La musica di Dio

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47 GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2011 Il caso OMERO CIAI L’ultima sfida di Zapatero “Via dal mausoleo il corpo di Franco” Gli spettacoli FEDERICO RAMPINI Dopo 16 rinvii ecco “Spiderman” musical dei record La storia Donne al volante la protesta araba viaggia sul web Interattività Cinema La Loren doppia per i nipotini OGGI SU REPUBBLICA.IT “ORA CAMBIAMO LA LEGGE ELETTORALE” Ambiente Come stanno le spiagge d’Europa Immagini iPad Siria l’odissea dei rifugiati Cosmo Luna di fuoco le immagini dell’eclisse Assoli di chitarra, cori africani e rock’n’roll: per decenni è stata la colonna sonora delle messe. Ora il Papa invita a cambiare partitura. Per tornare all’antico MICHELE SMARGIASSI È ora di mettere al bando le «armi di distruzione di messa». Nella Chie- sa italiana, spesso divisa, c’è un ar- gomento che mette d’accordo tut- ti, un po’ più scanda- lizzati i tradizionalisti, un po’ più ironici i progressisti: le canzoncine devote che si ascoltano ogni domenica in tutte le parrocchie della peni- sola tra l’introibo e il missa est sono quasi sempre desolanti, banali, lagnose o bizzarre, talora ridicole e a volte perfino sbadata- mente eretiche. Tanto che nessu- no giurerebbe che lo strepitoso rap che la regista Alice Rohrwacher, ap- pena acclamata a Cannes, fa canta- re ai catecumeni nel suo film Corpo celeste («Mi sintonizzo con Dio / è la frequenza giusta / mi sintonizzo proprio io / e lo faccio apposta») sia del tutto inventato, e non magari ascoltato veramente in qualche oratorio di periferia. Non si può dire che gli allarmi non siano risuonati, è il caso di dire, molto in alto. Già venticinque anni fa l’allora cardinale Ratzinger fu spietato con la playlist degli altari: «Una Chiesa che si riduca a fare so- lo della musica “corrente” cade nell’inetto e diviene essa stessa inetta». Oggi, da pontefice aman- te della musica, insiste sul concet- to in un libro, Lodate Dio con arte, applaudito dal maestro Riccardo Muti, anche lui esasperato da «quelle quattro strimpellate di chitarre su testi inutili e insulsi che si ascoltano nelle chiese, un vero insulto». La questione sta di- ventando spinosa, anzi esplosiva, perché da anni è sullo stile delle ce- lebrazioni che si gioca l’aspra contesa tra conciliaristi e restauratori, con i secondi al facile attacco di quella «eresia dell’informe», come la definisce lo scrittore tedesco Martin Mosebach, che corrode la liturgia a colpi di «canti sguaiati». «A che serve avere belle chiese se la musica è penosa?», insorse dieci anni fa l’allora presidente del Ponti- ficio istituto di musica sacra, il catalano Valentino Miserachs Grau. La Chiesa francese ha risolto la questio- ne da tempo, con piglio gallicano, stilando una lista rigorosa e vincolante di canti am- messi, una sorta di canatur, versione ca- nora dell’imprimatur. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN’INTERVISTA DI ORAZIO LA ROCCA La musica GIOVEDÌ QUEI LIBRI DA METTERE A POSTO DARIO CRESTO-DINA F abio il Fenomeno ha 17 anni. Nove mesi fa ha ri- schiato di non essere più neppure Fabio. Un pome- riggio dopo la scuola si è schiantato con il motorino, il casco si è sganciato, il marciapiede gli ha aperto la testa precipitandolo nel buio della non coscienza. Ma anche nei buchi più profondi possono baluginare ceneri di vita. Do- po una lunga serie di interventi chirurgici, sette mesi di co- ma e quasi tre di neuro-riabilitazione il ragazzo è diventa- to il Fenomeno. Oggi lo chiamano così. È tornato al liceo, è stato promosso, presto una placca d’acciaio gli chiuderà quell’avvallamento nel cranio all’altezza della tempia de- stra. Una ripresa eccezionale, hanno decretato con stu- pore i medici. Lui dice che gli è rimasta la paura, anche quando è in auto con i genitori. Da quei mesi di vita non vi- ta è riemerso un ragazzo che ora si racconta con parole da uomo: «Il mio cervello è una libreria dalla quale sono ca- duti sul pavimento tutti i libri. Li sto rimettendo al loro po- sto uno a uno». Ogni tanto deve riposarsi perché, confes- sa, gli fanno male i piedi e non ne capisce la ragione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Dio di

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Da La Repubblica del 16 giugno 2011

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Page 1: La musica di Dio

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GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2011 Il caso

OMERO CIAI

L’ultima sfidadi Zapatero“Via dal mausoleoil corpo di Franco”

Gli spettacoli

FEDERICO RAMPINI

Dopo 16 rinviiecco “Spiderman”musicaldei record

La storia

Donne al volantela protesta arabaviaggia sul web

Interattività

Cinema

La Lorendoppiaper i nipotini

OGGI SUREPUBBLICA.IT

“ORA CAMBIAMO LA LEGGE ELETTORALE”

Ambiente

Come stannole spiagged’Europa

Immagini iPad

Sirial’odisseadei rifugiati

Cosmo

Luna di fuocole immaginidell’eclisse

Assoli di chitarra, cori africani e rock’n’roll: per decenni è stata la colonna sonora delle messe. Ora il Papa invita a cambiare partitura. Per tornare all’antico

MICHELE SMARGIASSI

Èora di mettere al bando le «armi didistruzione di messa». Nella Chie-sa italiana, spesso divisa, c’è un ar-gomento che mette d’accordo tut-ti, un po’ più scanda-

lizzati i tradizionalisti, un po’più ironici i progressisti: lecanzoncine devote che siascoltano ogni domenica intutte le parrocchie della peni-sola tra l’introibo e il missa estsono quasi sempre desolanti,banali, lagnose o bizzarre, taloraridicole e a volte perfino sbadata-mente eretiche. Tanto che nessu-no giurerebbe che lo strepitoso rapche la regista Alice Rohrwacher, ap-pena acclamata a Cannes, fa canta-re ai catecumeni nel suo film Corpoceleste («Mi sintonizzo con Dio / è lafrequenza giusta / mi sintonizzoproprio io / e lo faccio apposta») siadel tutto inventato, e non magariascoltato veramente in qualcheoratorio di periferia.

Non si può dire che gli allarminon siano risuonati, è il caso di dire,molto in alto. Già venticinque annifa l’allora cardinale Ratzinger fuspietato con la playlist degli altari:«Una Chiesa che si riduca a fare so-lo della musica “corrente” cadenell’inetto e diviene essa stessainetta». Oggi, da pontefice aman-te della musica, insiste sul concet-to in un libro, Lodate Dio con arte,applaudito dal maestro RiccardoMuti, anche lui esasperato da«quelle quattro strimpellate dichitarre su testi inutili e insulsiche si ascoltano nelle chiese, unvero insulto». La questione sta di-ventando spinosa, anzi esplosiva,perché da anni è sullo stile delle ce-lebrazioni che si gioca l’aspra contesa traconciliaristi e restauratori, con i secondi alfacile attacco di quella «eresia dell’informe»,come la definisce lo scrittore tedesco MartinMosebach, che corrode la liturgia a colpi di«canti sguaiati». «A che serve avere bellechiese se la musica è penosa?», insorsedieci anni fa l’allora presidente del Ponti-ficio istituto di musica sacra, il catalanoValentino Miserachs Grau.

La Chiesa francese ha risolto la questio-ne da tempo, con piglio gallicano, stilandouna lista rigorosa e vincolante di canti am-messi, una sorta di canatur, versione ca-nora dell’imprimatur.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVECON UN’INTERVISTA

DI ORAZIO LA ROCCA

La musicaGIOVEDÌ

QUEI LIBRI DA METTERE A POSTO

DARIO CRESTO-DINA

Fabio il Fenomeno ha 17 anni. Nove mesi fa ha ri-schiato di non essere più neppure Fabio. Un pome-riggio dopo la scuola si è schiantato con il motorino,

il casco si è sganciato, il marciapiede gli ha aperto la testaprecipitandolo nel buio della non coscienza. Ma anche neibuchi più profondi possono baluginare ceneri di vita. Do-po una lunga serie di interventi chirurgici, sette mesi di co-ma e quasi tre di neuro-riabilitazione il ragazzo è diventa-to il Fenomeno. Oggi lo chiamano così. È tornato al liceo,è stato promosso, presto una placca d’acciaio gli chiuderàquell’avvallamento nel cranio all’altezza della tempia de-stra. Una ripresa eccezionale, hanno decretato con stu-pore i medici. Lui dice che gli è rimasta la paura, anchequando è in auto con i genitori. Da quei mesi di vita non vi-ta è riemerso un ragazzo che ora si racconta con parole dauomo: «Il mio cervello è una libreria dalla quale sono ca-duti sul pavimento tutti i libri. Li sto rimettendo al loro po-sto uno a uno». Ogni tanto deve riposarsi perché, confes-sa, gli fanno male i piedi e non ne capisce la ragione.

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Diodi

Page 2: La musica di Dio

In un libro,

Ratzinger

attacca

la “playlist”

degli altari.

Dalla sua parte,

c’è Riccardo Muti

Ogni giorno,nelle chiese italiane,

si ascoltano canti che i religiosi

per primi giudicano desolanti,

lagnosi, bizzarri. Dall’“Alleluja

delle lampadine” all’Osanna

“africano”,viaggio nella liturgia

contemporanea ridotta a un Sanremo

che ha fatto storcere il naso ai grandi

musicisti.E al Papa

La ribellione è nell’aria, un grup-po Facebook frequentato da sa-cerdoti ha stilato perfino la classi-fica dei canti più disastrosi: havinto con 374 nomination l’Alle-luja delle lampadine, ribattezza-to così perché di solito è accom-pagnato da gesti delle mani chesembrano mimare il lavoro di un

elettricista. L’arcivescovo di Bo-logna Carlo Caffarra ha spuntatopersonalmente a matita rossa dailibretti parrocchiali i canti «chenon devono più esserci», comeAlleluja la nostra festa, visto che,semmai, la messa è la festa del Si-gnore. Da più parti s’invocano ilripristino d’autorità del Grego-

riano e la disciplina monostru-mentale dell’organo a canne, o al-meno dell’armonium.

Sotto queste pressioni, un paiod’anni fa la Conferenza episcopa-le chiese al suo consulente donAntonio Parisi, esperto di musicasacra e compositore, di mettereordine nello sconcertante fra-

stuono. Povero don Antonio, sitrovò di fronte un oceano di quin-dicimila canti, canzoni e canzon-cine estratti da quarantacinqueanni di raccolte nazionali e locali.E c’era di tutto. Delle musiche ab-biamo detto, ma i testi, i testi an-cora peggio. Pieni di parole tron-che, da poesiola delle elementari

(«Il nostro mal / sappi perdo-nar...»), banali, inappropriate, diorrori grammaticali («Te nel cen-tro del mio cuor»), di espressionirubate a qualche spot televisivo dibanche («Tutto ruota intorno aTe»), quando non sono zeppi diingenuità (definire Maria «l’irrag-giungibile» non è incoraggianteper la partecipazione al rosario) edi veri e propri strafalcioni teolo-gici, commessi sicuramente inbuona fede, magari per far qua-drare un verso: cantare «Tu chesei nell’universo» solo perché«nell’alto dei Cieli» non ci stava,più che riecheggiare una canzo-ne di Mia Martini significa circo-scrivere Dio dentro la sua Crea-zione, e non va proprio bene.

Un compito immane, defati-gante, sconsolante, da cui donParisi riuscì meritoriamente a farscaturire un Repertorio naziona-le di canti per la liturgiache ne se-leziona 384 decenti e adeguati,ma che ancora non fa testo: «Nonsi può procedere per imposizio-ni», spiega, «bisogna formare,formare persone nelle diocesi,nelle parrocchie, far studiare mu-sica ai presbiteri, agli animatori,ai catechisti, il canto liturgico nonè un optional, è un segno sacro».

Giusto non voler guastare l’en-tusiasmo degli animatori parroc-chiali, volonterosi e incolpevoli.Ma il punto è questo, che i cantidurante la messa non sono un“accompagnamento”, non sonogli “stacchetti” fra un responso-rio e una lettura: fanno parte del-la liturgia, sono cosa sacra comele parole dell’Elevazione. Comeè possibile che la stessa Chiesache ripristina la messa in latinochiuda un occhio di fronte allacolonna sonora da X-Factor diquella in italiano? I conservatorihanno una spiegazione storica:

(segue dalla copertina)

MICHELE SMARGIASSI

Invece in Italia, sede del cat-tolicesimo ma anche pa-tria del bel canto, l’anar-chia del parrocchia’n’rollsembra ingovernabile.

Ogni diocesi dovrebbe possede-re un Ufficio di musica sacra te-nuto a vigilare sulla serietà del sa-cro pop, ma di fatto quel che fini-sce per risuonare tra banchi e na-vate è quasi sempre frutto dellacreatività improvvisata di qual-che catechista munito di iPod, odi certi sacerdoti chitarristi. Lascena, un po’ dovunque, dev’es-sere quella frettolosa e distrattadescritta dal bolognese don Ric-cardo Pane nel suo sconsolatopamphletLiturgia creativa: «Pri-ma della messa mi piomba im-mancabilmente in sacrestiaqualcuno a chiedere: “Don, checosa cantiamo?”, e il mio ritor-nello è inesorabilmente “vatti aleggere le antifone e vedi se troviun canto che ci azzecca”».

Il risultato è nelle orecchie ditutti. Reperibile a vagonate anchesui canali di YouTube, pure in ver-sioni medley e remix. Motivettiche non ci azzeccano proprio, in-congruità (Signore scende la seracantato alla messa delle 11 dimattina), cascami di musica diconsumo, simil-Ramazzotti e pa-ra-Baglioni, esotismi world mu-siccon bonghi e maracas (come ilcantatissimo Osanna-eh «africa-no») che sconcertano le vecchiet-te, azzardi stilistici estremi (c’è unGloria hip-hop), perfino cover dagrandi successi (allucinata la pa-rafrasi del Pater sull’aria di TheSound of Silence di Simon & Gar-funkel: «Padre Nostro tu chestaiiii / in chi ama veritàaaa...»).

La messasenza il

rock’n’roll

R2CRONACA� 48GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2011

la Repubblica

L’INCHIESTA

Nel ’68 il “rito beat”

Alla fine degli anni 60, sullaspinta del Concilio Vaticano II,si diffuse in Italia la MessaBeat, accompagnata da braniispirati al rock dell’epoca.Il successo fu “benedetto”anche dai Gesuiti e le EdizioniPaoline uscirono con i primi45 giri. Due anni fa, un gruppodi fedeli ha replicatoquell’esperimento a Prato

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la profanazione canora comin-ciò con «la deflagrazione nuclea-re» chiamata “Messa Beat”. Chila ricorda? Anno 1965, Concilioappena terminato, fibrillazionedel rinnovamento, il maestroMarcello Giombini accantonò lecolonne sonore degli spaghetti-western e, ispirato, scrisse unamessa musicale «per i giovani».Davvero una bomba atomica.Trasmissioni Rai, concerti,tournée internazionali, benedi-zione del gesuita padre Arrupe,45 giri pubblicati dall’etichettadiscografica delle Edizioni Pao-line. Il torrente non si fermò più,proliferarono i «complessi» dascantinato di canonica, alcuneband divennero famose, Angeland the Brains, The Bumpers,per non dire delle due formazio-ni parallele dei Focolarini, GenVerde e Gen Rosso, le cui audio-cassette infestano ancora gli ora-tori. Ma fu così che la Chiesa nonperse l’onda del Sessantotto. Enon fu affatto una sciagura, assi-cura monsignor Vincenzo DeGregorio, responsabile per la li-turgia musicale della Cei: «Primale messe erano o tutte recitate otutte cantate, ma cantate solo dalcoro, solo da ascoltare. La MessaBeat fu una sana apertura, ed eradi qualità, il guaio come sempresono gli epigoni. Anzi, il guaio è lacultura musicale inesistente de-gli italiani. In questo Paeseormaisi canta solo a messa».

I tradizionalisti sbagliano.Dare la colpa al Concilio è trop-po facile, anche la Chiesa guar-dinga dell’Ottocento ebbe pa-recchi problemi con le hit para-de da altar maggiore. Sentite co-me nel 1884 la Sacra congrega-zione dei riti elencò con disgustoquel che rimbombava tra le na-vate: «Polcke, valzer, mazurche,

minuetti, rondò, scottisch, var-soviennes, quadriglie, galop,controdanze, e pezzi profani co-me inni nazionali, canzoni po-polari, erotiche o buffe, roman-ze...». Il difetto della Chiesa post-conciliare semmai fu trovarsimusicalmente impreparata allasua stessa rivoluzione liturgica.Con l’abbandono del latino, laCei predispose il nuovo messalein italiano, ma trascurò il rinno-vamento del repertorio canoro.A disposizione c’erano solo unpo’ di litanie antiquate, Mira iltuo popolo, T’adoriam ostia di-vina. «Ai parroci non restò cheprendere le canzonette delgruppo rock che faceva le provein oratorio, o quelle dell’ultimocampeggio scout, e portarle sul-l’altare», sospira monsignor DeGregorio. Risultato: un’infanti-lizzazione drastica dei contenu-ti, degli stili, dei testi.

Eppure ci sono, nel grandemondo ecclesiale, talenti da uti-lizzare, compositori di qualità.Don Parisi li cita con rispetto:don Marco Frisina, composito-re apprezzato anche negli Usa,don Pierangelo Sequeri, autoredel diffusissimo Symbolum 77,il gesuita Eugenio Costa, il ca-milliano Giovanni Maria Rossi,il salesiano Domenico Machet-ta... «Vedo il bicchiere mezzopieno: sono passati solo cin-quant’anni dalla riforma conci-liare, è presto per tirare delleconclusioni». La Cei sta pensan-do di commissionare a loro unnuovo repertorio, finalmente diqualità. Nell’attesa, quando rin-tocca la campana della messa,viene ancora il sospetto che leparrocchie d’Italia, come patro-no della musica, non invochinosanta Cecilia, ma Sanremo.

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO

«Drammatica, di-sperata, insi-g n i f i c a n t e » .Non usa mezzi

termini il maestro don PabloColino, nel descrivere lo statodi salute della musica eseguitaoggi nelle chiese. Anche se poitiene a precisare che «c’è anco-ra la possibilità di capovolgerequesta pericolosa tendenza alribasso, potenziando lo studiodella musica sacra e dei canti li-turgici, a partire dal gregoria-no». Monsignor Colino è uni-versalmente noto come musi-cista e direttore d’orchestra.Dopo anni di servizio in Vatica-no, ora dirige il Coro della Fi-larmonica Romana. Un’auto-rità, dunque, in materia di mu-sica religiosa, da anni impe-gnato a «ripulirla» dalle scorieche, a suo parere, l’hannocompromessa. «È papa Bene-detto XVI il primo a chiederce-lo e a credere in questo impe-gno», dice. «Tante volte il pon-tefice mi ha incoraggiato adandare avanti, perché la musi-ca sacra è un patrimonio uni-versale, radicato nella più ge-nuina tradizione liturgica».

Maestro Colino, perché la mu-sica sacra e liturgica è in crisi?

«Tutto è precipitato dopo ilConcilio Vaticano II, con quellasuperficiale ondata di pseudo-rinnovamento che ha fatto tantidanni in quasi tutte le nostrechiese. Basta assistere a unaqualsiasi celebrazione liturgica,

per sentire orride schitarrate,pianole assordanti e cori super-ficiali. Il tutto diretto da maestripoco preparati. Anche se nonmancano incoraggianti ecce-zioni che, se coltivate, potrebbe-ro far ben sperare per il futuro».

Potrebbe fare qualcheesempio?

«Recentemente, a Terni si èsvolto un interessante conve-gno sulla musica sacra, e, perl’occasione, si sono esibitemolte corali giovanili e tantigruppi di artisti specializzati inmusiche liturgiche. È stato bel-lo e interessante sentirli. E an-che incoraggiante».

Ma c’è una «ricetta» per rilan-ciare la musica sacra?

«Occorre tornare allo studioserio, rigoroso e appassionatonelle scholae cantorum, neiconservatori e, magari, nellescuole. La musica sacra è patri-monio universale, una formad’arte tra le più alte e immorta-li. E l’Italia ne è piena, avendodato i natali ai più grandi autoridi musiche liturgiche».

E quali dovrebbero essere iprogrammi in queste scuole?

«È di fondamentale impor-tanza tornare a diffondere la co-noscenza diretta del gregorianoe, parallelamente, affinare lapreparazione di musicisti, diret-tori d’orchestra e di corali. Nonsi va da nessuna parte senza ri-gore didattico e senza la cono-scenza del gregoriano, la madredella musica sacra, ma oserei di-re di tutta la musica, anche diquella contemporanea».

L’intervista

Monsignor Pablo Colino dirige il Coro della Filarmonica Romana

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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La storia

NEL 1749Benedetto XIVlamental’abbandonodel cantogregoriano,il frastuonodegli strumentie la sciatteriadelle liturgie

NEL 2009la Cei pubblicail repertorionazionaledei 384 cantiliturgici,che perònon vincolale parrocchiea usarli

NEL 1903,Papa Pio Xchiedeliturgie ispiratea “santità”,“bontàdi forme” e“universalità”.E esorta i fedelia cantare

NEL 1963il ConcilioVaticano IIspingeper il “cantoreligiosopopolare”e apre allemusichetradizionalie locali

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@GIOVEDÌ 16 GIUGNO 2011

la Repubblica PER SAPERNE DI PIÙwww.chiesacattolica.itwww.paoline.it

“Basta con le schitarrate,torniamo al gregoriano”

MONSIGNOREE MAESTROPabloColino,direttoredel CorodellaFilarmonicaRomana