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    i risultati attraverso il miglioramento continuo dei processi e della qualità del prodotto, ilcontrollo e la progressiva riduzione dei costi di produzione, la flessibilità di risposta alleesigenze del mercato e il coinvolgimento e la motivazione delle persone.Il sistema ruota attorno a dieci pilastri tecnici e a dieci pilastri manageriali. Un audit esterno valuta il grado di applicazione dello standard raggiunto dallo stabilimento estabilisce così un punteggio che si traduce in quattro tipi di certificazione: bronzo,argento, oro e world class. Attualmente il WCM rappresenta uno dei migliori standard di produzione a livellomondiale, applicato con successo da tutti gli stabilimenti del Gruppo Fiat. [fonte: WCM ,Fiat Group Automobiles, 2007]

    Taylorismo“estremo”

     fino agli anni ‘70 

    Taylorismo“partecipativo”

    anni ’80-‘90

    Leandagli anni ‘00

    Qualità Qualità Qualità

    Costi Costi Costi

    Focus dellaproduzione

    Tempo   C    o    s     t     i

    Tempo      Q    u    a     l     i     t     à

    Tempo      V    a     l    o    r    e

    Mercato Insaturo In saturazione Saturo

    Domanda >Offerta Di sostituzione

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    Figura 2.1: I sette tipi di spreco (immagini tratte da Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System ,Fiat Group Automobiles, 2007)

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    2.2 Obiettivo zero

    Gli elementi fondamentali della produzione snella possono essere rappresentati nellacosiddetta “Casa del Lean” (vedi Figura 2.2).I quattro pilastri, che verranno descritti in seguito, sono: Just-in-Time (JIT)

    Autonomazione (Jidoka)

    Manutenzione Produttiva (Total Productive Maintenance, TPM)

    Organizzazione del posto di lavoro (Workplace Organization, WO)Alla base dei pilastri ci sono due concetti fondamentali: la Standardizzazione (Standard Work ), che fa ampio uso della Gestione Visiva(Visual Management ) il Miglioramento Continuo (Kaizen), che fa leva su specifiche tecniche diProblem Solving .È importante sottolineare come l’obiettivo della lean production sia tendererigorosamente e sistematicamente all’annullamento totale dello spreco (“obiettivozero”), non alla sua semplice riduzione.Ogni pilastro ha un proprio obiettivo zero: JIT Zero Scorte Jidoka Zero Difetti TPM Zero Fermi WO Zero InefficienzeQuesti singoli obiettivi, che concorrono ad ottenere Zero Sprechi (muda), sitrasformano in Valore percepito dal Cliente, in termini di qualità, di costo e di tempo.

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    Figura 2.2: La “Casa del Lean” 

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    3 Logistica: Zero scorte – Just-In-Time (JIT)

    Il Just-In-Time (JIT) è un metodo logistico-produttivo il cui obiettivo è produrre econsegnare al cliente: solo cosa richiesto solo quando richiesto solo quanto richiesto.Insieme all’autonomazione, il JIT è il pilastro principale della lean production, in quantoconferisce rapidità e flessibilità al sistema logistico-produttivo e risulta nella progressivariduzione di tutti i tipi di sprechi (vedi Tabella 2.1). In particolare, con il Just-In-Time siottengono notevoli riduzioni di: tempo di attraversamento (lead time), impiegato per produrre e consegnare ilprodotto al cliente, grazie alla riduzione dello spreco da attesa spazio di stabilimento, necessario per contenere il flusso di produzione e le relativescorte, grazie alla riduzione degli sprechi da sovrapproduzione, scorta inutile etrasporto.Le regole base del JIT sono: non produrre se il cliente non lo richiede livellare la domanda collegare tutti i processi alla domanda del cliente con semplici strumenti visivi(kanban).Il corretto funzionamento del Just-In-Time dipende fortemente dalla contestualeapplicazione di tutti i principi, metodi e tecniche lean, in quanto ciò conferisce lanecessaria stabilità al sistema.Gli elementi operativi principali di un sistema Just-In-Time sono : il flusso continuo (continuous flow ) la produzione “tirata” dal cliente ( pull system) il livellamento della produzione (heijunka). 

    3.1 Mappatura del flusso (Value Stream Mapping, VSM) 

    La mappatura del flusso del valore consiste nella rappresentazione grafica ditutti i passaggi dei flussi di materiali e informazioni che portano undeterminato prodotto dall’ordine alla consegna.

    Questo strumento permette di individuare in modo immediato e visivo glisprechi, quindi le opportunità di miglioramento. Il metodo prevede ditracciare prima la mappa dello stato attuale (as is), per poi proporre deicambiamenti da inserire nella mappa dello stato futuro (to be). 

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    Figura 3.4: Irregolarità vs livellamento della produzione

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    4 Qualità: ZERO DIFETTI - Autonomazione (Jidoka) 

    L’“autonomazione” ( jidoka), descritta anche come “automazione intelligente” o“automazione a misura d’uomo”, è un metodo preventivo di gestione della qualità, in cuioperatori e macchine si auto-attivano per identificare le anomalie dei processi,comprenderne le cause ed eliminarle prontamente.L’efficacia dell’autonomazione deriva dalla capacità di individuare gli errori (vediTabella 4 A) prima che si trasformino in difetti sul prodotto, di arrestare il processo senecessario, e di rendere le cause dei problemi visibili appena questi si verificano,facilitandone così l’eliminazione.Nella lean production l’autonomazione ha un’importanza nettamente superioreall’automazione, in quanto solo l’eliminazione sistematica delle anomalie puòpermettere il

    flusso continuo tirato dal cliente proprio del Just-In-Time, oltre a rendere possibili fortiaumenti di produttività con le lavorazioni multi-macchina e multi-processo (vedi Figura4).L’autonomazione si pone l’obiettivo di ottenere zero difetti, quindi qualità al 100%, inquanto nessun cliente è disponibile a tollerare un prodotto difettoso. Essa va così al dilà del tradizionale approccio statistico alla qualità (vedi Tabella 4 B), che si limita aridurre i difetti entro una percentuale “accettabile”, ma non punta a eliminarli del tutto. Inuna produzione industriale, accettare una difettosità dello 0,1% (uno per mille) equivalead accettare un atterraggio pericoloso al giorno in un aeroporto internazionale.

    Tipologie di errore

    Distrazione Montaggio parti diverse

    Lavorazione parti sbagliate

    Posizionamento

    Quantità

    Dimenticanza Mancanza materiali nell'assemblaggio

    Manovra impianti

    Omissioni di montaggio

    Processo Preparazione attrezzatura

    Cambio formatoCommistione di parti diverse

    Componente/articolo

    Identificazione

    Indicazione

    Lentezza

      Mancanza di vigilanza

    Tabella 4 A: Principali tipologie di errore

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    Criteri dirilevamento

    anomalieDispositivi poka-yoke

    Campo Magnetico Trasformatore differenziale

    Colore Telecamere

    Dimensione Dime, Stopper, Cellule fotoelettriche

    FormaMaschere, dime, spine di riscontro, calibri passa/non

    passa

    Luce ultravioletta /infrarossa

    Sensori

    Materiali metallici Metal detector, calamite

    Movimento Cellula fotoelettrica

    Numero esatto Vassoi preformati, contacolpi, contatori, pezzi contati

    Peso Bilancia contapezzi

    Presenza / assenzaMicroswitch, touch switch, cellula fotoelettrica, sensori di

    presenza

    Pressione Manometri

    Temperatura Termometro, termocoppia, termostato

    Tabella 4.1: Tipi di poka-yoke 

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     Figura 4.1 B: Ciclo di risoluzione dei problemi con e senza poka-yoke (adattato da Zero Quality Control,S. Shingo, Productivity Press, Portland OR, 1986

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    Figura 4.1 C: Esenpi di poka-yoke (immagini tratte da Poka-yoke Toranomaki , JMAC Europe, 2008) 

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    5 Macchine: Zero fermi- Manutenzione Produttiva (Total ProductiveMaintenance, TPM)

    Il Total Productive Maintenance (TPM) è un programma di miglioramento continuo cheriguarda l’impiego efficace ed efficiente delle macchine e degli impianti.Con questo nuovo approccio la responsabilità della manutenzione degli impianti èestesa a più livelli, spettando quindi non solo ai manutentori ma anche, anzi soprattutto,agli operatori diretti. Essi sono coinvolti nella manutenzione, in progetti di miglioramentoe in riparazioni semplici, tutte attività che diventano parte della loro routine. Per esempiogli operatori si occupano quotidianamente di lubrificare, pulire e controllare le macchineche utilizzano.Il TPM si basa sul coinvolgimento totale delle persone e sulla prevenzione comeprincipale strumento di eliminazione delle perdite. Sono tre le tipologie di perdite cheminano l’efficienza degli impianti (vedi Figura 5.0):

    1) perdite per fermi guasti attrezzaggi e regolazioni

    2) perdite per microfermate e velocità funzionamento a vuoto e microfermate riduzione di velocità

    3) perdite per difetti difetti e riparazioni resa all’avviamento.

    L’efficienza delle macchine è misurata attraverso l’OEE (Overall EquipmentEffectiveness), un indice che confronta la prestazione effettiva degli impianti con quellaideale. La formula che lo calcola è:

    Esempio: tempo ciclo (Tc): 30 sec/pezzo

    pezzi prodotti al giorno (P): 500 tempo disponibile (Td): 1 giorno = 8 ore = 28800 sec OEE = 500 * (30/28800) = 0,52 (52%)Questo calcolo indica che la macchina produce al 52% della sua capacità, ovvero 500pezzi al giorno quando ne potrebbe produrre 960.In questo capitolo saranno trattate le tre principali tecniche del TPM che puntano aridurre a zero i fermi degli impianti: la manutenzione autonoma, la manutenzioneprogrammata e il set-up rapido.

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    Figura 5: Le 6 perdite (tratta da Applichiamo il TPM , JIMP, 1991)

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    5.1 Manutenzione autonoma 

    La manutenzione autonoma è l’attività attraverso cui gli operatori, oltre a utilizzare le macchine, sioccupano anche di monitorarne lo stato, ripararne le anomalie e ripristinarne le condizioni iniziali. Glioperatori, che meglio di tutti conoscono la funzione e la struttura delle macchine, acquisiscono così lecompetenze utili a scoprire le anomalie e imparano a compiere attività di manutenzione e faciliriparazioni.La manutenzione autonoma prevede sette passi (vedi Tabella 5.1). 

    Passo Attività

    1Ispezione tramite

    puliziaPulizia, lubrificazione e serraggi, scoperta e ripristino degliinconvenienti degli impianti

    2Contromisure per

    l'origine dello sporco eposti di difficile

    accesso

    Prevenzione dello sporco, miglioramento dei posti di difficileaccesso per pulizia e lubrificazione

    3Definizione di

    standard provvisoriElaborazione di standard di pulizia, lubrificazione e serraggi, conriferimento ai tempi (manuale delle ispezioni)

    4 Ispezione generaleFormazione delle competenze per l'ispezione attraverso ilmanuale delle ispezioni

    5 Ispezione autonomaElaborazione e applicazione di liste di controllo per l'ispezioneautonoma

    6Gestione di

    mantenimento

    Standardizzazione dell'ispezione per pulizia e lubrificazione, dellamodalità di registrazione dei dati, della gestione di stampi,attrezzature, ecc

    7Gestione autonoma

    completaAnalisi regolare degli impianti e attività di miglioramento continuo

    Tabella 5.1: I “7 passi” della manutenzione autonoma (adattata da  Applichiamo il TPM , JIMP, 1991)

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    essere tenuto in ordine, in un posto definito con precisione e stabilito secondo i criteri diaccessibilità e comodità d’uso. Standardizzare (Seiketsu). Arrivati a questo punto, separazione, ordine e pulizia

    devono diventare attività di routine: questo è possibile solo stabilendone gli standard daseguire e la costante verifica del loro rispetto. Lo standard indica l’esatta procedura daseguire per mantenere lo stato raggiunto. Gli standard si possono descrivere in forma dimoduli semplici e facili da comprendere, come le One Point Lesson (OPL). Lo standardva deciso direttamente da chi deve applicarlo, va comunicato a tutti e va rivistoperiodicamente, per decidere se mantenerlo inalterato o se modificarlo per migliorarlo. Sostenere (Shitsuke). L’ultimo punto sottolinea la disciplina nell’attenersirigorosamente ai cambiamenti introdotti. Le attività principali per rendere le altre quattro“S” una pratica quotidiana sono il monitoraggio costante degli standard, la diffusione della comunicazione e lacontinua formazione. Per valutare lo stato delle attività si ricorre a frequenti

    autovalutazioni e audit , ovvero ispezioni volte a verificare il rispetto delle misurepredisposte dal lavoro di 5S. Il metodo non si limita al mantenimento dei risultatiraggiunti, ne propone invece il miglioramento continuo. Bisogna perciò definire degliindicatori di attività e creare dei gruppi di lavoro responsabili di migliorarlicostantemente.

    Figura 6.1: Sagome di utensili

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     Tabella 6.1: Tabella di frequenza d’uso degli oggetti (tratta da JMAC)

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    MACCHINE La macchina è mantenuta in modo corretto?

    MATERIALI Sto usando il materiale corretto? Il materiale è pulito?METODI Gli standard di lavoro sono corretti?

    MANODOPERA Gli addetti sono stati addestrati? Osservano gli

    standard prescritti?

    AMBIENTE Le condizioni ambientali (luce, temperatura, ecc)

    impattano sul problema?

    Tabella 8.1 B: 4M+A

    La stessa tecnica viene altresì definita “diagramma a lisca di pesce” per via della formain cui si suggerisce di indicare le potenziali cause del problema (vedi Figura 8.1 B). 

    Figura 8.1 B: Diagramma a lisca di pesce

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    Figura 8.1 A: Perché? Perché? Perché...? (tratta da Applichiamo il TPM , JIMP, 1991)

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    8.2 PDCA

    Il ciclo PDCA (Plan, Do, Check, Act ), denominato anche “ruota di Deming” è un metodo

    scientifico che mira al miglioramento (vedi Figura 8.1). Tale processo si articola inquattro fasi: Plan: proporre un cambiamento all’interno di un processo, determinando degliobiettivi e dei metodi per raggiungerli; Do: implementare tale cambiamento Check : misurare i risultati ottenuti con l’implementazione  Act : mettere in atto l’azione appropriata, che può essere di due tipi: standardizzare estabilizzare il cambiamento, se efficace; avviare nuovamente il processo introducendoun diverso cambiamento, se il primo non si è mostrato efficace.

    Figura 8.2: Ciclo PDCA o “ruota di Deming”