimento del vescovo, che afferma quale

consuetudo è bona cioè se è conforme alla ratio. È un modo di fare giustizia sulla

legge, è come un tribunale di legittimità.

21

Page 22: l'età moderna

Quali sono i canali con cui la Chiesa svolge la sua funzione nella cultura giuridica

altomedievale? Con la premessa che la Chiesa è depositaria di ratio e fa i laudamenta

curia, ha due canali: vescovali e il monastero. Rispetto al diritto, nel canale A si fa

giustizia, il diritto è prassi, si fa diritto pragmatico, giurisprudenziale. Nei monasteri i

monaci (amanuensi) scrivevano di tutto. Questa cultura è passiva nella prima parte in

quanto trasmettono documenti.

Di quale diritto monasteri ed episcopati sono canali? Del diritto romano, in quanto in

questo modo si ha la difesa della cultura occidentalistica. La più importante delle

sintesi è data dalla “Lex Romana Canoniciae Compta”, che riassume la mentalità

dell’epoca. Così la Chiesa si appropria della lex romana alla maniera dei canonici in

modo semplificato a fini prettamente pratici.

La Chiesa contribuisce con la struttura alla continuità della cultura occidentale in

quanto riesce a far applicare il diritto dei laudamenta curia.

5 a Lezione 15/03/2005

Nell’Alto Medioevo il diritto si sviluppa su più livelli tra cui la teoria generale del

diritto; occorre distinguere il filosofo, ovvero colui che elabora il diritto dal pratico,

che deve vincere la causa. Si parla quindi di cultura altomedievale in senso improprio

(=tutto ciò che è teorizzato). La Chiesa è il tramite principale del diritto. La Chiesa tra

il 550 e il 1000 si pone come faro della civiltà giuridica in quanto o è conservatrice

della ratio o come deposito della continuità della tradizione giuridica (amanuensi).

La cultura dell’età carolingia. Le arti liberali.

Sono già nate in epoca romana ma si sviluppano nel Medioevo carolingio, ciè in quel

periodo coincidente con la nascita del Sacro Romano Impero. Quali sono le “artes

liberales”? sono divise in due gruppi: le arti del trivio e del quadrivio.

Le arti del trivio sono dette anche “sermocinales” o “sermocinandi”: riguardano la

formazione del discorso. Sono la grammatica, la dialettica e la retorica. La

22

Page 23: l'età moderna

grammatica è l’arte del parlare in maniera corretta. Nelle scuole carolinge si studia la

grammatica nei restanti testi latini.

La dialettica è la logica nel parlare e nello scrivere, l’arte del ragionamento. La logica

era quella aristotelica.

La retorica è l’arte del convincere, del persuadere. Il punto di riferimento è Cicerone.

Queste tre arti hanno un rapporto col diritto: il giurista deve saper parlare, convincere

e usare la logica.

Le arti del quadrivio (o “artes reales”=attengono alle cose) sono l’aritmetica, la

geometria, la musica e l’astronomia (o astrologia). Oggi sono considerate scienze

esatte. Prima però anche queste materie rientravano nel sapere umanistico. Perché si

chiamano artes? È un sapere che ha una sua conformazione teorica anche se questa

teoria è “spesa” nella prassi. Ciò distingue la ars dalla scientia, sapere astratto che si

conclude sul piano teorico. Cosa ancora diversa è la “techne” che ha solo rilevanza

pratica. Potremmo aggiungere come forma pratica di arte il diritto se esistesse (anche

se nel momento in cui verrà ad esistere sarà denominato “prudentia”). Dove erano

insegnate le artes? Nelle scuole annesse alle istituzioni ecclesiastiche. C’è una regola

denominata Capitolare Onolese (825) voluto dall’imperatore Lotario, che sistema la

rete delle scuole ecclesiastiche.

Qual è l’università delle arti liberali? Si innalza in questo periodo l’antica scuola di

Pavia, capitale dell’impero franco. Cosa si insegnava in questa scuola? Si studiavano

le arti liberali e forse anche il diritto. Finché c’è stata poca documentazone si diceva

che erano insegnate le arti del trivio, dopo è sorto il dubbio sullo studio del diritto, in

quanto era legato alla prassi. A Pavia passano alcuni giuristi; quale tipo di diritto nel

merito si studiava o nella forma di arti liberali o come forma a sé? Il diritto

longobardo-franco in particolare si forma e poi si studia tutto il blocco dei capitularia

franchi riguardanti l’Italia. Ai fini didattici tutti i capitolari furono riuniti nel

cosiddetto “Capitulare Italicum”. Questo diventa la base per un libro simbolo per la

scuola di Pavia: “Liber Papiensis”. Siamo nella prima metà del I secolo. Questo liber

è un brogliaccio di leggi controverse che è il supporto materiale degli studenti di

Pavia. In seguito si chiamerà “Lombarda”. Che cosa c’è nel Liber Papiensis? Ci sono

23

Page 24: l'età moderna

quelle fonti di diritto romano (di risulta) rimaste a galla nell’Alto medioevo,

soprattutto le novelle, il codice, fonti che poco avevano a che fare con Giustiniano. Vi

sono tracce dell’Epitomae Iuliani. Del Digesto quasi non vi è traccia. Nello stesso

secolo è pubblicato un commento al Liber Papiensis da un anonimo. L’opera che

viene fuori è la “Expositio ad librum Papiensem”. Cosa è? Ennio Cortese dice che

questa si staglia verso il diritto “come una cattedrale medievale si staglia verso le

chiese più piccole”. Perché è così importante? È un commento che cerca per la prima

volta di realizzare una riflessione teorica su un’opera legislativa. Va a colmare uno

spazio vuoto ovvero la teoria del diritto; si ha così una riflessione teorica sul diritto

longobardo. Un altro elemento della Expositio è un concetto che sembra aprire nuovi

orizzonti sul diritto medievale: fin dai tempi di Rotari (4 secoli prima) tutti i re

germanici (longobardi e franchi) avevano implicitamente rinviato al diritto romano in

caso di lacuna della legge germanica. Se una legge non dispone nulla si ricorre ad

un’altra fonte prevalente più generale che la integra. L’anonimo si inventa questa idea

retroattiva con ricorso al diritto romano in caso di lacuna dal diritto germanico.

Perché ciò? Perché il diritto romano è “lex generalis omnium”(=legge generale per

tutti). Cosa hanno detto per gli storici? Secondo Calasso tale espressione è il primo

segno di quello che poi sarebbe stato il futuro dello ius comune. Secondo Cortese

invece ciò significherebbe soltanto riconoscere che in fondo, tranne in qualche

momento, i Longobardi non avevano mai negato la territorialità del diritto. Come si

giustifica questa affermazione? Fin dal tempo dei Longobardi il diritto romano era

apllicato a tutti e quindi non poteva che valere il principio di territorialità.

La Expositio non è la sola opera originale; a questa se ne affianca un’altra, il

Capitolare Italicum. Comprende vari capitolari tra cui ve ne è uno che risale alla fine

dell’VIII secolo (inizi della dominazione franca) che elenca alcune materie di

conflitto tra diritto romano e longobardo.(per esempio la successione feudale della

donna, per il diritto longobardo no in quanto è trattata schiava per il diritto romano sì)

Vi è solo un elenco delle materie per cui si applicherà il principio della personalità

del diritto. In altre materie non elencate bisogna vivere communi lege (=secondo la

24

Page 25: l'età moderna

legge comune). Perché ciò? Nell’Alto Medioevo anche se vige il principio di

personalità vi è concordanza in certe materie.

Tutto ciò pone un problema di fondo: che fine ha fatto il diritto romano “buono”

nell’Alto Medioevo. Ci sono molti manoscritti che dimostrano che si sapeva qualcosa

delle Novelle, del Codice, delle Istituzioni. La vera scomparsa quasi integrale è del

Digesto di cui l’ultima citazione risale al 603. cosa accade? Gregorio Magno spedisce

in Spagna un suo delegato e nella lettera di accompagnamento gli suggerisce le fonti

su cui basare la sua difesa. Queste fonti sono appunto nel Digesto. Dopo, secondo una

leggenda Amalfi va in Oriente e ruba a Bisanzio il manoscritto del Digesto. Gli

Amalfitani sconfitti dai Pisani si sarebbero visti privati del Digesto denominato

Lettera Pisana divenuta poi Fiorentina in quanto i Pisani furono sconfitti dai

Fiorentini. Angelo Poliziano racconta che da ragazzo andava a Firenze dove al

Palazzo Vecchio era esposta la Littera tra 4 ceri.

I bolognesi non studiano sulla Littera Fiorentina ma su quella Boloniensis (o

Vulgata). Dobbiamo rcordare due tesi:

la Vulgata proviene dalla Littera Pisana;

quando Giustiniano occupò Roma probabilmente lì arrivo una copiadel

Digesto. Quando i Longobardi cacciano i Bizantini, la copia finì a Ravenna

(capitale dell’esarcato bizantino) per poi arrivare a Bologna (tesi più recente).

La prima testimonianza del nuovo millennio del “texsus” (=Digesto) è il “Placito” di

Marturi che risale al 1076. che cosa vuole dire placito? Accordo, patto, strumento

notarile. Qual è la fattispecie di cui si occupa? Di un atto del monastero di San

Michele che rivendica alcuni beni ricevuti in dono circa 80 anni rima da un marchese

di Toscana. La richiesta è formulata dinanzi ad un funzionario della feudataria della

zona, la contessa Beatrice di Canossa. Questa era infeudata nella giurisdizione,

ovvero aveva il potere di amministrare la giustizia. Come fa il monastero a pretendere

beni donati 100 anni pria? Oggi non sarebbe possibile perché l’azione sarebbe

prescritta. Si ha inoltre la restitutio in integrum quando il giudice non può soddisfare

il soggetto nel suo diritto. Questo principio è desunto da un brano di Ulpiano, che è

presente nel Digesto, rimandando così al suo ritrovamento.

25

Page 26: l'età moderna

Il Placito di Marturi cade nel 1076, data fondamentale in quanto il diritto in questo

periodo è studiato come scienza. Le arti del trivio toccano tutte il diritto e realizzando

una rilettura delle fonti antiche. Il diritto come sapere fino alla scuola di Pavia inclusa

non è una scienza, in quanto non esistono quei requisiti che ci fanno pensare che il

diritto abbi le sue regole e principi. Chi studia il diritto è prima di tutto un artista

(esponente delle arti); ciò varrà per i primi studiosi bolognesi. Quando il diritto si

isola dalle arti liberali? Con la scola di Bologna.

La scuola di Bologna.

Quando è nata? Si dice che il primo anno accademico possa essere stato circa il 1080-

1081. Irnerio, fondatore della scuola bolognese, riscopre il Digesto. Il primo cronista

della scuola di Bologna (1080-1250) è un giurista del 1200 di nome Odofredo. Cosa

racconta della storia precedente (1080-1200)? Scrive una lettura al Digesto. La

“Lectura” è uno studio che nasce daall’università. In questa opera dice che un certo

signore Pepo (Pepone) cominciò “auctoritate sua a legere in legibus senza lasciare

traccia della sua fma”. Un altro signore di nome Yrnerius sempre nel 1080 mentre

insegnava arti a Bologna allorché furono testualmente deportati i libri legales

cominciò “per se studere” nei nostri libri e studiando cominciò a “legere in legibus”.

Innanzitutto Odofredo cita Pepo e Irnerio dicendo di questi due affermazioni alquanto

diverse. Pepo svolse un’attività rimasta fine a sé stessa: legere in legibus, ovvero

insegnare diritto. Non ci dice niente di preciso sul diritto, a parla di legge. Si dice che

le leges di Pepo fossero le stesse di Irnerio. Pepo non fu però un caposcuola. Chi lo

mise in cattedra? Nessuno, ma solo di sua iniziativa. Nella cultura giuridica

medievale il diritto non è tanto imposizione dall’alto soprattutto dal punto di vista

scientifico. Sarebbe stato indispensabile che un giurista seguisse nelle lezioni il

legislatore.

Diversa è la situazione di Irnerio. Insegnava “in artibus” a Bologna, ovvero le arti

liberali.c’è un fatto però che gli cambia la vita:quando arrivano i Libri legales. Per

Odofredo questi libri sono il Corpus Iuris. Tale affermazione dà appiglio alla tesi

26

Page 27: l'età moderna

secodo cui il Digesto sarebbe arrivato da Ravenna. Questo corso della vita lo cambia

in due fasi: studia per conto proprio, e studiando cominciò a insegnare diritto.

Il Placito di Marturi cita Pepo. Un’altra testimonianza su Pepo è il Placito Lombardo

che risale ad un periodo compreso tra il 1081 e il 1094. la decisione presa di fronte

all’imperatore Enrico IV. Cosa stabiliva il Placito?c’era stato l’omicidio di un servo e

l’assemblea stabilisce di comminare una pena pecuniaria (bassa) applicando il diritto

longobardo. Ciò suscita in Pepo una reazione negativa considerando la decisione

ingiusta ed invoca al posto della pena pecuniaria la legge del taglione. Si pensa che

Pepo sia un ecclesiastico che conosce la Bibbia. Sostiene poi che il diritto naturale

deve contare più del diritto positivo.

Irnerio.

Irnerio era tedesco e molto probabilmente il suo nome era Wernerius. Sue notizie

risalgono al 1110-1116; appartiene al seguito dell’imperatore EnricoV. Irnerio

secondo il cronista Bulcardo, ebbe dei contatti con la contessa Matilde di Canossa,

nemica degli imperatori. In cosa consiste questo contatto? La contessa chiese a

Irnerio di renovare i libri legali. Cosa significa? Secondo alcuni, Irnerio era anche

legato agli ambienti canossiani, ecclesiastici. Oggi si ridimensiona questa richiesta ad

un’edizione critica, ovvero ad un lavoro filologico sul Digesto. Irnerio in seguito

aveva riconosciuto la genuinità dell’Authenticum e riconosciuto il Digesto; per

questo era filologo.

Nel 1118 Enrico V va a Roma per cercare di far eleggere gli anti-papi, Irnerio è

schierato dalla parte dell’Impero subendone le conseguenze (scomunica con

emarginazione dalla società e morte civile). Questa posizione di Irnerio significava

attribuire alla scuola di Bologna un significato politico. Pochi anni prima del 1073

c’era stata la riforma gregoriana; la scuola di Bologna sarebbe la reazione imperiale

alla riforma voluta da Gregorio VII, che decide di accentrare tutto il potere della

Chiesa nelle sue mani e di ergersi come signore del mondo. Si può pensare che la

scuola di Bologna sia il tentativo dell’impero di formare una propria ideologia

27

Page 28: l'età moderna

contrastante con la Chiesa. Bologna è un punto strategico che lega Roma al cuore

dell’Impero.

Irnerio elabora una tesi a proposito della “Lex Regia de Imperio”. Cosa è? È una

legge forse mai esistita (69d.C. con Vespasiano) che stabiliva un principio: il populus

Romanus avrebbe rinunciato ad esercitare la sovranità nel “condere legis” (=fare le

leggi) all’imperatore. Ci sono due teorie:

il popolo avrebbe trasferito all’imperatore definitivamente la titolarità

dell’imperio (soluzione più verticistica);

il popolo ha dato all’imperatore una delega all’esercizio della sovranità

revocabile in ogni momento (soluzione pi democratica).

Che posizione assume Irnerio di fronte alla lex Regia? Chi aderisce dice che il

legislatore viene prima di tutto. Nel Corpus Iuris vi sono due brani tra loro

contrastanti.

6 a Lezione 16/03/2005

(segue) La scuola di Bologna. Irnerio.

La posizione di Irnerio nella Lex Regia tende più verso la prima ipotesi.

Nel Digesto a proposito del poter fare le leggi si legge un brano di un giurista

romano, Salvo Giuliano, il quale si chiede se una legge possa essere abrogata da una

desuetudine. Se io credo che il popolo fa le leggi si può abrogare la legge per

desuetudine. Che differenza c’è se un popolo manifesta la sua volontà col voto

oppure con i comportamento concreti? Si ha questa affermazione perché il Digesto

contiene gli iura. Diverso è l’indirizzo che emerge dal Codex che contiene le leges

degli imperatori. In particolare una famosa costituzione di Costantino dice che la

consuetudine vince sulla legge purché non sia “contra legem” e “contra rationem”.

Consideriamo il contra legem: la consuetudine non può abrogare la legge, di cui si ha

una concezione imperativa.

Irnerio è uno dei primi studiosi del Digesto e quindi si pone il problema. Questo è

risolto in una glossa, in cui si dice che la consuetudine può abrogare la legge; aveva

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Page 29: l'età moderna

ragione Salvio solo perché non conosceva la Lex Regia de Imperio. Il “trucco”

interpretativo sta nel dichiarare il falso in quanto non è vero che Salvio Giuliano non

conosceva la Lex Regia se consideriamo la sua origine nel 69 d. C. Irnerio non può

che assumere questa posizione perché è seguace dell’Impero, e in questo modo può

rilanciarne l’ideologia, in quanto era stato messo in difficoltà dalla riforma

gregoriana.

Di lì a poco l’Impero subisce una dura batosta da parte dei Comuni della Lega

Lombarda; la tesi di Irnerio quindi funziona nei primi decenni del 1100. anche il

diritto rispecchia questa evoluzione degli eventi politici. Un giurista del 1200,

Azzone accoglie la tesi di Irnerio, tuttavia dice che il popolo ha conservato alcune

“reliquie” dell’imperium presso di sé, ovvero non si è spossessato de diritto di fare le

leggi.

Dopo enti anni un altro giurista, Ugolino De Presbiteri, a proposito della Lex Regia

dice che questa è semplicemente un trasferimento dell’esercizio e non della titolarità

del fare le leggi.

Nel frattempo l’Impero perde colpi e i Comuni acquistano maggior potere; Azzone e

Ugolino percepiscono questa atmosfera.

La tesi di Irnerio si presta ad una considerazione politologia: il modo di concepire il

diritto come se tutto fosse concentrato nel potere politico è definito da Mc Ilwain

come “sovranità discendente”, ovvero dall’alto in basso. Questi dice che in

Inghilterra lo stesso diritto romano ha dato via ad una sovranità ascendente (dal basso

verso l’alto).

Il potere di fare le leggi: “lex facit regem” e “rex facit regem”.

Bisogna chiarire un equivoco. Consideriamo la “lex facit regem” e “rex facit legem”

per chiarire come funziona il potere di fare le leggi secondo i giuristi medievali. Per

molti secoli la legge è stata uno strumento da usare con moderazione non solo per

risparmiare in termini giuridici, ma anche perché la legge è una goccia nel mare del

diritto. Si parte da questa mentalità: il diritto è un dato, è già dato,non bisogna farlo

(oggi invece bisogna sempre fare diritto). Il Digesto soprattutto, come pure il Corpus

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Page 30: l'età moderna

Iuris è considerato un testo sacro che non si può toccare discutere mentre tutto il resto

è di serie Z. ciò deriva da motivi storici di lunga durata. Nell’Alto Medioevo non

abbiamo un potere politico centrale (forse solo i carolingi con i capitolari); è l’età del

reicentrismo, dell’ontologismo; si ha il primato della consuetudine. Si facevano le

considerazioni di effettività e da qui si parlava di diritto. Dopo l’anno 1000 abbiamo

una rifioritura dei commerci delle città, c’è una maggiore complessità della società

che richiede l’istituzione di regole più forti garantite dalla Chiesa con la riforma

gregoriana e dall’Impero con la scuola di Bologna. Vi è tuttavia una differenza: nella

Chiesa i papi fanno le leggi (decretali); l’Impero anziché fare diritto escogita un’altra

istituzione: quale diritto va a pescare? Il diritto romano nella versione giustinianea è

usato come forma di legittimazione politica da qui l’Impero si configura come

continuazione di quello romano. Di conseguenza i nuovi “Giustiniano” non toccano il

diritto romano.

Dal 1100 in poi i è alla ricerca della validità e non più dell’effettività del diritto. La

norma valida è quella del Digesto e più in generale del Corpus Iuris. Oggi una norma

è valida quando è posta secondo dei parametri formali, ovvero da un’autorità

legittimamente preposta ad emanarla. Nel Medioevo non è così: la validità è data da

un elemento di autorità non tanto politico quanto scientifico. Il salto di qualità

compiuto per merito dei giuristi e non per volontà politica (Enrico V è probabilmente

uno zoticone). Il “timbro” non è dato dal potere politico ma dalla dottrina ovvero

dalla “scientia iuris”.

Questa concezione blocca il diritto romano che non è disponibile, perciò non è

prodotto ma dato. Il diritto rappresenta un’entità così importante, così autorevole che

sta sopra anche agli stessi capi politici. Perché questa logica? Il diritto è già dato e sta

prima del potere politico. Se io sono imperatore mi devo piegare al diritto; si crea una

gabbia giuridica per l’esercizio del potere politico. Ciò è definito come il

“costituzionalismo medievale”. Oggi è il limite all’esercizio del potere legislativo. È

possibile che un concetto così moderno fosse conosciuto ai tempi di Irnerio? Per loro

la lex viene prima del rex (chi fa le leggi). Vale il principio “lex facit regem”: è la

legge che stabilisce chi debba essere re e come deve esserlo. Nel 1400 il rapporto si

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Page 31: l'età moderna

inverte in quanto “rex facit legem”, ovvero è il potere politico che fa il diritto. Tale

concezione è più vicina alla nostra.

La riforma gregoriana.

La svolta è data dalla riforma gregoriana nel 1073 da Gregorio VII (=Ildebrando di

Soana) che elabora un’opera famosissima con la quale afferma la superiorità del

papà. In seguito ci sarà il “Dictatus Papae”, una summa che contiene in termini

giuridico-politici le regole che il papa impone al mondo. C’è un punto inerente al

rapporto lex- consuetudo da cui emerge che il principio volontaristico non prevale

solo a livello imperiale ma anche in maniera meno ovvia per la Chiesa. Gregorio VII

va a ripescare un passo di un padre della Chiesa Pertuliano, in cui si dice che Gesù

aveva predicato anche questa massima: “ego sum non consuetudo sed veritas”.

L’effetto giuridico è una svalutazione della consuetudo a favore della volontà.

All’interno della organizzazione della Chiesa non conta come ci si è sempre

comportati ma ciò che dice il papa. È una logica parallela a quella logica di Irnerio.

Dopo Irnerio.

Irnerio lascia la scena; vi sono però 4 “dottori” (=allievi) che occupano un ruolo

politico dominante: Bulgaro, Martino, Ugo e Iacopo. Questi saranno accusati di un

guaio.

Nel 1158 si verifica la Dieta di Roncaglia, un’assemblea che mette insieme

l’imperatore Federico Barbarossa e i comuni lombardi. Questa segna la

vittoriaschiacciante di Federico Barbarossa, che impone il primato mondiale su una

serie di regalie che attengono al rex. Il primato riguarda la giustizia, le imposte, le

tasse, e così via. Chi sta al fianco di Barbarossa? I 4 dottori. Dato che nella storia

italiana successiva la Deta di Roncaglia è un fatto negativo, i 4 dottori appariranno

come delinquenti. Placentino li definirà “miserandi”.

Nel 1167 si forma la Lega Lombarda; nel 1176 si ha la battaglia di Legnano in cui

vince la Lega lombarda.

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Page 32: l'età moderna

Nel 1183 Federico Barbarossa nella pace di Costanza è costretto a riconoscere ai

comuni il godimento di alcune prerogative: una fetta di giurisdizione, un numero di

magistrati propri.

Non ci sono più ragioni per cui la scuola di Bologna si schieri dalla parte dell’Impero;

si ha così una depoliticizzazione del giurista. I giuristi si distaccano dall’impegno

politico; dopo Costanza si afferma una concezione del rapporto diritto-politica per cui

non conviene che il diritto si ingerisca troppo nella politica. Il diritto è così un sapere

neutro, una tecnica buona per tutte le stagioni. Ne dà prova la scuola di Bologna che

resta prevalente nell’ambiente scientifico a prescindere dal colore politico. Tale

cambiamento si ha tra Irnerio e i dottori.

L’equitas.

Nel diritto medievale la parola chiave è l’equitas, che serve a colmare quelle parti che

non hanno cittadinanza altrove. Si tratta di un diritto antichissimo, è un concetto

astratto filologico che emerge tra i giuristi civilisti (glossatori) e canonisti.

Parliamo dell’equitas civilis. Il diritto civile riguarda i cives, ovvero la vita secolare.

Dato che coincide col diritto romano, di conseguenza “ius civilis”=”ius romanus”. Si

dice che Bulgaro e Martino avessero due concezioni diverse della equità. Per Martino

l’equitas è un sentimento di giustizia vago che ispira tutti i comportamenti, è un

canone interpretativo da tenere sempre presente. Secondo lui la donna dovrebbe

succedere nel feudo (a differenza di ciò che dicono i Longobardi) perché altrimenti si

avrebbe una ingiustizia.

Bulgaro dice che l’equitas non può mai prevaricare il senso letterale delle parole. Se

la legge fissa una certa regola l’equitas sceglie tra le interpretazioni quella più equa

ma non può cambiare il senso della lettera della legge. Ciò ci fa capire la presenza di

due stadi dell’equitas:

uno generico detto “equitas rudis” a cui si riferisce Martino (equità vaga);

uno detto “equitas costituta”, ovvero incarnatasi in norma scritta nella realtà

giuridica (posizione più vicina a quella di Bulgaro).

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Page 33: l'età moderna

Pensiamo alla parabola del figliol prodigo: la Chiesa non crede che gli uomini sono

tutti uguali nel senso (giuridico) che ciascuno di essi richiede una “terapia” per

garantire la salvezza dell’anima. L’equitas è uno strumento interpretativo che deve

servire a temperare il “rigor iuris”, ovvero la rigidità del diritto. Se il diritto fosse

rigoroso determinerebbe le ingiustizie. L’equitas serve ad interpretare la legge in

maniera benigna (“benignitas”). Grassi fa un esempio: dei diaconi si sposano contro il

celibato; il vescovo scrive una lettera per chiedere lumi al papa che gli risponde di

comportarsi in maniera diversa a seconda dell’atteggiamento dei diaconi: un

atteggiamento rigoroso per coloro che si spaventeranno e torneranno nel grembo della

Chiesa e la “tolerantia” verso coloro che rimarranno nell’ambito della Chiesa. Questo

è un classico esempio sulla interpretatio equitativa.

La glossa.

La scuola di Bologna è detta dei glossatori dal nome della glossa. I glossatori

insegnano il diritto in maniera vivente e cercano di renderlo attuale. Si uniscono due

esigenze: di spiegare e dall’altra parte di non modificare il testo considerandolo sacro.

Si ritiene che il libro non sbaglia, bensì il lettore per il limite umano andava incontro

ad errori. Questo chiarimento è la glossa, fra setta che chiarisce un passo, soprattutto

del Digesto. Quando la Vulgata è riprodotta n più manoscritti si ha la glossa

interlineare tra una riga ed un’altra. In seguito questi chiarimenti aumentano e la

glossa diventa marginale, ovvero a margine del “folio” (=foglio). Si ha un’inversione

del rapporto tra texsus e le glosse.

Ci sono poi altre forme di scrittura più evolute tra cui abbiamo le “summae” e le

“quaestiones”. Le summae sono dei riassunti e sono la parte più sciatta e scadente

della letteratura dei glossatori perché ricorda la parte della letteratura altomedievale

che è legata ai riassunti. La differenze tra le summae altomedievali e tardomedievali è

che ora c’è di mezzo il Digesto.

Le quaestiones sono dispute, confronti tra punti di vista. La quaestio rispecchia la

dialetica medievale che parte dal presupposto che il mondo è brutto ma è la nostra

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Page 34: l'età moderna

pochezza mentale che ce lo mostra così. L’intellettuale deve usare la dialettica per

arrivare alla conoscenza.

I giuristi bolognesi prima inventano queste contrapposizioni creando le “quaestio

legittima”: si prendono due brani dal Corpus Iuris in astratto e si cerca di superare la

contraddizione. I glossatori sono già più evoluti perché fanno dei confronti e quindi

degli spostamenti.

La quaestio diventa poi oggetto di esercitazione: un maestro si inventa un caso

pratico e invita gli studenti a risolvere il caso. Abbiamo così la “quaestio di facto”.

Un ultimo stadio si ha quando i glossatori si rivolgono alla realtà: “quaestio ex facto

emergens”. Ciò indica la tensione verso la prassi che caratterizzerà le scuole

successive.

La scuola di Bologna si chiude con Accursio che scrive un’opera monumentale che

va sotto tre nomi diersi: “Magna Glossa” o “Glossa ordinaria” o “Glossa”. Nel 1250

(data discussa) si avrebbe la Glossa. Oggi la retrodatano intorno al 1228-1230. cosa è

la Glossa? È un contenitore di glosse precedenti e di quelle di Accursio, in tutto

97000. Accursio è un giurista modesto, poco originale, corrotto. Una frase della sua

Glossa dice che il giurista medievale ritiene che il diritto è il sapere per antonomasia;

da qui “omnia res in iuris inveniuntur” (=tutto lo si ritrova nel diritto).

7 a Lezione 22/03/2005

(segue) La fine scuola di Bologna. Dottrina e giurisprudenza.

Con Accursio si chiude la stagione della glossa come pure il lavorio dei glossatori

che diventa assimilabile ad un testo. Nella pagina del Corpus al centro abbiamo il

testo e tutto intorno vi erano le glosse che erano preponderanti. La dottrina assume un

valore equiparabile a quello della legge. Il diritto giustinianeo risponde ad

un’esigenza di validità. Se l’Alto Medioevo è l’epoca dell’effettività e il Tardo

Medioevo della validità (vedi VI lezione) questa non è il prodotto di un sovrano ma

di un’autorevolezza diversa (della dottrina). Si dice che la dottrina medievale ha un

valore probabile. Oggi “probabile” si lega ad una previsione statistica basata

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Page 35: l'età moderna

sull’esperienza (vi è un concetto scientifico di probabilità). Cosa vuol dire

“probabilis”? per il giurista medievale è probabile ciò che può riscuotere

l’approvazione. Sono i saggi ad esprimere un’approvazione; siccome la società è

disposta a seguire i saggi, la loro decisione è vincolante e autoritativa. Da adesso in

poi la dottrina giuridica è intesa come una realtà normativa. Ecco perché la Glossa di

Accursio circola nel Corpus Iuris fino al ‘700. anche la dottrina che si cristallizza

intorno al Corpus Iuris viene paragonata al testo glossato.

Prima gli studenti si laureavano in “utroque iure”, ovvero nella facoltà di diritto.

Perché è importante il termine giurisprudenza tanto da dare il nome alla facoltà? Oggi

la giurisprudenza (facoltà) ha il significato antico di “prudentia iuris”, ovvero di quel

tipo di conoscenza teorica che però ha una sua immediata ricaduta pratica. Nel diritto

medievale la prudentia è riflessione storica sul fenomeno giuridico (definizione

dall’antica Roma). Oggi in maniera specifica la giurisprudenza è linsieme degli

orientamenti dei tribunali giudiziari. Nel diritto medievale si parla, con riferimento ai

tempi di Accursio, di giurisprudenza nel senso di scienza del diritto. Cosa facevano i

glossatori? Oggi Irnerio & co. sarebbero qualificati come professori. Essi ansavano di

parlare e spiegare il diritto vigente. Non possiamo paragonare Irnerio Accursio ai

professori moderni, in quanto sono teorici ma non storici del diritto, giacchè si

occupano di diritto romano giustinianeo vigente. Sono convinti inoltre della sa

esistenza del diritto romano come materia nell’università e questa idea rimarrà fino al

‘700. i glossatori sono politicamente “camaleontici”, in quanto, escluso Irnerio che

era collaboratore di Enrico V e i 4 malefici dottori, i successori annusano l’aria di

pericolo per l’Impero e scappano assumendo un atteggiamento politico più

disimpegnato (1150-1250). Perciò molti di questi diventano sindaci, assumono

funzioni dirigenti nei comuni, in quanto il loro tecnicismo sembra metterli al riparo

dalle lotte tra fazioni. C’è un grande filosofo del diritto, Luigi Lombardi, il quale dice

che a partire dai glossatori è nata nella cultura occidentale l’idea che il giurista sia

anche un uomo di potere e che il diritto sia un linguaggio del potere. Ancora oggi il

diritto nella sua attuazione segue meccanismi politici. Questo discorso, fino a qualche

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Page 36: l'età moderna

anno fa, era più comprensibile in quanto il 40-50% dei deputati del Parlamento erano

avvocati o professori di diritto.

Le scuole minori.

Negli ultimi 10-15 anni della scuola di Bologna il suo ruolo è stato ridimensionato.

Abbiamo così le scuole minori.

Queste fioriscono tra il 1100-1200 intorno alla scuola di Bologna in due aree

geografiche. La prima è la Francia meridionale (Provenza), che prima applicava la

Lex Romana Wisigothorum a livello territoriale (vedi II lezione). Qui nascono scuole

autorevoli di diritto e tra i giuristi Piacentino va ad insegnare a Montpellier. Abbiamo

poi altre scule nell’area padana: Mantova, Piacenza, Modena.

Forse a Piacenza, un anonimo scrive un’opera molto famosa ed importante: le

“Quaestiones de iuris subtilitatibus”. A che periodo risale? Le quaestiones sono un

genere letterario bolognese che mette a confronto tesi medievali per cercare la

migliore; tuttavia hanno qualcosa di più. Vi è infatti un fortissimo attacco alle leggi

longobarde e per contro un’esaltazione del diritto romano (come nel Placito

Lombardo di Pepo: vedi V lezione). Se il primato del diritto romano non è scontato

ma prevale fortemente, la data delle Quaestiones è riferibile ad un periodo di

emersione del diritto romano sugli altri, ovvero tra il 1158-1160 durante cui c’era

stata la Dieta di Roncaglia che aveva visto il primato dell’Impero con federico il

Barbarossa.

Esaminiamo due punti importanti delle Quaestiones. Il Proemio è l’introduzione.

L’anonimo raffigura il “templum iustitiae”. Come lo scrive? Come un tempio al cui

centro c’è una luce abbagliante emanata da una statua che l’uomo non può guardare.

La luce però è schermata dalle pareti di vetro con delle scritte in latino. La giustizia è

al centro; le statue intorno rappresentano i valori come la pietà, la ratio. La giustizia

emana una luce che l’uomo non può guardare; ciò indica che la giustizia non è di

questo mondo. Sulle pareti sono scritti versi del Digesto; il diritto romano è lo

schermo illumina dalla vera giustizia, in quanto è più vicino a questa.

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Page 37: l'età moderna

Un altro punto della Quaestiones è relativo all’equivalenza. L’anonimo scrive: “unum

imperium unum ius”. Laddove esiste un solo potere, lì deve esistere un solo diritto.

Qual è il solo diritto? Il diritto romano giustinianeo che è la parte normativa di questo

aspetto istituzionale. Ciò sarà ripreso al rovescio nella teoria istituzionale di Santi

Romano secondo cui ad ogni istituzione corrisponde un ordinamento giuridico.

Tuttavia il diritto romano non è il solo in questo periodo. La tradizione longobarda

sopravvive soprattutto per il diritto feudale. Il feudo è un modo di concepire la vita

sociale che dura fino a Napoleone. Il diritto feudale è consuetudinario non romano in

quanto questo non conosceva il feudo.

Il dominio diviso.

Il “dominium” è la proprietà di oggi, ossia la “disponibilità piena dagli inferi fino alle

stelle”. Il diritto medievale conosce più forme di proprietà sullo stesso bene. Quando

il proprietario non può occuparsi direttamente del bene deve dare l’incarico ad un

altro soggetto, che sfrutta il bene divenendo quasi proprietario. Per questo si hanno

più proprietà e quindi il dominio diviso. Questo passa tra un titolare formale del bene

(“dominus directus” a favore del direttista) e un soggetto che sfrutta al massimo un

bene (“dominus utilis” a favore dell’utilista). Il rapporto tra i due soggetti non è

previsto dalle fonti del diritto romano. Per le questioni sui feudi si ricorre al diritto

longobardo immerso nella società feudale.

Rispondendo alla mentalità del giurista medievale i glossatori prendono un passo del

Digesto e con una “interpretatio” lo adattano alle esigenze del tempo. Come fanno i

glossatori ad usare un diritto giustinianeo? Con la interpretatio. Cosa vuol dire? Non

è l’interpretazione, ma una rilettura dei testi antichi con un forte tasso di creatività. Il

giurista è così autorevole, conta molto nell’opinione pubblica che la sua interpretatio

ha valore di legge. Non si limita ad attribuire un significato alla norma.

Il Medioevo prevede quindi una fortissima carica creativa da parte dell’interprete che

crea ex novo una norma. Nel caso del dominio diviso, i glossatori ripescano un brano

del giurista romano Paolo. Questi aveva descritto un fenomeno che va sotto il nome

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Page 38: l'età moderna

di “agri vectigales”, terreni che l’imperatore dava in concessione ai soldati più

valorosi. Era un concessione con una particolarità: il beneficiario fruiva di un’azione

reale, ovvero di un’azione in giudizio che faceva valere i suoi diritti erga omnes, cioè

verso tutti i consociati. Il beneficiario era così simile al proprietario che disponeva di

un’azione erga omnes.

I glossatori interpretano questo brano come se il concessionario di cui parlava Paolo

fosse l’utilista. Applicano una norma di diritto romano in campo pubblico come fosse

una norma di diritto privato, pietra miliare del feudo. Gran parte del diritto feudale è

patrocinato dal diritto longobardo. Secondo un aneddoto, un giovanotto che andò a

studiare da Milano a Bologna, di nome Anselmo dall’Orto, dopo poche lezioni scrive

al padre giudice di essere sorpreso per quello che studiava all’università di Bologna.

Siamo nel 1154-1158. Anselmo scrive: “come mai non si studia il diritto feudale?” Il

padre, Oberto dall’Orto dice che è normale che non lo si studiasse. Scrisse una lettera

di spiegazione grande quanto un libro, riguardante gli usi feudali. La prima edizione

si chiama “Libri feudorum”. Questi hanno conosciuto tre redazioni:

1. redazione obertina (della genesi:1154-1158), più attenta agli usi longobardi;

2. in seguito Federico Barbarossa emesse delle costituzioni che rientrano nella

seconda redazione detta Ardizzoniana intorno al 1200. si riteneva che fosse

curata dal giurista Jacopo da Ardizzone. Questa redazione contiene in aggiunta

le costituzioni di Barbarossa;

3. redazione accursiana (di Francesco d’Accursio). Siamo nella prima metà del

1200. la novità è che intorno al 1220 un certo signore di nome Ugolino de

Presbiteri prende i Libri feudorum e li trascrive nel Corpus Iuris precisamente

nel V volume, già contenente le nove collationes delle novelle nella versione

dell’Authenticum a cui si affianca la decima collatio inventata da Ugolino. Ciò

ha delle ricadute pratiche: si apre una prima fessura nel Corpus Iuris al

materiale fresco, legato alla vita reale, dei tribunali, anche se di serie Z. si ha

così la consacrazione editoriale dei Libri feudorum.

Ai tempi di Accursio il diritto romano conforma tutto il restante diritto a sé.

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Page 39: l'età moderna

Le due facce del diritto e del potere.

Fino ad ora abbiamo parlato del diritto romano, scientia iuris in grado di appiattire a

sé tutte le forme giuridiche contemporanee. Abbiamo un lato spirituale della vita;

l’uomo quindi è un uomo “diviso”. Le due facce della realtà, terrena e spirituale, si

riflettono sul potere. Il potere sulla Terra spetta in sostanza solo a Dio, in quanto è

“dominus Mundi”. I cristiani attribuiscono al papa il nome di “vicarius Cristi”. Verso

la fine del ‘400 (1496) c’è un pontefice, Gelasio I che litiga con il suo “dirimpettaio”,

l’imperatore d’Oriente, ricordandogli un principio: il mondo si regge su due somme

dignità. La prima è la “auctoritas” dei pontefici; l’altra è la “potestas” dei re.

L’auctoritas è un potere più astratto, di chi convalida il potere altrui; la potestas è la

forza fisica, il potere coercitivo legato al piano terreno più che spirituale. Per tutto

l’Alto medioevo il principio gelasiano starà a significare che la Chiesa è sovrana “in

spiritualibus”, l’impero “in temporalibus” (in vita “mondana”).

Da una parte e dall’altra, in seguito, il principio scricchiola. Il primo a dare un colpo a

questo principio è il papa Gregorio VII con la riforma gregoriana nel 1076 (vedi VI

lezione). Questa si sostanzua in una norma chiamata “Dictatus papae”. Il papa qui

rivendica la sua libertas (=indipendenza della Chiesa), a se stesso il potere di deporre

l’imperatore oltre i vescovi (è questa l’età dei vescovi-conti). Il papa decide ancora le

cause ecclesiastiche, dando l’ultima parola. Nel 1076 Gregorio VII proclama il

principio dell’infallibilità del papà: tutte le informazioni rilasciate dal papa “ex

cathedra” devono considerarsi infallibili.

Da Gregorio VII in poi i papi inizieranno a produrre molto diritto.

Il diritto della Chiesa.

Il diritto della Chiesa in questo periodo si divide in due grandi famiglie:

i decreta pontificia: sono le decisioni prese dal papa sul caso singolo con valore

generale;

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Page 40: l'età moderna

i canoni: sono i provvedimenti presi dai concili, ovvero dalle assemblee di

vescovi.

In un sistema in cui il papa è potente i decreta contano più dei canoni.

8 a Lezione 23/03/2005

(segue) Il diritto della Chiesa.

Il decreto è anche il termine con cui si contrassegnano le prime raccolte del diritto

della Chiesa, tra cui ne ricordiamo due.

Il primo decretum è di un alto prelato francese, Ivo de Chartres, e risale al 1094. che

cosa contiene? Non è favorevole (forse) a ciò che ha proclamato Gregorio VII in

quanto molte volte sembra limitare il potere del papa. Ivo distingue due livelli del

diritto della Chiesa:

1. “ius divinum”;

2. “ius humanun”.

1. Lo ius divinum consiste nelle leggi sacre, ovvero in quella parte del diritto della

Chiesa che ha voluto direttamente Dio (Bibbia, Vangelo, Sacre Scritture e così

via). Questa parte del diritto è intoccabile.

2. Lo ius humanum è immaginato da Ivo come un cerchio concentrico più lontano da

Dio e riguarda numerose regole. Qual è? È quella parte del diritto del diritto della

Chiesa emanata da questa stessa che può essere modificata.

Mentre il diritto in quegli anni a Bologna è ripescato dal glossatori che lo considerano

come dato, la Chiesa invece produce un diritto nuovo. Agli inizi del 1100 quindi la

Chiesa fa diritto, mentre il potere secolare lo conserva.

Ivo è francese; nel 1140-1142 abbiamo una risposta al suo decreto. L’autore di questo

decretum è Graziano, un monaco camaldolese. Questi raccoglie tutte le norme della

Chiesa, va a scavare nel passato per individuare quali sono le leggi della Chiesa nei

secoli passati. Quali sono le fonti da cui attinge Graziano? Le leggi della Chiesa

(canoni e decreti) degli ultimi secoli dell’Alto Medioevo e i primi del Tardo

medioevo, le leggi romano barbariche (tra cui la Lex Romana Wisigothorum), tutto il

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materiale romanistica consistente nelle operette di diritto romano accomodate all’uso

della Chiesa, tra cui la Lex Romana Canoniciae Compta (vedi IV lezione). A queste

si devono aggiungere le Sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento). L’opera di

Graziano ha in origine un altro nome ufficiale: “Concordia discordantium canonum”

(concordanzadi canoni discordanti). I canoni sono tutte le norme della Chiesa. Perché

sono i discordanti? Perché come tutti i giuristi medievali anche Graziano è convinto

che l’uomo sia fallibile e tutto ciò che gli appare contraddittorio è frutto dei suoi

limiti. In altre parole, mentre i glossatori nel frattempo compiono un’operazione

parallela di interpretatio, sul fronte canonistico Graziano scioglie le contraddizioni sui

testi canonici. Come Graziano realizza questa concordia? Si distinguono due tipi di

intervento. Abbiamo le auctoritates e i “dicta” (=commenti). Le auctoritates sono le

fonti suddette; il commento è quello che fa Graziano nel testo e mire a superare le

contraddizioni delle fonti. Il metodo del commento è il cosiddetto metodo di

Abelardo, filosofo che aveva inventato il metodo logico di “sic et non” (= del sì e del

no). Uno dei modi per conoscere e ragionare infatti era di mettere una tesi a confronto

di un’altra per far emergere la verità. Ciò nasce dalla considerazione che il mondo è

brutto i quanto l’uomo è caratterizzato dalla pochezza (vedi VI lezione). Si

confrontano così le leggi e si emette un commento per superare la contraddizione.

Si dice che Graziano sia il padre della canonistica occidentale, ovvero della scienza

del diritto canonico.

Dopo Graziano, nella seconda metà del 1100, i papi che non hanno considerato il

decreto di Graziano intensificano la loro produzione legislativa. Queste leggi si

chiamerebbero decreti ma per tradizione tutte le opere papali promulgate dopo

Graziano sono dette “decretali2. in particolare ricordiamo due papi: Alessandro III e

Innocenzo III, molto importante nella storia del processo (Tribunale

dell’Inquisizione). Abbiamo delle compilazioni dette “extravagantes”, ovvero che

stanno al di fuori del decreto. Le entravagantes formano le “Quinque compilationes

antiquae” (1191-1226).

Ci affacciamo al XIII secolo. Nel Mezzogiorno c’è Federico II che si scontra con i

papi, in particolare con Gregorio IX. Questi viene a sapere dalle sue spie che

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Page 42: l'età moderna

Federico II sta per pubblicare il “Liber Augustalis” (nel 1231 a Melfi), raccolta di

costituzioni. Per prevenire questa mossa dà un incarico ad un signore ad un signore di

nome Raimondo de Penafort, giurista spagnolo domenicano di pubblicare il

“Liber Extra” (1234), contenente tutte le decretali emanate dalla Chiesa dal tempo di

Graziano in poi, compreso le 5 compilationes. È vero che il Liber Extra realizza lo

stesso proposito di Graziano? Sì perché si raccoglie il diritto vigente. La differenza

però è che, mentre Graziano è un monaco privato e la sua opera non ha avuto

riconoscimento ufficiale, Gregorio IX è un papa e il suo libro porta il “timbro della

Santa Sede”. In questo modo sono vietate altre redazioni della sua opera senza la sua

autorizzazione.

L’età dello ius commune.

La convergenza di diritto canonico e civile.

Prima ancora del Liber Extra i civilisti (Bologna) e i canonisti seguono binari diversi.

Il primo contatto tra i due mondi si ha con un giurista pisano, Uguccione, vissuto alla

fine del 1100, che scrisse la “Summa decretorum”. Si ha un accostamento di due

termini di radici diverse: la summa indica un genere di sintesi di parti del Corpus

Iuris Iustinaneo. Uguccione infatti aveva studiato a Bologna. I decretorum fanno

riferimento al diritto canonico. Uguccione sostiene che vi sono due casi in cui il

diritto canonico può contrastare il diritto civile. La Chiesa a volte può preferire

l’applicazione del diritto giustinianeo quando è preferibile; negli altri casi la materia

canonistica prevarrà sullo ius civile. Uguccione ragione come se il diritto canonico e

quello civile facessero arte di un unico sistema. Con lui parte la convergenza tra i due

ordinamenti e costituisce il carattere più comune del diritto tardo medievale: lo ius

comune. Dopo il Liber Extra si moltiplicano i giuristi che lavorano sui due fronti

anche perché la scuola di Bologna sviluppa l’approccio scientifico, seguito dai

commenti. Tra questi giuristi ricordiamo Sinibaldo de Fieschi e Innocenzo IV.

Sinibaldo ha formulato per la prima volta la tesi della persona “ficta”. Prima di

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Page 43: l'età moderna

Innocenzo IV quando un soggetto lasciava alla sua morte dei beni alla Chiesa, non

conoscendo la persona ficta, questi erano attribuiti alle mura della Chiesa.

Sinibaldo dice che quando un collegio (concili, conclavi) assume una decisione,

questa è imputata come se il collegio fosse un’unica persona. [la persona giuridica

come è intesa oggi, risale al 1800 con la Pandettistica, corrente di pensiero tedesca]

Con Sinibaldo siamo intorno al 1240. un altro canonista è il cardinale Enrico IV da

Susa (ostiense). Questi scrive un’opera nel 1250 intitolata “Summa Aurea”. Summa è

un termine civilistico. In questa opera si sostiene che due aspetti della vitagiuridica, i

canoni e le leges, debbano necessariamente convergere. Tale operazione è compiuta

rispetto all’intero ordinamento. Viene ripetuto il principio gelasiano (vedi VII

lezione), ma Enrico IV dice che il papa è il Sole e l’imperatore è la Luna (metafora

che verrà utilizzata da Dante nel “De Monarchia”), ovvero c’è bisogno di queste due

autorità, di cui una dà luce all’altra. Siamo alla coesistenza dei due ordinamenti.

Gli storici più che i protagonisti diretti della vicenda definiscono questo periodo “età

del diritto comune”.

La storiografia di diritto comune.

Parliamo della storiografia del diritto comune, in particolare della tesi realtiva alla

giurisprudenzialità del diritto comune, ovvero del carattere legislativo o

giurisprudenziale del diritto comune.

Nel diritto comune sino alle codificazioni la giurisprudenza indica quella che oggi

chiamiamo dottrina (scientia del diritto). Abbiamo due orientamenti: quello di

Calasso (prima metà del ‘900) e quello di Luigi Lombardi.

Calasso sostiene la tesi del carattere legislativo del diritto comune, concetto di cui è

inventore. Egli dice che il diritto comune è la sintesi di due ordinamenti: canonistico

e civilistico. Calasso è un idealista che non si fa influenzare dall’attuazione pratica

del diritto. Dice che come il mondo medievale ha due facce, mondo terreno e ultra

terreno, tenute insieme, così pure il diritto si compone di due volti. Guardando dentro

questa sintesi, Calasso dice che il diritto civilistico e canonico sono due ordinamenti:

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Page 44: l'età moderna

abbiamo così il diritto di Giustiniano e le leggi del papa. La sintesi avviene mediante

integrazione della leggi romane e canoniche, ma non solo. È diritto comune anche il

sistema normativo nel senso ampio del diritto medievale. Finora abbiamo sempre

parlato di diritto romano e canonico; in realtà esistevano altre fonti locali

(consuetudini, statuti). Queste sono dette “iura propria” (=diritti propri), espressione

enfatizzata da Calasso. Egli constata la presenza di un grande contenitore, lo ius

comune, sintesi di due mondi diversi, che riguarda tutti, il concetto di ius commune è

però relativo; c’è qualche parte del diritto non “comune”, legata a determinati

soggetti, ovvero gli iura propria. Calasso sostiene che gli iura propria fanno parte del

cosiddetto sistema. Abbiamo così lo ius commune in senso stretto (sintesi di…) e in

senso ampio come sistema comprendente anche gli iura, che hanno un rapporto

stabile regolato legislativamente col livello più alto. È una ricostruzione affascinante,

ma poco credibile. Oggi infatti, quando un legislatore sceglie una norma da applicare

in prima battuta si considera quella speciale, poi quella più generale fino ad arrivare

alla Costituzione. Calasso è convinto, in quanto deformato dalla sua esperienza di

giurista, che queste regole si applichino anche nel Medioevo e che corrispondano alle

tre fasi del rapporto tra ius commune e iura per giustificare il carattere legislativo

dello ius commune.

I fase: età dei glossatori (1100-1250). I glossatori applicano prima il diritto romano e

lo ius commune ha il primato incontrastato. Gli iura sono applicati in via sussidiaria.

II fase: età dei Commentatori (1300-1400 maturo). Sono una scuola più attenta alla

prassi che fa i conti con una nuova realtà: i Comuni e le signorie cominciano a farsi

delle leggi proprie (statuti) e pretendono di imporle. Gli iura si applicano così in

prima battuta e in via sussidiaria è applicato lo ius commune.

III fase: diritto comune particolare. Coincide con la formazione dello stato moderno

(non databile; vedi I lezione). Cosa accade? Il re dota lo Stato di tribunali che

applicano innanzitutto il diritto del monarca, e in via sussidiaria il diritto comune che

scompare formalmente con Napoleone. Ogni tribunale applica come forma di

annacquamento della volontà del sovrano criteri regionali.

Le tre fasi sono regolate da principi certi.

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Page 45: l'età moderna

La tesi opposta a quella di Calasso è di Lombardi che parla di ius commune come

sistema giurisprudenziale. La giurisprudenza è intesa come scienza nel Medioevo. Gli

storici dicono che non si capirebbe nulla del diritto medievale solo se lo si studiasse

dalle leggi. Bisogna scavare altrove e tenere conto della giurisprudenza. Lombardi nel

1960 scrive il “saggio sul diritto giurisprudenziale”, in cui sosteneva che il diritto è

sempre ciò che i giuristi producono. Dimostra la sua tesi attraverso tre momenti

storici:

Età del diritto romano;

Età del diritto comune;

Età contemporanea, dove il diritto è costruito sui codici.

Lombardi dimostra che il diritto comune è tutto costruito sulla giurisprudenza, ovvero

da giuristi sotto due profili: uno di organizzazione complessiva del sistema (la

morfologia dell’ordinamento) e uno di contenuti.

Cominciamo col primo aspetto. I giuristi dell’età del diritto comune potevano in

realtà applicare la norma al caso concreto scegliendola in via discrezionale, arbitrari.

Il giurista faceva la gerarchia caso per caso. Si introduce una variabile impazzita. I

giuristi sotto il manto del tecnicismo sono i veri legislatori, in quanto decidono da

quale fonte attingere. Ciò manderebbe all’aria la tesi di Calasso.

A livello di contenuti, Lombardi dice che i giuristi stabiliscono in concreto le regole

del diritto comune mediante due meccanismi: la auctoritas e la inventio, che

funzionano insieme. Sono gli strumenti che riempiono la norma di contenuti.

La auctoritas si lega alla tesi del giurista che è probabilis, ovvero dotato di

autorevolezza probabile, che riscuote l’approvazione dei saggi (vedi VII lezione). La

auctoritas non è un’autorevolezza teorica di un grande luminare, ma pratica.

La inventio è un procedimento logico tipicamente medievale. Non la si può tradurre

con “invenzione” (=scoperta di un meccanismo nuovo, di un elemento tecnico). Qui

si intende la ricerca della verità. È una visione statica del sapere, come fosse già dato

per cui il giurista deve andare a trovare in questo mare magnum delle norme a

disposizione quella confacente al caso concreto. Crolla qualsiasi ipotesi di gerarchia

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Page 46: l'età moderna

delle fonti in quanto è il giurista che crea la norma non per sempre ma per il caso

concreto.

La inventio con la auctoritas fa sì che il giurista metta il timbro sulla norma trovata,

rendendola vincolante. Si parla di un livello scientifico che ha una ricaduta sulla

prassi.

Le scuole italiane dello ius commune: i post-accursiani.

Concludiamo con l’esame delle scuole italiane del diritto comune: i post-accursiani e

i Commentatori.

I post-accursiani sono giuristi che operano tra il 1250 e il 1300 (non molto corretta

questa catalogazione). Rispetto ai Commentatori, professori universitari che studiano

solo il diritto romano come vigente, si preoccupano di argomenti non compresi nel

Corpus giustinianeo (diritto civile). In particolare sono considerati 4 filoni:

procedura, diritto penale, statuti, notariato.

Partiamo dal processo. I glossatori non si occupano di diritto processuale, ma è la

Chiesa che ne parla nel processo romano canonico, che nasce per effetto delle

decretali, applicato anche ai tribunali laici. I post-accursiani si occupano di

procedura, anche per effetto dell’avvicinamento tra civilisti e canonisti, studiando le

regole della Chiesa. Prima i processi erano feudali, davanti al signore che decideva in

base al suo capriccio e basta, senza lasciare nulla per iscritto. Questa invece è una

regola della Chiesa. Una seconda regola è data dai tempi contingentati, entro cui

svolgere il processo anche quando si vuole impugnare l’appello.

La Chiesa ancora impone che le prove siano prestabilite. È il sistema della prova

legale, ovvero della prova il cui valore è predeterminato dalla legge. Questo ingessa

l’autorità del magistrato, obbligato ad emettere la sentenza in base a quello che hanno

detto i testimoni. Se il testimone è uno solo non si ha alcun processo..

L’ultima regola è quella della motivazione della sentenza. Il diritto dei post-

accursiani approfondisce tutte queste regole.

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Page 47: l'età moderna

Circa il diritto penale, i Libri terribiles del Digesto sono considerati dalla scienza

giuridica.

Per quanto riguarda gli statuti, questi sono studiati dai post-accursiani per capire la

realtà al di fuori della vita accademica. Alberto da Gandino scrive due opere che

mettono insieme i due aspetti: “Tractatus de malefiicis”, che parla di diritto penale

monograficamente, e le “Quaestiones Statutorum”.

Sul diritto notarile, i notai rappresentano la prassi. Il padre del notariato europeo è

Rolandino de Passeggeri, che scrive un formulario, guida dell’attività del notaio.

9 a Lezione 05/04/2005

(segue)Le scuole italiane dello ius commune: i post-acccursiani.

I glossatori sono interni allo studio scientifico del diritto giustinianeo, i post-

accursiani vanno oltre.

I post-accursiani risalgono alla seconda metà del 1200. in quel periodo vi è l’Impero,

come pure i feudi, Federico II di Svevia, la Chiesa avversaria dell’Impero, la realtà

comunale. Questa è in contrasto con la visione dei glossatori per due motivi:

I glossatori studiano un unico diritto, mentre nei Comuni si ha un’articolazione

di vari diritti detti iura propria;

(motivo più politico) i glossatori studiano il Digesto che contiene molti principi

giuridici che favoriscono la visione assolutistica del potere, che emerge da

alcune frasi della stessa opera, quali “princeps legibus solutus” o “quod

principi placuit, legis habet vigorem”. Nei Comuni il princeps è il sindaco ma

non è unico.

Il diritto nel resto dell’Europa.

L’Italia è una parte della storia del diritto occidentale. Nel frattempo c’è un mondo

europeo che va formandosi. Occorre aggiungere che altri paesi europei come la

Gallia, la Germania, hanno un altro modo di concepire il diritto. Abbiamo così due

grandi famiglie del diritto: quella di diritto civile (civil law) e comune (common law).

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Page 48: l'età moderna

In cosa si differenziano? La famiglia di civil law è convinta di essere erede della

tradizione romanistica, quella di common law no, essendo un diritto che si forma

oltre “Manica”. Non vi è ancora una spaccatura forte in questo periodo in quanto

l’Inghilterra quando è conquistata dai Normanni va per conto suo.

Nel continente invece abbiamo due categorie. Francia, Spagna e Italia, infatti,

applicano lo “ius scriptum”; i paesi dell’Europa centrale (Germania, Francia del nord)

vivono di diritto consuetudinario, non scritto. Abbiamo due matrici diverse a partire

dal tipo di fonte: per una famiglia abbiamo diritto scritto e quindi la dottrina; per

l’altra abbiamo un diritto orale.

Cosa recepiscono gli altri paesi della rinascita romanistica? Ci sono stati e ci sono

studiosi che sostengono che il diritto romano così come si diffuse nel Medioevo

potrebbe essere una soluzione per dotare l’Europa di oggi di un diritto comune, in

quanto abbiamo una situazione simile a quella del 1200, ovvero di un’Europa unita. I

giuristi del Medioevo come pure quelli di oggi propongono una stessa soluzione: il

diritto comune. Questa idea è più diffusa tra gli studiosi del diritto romano. Il

massimo esponente di questa corrente di pensiero è il prof. Reinbard Zimmermann.

Questi sostiene che il diritto romano potrebbe divenire il diritto comune di domani in

quanto gli ordinamenti giuridici europei hanno già in comune la cultura di fondo.

Inoltre il diritto romano è flessibile e la prova è data dal ripescaggio da parte di

Irnerio del Digesto. Infine se oggi ritornassimo al diritto comune questo sarebbe fatto

più dalla scienza giuridica che dai legislatori. Questa tesi chiamata

“riromanizzazione” va molto forte in Europa. Il punto debole è però dato dal fatto che

il diritto è sempre il prodotto della società che lo esprime. Il diritto comune nella

realtà era un sistema ingiusto, in cui il potere era nelle mani di qualche soggetto; era

una società feudale, di diseguali. Oggi tale sistema sarebbe improponibile.agli inizi

del II millennio, però, il diritto comune funzionò.

Il diritto comune in Francia.

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Page 49: l'età moderna

La francia prende il nome dai Franchi. A matrice del diritto germanico è una della

componenti del diritto francese. La Francia vive di due pezzi: paesi di diritto scritto (a

sud) e di diritto consuetudinario (a nord), ovvero “pays de droit ecrit” e “pay de droit

coutumier”. Con la caduta dell’Impero Romano nel sud della Francia arrivarono i

Visigoti diffondendo la tradizione romanistica. Il rapporto tra le due aree è quasi

inconciliabile. A nord infatti, dove si insediano i Franchi, si applica il diritto

consuetudinario. Cosa sono i costumi? Un sistema del genere poggia sul principio

dell’oralità e su un criterio di certificazione della consuetudine, che avveniva

mediante il notabile, depositario di una saggezza pubblica. Nella Francia del nord c’è

il problema dell’accertamento del diritto per cui si ha la nascita dei tribunali

gerarchizzati con a capo i giuristi che vivono al fianco del re. Uno dei re della Francia

nelle sue memorie si chiede “che razza di re fosse se era costretto a dormire sempre

in un letto diverso”, per dire che il potere è itinerante e il re gira.

In seguito si forma un corpo permanente detto “Curia Regis” che amministra la

giustizia soprattutto rispetto alle aree di diritto consuetudinario. Questa Curia Regis

diventa famosa fino a diventare il Parlamento. Cosa sono i Parlamenti? Sono i

tribunali evoluzione della Curia Regis, formata dai consiglieri del re.

Cosa è il diritto consuetudinario? Tutto il diritto germanico è consuetudinario. Per noi

la consuetudine è un’abitudine che si perpetua nel tempo e può diventare normativa.

In Francia è un comportamento praticatissimo nella società su cui nessuno discute e

che tende in tempi brevi a passare a diritto scritto. Questo fenomeno è chiamato

“processo di redazione scritta delle coutumes” che prevede due tappe principali:

1280= a Beavasis, Philippe de Remy raccoglie le consuetudini per iscritto;

1454= a Monteil- les- Tour, Carlo VII con un’ordinanza raccoglie tutte le

consuetudini di Francia. Si vuole accentrare il potere di formazione del diritto,

in quanto è compito del re selezionare, filtrare le consuetudini.

Si pretende di effettuare un accertamento delle consuetudini vigenti.

A Parigi vi è un’importante università dove si insegna diritto. Nel 1219 un papa,

Onorio III, proibisce nella università di Parigi l’insegnamento di diritto romano.

Sembra che in quegli anni gli studenti parigini stessero orientandosi verso lo studio di

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Page 50: l'età moderna

diritto trascurando altra materie tra cui la teologia. Ciò era sostenuto dal prof Kutner:

Onorio III voleva convogliare gli studenti allo studio della teologia. La Francia del

1200, però stava acquisendo fisionomia di Stato; dato che il Digesto presagiva un

ritorno ad un assetto verticistico, il papa voleva probabilmente evitare una sintesi

politico-religiosa. Sia il papa che l’imperatore combattono contro questo potere

accentrato e Onorio III ricorre a questo strumento.

La Francia si avviava verso una sintesi politico-religiosa. Cosa vuol dire? In Europa

vigeva il principio gelasiano (vedi VII lezione); in Francia il re pretende di essere il

capo della cosa pubblica e in parte della società religiosa (Block parlava di re che

facevano miracoli).

Il modo di concepire il potere medievale è universalistico; nei paesi moderni, fra cui

la Francia, il potere si dispone diversamente. Al re di Francia importa di essere

considerato come colui che nel suo territorio governa come fosse imperatore. Conta

così l’effettività.

La società medievale è ultracristianizzata, il re perciò si deve porre il problema della

cristianità e quindi chi gestiva il potere politico cercava di essere il capo di valori

religiosi, cosa sgraditissima al papa.

Nei paesi di diritto scritto si applica quindi il diritto romano e non a caso alcuni

giuristi bolognesi vanno ad insegnare nel sud della Francia.

Al nord, invece, nel 1235 un altro papa, Gregorio X, autorizza l’istituzione di una

scuola di diritto romano ad Orleans. Come mai? Fondamentalmente perché si tratta di

una scuola canonistica. Il re più “nemico” della Chiesa scopre che questi funzionari

del clero sono utili come consiglieri. Perché Orleans è una scuola importante? Questa

va dal 1230 circa al 1310-1320 e qui i primi insegnanti sono italiani. Il primo è Guido

de Cumis che a metà del 1200 litiga con Accursio e per questo si trasferisce in

Francia. Nella scuola di Orleans si insegna diritto romano secondo l’influenza della

dialettica aristotelica. Nel Medioevo la Chiesa per effetto della tomistica (pensiero di

Tommaso d’Aquino ovvero Scolastica; XIII sec) è ripreso il pensiero di Aristotele,

ovvero la dialettica per cui si giunge alla verità per contraddizione. Abbiamo una

versione più raffinata dell’opera di Graziano. Bisogna comprendere l’essenza del

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Page 51: l'età moderna

diritto, ovvero la ratio. Su questa il giurista lavora con la interpretatio. Il

ragionamento del giurista deve essere libero da condizionamenti. Questo è un

elemento di novità perché è introdotto un approccio critico del diritto.

Sono bistrattati i professori di Orleans a Bologna mentre sono ben accolti alla corte

degli Angiò. I bolognesi li definiscono “maximi ruminatores” (=studiosi che stanno a

ruminare su cose astratte troppo tecniche), in senso dispregiativo. Sinibaldo de

Fieschi parlava di persona ficta (vedi VIII lezione); come lui i giuristi di Orleans

parlano di “persona representada”, ovvero che le collettività politiche possono

esprimere la loro volontà come fossero persona fisica.

Ad Orleans nel 1312 è emessa una famosa ordinanza detta Editto di Orleans. L’autore

è il re della Francia Filippo IV detto il Bello, considerato il padre della monarchia

francese. Il ragionamento contenuto è molto raffinato: la Francia si regge soprattutto

sulle consuetudini e sui mores, non sul diritto scritto (=iure scripto). Vuol dire che

Filippo il Bello è più attratto dai paesi di diritto consuetudinario. Tuttavia, in alcune

parti del regno i sudditi “ex permissione nostra” e dei nostri avi applicano gli iura

scripta. Filippo poi dice che applicano i principi di diritto scritto non perché sono

vincolati ma per consuetudine. Come infatti lo studio delle arti liberali introduce alla

teologia, così i dogmi del diritto scritto perfezionano la comprensione della ratio,

insegnano la dottrina della giustizia e “predispongono l’intelletto ad consuetudinem”.

Che significa? Filippo il bello non dà spago al diritto romano; il vero diritto è la

consuetudine. È vero che in alcuneparti si applica il diritto scritto ma ciò accade

perché noi lo vogliamo e per consuetudine. Perché il re tollera i diritti scritti? Lo

studio del diritto romano può essere utile come terreno di preparazione per chi studia

altro, ovvero la consuetudine. Si configura come specie di “palestra” per allenarsi a

diventare giuristi. Il diritto romano non è accettato come legge tra leggi ma come

preparazione.

Perché Filippo il bello è così diffidente verso il diritto romano? In quanto su questo si

fonda l’Impero, ovvero non come diritto di emanazione propria ma di riflesso altrui,

del potere giuridico imperiale. Sganciandosi dalla vigenza del diritto romano si tronca

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Page 52: l'età moderna

il rapporto tra Francia e Impero, in quanto è il primo paese che rifiuta il vincolo

vassallatico.

Il potere medievale è sempre relativo; si è sovrani di qualcuno e sottoposti a qualcun

altro. Dio è l’unico sovrano; il papa è il vicarius che fa le leggi. Chi è l’imperatore? È

semplicemente un “primis inter pares”, ovvero il primo dei feudatari che concede al

signore il potere da esercitare in ambiti minori. Oggi il potere viene esercitato

secondo una spinta dal basso. Nel Medioevo il potere è spettante nelle mani di Dio.

Bisogna fingere che gli altri che comandano lo facciano perché hanno avuto il potere.

Il re è semplice vassallo dell’imperatore. Ciò è una messinscena per non alterare gli

equilibri.

Filippo il Bello dà un colpo mortale alla visione gerarchica perché rende possibile

l’eliminazione del diritto romano.

Qual è il motivo politico per cui si rifiuta l’applicazione vincolante del diritto

romano? Strappare il vincolo feudale rispetto all’Impero. Chi rifiuta il diritto romano

rifiuta l’Impero.

Vi era un gruppo guidato da Jean de Paris (morto nel 1306), che scrisse un’opera,

“De protestate regia et popoli”. Questa è esemplare della situazione suddetta ovvero

della tendenza della Francia agli inizi del ‘300 a rompere i ponti con l’universalismo

medievale. Jean dice in un passo:”Il diritto naturale non obbliga che vi sia un solo

monarca in temporalibus ma solo in spiritualibus”. Jean era un consigliere del re e un

teologo. Dice che il diritto naturale comanda che tutti sono uniti nella res

cristianorum dal punto di vista spirituale. Per quanto riguarda la vita terrena, non vale

questa regola, perché ognuno pensa ai fatti suoi. L’unità ha ragione di essere negli

affari dello spirito in quanto tutto è organizzato in via gerarchica nella sfera celeste.

Tuttavia nella sfera laica non è così perché il mondo è così vario che ciò che è virtù

potrebbe essere vizio verso un altro popolo (relativismo laico). La frase di Jean inizia

con un riferimento al diritto naturale. Esiste un giusnaturalismo medievale secondo

cui il giusto è già nella natura, non deve essere costituito dai re. La grande differenza

col giusnaturalismo moderno è che in quello medievale il giusto è obiettivo, uguale

per tutti e non interno alla coscienza. Ancora una volta si passa da una visione

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Page 53: l'età moderna

monastica a pluralistica. Nel Medioevo è la Chiesa che stabilisce ciò che è giusto

nella natura non è la coscienza dell’uomo che lo fa capire.

Jean de Paris dice poi che “la realtà richiede di essere organizzata”. Egli si affaccia al

mondo moderno e vede la varietà per cui occorre un “regimen multitudinis”

(=governo della molteplicità) che sia ordinato verso l’unità. A tal proposito fa un

esempio: Romolo e remo, due anime contrapposte, sono costretti al fratricidio per

raggiungere l’unità. Abbiamo due aspetti: il potere terreno ha bisogno di una sintesi,

non ci possono essere interessi contrapposti nella res publica. Come prevale uno

sull’altro? Considerando Romolo e remo in maniera brutale. In generale si pensava

alla conciliazione degli opposti. Jean dice che occorre uno scontro. Il secondo motivo

di interesse del paragone è questo: persino l?impero Romano così glorioso nella

storia è nato da un misfatto. C’è stata una dialettica di interessi.

Abbiamo un ultimo aspetto. Nel Medioevo vi era una legenda per cui lo stato della

Chiesa sarebbe nato perché Costantino avrebbe donato tutto l’Impero di Occidente al

papa. Addirittura circolava il documento della donazione di Costantino. Jean de Paris

è il primo a mettere in dubbio questo documento per il fatto che l’imperatore non

avrebbe fatto questo gesto di autolesionismo. È il primo a teorizzare che la Francia

non debba più fare parte dell’Impero lasciando spazio a poteri effettivi. Ciò determina

la nascita degli stati nazionali. Nel Medioevo fiorisce una massima politica: “rex

imperiorem non recognoscens in regno suo est imperator” (=quando il re non ha

potere sovrastante nel suo regno vale come l’imperatore). Questa frase, secondo

Francesco Calasso, è stata scritta da giuristi francesi ai primi del ‘200 e dell’Italia

meridionale. Questa simmetria indica che stranamente ci sono della affinità tra

l’organizzazione francese e le istituzioni del Mezzogiorno.

10 a Lezione 06/04/2005

Il diritto comune in Spagna.

Vi sono delle analogie con la Francia. Infatti a sud si stanziano i Visigoti anche se

dobbiamo ricordare la romanizzazione in 3 ondate.

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Page 54: l'età moderna

1. Momento tardo-antico (caduta dell’Impero Romano), quando si applica il diritto

romano volgare (provincializzato). A questo periodo risale la Lex romana

Wisigothorum.

2. Dal 900 d. C. si ha la “Reconquista” rispetto agli Arabi che avevano occupato la

penisola iberica. In questo periodo la Spagna dal punto di vista politico-giuridico si

divide in varie aree tra cui l’Aragona e la Castiglia Leon (centrale). Queste regioni

vivono secondo il diritto consuetudinario e dalla seconda metà del ‘200 si ha un

processo di redazione scritta dei “fueros” (come in Francia).

Cosa succede quando un paese si frammenta da un punto di vista consuetudinario? È

più possibile che si inserisca un diritto “collante” rappresentato dal diritto romano.

Questo fenomeno in particolare si registra in Castiglia, mentre l’Aragona è più

sensibile ai fueros più che all’accentramento del potere nelle mani del re. Tale

processo si ha alla metà del XIII secolo, con Alfonso X il Sabio. Cosa dispone? Due

fenomeni simili. Circa le consuetudini, si consolida il “fuero real”, ovvero ordina di

completare la redazione per iscritto delle consuetudini castigliane. Alfonso X (o i suoi

successori) alla fine del ‘200 dispone e promulga una legge “Ley de las siete

partidas” (=legge delle sette parti). Cosa è la ley? Presenta dei caratteri romanistica

sotto tre aspetti:

1. la genesi (come è nata);

2. i contenuti;

3. l’efficacia.

1. Siamo alla fine del ‘200. in Italia stavano Accursio e i post-accursiani; in Francia

(Sorbona) e in Spagna (Salamanca) cominciano a nascere delle università di diritto in

quanto Bologna è in decadenza. L’università di Salamanca sforna laureati in diritto

romano e questi dettano al re la Ley.

2. Il contenuto è basato su norme simili a quelle di diritto romano e aspetti tratti dalla

dottrina bolognese.

3. cosa propone la legge? Di integrare i fueros e di abrogare quelli iniqui (tutte le

consuetudini sono considerate cassate, ovvero cancellate).

Cosa accede quando la legge va in vigore? Il popolo si rivolta violentemente.

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Page 55: l'età moderna

[Quando parliamo di popolo non parliamo di plebe, ma di ceti con una visibilità

politica e con rappresentanza politica. Nel diritto medievale non abbiamo

rappresentanza quantitativa, ma vi è l’idea per cui ciascuno è rappresentato dal ceto

di cui fa parte. La società per ceti prevede le riunioni dei suoi membri distinti per

status (nobili, clero, popolo). In Spagna si riuniscono in un Parlamento detto le

coortes, ovvero le rappresentanze di ceto.]

nel 1348 le coortes danno via libera alla legge con “l’ordinamento de Alcalà”, a

condizione che laddove non vi sia previsione legislativa della Ley, ovvero in caso di

lacuna, subentrino i fueros.

3. Epoca in cui la Salamanca diventa importante e gli studenti affiancano il re.

L’Inghilterra.

I veri eredi della tradizione romanistica sarebbero più gli Inglesi che gli europei.

L’aspetto principale è dato dalla giurisprudenzialità ovvero dal vincolo del

precedente e del principio dello “stare decisis”. È un paese precocemente

romanizzato in quanto arrivano i Normanni (1066 con Guglielmo il Conquistatore). Il

diritto romano è messo poi d a parte perché ha dei principi poco consoni al regime.

La Germania e il diritto comune..

È la culla delle popolazioni germaniche, molto rozze che vivono sulla base del diritto

consuetudinario. Questo produce dei meccanismi tipici, in particolare si hanno

meccanismi di accertamento della consuetudine (come i laudamenta curia; vedi IV

lezione). Il tribunale tipico è quello degli scabini che non deve giudicare sul fatto ma

sulla norma. È una decisione che si basa sulla messinscena di riunione delle

consuetudini per scegliere la più idonea.

Dal punto di vista culturale la Germania entra nel circuito europeo. La trasferta serve

in quanto la Germania comincia ad essere attraversata da altri diritti sotto due aspetti:

la Chiesa, che ha una posizione centrale e prepara i suoi dirigenti in diritto

comune (romano + canonico);

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Page 56: l'età moderna

canale notarile = i giovani laureati tornavano in Germania e raccontavano degli

altri modi di fare diritto. Utilizzano il diritto romano per la redazione di atti

notarili.

Questi sono i canali della pre-recezione, ovvero della preparazione per la recezione.

In questi paesi (suddetti) il diritto romano è percepito tecnicamente; in Germania si

ha una recezione tecnica. Allora cosa è la recezione? Si fa riferimento alla Germani e

si articola in tre fasi:

pre-recezione= si ha con i due canali suddetti;

recezione pratica;

recezione teorica.

Come mai la Germania arriva così tardi al principio “unum imperium unum ius”?

anche se arriva tardi è il paese dove si ha una maggiore recezione del diritto romano.

Si arriva a questa esasperazione con la recezione partica e teorica.

La recezione pratica è il culmine della pre-recezione. Nel ‘400 il diritto romano

diventa la piattaforma che regge gli altri diritti (come in Italia). Vi è un imperatore

ma è un paese diviso in lander storicamente autonome che applicano diritti regionali

detti “landrecht”. Questi hanno bisogno di una piattaforma comune. Nel 1495

l’imperatore Massimiliano I di Asburgo nella Dieta di Worms prende un

provvedimento che consiste nel fondare o nel riformare un organismo detto “supremo

tribunale camerale dell’Impero”. Questo è composto da 16 giudici (assessori); 8 di

questi dovranno essere esperti di diritto romano. Si chiude così il cerchio: quando il

potere politico pone una linea direttiva sul piano giuridico non si ricorre a mezzi

diretti. Cosa fa questo tribunale? Il landrecht dovrà essere applicato in prima istanza e

in caso di lacuna di norma particolare subentra il diritto romano comune. Questo è il

procedimento di recezione pratica.

Al momento della prassi segue la legittimazione teorica. Cos’è la recezione teorica?

La legittimazione attraverso la teoria della “traslatio imperii” (=trasporto

dell’impero). Questo fenomeno è molto tardivo in quanto ad esempio Filippo il Bello

già da due secoli parlava di autonomia dell’Impero.

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Page 57: l'età moderna

Che rapporti ci sono tra romanizzazione e profili istituzionali? Ogni realtà rivede il

diritto secondo un’ottica locale. Questo particolarismo tocca poco la Germania e

molto la Francia. I paesi europei più avanzati sono anche quelli che si sono scrollati

da questa tradizione (Francia, Spagna); Germania e Italia sono costretti dalla

tradizione politica a vivere col diritto comune.

La stagione normanno- sveva.

I Normanni provenivano probabilmente dalla Scandinavia e si stanziano in

Normandia; poi vanno alcuni a nord in Inghilterra fondando un regno, altri a sud

in Sicilia alle crociate. Si unificano sotto Ruggiero II (corona di Puglia + Sicilia).

Ruggiero II realizza quella che gli storici definiscono “signoria territoriale”. È un

modo di gestire il potere sul territorio in modo alternativo al feudo. Si ha quando,

nell’anno 1000, il dominus riesce a “mangiarsi” il territorio del signore più vicino

più debole. Realizza un meccanismo più raffinato perché si erge a protettore del

diritto consuetudinario della comunità che ha assorbito promettendo di mantenere

l’ordinamento e la pace. In seguito la signoria si estende fino alla sintesi. Nel 1140 ad

Ariano Ruggiero convoca le Assise. Cosa vuole? Ruggiero è il re, ma non conta più

di altri, è un primus inter pares (i baroni). Le Assise di Ariano sono è una tipica

manifestazione della signoria territoriale. Ruggiero garantisce il rispetto di

ordinamenti esistenti nelle diverse regioni del regno. Vi sono delle consuetudini che

vanno contro la regalità e la concezione verticistica del potere. Perciò Ruggiero dice

che non possono vivere le consuetudini manifestissime, platealmente contrarie alle

disposizioni delle Assise.

Dopo i Normanni, Ruggiero lascia la figlia Costanza d’Altavilla. I normanni

applicano la Lex Salica quindi si tagliano fuori le figlie femmine dalla successione in

luogo dei figli maschi. Costanza però si sposa con il figlio di Barbarossa Enrico VI.

Nel 1194 questi è incoronato dal Papa imperatore. Nel 1197 muore; nel 1198 muore

Costanza. Nel 1194 è nato un figlio Federico II. Questi è affidato ad un tutore, ovvero

il Papa Innocenzo III. Nella sua minorità vive in parte alla corte papale e nel 1220 va

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Page 58: l'età moderna

in Germania per pacificare i principi elettori e lì è eletto imperatore del Sacro

Romano Impero Germanico. Poi va in Laterano a farsi incoronare dal Papa, che gli

chiede una promessa: di non unificare la corona dell’Impero con quella del Regno di

Sicilia (con capitale a Palermo). Federico II viola questa promessa: a Capua convoca

le Assise e questa è già una violazione perché solo il rex Siciliane poteva convocarle.

Da qui parte la guerra.

Non è solo un problema geopolitica; Federico II nel 1231 emana il cosiddetto

“Liber Constitutionem Regni Siciliae” (libro delle costituzioni del regno di Sicilia)

detto “Liber Augustalis”. È pubblicato nell’assemblea generale di Melfi. Cos’è? È la

raccolta delle costituzioni proprie e della sua famiglia. Alcune di queste norme sono

importantissime:

-il Proemio, in cui il compito del monarca è tutelare la pace e di migliorare il diritto

vigente. Come? “ Dovrete osservare inviolabilmente le mie costituzioni e cancellare

le leggi e le consuetudini contrarie alle costituzioni”.

-la costituzione più programmatica è “Non Sine Grandi”, in cui imperatore è

“iustitiae pater filius et minister”.

Abbiano detto che il diritto medievale è già dato il secondo alcuni sarebbe il primo

esperimento del costituzionalismo poiché le regole vengono prima del diritto. Quando

si dice che l’imperatore è ministro della giustizia, il sovrano è un index e non un

legislatore. La novità è che Federico II si proclama fonte della giustizia e ciò non

piace al Papa che vede ciò come una turbativa dell’ordo medievale che prevede una

staticità del diritto.

-un’altra costituzione è il “Nihil veterum” (dei vecchi principi voglio sottrarre se

cambio le leggi), dice che se cambiano i tempi le leggi devono per forza cambiare; il

comportamento di Federico II non vuole essere irrispettoso verso i predecessori.

Nell’Italia centro settentrionale nel frattempo si pensa esattamente il contrario. Ecco

perché Federico II fonda l’università di Napoli.

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Page 59: l'età moderna

11 a Lezione 12/05/2005

Osservazioni del convegno del

Massetto dice che uno dei motivi per cui la bona fides è utilizzata è ravvisato nel fatto

che siamo abituati a pensare che “in claris non fit interpretatio”, ovvero nelle cose

chiare non si fa l’interpretazione. Laddove la regola è chiara non c’è interpretazione.

In altri suoi lavori Massetto ha scritto che questa frase sarebbe sciocca se non

significasse altro e che questa va collocata nel diritto comune indicante il mondo

della legge e quello della interpretatio. In questo mondo del diritto posto si attingeva

dalla regola del caso concreto, anche se in realtà non c’era. Quello che la legge

regola è una minima parte delle fattispecie. La maggior parte delle regole sono quelle

date dalla giurisprudenza. A questo secondo universo attiene la interpretatio,

meccanismo a cui si ricorre ogni volta che non si trovi una lex che risolve il caso. Lì

l’interprete è creatore della norma.

La frase su citata dice che quando il mondo della legge è sufficiente a risolvere il

caso specifico non bisogna procedere alla interpretatio. In realtà di giuristi hanno

tuttora a dimostrare che c’è la lacuna colmabile ricorrendo al secondo settore. La

buona fides è quella clausola con cui l’interprete trova i valori che vanno oltre la lex.

Massetto ha considerato l’aggettivo bona con una connotazione morale: tutto ciò che

concerne la correttezza nell’ambito dei rapporti contrattuali. Ciò non è visto come

perdita del proprio interesse economico. Avere la buona fede non vuol dire non

considerare il proprio interesse ma rispettare l’altro soggetto manterranno la dignità. I

canonisti premono affinché nel contratto non vi sia sfruttamento economico e si

mantenga una trasparenza.

La fides è intesa come “neminem ledere”. La contrapposizione si trova in quella di

bona fides dell’attitudine attiva e intellettiva. La prima attiene all’ambito contrattuale;

la seconda è una mentalità con cui si svolge attività e si lega alla bona fides

possessoria. L’attitudine attiva è quella che traspare dal comportamento e si

oggettivizza; l’attitudine intellettiva è ciò che il possessore pensa.

Tale contrapposizione si trasformerà in quella tra buona fede soggettiva e oggettiva.

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Page 60: l'età moderna

Considerando lo ius commune la considerazione del contratto come atto che ha forza

di legge rientra nel diritto statuale; la bona fides è quindi una forma di controllo.

Bisogna considerare il suo rapporto conl’equitas (1374-1375). L’articolo 1375 parla

di buona fede per l’interpretazione dei contratti; nel 1374 si parla di equità come

criterio per l’integrazione del contratto.

Vi è una differenza nell’uso di questi concetti come integrativi o interpretativi. Agli

storici conta se questo assetto è stato modificato dalla codificazione che ha dato

nuova forza ai concetti inserendoli meglio nel sistema. La buona fede oggettiva e

soggettiva determinano:

L’integrazione della volontà delle parti;

Criterio interpretativo a favore del giudice; è forte l’esigenza di tutela.

Oggi incide anche l’operato dei tribunali e la giurisprudenza canonistica. Cosa vuol

dire diritto statuale e spontaneo? Dalle codificazioni nasce l’idea che il contratto ha

forza tra le parti. L’idea per cui il contratto ha forza di legge tra le parti è

statualistica? L’ordinamento vincola la parte al contratto. La bona fides attiene

all’ambito dei rapporti spontanei nella società. L’ordinamento nella prassi è ancora

legato a forme spontanee.

Se vogliamo portare al paradosso l’affermazione di Grossi, per lui sarebbe meglio che

il diritto fosse rimasto alla spontaneità. Il mondo della buona fides è come fosse

quello di Rotari in quanto il diritto non è imposto.

L’idea che il contratto ha forza di legge non piace a Grossi. Cesarini Sforza diceva

che la codificazione aveva trasformato il diritto privato il diritto a pubblico privato.

La buona fede è retaggio di un mondo in cui il diritto privato era veramente diritto

privato.

Federico II di Svevia.

Ricordiamo la costituzione “puritatem”. Indica un obbligo e lo prescrive per giurare

fedeltà all’imperatore da parte dei magistrati all’inizio della carica. Giurano di

decidere secondo una graduazione delle fonti, ovvero in prima battuta delle

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Page 61: l'età moderna

costituzioni che Federico scrive in quanto si imperatore. Poi se manca decide secondo

le consuetudini approvate. Ruggiero II aveva detto che le consuetudini non

manifestissime contrarie potevano continuare a vivere; Federico II si era opposto a

tutte le consuetudini. Nel puritatem parla però di consuetudini approvate. Da chi?

Secondo alcuni da lui stesso, secondo altri dalle comunità locali. In terza battuta

secondo iura communia, cioè longobarda et romana secondo la qualitas dei litiganti.

Prima annotazione: forse è un’ interpolazione, ovvero questa frase è stata inserita

dopo Federico II. Come diritto sussidiario vige il diritto comune che per Federico II

non è il diritto romano ma stranamente quello longobardo che ai tempi di Accursio

aveva perso importanza. Secondo gli storici la frase dice che si applicava o il diritto

romano o longobardo secondo l’appartenenza alla stirpe. Altri storici hanno detto che

fosse non esistevano solo popoli e città che vivevano secondo il diritto longobardo

(Benevento,Otranto), ma forse è una questione di materie. Dopo una lunga

convivenza dei diritti romano e longobardo questo disciplinava alcune materie come

la successione feudale.

Cosa accade del “Liber Augustalis” dopo Federico II? 16 anni dopo la dinastia sveva

crolla e i papi chiamano gli Angioini per cacciare gli Svevi. Abbiamo la “damnatio

memoriae”facendo fuori tutte le disposizioni sveve che erano applicate inquinando il

vecchio significato alla luce della nuova realtà. Si cancellano le disposizioni che

ledevano la chiesa. Ricordiamo la “praedecessum nostrarum”in cui si vietava il

fenomeno della manomorta evitando concessioni alla chiesa.

La scuola dei Commentatori.

Sorge nel 1300. Quando finisce? È difficile stabilirlo in quanto si ha anche nell’età

moderna. Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi sono i maggiori giuristi.

Bartolo è più tecnico e Baldo più filosofico.

Mentre i giuristi della scuola Bologna sono professori universitari, Bartolo e Baldo

sono degli avvocati, dei consulenti. I commentatori sono più orientati verso la prassi.

I commentatori si differenziano dai glossatori nel metodo. I glossatori erano esegeti:

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Page 62: l'età moderna

vivevano nel culto assoluto del testo e lo interpretavano testualmente. I commentatori

usavano il metodo logico sistematico che si basava sulla costruzione di un

ragionamento, hanno un approccio più critico creando un sistema logico. Si

ritrovavano i nessi, le differenze, si guardava tutto il materiale come fosse un

patrimonio storico.

È una scuola che si esprime con due generi letterari: i tractatus e i consilia. I primi

sono trattazioni burocratiche, che messi insieme determinano il sistema su un tema

unitario che considera Digesto, Novelle, ecc.

I consilia sono i pareri dei commentatori rilasciati da grandi avvocati per le

consulenze più importanti la cui pubblicazione determinava la letteratura consulente.

È una scuola poco innovativa perché costruisce il sistema con elementi precedenti.

Sono attenti ad elementi fuori del Corpus Iuris.

In particolare bisogna vedere il comportamento dei commentatori verso lo ius

proprium. Questo diventi in seguito a far applicare in prima battuta (nel 1300) ed è

rappresentata dal diritti nazionali, statuti commerciali e così via. Sono quindi

un’alternativa allo ius commune mentre erano disprezzati dai glossatori.

Abbiamo due tipi di consilia a seconda del destinatario:

“consilium iudiciale sapientis”: è il parere reso dal grande avvocato al magistrato.

Com’è possibile che un magistrato chiede il parere all’avvocato? Vige il principio

“iura novit curia”, ovvero il tribunale conosce le regole. In certe epoche storiche

però il magistrato non mi era esperto di diritto quindi occorreva un perito.

Nell’epoca era legato ai comuni e alle signorie, veniva chiamato magistrato in

quanto bravo uomo che si consulta un altro soggetto. Il che ambito abbia ciò?

Nelle magistrature non togate, in cui il magistrato è scelto per il buon senso o per

valenza politica.

Perché il magistrato spendeva soldi per richiedere il consilium? Per sicurezza

personale. Il magistrato alla fine e all'inizio della carica era sottoposto al sindacato

contabile. Con il “consilium iudiciale sapientis” si evitava il giudizio di

responsabilità, garantendo che il magistrato non agiva con dolo e colpa.

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Page 63: l'età moderna

"Consilium pro veritate”, destinato alle parti. Sembra quasi che l'avvocato rediga

l'atto in maniera imparziale, ma è una soluzione retorica. Si dà il parere non

mettendosi nella condotta faziosa ma al di sopra delle parti. Ciò era possibile

perché questi pareri non erano letti dai difensori nell'aula ma erano allegati nella

vasta documentazione per assicurarsi la vittoria del caso in quanto il sistema e che

ha caratterizzato da una grande giurisprudenzialità. La dottrina ha valore

vincolante perché l'opinione del dotto e il sistema filosofico aristotelico-scolastico

vale quasi quanto la verità.

Legittimazione degli statuti (degli iura propria) o potestas condendi

statuta (statuendi).

Cosa è la legittimazione? Vuol dire trovare una giustificazione giuridica ad un

fenomeno che inizialmente non era lecito, giuridico. Quale fenomeno occorre

legittimare? Quello degli statuti e in generale degli iura propria. Perché questi non

hanno cittadinanza nella cultura giuridica? La cultura giuridica medievale ha

difficoltà a giustificare il fatto che siano emanati degli statuti perché si pensa che il

diritto sia quello formato nella storia e quindi e già dato. Ci sono dei centri di potere

che pretendono di produrre diritto nuovo. Questi sono i comuni e i loro iura propria

sono gli statuti. Occorre trovare un fondamento legittimo alla nuova tendenza di

creare diritto nonostante il vero diritto sia quello di Giustiniano. Sono elaborate tre

teorie:

1. permissivo;

2. iurisdictio;

3. ius gentium.

12 a Lezione 13/04/2005

(segue)Legittimazione degli statuti (degli iura propria) o potestas

condendi statuta (statuendi).

Due testimonianze all'inizio del 1200. Abbiamo due giuristi: Buoncompagno da

Signa e Odofredo i quali esprimono due concetti che sottostanno al disprezzo

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Page 64: l'età moderna

bolognese sugli iura propria. Il primo dice che gli statuti si sbiadiscono come ombra a

seconda che il legislatore raggiunga un volta. Secondo il proprio arbitrio Odofredo

dice che il diritto statutario è opera degli illitterati perché per fare gli statuti i

legislatori hanno la competenza degli asini.

I glossatori sta a Lugano fortemente il diritto statutario in quanto sono degli

insegnanti universitari e il loro obiettivo di essere e formare giuristi che sostengono il

mondo terreno e spirituale.

Abbiamo un'altra ragione desunta da un commentatore, Cino da Pistoia. Questi

racconta di aver visto il capitano del popolo (= figura di spicco dei comuni leader

della componente popolare) vendeva le cause come una meretrice. Ciò indicava lo

sprezzo verso il diritto statutario in quanto fonte di un potere politico disprezzato.

Solo alla fine dell'età della glossa abbiamo delle aperture verso gli iura propria da

parte di Azzone e Accursio. Azzone fu interrogato da Enrico VI che gli chiede chi

può fare le leggi (chi ha potestas condendi leges). Azzone rispondere che l'imperatore

e anche gli altri hanno questo potere.. Si pensa ai comuni, alle signorie. Si ipotizza

nonno solo un diritto universale ma anche gli iura propria. Il popolo non ha trasferito

completamente il diritto di fare le leggi al proprio capo.

In questa ottica si colloca la tesi della permissio. I giuristi del 1100-1200 vivono in

una realtà ampiamente il fenomeno statutario. È l'età dell'oro dei comuni italiani. Vi è

un problema teorico di giustificare l'esistenza. Come vengono fuori lo ius commune e

gli iura propria? Da un passo del Digesto (D 1.1.9) di Gaio nuovo come "omnes

populi": tutti i popoli si servono in parte di ius proprium in parte di ius commune. Il

primo ius è quello “propium civitas” e si chiama ius civile. L'altro è un diritto che si

fonda sulla "naturalis ratio” e si chiama ius gentium. Gaio chiama civile quel diritto

che invece per i giuristi medievali è proprio l'antagonista ovvero lo ius commune ciò

impedisce ai giuristi romani di sfruttare questo brano romanistico terre legittimare gli

iura propria. Devono ricorrere ad un'altra teoria della permissivo.

Si basa sulla pace di Costanza (1183) con cui i comuni costringono Federico

Barbarossa di scendere a patti tra cui la possibilità per i comuni di vivere secondo le

loro leges e mores. I giuristi medievali affermano che è l'imperatore ha dato la

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Page 65: l'età moderna

permissio di vivere non solo secondo lo ius commune ma anche secondo diritto

proprio. Per chi vale la permissio? Alcuni dicono solo per gli stipulanti della pace

ovvero per i comuni della lega lombarda. Altro difetto: la precarietà perché è

l'imperatore può provocare "ad notum” (= con un cenno) tale potere.

Occorre superare la permissivo anche se questa teoria risponde bene a ciò che

pensano i glossatori: “che esistano gli iura propria ma sempre circoscritti alla volontà

dell’imperatore”.

Nel frattempo però l'Italia pullula di statuti. I commentatori sono più rispettosi verso

gli statuti perché molti di questi sono fatti dai giuristi e professori, consulenti dei

comuni. Quale tesi va a legittimare gli iura propria? La iusdictio. Abbiamo la stessa

ambiguità nel significato come quella del termine “interpretatio”. Oggi la

giurisdizione è una delle tipiche forme di potere della cosa pubblica. Si parla di

potere perché siamo figli della teoria della tripartizione dei poteri enucleata dal

costituzionalismo.

Nel diritto medievale il potere per eccellenza è quello di giudicare e non quello di

fare le leggi. Oggi il fulcro del potere sta nel legislatore. L’art 1 della Costituzione

dice che la sovranità spetta al popolo, ovvero ai suoi rappresentanti che si trovano in

Parlamento il cui compito è fare le leggi.

Nel Medioevo non era così perché il legiferare non è previsto in quanto il diritto è già

quello che è. Il vero potente è il giudice che stabilisce se un fatto è già previsto dal

diritto e con la interpretatio aggiusta il diritto adeguandolo ad una nuova fattispecie.

Bartolo da Sassoferrato dice: -Che differenza c’è se faccio una legge per tante

persone o per due sole? È solo una differenza quantitativa in quanto sempre di legge

si parla.- La pronuncia giudiziaria è il vero atto normativo conta più della legge

perché esprime la vera potestas.

La glossa di Accursio ice che la iursdictio è la “potestas de iure publico introducta”

che si accompagna con lo ius dicere e l’equitas.

Bartolo dice che visto che la iurisdictio è il potere per eccellenza consideriamo che

questo potere è possedutola tutti quelli che hanno il potere pubblico. Ci sono varie

misure di iurisdictio: quella “maxima” spettante al papa e all’imperatore. Al di sotto

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Page 66: l'età moderna

di questi la iurisdictio è posseduta dai Comuni, dalle corporazioni, i castra (=castelli),

mercanti, i villa (=villaggi). È questa la sostanza del potere pubblico.

Se tutti hanno una iurisdictio, prosegue Bartolo, questa dà a tutte le entità politiche il

potere di legiferare ovviamente in misura pari alla iursdictio (che è la misura di

potestas condendi leges). Non vi è differenza qualitativa ma solo quantitativa tra lo

ius dicere e il condere leges.

Abbiamo un parere di Bartolo che parla di una controversia tra due comuni umbri

sulla ripartizione dei confini. Qui si dice che Bartolo dà ragione a quella città dove si

erigevano le forche, ovvero si aveva l’impiccagione. Lì infatti si esercitava la

giurisdizione e quindi la sovranità. Il diritto medievale è il diritto dei segni, decisivi

in un società caratterizzata dall’analfabetismo.

Tale tesi della iurisdictio ha un pregio di carattere sistematico: Bartolo fa capire che il

potere di fare le leggi dipende da un assetto complessivo dei poteri. È un quadro

armonico in cui c’è chi legifera di più e chi legifera di meno ma tutti prendono il

potere della iurisdictio. Nessuno facendo la legge locale viola l’armonia in cui anche

il papa e l’imperatore hanno una parte. Qual è il problema della tesi della iurisdictio?

La sua premodernità, ovvero non tiene conto degli sviluppi della modernità. Abbiamo

sempre parlato di comunità rozze che soffrono della scissione tra idea (siamo tutti

fratelli) e realtà (Comuni). Sono due mondi che nulla hanno a che vedere con la

direzione politica che si sta assumendo: degli stati nazionali, che vogliono legiferare e

che considerano la vera potestas quella espressa nella lex.

Abbiamo una testimonianza del filosofo Niccolò Cusano, non giurista di professione

il quale nel 1433 nel “Concordantia Catonica” fa un gioco di parole e dice: - Non tutti

i popoli che hanno la iurisdictio hanno anche la potestas condendi legem a tutti quelli

che hanno questo potere hanno la iurisdictio-. Bartolo diceva il contrario: basta anche

poca iurisdictio per avere il potere di fare la leggi. C’è di mezzo la nascita dello Stato,

entità per cui:

si ritiene che il suo compito non sia quello di giudicare ma di legiferare;

il “princeps legislator” siccome fa le leggi pretende che si giudichi sulla

basa delle sue leggi. Abbiamo dei giudici delegati dal principe.

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Page 67: l'età moderna

Cambia il concetto del primato di legge e dell’amministrazione della giustizia.

Il difetto della seconda tesi è che tutto si muove all’interno del sistema imperiale (non

si muove foglia che l’imperatore non voglia”) per cui le entità comunali possono fare

ben poco. Il mondo medievale è quello dell’asfissiante gerarchia. L’allievo di bartolo,

Baldo a metà del ‘300 dice che “ogni popolo ha un suo essere ( “habet suo esse”)”,

ovvero ogni comunità non esiste per volontà del papa o dell’imperatore, ma perché ha

un suo essere (come gli animali). Perché un popolo abbia questa sua esistenza deve

avere il suo “règimen” (=ordinamento giuridico). Questo sarà di diritto naturale

perché il popolo esiste per sé (“de iure naturali” o “de iure gentium”). Dunque

ciascun popolo per il fatto di esistere deve avere un ordinamento di diritto naturale.

Questo è il sublime sillogismo di Baldo: ogni popolo esiste e ha un suo regimen;

questo regimen è di diritto naturale; ogni poulus ha un regimen di diritto naturale.

Il populus decide quale regimen darsi. Baldo dice che il populus su questo

ordinamento che si crea, deve esprimere il suo consensus. Oggi il consensus dal

punto di vista politico è quantitativo. Nell’antico regime il consensus ha valenza

qualitativa. Chi lo esprime? Si considera il ragionamento aristotelico - scolastico:

sono i dotti, i saggi che suppliscono all’ignoranza dei più (quantitativa) con una

mediazione qualitativa. È un consensus presunto: è presunta la mediazione dei dotti.

Qual è il limite della tesi di Baldo? Sdriggoli la definisce una legittimazione teorica a

posteriori perché i popoli che hanno il regimen sono quelli dotati di forza politica.

Oggi uno Stato impone la presenza agli Stati internazionali se ha una forza politica.

La legittimazione è alla fine del processo di fatto e non aiuta le popolazioni più deboli

non riconosciute se non hanno forza. Baldo quindi si limiterebbe a fotografare

l’esistente. L’esempio più eclatante è la Francia in cui Jean de Paris aveva detto 70

anni prima che il sistema poteva essere indipendente in temporalibus perché aveva la

forza politica.

Vi è la convinzione della precarietà degli iura propria destinati a diventare ius

principis, ius regni.

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Page 68: l'età moderna

Passaggio dal pluralismo al particolarismo.

Abbiamo un’altra forma di diritto proprio che attiene ai soggetti. Il diritto passa,

secondo Capanna, dal pluralismo al particolarismo (iura propria). Si ha pluralismo

quando più voci coesistono; secondo Capanna, cattolico, questo nasce nel Medioevo

che si basa sull’unità delle varie anime temporale e spirituale. Il pluralismo è

garantito nella sua omogeneità della cultura. L’unità con l’età moderna si spacca; il

pluralismo diventa un difetto nelle società moderne in cui si ha il particolarismo.

Consideriamo i riflessi giurdici del particolarismo. Infatti si ha la moltiplicazione

degli iura propria sia oggettiva, che soggettiva. La moltiplicazione oggettiva si ha per

materia: la stessa fattispecie astratta nell’età moderna può essere disciplinata da una

norma di diritto comune giustinianeo, di statuto corporativo, o da statuto civile o da

diritto canonico. Secondo Calasso siamo nell’era in cui primeggia lo ius proprium

anche se in questo vi è un’eterogeneità di soluzioni. Si sviluppa la tendenza che

costringe il magistrato a ricorrere allo “arbitrium”, tasso di discrezionalità che

l’interprete del diritto comune è costretto ad utilizzare per porre rimedio alle lacune e

alla framentarità dell’ordinamento. Oggi per noi l’arbitrium è un concetto negativo di

pesante discrezionalità che va contro la certezza del diritto. Per i medievali è un

elemento per calmierare le incongruenze dell’ordinamento che è uno strumento di

potere esercitatile dal ceto dei giuristi.

Il particolarismo soggettivo a sua volta si divide in sostanziale e processuale. In

generale il particolarismo soggettivo è il principio per cui non si è retti solo da regole

diverse, ma si è diversi in rapporto alla diversità di status (=ceto). La società

medievale e in gran parte quella moderna sono divise per status e ciascuno di essi

hanno un diritto. Se io sono nobile sono soggetto a giurie previste solo per nobili

(=moltiplicazione soggettiva processuale). Se io sono nobile non vengo impiccato,

non vengo decapitato (=livello sotanziale). Qui entra fortemente il concetto di status.

Oggi si parla di status: se consideriamo lo status symbol ci riferiamo ai segni di

appartenenza sociale (es. la scorta indica non che io sono ricco ma che sono potente).

68

Page 69: l'età moderna

Si fanno questi discorsi da sociologi, da economisti (es. l’impiegato è pagato +

dell’operaio).

Nell’antico regime lo status aveva ricaduta su piano pratico. Ogni ceto aveva il suo

ordinamento giuridico. Il più forte ovviamente era lo status dei “mercatores” (oggi

commercianti) e lo “ius mercatorum” non è il diritto dei mercati ma dei mercanti. Vi

è un abisso tra il diritto commerciale di oggi (=diritto di mercati) da quello di ieri

(=diritto dei mercanti). Il diritto speciale si applica in chiave soggettiva anche a quei

contratti che riguardassero una sola parte commerciale (atti unilaterali). Ciò

determina ingiuste sperequazioni tra soggetti, in quanto contano solo se appartengono

ad un ceto sociale. Si parla di “società di società”, ovvero di un universo basato sulla

molteplicità di stati.

Con Hobbes si avvia il processo in cui il soggetto e non il ceto è l’interlocutore del

potere publico. Questo processo è detto “eterogenesi dei fini”: la storia porta da un

fine di un certo tipo ad un altro. Lo Stato vuole interloquire col soggetto per

esercitare su di lui una pressione più pesante.

L’Umanesimo giuridico.

Parliamo della fratture creatasi quando il mondo moderno è messo in crisi da una

forma di sapere rappresentata dall’Umanesimo. Questo è il momento storico in cui la

cultura occidentale per effetto di alcuni fenomeni di natura generale, si rende conto

della necessità di porre l’uomo al centro della riflessione culturale. Ciò si lega al

Rinascimento inteso in senso lato, che viene retrodatato, in quanto è dato dalla

rinascita degli studi romanistica (1100). Cosa è il Rinascimento giuridico? Si

sviluppa con la rinascita della scuole italiane e la riscoperta in particolare del Digesto.

Il Rinascimento in senso lato è la riscoperta delle arti.

L’Umanesimo fu nell’ambito del diritto rivoluzionario; tuttavia determinò dei

cambiamenti di prospettiva. Qual è la culla dell’Umanesimo giuridico? In Italia con

Francesco Petrarca che in varie parti della sua opera fa una considerazione: 2il diritto

usato dagli avvocati è di zotici, ignoranti in quanto maneggiano il diritto romano

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Page 70: l'età moderna

meraviglia in maniera sciocca senza considerare il valore culturale”. Non si

considerano le esigenze pratiche. Sulla stessa scia di Petrarca si colloca un secolo

dopo Lorenzo valla che polemizza Bartolo per non aver colto il valore storico del

diritto romano, di essersi limitato ad una tecnica che presuppone il primato del diritto

sule armi e sulle insegne. Il mondo medievale si basa su alcune illusioni tra cui quella

per cui il potere si esercita con le insegne (simboli). Il dottorato (=sapere giuridico)

secondo Bartolo è una delle insegne su cui si regge il potere politico. Valla dice che il

mondo segue un indirizzo realistico e punta tutto sulle armi in quanto conquista il

mondo non in nome della teorizzazione astratta ma attraverso le armi e lo scontro

fisico.

Valla poi parla di “utilitas” e dice in un’opera che quando si sceglie il principe, il re si

deve considerare se questi riesce a coagulare un consenso maggiore o minore di

sudditi. È importante l’utilitas, parametro con cui valutare le scelte anche di carattere

giuridico. Con Valla si ha la svolta dell’Umanesimo giuridico.

La sua opera è il “De voluptate” (=Sul piacere), concetto scandaloso in quanto si

credeva che l’uomo nella vita dovesse soffrire.

Da queste premesse ideologiche abbiamo le conseguenze tecnico – giuridiche. Che

insegnamento trae? Che il diritto non è necessariamente e soltanto ideale e astratto

ma mezzo per la vita e la convivenza civile. A questa mentalità di fondo si aggiunge

un altro elemento: l’Umanesimo ha la fissazione per la filologia, ovvero lo studio

attento al logos, delle fonti giuridiche nella loro veridicità pr come originariamente

dovrebbero essere. Ecco perché l’Umanesimo giuridico critica in maniera spietata

due obiettivi:

glossatori e commentatori che hanno ripescato il diritto romano senza

sapere di cosa parlassero elaborandoli fino a far perdere loro la fisionomia

originaria;

direttamente Giustiniano e Triboniano, in quanto Poliziano li maledice dato

che hanno alterato i testi dell’età classica (Paolo, Papinieno, Modestino,

ecc).

70

Page 71: l'età moderna

È un punto di vista di uomini di cultura insensibili alla prassi che vogliono ricostruire

il diritto su base filologica utilizzando il vecchio materiale.

13 a Lezione 19/04/2005

(segue)L’Umanesimo giuridico.

L'Umanesimo giuridico, come l'Umanesimo generale, ha origini italiane. Esso vede

grandi protagonisti, come Lorenzo Valla, Petrarca, sono tutti autori che anticipano

aspetti culturali e in particolare quell'idea secondo la quale il diritto che si studia nelle

università, che si cerca di applicare nei tribunali, il diritto romano giustinianeo,

dovrebbe essere, secondo la loro tesi, studiato in maniera diversa. La loro obiezione è

per la prima volta metodologica.

Come bisogna studiare il diritto?

Petrarca e i suoi amici, Valla ed altri, nel ‘300-‘400 dicono che i giuristi ignorano

quanto sia prezioso il diritto romano, che potrebbe essere utile per studiare il passato,

per capire bene come funzionava l'impero, la società romana ecc. Contro questa

parentesi contenutistica ci sono i pratici, che ritengono che bisogna utilizzare un

diritto che la gente riconosca come tale, questo diritto è quello romano. Gli umanisti

peccano sul lato contenutistico e tendono dal lato dell'aspetto culturale.

La culla dell'Umanesimo giuridico, per l'ultima volta è l'Italia. Il padre

dell'Umanesimo giuridico è Andrea Alciato, professore di diritto civile nell'università

del nord, allora la più importante era Pavia. Alciato studiava il diritto civile con

metodo umanistico ed è costretto a fare le valigie ed andarsene in Francia per

insegnare a Bourges.Cronologicamente è un giurista della seconda metà del

‘500,periodo in cui egli scrive le sue opere più importanti. Il fatto che Alciato è

costretto ad andarsene dimostra che l'umanesimo giuridico è nato in Italia ma non ha

attecchito nel nostro paese.

L'epicentro dell'umanesimo giuridico è la Francia; questa è un paese abbastanza

compatto dal punto di vista giuridico (siamo nella Francia del ‘400-‘500.),cioè è

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Page 72: l'età moderna

ormai stata liberata dalla divisione tra paesi di diritto scritto (sud del paese,tradizione

romanistica) e paesi del nord di diritto germanico-consuetudinario. Ebbene nel

‘400-‘500 la Francia è abbastanza al di là di tale divisione, perché si applica il diritto

francese,ovvero dei re rappresentato da editti e ordinanze.

I francesi vivono secondo le consuetudini. Ci sono alcuni sovrani, in particolare Carlo

VII emette un ordinanza (Montil-les-tours nel 1453) nella quale ordina per iscritto la

redazione di tutte le coutumes francesi. C'è il tentativo di centralizzare la produzione

di un diritto che nasce spontaneamente presso il popolo,di razionalizzarlo,

controllarlo. Poi al sud c'è il diritto romano tollerato, mal tollerato da un clero molto

potente, che vige come ratio,un diritto che va bene per diventare giuristi ma non

viene applicato.

La Francia ha quindi parecchie carte in più rispetto all'Italia, è un paese abbastanza

accentrato; il nostro paese infatti non esiste come entità politica. La Francia invece

può permettersi di utilizzare l'umanesimo giuridico e quindi guardare al diritto

romano in maniera critica. In Italia questa stessa cosa sarebbe impensabile: i piccoli

stati hanno bisogno di un diritto che valga per tutti,di una piattaforma comune: il

diritto comune (la Spagna si prende il regno di Napoli, la Sicilia, Milano; lo stato

pontificio; la Francia che esercita sul Piemonte ecc).

Mentre in Francia c'è un re che tutti riconoscono come fonte del diritto,in Italia

nessuno ha il potere di fare questo diritto nuovo. Il re di Spagna lo fa per

Napoli,Palermo,Milano; i Papi,ma sono realtà piccole. Non abbiamo quindi un diritto

italiano.

Succede quindi che purtroppo, anche dal punto di vista giuridico la Francia se ne va

per conto suo e l'Italia resta invischiata in questa palude del diritto comune (sintesi di

diritto civile e canonico).Questa frattura tra Francia e Italia viene normalmente

definita dagli storici del diritto come bipartizione tra “mos gallicus” e “mos italicus”.

(modo gallico o “iura docendi” di insegnare il diritto e modo italico). La frattura è

quindi sul piano metodologico, inteso come metodo, sistema. Il fenomeno nuovo è il

mos gallicus, l'italicus non esiste, è un invenzione dei giuristi che hanno messo

assieme ciò che non è nuovo, continuazione di quel che era prima.

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Page 73: l'età moderna

Mos Gallicus e i due filoni dell’Umanesimo giuridico.

In Francia nel ‘400-‘500 si assiste ad una ventata di nostalgia,cioè si rimpiange

un’epoca lontana in cui vigeva il diritto gallico (resistono all'occupazione romana).Si

rendono conto che per andare a fondare una patria gallica è necessario saltare i

passaggi precedenti, occupazione romana e franca, per dare luogo alle radici della

vecchia Francia che loro chiamano Gallia.Quindi sognano di tornare ad un diritto

puro,per tornare a questi tempi antichi. Il ritorno a questo passaggio si riempie di

contenuti,questo diritto nuovo,deve rispondere a logiche a criteri nuovi. E allora il

mos gallicus si divide in due metodi, due settori, due filoni:

1. metodo storico-filologico;

2. metodo sistematico.

Il primo approccio è innovativo, il secondo è un metodo più fedele alla tradizione.

1. Fa capo ad Andrea Alciato e preme per la storicizzazione del diritto romano: è

storico perché tende a riportare al loro posto le fonti giustinianee, ma è filologico in

quanto considera la filologia lo strumento per storicizzare il diritto. La filologia è lo

studio del testo,è la pretesa di restituire al testo la sua forma originaria. Ne viene fuori

una polemica contro due obiettivi: glossatori e commentatori che avrebbero avuto il

torto di non aver capito nulla della storicità del diritto;il secondo obiettivo invece

ritorna a Giustiniano-Triboniano,obiettivo antico (vedi XII lezione).

Questo filone ha il suo culmine in un autore del tardo ‘500 francese, Francois

Hotman. E' un personaggio particolare, tedesco, naturalizzato dal punto di vista

politico. Nella Francia della seconda metà del 500 si vive una situazione politica

legata alle guerre di religione che nascono a seguito della riforma calvinista, luterana

protestante, agli inizi del ‘500. La Francia ha una forte componente cattolica e

protestante al suo interno. Quest'ultima è la componente dei cosiddetti Ugonotti. Nel

1572 ci fu appunto la strage degli Ugonotti, strage di S.Bartolomeo. Hotman è uno di

quei giuristi che nella Francia del ‘500 cerca di trovare un equilibrio rispetto a tale

situazione. Egli come altri giuristi del suo tempo, cerca di trovare dei valori condivisi,

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Page 74: l'età moderna

punti di riferimento su cui tutti siamo d’accordo ovvero quello che i francesi

chiamano le leggi fondamentali. Noi oggi le chiameremmo costituzionali, ovvero

quelle regole su cui tutti siamo d’accordo e che consentono una convivenza pacifica.

Hotman teorizza quindi la ricerca di leggi fondamentali e lo fa in un opera molto

famosa "Franco-Gallia". Titolo significativo, perché mette insieme le anime

tormentate di questo paese. Nicola Matteucci sostiene che nasce lì, grazie a questi

autori vissuti nel ‘500 francese, il costituzionalismo moderno.

Hotman sostiene nella sua opera,che il sovrano deve assicurare il rispetto delle leggi

fondamentali e se non lo fa può anche essere ucciso. (alto livello di realismo).

Hotman è anche esponente del movimento dei monarcomachi, ovvero dei sostenitori

dell’uccisione del re (come figura politica). Si dice inoltre che Hotman sia il

fondatore di un movimento anti-triboniano, l'anti-tribonianesimo. Infatti nel 1577

Hotman scrive un’opera bellissima e cattiva che si chiama “Antitribonianus” ed è

un'invettiva contro Triboniano, Giustiniano, glossatori e commentatori. La colpa di

Triboniano è di aver sradicato la vera essenza del diritto classico, aver alterato,

decontestualizzato il diritto romano classico e di averlo reso immortale attraverso il

Corpus Iuris. Egli fa a pezzi questo sogno di Triboniano e Giustiniano e lo fa

appellandosi alla memoria di questa antica Gallia, la loro vera patria, libera da

influenze straniere. Egli si richiama alla necessità di ritornare a queste radici però in

maniera non del tutto libera dalla tradizione. Hotman rivela il limite di tutto

l'Umanesimo giuridico, che è molto abile ad abbattere ma molto scarso a costruire.

Infatti l'Umanesimo giuridico non è una vera frattura. La parte costruens del pensiero

di Hotman è un po' debole, perché egli propone al re di Francia di formare una

commissione di giuristi,che deve “escerpire”, ovvero strappare, tirar fuori dal diritto

romano, e qui è il limite, uno o due brevi volumi (brevi volumina), in cui doveva

esserci una specie di supersintesi di tutto il diritto romano conosciuto. Essa è da

scrivere in lingua francese, e questa è la grande novità. Egli si pone il problema della

fruizione, della conoscibilità del diritto. Nessun giurista si è mai fermato a riflettere

su questo. Per i glossatori era un mistero che non doveva essere divulgato alla plebe;

con l'umanesimo invece si pone per la prima volta un problema di trasparenza, di

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Page 75: l'età moderna

fruibilità. Questa apertura di Hotman però si spiega più che come esigenza

democratica, come una rivendicazione della cultura gallica francese. Il primo filone è

storico-filologico ed è arrivato a questo forte impianto del movimento dell'anti-

tribonianesimo. E' un movimento che mette un po' in ridicolo il punto che avevano i

giuristi medievali nei confronti della tradizione romanistica. Ad esempio Poliziano

(nel tardo ‘400),racconta di quando andava a Firenze a palazzo vecchio e vedeva il

Corpus Iuris esposto in un tabernacolo,circondato da candele (ironizzando). Altri

umanisti fra cui Budeus dicevano che si considerava il Corpus Iuris come “caduto dal

cielo”.

2. Il filone sistematico si rifà un po' di più alla tradizione. Mentre Alciato e gli altri

esponenti storicizzano il diritto e prendono un po' in antipatia la tradizione

romanistica, pur recuperandola, questo filone è più legato al passato. Bisogna

considerare che anche i commentatori hanno un sistema logico-sistematico sul

Corpus Iuris. L'idea viene da un opera di Cicerone, dispersa, “De iure in arte

redigendo” (=la redazione del diritto in una forma artistica).[Il concetto di ars è legato

al notariato; vedi VIII lezione). Quando si formano le grandi scuole come Pavia,

scuole delle arti liberali o Bologna, il sapere del diritto oscilla un po'. C'è chi lo

considera una forma di “prudentia”, chi “scientia” e quindi teoria pura oppure una

forma di “ars”. I notai continuano la loro ars, sapere pratico. “De iure in arte

redigendo” vuol dire collocare il diritto secondo una disposizione che risponde a fini

pratici. Questi giuristi elaborano una vecchia idea che prendono dal giurista romano

Gaio ovvero la tripartizione personae-res-actionem ovvero soggetti, beni, giudizi o

azioni cioè momento processuale. Cosa vuol dire scrivere “Institutiones”? Sistemare

il diritto romano in maniera un po' più originale. Cosa vuol dire sistemare? Può voler

dire attenersi a regole dettate dalla natura oppure attenersi a regole dettate dalla

logica. Qui si pone proprio la spaccatura tra diritto vecchio e diritto nuovo, tra diritto

medievale e moderno. Perché è medievale chi pensa che la sistematica si debba

costruire sulla base delle regole logiche, interne, mentre è un moderno chi pensa che

la sistematica si debba costruire gettando uno sguardo verso la natura, verso il mondo

esterno. Naturalmente tenendo conto che la natura è confusa, c'è chi si illude magari

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Page 76: l'età moderna

che la natura possa essere sistematica (abbiamo detto che i commentatori sono

sistematici, come pure gli umanisti: qual è la differenza tra i due?). Ad esempio è

vecchio chi pensa di desumere le regole della proprietà sistematicamente per il fatto

che si parla di proprietà con la superfice. Si estende così la ratio della superficie della

proprietà. Ciò va bene se l’identità di ratio è naturalistica, ovvero che sta nei fatti.

Così pure il contratto di mutuo va bene in una piccola società nel prestito chiesto

dallo zio al nipote; per le società internazionali vale lo stesso? Chi guarda alla logica

rimane all’interno del sistema; chi guarda alla natura si attiene ai fatti.

La logica dei commentatori è una logica libresca,che si basa sull'approccio

teoretico,mentre invece quella degli umanisti pretende nella tripartizione di imitare la

natura (anche il diritto si deve strutturare come è strutturata la natura, siccome il

mondo ruota attorno all'uomo). Qual è il massimo esponente dell'umanesimo

sistematico? E' Ugo Donello, uno dei massimi giuristi del ‘500 francese. Scrive nella

seconda metà del ‘500 (da ricordare in opposizione ad Hotman), muore nel 1591,

l'opera più favolosa è “Commentarii iuris civilis”, ovvero commentari di diritto

civile. Cosa sostiene qui Donello? La prima cosa da notare è che “commentarii” è un

termine vecchio, ma di cosa? Del diritto civile, del diritto romano giustinianeo. Come

mai Donello li scrive? Nel caso di Donello c'è una spinta in più, fa parte di quella

genia di giuristi che pensano che il diritto non sia un prodotto del legislatore ma sia

invece il prodotto di un sistema creato dagli stessi giuristi. Chi produce il diritto? Il

diritto lo fa il giurista, perché egli ha il compito di sistemare il diritto. Quindi una

visione sistematica che prevede una funzione creatrice. Donello dice in questo suo

lavoro che non permetterà che il diritto sia fatto dal legislatore, espressione sottile;

egli non vuole piegarsi né all'autorità di Salvo Giuliano né di Giustiniano; a lui non

sta bene che il diritto arrivi preconfezionato né dal Digesto né nella sua espressione

volontaristica, imposto da qualcun'altro che non siano loro giuristi. Egli dice che

come Giustiniano, benché principe non avrebbe mai potuto mutare la lingua, il

significato delle parole, perché la lingua e il suo significato dipendono dall'usus

populi e non dall'arbitrio di uno solo, così anche il diritto deve dipendere dalla natura

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Page 77: l'età moderna

delle cose. E' una base senza capo ne coda, che lascia aperta la possibilità al giurista

di cambiare l'ordinamento, non ci può essere un sovrano che impone un diritto.

Autorità dei giuristi in rapporto al consensus che i giuristi stessi

esprimono rispetto all'ordinamento giuridico.

Abbiamo parlato di Baldo degli Ubaldi e di uno ius gentium, diritto di natura che

determinerebbe l'esistenza di un ordinamento proprio, abbiamo parlato della

possibilità che lo stesso Baldo configura, di esprimere sull'ordinamento stesso un

consenso. Parola, che indica proprio quella spinta che dovrebbe provenire dai

destinatari dell'ordinamento giuridico e che in Baldo proviene dai soliti noti, ovvero i

giuristi che appartengono a questa elitè culturale che secondo il modello aristotelico

ci indica la verità. Poi c'è una verità di serie B, l'opinione, la verità dei dotti che

dobbiamo seguire perché l'uomo medio non è capace di ragionare (secondo

Aristotele).Questa è la logica di Baldo e di Alciato pur essendo un esponente del mos

gallicus. Quest'ultimo sostiene che il diritto è buono o cattivo a seconda della sua

ratio e non a seconda che risponda o meno all'utilità della società. Cioè il diritto va

bene quando sono i dotti che esprimono il loro lascia passare all'applicazione del

diritto e non va bene se questo lasciapassare manca. Alciato quindi uomo per alcuni

aspetti, pieno di novità, è ancora però legato a quello che chiamiamo mediazione

giurisprudenziale. Mediazione perché sono pochi quelli che mediano la verità di tutti,

giurisprudenziale perché la scienza giuridica ci indica il bene e il male.

L'Umanesimo ha forte connotazione politica perchè nasce e si sviluppa laddove

esistano delle condizioni politiche perché attecchisca e perché si riproduca. Alcuni

studiosi ritengono che l'Umanesimo avrebbe creato i presupposti per una sorta di

divisione di poteri, per una migliore definizione dei poteri: c'è il monarca che

comanda e fa le leggi, c'è chi giudica sulla base di queste leggi, i tribunali; c'è chi

studia nelle università, i giuristi dotti che studiano il diritto romano giustinianeo in

modo critico. Risultato che si legge nel rapporto conflittuale, nella dialettica,

monarca-apparati.

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Page 78: l'età moderna

Perché in Italia il mos gallicus non ha successo? I motivi sono essenzialmente

politici, l'Italia è un paese diviso politicamente. Esiste l'esigenza di un diritto unitario,

di un diritto comune, nel senso stavolta non tecnico, ma nel senso un diritto che valga

per tutte queste realtà. L'Italia ha però avuto nel ‘500 dei giuristi moto raffinati che

hanno cercato di intendere il valore del mos italicus: c'è un giurista definito il

difensore del mos italicus, Alderico Gentili. Egli è un giurista milanese che va ad

insegnare ad Oxford diritto romano; scrive un'opera famosa “De iuris interpretibus

dialogii sex” (=sugli interpreti del diritto,sei dialoghi). Quest'opera riconosce che gli

umanisti, i suoi avversari, alcune cose giuste le hanno dette per gli aspetti estetici,

però hanno commesso un errore: confondono l'accessorio con il principale. L'aspetto

accessorio è la correttezza filologica che fa perdere di vista quindi agli umanisti

l'aspetto più importante che è quello della vigenza perdurante del diritto romano. Egli

si rende conto che buttare via il diritto romano significherebbe restare senza diritto in

Italia,in quanto non ne esiste un altro.

La Francia ha invece un centro di potere riconosciuto come tale che produce diritto.

Gentili quindi sostiene che il diritto comune non può essere attaccato perché è un

diritto utile e indispensabile.

La disputa dei consilia.

Durante l'Umanesimo si accende la disputa tra la letteratura consulente e letteratura

accademica: la cosidetta “disputa sui consilia”. I due esponenti di questa duplice

veduta sono un grande giurista penalista famoso come criminilalista friuliano, Tiberio

Degiani, (1579) e dall'altra parte Andrea Alciato. Alciato è un professore

universitario,teorico e quindi super partes. Egli afferma che il vero sapere giuridico

sta nelle lezioni universitarie (che motivo avrei di mentire a lezione?). Degiani lo

nega, perché egli dice, quando l'avvocato deve redigere un consilium o responsum e

lo pagano, certo dà un parere più ponderato rispetto a quello del professore

universitario, cioè la logica di carattere utilitaristico rende più prudente il dotto che

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Page 79: l'età moderna

rilascia il consilium stesso. L'epicentro del sapere giuridico non è più nelle

università,ma si sposta negli uffici, la produzione stessa quindi si sposta.

La disputa delle arti.

Ars per la cultura medievale è un sapere legato alla immediata ricaduta pratica.

Nell'età moderna, durante l'Umanesimo, si accende un altra disputa che riguarda le

arti. Di questi modi di sapere, quali sono i più importanti? La disputa più famosa è

quella che contrappone il medico al giurista. Chi conta di più nella società? La

bilancia pende dalla parte dei giuristi, perché (modo di ragionare vecchio) si ritiene

che il diritto abbia quella giusta dose di astrazione, mentre la medicina e in

particolare la chirurgia era considerata una “ars meccanica”, cioè manuale, materiale.

Il chirurgo non conta nulla, non si può laureare nel 1500, il suo è un sapere vile,

mentre quello del giurista è cerebrale teorico. Tale disputa ha anche delle ricadute

interessanti per quel che riguarda i ceti, la struttura della società. Nel ‘500 si discute

ancora di un tema già affrontato in precedenza, ad esempio da Bartolo; il problema

della nobiltà. Per Bartolo nella prima metà del ‘300 esistono due tipi di nobiltà: la

nobiltà nativa e quella dativa. La nobiltà nativa è quella che acquisisco dalla nascita,

sono di sangue blu, i miei nonni sono tutti nobili, ecc. Però Bartolo che è furbo ed è

un giurista, sa anche che il suo ceto ha un'altra aspettativa sociale, quella di vivere

come i nobili e allora si inventa questa seconda categoria che è la nobiltà dativa,

quella che viene data. In cosa si differenziano? La nativa è basata sull'honor,

sull'onore. I miei nonni sono nobili perché andavano a combattere per il principe e

rischiavano la vita per lui, il principe li riteneva suoi pari. Bartolo però dice che

accanto a questi ci sono signori che si fanno strada attraverso la virtus, ovvero i

meriti. Perché ci sono due modi di servire il dominus: o andando in guerra a

combattere oppure studiando, preparandosi alla vita pubblica e indossando la toga,

rendendosi utili alla società e al dominus in altro modo. Il problema si ripropone nel

‘500 e i giuristi continuano a discutere se la nobiltà debba essere innata, oppure

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Page 80: l'età moderna

concessa, data dal principe con la laurea. La laurea diventa il marchio della dignitas

dativa. La disputa quindi delle arti riguarda due versanti:

rapporto arti meccaniche e umane;

rapporto tra modi diversi di servire il signore; un modo basato sulle armi e un

modo basato sulle leggi. Infatti la disputa va sotto l'etichetta "Arma vel legis".

Si ha un'inversione con l'età moderna conterà di più chi serve il re.

14 a Lezione 20/04/2005

Il passaggio tra il Medioevo e la modernità.

Ricordiamo qualche aspetto dell'anno modernità: il confronto tra Bartolo di

Sassoferrato e Niccolò da Cusa sulla iurisdictio. Per il primo la iurisdictio si lega alla

sovranità ed è di vari gradi. Per il secondo non tutti quelli che hanno la iurisdictio

hanno il potere di fare le leggi ma è vero il contrario in quanto si parte dal

presupposto che se io sono sovrano si devono fare le leggi e i giudici nel giudicare

devono tenere conto delle leggi.

Si ha una modernità che si insinua nel Medioevo in quanto questo conosce la

legislazione statutaria che mette in discussione la staticità dello ius commune.

Parlando però della legislazione degli iura propria siamo ancora nel mondo

medievale, in quanto si voleva ancora creare il sistema di cui parlava Calasso.

Nell'età moderna cambia la prospettiva perché cambia il tipico modo di rappresentare

il potere che è lo Stato. Consideriamo la Francia di Filippo il Bello e di Jean de Paris,

e teorico dell'effettività.

Il passaggio all'età moderna è dato da alcuni fattori (istituzionali):

formazione dello Stato;

uno stato che pretende di fare le leggi;

uno stato che pretende di istituire magistratura che giudichino sulla base di tali

leggi.

A questi se ne aggiunge uno teorico dato dallo sviluppo dell'Umanesimo.

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Page 81: l'età moderna

Si passa così dal pluralismo medievale e da una mentalità universalistica al

particolarismo (= degenerazione dell'universalismo). Abbiamo la formazione di

profeti che vivono secondo propri ordinamenti e territori che vivono secondo diritti

propri. Che cosa si intende con la crisi dell'universalismo medievale? È la crisi del

pluralismo, è il dissolversi del pluralismo nel particolarismo. Quali sono i fattori che

mettono in crisi dell'universalismo? Abbiamo tre fattori:

1. fattore politico;

2. fattore religioso;

3. fattore culturale.

1. Prima c’era un'unità politica e il potere era accentrato nelle mani di uno solo. In

seguito nascono gli stati moderni che non vogliono più saperne dell’Impero. In

Francia vi è la formula per cui "un re che all'interno del suo regno non riconosce

nessuno come superiore vale tanto quanto l'imperatore". L'universalismo non si

frantuma in un momento preciso ma in un arco di tempo che va dal 1300 al 1500. In

Francia si ha nel 1300. In altri paesi si ha la formazione dello "stato" in tempi

successivi. In Spagna si ha con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di

Aragona alla fine del 1400. La Germania e l’Italia sono rimaste frammentate fino al

tardo 1800, in quanto la prima era la sede dell'Impero, la seconda del Papato. La crisi

ha come risvolto il periodo del diritto comune particolare (secondo Calasso) dal

punto di vista giuridico. Il diritto comune continua a sussistere in via sussidiaria.

2. Prima vi era l'unità religiosa. Con la Riforma Luterana, lo scisma anglicano, il

Calvinismo, la riorganizzazione della chiesa con la Controriforma si ha la

frantumazione dell'universalismo. La riforma protestante insinua nella cultura

giuridica e nei giuristi che il rapporto con il testo deve essere un rapporto critico e

personale.

Premessa: la cultura giuridica medievale era molto appiattita sulla teologia che era

insegnata principalmente con il diritto nelle università. I teologi offrivano ai giuristi

alcuni elementi logici. Il modo in cui i giuristi guardano con rispetto sacrale al

Corpus Iuris Giustinianeo è lo stesso con cui i teologi guardano alle Sacre Scritture.

Hanno in comune un testo autoritativo (Corpus Iuris/bibbia) e interpreti, ovvero i

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Page 82: l'età moderna

giuristi/ teologi che pensano di essere legittimati ad interpretare il testo. Il

Luteranesimo piazza la sua bomba su questo aspetto mettendo in crisi la mediazione

nella lettura della Bibbia, in quanto la grazia aiuta tutti a leggere la Bibbia senza che

vi sia bisogno di mediazione. Questa mentalità pone una visione critica che dà

importanza al giudizio di uno. Vi è un risvolto sulla metodologia giuridica in quanto

l'interpretazione è un atto soggettivo per cui il singolo non deve piegarsi ciecamente

all'autorità del testo giuridico.

3. L’Umanesimo giuridico è un elemento che fa saltare il concetto della sacralità e

della atemporalità dei libri di Giustinianei. Dopo le sferzate degli umanisti contro

Giustiniano, Triboniano, come si fa a dire che il Corpus Iuris è un testo sacro, se è

pieno di errori filologici, e senza tempo se sono stati messi pezzi di autori di diversi

secoli? Gli umanisti dimostrano che il Corpus Iuris è completamente immerso nel suo

tempo. Quando umanesimo si frantuma l'universalismo culturale.

Il mondo moderno è più complicato di quello medievale, che con il suo apparato

teologico aveva la capacità fittizia di tenere le cose insieme. Ora vi è il mondo delle

contraddizioni, non più dei valori ma degli interessi. Lorenzo Valla è il fautore della

“voluptas” come appropriazione della realtà esterna e ciò deve essere considerato

quando si organizza la vita politica.

Cosa è la modernità dal punto di vista socio-istituzionale? Max Weber, nato nel 1864

e morto nel 1920, è stato l'inventore della sociologia moderna, professore di diritto

commerciale, un po’ storico delle religioni. Si è chiesto che cosa è la modernità. Dà

alcuni parametri. Weber studia i muri in cui si configura in potere. Ha una concezione

schematica: il potere è esercitato in tre modalità differenti. Il modo più primitivo,

antico è il potere carismatico. Il carisma è il segno che un'entità spirituale imprime su

un personaggio eletto. Weber dice che le società primitive in crisi affidano il potere a

un individuo carismatico.

[Rispetto alla storia del diritto il potere carismatico sottratte essere paragonato

all'autorità del Corpus Iuris, oppure all'epoca di Hitler (Miletti).]

Ad un certo punto il potere carismatico si consolida e la società propende per

l'affidamento del potere a chi lo ha sempre gestito. Si ha così il potere tradizionale.

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Page 83: l'età moderna

[Storicamente un caso politico potrebbe essere la monarchia ereditaria ad una certa

famiglia o a un gruppo di forza.]

Siamo ancora fuori la modernità che scatta con la legittimazione del potere razionale

o legale. C'è un movimento ideale in cui gli uomini ragionano su chi deve gestire il

potere. Scatta l'interesse e ci si chiede chi può progettare uno sviluppo dell'esistente

consono agli interessi. Il calcolo degli interessi si ammonta di una veste legale. I

moderni hanno utilizzato la legge e il diritto come strumento intelligente per

razionalizzare il potere.

[Un esempio è dato dalle elezioni politiche, forma di legittimazione del potere.]

La tesi di Weber non è asettica, quando pensa alla legittimazione razionale pensa a

quando un gruppo di forza l’ha pretesa. Questo gruppo è la borghesia che pone forme

nuove di legittimazione del potere razionale. Weber è un liberale per eccellenza,

crede nel valore del mercato e nella borghesia.

Come mai la borghesia vuole la razionalità? Vi era un interesse concreto: dato che

vogliono produrre si pone il problema dell'investimento che implica una relativa

certezza nelle regole che tutelassero gli investitori. Il borghese stufo della società

feudale confusionale pretende un regole più chiaro nel quale le sue azioni possano

avere conseguenze almeno prevedibili. Weber pur essendo un avversario di Marx ha

un punto in comune con lui: tutto si spiega sulla base di una matrice economica.

Un altro elemento che attiene a questo quadro riguarda le istituzioni, il cui

affinamento passa per una dimensione pubblica. Vi è un apparato che collabora col

sovrano. Weber ritiene che di fronte alla situazione che si sta prospettando, uno dei

poteri in preoccupante ascesa è quello della borghesia degli apparati che andrebbe

incontro ad una forma di tirannia. Teme la "tirannia dei burocrati" e quindi va a

caccia di questa burocrazia. La nascita della burocrazia si ha agli inizi della

modernità. Cosa vuole la burocrazia? Questa nasce quando i sovrani si trovano a

dover gestire un quadro molto più complesso. Il sovrano prima che era affiancato dai

feudatari e gli prestavano l’auxilium-consilium (vedi IV lezione). Quando il territorio

politico diventa ampio, ovvero nasce lo Stato, il sistema diventa complesso per cui il

sovrano deve costituire un apparato, ovvero la burocrazia. Nel tardo Medioevo chi lo

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Page 84: l'età moderna

aiutava a prendere decisioni fiscali? I nobili come lui. Alla nascita dello Stato si pone

il problema dell'amministrazione tecnica in giustizia. Cambiano i rapporti di fedeltà.

Chi è fedele? Chi aiuta ad amministrare la giustizia in nome e per conto del sovrano.

Non si è più fedele "iure sanguinis" ma perché si collabora col sovrano. L'età

moderna si fonda su un'alleanza tra il trono e la burocrazia, ceto medio, e su un nuovo

concetto di fedeltà. Questo è un caso di nobiltà dativa. Qualche storico la chiamava

nobiltà di toga.

La diversa alleanza comporta che la nobiltà perde la sua centralità politica e la nascita

dell'apparato di burocrati che esercita una funzione tirannica oppressiva in quanto

gestisce il potere pubblico. Weber dice che il burocrate è legato anche ad un diverso

rapporto con l'istituzione pubblica. La funzione pubblica è un ruolo oggettivo oggi

ma questa è una conquista dell'età moderna. Prima nel Medioevo il compito di fare da

interfaccia tra pubblico e privato era affidato a soggetti legati da un rapporto di

personalità e quindi svolgevano un compito privato per il dominus. La "pubblica

amministrazione" diventa professionalizzante in quanto prevede persone che

assolvono al loro compito con impersonalità, professionalità, retribuzione. Questa è

una conseguenza: io svolgo una funzione pubblica in età moderna perché su un bravo

e perché il sovrano si affida a un altro ceto, ma devo essere pagato. Si prevede un

rapporto contrattuale e almeno in teoria trasparente.

Per Weber quindi si ha la nascita di una burocrazia in età moderna che svolge una

funzione in maniera professionale e dando spazio ad altri ceti diversi dalla nobiltà.

15 a Lezione 26/04/2005

Lo Stato moderno e il potere statale.

Lo Stato, categoria storica per eccellenza, viene considerato scontato nella sua

esistenza come entità politica. È espressione di una situazione storica: la fine

dell’universalismo medievale, l’Impero che cede il passo agli stati nazionali, la

riforma religiosa, la filologia umanistica che rappresenta la frattura culturale. Tale

frattura è anticipata col pensiero di Jean David, che immagina che vi sia bisogno di

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Page 85: l'età moderna

coltivare l’unità e la fratellanza solo in spiritualibus, ma non da punto di vista

politico, in quanto è la molteplicità che dà sapore alla vita civile e si compone in

unità.

Lo Stato moderno francese nasce ai primi del ‘300 guardando ai fatti. Jean David è

portavoce del principio di effettività, per cui la vita civile e politica in certi aspetti è

annessa ai fatti. La Francia è il primo stato in quanto è la prima entità che si

autolegittima, ovvero non è legittimata da un’entità superiore. Si afferma il principio

per cui “rex in regno suo superiorem non recognoscens est imperator”.

Lo stato deve affermare il suo potere in primo luogo in uno spazio geografico. Per

esercitare il potere su un territorio lo Stato deve realizzare una duplice funzione:

controllare all’interno il territorio e difenderlo dall’esterno. Cosa vuol dire questa

duplicità di funzione? Dal punto di vista culturale il sovrano per legittimare l’uso

delle armi e la burocrazia deve giustificarlo ideologicamente. Nel Medioevo la

sovranità è relativa e l’unico sovrano assoluto è Dio. La funzione del potere

medievaleè quella di controllare l’ordinamento in una forma simile alla sovranità data

dalla”iurisdictio”. L’immagine del princeps-iudex è data dal simbolo dell’imperatore

conj la spada nella mano destra e la bilancia e libri nella parte sinistra. La bilancia è

l’equitas, i libri sono i testi giustinianei (e quindi scritti). I due simboli esprimono i

modi in cui tradizionalmente si dice che si muova la res publica, ovvero i

“gubernaculum” (=la spada) e la “iurisdictio” (=la bilancia). Cos’è il gubernaculum?

Il ptere politico è sempre raffigurato come una barca in mezzo alla tempesta che ha

un timone (=gubernum). Ecco perché oggi l’esercizio del potere politico è detto

“governo”. Il nocchiero deve guidare la navigazione e l’esercizio del potere del

gubernator è il gubernaculum. Il gubernator deve controllare che sulla barca vada

tutto bene e quindi esercita la iurisdictio (per garantire la pace interna). Il nocchiero

utilizza degli strumenti che gli preesistono e non sono prodotti da lui. Quindi il

sovrano per garantire la pace deve applicare norme già date, perché dopo di lui ci sarà

un altro che applicherà le stesse regole. Vi è però una falla: il conducente ricorre alla

seconda leva del gubernaculum. Si applicano regole extra ordinem. L’elemento di

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Page 86: l'età moderna

eccezionalità si manifesta verso terzi quando c’è un pericolo palese. Quando il

signore è in contatto con un pericolo esterno usa strumenti eccezionali.

La iurisdictio e il gubernaculum caratterizzano la gestione della res publica secondo

misure non costanti nel tempo. Sono due ingredienti sempre presenti ma in dosi

diverse. Nel Medioevo la bilancia pende sulla iurisdictio perché il diritto è già dato;

nell’età moderna sul gubernaculum in quanto il sovrano deve affrontare situazioni di

pericolo.

Nel sistema di common law si prevede la iurisdictio in quanto si prevede il

precedente con forza legale.

Questi simboli si traducono negli strumenti effettivi per gestire il potere. Con l’età

moderna il potere statale è una parcellizzazione del potere universale medievale. È

paragonabile agli organismi che conserva i poteri del tutto anche se in dimensioni

ridotte. Il re infatti gestisce tutto il potere anche se in piccolo esercitato

dall’imperatore sull’universo.

Occorre fare una precisazione terminologica: il sovrano nell’età medievale è

l’imperatore (=a capo di una struttura universale); nell’età moderna l’imperatore è a

capo di un’entità ristretta e non è il sovrano.

Il rex a capo dei regni pretende di avere i poteri dell’imperatore e quindi di esercitare

la iurisdictio e la gubernaculum (=poteri eccezionali). Perché il rex ha più bisogno

della gubernaculum rispetto all’imperatore? Nel caso dei regni vi è una dislocazione

geografica e quindi il re deve combattere per essere “rex logi”. La territorialità del

diritto è un’importante novità dell’età moderna. L’imperatore è dotato di supremazia;

il re se la deve guadagnare. L’imperatore è dominus mundi, mentre il re nasce come

un vassallo.

Il re per affermare il suo potere deve combattere contro vari poteri che ostacolano la

sua primazia: deve vincere innanzitutto il potere feudale, che non va d’accordo con la

monarchia, in quanto il re vuole accentrare (spinta centripeta), la feudalità decentrare

(spinta centrifuga). L’età moderna spazza i corpi intermedi: la chiesa, il comune, la

famiglia, il feudo, ecc; il singolo diventa protagonista.

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Page 87: l'età moderna

Il secondo ostacolo dopo la feudalità è la Chiesa. Alcuni paesi (fra cui l’Italia) in cui

la Chiesa è sempre stata l’alternativa alle istituzioni sociali e laiche.

[I Longobardi nel ‘700 danno pezzi di terra. Gioacchino Volpe ha detto a proposito

della donazione di Sutri che da ora in poi l’Italia è sottoposta al signorotto e al papa.]

La pluralità degli ordinamenti è stata di ostacolo per l’ordinamento giuridico. In paesi

sviluppati (la Francia), l’età moderna si caratterizza per la marcia del re a scapito

della Chiesa, in quanto si tende a rifiutare la presenza di un potere alternativo. Block

nel libro “I re taumaturghi” diceva che si portavano i bambini dal re che con una

carezza li guariva. In Italia i miracoli li facevano i santi, in Francia i re. Qui si ha

perciò una sintesi politico-religiosa.

Il terzo e ultimo ostacolo da abbattere è il potere “centrifugo” dei Comuni. L’Italia ha

avuto più difficoltà ad affermare lo Stato perché è la patria dei Comuni. Il processo di

accentramento è tendenziale, non un risultato pienamente raggiunto. Infatti dal punto

di vista della storiografia si tende a parlare di Stato con Filippo V; lo Stato in realtà

considera fenomeni approssimativi in quanto prima non eroga servizi.

I poteri ostacolo saranno abbattuti solo agli inizi dell’800, ovvero dell’età

contemporanea.

L’esercito e la burocrazia.

La magistratura è lo strumento della iurisdictio (tesi di Bartolo e Niccolò da Cusa;

vedi XI lezione), e nell’età moderna si pone al servizio dello Stato. Nel Medioevo la

legge preesiste; nell’età moderna è prodotto del sovrano che vuole giudicare. Weber

diceva che la modernità è la razionalità della decisioni ottenuta con degli strumenti.

Esercito e burocrazia rivelano lo stesso sviluppo: la burocrazia non è affidata all’amic

del dominus ma ai bravi giuristi. Nell’esercito non sono reclutati quelli che vanno a

fare il torneo ma quelli che sanno impugnare le armi.abbiamo così una

professionalizzazione. Per realizzare questa doppia svolta il re cambia le alleanze.

Nel Medioevo il re si fidava del vassallo; ora conta la “fidelitas” sul piano tecnico.

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Page 88: l'età moderna

Abbiamo un’alleanza politica. Il ceto dirigente non è più la nobiltà di sangue ma i

“letrados”, ovvero il ceto mediano di letterati, giuristi.

16 a Lezione 27/04/2005

vedi margherita

17 a Lezione 03/05/2005

La burocrazia nasce per le stesse esigenze x cui l’esercito cambia. Questi corpi si

complicano, diventano gerarchici, sottoposti al principe e professionali.

Per svolgere il compito il sovrano se li assicura retribuendoli. Segue un periodo in cui

è fedele che serve il sovrano nella res publica.

Mentre nel medioevo il primo compito è fare giustizia, ora l’attività principale è fare

le leggi. I grandi tribunali sono messi in sesto all’inizio dell’età moderna. I sovrani di

continuo emanano provvedimenti, abbastanza vacui nei risultati perché rimanevano

inosservati. C’era il problema del gioco d’azzardo e vi erano molte leggi a riguardo a

dimostrazione della loro inefficacia. Qual era la tecnica di formulazione? Oggi è

alquanto sintetica (fattispecie astratta + pena) e ciò non è paragonabile con le norme

antiche che erano più complesse. Queste formule servivano ad evitare cavilli e perché

non vi era lo stato di diritto e quindi un’unica volontà accentratrice. Oggi, nello Stato

di diritto, il magistrato è sottoposto alla legge che è sovrana. Nel Medioevo molti

magistrati erano propensi a comprare la loro carica. La legge così non era ombrello di

garanzia dei cittadini ma arma in più per esercitare la pubblica funzione.

Il magistrato quando esercitava la sua carica era sottoposto ad un processo contabile

per verificare la sua moralità. Abbiamo così il sindacato officiale. Per sfuggire a

questo processo si presentavano dei documenti in allegato, ovvero copie di sentenze

in cui vi era il parere del dotto, il “consilium iudiciale sapientis” (vedi XI lezione), al

magistrato “idiota” (=non esperto di diritto).

La communis opinio.

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Page 89: l'età moderna

La dottrina era su posizioni appiattite con il fenomeno delle “communis opinio”.

Abbiamo due aspetti:

pubblico: istituzionale, legato alla opinione comune “in iudicando”;

privato: legato all’opinione “in consulendo.

Nell’età moderna si applicano i consilia; nel ‘400 questi sono raccolti in libri. Cosa fa

il giurista del ‘400-‘500? Tende a fare dei veri e propri calcoli. Fa una verifica

qualitativa per vedere cosa hanno detto le auctoritates rispetto al caso su cui si

devono pronunciare. Qual è il parere che dà questo giurista? È tendenzialmente il

giudizio più comune, per non fare figuracce, in consulando, ovvero nei consilia. Col

passare del tempo i giuristi elaborano soluzioni diverse: o stabiliscono

convenzionalmente che ci sono pareri che contano + di altri o fanno un vero

conteggio quantitativo.

Considerando la prima soluzione abbiamo numerosi esempi delle citazioni, secondo

cui bisognava ascoltare i pareri di Paolo, Ulpiano, Modestino, Papiniano e Gaio. Qui

si stabilisce che occorreva tenere presente la “opinio Bartoli”. Nel ‘700 esiste una

legge sabauda (1723) “Constitutioni piemontesi” che tiene presene l’opinione dei

dottori.

Con la seconda strada i giuristi stabiliscono che le argomentazioni devono essere

contate. È un modo degradato di concepire la cultura giuridica in quanto da una parte

v è scarsa inventiva, dall’altra la voglia di non rischiare. Come dice Bacone “ogni

movimento è sinonimo di disordine”.

Vi sono giuristi che affermano che le “rationes” (=argomentazioni) vanno non

numerate ma pesate. Nel tardo ‘500 Francesco Vivio dice che “rationes sunt non

numerande sed ponderande”. Se 13 persone dicono sciocchezze e 1 dice la cosa

giusta bisogna considerare quest’ultima.

Grammatico dice che la communis opinio è una truffa. Quali sono pregi e difetti della

communis opinio? Il primo difetto è di appiattire sull’esistenza la communis opinio

impedendo qualsiasi evoluzione tecnologica.

Il pregio è quello di realizzare una forma di “certezza”. Questo termine è ambigo

perché non tiene conto del fatto che ogni giurista per suo capriccio poteva invertire la

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Page 90: l'età moderna

communis opinio. Vi è comunque un tentativo di certificazione endo-

giurisprudenziale, ovvero gli strumenti per una possibile certezza sono dati da forze

interne alla cultura della giurisprudenza (=prudentia iuris). Dopo la Rivoluzione

francese lo strumento della certificazione è legislativo ed è la codificazione.

Quanto abbiamo detto riguarda la communis opinio in consulendo. Abbiamo anche

quella in judicando. Con la nascita dello Stato moderno si formano tribunali dove vi

sono magistrati e non giuristi. Prima dei tribunali i giuristi seguivano la communis

opinio; in seguito questa si forma nei tribunali. Avevamo delle decisiones che

subiscono un processo simile ai consilia trasposto in seguito sul piano delle grandi

magistrature. Questa teoria non è più convincente perché non considera l’elemento

istituzionale. Mentre l’opinio dei giuristi si basa su un ragionamento aristotelico

ossequioso verso l’auctoritas, quella dei magistrati fa le veci del principe, per cui si fa

riferimento ad un precedente giudiziario, che rispecchia la voluntas del principe. La

communis opinio è tipica dei consulenti; il secondo caso parla di sentenze (“decisio

habet vim legis” che pubblicate danno vincolatività al precedente.

L’autorità dei tribunali nasce con una turbata da parte dei magistrati che dicono di

essere la voce del sovrano. Quando emettono una decisione la fanno secondo la

volontà del principe per cui “decisio tribunalis habet vim legis”. Che vuol dire questa

espressione? I tribunali si dichiarano partecipi ala volontà del sovrano

nell’elaborazione delle leggi.

Il passaggio tra la cultura aristotelico - scolastica e la rivoluzione

copernicana.

L’età medievale è basata dal punto di vista filosofico da una stessa spina dorsale. Ci

riferiamo al Basso Medioevo (dopo il 1000). Abbiamo parlato della suola di Orleans

(1235-1300 avanzato; vedi IX lezione) che culmina con l’editto di Orleans. Questa

scuola è un canale con cui nella cultura giuridica penetra l’aristotelismo. La

situazione si complica quando in quanto Aristotele è semplicemente “riscoperto”.

Cosa lo ri-scopre? È il pensiero cristiano di Tommaso d’Aquino (“il dottor Sottile”)

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Page 91: l'età moderna

nel XIII secolo. Vi sono degli aspetti tomistici che riguardano il diritto. Quando

definisce la lex dice che è un atto di volontà che risponde alla ratio ordinationis. Non

vi è l’elemento precettivo ma più cognitivo. Si mette insieme la componentedella

ratio (logica) e la dsposizione (=ordine condiviso). È voluntas (=autorevolezza) e

ordinatio rationis (=ordine logico). Si parla oltre di filosofia tomistica anche di

scolastica in quanto S. Tommaso è l’adattatore del pensiero aristotelico alla realtà

medievale. Il punto di riferimento di questo pensiero è il libro della Logica. L’uomo

conosce della realtà esterna le essenze, la qualità della realtà. La conoscenza umana

percepisce le essenze conosciute con l’adeguazione. Posto che qualsiasi atto

conoscitivo mette in gioco due poli, la mens (mente e la res ( la realtà); la conoscenza

è l’adeguarsi della mens allares.

Questa concezione si basa su una bipartizione dei livelli di conoscenza. L’uomo

attinge a due livelli: quello della scienza e quello dell’opinione.

Il livello della scienza prevede la conoscenza delle verità apodittiche, che non devono

essere dimostrate e sono autoevidenti. Abbiamo un secondo livello dell’opinione

(conoscenza dialettica o probabile) che riguarda quelle verità che necessitano di una

dimostrazione logica, non autoevidenti. Tale livello è quello che si raggiunge ciò che

ritengono i più (“Etica Nicomachea”) o almeno (inciso velenoso) ciò che ritengono i

più saggi. È il passaggio del sillogismo, della comminis opinio, ovvero traduzione

della verità nel secondo livello del pensiero aristotelico. È una soluzione logicamente

perfetta perché Aristotele tiene conto dell’auctoritas da cui si ha una prova logica,

una approbatio dei dotti. Da qui avremo il probabilismo aristotelico- scolastico,

diverso da quello della rivoluzione scientifica, in quanto qui è probabile ciò cha ha

avuto la approbatio dai dotti. Perché è così importante il secondo livello? Il diritto

inclina verso l’opinione probabile perché è logica, convincimento, persuasione,

dialettica per cui si deve basare sull’opinione dei saggi, ottenendo la communis

opinio.

La rivoluzione scientifica riguarda il modo di pensare e consiste in un sostanziale

supermanto del pensiero aristotelico – scolastico. Quando Bacone scrive il “Novum

Organum” (=Nuva logica) raggruppava le funzioni della logica e vuole creare una

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Page 92: l'età moderna

fratture irreversibile col pasato in quanto il suo modo di pensare non coincide con

quello aristotelico – scolastico. Per i nostri avi conoscere significava accumulare il

sapere; per noi conoscere significa prendere vie divergenti. Bacone dà una svolta

all’epistemologia (=teoria della conoscenza). Come si ha ciò? Bacone dice che il

consenso non è affatto strumento di conoscenza scientifica, ma indice di fallibilità. Il

consenso non è presunzione di verità ma sinonimo di errore al contrario di quanto

sostenevano gli aristotelici. Aristotele diceva che uno dei modi per arrivare alla

conoscenza è dato da ciò che i dotti insegnano. Bacone ripesca un aneddoto che risale

ad un oratore, Focione. Questi in una conferenza pubblica aveva ricevuto gli applausi,

per cui si chiese in cosa si stava sbagliando. Gli aristotelici in ambito scientifico

hanno considerato il consenso quando non era necessario; nell’ambito politico viene

considerato il parere di uno o di una cerchia. Perché per Bacone il consensus è

sinonimo di errore? Nasce dal modo di conoscere. Gli aristotelici si basavano sulla

percezione oggettiva della realtà; con la soluzione copernicana pone il centro della

conoscenza nell’uomo, per cui è sempre relativa. Si passa dall’equazionismo al

relativismo. Noi non conosciamo la realtà oggettivamente ma possiamo fare degli

esperimenti per cui la conoscenza è limitata ad una certa prospettiva. Il rifiuto del

consensus nasce dall’idea che noi conosciamo un singolo fenomeno e possiamo

immaginare che dall’esperimento scaturisca una conoscenza probabile

(=sperimentalmente provata) che talvolta porta a risultati differenti.

Vi sono differenze tra l’approccio di Bacone e Cartesio nel rapporto tra consenso e

potere. Cartesio, amico dei Gesuiti, dice che il consenso non è un metodo valido per

conoscere ed elabora la teoria della morale provvisoria. Cos’è? La tesi con cui si

giustifica il fatto che non si può attaccare direttamente l’ordine costituito ma fingere

di accettare la morale corrente. Prima di costruire una nuova casa bisogna abbattere la

precedente.

Cartesio va contro la communis opinio. Sostiene poi il “cogito ergo sum”. Per Bacone

l’uomo conosceva le essenze. Per Cartesio non si ha questa semplificazione: conta

l’estensione (res extensa) e non l’essenza. Conta la quantità e non la qualità. La

cultura giuridica risente dell’insegnamento cartesiano. Prima di Cartesio la

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Page 93: l'età moderna

conoscenza era qualitativa; dopo la rivoluzione scientifica nella giurisprudenza si fa

un’analisi quantitativa. Nasce di qui la statistica per l’amministrazione del buon

governo, la legge finanziaria, di bilancio, lo stato assistenziale dove si contano le

spese.

Tale pensiero si diffonde in Inghilterra e in francia, dove si pone l’attenzione al dato

economico. I giuristi sanno fare i conti e applicano l’ideologia anche in campo

economico. Francesco d’Andrea dice che il diritto non ha senso se non è vagliato

dall’economia. Facciamo un esempio economicistico: spesso il palramento fa una

commissione. La rivoluzione scientifica va contro i consigli affidando le questioni

nelle mani di uno solo (valido), privado (=della cricca del sovrano) proponendo

soluzioni efficientiste. Si parla qui di quantità.

Un ultimo esempio è dato da due proposte pratiche. La prima è l’istituzione del porto

franco. Prima si viaggiava su navi che erano sottoposte a molte tasse. Vennero

proposte delle zone libere di scambio in cui la nave non pagava tasse.

La seconda proposta è la manomorta ecclesiastica, con cui la Chiesa forma un

patrimonio immobilizzato nelle casse. I giuristi combattono la manomorta ripescando

le costituzioni di Federico II (“praedecessorum nostrorum” vedi XI lezione).

18 a Lezione 04/05/2005

Osservazioni sul convegno “Riti, tecniche, interessi. Il processo penale tra

Otto e Novecento” del 05-06/05/2005.

Il processo è il sapere tecnico per eccellenza. Noi italiani siamo formalisti a mettere

la procedura alla fine dei nostri studi. In realtà non esiste il diritto senza la procedura.

Esiste nell’ambito della procedura civile e penale una riflessione seria. Vi è

diffidenza dal punto di vista storico. Fino al ‘900 si insegnava diritto penale con

qualche nozione del processo. Solo a Torno Mancini istituì un modulo di procedura

penale, considerata materia di basso rango. Lo stesso accade per la procedura civile;

vi era un pregiudizio per cui il professore di diritto civile e privato insegnava qualche

nozione.

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Page 94: l'età moderna

Gli umanisti sistemano il diritto civile nella tripartizione res-personae-actiones e

questa è l’ottica con cui si studiava il diritto privato. Agli inizi dell’800 avviene un

fatto che cambia la prospettiva, dato dalle codificazioni. È un fenomeno che concerne

tutti i rami del diritto. In Italia abbiamo 4 codici di cui 2 di procedura. Ciò facilita la

formazione di corsi di procedura civile e penale.

La parola “tecniche” indica quelle regole apparentemente pratiche che sovrintendono

allo svolgimento del processo. Qual è il senso? La tecnica non è mai neutrale ma ha

un significato politico in senso lato.

Esempio: nel ‘500 vi era il problema dei tempi di comparizione del soggetto davanti

al giudice. Si discute se:

chi vive in provincia sia giustificato con un termine più lungo (chi vive

nella metropoli/chi vive in campagna che nutre odio verso la città la quale

vive in maniera parassitaria rispetto a chi produce). Stabilire un termine di

comparizione uguale è un’iniquità;

occorre un atto di consenso da chi è analfabeta per comparire in giudizio?

Dei volumi di giurisprudenza si occupano delle “miserabiles personae”, ovvero di

persone degne di commiserazione che devono essere aiutate dallo Stato. In

particolare abbiamo le “vidue” (=vedove) e i “pupilli” (=orfani) affidati al tutore o al

curatore.

Le tecniche processuali sono significanti di valori in campo non evidenti ma che

esistono. Per le vidue e i pupilli valeva la regola del foro: se erano citati in giudizio,

dovevano essere citati davanti ai tribunali di appartenenza per tutelare la loro fragilità

(in astratto). È apparentemente tecnica bruta; dietro di essa vi sono valori alti e bassi,

“interessi”, ovvero giochi di potere su cui lo storico deve indagare. Questa dialettica

tra i due poli si ha perché la procedura viene considerata come prassi nel periodo che

va dalla nascita dello Stato moderno alle codificazioni. Si parla di “praxis”, che da un

lato è molto immediata e spontanea, dall’altro corre il rischio di essere ostaggio

dell’arbitrium dei soggetti che la gestiscono. Devono essere considerati gli addetti

alla giustizia che prima formavano un ceto (4-5% della popolazione; 1 persona su

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Page 95: l'età moderna

20). Abbiamo poi gli interessi dei feudatari, dei commercianti, del ceto forense ce si

traducono in tecniche.

Occorre considerare i “riti”. I longobardi nel VI-VII-VIII secolo erano sottoposti al

giudizio di Dio (panteismo). Oggi comunque è rimasta la concezione un po’ sacrale

del processo. I giornali dicono che i processi “si celebrano”; si parla di “rito penale”,

“rito abbreviato”. Questa solennità è ricondotta a vari cause di matrice religiosa; nel

medioevo la giustizia è esercitata in base alla volontà di Dio che ha il compito di

giudicare. Chi esercita giustizia esercita un piccolo frammento del potere influenzato

da Dio. Dal punto di vista laico alcuni frammenti del Digesto dicono che lo ius “suum

cuique tribuere”.

Quando sono compilati i codici di procedura un po’ cade questo mito. Abbiamo tutto

un consolidamento della ritualità che deriva da un altro elemento che si sovrappone.

L’elemento che viene meno è il senso religioso mistico. Nell’età medievale e

moderna cosa rende il processo simile ad una messa? L’esigenza di amministrare la

giustizia richiamando Dio e considerando l’applicazione di regole segrete e

misteriose agli uomini. La giustizia si ha con gli “arcana”, ovvero con i misteri delle

legge, per cui non c’è motivazione della sentenza. Non ci stupisce che il prcesso sia

“celebrato”. Con la codificazione questo elemento viene meno in quanto le decisioni

sono motivate; inoltre la praxis arretra per dare alla legge e alle regole di diritto.

L’elemento che si aggiunge fa rivivere la ritualità del processo. Prima il processo

avveniva in segreto soprattutto nel momento dll’indagine (“istruzione”). Il momento

messo in piazza era l’esecuzione per terrorizzare la massa. In seguito la situazione

cambia. Abbiamo due fenomeni: il desiderio della società di controllare lo

svolgimento del processo e l’imputato deve essere garantito durante l’indagine che

non deve essere segreta. Alla fine dell’800 si fa strada l’idea del controllo pubblico.

La giustizia è esercitata in nome del popolo italiano.

Un altro aspetto tecnico da segnalare. Se volessimo fare una storia del processo

abbiamo due epoche:

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Page 96: l'età moderna

1. fino al ‘200 del processo feudale. Nessuno sa come avveniva in quanto era orale. Il

feudatario esercita la giustizia con l’auxilium-consilium dei vassalli. È un processo

semplice, basato sulle consuetudini franco-longobarde;

2. con la scuola di Bologna non si studia il processo esaminato dai post-accursiani. I

giuristi bolognesi non considerano il processo in quanto non erano interessati alla

praxis. In mancanza di regole giustinianee sul processo se ne occupano i canonisti. Il

processo dell’Europa occidentale ha una matrice canonistica. Ricordiamo Innocenzo

III che agli inizi del ‘200 crea il Tribunale dell’Inquisizione. Come si fa a scavare

nella coscienza dei fedeli? Con le buone o le cattive, ovvero con la inquisitio o la

tortura. Tale procedura è detta processo romano-canonico. È romano perché riprende

aspetti del processo dell’antica Roma.

Nell’antica Roma abbiamo il processo “per formulas” in cui abbiamo un soggetto che

accusa, uno che si difende e sono posti ad una distanza egualitaria. Più importante è

la componente canonistica: inquisitio per scoprire l’eresia con alcune regole.

Paradossalmente la Chiesa che ha introdotto l’inquisizione ha il merito di aver

formalizzato le regole del processo che diventa scritto.

Seconda regola: il processo si fonda su scansioni cronologiche determinate. Abbiamo

tempi per citare, per svolgere il processo, per emettere la sentenza, per impugnarla,

per eseguirla.

Il processo inoltre prevede per l’appello una disciplina sui tempi e sugli effetti. Un

ultimo aspetto è che la sentenza è motivata. Oggi la motivazione serve ad effettuare il

controllo sociale sull’operato dei giudici. Nel processo romano-canonico ha una

funzione endo-processuale, ovvero di fare in modo che la parte soccombente conosca

prima i motivi per i quali perderà in modo da poter contrattare la sua sconfitta e far

valere i suoi rilievi. Ciò alleggerisce i tempi del processo. Questo processo deriva

dalle decretali, in particolare quelle di Clemente V.

Il processo romano-canonico nasce come processo inquisitorio o accusatorio? È

accusatorio quando le parti si trovano in una posizione di perfetta parità davanti al

giudice che è terzo. Nasce dall’atto di accusa per cui tale processo è detto

accusatorio.

96

Page 97: l'età moderna

Il processo inquisitorio prevede che il giudice è anche investito del compito di

raccogliere le prove. È umano che in ciò sarà influenzato dalla sua concezione intima.

Come nasce il processo romano-canonico? Secondo teorie recenti come accusatorio,

ovvero la Chiesa non fa scattare di ufficio l’azione processuale (l’azione inquisitoria

nasce ex uffcio), ma c’è bisogno di qualcuno.

[Oggi abbiamo un’azione ex ufficio in rito accusatorio].

Entro il ‘300 il rito diventa inquisitorio. Perché si ha ciò? Abbiamo delle concause.

Innanzitutto la chiesa che faceva scattare l’inquisizione e il processo ex officio (es.

nessuno poteva controllare se io mangiavo carne di venerdì, cosa proibita). Un’altra

causa è la vita comunale. Nei Comuni la lotta politica è spietata e una parte si gioca

nei processi. È premiata la denuncia privata da cui parte l’indagine. Il modello

inquisitorio è preferibile perché l’accusatore non si espone. Si fa strada la delazione,

ovvero la denuncia anonima.

Cosa vuol dire oggi meccanismo inquisitorio e accusatorio? Gli Illuministi

combattono cattive abitudini del processo, tra cui il processo inquisitorio, non gradito

per la segretezza in primo luogo. Il silenzio è interpretato come ammissione della

colpevolezza. Gli Illuministi vogliono un’istruzione non segreta ma meccanismi

trasparenti. Vogliono che l’istruzione e il processo si svolgano alla luce del sole con

prove trasparenti (è un’utopia). Nel processo romano-canonico la prova utilizzata è

quella legale. Oggi per legale si intendendola prova ammessa dalla legge o prova il

cui valore è prestabilito dalla legge. Ci si chiedeva se la registrazione fosse una prova

ammissibile (secondo il primo senso della prova).

La prova legale è tale quando la legge a monte stabilisce che il giudice deve dare alla

prova un certo peso. Esempio tipico è la testimonianza: due testimonianze “de

audito” coincidenti costituiscono probativo plena.

[Es. se io sento sull’autobus che Irene ha fatto la rapina, la testimonianza non vale; se

io e Lucrezia sentiamo la stessa cosa vale; se il papa da solo sente fa prova].

L’elemento negativo è la sua farraginosità.

Il processo inquisitorio e accusatorio sono modificati con la codificazione. Vi è una

scissione tra istruzione e dibattimento. Gli Illuministi parlano di un momento in cui si

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Page 98: l'età moderna

raccolgono le prove e uno in cui si discutono. Volevano che questi due momenti

fossero accusatori, ma così non è. Le codificazioni realizzano un compromesso:

l’istruzione è inquisitoria, il dibattimento è accusatorio 8soprattutto nel processo

penale).

Se le prove sono tali da giustificare un giudizio più approfondito, viene rinviato e

passa ad una fase pubblica di sottoposizione al giudice (dibattimento). Si vuole che le

prove siano escusse e valutate pubblicamente e che vengano formate di nuovo

davanti al giudice. Tale operazione non sempre si verifica.

In un processo penale la prova per eccellenza è data dalle testimonianze delle forze

dell’ordine. Il poliziotto può nel rinvio andare avanti a tutti a dire quello che ha visto?

No. Ciò indica che si può avere la riformazione delle prove solo per alcune di queste

mentre per altre si legge il verbale dell’istruttoria.

Il carattere accusatorio del dibattimento si combina con un altro aspetto del processo

post-illuministico: la pubblicità. Il processo si svolge davanti alla platea

rappresentativa della collettività (Dezza).

Il primo codice di procedura penale è il codice di Istruzione penale del 1808.

La pubblicità attiene all’intero iter del processo.

Il terzo principio di Dezza è l’oralità. L’antiformalismo contro il passato oscurantista

contesa del processo romano-canonico la scrittura, inteso come strumento pericoloso

di alterazione della realtà. L’oralità si ha quando si sente parlare dei fatti del processo

dalle parti coinvolte. Se abbiamo un lavoratore analfabeta coinvolto avremo una

maggiore parità se può parlare. Chiovenda è stato il propulsore del principio di

oralità.

Un altro elemento è la tortura. È un meccanismo processuale tipico del processo

romano-canonico con cui il soggetto viene indotto alla confessione. È un meccanismo

che serve a precostituire la regina delle prove ( per noi): la confessione. [Gli Inglesi

odiano la confessione]. Serve ad “eruenda veritatem”, per confessare le eresie. Anche

la tortura ha una sua procedura. Quando è contestata? Le prime critiche arrivano dai

giusnaturalisti. Christian Thomasius sostiene agli inizi del ‘700 che la tortura non

deve essere praticata in quanto contraria ai principi di umanitarismo (=la dignità

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Page 99: l'età moderna

umana è mortificata con la tortura). Beccarla nei “Dei delitti e delle pene” (1764)

critica la tortura su basi umanitarie e utilitaristiche. La tortura infatti non è utile

perché chi è forte anche se colpevole non confessa, chi è debole anche se innocente

confessa (vedi Garlati problema del silenzio).

Esistono altre forme di tortura, di vessazione che possono indurre l’imputato a

confessare. Ciò riguarda l’aspetto della detenzione preventiva presente nel processo

penale di ‘800 e ‘900. questo rapporto tra colpevolezza e presunzione di innocenza e

tra presunzione di colpevolezza e innocenza è critico perché bisogna considerare

l’interesse del singolo da un lato e della società dall’altro.

Mastroberti parlerà del dibattimento e del libero convincimento. Nella prova legale il

valore è prestabilito dalle legge. L’opposto della prova legale è il libero

convincimento. Cos’è? Ha sede naturale nel dibattimento pubblico e orale. Qui il

giudice viene a conoscenza delle prove che si formano sotto i suoi occhi (eccezione

del poliziotto). A che serve? Il giudice elabora nella sua testa un convincimento

libero, non condizionato da prove previe. Quando agisce il libero convincimento? È

considerato dalla Rivoluzione francese mediante la convinzione intima.

Il codice Romagnoli (1807-1808) prevedeva inItalia per la prima volta il libero

convincimento. È strumento di garanzia perché il giudice valuta con un criterio

razionale, più vicino al senso comune (convinzione più ingenua). Il giudice è visto

come uomo comune, padre di famiglia. Cosa si può obiettare? Il libero

convincimento realizza un meccanismo incontrollato, perché propone un affidamento

quasi cieco al giudice che si lega alle umane passioni. Il contemperamento per evitare

giudizi passionali è dato dall’obbligo di motivare le sentenze. Un altro meccanismo di

controllo è che nei sistemi procedurali se la motivazione è sballata si può impugnare

la decisione (vedi Martino: la Cassazione e il dibattito che la instaura). Vi è il

controllo da parte di altri giudici che esaminano non il fatto ma se il giudice si sia

sottoposto effettivamente alla legge. Tutti questi elementi sono raccolti cono la

istituzione dello Stato di diritto.

19 a Lezione 10/05/2005

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Page 100: l'età moderna

Osservazioni sulla lezione di Cazzetta del 12/05/2005.

Cazzetta, studioso del diritto del lavoro ci parlerà degli effetti della Rivoluzione

industriale, tardiva in Italia (fine ‘800). Ci parla dell’impatto del codice civile. Ad

esempio il rapporto di lavoro richiede una configurazione giuridica più complessa di

quella data dal code civìl che tiene conto di una società agraria.

La rivoluzione scientifica.

Il pensiero della rivoluzione scientifica rifiuta il livello della scienza e della dialettica

di Aristotele. Non è più possibile per gli scienziati conoscere l'essenza ma il singolo

fenomeno attraverso l'esperimento. La conoscenza aristotelica era cerebrale e i sensi

erano la feccia, strumenti di depistaggio per la conoscenza; la conoscenza scientifica

rivaluta i sensi e delle cose conta l'estensione, la misurazione.

L'uomo moderno (Bacone, Cartesio e Newton) fa i conti, calcola (l'avaro di Moliere).

L'aspetto sensitivo è rivalutato: è opportuno che l'uomo sappia misurare la realtà,

ovvero i giuristi.

Spesso le corti costituzionali emettono sentenze che non guardano il dato economico.

Le decisioni sono ispirate al principio giuridico e non al dato economico. Nel 1600 si

tiene conto dei conti. Dalla rivoluzione scientifica in poi il diritto ha subito un ritardo

perché non ha saputo cavalcare la dimensione dinamica del calcolo, dell'esperimento,

della quantità. Il probabilismo moderno è quello che statisticamente accade (id quod

plerumque accidit). Se confrontiamo la probabilità aristotelica e quella scientifica,

mentre per Aristotele è probabile ciò che nasce dalla approbatio, per la rivoluzione

scientifica è probabile ciò che in seguito alla ripetizione di esperimenti si ritiene che

sia garantito dall'esperimento. La scienza contemporanea afferma la asseribilità

garantita, ovvero un'affermazione che porta il dubbio di scientificità garantita dal

ripetersi statistico degli eventi. Questa scientificità ha radici in Bacone, Cartesio e

Newton.

Il giusnaturalismo moderno.

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Page 101: l'età moderna

La rivoluzione scientifica è alla base di un movimento filosofico del giusnaturalismo

moderno.

Abbiamo parlato già di giusnaturalismo medievale. Il giusnaturalismo è un modo di

concepire il diritto eterno. Il giusnaturalismo medievale ha un’origine cristiana. Si

crede che la natura sia una fonte del diritto anzi la fonte principale del diritto.

Dobbiamo intenderci sul concetto di natura. Nel Medioevo la natura è vista come Dio

("natura id est deus"), non come qualcosa che è altro da noi, realtà oggettiva. È

sovrannaturale, uno spirito che tiene vivo il mondo quindi Dio. Essendo la natura

essenzialmente Dio, chi si appella al diritto naturale si appella a Dio, ai valori

intoccabili dell'uomo. Per i giuristi naturali appellarsi al diritto di natura significa

appellarsi a valori fuori dal tempo, immutabili. Dato che la natura è un dato obiettivo

la si può conoscere obiettivamente, cioè oggi in seguito alla rivoluzione scientifica la

natura è da studiare, ma prima che era data. Avevamo un aceto privilegiato, i religiosi

che erano i depositari dei valori oggettivi della natura. Si tratta di giusnaturalismo

obiettivistico, la natura è ratio in sé. Abbiamo dei soggetti qualificati (dotti) che sono

mediatori tra i poveracci (persone fisiche) e il mondo dei valori. Abbiamo un’elitè

non selezionata con metodo democratico ma per valore indotto perché è buona.

Consideriamo il giusnaturalismo moderno soggettivistico. È cambiato in quanto vi è

l'idea per cui l'uomo conosce con l'esperimento, il singolo atto conoscitivo. Se la

natura è da sperimentare caso per caso, il diritto naturale non è precotto dall’elitè ma

è scritto da ciascun individuo.

Il giusnaturalismo moderno è laico anche se molti esponenti sono cristiani, dotti. Il

primo esponente si dice che è Grozio, perché era un giurista olandese vissuto tra 1500

e 1600. Egli pensa al contratto sociale. È un contratto logico, non di fatto, posto

all'origine della civiltà. Si considerano due epoche:

stato di natura, in cui non ci sono regole e vivono alla giornata;

stato civile, dopo aver stipulato il contratto sociale.

Grozio dice in “De iure belli” che il contratto sociale consente agli agli uomini di

uscire dallo stato di natura. Si stipula il contratto perché gli uomini sono per natura

socievole e ottimisti di cambiare la situazione. La novità di Grozio sta nel suo

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Page 102: l'età moderna

laicismo. Per lui "le leggi di natura sarebbero valide anche se Dio non esistesse

(quod absurdum est = il che è assurdo)". Per la prima volta la natura si regge senza

Dio. Si passa da una visione di giusnaturalismo religiosa a una laica. Perché Grozio e

ancora legato al giusnaturalismo medievale? Egli crede in un giusnaturalismo

obiettivistico. Nel "De iure belli" pensa che il genere umano appartiene ad un

centinaio di uomini e non che cento uomini appartengono al genere umano (ciò non

fu condiviso da Jean Jacques Rosseau). Grozio infatti è legato alla concezione per cui

ci sono pochi dotti che ci dicono cosa fare e quindi ad una mediazione patriarcale.

Non è del tutto il padre del giusnaturalismo moderno.

Dopo Grozio rimane un atteggiamento laico e quel concetto di mediazione è adattato

al giusnaturalismo subiettivistico.

Filoni del giusnaturalismo moderno.

Del giusnaturalismo moderno abbiamo vari filoni:

1. filone inglese (Hobbes, locke);

2. filone volontaristico tedesco (Pufendorf, Thomasius);

3. filone razionalistico tedesco (Leibiniz, Wolff);

4. tardi sistematici francesi (Domat, Pothier).

1. Filone inglese.

Hobbes viene considerato il teorico della tirannia. È vissuto tra il ‘500 e il ‘600 ed è

spettatore della prima rivoluzione inglese (1640-1642). Il suo antagonista Locke vive

nella seconda metà del ‘600 quando ci fu la rivoluzione senza sangue (1688) e muore

nel 1703 (o 1704).

Hobbes è il teorico più lucido della modernità. Guarda in faccia la realtà, gli orrori

della rivoluzione inglese in cui è caduta la testa di un re (Carlo Stuart). Questa

incertezza lo porta ad una diagnosi. Le sue opere riflettono l’idea per cui l’uomo

brancoa in una foresta buia. Gli uomini sono lupi per gli altri (“homo homini lupus”).

Hobbes immagina che gli uomini facciano una guerra (“bellum omnium contra

omnes”). Prevale la legge del più forte. Emerge la precarietà esistenziale, la paura di

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Page 103: l'età moderna

essere uccisi, la paura per l’integrità fisica. Hobbes dice che si può combattere la

paura facendo un patto con gli altri uomini per evitare di sottoporsi al sovrano. Nel

“Leviatano” si dice che gli uomini stringono un patto tra di loro in cui decidono di

sottomettersi ad un mostro, il sovrano. È un “pactum subectionis” (=di sottomissione)

diverso dal “pactum societatis” (positivo) di Grozio. Perché il sovrano è un mostro?

Perché può fare quello che vuole dei sudditi che gli cedono tutti i diritti. Il sovrano ha

solo i diritti, nessun dovere. Perché ciò? Perché è un modo per difendere gli uomini.

[Dopo l’11 settembre hanno detto che siamo tornati allo stato hobbesiano per la

rigidità dei controlli].

Il contratto sociale di Hobbes è un contratto a favore di terzi. Vi è un solo caso in cui

il sovrano può essere accusato di non aver fatto il suo dovere: quando è incapace di

garantire ai sudditi la sicurezza fisica.

Scatta un altro aspetto della modernità: nel rapportarsi al sovrano il suddito è

moderno perché crea un rapporto immediato. Il Medioevo è la società di società

(Portalìs); nel mondo moderno l’uomo è solo di fronte al potere del sovrano. Non ha

più la mediazione dei corpi intermedi.

Hobbes sembra un invasato, eppure è stato anche suscettibile di un’interpretazione

“liberale”. A Hobbes interessa che i sudditi si sottomettano allo Stato. Cosa fa lo

Stato? Non ha una connotazione filosofica-ideologica, i sudditi cercano chi dà

sicurezza. Il Leviatano è il prodotto per garantire la sicurezza dei sudditi (elemento di

novità). Un filosofo del diritto dice che ciò che viene primadi Hobbes è diverso dal

dopo in cui vi è un carattere artificiale dello stato di Hobbes, strumento per salvare la

pelle. Prima di Hobbes lo Stato ha una valenza ontologica, in quanto incarna i valori

della natura e non erogava un servizio.

Quali sono le conseguenze del carattere artificioso dello Stato? Lo stato deve

occuparsi degli affari che riguardano il foro esterno, ovvero gli aspetti esteriori, senza

dare giudizi morali, religiosi. Come fa ad occuparsi del foro esterno? Attraverso le

leggi penali che si occupano appunto solo del foro esterno. Prima religione, morale e

diritto sono frammenti; con Hobbes abbiamo da una parte il diritto, dall’altra la

morale. Il reato è “malum quia prohibitum non malum in sé” (=è reato non ciò che è

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Page 104: l'età moderna

malvagio in sé, ma ciò che va contro le leggi). È libero ciò che la legge non vieta

(aspetto liberale). Hobbes è garantista degli spazi di libertà; è un giusnaturalista in

partenza, un positivista all’arrivo in quanto dà garanzie positive. Hobbes è l’ideatore

del principio di legalità per cui solo l’azione vietata dalla legge è crimine, reato.

“nullum crimen nulla poena sine legge”. Ci sono tanti modi con cui il potere diventa

Leviatano e non c’è Costituzione che tenga.

Se volessimo dire cosa è giusnaturalismo e cosa è giuspositivismo, il primo è

dualistico: prevede il diritto naturale e il diritto positivo. Il giuspositivismo, invece,

prevede solo il diritto positivo; il diritto naturale è chiacchiera (Bobbio). Si ha un

paradosso storico: più è stata forte la tendenza giusnaturalistica, più si è avuta una

soluzione giuspositivistica.

L’altra faccia della medaglia è Locke, un liberale, teorico della seconda rivoluzione

inglese che porta alla monarchia costituzionale. Il re è al vertice dello Stato in quanto

governa nel Parlamento. La formula usata è “king in Parliament”. In questo periodo si

ha il Bill of Rights, che non è una costituzione ma un elenco di diritti.

Anche Locke crede nello stato di natura e civile. Lo stato di natura ha già le sue

regole, cioè esiste una forma di diritto di farsi giustizia da sé. Esistono dei diritti

innati dell’uomo, prestatali, prima della società civile: il diritto alla vita, ala libertà e

di proprietà. È una tesi conservatrice in quanto ritiene che la proprietà è un diritto

prestatale, che non ha riconoscimento dello Stato che lo dichiara e non lo costituisce.

Lo Stato accerta ciò che il soggetto ha. Allora perché bisogna pensare allo stato

civile? Nello stato naturale si tende all’autotutela e quindi si deve prevedere

un’autorità che controlli il sistema. Abbiamo così uno stato costituzionale. Questa

struttura leggera dello Stato deve funzionare secondo un sistema di pesi e di

contrappesi, in cui chi fa le leggi le fa e basta, chi le esegue le esegue e basta, chi

amministra fa solo quello.

Lo Stato deve salvaguardare i diritti già presenti. Ciò porta Locke a teorizzare che lo

Stato si può bloccare da parte del suddito. Il termine suddito è così sostituito da

quello di cittadino. Lo Stato non deve prevaricare i confini altrimenti i cittadini hanno

diritto di resistenza, ovvero di resistere all’ordine ingiusto del sovrano. È una

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Page 105: l'età moderna

contestazione non violenta di rispetto della personalità basata sull’inazione del

sovrano.

2. Filone volontaristico tedesco.

Pufendorf, giursta prussiano, nel 1670 insegna a Lipsia per la prima volta diritto

naturale e distingue tra diritto e morale. Si chiede che cosa sia il diritto, quali sono i

requisiti di una norma per essere giuridica. Pufendorf risente di Grozio e Hobbes. Dal

punto di vista culturale descrive la norma come quella che consiste in un comando

che un superiore impone ad un inferiore e deve essere un comando munito di

sanzione.

Facciamo degli esempi: “Vietato fumare” ha tutti i requisiti per essere una norma

giuridica. Invece l’espressione “È vero che il fumo fa male?” non rappresenta una

norma giuridica.

Occorre quindi ricordare di Pufendorf:

è professore di diritto naturale;

individua lo specifico di una norma giuridica;

la sua visione dello Stato. È antesignano del modello esistenzialistico

(“Welfare State”) perché immagina l Stato paternalistico che si occupa di tutti

gli aspetti della vita del suddito. È uno Stato che vuole la felicità dei sudditi

(oggi la costituzione americana prevede il diritto alla felicità e gli Europei

guardano con sospetto ciò). È uno stato eudemonista, ovvero che prvvede alla

felicità.

Passiamo a Thomasius, tedesco, protestante, più giurista, che vive agli inizi del ‘700.

egli mette in bella copia alcune idee di Pufendorf. Dice che le azioni coprono tre

settori:

lo “onestum” (sfera morale);

il “decorum” (etichetta);

il “iustum” (violazione di norma giuridica.

Al giurista interessa il iustum; tutto il resto attiene a rami del sapere che il giurista

non deve curare. Thomasius approfondisce così il solco tra diritto e morale, etichetta.

Di conseguenza pensa che non abbiano senso quei reati previsti da certi ordinamenti, 105

Page 106: l'età moderna

quali le magie e l’eresia perché non debbono interessare l’ordinamento giuridico che

non si deve occupare della religione né dell’etichetta.

Abbiamo poi un’opera dedicata alla tortura, che è condannata in base

all’umanitarismo, ovvero la tortura è contraria al principio del trattamento

umanitario.

Che differenza c’è tra la lotta di Thomasius e quella di Beccaria verso la tortura?

Thomasius incentra la lotta sull’umanità, la pietas; in Beccaria prevale l’utilità in

quanto la tortura non precostituisce il reato, può depistare il giudice perché dipende il

grado di resistenza. Se è sottoposto il forte anche se è colpevole è innocente e

viceversa.

Tutti questi ragionamenti ci servono a capire chi è favorevole alla codificazione. Il

giusnaturalismo infatti è la matrice storca che porta alla codificazione. Hobbes vuole

la codificazione perché va contro la common law; per Locke è indifferente; Pufendorf

dice che la codificazione è legata al foro esterno e quindi è favorevole; Thomasius è

favorevole.

20 a Lezione 17/05/2005

(segue) Filoni del giusnaturalismo moderno.

[Alcune tesi alla Grossi dicono che si dovrebbe procurare la visione precodicistica. Il

limite previsto è il potere dall’alto che limita i privati ( come Cazzetta). La questione

della legalità è un problema civilistico. A ciò si abbina la riflessione di società: oggi il

problema sarebbe di ricodificare e si propone una legislazione per principi].

Consideriamo un periodo di nazionalismo giuridico. Al tempo del giusnaturalismo si

rivendica il carattere sopranazionale. Ciò non esclude che Hobbes e Locke si

riferiscono all’ambiente inglese.

Le teorie suddette possono essere guardate dal punto di vista del contributo della

codificazione. Molti storici sostengono che la codificazione è partorita

ideologicamente dal giusnaturalismo. Non tutti hanno portato lo stesso contributo. Ad

esempio ah contribuito più Hotman, esponente del filone storico-filologico

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Page 107: l'età moderna

dell’Umanesimo giuridico, che Grozio. Hobbes è inglese (vive di common law),

anche se ce l’ha coi giuristi. Egli infatti è nemico giurato di tutti i corpi intermedi tra

l’esercizio della sovranità assoluta e i destinatari sudditi. I giuristi lucrano sul Lro

sapere fingendo l’essenzialità della interpretazione. Hobbes perciò è sostenitore di

una semplificazione del diritto basato sulle leggi.

Locke è molto più coerente col sistema di common law. Propone un bilanciamento

del potere a favore delle corti giudiziarie. Non porta contributo alla codificazione.

Pufendorf e Thomasius sono favorevoli alla codificazione. Il primo sostiene la

specificità del giuridico e ritiene che il diritto sia schematico, lineare (tipico delle

codificazioni). Thomasius distingue il foro interno ed esterno esaltando la laicità del

diritto.

3. Filone razionalistico tedesco.

Con Leibniz e Wolff tra la “voluntas” e la “ratio” prevale la seconda, in quanto è vera

fonte del diritto (Cavanna parla di volontarismo di Pufendorf e Thomasius).

Leibniz è un matematico, è versatile e ha contribuito al diritto. Il suo primo approccio

è un passo indietro rispetto a Pufendorf e Thomasius. Crede che anche il diritto debba

essere conosciuto attraverso modelli matematici. Il diritto è una scienza che richiede

tecniche espositive quanto più esatte dal punto di vista scientifico. Per lui il diritto

deve essere costruito richiamando formule matematiche e in base alla logica. Leibniz

prevede una norma con un oggetto, predicato e una copula che unisce i due elementi.

Abbiamo così un soggetto A che compie un’azione B avente una conseguenza

giuridica C. Leibniz contribuisce al processo di semplificazione che porterà alla

codificazione. Il suo pensiero appare “anti-moderno”, in quanto è un razionalista con

una visione tutta logica della conoscenza. Il diritto è parte di questa e quindi non è

volontà ma è logica; il compito del giurista allora è solo di mettere in ordine il

sistema. Leibniz si rifà alle grandi sistematiche (commentatori, umanesimo

sistematico); abbiamo così il tardo umanesimo sistematico. Ciò sposta Leibniz fuori

dal binario della codificazione; il sistematic infatti vuole che il diritto sia fatto dal

giurista.

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Page 108: l'età moderna

Il pensiero di Leibniz si colora di un dettaglio che lo rende più antiquato: come tutti i

sistematici è un fan sfegatato del diritto romano, ritenuto perfetto, che deve essere

messo in ordine. L’operazione che Leibniz propone è detta “Reconcinnatio corporis

iuris”. Un’ultima chicca è quella per cui il diritto romano è così perfetto perché è

“ratio scripta” (=ragione allo stato scritto). Leibniz ragione in questo modo perché è

tedesco; la Germania arriva per ultima ala recezione ma questa è totale. Poiché per

Leibniz la conoscenza è logica, non esiste la possibilità di scindere un’azione secondo

metodi di valutazione diversi. Un’azione se è buona lo è da tutti i punti di vista

(visione circolare della logica). Diritto e morale tornano a confondersi. È il

rovesciamento del pensiero di Hobbes: l’azione vietata non è il male in sé ma il

“malum quia prohibitur”.

Wolff è l’allievo di Leibniz sotto il profilo della logica. Consideriamo la costruzione

del concetto di soggetto. Contribuisce quindi al processo di codificazione (basato sui

soggetti). Abbiamo detto che il feudo nasce con grande impronta di soggezione. Il

soggetto è quindi un elemento di negatività. Quando si verifica l’innovazione

dell’Umanesimo giuridico, tutta la storia umana si volge intorno al soggetto. Wolff

riprende questa idea; il soggetto è il perno su cui ruota la riflessione sul diritto. Non è

più destinatario di regole imposte da altri ma è protagonista. La società dell’antico

regime è divisa per ceti e ciò ha una ricaduta sul diritto. Wolff considera il soggetto

come un’entità unica e si fa un passo verso la codificazione. Tutte le norma si devono

rivolgere ora al soggetto in astratto e nella sua unicità.

Wolff contribuisce indirettamente alla codificazione semplificando i soggetti;

dall’altro è a favore del sistema che può essere gestito solo dai giuristi.

4. Tardi sistematici francesi.

Domat vive nella seconda metà del 1600 (1660-1670) e Pothier nel 1700.

Domat vive col re Sole, faceva parte del circolo giansenista con Pascal, ovvero faceva

parte del gruppo di intellettuali francesi che contesta i gesuiti e la loro impostazione

casistica proponendo un rapporto più diretto con la religione, basato sulla fede.

Domat ha nel suo pensiero una connotazione religiosa in quanto per lui contano

regole quali “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Pensa che nel diritto il lavoro

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Page 109: l'età moderna

spetta al giurista. Rifiuta la codificazione perché è il giurista che costruisce il sistema.

Si trova però davanti ad una confusione di norme; il giurista deve risistemare le

norme secondo un ordine naturale. L’opera principale è “Le leggi civili secondo

l’ordine naturale”. Le leggi civili sono quelle secolari. Domat parte da un punto di

vista: le leggi da sistemare appartengono a due blocchi di leggi, immutabili e

arbitrarie. Tale distinzione è usata nel tardo ‘700 in Austria nel codice (penale)

giuseppino che distingue comportamenti naturalmente (percepiti come cattivi) e

giuridicamente riprovevoli (percepiti come cattivi dalla legge penale).

Quali sono le leggi immutabili per Domat? Sono quelle che sono sedimentate dalla

tradizione giuridica in un deposito legale. Le leggi in questione sono quelle del

diritto romano. Per gli antichi più una legge è vecchia, questa è migliore. Quale ramo

dell’ordinamento considera? Il diritto civile, privato.

Le leggi arbitrarie, invece, sono l’esatto contrario di quelle immutabili: nascono

dall’arbitrio, dal capriccio del legislatore. Coincidono col diritto pubblico in quanto i

sovrani moderni intervengono nel diritto pubblico. Il tasso di arbitrio è più elevato,

eppure Domat pensa che anche queste devono essere messe in ordine.

(Il diritto va a due velocità; una di queste è quella della storia e ciò permette al

giurista di dare sistemazione pseudo-naturalistica).

Le leggi immutabili sono immodificabili. Per Domat esiste una riserva oltre la quale

il legislatore non può andare. Il diritto privato romano è il confine inespugnabile: la

perpetuità di questo è un modo con cui i giuristi difendono il loro territorio dal

sovrano per difendere i diritti intangibili dall’arbitrio del principe. Per Domat esiste

un ordine naturale del diritto sistematizzato.

Domat vive ai tempi di Luigi XIV noto per le sue “ordonnances” legate a vari settori

dell’ordinamento (penale, processuale). Ricordiamo l’ordinanza sul commercio. Fu

preparate dal suo ministro Colbert che si avvalse di mercanti (tra cui Savary). Le

ordannances prevedono moltissime regole e lasciano spazio ad altre (coutumes e

diritto comune). L’ordinanza di commercio è un’inversione di tendenza sullo ius

mercatorum, ovvero sul diritto dei mercanti a base soggettiva. Questa ordinanza

infatti si rivolge non ai mercanti in quanto categoria, ma all’atto di commercio

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Page 110: l'età moderna

stabilendo che le regole non devono applicarsi in rapporto ai soggetti che le mettono

in campo ma in maniera obiettiva. Abbiamo così un primo passo verso la

obiettivizzazione del diritto commerciale. Come mai si contrasta il diritto dei

mercanti? La Francia del ‘600 è uno Stato mercantilistico, ovvero la politica

economica prevede il calcolo della ricchezza in base alla quantità con una forte

ingerenza dello Stato in tutti i campi. Le ordonnances di Luigi XIV non sono codici

perché possono essere integrate in caso di lacuna da norme particolari.

Pothier vive nel ‘700; molte sue soluzioni giuridiche le ritroviamo nei nostri codici.

Egli era contrario alla codificazione. Il suo contributo indiretto alla codificazione è

decisivo. Sistematizza, raccoglie, razionalizza le coutumes e compie un lavoro da cui

attingeranno i napoleonici. Pothier compie un lavoro “istruttorio” che consiste nel

processo di uniformazione.

Legislazione italiana nel ‘700. Tentativi di codificazione.

Nessuno dei corpi approvati raggiunge il livello di codificazione in senso tecnico.

Caso più importante: codificazione piemontese in tre edizioni (1723, 1729, 1770) ad

opera di Vittorio Amedeo di Savoia, secondo cui bisognava occuparsi prima di tutto

del diritto processuale e poi della riforma del diritto sostanziale. Una logica che

premia l’elemento fattuale. Sono valori di selezione tra le vecchie norme sabaude e

quelle nuove per fattispecie specifiche. Costituzioni sono norme regie di particolare

importanza. Le leggi piemontesi contengono norme che vietano di citare la dottrina

(legge delle citazioni). Il divieto è integrale. Ciò significa riconoscere che il diritto

dello stato non deve avere commistioni con la dottrina. È un passo in avanti verso la

modernità. Abbiamo delle varianti tra le tre edizioni: l’ultima vieta di citare il

precedente giudiziale.

Le costituzioni piemontesi ammettono che in caso di lacuna si debba ricorrere al

diritto romano comune e/o agli usi locali. Perciò si può escludere senza altro che le

costituzioni piemontesi siano una codificazione in senso moderno.

110

Page 111: l'età moderna

Altro corpo normativo: le costituzioni modenesi (1770, ducato degli Estensi). Si

ispirano a Ludovico dei Muratori. Perché queste costituzioni non sono codificazioni?

Perché in caso di lacune possono essere integrate dal diritto comune e non possono

essere esaustive, anche se c’è un piccolo passo in avanti perché non è prevista

integrazione da parte di usi locali (a differenza delle costituzioni piemontesi).

Abbiamo tentativi non riusciti di codificazione anche nel Granducato di Toscana e

nel Regno di Napoli.

Nel 1734 il Regno di Napoli è conquistato da Carlo di Borbone. Questi aveva intenti

riformatori; il suo ministro è Bernardo Tanucci, toscano. Nel 1740-1741 Tanucci

istituisce la commissione per la redazione di un codice. Accade però che Napoli, sede

di tesi riformistiche e antiquate, vede la presenza di ceti privilegiati (nobili, clero,

giuristi che sguazzano nell’incertezza della legge), la legislazione è affidata ad un

antiquato, Giuseppe Pasquale Cirillo. Il tentativo va avanti per 40 anni e poi si

impantana. [La codificazione è un momento in cui le situazioni sono chiarite chi è

forte non ha bisogno di chiarimenti].

In Toscana si ha lo stesso fenomeno: i Dorena affidano l’ordinamento a Pompeo

Neri, conservatore e romanista che non apprezza la codificazione. L’esperimento

toscano è così portato al fallimento.

Nel tardo ‘700 sono pubblicati manuali per studenti universitari costruiti sul modello

delle Institutiones di Gaio. In tutto il ‘700 non si è riusciti a realizzare la

codificazione in senso moderno.

L’Illuminismo giuridico.

Questo è ritenuto per molti secoli fenomeno non giuridico. Tale pregiudizio anti-

illuministico aveva due cause:

1. di tipo idealistico;

2. di derivazione marxista.

1. È una storiografia che ritiene di guardare agli ideali, ai valori più che ai fatti.

Deriva dall’impostazione legislativa, crociata. Gli idealisti dicono che gli illuministi

111

Page 112: l'età moderna

non fecero che deteriorare il sistema di diritto comune. Questo era un sistema

imperfetto con dei vantaggi:

lo Stato non si intrometteva nell’ordinamento giuridico (ciò si lega alla visione

liberale degli idealisti). Il diritto era sì un ceto, ma era spontaneo (alla Grossi

maniera);

era un sistema con delle garanzie. Una è il sindacato degli officiali

(=procedimento contabile); abbiamo poi la motivazione delle sentenze, la

molteplicità degli ordinamenti. Si parlerebbe di garanzie astratte.

Gli Illuministi quindi non capivano nulla di diritto.

2. Per i marxisti l’Illuminismo è l’apoteosi della borghesia, facendo passare le sue

istanze come quelle di tuta la comunità. Il potere doveva essere nelle mani della

nobiltà feudale. Con la Rivoluzione francese tale classe egemone è sostituita da

un’altra che usa come arma la codificazione. Gli Illuministi avrebbero combattuto per

obiettivi di facciata, ovvero per uguaglianza formale, strumentalizzando il tutto per

obiettivi borghesi.

Si può obiettare che è vero che l’Illuminismo voleva ideali borghesi ma ciò era per

forza il primo passaggio perché il potere fosse gestito da ceti diversi da quelli che

tradizionalmente lo avevano gestito.

È vero che i ricchi rimangono tali ma è l’Illuminismo (Aiello) che prevede che si

passi dall’arbitrio di privilegio al privilegio che viene codificato. Si punta alla

trasparenza della posizione soggettiva.

21 a Lezione 18/05/2005

(segue) L’Illuminismo giuridico.

I marxisti ritengono che il il diritto e lo Stato sono sovrastrutture, prodotti dei veri

rapporti di forza economici. L’Illuminismo è il momento culminante della visione

tipicamente borghese.

112

Page 113: l'età moderna

Per vedere il superamento di queste due concezioni bisogna dire che oggi nessun

giurista ritiene che esiste un diritto puro, tecnico, apolitico.

Gli Illuministi hanno capito però che il diritto è sempre politica, che non vi può

essere purezza di una norma astratta. Pensare ciò significa che si cerca anche di

utilizzare il diritto come strumento per cambiare la società ingiusta, feudale,

parassitaria, diseguale. Compito del potere politico era usare il diritto per cambiare lo

status quo. Gli Illuministi credono che lo Stato si deve appropriare della leva del

diritto, ovvero usare lo strumento normativo per riformare la società. La conseguenza

è che l’Illuminismo propugna un diritto che sia soprattutto legge (proprio quel mondo

cha a Grossi non piace). La legge è quella che fa il potere politico; ciò che non è

legge (consuetudine, tradizione, diritto comune, il mondo di Domat) non piace agli

illuministi perchè rappresentano l’altro versante che vogliono abbattere. È una

concezione che apre le porte ad uno Stato legislatore che secondo Gaetano Filangieri

è la filosofia in soccorso dei governi. Gli intellettuali devono aiutare i governi a

legiferare. Filangieri scrive questa opera intorno al 1780.

Per gli Illuministi il vero diritto è la legge che deve realizzare degli obiettivi

programmatici, ovvero deve essere chiara, certa, eguale (=per tutti i cittadini),

espressione di volontà generale. Che cosa vogliono quindi gli Illuministi in ambito

giuridico? Una legge chiara e certa.

[Quando abbiamo parlato della Rivoluzione scientifica questa mirava alla conoscenza

del singolo fenomeno con l’esperimento, probabile. Il più grande teorico di questo

approccio è Cartesio. Questi diceva che le idee devono essere chiare e distinte.

Partendo da ciò l’Illuminismo giuridico propone di realizzare tali obiettivi anche in

campo giuridico].

Le leggi devono quindi essere chiare e certe. Perché la legge deve essere chiara?

Considerando il periodo che va dalla fine del ‘600 al 1780, l’Illuminismo vuole il

rischiaramento. A cosa mira ciò? A far sì che tutti i consociati possano attraverso la

luce della ragione spazzare via le tenebre dell’oscurantismo e dell’ignoranza. Bacone

diceva: “Noi proponiamo una conoscenza nuova”; gli Illuministi fanno lo stesso

113

Page 114: l'età moderna

discorso raccomandandosi di rendere partecipi tutti. Entra lentamente in scena

l’opinione pubblica.

Considerando la certezza, la legge deve essere certa perché è necessario superare uno

dei più grandi squilibri, una delle più grandi ingiustizie dell’Ancien Regime. Il diritto

deve divenire una realtà a tutti conoscibile e certa, ovvero chi agisce deve essere certo

dei propri diritti e obblighi. In precedenza non c’è nessuna codificazione e nessuno

strumento che renda certa l’esistenza del diritto. Non vi sono strumenti che rendano

pubblico ciò che decidono le magistrature che hanno una vasta gamma di soluzioni. Il

problema dell’incertezza del diritto è classico nell’Ancien Regime perché i magistrati

scelgono una norma tra una gamma pressoché infinita.

Ovviamente auspicare che la legge sia chiara e certa significa andare incontro alla

codificazione.

Le fasi dell’Illuminismo.

1. Pre-illuminismo (1680-1730). È un periodo in cui la conoscenza è orientata verso

l’empiria, i fatti, la materia, la quantità e vi è un approccio sensistico. Tale aspetto

filosofico si traduce nel riformismo prudente dal punto di vista giuridico. Si limita

ad auspicare modifiche nel sistema legislativo.

2. Illuminismo maturo (1730-1780). Il riformismo tenta riforme strutturali, si fa più

spinto. Avanza l’idea che si deve cambiare sia la legislazione, sia l’organizzazione

della giustizia. Per l’Illuminismo maturo la magistratura deve essere ritoccata con

inserimento di magistrature non togate, specializzate. Nel 1739 in Italia (e in

Francia) si ha il tribunale di Commercio ad opera di Pietro Contegna del Regno di

Napoli, istituzione che decide di liti mercantili da giudici non togati. Vi sono

procedure molto snelle. Un altro esempio è dato dai tentativi di codificazione.

3. Pre-romanticismo o pre-idealismo (da 1780). È l’involuzione dell’Illuminismo.

Oggi si dice che già Kant è precursore dell’idealismo. Mentre l’Illuminismo

ritocca il presente, la “Scienza della legislazione” di Filangieri insegna ad un

114

Page 115: l'età moderna

legislatore-tipo a scrive le leggi. Riguarda una teoresi che gli Illuministi

rifiutavano. Torna l’astratto, il valore.

Abbiamo un altro aspetto in ambito legislativo. Jean Jacques Rosseau presenta dei

germi romantici. Cosa lo differenzia dall’Illuminismo puro? Rosseau sostiene la

volontà generale. Ne “Il Contratto sociale” ipotizza ciò: si parla di tirannia della

maggioranz. Siamo negli anni 60 e 70 del 1700. Rosseau è favorevole alla

trasparenza della legge e alla partecipazione dei cittadini ai progetti di leggi. Si

mette in dubbio la certezza perché si prevede una continua eversione dei risultati.

La stessa certezza è pretesa anche nell’ambito dei rapporti patrimoniali. Vi è

l’esigenza del catasto. A che serve? A rendere conto dea situazione patrimoniale dei

sudditi. Si auspica un trattamento eguale per ogni tipologia di ricchezza e di rendita.

Gli Illuministi desiderano che vengano controllate dallo Stato e tassate le ricchezze

feudali. I marxisti avevano ragione: gli Illuministi esprimevano le ideologie della

borghesia imprenditoriale. La certificazione patrimoniale. Portò allo scoperto la

ricchezza feudale che sfuggiva al controllo. Abbiamo l’idea per cui il peso finanziario

della cosa pubblica deve gravare in proporzione agli averi di ciascuno.

Altre istanze dell’Illuminismo giuridico.

Qual era uno dei virus dell’Ancien Regime? Era l’interpretazione. (I giuristi del

diritto comune affermavano che la interpretatio fosse creativa di norme nuove). Nel

‘700 la interpretatio è la causa di mali in quanto si vede l’ingiusta pretesa dei doctores

di arrogarsi un potere rappresentativo della società che non hanno. Perché i giuristi

devono pensare di essere mediatori tra società e istituzioni se rappresentano solo loro

stessi? Gli Illuministi dicono che i giuristi sono un ceto arrogante che esercita un

potere incontrollato. Alcuni autori dicono che i giuristi si sono appropriati di un

potere in base alla loro furbizia. I giuristi dicono che laddove si riuscisse a pervenire

davvero a leggi chiare e certe, non vi sarebbe più bisogno dell’interpretazione. Questa

è un’utopia degli Illuministi. La teoria generale del diritto dice che non vi è norma

finchè non c’è interpretazione.

115

Page 116: l'età moderna

Nello “Spirito della legge” Montesquieu dice che il giudice è solo bocca della legge,

ovvero deve esprimere verbalmente ciò che è stato già detto dalla legge. Montesquieu

considerato teorico della divisione e del bilanciamento dei poteri. Lo Stato ideale è

monarchico (in quanto lui è conservatore) in cui vi sia divisione ed equilibrio tra

quelli che decidono di porre le leggi civili (=potere legislativo), quelli che eseguono

le decisioni dipendenti dalle leggi civili (=potere esecutivo) e quelli che giudicano in

rapporto alle leggi civili (=potere giudiziario). Si ritiene che quest’ultimo potere è

azzerato dagli altri due perché si applica ciò che è stato posto in precedenza. Vi è

l’idea di una legge chiara e certa.

Abbiamo un altro elemento: la concezione della relatività del diritto. Lo spirito della

legge è proprio di ciascun ambito e società. Deve esserci un rapporto necessario tra

ambiente in cui si forma la legislazione e la legislazione stessa. Montesquieu è padre

della comparazione giuridica. Questi arriva ad effettuare la differenza di legge anche

in base al clima.

L’interpretazione non deve esistere perché in questo modo si darebbe al giurista un

margine di creatività. Occorre fare una differenza tra Illuminismo maturo e tardo

Illuminismo e quindi tra Genovesi e Beccarla. Genovesi dice che in capo

all’interprete residui una certa quantità di discrezionalità nell’accomodare la legge nel

suo momento applicativo. Vi è una certa cautela verso l’interprete. Beccarla invece

dice che non vi deve essere interpretazione, in quanto in essa si annida un grande

rischio del diritto: l’arbitrio. Beccarla però si rivolge al diritto penale: se si applica a

tale ambito l’insofferenza verso l’interpretazione si ha la teorizzazione del principio

di legalità, ovvero non si aggiungerà nulla di più o nulla di meno a quanto dice la

legge.

Perché gli Illuministi si occupano più di diritto penale che di civile? Perché il diritto

penale più direttamente coinvolge gli aspetti di politicità molto considerati dagli

Illuministi. Vi è un interesse pubblicistico, al diritto e alla procedura penale. Agli

Illuministi non piace l’inquisizione. È difficile che l’imputato può reggere il

confronto. Si contesta la segretezza dell’istruttoria, il carattere della pubblicità e

dell’oralità.

116

Page 117: l'età moderna

Un altro aspetto delle istanze processuali riguarda l’istituzione delle giurie. Nella fase

preromantica è propugnata l’istituzione di magistrature non togate (=giurie) per due

motivi:

Queste sembrano più libere rispetto alle magistrature tipiche. La magistratura

vorrebbe essere l’ingresso dell’opinione pubblica nel processo;

Motivo tecnico-giuridico: le giurie potrebbero decidere con criteri atecnici. La

giustizia ora deve essere amministrata in nome del popolo.

La richiesta di giuria è recepita nelle leggi rivoluzionarie (diritto intermedio 1789-

1804) che istituiscono la giuria penale. Robespierre chiedeva la giuria anche per le

cause civili; in seguito cambia idea perché vi sono delle procedure tecniche.

Nell’Italia napoleonica la giuria entra nel codice di procedura penale sabaudo (1847-

1848) solo per i reati di stampa. Dopo ciò si avrà il codice di procedura penale del

1865 in cui si istituisce la giuria per tutti i reati delle Corti di Assise (reati di sangue

con pena non inferiore ai 10 anni).

Altre istanze dell’Illuminismo processual penalistico: rifiuto della prova legale,

ovvero quella con valore precostituito dalle legge. Il principio sponsorizzato è quello

del libero convincimento: si affida al giudice un semplice calcolo di prove, un

convincimento che si forma in dibattimento e che deve essere motivato. Abbiamo poi

l’obbligo di motivazione delle sentenze: quando la sentenza stava per essere lata

(=emessa), si dovevano far sapere le motivazioni alle parti. Queste di fronte ai

“motiva” potevano concordare o meno. La motivazione ha significato

endoprocessuale.

Gli Illuministi dicono che l’obbligo del giudice di esplicare la sentenza serve a far

emergere la trasparenza dell’attività dei giudici. Uno studioso, Michele Taruffo,

sostiene che il motivo per cui in alcune aree gli Illuministi volevano obbligare a

motivare era un controllo non da parte dell’opinione pubblica, ma del potere politico

sulla magistratura.

Consideriamo la Prussica: a fine ‘700 i magistrati non sono potenti togati che fanno

quello che vogliono, ma funzionari sottoposti al re. Secondo la storiografia, il

magistrato doveva motivare le sue decisioni in quanto costretto dal re.

117

Page 118: l'età moderna

Abbiamo dei dispacci tanucciani (voluti da Tanucci) del 1774 che sono i primi

provvedimenti che costringono i magistrati a motivare le sentenze. Cosa dicono? I

magistrati d’ora in avanti devono motivare le sentenze in base alle leggi letterali ed

espresse del regno senza ricorrere all’autorità dei dottori. I dispacci prevedono che le

sentenze motivate siano pubblicate dalla stamperia reale. Un giurista francese del

‘500 racconta che un tale era stato condannato ad una certa pena; quando chiese il

motivo si vide aggiungere una pena suppletiva. Tanucci invita ad infrangere il tabù e

a rilasciare la motivazione non in base a riferimenti generici normativi, ma di leggi

letterali ed espresse. Si ha qui il punto focale: sono leggi del regno riconosciute come

tali, non i precedenti, né la communis opinio.

Le leggi letterali ed espresse non sono solo le prammatiche, editti, bandi, ovvero

provvedimenti del regno, ma anche le consuetudini locali, gli usi commerciali e

soprattutto il diritto comune, “mare magnum” incontrollabile.

I dispacci scatenano una violenta reazione della magistratura che dice che la

motivazione fa perdere tempo e che viene meno la riservatezza, chiave di sicurezza

dell’ordinamento giuridico.

I dispacci sono così importanti tanto che Filangieri nel 1774 a sostegno di Tanucci

scrive un libretto: “Riflessioni sull’ultima legge del sovrano”. Qui si appoggia la

motivazione delle sentenze. Il libro inizia più o meno così: “una folgore ha squarciato

il trono”, ovvero un provvedimento sconvolgente ha scardinato la vera sede del

potere, ossia la magistratura.

La favola della motivazione delle sentenze dura poco. Qualche sentenza è pubblicata

ma nel 1791 il provvedimento è sostanzialmente abrogato per l’impazzimento del

potere politico a fine ‘700. si vuole restituire infatti potere e prestigio alle

magistrature.

Un’ultima notazione sulle istanze illuministiche: la visione della certificazione

patrimoniale è legata al nuovo concetto di proprietà? Sì. Nel medioevo la proprietà

che conta è diversa da come la vediamo noi. Il dominio è diviso, non c’è proprietà

esclusiva.

118

Page 119: l'età moderna

Il ‘700 è il secolo in cui nella storia economica si diffonde la fisiocrazia, corrente che

sostiene che la vera ricchezza è data dalla natura che produce, e quindi la vera

ricchezza è anche la proprietà fondiaria. Il borghese ovviamente tende a lucrare anche

sulla proprietà fondiaria. Il proprietario del fondo agricolo spreme da solo il fondo e

tende ad assolutizzare il diritto di proprietà.

Il dominio diviso andava bene quando il dominus viveva in città e aveva atti di

omaggio dai vassalli. Ora il fondo è da sfruttare in maniera intensiva. Cambia e si

afferma il concetto di proprietà, tende a scomparire il dominio diviso e ciò culminerà

nella stagione napoleonica. La rivoluzione francese abbatte la società feudale e

l’Illuminismo con la sua concezione proprietaria influenza la codificazione. Ciò sarà

oggetto di attacchi da parte di socialisti e marxisti che dicono che il codice è una

truffa dei borghesi per affermare i loro interessi.

Le istanze processual penali dell’Illuminismo quindi sono:

Principio di oralità e pubblicità contro la segretezza dell’istruttoria;

Istituzione della giuria in cause penali;

Libero convincimento in luogo della prova legale;

Principio di legalità;

Principio di ripudio ella tortura e di utilità della pena che deve mirare secondo

alcuni a rieducare il detenuto, secondo altri è funzionale all’utilità sociale. La pena

è commisurata al soggetto che commette l’azione (special- detenzione).

22 a Lezione 31/05/2005

(segue) Istanze dell’Illuminismo.

Se un ordinamento prevede che la successione dei feudi va al primogenito è una

scelta politica (“di destra”); se il feudo viene diviso tra i vari figli questa è una scelta

“di sinistra”. Non c’è quindi un diritto che non sia anche politica.

Il principio del giudica naturale vuol dire che ogni cittadino può avere un giudice che

sia predeterminato dalla legge. La precostituzione sembra banale ma ha una

motivazione storica: gli antichi regimi prevedevano una moltiplicazione

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Page 120: l'età moderna

giurisdizionale in campo processuale. Gli Illuministi propugnano il sistema del

giudice naturale. Quasi tutte le magistrature speciali dell’antico regime vennero

cancellate dalla legislazione del diritto intermedio. Una sola sopravvive: il Tribunale

di Commercio (a Foggia fu abolito nel 1882). Come mai non è abolito, posto che la

Rivoluzione francese e i napoleonici sono contrari ad ogni forma di giurisdizione

speciale? L’800 è il secolo della borghesia formata anche dai commercianti che

hanno bisogno di legislazione speciale (“C’è sempre qualcuno più uguale degli altri”;

Gorge Orwell).

A Foggia nel ‘400 vi era il Tribunale speciale di Alfonso il Magnanimo, che si

occupava delle questioni della transumanza. Se io ero ricco, avevo l’appoggio, mi

iscrivevo tra i locati, ovvero tra gli iscritti del tribunale, e potevo essere giudicato dal

tribunale della reggia dogana di Foggia e avevo la possibilità di vincere. Ciò va

contro il principio del giudice naturale.

La codificazione.

Alla luce di Bobbio nell’Europa moderna abbiamo un paradosso: quando massima è

stata la rivendicazione del diritto di natura, proprio allora il giusnaturalismo ha spinto

verso la codificazione, verso quindi una cristallizzazione di tali diritti. La critica posta

dalla codificazione è data dall’astoricità e dall’astrattezza (ciò è frutto di un’analisi

storica).

Savigny dice che la codificazione tanto esaltata è in realtà l’imposizione da parte di

una società forte che pretende di dirigere il diritto, in particolare quello privato.

Abbiamo avuto vari tipi di codificazione. Dobbiamo comprendere a questo punto

cosa sia in generale la codificazione. Quali sono i requisiti della codificazione?

Prendiamo le mosse da un librettino del 1928 ad opera d Mario Viora, studioso di

costituzioni piemontesi, che si chiama “Consolidazioni e codificazioni”. Viora spiega

la differenza tra codificazioni e altro (=consolidazione). Ad esempio a proposito delle

costituzioni piemontesi, fa una tripartizione tra codificazioni, consolidazioni e

compilazioni, che occupano il gradino più basso.

120

Page 121: l'età moderna

Le consolidazioni sono dei gruppi di norme con una certa omogeneità di oggetto, un

ordine interno perché sono quasi sempre frutto della volontà del principe (potere

politico che dà l’incarico ai giuristi). Perché non sono codificazioni? Non è un fatto

cronologico (vengono fuori nel ‘700 e non nell’800), ma si considera la novità: la

consolidazione è un riordino di norme che preesistono per volontà del sovrano. La

codificazione è una legge nuova e presenta la novità. Tale criterio però non è

soddisfacente. Abbiamo un’obiezione da parte di Ugo Petronio: tra antico e nuovo

regime non c’è differenza di contenuti.

Quando una legge è nuova? Non è facile stabilirlo. Capanna dice che se si cambia la

sistemazione della norma la legge è nuova. [A proposito della violenza delle donne,

alcuni hanno coinvolto questa fattispecie nei reati contro la persona].

Si potrebbe dire “a contrario” che ci sono norme del codice civile che ricopiano

norme romanistiche o coutumes francesi.

Altra tesi è di Guido Astuti: la codificazione è quell’insieme di norme che operano

l’unificazione del diritto civile. Come si realizza? In Francia si è unificato il diritto

civile nelle fonti, radunando le coutumes sparse. Ad Astuti si pone la critica di una

riflessione legata alla storicità del fenomeno (primo ‘800 francese). La codificazione

infatti non viene sempre dall’unità.

Simile alla tesi di Astuti è quella di capanna per cui il codice ha due connotati:

1. completezza, in quanto il codice contempla tutte le fattispecie esaustivamente

relative ad un settore del diritto;

2. non etero-integrabilità, ovvero non si ammettono forme di integrazione esterne

al codice.

La legge 30 ventoso (=marzo) anno XII (=1804) all’art 7 dice che “a partire dal

giorno in cui queste leggi saranno esecutorie, le leggi romani, le ordinanze, le

coutumes, gli statuti, i regolamenti cessano di avere forza generale e particolare (per

quanto riguarda le materie che saranno oggetto del codice stesso)”. Capanna prende

tale norma e la rende un criterio: si parla di codificazione quando si rompe col

passato e le vecchie norme sono caducate.

121

Page 122: l'età moderna

La compilazioni fioriscono tra ‘500 e ‘600 e abbiamo un esempio in Italia

meridionale di Carlo Tapia. Il primo volume della sua opera è del 1605 e l’ultimo del

1643. Tapia la chiama “Codex Filippinus” (da Filippo IV, sovrano committente). Gli

altri chiamano questa opera “Ius Regni”, in quanto non è vero che il sovrano ha

incaricato Tapia per cui la compilazione non ha carattere di ufficialità.

Un salto di qualità storiografico è compiuto da Giovanni Tarello che sosteneva una

tesi più reattiva: gli storici fino ad ora avevano inquadrato la questione in maniera

tecnica, molto dogmatica. Tarello era un marxista. Egli dice che tutti i criteri su citati

non colgono il vero salto di qualità politico sociale. La società è cambiata nel senso

che non esistono più barriere cetuali, ma tende ad amalgamarsi e sembra che si

allinei, in quanto vi è la classe della borghesia che spinge per andare a prendere il

nuovo potere spacciandosi per cittadino comune. Il vero obiettivo della codificazione

è il criterio della unificazione del soggetto del diritto. Il soggetto diventa unico, le

norme sono dettate per un unico destinatario: il singolo, il cittadino. La tesi di Tarello

tende a smascherare la funzione della codificazione di far prevalere gli interessi della

borghesia: si valorizza la persona fisica, si escludono le persone giuridiche.

Abbiamo poi la tesi di Notalino Irti: il codice rappresenta il conferimento di ordine e

durata ad un corpo di norme. Questo può avvenire o con la codificazione o con la

consolidazione. Quando il legislatore mette mano al diritto civile dà ordine e durata al

gruppo di norme. Non vi è cesura storica tra codificazione e consolidazione che si

alternano nella storia. Un esempio potrebbe essere per Irti il codice della strada, in

quanto si dà ordine e durata ad un gruppo di norme.

Irti sulla decodificazione dice che se guardiamo il nostro diritto oggi il codice è una

delle tante leggi in ballo.

Il Code Napoleòn.

Come si arriva al Code Napoleon? Il Parlamento (=Assemblea Nazionale), il

5/07/1790 stabilisce che le leggi civili saranno riformate dai legislatori e sarà fatto un

codice di leggi generali semplici chiare e conformi alla costituzione. Sono recepite

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Page 123: l'età moderna

così le raccomandazioni dell’Illuminismo. La costituzione del 1791 ha un titolo che si

conclude così: “sarà fatto un codice di leggi civili comuni a tutto il regno”. Ciò indica

l’unificazione del diritto civile.

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