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Le Università per Adulti in Toscana IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana REGIONE TOSCANA Consiglio Regionale 4 2009 STUDI PER IL CONSIGLIO

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Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana

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RICONOSCIMENTI Il presente studio è stato affidato all’IRPET dalla Commissione Cultura del Consiglio Regionale della Toscana. La ricerca è stata impostata e curata da Lara Antoni e Sara Mele, che hanno congiuntamente redatto i paragrafi 1.1 e 1.3 e il capitolo 4. EdaForum (Forum Permanente per l’Educazione degli Adulti) ha svolto la rilevazione sulle Università per Adulti e ha redatto il paragrafo 1.2 e i capitoli 2-3. Nello specifico: Paolo Sciclone ha coordinato le diverse fasi del lavoro, Giovanna Del Gobbo ha scritto i paragrafi 1.2 e 2.3; Barbara Emili ha scritto i paragrafi 2.1 e 2.2 e il capitolo 3. L’allestimento editoriale è stato curato da Elena Zangheri. Si ringraziano Luciano Moretti e Riccarda Casini del Consiglio Regionale della Toscana per i preziosi suggerimenti.

La ricerca è disponibile su Internet nel sito IRPET: http://www.irpet.it

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Indice 1. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI NEL QUADRO DELLA FORMAZIONE PERMANENTE 1.1 Istruzione, educazione e sviluppo 5 1.2 Dall’Educazione degli Adulti al lifelong learning: spunti per una problematizzazione 5 1.3 La partecipazione all’Educazione degli Adulti in Europa e in Italia 9 2. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI NEL CONTESTO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 2.1 Uno sguardo alla situazione internazionale 17 2.2 Le Università per Adulti in Italia: il panorama di riferimento 20 2.3 Le Università per Adulti in Italia: un quadro quantitativo 24 3. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI IN TOSCANA 3.1 L’impostazione della ricerca: obiettivi, metodologia e strumenti 29 3.2 I risultati dell’indagine 30 3.3 Tirando le somme 42 4. RIFLESSIONI CONCLUSIVE 45 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 47 Allegato SCHEDA DI RILEVAZIONE 49

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1. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI NEL QUADRO DELLA FORMAZIONE PERMANENTE 1.1 Istruzione, educazione e sviluppo La presenza di capitale umano qualificato rispetto alle necessità del sistema socio-economico rappresenta un elemento fondamentale per la promozione dello sviluppo endogeno locale.

In tale ambito assumono un ruolo importante anche connotazioni non meramente economiche quali, ad esempio, la “vivacità” socio-culturale della risorsa umana e ciò è rilevante non solo da un punto di vista esclusivamente produttivo. E’, infatti, vero che un’alta qualificazione del capitale umano presente in un dato sistema economico implica una forza lavoro qualificata e quindi ricadute positive dirette in termini di produttività del lavoro, ma anche indirette in termini di consumi richiesti, che a loro volta attivano la produzione di beni e servizi che qualificano ulteriormente il sistema economico (si pensi ad esempio a tutti i beni di tipo culturale la cui domanda risulta correlata con il livello di istruzione). Non solo.

La presenza di capitale umano in possesso di conoscenze e competenze di alto livello ha ripercussioni, prima di tutto, nella sfera personale di chi le possiede: il sapere rende liberi, in quanto liberi di scegliere. Come chiaramente espresso nel pensiero di Sen, la consapevolezza del mondo circostante -che solo l’acquisizione di conoscenze consente- dà la possibilità di autodeterminazione e di scelta di un proprio progetto di vita. L’istruzione è, infatti, indubbiamente prima di tutto il più potente mezzo di emancipazione dalle povertà, come dalla discriminazione e in generale dall’esclusione sociale. Tutto ciò non può non avere forti e positive ripercussioni sul livello e sull’intensità dello sviluppo locale prima richiamato.

Tutte queste considerazioni mettono quindi in rilievo l’importanza degli interventi per la formazione e più in generale per la qualificazione delle risorse umane durante tutto l’arco della vita.

Fondamentali nell’ambito del lifelong learning sono gli interventi per l’Educazione degli Adulti, considerati cruciali per la promozione dell’occupabilità, ma più in generale per la promozione di una cittadinanza attiva e consapevole. 1.2 Dall’Educazione degli Adulti al lifelong learning: spunti per una problematizzazione L'Educazione degli Adulti occupa un ruolo chiave nello sviluppo della società, delle risorse umane e professionali: non più risarcimento per gli esclusi o strumento funzionale solo ai bisogni del lavoro, è oggi condizione di realizzazione degli individui, della competitività economica, della produttività e della coesione sociale. Del resto l’età adulta è stata rivista e ripensata all'interno di una nuova visione dello sviluppo umano, in cui non è più considerata come la fase apicale dell'arco di vita, bensì riconsiderata all'interno del "corso di vita" soggettivo. Un concetto che meglio di altri sembra poter rappresentare un processo così complesso com'è quello dello sviluppo individuale. Non è più possibile parlare di un'età adulta perfettamente definibile nelle sue caratteristiche cronologiche e costitutive, di conseguenza diviene impensabile attribuire al raggiungimento di un'età adulta un arresto del processo di formazione individuale e sociale.

Centrale non è l’età, ma il soggetto nel suo sviluppo delle conoscenze che costantemente è chiamato a elaborare e costruire, anche attraverso percorsi educativi.

L'Unione Europea ha assunto la realizzazione della Knowledge Society come obiettivo primario delle strategie del lifelong learning: dal Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente di Lisbona del marzo 2000 in poi, l'UE promuove e chiede agli stati e governi membri l'affermazione e il consolidamento di uno spazio europeo di apprendimento lungo il corso della vita per assicurare ai cittadini il raggiungimento di una conoscenza competitiva negli attuali scenari della globalizzazione.

La definizione della società contemporanea in termini di Società della Conoscenza e dell’Informazione richiama, infatti, la fondamentale importanza che sta sempre più assumendo la

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dimensione immateriale, il sapere e la circolazione di informazioni e conoscenze: «La nostra società è ora definita in termini di “Società dell’Informazione”, una società nella quale l’informazione a basso costo e le TIC (Tecnologie per l’informazione e la comunicazione) sono generalmente utilizzate, o come “Società della Conoscenza”, a sottolineare il maggiore investimento sul capitale sociale, umano e intangibile e sul fattore chiave della conoscenza e della creatività».1 Un fondamento “strutturale” dell’economia e dello sviluppo sociale sembra essere sempre di più il nuovo capitale che si configura nel sapere, nelle conoscenze, nell’informazione: un sapere che si diffonde, con velocità fino a qualche anno fa non pensabile, grazie a nuove forme di comunicazione che la tecnologia potenzia costantemente. Sempre di più le principali fonti di ricchezza sono individuate nel sapere e nella comunicazione, e non più nelle risorse naturali e nel lavoro fisico.

Che il “sapere” sia sempre stato importante può apparire scontato: in tutta la storia la vittoria ha arriso a coloro che si sono posti all’avanguardia del sapere, basti pensare alle conseguenze derivanti dalla capacità di gestire il fuoco, la lavorazione dei metalli, la scrittura, l’organizzazione di società sempre più complesse. Tuttavia oggi il sapere, inteso come “capitale intellettuale” (Stewart, 1999), appare più importante che mai: è diventato la risorsa economica preminente, più importante delle materie prime e spesso più importante dello stesso denaro.

Così, nella cosiddetta “economia dell’intangibile”, investire in conoscenza appare un imperativo: un imperativo che può tradursi nell’ansia di formare un uomo “all’altezza dei tempi”, in un contesto che interpreta la centralità del conoscere come modo per rispondere in forma adeguata e concreta agli adattamenti che le trasformazioni del mondo produttivo richiedono all’uomo contemporaneo. La lettura di queste trasformazioni e l’interpretazione delle esigenze di adattamento dell’uomo sembrano, quindi, essere indirizzate a un’idea riduttiva di sviluppo all’interno della quale la formazione diventa funzionale al mondo della produzione2 (Federighi, 1996). Se il sapere guida la produzione, diventa volano di sviluppo economico e la conoscenza è fattore di ricchezza; si può assistere, però, a un paradosso per cui il sapere finisce per produrre e indurre nuovi bisogni e non soddisfare quelli presenti. In questo senso l’acquisizione di conoscenza, invece che delinearsi in termini di apprendimento funzionale allo sviluppo del soggetto e in grado di ingenerare empowerment, può diventare fonte di emarginazione: gli stessi processi che conducono alcuni alla creazione di conoscenze pongono altri in condizione di inferiorità, di dipendenza, soggetti a condizionamenti. Si assiste all’instaurarsi di un circolo vizioso che vede il sapere e la conoscenza al servizio della produzione di beni di consumo, generatore di bisogni, indotti e sostenuti da altro sapere, che si trova alla base della comunicazione, dell’informazione relativa a quegli stessi beni tra cui è compreso il sapere stesso, ridotto a “bene” che si consuma in fretta, che velocemente, appunto, diventa obsoleto: “nella società dell’informazione, società fondata sulle conoscenze, la cultura e l’educazione sono progressivamente divenute prodotti di mercato seguendo le regole di qualsiasi altro prodotto” (Gelpi, 2002).

Ma se da una parte appare evidente la necessità di un “re-skilling”, in termini di apprendimento di nuove tecniche per un costante adeguamento alle trasformazioni legate all’innovazione tecnologica e ai più complessi e articolati processi economici, dall’altra parte diventa impossibile prescindere da una formazione che consenta di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie alla costruzione di nuove mappe per la vita (Sarracino, 1997). Le condizioni attuali della società rischiano, infatti, di portare a uno scivolamento verso una valutazione prioritaria degli esiti “produttivi” dell’apprendere: ma la centralità non deve essere della performance o comunque del prodotto che dalla conoscenza deve derivare, ma del processo che l’investire in conoscenza deve sostenere, in termini di educazione all’emancipazione, all’autonomia, alla consapevolezza riflessiva, alla partecipazione attiva nella

1 «Our society is now defined as the "Information Society", a society in which low-cost information and ICT are in general use, or as the "Knowledge-based Society", to stress the fact that the most valuable asset is investment in intangible, human and social capital and that the key factors are knowledge and creatività». E’ questa la definizione che è possibile ritrovare sulle pagine web (http://europa.eu.int/comm/employment_social/knowledge_society/index_en.htm, cons. 28/10/05) dedicate proprio alla società della conoscenza in termini di politiche e attività che la Commissione Europea realizza, in continuità con quanto stabilito a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000. 2 E’ un’idea di formazione come investimento sulla cosiddetta “risorsa umana”: il concetto di risorsa implica che vi sia qualcuno che tale risorsa utilizza e che non dovrebbe essere altri che il soggetto stesso che deve diventare gestore del proprio processo di apprendimento. Altrimenti si può perdere di vista il significato delle azioni educativo/formative e il loro valore in termini di emancipazione, di strumento per sviluppare “capacità individuali e collettive di direzione e controllo sui processi di trasformazione”.

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società3. Già la scuola deve saper porre in primo piano «le mappe cognitive attraverso le quali ogni individuo dovrà interpretare e utilizzare i contenuti, le competenze e i saperi particolari che lo accompagneranno nel corso della sua esistenza civile e professionale» e questo sarà possibile «se il know how principale sviluppato dalle istituzioni scolastiche sarà quello di una guida per apprendere ad apprendere, per disciplinare e moltiplicare le occasioni di apprendimento nel corso di tutta la vita» (Bocchi e Ceruti, 2004): da qui il necessario raccordo e sviluppo verso percorsi di Educazione degli Adulti. La definizione di Società della Conoscenza deve, infatti, necessariamente collegarsi al concetto di lifelong learning e anche l’Educazione degli Adulti acquista un diverso significato in questo contesto.

La chiave di volta del lifelong learning è il soggetto, individuale o collettivo: un soggetto “trasformatore”, da mettere in condizione di formarsi, non di “adattarsi” ai nuovi compiti che i cambiamenti economici, sociali e culturali richiedono. Uno slittamento concettuale che consente di passare dalla considerazione di un progetto educativo intenzionale, comunque esterno, e spesso estraneo al soggetto in formazione, a un processo necessariamente dinamico gestito dal soggetto o dai soggetti: uno slittamento concettuale che richiama quella che è stata definita «la rivoluzione copernicana dell’approccio scientifico all’educazione» ovvero «il ribaltamento del primato dell’educatore in quello del soggetto che si educa» (Orefice, 1997).

Rilevante e significativa diventa l’assunzione di un’interpretazione del concetto di apprendimento permanente per superare e ampliare una visione puramente economica della formazione o circoscritta alla dimensione esclusiva dell’istruzione degli adulti, per porre al centro dell’attenzione i processi dell’apprendere durante l’intero corso della vita e nei diversi contesti. Nella prospettiva del lifelong learning, così come la formazione degli individui non può trovare una definizione chiusa in rapporto a un tempo particolare della vita, neanche può essere ricondotta a uno scopo specifico che non sia lo sviluppo del soggetto.

Se nella globalizzazione rischia di affermarsi sempre di più una lettura strumentale dell’educazione, che viene a essere considerata non sulla base di significati che si esprimono in specifiche situazioni, ma in ragione di giustificazioni esterne, l’educazione stessa può finire per diventare un mezzo e perdere la sua logica specifica, perdere il proprio significato in termini di valore d’uso ed essere ridotta a valore di scambio. Occorre, invece, assegnare una rinnovata centralità alla dimensione del soggetto o attore sociale nell’apprendimento e di conseguenza ri-considerare la molteplicità delle modalità e dei luoghi in cui esso si può realizzare (dimensione formale, non formale e informale), e dunque poter valorizzare le diverse strutture che nel tempo hanno saputo offrire risposte alla domanda di formazione in età adulta.

L’attenzione all’apprendimento può assumere un nuovo significato che va oltre il valore strumentale del conoscere finalizzato alla creazione di prodotti materiali e assegna alla conoscenza un formidabile valore propulsivo non solo dal punto di vista culturale, ma anche sul piano dello sviluppo sociale, sostenibile e inclusivo, e sicuramente anche sul piano dello sviluppo economico.

Nello scenario di una società nella quale i saperi e la competenza si presentano come forze potentissime di inclusione o esclusione, di sviluppo o di gestione globalizzante delle risorse umane, appare dunque determinante la necessità di affermare il ruolo dell’educazione come processo di empowerment, funzionale a rendere i soggetti capaci di attribuire valore alle proprie conoscenze e di gestire la propria formazione, anche in termini, come già accennato, di capacità di trasformazione delle condizioni stesse di formazione e quindi, di fatto, di trasformazione sociale. L’assunzione del lifelong learning come paradigma dell’educazione e della formazione non solo in età adulta consente di pensare alla necessità di un’azione educativa orientata non sul valore di scambio di saperi, abilità e competenze tecnico-specialistiche da rinnovarsi con ritmi sempre più accelerati, ma sugli aspetti riflessivi e procedurali delle competenze stesse. Si tratta della dimensione strategica delle competenze, identificabili come meta-competenze necessarie per potere essere individui capaci di apprendimento permanente e per poter sviluppare una progettualità formativa in grado di rendere i soggetti capaci di

3 Sono, del resto, rilevanti in questo senso le sollecitazioni che vengono anche dai documenti internazionali. Nel documento “Insegnare e apprendere - Verso la società conoscitiva” viene in più punti sottolineato come la missione fondamentale dell’istruzione sia aiutare l’individuo a sviluppare tutto il suo potenziale e diventare un essere completo e non uno strumento per l’economia, per cui considerare l’istruzione e la formazione in relazione alla dimensione dell’occupabilità non significa ridurre gli interventi a un’offerta di qualificazioni professionali, ma deve tradursi nella promozione e sostegno dello sviluppo personale (European Commission, 1995).

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gestire e sviluppare le proprie risorse di sapere e di abilità, di diventare cioè soggetti capaci di avere un comportamento ‘strategico’4 (Alberici, 2002).

Nello scenario della società globalizzata della conoscenza, della società in rete, si richiedono abilità cognitive, metacognitive, affettive e relazionali la cui indisponibilità acuisce il rischio dell’esclusione sociale delle persone: diviene indispensabile evidenziare la condizione esistenziale dell’individuo, nell’ambito della quale «assume sempre maggior rilievo la capacità (competenza strategica) di scoprire, attribuire, modificare significati nei confronti del sé e degli altri, come condizione strutturale di un’effettiva libertà e responsabilità individuale e collettiva» in termini «di disponibilità di un repertorio di attrezzi, cognitivi, affettivi e relazionali, la cui peculiarità riguarda le funzioni propriamente basilari e proattive che si manifestano nell’esercizio quotidiano delle attività connesse al ruolo di membri di una comunità democratica» (Alberici, 2002; 2005). Il ruolo del soggetto deve potersi esplicare nella costruzione attiva e nell’uso originale della conoscenza nei contesti di riferimento: saper “usare” le proprie conoscenze deve essere considerato obiettivo prioritario per tutti, proprio in termini di diritto. Un “usare” che comporta consapevolezza del valore di quanto si possiede in termini di patrimonio di conoscenza, consapevolezza dei propri bisogni formativi, consapevolezza e padronanza nella costruzione di percorsi atti a favorire la costruzione di nuove conoscenze aperte: si tratta di competenze elevate, ancor di più se sono prospettate come finalità di percorsi da pensare e realizzare per tutti e in contesti diversi.

La centralità dell’apprendimento come diritto deve collocata all’interno del più ampio ambito del lifelong lifewide learning. L’affermarsi del concetto di apprendimento permanente, concepito come sintesi e idea guida capace di interpretare e progettare il processo formativo nella sua globalità spazio-temporale, pone di fronte a un’idea di educazione che sta assumendo sempre di più una nuova fisionomia in relazione non solo «alla durata, lungo il corso della vita, ma anche alla pervasività degli ambiti di riferimento, di vita e di lavoro» (Alberici, 2002; 2003). Una concezione di educazione che impone, quindi, di sostituire un’idea di saperi legati all’istruzione, acquisibili nella scuola e spendibili nella vita adulta, con l’esigenza di una creazione continua dei saperi personali, individuali e collettivi. Parlare in termini di lifelong lifewide learning necessita di porre le base strutturali, sul piano normativo e istituzionale, per garantire la piena valorizzazione dei contesti di apprendimento non formale, dal superamento della centralità della scuola, alla necessità di lavorare in rete.

Per comprendere cosa questo significhi e come possa tradursi in un diritto, occorre tentare di declinare in modo diverso il concetto tradizionalmente espresso in termini di diritto all’istruzione. Se da diritto all’istruzione occorre passare, infatti, alla considerazione di un diritto all’apprendimento, sono evidenziabili tre dimensioni fondamentali che dovrebbero essere garantite: in prima istanza si pongono condizioni funzionali a garantire l’accesso alla conoscenza, espressa in termini di saperi che siano realmente rispondenti ai bisogni formativi e che possano tradursi in competenze; diventa, dunque, determinante che ci sia una seconda dimensione garantita, ovvero la possibilità di espressione di questi bisogni e ciò implica l’esistenza di condizioni perché ci sia la consapevolezza e l’esplicitazione di bisogni formativi. Una terza dimensione è data, quindi, dalla creazione di situazioni che rendano possibile, favoriscano e sostengano processi di costruzione di conoscenza come risposta ai bisogni espressi. Non è solo la disponibilità di sistemi di istruzione che garantisce il diritto all’apprendimento, ma la messa in rete, la sinergia e l’integrazione tra diverse istanze che su un territorio possono garantire queste tre dimensioni. In questo senso, sicuramente, l’insieme delle associazioni e delle strutture a cui afferiscono le Università per Adulti devono poter essere considerate. In primis, tuttavia, devono essere messe in condizione di poter compiere questa funzione e assolvere, nel rispetto delle proprie finalità statutarie, a un compito che sempre di più occorre sostenere: la partecipazione attiva della società civile per la costruzione della società della conoscenza nell’esercizio della cittadinanza attiva.

4 Acquisire capacità di comportamento “strategico” significa anche e soprattutto, per i soggetti adulti, possedere competenze per prendere o riprendere la cura di sé, per superare situazioni di disagio esistenziale legate al ridursi della stabilità professionale, all’indebolirsi dei modelli di riferimento riguardanti l’appartenenza di genere, la cura dei figli e degli anziani, alla messa in discussione dei valori e degli strumenti che sembravano poter offrire una guida nei processi di socializzazione e di costruzione della propria identità. Non lasciarsi sopraffare da questa condizione di disagio significa averne consapevolezza, ma significa anche essere aiutati a individuare i possibili percorsi di superamento e dunque formarsi per gestire il cambiamento (Kanitsa e Tramma, 200; Sarracino, 2005).

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1.3 La partecipazione all’Educazione degli Adulti in Europa e in Italia Date queste considerazioni di carattere generale, quale è la partecipazione attiva degli adulti a iniziative di educazione e formazione nell’ambito del nostro Paese e più in generale nei paesi UE e OCSE?

Il quadro che emerge da alcune statistiche internazionali non è particolarmente positivo per l’Italia, che deve compiere ancora molta strada per allinearsi ai valori raggiunti dai paesi sviluppati con cui è solita confrontarsi nel campo dell’Educazione degli Adulti, ma anche più in generale nel campo dell’istruzione.

1.3.1 Il quadro internazionale I dati riferiti alla partecipazione degli adulti con un’età compresa tra i 25 e i 64 anni a iniziative di educazione non formale con un impatto sulla condizione professionale, mostrano un quadro piuttosto diversificato tra paesi, con l’Italia fanalino di coda.

Sia il dato sulle ore attese di formazione non formale di tipo job related a livello pro-capite sia quello sui tassi di partecipazione a tali iniziative (OCSE, 2006; 2008) assumono i valori più elevati per i paesi scandinavi (Danimarca, Svezia e Finlandia) e per gli Stati Uniti. Il dato sui tassi di partecipazione (Graf. 1.1) mostra chiaramente la forte variabilità tra paesi: in particolare spicca il pessimo posizionamento italiano, con un valore pari al 4%, a fronte del 40% della Svezia e di un dato medio per i paesi OCSE del 18%. Come detto in precedenza, le performance migliori sono quelle registrate dai paesi scandinavi, che non a caso sono quelli in cui l’Educazione degli Adulti affonda le sue radici e alla cui tradizione risultano ispirate le iniziative in tale campo della maggior parte dei paesi europei.

Grafico 1.1 TASSO DI PARTECIPAZIONE A CORSI DI EDUCAZIONE E FORMAZIONE JOB-RELATED. 2003

Fonte: elaborazioni su dati OECD

Il dato relativo alle ore dedicate alla formazione in un anno di lavoro conferma la supremazia dei

paesi scandinavi, e in primo luogo quello della Danimarca (in cui si effettuano oltre 60 ore di formazione); allo stesso tempo, però, si evidenziano anche situazioni come quella francese dove la percentuale di adulti che partecipano a corsi di formazione continua è relativamente modesta (di poco superiore alla media OCSE), ma le ore dedicate da parte dei partecipanti sono in numero consistente (Graf. 1.2).

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

GreciaITALIA

UngheriaSpagna

PortogalloPoloniaOlandaIrlanda

Repubblica CecaGermania

LussemburgoBelgio

Media OECDAustriaFrancia

SlovacchiaCanada

Regno UnitoSvizzeraFinlandia

USADanimarca

Svezia

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Grafico 1.2

ORE DEDICATE ALLA FORMAZIONE IN UN ANNO DI LAVORO. 2003 Valori %

Fonte: elaborazioni su dati OECD

Peggiora, se possibile, la posizione relativa dell’Italia che si colloca in ultima posizione, dopo la

Repubblica Ceca, la Polonia e la Grecia, con appena 5 ore di formazione all’anno. Da questi primi dati emerge chiaramente come nel nostro paese non solo sia modesto il numero di persone che partecipano ad attività di lifelong learning, ma anche che queste ultime dedicano alla formazione una parte residuale del loro tempo, elemento che genera perplessità anche sulla qualità dell’organizzazione e sull’efficacia di queste attività.

Proprio con riferimento ai paesi europei vale la pena ricordare la strategia intrapresa sulle tematiche dell’istruzione e della formazione da parte dell’UE.

“Tutti gli europei dovranno poter contare su opportunità aperte loro per tutto l’arco della vita di partecipare alla futura società del sapere. Questa è la via per sviluppare la capacità potenziale di crescita sostenibile dell’Europa”. Questo intendimento viene tradotto in termini operativi attraverso la definizione di un obiettivo numerico: entro il 2010 la partecipazione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita dovrà coinvolgere almeno il 12,5% della popolazione attiva in età adulta (25-64enni).

Il Consiglio Europeo di Lisbona, i cui temi sono stati ripresi e rafforzati dalle successive deliberazioni delle istituzioni europee, ha sottolineato, infatti, l’importanza del ruolo dell’educazione come elemento portante di un sistema avanzato di competitività e come garanzia di coesione della comunità e di un completo sviluppo del concetto di cittadinanza europea fondato sulla partecipazione e sulla trasparenza. “Le strategie per il lifelong learning and mobility sono essenziali per promuovere l’occupabilità, la cittadinanza, l’inclusione sociale e il completo sviluppo della persona” e l’investimento in formazione, finalizzato a favorire lo sviluppo delle competenze professionali dei lavoratori, rappresenta un tassello di fondamentale importanza nella costruzione di un’economia della conoscenza.

Cresce, infatti, dal 2000 al 2008 la percentuale di popolazione in età attiva inserita in percorsi di formazione nell’UE15, passando dall’8% all’11%, avvicinando l’obiettivo posto per il 2010 del 12,5% (Tab. 1.3).

Il dato italiano, che si riferisce a tutta la popolazione in età attiva indipendentemente dalla loro posizione nel mercato del lavoro, evidenzia un trend positivo, anche se la crescita sperimentata è stata di appena 1,5 punti percentuali in otto anni (passando dal 4,8% nel 2000 al 6,3% nel 20008). L’Italia rimane, pertanto, uno dei paesi in cui si dedica scarsa attenzione alla formazione continua, che si

0 10 20 30 40 50 60 70

ITALIAGrecia

PoloniaRep. Ceca

LussemburgoSlovacchia

IrlandaSpagna

Regno UnitoPortogallo

OlandaMedia OECD

USAAustria

GermaniaBelgio

CanadaFinlandia

SveziaSvizzeraFrancia

Danimarca

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colloca in una posizione migliore solo a quella di Grecia e Portogallo nell’UE15, a cui si aggiungono Ungheria, Slovacchia, Polonia e Lituania nell’UE25.

Ben oltre l’obiettivo del 12,5% si trovano, già con due anni di anticipo, i paesi scandinavi, come la Danimarca (30,2%), e il Regno Unito (19,9%).

Tabella 1.3 POPOLAZIONE IN ETÀ ATTIVA (25-64 ANNI) INSERITA IN PERCORSI DI FORMAZIONE

Valori %

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

ITALIA 4,8 4,5 4,4 4,5 6,3 5,8 6,1 6,2 6,3 Francia 2,8 2,7 2,7 7,1 7,1 7,1 7,6 7,4 7,2 Germania 5,2 5,2 5,8 6,0 7,4 7,7 7,5 7,8 7,9 Spagna 4,1 4,4 4,4 4,7 4,7 10,5 10,4 10,4 10,4 EU15 8,0 8,0 8,1 9,8 10,7 11,3 11,2 10,9 11,0 Regno Unito 20,5 20,9 21,3 27,2 29,0 27,6 26,7 20,0 19,9 Danimarca 19,4 18,4 18,0 24,2 25,6 27,4 29,2 29,2 30,2

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat, LFS

Da un’analisi con dettaglio regionale del livello raggiunto dai 27 paesi europei, la presenza in

percorsi di formazione nell’età adulta conferma variazioni anche consistenti nel confronto nazionale che, però, si riducono notevolmente su scala regionale. La partecipazione è particolarmente elevata in Finlandia, Svezia, Regno Unito, Olanda, Danimarca e Slovenia, mentre la minore frequenza si registra nei paesi più periferici come il Portogallo, la Grecia e la Romania (Fig. 1.4).

Figura 1.4 POPOLAZIONE IN ETÀ ATTIVA (25-64 ANNI) INSERITA IN PERCORSI DI FORMAZIONE. 2008

Valori %

Fonte: Eurostat, LFS

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Il progressivo avvicinamento alla soglia fissata per il 2010 non elimina alcune disuguaglianze territoriali, di genere e per titolo di studio, come si evidenzia in Spagna, Francia e Italia: sono, infatti, le aree urbane e le regioni dove sono presenti grandi città più delle aree rurali e periferiche, le donne più degli uomini e le fasce più istruite della popolazione rispetto alle meno scolarizzate quelle caratterizzate da un più elevato tasso di partecipazione a percorsi di formazione. L’intervento delle istituzioni e l’implementazione di nuove politiche dovrebbero, perciò, tendere a sostenere la partecipazione ad attività di lifelong learning delle fasce di popolazione maschile, meno istruita e residente in aree non urbane.

La formazione continua svolta all’interno delle imprese è rilevata in Europa attraverso l’indagine ad hoc Continuing Vocational Training Survey (CVTS) coordinata da Eurostat ed effettuata con l’obiettivo di realizzare una mappatura degli investimenti che compiono le imprese in formazione e di analizzare le disuguaglianze a livello territoriale nonché le strategie da implementare per il futuro al fine di ridurle. Tra le principali informazioni che la rilevazione mira a raccogliere vi sono: le caratteristiche generali dell’impresa (come la dimensione e il numero di addetti), le attività di formazione svolte e programmate, la presenza e le caratteristiche di strutture di proprietà dell’azienda in cui realizzare interventi di formazione.

I dati confermano quanto emerge dalla rilevazione sulle Forze di Lavoro (LFS) da cui sono tratti i dati riferiti all’Europa fin qui mostrati: le imprese che formano i propri dipendenti sono più numerose in Danimarca, Svezia, Norvegia e Regno Unito, mentre consistente è la distanza che separa le imprese del Nord e dell’Europa centrale da quelle dell’Europa mediterranea, che presentano valori superiori solamente a quelli dell’area balcanica.

L’Italia si conferma uno dei paesi nei quali il sistema produttivo investe meno per la formazione dei lavoratori: poco più del 30% delle imprese organizzano o finanziano corsi di formazione, una percentuale superiore solamente a quelle registrate in Bulgaria e Grecia (Graf. 1.5).

Grafico 1.5 IMPRESE CHE REALIZZANO CORSI DI FORMAZIONE. 2005

Valori %

Fonte: EUROSTAT, CVTS3

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

GreciaBulgariaITALIAPoloniaLettonia

RomaniaPortogallo

LituaniaMalta

SpagnaUngheria

CiproEU27

SlovacchiaBelgio

EstoniaGermania

RepubblicaLussemburho

SloveniaFranciaOlanda

FinlandiaSveizaAustria

DanimarcaNorvegia

Regno Unito

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Il grado di diffusione di attività formative varia in modo non trascurabile nei diversi settori produttivi sia in Italia sia negli altri paesi europei -in tutti i paesi, fatta eccezione per la Slovenia, la più alta percentuale di imprese che realizzano corsi di formazione opera nel settore del credito e delle assicurazioni- oltre che sulla base della dimensione aziendale, delle caratteristiche dell’attività e dei livelli di istruzione prevalenti tra gli occupati.

La quota di imprese che realizzano formazione cresce all’aumentare della dimensione. Il distacco dell’Italia rispetto agli altri paesi d’Europa, pertanto, si spiega soprattutto con l’elevata presenza nel nostro territorio di aziende di piccole e piccolissime dimensioni nelle quali l’attività formativa si realizza prevalentemente attraverso il learning by doing. 1.3.2 Il quadro nazionale L’Italia si caratterizza per un ridotto numero di adulti in formazione, oltre che per una contenuta percentuale di imprese che realizzano attività formative. Ma come si colloca la Toscana nel contesto nazionale?

Con riferimento alla quota di popolazione in età attiva inserita in percorsi di istruzione e formazione, la Toscana raggiunge il 6,8%, una percentuale di poco superiore alla media nazionale del 6,3%, che, però, non si discosta molto dalle regioni che raggiungono le percentuali più elevate: il Lazio e il Trentino Alto Adige (8,1%), l’Umbria (7,6%), la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia (7,4%) (Graf. 1.6).

Grafico 1.6 POPOLAZIONE IN ETÀ ATTIVA (25-64 ANNI) INSERITA IN PERCORSI DI FORMAZIONE. 2008

Valori %

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT, Rilevazione sulle Forze di Lavoro

Due sono, pertanto, le considerazioni da fare: innanzitutto, la Toscana rimane lontana dall’obiettivo

del 12,5% fissato per il 2010. D’altra parte, però, solo a parziale giustificazione di una situazione non certo rosea, si evidenzia che la situazione della Toscana è in linea con quella del resto del paese dove gli scarti regionali sono minimi e non si verifica -come spesso accade per altri indicatori relativi, ad esempio, al mercato del lavoro- una dicotomia tra Nord e Sud del paese: il Piemonte affianca la Puglia e la Sicilia all’ultima posizione, mentre la Basilicata si attesta sopra la media nazionale.

Due le motivazioni principali all’origine di queste deludenti performance: le differenze economiche e sociali che ancora oggi esistono tra aree diverse e la prevalenza di piccole imprese nel tessuto

5,15,25,2

5,55,7

5,96,26,3

6,56,7

6,86,96,97,0

7,37,47,4

7,68,18,1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

Piemonte e Valle d'AostaSicilia

CampaniaMarche

PugliaLombardia

CalabriaITALIAVeneto

Emilia RomagnaTOSCANABasilicata

AbruzzoLiguriaMolise

Friuli Venezia GiuliaSardegna

UmbriaTrentino alto Adige

Lazio

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produttivo nazionale, per le quali investire in modo sistematico in formazione può essere troppo costoso, soprattutto in assenza di un adeguato sostegno pubblico. A ciò si aggiunge il fatto che la specializzazione dell’economia nazionale e regionale è nettamente orientata verso i settori più tradizionali, la cui domanda di risorse umane a elevata qualificazione è contenuta.

Per quanto riguarda, invece, il ruolo che rivestono le imprese nel promuovere la formazione continua tra i propri addetti, nel 2005 la quota di unità locali provinciali5 (ULP) impegnate in attività di formazione non raggiunge il quinto del totale, essendo pari al 18,8% (Graf. 1.7). Da un’analisi territoriale la Toscana (17,2%) emerge collocandosi in una posizione medio-bassa e si allinea con le regioni dell’Italia centro-meridionale.

Grafico 1.7

UNITÀ LOCALI PROVINCIALI CHE HANNO REALIZZATO, INTERNAMENTE O ESTERNAMENTE, CORSI DI FORMAZIONE. 2005 Valori assoluti

Fonte: Unioncamere-Ministero del Lavoro e PS, Sistema informativo Excelsior, 2006

Il dato interessante è quello che riguarda le differenze regionali: rispetto a quanto emerso per la

popolazione coinvolta in attività di formazione, infatti, le imprese che vi sono direttamente impegnate sono distribuite in modo piuttosto disomogeneo nel territorio, con una separazione netta tra il Nord e il Centro-Sud, con la Sicilia all’ultimo posto. Sono, pertanto, le aree con maggiore dinamicità economica, come quelle del Nord-est, che registrano i più elevati livelli di partecipazione delle proprie imprese a iniziative di formazione: il Friuli Venezia Giulia con il 25,7%, l’Emilia Romagna con il 22,2% e il Trentino Alto Adige, con il 21,8% registrano livelli di gran lunga superiori alla media.

Sebbene sia ormai ampiamente riconosciuta, anche nel nostro paese, l’importanza di sviluppare sui luoghi di lavoro, così come nei contesti extralavorativi, un’attività formativa rivolta alla promozione dei processi di apprendimento permanente, le imprese italiane continuano a dedicare poco tempo e scarsa attenzione non solo alla crescita del loro capitale umano, ma anche al normale aggiornamento professionale, contrariamente a quanto accade, ad esempio, nei paesi del Nord Europa.

Certo è che, come già sottolineato, la ridotta dimensione delle imprese, la frammentazione del sistema produttivo e la prevalenza di settori a scarso contenuto innovativo sono tutti elementi che frenano lo sviluppo e non incentivano la realizzazione di attività formative.

5 Il dato non è coerente con quello mostrato in figura 5 in quanto la fonte è diversa (qui la banca dati Excelsior gestita da Unioncamere, lì l’indagine CVT3 coordinata da Eurostat e realizzata da Istat) e l’unità di riferimento è diversa (qui le unità locali provinciali, lì le imprese).

13,415,015,2

15,915,915,9

16,417,2

17,817,8

18,518,718,818,9

20,020,5

21,621,721,8

22,225,7

0 5 10 15 20 25 30

SiciliaCampaniaSardegna

UmbriaBasilicata

CalabriaLazio

TOSCANAMolisePuglia

MarcheLiguriaITALIA

AbruzzoLombardia

Valle D’AostaVeneto

PiemonteTrentino Alto Adige

Emilia RomagnaFriuli Venezia Giulia

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1.3.3 Uno sguardo alle politiche implementate in Italia e in Toscana Con riferimento alle misure implementate in Italia e finalizzate ad aumentare la partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente e a rafforzare le competenze di adulti e anziani, tra le più rilevanti devono essere elencate: - il Fondo Sociale Europeo (FSE). La programmazione europea, in particolare quella relativa al

FSE 2000-2006 e al nuovo FSE 2007-2013, stabilisce che le azioni finanziate dal FSE siano dirette, tra l’altro, a: promuovere le politiche di formazione permanente; promuovere e sostenere lo sviluppo di una manodopera competente, qualificata e adattabile; promuovere il rafforzamento del potenziale umano nei campi della ricerca, della scienza e della tecnologia.

- la Legge 236/93, che ha rappresentato per molto tempo, insieme con le Misure dedicate del FSE, il principale canale di finanziamento della formazione continua in Italia. Le linee strategiche a cui tali interventi si sono ispirati si sono evolute nel tempo: dalle prime circolari, che prevedevano per la maggior parte il finanziamento di azioni di formazione aziendale e di azioni di sistema, si è arrivati con gli ultimi decreti attuativi all’introduzione dei Piani formativi6 concordati tra le Parti Sociali.

- La legge 53/00, che reca disposizioni per il diritto alla formazione e alla cura, per il sostegno della maternità e della paternità, per il coordinamento dei tempi delle città. L´art. 5 istituisce i congedi per la formazione: fra questi rientrano quelli finalizzati alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro. L´art. 6 istituisce i congedi per la formazione continua destinati ai lavoratori, occupati e non occupati, per accrescere conoscenze e competenze professionali. La formazione può corrispondere a una scelta autonoma del lavoratore, ovvero essere predisposta dall’azienda attraverso piani formativi concordati con le parti sociali. Oltre ai corsi di formazione al lavoro e sul lavoro previsti dai bandi regionali, tra le iniziative

educative specificatamente rivolte agli adulti ci preme, infine, ricordare quella dei Circoli di Studio. Il Circolo di Studio è uno strumento di intervento nel campo dell’educazione permanente rivolto

a piccoli gruppi di persone che si riuniscono liberamente, con la presenza, non vincolante, di un tutor e/o di uno o più esperti, per un periodo di tempo di breve durata allo scopo di dar vita ad attività di carattere culturale e formativo sulla base della scelta di un tema, di un problema, di un obiettivo comune.

La Regione Toscana ha attivato per prima in Italia questa modalità educativa inserendola nel percorso politico e normativo della formazione permanente avviato a seguito dell’emanazione della Legge Regionale 32/2002.

Il giudizio su tale intervento educativo risulta, tuttavia, ambivalente (Irpet, 2005): i Circoli di Studio sono una modalità formativa innovativa per la nostra regione e più in generale per il nostro paese e l’elemento di più forte innovazione riguarda la costruzione dell'offerta a partire dalla domanda autonoma dei cittadini. Attenzione particolare è stata, infatti, rivolta allo studio dei modi attraverso i quali stimolare e facilitare il rientro in formazione di soggetti adulti (il problema della motivazione), a come raggiungere comunità dove i livelli di partecipazione ai servizi di educazione per adulti sono molto bassi (il problema del riconoscimento del bisogno), a come valorizzare l'apprendimento informale, a come fare acquisire consapevolezza del corpus di conoscenze e competenze che un adulto ha in sé e più in generale a come stimolare la spinta ad apprendere. La finalità è quella di aumentare la domanda di formazione per realizzare gli obiettivi del raggiungimento della pari opportunità di accesso a tutte le forme di istruzione e dell’innalzamento dei livelli di istruzione e formazione sanciti a livello europeo.

Tuttavia, proprio rispetto agli obiettivi europei di recupero del gap formativo, evidente è il problema della “domanda debole”, che con i Circoli non si è riusciti a far emergere del tutto. La platea dei partecipanti ai Circoli appartiene, infatti, alle fasce della popolazione con istruzione medio-alta: basti pensare che la quota di popolazione in possesso di una laurea è pari a meno dell’8%, mentre la quota di partecipanti ai Circoli con lo stesso titolo è pari al 23% circa. Analogamente, la quota di popolazione in possesso del solo titolo dell’obbligo (64%) risulta più del doppio della corrispondente quota tra i partecipanti (27,4%).

6 II Piano formativo è un programma organico costituito da uno o più progetti formativi finalizzati all’adeguamento e allo sviluppo delle competenze dei lavoratori, coerentemente con le strategie e le necessità delle aziende ad essi collegate.

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Tutto ciò mette, quindi, in luce la necessità di trovare forme di educazione per gli adulti che non solo servano a potenziare e incrementare il livello di istruzione e di competenze di chi già possiede un bagaglio formativo, ma soprattutto aiutino coloro che ne risultano sprovvisti a individuare un proprio percorso di crescita educativa che possa fornire strumenti per esercitare a pieno i propri diritti di cittadinanza.

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2. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI NEL CONTESTO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 2.1 Uno sguardo alla situazione internazionale In ambito internazionale le Università per Adulti presentano caratteristiche strutturali e organizzative diverse da quelle italiane, che fanno pensare a una maggior solidità del sistema o comunque a un sostegno più incisivo delle rispettive Istituzioni Pubbliche. Per esempio, in Francia e in altri Paesi europei come Svezia e Germania sono sorte per iniziativa diretta delle Università degli Studi e, quindi, hanno avuto fin dall’inizio un carattere istituzionale. In Italia, invece, le Università si caratterizzano ancora oggi per offrire attività formative tra loro diverse nei contenuti e nelle modalità (si va da vere e proprie istituzioni programmate secondo un piano di studi, a cicli di conferenze autogestiti più o meno lunghi), e solo attraverso l’adesione a organismi di rappresentanza nazionale si sta attualmente cercando di giungere a un’offerta più integrata e uniforme.

Di fatto, in ambito internazionale la comprensione del fenomeno delle Università della Terza Età non è separabile dalla considerazione complessiva del sistema di Educazione degli Adulti. Basti pensare che già nel Secondo Dopoguerra, mentre in Italia si realizzano i primi congressi sulla cultura popolare e sull’educazione popolare, la situazione in altri Paesi europei, così come negli Stati uniti, è completamente diversa. • Stati Uniti Gli Stati Uniti fin dalla fine dell’Ottocento possono contare su una vasta gamma di interventi strutturati per migliorare l’educazione del popolo. A garantire un minimo di istruzione comune e attività ricreative, di informazione culturale e professionale, sono spesso organizzazioni private e a queste si deve una prima promozione dell’Educazione degli Adulti. Un esempio significativo è rappresentato dalle Università Popolari e dalle associazioni private che organizzano corsi per corrispondenza, esplicando la loro attività nei piccoli centri urbani, nelle grandi città ma anche nelle campagne. Molte di queste attività hanno come riferimento il modello del Circolo Letterario e Scientifico “Chautauqua”, un movimento organizzato in gruppi popolari di studio e di lettura attivi nello Stato di New York già nel 1870. Nel 1915 il modello si è ormai ampiamente diffuso e circa 700.000 cittadini partecipano alle attività di più di 15.000 gruppi di studio simili a quello di Chautauqua7. Sono gli adulti stessi a organizzare attività formative che permettono di rispondere ai loro interessi, di coltivare un’abilità o di riempire le lacune educative. I mezzi utilizzati sono i più svariati (proiezioni di film, conferenze, lezioni) e consentono una discussione di gruppo e un maggiore e più partecipato coinvolgimento del pubblico. La diffusione delle iniziative in territori periferici permette anche alle popolazioni delle aree rurali l’acquisizione di conoscenze e competenze di base sulle istituzioni e l’esercizio del diritto di cittadinanza, oltre a promuovere un avvicinamento alle varie organizzazioni civiche e sindacali. I gruppi di studio rappresentano così non solo un’importante possibilità di accesso popolare a opportunità di prima alfabetizzazione, ma anche l’occasione per la formazione dei lavoratori. Parlare di diritti dei lavoratori agli inizi del 1900 è sicuramente innovativo, se si tiene presente il contesto storico e le condizioni di vita in cui versa la maggior parte della forza lavoro dipendente in quegli anni8. È anche questa componente emancipativa che solleva una sottile forma di ostruzionismo delle classi più abbienti, che comprendono i rischi e le possibilità di tale emancipazione.

Alla fine degli anni Venti, in concomitanza con la crisi economica del 1929, il movimento dei Circoli, e in generale l’attenzione per l’educazione popolare, si riduce notevolmente fino quasi a

7 Da Millions of citizens use Study Circles, in www.co-intelligence.org/S-ctznsstudycircles.html 8 Sicuramente particolare è comunque già in quegli anni lo stato sociale nel Nord Europa e in U.S.A. rispetto ad altri Paesi europei Per fare un esempio basti pensare che mentre in alcune realtà scandinave esistono già associazioni per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e per l’educazione e l’istruzione delle classi più deboli, in altri contesti europei i movimenti sindacali non hanno ancora un adeguato peso sulla scena politica e l’idea dell’istruzione popolare rimane più o meno una realtà difficilmente gestibile e organizzabile.

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scomparire9. Tuttavia, proprio negli anni più bui per l’educazione popolare, nel 1930, nel Tennessee Myles Horton fonda il Centro per l’Educazione Popolare Highlander10. In un periodo di grande depressione economica Horton sviluppa il progetto di una scuola, organizzata sul modello dei gruppi di studio, che ha come scopo quello di mettere in comunicazione persone di diversa provenienza sociale per scambiarsi le proprie problematiche quotidiane, con il proposito di trovare una soluzione comune alle difficili condizioni di vita e promuovere i diritti umani fondamentali. L’esperienza di Highlander si diffonde rapidamente e con essa lo spirito democratico e i valori della concertazione, del rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza (Del Gobbo, Guetta, 2005).

È comunque solo intorno agli anni ‘60-‘70 che l’interesse per l’educazione popolare, ma soprattutto per l’educazione in età adulta, ha un nuovo impulso. A partire dagli anni ‘70 molte iniziative iniziano a essere sovvenzionate dal Governo Federale sia con l’intento di garantire l’alfabetizzazione di base e le prime forme di formazione professionale, sia per dare un’opportunità per parlare di problemi di interesse sociale, storico ed economico alle fasce più deboli della popolazione (Orefice, 1989).

Negli ultimi venti anni libere associazioni, Università e fondazioni hanno ampliato la propria offerta e riproposto modelli partecipativi, come i gruppi di studio, come mezzo per affrontare, discutere, e approfondire svariate tematiche. • Svezia Rispetto all’Educazione degli Adulti sicuramente esemplare è il caso della Svezia, con un sistema che ha alla base un’organizzazione territoriale capillare poiché in ogni comunità o municipalità (Kommunal Vuxenutbildning) ci sono una o più scuole per adulti.

Il sistema non formale di Educazione degli Adulti è costituito da 11 associazioni di studio (Study-associations) e più di 130 Scuole Superiori Popolari distribuite nel Paese, tutte legate a organizzazioni non governative e ad alcuni partiti politici. Le Associazioni di studio possono essere paragonate sotto molteplici aspetti alla Volkshochschule (Università Popolare) tedesca, con la differenza che le prime non hanno alcun rapporto con le Autorità locali. Esse sono state generate dai grandi movimenti popolari del 19° secolo, in particolare dal movimento “La Chiesa Libera”, dal movimento “Temperanza”, dal movimento laburista e dal movimento cooperativo, al fine di organizzare attività culturali e pedagogiche.

Esse organizzano attività formative indipendenti, ovvero senza alcuna forma di corrispondenza con i curricoli e le prove di esame del sistema educativo pubblico. Sono le stesse associazioni a decidere in ordine al contenuto dei corsi e ogni formatore ha piena libertà riguardo alla scelta del metodo. La formazione è accessibile a tutti e i partecipanti hanno voce in capitolo per quanto riguarda contenuti e funzionamento dei corsi. Gli argomenti più richiesti sono l'estetica, le lingue straniere, l'informatica e i temi di carattere sociale. Lo scopo comune a tutte le attività è di assicurare a tutti gli adulti le stesse opportunità di accesso alla conoscenza e allo sviluppo personale, per il miglioramento delle loro condizioni di vita e una loro fattiva partecipazione allo sviluppo democratico della società. • Norvegia La prima Università Popolare (folkehøgskole) norvegese è stata aperta nel 1864: attualmente se ne contano 77 sparse in tutto il Paese e frequentate ogni anno da 6.000 studenti, in maggioranza giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni che hanno completato i loro studi liceali. Alcune Università Popolari offrono anche corsi accelerati per anziani e quattro di esse prevedono corsi speciali per persone disabili. I programmi di studio considerano la centralità degli studenti in una prospettiva olistica e sono volti a sostenere lo sviluppo individuale, sociale e accademico di ciascun soggetto. Le scuole sono solitamente piccole, con un numero di iscritti che si aggira normalmente attorno alle 60-100 unità.

Le Università Popolari non assegnano titoli di studio e non svolgono esami formali. Gli studenti che completano un corso di studi presso un’Università Popolare ricevono un diploma, che non assegna però qualifiche formali riconosciute dal sistema scolastico pubblico istituzionale. Le principali aree di studio sono musica, spettacolo, vita all’aria aperta, mass media, informatica, artigianato, solidarietà internazionale e sport. Ogni scuola possiede una serie di materie obbligatorie, ma gli studenti devono

9 Ibidem. 10 Study Circles: History&Resources, www.context.org/ICLIB/IC33/Andrews.htm. consultazione del 02/11/2004.

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frequentare anche lezioni di materie facoltative. La maggioranza delle Università Popolari sono di proprietà e gestione di organizzazioni e fondazioni private, ma alcune di esse sono gestite dalla Regione o dal Comune. Non sono previste tasse d’iscrizione o rette, ma gli studenti devono provvedere personalmente alla copertura delle proprie spese di mantenimento e pagare escursioni, attività studentesche e materiale di studio. Inoltre, è possibile richiedere prestiti e borse di studio attraverso il Fondo Norvegese Statale per il Prestito agli Studi.

Queste Università sono molto popolari in Norvegia, soprattutto perché possono essere il luogo dove trascorrere un anno di transizione per coloro che intendono prendere una pausa tra la conclusione delle scuole superiori e l’inizio degli studi universitari e coloro che vogliono avere del tempo per valutare con calma le loro future opportunità di istruzione e/o impiego. • Francia Anche in Francia il problema dell’Educazione degli Adulti comincia ad essere affrontato già alla fine del diciannovesimo secolo, in un contesto politico, sociale e culturale ben definito. L’avvento della Terza Repubblica, il diffondersi del movimento operaio e il clima culturale caratterizzato dal pensiero positivista, mettono in evidenza la carenza di strutture adeguate per l’educazione del popolo francese. Il movimento operaio ha bisogno di ristrutturarsi e di costituire una ‘élite proletaria’ e anche la borghesia condivide la necessità di cancellare le differenze sociali in campo educativo per raggiungere maggiore efficacia economica, pacificazione sociale e un rafforzamento della solidarietà nazionale. L’esigenza di un’educazione popolare, collegata a principi di emancipazione sociale e politica, piuttosto che finalizzata solo all’istruzione, trova un riferimento scientifico nelle scienze sociali che, con Auguste Comte e il movimento positivista, hanno acquistato ampio spazio anche a livello universitario.

Se l’istituzione di scuole laiche e gratuite offre una risposta ai problemi di istruzione dei giovani, per rispondere alle esigenze inerenti all’Educazione degli Adulti si fa ricorso alle strutture di educazione superiore. Il 9 ottobre 1899 la Cooperativa delle Idee di George Deherme crea a Parigi la prima Università Popolare, ponendo le premesse per un incontro tra intellettuali e militanti operai. Ben presto anche in altre città, con l’appoggio delle municipalità, aprono Università Popolari che pian piano cominciano a collegarsi anche al mondo del lavoro.

Il fenomeno subisce un indebolimento dalla Prima Guerra mondiale fino agli anni Trenta, quando la vittoria del Fronte Popolare e il precipitare degli eventi verso la Seconda Guerra Mondiale chiudono presto anche questa seconda fase di sviluppo delle Università Popolari.

Solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la Francia vede il riaffermarsi delle Università Popolari, senza tuttavia un disegno strategico e con scarsi connessioni con le esperienze originarie. Legate soprattutto a contesti locali, senza un vero e proprio modello di riferimento, le Università offrono una risposta al crescente bisogno culturale. L'insufficiente offerta proveniente dall’Università tradizionale e le riflessioni di intellettuali come Ivan Illich creano un terreno fertile per nuove forme di Educazione degli Adulti e, soprattutto negli Anni Sessanta, il prevalere di forme di animazione culturale dalla scarsa connotazione scolastica.

È comunque con gli Anni Ottanta che le Università Popolari (UP) esprimono definitivamente il proprio ruolo nell’Educazione degli Adulti: sviluppatesi per iniziativa di Università, collegate a partiti politici, sorte per volontà di municipi rurali al fine di emancipare le proprie comunità, le UP si diffondono sul territorio nazionale, riaffermando, senza apparente memoria storica, i principi che erano stati alla base del fenomeno alla fine dell’Ottocento. L’educazione alla cittadinanza attiva, l’attenzione a sviluppare un legame tra categorie sociali, classi di età e partecipanti con livelli di formazione differente, e soprattutto l’importanza attribuita alla condivisione dei propri saperi e allo sviluppo di forme di conoscenza critica e problematica, sono gli obiettivi che sono stati e sono alla base delle UP e che consentono a questi organismi di riconoscersi in una struttura associativa nazionale (AUPF), aperta e in rete con esperienze simili di livello internazionale.

Attualmente, pur nel rispetto della “geografia spontanea” e dell’autonoma fisionomia di ciascuna Università Popolare, l'AUPF sta sviluppando una strategia di organizzazione regionale, funzionale a riconoscere il ruolo delle UP come risorsa territoriale in grado di dialogare con le istituzioni pubbliche

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e con altre strutture che si occupano di Educazione degli Adulti11. Tra queste sicuramente un ruolo importante è ricoperto dalle Università della Terza Età.

È alla Francia, infatti, che si deve la nascita delle Università della Terza Età nei primi Anni Settanta (Maizard, 1981). Dopo una positiva esperienza di summer school per pensionati, è grazie al prof. Pierre Vellas, della Facoltà di Legge ed Economia, che presso l’Università di Scienze Sociali di Tolosa viene istituita nel 1975 la prima Università della Terza Età. L’intento è quello di offrire un programma di attività per anziani, adeguato alle condizioni, alle necessità e alle aspirazioni di questa fascia d’età. Dopo un inizio modesto, l’esperimento comincia ad avere successo: di fatto, non solo offre una risposta a bisogni di tipo intellettuale, ma consente anche di socializzare e condividere aspirazioni comuni. In pochi anni molte Università francesi cominciano a inserire nella propria offerta formativa attività specifiche per la Terza Età.

Il modello francese, caratterizzato dal rapporto con le Università tradizionali, si diffonde velocemente anche in altri Paesi: Belgio, Spagna, Svizzera, Polonia, Canada, Svezia, Stati Uniti, Inghilterra12, Germania e anche Italia. Anche in questo caso, come per le UP, è nei primi Anni Ottanta che viene fondata un Associazione Internazionale delle Università della Terza Età, come spazio di confronto, ma anche di ricerca e sperimentazione13. 2.2 Le Università per Adulti in Italia: il panorama di riferimento Affinché sia possibile una valorizzazione delle potenzialità espresse dalle Università per Adulti per l’attuazione delle politiche dell’Educazione degli Adulti (Eda) a livello locale, regionale e nazionale, occorre conoscerne meglio sia la fisionomia complessiva sia le peculiarità che nel tempo hanno caratterizzato le diverse istituzioni.

Le Università per Adulti rappresentano sicuramente una realtà significativa nel quadro dell’offerta formativa per la popolazione nell’ambito dell’educazione non formale14. La diffusione nel territorio nazionale di tali Università, oggi presenti con diverse denominazioni (Università Popolari, Università della Terza Età, Università della Libera Età, Università del Tempo Libero, Università delle Tre Età, Università dell’Età d’Argento, Università per Adulti Anziani), ha avuto origine verso la fine del XIX secolo, sotto la spinta dell’associazionismo legato al movimento operaio e al volontariato laico e cristiano.

Al di là di altre diverse denominazioni, occorre mettere in rilievo come le Università Popolari e le Università della Terza Età siano contraddistinte da una serie di caratteristiche che ne sottolineano la diversità, peraltro evidente già dalla loro denominazione volta a delimitare gli ambiti di utenza; una diversità che si legge anche nella loro storia, negli scopi e nei risvolti legislativi. 2.2.1 Le Università Popolari Le prime Università Popolari sorgono in Italia insieme con le biblioteche e i circoli culturali popolari tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 per opera delle prime organizzazioni sindacali e politiche del movimento operaio e sono ispirate dalle precedenti esperienze di Università Popolare in Danimarca, Svezia e Inghilterra. La loro finalità prioritaria è quella di favorire l’avvicinamento alla cultura di tutti

11 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a http://www.universitepopulaire.eu 12 In Inghilterra, ad esempio, le Università della Terza Età sono oggi molto diffuse e hanno dato origine a un Consorzio che offre supporto alle U3A locali e ne sostiene lo sviluppo. Il motto delle U3A è “apprendere per il piacere” e non sono previsti accreditamenti o qualifiche: sono ‘cooperative di apprendimento che consentono ai propri iscritti di accrescere le proprie conoscenze, scambiarsi esperienze, sviluppare le proprie abilità. Cfr. http://www.u3a.org.uk/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1 13 http://bbf.enssib.fr 14 Per attività non formali si intendo le attività «svolte al di fuori delle principali strutture di istruzione e formazione che, pur non prevedendo il rilascio di alcun titolo di studio legalmente riconosciuto, sono esplicitamente organizzate e proposte in quanto “formative”. Si tratta di attività finalizzate a estendere le conoscenze in un ambito del sapere o del lavoro, concepite e impostate secondo criteri di razionalità programmatoria e dispensate sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile, associazioni, sindacati, partiti politici, ecc., a cui il discente accede in maniera pienamente “intenzionale”. L’apprendimento non formale è definito nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente quale apprendimento “che si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali”; nell’allegato 2 alla Comunicazione del 21 novembre 2001 viene inteso come “apprendimento che non è erogato da un’istituzione di istruzione o formazione e che non sfocia, di norma, in una certificazione”. Esso è peraltro strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse per l’apprendimento). L’apprendimento non formale è intenzionale dal punto di vista del discente» (ISFOL, 2003).

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i ceti sociali, specialmente quelli più svantaggiati, per favorire il riscatto e l’equità sociale tramite la formazione.

Nella diffusione nazionale è da ricordare il ruolo fondamentale ricoperto della rivista denominata “Università Popolare”, fondata a Mantova nel 1901 e diretta dall’anarchico Luigi Molinari fino al 1918. Essa diviene un mezzo importante di informazione e di scambio di idee, grazie alla quale si viene a conoscenza delle numerose esperienze in corso all’estero e a cui fanno riferimento tutte le Università Popolari italiane man mano che nascono e si organizzano. Il dibattito pedagogico sulla rivista è reso vivo dal grande significato politico che si attribuisce al binomio educazione popolare/emancipazione proletaria e all’impostazione laica, scientifica e non dogmatica delle attività culturali che devono caratterizzare le Università Popolari.

Le Università Popolari sono, tuttavia, chiuse durante il fascismo, per poi rinascere nel secondo dopoguerra con l’intento ben preciso di contrastare l’esclusione sociale e il rischio di emarginazione attraverso l’alfabetizzazione degli adulti e la promozione culturale. I motivi di tanto interesse per l’educazione popolare sono da ricondurre agli eventi politici e sociali di quel periodo e a una forte volontà di cambiamento e innovazione che attraversa il mondo politico quanto la società nel suo insieme. Quelli sono gli anni della rinata democrazia, dell’esigenza di costruire all’indomani della guerra uno Stato democratico basato sulla partecipazione del popolo. Inevitabilmente lo spirito liberale spinge a riflettere anche su una nuova concezione della cultura e della formazione dell’uomo, incentrata su un diverso orientamento dell’educazione dei cittadini, non più privilegio delle élite ma aperta a tutti gli strati della popolazione. La cultura, e quindi la diffusione dei saperi, permette finalmente ai meno favoriti sul piano sociale e culturale di emanciparsi, partecipando attivamente alla costruzione della società, prima privilegio di pochi.

Proprio sotto la guida di questi principi innovatori molti enti e associazioni culturali, insieme allo Stato, si attivano dando vita, attraverso iniziative, congressi e dibattiti, a interventi educativi e di istruzione, con l’intento di riscattare le masse dall’oppressione e ridefinire l’identità del singolo grazie all’acquisizione di senso critico e coscienza civile.

Le Università Popolari iniziano a impegnarsi non soltanto per l’alfabetizzazione di un numero sempre crescente di cittadini di ogni età e condizione sociale, ma anche per promuovere la cultura non solo come bene in sé, ma anche e soprattutto come uno strumento di presa di coscienza, di emancipazione personale, di sollecitazione all’impegno collettivo per il miglioramento della società, coinvolgendo professionisti e illustri uomini di cultura che desiderano dedicare parte del loro tempo e delle loro competenze a questa impresa che appare loro come una sfida affascinante e, per l'epoca, "anticonformista".

A Torino l’Università Popolare nasce per opera di un movimento sinergico di intellettuali e associazioni operaie; a Roma viene istituita da un gruppo di docenti e inaugurata dal Ministro dell’Istruzione, On. Nasi; a Venezia è invece il comitato operaio della Libera Scuola Popolare a farsi carico della nascita dell’Università Popolare.

A differenza dell’azione del Governo, anch’esso comunque impegnato nell’adozione di nuove politiche in materia di educazione e cultura, le organizzazioni culturali, come dimostra il primo Congresso sulla Cultura Popolare organizzato dall’Università Popolare fiorentina15, si distinguono per la volontà di rilanciare un’educazione popolare improntata su una cultura non concessa al popolo, ma elaborata dal popolo, basata sui bisogni dell’uomo e rispondente alle sue esigenze. Tra gli scopi prioritari di queste Università ancora oggi figurano quelli di favorire la crescita culturale di cittadini di ogni età e ceto sociale attraverso l’organizzazione di corsi diversificati e di un’offerta didattica sempre più aggiornata.

Di diversa impostazione e più circoscritto è, invece, l’orientamento del Ministero della Pubblica Istruzione più impegnato «per combattere l’analfabetismo, per completare l’istruzione elementare e per orientare all’istruzione media o professionale»16 come emerso nel Congresso17 sull’Educazione Popolare da esso organizzato per rilanciare le Scuole Popolari nate nel 194718. 15 Firenze, 15-18 ottobre 1947. 16 Articolo 1 decreto legislativo sulla Legge della “Scuola popolare contro l’analfabetismo” del 1948. 17 Roma, 2-5 maggio 1948. 18 In quegli anni è decisiva anche l’azione dell’UNLA (Unione Nazionale Lotta Contro l’Analfabetismo) nata proprio nel 1947, come associazione democratica e indipendente che con i suoi Centri di Cultura Popolare, divenuti in seguito Centri di Educazione degli Adulti, intende sviluppare percorsi di istruzione ma anche altre attività dedicate alla formazione civica, sanitaria e professionale in modo da soddisfare le esigenze di apprendimento degli adulti legate a problemi e situazioni quotidiane. Promuovendo all’interno degli interventi

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2.2.2 Le Università della Terza Età Le Università della Terza Età sono molto più recenti delle Università Popolari e devono la loro nascita all’iniziativa del francese Pierre Velas che nel 1973 fonda a Tolosa la prima Università della Terza Età, esperienza che si rivela decisiva per rispondere alle esigenze sociali della popolazione adulta tanto che, da allora, la rete delle Università della Terza Età si è andata sempre più consolidando in tutta Europa.

In Italia la prima Università della Terza Età sorge a Torino nel ‘75, dapprima come coordinamento dei vari gruppi spontanei e dal 1979 come una vera e propria istituzione con programmi e metodologie propri. Nel 1978 nasce a Trento l’Università della Terza Età e del Tempo Disponibile; il 7 novembre 1981 si inaugura a Benevento, ad opera di una associazione, l’Università sannitica della Terza Età e del Tempo Disponibile e il 27 novembre 1981 a Vicenza l’Università degli Anziani per iniziativa dell’Istituto di Scienze Sociali ‘Nicolò Rezzara’. Negli anni che seguono si assiste a un grande sviluppo di queste iniziative, specialmente nel Veneto, e si costituiscono federazioni di Università della Terza Età: «di qui la vivacità e insieme la fragilità delle Università della Terza Età italiane, senza dubbio aderenti ai bisogni degli utenti e del territorio, ma non sempre qualificate culturalmente»19, anche alla luce dell’organizzazione spontanea dei soggetti promotori come centri culturali, sindacati, gruppi di volontariato e associazioni.

Le Università della Terza Età si sono, quindi, diffuse in tutto il territorio nazionale mentre le scuole popolari si sono estinte nel ‘70 per il passaggio alle Regioni e ai Comuni delle competenze in materia di educazione permanente (d.p.r.n. 616/77).

Ad oggi, alcune regioni come la Basilicata e la Sardegna hanno emanato apposite leggi per supportare le attività delle Università della Terza Età, finanziando i Comuni e riconoscendo l’importanza di sostenere attività di educazione non formale per gli adulti.

Alle Università della Terza Età fanno riferimento anche associazioni di volontariato e culturali, centri culturali ed enti locali per promuovere attività educative, sociali e ricreative strettamente rispondenti alle domande provenienti dal territorio e alle richieste di cultura e di socialità della persone che, andate in pensione, si ritrovano spesso in difficoltà nel mantenere relazioni sociali.

Tuttavia, sempre di più i servizi erogati non risultano più rivolti esclusivamente a un numero (ormai elevato) di anziani che ha bisogno di “impiegare” il tempo libero a disposizione, riprendendo magari a studiare oppure semplicemente aggregandosi ad altri anziani. Diversamente dagli anni ’80, quando tra gli utenti prevalevano gli anziani e le donne, oggi diverse Università hanno ampliato il target dell’utenza, includendo anche fasce di età più giovani. Ne è una riprova il cambiamento di denominazione di molte Università della Terza Età, le quali si sono convertite in Università di Tutte le Età, della Libera Età, in Università Popolari o Università Aperte.

Le Università della Terza Età in tal senso arricchiscono e valorizzano il concetto di apprendimento permanente degli adulti, superando una concezione tradizionalista che vede la vita dell’uomo divisa in stadi e tappe, distinguendo la fase della scolarizzazione, del lavoro e del pensionamento. 2.2.3 Alcuni aspetti comuni La scelta di una specifica denominazione non è, quindi, casuale e priva di significato: l’Università sceglie il proprio nome in base alla forma associativa, ai contenuti didattici e ai propri modelli strutturali, ma anche per rendere immediatamente percepibile all’utenza la tipologia di istituzione a cui aderisce.

«Sul versante delle Università Popolari, ad esempio, si tende a sottolineare la loro specificità di “agenzie formative” in senso stretto, con attenzione anche alla formazione “riconosciuta”, “formale” e all’inserimento nel mondo del lavoro, mentre le Università della Terza Età tendono ad incidere nel “sociale” tout court, anche ma non esclusivamente tramite attività formative. L’impostazione didattica rappresenta uno degli aspetti concreti in cui si differenziano le diverse Università Popolari e quelle della Terza Età. La maggior parte dell’offerta culturale, indipendentemente dai contenuti, è strutturata in corsi, la cui tipologia è molto varia; la priorità attribuita alle attività corsuali non esclude, tuttavia, la

formativi un’educazione critica ed emancipatrice, l’UNLA sarà in seguito un punto di riferimento per la nascita nel territorio nazionale delle Università della Terza Età impostate secondo un nuovo concetto dell’Educazione degli Adulti, non rivolta solo all’alfabetizzazione di base, ma attenta allo sviluppo dell’apprendimento durante tutto l’arco della vita. Si rimanda per un approfondimento a Orefice P. (1989), Gli anni della Repubblica. Cultura e formazione In Italia. Materiali di ricerca, Napoli, Ferraro. 19 In: http://www.federuni.it/scheda_istituzionale/default.aspx

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possibilità di realizzare cicli di conferenze e seminari. L’attività formativa, inoltre, è spesso arricchita e completata dall’attività motoria, dalle visite guidate a monumenti, mostre e rappresentazioni teatrali che costituiscono delle opportunità di crescita culturale e di socializzazione. Inerente all’aspetto didattico è la scelta dei docenti operata dalle diverse Università in base al loro livello di formazione. La figura del docente di scuola superiore o della scuola dell’obbligo risulta prioritaria. Tale preferenza è determinata da una maggiore disponibilità mostrata da questa tipologia di docenti e, forse, da una maggiore capacità comunicativa degli stessi, tenendo conto che la fascia a cui ci si rivolge possiede, spesso, una cultura di base che richiede una semplicità di linguaggio. Le realtà delle Università Popolari e di quelle della Terza Età sono più facilmente documentabili di altre grazie alle associazioni nazionali che le rappresentano e a diverse iniziative che le hanno rese visibili» (ISFOL, 2003). 2.2.4 Gli organismi di rappresentanza Nel rispetto dei propri fini statutari e dei modelli culturali di riferimento, la maggior parte delle Università del “non formale” ha stabilito di unirsi o di aderire a organizzazioni di carattere nazionale. Tra le più importanti organizzazioni esistenti in Italia e presenti in Toscana si segnalano UniTre, Cnupi, Auser, Unieda. Unitre20 Nasce a Torino nel 1975 e si pone come associazione di agenzie formative potenzialmente “aperte alle tre età” e affianca fin dall’inizio alla denominazione “Università della Terza Età”, quella con significato più ampio di “Unitre”. Si richiama all’Universitas del Medio Evo la cui organizzazione faceva capo agli studenti e nella quale i docenti prestavano la loro opera gratuitamente, ritenendo il sapere un dono.

Unitre attualmente associa 268 sedi operanti su tutto il territorio nazionale, di cui ben 86 sul territorio piemontese, a testimoniare il rapido sviluppo delle Università della Terza Età nelle città di quell’area, in virtù di precise strategie e politiche regionali e locali volte alla creazione di una consistente rete di offerta.

Le finalità dell’Associazione nazionale sono “educare, formare, informare, fare azione di prevenzione, promuovere la ricerca, aprirsi al sociale e al territorio”. Due sono le linee portanti con le quali l’Unitre persegue i propri obiettivi: quella della “cultura”, demandata ai docenti, mediante corsi teorici e laboratori che hanno lo scopo di diffondere la conoscenza; quella della “Accademia d’Umanità”, affidata agli studenti, che rappresenta la struttura operativa dell’Unitre e si articola in diverse organizzazioni, che svolgono ciascuna un’attività specifica e autonoma, con impegno anche nel settore socio-assistenziale e sanitario. L’obiettivo è rendere gli studenti protagonisti, non solo attraverso la partecipazione alla vita dell’Università, ma anche nei servizi che Unitre realizza nel sociale svolgendo, ad esempio, servizio nei musei, negli ospedali, nelle case di riposo e nelle scuole. Le Unitre esprimono così la propria caratterizzazione centrata sul volontariato. Cnupi21 Fondata nel 1982, la Conferenza Nazionale delle Università Popolari Italiane (Cnupi) rispetta gli scopi “storici” delle Università Popolari: offrire ai cittadini di tutte le età un’opportunità di crescita culturale, attraverso corsi relativi ai più diversi argomenti come curare l’aggiornamento di coloro che esercitano un’attività e agevolare la formazione e la preparazione specialistica finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro. La Cnupi offre alle Università consociate consulenza tecnica e assistenza continua, oltre a mettere a disposizione delle sedi risorse di tipo didattico, programmatico e operativo. Una particolarità riguarda la conoscenza reciproca delle attività, dei progetti e degli scopi tra le varie Università associate, in modo da ampliare la rete informativa ma anche la possibilità di integrazione e di apprendimento reciproco attraverso la condivisione di un ricco patrimonio di esperienze. Auser22 Auser è l’acronimo dell’Associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà. È un ente nazionale con finalità assistenziali, nato nel 1989 per iniziativa del Sindacato dei pensionati Spi-Cgil e 20 http://www.unitre.net/nazionale/nazionale.html 21 http://www.cnupi.it 22 http://www.auser.it

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della Cgil. Le Università aderenti adottano lo Statuto Auser, che sottolinea la necessità di sviluppare un sistema informale di educazione permanente in grado di favorire la partecipazione sociale finalizzata alla realizzazione di una cittadinanza attiva e solidale. L’Auser si propone di contribuire, in particolar modo, alla crescita culturale e civile di lavoratori e anziani sia attraverso le attività promosse da circoli sociali di carattere territoriale e comprensoriale, sia attraverso l’offerta formativa erogata dalle Università Popolari e della Terza Età a essa associate. Unieda23 Unieda è la nuova denominazione della Fipec a partire dal 6 Luglio 2006. La Federazione Italiana per l’Educazione Continua (Fipec), costituita nel 1998, è un ente senza fini di lucro che raggruppa associazioni, enti, cooperative e altri organismi impegnati nell’educazione per tutto il corso della vita, comprese le Università Popolari e le Università della Terza Età. Essa svolge funzioni di coordinamento ed indirizzo nei confronti delle Università e degli enti associati, di promozione della costituzione di nuove Università per l’Educazione Continua e di iniziative culturali e di ricerca allo scopo di qualificare e rafforzare le Università Popolari.

La Federazione promuove la cooperazione con le Facoltà di Scienze della Formazione, con le Cattedre di Educazione degli Adulti, nonché tra tutte quelle discipline atte a favorire l’Educazione degli Adulti. Federuni24 Un’ultima rappresentanza significativa a livello nazionale, ma non presente in Toscana, è la Federazione Italiana tra le Università della Terza Età (Federuni). Nasce a Torino nel 1982 con lo scopo primario di sostenere scientificamente e didatticamente le Università federate, sopperendo al mancato collegamento con le tradizionali Università degli Studi. È contraddistinta dal carattere federativo e dal supporto offerto alle consociate: le sue principali finalità consistono nel favorire la collaborazione tra le Università federate, promuoverne lo sviluppo rispettandone l’autonomia, coordinare le iniziative, stimolarle allo studio della condizione dell’anziano e alla sensibilizzazione socio-culturale del territorio per una sempre maggiore integrazione sociale degli anziani, promuovere azioni comuni presso le istituzioni per il riconoscimento, lo sviluppo, il finanziamento e il sostegno delle Università federate. Attualmente la Federuni raccoglie 250 Università in Italia, con oltre sessantamila corsisti e con l’apporto di 4.250 docenti. 2.3 Le Università per Adulti in Italia: un quadro quantitativo Per quanto riguarda la situazione delle Università per Adulti in Italia, sicuramente un punto di riferimento è rappresentato dal rapporto ISFOL del 2003 su “L’offerta di formazione permanente in Italia”.

Dall’indagine emerge come le Università Popolari e quelle della Terza Età25 costituiscano una realtà significativa dell’ampio panorama dell’offerta formativa rivolta agli adulti, sia in termini quantitativi che qualitativi.

La ricerca non aveva l’obiettivo di realizzare un censimento delle strutture e delle attività, quanto quello di consentire una maggiore conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche dell’offerta di formazione permanente in Italia. Le organizzazioni contattate sono state ricondotte a quattro aree principali: 1. organismi formativi/educativi pubblici e privati; 2. terzo settore; 3. infrastrutture culturali; 4. altre strutture delle Amministrazioni pubbliche.

23 http://www.unieda.it 24 http://www.federuni.it 25 Si utilizza questa definizione anche sulla base dell’indagine ISFOL del 2003, che ha visto comunque il coinvolgimento anche di Università con denominazioni diverse, quali ad esempio le Università della Libera Età, le Università delle Tre Età, le Università dell’Età d’Argento, le Università per Adulti Anziani, che tuttavia paiono riconducibili alle due denominazioni richiamate in precedenza.

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Le Università Popolari e le Università della Terza Età sono state inserite nel Terzo Settore, che comprende anche associazioni di volontariato e quelle ricreativo-culturali, le cooperative sociali e le Organizzazioni Non Governative (ONG).

La distribuzione delle strutture che hanno partecipato alla rilevazione, per regione (Tab. 2.1), mostra una maggiore concentrazione in Piemonte (15,6%) e in Toscana (11,9%).

Tabella 2.1 DISTRIBUZIONE DELLE UNIVERSITÀ POPOLARI, DELLA TERZA ETÀ, DEL TEMPO LIBERO CONTATTATE E CENSITE* PER REGIONE

Questionari inviati Distribuzione dei rientri % di rientri sul totale Valori assoluti Valori % invii validi (a) Piemonte 88 17 15,6 19,3 Valle d'Aosta - - - Lombardia 41 9 8,3 23,1 Trentino Alto Adige 3 1 0,9 33,3 Veneto 39 5 4,6 13,5 Friuli Venezia Giulia 21 4 3,7 19,0 Liguria 18 6 5,5 33,3 Emilia Romagna 16 9 8,3 56,3 TOSCANA 26 13 11,9 52,0 Umbria 16 5 4,6 31,3 Marche 23 4 3,7 17,4 Lazio 35 6 5,5 20,7 Abruzzo 9 1 0,9 16,7 Molise 2 2 1,8 100,0 Campania 31 6 5,5 22,2 Puglia 31 10 9,2 32,3 Basilicata 21 2 1,8 15,4 Calabria 15 2 1,8 22,2 Sicilia 51 7 6,4 14,3 Sardegna 12 - - - Nord-ovest 147 32 29,4 29,1 Nord-est 79 19 17,4 17,3 Centro 100 28 25,7 15,5 Sud e isole 172 30 27,5 27,3 TOTALE 498 109 99,1 Non indicato 1 0,9 TOTALE GENERALE 498 110 100,0 23,7

so % delle Università Popolari, della Terza Età, del Tempo Libero sul totale delle strutture 8,6 * Per censite si intendono le strutture che hanno restituito il questionario compilato

(a) Su 498 questionari inviati, 34 corrispondevano a sedi non più attive Fonte: indagine Isfol-Censis, 2002

Per la Toscana fanno parte del campione 26 strutture, con un rientro di 13 questionari. Ai fini della

presente ricerca, tuttavia, possono risultare sicuramente interessanti, da un punto di vista comparativo, i risultati complessivi che consentono di avere un quadro di questa tipologia di strutture (ISFOL, 2003).

Il primo dato che si evidenzia è la debole risposta alla ricerca: su 498 questionari complessivamente inviati, solo 110 strutture hanno risposto. La scarsa percentuale di risposta può essere stata influenzata soprattutto dalla precarietà delle sedi, che ha reso difficile il contatto con i referenti, e dalla scelta effettuata da alcune strutture, che pur rientrando, per le loro caratteristiche, tra le Università Popolari, della Terza Età, del Tempo Libero, hanno dichiarato la propria appartenenza ad altri soggetti del terzo settore.

È significativo che tale difficoltà di contatto si sia riscontrata anche nella realizzazione della presente ricerca, così come si è confermato un altro aspetto già evidenziato dall’indagine ISFOL, ovvero l’impossibilità per numerose strutture di fornire i dati richiesti, in quanto non disponibili o disponibili solo a livello aggregato (ad esempio: numero di corsi attivati in un anno nelle diverse sedi e numero complessivo di associati). La difficoltà di reperimento dei dati ha sicuramente condizionato la propensione alla risposta.

Dall’indagine ISFOL emerge come le Università per Adulti si caratterizzino per una maggiore “precarietà” logistica, rispetto alle altre strutture che offrono servizi formativi agli adulti, non solo a

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livello di sede operativa26. La precarietà è, infatti, confermata dalle scarse risorse finanziarie e dalla difficoltà di disporre di risorse umane con un inquadramento stabile.

Dei 2.688 docenti impegnati nelle attività formative realizzate dalle Università, il 96,5% risulta, infatti, “esterno” all’organizzazione. Tale dato, tuttavia, è legato anche alla natura stessa di questa categoria di soggetti: il numero di corsi attivati è, infatti, flessibile e legato alla domanda, nel senso che l’attivazione o meno di un corso dipende dal suo gradimento da parte dell’utenza, che ne sostiene in massima parte anche gli oneri finanziari27. Si tratta di fattori che rendono difficile poter disporre di docenti stabili. La maggior parte dei docenti è, infatti, di provenienza esterna al mondo della scuola o si configura come cultore della materia e spesso svolge le attività di docenza come volontariato.

Le difficoltà non sembrano però incidere sulla continuità temporale delle attività dato che il 77,8% delle Università ha dichiarato di erogare attività di formazione/educazione permanente da più di 5 anni e il 51,9% da più di 10 anni.

All’interno del Terzo Settore, naturalmente, le Università per Adulti risultano essere le strutture che prioritariamente sono impegnate in attività educative28. A conferma dell’impegno di questo gruppo di soggetti nella formazione/educazione permanente, la totalità dei rispondenti dichiara di svolgere tale tipo d’attività. È significativo notare però che, nonostante l’evidente impegno educativo, la maggior parte delle Università (59,3%) ritiene di svolgere una funzione culturale e solo il 35,2% individua come attività prevalente quella formativa-educativa.

Per quanto riguarda la tipologia di offerta formativa, dall’indagine ISFOL emerge che le attività corsuali di tipo tradizionale risultano essere tra le più diffuse, con un peso pari all’89,3% del totale delle strutture. Decisamente poche le attivazioni di corsi di formazione a distanza (2,0%). Alcune attività sembrano configurarsi più come offerta culturale che educativo/formativa: incontri con gli esperti (33,7%), visite guidate (39,8%), iniziative più estemporanee (teatri, mostre, concerti per il 26,0%), realizzazione e/o partecipazione a convegni e seminari (rispettivamente 13,3% e 14,3% delle sedi).

Un impegno significativo è rivolto al soddisfacimento delle esigenze di alfabetizzazione della popolazione, con particolare riferimento all’apprendimento delle lingue straniere: i corsi di lingua, che comprendono sia quelli di base sia quelli avanzati, rappresentano il 24,8% del totale e assorbono il 19,4% degli iscritti.

Per quanto riguarda l’utenza, l’indagine ISFOL risente delle difficoltà, prima indicate, legate alla scarsa disponibilità di dati da parte delle strutture. Infatti, il dato di 2.897 corsi attivati nel periodo 2001/2002, per un totale di almeno 44.532 utenti, è di fatto sottostimato poiché non sempre le strutture sono state in grado di fornire queste indicazioni.

Anche le informazioni inerenti le caratteristiche dell’utenza non sono completamente esaustive. Tuttavia, l’indagine ha evidenziato una maggiore attenzione proprio alla “terza età”: all’interno delle Università per Adulti risultano essere presenti, in misura maggiore rispetto al complesso delle strutture formative censite, persone con più di 50 anni d’età, con una quota pari al 70% del totale, contro una media del 12,1% della stessa fascia di età che frequenta altre strutture che erogano servizi di educazione non formale. Questo dato incide ovviamente anche sulla distribuzione degli iscritti per condizione occupazionale, poiché è possibile riscontrare una quota di non occupati pari all’82,3%.

Un ulteriore dato interessante è la presenza di stranieri (4,9%), leggermente superiore alla media degli stranieri che frequentano corsi FSE riconducibili alla misura "formazione permanente” (3,1%).

Infine, è significativo che nell’indagine ISFOL sia stato evidenziato come alcune Regioni, oltre a legiferare in materia di educazione permanente, abbiano anche sentito l’esigenza di regolamentare proprio le attività delle Università per Adulti (Tab. 2.2).

26 Il 34,5% delle strutture “principali” dichiara di essere dislocata presso una sede temporanea. 27 Il 79,6% del budget medio è costituito dalle quote versate dai soci/utenti, mentre un peso percentuale molto inferiore è attribuito ai contributi da parte di Regioni (9,6% in media) e Comuni (3%) e una quota pari al 3,9% delle strutture ha dichiarato di fare ricorso a fondi propri della struttura. 28 In quest’area le attività prevalenti riguardano interventi di carattere socio-assistenziale, di tutela e promozione dei diritti e di tipo sanitario.

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Tabella 2.2

LEGGI REGIONALI SULLE UNIVERSITÀ POPOLARI, DELLA TERZA ETÀ E SULL’EDUCAZIONE PERMANENTE Regioni Leggi Bolzano-Alto Adige Legge Provinciale 7 novembre 1983, n. 41 sull’educazione permanente e il sistema delle biblioteche pubbliche Friuli Venezia Giulia Legge Regionale 11 dicembre 1989, n. 1. Interventi a sostegno delle attività delle Università della Terza Età in Friuli Venezia

Giulia Emilia Romagna Legge Regionale 5 maggio 1990, n. 42. Norme per la promozione dell’attività delle Università della Terza Età Marche Legge Regionale 29 luglio 1991, n. 93. Interventi per la promozione delle Università della Terza Età nelle Marche Umbria Legge Regionale 9 agosto 1991, n. 22. Norme per la promozione e lo sviluppo delle Università della Terza Età e dei Centri

Sociali e culturali per anziani in Umbria Sardegna Legge Regionale 22 giugno 1992, n. 12. Interventi a sostegno delle attività delle Università della Terza Età in Sardegna Prov. Autonoma di Bolzano Legge Provinciale 20 aprile 1993, n. 9 modifiche alla Legge provinciale 07.11.1983, n. 41: “Per la disciplina dell’educazione

permanente e del sistema di biblioteche pubbliche” Valle d’Aosta Legge Regionale 26 maggio 1993, n. 52. Autorizzazione di spesa per l’anno 1993 (…) per il funzionamento della cooperativa

culturale regionale “Università valdostana della Terza Età” Lazio Legge Regionale del 20 settembre 1993, n. 53. Università della Terza Età Veneto Legge Regionale del 30 marzo 1995, n. 17. Interventi a favore delle attività svolte dalle Università Popolari e della Terza Età Abruzzo Legge Regionale 8 maggio 1995, n. 96. Norme in materia di educazione permanente corsi di orientamento musicale.

Legge Regionale dell’11 settembre 1996, n. 86. Interventi a sostegno delle attività svolte dalle Università Popolari e della Terza Età

Piemonte Legge Regionale del 7 agosto 1997, n. 47 (e successiva modifica 59/97). Interventi a sostegno delle attività svolte dalle Università Popolari e della Terza Età o comunque denominate

Basilicata Legge Regionale del 17 agosto 1998, n. 26. Norme per la promozione ed il sostegno dell’attività delle Università della Terza Età

Liguria Legge Regionale del 24 luglio 2001, n. 22. Norme per la valorizzazione del tempo libero e dell’educazione permanente degli adulti

Fonte: indagine Censis, 2002

Questa attenzione sottolinea come alcune Regioni riconoscano il rilievo delle Università nella

promozione della diffusione della cultura nella sua più ampia accezione e dell’inserimento delle persone anziane nella vita socio-culturale della comunità di appartenenza. Alcune Regioni individuano le Università in istituzioni culturali, società cooperative e ogni altra associazione o ente senza fini di lucro, mentre altre condizionano il loro riconoscimento alla costituzione legale o all’adesione alle Associazioni nazionali delle Università Popolari e della Terza Età. Oltre alle Regioni, anche le Province e i Comuni, alla luce della legge n. 142/90 e degli Statuti comunali, sono deputati alla promozione e allo sviluppo delle Università Popolari e della Terza Età.

Nella Regione Toscana, come si avrà modo di approfondire nella seconda parte di questo rapporto, si evidenzia la presenza consistente di diverse tipologie di Università per Adulti variamente denominate: Università della Terza Età, dell’Età Libera, delle Tre Età, del Tempo Libero.

Si tratta di strutture del Terzo Settore (secondo la classificazione ISFOL precedentemente citata) che, al di là della diversa terminologia, hanno in comune l’obiettivo di promuovere attività nell’ambito dell’educazione non formale. Possono differenziarsi al loro interno per alcuni orientamenti specifici, per la tipologia di offerta formativa, per l’utenza, per la didattica adottata e, a seconda degli orientamenti, spesso si aggregano in organismi di rappresentanza intermedia.

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3. LE UNIVERSITÀ PER ADULTI IN TOSCANA 3.1 L’impostazione della ricerca: obiettivi, metodologia e strumenti L’obiettivo dell’indagine è quello di effettuare una mappatura delle Università per Adulti attualmente esistenti su tutto il territorio regionale, al fine di analizzare un’offerta molto variegata e che coinvolge un universo assai ampio, sicuramente importante e poco valorizzato.

La ricerca, pertanto, è finalizzata a fornire un quadro generale, in merito agli obiettivi, alle risorse e alle attività realizzate dalle suddette Università e a offrire un supporto utile al decisore pubblico per prendere consapevolezza di eventuali problemi, per migliorare gli interventi e per ideare nuove proposte.

Le risposte fornite sono state complessivamente esaustive, ad eccezione della richiesta sulla natura giuridica dell’ente, alla quale sono state date risposte approssimative e incomplete, tanto da non rendere possibile l’elaborazione dei dati raccolti. È stato, pertanto, possibile delineare il quadro complessivo del mondo delle Università per Adulti, cogliendone gli elementi caratterizzanti, anche se nel corso della rilevazione si sono incontrate alcune difficoltà per ottenere la restituzione dei dati e per la mancanza di informazioni disponibili nelle stesse Università.

L’indagine diretta si basa sulla somministrazione di un questionario strutturato (in allegato al rapporto), inviato a tutte le Università per posta elettronica e restituito o tramite posta elettronica o tramite intervista telefonica.

Il questionario è suddiviso in cinque sezioni principali: - una prima sezione di carattere identificativo volta a raccogliere i dati generali dell’ente

contattato: denominazione, ragione sociale, indirizzo, recapito di un referente per eventuali chiarimenti, tipologia dell’organizzazione, attività prevalenti;

- una seconda sezione finalizzata alla raccolta di informazioni sulla tipologia di offerta promossa dagli organismi: finalità perseguite, numero delle attività svolte e degli iscritti e loro evoluzione negli anni dal 2000 al 2008, fonti di finanziamento, eventuali soggetti partner, titoli rilasciati al termine dei corsi;

- una terza sezione volta a indagare il profilo dei partecipanti e le loro caratteristiche socio-demografiche;

- una quarta sezione riferita ai docenti impegnati nell’erogazione dell’offerta formativa; - una quinta sezione dedicata alla rilevazione dei bisogni che avvertono le Università per Adulti

per rispondere nel modo più efficace alle domande formative degli utenti. In una prima fase, per arrivare a una mappatura completa delle Università del “non formale”

presenti sul territorio regionale, è stata inviata una lettera a tutti i Comuni, con richiesta di fornire indicazioni sulle strutture esistenti nel loro territorio. La lettera è stata inviata utilizzando una mailing list dei 287 Comuni della Regione Toscana. Il 90% dei Comuni ha fornito le informazioni richieste29.

Sulla base delle indicazioni fornite dagli enti locali e da una parallela analisi delle banche dati tematiche on-line offerte dalle principali associazioni a cui aderiscono le Università per Adulti (UniTre, Cnupi, Auser-Auptel) sono state individuate 53 Università. È stata dunque costruita una seconda mailing list ed è stato predisposto un invio a tutte le Università censite.

La raccolta dei questionari non sempre si è rivelata agevole: in alcuni casi è stato necessario sollecitarne più volte la restituzione e in altri procedere alla compilazione per via telefonica.

29 È da segnalare che in alcuni casi il Comune ha inviato i dati relativi all’offerta complessiva di Educazione degli Adulti presente nel proprio territorio.

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3.2 I risultati dell’indagine • Le Università coinvolte Sono state raccolte 46 schede su 53 inviate.

Ciascuna Università è stata contraddistinta da un codice identificativo (per ordine di arrivo), utilizzato come riferimento nella fase di elaborazione dati.

Le Università che hanno risposto sono30: 1. Università Età Libera, Firenze 2. Università del Tempo Libero, Portoferraio (LI) 3. Università Età Libera, Scandicci (FI) 4. Università della Terza Età, Terontola-Cortona (AR) 5. Università Età Libera, Lucca 6. Università delle Tre Età, Castiglion Fiorentino (AR) 7. Università Popolare Senese, Siena 8. Università della Terza Età, Ponsacco (PI) 9. Università della Terza Età, Bagni di Lucca (LU) 10. Università della Terza Età, Castiglion della Pescaia (GR) 11. Università dell’Età Libera, Follonica (GR) 12. Università delle Tre Età, Grosseto 13. Università della Terza Età, Orbetello (GR) 14. Università della Terza Età, Pomarance (PI) 15. Università Popolare, Arezzo 16. Università delle Tre Età, Val di Cornia (LI) 17. Università della Libera Età, Cascina (PI) 18. Università dell’Età Libera, Foiano della Chiana (AR) 19. Università della Terza Età, Pontedera (PI) 20. Università dell’Età Libera, Sesto Fiorentino (FI) 21. Università dell’Età Libera, Val d’Elsa (SI) 22. Università del Tempo Libero, San Miniato (PI) 23. Università dell’Età Libera, Santa Croce sull’Arno (PI) 24. Università dell’Età Libera, Borgo San Lorenzo (FI) 25. Unitre, Castagneto Carducci (LI) 26. Università della Terza Età, Marina di Massa (MS) 27. Università delle Tre Età, Porto Azzurro (LI) 28. Università delle Tre Età, Rosignano Marittimo (LI) 29. Università delle Tre Età, Volterra (PI) 30. Università del Tempo Libero, Massa Carrara 31. Università libera della Val d’Orcia e Val di Chiana, Chianciano Terme (SI) 32. Università della Libera Età, Volterra (PI) 33. Università della Terza Età, Cecina (LI) 34. Università dell’Età Libera, Arezzo 35. Università dell’Età Libera, Poggibonsi (SI) 36. Università del Tempo Libero, Pistoia 37. Università della Terza Età, Viareggio (LU) 38. Università Popolare, Rosignano Marittimo (LI) 39. Università delle Tre Età, Piombino (LI) 40. Università della Terza Età, Pontremoli-Lunigiana (MS) 41. Università dell’Età Libera, Pontassieve (FI) 42. Università delle Tre Età, Camaiore (LU) 43. Università del Tempo Libero, Prato 44. Università della Libera Età, San Gimignano (SI) 45. Università Popolare, San Giovanni Valdarno (AR) 46. Università Popolare, Empoli (FI) 30 La n. 45 e 46 non sono state incluse nell’indagine, poiché hanno dichiarato che attualmente sono inattive.

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Le Università sono presenti in tutte le province toscane. La distribuzione appare non del tutto omogenea (Graf. 3.1): vi sono tre Province in cui la presenza è maggiore con nove strutture presenti (Firenze, Livorno, Pisa) e, considerate le diverse dimensioni di ciascuna, Livorno e Pisa appaiono sicuramente come le aree più dinamiche e con una concentrazione di Università molto elevata. Seguono Arezzo, Lucca e Siena con cinque Università ciascuna, mentre le Province di Pistoia e Massa Carrara appaiono dalla rilevazione quelle con la minor presenza di Università dell’Età Libera.

Grafico 3.1 DISTRIBUZIONE PER PROVINCIA DELLE 53 UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ PRESENTI IN TOSCANA

Valori %

0

2

4

6

8

10

Arezzo Firenze Grosseto Livorno Lucca MassaCarrara

Pisa Pistoia Siena

• La continuità temporale Appare interessante notare che molte Università (51,2%) sono presenti nel territorio da oltre dieci anni e che alcune hanno iniziato la loro attività da oltre venti anni (24,4%) (Tab. 3.2).

Questo dato è significativo per comprendere il potenziale valore espresso da strutture la cui presenza è stabile e continua.

Tra quelle più recenti (17,1%), quindi ancora in fase sperimentale, compaiono l’Università delle Tre Età di Castiglion Fiorentino e dell’Età Libera di Scandicci, entrambe nate nel 2008, e quella delle Tre Età della Val di Cornia fondata del 2006, dati che dimostrano un’evoluzione continua nel tempo di queste strutture.

Solo tre non hanno fornito indicazioni in merito agli anni di attività.

Tabella 3.2

ANNI DI ATTIVITÀ DELLE UNIVERSITÀ Valori assoluti e valori %

Anni di attività Valori assoluti Valori % 1 - 10 7 17,110 - 20 21 51,220 - 30 10 24,4Oltre i 30 3 7,3TOTALE 41 100

Delle tre Università che hanno la tradizione più lunga (il 7,3% del totale), una risale addirittura a

oltre un secolo fa: si tratta dell’Università di Pontedera, fondata nel 1887. Le altre due sono nate alla fine delle due guerre mondiali, rispettivamente nel 1919 (Università Popolare Senese) e nel 1945 (Università Popolare di Rosignano Marittimo)31. Questo dato è una conferma della più antica tradizione delle Università Popolari rispetto alle Università della Terza Età. 31 L’Università Popolare di Rosignano Marittimo è nata grazie all’impegno dell’azienda Solvay, che nell’immediato dopoguerra si è occupata di costruire diverse strutture e opere pubbliche (chiese, biblioteche, teatri), promuovendo, fra le altre cose, anche attività culturali tese a rendere attrattivo il territorio, per non rischiare che i cittadini abbandonassero la comunità alla ricerca di una sistemazione migliore altrove.

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• Obiettivi delle Università I dati raccolti dimostrano che le Università hanno un ruolo chiave nella promozione dell’educazione permanente e che le strutture si adoperano per garantire un’offerta formativa rispondente il più possibile alle esigenze dei cittadini. Nella tabella seguente (Tab. 3.3) sono stati raggruppati i principali obiettivi dichiarati e il valore assoluto indica il numero di organismi che hanno fornito l’indicazione.

Tabella 3.3 PRINCIPALI OBIETTIVI DELLE UNIVERSITÀ

Valori assoluti e valori %

Obiettivi Valori assoluti Valori % Potenziare l’intera rete territoriale che si occupa di Educazione degli Adulti 2 1,6 Premio letterario per detenuti 2 1,6 Occasioni di formazione mirate a soddisfare interessi ed esigenze degli utenti nell’ottica dell’apprendimento permanente 13 10,3 Divenire centro di studio aperto alle problematiche sociale, alla ricerca, alla prevenzione 16 12,7 Sviluppo civile e miglioramento della qualità di vita 17 13,5 Scambio culturale e confronto tra generazioni 22 17,5 Servizi alla persona: informare, educare e formare attraverso corsi 23 18,2 Promozione culturale e sociale contrastando il fenomeno dell’emarginazione e favorendo l’inclusione sociale 31 24,6 TOTALE 126 100,0

Nel leggere i dati è opportuno fare una considerazione preliminare, in quanto occorre ricordare che

le Università aderenti ad UNITRE hanno tutte lo stesso statuto, per cui gli obiettivi dichiarati sono gli stessi per ognuna32.

Detto questo, come evidenzia la tabella, la maggioranza delle Università (31) ha sottolineato che uno degli obiettivi maggiormente perseguiti riguarda la promozione culturale e sociale: questo significa che la partecipazione a momenti formativi che avvicinano o riavvicinano le persone alla cultura diviene uno strumento utile e allo stesso tempo un valido antidoto alla problematica dell’emarginazione sociale, che sempre più spesso sembra caratterizzare numerose fasce della popolazione.

In linea con quanto espresso nel primo obiettivo, emerge come un’altra priorità la promozione dello scambio culturale e il confronto tra generazioni, per cui le varie Università ritengono fondamentale allargare il proprio bacino d’utenza e aprire nuove possibilità di dialogo e scambio di conoscenze ed esperienze tra gli attori che vi partecipano (si ricorda che molte Università negli ultimi anni hanno cambiato la loro denominazione aprendo le proprie iniziative addirittura ai giovani dai 15 anni in su).

Un altro obiettivo perseguito da 23 Enti sembra essere quello, in un certo senso più tradizionale, di offrire servizi alla persona includendo attività che cercano contemporaneamente di formare, informare ed educare il cittadino.

Ben 13 Università sottolineano l’importanza dell’offerta formativa in quanto tesa a soddisfare le esigenze dell’utenza. Questa affermazione è molto importante perché le attività sono costitute in base ai bisogni delle persone, favorendo reali occasioni di apprendimento permanente.

È anche abbastanza elevata la quota di coloro che evidenziano la necessità di intendere i percorsi formativi come validi strumenti per poter progredire nell’ottica dello sviluppo civile, sostenendo il miglioramento della qualità della vita, il benessere individuale e sociale, il valore della solidarietà e della reciprocità. Ragion per cui ben 16 Università avvertono il bisogno di non essere classificate solamente come luoghi deputati all’erogazione di corsi educativi, ma si propongono anche come centri di studio, di orientamento, di ricerca (in demografica, statistica, socioetnica) e prevenzione del disagio sociale, utili ad affrontare le problematiche dell’età adulta e della terza età. Un esempio è costituito

32 Di seguito riportiamo in modo puntuale gli obiettivi dichiarati nello statuto, che nella tabella riepilogativa sono stati poi accorpati: - favorire la promozione sociale e culturale nell’ottica dell’educazione permanente e della partecipazione attiva; - educare, informare, formare; - attività indirizzata al confronto generazionale; - accademia di umanità e cultura; - aprirsi al sociale, alla ricerca, alla prevenzione. In: www.unitre.net

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dall’Università Popolare di Arezzo che lavora per favorire il sostegno e l’organizzazione di servizi e risorse professionali con competenze giuridiche, sociali, psicologiche e di mediazione al fine di risolvere eventuali problemi familiari.

Infine tra gli obiettivi emersi ne risultano due più specifici. Uno pone l’accento sulla necessità di coinvolgere nell’offerta formativa tutte le agenzie del

territorio (associazioni, enti, ecc.) che perseguono gli stessi scopi dell’Università, con l’intento di creare a livello locale un solido network: è questo sicuramente (come si vedrà) un obiettivo importante e stranamente è indicato solo in due casi. Un dato che appare tuttavia in contrasto con la risposta fornita alla domanda con la quale si sono rilevati i bisogni delle Università, attraverso la quale una percentuale molto alta esprime proprio un’esigenza di coordinamento.

Il secondo è messo in evidenza dalle due Università che si trovano all’interno delle carceri (Volterra e Porto Azzurro) e che, oltre ad avere una forte vocazione per la promozione dell’educazione per la cittadinanza e dell’inclusione sociale, offrono l’opportunità ai detenuti di partecipare a un premio letterario riconosciuto a livello nazionale.

A conclusione si ritiene utile segnalare anche alcuni obiettivi di cui si fa promotrice l’Università Popolare di Arezzo, il cui statuto è risultato il più articolato e il più complesso e alcune delle finalità ivi enunciate sono prerogativa dell’Ente che si propone di: - predisporre un centro di documentazione a favore dei soci e un servizio di pubblica lettura; - occuparsi di editoria in forma diretta; - attivare un osservatorio per la salvaguardia dei beni culturali. • Organizzazione dell’offerta formativa La maggior parte delle Università (34,1%) propone un’offerta formativa inferiore o uguale ai 10 corsi, ma è alta anche la percentuale (24,4%) di quelle che arrivano fino a 20 (Tab. 3.4). Si tratta di corsi o attività laboratoriali che nella maggior parte dei casi hanno una durata di circa 20 ore, e che solo in alcuni casi arrivano fino a una durata compresa tra le 40 e le 50 ore.

Tabella 3.4

NUMERO DI CORSI ATTIVATI NELL’ANNO IN CORSO Valori assoluti e valori %

N. Corsi Valori assoluti Valori % 1 - 10 14 34,1 11 - 20 10 24,4 21 - 30 7 17,0 31 - 40 4 9,8 41 - 50 4 9,8 Oltre i 50 2 4,9 TOTALE 41 100,0

Quando, invece, l’offerta formativa risulta più ampia, il dato riguarda una serie di lezioni

monografiche di breve durata, di 10-12 ore. Tre Università (Università del Tempo Libero di Portoferraio, Università dell’Età Libera di Volterra,

Università della Terza Età di Pontremoli) non hanno risposto in quanto le loro iniziative non sono strutturate in corsi, ma si configurano piuttosto come cicli di conferenze o lezioni seminariali fruibili come singoli incontri o come “pacchetto” della durata di 10-12 ore complessive. In questo senso l’offerta sembra definibile in termini di attività culturale piuttosto che educativa.

Solo in sei casi non è stata fornita alcuna risposta senza motivazione. • Evoluzione dei corsi attivati È possibile notare dalla tabella 3.5 che dal 2000 al 2008 si è verificata una tendenza all’incremento dei corsi molto elevata: da 588 a 927, con una variazione percentuale del 36,6%.

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Tabella 3.5

EVOLUZIONE DEL NUMERO DEI CORSI Valori assoluti e variazioni %

Anno 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Totale Corsi 588 568 657 660 675 702 696 729 927 Variazioni % - -3,5 + 13,5 + 0,4 + 2,2 + 3,8 -0,9 + 4,5 + 21,3

Variazione 2000-2008: + 36,6%

Nell’interpretare il dato è da tenere in considerazione, tuttavia, che alcune Università non sono state

in grado di fornire i dati per tutte le annualità considerate. In alcuni casi sono stati forniti solo i dati del primo e dell’ultimo anno. Per le Università più giovani il dato è stato fornito solo a partire dalla data di attivazione. Due sono nate proprio nel 2008 con un totale di 28 corsi attivati.

Analizzando l’evoluzione dei corsi per le singole Università, quelle che hanno registrato il maggior incremento negli anni sono l’Università dell’Età Libera di Follonica, con 20 corsi in più, e quella di Borgo San Lorenzo, con 29 corsi, mentre vi è stato un decremento lieve dal 2002 al 2008 dei corsi all’Università dell’Età Libera di Firenze e all’Università Popolare Senese.

Infine, un’alta percentuale (il 33,3%) è rappresentata da coloro che non hanno variato la quantità di corsi. • Le iscrizioni nell’anno 2008/2009 La tabella 3.6 mostra come quasi la metà (il 42,9%) delle Università conti fino a 100 iscritti ai propri corsi, mentre un’altra parte sempre consistente (il 26,2%) arrivi ai 200 iscritti. La percentuale delle Università decresce significativamente quando si toccano le 400 iscrizioni.

Tuttavia, non si tratta di un andamento lineare poiché i partecipanti tendono nuovamente ad aumentare nella fascia oltre i 500, arrivando al 9,5%. Le quattro Università che hanno un così alto numero di iscritti sono l’Università Età Libera di Firenze, l’Università Popolare di Siena, l’Unitre di Castagneto Carducci e l’Università del Tempo Libero di Pistoia.

Interessante è il divario emerso tra il numero massimo e il numero minimo di iscritti registrato tra le Università: l’estremo superiore è rappresentato dall’Università dell’Età libera di Firenze che conta ben 2.525 iscritti per l’anno 2008/2009, mentre l’Università Popolare di Arezzo registra il numero minore e nello stesso anno raggiunge le 19 iscrizioni. Questo dato è probabilmente legato anche alla specificità dell’offerta formativa erogata dall’Università per l’anno accademico 2008/09, caratterizzata da corsi di formazione professionali biennali o triennali.

Due Università non hanno fornito risposta.

Tabella 3.6

NUMERO DI ISCRIZIONI NELL’ANNO IN CORSO Valori assoluti e valori %

N. Iscrizioni Valori assoluti Valori % 1 - 100 18 42,9 100 - 200 11 26,2 200 - 300 4 9,5 300 - 400 2 4,8 400 - 500 3 7,1 Oltre i 500 4 9,5 TOTALE 42 100

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• Evoluzione degli iscritti Per quanto riguarda l’andamento delle iscrizioni, i dati rilevano un’evoluzione complessiva degli iscritti dal 2000 al 2008 con un aumento di 3.309 unità (Tab. 3.7): un dato incoraggiante che evidenzia una partecipazione sempre crescente a questo tipo di attività.

Tabella 3.7

NUMERO DI ISCRITTI Valori assoluti

Anno 2000 2001 2002 2003 2004 20005 2006 2007 2008 Totale Iscrizioni 729 6.952 7.617 7.770 7.992 8.517 8.368 8.587 11.038

Anche in questo caso è da tener presente che nel 2008 l’apertura di due Università ha incrementato

il totale con nuovi 220 iscritti. Nell’interpretare il dato occorre tener presente, tuttavia, che alcune Università non sono state in grado di fornire i dati per tutte le annualità considerate e in alcuni casi sono stati forniti solo i dati del primo e dell’ultimo anno.

Nel leggere l’evoluzione, l’incremento massimo è stato raggiunto dall’Università di Borgo San Lorenzo con 212 iscrizioni in più.

Un dato incoraggiante è rappresentato dal “tasso di fidelizzazione”, ovvero dalla percentuale dei partecipanti dell’anno precedente che si iscrive nuovamente ai corsi, il cui valore si attesta al 76,9%. Possono aiutare a interpretare questi dati considerazioni legate all’età degli utenti e al calo demografico in corso, condizioni che esulano da una mancanza di interesse o dalla motivazione delle persone.

In quattro casi non sono stati forniti i dati.

• Modalità di svolgimento delle attività La domanda relativa alle attività svolte richiedeva alle Università di indicare il peso in percentuale delle diverse tipologie di attività erogate (Tab. 3.8).

Tabella 3.8

MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITÀ Valori %

Circoli di studio

Lezione in presenza

Lezioni a distanza

Convegni

Seminari

Visiteguidate

Altro TOTALE

Valori % 0,7 77,5 0,5 1,5 2,7 9,4 7,7 100,0

Le attività risultano in prevalenza realizzate attraverso lezioni frontali tenute in aula (77,5%) e in

quattro casi questo risulta l’unico modello utilizzato. Seguono, anche se in percentuale nettamente inferiore (9,4%), le visite guidate che sono svolte sia

durante l’anno accademico sia a conclusione dei corsi, come integrazione al percorso formativo svolto: visite ai musei, ai luoghi di culto, alle gallerie d’arte o gite di più giorni di carattere culturale/ricreativo organizzate dall’Università.

Il 7,7% ha risposto “Altro” indicando cicli di conferenze su temi predeterminati, mostre o cineforum. Questa presenza di attività più propriamente culturali conferma, peraltro, il dato già evidenziato nella ricerca nazionale ISFOL.

L’attività seminariale risulta adottata in 2 Università; seguono i convegni organizzati in collaborazione con altri enti e associazioni e che vedono la partecipazione di esperti.

Come si nota, infine, vi è un valore piuttosto basso per i Circoli di studio (0,7%) e per la formazione a distanza (0,5%). Questo dato, nel caso dei Circoli di Studio, avrebbe bisogno di essere ulteriormente contestualizzato. Si può supporre, tuttavia, che, poiché solo una percentuale bassissima dichiara di avvalersi dei fondi FSE, è possibile che negli ultimi anni non abbiano potuto

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sperimentare il modello, che comunque attiene a un approccio formativo diverso da quello delle Università per Adulti.

Solo in pochi casi le Università rispondenti hanno un approccio stabile e costante con filiere formative alternative, che tuttavia si presenterebbero innovative e capaci di raggiungere target molto ampi di utenti.

In due casi non sono state fornite risposte. • Distribuzione dei corsi per aree tematiche Il quadro che emerge rispetto alle aree tematiche appare molto variegato: la situazione evidenzia l’impegno delle strutture nell’offrire una vasta gamma di corsi caratterizzanti aree d’indirizzo diverse per venire incontro alle esigenze dei partecipanti (Tab. 3.9).

Tabella 3.9

DISTRIBUZIONE DEI CORSI PER AREE TEMATICHE Valori assoluti e valori %

Aree d’indirizzo Valori assoluti Valori % Area Scientifica 16 6,6 Area Biomedica 20 8,3 Area Studi Sociali 22 9,1 Area Artistica 35 14,4 Area Linguistica 41 16,9 Area Storico/Geografica 50 20,7 Area Umanistica 58 24,0 TOTALE 242 100,0

Le due aree che prevalgono sono quelle “più tradizionali”: umanistica (24%) e storico/geografica

(20,7%). Per la prima area tematica prevalgono con il 41,4% i corsi incentrati sulla letteratura italiana, mentre per la seconda è da sottolineare la presenza di corsi che privilegiano la storia, la geografia e la cultura locale del territorio in cui vive la comunità, per un valore complessivo molto alto (45,7%).

Segue l’area linguistica33 con il 16,9%, con l’insegnamento della lingua inglese (43,9%) come lingua principale, e l’area artistica (14,4%) rivolta quest’ultima in particolare alla storia dell’arte (45,7%).

Le aree più innovative, quella biomedica e quella degli studi sociali, anche se in percentuale minore (8,3% e 9,1%), hanno comunque un peso significativo nel segmento osservato, con lezioni che toccano tematiche e problematiche attuali e di interesse sociale.

Nelle attività laboratoriali emerge l’area artistica con il 29,8% per le discipline grafiche e pittoriche (pittura, modellato, decoupage, ecc.) e con il 36,9% per quelle dello spettacolo (musica e teatro) (Tab. 3.10). Considerevoli sono poi i laboratori d’informatica, svolti in strutture dotate di computer per le esercitazioni.

Tabella 3.10

I LABORATORI REALIZZATI Valori assoluti e valori %

Laboratori Valori assoluti Valori % Arte floreale 2 3,5 Arte culinaria 6 10,5 Informatica 11 19,3 Discipline grafiche/pittoriche/arti minori 17 29,8 Discipline dello spettacolo 21 36,9 TOTALE 57 100,0

33 Nei corsi di lingua sono compresi sia i corsi di livello base per principianti sia quelli di livello intermedio e avanzato.

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• Fonti di finanziamento Dalla tabella 3.11 è possibile vedere che il canale principale di finanziamento, con una percentuale pari al 72,2%, è rappresentato dalle sottoscrizioni degli utenti. Per il 26,2% delle Università questa rappresenta l’unica fonte di finanziamento.

Tabella 3.11

LE FONTI DI FINANZIAMENTO Valori %

Comune Sottoscrizioni Enti Privati Enti pubblici FSE TOTALE Valori % 17,8 72,2 5,5 4,4 0,1 100,0

È poi con il contributo dei Comuni che il 17,8% degli organismi riesce a svolgere le proprie

attività: di queste risorse il 19,2% è rappresentato da stanziamenti significativi che superano o raggiungono la metà dei finanziamenti totali e dove il ruolo del Comune diviene decisivo, mentre i restanti riguardano sostentamenti alle spese e piccole sovvenzioni.

Gli altri Enti pubblici e quelli privati intervengono in percentuale molto simile, pari rispettivamente al 4,4% e al 5,5%.

Tra gli enti pubblici è stata rilevata una partecipazione importante delle Province di Pisa e Livorno e della Regione Toscana, i cui finanziamenti si dimostrano in due casi34 pari a una media del 45,5%. Tra gli enti privati si evidenziano prevalentemente le erogazioni delle banche e le donazioni derivanti da Fondazioni.

Pare invece che solo una Università usufruisca dei finanziamenti del Fondo Sociale Europeo per gli interventi promossi.

In due casi non sono state date risposte.

• Costi di iscrizione Per quanto riguarda le quote pagate dai partecipanti, la tabella 3.12 mostra un quadro molto variegato.

Tabella 3.12

IMPORTO DELLE ISCRIZIONI Valori assoluti e valori %

Euro 5 - 10 10 - 20 20 - 30 30 - 40 40 - 50 Oltre 50 TOTALE Valori assoluti 5 8 7 8 9 13 50Valori % 10,0 16,0 14,0 16,0 18,0 26,0 100,0

Nel leggere la situazione occorre tener presente la scelta di alcune Università di variare l’iscrizione

in base alle seguenti caratteristiche: 1. tipo di materie trattate (il 15,8% prevede un supplemento per le lingue e per l’informatica da € 10 a

€ 25); 2. tipologia di utenza (il 5,2% applica agli studenti fino ai 25 anni una quota ridotta del 40%); 3. servizi inclusi nell’iscrizione (per esempio se è messo a disposizione il materiale necessario per i

laboratori oppure include visite guidate). A prevalere sono le Università dove è prevista un’iscrizione di importo superiore a € 50 (26%) o

compreso tra la fascia € 40-50. La diffusione di corsi a pagamento evidenzia la necessità delle Università di autofinanziarsi e, come mostrato nella tabella 3.11, che le sottoscrizioni sono la principale fonte di finanziamento.

Il costo massimo è rappresentato dal corso Triennale di Naturopatia promosso dall’Università Popolare di Arezzo, per cui è prevista un’iscrizione complessiva di € 2.000. Tale importo è giustificato 34 La provincia di Livorno per l’UNITRE di Porto Azzurro e quella di Pisa insieme alla Regione Toscana per l’UNITRE di Volterra stanziano una somma importante in quanto le Università hanno sede nei carceri e prevedono attività particolari rivolte ai detenuti.

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dalla tipologia di corso: al termine del corso triennale oltre all’attestato di merito con il certificato delle materie e degli esami sostenuti, è rilasciato ai partecipanti il titolo di Naturologo che permette l'iscrizione al Sindacato di categoria per la tutela e lo svolgimento dell'attività professionale

Nel caso delle Università delle Tre Età di Porto Azzurro e di Volterra la frequenza ai corsi risulta gratuita per i detenuti.

• Profilo dei partecipanti Per l’a.a. 2008/2009 su un totale di 11.038 partecipanti alle attività promosse il 70,4% è costituito da donne (Graf. 3.13). Non è semplice interpretare questo dato: si può supporre una maggiore disponibilità e consapevolezza, ma anche un maggiore bisogno di occasioni di socializzazione che trova risposte anche nella partecipazione a esperienze di apprendimento di questo tipo. Un’eccezione è naturalmente rappresentata dalle Università di Porto Azzurro e Volterra poiché collegate a carceri con detenuti di solo sesso maschile.

Chi partecipa ha solitamente oltre 60 anni (41,6%) e fra questi il 12,5% appartiene alla fascia di età compresa tra i 70 e i 75 anni (Graf. 3.14). Una larga parte (28,6%) è poi rappresentata da coloro che hanno dai 50 ai 60 anni, mentre il dato decresce progressivamente per le fasce d’età più giovani. Per il segmento 20-40 l’età media si attesta intorno ai 35 anni e la partecipazione di giovani e adulti è solitamente legata a specifici corsi, come quelli di lingue e informatica. Non sono pervenuti dati relativi alla presenza di minori di 20 anni.

Grafico 3.13

DISTRIBUZIONE PER GENERE DEI PARTECIPANTI. A.A. 2008/09

Donne %70%

Uomini %30%

Grafico 3.14

DISTRIBUZIONE PER ETÀ DEI PARTECIPANTI. A.A. 2008/09

51 - 6029%

Oltre i 60 42%

41 - 5019%

20 - 4010%

• Titolo di studio posseduto dai partecipanti La maggioranza degli utenti presenta un titolo di studio medio-alto: nel complesso una buona percentuale (30,8%) ha concluso gli studi secondari di I grado e il 28,2% è in possesso del diploma di maturità; da evidenziare poi la presenza significativa di laureati (15,4%) (Tab. 3.15). Relativamente bassa, invece, appare la percentuale di coloro che hanno ottenuto solo la licenza elementare: se si

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considera la fascia d’età prevalente degli iscritti è possibile notare che le persone anziane che partecipano hanno per lo più un buon livello di scolarizzazione e una buona preparazione culturale.

Tabella 3.15

TITOLO DI STUDIO POSSEDUTO DAI PARTECIPANTI Valori %

Senza titolo Licenza

elementareLicenza

media Diploma Laurea N.d. TOTALE

Valori % 2,5 12,8 30,8 28,2 15,4 10,3 100,0

• Stato occupazionale dei partecipanti Poiché la maggior parte dei partecipanti ha più di 50 anni, più della metà (53,6%) è un pensionato/a proveniente da precedenti impieghi sia pubblici che privati, mentre solo il 14,5% è attualmente occupato (Tab. 3.16).

Tabella 3.16

CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI PARTECIPANTI Valori %

Occupati Disoccupati Casalinghe Pensionati Inoccupati N.d. TOTALE Valori % 14,5 8,7 13,0 53,6 2,9 7,3 100,0

È considerevole anche la presenza di casalinghe (13%), mentre i valori diminuiscono

significativamente per i disoccupati. Gli inoccupati (2,9%) sono gli allievi detenuti delle due Università in precedenza citate. • Rapporti con gli altri organismi territoriali Un importante obiettivo dell’indagine è stato rilevare il ruolo del Comune, e in generale degli enti locali, nell’ambito delle attività dell’Università della Terza Età, oltre a una loro eventuale partecipazione finanziaria per il mantenimento delle strutture (Tab. 3.17).

Tabella 3.17 TIPOLOGIA DI RAPPORTO CON L’ENTE LOCALE

Valori assoluti e valori %

Nessuno Offre le sedi Programma Gestisce TOTALE Valori assoluti 12 25 9 7 53Valori % 22,6 47,2 17,0 13,2 100,0

Come si nota, il 22,6% del campione indagato ha risposto che l’Ente comunale non interviene con

nessuna delle modalità previste, mentre quasi la metà (47,2%) evidenzia che l’Ente comunale mette a disposizione le proprie sedi gratuitamente (in particolare biblioteche) da utilizzare per svolgere i corsi.

Alcuni Comuni risultano, invece, collaborare attivamente alla fase di programmazione e scelta dei percorsi formativi, precisamente il 17%, mentre il restante 13,2% si occupa della gestione amministrando le attività, ma anche monitorando e pubblicizzando gli interventi realizzati.

L’11,3% dei Comuni che offrono il loro contributo è impegnato contemporaneamente in più di uno dei tre ruoli indicati.

Il Comune è l’istituzione che prevale nettamente tra i soggetti proprietari delle sedi in cui si svolgono i corsi (60,4%), mentre il 20,7% delle sedi è di proprietà di enti privati, quali associazioni locali, cooperative, associazioni di categoria o enti ecclesiastici. Seguono i locali appartenenti alle

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Scuole Secondarie di I e di II grado (10,3%) e quelle di proprietà di altri Enti pubblici (8,6%), di cui il 60% della Provincia e il 40% delle ASL (Tab. 3.18).

Tabella 3.18 PROPRIETÀ DELLE SEDI DI SVOLGIMENTO DEI CORSI

Valori assoluti e valori %

Comune Enti privati Istituti scolastici Altri Enti pubblici TOTALE Valori assoluti 35 12 6 5 58Valori % 60,4 20,7 10,3 8,6 100,0

Il 79,1% del campione indagato ha risposto di avere in concessione gratuita i locali, mentre una

piccola parte (9%) dichiara di pagare solo una quota del costo totale della sede. Oltre al Comune, le Università promuovono collaborazioni con altri soggetti territoriali, volendo,

come espresso anche dalle stesse, impegnarsi nella creazione e nel rafforzamento di una solida rete formativa che veda partecipare attivamente le diverse realtà locali.

I soggetti con cui collaborano maggiormente sono le associazioni di promozione sociale e culturale (32,1%) del territorio con le quali le Università organizzano spesso iniziative ed eventi di carattere socio-culturale (Tab. 3.19).

Tabella 3.19 ORGANISMI CON CUI LE UNIVERSITÀ COOPERANO IN FORMA STABILE

Valori assoluti e valori %

Nessuno Università Istituti superiori Associazioni locali Associate CTP ASL TOTALE Valori assoluti 13 4 4 17 11 1 3 53 Valori % 24,4 7,6 7,6 32,1 20,7 1,9 5,7 100,0

Considerevole è anche la percentuale di strutture che contano sull’appoggio degli organismi

associativi (20,7%) e questi ultimi, nel 27,3% dei casi, offrono il loro supporto anche per compiti gestionali e di pianificazione delle attività didattiche, oltre che essere considerati canali privilegiati per la creazione di azioni congiunte e coordinate tra le varie associate (72,7%).

Il 7,6% coopera con Istituzioni Universitarie e Istituti Scolastici Superiori, coinvolti talvolta non solo nell’organizzazione delle attività, ma anche nella gestione dell’Ente. Tra le Università degli Studi più coinvolte nelle esperienze promosse, emergono quella di Siena (8,2%) e di Pisa (10,2%).

Infine, è stata rilevata la partecipazione dell’ASL (5,7%), la quale sostiene principalmente percorsi di educazione alla salute e in un caso la collaborazione del CTP35.

Il 24,4% ha affermato di avere solo rapporti di tipo occasionale e non stabili nel tempo.

• Provenienza lavorativa dei docenti Su un totale di 1.032 docenti impegnati, la maggioranza è inserita nell’ambito scolastico o accademico: il 32,4% è costituto da insegnanti delle scuole medie di I e II grado e il 22,5% da docenti universitari. Una larga parte (19,7%) è anche formata da liberi professionisti con un’alta formazione, come medici o ingegneri, seguiti da esperti di materia (12,7%), figure dotate di competenze e conoscenze specifiche, più o meno attestate, nel settore di studio (Tab. 3.20).

Bisogna aggiungere, infine, che il 98% delle Università della Terza Età dichiara che i docenti coinvolti tengono lezioni o attività laboratoriali a titolo di volontariato, non percependo uno stipendio per la prestazione e solo in alcuni casi un rimborso per le spese di viaggio.

35 Sono i Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione e la formazione in età adulta.

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Tabella 3.20

PROVENIENZA LAVORATIVA DEI DOCENTI Valori assoluti e valori %

Docenti

universitari Insegnanti Pensionati Liberi

professionisti Lavoratori enti

privatiEsperti di

materiaTOTALE

Valori assoluti 233 334 58 203 73 131 1.032Valori % 22,5 32,4 5,6 19,7 7,1 12,7 100,0

• Titoli rilasciati al termine delle attività Anche se quasi la metà delle Università, il 45,7%, non rilascia nessun tipo di attestato al termine delle attività, risulta che una parte altrettanto considerevole, il 37% rilascia ai propri partecipanti attestati di frequenza, sebbene non riconosciuti (Tab. 3.21).

Tabella 3.21

TITOLI RILASCIATI AL TERMINE DELLE ATTIVITÀ Valori assoluti e valori %

No Attestato di partecipazione

Attestato di profitto

Riconoscimento CFU

Diploma di qualifica

TOTALE

Valori assoluti 21 17 2 4 2 46 Valori % 45,7 37,0 4,3 8,7 4,3 100,0

L’8,7% degli Enti rilascia certificati validi per il riconoscimento e la capitalizzazione di crediti

formativi. In misura nettamente inferiore (4,3%) vengono conseguiti diplomi di qualifica, anche perché sono consentiti solo per le attività di educazione formale con esami finali al termine. • Modalità di rilevazione dei bisogni dell’utenza e delle strutture Per quanto riguarda le modalità di rilevazione dei bisogni dell’utenza (Tab. 3.22), trattandosi di realtà associative, appare evidente che la percentuale più alta riguarda gli incontri con i propri associati. Anche negli altri casi, pur utilizzando lo strumento del questionario, la rilevazione è prioritariamente rivolta all’interno.

Tabella 3.22

MODALITÀ DI RILEVAZIONE DEI BISOGNI DELL’UTENZA Valori assoluti e valori %

Incontri associati Questionario Espressione diretta Altro TOTALE Valori assoluti 20 12 14 3 49Valori % 40,8 24,5 28,6 6,1 100,0

Relativamente ai bisogni delle Università, significativo è il dato evidenziato secondo il quale ben il

47,2% dichiara di aver “bisogno” di un maggior coordinamento territoriale (Tab. 3.23). In otto casi non sono state fornite risposte.

Tabella 3.23

BISOGNI AVVERTITI DALLE STRUTTURE Valori assoluti e valori %

Coordinamentoterritoriale

Collaborazione Enti locali

Formazione specifica docenti

Altro TOTALE

Valori assoluti 17 9 3 7 36 Valori % 47,2 25,0 8,3 19,5 100,0

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E’ stata infine prevista una domanda circa le modalità utilizzate per creare legami con i propri iscritti (Tab. 3.24). La possibilità di organizzare spazi di socializzazione, al di là della partecipazione ai corsi o ad assemblee dei soci, quando previste, è presente nella quasi totalità delle Università coinvolte. Le Università risultano, pertanto, essere un punto di aggregazione sociale, in grado di coinvolgere i propri iscritti anche attraverso inviti a eventi e iniziative culturali.

Tabella 3.24 LEGAMI CREATI CON I PARTECIPANTI

Valori assoluti e valori %

Visite guidate

Inviti a eventi culturali

Punto di aggregazione sociale

Aiuto lavorativo

TOTALE

Valori assoluti 11 27 25 1 64 Valori % 17,2 42,2 39,1 1,5 100,0

3.3 Tirando le somme Il quadro che emerge dall’indagine, che si configura comunque come primo screening del fenomeno, rende sicuramente conto non solo della diffusa presenza delle Università per Adulti sul territorio toscano e della sua continuità nel tempo, ma anche del loro ruolo chiave nella promozione dell’educazione permanente attraverso l’organizzazione di un’offerta formativa rispondente il più possibile alle esigenze dei cittadini. L’aumento del 36,6% delle attività offerte dal 2000 al 2008 e l’aumento degli iscritti, che sempre negli stessi anni passa da 7.729 a 11.038 persone, rappresentano sicuramente dati interessanti che fanno comprendere come stia aumentando la domanda di formazione in età adulta e come questa richieda un’ampia differenziazione dell’offerta. Le attività proposte appaiono, infatti, estremamente diversificate e articolate sia rispetto alle tematiche (anche se prevalgono temi di cultura generale), sia rispetto alla durata (dalle 50 alle 10 ore) proprio per venire incontro a bisogni specifici e differenziati. Bisogni che non trovano, invece, una risposta innovativa dal punto di vista dell’impostazione metodologica dell’offerta, ancora centrata sulla lezione frontale (77,5%).

L’approccio tradizionale, se rapportato alla tipologia di target raggiunto, con un titolo di studio mediamente alto (solo il 12,8% ha la licenza elementare), potrebbe indurre una riflessione sulle trasformazioni che hanno avuto le Università per Adulti: da strumenti di alfabetizzazione e di educazione popolare, in grado di coinvolgere le fasce deboli della popolazione, stanno sempre più rispondendo a bisogni di socializzazione “significativa” e culturalmente connotata, sicuramente importante, ma in parte distante dagli obiettivi dichiarati. Se, infatti, il 24,6% delle Università coinvolte ha fra i propri obiettivi la “promozione culturale e sociale contrastando il fenomeno dell’emarginazione e favorendo l’inclusione sociale”, e ben 16 Università si propongono anche come centri di studio, di orientamento, di ricerca (demografica, statistica, socioetnica) e prevenzione del disagio sociale, tali obiettivi potrebbero rimanere solo parzialmente perseguiti. Appare fondamentale il ruolo che queste Università possono svolgere per contrastare i rischi di marginalizzazione ed esclusione legati alla terza età (oltre il 70% degli iscritti supera i cinquanta anni e il 53,6% è rappresentato da pensionati), presentandosi con un ruolo prezioso di confronto, scambio, crescita, aggiornamento personale e opportunità attraverso spazi di ricchezza culturale, non ricreabili in altri momenti della vita. Ma, come già detto, si evidenzia allo stesso tempo anche una difficoltà a rapportarsi con altre fasce di popolazione marginale o comunque a rischio: si deve, pertanto, lavorare per individuare nuove modalità di azione in grado di coinvolgere i segmenti più deboli della cittadinanza.

Occorre anche considerare che l’offerta formativa delle Università coinvolte è sostenuta dal pagamento della quota di iscrizione, che per il 26% dei casi supera i 50 euro: un costo irrinunciabile considerando che copre il 72,2 % dei finanziamenti e nella maggior parte dei casi è l’unica fonte di finanziamento per lo svolgimento delle attività.

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Un’azione di rafforzamento di queste strutture potrebbe, infine, incidere sulle competenze di gestione, sulle competenze dei docenti e delle figure di accompagnamento dell’apprendimento, sulle possibilità di sostenere una rilevazione sistematica dei bisogni per andare a intercettare le nuove domande deboli o inespresse e per poter articolare ulteriormente l’offerta nel rispetto della fisionomia e dell’impostazione statutaria, nonché della vocazione originaria di questi organismi.

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4. RIFLESSIONI CONCLUSIVE Uno degli obiettivi prioritari dell’Unione europea è quello di facilitare alla popolazione l’accesso all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e, di conseguenza, di valorizzare tutte le opportunità di apprendimento -formale, non formale, informale- al fine di incrementare la partecipazione a corsi di istruzione e formazione dei più giovani e soprattutto degli adulti e, tra questi, della crescente quota di popolazione in età anziana. La domanda di formazione, infatti, è attualmente espressa per lo più dalle fasce di età più giovani e tende a decrescere all’aumentare dell’età. E’ poi necessario sottolineare che nel passaggio all’età adulta cambia anche l’approccio all’apprendimento: i giovani sono interessati e stimolati da tutto ciò che per loro è nuovo, mentre per gli adulti l’interesse è diretto verso quei temi e quelle competenze che hanno una spendibilità immediata e che possono facilitare la risoluzione di problematiche che si trovano ad affrontare nel quotidiano.

Come sottolineato nel primo capitolo, la Toscana è ancora ben lontana dal raggiungimento dell’obiettivo numerico del 12,5% di popolazione 25-64enne che partecipa ad attività di lifelong learnig fissato per il 2010: nel 2008, infatti, la percentuale di adulti in formazione è pari al 6,8%, di poco superiore ai valori medi nazionali.

Il presente studio ha focalizzando l’attenzione su una delle componenti dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e specificatamente sulle Università per Adulti presenti in Toscana e attraverso un’indagine diretta rivolta all’universo delle Università che operano nel territorio regionale ne ha delineato le caratteristiche, l’evoluzione sperimentata nell’ultimo decennio, le potenzialità e le criticità.

Il quadro che si delinea evidenzia sicuramente degli elementi positivi, in particolare la crescita del numero di corsi attivati -del 37% dal 2000 al 2008- e l’aumento del numero delle iscrizioni, quasi raddoppiate in otto anni. Il target dei partecipanti è piuttosto chiaro: gli iscritti ai corsi delle Università per Adulti hanno superato i cinquant’anni e sono in possesso di un titolo di studio elevato rispetto ai valori medi della popolazione nella stessa classe di età. Se, pertanto, tra gli obiettivi principali dichiarati negli statuti delle Università permane il contrasto e la lotta contro l’emarginazione e l’esclusione sociale, nella realtà i fruitori dei corsi sembrano essere interessati per lo più al soddisfacimento di propri interessi specifici e allo scambio culturale tra coetanei con un livello culturale superiore alla media.

Due sembrano, poi, i principali ostacoli che si frappongono al maggiore sviluppo e diffusione delle Università per Adulti: la reperibilità delle fonti di finanziamento e la difficoltà di leggere i bisogni del territorio in modo da legare le iniziative del campo non formale a precise priorità locali.

Attualmente, infatti, i tre quarti delle risorse economiche a disposizione delle Università provengono dalle sottoscrizioni degli utenti: ciò costituisce una barriera di accesso per le persone che vivono in condizioni economiche precarie ed esclude aprioristicamente una domanda potenziale. Allo stesso tempo, le Università senza il sostegno degli enti locali o, più in generale, dei finanziamenti pubblici, non possono realizzare una programmazione delle attività di medio-lungo periodo poiché ogni anno le sovvenzioni degli utenti costituiscono la risorsa economica più rilevante per la pianificazione delle attività.

Una valorizzazione strategica delle Università per Adulti presenti e radicate nel territorio, e spesso sorte su sollecitazione degli Enti Locali, consentirebbe di affrontare entrambi i problemi. Infatti, da un lato le Università per Adulti rappresentano un potenziale strumento per intercettare la domanda inespressa e rispondere a esigenze di formazione non soddisfatte da offerte più strutturate e dall’altro rafforzare il sistema locale di Educazione degli Adulti è sicuramente un’operazione che implica innovazione e valorizza la rete locale. Come emerge dall’indagine, le Università per Adulti sono a pieno titolo dei nodi di questa rete di cui tener conto e da sostenere: l’ultima domanda del questionario ha, infatti, consentito di far emergere proprio il bisogno di un maggiore coordinamento territoriale che consentirebbe loro di avere più consapevolezza del proprio ruolo, ma anche di esprimere al meglio le potenzialità che già possiedono.

Il modello dell'apprendimento permanente si coniuga, dunque, con la considerazione della comunità locale, e non può partire dalla rigida costruzione dell'offerta formativa come nel modello scolastico, ma

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deve originare dalla domanda di sviluppo di cui il territorio è portatore attraverso i molteplici e diversificati bisogni di conoscenza dei suoi abitanti (Laporta, 1999). Risorse locali in termini di potenzialità istituzionali, associative, umane, ma anche strumentali presenti nella comunità locale: l'offerta formativa, per quanto stimolata dall'esterno, deve appoggiarsi alle agenzie, agli operatori e più in generale ai soggetti della stessa collettività, poiché l'educazione permanente ha bisogno di qualunque risorsa locale spendibile, per potere essere indirizzata non a un pubblico limitato, come la popolazione studentesca, ma a tutta la popolazione, giovane, adulta e anziana.

Le Università per Adulti potrebbero e dovrebbero, quindi, se valorizzate, essere integrate nel tessuto locale con una forte valenza politico-strategica. Si deve, perciò, considerare il territorio come il luogo di integrazione dei bisogni ai quali fornire risposte attraverso un lavoro di rete che consenta anche di valorizzare, implementare e portare a consapevolezza modalità operative già in atto.

In linea con il percorso di ricerca fin qui seguito e con i risultati emersi dal presente studio, un ulteriore passo avanti potrebbe, infine, essere fatto attraverso la realizzazione di un’indagine diretta rivolta ai fruitori dei corsi, al fine di migliorare e ampliare l’offerta formativa e il numero e la tipologia degli utenti. Un maggiore coinvolgimento dei giovani, ad esempio, potrebbe essere favorito dall’eterogeneità formativa presente sul territorio poiché i ragazzi hanno maggiore facilità di accesso, in termini sia di reperimento delle informazioni che di possibilità di spostamento, e di fruizione delle opportunità formative. Gli studenti più anziani, all’opposto, spesso hanno difficoltà a muoversi e potrebbero preferire fidelizzarsi alle strutture che riescano a garantire nel tempo una determinata offerta formativa a costi contenuti, in termini sia monetari che non monetari36.

36 Tra i costi monetari il più rilevate è ovviamente quello che deve essere sostenuto per l’iscrizione al corso, mentre tra i costi non monetari devono essere computati la facilità di accesso, il tempo necessario per il trasferimento, l’articolazione dell’orario e la frequenza dei corsi.

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OREFICE P. (2007), Pedagogia, Editori Riuniti, Roma OREFICE P., ALBERICI A. (a cura di) (2006), Le nuove figure professionali della formazione in età adulta:

profili e formazione universitaria, Franco Angeli, Milano OREFICE P., CUNTI A. (2005), Multieda. Dimensioni dell’educare in età adulta: prospettive di ricerca e di

intervento, Liguori, Napoli SARRACINO V. (a cura di) (1997), Progettare la formazione, Pensa Multimedia, Lecce SATTI E. (2005), “Il Sistema di Educazione degli Adulti nella Regione Toscana”, in LLL, Focus on Lifelong

Learning, Anno I, n. 1-2 marzo - Educazione degli adulti, lo stato dell'arte, http://rivista.edaforum.it/numero1/satti.htm

STEWART T. A. (1999), Il capitale intellettuale: la nuova ricchezza, Ponte alle Grazie, Milano

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Allegato SCHEDA DI RILEVAZIONE Data di riferimento della rilevazione: _______________________________________________________________________________________________________________ Caratteristiche generali dell’associazione Denominazione: ................................................................................................................................................................................................... Indirizzo: .............................................................................................................................................................................................................. Telefono e /o e-mail: ............................................................................................................................................................................................ Comune: . ............................................................................................................................................................................................................. Tipologia di ente (1): ............................................................................................................................................................................................. Anno di costituzione: ........................................................................................................................................................................................... Natura giuridica dell’organizzazione (2): ............................................................................................................................................................... Finalità dell’ente

1. Orientamenti e obiettivi generali delle attività proposte: ............................................................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................................................ Organizzazione dell’offerta formativa

2. Numero totale di corsi attivati – Anno 2008: ………………………………………………………………………

3. Evoluzione del numero dei corsi dal 2000, o dalla data di inizio attività se successiva, ad oggi:

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

4. Numero totale di iscrizioni – Anno 2008: .......................................................................................................

5. Evoluzione del numero delle iscrizioni dal 2000, o dalla data di inizio attività se successiva, ad oggi

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

6. Modalità di svolgimento delle attività:

Attività Percentuale indicativa Circoli di Studio Corsi in presenza Corsi a distanza Convegni Seminari Visite guidate Altro

7. Se possibile inviare l’elenco dettagliato del programma indicando anche i periodi di svolgimento e la media dei partecipanti, o in alternativa inviare le tematiche ricorrenti:

.............................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................

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Le risorse

8. Quali sono i principali canali di finanziamento?

9. Importo delle quote pagate dai partecipanti (ove previste):

..............................................................................................................................................................................................................

10. Qual è il ruolo del comune/ente locale nella costituzione dei corsi? .............................................................................................................................................................................................................

11. Quali sono i partner delle iniziative e il loro ruolo? ..............................................................................................................................................................................................................

12. A chi appartengono le sedi di svolgimento dei corsi? ..............................................................................................................................................................................................................

13. Evoluzione del numero dei corsi dal 2000, o dalla data di inizio attività se successiva, a oggi:

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

14. E’ necessario pagare per usufruire delle aule? ..............................................................................................................................................................................................................

Profilo dei partecipanti

Se sono a disposizione sarebbe utile inserire informazioni, anche approssimative, sulle categorie dei partecipanti indicando:

15. Il genere:

Genere Valore assoluto Maschio Femmina

16. La fascia d’età a cui appartengono:

Anni Valore assoluto 20-39 40-49 50-59 60 e più

17. Il titolo di studio posseduto:

Titolo di studio Valore assoluto Senza titolo Licenza elementare Licenza media inferiore Diploma Laurea

Canali di finanziamento Percentuale Comune Sottoscrizioni partecipanti Fondazioni/enti privati Altri enti pubblici FSE

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18. La condizione occupazionale attuale: Attuale condizione occupazionale Valore assoluto Occupato Disoccupato Pensionato

19. Tasso di “fidelizzazione” dei partecipanti: indicare, se noto, qual è ogni anno la quota dei partecipanti dell’anno precedente che si iscrivono nuovamente ai corsi:

.............................................................................................................................................................................................................. Docenti e legame con l’Università

20. Numero totale di docenti: …………………………………………………………………………….

21. Istituzione di appartenenza: ………………………………………………………………………….

22. Collaborazione con l’Università degli Studi: ……..………………………………………………… Varie

23. Titoli rilasciati ai partecipanti al termine dei corsi: .............................................................................................................................................................................................................. 24. Legami creati con i partecipanti (inviti ad iniziative, ecc.): ..............................................................................................................................................................................................................

NOTE: (1) Ente: tipologia suddivisa in pubblico o privato (2) Natura giuridica: in riferimento a finalità di lucro o Onlus

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Note: ........................................................................................................................................................

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Note: ........................................................................................................................................................

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IRPET-Regione Toscana Collana Studi per il Consiglio Anno 2008 1. Le politiche della Regione Toscana a favore dei comuni disagiati: il caso della L.R. 39/04 2. Offerta e domanda di capitale umano qualificato in Toscana Anno 2009 3. Le politiche regionali per la disciplina e lo sviluppo dell’agriturismo in Toscana 4. Le Università per Adulti in Toscana

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso Tipografia NOVA srl di Signa - Firenze

www.tipografianova.eu

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Le Universitàper Adulti in Toscana

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