LA CENA DE LE CENERI - iteatri.re.it · Teatro Stabile dell’Umbria ... luci Giorgio Cervesi Ripa...

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PROSA 2005-2006 martedì 17, mercoledì 18, giovedì 19, venerdì 20, sabato 21, domenica 22 gennaio 2006 - ore 21 TEATRO CAVALLERIZZA Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con Nuovo Teatro Nuovo con il patrocinio del Centro Internazionale di Studi Bruniani - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici presenta LA CENA DE LE CENERI da Giordano Bruno libero adattamento di Federico Bellini con Danilo Nigrelli, Marco Foschi, Fabio Pasquini, Annibale Pavone idea scenografica Antonio Latella costumi Emanuela Pischedda luci Giorgio Cervesi Ripa suono Franco Visioli movimenti coreografici Deda Cristina Colon regia Antonio Latella da Giordano Bruno LA CENA DE LE CENERI

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PROSA 2005-2006

martedì 17, mercoledì 18, giovedì 19, venerdì 20, sabato 21, domenica 22gennaio 2006 - ore 21TEATRO CAVALLERIZZA

Teatro Stabile dell’Umbriain collaborazione con Nuovo Teatro Nuovocon il patrocinio del Centro Internazionale di Studi Bruniani - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

presenta

LA CENA DE LE CENERIda Giordano Brunolibero adattamento di Federico Bellini

con Danilo Nigrelli, Marco Foschi, Fabio Pasquini,Annibale Pavone

idea scenografica Antonio Latellacostumi Emanuela Pischeddaluci Giorgio Cervesi Ripasuono Franco Visiolimovimenti coreografici Deda Cristina Colon

regia Antonio Latella

da Giordano Bruno

LA CENA DE LE CENERI

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“La cena de le ceneri” è il primo dei sei dialoghi italiani che Bruno scrisse durante la sua

permanenza in Inghilterra, ed è essenzialmente il primo in cui vengono gettati i semi della

sua proposta filosofica e della sua visione cosmologica. Una scienza in grado di soppiantare

le teorie ad essa precedenti in nome di una visione delle cose del tutto rivoluzionaria,

che si avvale comunque, per il suo fine, di elementi di altre dottrine come il neoplatonismo

e soprattutto delle ricerche di Copernico, di cui Bruno peraltro tesse l’elogio nel primo

dei cinque dialoghi in cui è strutturata l’opera. Si tratta quindi, in prima analisi, di un testo

di filosofia, dove Teofilo, l’alter-ego di Bruno, spiega ai suoi interlocutori le ragioni della

sua dottrina. Scopriamo allora l’accettazione della teoria copernicana per cui la Terra

gira intorno al Sole, la tesi che ogni cosa ha una propria anima che la muove e l’affermazione,

del tutto eversiva per il tempo, che l’Universo è infinito e che vi possono essere innumerevoli

mondi. Ed è forse proprio qui lo scacco, il cortocircuito potenzialmente teatrale per cui

al filosofo Bruno, osservatore dell’infinito, si sovrappone l’uomo Bruno, con la nota e

drammatica finitezza. Cercare di coniugare questi due opposti può aprire allora una

chiave di lettura utile a dissotterrare, dis-velare, aspetti del testo che evadono dal territorio

apparentemente astratto della filosofia per condurre direttamente nel dominio della carne,

delle pulsioni, degli umori. Fino a scoprire che ogni parola, in Bruno, non solo è intrisa,

come è stato detto, della sua cosmologia, ma anche del suo corpo; e che anche quando

questa appare ludica, divertita, sottende un’avventura della carne di cui non si può non

tener conto, riportandoci di peso al titolo stesso dell’opera, alla sua ambiguità, al suo

enigma. Perché, prima del discorso filosofico, qui si parla espressamente del travaglio

di un uomo verso la conoscenza. Il tutto espresso in una lingua, l’italiano volgare, che

avvolge nelle sue spire ogni personaggio e che si fa essa stessa drammaturgia.

Antonio Latella nasce il 2 febbraio 1967 a Castellammare di Stabia (Napoli) e frequenta la scuola delTeatro Stabile di Torino diretta da Franco Passatore e la Bottega teatrale diretta da Vittorio Gassmana Firenze. Nel 1986 inizia a lavorare come attore. Dal 1998 passa alla regia teatrale.Per la sua attività di regista ha ricevuto nel 2001 il premio speciale UBU per il progetto Shakespeareed oltre, l’XI edizione del premio intitolato a Luca Coppola e a Giancarlo Prati, il premio Girulà per lamigliore drammaturgia per lo spettacolo “I Negri”. Nel 2004 ha ottenuto il premio Vittorio Gassmancome miglior artista dell’anno e il premio Teatro il Primo per la migliore produzione per lo spettacolo“Porcile”. Coma attore lavora dal 1986 in teatro, ha lavorato per la televisione e per il cinema, ha curatonumerose regie teatrali e la regia lirica dell’“Orfeo” di Monteverdi al teatro dell’Opera di Lione.

“Latella e Bellini sono riu-sciti nell’impresa ardua diadattare ‘La cena de le ce-neri’, un’opera così com-plessa e con un tema comela definizione dell’infinito,di adoperare i concetti diun pensiero che sfugge aqualsiasi sintesi, ad ognitipo di riduzione. Il dialogotra i quattro commensalidiventa una sorta di viaggiodel pensiero verso la cono-scenza usando come mez-zo le possibilità offerte dalteatro”. (Saverio Aversa,“Liberazione”)

“Latella (…) immagina cheil serrato confronto tra Tor-quato e Nundinio da unaparte e Giordano dall’altrasia evocato davanti al pub-blico, in un allucinante gio-co di specchi, da quattrolaici evangelisti, neoporta-tori di un verbo che oggipossiamo intendere comeun afflato insieme religiosoe profano sulle origini e ildestino dell’universo”. (En-rico Groppali, “Il Giornale”)

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A proposito de “La cena de le ceneri” - Note di Antonio Latella

“Il filosofo aspira a superare la sua individualità… per dilatare il suo essere finito nello splendore dell’infinito,per ritrovare l’unione con la natura infinita. Pensare all’infinito significa, in particolar modo, pensarsi comeuna minuscola parte di un tutto, significa manifestare con entusiasmo la certezza che anche la propria vitapartecipa, in proporzione, all’incessante movimento dell’universo.”

Tutto ciò che posso scrivere assume toni retorici e superficiali rispetto alla vastità della materiae alla profondità dell’uomo Giordano Bruno. Quindi è difficile tracciare una mappa usuale, quelloche ci piace chiamare “note di regia”, rubando a Pasolini mi viene da dire “appunti di regia” o piùesattamente “appunti per un inno”. Ecco, inno mi sembra la dicitura esatta, poiché è lo stessoGiordano Bruno a fare nei suoi illuminanti testi, sempre e comunque un inno alla vita; alla naturache si evolve e si ricrea, e nel suo fine ritrova la nascita. Inno alle idee che inseminano, fecondano,(usando con questi termini una metafora viva e non morta).Filosofia - letteratura - arte - commedia, sempre al servizio dell’espressione incessante della realtà.La cena de le ceneri, funziona come una scatola cinese, ogni livello porta a un altro e a un altroancora, non dà una soluzione, ma si sospende, si apre per rimandare ad altri livelli, agli “infinitimondi”. Un ciclo che si ripete nel suo essere “spirale di infiniti universi”.Shakespeare, Marlowe, Bruno, Caravaggio, quattro mondi uniti in unica voce pioniera del nuovomondo, sotto questa ottica è sconvolgente la loro necessità e urgente similitudine pur nelle dovutediversità date dagli uomini, dalla loro storia, e dal loro essere “nuova storia”.

Le loro voci si sono prepotentemente imposte fino ad essere e ad esserci in tutto ciò che cicirconda; e rendere accettabile il silenzio, ildevastante quotidiano. Per le nuove ideeBruno ha bisogno della parola in tutte le sueforme; la parola detta, la parola scritta, laparola arma nei duelli delle più importanticittà europee, la parola “teatro”.Per arrivare a una maggiore platea Brunoadotta oltre al latino anche il volgare (vera epropria madre lingua); la usa come chiave,per insinuarsi o scardinare più serraturepossibili, da quelle delle grandi corti alle casedel popolo, dai saloni alle umili stanze, dalleuniversità alle piazze, dai corridoi alle strade.Le stanze concreti luoghi di incontro diventanospazi per dar sfogo alle idee, spazi mentali;luoghi della conoscenza, “teatro”.Su tutto il detto e lo scritto c’è sempre unosguardo ironico, buffonesco — non si puòpiù e non si deve spaventare (ignoto fa paura).

“È per il popolo che si sono introdotti angeli edemoni, ma quelli che li hanno introdottisapevano bene che non esistono.”

Il riso, lo scherzo, la pagliacciata, la commediasono necessari come dice lo stesso Bruno:

“Noi stregoni siamo tutti un po’ burloni e attori. La sapienza, ammettendo che qualcuno riesca a conquistarla,non è accessibile solo con il cervello, ma ci vuole anche il corpo. Non c’è saggezza senza l’unione di pensiero,carne e sorriso.”

Ancora una volta il corpo costringe la forma della necessità dell’esserci. Il corpo umano riproduceil mondo. Una volta trovata la purezza del corpo l’uomo può spingere la propria mente verso la luce,la sapienza, che trova il suo equilibrio nell’armonia tra il finito “il corpo” e l’infinito “l’anima”.Gli attori sotto questa ottica, sono mondi diversi, ognuno con un proprio corpo “pianeta”, ognunocon un ruolo cui dare vita e carattere, ma tutti pianeti di uno stesso universo, della stessa spiraleche si avvolge ad una luce, ad un’IDEA.Teofilo assume il corpo, la ragione della filosofia del nolano. Smitho è il mondo dei gentiluominiinglesi interessati alle dispute filosofiche per scindere il vero e il giusto. Prudenzio il pedante e ottusoclassicista (spesso omosessuale) che appartiene agli eruditi tanto sbeffeggiati dallo stesso Brunoe infine Frulla, il servitore senza studi né disciplina (la natura — l’istinto).Loro stessi nel gioco metateatrale che dalla narrazione passa alla disputa, assumendo altri ruoli aloro più affini, per rendere la metafora della cena, necessario scontro, affinché Teofilo/ Nolano possaarrivare al fine e quindi come nel quinto dialogo, all’essenza, all’espressione filosofale di Bruno;forse alla massima teatralizzazione per poter dire l’indicibile, la verità senza essere censurato da idivulgatori del verbo, la sola verità (la parola di Dio).

Ora c’è un punto e questa pausa, in questa sospensione necessaria al ritrovarsi, al rimettere inordine le idee, provo un immenso amore per gli attori; li vedo come nuovi eroi che si specchiano

in infiniti ruoli, si spingono oltre il carattere peraffondare le idee nel proprio esserci, e accettaresenza compromessi il destino di coloro che hannoscelto la missione della parola da tramandareall’infinito. Scelta difficile da sostenere in questomondo contemporaneo che ha a disposizione infinitivocaboli ma in qualche modo ha perso la sensazioneinterna della parola. La dannazione contro cui gliattori devono combattere; forse l’unica arma possibileè tornare all’essenza, all’(ABC) che nelle suevariegate possibilità di incontro, di combinazione,dà vita all’infinito alla parola.

Chiudere con una frase di Samuel Beckett misembra doveroso:“Alla fine bisogna sempre continuare, bisogna trovareparole finché mi dicono finché mi trovano. Strana pena,strana colpa… ma bisogna continuare. Cercare la parolache apre la parta dell’esistenza. Mi stupirei se quellaporta si aprisse da sola. Sarò io ad aprirla? Sarà ilsilenzio dove mi trovo? Non lo saprò mai. Nel silenzionon si sa. Ma ho bisogno di continuare. E io continuo.Continuo a creare parole.”

...e gli attori tutti continueranno a dirle e a renderleeterne. Infinito.

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Venerdì 27 . Sabato 28gennaio 2006 - ore 21

TEATRO ARIOSTO

Teatro Regio / Unione Musicale / Cine Teatro Baretti

BUREBARUTA

LA POLVERIERAdi Dejan Dukovski

Traduzione Roberta CorteseRegia, scene e costumi Davide Livermore

E se il cielo fosse un fondale? - di Federico Bellini

Londra, 1584. Un uomo piccolo di statura ma non di ingegno,proveniente da un piccolo paese vicino a Napoli, si mette alla finestrae guarda fuori. In quel preciso momento, in quell’anno, il mondo, quelloche si conosce senza che ci siano cannocchiali ed altre diavoleriedella tecnologia, è un mondo che si può solamente pensare. Conl’occhio il piccolo uomo guarda le stelle, le nuvole, e quanto c’è ancora,in quel momento, in quel mondo che lui può solamente vedere. Conl’occhio, l’occhio nudo. L’uomo questa mattina ha guardato il Sole, elo ha visto muoversi. Tutti gli uomini vicini e lontani da lui hanno vistoche quella palla gialla si muove. Questo si può vedere. Quella cosa,che a volte scalda, si muove. Noi siamo, apparentemente,sostanzialmente, fermi. Forse tutto crollerebbe, se ci muovessimo.Nel 1584 Copernico aveva già da tempo dato alle stampe il “Derivolutionibus”. Affermava che là era la terra a muoversi e non il sole.Copernico si era fermato lì, in quel punto. Andare oltre era andaretroppo oltre. Già era un rivoluzionario. Aveva superato Tolomeo, eraentrato là dove non si può dire, ma forse non era entrato là dove nonsi può neanche pensare. Un cerchio di stelle fisse recintava il suopensiero. Per Giordano Bruno, figlio di un uomo d’armi di Nola, questo era psicologicamente inaccettabile. Non poteva pensare che il mondofosse uno solo e finito. Non poteva accettare, soprattutto, che il suopensiero potesse finire là dove inizia il recinto.Il libero pensiero, per il quale Giordano Bruno è chiamato martire, nonè uno snobismo da intellettuale. Semplicemente, è una necessità dellamente. Essere liberi. Essere liberi. Essere liberi. Il diktatdell’anticonformismo dell’oggi si avvita nel proprio recinto conformista.Si morde la coda. Il Trasgressivo fa una regola della propriatrasgressione e finisce, animale senza mutazioni sostanziali, nelConformista. Essere liberi. Essere liberi. Essere liberi. Verso qualeschiavitù? (… …)E quel cielo, quel cielo che ha guardato in quell’ immaginario mattino,dev’essergli apparso per una volta miseramente finito, anch’essoopera di un bravo pittore, o di un buon scenografo. Come troppospesso, oggi, può capitare anche a noi, piccoli Truman di unainconsapevole recita.

“Il regista ha volutodunque cogliere lasostanza eminente-mente drammaticadel trattato, che èproprio in questa dif-ficoltà di trasmettereil sapere, in questaimpotenza dellamente umana eesprimere l’infinito”.(Renato Palazzi, “IlSole 24 Ore”)

“Così, ‘La cena dele ceneri’ illumina difatto il dualismo del-la sostanza univer-sale. Dapprima inavanscena, seminu-di, ciascuno nellasua prigione di luce,i quattro amici dellacerchia londinese diBruno. Poi i quattroche parteciparonoalla cena delle cene-ri, forse un’Ultimacena, una cena lu-strale (i piedi sonoimmersi in un’acquaprimigenia). In sca-la, ognuno è un dop-pio di colui che verrào è già apparso, undoppio degli stessitipi umani del Can-delaio nel 1582, in-cluso il Fastidito, lostesso suo autore”.(Franco Cordelli,“Cor r ie re de l laSera”)