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ISSN 2239-8066 I WORKING PAPERS DI OLYMPUS 29/2013 Luciano Angelini La sicurezza del lavoro nell’ordinamento europeo

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ISSN 2239-8066

I WORKING PAPERS DI

O L Y M P U S

29/2013

Luciano Angelini

La sicurezza del lavoro nell’ordinamento europeo

I WORKING PAPERS DI OLYMPUS Registrato presso il Tribunale di Urbino al n. 230 del 12 maggio 2011 “I Working Papers di Olympus” costituiscono una raccolta seriale e progressiva, pubblicata on line, di saggi dedicati specificamente al Diritto della salute e sicurezza sul lavoro e si collocano fra le iniziative dell’Osservatorio “Olympus” dell’Università di Urbino Carlo Bo (http://olympus.uniurb.it) mirando a valorizzare, mediante contributi scientifici originali, l’attività di monitoraggio della legislazione e della giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro svolta dall’Osservatorio. I saggi inseriti ne “I Working Papers di Olympus” valgono a tutti gli effetti di legge quali pubblicazioni. Direttore Responsabile Paolo Pascucci Comitato Scientifico Edoardo Ales, Joaquin Aparicio Tovar, Gian Guido Balandi, Maria Vittoria Ballestrero, Mark Bell, Lauralba Bellardi, Antonio Bergamaschi, Franca Borgogelli, Piera Campanella, Umberto Carabelli, Franco Carinci, Bruno Caruso, Carlo Cester, Maurizio Cinelli, Beniamino Deidda, Olaf Deinert, Riccardo Del Punta, Raffaele De Luca Tamajo, Gisella De Simone, Giuseppe Ferraro, Lorenzo Gaeta, Enrico Gragnoli, Teun Jaspers, Pietro Lambertucci, Vito Leccese, Bruno Maggi, Sandro Mainardi, Arturo Maresca, Franz Marhold, Lucio Monaco, Luigi Montuschi, Mario Napoli, Luca Nogler, Alessandra Pioggia, Giampiero Proia, Maurizio Ricci, Roberto Romei, Mario Rusciano, Corinne Sachs-Durand, Rosario Santucci, Franco Scarpelli, Silvana Sciarra, Alfonso Stile, Patrizia Tullini, Antonio Vallebona, Antonio Viscomi, Carlo Zoli, Lorenzo Zoppoli Comitato di Direzione Alberto Andreani, Olivia Bonardi, Alessandro Bondi, Laura Calafà, Stefano Giubboni, Michela Marchiori, Gabriele Marra, Paolo Polidori, Gaetano Natullo Comitato di Redazione Luciano Angelini e Chiara Lazzari (coordinatori di redazione), Romina Allegrezza, Arianna Arganese, Michela Bramucci Andreani, Silvano Costanzi, Stefano Costantini, Lucia Isolani, Laura Martufi, Natalia Paci Pubblicazione grafica Sebastiano Miccoli Sede OLYMPUS – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Carlo Bo di Urbino Via Matteotti, 1 I - 61029 Urbino (PU) Tel. 0722 303250 – Fax 0722 2955 http://olympus.uniurb.it; [email protected] PROCEDURA PER LA PUBBLICAZIONE

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Luciano Angelini è professore aggregato di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo

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Abstract L’autore analizza l’evoluzione della disciplina di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nell’ordinamento europeo a partire dai Trattati Ceca ed Euratom e dai primi programmi di azione sociale, approfondendo in particolare i contenuti della direttiva quadro n. 89/391/Cee (definizioni, ambiti di applicazione, obblighi, responsabilità, diritti di informazione e consultazione, modelli di rappresentanza) e delle principali “direttive particolari”, tra cui anche la direttiva n. 93/104/Cee in materia di regolamentazione degli orari di lavoro. Una speciale attenzione è dedicata al rilevante contributo che le pronunce della Corte di Giustizia hanno dato alla corretta interpretazione del diritto sociale comunitario e alla sua efficace attuazione negli ordinamenti degli stati membri. Il saggio termina con una riflessione sulle più recenti strategie comunitarie in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, nelle quali si evidenzia l’utilità di integrare i tradizionali strumenti giuridici con misure di “soft law”, di cui fanno parte anche gli accordi collettivi europei in tema di telelavoro, stress lavoro-correlato, molestie e violenze. The author analyzes the evolution of the discipline of health and safety of workers into the European law, starting from the Ceca and Euratom Treaties and from the first social action programs, especially focusing on the content of the Framework Directive 89/391/EEC (definitions, application, obligations, responsibilities, rights to information and consultation, models of representation) and some “specific directives”, including the directive 93/104/EC concernig certain aspects of the organization of working time. A special attention is paid to the significant contribution that the judgments of the Court of Justice have given to the correct interpretation of Community social law and to its effective implementation in the Member States. The essay concludes with a reflection on the most recent EU strategies on health and safety of workers, in which are underlined the usefulness of integrating the traditional legal instruments with measures of "soft law", which include also European collective agreements regulating teleworking, work-related stress, harassment and violence. Parole chiave: salute e sicurezza sul lavoro, diritto europeo, evoluzione, Corte di Giustizia, pronunce, nuova strategia, soft law, accordi collettivi europei Keywords: health and safety at work, european law, evolution, Court of Justice, judgments, new strategy, soft law, european collective agreements

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La sicurezza del lavoro nell’ordinamento europeo *

di Luciano Angelini

SOMMARIO: Premessa. Politiche comunitarie di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e ruolo della Corte di Giustizia. ‒ 1. Dai Trattati istitutivi al primo programma di azione comunitaria in materia di salute e sicurezza nel lavoro. Sulla direttiva quadro n. 80/1107 e sulle “sue” direttive particolari. – 2. Il secondo ed il terzo programma d’azione. L’approvazione dell’Atto unico europeo e della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. – 3. La direttiva quadro n. 89/391/CE. Principi ed efficacia. 3.1. I contenuti essenziali della direttiva quadro. Definizioni e ambiti di applicazione. 3.2. (segue:) Gli obblighi dei datori di lavoro. Natura delle responsabilità e valutazione dei rischi. 3.3. (segue) Obblighi dei lavoratori. 3.4. I diritti individuali e i diritti collettivi di informazione, consultazione e di controllo. Logiche partecipative e modelli di rappresentanza. – 4. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nella c.d. direttive “particolari”. 4.1. Il lavoro ai videoterminali. 4.2. La sicurezza dei lavoratori “temporanei”. 4.3. La tutela delle lavoratrici gestanti e la protezione dei giovani sul lavoro. 4.4. La salute e la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili. – 5. Protezione della salute e regolamentazione dell’orario di lavoro. Rationes e limiti dell’intervento comunitario. 5.1. La direttiva n. 93/104/CE (ora direttiva 2003/88/CE). Cenni sulle misure di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. – 6. La nuova strategia comunitaria in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. 6.1. Gli accordi europei su telelavoro, stress lavoro-correlato, mobbing e violenza sul luogo di lavoro. 6.2. Il piano d’azione per il quadriennio 2007-2012.

Premessa. Politiche comunitarie di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e ruolo della Corte di Giustizia

La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori costituisce uno degli ambiti più rilevanti del diritto sociale europeo. La dimensione quantitativa e qualitativa di un corpus normativo divenuto negli anni sempre più imponente ha segnato l’evoluzione degli ordinamenti nazionali di tutti i paesi membri dell’Unione, ________ * Il presente lavoro è destinato a essere pubblicato anche in NATULLO (coord.), Sicurezza del lavoro, Collana “Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale”, Torino.

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raggiungendo livelli di armonizzazione tra i più alti fra quelli toccati nelle c.d. “materie sociali”.

L’armonizzazione degli ordinamenti nazionali in tema di salute e sicurezza dei lavoratori non è stata tuttavia conseguita senza difficoltà, condizionata dalle molte tensioni esistenti tra le istanze di protezione di valori assolutamente fondamentali quali sono la vita e la salute dei lavoratori e una pluralità di diritti/libertà di natura sostanzialmente economica ancora più fortemente radicati nell’ordinamento giuridico comunitario rispetto a quanto avviene a livello nazionale. Infatti, e non a torto, di quell’ordinamento molti commentatori avranno modo di stigmatizzare criticamente la matrice mercantilistica imposta dai padri fondatori 1, che continuerà a prevalere durante tutta la prima fase di vita della Comunità economica europea 2.

Appare peraltro difficile contestare la forte coincidenza esistente tra le più significative fasi del percorso di emancipazione dell’ordinamento comunitario dalla ricordata condizione di frigidità sociale in cui era stato inizialmente costretto e le tappe evolutive del processo di comunitarizzazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori 3. Basti soltanto pensare all’entrata in vigore, nel 1987, dell’Atto unico europeo e alla possibilità dallo stesso attribuita al Consiglio (europeo) di approvare direttive a maggioranza (non più soltanto all’unanimità), nell’ipotesi in cui avessero ad oggetto alcune (allora) limitate materie “sociali, tra le quali campeggiava proprio “il miglioramento dell’ambiente di lavoro” (art. 118A Tce).

E’ grazie all’approvazione dell’Atto unico europeo che sarà emanata la dir. quadro n. 89/391/Cee, la cui entrata in vigore rappresenta il vero punto di svolta delle politiche di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in tutti i paesi europei. Letta in prospettiva sistemica, appare con evidenza come la tematica del miglioramento dell’ambiente di lavoro abbia costituito una sorta di grimaldello capace di scardinare i forti vincoli derivanti dalle limitate competenze istituzionali ________ 1 Celebre è l’espressione “frigidità sociale” utilizzata da MANCINI, Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ordinamento delle Comunità europee, in AA.VV., Il lavoro nel diritto comunitario e l’ordinamento italiano, Padova, 1988, p. 26.

2 DE CRISTOFARO M.L., La salute del lavoratore nella normativa internazionale e comunitaria, in Relazioni industriali, 1988, 326; FUMAGALLI, Salute e sicurezza sul lavoro: la trasformazione dei diritti statali alla luce delle innovazioni del diritto comunitario, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1996, pp. 448-449. Da ultimo, VALDÉS DE LA VEGA, Occupational Health and Safety: An EU Law Perspective, in ALES (ed.), Health and Safety At Work. European and Comparative Perspective, Studies in Employment and Social Policy, n. 42, Zuidpoolsingel, 2013, p. 1.

3 Dovendo intendersi la comunitarizzazione “sia come conversione degli ordinamenti nazionali intorno a modelli legislativi comuni, sia come definitiva attuazione delle aree del diritto interno comunitarizzate sotto il vincolo del diritto comunitario”: così D’ANTONA, Sistema giuridico comunitario, in BAYLOS GRAU, CARUSO, D’ANTONA, SCIARRA (a cura di), Dizionario di diritto del lavoro comunitario, Bologna, 1996, p. 21.

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della Comunità europea in materia di diritti ed interessi dei lavoratori 4. Quello che è certo è che un tale risultato difficilmente sarebbe stato raggiunto senza l’intervento puntuale ed efficace della Corte di giustizia 5, reso possibile dalla cruciale funzione attribuitale dai trattati, esercitata con particolare determinazione tutte le volte in cui essa è stata chiamata in causa, condannando l’inadempimento degli obblighi incombenti sugli stati membri per il non adeguato recepimento delle direttive (c.d. “ricorso diretto), ma anche pronunciandosi sui rinvii pregiudiziali effettuati dai giudici nazionali destinati a chiarire la corretta interpretazione da dare alla normativa comunitaria.

1. Dai Trattati istitutivi al primo programma di azione comunitaria in materia di salute e sicurezza nel lavoro. Sulla direttiva quadro n. 80/1107 e sulle “sue” direttive particolari

Le prime iniziative comunitarie nel campo della tutela della salute nei luoghi di lavoro vanno inquadrate nell’ambito delle disposizioni dei trattati istitutivi di Ceca (Comunità economica del Carbone e dell’acciaio) e Euratom. Nel Trattato Ceca (1950), individuato l’obiettivo di “promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera permettendone l’eguagliamento nel progresso” (art. 3, lett. e), si assegnava all’Alta autorità il compito di incoraggiare attività di ricerca concernenti la produzione e il consumo del carbone e dell’acciaio, ma anche le condizioni di sicurezza del lavoro, a tal fine valorizzando sinergie con importanti istituti di ricerca, cui affidare l’elaborazione di normative (di sicurezza) da applicare nei singoli stati membri 6. Alle istituzioni Euratom, il Trattato (1957) attribuiva importati poteri normativi in materia di igiene, medicina del lavoro e sicurezza – poteri esercitabili con l’ausilio di appositi comitati ed organismi consultivi, nonché con il coinvolgimento delle parti sociali ‒ al fine di stabilire alcune fondamentali norme di sicurezza per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori e per vigilare sulla loro “buona” occupazione, in particolare sui pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti (artt. 30 e 31) 7.

________ 4 In tal senso, CARUSO, L’Europa, il diritto alla salute e l’ambiente di lavoro, in MONTUSCHI (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza, Torino, 1997, p. 6.

5 Sul ruolo istituzionale della Corte di Giustizia: FOGLIA, Il dialogo fra ordinamento comunitario e nazionale del lavoro: la giurisprudenza, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1992, p. 753 ss.; ID., L’attuazione giurisprudenziale del diritto comunitario del lavoro, Padova, 2002, in part. p. 49 ss.

6 Dopo la catastrofe mineraria di Marcinelle (Belgio) fu istituito l’Organo permanente per la sicurezza nelle miniere di carbone, destinato a formulare proposte per migliorare le condizioni di sicurezza nelle miniere e assistere la Commissione nel processo di elaborazione delle misure da adottare. V. LAI, Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro, Torino, 2010, p. 157.

7 Cfr. ARRIGO, La tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nell’ordinamento comunitario, in RUSCIANO, NATULLO (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, VIII, Torino, 2007, pp. 7-8.

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Diversamente dai due citati trattati, quello istitutivo della Comunità economica europea (1957) evidenziava la mancanza pressoché assoluta di competenze sociali, anche rispetto al particolare settore della salute e sicurezza; l’art. 118 Tce si limitava ad attribuire alla Commissione soltanto il “compito di promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri…in particolare per le materie riguardanti...la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali e l’igiene del lavoro” 8. Né si sarebbe potuto fare eccessivo affidamento sul primo comma dell’art. 117 che, affermando la necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera al fine di consentirne la (loro) parificazione nel progresso, correlava inscindibilmente il raggiungimento di tale obiettivo alla realizzazione del mercato comune 9, il buon funzionamento del quale si riteneva avrebbe favorito l’armonizzazione dei sistemi sociali dei Paesi membri 10. Su queste deboli basi giuridiche, e per molti anni a seguire, in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, la Commissione europea non potrà fare molto altro che emanare una serie di pur significative raccomandazioni 11.

Un importante punto di svolta nell’azione comunitaria per il miglioramento della sicurezza e dell’igiene del lavoro è rappresentato dall’adozione da parte del Consiglio europeo del primo programma di azione sociale (con risoluzione del 21 gennaio 1974), un’adozione favorita dalla sempre più diffusa convinzione che anche in materie sociali si sarebbe potuta emanare una legislazione comunitaria vincolante per gli Stati membri. Grazie ad un’interpretazione estensiva delle basi giuridiche generali, in particolare di quella ex art. 100 Tce, l’ambito di intervento dell’armonizzazione per direttive (su proposta della Commissione e deliberazione all’unanimità del Consiglio) avrebbe potuto ricomprendere anche la sicurezza e la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali, sempre che le normative nazionali da “riavvicinare” consentissero di evidenziare una loro positiva incidenza sull’instaurazione e sul funzionamento del mercato comune, a garanzia di uno sviluppo economico e sociale più armonioso.

________ 8 La Commissione poteva esercitare poteri di scarsa efficacia. Cfr.: DE CRISTOFARO, La salute, cit., p. 326; NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, p. 212.

9 La principale finalità di questi primi documenti comunitari è quella di abbattere le barriere alla libera circolazione dei lavoratori; ne è prova il reg. n. 1408/71/Cee da cui si evince la prevalenza della libertà di circolazione rispetto all’osservanza degli obblighi di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Cfr. TRAPANESE, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in Il lavoro subordinato, a cura di SCIARRA e CARUSO, Trattato di Diritto privato dell’Unione Europea, vol. V, Torino, 2009, p. 78.

10 VALDÉZ DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 4; TOMASONE, La sicurezza del lavoro tra diritto comunitario e norma nazionale. Parte II, in Lavoro informazione, 2002, fasc. 11, p. 11.

11 Le raccomandazioni intervengono su: la medicina del lavoro nelle imprese (20 luglio 1962); le malattie professionali (23 luglio 1962); il controllo sanitario dei lavoratori esposti a rischi particolari (27 luglio 1967); la tutela dei giovani lavoratori (31 gennaio 1967). Cfr. ROCCELLA, TREU, Diritto del lavoro della Comunità europea, 5 ed., Padova, 2009, p. 358, nt. 2.

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Con la citata risoluzione il Consiglio assumeva un duplice impegno in materia di sicurezza e di igiene del lavoro: ad adottare un programma di azione specifico che determinasse la graduale eliminazione delle costrizioni fisiche e psichiche esistenti e il miglioramento dell’ambiente di lavoro; ad accogliere le proposte della Commissione relative all’istituzione di due importanti organismi, il Comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la tutela della salute (risoluzione del 27 giugno 1974) e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, da insediarsi a Dublino, con compiti di studio, ricerca ed informazione (1975).

A seguito dell’approvazione del primo programma specifico di azioni prioritarie da attuare nel periodo 1978-1982 (risoluzione del Consiglio del 29 giugno 1978) saranno emanate numerose direttive aventi ad oggetto l’armonizzazione dei metodi di identificazione, misurazione e valutazione dei rischi per i lavoratori derivanti dall’esposizione ad agenti chimici, fisici, meccanici, biologici, e l’apposizione di divieti all’utilizzo di taluni agenti e allo svolgimento di specifiche attività 12. Più che il contenuto dei singoli provvedimenti adottati è da segnalare l’importanza che questo primo programma di interventi riveste in sé: da un lato, perché accredita l’utilizzo della direttiva come strumento privilegiato per disciplinare la tutela della salute e sicurezza; dall’altro lato, perché esprime la determinazione “politica” della Commissione europea nell’affrontare questa delicata materia, pur nella consapevolezza che l’oggetto dell’azione comunitaria dovrà restare confinato a governare soltanto alcuni determinati processi produttivi e a controllare l’utilizzo di specifiche sostanze nocive 13.

Il provvedimento sicuramente più rilevante emanato in questa fase è la dir. n. 80/1107/Cee sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici. La sua particolarità sta soprattutto nel fatto di aver dettato una sorta di disciplina-quadro che sarà in seguito integrata dalla previsione di divieti, all’utilizzo di agenti specifici e di determinate attività lavorative, introdotti da quattro “direttive speciali” concernenti la tutela dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’esposizione al piombo, all’amianto, al rumore 14.

________ 12 CHELLINI, GIOVANNELLI, RICCIO, Health and safety at work, Sintesi dei lavori del Seminario internazionale di diritto comparato del lavoro Pontignano XXVII, in AA. VV., Il diritto del lavoro nel sistema giuridico privatistico, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro (Parma, 4-5- giugno 2010), Milano, 2011, p 356.

13 Nel documento si rintraccia il primo riferimento “comunitario” all’estensione dell’obbligo di sicurezza dei datori di lavoro anche ai c.d. rischi psico-sociali: così NUNIN, La prevenzione dello stress lavoro-correlato. Profili normativi e responsabilità del datore di lavoro, Trieste, 2012, p. 25.

14 Le disposizioni contenute della dir. quadro n. 80/1107/Cee e nelle sue direttive particolari, integrate e modificate, trovano attualmente collocazione: nella dir. n. 98/24/CE (Protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici); nel regolamento

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Sulla base dei principi comuni stabiliti dalla dir. n. 80/1107/Cee, gli Stati membri sono tenuti ad evitare l’esposizione dei lavoratori agli agenti ivi considerati o comunque a mantenerla al livello più basso “ragionevolmente praticabile” (art. 3, § 1), attraverso la fissazione di “valori limite” oltrepassati i quali scatta l’obbligo di adottare alcune misure di prevenzione e protezione stabilite in base all’esperienza acquisita e ai progressi tecnici scientifici, nonché (per alcune materie particolarmente nocive) di predisporre specifiche procedure di sorveglianza sanitaria relativamente al periodo di esposizione 15.

Va altresì ricordato come la dir. n. 80/1107/Cee abbia saputo fornire un importante impulso alla successiva normativa comunitaria in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori attraverso l’introduzione di alcuni significativi principi che troveranno conferme e progressivi rafforzamenti, tra i quali meritano segnalazione la priorità delle misure di protezione collettiva su quelle di protezione individuale, il coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze, l’adeguamento delle misure di sicurezza al progresso tecnico. Per non parlare, infine, delle c.d. “clausole di non regresso”, che diverranno una costante di tutta la disciplina comunitaria in campo sociale, al fine di salvaguardare le norme nazionali, esistenti o future, di più ampio contenuto protettivo (art. 7) 16.

2. Il secondo ed il terzo programma d’azione. L’approvazione dell’Atto unico europeo e della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori

Con l’approvazione del secondo programma di azione comunitaria in materia di salute e sicurezza sul lavoro (1984) si apre una fase caratterizzata da una notevole intensificazione dell’attività comunitaria che culminerà con le importanti modificazioni apportate dall’Atto unico europeo (1987) all’originario Trattato istitutivo 17. L’adozione dell’AUE aggiunge al Trattato istitutivo l’art. 118A nel quale, da un lato, si afferma il principio generale secondo cui gli Stati membri devono adoperarsi per promuovere (in particolare) il miglioramento dell’ambiente ________ n. 1907/2006/CE e successive modificazioni e integrazioni (REACH); nella dir. n. 2003/10/CE (Prescrizioni minime di sicurezza e salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici – Rumore); nella dir. n. 2009/148/CE (che codifica la direttiva n. 83/477/Cee, come modificata dalla dir. n. 2003/18/CE, in tema di amianto).

15 VALDÉZ DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 5.

16 LAI, Diritto, cit., 157-158, ma anche ID, Salute e sicurezza sul lavoro, in CARINCI, PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro dell’Unione Europea, Torino, 2009, p. 662.

17 VOGEL POLSKY, L’acte unique ouvre-t’il l’espace social européen, in Droit Social, 1989, p. 181; GUARRIELLO, L’Europa sociale dopo Maastricht, in Lavoro e diritto, 1992, p. 227 ss.; ALES, Lo sviluppo della dimensione sociale comunitaria: un’analisi «genealogica», in Rivista del diritto della Sicurezza Sociale, 2009, p. 532.

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di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, armonizzando in una prospettiva di progresso le condizioni esistenti e, dall’altro lato, si attribuisce al Consiglio la possibilità di adottare direttive a maggioranza qualificata 18 contenenti prescrizioni minime applicabili progressivamente in considerazione delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascun Stato membro, fatta comunque salva per gli stessi Stati la possibilità di mantenere o stabilire condizioni di maggior favore rispetto agli standard stabiliti a livello comunitario.

Nessuno può disconoscere la portata innovativa della norma, soprattutto perché essa prevede (finalmente) un’armonizzazione autonoma in tema di (tutela della) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che non chiede più di dimostrare (preliminarmente) l’incidenza dei provvedimenti da adottare sull’instaurazione e sul funzionamento del mercato comune 19. L’emancipazione che in tal modo si realizza della dimensione sociale rispetto a quella economica non è tuttavia scevra da alcune ambiguità insite nello stesso dettato normativo che desteranno fondate preoccupazioni e solleveranno contrasti interpretativi di rilevante significato.

L’intervento della Corte di Giustizia sarà anche in questo caso decisivo; da segnalare è in particolare un’importante pronuncia del 12 novembre 1996 resa in occasione del ricorso proposto dal Regno Unito per l’annullamento della dir. n. 93/104 in materia di orario di lavoro, nella quale si chiarisce la portata effettiva della “nuova” base giuridica legittimata dall’art. 118A connessa specificamente ad una nozione molto ampia di “ambiente di lavoro” che, oltre a comprendere l’organizzazione dell’orario di lavoro, deve intendersi esteso a tutti i fattori fisici e non in grado di incidere sulle condizioni di salute e sicurezza esistenti sul luogo di lavoro 20.

Sotto la spinta delle modifiche apportate dall’Atto unico europeo e su sollecitazione della Commissione, il Consiglio europeo, con risoluzione del 21 dicembre 1987, avvierà il terzo programma d’azione in materia di sicurezza, igiene e salute nei luoghi di lavoro. La risoluzione merita segnalazione perché impegna la Comunità a intervenire non più soltanto su un “piano oggettivo” di tutela della

________ 18 Su proposta della Commissione, in cooperazione con il Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale: così, BLANPAIN, COLUCCI, Il diritto comunitario del lavoro ed il suo impatto sull’ordinamento giuridico italiano, Padova, 2000, p. 409.

19 Cfr. NATULLO, La nuova normativa sull’ambiente di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1996, p. 667; APARICIO TOVAR, Sicurezza sul lavoro, in BAYLOS GRAU, CARUSO, D’ANTONA, SCIARRA (a cura di), Dizionario, cit., p. 573 ss.

20 VALDÉZ DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 7. La questione giuridica sarà superata dall’accordo sulla politica sociale concluso a Maastricht, nell’art. 2 del quale si prevede l’adozione a maggioranza qualificata non soltanto delle direttive sul miglioramento dell’ambiente di lavoro, ma anche di quelle in materia di condizioni di vita e di lavoro. In tema di orario di lavoro, RICCI, Tutela della salute e orario di lavoro, in SCIARRA (cura di), Manuale di Diritto sociale europeo, Torino, 2010, pp. 72-73.

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salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro (ergonomia compresa), ma anche (e forse prevalentemente) su un “piano soggettivo”, prevedendo cioè il pieno coinvolgimento e la responsabilizzazione dei soggetti destinatari delle norme di sicurezza (datori di lavoro, lavoratori e loro rappresentanti), attraverso l’adozione di strumenti di informazione, formazione e consultazione.

La direttiva quadro n. 89/391 che sarà di lì a poco emanata, e che diverrà l’architrave di tutta la futura disciplina comunitaria in materia di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori, attuerà pienamente le finalità della citata risoluzione del Consiglio, esaltando, come avremo modo di approfondire meglio in seguito, proprio questa innovativa dimensione soggettiva dell’azione di tutela 21. Prima di affrontare i contenuti della direttiva occorre tuttavia dar conto di un altro formidabile evento che in quello stesso anno (1989) segnerà l’irreversibile evoluzione del carattere sociale dell’ordinamento comunitario: l’adozione da parte di undici Paesi membri (in forma di dichiarazione solenne), Regno Unito escluso, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, la quale sviluppa molti dei principi già sanciti nella Carta sociale europea del Consiglio d’Europa e nelle convenzioni OIL 22. La debole veste giuridica della Carta comunitaria, che come dichiarazione solenne non è dotata di efficacia vincolante nei confronti degli Stati membri 23, non ha nei fatti inficiato l’affermazione dei diritti (fondamentali) nella stessa codificati, anche grazie alla legittimazione ricevuta con il Trattato di Maastricht, il cui art. 117 fa riferimento ai “diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti … nella Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989”, diritti che si pongono pertanto come valori ineludibili nel raggiungimento degli obiettivi della Comunità e degli Stati membri.

Alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori 24 la Carta Comunitaria presta attenzione in più punti, ad esempio quando tratta della protezione sanitaria e della sicurezza nell’ambiente di lavoro (punto 19), della protezione dell’infanzia e degli ________ 21 BIAGI, Dalla nocività conflittuale alla sicurezza partecipata: relazioni industriali e ambiente di lavoro in Europa verso il 1992, in ID (a cura di), Tutela dell’ambiente di lavoro e direttive Cee, Rimini, 1991, p. 133; PASQUARELLA, RICCI, La tutela della salute tra dimensione nazionale ed europea, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2008, 2, p. 247.

22 D’HARMANT-FRANCOIS, Convenzioni OIL e diritto comunitario del lavoro: alcune riflessioni, in Il diritto del lavoro, 1993, I, p. 597; PELAGGI, Organizzazione internazionale del lavoro e Unione europea: necessità di coordinamento, in Il diritto del lavoro, 1994, I, p. 40. La Carta comunitaria si compone di un preambolo, costituito da sedici considerando, e di due parti, la prima sui diritti sociali fondamentali (26 articoli) e la seconda sulle misure di attuazione (quattro articoli). Amplius, LA MACCHIA, La carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1990, p. 780 ss.

23 Come sottolinea LA MACCHIA, La carta, cit., pp. 785-786, se è vero che rispetto agli ordinamenti nazionali la Carta ha natura di semplice “patto interstatuale”, nell’ordinamento comunitario essa detta criteri e principi in grado di vincolare la futura attività di normazione in materia sociale.

24 Che acquisisce, pertanto, lo status di diritto sociale fondamentale: NATULLO, La nuova normativa, cit., p. 668 ss.

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adolescenti (punti 20-23), delle persone handicappate (punto 26), ma soprattutto quando si riferisce al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (punti 7-9) e all’informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori (punto 26), confermando l’esistenza del forte nesso che lega la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori al coinvolgimento dei lavoratori e/o delle loro rappresentanze nelle attività di prevenzione e di controllo.

3. La direttiva quadro n. 89/391/CE. Principi ed efficacia

Con l’approvazione della dir. quadro n. 89/391, la politica comunitaria in materia di salute e sicurezza dei lavoratori compie un radicale salto di qualità 25 che si esprime, relativamente ai principi generali di prevenzione dei rischi professionali, nell’abbandono del criterio della reasonable practicability e, sul piano delle tecniche di prevenzione, con il superamento di un’impostazione di tipo esclusivamente regolamentare.

L’abbandono da parte del legislatore comunitario del criterio della reasonable practicability di ispirazione anglosassone per quello della massima sicurezza tecnologicamente possibile (utilizzato in modo prevalente nella maggioranza degli ordinamenti giuridici degli Stati membri 26) è sicuramente da porre in relazione all’indicazione dell’obiettivo della “armonizzazione nel progresso” effettuata nell’art. 118A Tce che, introdotto dall’Atto unico europeo, costituisce la “nuova” e diversa base giuridica su cui si fonda la direttiva quadro (rispetto alle precedenti); un obiettivo (l’armonizzazione nel progresso) che difficilmente potrebbe valutarsi compatibile con un principio (la massima sicurezza ragionevolmente praticabile) inteso come non ostativo rispetto alla riduzione dei livelli di tutela. E che la direttiva n. 391/89/Cee ciò voglia evitare pare evincersi chiaramente già dalla lettura del suo preambolo, là dove sottolinea che “il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico”, ma anche quando prevede che i datori di lavoro sono

________ 25 L’opinione di NEAL (La direttiva quadro europea in materia di salute e sicurezza dei lavoratori: una sfida per il Regno Unito?, in BIAGI (a cura di), Tutela, cit., p. 45) è che si tratti della “misura più radicale” fino ad allora emersa tra le disposizioni sociali del Trattato. Come vedremo meglio in seguito, le innovazioni introdotte nella politica prevenzionistica finiscono necessariamente per integrare anche i contenuti del blocco di direttive che fanno capo alla dir. quadro n. 80/1107/Cee, che saranno considerate prevalenti soltanto se più garantiste. Vedi anche: MONTUSCHI, La tutela della salute e la normativa comunitaria, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1990, I, p. 394 ss.; NATULLO, La tutela, cit., p. 218.

26 Tra cui quello italiano: NATULLO, La «massima sicurezza tecnologica», in Diritto e pratica del lavoro, 1997, p. 815.

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tenuti ad uniformarsi ai progressi tecnici e alle conoscenze scientifiche, al fine di conseguire un miglior livello di tutela della salute 27.

Sulla scelta di maggior rigore effettuata dal legislatore comunitario con l’emanazione della direttiva quadro è intervenuta una interessante sentenza del 14 giugno 2007 28, nella quale la Corte di Giustizia ritiene non adeguatamente provato l’inadempimento del Regno Unito rispetto alle prescrizioni comunitarie, e ciò nonostante l’Health and safety at work Act (1974) continui a circoscrivere l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro nei limiti di “quanto ragionevolmente praticabile” 29. A ben riflettere, il pronunciamento della Corte non sembra essere tale da inficiare l’effettività del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile quale cardine della disciplina comunitaria in materia, fondandosi piuttosto sull’inadeguatezza dei mezzi di prova forniti dalla Commissione a spiegare l’effettiva incidenza dei limiti alle responsabilità datorili che sarebbero derivati dall’utilizzo di quella nozione (sicurezza ragionevolmente praticabile) 30. Come molto spesso avviene, la Corte ha deciso di tenere un atteggiamento di prudente self restrainte, rispondente più a motivazioni di ordine politico che giuridico, evitando di interferire sulle scelte legislative di uno dei paesi membri notoriamente tra i più “riottosi” dell’Unione europea 31.

________ 27 Secondo TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 97, l’affermazione (contenuta nella direttiva quadro) di un concetto di prevenzione assoluta – che si desume anche dall’affermazione secondo la quale i datori di lavoro devono adeguare il lavoro all’uomo ‒ dovrebbe servire ad evitare il riproporsi di un conflitto fra formule comunque astratte come sono quelle della massima sicurezza “ragionevolmente praticabile” e “tecnologicamente possibile”. Sul punto vedi anche FOGLIA, Le direttive in materia di sicurezza sul lavoro, in TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione europea, II ed., Tomo II, Torino, 2006, p. 1106.

28 C. Giust. CE 14 giugno 2007, C-127/05, con nota di BONARDI, La Corte di Giustizia e l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro: il criterio del reasonably practicable è assolto per insufficienza di prove, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, II, p. 13 ss. Sul concetto di “massima sicurezza tecnologica”, vedi anche NATULLO, Principi generali della prevenzione e “confini” dell’obbligo di sicurezza, in RUSCIANO, NATULLO (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da CARINCI, 2007, pp. 85-89.

29 Tuttavia, occorre sul punto attentamente considerare ‒ come ben sottolinea BONARDI, La sicurezza del lavoro, cit., p. 468, nt. 114 – che nel Regno Unito il principio della reasonable praticability è stato sempre interpretato in modo restrittivo; le considerazioni di carattere economico valgono soltanto ad escludere l’obbligo di adottare una misura che sia tecnicamente inidonea o che mostri un irrazionale rapporto tra costi e benefici, in quanto non capace di ridurre il livello di rischio. Cfr.: NEAL, La direttiva, cit., p. 55 ss.

30 Sulla possibile convivenza fra i due principi, quello della massima sicurezza e quello della ragionevole praticabilità, attraverso la configurazione di un rapporto che veda il secondo in posizione strumentale rispetto al primo, al quale rimarrebbe dunque affidata la funzione di principio guida della disciplina prevenzionale comunitaria e nazionale, BALANDI, Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l’art. 9 dello Statuto, in Lavoro e diritto, 1990, p. 230.

31 RICCI, Tutela della salute, cit., p. 61; LAI, Diritto della salute, cit., p. 174; ad avviso di BONARDI (La Corte, cit., pp. 18-19), alla decisione della Corte di Giustizia non sarebbe estranea la valutazione delle conseguenze che in un sistema di common law ‒ nel quale i giudici sono tenuti ad interpretare

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Sul piano delle tecniche di prevenzione, la direttiva quadro, emancipandosi dal concetto (importante ma statico) di prevenzione degli infortuni sul lavoro, fonda il nuovo modello di intervento sul ben più ambizioso principio generale di programmazione e pianificazione della prevenzione, cui assoggetta tutti i datori di lavoro pubblici e privati, attraverso norme che integrano fattori ambientali, tecniche di protezione, organizzazione, condizioni di lavoro e nuove tecnologie. In tale contesto, la protezione della salute dei lavoratori non può essere più considerata come un elemento a se stante, subordinato o conseguente alle scelte tecniche ed organizzative, ma costituisce un aspetto tipico e ordinario dell’organizzazione dinamica dell’attività produttiva che si esprime plasticamente nel fondamentale obbligo di valutazione dei rischi. Peraltro, la programmazione della salute e della sicurezza dei lavoratori deve essere la risultante di un processo di consultazione permanente con i lavoratori (o i loro rappresentanti) da attuarsi “a monte”, evitando azioni unilaterali di modifica del sistema prevenzionale 32.

Muovendosi in questa prospettiva, è del tutto evidente come la dir. n. 89/391/Cee faccia propri alcuni principi ed orientamenti cari all’Organizzazione internazionale del lavoro sia per quanto concerne l’approccio globale e multidisciplinare alla prevenzione ‒ cui esplicitamente si rifanno la convenzione n. 155/1981 e la raccomandazione n. 164/1981 sulla sicurezza, salute dei lavoratori e ambiente di lavoro, ma anche la convenzione n. 161/1985 sui servizi per la salute sul lavoro – sia relativamente alla collaborazione (necessaria) tra lavoratori e datori di lavoro, cui si richiamano espressamente gli artt. 19, lett. a, c-e e 20 della convenzione n. 155/1981, quando affermano, tra l’altro, il diritto dei lavoratori e dei loro rappresentanti ad essere informati/consultati, e a ricevere una formazione appropriata. La dir. n. 89/391/Cee ribadisce anche il principio che qualifica le norme introdotte come “disciplina minima” che, ai sensi dell’art. 4, comma 1, e dell’art. 8 della convenzione n. 155/1981, gli Stati membri dovranno definire, applicare e riesaminare periodicamente anche consultando le organizzazioni sindacali rappresentative, nel rispetto delle previsioni nazionali di maggior favore.

I principi richiamati orientano tutta la successiva legislazione comunitaria tecnica o di dettaglio, conformando gli ordinamenti nazionali degli Stati membri tenuti ad attuarla. Sotto quest’ultimo aspetto appare necessaria un’attenta riflessione

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letteralmente il diritto scritto ‒ potrebbero derivare dalla formulazione in termini assoluti dell’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro.

32 La direttiva agisce direttamente sul sistema di relazioni industriali, adottando strategie di tipo gestionale e partecipativo sia sul piano dei rapporti endoaziendali sia su quello tecnico-regolamentare: così, TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 97. Tale impostazione ha positivamente influenzato tutti i sistemi legislativi nazionali determinandone l’evoluzione verso modelli non fondati esclusivamente su dettagliate discipline di natura prescrittiva, ma piuttosto caratterizzati dalla previsione di misure volte al raggiungimento di obiettivi: cfr. LAI, ivi, p. 664.

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sull’efficacia giuridica del rilevante numero di disposizioni contenute nella direttiva quadro come nelle direttive particolari. Tale riflessione si impone soprattutto a fronte dell’attività svolta dalla Corte di Giustizia che, chiamata a controllare la corretta attuazione delle stesse direttive negli ordinamenti degli Stati membri, ha nel tempo elaborato diversi principi destinati a regolare il complesso processo di armonizzazione sociale comunitaria.

Va innanzitutto ricordato come la Corte di Giustizia si sia molto impegnata a fornire un’interpretazione rigorosa delle disposizioni comunitarie in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Ciò ha comportato una compressione progressiva degli spazi di discrezionalità dei legislatori nazionali non soltanto nella fase di recepimento delle direttive, ma anche in quella della loro successiva attuazione/applicazione, esigendo la chiarezza e la precisione del dettato normativo – soprattutto per quanto riguarda le definizioni 33 ‒ sia al fine di evitare ogni possibile ambiguità di ordine tecnico/pratico 34, sia per assicurare ai diversi destinatari la conoscenza di tutti i diritti che ne possono derivare 35, in modo da potersene avvalere proficuamente davanti ai giudici 36. In tal senso, non è consentito che la trasposizione delle previsioni comunitarie avvenga soltanto per mezzo di norme nazionali “aperte” (come, ad es., l’art. 2087 c.c.), rinunciando cioè a formalizzare quali siano i requisiti minimi (imposti dalle direttive) comunque da conseguire 37.

Ricordando che la direttiva quadro impone agli stati membri di assicurare una vigilanza e una sorveglianza adeguata e di garantire l’efficacia dei diritti derivanti dalle norme comunitarie, la Corte di Giustizia ha riconosciuto alla Commissione il potere di verificare che il complesso delle misure di sorveglianza e di controllo previsto dagli ordinamenti nazionali sia sufficientemente efficace per consentire un’applicazione corretta e un adempimento “sostanziale” delle disposizioni (della direttiva) 38, da valutarsi considerando l’approntamento degli strumenti necessari 39.

________ 33 C. Giust. CE, 15 novembre 2001, C-49/00; C. Giust. CE, 22 maggio 2003, C-441/01. Le definizioni contenute nelle direttive devono essere interpretate in senso ampio e non restrittivo, per non compromettere il loro “effetto utile”: così, C. Giust. CE, 6 luglio 2000, C-11/99.

34 C. Giust. CE, 24 ottobre 2002, C-455/00; C. Giust. CE, 7 gennaio 2004, C-58/02.

35 C. Giust. CE, 10 aprile 2003, C-65/01; C. Giust. CE, 24 ottobre 2002, C-455/00; C. Giust. CE, 15 aprile 2008, C-268/06.

36 C. Giust. CE, 30 maggio 1991, C-36/88; C. Giust. CE, 10 aprile 2003, C-65/01; C. Giust. CE, 24 ottobre 2002, C-455/00.

37 C. Giust. CE, 15 novembre 2001, C-49/00; C. Giust. CE, 10 aprile 2003, C-65/01.

38 C. Giust. CE, 12 giugno 1990, C-8/88.

39 Vedi C. Giust. CE, 17 giugno 1999, C-336/97, avete ad oggetto l’inadempimento dell’art. 7 della dir. n. 82/501 sui rischi di incidenti rilevanti, determinata dalla mancata predisposizione dei piani di emergenza necessari e dalla non effettuazione delle ispezioni e dei controlli richiesti.

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La Corte non ha mancato altresì di affermare che non è sufficiente recepire la maggior parte delle norme contenute in una direttiva, ma che agli Stati membri è imposta l’attuazione integrale 40, da realizzarsi attraverso l’adozione di idonei atti di carattere normativo o regolamentare 41, i quali sono legittimi anche se vanno oltre i valori limite previsti, qualora costituiscano una misura di maggior protezione delle condizioni di lavoro 42. Questa indicazione assume un duplice importante riferimento: al possibile utilizzo di fonti extra legislative, tra cui, in particolare, i contratti collettivi, purtroppo penalizzati dalla mancanza (in molti ordinamenti nazionali) di efficacia erga omnes 43; alla vincolatività delle c.d. “clausole di non regresso” presenti in quasi tutte le direttive sociali a partire dalla fine degli anni ottanta, alle quali anche la dir. n. 89/391/Cee fa significativo ricorso 44.

Inoltre, la Corte non ha consentito agli Stati membri di eccepire disposizioni, prassi o situazioni di diritto interno (anche quando connesse alla loro organizzazione federale) per giustificare l’inosservanza di obblighi o termini imposti dalle direttive: la mancata adozione da parte delle entità territoriali competenti delle norme di adeguamento determina l’inadempimento dello Stato

________ 40 C. Giust. CE, 18 maggio 2000, C-45/99. Tuttavia, per C. Giust. CE, 6 aprile 2006, C-428/04, la trasposizione di una direttiva non implica una riproduzione formale o letterale delle sue disposizioni, essendo sufficiente garantire la loro concreta applicazione.

41 C. Giust. CE, 27 novembre 2003, C-66/03. Non costituisce valido adempimento l’adozione di semplici prassi amministrative, in quanto modificabili dalla stessa amministrazione e non supportate da idonea pubblicità: C. Giust. CE, 17 gennaio 2002, C-394/00; C. Giust. CE, 17 maggio 2001, C-159/99.

42 Stante l’affermato carattere “minimale” della disciplina comunitaria, non potrebbe verificarsi alcun contrasto con l’esercizio delle libertà fondamentali stabilite dal Trattato: C. Giust. CE, 17 dicembre 1998, C-2/97. Cfr., ARRIGO, Il diritto del lavoro dell’Unione Europea, II, Milano, 2001, p. 269.

43 Ai sensi e per gli effetti dell’art. 137.4 Tce, gli Stati membri possono delegare alle parti sociali che ne facciano richiesta il recepimento delle direttive di politica sociale; ovviamente, ciò non li dispensa dall’obbligo di garantire (mediante opportuni provvedimenti legislativi, regolamentari e amministrativi) il raggiungimento degli scopi tutelati dalla disciplina comunitaria, compresa la piena fruibilità di tutti i diritti ivi previsti: vedi C. Giust. CE, 10 luglio 1986, C-235/84. In dottrina: GUARRIELLO, Il ruolo delle parti sociali nella produzione e nella attuazione del diritto comunitario, in Europa e diritto privato, 1999, p. 243, in part. p. 260.

44 E che così recita: “La presente direttiva non può giustificare l’eventuale riduzione dei livelli di protezione già raggiunti in ciascun Stato membro, poiché gli Stati membri, in virtù del Trattato, stanno cercando di promuovere il miglioramento delle condizioni esistenti in questo settore e si sono prefissi l’obiettivo dell’armonizzazione di dette condizioni esistenti”. Sul tema delle clausole di non regresso, cfr.: CARABELLI, LECCESE, L’interpretazione delle clausole di non regresso, Opinione, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2004, p. 537; GAROFALO L., Le clausole di «non regresso» nelle direttive comunitarie in materia di politica sociale, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2004, I, p. 48 ss.; DELFINO, Il principio di non regresso nelle direttive in materia di politica sociale, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2002, pp. 487-488; CATALUCCI, Direttive europee, clausola di non regresso e modelli di recepimento, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2006, I, p. 309 ss.; ALES, “Non regresso” senza dumping sociale ovvero del “progresso” nella modernizzazione (del modello sociale europeo), in Diritti lavori mercati, n. 1, 2007, p. 5 ss.

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membro che pur abbia promosso a livello centrale tutte le disposizioni necessarie 45. Soltanto nell’ipotesi di disposizioni che impongano misure di prevenzione particolarmente costose o complesse, i giudici europei hanno ritenuto ammissibili soluzioni che ne dilazionino l’entrata in vigore (se non in contrasto con il principio di proporzionalità) e operino nel rispetto del termine finale stabilito dalla direttiva. Resta altresì non consentito ai legislatori nazionali differenziare l’adempimento di determinati obblighi in ragione delle dimensioni dell’impresa, fatta eccezione per la possibilità di una loro limitata modulazione a seconda della consistenza e del tipo di attività svolta 46.

Come per le modalità di trasposizione delle direttive, anche sui tempi di adempimento la Corte di Giustizia ha assunto posizioni di rigore, non ammettendo giustificazioni per i ritardi 47. L’esistenza di un inadempimento deve essere, infatti, valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito per il recepimento, non potendosi tenere conto dei provvedimenti eventualmente emanati successivamente 48. E’ ritenuta invece possibile un’attuazione più rapida di quella formalmente prevista, purché essa non sia tale da impedire l’adeguamento o comporti costi manifestamente eccessivi rispetto a quelli che si sarebbero dovuti sopportare nel caso in cui il termine originario non fosse stato anticipato 49.

3.1. I contenuti essenziali della direttiva quadro. Definizioni e ambiti di applicazione

L’approccio globale e l’ampiezza degli obiettivi della direttiva quadro trovano chiara conferma nella definizione del suo campo di applicazione: ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, essa “concerne tutti i settori d’attività, privati o pubblici” e si

________ 45 Tra le tante: C. Giust. CE, 12 maggio 2002, C-383/00; C. Giust. CE, 17 gennaio 2002, C-423/00; C. Giust. CE, 11 ottobre 2001, C-110/00. Amplius, relativamente all’ordinamento italiano, TROISI, Competenze legislative e funzioni amministrative sulla “sicurezza del lavoro”, in RUSCIANO, NATULLO, op. cit., pp. 44-45.

46 Come avviene ad esempio nel caso dello svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti propri dei servizi di prevenzione e protezione (art. 7.7) oppure rispetto agli obblighi d’informazione (art. 10.1). In dottrina è stato segnalato il rischio che le piccole imprese possano ottenere “sconti” sugli standard di sicurezza attraverso interpretazioni adeguatrici delle norme, soprattutto delle c.d. “clausole elastiche”, sia da parte della giurisprudenza sia delle autorità amministrative preposte alla vigilanza e al controllo (TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., pp. 84-85). Cfr.: sull’obbligo di disporre un documento di valutazione dei rischi, C. Giust. CE, 7 febbraio 2002, C-5/00; in tema di designazione dei lavoratori incaricati di svolgere le attività di pronto soccorso, lotta antincendio ed evacuazione, C. Giust. CE, 6 aprile 2006, C-428/04.

47 C. Giust. CE, 27 ottobre 1998, C-364/97.

48 C. Giust. CE, 26 aprile 2007, C-135/05; C. Giust. CE, 10 aprile 2008, C-442/06.

49 C. Giust. CE, 17 dicembre 1998, C-2/97.

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applica a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, senza alcun riferimento al numero dei loro dipendenti.

La ricomprensione delle pubbliche amministrazioni nel campo di applicazione costituisce il primo caso di un atto di armonizzazione comunitaria che incide su una branca del diritto del lavoro, quello pubblico, che fino a quel momento era stata riservata al diritto statuale. Ora anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a organizzare i propri sistemi di sicurezza e assumersene tutte le conseguenti responsabilità 50, fatte salve limitate eccezioni per alcune attività specifiche, quando particolari esigenze vi si oppongano in modo imperativo (art. 2.2, comma 1). In tali casi di esclusione, gli Stati sono comunque chiamati a vigilare affinché la sicurezza e la salute dei lavoratori siano, per quanto possibile, assicurate in coerenza con gli obiettivi della direttiva, mediante la previsione di discipline specifiche 51.

A proposito della definizione di datore di lavoro, la direttiva quadro adotta una nozione unitaria (per il pubblico come per il privato) che fa leva sulla titolarità del rapporto e la responsabilità dell’impresa e/o dello stabilimento 52. Riguardo il lavoratore, l’art. 3, lett. a, lo definisce come “qualsiasi persona impiegata da un datore di lavoro, compresi i tirocinanti e gli apprendisti, a esclusione dei lavoratori domestici 53. La ragione di tale esclusione è senza dubbio riconducibile alla indiscussa particolarità dell’ambiente lavorativo ‒ che riguarda la sfera privata del datore di lavoro e dei suoi famigliari ‒ ed alla mancanza/alterità delle modalità organizzative tipiche di un contesto aziendale cui sono invece riferite le misure previste dalla direttiva 54.

________ 50 La vocazione della direttiva quadro ad assicurare l’universalità delle tutele si scontra inevitabilmente con molte difficoltà giuridiche (individuazione del datore di lavoro), organizzative (specificità del modello funzionale delle pubbliche amministrazioni) ed economiche (vincoli di bilancio): TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 86.

51 Nel rispetto del principio di proporzionalità: ARRIGO, La tutela, cit., p. 17. V. anche VALDÉS DE

LA VEGA, Occupational, cit., pp. 16-17, la quale, dopo aver ricordato che le eccezioni vanno interpretate restrittivamente, sottolinea come il principio utilizzato dal legislatore per legittimare un’eccezione all’applicazione della direttiva non sia semplicisticamente quello dei settori d’attività dalla stessa indicati ma più specificamente la particolare natura di taluni incarichi svolti dai lavoratori nell’ambito di quegli stessi settori.

52 Ai sensi dell’art. 3, lett. b, è datore di lavoro “qualsiasi persona fisica o giuridica che sia titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa e/o dello stabilimento”. In tema, LAZZARI, Datore di lavoro e obbligo di sicurezza, in I Working Papers di Olympus, n. 7/2012, p. 3 ss.

53 Cfr: BORZAGA, Nozione di lavoratore, libertà di circolazione e diritto di soggiorno in ambito comunitario, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2004, II, p. 683; MARETTI, Normativa comunitaria in materia di sicurezza: le nozioni di datore di lavoro, lavoratore e rappresentante per la sicurezza, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2001, p. 452.

54 Cfr.: ANGELINI, PASCUCCI, La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori domestici. Nuovi spunti di riflessione dopo il d.lgs. n. 81/2008, in SARTI (a cura di), Lavoro domestico e di cura, Roma, 2010, p. 223 ss., in part. p. 235. Ad avviso di PASCUCCI, 3 agosto 2007-3 agosto 2009. Due anni di attività legislativa

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Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, la dottrina è parsa dividersi tra chi ritiene che la disciplina comunitaria faccia esclusivo riferimento al lavoratore subordinato 55 e chi invece è propenso ad allargarne la portata anche a categorie di lavoratori non legati da un vero e proprio vincolo di subordinazione 56. Che i rapporti di lavoro autonomo siano da considerarsi esclusi dall’ambito protettivo della direttiva-quadro lo si potrebbe desumere anche dall’emanazione della raccomandazione del Consiglio europeo n. 2003/134/CE (18 febbraio 2003), nella quale vengono definite le misure di tutela destinate a garantire, in via immediata, proprio la sicurezza del lavoro autonomo, concepito non più come specifico “fattore di rischio”, ma meritevole di protezione ex se, soprattutto là dove si riconosce che “i lavoratori autonomi…possono essere esposti a rischi per la salute e la sicurezza analoghi a quelli che corrono i lavoratori dipendenti” (sesto considerando) 57.

A tutela dei lavoratori autonomi, la racc. n. 2003/134/CE detta un’elencazione esemplificativa delle misure che gli Stati membri possono decidere liberamente di adottare, comprendente atti di diversa natura e grado di vincolatività (provvedimenti legislativi per migliorare gli standard di sicurezza, incentivazioni economiche, campagne di sensibilizzazione, accesso alla formazione e all’informazione, controlli medici proporzionati ai rischi di esposizione) di cui chiede però di verificare il grado di efficacia, unitamente agli strumenti nazionali già esistenti (rispetto ad un arco temporale definito) e di riferirne i risultati alla Commissione.

3.2. (segue:) Gli obblighi dei datori di lavoro. Natura delle responsabilità e valutazione dei rischi

La direttiva quadro dedica due intere sezioni agli obblighi, rispettivamente, di datori di lavoro e lavoratori. Gli otto articoli della prima sezione, quella riguardante i datori di lavoro, costituiscono il “fulcro” della (nuova) disciplina comunitaria, incentrata intorno alla formulazione di una generale obbligazione di sicurezza risultante dal combinato disposto degli artt. 5.1. e 6, il primo dei quali

________ per la salute e la sicurezza dei lavoratori, Quaderni di Olympus – 3, 2011, p. 84, il carattere “domestico” del datore di lavoro dovrebbe influire sul “come” e sul “quanto” della tutela, ma non anche sul “se” della stessa.

55 Tra gli altri, SALERNO, Diritto comunitario della sicurezza del lavoro, Padova, 1990, p. 245.

56 Dovendo in tal caso necessariamente fare riferimento agli ordinamenti dei singoli Stati e alle tipologie di rapporti di lavoro specificamente disciplinati: LUNARDON, Subordinazione e diritto del lavoro in Europa, in Europa e diritto, 1998, 1, p. 8.

57 Cfr. SOPRANI, Lavoratori autonomi: prospettive di sicurezza sul lavoro, in Diritto e pratica del lavoro, 2002, p. 1367 ss.

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recita che “il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro”, mentre il secondo prescrive che il datore di lavoro deve adottare “le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori” e “provvedere costantemente all’aggiornamento…per tenere conto dei mutamenti di circostanze e mirare al miglioramento delle situazioni esistenti” 58.

La genericità delle formulazioni utilizzate non deve essere impropriamente interpretata come la legittimazione per i legislatori nazionali a esercitare un’assoluta discrezionalità nell’individuare i livelli di tutela. E’ senz’altro vero che la direttiva non specifica direttamente quali siano le misure di sicurezza da adottare ‒ di cui rileva soltanto il carattere di necessità rispetto all’obiettivo della protezione da assicurare ai lavoratori ‒ ma è altrettanto vero come la stessa affidi tale compito ad ogni datore di lavoro, specificando che dovrà essere assolto a seguito di una completa valutazione dei rischi esistenti sui luoghi di lavoro di cui si abbia la responsabilità.

La valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, inclusi quelli riguardanti i gruppi di lavoratori particolarmente esposti, è configurata dalla direttiva come “obbligo permanente a contenuto variabile”, comportante un’attività da ripetersi nel tempo ‒ in coerenza con la stessa evoluzione dei rischi professionali determinata dal progressivo sviluppo delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche ‒ e da formalizzare mediante la redazione di un documento scritto contenente l’indicazione delle misure e delle azioni di prevenzione da porre in essere rispetto al “complesso delle attività dell’impresa e/o dello stabilimento a tutti i livelli gerarchici” (art. 6.3, lett. a; art. 9. 1, lett. a-b). Sulla natura e sull’estensione dell’obbligo di predisporre un documento contenente la valutazione dei rischi, la Corte di Giustizia ha chiarito che si tratta di un obbligo essenziale di carattere non formale, giacché “strumentale” all’attività di altri soggetti operanti in azienda nel campo della sicurezza 59.

L’esatto adempimento dell’obbligo di valutazione dei rischi è presidiato dai principi generali che la stessa direttiva ha destinato a conformare l’adozione delle misure di prevenzione ed è corredato anche da poche ma efficaci prescrizioni, sia di carattere generale (designazione degli addetti al servizio di prevenzione,

________ 58 Vedi MONTUSCHI, La tutela della salute, cit., p. 396 ss., là dove rimarca che, secondo la direttiva, il ruolo del datore di lavoro, in ragione del bene costituzionale che reclama una protezione senza elusioni per ragioni di ordine pubblico, è profilato come attivo, non statico o passivo.

59 Da applicare in tutte le circostanze, a prescindere dal fatto che i datori di lavoro abbiano più o meno dipendenti: C. Giust. CE, 7 febbraio 2002, C-5/00. Nel caso trattato, la compatibilità del limite valutato dalla Corte era stato quello dei dieci dipendenti previsto dalla legislazione tedesca per esentare i datori di lavoro dall’osservanza dell’obbligo. V. anche Comunicazione della Commissione, COM (2004) 62 def., 11.

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determinazione dei compiti di prevenzione e protezione), sia di ordine più specifico (pronto soccorso, ruolo dei servizi di protezione e prevenzione, informazioni sugli infortuni sul lavoro, previsione del c.d. “droit d’alert”).

In merito alla designazione dei lavoratori destinati a occuparsi delle attività di prevenzione e protezione, la direttiva chiarisce che se le competenze all’interno dell’impresa o dello stabilimento dovessero essere insufficienti, il datore di lavoro dovrà fare ricorso a competenze esterne. In ogni caso, i lavoratori (ma anche le persone e i servizi esterni) designati, oltre a possedere le capacità richieste, devono disporre dei mezzi necessari ed essere in numero sufficiente ad assumere la responsabilità delle attività di protezione e prevenzione loro affidate, tenendo conto delle dimensioni dell’impresa e/o dei rischi a cui i lavoratori sono esposti, nonché della ripartizione dei rischi nell’ambito dell’impresa e/o dello stabilimento (art. 7) 60.

Com’era ovvio che fosse, sul corretto adempimento degli obblighi datoriali di prevenzione, la Corte di Giustizia è stata chiamata ad intervenire ripetutamente; tra le sentenze più significative va sicuramente annoverata la pronuncia del 15 novembre 2001, C-49/00 61. Tale sentenza dà risposta ad una serie di articolate accuse mosse dalla Commissione riguardanti le norme (emanate dal legislatore italiano) destinate ad esigere l’adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi relativi alla valutazione dei rischi (art. 4, comma 1, d.lgs. n. 626/94, come modificato dal d.lgs. n. 242/96), all’utilizzo di servizi esterni di protezione e prevenzione in mancanza di sufficienti competenze interne all’impresa, alla definizione delle attitudini e delle capacità che devono essere possedute dai responsabili delle attività di prevenzione e protezione (art. 8, d.lgs. n. 626/94).

Riguardo l’obbligo di valutazione dei rischi, ricordando che in base alla direttiva i datori di lavoro sono tenuti a valutare l’insieme dei rischi e che gli stessi non possono essere stabiliti una volta per tutti, la Corte ritiene che l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 626/94 ‒ avendo limitato la portata dell’obbligo alla tipologia di rischi indicati soltanto a titolo di esempio nell’art. 6.3, lett. a della direttiva ‒ non è in grado di realizzare una corretta trasposizione: la definizione di un “obbligo generale” non soddisfa la previsione dell’“obbligo specifico” imposto dalla direttiva di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, alla luce dei fini perseguiti e del contesto giuridico dalla stessa determinato 62.

________ 60 Agli Stati membri, il legislatore comunitario rinvia la definizione delle capacità e delle attitudini che deve possedere il personale addetto ai servizi di protezione e prevenzione. Cfr. RICCI, Tutela, cit., p. 61.

61 C. Giust. CE, 15 novembre 2001, C-49/00. Vedi PASQUARELLA, Sicurezza sul lavoro: una dura condanna per l’Italia, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2002, p. 1041.

62 Cfr., PERUZZI, La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, cit., pp. 16-17.

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Anche a proposito del corretto ricorso a persone o servizi esterni di prevenzione, la Corte ha ritenuto che la norma italiana (art. 8, d.lgs. n. 626/94) abbia eluso l’esigenza di effettività della disciplina comunitaria, sia per non aver reso evidente che al datore di lavoro fosse in ogni caso imposto di assumere personale in possesso delle adeguate capacità o di fare ricorso a persone e servizi esterni, sia per non aver definito quando le capacità e le attitudini debbano considerarsi adeguate 63. Peraltro, ritendendo che il dettato dell’art. 31 del d. lgs. n. 81/2008 non indichi alcun ordine di preferenza nella scelta tra servizio interno e servizio esterno di prevenzione e protezione, quando, al contrario, la normativa europea chiede che prima di cercare una professionalità esterna occorre verificarne la presenza all’interno dell’azienda, la Commissione europea ha aperto nei nostri confronti una nuova procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 Tfue 64.

Sulla complessa questione dell’effettività delle prescrizioni comunitarie relative alle responsabilità datoriali e alla loro esatta qualificazione giuridica, l’intervento della Corte di Giustizia del 14 giugno 2007 (C-127/05) ha offerto l’occasione per un chiarimento decisivo 65. Facendo proprie le argomentazioni formulate dall’Avvocato generale Mengozzi, la Corte ha infatti ritenuto che né dal dettato dell’art. 5.4, né dall’interpretazione sistematica dell’intero art. 5 sia possibile desumere che la responsabilità del datore di lavoro derivante dall’inosservanza dell’obbligazione generale di sicurezza abbia assunto natura oggettiva, né che sia ricavabile dall’art. 5.4 (in base ad una “interpretazione a contrario”) l’obbligo per gli Stati membri di prevedere un regime di responsabilità oggettiva.

Tutto ciò considerato, posto che la direttiva quadro chiede al datore di lavoro di prevenire o di limitare ‒ nella misura del possibile e tenendo conto dell’evoluzione della tecnica ‒ tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori concretamente prevedibili, i giudici hanno deciso che dovrà essere a lui imputabile a titolo di colpa (per la violazione dell’obbligazione generale di sicurezza) sia l’insorgenza di rischi prevedibili ed evitabili, sia la conseguenza di eventi che di tali rischi costituiscano la concretizzazione 66. Peraltro, la ________ 63 La regola comunitaria che la Corte ribadisce è chiarissima nel pretendere che il servizio di prevenzione e protezione disponga di professionalità adeguate che, ove non presenti all’interno, devono essere acquisiste all’esterno. V. anche C. Giust. CE, 22 maggio 2003, C-441/01. Cfr. BONARDI, La sicurezza del lavoro, cit., pp. 454-457; VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 20.

64 Si tratta della procedura di infrazione n. 2013/4117, pervenuta con lettera della Commissione C (2013) 3858 del 20 giugno 2013. Sulla questione, SCARCELLA, Aperta una procedura di infrazione per il servizio di prevenzione e protezione nel T.U., in Igiene e sicurezza del lavoro, n. 8-9/2013, p. 417 ss.

65 Ma trascurando quasi del tutto i contenuti dell’art. 6: così, BONARDI, La corte di Giustizia, cit., p. 15. Cfr.: LAI, Il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, in Diritto e pratica del lavoro, 1990, p. 1530; MONTUSCHI, La Corte Costituzionale e gli standard di sicurezza del lavoro, in Argomenti di diritto del lavoro, 2006, p. 9, in cui si fa riferimento al concetto di “responsabilità oggettiva attenuata”.

66 Ad avviso di BONARDI (La Corte di Giustizia, cit., pp. 16-17), il principio di precauzione, che impone che siano controllati oltre ai rischi conosciuti anche quelli ipotetici e non del tutto noti,

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riconduzione della responsabilità del datore di lavoro nell’ambito della colpa non sembra tale da inficiare l’effettività e l‘efficacia della disciplina comunitaria anche in ragione delle previsioni che ne escludono l’esonero, sia nel caso di ricorso a competenze esterne, sia a fronte di obblighi posti in capo ai lavoratori 67.

3.3. (segue:) Obblighi dei lavoratori

La sezione III della dir. quadro è dedicata agli obblighi dei lavoratori, nella loro qualità di “soggetti attivi” della prevenzione. L’art. 13.1 recita che ciascun lavoratore ha l’obbligo di prendersi ragionevolmente cura oltre che della propria sicurezza anche di quella delle altre persone su cui possono ricadere gli effetti delle proprie azioni o omissioni. Per la realizzazione di tali obiettivi, conformemente alla loro formazione e alle istruzioni fornite (dal datore di lavoro), ai lavoratori è destinato un elenco (esemplificativo) di prescrizioni che vanno dall’uso corretto di macchinari, attrezzature, mezzi di protezione, dispositivi di sicurezza, alla segnalazione di situazioni di pericolo grave ed immediato o di difetti dei sistemi di protezione, passando attraverso il contributo allo svolgimento delle mansioni o all’adempimento degli obblighi imposti dalle norme per tutelare la salute e la sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro.

Com’è evidente, la cura della propria salute non costituisce un’obbligazione coercitiva tale da condizionare la libertà del lavoratore nel disporre della propria persona; né l’obbligo di adoperarsi per garantire la sicurezza degli ambienti può spingersi al di là di quanto comporti il rispetto delle regole poste dal datore di lavoro, alla stregua dei comuni doveri di obbedienza e normale diligenza che gravano su ogni lavoratore, con riferimento all’istruzione e alla formazione dallo stesso acquisita o ricevuta 68: è in tal senso, peraltro, che vanno correttamente

________ sarebbe immanente anche nella direttiva quadro n. 89/391/Cee: che si tratti di un rischio certo o di un pericolo solo potenziale per la salute, il datore di lavoro sarà comunque responsabile per colpa qualora non abbia diligentemente valutato tutti i pericoli e adottato tutte le misure di sicurezza che la migliore tecnologia ha reso disponibili. Sull’esenzione prevista dal legislatore italiano dall’obbligo di vigilanza delle funzioni delegate da un datore di lavoro che abbia adottato un modello di gestione, vedi SOPRANI, Parere motivato della Commissione contro l’Italia sul tema della delega prevenzionistica, in Igiene e sicurezza sul lavoro, 2013, p. 309 ss.

67 La disciplina comunitaria in materia di tutela della salute e sicurezza concorre a definire un principio unitario di responsabilità articolabile funzionalmente in ambito nazionale, espressione di un sistema normativo regolato in modo autonomo e autosufficiente, come tale idoneo a garantire un efficace processo di armonizzazione coesiva. Sul tema, FORTE, Gli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza dell’ambiente di lavoro, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 1999, p. 645. V. anche VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 20.

68 EMILIANI, Il dovere di sicurezza del lavoratore verso se stesso alla luce della normativa comunitaria, in Argomenti di diritto del lavoro, 2009, pp. 123-124.

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interpretati i riferimenti alla “ragionevolezza” che il legislatore comunitario utilizza ripetutamente (all’art. 13, commi 1 e 2, lett. d) 69.

In dottrina si è molto discusso se nel contenuto dell’art. 13 della direttiva fosse rinvenibile il fondamento di una corresponsabilizzazione del lavoratore nella gestione della salute e sicurezza dei lavoratori 70. La tesi non può essere condivisa soprattutto perché implica un’impropria sovrapposizione tra la dimensione collaborativa esistente fra i soggetti attivi della prevenzione e la responsabilità (soggettiva) che deriva dall’inadempimento di obblighi diversi che sono ricollegati a ruoli ben caratterizzati e distinti dalla disciplina applicabile 71.

3.4. I diritti individuali e i diritti collettivi di informazione, di consultazione e di controllo. Logiche partecipative e modelli di rappresentanza

Rispetto ai lavoratori, più che sugli obblighi, la disciplina della direttiva quadro è incentrata su alcuni significativi diritti, di natura individuale e collettiva, che spettano loro in quando “beneficiari” dell’obbligazione datoriale di sicurezza. In particolare, è il riconoscimento di diritti a valenza collettiva che merita attenzione: essi rendono manifesta l’opzione del legislatore comunitario a favore della concreta realizzazione di una forte strategia partecipativa nella gestione aziendale della sicurezza. In tale prospettiva, i lavoratori e/o le loro rappresentanze devono poter disporre di adeguate prerogative – non ultima, la garanzia contro i pregiudizi che possono derivare dallo svolgimento della loro attività di rappresentanza (art. 12.4) 72 ‒ che gli consentano di collaborare con il datore di lavoro nell’individuazione dei rischi e degli strumenti utili a prevenirli, ma anche di controllare l’adempimento degli obblighi di sicurezza imposti dalla legge.

Tra i diritti di natura non soltanto collettiva riconosciuti dalla direttiva, un ruolo sicuramente centrale è quello attribuito al diritto d’informazione ‒ giustamente

________ 69 Tali riferimenti sono contenuti anche in direttive antecedenti, come ad esempio nella dir. n. 86/188/Cee del 12 maggio 1986 in materia di riduzione del rumore “al più basso livello ragionevolmente possibile” (art. 5.1). CORRIAS, Sicurezza e obblighi del lavoratore, Torino, 2008, pp. 56-57.

70 MAGNO, La tutela del lavoro nel diritto comunitario, Padova, 2000, p. 189. Vedi C. Giust. CE, 10 dicembre 2010, E-2/10, in merito alle responsabilità di un lavoratore per le perdite subite in conseguenza di un incidente verificatosi (anche) per sua negligenza.

71 APARICIO TOVAR, Sicurezza sul lavoro, cit., p. 575, ma anche p. 577: peraltro, ai sensi dell’art. 5.3 della direttiva quadro, l’affermata responsabilità in capo ai lavoratori non intacca quelle del datore di lavoro, tenuto altresì a vigilare affinché i lavoratori si conformino alle sue prescrizioni. V. anche EMILIANI, Il dovere, cit., p. 114 ss.

72 Cfr. NATULLO, La tutela, cit., p. 223, ma anche ID, “Nuovi” contenuti della contrattazione collettiva, organizzazione del lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in I Working Papers di Olympus, n. 5/2012, p. 2.

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considerato come il primo presupposto della “buona” prevenzione ‒ relativo ai rischi per la salute e la sicurezza e ai metodi prevenzionali effettivamente adottati nell’impresa, un diritto spettante sia ai lavoratori sia ai loro rappresentanti ed implicante l’accesso alla documentazione inerente la valutazione dei rischi e le misure di protezione adottate nonché ai dati degli infortuni (superiori a tre giorni) verificatesi nell’impresa, comprese le notizie provenienti dai servizi ispettivi 73.

Purtroppo, nonostante la loro indubbia rilevanza, i diritti d’informazione collocano i lavoratori e i loro rappresentanti in una posizione meramente passiva; soltanto il contestuale riconoscimento dei diritti di consultazione ‒ che impongono al datore di lavoro di ascoltare preventivamente e tempestivamente l’opinione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti su qualunque azione in grado di produrre effetti rilevanti sulle condizioni di salute e sicurezza ‒ sembra in grado di realizzare almeno in parte quell’opzione partecipativa da tutti indicata come uno dei principali connotati distintivi della direttiva quadro 74. Peraltro, se i diritti di consultazione si spingono molto al di là dal “mero ascolto” presupponendo insieme allo scambio di opinioni il diritto di formulare proposte e soluzioni, è tuttavia al concetto di “partecipazione equilibrata” che si affida il perseguimento degli obiettivi più ambiziosi 75: per il legislatore europeo, esso costituisce il first best, ovvero lo strumento prioritario per conseguire il miglioramento dei livelli di protezione, come la stessa Corte di Giustizia ha esplicitamente riconosciuto 76.

Non particolarmente efficace appare la previsione delle attività (collettive) destinate al “controllo”, limitandosi la direttiva a consentire ai lavoratori e ai loro

________ 73 La definizione delle procedure concrete attraverso cui rilasciare le informazioni spetta interamente alle legislazioni e prassi nazionali. Obblighi di informazione erano stati previsti anche in alcune importanti convenzioni OIL, tra le quali la conv. n. 148/1977 (che configura l’informazione sia come obbligo datoriale che come diritto dei lavoratori) e la conv. n. 155/1981 (che individua come destinatari delle informazioni non soltanto i lavoratori ma anche i loro rappresentanti).

74 Diritti che non possono non assumere una dimensione intrinsecamente collettiva. Cfr. ANGELINI, Discipline vecchie e nuove in tema di rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, in I Working Papers di Olympus, n. 20/2013, pp. 5-6.

75 LAI, Salute e sicurezza, cit., p. 666, rileva giustamente come consultazione e “partecipazione equilibrata” sono sì concetti sanciti congiuntamente (art. 11.1), ma risultano essere alternativi se posti in relazione ai rispettivi “ambiti di intervento”(art. 11.2). Anche per quanto concerne la nozione di “partecipazione equilibrata”, la direttiva coerentemente rinvia a legislazioni e prassi nazionali. Vedi anche VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 21.

76 C. Giust. CE, 22 maggio 2003, C-441/01. Cfr. BONARDI, La sicurezza del lavoro, cit., pp. 481-483, ad avviso della quale nessuna disposizione della direttiva esclude la gestione contrattuale e/o conflittuale della materia della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, purché ruolo ed intervento siano opportunamente limitati. Concorda NATULLO, Sicurezza del lavoro e rappresentanze dei lavoratori nella prospettiva del diritto comunitario, in Diritto delle relazioni industriali, 1993, p. 214: la logica partecipativa in cui si muove la normativa Cee ha come implicazione anche quella di dare indirettamente impulso all’attività contrattuale.

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rappresentanti, che reputino insufficienti le misure di tutela adottate e i mezzi impiegati dal datore di lavoro, di fare ricorso alle autorità pubbliche competenti (art. 11.5), e ai soli rappresentanti di avanzare osservazioni in occasione delle visite/verifiche dalle stesse autorità effettuate in azienda (art. 11.6).

Per quanto riguarda i diritti a “titolarità individuale”, occorre innanzitutto ribadire che il diritto all’informazione non può essere correttamente apprezzato disgiuntamente dal (complementare) diritto a ricevere una formazione idonea: l’informazione verrebbe altrimenti vanificata dall’indisponibilità degli strumenti cognitivi necessari ad affrontare le situazioni di rischio, soprattutto di quelle che si determinano in alcuni “momenti” particolari come l’assunzione o il mutamento di mansioni, il cambiamento delle attrezzature di lavoro o l’introduzione di nuove tecnologie (art. 12). Il lavoratore che svolge le funzioni di rappresentante per la sicurezza ha diritto a una formazione specifica commisurata alle esigenze connesse alle importanti funzioni (di rappresentanza) attribuite.

Al singolo lavoratore, gli artt. 8.3, lett. c e 8.4 riconoscono il diritto ad astenersi dalla prestazione in caso di pericolo grave ed imminente (c.d. ius resistentiae), senza che da ciò possa legittimamente derivargliene alcun pregiudizio; l’esistenza di una condizione di pericolo comporta il venir meno dei poteri direttivo ed organizzativo del datore di lavoro, il quale non potrà (legittimamente) chiedere lo svolgimento dell’attività lavorativa contrattualmente prevista 77.

A proposito della titolarità dei diritti collettivi di tutela delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, la direttiva non sembra esprimere alcuna particolare preferenza circa il “modello di rappresentanza” da implementare. La stessa esistenza di una rappresentanza collettiva parrebbe non essere considerata giuridicamente necessaria: il legislatore comunitario, utilizzando la formula “lavoratori e/o loro rappresentanti” (artt. 10.1, 11.1), sembrerebbe considerare come legittimo l’esercizio di tali diritti (collettivi) anche quando effettuato direttamente dai lavoratori 78.

Sull’ambiguità del dettato normativo sicuramente ha influito un atteggiamento di prudente self restrainte del legislatore comunitario, che si è limitato a rinviare alle “prassi nazionali” 79 anche per quanto riguarda il riferimento ‒ rilevante rispetto

________ 77 Come scrive APARICIO TOVAR, Sicurezza sul lavoro, cit., p. 588, superando la presunzione di legittimità delle disposizioni datoriali, la direttiva configura un vero e proprio ius resistentiae che sovverte il tradizionale principio del solve et repete.

78 Non è dello stesso avviso APARICIO TOVAR, Sicurezza sul lavoro, cit., p. 586, il quale ritiene che l’art. 10.3 presupponga come certa la presenza di una qualche forma di rappresentanza. Sul punto, OGRISEG, Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza in Italia: un adeguato recepimento della direttiva comunitaria?, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2002, I, p. 540.

79 LAI, Salute e sicurezza, cit., p. 667. Sulle modalità di attuazione, cfr.: RICCI, Tutela della salute, cit., p. 63, il quale ricorda come i paesi membri abbiano dato vita a modelli di rappresentanza

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all’an e al quomodo della costituzione delle rappresentanze per la sicurezza in quasi tutti gli ordinamenti nazionali ‒ alla dimensione dell’impresa, rispetto alla quale va opportunamente rammentata la “clausola di temperamento” prevista dal 4° considerando della direttiva quadro che, conformemente a quanto previsto dall’art. 118A Tce, stabilisce che non devono essere imposti vincoli amministrativi, finanziari e giuridici tali da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese 80.

La direttiva non rinuncia a dettare una definizione di “rappresentante dei lavoratori” (art. 3, lett. c), dovendo intendersi per tale qualsiasi persona eletta, scelta o designata, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, per rappresentare i lavoratori per quanto riguarda i problemi della protezione della loro sicurezza e salute durante il lavoro, rimarcando in particolare il carattere della sua “specializzazione funzionale”, vale a dire della competenza necessaria ad esercitare un’azione dettata da regole, criteri e metodi sicuramente differenti da quelli “ordinari” 81.

4. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nelle c.d. direttive “particolari”

Per l’attuazione dei suoi principi e delle sue disposizioni, l’art. 16 della dir. quadro prevede che il Consiglio adotti alcune “direttive particolari” relative a specifici settori espressamente indicati in un apposito allegato; essi riguardano, rispettivamente, il luogo di lavoro, le attrezzature di lavoro, le attrezzature di protezione individuale, i lavori con attrezzature dotate di videoterminali, la movimentazione di carichi pesanti comportanti rischi lombari, i cantieri temporanei e mobili, la pesca e l’agricoltura 82.

________ differenziati in base alle soglie dimensionali; GALLI, I RLS in Europa. Esercizio del ruolo e modalità di individuazione, in Ambiente e sicurezza sul lavoro, 2009, n. 1, p. 105. Per OGRISEG, Le rappresentanze, cit., p. 537 ss., in part. p. 541, il riconoscimento delle “prassi nazionali” se conferma l’ampia discrezionalità degli Stati in merito alla scelta degli strumenti di attuazione, dall’altro solleva alcune fondate perplessità riguardo alla natura delle misure ammissibili di recepimento, non essendo gli Stati dispensati dal garantire che tutti i lavoratori fruiscano della tutela stabilita dalla direttiva nella sua integralità. Vedi C. Giust. CE, 10 luglio 1986, C-235/84, con nota di DE LUCA (in Il foro italiano, 1989, IV, cc. 11-20).

80 Come ben rileva NATULLO, Sicurezza del lavoro e rappresentanze, cit., p. 212, si tratterebbe di un principio-guida la cui attuazione è delegata non agli Stati, ma riservata alle direttive; la dir. quadro, in particolare, prevede diversi casi di possibili differenziazioni connesse alla dimensione dell’impresa (art. 7.5; art. 10.1).

81 NATULLO, La tutela, 224; LAI, Diritto della salute, p. 167.

82 Come ben sottolinea VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 21, il rapporto tra la direttiva quadro e le direttive particolari si basa sul principio della piena applicazione della disciplina quadro anche negli ambiti di specifica competenza delle direttive particolari, le quali possono contenere disposizioni più dettagliare e “rigorose”.

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Dal 1989, il Consiglio europeo ha emanato un numero davvero rilevante di (tali) “direttive particolari”, realizzando (in molti casi) nel corso degli anni anche significativi processi di “armonizzazione progressiva” nell’ambito delle singole tematiche, e ciò grazie soprattutto all’azione interpretativa e sanzionatoria svolta dalla Corte di Giustizia.

A tali direttive particolari se ne devono poi aggiungere altre che, pur non “direttamente dipendenti” dalla direttiva quadro, non soltanto contengono riferimenti più o meno espliciti alle sue disposizioni ed ai suoi principi, ma ne condividono la base giuridica 83.

4.1. Il lavoro ai videoterminali

La dir. n. 90/270/Cee relativa alle attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali ha assunto particolare rilievo per le importanti ricadute giurisprudenziali connesse all’esatta interpretazione delle sue disposizioni, in particolare quelle concernenti, da un lato, la protezione degli occhi e della vista, attraverso l’imposizione di un obbligo specifico di sorveglianza sanitaria, la previsione dei requisiti minimi di sicurezza dello schermo del videoterminale (buona definizione, sufficiente grandezza dei caratteri, stabilità dell’immagine, facile regolabilità ed adattabilità della funzione di contrasto, orientabilità e declinabilità) 84 e delle condizioni dell’ambiente di lavoro (appropriata illuminazione, senza riflessi o fenomeni di abbagliamento) e, dall’altro lato, la prevenzione di possibili disturbi muscolari e vertebrali riconducibili alla non corretta strutturazione ergonomica della postazione lavorativa (tastiera, piano e sedile di lavoro) 85.

Rispetto all’obbligo di sorveglianza sanitaria, la direttiva prevede appositi esami agli occhi ed alla vista, da effettuarsi sia prima di iniziare l’attività al videoterminale sia periodicamente, soprattutto ogni volta in cui subentrino disturbi visivi attribuibili all’attività lavorativa. I lavoratori dovranno altresì ________ 83 Di tale “raggruppamento” fanno sicuramente parte: la c.d. “direttiva macchine” n. 89/392, cui sono collegate le dir. n. 91/368/CE, n. 93/44/CE, n. 93/58/CE; la dir. n. 91/383/Cee sulla salute e sicurezza dei lavoratori a tempo determinato e interinale; la dir. n. 92/29/Cee sull’assistenza medica a bordo delle navi; la dir. n. 93/104/CE sull’orario di lavoro e le sue successive modificazioni (n. 2000/34/CE; n. 2000/79/CE; n. 2002/15/CE; n. 2003/88/CE); la dir. n. 94/33/CE sulla protezione dei giovani sul lavoro; le dir. n. 83/477/Cee, n. 1999/77/CE, n. 2009/148/CE sull’amianto; la dir. n. 2012/18/UE sul pericolo di incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose. Per un quadro completo delle direttive particolari che sono state emanante, vedi VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., pp. 22-23.

84 C. Giust. CE, 6 Luglio 2000, C-11/99.

85 LANOTTE, La tutela del lavoro al videoterminale tra norme di diritto interno e disciplina comunitaria, in Il lavoro nella giurisprudenza, 1997, p. 542.

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beneficiare di un ulteriore esame oculistico qualora le visite ordinarie previste dagli obblighi di sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità e ricevere appositi dispositivi speciali di correzione qualora quelli normali non risultino sufficienti, senza alcun onere finanziario a loro carico (art. 9) 86.

Con sentenza del 12 dicembre 1996 (C-74/95 e C-129/95), la Corte di Giustizia è stata chiamata a risolvere una pluralità di importanti questioni sollevate dalla Pretura di Torino 87. Confermando il suo tradizionale rigore 88, riguardo il concetto di “lavoratore che utilizzi regolarmente, durante un periodo significativo del suo lavoro normale, un’attrezzatura munita di videoterminale” (art. 2, lett. c), la Corte ha affermato come la direttiva, non fornendo alcuno specifico chiarimento, rinvii agli Stati membri il compito di precisarne la portata in sede di trasposizione 89. Per quanto attiene la prescrizione degli esami periodici, essa deve intendersi estesa a tutti i lavoratori rientranti nel campo di applicazione della direttiva senza limitazione alcuna; a tali lavoratori va altresì assicurato anche l’ulteriore esame specialistico quando ne sia ravvisata la necessità. Infine, per quanto riguarda l’obbligo (incombente sul datore di lavoro) di prendere le misure appropriate affinché i posti di lavoro soddisfino le prescrizioni minime indicate nell’allegato, la Corte chiarisce che tale obbligo richiama indistintamente tutte le prescrizione ivi enunciate (attrezzature, ambiente e interfaccia uomo/computer) e tutti i posti di lavoro, siano essi occupati oppure no da lavoratori che utilizzino regolarmente un videoterminale.

4.2. La sicurezza dei lavoratori “temporanei”

________ 86 C. Giust. CE, 24 ottobre 2002, C-455/00, ha nuovamente condannato l’Italia per non aver definito le condizioni nel rispetto delle quali devono essere forniti i dispositivi speciali di correzione. Sulla sentenza: BERTOCCO, Videoterminali: la Corte di giustizia condanna nuovamente l’Italia per la non corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2003, II, p. 463; CORRADO, Dispositivi speciali per gli addetti ai videoterminali, in Guida al diritto, 8, 2003, p. 49. Cfr. NUNIN, Tutela dei lavoratori addetti ai videoterminali: la normativa italiana e i rilievi della Corte di giustizia, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2003, p. 130; RICCI, Diritto del lavoro e disillusioni nazionali: la dimensione comunitaria come «antidoto», in Il foro italiano, 2006, V, c. 146.

87 Vedi: PICCININO, La sicurezza ed igiene del lavoro ai videoterminali dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del 12 dicembre 1996, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 1997, p. 166; DUBINI, Il lavoro ai videoterminali, in Igiene e sicurezza sul lavoro, 1998, ins. n. 12; GUARINIELLO, La sentenza della Corte di Giustizia CE sulla sicurezza del lavoro ai videoterminali: insegnamenti e ripercussioni, in Il foro italiano, 1997, IV, c. 3.

88 Ribadito anche da C. Giust. CE, 6 luglio 2000, C-11/99, dove si chiarisce che il rispetto delle prescrizioni minime va assicurato a prescindere dal tipo di immagini visualizzate sullo schermo. Cfr. TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 101.

89 Sul punto, COSIO, La Corte di Giustizia CEE sul lavoro ai videoterminali, in Il diritto del lavoro, 1997, II, p. 193.

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A fronte di un ricorso che negli anni si è fatto sempre più frequente a rapporti di lavoro “flessibili”, la dir. n. 91/383/Cee sulla tutela della salute dei lavoratori atipici e temporanei ha assunto una funzione cruciale e strategica assai più rilevante di quanto si sarebbe mai potuto prevedere al momento della sua approvazione. Essa si fonda sul presupposto, noto e non contestato, che i lavoratori temporanei sono esposti a maggiori rischi d’infortunio e malattie professionali sia per le mansioni svolte sia per il contesto di scarsa formazione e di minore fidelizzazione al lavoro nel quale operano 90.

Limitato il campo di applicazione soltanto ai rapporti di lavoro a durata determinata e a quelli temporanei gestiti da agenzie di somministrazione, la finalità della direttiva è quella di garantire che questi lavoratori beneficino dello stesso trattamento di protezione (in materia di salute e sicurezza) di cui godono gli altri lavoratori, essendo a tal fine espressamente previsti sia il divieto di farvi ricorso per attività particolarmente rischiose o insalubri, sia le misure di accesso alle attrezzature di protezione individuale (art. 2.2). Sono considerati strumenti utili alla realizzazione della parificazione delle tutele, l’informazione, la formazione, la sorveglianza medica «speciale» e la previsione di adeguati servizi di protezione e prevenzione.

Alcune particolari disposizioni della direttiva sono dettate soltanto per i lavoratori somministrati (Sezione III). Più precisamente, gli Stati membri sono chiamati ad adottare le misure necessarie affinché l’impresa e lo stabilimento utilizzatore precisino all’Agenzia di somministrazione la qualifica professionale richiesta e le caratteristiche del posto di lavoro da occupare, così da consentire alla stessa (Agenzia) di darne adeguata informazione ai lavoratori che saranno impegnati nella missione, anche attraverso apposita indicazione nel contratto. Inoltre, fatti salvi i compiti che la legislazione nazionale attribuisce all’Agenzia, la direttiva afferma la responsabilità dell’impresa utilizzatrice in ordine alle condizioni di sicurezza, igiene e salute sul lavoro per l’intera durata della missione 91.

La direttiva n. 91/383/Cee non sembra idonea ad incidere significativamente sulla complessa realtà del lavoro temporaneo sia per la limitatezza dei suoi contenuti specifici sia per l’angusto ambito di applicazione destinato soltanto a lavoratori somministrati o assunti a termine. Parte della dottrina ha in particolare stigmatizzato che sarebbe un’operazione sostanzialmente inutile riconoscere la

________ 90 ANGELINI, Lavori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro: una criticità da governare, in PASCUCCI (a cura di), Il Testo unico sulla sicurezza del lavoro, Roma, 2007, p. 103 ss. Più approfonditamente, LAZZARI, L’obbligo di sicurezza nel lavoro temporaneo, fra ordinamento interno e diritto comunitario, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2009, p. 633.

91 ARRIGO, Il leasing di manodopera o travail intérimaire nel diritto comunitario, in Diritto delle relazioni industriali, 1992, n. 1, p. 117 ss.; ZAPPALÀ, I lavori flessibili, in SCIARRA (a cura di), Manuale di diritto sociale europeo, cit., pp. 135-137.

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parità di trattamento nell’accesso alle informazioni, alla formazione e ai servizi di prevenzione dei lavoratori temporanei e atipici senza tuttavia garantire loro, in via pregiudiziale, gli stessi diritti spettanti ai lavoratori non precari (divieto di discriminazione, diritto alla continuità del reddito, parità di trattamento economico e normativo, accesso alle tutele collettive, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) 92. La critica, sicuramente condivisibile anche alla luce dei ripetuti insuccessi che caratterizzeranno i primi tentativi fatti dalla Commissione europea intenzionata a fornire una disciplina complessiva del lavoro atipico 93, pare tuttavia non cogliere come sia proprio l’inedito accostamento tra lavoro flessibile e tutela della salute a rappresentare in sé una novità radicale che, opportunamente colta e valorizzata, avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo per la trasformazione e la modernizzazione del sistema prevenzionistico 94.

4.3. La tutela delle lavoratrici gestanti e la protezione dei giovani sul lavoro

I diritti delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento hanno sempre ricevuto grande attenzione in ambito comunitario grazie alle tutele previste dalla normativa antidiscriminatoria di genere, a sua volta fortemente presidiata da una copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia. Con l’emanazione della dir. n. 92/85/Cee, tale corpus normativo è stato arricchito da disposizioni specificamente destinate a contenere i rischi specifici cui queste lavoratrici possono incorrere in ragione del loro stato 95.

________ 92 TIRABOSCHI, Lavoro atipico e ambiente di lavoro: la trasposizione in Italia della direttiva 91/383/CEE, in Diritto delle relazioni industriali, 1996, n. 3, p. 66; SANTONI, Il lavoro atipico nelle direttive CEE e gli effetti sulle relazioni industriali in Italia, in Diritto delle relazioni industriali, 1991, n. 2, p. 59 ss.

93 Dopo le infruttuose proposte del 1982 e del 1990, la disciplina comunitaria in materia di lavoro flessibile sarà introdotta, in materia di lavoro a tempo parziale e a tempo determinato, dalle direttive n. 97/81/CE e n. 99/70/CE, e sul lavoro tramite agenzia, dalla più recente dir. n. 2008/104/CE.

94 Così, TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 109. Amplius sul tema, ROCCELLA, Comunità Europea e rapporti di lavoro atipici, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1991, n. 10, p. 27; ZAPPALÀ, La «flessibilità nella sicurezza» alla prova. Il caso del lavoro temporaneo fra soft law e hard law, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2003, p. 69; VALLEBONA, Lavoro precario e infortuni mortali tra demagogia e realtà, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2007, p. 422.

95 ADINOLFI, BORTONE, Tutela della salute delle lavoratrici madri dopo la Direttiva 92/85, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1994, pp. 361-362. La dottrina in particolare rileva come la direttiva, incentrata esclusivamente sulla lavoratrice madre, non terrebbe nella dovuta considerazione l’interesse del bambino, né riconoscerebbe al padre alcuna garanzia; anche per tali ragioni, con risoluzione del 15 gennaio 2008, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di avviarne la revisione. Cfr. ALES, Tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e protezione delle lavoratrici madri: la X Direttiva n. 92/85 CEE, in Il diritto del lavoro, 1993, p. 470; DELLA ROCCA, Sicurezza e salute sul lavoro delle lavoratrici madri, idem, 1997, I, p. 533.

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Destinataria delle tutele dettate dalla direttiva è la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento che informi della sua condizione il proprio datore di lavoro, nel rispetto della legislazione e/o delle prassi nazionali. A seguito della notifica, il datore di lavoro è tenuto a svolgere una valutazione del rischio di esposizione della lavoratrice in base ad un elenco (non esauriente) di agenti, processi e condizioni di lavoro, prendendo in esame sia il posto di lavoro sia la mansione assegnata (art. 4): nel caso si riscontrino rischi specifici, il datore dovrà adeguare le condizioni e/o l’orario di lavoro se possibile, oppure disporre l’assegnazione ad altra mansione quando disponibile; in mancanza di tale disponibilità, la lavoratrice dovrà essere dispensata dalla prestazione.

Riguardo lo svolgimento del lavoro notturno, la lavoratrice madre non può essere obbligata a svolgerlo se ciò compromette la sua salute o quella del bambino; in tal caso, essa ha diritto di chiedere di essere assegnata a lavoro diurno e, ove ciò non sia possibile, deve poter beneficiare di una dispensa dal lavoro o di una proroga del congedo di maternità 96. A fronte dell’esonero dal lavoro notturno ‒ ma anche in ogni caso di interruzione della prestazione a causa dei rischi per la sua salute o per quello del figlio ‒ la lavoratrice mantiene i diritti derivanti dal contratto di lavoro, compresa una retribuzione e/o una indennità economica adeguata, tale da assicurarle redditi equivalenti a quelli che avrebbe potuto ottenere in caso di sospensione dell’attività per cause comunque connesse al suo stato di salute, entro un massimale stabilito da legislazioni e prassi nazionali 97.

Oggetto di numerose pronunce della Corte di Giustizia è stata la norma che vieta il licenziamento della lavoratrice in congedo di maternità, fatta ovvia eccezione per i motivi non connessi con la gravidanza che siano ammessi dalle legislazioni e/o dalle prassi nazionali (art. 10.1) 98. La Corte ha tra l’altro chiarito come sia ________ 96 Come osserva TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 103, non volendo discostarsi troppo dal principio fondamentale della parità di trattamento uomo-donna, la Corte di Giustizia ha dichiarato non conformi ai dettati della dir. n. 92/85/Cee tutte le disposizioni nazionali che stabilivano divieti generali di lavoro notturno per il personale femminile. Sulla portata del congedo di maternità, in particolare sulla sua obbligatorietà: C. Giust. CE, 27 ottobre 1998, C-411/96; C. Giust. CE, 18 marzo 2004, C-342/01.

97 C. Giust. CE, 19 novembre 1998, C-66/96, considera discriminatoria la decisione del datore di lavoro di retribuire di meno l’assenza della lavoratrice madre rispetto a quella determinata da altre cause di inabilità ed esclude che si possa sospendere dal lavoro senza retribuire la lavoratrice gestante non inabile soltanto perché il datore di lavoro ritenga di non potersene avvalere. V. anche C. Giust. CE, 30 marzo 2004, C-147/02, secondo cui gli aumenti retributivi intervenuti durante il periodo di congedo devono essere computati nella retribuzione di riferimento per il calcolo dell’indennità. Ad avviso di C. Giust. CE, 1 luglio 2010, C-471/08, devono essere corrisposti gli elementi della retribuzione collegati alle particolari modalità della prestazione; l’importo non potrà essere comunque inferiore a quello spettante ai dipendenti che occupano un posto di lavoro comparabile a quello cui la lavoratrice viene temporaneamente assegnata.

98 Come precisa C. Giust. CE, 4 ottobre 2001, C-438/99, gli Stati non sono obbligati a specificare tassativamente le cause di legittimo licenziamento di tali lavoratrici, né a prevedere l’intervento di un’autorità nazionale che, accertata la sussistenza della giustificazione, autorizzi la decisione datoriale. La Corte ha anche stabilito che, pur non equiparabile a un licenziamento, anche il

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illegittimo il licenziamento della lavoratrice in gravidanza anche quando: il contratto di lavoro sia a tempo determinato 99; il datore di lavoro non sia stato informato della gravidanza al momento dell’assunzione, ma ne sia comunque venuto a conoscenza prima della conclusione del contratto 100; la lavoratrice non sia stata in grado di svolgere l’attività lavorativa per una parte rilevante del rapporto a motivo di tale stato 101.

La considerazione dei rischi che potrebbero determinarsi sullo stato fisico e psichico di una lavoratrice madre, compreso quello particolarmente grave di spingere la gestante ad interrompere la gravidanza, ha più recentemente indotto la Corte a dichiarare che la tutela predisposta dalla direttiva esclude sia l’adozione di una decisione di licenziamento, sia l’adozione di misure ad essa preparatorie; il licenziamento di una lavoratrice madre è infatti sempre discriminatorio, a prescindere dal momento in cui sia stato effettivamente notificato 102.

Ad analoghe finalità di protezione, ma indirizzate ai giovani lavoratori, è invece rivolta la dir. n. 94/33/CE 103, la quale affida agli Stati membri il compito di garantire a tutti coloro che abbiano un’età inferiore ai 18 anni 104 condizioni di lavoro appropriate, al fine di proteggerli dallo sfruttamento economico e da ogni lavoro suscettibile di nuocere alla loro sicurezza, salute o sviluppo fisico, psicologico, morale o sociale o in grado di compromettere la loro istruzione (art. 1.3) 105. La tutela del lavoro giovanile è assicurata da una serie di significative ________ mancato rinnovo di un contratto a termine determinato dallo stato di gravidanza della lavoratrice costituisce una discriminazione: C. Giust. CE, 8 novembre 1990, C-179/88; C. Giust. CE, 14 luglio 1994, C-32/93.

99 C. Giust. CE, 3 febbraio 2000, C-207/98; C. Giust. CE, 4 ottobre 2001, C-438/99.

100 Vedi C. Giust. CE, 3 febbraio 2000, C-207/98, ma già C. Giust. CE, 8 novembre 1990, C-177/88: come avviene per il licenziamento, lo stato di gravidanza e il danno economico che può conseguirne per l’azienda non può mai giustificare il rifiuto all’assunzione. Sul punto, FOGLIA, Le direttive in materia di sicurezza sul lavoro, in TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, Trattato di diritto privato diretto da BESSONE, Torino, 2006, p. 1111.

101 C. Giust. CE, 4 ottobre 2001, C-109/00: la previsione che chiede al datore di lavoro di fornire per iscritto le ragioni del licenziamento della lavoratrice durante la gestazione o il congedo deve intendersi destinata a rafforzare la condizione di tutela della lavoratrice madre e non può pertanto determinare un’attenuazione neppure indiretta del divieto di licenziamento.

102 C. Giust. CE, 11 ottobre 2007, C-460/06; per C. Giust. CE, 11 novembre 2010, C-232/09, estende la tutela anche alle donne membri del consiglio di amministrazione di una società.

103 Vedi: ANGELINI, I lavoratori minorenni: disciplina generale, in RUSCIANO, NATULLO (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, cit., p. 406; LAI, Diritto della salute, cit., pp. 180-181.

104 Distinti in “bambini” – in cui rientrano i giovani che non hanno ancora compiuto 15 anni o che devono assolvere obblighi scolastici a tempo pieno previsti dalle legislazioni nazionali – e “adolescenti”, ovvero i giovani con almeno 15 anni che, privi di obblighi scolastici, non hanno ancora compiuti i 18 (art. 3, lett. b-c).

105 Gli Stati membri possono escludere dall’ambito di applicazione della direttiva i lavori occasionali o di breve durata, concernenti i servizi domestici prestati in ambito familiare e le attività non pericolose svolte nelle imprese a conduzione familiare.

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misure concernenti, in particolare, l’età minima di accesso al lavoro, la durata dell’orario, l’adibizione al lavoro notturno 106, i periodi di riposo, le pause giornaliere, le ferie annuali.

Per quanto riguarda più specificamente la tutela della salute, meritevoli di sottolineatura sono soprattutto le previsioni relative alle ipotesi di divieto oltre che per i bambini 107 anche per gli adolescenti (nel caso di attività lavorative che implichino l’esposizione ad agenti tossici, cancerogeni o radioattivi o siano comunque rischiose in ragione della loro scarsa esperienza: art. 7.2), alla valutazione dei rischi nel momento dell’adibizione al lavoro oppure rispetto a ogni altra modificazione delle sue condizioni (art. 6.2), alle visite preventive e periodiche (art. 9.3).

4.4. La salute e la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili

Una specifica attenzione deve essere sicuramente riservata anche alla dir. n. 92/57/Cee. Emanata al fine di ridurre i rischi sempre molto elevati connessi con le lavorazioni svolte nei c.d. “cantieri temporanei e mobili” (quelli in cui si effettuano lavori edili o di genio civile: art. 2, lett. a, all. I) 108, essa punta sulla responsabilizzazione del committente (art. 3), cioè di colui nell’interesse del quale l’opera viene realizzata, una figura fino ad allora considerata soltanto marginalmente dalla normativa prevenzionale. Incaricando i progettisti e stipulando i contratti di appalto, il legislatore comunitario ritiene che il committente – direttamente o attraverso l’individuazione di un responsabile dei lavori (art. 2, lett. c) ‒ possa effettivamente incidere sulle carenze progettuali e sui difetti di coordinamento tra le imprese esecutrici che rappresentano le principali cause all’origine delle molte criticità che inficiano le specifiche condizioni di sicurezza nel settore delle costruzioni (e, più in generale, in quello degli appalti).

Gli obblighi del committente sono espressamente sanciti nell’art. 3: il primo dei suoi tre paragrafi impone di designare uno o più coordinatori in materia di sicurezza e di salute nei cantieri in cui sia prevista la presenza di più imprese; il secondo disciplina la redazione di un piano di sicurezza e coordinamento nella ________ 106 Il lavoro notturno degli adolescenti può essere autorizzato soltanto in casi particolari, quando sussistano ragioni obiettive e sia concesso loro del riposo compensativo.

107 Le uniche eccezioni riguardano bambini che: abbiano compiuto 14 anni e svolgano attività nell’ambito del sistema di formazione/tirocinio secondo le condizioni prescritte o compiano lavori leggeri che non pregiudicano la sicurezza, la salute e la frequenza scolastica; siano assunti in attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario, su autorizzazione delle autorità competenti.

108 Sull’estrema pericolosità dei cantieri, CEGLIE, Cantieri temporanei e mobili: obblighi, procedure e responsabilità, in RUSCIANO, NATULLO, op. cit., pp. 563-565.

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fase di progettazione dell’opera, consentendo (previa consultazione con le parti sociali) ai Paesi membri la possibilità di derogarvi quando non vi siano rischi particolari (all. II); il terzo dispone la trasmissione della c.d. “notifica preliminare”. Occorre peraltro rilevare come le responsabilità poste in capo a commettenti e/o responsabili dei lavori non subiscano alcuna limitazione in conseguenza della designazione dei coordinatori per la progettazione o per la realizzazione dell’opera; risultano altresì impregiudicate le responsabilità incombenti sui datori di lavoro (ex artt. 5 e 6, dir. n. 89/91/Cee), tenuti come sono, in fase di realizzazione dell’opera (art. 8), ad adottare misure conformi alle prescrizioni minime riportate nell’allegato IV e a tener conto delle indicazioni fornite dai coordinatori per la sicurezza 109.

L’esatto recepimento di una disciplina così rigorosa ha richiesto l’intervento ripetuto della Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dalla Commissione europea fondato sulla presunta violazione commessa dal legislatore italiano nel recepimento del citato art. 3 della dir. n. 92/57/Cee, il quale aveva ritenuto di imporre al committente la designazione dei coordinatori (di progettazione e di esecuzione dei lavori) e la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento soltanto nei casi in cui, alternativamente, il cantiere avesse una dimensione superiore ai 200 uomini giorno o vi si svolgessero lavorazioni particolarmente pericolose di cui all’allegato II 110. Con decisione del 25 luglio 2008, la Corte ha stabilito in maniera chiara ed inequivocabile che l’obbligo di nomina del coordinatore della sicurezza (sia della progettazione che per l’esecuzione dei lavori) va assolto senza che gli Stati membri possono esercitare alcun margine di discrezionalità, come invece è consentito per la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento (art. 3.2) 111.

Nelle more della sentenza, nell’intento di adeguarsi alle contestazioni della Commissione, il governo italiano riformulava l’articolo 90 del d.lgs. n. 81/2008 adottando un testo che se, da un lato, sembrava recepirne pienamente i rilievi, dall’altro lato, rimetteva tutto in discussione mediante l’esonero dei committenti dall’obbligo di nomina dei coordinatori relativamente ad appalti privati per opere non soggette a permesso di costruire 112. A dare formale esecuzione alla sentenza provvederà la legge comunitaria n. 88/2009, che confermerà l’esonero dall’obbligo di nomina nel caso di cantieri privati di importo inferiore ai 100.000

________ 109 Meritano segnalazione anche le specifiche disposizioni in materia di informazione (art. 11) e di consultazione/partecipazione dei lavoratori (art. 12).

110 L’Italia aveva inizialmente recepito la dir. n. 92/57/Cee mediante il d.lgs. n. 494/96, in seguito modificato dal d.lgs. n. 528/99.

111 C. Giust. CE, 25 luglio 2008, C-504/06.

112 BISIGNANO, Sicurezza nei cantieri e difformità tra normativa nazionale e comunitaria, in Igiene e sicurezza sul lavoro, 2010, p. 345 ss.

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euro, nell’ambito dei quali le specifiche funzioni del coordinatore della progettazione ben avrebbero potuto essere svolte dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori 113.

Come il precedente, anche il nuovo testo, inserito nel d.lgs. n. 81/2008 dal d.lgs. (correttivo) n. 106/2009, non si presenta coerente né alla lettera della direttiva né all’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia. Non sorprende dunque come a seguito di una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Bolzano (2 febbraio 2009) nell’ambito di un procedimento penale aperto per la violazione degli obblighi di sicurezza incombenti su committenti e responsabili dei lavori 114, la Corte di Giustizia sia stata costretta a ribadire 115 che un coordinatore deve essere sempre nominato – all’atto della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione – per ogni cantiere in cui siano presenti più imprese indipendentemente dalla circostanza che i lavori siano soggetti a permesso di costruire o che comportino rischi particolari. In merito all’obbligo di redazione del piano di sicurezza e salute è stata altresì confermata la possibilità di derogarvi (previa consultazione delle parti sociali), ma soltanto nel caso in cui non sussistano i rischi particolari contemplati nell’allegato II, essendo giuridicamente non rilevante l’eventuale ricorso ad altri criteri (lavori privati, presenza di più imprese, permesso di costruire) 116.

5. Protezione della salute e regolamentazione dell’orario di lavoro. Rationes e limiti dell’intervento comunitario

Una particolare attenzione va prestata al legame molto stretto che fin dalle origini della società proto-industriale ha unito fortemente la tutela della salute e della

________ 113 Su cui LAZZARI, Sicurezza nei cantieri dopo la legge comunitaria 2008 e il decreto correttivo n. 106/2009, in Rivista del diritto e della sicurezza sociale, 2010, p. 281 ss.

114 Come opportunamente sottolinea LAZZARI (La Corte di giustizia si pronuncia sulla sicurezza nei cantieri, in Rivista del diritto e della sicurezza sociale, 2011, p. 256), anche in questo caso si può evidenziare un uso “alternativo” del rinvio pregiudiziale, strumento di controllo giudiziale della compatibilità del diritto nazionale con i principi comunitari e non soltanto mezzo per conseguire la corretta interpretazione della norma comunitaria. Sul tema: DANIELE, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2010, p. 346; BALLARINO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2010, p. 204.

115 C. Giust. CE, 7 ottobre 2010, C-224/09. Sulla sentenza v. anche: SPINELLI, Rassegna di giurisprudenza comunitaria, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2011, p. 203 ss.; SOPRANI, Coordinatori nei cantieri minori: ancora una censura della Corte UE, in Igiene e sicurezza sul lavoro, 2010, p. 621 ss.

116 Per conformarsi alle statuizioni della Corte di Giustizia, il legislatore italiano avrebbe dovuto semplicemente abolire il comma 11 dell’art. 90 del d.lgs. n. 81/2008. Le comprensibili esigenze di semplificazione degli adempimenti riguardanti i cantieri di piccola entità e privi di rischi particolari si sarebbero potute concretare operando sugli obblighi spettanti al coordinatore della progettazione (art. 91), essendo detto coordinatore legittimamente esonerabile dalla predisposizione del piano di sicurezza nel caso di cantieri di entità inferiore a 500 uomini giorno e privi di rischi particolari.

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sicurezza dei lavoratori alla regolamentazione degli orari di lavoro 117, regolamentazione per la quale le istituzioni europee mostreranno per molti anni un sostanziale disinteresse 118, fatta eccezione per alcune pur significative misure di soft law 119 e qualche (ma assai rilevante) sentenza della Corte di Giustizia in materia di riposo settimanale e di divieto di lavoro notturno delle donne 120.

Con l’emanazione della dir. n. 93/104/CE, adottata sulla base giuridica dell’art. 118A Tce, l’originario legame fra tutela della salute e limitazione dell’orario di lavoro si manifesterà esplicitamente, ricevendo anche l’autorevole avallo della Corte di Giustizia che, pronunciandosi sul ricorso per l’annullamento della direttiva presentato dalla Gran Bretagna – nel quale si sosteneva come non corretto il richiamo alla citata disposizione del Trattato e si evidenziava un difetto di proporzionalità nelle misure adottate ‒ ne confermerà pienamente la validità 121.

Riconoscendo esplicitamente l’esistenza di un nesso logico e giuridico fra le finalità di tutela della salute e sicurezza e la regolamentazione dell’orario di lavoro, la Corte ritiene che le nozioni di ambiente di lavoro, sicurezza e salute vadano interpretate in senso ampio, tanto da riguardare “tutti i fattori fisici e di altra natura in grado di incidere sulla salute e la sicurezza del lavoratore nel suo ambiente di lavoro, e dunque comprendenti anche i profili dell’organizzazione

________ 117 Sulla tutela della salute e sicurezza come imprinting della disciplina sull’orario di lavoro, cfr.: RICCI, Tutela, cit., p. 146; LECCESE, L’orario di lavoro. Tutela costituzionale della persona, durata della prestazione e rapporto tra le fonti, Bari, 2001.

118 Il che si deve, da un lato, alla condizione di “eccessiva regolazione” della materia, già presidiata da molte fonti di natura internazionale e nazionale, e alla difficoltà di individuare un equilibrato contemperamento tra istanze protettive e competitività economico-produttiva, dall’altro lato. In dottrina: MONACO, Aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro nella normativa comunitaria di riferimento (Direttive 93/104 e 2000/34), in AA. VV., Orari e tempi di lavoro: le nuove regole, Roma 2005, p. 16; LAI, La normativa internazionale e comunitaria dell’orario di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1995, p. 263.

119 Tra queste meritano segnalazione: la raccomandazione del 22 luglio 1975, n. 457 che suggeriva agli Stati di fissare in quaranta ore il limite massimo settimanale, unitamente al riconoscimento di 4 settimane di ferie annue retribuite; la risoluzione del 18 dicembre 1979 sulla ristrutturazione del tempo di lavoro che, per la ferma opposizione britannica, non riuscirà a trasformarsi in raccomandazione. Vedi FERRANTE, Orario e tempi di lavoro, in CARINCI, PIZZOFERRATO, Diritto del lavoro dell’Unione Europea, cit., pp. 190-491.

120 Tra cui, C. Giust. CE, 23 novembre 1989, C-145/88, per la quale il diritto comunitario non osta a che la legislazione di uno Stato membro disponga un divieto di lavoro dominicale, collocando in quello stesso giorno il periodo di riposo settimanale. Sulle ricadute di tale giurisprudenza, amplius, ROCCELLA, La Corte di giustizia e il diritto del lavoro, Torino, 1997, p. 85 ss. Relativamente alla valutazione di conformità con i principi del diritto europeo di alcune misure nazionali limitative del lavoro notturno femminile, C. Giust. CE, 25 luglio 1991, C-345/89.

121 C. Giust. CE, 12 novembre 1996, C-84/94. Tra i molti commenti alla sentenza, cfr.: ALESSI, Orario di lavoro e tutela della salute innanzitutto alla Corte di Giustizia, in Diritto delle relazioni industriali, 1997, I, n. 2, p. 125; PIZZOFERRATO, Corte di giustizia e orario di lavoro: soppresso il riposo domenicale, legittimata la Direttiva CE, in Il lavoro nella giurisprudenza, 1997, p. 119; LECCESE, L’orario di lavoro, cit., p. 157 ss., ma anche p. 178.

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dell’orario di lavoro” 122. La Corte è tuttavia ben consapevole che il descritto nesso tra salute e limitazione degli orari di lavoro non sia univoco: quello degli orari di lavoro è un istituto ambivalente che non si esaurisce nel tutelare le esigenze personali del lavoratore, assumendo rilevanza sia in relazione alla più complessa gestione del tempo di lavoro, sia come efficace strumento di politica occupazionale 123.

La motivazione della sentenza mostra con chiarezza come la dir. n. 93/104/CE assuma in modo prevalente la finalità di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori senza rinunciare a ricercare una sorta di complessivo bilanciamento tra i diversi interessi che la regolamentazione degli orari inevitabilmente porta con sé. Infatti, se le misure in essa contenute “contribuiscono direttamente al miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori”, esse non risultano tuttavia disciplinate in modo rigoroso, poiché il loro impatto può venire condizionato da un articolato ed incisivo sistema di deroghe (poste in essere dagli Stati membri), tale da determinare un pur parziale sacrificio delle stesse esigenze protettive che, coerentemente con la sua base giudica, restano comunque privilegiate dalla direttiva 124. Sotto questo aspetto, particolarmente interessante è la previsione della c.d. clausola di opting-out individuale prevista dall’art. 22, in ragione della quale lo Stato membro può non applicare la disciplina sull’orario di lavoro settimanale, consentendo al datore di lavoro che abbia acquisito il consenso del lavoratore di stabilire un regime di orario (settimanale) superiore alle 48 ore, purché egli si impegni a tenere un registro aggiornato di tali lavoratori, fornisca informazioni relativamente al consenso ottenuto e non pregiudichi coloro che non accettino un tale regime 125.

________ 122 Come osserva TULLINI, Sicurezza sul lavoro e modello sociale europeo: un’ipotesi di sviluppo, in AA. VV., Scritti in onore di Edoardo Ghera, II, Bari, 2008, p. 1257 ss., in part. p. 1268, quella dell’ambiente di lavoro è una “nozione polisenso” che si è caricata di molteplici profili: la tecnica e l’organizzazione del lavoro, le metodologie della prestazione e della produzione, la predisposizione dei posti di lavoro, le condizioni lavorative e la qualità dell’occupazione, le relazioni sociali e il benessere psico-fisico delle persone, l’orario e i ritmi di lavoro, l’equilibrio e la conciliazione con le esigenze familiari.

123 RICCI, Orario di lavoro, in SCIARRA e CARUSO, op. cit., pp. 146-147, ma anche ID., Tempi di lavoro e tempi sociali. Profili di regolazione giuridica nel diritto interno e dell’UE, Milano, 1998, p. 145.

124 L’intervento derogatorio, affidato alla contrattazione collettiva, riguarda le disposizioni relative agli artt. 3, 4, 5, 8 e 16 della direttiva e assume una notevole rilevanza in quanto si fa carico delle complesse istanze di flessibilizzazione e riorganizzazione dei tempi di lavoro, consentite a condizione che ai lavoratori interessati siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, nel caso ciò non sia possibile, venga loro assicurata una protezione appropriata. Cfr. SUPIOT, Alla ricerca della concordanza dei tempi (le disavventure europee del «tempo di lavoro»), in Lavoro e diritto, 1997, p. 16.

125 Il consenso individuale del lavoratore è infungibile e come tale non può essere surrogato da un assenso sindacalmente espresso in un accordo o in un contratto collettivo: C. Giust. CE, 3 ottobre 2000, C-303/98, su cui FOGLIA, L'attuazione giurisprudenziale del diritto comunitario del lavoro, Padova, 2002, pp. 306-309.

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5.1. La direttiva 93/104/CE (ora direttiva 2003/88/CE). Cenni sulle misure di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori

Dopo aver condiviso (mediante esplicito rinvio) lo stesso campo di applicazione della dir. quadro n. 89/391/Cee 126 e aver dettato una nozione molto ampia di orario di lavoro 127, la dir. n. 2003/88/CE raggruppa le misure più strettamente correlate alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza del lavoro sia nel Capo 2, che contiene norme sulla durata settimanale dell’orario, sulle pause e le differenti tipologie di riposo (giornaliero, settimanale, annuale), sia nel Capo 3, con disposizioni incentrate su lavoro notturno, lavoro a turni e ritmi di lavoro.

In relazione al Capo 2, sono sostanzialmente due i profili di disciplina meritevoli di approfondimento (entrambi riconducibili all’art. 6), secondo i quali il legislatore comunitario non definisce direttamente il limite di durata massima o normale della settimana lavorativa (rimesso alla decisione degli Stati membri) ma si limita a fissare la durata media (di 48 ore settimanali, comprensive delle ore di lavoro straordinario) da calcolarsi in riferimento ad un periodo di tempo non superiore a quattro mesi (art. 16, lett. b), elevabili dalle legge e dalla contrattazione collettiva sino a sei o a dodici (in quest’ultimo caso soltanto per ragioni obiettive, tecniche o inerenti l’organizzazione del lavoro (art. 19) 128. Ciò nel rispetto anche di quanto dispone l’art. 3 sul riposo giornaliero, il quale chiede agli Stati di assicurare al lavoratore, nel corso di ogni periodo di 24 ore, un periodo minimo consecutivo di astensione dal lavoro di undici ore 129.

________ 126 C. Giust. CE, 3 luglio 2001, C-241/99; C. Giust. CE, 4 ottobre 2001, C-133/00. Sull’estensione anche ai lavoratori autonomi, v. C. Giust. CE, 9 settembre 2004, C-223/02. In dottrina: GRIECO, Corte di giustizia e orario di lavoro: il campo di applicazione della disciplina comunitaria e la sua attuazione in Italia, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2005, p. 629; BONARDI, Limiti di orario e lavoro autonomo nel diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2005, II, p. 302.

127 La direttiva non chiarisce se i presupposti della nozione di orario debbono ricorrere congiuntamente o disgiuntamente, né se possono essere considerati anche i periodi antecedenti o successivi allo svolgimento dell’attività lavorativa. Anche la nozione di riposo, congegnata com’è in modo deterministico attraverso una tecnica che si fonda sulla contrapposizione di concetti, non prende in considerazione i c.d. tempi intermedi: sul tema, FERRARESI, Disponibilità e reperibilità del lavoratore: il tertium genus dell’orario di lavoro, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, I, in part. p. 99 ss. Per C. Giust. CE, 1 dicembre 2005, C-14/04, la qualificazione dell’orario non dipende dall’intensità dell’attività lavorativa, ma piuttosto dall’obbligo di tenersi a disposizione del datore di lavoro.

128 Ad avviso di C. Giust. CE, 25 novembre 2010, C-429/09, la violazione di detto obbligo comporta il risarcimento del danno subito dal lavoratore, nelle forme e secondo le procedure disciplinate dall’ordinamento nazionale.

129 Sul punto, RICCI, Il diritto alla limitazione dell’orario di lavoro, ai riposi e alle ferie nella dimensione costituzionale integrata (fra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), in WPC.S.D.L.E. “Masssimo D’Antona”. INT – 79, 2010, pp. 30-31. V. anche C. Giust. CE, 21 ottobre 2010, C-227/09, in materia di riposo settimanale del personale di polizia.

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Un maggior rigore connota le disposizioni riguardanti le ferie annuali retribuite di durata non inferiore alle quattro settimane 130, non sostituibili con un’indennità di natura economica se non nel caso di conclusione anticipata del rapporto di lavoro (che rende impossibile l’effettiva fruizione del riposo) 131. La portata assoluta e incondizionata del diritto alle ferie annuali sarà ribadita: con la sentenza del 18 marzo 2004, nella quale si afferma che una lavoratrice che fruisce del congedo di maternità deve poter godere delle ferie annuali in un periodo diverso 132; con la sentenza del 20 gennaio 2009, nella quale si esclude la sovrapponibilità del periodo di ferie con quello dell’assenza di malattia 133; con la pronuncia del 6 aprile 2006, nella quale è stato ritenuto valido il frazionamento del periodo feriale in due parti, la seconda delle quali fruibile in un arco temporale successivo a quello di maturazione, poiché (al fine di tutelare la salute del lavoratore) tale spostamento non pregiudica di per sé il diritto al riposo effettivo 134.

Altrettanto stretto è il collegamento tra le finalità di tutela della salute e le prescrizioni contenute nel Capo 3 su lavoro notturno, lavoro a turni e ritmi di

________ 130 Sul calcolo delle ferie spettanti ad un lavoratore a tempo ridotto in base al principio del “pro rata temporis”, vedi C. Giust. CE, 8 novembre 2012, C-229 e C-230/11, e il commento di GRIECO, Il diritto alle ferie e il principio del pro rata temporis secondo la Corte di giustizia. Lo stato dell’arte della giurisprudenza comunitaria sul diritto al riposo annuale, in Diritto delle relazioni industriali, 2013, p. 559 ss.

131 La Corte di Giustizia, ripetutamente chiamata a pronunciarsi in materia, ha avversato ogni disciplina nazionale di trasposizione tendente ad affievolire la vincolatività del dettato comunitario fin dalla sua prima decisione del 26 giugno 2001, C-173/99, nella quale il diritto alle ferie viene sottratto non soltanto alla disponibilità dell’autonomia collettiva, ma anche alla discrezionalità del legislatore nazionale: C. Giust. CE, 16 marzo 2006, C-131/04 e C-1275/04; C. Giust. CE, 6 aprile 2006, C-124/05; C. Giust. CE, 24 gennaio 20012, C-282/10, per la quale le ferie non possono essere subordinate a un periodo minimo di lavoro effettivamente reso. In dottrina: BAVARO, Il principio di effettività del diritto alle ferie nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Argomenti di diritto del lavoro, 2006, pp. 1341-1342.

132 C. Giust. CE, 18 marzo 2004, C-342/01: la sovrapposizione fra il periodo di ferie e il periodo dedicato al congedo per maternità oltre a ledere il diritto fondamentale al godimento delle ferie violerebbe i diritti della lavoratrice in maternità (dir. n. 92/85/Cee, art. 11) e il principio della parità di trattamento fra lavoratori e lavoratrici. Cfr. C. Giust. CE, 22 aprile 2010, C-486/08: ai genitori in congedo parentale spetta il godimento delle ferie retribuite relative all’anno precedente la nascita del figlio.

133 Recentemente confermata anche da C. Giust. CE, 21 febbraio 2013, C-194/12. Cfr.: C. Giust. CE, 20 gennaio 2009, C-350 e C-520/06; C. Giust. CE, 10 settembre 2009, C-277/08. Sul tema, RICCI, Orario, cit., pp. 179-183.

134 C. Giust. CE, 6 aprile 2006, C-124/05: la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute è consentita soltanto in caso di conclusione anticipata del rapporto di lavoro (art. 7.2). Per C. Giust. CE, 22 novembre 2011, C-214/10, legge e contrattazione collettiva possono prevedere un “periodo di riporto”, allo scadere del quale, per evitarne impropriamente il cumulo, le ferie retribuite si estinguono. Sul tema: ZAMPINI, L’inclusione del pagamento delle ferie annuali sulla retribuzione contrasta con la Direttiva sull’orario di lavoro, in Europa e diritto, 2006, 2, p. 43 ss.; RICCI, Frazionamento del periodo di ferie annuali e principio di “non monetizzabilità” secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2007, II, p. 509. V. anche C. Giust. CE, 13 giugno 2013, C-415/12: il periodo di ferie annuali retribuite di cui il lavoratore non ha potuto beneficiare nel corso del periodo di riferimento non può essere ridotto in conseguenza della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

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lavoro, situazioni tutte segnate dal carattere “particolarmente disagiato” della prestazione.

Definiti i concetti di periodo notturno e di lavoratore notturno 135, la direttiva fissa il limite di tale prestazione in 8 ore calcolate in media in un periodo di 24 (art. 8.1), limite che diventa più rigido in caso di lavorazioni che comportino rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche e mentali, ipotesi nelle quali i lavoratori non dovranno lavorare per più di 8 ore in un periodo di 24 (art. 8.2). Inoltre, fatta salva la possibilità degli stati membri di prevedere garanzie più rigorose per alcune categorie di lavoratori, la direttiva dispone che il lavoratore dovrà essere sottoposto a valutazione del suo stato di salute prima dell’adibizione a lavoro notturno e, in seguito, a verifiche periodiche a intervalli regolari; se durante tali accertamenti dovesse risultare un problema di salute legato allo svolgimento di lavoro notturno, il datore di lavoro dovrà adoperarsi per trasferirlo ad una mansione diurna per la quale sia idoneo (art. 9).

Sia per i lavoratori notturni che per quelli a turni, il legislatore comunitario chiede agli Stati membri di assicurare livelli di protezione adeguati, con particolare riguardo ai servizi di protezione e prevenzione, che vanno resi disponibili in ogni momento (art. 12); gli Stati devono altresì esigere che il datore di lavoro organizzi il lavoro secondo ritmi che rispettino il principio generale di adeguamento del lavoro all’uomo, in particolare attenuando le lavorazioni più monotone e ripetitive (art. 13).

6. La nuova strategia comunitaria in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori

Nel luglio 1995, la Commissione europea adotta il quarto programma comunitario sulla sicurezza, l’igiene e la salute sul luogo di lavoro (1996/2000). Come prima area d’intervento, il programma indica la necessità di garantire l’effettiva applicazione delle direttive comunitarie, valorizzando a tal fine anche il ricorso a misure di carattere incentivante e promozionale 136. Di non minor rilievo ________ 135 Per periodo notturno deve intendersi il lasso temporale di almeno sette ore che comprende l’intervallo tra le 24 e le cinque del mattino; il lavoratore notturno è colui che svolge almeno tre ore giornaliere rientranti in detto periodo, o che impegna una certa parte del suo tempo di lavoro annuale in orario notturno, così come stabilito dalla legislazione o dalla contrattazione nazionali.

136 Come sono quelle contenute nel programma Safe, destinato a finanziare attività informative e formative soprattutto nelle piccole e medie imprese o nel programma Phare, per favorire l’adeguamento agli standard comunitari dei paesi di nuova adesione. Cfr: BONARDI, La sicurezza, cit., p. 440, la quale rimarca come le istituzioni comunitarie abbiano preso definitivamente atto che la definizione di elevati standard di tutela realizzata attraverso direttive non sia di per sé sufficiente, ma che tale definizione resti comunque un approccio necessario; ARRIGO, La tutela della sicurezza, cit., p. 20. V. anche AA. VV., Organisational and psychosocial risks in labour law. A Comparative Analysis, in I Working Papers di Olympus, n. 14/2012 e VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., p. 13.

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è l’attenzione riservata alle azioni destinate a intensificare gli studi sui c.d. rischi emergenti, in particolar modo quelli connessi alle nuove tecnologie produttive, alla violenza sui luoghi di lavoro, allo stress lavoro-correlato 137. Da considerare è anche il rafforzamento dell’attività istituzionale realizzatasi con la creazione, nel 1994, dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro con sede a Bilbao, organismo di natura tecnico-consultiva destinato a supportare l’attività della Commissione.

L’adozione del quarto programma coincide con una fase di forte evoluzione del contesto ordinamentale europeo sempre più decisamente orientato verso la fissazione di obiettivi piuttosto che alla prescrizione di regole, sicuramente a ciò indotto anche dalla necessità di superare le forti resistenze poste dagli Stati nazionali rispetto a nuovi interventi normativi vincolanti, non ancora sufficientemente “fronteggiate” da un troppo debole dialogo sociale. In quegli stessi anni inizia ad affermarsi un nuovo modello di intervento nelle materie sociali, meglio noto come “metodo aperto di coordinamento” (MAC): avviato al vertice di Essen (1994), esso verrà più compiutamente formalizzato nell’ambito delle politiche dell’occupazione sancite nel Trattato di Amsterdam (1997) e sarà successivamente esteso a tutte le principali aree di politica economica dal Consiglio europeo straordinario di Lisbona (marzo 2000), diventando lo strumento generale di attuazione dell’Agenda sociale dallo stesso approvata 138.

La rilevanza di questo nuovo approccio metodologico si evince molto chiaramente dai contenuti della Comunicazione della Commissione dell’11 febbraio 2002 (“Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza” 2002-2006) 139. Senza abbandonare il tradizionale modello normativo di tipo hard basato sull’armonizzazione per direttiva 140, la Commissione propone una serie di misure di “regolazione leggera”, confermando il convincimento, già in precedenza espresso, che soltanto

________ 137 PERUZZI, La prevenzione dei rischi psico-sociali nel diritto dell’Unione europea, in Lavoro e diritto, 2012, p. 202 ss., in part. sugli interventi di soft law, p. 216 ss.; TRIOMPHE, I paradossi dell’Europa sociale attraverso la regolazione dei rischi psico-sociali, idem, p. 190 ss.

138 Con Lisbona, la strategia europea per l’occupazione assume come obiettivo prioritario quello di conciliare la quantità con la qualità del lavoro; in tale prospettiva, essa chiede di prestare maggiore attenzione al tema della sicurezza e salute dei lavoratori, considerato non soltanto come un fattore indispensabile per assicurare una più alta qualità del lavoro, ma anche uno strumento da cui può dipendere il miglioramento delle prestazioni del sistema economico e delle imprese. Cfr. BONARDI, La sicurezza, cit., pp. 440-441. Sul tema, amplius, ALES, Lo sviluppo della dimensione sociale comunitaria, cit., pp. 546-547.

139 COM (2002) 118.

140 Come si è già avuto modo di illustrare nel § 4, gli interventi per direttiva si sono soltanto numericamente attenuati; secondo ROSSI (L’obbligo di sicurezza nella politica sociale comunitaria, in Rivista del diritto e della sicurezza sociale, 2013, pp. 104-105), la produzione normativa comunitaria avrebbe addirittura ripreso vigore dopo la pubblicazione della strategia 2002-2006.

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la combinazione di strumenti strategici differenziati sarebbe stata in grado di gestire il cambiamento di scenario determinatosi in quegli anni, sia sul fronte più generale della competitività economica e produttiva, sia per quanto più specificamente attiene l’evoluzione del mondo del lavoro.

Per quanto concerne questo secondo aspetto, il documento, da un lato riconosce la necessità di tener conto delle diverse esigenze di uomini e donne e del generale invecchiamento della popolazione attiva e, dall’altro lato, si sofferma soprattutto sulla trasformazione dei rapporti di lavoro in forme sempre più precarie e flessibili, nelle quali gli infortuni si incrementano vuoi per un’insufficiente formazione, vuoi per la maggiore ricattabilità cui sono oggettivamente esposti i lavoratori 141. I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, le modalità flessibili di articolazione degli orari di lavoro, una gestione più individuale e tesa al risultato delle risorse umane sono tutti fattori importanti che incidono sulle problematiche relative alla salute e sicurezza e alle condizioni di benessere sul luogo di lavoro 142.

Il forte richiamo all’effettiva attuazione delle direttive comunitarie trova concretizzazione (febbraio 2004) in una nuova comunicazione della Commissione avente a oggetto l’applicazione delle disposizioni della dir. quadro n. 89/391/Cee e di altre cinque direttive particolari 143. Attingendo alle relazioni che gli Stati membri sono tenuti a presentare periodicamente (ai sensi delle stesse direttive) in base a modelli concordati, la Commissione rileva che, nel suo complesso, la legislazione comunitaria ha influenzato positivamente le normative nazionali e ha contribuito a migliorare le condizioni di lavoro favorendo la produttività, la competitività e l’occupazione. Restano aree ad alto rischio infortuni, soprattutto là dove l’applicazione delle misure ha mostrato maggiori carenze, com’è avvenuto in particolare nelle piccole e medie imprese e nel settore pubblico, nonché rispetto ai lavoratori più giovani, specie se assunti con contratto a tempo determinato o se impegnati in attività scarsamente qualificate.

Chiarire e risolvere i malintesi, correggere le inadeguatezze, semplificare e razionalizzare il quadro giuridico è per la Commissione un compito urgente. Essa non dimentica di soffermarsi anche sulla dimensione costi/benefici connessi ai ________ 141 V. ANGELINI, Lavori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro: una criticità da governare, in PASCUCCI (a cura di), Il Testo unico sulla sicurezza del lavoro, Roma, 2007, pp. 103-105.

142 Cfr.: TRAPANESE, Salute e sicurezza, cit., p. 111, il quale rileva come esternalizzazioni, privatizzazioni e appalti siano forme di lavoro che molto spesso finiscono per comportare rischi più elevati per la salute dei lavoratori, soprattutto se utilizzate per ridurre i costi (non esclusi quelli inerenti la sicurezza); DE MARCO, Cause e modalità degli infortuni sul lavoro nei Paesi dell’Unione europea, in Diritto delle relazioni industriali, 2009, p. 1163.

143 COM (2004) 62 def. Trattasi delle direttive: n. 89/654/Cee (luoghi di lavoro); n. 89/655/Cee (attrezzature di lavoro); n. 89/656/Cee (attrezzature di protezione individuale); n. 90/269/Cee (movimentazione manuale dei carichi); n. 90/270/Cee (attrezzature munite di videoterminale).

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processi di attuazione e sulle conseguenze economiche più generali che ricadono su lavoratori, datori di lavoro e sugli stessi Stati membri, ai quali è chiesto di partecipare in modo costruttivo a incrementare le potenzialità della strategia preventiva, soprattutto quando si tratta di combattere efficacemente i (nuovi) rischi che la complessità dei sistemi e le variazioni delle condizioni di lavoro alimentano.

6.1. Gli accordi europei su telelavoro, stress lavoro-correlato, mobbing e violenza sul luogo di lavoro

Nell’ambito della descritta strategia comunitaria in materia di sicurezza, tra gli strumenti privilegiati destinati al consolidamento del sistema di prevenzione soprattutto per quanto concerne i c.d. “nuovi” rischi, un ruolo determinante è stato riservato alla conclusione di accordi collettivi quadro tra Ces, Unice, Ueapme e Ceep, da attuarsi nei diversi stati membri secondo le procedure previste dai rispettivi sistemi di relazioni industriali 144.

Il primo (in ordine di tempo) di tali accordi è quello sul telelavoro siglato il 16 luglio 2002, subito dopo che l’Agenzia europea per la salute e la sicurezza se ne era occupata come possibile concausa dell’aumento di infortuni, non disgiuntamente dalle questioni relative al decentramento ed al crescente ricorso a contratti di breve durata 145.

Basato su una nozione molto ampia di telelavoro 146, l’accordo sviluppa una serie di disposizioni volte a garantire ai telelavoratori la stessa condizione di tutela di chi presta la propria attività in sede (ferie, maternità, malattia e conservazione del posto, parità di carriera, progressione professionale, protezione dei dati utilizzati a

________ 144 Sulla precarietà derivante dalle diverse soluzioni prospettabili nell’ambito degli ordinamenti nazionali, accentuata dalla mancanza di modalità di raccordo e di rinvio tra questi e il “nuovo” livello di contrattazione europea, si sofferma GALANTINO, Diritto comunitario del lavoro, Torino, 2012, pp. 72-73, la quale parla di “scenario…povero di eteronomia e di regole imposte ab externo quanto ricco di suggestioni e gravido di potenziali sviluppi”. Sulla questione dell’applicabilità e dell’efficacia degli accordi e sul più generale ruolo del dialogo sociale in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., pp. 25-26.

145 Vedi: LEPORE, La sicurezza e la tutela della salute dei telelavoratori. L’Accordo europeo del 16 luglio 2002, in Argomenti di diritto del lavoro, 2002, p. 821; COTTONE, L’Accordo collettivo europeo sul telelavoro, in CARINCI, PIZZOFERRATO (a cura di), Diritto del lavoro dell’Unione Europea, Torino, 2009, p. 641; FANTINI, I telelavoratori, in RUSCIANO, NATULLO, op. cit., pp. 385-387. L’accordo, sottoscritto dall’ETUC, dall’UNICE/UEAPME e dalla CEEP, è integralmente pubblicato in Diritto e pratica del lavoro, 2002, 34, p. 2260.

146 Secondo l’accordo europeo “il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/o svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe essere svolta nei locali dell’impresa, viene invece regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”.

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fini professionali e riservatezza), vietando ogni forma di discriminazione correlabile alle particolari modalità esecutive della prestazione lavorativa.

In materia di sicurezza, l’accordo (art. 8) stabilisce che il datore di lavoro informa il telelavoratore delle politiche aziendali in materia di sicurezza sul lavoro, con particolare attenzione alle esigenze riguardanti l’uso di videoterminali e (analogamente alle rappresentanze dei lavoratori e alle autorità competenti) ha diritto di accesso al luogo in cui viene svolta la prestazione per verificare la corretta applicazione delle direttive aziendali (nel rispetto delle norme di legge e di contratto). Non meno rilevante è la disposizione che chiede al datore di lavoro di garantire l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del telelavoratore, misure tra cui espressamente rientrano la possibilità di partecipare agli incontri e di accedere alle informazioni aziendali (art. 9).

Alla rilevanza della dimensione organizzativa sono ancor più strettamente legati i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 sullo stress nei luoghi di lavoro. Tale accordo è il risultato di un lungo processo negoziale protrattosi per otto mesi su un tema che le parti avevano considerato come l’elemento qualificate del loro programma di intervento per gli anni 2003-2005 147.

Declinato il suo scopo – migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress lavoro-correlato e accrescere l’attenzione sui sintomi che possono indicarne l’insorgenza ‒ l’accordo non poteva che riflettere i caratteri di un difficile compromesso, come si può facilmente evincere fin dalla scelta della definizione di stress, descritto come la “condizione, accompagnata da sofferenze e disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative” (§3) 148. In tal modo, si riconosce come ogni individuo sia sì capace di gestire pressioni esercitate a breve termine 149, ma se posto di fronte a una esposizione prolungata (proveniente anche dall’esterno dell’ambiente di lavoro) le difficoltà aumentano fino a determinare in alcuni casi la riduzione dell’ efficienza lavorativa, cambiamenti di comportamento ed anche malattie.

Sicuramente trascurata nella definizione/descrizione del fenomeno, l’attenzione alla dimensione organizzativa è parzialmente recuperata sia quando, tra i fattori soggettivi e oggettivi che possono causare lo stress, compaiono il contenuto e

________ 147 Cfr. FRASCHERI, Il rischio da stress lavoro-correlato. Normativa, procedure di valutazione e organizzazione del lavoro, Roma, 2011.

148 PERUZZI, La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, cit., pp. 12-13.

149 CATAUDELLA, Lavorare stanca. Alcune considerazioni sullo stress lavoro correlato, in Argomenti di diritto del lavoro, 2010, p. 680.

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l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una comunicazione di cattiva qualità, sia quando, formulando una lista meramente esemplificativa, sono individuati i possibili indicatori dei problemi connessi allo stress lavoro-correlato 150.

Al datore di lavoro, con la partecipazione e collaborazione dei lavoratori o dei loro rappresentati, è innanzitutto affidato il compito di definire, in sede di valutazione dei rischi 151, le misure appropriate, di natura individuale e collettiva, destinate a ridurre o eliminare i fattori che causano stress al lavoratore. In merito alle misure adottabili, l’accordo ne propone un elenco, raggruppabile per oggetto/obiettivi.

Sicuramente da rilevare è la chiara volontà espressa dalle parti stipulanti di escludere dall’ambito di competenza dell’accordo (pur riconoscendo che può comunque trattarsi di potenziali fattori di stress) i temi della violenza sul lavoro e del mobbing; una scelta dettata da ragioni squisitamente politiche, tese ad evitare il rischio che un ampliamento dell’oggetto della proposta di accordo ne avrebbe potuto compromettere l’esito 152. La disciplina di tali temi sarà definita dalle stesse parti sociali pochi anni dopo (il 26 aprile 2007), grazie alla firma di un nuovo accordo specificamente dedicato alle molestie e alle violenze sul luogo di lavoro.

Analogamente a quello sullo stress, anche l’accordo su molestie e violenze si caratterizza per un contenuto chiaramente compromissorio dovuto principalmente a forti resistenze di parte imprenditoriale coagulatesi, da un lato contro la riconduzione di una tale tematica nell’ambito della disciplina di tutela della salute e sicurezza e, dall’altro lato, per contestare la trattazione unitaria di molestie e violenze perpetuate sui luoghi di lavoro. In particolare, i datori di lavoro chiedevano che la rilevanza dei fenomeni di violenza fosse limitata alla sola “declinazione orizzontale”, escludendo cioè gli atti e i comportamenti attuati da datori e da soggetti esterni all’impresa. La soluzione definitivamente adottata includerà oltre alla violenza tra superiori e subordinati, anche quella perpetuata da terzi (clienti, utenti, pazienti, alunni…), con la precisazione non irrilevante che, a

________ 150 Amplius, PASQUARELLA, La disciplina dello stress lavoro-correlato tra fonti europee e nazionali, in I Working Papers di Olympus, n. 6/2012, pp. 8-9.

151 L’accordo attribuisce grande rilievo al processo di valutazione dei rischi (§5), che viene individuato come il principale tra gli strumenti di gestione dei problemi di stress da lavoro. Cfr. PERUZZI, La prevenzione, cit., p. 223.

152 Pur esistendo differenze, il rapporto tra stress lavoro-correlato e mobbing non appare affatto forzato, tra l’altro essendo entrambi fenomeni riconducibili ai c.d. rischi psico-sociali. Sul punto, CALAFÀ, Il diritto del lavoro e il rischio psico-sociale (e organizzativo) in Italia, in Lavoro e diritto, 2012, p. 279.

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fronte di gruppi/lavoratori e posti di lavoro/settori più a rischio di altri, è al dialogo sociale settoriale che spetta intervenire più adeguatamente 153.

L’accordo non menziona espressamente il mobbing, cui si riferisce invece la guida interpretativa pubblicata dall’Etuc, che lo include tra le forme di violenza psicologica; tuttavia, quando nell’introduzione si chiarisce che le forme di violenza possono costituire comportamenti più sistematici, avvenire tra colleghi, tra superiori e subordinati, andare da manifestazioni lievi di mancanza di rispetto ad altri atti più gravi, per di più aggiungendosi che le condotte siano esercitate allo scopo e con l’effetto di ferire primariamente la dignità della persona interessata, è indiscutibile che anche a combattere il mobbing l’accordo sia destinato 154.

Perseguendo l’obiettivo di sensibilizzare maggiormente datori di lavoro, lavoratori e i loro rappresentanti attraverso un insieme di azioni concrete per individuare, prevenire e gestire le situazioni di molestie e di violenza sul luogo di lavoro, l’accordo impone alle imprese l’adozione di una precisa dichiarazione da cui risulti non soltanto che le molestie e la violenza non saranno tollerate ma anche la previsione di adeguate procedure da seguire nel caso esse avvengano, tra cui la definizione di una fase informale nell’ambito della quale una “persona di fiducia” sia disponibile a fornire consigli e assistenza 155. Previa consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, i datori di lavoro dovranno altresì riesaminare e controllare l’efficacia di tali procedure, ricorrendo, ove necessario, all’introduzione di specifiche misure di sostegno e di assistenza nel processo di reinserimento delle vittime e di sanzioni disciplinari (non escluso il licenziamento) nei confronti dei responsabili 156.

6.2. Il piano d’azione per il quadriennio 2007-2012

In sede di valutazione dei risultati della strategia adottata nel 2002, la Commissione rileverà come, avendo promosso un approccio di tipo globale al benessere sul luogo di lavoro e individuato con chiarezza gli obiettivi da perseguire, tale strategia abbia concorso a rilanciare le politiche prevenzionali a ________ 153 Vari sono stati i provvedimenti soft in tal senso adottati, tra cui la Dichiarazione congiunta del settore elettricità (2007), del gas (2007), del commercio (2009), e le linee guida multisettoriali sulla violenza da parte di terzi (2010).

154 PERUZZI, La valutazione, cit., p. 15.

155 Al punto 4 si esplicita che una procedura potrà considerarsi adeguata se ispirata (ma a ciò non limitata) a discrezione (in considerazione della dignità della persona e della riservatezza della sua vita privata), non comporti la divulgazione di informazioni estranee al caso, preveda il rapido esame dei ricorsi sostenuti da informazioni particolareggiate, garantisca un’audizione di tutte le parti imparziale ed equa, non tolleri false accuse, preveda l’utilizzo di un’assistenza esterna.

156 PERUZZI, La prevenzione, cit., pp. 226-227.

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livello nazionale 157. Gli Stati membri avrebbero in particolare riconosciuto sia lo stretto legame esistente tra la sicurezza sui luoghi di lavoro e la produttività delle imprese, sia l’incidenza degli effetti che le carenze in materia di protezione dei lavoratori possono produrre in termini di promozione della crescita economica e dell’occupazione 158.

Sulla valorizzazione del nesso tra sicurezza dei lavoratori e produttività delle imprese si incentrerà la strategia comunitaria per il quadriennio 2007-2012 159. Prendendo spunto dalla relazione sull’attuazione pratica della dir. quadro n. 391/89/Cee e delle prime cinque direttive particolari, dopo aver analizzato le lacune rilevate sia nei settori maggiormente a rischio (PMI, agricoltura, edilizia e trasporti, lavori in subappalto), sia negli strumenti posti a tutela delle categorie di lavoratori più vulnerabili (giovani, lavoratori con contratti flessibili), la Commissione ribadisce la necessità di assicurare un maggior rispetto della normativa comunitaria anche attraverso la semplificazione della normativa, in particolare garantendo che le direttive comunitarie vengano recepite e attuate in maniera efficace 160.

Nell’elaborazione delle loro strategie, gli Stati membri sono sollecitati a porre particolare attenzione: all’efficacia della sorveglianza sanitaria; ai processi di riabilitazione e reintegrazione dei lavoratori esclusi per infortunio o malattia professionale; ai mutamenti sociali e demografici; al coordinamento effettivo di tutte le politiche che possono incidere sulla salute e sicurezza dei lavoratori (sanità pubblica, sviluppo e coesione regionale, appalti pubblici, occupazione e ristrutturazioni). Come ovvio, anche la leva degli incentivi economici, con speciale riguardo alle piccole e medie imprese, può servire a tale scopo 161.

Da non sottovalutare, infine, l’ampliamento della prospettiva che la strategia compie, da un lato, rivolgendosi a tutti gli attori sociali, affinché possa affermarsi

________ 157 Significativa è stata anche la riduzione del tasso di frequenza degli infortuni sul lavoro. Vedi la Relazione sulla valutazione della strategia comunitaria in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2002-2006, SEC (2007) 214.

158 Tale aspetto derubricherebbe il miglioramento delle condizioni di lavoro da diritto sociale dei lavoratori a mero fattore di produttività: in tal senso, BONARDI, La sicurezza, cit., p. 445.

159 Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, COM (2007) 62. La Commissione vi enuncia l’ambizioso obiettivo di conseguire una riduzione continua, durevole e omogenea degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, nella prospettiva di un abbattimento del 25% della loro incidenza a livello di Unione.

160 LEPORE, Salute e sicurezza sul lavoro: la nuova strategia comunitaria 2007-2012, in Ambiente e sicurezza sul lavoro, 2007, 4, p. 7.

161 Sul rapporto redatto dall’Agenzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro nel 2010, v. LAI, Gli incentivi economici per promuovere la salute e la sicurezza del lavoro nei paesi dell’Unione europea, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, p. 558 ss.

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una nuova cultura generale della prevenzione della salute e sicurezza dei lavoratori che comprenda l’integrazione nei programmi d’istruzione e formazione professionale e, dall’altro lato, sollecitando una migliore comprensione e prevenzione dei nuovi rischi professionali, la cui natura cambia in base al ritmo imposto dalle innovazioni tecnologiche e dalla trasformazione del lavoro 162.

Agli interventi della Commissione sono seguite due risoluzioni, una del Consiglio (25 giugno 2007), una del Parlamento europeo (15 gennaio 2008), la prima delle quali, oltre ad invitare tutti gli attori coinvolti ad impegnarsi in alcune azioni prioritarie 163, chiede (alla stessa Commissione europea) di migliorare l’attuazione della dir. quadro n. 89/391/Cee, in particolare per quanto concerne la qualità, la copertura, l’accessibilità dei servizi di prevenzione e la cooperazione tra datori di lavoro in caso di coesistenza di più livelli di appalto (parte II, punto 9, lett. g, j) 164.

Con la risoluzione del 15 dicembre 2011, il Parlamento europeo opera una nuova analitica valutazione dei risultati conseguiti dalla strategia 2007/2012, in cui si rammarica che molti Stati membri non abbiano focalizzato le loro strategie nazionali sulle tre priorità indicate (stress e logoramento sul lavoro, disturbi muscoli scheletrici, raccolta di dati sui nuovi rischi). Forte è il timore che le misure di austerità adottate a causa della crisi possano tradursi o in una mancanza di attenzione rispetto alla questione della salute e sicurezza o servire come pretesto per un’applicazione poco scrupolosa della legislazione vigente.

La risoluzione dedica molto attenzione ai rischi psico-sociali, in particolare alla tematica dello stress lavoro-correlato, rispetto alla quale si deplora soprattutto

________ 162 Analizza criticamente i contenuti della Comunicazione, VOGEL, Una lettura critica della strategia europea 2007-2012 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in 2087, Quaderni, 2008, 1, p. 9, evidenziando in particolare lo scarto esistente tra gli obiettivi indicati e gli strumenti predisposti per realizzarli, unitamente alla mancanza di meccanismi per la valutazione dei risultati raggiunti. Sul cambiamento di prospettiva che la strategia realizzerebbe, abbandonando almeno apparentemente l’armonizzazione legislativa, vedi VALDÉS DE LA VEGA, Occupational, cit., pp. 14-15.

163 Tra le quali meritano segnalazione: una maggior chiarezza nella definizione delle misure da adottare, delle scadenze e degli impegni finanziari da assumere; il mancato riferimento alla riduzione delle malattie professionali; rispetto alle strategie nazionali, l’individuazione di obiettivi misurabili con particolare attenzione alle PMI, ai gruppi di lavoratori più vulnerabili (migranti, giovani e anziani, lavoratori interinali e a termine, disabili), e alla dimensione di genere; un maggior impegno nell’attività ispettiva e di controllo; l’attenzione alle cause che incidono sullo sviluppo delle malattie mentali, ai rischi psicologici e di dipendenza (stress, molestie, mobbing, violenza); il miglioramento della prevenzione dei rischi chimici.

164 In perfetta coerenza con la citata risoluzione è importante ricordare che soltanto qualche giorno prima il Consiglio aveva approvato la dir. n. 2007/30/CE avente ad oggetto la semplificazione e la razionalizzazione delle relazioni da presentare circa lo stato di attuazione della dir. quadro n. 89/391 e delle sue direttive particolari, nonché delle dir. n. 83/477/Cee, n. 91/383/Cee, n. 92/29/Cee e n. 94/33/CE. Tale obbligo è stato opportunamente esteso anche alle direttive che non lo prevedevano (le dir. n. 2000/54/CE, n. 2004/37/CE, n. 83/477/Cee).

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l’attuazione diseguale dell’accordo quadro 165. La Commissione viene esortata non soltanto a predisporre corsi di formazione e campagne di sensibilizzazione 166, ma a farsi soprattutto carico del preoccupante fenomeno delle vessazioni morali, per rispondere alle quali si ritiene occorra programmare adeguate ed efficaci strategie, senza prescindere dal coinvolgimento e dalla condivisione di tutti i soggetti coinvolti.

Contestualmente alla pubblicazione del documento relativo alla valutazione definitiva della strategia 2007-2013 (31 maggio 2013) 167, la Commissione europea ha deciso di avviare una consultazione pubblica (della durata di otto settimane) durante la quale, attraverso la somministrazione di un questionario, identificare le sfide (attuali e future) in tema di salute e sicurezza sul lavoro, prospettare le possibili soluzioni per affrontarle, raccogliere i contributi dei rappresentanti delle autorità pubbliche dei diversi Stati membri, delle parti sociali e degli esperti. Se come modalità di interlocuzione tra istituzioni europee e società al fine di definire le scelte politiche nei settori di competenza, la consultazione pubblica non è certamente un evento inedito, in questo caso, essa ha suscitato molte riserve, soprattutto là dove chiede di interrogarsi sull’indispensabilità di adottare una nuova strategia 2013-2020, mettendo l’accento sulla possibilità di limitarsi a prolungare quella precedente 168.

Criticando utilità e democraticità di una consultazione pubblica per di più avviata tardivamente, le parti sociali hanno in particolare rilevato come, nell’attuale contesto di crisi che peggiora l’aumento delle ineguaglianze e della precarietà, non adottare tempestivamente una nuova strategia sarebbe un messaggio molto negativo, che potrebbe non soltanto corroborare la posizione di coloro che ritengono che un rafforzamento delle strategie di prevenzione della salute e sicurezza non sarebbe oggi sostenibile, ma anche compromettere lo sviluppo delle politiche nazionali in materia di parità di trattamento uomo-donna, invecchiamento attivo, crescita sostenibile e rafforzamento della sanità pubblica 169.

Contro la riluttanza della Commissione a definire una nuova strategia in materia di salute e sicurezza sul lavoro si è espresso anche il Parlamento europeo. Nella ________ 165 Sull’implementazione dello stress lavoro-correlato nei vari paesi membri dell’UE: GIOVANNONE, Lo stress-correlato in Europa: tecniche di valutazione e approccio regolatorio in chiave comparata, in Diritto delle relazioni industriali, 2011, p. 565 ss.; NUNIN, La prevenzione, cit., pp. 41-42.

166 Una prospettiva d’intervento criticabile perché valorizza la dimensione individuale rispetto a quella collettiva: PERUZZI, ivi, pp. 229-230.

167 COMMISSIONE EUROPEA, Evaluation of the European Strategy 2007-2012 on health and safety at work, SWD (2013), 202, final, Bruxelles.

168 AUTIERI, Salute e sicurezza sul lavoro. La mancata adozione della strategia 2013-2020, in Bollettino Adapt, 17 giugno 2013, pp. 1-2.

169 AUTIERI, ivi.

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risoluzione approvata il 12 settembre 2013, dopo aver manifestato preoccupazione per la situazione creatasi e ribadito i contenuti del messaggio espresso nella precedente risoluzione del 15 dicembre 2011 (sull’analisi interlocutoria della strategia 2007-2012), i parlamentari europei hanno posto particolare attenzione alle diverse sfide che devono essere ancora affrontate e invitato la Commissione europea a presentare, entro la fine del 2013, una proposta definitiva relativamente al periodo 2014-2020: fino ad ora, a quell’invito non è stata data risposta.