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LA CAPITANATARivista quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di FoggiaDirettore: Franco MercurioSegretaria di redazione: Rossella PalmieriRedazione e amministrazione: “La Capitanata”, viale Michelangelo, 1, 71100 Foggiatel. 0881-791621; fax 0881-636881; email: [email protected]

“La Capitanata” è distribuita direttamente dalla Biblioteca Provinciale di Foggia. Per informazioni eper iscriversi alla lista delle persone e degli enti interessati rivolgersi a “La Capitanata”, viale Michelangelo1 - 71100 Foggia, tel. 0881-791621; fax 0881-636881; email: [email protected]

“LA MAGNA CAPITANA”

BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIAè un servizio della Provincia di FoggiaPresidente: Antonio PellegrinoAssessore alla Pubblica Istruzione: Anna Maria CarrabbaDirettore: Franco Mercurio, [email protected]

Authority amministrativa: Adolfo Rosiello, [email protected] catalografica: Gabriella Berardi, [email protected] editoriale: Rossella Palmieri, [email protected] logistica: Gino Vallario, [email protected] informatica: Antonio Perrelli, [email protected]: Centri di documentazione: Enrica Fatigato, [email protected]: Franco Corbo, [email protected] antichi e speciali: Antonio Ventura, [email protected]: Elena Infantini, [email protected] Adulti: Renato Santamaria, [email protected] Consultazione: Maria Altobella, [email protected] Ragazzi: Milena Tancredi, [email protected]

Erba curvata dal vento (… grano, canneti della costa o delle zone paludose…) e il terso cielo stellato sono elementisimbolicamente connotativi del nostro territorio. La dicitura A.D. 2000, insieme alla scritta ex-libris mutuata daMichele Vocino, rappresentano la volontà di tenere sempre presente il collegamento tra passato, presente e futurosenza soluzione di continuità. Questo ex-libris che d’ora in poi caratterizzerà i documenti posseduti dalla BibliotecaProvinciale, è stato per noi elaborato da “Red Hot - laboratorio di idee e comunicazione d’impresa” e da loro gentil-mente donato.Red Hot : Gianluca Fiano, Saverio Mazzone, Andrea Pacilli e Lorenzo Trigiani. Manfredonia, a.d. 2000.

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LA CAPITANATARASSEGNA

DI VITA E DI STUDIDELLA PROVINCIA

DI FOGGIA_______________

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Sviluppo__________________

GIUGNO 2002

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Questo numero di “La Capitanata” è pubblicatonell’ambito del progetto Stigliola

(deliberazione n. 1330 del 6.12.2000)

© 2002 BPFG Biblioteca Provinciale di Foggia

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Indice

p. 11 Presentazionedi Franco Mercurio

Sviluppo

13 Lo sviluppo del Meridione: un’occasione per l’Italiadi Lucio Stanca

19 Se è il federalismo a dare rispostedi Paolo Agostinacchio

21 Il sogno dello sviluppodi Antonio Pellegrino

23 L’impresa d’amore della lingua maternanel conflitto con il capitaledi Lucia Bertell

33 La contrattazione negoziata per la valorizzazione del territorioIl rilancio del turismo con il contratto di programmadi Matteo Biancofiore

35 L’Assindustria per lo sviluppo della Capitanatadi Nicola Biscotti

37 Il turismo come volano dello sviluppo della Capitanatadi Antonio Calvio

39 Piani concertati di intervento:analisi e modelli possibilidi Giulio Colecchia

43 Turismo e Parco Nazionale del Garganodi Matteo Fusilli

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47 Fiera di Foggia: una terza fase per lo sviluppo della Capitanatadi Pietro Gentile

49 Gli strumenti strategici dello sviluppodi Giuseppe Marcucci

51 Sviluppo sostenibile, scommessa da vinceredi Ciro Mundi

63 Un’identità di relazione per la Capitanatadi Antonio Pepe

67 Lo sviluppo quasi una chimeradi Gianfranco Piemontese

71 Occupazioni possibili, occupazioni impossibilidi Sante Ruggiero

73 Sviluppo? Sì, ma a pre-condizione che…di Enrico Santaniello

Frontiere della Capitanata

75 Primo forum internazionale dei governi locali

75 Presentazionedi Franco Mercurio

76 Le ragioni del primo forum dei governi localidi Antonio Pellegrino

78 Le politiche del Comune di Peterborougha favore dello sviluppo localedi Alex Mackay

83 Le politiche del Governatorato di Silianaa favore dello sviluppo localedi Naceur Talbi

86 Le politiche del Distretto di Klodzkoa favore dello sviluppo localedi Dairusz Mikosa

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88 Le politiche della Provincia di Foggiaa favore dello sviluppo localedi Matteo Valentino

91 Giovani, globalizzazione e transnazionalitàdi Dairusz Mikosa

93 I servizi a favore dei ragazzidi Brenda Town

96 Le aspettative dei giovani di Silianadi Habib Rezgui

98 Le aspettative e i bisogni dei giovani di Klodzkodi Zbigniew Bartnik

102 Le aspettative e i bisogni dei giovani di Foggiadi Pierino Amicarelli

105 Welfaredi Raymond Pobgee

106 Le politiche a favore del welfaredi Chris Town

109 Le politiche del welfaredi Barbara Janowicz

110 Le politiche attuate dalla Provincia di Foggiaa favore del welfaredi Giuseppe D’Urso

118 Culturadi Khalifa Djebeniani

120 Le politiche culturali di Silianadi Mohammed Hedi Jouini

122 Le politiche culturali a Peterboroughdi Marco Cereste

124 Le attività culturali a Klodzkodi Barbara Drozynska

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127 Le politiche culturali a Foggiadi Valeria De Trino

Presente come cultura

129 Angelo Ciavarella: bibliofilo e saggistadi Tommaso Nardella

133 La figura e l’attività editoriale di Mario Simonedi Michele Ferri

Passato come cultura

139 Capitanata tristedi Antonio Lo Re

Saggi

185 Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civilie delle libertà statutariedi Raffaele Colapietra

229 Calabria come approdo dell’animanella narrativa di Corrado Alvarodi Giuseppe De Matteis

239 Di Vittorio e l’interventismo: un ineditodi Angelo Rossi

249 Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia.Dalle chartae del Codice Diplomatico Pugliese (1024-1266)di Francesco Violante

261 Area pubblic library: fisionomia bibliograficadi Maria Altobella

271 La comunicazione in bibliotecadi Enrichetta Fatigato

309 Il ritratto inciso in alcune settecentine della BibliotecaProvinciale di Foggia “La Magna Capitana”di Marianna Iafelice

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Recensioni

327 Perché la Puglia non è la Californiadi Rossella Palmieri

329 Gli autori

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Presentazione

Trent’anni fa. Alla fine degli anni Settanta le classi dirigenti di Capitanataproducevano l’ultimo grande sforzo di programmazione economica. Era il “Proget-to Capitanata”. Veniva concepito dopo lo sforzo degli anni Cinquanta dimodernizzare le relazioni economiche nelle campagne attraverso il ricorso all’usoagricolo dell’acqua e dopo la sperimentazione “industrialista” degli anni Sessanta.

Il “Progetto Capitanata” nasceva come risposta alla crisi delle politiche indu-striali nel Mezzogiorno e per la prima volta, consapevolmente, puntava sulle voca-zioni territoriali locali. Era un modo elegante per dire che lo sviluppo della Capitanatapoteva avere una stabilità durevole solo se si era in grado di alimentare una dinami-ca imprenditoria locale.

Sappiamo tutti come è andata a finire. È rimasto un tentativo sfortunato chesi era infranto contro la Regione. In effetti la Capitanata era troppo abituata a par-lare con Roma. Non aveva compreso che gran parte della programmazione e degliinvestimenti passavano ormai attraverso il nuovo istituto regionale che negli anniSettanta muoveva i suoi primi passi. Il “Progetto Capitanata” non aveva colto que-sta novità istituzionale. Non era, però, solo una questione di natura istituzionale.Gli anni Ottanta non si sono caratterizzati soltanto per essere sul piano economico il“decennio debole”, come ebbe a notare già in quegli anni Geppe Inserra. L’approc-cio regionale ai problemi territoriali ed economici era impregnato ancora di unacultura amministrativa che doveva mettere insieme le logiche burocratiche degliuffici ministeriali periferici e la visione microterritoriale degli amministratori regio-nali che, in gran parte, recavano con sé l’unica esperienza gestionale che conosceva-no bene: quella dei comuni e delle province.

La crisi dei punti di riferimento cardinali delle politiche di sviluppo locali(Casmez, legislazione speciale, ecc.) si incrociava con le inesperienze del nuovo isti-tuto regionale, mentre la Provincia subiva una progressiva perdita di appeal sul pia-no della credibilità di coordinamento fra i comuni e di programmazionesovraccomunale.

Questi (ma non solo questi) elementi svuotarono di fatto il “ProgettoCapitanata” che è finito per consunzione senza essere riuscito a produrre concreta-mente nulla. Aveva però fatto comprendere che il rilancio della Capitanata aveva lesue opportunità nella capacità autopropulsiva di fare sistema. Toccava alla politica,amministrazione, imprenditoria, sindacati e società di mettersi insieme.

Gli anni Novanta hanno segnato proprio questa svolta. Il significato dei “pat-

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ti territoriali” sta proprio in quella che è stata definita la concertazione. Per laCapitanata significava rimettere in moto processi produttivi nel tentativo (riuscito?)di agganciare le altre province adriatiche che stavano correndo più velocemente.

Come in tutte le fasi di transizioni diventa difficile trovare un’idea di pro-grammazione in grado di rappresentare la sedimentazione vera dei processi in atto.Ma dagli interventi autorevoli, che qui pubblichiamo, cominciano ad evidenziarsialcuni punti di forza inediti che guardano con insistenza allo sviluppo sostenibile edecocompatibile. Si tratta di una prospettiva di sviluppo che, se ben governata, è ingrado di operare armonicamente sullo sviluppo dei tradizionali settori produttivi.Turismo, beni culturali e ambientali sembrano essere la nuova frontiera della Capi-tanata. Ma non si tratta di pensare ad un terziario tradizionale, semmai anche avan-zato. Dagli interventi si intravede a tratti un’idea di integrazione fra agricoltura,industria e terziario in una quadro di “sostenibilità” e di innovazione infrastruttu-rale (materiale e immateriale) in grado di modernizzare le relazioni economiche.

Non si propone più, dunque, uno sviluppo che si abbarbica all’assistenziali-smo: anche se vi è ancora la tentazione di appoggiarsi quasi esclusivamente sull’in-tervento pubblico, in assenza di un mercato locale in grado di sostenere dinamichedi sviluppo.

Quel che colpisce negli interventi è l’assenza di riferimenti a quella odiosissi-ma tassa aggiuntiva che imprese e società devono pagare: la criminalità organizzatae la microcriminalità. Pensare ad uno sviluppo, a qualsiasi forma di sviluppo, senzauna cultura delle regole e della legalità significa che la Capitanata rischia di adotta-re un “pensare corto”.

Ritorna ancora una volta e prepotentemente la necessità di trovare un luogoin cui la concertazione non sia solo un momento “economico” separato di intesa fraparti sociali e pubblica amministrazione. La concertazione da questo punto di vistadeve essere in grado di fare un salto di qualità, lasciando le questioni gestionali aigestori per assumere un’idea coordinata e globale di governo del territorio, anchenelle dinamiche educative, sociali e culturali. I presidi della legalità sono presidi didemocrazia e di libertà (di tutte le libertà, anche quelle economiche). Ed i presididella legalità passano attraverso le scuole, i servizi sociali, le biblioteche, i musei perrestituire credibilità ed autorevolezza alla res publica. Il “pensare corto” è appuntopensare ad uno sviluppo economico senza cultura/e.

Eppure, anche se in forma inespressa, questa esigenza di legare sviluppo eco-nomico e cultura è presente in molti interventi. “La Capitanata” in uno dei prossiminumeri indagherà più approfonditamente sulle inedite potenzialità di questo lega-me necessario. Oggi ci basta mettere in contatto fra di loro i nostri decisori.

Franco Mercurio

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Lucio Stanca

Lo sviluppo del Meridione:un’occasione per l’Italia

di Lucio Stanca

Nel corso degli anni, lo scenario economico italiano ci ha portato a conside-rare il Mezzogiorno come un problema da risolvere. In questa concezione esiste sìuna verità – quella fornita dai dati che registrano un oggettivo ritardo nello svilup-po infrastrutturale, nell’avanzamento dei processi di modernizzazione, nella cre-scita e nello sfruttamento dell’economia di rete – ma anche un luogo comune: l’im-mobilismo del Sud, la presunta indifferenza nei confronti del “cambiamento” checi porta a sottovalutare le reali potenzialità del Meridione, specialmente sul frontedel “capitale umano”.

I dati oggettivi ci confermano queste potenzialità: nella seconda metà deglianni ’90 l’economia meridionale è cresciuta mediamente dell’ 1,9 per cento annuo afronte del 0,6 per cento della prima metà, con una ripresa trainata dalla domanda diinvestimenti ed una crescita occupazionale.

E allora sarà opportuno modificare l’ottica di approccio, guardando alla si-tuazione del Mezzogiorno (peraltro non omogenea) non solo e non sempre comeun “problema”, ma piuttosto come una “grande opportunità”, in cui l’eventualedivario sociale, economico, tecnologico, nei confronti di altre regioni del Centro edel Nord, può costituire un’occasione fondamentale di crescita per l’intero Paese.Partendo e facendo leva proprio su alcuni elementi che caratterizzano il Meridione:dal costo contenuto del lavoro, ad un certo “entusiasmo” dell’imprenditoria me-dio-piccola (che negli ultimi cinque anni ha fatto segnare un tasso di sviluppo supe-riore alla media nazionale), alla moltiplicazione di quelle aree che sono diventateesempi di eccellenza nel campo delle nuove forme di economia.

E proprio le possibilità che nascono da nuovi sistemi, da nuove applicazioni,possono risultare cruciali in un processo di rilancio. Dove il centro di questa attivi-tà deve essere costituito dall’innovazione, uno dei principali fattori della crescitaeconomica. A livello microeconomico, l’innovazione permette alle imprese di sod-disfare una domanda sempre più sofisticata e di competere con i concorrenti nazio-nali e internazionali. Sotto il profilo macroeconomico, aiuta ad accrescere l’effi-cienza dei fattori di sviluppo del Paese. Il contributo dell’innovazione all’incre-mento della produttività, quindi, si identifica in una più elevata efficienza nell’uti-lizzo di capitale e lavoro ed è determinata da progressi tecnologici e non: miglioripratiche manageriali, cambiamenti organizzativi, miglioramento nella produzione

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Lo sviluppo del Meridione: un’occasione per l’Italia

e distribuzione di beni e servizi. Allo stesso tempo, permette di creare nuovi pro-dotti che contribuiscono a rendere maggiormente competitive le imprese che ope-rano sui mercati globali. Attualmente non si configura un’arretratezza tecnologicadel Mezzogiorno nell’utilizzazione delle tecnologie Ict (Information andcommunication technologies). Parlerei di un ritardo, ma non di una “frattura” digi-tale rispetto al Centro Nord del Paese. Nell’ultimo biennio, infatti, il ritardo dellefamiglie del Mezzogiorno nella dotazione di tecnologie digitali rispetto a quelle delCentro Nord si è ridotto a circa un anno 1 . Si sono realizzate iniziative per l’acqui-sto di Personal Computer e per l’alfabetizzazione informatica. E hanno inciso fat-tori propulsivi come la consistenza al Sud di più famiglie con figli a scuola (ciclo divita della famiglia con elevata propensione all’acquisto delle nuove tecnologie) e lasostanziale convergenza dei livelli di scolarità nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord.I fattori che ancora appaiono costituire un limite nell’acquisto delle nuove piatta-forme digitali sono invece addebitabili alla differenza di reddito rispetto al Setten-trione (ma il costo delle nuove piattaforme non è molto elevato) e al fatto che nelMezzogiorno sono meno presenti rispetto al Centro Nord le famiglie in cui en-trambi i genitori lavorano (altro “driver” per l’acquisto). Se il mercato “consumer”del Mezzogiorno appare in leggero ritardo, viceversa la situazione attuale delle azien-de e delle istituzioni appare più arretrata 2 . Ma anche in questo ambito vi sononumerose potenzialità del Mezzogiorno: si pensi dal lato della domanda di tecno-logie alla presenza di numerosi distretti industriali 3 e dal lato dell’offerta alla cre-scita della localizzazione di insediamenti di importanti imprese del settore Ict e dinove Parchi Scientifici e Tecnologici dei 26 presenti Italia.

Entrare a far parte integrante della “Società dell’Informazione” può richie-dere quindi tempi molto rapidi. Vorrei citare il caso dell’Estonia, una Nazione natada pochi anni in un’area non considerate all’avanguardia per le tecnologie Ict. Se-condo i più recenti studi 4 è oggi allineata in termini di potenzialità innovative apaesi come Italia, Francia, Giappone e Spagna. È una conferma che quella dell’In-formazione è una società aperta con limitate barriere all’entrata. Ma soprattuttoevidenzia la velocità con cui si può attraversare questa frontiera di nuove opportu-nità. Le nuove tecnologie, dunque, stanno silenziosamente tracciando nuovi confi-ni della competitività fra Paesi, fra aree economiche o regionali. Il Mezzogiorno, omeglio le aree del Mezzogiorno che sapranno meglio interpretare questa opportu-nità, potranno divenire in tempi brevi protagoniste dell’innovazione, essere un la-boratorio, un punto di riferimento, fattore di crescita competitiva.

L’innovazione di cui parlo dovrà coinvolgere tutti gli attori del tessuto so-

1 Fonte: Federcomin, “Famiglia e Multimedialità nel Mezzogiorno”, 2001.2 Fonte: SMAU Ricerche, “Tecnologie ICT e Mezzogiorno: ruolo e opportunità di sviluppo”, maggio

2002.3 L’indagine CERIS-CNR ne quantifica da un minimo di 11 (Legge 317 del 5/10/1991) a un massimo di 36.4 Fonte: Harvard University, “The Global Information Technology Report 2001-2002: Readiness for the

Networked World”, 2002.

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Lucio Stanca

ciale, a partire dalla Pubblica Amministrazione. Una Pubblica Amministrazioneorientata all’utente, cittadino ed impresa, fornitrice di moderni servizi, creatrice divalore “pubblico”, con cui sia facile operare. Uno Stato efficiente e trasparente neisuoi compiti e nel suo grande patrimonio informativo, che rappresenti un realefattore di competitività. Naturalmente, questo processo prevede la riorganizzazionedei processi di “back office”, la parte meno visibile ma fondamentale, che riguardala strutturazione stessa degli uffici. Se la trattazione delle pratiche avviene in manie-ra totalmente manuale, cartacea, sembra difficile immaginare la possibilità di forni-re on line i servizi al cittadino utente. Un primo passo, questo, per rendere possibilela concreta applicazione dell’e-Government, il sistema digitalizzato di governanceper la fornitura di servizi on line, segnando un passaggio fondamentale nell’evolu-zione del rapporto cittadino/Pubblica Amministrazione, dove i cittadini e le im-prese sono “clienti” da gestire con la massima attenzione. Il concetto di cliente nonsignifica che le Amministrazioni operano in un’ottica di profitto, ma più semplice-mente che il loro obiettivo diventa quello di erogare servizi rispondendo alle esi-genze dei destinatari e dove la soddisfazione di chi usufruisce del servizio è stru-mento fondamentale di verifica della sua qualità. E proprio l’uso delle tecnologieIct, come fattore di crescita sociale ed economica, sembra essere la via prioritariaverso il recupero delle aree maggiormente disagiate. Infatti, per la prima volta ri-spetto alle fasi di programmazione precedenti, i Fondi Strutturali affrontano - per ilsettennio 2000-2006 - la questione dello sviluppo della Società dell’Informazionequale strategia innovativa ed essenziale per la il recupero delle aree in ritardo del-l’Europa. In piena sintonia con le priorità d’intervento stabilite dalla CommissioneEuropea e coerentemente con l’iniziativa e-Europe, nell’ambito dei vari Program-mi operativi, il Governo ha sviluppato le tre linee d’intervento indicate nel QuadroComunitario di Sostegno (predisposto, in Italia, con un’ampia partecipazione de-gli attori locali e integrandosi con programmi regionali, in modo da rispondere allecaratteristiche delle strutture socio economiche delle Regioni stesse, evitando cosìla frammentazione) strategiche per lo sviluppo della Società dell’Informazione nelMezzogiorno d’Italia: la sensibilizzazione di imprese, cittadini, associazioni e ope-ratori pubblici alle possibilità offerte dalle tecnologie informatiche, con particolareattenzione alla diffusione rapida all’interno della società delle capacità di uso delcomputer e dei nuovi strumenti telematici; l’ammodernamento della PubblicaAmministrazione, con riferimento particolare a quella regionale e locale, con un’en-fasi sui servizi resi ai cittadini e alle imprese; l’utilizzo dell’Information technologyda parte delle Pmi, privilegiando i servizi ad alto valore aggiunto per l’industria.

E proprio per la realizzazione di questi programmi, il Governo, sta dandoforte impulso allo sviluppo della larga banda, l’ambiente tecnologico che consentel’utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività, che la stessa UnioneEuropea considera condizione essenziale per lo sviluppo economico e sociale. LaTask force interministeriale che è stata istituita ha risposto a queste esigenze: creareuna diffusione armonica della larga banda nel Paese evitando la nascita o l’amplifi-cazione di fratture che rischierebbero di diventare difficilmente sanabili. Per questo

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Lo sviluppo del Meridione: un’occasione per l’Italia

il gruppo di lavoro, che si è avvalso della collaborazione di tutti i Ministeri interes-sati, degli Enti locali e degli operatori di mercato, ha diviso l’Italia in tre zone, inbase al grado di potenziale di diffusione e sviluppo dei servizi a larga banda, su cuicompiere interventi mirati e diversificati. È allo studio la possibilità di concedereincentivi per favorire gli investimenti nella nuova tecnologia attraverso la leva fisca-le o il project financing. Il Governo, conclusasi l’esperienza della Task force, ha poicreato un Comitato Esecutivo che è responsabile della definizione e dell’attuazionedel piano sulla larga banda in Italia. Lo sviluppo di questa tecnologia a livello diimportanza e necessità, è paragonabile alla costruzione delle autostrade negli anni’50, con la differenza che i costi non saranno integralmente a carico dello Stato.

Uno sviluppo tecnologico, dunque, e un aumento di competitività che deveessere accompagnato, necessariamente, per il Meridione come per il resto del no-stro Paese, dalla valorizzazione del capitale umano, del “fermento” intellettuale cheda sempre è un patrimonio del Sud Italia. In quest’ottica la conoscenza assume unruolo nuovo: più che in passato è un valore non solo culturale, ma economico.Perché il vantaggio competitivo di una Nazione si riconosce oggi dalle competenzee dai comportamenti delle sue risorse umane. Il livello delle competenze è indi-spensabile per implementare la strategia di un Paese. E la conoscenza è una risorsa.Si è prima affiancata ai tradizionali fattori produttivi – lavoro, capitale e terra - perdiventare oggi il fattore essenziale di crescita e competitività.

Per affrontare le sfide che il nuovo mercato del lavoro comporta, la forma-zione permanente può essere una delle risposte più efficaci ed un investimento dirisorse molto più produttivo che in passato perché può contribuire, da un lato adeliminare gli effetti più negativi delle trasformazioni strutturali in corso nei mercatiin questi anni, dall’altro lato offrire nuove prospettive di crescita individuale. Laformazione permanente quindi permetterebbe di ridurre lo skill gap tra l’organiz-zazione del lavoro che cambia e le professionalità disponibili tra gli occupati delsettore. Più in generale è chiaro che negli ultimi dieci anni le imprese sono statecaratterizzate da processi di ridisegno delle mansioni e di profondi processi diriorganizzazione del lavoro con cambiamenti soprattutto nella gestione delle re-sponsabilità in azienda verso modelli di impresa a rete e in generale meno gerarchicie più olistici. Tutto questo non solo ha aumentato i livelli di professionalità richie-sti per molti lavori ma soprattutto, imponendo una velocità di cambiamento fino apoco tempo fa sconosciuta, ha richiesto una nuova flessibilità, adattabilità, che soloun’attività di formazione permanente, di trasferimento delle esperienze e delle co-noscenze da un’attività all’altra (il knowledge management) può garantire.

In questo scenario, un ruolo particolare potrà svolgere l’e-Learning che haun enorme potenziale per le sue caratteristiche di estrema flessibilità, di capacità diformare un maggior numero di persone a parità di tempo, di personalizzare i pro-cessi formativi, di permettere di imparare operando nell’ambiente lavorativo, diridurre il tempo necessario per acquisire le competenze, di permettere agli indivi-dui il controllo dell’apprendimento e di certificare l’efficacia della formazione.Questo a partire dai primi cicli scolastici. Nelle università, poi, è necessario riporta-

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re gli studenti al centro del mondo accademico con iniziative di orientamento allostudio destinando ulteriori risorse per garantire il diritto allo studio stesso. Va inol-tre diffusa la “cultura digitale” preparando gli studenti su temi oggi pressoché sco-nosciuti negli atenei, come la firma digitale, l’e-Procurement, il protocollo elettro-nico, solo per fare degli esempi. Nel futuro prossimo, comunque, tutti i cittadini, aprescindere dal livello di scolarizzazione, dovranno avere una formazione infor-matica di base.

E se la conoscenza assume una connotazione “economica”, la ricerca scienti-fica e le risorse che ad essa vengono destinate sono lo specchio della volontà diprogresso di uno Stato. Qualsiasi paese moderno che vuole restare tale deve punta-re sul triangolo ricerca-innovazione-competenze. Per questo bisogna favorire pro-getti che possano fertilizzare il tessuto imprenditoriale nazionale. Sul versante pub-blico è necessario aumentare la quota del Pil destinata alla ricerca e portarla all’1 percento, ma è altrettanto fondamentale che venga incrementato lo 0,4 per cento, asso-lutamente insufficiente, che attualmente viene destinato dai “privati”. Per questo, ilGoverno vuole stimolare la nascita di veri e propri spin off accademici e lo sviluppodi accordi tra la Pubblica Amministrazione e le imprese private nel campo dellaricerca applicata. Inoltre, è necessario lavorare affinché le stesse Università sianodotate, in tal senso, di maggiore autonomia, stimolando al tempo stesso lacompetitività tra i diversi atenei. In uno Stato moderno, del resto, il “pubblico” e il“privato” non sono due corpi estranei o addirittura contrapposti, ma due aspetticomplementare di una realtà comune, quale è la vita sociale, economica e culturaledi uno Stato. Senza dimenticare – a proposito del processo di innovazione dellaPubblica Amministrazione verso un “sistema Paese” sempre più nel nome dell’e-Government – che gli investimenti che vengono fatti dallo Stato rappresentano unvolano per tutto il mercato legato all’Ict con benefici che si andrebbero a ripercuo-tere su tutto il sistema delle piccole e medie imprese italiane.

Perché crescano gli investimenti, comunque, è necessario che ci sia anche unavolontà politica che funga da substrato per le imprese che decidono di “rischiare” iloro capitali. Il Governo ha compreso la necessità di incentivare l’iniziativa privata,che è alla base dello sviluppo economico ma anche sociale del nostro Paese. Delresto, la nostra economia, e quella del Sud in particolare, è caratterizzata dalla pre-senza di realtà imprenditoriali piccole e medie. Sarebbe semplicemente assurdo osta-colare il loro “fiorire”, significherebbe decidere di mortificare l’intero sistema eco-nomico e finanziario nazionale. Rispetto al passato, il Governo sta dimostrando diaver compreso il ruolo centrale che occupano le Pmi, adoperandosi per rivederetutte quelle norme che anziché favorire lo sviluppo mortificano la libera iniziativa.La Tremonti bis, ad esempio, prevede una serie di misure di sostegno, tra cui ladetassazione degli utili anche per gli investimenti sul capitale umano. Molto impor-tanti, da questo punto di vista, altri provvedimenti già operativi, come la detassazionedegli utili reinvestiti in brevetti e opere dell’ingegno o la possibilità di investire ilcapitale di start-up ad alta intensità di know-how mediante la sottoscrizione di po-lizze assicurative. Inoltre, è stato riformato il sistema delle fondazioni bancarie,

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Lo sviluppo del Meridione: un’occasione per l’Italia

concentrandone le attività sui settori meritevoli (fra cui la ricerca) ed evitando in-terventi a pioggia in forma erratica e discrezionale.

Un serie di strumenti, in conclusione, che se sfruttati adeguatamente consen-tiranno un salto in avanti per il nostro Paese. Una rivoluzione in cui il Meridionepotrà giocare un ruolo centrale, costituendo per molti aspetti un terreno “fertile”su cui far crescere i nuovi sistemi economici, sociali, amministrativi. Il Mezzogior-no, insomma, ha tutte le carte in regola per essere la “grande occasione” per lacrescita dell’intero “Sistema Italia”.

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Paolo Agostinacchio

Se è il federalismo a dare rispostedi Paolo Agostinacchio

Lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere un obiettivo prioritario non solonella programmazione del Governo ma anche delle Regioni e dei singoli Comuni.Come realizzarlo? L’interrogativo è di difficile risoluzione ma è importante, quasisostanziale, dare risposte nell’ottica del nuovo federalismo. Una visione superficia-le del problema può portare a ritenere che si pervenga ad una disintegrazione delloStato con un’accentuazione tra paesi ricchi e paesi poveri. È chiaro che il Mezzo-giorno rispetto al nord è povero, per cui ad occhi e ad analisi non attente si finireb-be per esagerare il concetto secondo logiche “coloniali”. Il sud è già complementa-rizzato rispetto al Nord, e nel tempo non ha esaltato e valorizzato le risorse endo-gene: al contrario, sono state realizzate con le partecipazioni statali ieri - e oggi conaltri tipi di strumenti -, presenze che poco o nulla hanno a che fare con il territorio.Ipotizzare un federalismo incentrato sulle autonomie locali che non prescinda dallefunzioni legislative delle Regioni può essere una strategia vincente ma solo se inse-rita nel quadro della indivisibilità della Repubblica e in un contesto in cui la solida-rietà non sia vanificata da una sostanziale politica di tutela delle sole aree forti.Preoccupa, infatti, la tendenza a realizzare infrastrutture senza che le stesse abbia-mo una reale ed adeguata fruizione. È necessario, quindi, raggiungere un’intesa suun modello di sviluppo del Mezzogiorno. Un’incoerente proliferazione d’iniziati-ve è destinata ad avere vita breve. Negli anni scorsi è stata ridimensionata l’agricol-tura con evidente distruzione delle aziende e questo “momento storico” ha portatoall’espulsione dei cittadini meridionali dalle zone nelle quali sono nati. Il problemaera assicurare condizioni di vita vivibili e considerare il settore prioritario e centraleanche ai fini dell’indotto industriale. Ma non ha funzionato perché, di fatto, talestato di cose è significato snaturare il senso vero del Mezzogiorno. L’ANCI, l’As-sociazione Nazionale dei Comuni Italiani, ha delineato le linee di punta del federa-lismo definendolo “solidale” e si sta confrontando in maniera forte con il Governocentrale e le Regioni. Restano, tuttavia, nel nostro territorio gravi nodi da scioglie-re: le infrastrutture che non ci sono o che non incidono come dovrebbero sono unatriste e penalizzante realtà con la quale tutti i giorni facciamo i conti: penso aglizuccherifici che chiudono, agli inesistenti impianti di trasformazione del pomodo-ro in un terra come la nostra a forte vocazione agricola, al settore ortofrutta, puretrainante, della Capitanata. Abbiamo assistito alla chiusura di un fiore all’occhielloquale la Frigodaunia e a tante altre capitolazioni di aziende che potevano realmenteattecchire. Ora che auspichiamo un cambiamento, o comunque un cambio di pagi-

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Se è il federalismo a dare risposte

na storica, quasi epocale, è necessario muoversi nell’ottica della commercializza-zione dei prodotti e del loro relativo studio. E in questo senso un importante ruolopuò essere svolto dalla nostra Università degli Studi, che sta già tentando con suc-cesso la strada della cooperazione con le aziende. Sotto quest’ottica il sud può real-mente configurarsi come piattaforma di lancio verso l’oriente. Se ciò non accadrà,allora vorrà dire che sono i concetti stessi di cooperazione e di sinergia a non attec-chire in una realtà pur così tanto diversificata. Il Sud ha, quindi, una grande scom-messa da vincere in primo luogo con se stesso: deve acquisire l’orgoglio della suaidentità meridionale prim’ancora che europea o italiana. È ora di dismettere i pannidi un vassallaggio culturale e sociale che è durato molto tempo. Purtroppo, è il casodi dire, siamo come ci hanno voluto. Paghiamo lo scotto di tante scelte sbagliate masulle quali è ancora possibile intervenire e correggere il tiro. Quando Antonio Bas-solino afferma che “dobbiamo fare lobby” dice una cosa giusta. Ma bisogna fareattenzione a non cadere nella trappola dei secessionisti, nel grande errore di unastoria che dopo tanto martirio ha finalmente raggiunto l’equilibrio con l’unità d’Italia.In questo senso sviluppo significa vittoria, vittoria delle proprie vocazioni e delleproprie origini.

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Antonio Pellegrino

Il sogno dello sviluppodi Antonio Pellegrino

“Sviluppo” è parola chiave nel lessico del mondo contemporaneo, al puntoche la si potrebbe definire antonomasia della modernità, di quelle caratteristiche didinamismo e di apertura che da tre secoli a questa parte caratterizzano l’identità o leambizioni delle società occidentali e della civiltà industriale. Un’identificazione cosìpervasiva che per molti lo sviluppo è semplicemente l’estensione territoriale e tem-porale della globalizzazione e del mercato. Vi è sviluppo, secondo costoro, nellamisura in cui i modi di produzione e circolazione delle merci elaborati in Occiden-te trovano campo ed applicazione nelle più remote plaghe del pianeta. Ma l’uso deltermine non è ristretto agli apologeti del pensiero unico: anche uno scienziato nonconformista come Edward Goldsmith, critico feroce e rigoroso dell’economia con-temporanea, usa la parola “sviluppo” per definire l’obiettivo della sua radicale stra-tegia revisionista.

In questo, a mio modo di vedere, non c’è nulla di strano o incoerente. Il fattoè che –per usare una parafrasi letteraria- lo sviluppo è della materia di cui son fatti isogni. Non intendo con questa suggestione sottolineare gli elementi di fragilità del-lo sviluppo, né tanto meno postularne il carattere chimerico o illusorio. Intendopiuttosto sostenere l’inscindibilità dello sviluppo da alcuni elementi di caratterepsicologico, che vanno dalla fiducia all’inventiva. Sostengo, in poche parole, che losviluppo consiste nella capacità di una comunità di vedersi nel futuro, di proiettarsi,di dirigersi.

L’uso di tutti questi verbi in forma riflessiva non è scontato: non è passatomolto tempo da quando si credeva che qualsiasi processo di sviluppo passasse perla più totale passività dei destinatari. Lo sviluppo doveva essere studiato in labora-torio, inoculato in vitro, calato dall’alto. Anzi, per evitare contaminazioni, dovevaessere organizzato in un modello, rappresentare la ripetizione e il travaso di espe-rienze pensate e realizzate altrove. Ai territori oggetto di queste strategie di svilup-po e alle loro popolazioni restava il compito di non disturbare il manovratore, dilasciarsi guidare dalla pedagogia dell’innovazione senza frapporre ostacoli o amba-sce. Le macerie degli errori di questi modelli costellano il panorama del Mezzogior-no d’Italia, ma anche quelli di molti Paesi in via (per l’appunto) di sviluppo.

Lasciatici fortunatamente alle spalle i dubbi fasti dello sviluppo modulare emodellato, ci siamo trovati a percorrere la terra vasta ed incognita dello sviluppodal basso. Questa formula può non essere migliore di quella che l’ha preceduta: non

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Il sogno dello sviluppo

è detto che dal basso si vedano meglio le cose, e non è detto, con buona pace diAdam Smith, che dalla somma di molti egoismi ed interessi particolari scaturiscanecessariamente l’interesse generale. Ma di sicuro questa concezione ha un puntodi vantaggio: l’assunzione di responsabilità. I governi e le categorie produttive diun territorio non hanno più l’alibi o il paravento di uno sviluppo pensato altrove, didecisioni prese là “dove si puote ciò che si vuole”. Sono nella condizione di farescelte vere, che possono dare buoni frutti se giuste o pessimi se sbagliate.

La provincia di Foggia ha fatto molta strada in questa direzione, sia che la siscriva con l’iniziale minuscola che con quella maiuscola. Può far piacere o meno,ma i segnali di dinamismo imprenditoriale, le timide avvisaglie di ripresa avutesi inquesto territorio dopo il decennio orribile degli anni Ottanta sono dovute alla pro-grammazione negoziata, a quella faticosa prassi chiamata concertazione, a queglistrumenti a volte falansterici chiamati Patti Territoriali, Contratti d’Area e quan-t’altro. In quegli strumenti, che la Provincia è lieta di avere promosso e sostenuto,c’è la biografia economica e produttiva della Capitanata a cavallo dei due millenni:ci sono le ansie di modernizzazione dell’agricoltura, il desiderio di innervare e irro-bustire l’industria dell’accoglienza, il salto di qualità dell’artigianato, la vitalità, an-che da noi, della piccola impresa.

Questo fervore di iniziative ha ovviamente un tallone d’Achille, rappresen-tato dalla cronica debolezza infrastrutturale; una debolezza che temo possa addirit-tura accrescersi se Roma e Bari continueranno a guardare alla Capitanata con ladistrazione del passato e del presente. È questa una ragione ulteriore, ove ce nefosse bisogno, per attestarci su una linea di compattezza, per raccogliere le energiee le istanze del territorio in una piattaforma organica, che eviti le inutili spavalderieallo stesso modo della disastrosa accidia. Da questo punto di vista registro che pur-troppo il “chi” è ancora ritenuto più importante del “cosa”. A parte le stucchevolidiatribe di partito, infatti, sembra che la chiave di volta della nostra valutazione suun programma o su una iniziativa, sia incentrata più sul soggetto che la assume chesul contenuto della proposta. Come si può capire, questo genera storture e situa-zioni di stallo che vanno a scapito degli interessi del nostro territorio.

A proposito di territorio: la base dello sviluppo è lì. Non solo come cornicedefinitoria, come puro e semplice contenitore. La Capitanata è una risorsa in sé,con il suo patrimonio ambientale, storico-artistico, umano. E per vincere la partitadello sviluppo bisogna metterla in campo tutta: con i suoi talenti, i suoi ingegni, isuoi estri. È un errore credere che l’unica cosa da fare siano le fabbriche, le strade(di terra, di cielo o di mare che siano), i mercati. C’è bisogno anche di Università edi biblioteche, di monumenti e di paesaggi, e c’è bisogno della capacità di pensarliinsieme, come parti di un’eredità, di un’identità, di un destino. Anche su questo èstato fatto qualche passo, anche su questo abbiamo da fare un lungo cammino.Dalla nostra capacità di percorrerlo celermente e senza incertezze dipende –in par-te- se le generazioni future guarderanno a noi con gratitudine o con disprezzo; queldisprezzo meritato da coloro ai quali fluisce fra le mani la bellezza e la ricchezza delmondo senza che sappiano trattenerla.

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Lucia Bertell

L’impresa d’amore della lingua maternanel conflitto con il capitale

di Lucia Bertell

Oggi che il settore dell’economia è pervasivo rispetto alle nostre vite, la scom-messa di molti riguarda il fatto che si possa leggere come conflittuale il rapporto tralingua materna e capitale.

Della lingua materna richiamo un senso elementare, come quella necessità equella capacità comunicativa che apre agli umani la possibilità di parlare fra loro delmondo, delle proprie emozioni, dell’esperienza; necessità e capacità che si avverto-no in primis tra madre e figlio/figlia e che pongono in essere l’insegnamento e l’ap-prendimento della lingua.

Cosa si intende per capitalismo, o meglio ancora, per quello che ora si chia-ma ipercapitalismo?

Il capitalismo moderno ha negli ultimi decenni modificato completamente ilsuo volto. Oramai non è più basato esclusivamente sul concetto di proprietà priva-ta ma sul concetto di accesso.

Per mostrarvi in che modo la lingua resiste ed entra in conflitto con il capitalevi parlo dunque di due narrazioni autorevoli che mirano a fornire delle chiavi dilettura della difficile realtà che stiamo vivendo (perché in veloce trasformazione).

Sono due disegni che ci restituiscono diversi aspetti della storia recente del-l’economia. La prima ci è data più da narrazioni maschili ed è la storia dello svilup-po del mercato da luogo geografico a globalizzato; la seconda ci è data più da narra-zioni di donne ed è la storia della cosiddetta femminilizzazione delle forme dellavoro e della diffusione di forme di microeconomia.

1. Verso la mercificazione del linguaggio

La storia della globalizzazione: il passaggio dalla vecchia alla nuova econo-mia, che è un vero e proprio passaggio epocale, è in corso da tempo sebbene noiabbiamo inserito di recente questo termine nel nostro vocabolario. Un processoche ha avuto inizio nella prima parte del ventesimo secolo, quando la fornitura diservizi primari ha cominciato ad acquisire importanza rispetto alla produzione dibeni. Prima che si parlasse di new economy - o net economy, come si preferiscechiamarla oggi - infatti, usavamo il termine postfordismo, proprio ad indicare uno

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L’impresa d’amore della lingua materna nel conflitto con il capitale

spostamento di importanza dall’elemento di produzione di merci materiali - pro-prio del fordismo e del modello di produzione di fabbrica - a un modello che losuperava incentrandone la produzione su merci immateriali, senza riuscire ad avereancora una nominazione propria se non quella di post. La merce immateriale, facil-mente visualizzabile per noi sotto forma di servizio - ma non è solo o semplicemen-te questo - non ha più bisogno di un mercato fisico, geograficamente radicato, incui vendere e acquistare, ma può utilizzare il ciberspazio, un mercato globale nonradicato ma reticolare, dove informazioni, servizi, conoscenze, esperienze e fanta-sie sono accessibili e acquistabili da tutti da qualsiasi parte del cosmo.

La new economy possiamo dirla nata nella prima parte del ventesimo secolo,nel pieno dello sviluppo economico legato al modello fordista - pensiamo in Italiaalla Fiat, all’Olivetti, all’Italsider, alle industrie tessili del vicentino, ecc. -.

Come succede? Come nasce? In America il Pentagono, che aveva messo apunto un sistema di comunicazione interno finalizzato alla difesa nazionale, deci-de, alla fine degli anni Sessanta, di offrire a persone disseminate nello spazio lacondivisione del medesimo computer, con l’intento di risparmiare i costi di comu-nicazione tra le università e le imprese impegnate nella ricerca finalizzata alla difesanazionale. Così che, in sostanza, nasce Internet.

Passo a passo furono messi a punto sistemi di comunicazione sempre piùsicuri e quindi sempre più pubblici, passando così l’uso dagli addetti alla difesanazionale ai normali cittadini. Il primo host fu Arpaned (progettato sempre daldipartimento della difesa americano) che partì nel 1969. Nel 1988 c’erano già oltre60.000 connessioni. Poi fu la volta della NSFnet, una rete creata e sviluppata dallaFondazione Nazionale delle Scienze, che divenne entro breve il principale veicolodi connessione tra computer: proprio la rete che poi in pochissimo tempo si è tra-sformata nell’attuale Internet.

Internet è la rete delle reti, può trasmettere messaggi via cavo telefonico, fi-bra ottica o satellite. Nel 2000 più di 200 milioni di persone in tutto il mondo hannoaccesso a Internet e si prevede che entro il 2005 saranno più di un miliardo.

Contemporaneamente allo sviluppo della rete che sostiene il mercato globa-le, il modello di produzione fordista - con il suo mercato geografico e radicato allesue merci materiali - va al suo culmine con il boom economico. In casa avevamotutti i simboli del benessere: tv (almeno una), lavatrice, auto (almeno una), robot dacucina, enciclopedia, ecc.

Cominciava alla fine degli anni Ottanta la saturazione del mercato delle mer-ci materiali e iniziava quello delle merci immateriali.

Jeremy Rifkin, un noto economista americano, (ma anche Christian Marazzi,Augusto Ponzio, Susan Petrilli e molti altri e altre, ormai) vedono in questo passag-gio, quello dalla produzione di merce materiale a quello della produzione di merceimmateriale, la rivoluzione economica che stiamo vivendo. Il passaggio chiave èquello da un mercato improntato su un ipercapitalismo con un superamento delbisogno di possesso, di proprietà privata, come elemento di sviluppo dell’econo-mia. L’ipercapitalista punta all’economia di rete e alla possibilità di accesso.

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Lucia Bertell

Per farci capire bene questo passaggio e il concetto di accesso, Rifkin ci portal’esempio del modello reticolare hollywoodiano che è diventato un punto di riferi-mento per la riorganizzazione di altri settori del sistema capitalistico. L’industriacinematografica agli esordi si affidava ai principi di produzione fordisti, in voganegli anni venti in un vastissimo spettro di settori. I film cosiddetti di genere eranoprodotti come le automobili, in una sorta di catena di montaggio. Uno dei pionieri,la Universal film, produceva più di 250 film l’anno. Agli inizi della diffusione com-merciale del cinematografo i film erano venduti a metro, indipendentemente dalcontenuto, il che dimostra un orientamento alla produzione seriale di massa. Neiprimi anni Trenta un piccolo numero di colossi del cinema - Warner Brothers,Paramount, Metro Goldwyn Mayer e Twenty Century Fox - controllava l’interosettore cinematografico. Le loro organizzazioni erano strutturate gerarchicamentee pensate per supervisionare e regolare ogni aspetto del processo produttivo, dallascelta del soggetto alla distribuzione.

Con l’avvento della televisione, per affrontare la forte pressione concorren-ziale, l’industria cinematografica modificò il proprio approccio alla produzioneacquisendo un modello reticolare: gli studios più importanti cominciarono a sman-tellare il proprio organico e a cercare all’esterno le professionalità necessarie in fun-zione del singolo progetto: nascono così quelli che oggi vengono definiti i lavorato-ri con contratto atipico. I grandi studios producono raramente film in proprio:tendono piuttosto ad agire da investitori, richiedendo in cambio il diritto di distri-buzione del prodotto finale nei cinema, in tv e in videocassetta. L’interesse del capi-tale si è spostato dalla produzione del bene materiale alla detenzione delle chiavi diaccesso alla rete distributiva. Questo è il modello reticolare hollywoodiano che hafatto scuola: ora imprese in ogni campo e settore si spogliano delle proprietà chenon sono strettamente legate all’attività principale dell’azienda. I nuovi imprendi-tori hanno come pensiero dominante “nel dubbio fallo fare ad altri”.

Se un bene, un immobile o un processo produttivo non sono essenziali per lavita dell’azienda meglio affidarli in appalto all’esterno. Questo è il modello produt-tivo del nordest italiano: l’outsourcing è un processo da cui l’ipercapitalismo nonpuò prescindere. L’outsourcing è un accordo sulla base del quale un’azienda appaltaa un’altra azienda qualcosa che prima realizzava da sé: in altre parole la sostituzionedel possesso di capitale fisico e operativo (la fabbrichetta) con l’accesso a risorse eprocessi necessari tramite un fornitore che può essere ovunque. Dove la manodo-pera costa meno, dove si pagano meno tasse, dove ci sono meno controlli sanitari,noi in occidente ci dovremo occupare di creare l’immagine del prodotto, di curarela rete distributiva. Dovremo produrre servizi, beni immateriali, reti di fiducia at-traverso le relazioni, la comunicazione. In questo sistema è più importante chi stu-dia il marketing, chi si occupa della rete distributiva, di chi produce la scarpa. Ilrapporto di fiducia tra fornitore e consumatore non è più incentrato sulla qualitàdel prodotto (la scarpa ad esempio) ma sulla qualità della comunicazione che simuove attorno al prodotto, sulla qualità dei servizi che accompagnano la venditadel prodotto.

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L’impresa d’amore della lingua materna nel conflitto con il capitale

Se la transizione allora è verso una società in cui il lavoro non è più basatoprincipalmente sulla produzione di merce materiale ma sulla produzione di merceimmateriale attraverso l’informazione/comunicazione e il linguaggio, ciò che vienemessa al lavoro non è più solo la nostra capacità professionale ma anche e soprat-tutto la nostra capacità relazionale, la nostra esperienza. Stiamo quindi assistendoal passaggio a un lavoro sempre più complesso che supera gli specialismi e portacon sé tutta l’esperienza e la formazione culturale che ognuno di noi ha acquisito insocietà dal momento della nascita.

Il lavoro fordista si basava sulla produzione a fasi separate, sul lavoro a cate-na, sulla divisione dei ruoli. Ogni operaio era specializzato in una fase della produ-zione, l’organizzazione era serrata nei tempi e nelle azioni. Appare chiaro che conl’avvento della new economy (definita anche economia reticolare o economia del-l’esperienza improntata sulle R-technologies - tecnologie relazionali - anziché sulletecnologie informatiche) e con la messa in discussione e il trasferimento del lavoroimprontato sulla produzione di merci, l’immagine del ‘cipputi’, l’operaio della ca-tena di montaggio, è completamente cambiata per lasciare posto a un lavoratoredalla cultura ampia ed elastica, dall’intelligenza pronta ad affrontare i problemi di-versi che il nuovo mercato del lavoro richiede. A questi lavoratori è richiesto diportare se stessi, non solo la cultura e la formazione scolastica e/o professionaleacquisita ma soprattutto il proprio carattere, la propria capacità relazionale, la pro-pria umanità. Si tratta di nuovi lavori incentrati sulla produzione di merce a mezzodi linguaggio. In questo nuovo modello di produzione di merce ciò che viene mes-so in gioco non è solo la competenza professionale ma un coinvolgimento di senti-menti, emozioni, pensieri: la propria soggettività. La produzione di merce materia-le che caratterizzava il fordismo è sostituita dalle capacità comunicative e da tuttequelle facoltà comuni acquisite nell’esperienza personale quotidiana. Macchinari eparole non sono più analizzabili separatamente, perché le parole sono esse stessestrumenti, mezzi di produzione, capitale fisso circolante, macchine e materie pri-me. L’immaterialità di questa merce è data dalla mediazione linguistica: affinchéuna merce immateriale, un servizio, un’economia reticolare, la globalizzazione pos-sano esistere è fondamentale la mediazione linguistica.

Ma arriviamo al dunque: cosa succede effettivamente nel mercato globalizzatodella nuova economia? Che si mette al lavoro e si capitalizza l’intera vita umana:nei tempi, nell’esperienza, nella cultura, nelle relazioni e nel linguaggio. Tutto attra-verso un modello unico di produzione-comunicazione, rendendo indifferenti ledifferenze.

E cosa succede quando tutta la nostra vita, la nostra esperienza, la nostrastoria, le nostre relazioni e la nostra capacità comunicativa, insomma il linguaggio,diventano strumenti, mezzi di produzione? Succede che noi stessi, noi stesse, lenostre parole, acquistano un valore economico, quantificabile in un prezzo e dun-que concorrono a costruire il valore finale del bene prodotto.

Reti commerciali e mercato del lavoro fanno quadrato attorno all’esistenzaumana tessendo una ragnatela che la avvolge completamente, riducendone ogni

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Lucia Bertell

momento a merce. Il capitale parla e investe da un lato sulla capacità relazionale allavoro, dall’altro di “intimità con il cliente”.

Se l’importante non è più, come ho già detto, il bene materiale ma ciò cheattorno ad esso si costruisce attraverso il linguaggio e la relazione, capiamo qual è ilnostro ruolo nell’economia moderna: merce attiva, monetizzabile. Quando quasitutto ciò che ci riguarda diventa un’attività a pagamento, l’esistenza si trasformanella più complessa forma di prodotto commerciale, e l’economia in traduttrice delnostro valore.

2. L’irriducibilità della lingua

La grande trasformazione e ridefinizione del mercato del lavoro è stata sicu-ramente determinata anche dal fatto che le donne, sempre più, si sono imposte conla loro presenza nel mercato. Molti studi sul lavoro testimoniano che a partire daglianni Sessanta in tutta Europa si inizia a registrare la presenza significativa delledonne nel mercato del lavoro e da allora questo dato si è mantenuto con andamentopositivo e in continua crescita, tale da far dire che “l’aumento della popolazioneattiva in Europa almeno da dieci anni, riposa sull’esplosione dei tassi di attivitàdelle donne”. Ciò che fino a solo un decennio fa era considerato lo scontato e dovu-to “lavoro di cura” familiare delle donne è possibile rinominarlo oggi come il lavo-ro, l’opera di civiltà, che dalle case prende posto nel mondo.

Tra le cause della crisi della società fordista di cui parlavo prima vi è sicura-mente anche la rottura di un patto sociale che affidava alle donne gran parte dellavoro di riproduzione. Sempre più donne hanno cominciato ad entrare nel merca-to del lavoro portandovi le proprie capacità, la propria intelligenza, le competenze,senza limitarle nel lavoro di cura familiare. Il forte desiderio femminile di libertànel lavoro ha reso visibile un senso indipendente dello stare al mondo da parte delledonne.

Le donne, nota la giornalista Iaia Vantaggiato, con la loro presenza nel mer-cato del lavoro hanno modificato potentemente le loro vite e con esse il più genera-le scenario del lavoro in occidente. La loro scelta di mettere fine ad un accordosociale millenario, che le vedeva impegnate principalmente o esclusivamente nellavoro di cura, ha fortemente contribuito alla crisi del fordismo. Anche lo studiosoGiuseppe Caccia, in un’attenta analisi dell’attuale trasformazione del lavoro, ha mes-so in luce la grande valenza trasformatrice della presenza di donne e di desideri ebisogni femminili nel lavoro. Determinante nella crisi del fordismo - dice Caccia -,dal punto di vista dei meccanismi della riproduzione sociale, è stata senza dubbiol’irruzione sulla scena della soggettività femminile, con forme di azione politica bendiverse da quelle consegnateci dalle tradizioni otto-novecentesche.

Le donne che sono entrate nel mercato del lavoro negli ultimi vent’anni nesanno qualcosa: in modo massiccio si sono occupate di servizi alla persona, di lavo-ri di cura e di tutti quei lavori e servizi legati allo scambio umano e alla comunica-

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L’impresa d’amore della lingua materna nel conflitto con il capitale

zione. Giustappunto quelli che prima ho definito come beni immateriali.C’è una parte della letteratura recente sul lavoro che contiene racconti di

donne che vivono il lavoro come un luogo di libertà. Wanda Tommasi, filosofa delpensiero della differenza, parla di una ricerca femminile di libertà nel lavoro. “Permolte donne, anche per me - dice - l’ingresso nel mondo del lavoro ha rappresenta-to un’occasione di libertà: per il fatto stesso di giocarsi all’insegna della libertà,questo ingresso porta con sé la scommessa di cercare la libertà nel lavoro, non dallavoro, a differenza di quanto accadeva nell’ideale signorile; porta con sé la ricercadi una realizzazione personale, la valorizzazione di ciò che quotidianamente si fa, lapaziente tessitura di lavoro e vita in un’unica trama che possa restituire senso eagio”.

Una libertà che le donne trovano davvero se guardiamo ai dati che riguarda-no l’America che danno 8.672.000 donne occupate e 1.459.000 in cerca di lavoro, eche la rivista “The Economist” segnala in un articolo dal titolo Tomorrow’s SecondSex che “si può prefigurare una sorta di sorpasso delle donne nel mercato del lavoroa scapito degli uomini”. Un dato così massiccio indicherebbe che non solo la neces-sità materiale o la ricerca di autonomia economica - che comunque è molto legataalla libertà individuale - spinge le donne all’impiego lavorativo, ma anche un inve-stimento nel lavoro come protagonismo, desiderio di creazione e di portarsi tutteintere lì dove decidono di investire. Per questo la Tommasi parla di libertà nel e nondal lavoro, perché - a differenza di Marx, ad esempio, che parla di liberazione dallavoro affermando che “il regno della libertà comincia soltanto dove cessa il lavorodeterminato dalla necessità e dalla finalità esterna” - c’è un superamento della ne-cessità attraverso l’accoglimento ineludibile del rapporto con la realtà. Realtà cheporta in sé la necessità. Infatti Wanda Tommasi si chiede: “quale significato assumela pretesa femminile di trovare la libertà nel lavoro e non dal lavoro?”.

Prendendo la necessità come fattore vitale e facendone un punto di riflessio-ne politica, il passaggio all’investimento di senso nel lavoro è breve: il lavoro diven-ta il luogo simbolico significativo per eccellenza in cui l’elemento primario, quellolinguistico/relazionale, acquista un’importanza centrale in cui le donne che decido-no di investirvi si portano tutte intere: coi propri desideri e con le proprie necessitàmateriali.

“A mio avviso una posizione della differenza femminile e con questo inten-do che riguarda più gli esseri umani di sesso femminile, quella che permette alledonne di portarsi completamente, con tutte se stesse nel lavoro e nel mercato”. Unaposizione che nasce da un bisogno femminile di non tenere separati lavoro/vita, -separazione invece assai presente negli uomini - di non tenere separate sfere dellavita che fanno parte di una sola economia di vita; una risposta al bisogno di “com-porre le vite”, di creare valore non monetizzato, senso per il proprio agire.

Ciò che mi interessa indagare è il movimento, conscio e inconscio, della li-bertà femminile nel lavoro che rende la lingua irriducibile alla mercificazione, quelmovimento che anche Claudio Napoleoni, economista e filosofo, definiva un resi-duo importante e pervasivo: “ci sono infatti dei residui, delle realtà che sfuggono.

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Lucia Bertell

[…] di tutti i residui possibili quello più importante è rappresentato probabilmentedalle donne. Le donne […] stanno fuori di questo rapporto della produzione comecircolo dominante della quantità, come ciò a cui la qualità viene sistematicamenteridotta, ed è per questo che in tutta la storia fino ad oggi - ma di nuovo in manieraspecifica nella storia del mondo borghese capitalistico - la donna è emarginata edoppressa; appunto perché sta fuori di ciò e questo probabilmente è un residuo im-portante e pervasivo”. L’epoca di transizione postfordista, ora chiamata net economy(nel senso della storia politica ed economica che in quest’epoca si svolge) secondoNapoleoni ci spinge avanti rispetto all’immagine della donna emarginata e oppres-sa. Questo passaggio, secondo lo studioso, si è reso possibile grazie alla capacitàpervasiva di un movimento, quello femminista, considerato inizialmente residuale,e che è riuscito ad affermare la libertà femminile in un modo sempre più visibileanche nel lavoro.

Il movimento femminista, che ha oramai una storia più che trentennale, èriuscito certamente a dare un grande valore ai “residui”, a ciò che resta fuoridall’integrazione. Nel femminismo italiano, a partire dagli anni Settanta, la ri-flessione femminile si è caratterizzata per due pratiche fondamentali e tra loroconnesse: la presa di coscienza e il riconoscimento della necessità delle relazionitra donne.

3. Donne e uomini di fronte alla lingua

Il diverso rapporto di donne e uomini con la lingua si collega strettamentecon il diverso rapporto dei due sessi con il valore assunto dalla lingua nel sistemaproduttivo, nel lavoro.

L’esperienza del parlare è l’esperienza che accomuna gli umani tra di loro.Bambine e bambini imparano a parlare dalla madre, o da chi per essa, e in tal modofanno il loro ingresso nel mondo. Come la psicanalista e filosofa Luce Irigaray hamostrato, il rapporto che uomini e donne hanno con il linguaggio dipende dalladifferente relazione con la madre. Per le bambine il processo di individuazione nonpassa attraverso una separazione dalla madre e questo dà loro una maggiore com-petenza linguistica. Per i bambini l’individuazione rende necessario un distacco dallamadre che li mette in una condizione di minore prossimità con l’origine della paro-la.

È su questa base che si giustifica la maggiore capacità delle donne di esseremediazione linguistica vivente. Il fatto che siano considerate tali è dovuto all’origi-ne dell’insegnamento della lingua poiché è la madre che propone una mediazionevivente per la comprensione del mondo.

Per mettere in luce la significatività della presenza e delle competenze fem-minili nella nuova economia è importante, a mio avviso, analizzare il suo caratterelinguistico alla luce della differenza sessuale.

Interrogare il rapporto di uomini e donne di fronte alla “produzione a mez-

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L’impresa d’amore della lingua materna nel conflitto con il capitale

zo di linguaggio” significa innanzitutto mettere a fuoco la differente messa a valoredel linguaggio nel sistema produttivo: vale a dire le differenti modalità con cui i duesessi tendono a significare il valore del linguaggio nel lavoro, ma non solo.

Cosa può accadere nel mercato quando le parole diventano nuovo mezzo diproduzione di merce? Che acquistino un valore economico, quantificabile in unprezzo e dunque concorrano a costruire il valore finale del bene prodotto.

Cosa può accadere al linguaggio e ai suoi e alle sue parlanti quando vienemonetizzato? Che il linguaggio sia ridotto a “strumento della produzione” cosìcome i suoi e le sue parlanti.

Christian Marazzi parla di necessità di dissimulare la funzione produttivadella comunicazione sociale. «Se si vogliono oltrepassare i rapporti sociali, sma-scherare il feticismo della comunicazione sociale funzionale alla produzione di va-lore, cominciare a “lavorar di piccone” sulla muraglia dell’alienazione linguistica ecomunicativa, scoprire la comunità umana concreta, bisogna prendere le mosse dalledeterminazioni produttive del linguaggio: cioè fondamentalmente dalla comunica-zione come lavoro». Il tentativo di Marazzi di affrontare il pericolo della simula-zione dei rapporti sociali per creare e veicolare valore, trova soluzione nel definireil carattere di lavoro della comunicazione e della lingua. Per lui, quindi, l’unicomodo per svelare il feticismo della parola sta nel renderla chiaramente elemento diproduzione di valore, fattore della forza-lavoro, e perciò di conseguenza una linguamonetizzata.

Avviene così che le nostre vite stesse, la nostra cultura, le nostre soggettività,già integrate secondo questa visione postfordista del mercato del lavoro, per man-tenersi riconoscibili al percorso produttivo e non velate, devono acquistare un va-lore. Un valore di scambio di uso comune: il denaro.

La lingua materna, mediazione relazionale prima fra gli umani, viene tradot-ta - attraverso la monetizzazione - in un’altra lingua.

Vorrei ora interloquire con la posizione espressa da Marazzi mettendola aconfronto con una posizione a me più vicina, quella della filosofa Luisa Muraro,per mostrare i diversi esiti a cui è possibile giungere nella messa a valore del lin-guaggio come mezzo di produzione.

Luisa Muraro, nel suo libro L’ordine simbolico della madre, affronta, tra l’altro,la natura del rapporto lingua/denaro passando brevemente dall’analisi di Marx sullagenesi e sull’essenza del denaro. Marx descrive il denaro come il “mediatore universale”al servizio del mercato ma non paragonabile alla mediazione linguistica. Paragonare ildenaro al linguaggio sarebbe sbagliato, secondo Marx, perché “le idee non vengonotrasformate nel linguaggio in modo tale che la loro particolarità venga dissolta e il lorocarattere sociale esista accanto a esse nel linguaggio, come i prezzi accanto alle merci”. Ildenaro è il carattere sociale della merce da cui mantiene però una sua separatezza; lalingua, che è il carattere sociale della nostra esperienza, non ne è separabile “in forza delrapporto circolare che unisce l’esperienza alla sua significazione”.

La via di Marazzi, che consiste nel vedere una possibile equivalenza tra lin-gua e denaro attraverso l’attribuzione di un valore economico alla lingua, trova in

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Lucia Bertell

questa inseparabilità della parola dall’esperienza un primo elemento che prelude adun esito differente da quello segnalato da Muraro. Marx sembra correre in aiutodella soluzione prospettata da Marazzi con l’idea della traducibilità della lingua: le“idee che per circolare, per divenire scambiabili, dalla lingua madre devono primaessere tradotte in una lingua straniera, offrono già maggior analogia; ma allora l’ana-logia non sta nel linguaggio, bensì nel suo carattere di lingua straniera”.

Ecco che Marx trova un percorso che rende paragonabili non lingua e denaro- che come abbiamo già visto è impercorribile - bensì denaro e lingua straniera.Muraro trova in questo ragionamento un elemento mancante: in esso non vienepresa in considerazione la presenza, nell’esperienza del reale, della lingua materna.“Il denaro, dunque, è paragonabile alla perfetta traducibilità delle lingue fra loro,che non esiste ma che esisterebbe in assenza di lingua materna, della lingua cioè cheparliamo per prima e che sostituisce-restituisce l’esistenza”. Per Muraro, e io con-cordo con lei, c’è un’impossibilità alla traducibilità perfetta delle lingue fra lorofinché c’è, come c’è, presenza della lingua materna. Il fatto che le donne siano inuna situazione di non separazione dalla mediazione linguistica vivente, attraversol’identificazione con la madre, rende quest’operazione di “perfetta traducibilità” -auspicata dal mercato postfordista - tra lingua materna, relazione, socialità e denaromolto difficile per loro.

Il denaro non restituisce-sostituisce l’esistenza simbolica femminile e le don-ne tendono a restare nell’agire la mediazione linguistica vivente come competenza ecapacità primaria che resiste alla risignificazione in merce di scambio.

Quella che qui chiamo resistenza femminile trova una ragione forte ancoranella tesi che sempre Muraro avanza. Secondo lei il denaro, la “lingua straniera”, èin rapporto di rivalità con la lingua materna, e tende a soppiantarla nell’opera diumanizzazione degli umani. La potenza del mercato emergerebbe dunque in que-st’opera di sostituzione del denaro alla lingua materna. Il peccato originale del mer-cato, secondo la Muraro, potrebbe essere l’aver sostituito lo scambio linguisticocon quello delle merci.

Qual è il filo che conduce questi due ragionamenti? Cosa viene messo ingioco?

Viene messa in gioco la differenza sessuale nel rapporto lingua/denaro.Marazzi, a mio avviso, seppure con l’intento di evidenziare e dare valore al-

l’agire della lingua nel percorso produttivo, finisce con il sostenere un’equivalenzatra lingua e denaro: il valore che egli dà alla lingua è quello monetario. La sua ope-razione è infatti quella di accorpare la lingua al fattore di forza lavoro: forse perchéper gli uomini, come abbiamo già visto, c’è una minore prossimità con l’originedella parola e quindi una maggior facilità a considerarla lingua straniera.

Per Luisa Muraro la messa a fuoco di una rivalità tra il denaro/lingua stranie-ra e la lingua materna rappresenta un esito importante per significare una irriducibilitàalla mercificazione della lingua materna, di cui le donne sono simbolicamente leportatrici.

Come?

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L’impresa d’amore della lingua materna nel conflitto con il capitale

4. La scommessa delle micro-imprese femminili

Negli ultimi 10-15 anni, proprio in coincidenza con la femminilizzazione dellavoro, molte donne hanno avviato imprese sociali collettive nel campo dei servizi edella cura. Partendo da bisogni e necessità della comunità da un lato ma anche esoprattutto mettendo in gioco le proprie competenze e il desiderio di fare un lavoroche restituisse loro un senso e spazi di libertà, molte donne hanno avviato attivitàlavorative con forme in cui l’elemento relazionale è rimasto primo e centrale rispet-to all’elemento economico proprio dell’impresa. Parlo di imprese cooperative, diassociazioni di impresa, di imprese familiari, di molte forme giuridiche del cosid-detto terzo settore in cui l’attività non ha come scopo primo il lucro (e infatti sidefiniscono anche per statuto non a scopo di lucro), ma la creazione di posti dilavoro, il dare risposta a bisogni sociali, il lavorare assieme costruendo una vitaassociata, forme nuove di autotutela.

Ma il non profit non è una garanzia, oggi più di ieri. Ci sono imprese nonprofit create ad hoc da aziende profit come contenitori a cui attingere permanovalanza a basso costo, senza rischi e con più flessibilità (si celano soprattuttodietro le cooperative di facchinaggio), o create per avere vantaggi fiscali.

La garanzia viene dalla centralità della relazione umana - verso la quale moltedonne mostrano vivo interesse - della lingua materna, sia nel non profit che in aziendedi tipo tradizionale. Come dimostra anche la ricerca dell’Ifold di Cagliari Impresedi donne: tenendo centrale l’impossibilità della traduzione della lingua materna conil denaro, si creano spazi di vita e di lavoro e di mercato e di commercio più liberidalle leggi del capitale. Ma non senza contraddizioni che richiederebbero una trat-tazione a parte.

Il conflitto tra lingua materna e capitale è dunque un conflitto che riguardadue ordini simbolici: quello femminile e quello maschile. Un conflitto che non re-sta confinato alle questioni teoriche dell’economia e del mercato ma che attraversala quotidianità della nostra vita, e soprattutto del lavoro.

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Matteo Biancofiore

La contrattazione negoziata per la valorizzazione del territorioIl rilancio del turismo con il contratto di programma

di Matteo Biancofiore

Il ticket di sbarco per i turisti alle Isole Tremiti che tanto ha fatto discutererecentemente, al di là delle finalità e della con divisibilità del provvedimento, deveessere considerato come una sorta di provocazione per richiamare l’attenzione sul-la necessità di avviare un dibattito più generale sul turismo.

La Capitanata, oltre al primato di essere una delle province più grandi d’Ita-lia, dal punto di vista dei numeri riferiti alla popolazione residente, vanta anchequello di essere una delle province con la più variegata e straordinaria offerta turi-stica: dai monti alla collina, dai boschi, al mare, e, inoltre, sole, spiagge, gastrono-mia, cultura, folklore e due luoghi della fede come San Giovanni Rotondo e MonteSant’Angelo.

Il turismo, dunque, è la grande risorsa economica della nostra provincia conenormi potenzialità da valorizzare, e la tassa imposta dal sindaco delle Diomedee,ripropone la necessità di avviare magari con una ampia azione sinergica tra enti esettori dell’imprenditoria, un più generale piano di progettazione di interventi perrisolvere i problemi infrastrutturali che ne limitano il definitivo rilancio.

Come Organizzazione Sindacale, non possiamo che essere d’accordo conquanti evidenziano, ancora oggi, un diffuso atteggiamento, di sottovalutazione del-le potenzialità economiche ed occupazionali del turismo, non solo comunitario,ma anche nazionale e locale.

Anzi, nella nostra provincia che conta oltre il 55 per cento dei posti lettodell’intera Puglia, il turismo è una delle attività ad alta intensità di lavoro, in cui lacreazione di nuova occupazione è, comparativamente, meno costosa rispetto aisettori industriali.

La provincia di Foggia, in questo panorama, può vantare una posizione ditutto rispetto con oltre 1000 imprese, delle quali circa l’85 % per cento aderenti aConfcommercio, per un totale di posti letto pari al 55 % dell’intera Puglia, chedanno lavoro ad oltre 3 mila addetti, con un fatturato di centinaia di milioni dieuro.

Oltre 4 milioni di presenze sono state registrate nel 2001 con un incrementorispetto all’anno precedente di circa il 13 %, cui vanno aggiunti i circa 7 milioni dipellegrini recatisi lo scorso anno a San Giovanni Rotondo.

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La contrattazione negoziata per la valorizzazione del territorio

In questo panorama, in cui risalta la centralità strategica del settore, laConfcommercio rilancia con forza la proposta del Contratto di Programma per ilturismo, che punta alla trasformazione del Gargano in polo turistico attrezzatopuntando anche alla valorizzazione di ulteriori plus, come l’ambiente, il turismoecologico e quello congressuale, nonché la realizzazione di un sistema di approdituristici.

Pertanto, per vincere vecchie e nuove sfide che il mercato oggi impone, oc-corre un vero e proprio cambiamento radicale della politica fino ad ora attuata inquesto settore.

Nulla può essere lasciato al caso o all’improvvisazione, ma è indispensabileuna seria programmazione degli interventi. A cominciare dal definire e sostenereun nuovo modello di sviluppo che ponga il territorio al centro del sistema, percontinuare con un fisco che sia di sostegno per lo sviluppo e una disciplina dellavoro che consenta alle imprese di adeguarsi con prontezza alle dinamiche delladomanda, con una formazione delle risorse umane che supporti adeguatamente iprocessi di qualificazione dell’offerta oggi in atto, con interventi convincenti ingrado di colmare il gap infrastrutturale del nostro Paese (soprattutto del Mezzo-giorno) rispetto ai principali competitors.

Ma ci aspettiamo anche la conferma del piano di interventi in tema di tra-sporti ed infrastrutture, indispensabile per uno sviluppo reale del turismo, soprat-tutto nel Mezzogiorno.

Convinzione rafforzata dal fatto che i settori dei servizi alla persona, e traquesti il turismo, non soffrono della crisi legata all’avvento delle tecnologie laboursaving. Anzi, il turismo è una delle attività ad alta intensità di lavoro, in cui la crea-zione di nuova occupazione è, comparativamente, meno costosa rispetto ai settoriindustriali.

Ritengo che a fianco delle carenze infrastrutturali ormai croniche, quali laviabilità e l’esigenza di un aeroporto efficiente, in grado di convogliare i flussi turi-stici, sia necessario realizzare un programma di approdi turistici.

La provincia di Foggia vanta oltre 120 chilometri di costa ed un numero diporti turistici insufficiente alle potenzialità che è possibile esprimere in termini diturismo.

Attraverso la programmazione negoziata pensiamo di puntare anche allarealizzazione di progetti legati al turismo ippico, al circuito del golf, ed a metterein rete domanda e offerta dell’intero Gargano, da Lesina a Mattinata, sia nel balnea-re che nel collinare e nel montano, integrata con l’utilizzo delle risorse agroalimentaried artigianali e puntare decisamente su un più lungo utilizzo delle strutture ed in-crementare i livelli occupazionali.

Come Confcommercio siamo sempre più convinti che il rilancio dellaCapitanata deve passare necessariamente attraverso una fase di consenso ampia conla partecipazione di tutti gli attori interessati allo sviluppo, dalla Regione, agli entilocali, alle associazioni di imprese, per orientarne i processi di sviluppo in una otti-ca sempre più armonizzata con le ipotesi di sviluppo complessivo del territorio.

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Nicola Biscotti

L’Assindustria per lo sviluppo della Capitanatadi Nicola Biscotti

La provincia di Foggia è ormai diventata un punto di riferimento lungo ladorsale adriatica e territorio baricentrico rispetto alla regioni limitrofe; negli ultimianni, in particolare, le nostre imprese hanno dato luogo in modo rilevante agli inve-stimenti, evidenziano quote crescenti di fatturato esportato ed adottano piùdiffusamente politiche di innovazione di prodotto e di mercato, per una più profi-cua interlocuzione con i mercati interni e la domanda internazionale.

E tutto ciò non avviene solo nei comparti più tradizionali della nostra econo-mia locale, come l’agroalimentare e l’edilizia, ma anche nei settori dei trasporti,dell’ambiente, del turismo, dell’ elettrometalmeccanico e di altri settori manifattu-rieri.

Disponiamo, oggi, della diffusa presenza di un tessuto imprenditoriale sanoe competitivo, qualificato ulteriormente dall’azione dell’Assindustria che da oltrecinquant’anni è presente nella vita economica della provincia ed opera al serviziodelle imprese della Capitanata, svolgendo azioni di informazione, formazione, sup-porto tecnico, consulenza specifica, fornitura di servizi reali, nonché nello sviluppodi sinergie e collaborazioni con soggetti esterni quali Organizzazioni Sindacali,Università, Enti locali.

L’Assindustria, inoltre, promuove la diffusione della cultura d’impresa e fa-vorisce l’attrazione di investimenti con azioni di marketing territoriale e l’organiz-zazione di convegni di approfondimento, seminari tecnici e dibattiti su temi econo-mici, sociali ed istituzionali di interesse generale.

Un grande impulso alla vitalità imprenditoriale foggiana è senza dubbio ve-nuto dai diversi interventi connessi alla programmazione negoziata.

Il Contratto d’Area di Manfredonia, del quale è imminente il varo del terzoprotocollo, è una realtà unica nel suo genere, che ha ottenuto in più occasioni ilriconoscimento del Governo e della Regione Puglia per il suo migliore stato diavanzamento rispetto ad iniziative analoghe del nostro Paese.

Vi sono poi i diversi Patti Territoriali, alcuni dei quali vedono l’Assindustriadirettamente impegnata nella gestione dei relativi programmi, attraverso la societàconsortile PATTODIFOGGIA, come il Patto Territoriale di Foggia, il Patto Terri-toriale Ascoli-Candela, il Patto Territoriale per la Pesca e l’Economia Ittica, oltre adiversi ed importanti accordi di programma.

Iniziative che, al di là dei contenuti specifici per i diversi comparti produtti-

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L’Assindustria per lo sviluppo della Capitanata

vi, ribadiscono due concetti fondamentali ed imprescindibili per il nostro lavoro: lalogica di filiera, la multisettorialità degli interventi, la necessità di creare uno svilup-po diffuso sul territorio attraverso l’ubicazione di iniziative industriali nei diversi etutti importanti comprensori della provincia (Tavoliere, Gargano, Subappennino).

Riteniamo tuttavia vi siano ampi margini per rendere ancor più competitivoil sistema imprenditoriale della nostra provincia e rendere il territorio di sicurointeresse per altri investitori nazionali ed esteri; per tale ragione abbiamo da temposollevato l’esigenza di migliorare la dotazione infrastrutturale della nostra provin-cia, nonostante l’attuale sistema viario e dei trasporti che si snoda intorno allaCapitanata consenta alle nostre imprese di operare in modo più agevole rispetto adaltre aree del Mezzogiorno.

Riteniamo opportuno e percorribile, al riguardo, la creazione di un vero eproprio parco progetti che individui e definisca le priorità, nei settori delle infra-strutture e negli investimenti veri e propri, guardando con attenzione al Program-ma Operativo Regionale (POR) ed alla Legge Obiettivo, consapevoli che i legittimiinteressi del mondo imprenditoriale possono coincidere con quelli generali dellosviluppo economico e sociale, in modo particolare nella provincia di Foggia.

Il sistema accademico ed universitario, in particolare, può rappresentare unagrande opportunità per il territorio, soprattutto se ispirata alla consultazione co-stante nell’individuazione dei processi formativi necessari, alla programmazione egestione comune delle specializzazioni, all’attività di ricerca in favore delle impre-se, al contatto diretto tra popolazione universitaria e mondo imprenditoriale.

Questo perché, a nostro avviso, perseguire la crescita occupazionale e lo svi-luppo della Capitanata significa anche impegnarsi nell’individuazione e nella for-mazione dei profili necessari al territorio, nonché nell’ulteriore qualificazione dellaforza lavoro occupata, in altri termini nella creazione di una scuola di altaspecializzazione in campo imprenditoriale.

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Antonio Calvio

Il turismo come volano dello sviluppo della Capitanatadi Antonio Calvio

L’anno giubilare ha, senza dubbio, rappresentato, come era nelle previsioni,un evento molto importante per il turismo italiano e per la nostra provincia ed harilanciato l’Italia al quarto posto nella classifica degli arrivi internazionali a livellomondiale. Si tratta di capire se questo è un dato contingente oppure se il “SistemaItalia” riuscirà a capitalizzare questo risultato oltre l’evento eccezionale, affrontan-do la concorrenza agguerrita di altri Paesi con altrettanto forte “appeal” turistico.Alla grande potenzialità del Paese e della nostra provincia vi è il dato debole dellapolitica dell’offerta e l’elevata stagionalità che provoca un basso utilizzo dei postiletto.

Le prospettive del settore, considerando le potenzialità ambientali, culturalied artistiche del nostro Paese, sono quindi strettamente legate ad una ridefinizionedell’offerta che riesca a migliorarne l’organizzazione, l’integrazione con i contestiterritoriali, ed accrescere le presenze nei periodi di bassa stagione, valorizzando dipiù tutte le tipologie di turismo e di destinazione.

L’approvazione definitiva della riforma della legge quadro del turismo puòavviare una fase nuova di crescita e di sviluppo dei turismo italiano. Questo risulta-to, che arriva dopo diciassette anni di attesa, premia l’azione di Assoturismo-Confesercenti per ottenere una legge moderna in grado di corrispondere agli impe-gni che la competizione internazionale richiede al settore turistico. L’approvazionedella Legge quadro arriva dopo altri importanti interventi che ha esteso al settoreturistico una serie di provvedimenti di incentivi finora ad appannaggio principal-mente dell’industria (Legge 488/’92; inserimento nei Programmi Operativi Regio-nali).

Le imprese turistiche italiane per competere a livello internazionale devonoattrezzarsi soprattutto sul terreno della qualità e adeguarsi alla rapida e continuaevoluzione dei consumi. In futuro, uno degli obiettivi che il sistema turistico italia-no deve porsi è quello di rendere competitiva l’offerta turistica più consolidata comeil turismo balneare, montano e le città d’arte, potenziando il sistema dell’accoglien-za, riqualificando la ricettività diffusa e promuovendo la specializzazione dei setto-ri emergenti: il turismo naturalistico, sportivo, culturale, religioso e tutta l’econo-mia legata alla filiera ambiente-turismo-artigianato tipico produzioni alimentari.

Una fondamentale novità introdotta dalla riforma è il sistema turistico localeche se correttamente interpretato e realizzato potrebbe indurre nel settore un saltodi qualità in grado di recuperare quote di mercato al di fuori dei picchi stagionali e

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Il turismo come volano dello sviluppo della Capitanata

assicurare sviluppo in molte aree dell’Italia, soprattutto nel Mezzogiorno. Ai siste-mi turistici locali spetterà il compito di progettare e valorizzare i fattori dei richia-mo turistico locale, sia in termini di offerta ricettiva che di prodotti tipici dell’agri-coltura e dell’artigianato locale, nonché del patrimonio culturale, ambientale, stori-co, artistico e monumentale, componendo il tutto in un offerta omogenea e specifi-ca dell’area.

In questo quadro la nostra provincia assomma una serie di opportunità turi-stiche da quella balneare a quella religiosa, da quella naturalistica a quella culturalee gastronomica, che vanno però valorizzate appieno attraverso una concertazionedegli interventi da parte dei soggetti istituzionali (Provincia, Comuni, Ente Parco,Camera di Commercio, Azienda per la Promozione Turistica, Ente Fiera, Comuni-tà Montana, etc.) e una sempre maggiore qualificazione da parte degli imprenditorituristici.

A tale scopo, la Confesercenti si è fatta promotrice della proposta di costitu-zione dell’Agenzia per il Turismo sia per sostenere la riqualificazione delle singoleimprese e delle aree territoriali (anche attraverso la certificazione di qualità) sia perpromuovere il “prodotto turistico della Capitanata” legato alla valorizzazione deiprodotti tipici locali. Su questa proposta chiameremo i soggetti istituzionali inte-ressati, le organizzazioni di categoria e dei consumatori, l’Università e i centri diricerca ad un confronto per arrivare alla realizzazione del progetto.

In tal senso ci pare importante sottolineare la necessità di un intervento piùincisivo da parte dell’Ente Regionale Pugliese che dovrebbe assolvere in manierapiù efficace alle sue competenze in materia, superando anche alcuni limiti presentinella legge regionale di riordino del sistema turistico Pugliese.

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Giulio Colecchia

Piani concertati di intervento:analisi e modelli possibili

di Giulio Colecchia

Quest’anno ricorre il decennale dall’avvio dalla firma del primo atto diconcertazione in provincia di Foggia. Eravamo in pochi a scommettere sulla possi-bilità che soggetti diversi, che rappresentavano interessi fino ad allora spesso inconflitto, potessero stringere un patto per lo sviluppo e l’occupazione. Erano tempiin cui la messe di proposte, progetti ed idee in libertà inondava convegni e tavolerotonde. Tutti avevano un modello di sviluppo ed una propria visione delle cose dafare. Ognuno proponeva ricette, a suo dire, utili ad attrarre risorse, nazionali edestere, capaci di fecondare il territorio. Provincia, comuni, enti strumentali, asso-ciazioni degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, degli agricoltori, eraun continuo inseguirsi, proporsi, sovrapporsi. La proposta migliore era sempre quellache sapeva individuare, a Roma, Milano o altrove, risorse da rivendicare. In questoclima generale di ricerca di un modello endogeno da calare sul territorio anche ilsindacato non lesinava richieste, rivendicazioni, appelli, condizionato da un conte-sto politico e culturale incline ad ogni delega di responsabilità. L’Italia, dopo oltreun quarantennio dalla sua liberazione, era ancora irrimediabilmente divisa e fortepersisteva la convinzione tra i meridionali che il resto del Paese dovesse provvedereal loro destino. Ancora troppo evidenti erano gli effetti di una politica d’interventopubblico nel Mezzogiorno che pure, per ultima con la legge 64/84, aveva avuto ilmerito di spostare risorse, decentrandole ma quasi mai coordinate con programmidi sviluppo.

Geniale, viste queste premesse, fu la scelta del CNEL di De Rita che il 21febbraio 1991 aveva approvato l’accordo di concertazione annuale per lo sviluppodel Sud, propugnando un modello inverso d’intervento, un modello nel quale ilterritorio non era più inteso quale destinatario di interventi esogeni, ma luogo nelquale si organizzano, interagiscono e progettano gli attori locali, cioè le istituzioni,il parti sociali, gli enti, le associazioni, i singoli.

Quest’idea, così divenuta proposta di rango istituzionale, riassumeva, sostan-zialmente, alcuni principi che erano già a fondamento della natura e dell’esperienzadi una parte consistente della cultura sindacale italiana:

• un modello di relazioni sociali partecipative e non conflittuali, premessaindispensabile perché il dialogo si sviluppasse per approdare al partenariato;

• un rafforzamento ed un ammodernamento della pratica negoziale tra i

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Piani concertati di intervento: analisi e modelli possibili

vari soggetti in campo, tesa non a contrapporre interessi, ma, partendopure da interessi contrapposti, ad individuare quelli comunementeconseguibili;

• la possibilità di organizzare interventi plurimi in un contestoprogrammatico condiviso e, quindi, di realizzare uno sviluppo a rete;

• il territorio quale luogo ove risiedono risorse da organizzare e far crescerecon il contributo di tutti.

Il primo documento di concertazione porta la firma del sindacato confedera-le (CISL, CGIL e UIL) e dell’Assindustria. Più che di vera concertazione, dipartenariato ampio, si trattò di un’intesa sugli obiettivi che ciascuno intendevaraggiungere. L’avvio di un sostenuto processo di sviluppo industriale, la tutela e lavalorizzazione dell’ambiente, il rafforzamento del sistema delle infrastrutture, lacreazione di una rete di servizi alle imprese sul terreno della formazione, delle op-portunità finanziarie, della ricerca, dell’assistenza tecnica, della promozione suimercati, questi gli obiettivi settoriali delle nuove relazioni che nascevano tra indu-striali e sindacati. Tutti conseguibili in un contesto di “riequilibrio complessivodell’intero sistema produttivo provinciale” nel quale le aree costiere e quellesubappenniniche presentavano “i caratteri di una grave regressione sociale ed eco-nomica”.

Nel dicembre del 1992, a seguito di un esplicito invito che le era stato rivoltodalle organizzazioni sindacali provinciali già dal mese di ottobre, l’Amministrazio-ne Provinciale aderì all’intesa, auspicando, peraltro, un coinvolgimento più ampiodel mondo produttivo dell’intera provincia. Soltanto il 18 maggio del 1993, nono-stante aspre critiche da parte di settori rappresentativi della sinistra, il Patto diConcertazione fu firmato a Palazzo Dogana dal Presidente dell’Amministrazioneprovinciale, da quello dell’Associazione degli industriali dauni e dalle Segreterieprovinciali di CISL, CGIL e UIL. L’obiettivo dell’ampliamento della concertazionefu perseguito, in seguito, soprattutto per impegno del sindacato che nell’allarga-mento del tavolo di concertazione individuava l’occasione per accrescere lacorresponsabilizzazione sulle sorti della Capitanata. I numerosi incontri, le inizia-tive pubbliche, l’interessamento della stampa ha, poi, fatto alzare non solo l’atten-zione, ma anche la fiducia. Si è avviato, da allora, un processo virtuoso, fatto direciproci riconoscimenti di ruolo tra soggetti che fino ad allora avevano concepitoil dialogo, al meglio, in confronto. Ma è cresciuta, anche, una prassi nuova di coo-perazione nel ricercare, nel quadro di sviluppo comunemente individuato, ogni utileoccasione e strumento per favorire sviluppo ed occupazione.

Fu quasi naturale, avendo acquisito la concertazione a modello politico diriferimento, che la stagione della programmazione negoziata ed i primi sui stru-menti di attuazione (contratti d’area e patti territoriali) trovassero il quadro diri-gente (politici, imprenditori, sindacalisti) della Capitanata pronti ad approfittare.Ad approfittare di strumenti (finanziamenti) che potessero giungere ai richiedentisolo dopo che le risorse del territorio si fossero organizzate e coordinate. Ad ap-profittare di strumenti che diventavano operativi soltanto quando la rete dei con-

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Giulio Colecchia

sensi e delle disponibilità era attivata. Nessuna gratuita assistenza, nessun finanzia-mento percepito senza aver partecipato all’investimento o offerto garanziefideiussorie, nessun progetto finanziato senza l’impegno formale dell’impresa direalizzare vera occupazione.

Oggi i risultati di questa stagione sono riscontrabili nel contratto d’area e neisei patti territoriali (di cui due tematici, pesca ed agricoltura) e negli investimenticomplessivi attivati (circa 2 miliardi di euro per un totale approssimato di 800 mi-liardi di euro di contributo pubblico), ma soprattutto nella prospettiva conseguen-te di creare occupazione per circa 10.000 disoccupati.

Certamente non si tratta di soluzioni definitive. Ancora i problemi sono lì,gravi e spesso ignorati. Innanzitutto l’occupazione, scarsa e sommersa; poi le infra-strutture per cui la provincia di Foggia è fanalino di coda nelle indagini dell’istitutoTagliacarte; per finire con lo squilibrio economico e sociale, oggi ancora più grave,tra i diverse aree ed i differenti sottosistemi del territorio provinciale.

Ma non c’era certo da aspettarsi che i processi di internazionalizzazione del-l’economia facessero grazia ad un territorio come il nostro. C’è invece da attendersiche di fronte a nuove sfide, il sistema Capitanata, venuto fuori più maturo e consa-pevole da questi ultimi dieci anni, sappia valorizzare il percorso compiuto. Tornarea localismi, a rivendicazioni di campanile, a relazioni conflittuali sarebbe una sceltairresponsabile. Bisogna, anzi, proseguire il lavoro comune, compendiando gli inte-ressi e le esigenze in un quadro di riferimento programmatico che assicuri, attraver-so il collegamento di risorse, territori, strutture, una crescita equilibrata a tutto ilterritorio provinciale. Necessità, ora, prima che tornino a dilagare egoismi edopportunismi, riscoprire la concertazione e porla al centro dell’attività amministra-tiva, sociale, privata. Questo vale per l’intero Paese, perché unica politica in gradodi assicurare la pace sociale, ma ancor di più è necessaria quale politica di riferimen-to per l’azione delle amministrazioni locali e provinciale in un territorio vasto qualè la Capitanata. Chiunque finge di non capire o sfugge si rende responsabile diprodurre l’arretramento innanzitutto sociale della Capitanata, favorendo, poi, queiprocessi di indebolimento strutturale e dell’immagine che rappresenta un fattoredecisivo per la competizione nel sistema globale.

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Matteo Fusilli

Turismo e Parco Nazionale del Garganodi Matteo Fusilli

Il turismo e la sua qualità rappresentano la sfida più importante per il ParcoNazionale del Gargano e per le aree protette italiane, già oggi investite da flussiconsistenti di visitatori che cresceranno sempre di più se vogliamo dar retta a tuttigli studi sulle macrotendenze della domanda turistica.

In altri luoghi il turismo nasce col parco nel Gargano da molti anni. Esso èvoce fondamentale dell’economia locale e garantisce reddito e occupazione a mi-gliaia di addetti.

Il passaggio dal turismo di massa all’attuale domanda di tanti viaggiatori evo-luti, informati, che un mercato concorrenziale mette nelle condizioni di sceglierelocalità in ogni parte del mondo, ci obbliga a puntare alla qualità e alla valorizzazio-ne dell’autenticità dei luoghi, se vogliamo continuare ad essere destinazione turisti-ca. Mi sembra utile proporre due temi di riflessione:

1. Il turismo non può essere considerato un settore economico, ma un siste-ma di offerta che organizza e coordina la complessità dei fattori e dei soggetti cheagiscono. Occorre cioè intervenire con una molteplicità di azioni che attengonoall’ambiente naturale e ai beni culturali, all’organizzazione dei servizi, all’atmosferadi accoglienza, alla sicurezza, alla produzione di eventi e alla valorizzazione deiprodotti eno-gastronomici.

2. Bisogna essere pienamente consapevoli che il turismo ha un carattereambivalente: può favorire lo sviluppo economico e culturale di un territorio, manello stesso tempo può determinare il suo irreversibile degrado.

Proprio per questa ragione è indispensabile tutelare ad ogni costo il patrimo-nio naturale, ambientale e culturale del Gargano se vogliamo che questo territoriocontinui ad esistere come destinazione turistica.

La scomparsa di una località dal panorama turistico è nell’ordine delle cose. Ivalori turistici possono ridursi nel tempo a causa di attività che producono degradoambientale (sviluppo industriale, un’agricoltura che utilizza massicciamente ferti-lizzanti chimici, attività edilizie intensive che deturpano il paesaggio), ma anche ilturismo può nuocere a se stesso, perché l’aumento dei flussi richiede infrastrutture,ricettività, servizi, che potrebbero, se non attentamente programmate, consumareterritorio, distruggere risorse naturali, rendere invivibile quell’area per la quantitàdi rifiuti o l’inquinamento acustico.

Turismo e ambiente sono due realtà che si alimentano l’una dell’altra in un

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Turismo e Parco Nazionale del Gargano

rapporto di circolarità che può essere, a seconda dei casi, virtuoso o perverso.Milioni di turisti sono in giro per il mondo e cresceranno sempre di più. Di

fronte a dimensioni di tale portata, l’organizzazione del turismo si configura sem-pre più come un’impresa con impatti economici, sociali ed ambientali così rilevantiche senza una corretta politica di tutela ambientale si rischia di distruggere il patri-monio naturalistico e culturale che è alla base della sua stessa vita e del suo ulterioresviluppo.

In un territorio a forte vocazione turistica tutelare il patrimonio naturale èun’operazione doverosa non solo dal punto di vista morale e culturale ma è ancheeconomicamente conveniente.

Gli studi sulle macrotendenze della domanda indicano che la qualità del-l’ambiente è la principale motivazione della scelta dell’area dove soggiornare.

Dai dati diffusi già nel 1999 alla ITB di Berlino si evince che questa motiva-zione è fondamentale per il 43% dei tedeschi.

Una ricerca pubblicata qualche anno fa indicava che i parchi americani sonostati visitati nel 1996 da 270 milioni di turisti e quelli canadesi da 26 milioni, unnumero superiore alla popolazione dei rispettivi paesi.

Un’indicazione indiretta ci viene anche dal fatto che gli operatori turisticioperanti nei parchi mettono in evidenza nelle attività promozionali, nei cataloghi ein ogni altro modo possibile, che le proprie strutture sono ubicate nel parco, consi-derandolo un valore aggiunto e un’importante fattore di attrattiva. Inoltre bisognaconsiderare che il grande investimento in educazione ambientale che parchi, entilocali, governi, mezzi di comunicazione, associazioni stanno facendo, in particola-re nelle scuole, porterà i ragazzi di oggi a scegliere domani, presumibilmente, meteturistiche in grado di soddisfare il bisogno di conoscere ambienti naturali integri,oltre che la storia e la cultura dei luoghi visitati.

Questa è la domanda di turismo e in un mondo dove l’offerta di natura tendead essere sempre più ridotta sarebbe folle, per noi che possediamo un patrimonioambientale e culturale di valore incommensurabile non esserne consapevoli e avve-lenare l’acqua del pozzo dove beviamo o tagliare il ramo sul quale diamo seduti.

Nel turismo ecologia ed economia non si contrappongono. Per questa ragio-ne l’ambiente, i beni culturali, il paesaggio, la biodiversità, la tipicità alimentare egastronomica, l’autenticità dei luoghi, vanno difesi e tutelati non dal turismo, ma infunzione del turismo, un comparto ad alto tasso di occupazione.

Lo sviluppo economico non porta automaticamente una crescita degli oc-cupati. L’introduzione dell’informatica nei processi produttivi può provocare l’ef-fetto opposto. Ma i viaggi virtuali non sostituiranno quelli reali, anzi questo nuo-vo modo di navigare amplia l’orizzonte delle conoscenze e accentua il desideriodi viaggi reali, la voglia di autenticità (in forte crescita l’agriturismo), la domandadi socializzazione (i viaggi virtuali sono vissuti in solitudine) e di rapportiinterpersonali sereni e gioiosi che sono la chiave del successo di villaggi e parchidivertimento. Inoltre il turismo è integrato con altri comparti come l’agricoltura,l’artigianato, i trasporti, la cultura, gli eventi e la formazione. Per queste ed altre

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Matteo Fusilli

valide ragioni esso rappresenta per i parchi e per il nostro paese, il settore conmaggiori potenzialità di crescita occupazionale, dal punto di vista quantitativo equalitativo.

D’altronde i finanziamenti europei del Quadro di Sostegno Comunitario2000/2006 indicano come assi prioritari di intervento:

1. la valorizzazione delle risorse naturali e ambientali;2. la valorizzazione delle risorse umane, culturali e storiche;3. il miglioramento della qualità delle città e della vita associata.Priorità inserite nel P.O.R Puglia che ha previsto per il territorio del Parco

Nazionale del Gargano, un P.I.S. (Progetto integrato settoriale) Ambiente, Cultu-ra, Turismo.

Un parco rappresenta una forte attrattiva perché evoca naturalità e tipicità eil marchio del parco richiama valori e significati che motivano sempre più la sceltadel viaggio e l’acquisto dei prodotti. In questo quadro le aree protette italiane pos-sono diventare un’importante realtà del turismo italiano.

Tutto questo, naturalmente, è ancor più vero per il Gargano che ha meritatoil riconoscimento di Parco Nazionale ed è candidato ad entrare nella Listadell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

Il nostro Promontorio da secoli affascina i suoi tanti visitatori che nei diari diviaggio hanno lasciato traccia della propria ammirazione. “Dove in Europa un’altraregione che offre contrasti più stupefacenti di questa montagna, piena di leggende emisteri, in cui giardini di agrumi si rannicchiano ai piedi di una cupa foresta nordi-ca” scriveva Emile Bertaux e a Gregorovius che proveniva dal Tavoliere, il Garganoparve “una rocciosa parete fiammeggiante posta dagli dei a custodia del paradiso”,o più recentemente Fulco Pratesi: “Quale altro luogo d’Italia, mi domando, com-prende un simile mosaico di luoghi, di ambienti, di monumenti, di specie animali evegetali, racchiuso in un territorio così piccolo”.

Nel Gargano è possibile “fare il giro del mondo in otto giorni”, perché sipassa dalle steppe pedegarganiche alle dune di Lesina, dalla macchia mediterraneaalle pinete che dalla spiaggia si spingono fino a 65° metri sul livello del mare, allefaggete nordiche della Foresta Umbra, all’arcipelago delle Isole Tremiti.

Nel Gargano, che costituisce lo 0,7% del territorio nazionale, è presente il40% della flora italiana, con oltre 60 specie e sub-specie di orchidee, e il 70% degliuccelli nidificanti nel nostro paese.

E l’uomo ha saputo creare una seconda natura, con terrazzamenti, ediliziarurale, centri storici, monumenti e chiese, in una montagna che è considerata sacrada molti secoli, con i riti pagani prima, con il culto micaelico poi e oggi, con SanPio.

Questa è la nostra terra, va rispettata e tutelata. Per questa ragione è statoistituito il Parco Nazionale del Gargano, perché proprio dalla tutela possono deri-vare nuove opportunità.

Abbiamo tutti la grande responsabilità di garantire uno sviluppo sostenibilealle generazioni presenti e a quelle future, sottoscrivendo un contratto intergenera-

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Turismo e Parco Nazionale del Gargano

zionale che dobbiamo onorare con la coerenza delle scelte quotidiane, con la capa-cità di considerare gli effetti immediati, ma anche a lungo termine, delle nostre azionie decisioni.

L’obiettivo che dobbiamo indicare non è di porre limiti allo sviluppo, maquello di sviluppare la coscienza che vi è un limite oltrepassato il quale ogni possi-bilità di sviluppo è irrimediabilmente compromessa.

Quel limite, mi auguro, non dovrà mai essere superato.

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Pietro Gentile

Fiera di Foggia: una terza faseper lo sviluppo della Capitanata

di Pietro Gentile

Lo sviluppo del territorio, inteso come crescita economica, sociale e cultura-le, trova nei sistemi fieristici un elemento di grande importanza. È la storia delnostro Paese ad affermarlo e l’esperienza della Fiera di Foggia conferma e ribadiscetale concetto.

Sul piano generale si può senza dubbio asserire che l’istituto della Fiera ècertamente uno dei più antichi che l’economia abbia conosciuto, poiché le fieresono sempre state testimoni ed hanno in qualche in qualche modo accompagnatol’evoluzione e le mutevoli esigenze del mercato.

Come è noto Foggia e la sua Fiera durante il Regno di Napoli eranounanimemente riconosciute come sedi importanti di movimenti commerciali, eco-nomici e finanziari, nonché di grande vitalità culturale, per la presenza in città –allora tra le più più popolate - della Dogana della Mena delle Pecore, una strutturaamministrativa e giurisdizionale preposta ad organizzare l’articolato mondo dellapastorizia e che durante la fiera dell’epoca presiedeva alla riscossione delle sommeche gli armentari dovevano pagare alla Dogana per lo sfruttamento dei pascoli.

Tornando a tempi più recenti, è doveroso ricordare il grande impulso datonegli anni ’30 del secolo scorso dallo Stato all’istituzione di nuovi enti fieristici edalla riorganizzazione di quelli già esistenti: tale scelta politica non aveva solo finali-tà di immagine e propaganda, poiché derivava dalla consapevolezza che le fiere,storicamente, erano infrastrutture in grado di “tastare” il polso dell’economia lo-cale, in modo particolare le rassegne specializzate a forte vocazione agricola.

L’agricoltura, come è noto, occupava decenni addietro un ruolo oggettiva-mente maggiore nell’economia e nella società e per tale ragione le politiche in favo-re del mondo rurale non potevano non guardare con attenzione alle fiere ed ai ter-ritori agricoli sulle quali le stesse insistevano.

Con la “Fieragricola” del 1939, Foggia e la sua Fiera appena istituita apriro-no così una seconda fase, quella della Fiera Internazionale dell’Agricoltura e dellaZootecnia con le sue 53 edizioni fino ad oggi realizzate, protagoniste dell’evolu-zione e dello sviluppo che ha contraddistinto il settore primario.

Tre i fattori principali che giocarono a favore della crescita della Fiera di Fog-gia e della sua centralità nel sistema economico meridionale: la ricordata tradizionemercantile e commerciale, il forte legame con le vocazioni territoriali, la posizionebaricentrica rispetto ad altre province limitrofe.

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Fiera di Foggia: una terza fase per lo sviluppo della Capitanata

Ed è così che il nostro osservatorio privilegiato ha sempre potuto mettere inluce i proficui risultati conseguiti dai nostri agricoltori, i quali, grazie anche allosviluppo della meccanizzazione e dell’irrigazione, hanno reso la Capitanata tra leprime province agricole italiane, con posizioni di primato nei settori della cerea-licoltura, dell’ortofrutta e delle colture industriali.

Negli ultimi anni, poi, con l’introduzione nelle politiche comunitarie, nazio-nali e regionali del concetto di “multifunzionalità” dell’agricoltura, ovvero della suacapacità intrinseca di presiedere non solo alla produzione di beni e materie prime, maanche nell’espansione di attività correlate, quali l’artigianato rurale e l’agriturismo,abbiamo posto al centro del dibattito della fieragricola di primavera le nuove sfide, inuovi obiettivi, le nuove opportunità per gli agricoltori del Mezzogiorno.

In quest’ottica si collocano le diverse iniziative espositive e convegnistiche ed iqualificati approfondimenti tecnico-scientifici su biotecnologie, fonti energetiche al-ternative e rinnovabili, biodiversità, tracciabilità, sicurezza alimentare.

Temi affrontati e discussi in un clima di reciproca collaborazione con Università,Istituti di ricerca ed Enti operanti in agricoltura, organizzazioni professionali agricole,associazioni di settore, ordini professionali, Istituzioni nazionali e locali, nel pieno ri-spetto di compiti e funzioni a ciascuno assegnati. Sono queste le peculiarità che induco-no da oltre mezzo secolo le aziende del settore a scegliere la Fiera di Foggia per presen-tare nuovi prodotti, macchine ed attrezzature, innovazioni tecnologiche.

Ecco, secondo noi, come va correttamente interpretato un ruolo attivo nellepolitiche di sviluppo: esaltando vocazioni e competenze specifiche, favorendo l’in-terlocuzione istituzionale, assicurando servizi reali alle imprese, come l’ubicazionein Fiera della Borsa Merci della Camera di Commercio di Foggia e l’istituzione inFiera di un osservatorio economico e congiunturale, nonché l’organizzazione diworkshops, anche di respiro internazionale, d’intesa con organizzazioni di catego-ria, Enti nazionali e locali.

Un ulteriore contributo alle politiche di sviluppo della nostra provincia po-trà derivare dalla riforma statutaria della Fiera di Foggia, in ossequio ai dettamidella nuova legge quadro nazionale ed in attesa della definenda riorganizzazionedel sistema fieristico regionale.

La riforma della statuto, da un lato, e soprattutto la nuova legislazione regio-nale, dovranno e potranno aprire una terza fase e conseguire tre obiettivi primari:assicurare all’Ente Fiera di Foggia un consolidamento ed una proiezione legate allesue specificità (agricoltura, agroalimentare, artigianato e turismo); consentire colla-borazioni più strette, anche di carattere economico e finanziario, con Enti pubblicie privati; valorizzare un quartiere fieristico da tutti ritenuto di grande funzionalitàe da poter quindi rendere disponibile per la città e l’intera provincia, ospitando altrerealtà e strutture direttamente impegnate nei processi di sviluppo economico.

È un modo nuovo, insomma, per analizzare e rendere partecipi delle tenden-ze dei mercati le aziende e gli operatori, con la Fiera di Foggia chiamata non solo agestire ed offrire semplicemente spazi espostivi, ma ad assicurare sempre più servi-zi, nuove forme di comunicazione e azioni di marketing.

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Giuseppe Marcucci

Gli strumenti strategici dello sviluppodi Giuseppe Marcucci

Pensando ad un possibile sviluppo sociale ed economico della Capitanata neiprossimi anni non si può prescindere dal conoscere ed analizzare i processi chesono intervenuti nel cambiamento delle condizioni del territorio nell’ultimoventennio.

È indubbia una capacità degli attori impegnati in questi processi nell’aversaputo superare la fase finale dell’intervento straordinario che ha generato, pur conun dispendio di risorse ingenti, una struttura produttiva nei vari settori economicisicuramente non consona alle vocazioni e alle propensioni del territorio, ma in modoparticolare ha innescato processi viziosi, marginali e terminali rispetto allo scenarioeconomico e produttivo del Paese.

Questo superamento è stato possibile perché si è avuta l’audacia e la deter-minazione di tre soggetti collettivi fondamentali: il sistema delle autonomie loca-li, il sistema delle imprese, le organizzazioni sindacali confederali. Il collante cheha unito in una comunanza di obiettivi questi soggetti è la consapevolezza chesostituire uno sviluppo concepito in modo dirigistico con uno democratico epartecipativo era l’unica strada percorribile. L’aver saputo cogliere l’opportunitàdi provvedimenti di incentivazione allo sviluppo, connotati nella programmazio-ne negoziata, è stato il fatto economico più saliente che sia avvenuto in Capitanatanegli ultimi anni.

La copiosità degli strumenti adottati e dei conseguenti investimenti, pubblicie privati, che si sono realizzati non è solo la testimonianza di aver saputo cogliereun’occasione, ma è frutto di un sentire comune dei soggetti che hanno agito e, inparticolare, la consapevolezza che solo uno sviluppo costruito dal basso, partecipa-to attraverso i naturali processi democratici di assunzione delle decisioni, può de-terminare una condizione duratura di sviluppo.

L’aspetto singolare di questa fase è che il superamento del periodoassistenzialistico, contraddistinto dal sorgere di attività industriali arretrate nei pro-cessi e nei prodotti, non ha dato seguito ad interventi nel settore primario né nelterziario, ma vi è stato un elemento di continuità nel settore manifatturiero a dimo-strazione della necessità di tenere in piedi una linea di politica industriale in unterritorio a vocazione complessa come la Capitanata.

Questo sicuramente a dimostrazione ulteriore che, in un territorio del Mez-zogiorno, il mantenimento di un equilibrio dei parametri di ricchezza rispetto al

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Gli strumenti strategici dello sviluppo

Centro-Nord non può essere avulso dalla presenza di un innovativo e avanzatosistema industriale e manifatturiero.

Sulla base dell’esperienza dei processi di sviluppo determinati dalla program-mazione negoziata, i cui limiti e la cui caducità si riscontrano nella carenza di infra-strutture, possiamo affermare che proprio quest’ultima resta una condizione im-prescindibile per un qualsiasi avanzamento economico di tutti i settori produttivi.

Venendo meno una volontà politica di dare continuità alla esperienza gene-rata dalla programmazione negoziata e tenuto conto del limite infrastrutturale, re-sta da definire la linea di tendenza delle azioni che i vari attori dello sviluppo pre-senti sul territorio intendono perseguire. Non ci pare che la riproposizione di unaconcezione dirigistica e burocratica della programmazione dello sviluppo possaprodurre effetti positivi. L’eventuale passaggio dei processi decisionali dalle assem-blee elettive e, comunque, dai centri di partecipazione democratica ad organismiautocratici con naturali obiettivi economicistici non può che produrre azioni asso-lutamente circoscritte ed estranee alla necessità di un processo di integrazionesinergica con lo sviluppo fin qui realizzato.

Invero, organismi siffatti potrebbero assolvere e risolvere il limite infrastrut-turale oggi presente sul territorio. Tenuto conto che le misure adottate dal Governonazionale in tema di politica economica e infrastrutturale non prevedono destina-zioni di risorse, nel Mezzogiorno in generale e in Capitanata in particolare, neisettori strategici dei trasporti, della viabilità, della logistica e della infrastrutturazio-ne materiale e immateriale funzionale alle attività produttive, una funzione di dre-naggio delle risorse necessarie a questi interventi la potrebbero assolvere il sistemaistituzionale locale, il sistema delle imprese e gli enti strumentali presenti nel terri-torio.

In questo quadro, appare fondamentale definire quale debba essere la dimen-sione territoriale dello sviluppo; questione, quest’ultima, affrontata in un dibattitoavvenuto qualche anno fa nella sede dell’Amministrazione provinciale. Le azionimesse in campo dalla programmazione negoziata si sono prodotte in aree circo-scritte della Capitanata (Manfredonia, Alto Tavoliere, Basso Tavoliere, Subappen-nino, etc.), producendo sicuramente effetti positivi sulla crescita produttiva ed oc-cupazionale, ma pur sempre incapaci di determinare un effetto “domino” su tutto ilterritorio provinciale. Di qui l’esigenza di raccordo e di messa in rete di questeazioni atta a produrre un valore aggiunto che vada al di là della misura e della qua-lità dell’intervento stesso. Questo aspetto appare ancora più importante per chivuol pensare ad una dimensione territoriale che vada oltre il territorio provinciale,assumendo, in un momento di forte mortificazione dell’autonomia del sistema isti-tuzionale, in senso federalista, un forte carattere democratico.

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Ciro Mundi

Sviluppo sostenibile, scommessa da vinceredi Ciro Mundi

1. Premessa

Secondo la definizione maggiormente condivisa, si indica come sostenibilequello sviluppo che garantisce i bisogni del presente senza compromettere le possi-bilità delle generazioni future di fare altrettanto.

Questa proposizione breve, sintetica, può essere considerata l’epigrafe di unavera e propria rivoluzione culturale: costituisce, infatti, un legame impegnativo tragenerazioni, tra presente e futuro. Si parte dalla consapevolezza che “il futuro siamonoi” perché è dalle nostre scelte ed azioni che dipenderà il futuro delle prossime gene-razioni: la qualità della vita, la prosperità, la pace tra i popoli in un ambiente sano.

È naturale che il primo atto di responsabilità consiste nella limitazione deibisogni, evitando di trasformare in bisogni stili di vita obiettivamente improntati alsuperfluo ed allo sperpero.

Tale consapevolezza implica una grande assunzione di responsabilità da cuinessuno, nei diversi ruoli, può sottrarsi; ed in primo luogo non possono sottrarsi isingoli cittadini poiché, nel terzo millennio, il diritto di cittadinanza diventapregnante se coniugato con il dovere d’intervento su questioni che investono, nelprofondo, la vita di tutti noi e dei nostri figli.

L’idea di uno sviluppo sostenibile non costituisce una novità di per sé; il rap-porto tra economia, società ed ambiente è da molti secoli oggetto d’attenzione cul-turale e politica. La sfida, rinnovata, che oggi ci vede in campo è la realizzazionedello sviluppo sostenibile nel contesto globale di società industriali (i cosiddettiPaesi ricchi) e di società in via di sviluppo (Paesi poveri) in uno s cenario che vede ilprogressivo depauperamento delle risorse naturali del pianeta.

L’evoluzione degli approfondimenti sulla migliore definizione, sostanziale,di sviluppo sostenibile, ha determinato un approccio più ampio e più profondosecondo il quale un’economia è sostenibile se, e solo se, essa non compromette lastruttura organizzativa dell’ecosistema di cui fa parte. In quest’ottica s’inserisconole valutazioni sulla complessità del carico ambientale e sull’impronta ecologica.

Comunque, un dato è certo: lo sviluppo sostenibile non è perseguibile senzaun profondo cambiamento degli attuali modelli di sviluppo e dei rapporti econo-mico-sociali poiché le risorse naturali, in quanto risorse primarie, non sono mercima patrimonio comune, di tutti.

Questi cambiamenti possono essere frutto solo di una forte azione politica

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

orientata in tal senso, in un coinvolgimento a cascata: dal governo del mondo algoverno della più piccola comunità locale.

Soltanto coniugando il livello “globale” con il livello “locale” possiamo spe-rare di ottenere un riequilibrio delle gravi disparità oggi esistenti: un quinto dellapopolazione mondiale utilizza l’80% delle risorse disponibili, mentre i restanti quat-tro quinti ne utilizzano appena il 20% in una situazione in cui non avviene, pur-troppo, l’incontro tra Paesi ricchi e Paesi poveri per instaurare linee strategiche chediano inizio alla soluzione di questi gravi problemi. Questa è la globalizzazione chenoi vogliamo: programmi politici finalizzati alla riduzione massima delle disugua-glianze, della povertà, della fame, della schiavitù, dell’analfabetismo, delle gravimalattie, come l’Aids, che flagellano interi popoli.

La globalizzazione non è, e mai potrà essere, la parola d’ordine di una visio-ne del mondo come un enorme mercato, regolato esclusivamente dal mero profitto,poiché questo, come sappiamo ed abbiamo constatato, approfondisce, sino a ren-derle insanabili, quelle disuguaglianze che noi, profondamente, vogliamo combat-tere. Impoverisce, inoltre, l’essere umano riducendole al ruolo di consumatore.

La strada da percorrere non è quella del G8, dove i Paesi Poveri non parteci-pano perché non invitati, così come alla conferenza mondiale sulla fame nel mondodella FAO, organo delle Nazioni Unite: nelle settimane scorse, a Roma, non hannopartecipato, benché invitati, i paesi ricchi ad eccezione del Presidente del ConsiglioItaliano (Paese ospitante) e del premier spagnolo (Presidente di turno della Comu-nità Europea).

L’impressione netta che si ricava dalla lettura di questi eventi è molto nitida esemplice: si evitano le occasioni in cui bisogna assumere impegni e, spesso, quandogli impegni sono assunti, si tenta di sminuirli o di ridiscuterli così come ha fatto, peril protocollo di Kjoto, il Presidente degli Stati Uniti. Si evitano le occasioni in cuialcuni Paesi dovrebbero spiegare e motivare la decisione di ridurre l’entità degliaiuti ai Paesi in via di sviluppo.

Questa logica di separazione, di mondo diviso, sino a quando potrà sostene-re un equilibrio che si fa sempre più precario, in uno scenario mondiale in cui iconflitti tendono ad aumentare anziché a ridursi?

Le organizzazioni non governative (ONG) sino a quando possono sostenereil ruolo d’ultimo rifugio della solidarietà?

Sino a quando il mondo potrà restare diviso tra chi ha un surplus di cibo,tanto da far diventare fiorentissima l’industria dietetica, chi ha il cibo appena suffi-ciente per sopravvivere di stenti ed ottocento milioni di persone che sono candidatia morire per fame e di cui muoiono ventiquattromila il giorno?

È evidente che l’assunto principale della cosiddetta globalizzazione: il mon-do diventerà uno e la ricchezza dei ricchi salverà i poveri si è dimostrato infondatoed inefficace.

Il popolo di Seattle, i cosiddetti no global, in una miscela di terzomondismo,utopismo e strumentalizzazione politica, ha sollevato, per primo, il problema chepuò sembrare paradossale: un mondo che mai è stato tanto ricco, mai ha visto,come oggi, tanti esseri umani privati di tutto.

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Ciro Mundi

Le disuguaglianze, quindi, crescono nello scenario di questa globalizzazione.Nel 1960 il rapporto tra il quinto più ricco della popolazione mondiale e quello piùpovero era di 30 ad 1; nel 1990 il rapporto era salito a 60 ad 1; oggi si avvicina al 90 ad 1.

Questi dati consegnano il processo di globalizzazione al ruolo d’ingiustiziaglobale e non altro.

Ed allora, la globalizzazione ha significato se tiene conto della localizzazionee cioè della cifra specifica di un continente, di una nazione, di una comunità localepoiché questa cifra rappresenta la vocazione storica, culturale e sociale di quel con-testo che nessuno può permettersi di spazzare via in una sorta di neocolonialismo.

La frontiera, oggi, da raggiungere è quella della glocalizzazione, un neologi-smo, tra i tanti, che forse sintetizza le istanze sin qui rappresentate.

La globalizzazione diventa, in quest’ottica, l’utilizzo su larga scala dei mezzi,delle tecnologie, delle risorse dei Paesi ricchi per migliorare la qualità di localizza-zione degli insediamenti umani, rispettando al massimo le vocazioni territoriali, sianei Paesi Poveri sia nelle tante aree di povertà, d’emarginazione e disuguaglianzache esistono anche nei Paesi cosiddetti ricchi.

Questi due processi devono procedere di pari passo; altrimenti le contraddi-zioni sin qui evidenziate costituiranno una miscela esplosiva. Tali contraddizioni, fruttodi politiche egemoniche e non solidali, sono presenti, è vero, su scala mondiale masono altrettanto presenti nei singoli territori, nelle nostre comunità ove tali contrad-dizioni appaiono, forse, più stridenti perché, ogni giorno, sotto i nostri occhi. E chiafferma di non vederle sta semplicemente affermando che non vuole vederle.

Il mondo non può essere lo scenario in cui si applicano logiche di mercatofinalizzate esclusivamente al profitto; il mondo deve essere lo scenario della solida-rietà dei Paesi ricchi per lo sviluppo dei Paesi poveri, in un ‘ottica non di meraassistenza, ma di valorizzazione e promozione delle risorse umane ed ambientaliche costituiscono un binomio inscindibile.

Non c’è altra strada, se non vogliamo che il mondo diventi un enorme teatrodi tragici ed insanabili conflitti tra i popoli.

Non stiamo parlando d’ideali filantropici; qualcuno pensa verosimile l’eve-nienza che, in un pianeta nettamente diviso tra una minoranza di ricchi ed una vastamaggioranza di poveri, possano essere garantiti, nel tempo, gli attuali livelli di sicu-rezza, benessere e sviluppo?

2. Un modello di crescita

Questa lunga premessa potrebbe apparire come una divagazione; in realtà,ritengo che quando parliamo di sviluppo locale, e quindi di sviluppo sostenibile,non possiamo trascurare lo scenario più ampio in cui si collocano le nostre rifles-sioni, i nostri programmi, le nostre azioni.

Dallo scenario mondiale a quello europeo e nazionale, sino alle autonomielocali, il quadro di riferimento è unico e deve costituire il filo conduttore d’ogniprogrammazione ed azione in tema ambientale e di sviluppo territoriale.

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

Tutti nutriamo forti aspettative in una crescita del nostro sistema economico;per produrre maggiore ricchezza, occupazione e quindi maggior progresso e be-nessere dei cittadini di Capitanata.

Un sistema economico in crescita è sostenibile solo se le risorse naturali, uti-lizzate o coinvolte nel processo di creazione di ricchezza, non sono depredate,depauperate o compromesse; se non determina conflitti tra le popolazioni locali cuinulla dev’essere imposto, calato dall’alto.

I modelli di sviluppo locale, e le loro articolazioni, devono affermarsi conse-guendo il massimo punto di consenso possibile tra i cittadini.

In quest’ottica, dunque, lo sviluppo o è sostenibile o semplicemente non è; incaso contrario ci troviamo di fronte ad un’amara illusione e, d’amarezze, il nostroterritorio ne ha provate tante.

È necessario che si affermi una nuova cultura di progettazione dello sviluppofinalizzata a:

• progettare equilibri ecologici;• modificare i modelli di produzione e consumo;• promuovere l’ecoefficienza;• ristabilire gli elementi d’equità sociale.

Questi obiettivi richiedono un’azione ambientale che, necessariamente, sulcampo deve indurre a:

• rinunciare allo sfruttamento di risorse naturali non rinnovabili;• eliminare gli inquinanti;• valorizzare i rifiuti attraverso il massimo riutilizzo possibile;• riciclare e recuperare energia e materie prime secondarie;• ridurre l’emissione ed incrementare l’assorbimento dei gas serra;• arrestare la desertificazione del territorio;• salvaguardare paesaggi ed habitat.

Se queste sono le linee lungo le quali è necessario agire, non possiamo trascurare glielementi critici che influenzano negativamente quest’azione:

• il riscaldamento dell’atmosfera;• la qualità delle aree urbane;• i rifiuti domestici e tossici;• l’ingente volume di risorse sottratte all’ambiente;• i rischi per la sicurezza alimentare (dall’uso poco controllato di pesticidi in

agricoltura, alla diffusione d’organismi geneticamente modificati , gli OGM);• l’azione della criminalità ambientale

Per ridurre il peso negativo di questi elementi critici sono necessari, così comeprevisto dal documento del Ministero dell’Ambiente Strategia d’azione ambientaleper lo sviluppo sostenibile in Italia, strumenti d’ordine generale che attengono, al-cuni, alla responsabilità di Governo e Parlamento, altri, che richiamano diretta-mente la responsabilità politica delle Autonomie locali.

Tra le responsabilità del Governo e del Parlamento segnaliamo, seguendo ilrapporto del Ministero dell’Ambiente:

• il quadro legislativo e normativo attuale, che dovrebbe essere semplificato in

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Ciro Mundi

Testi Unici per le principali materie;• il completamento della Rete Nazionale delle Agenzie per la Protezione del-

l’Ambiente.L’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, in Puglia, è ancora in

fase embrionale. L’ARPA è uno strumento fondamentale, superando la logica delleispezioni e delle repressioni, per il supporto alla gestione delle politiche ambientali,ai processi d’informazione dei cittadini, per il monitoraggio dello stato d’attuazio-ne del quadro legislativo e per l’attuazione delle strategie di sviluppo sostenibile.

• L’integrazione del fattore ambiente in tutte le politiche.Il Trattato d’Amsterdam all’art. 6 recita: […] le necessità della protezione

ambientale devono essere integrate nella definizione ed implementazione delle po-litiche e delle attività comunitarie…, in particolare con l’ottica di promuovere losviluppo sostenibile…”. Questo principio vale per le politiche nazionali ma devevalere, a maggior ragione, per le politiche locali: la protezione ambientale non puòancora essere considerata politica settoriale, dev’essere il denominatore comune ditutti i settori d’intervento. In quest’ottica la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)diventa strumento imprescindibile.

• Integrazione del fattore ambientale nei mercati.È necessario modificare il comportamento di alcuni grandi consumatori, in

primo luogo gli Enti Pubblici, al fine di istituzionalizzare la committenza verde.• La riforma fiscale ecologica

È necessaria una riforma complessiva, in senso ecologico, del sistema fiscalecon un progressivo spostamento della basi imponibili dell’utilizzo di lavoro, ed ingenerale della produzione di valore aggiunto, all’utilizzo di risorse naturali. La tas-sazione ecologica non deve innalzare il carico fiscale ma sostituirlo applicando ilprincipio che chi inquina paga.

• La valutazione ambientale di Piani e ProgrammiI programmi di realizzazione di grandi opere infrastrutturali, suscettibili di

provocare fortissime alterazioni degli ecosistemi, pongono la necessità di disporredi adeguati strumenti per valutare ed indirizzare la sostenibilità delle opereminimizzando i loro impatti ambientali.

• Ruolo della ricerca scientifica sull’ambiente e sullo sviluppo sostenibileLa sfida della sostenibilità ambientale necessita della partecipazione in prima

linea dell’Università e degli Istituti di Ricerca scientifici.In questo scenario risulta di fondamentale importanza, anche a livello terri-

toriale, l’attenta analisi ed il monitoraggio di quelli che sono ormai universalmentericonosciuti come gli Indicatori per l’azione ambientale.

3. Clima ed atmosfera

La temperatura media globale del pianeta è aumentata tra 0.4 e 0.8 °C, dallafine dell’800 e di 0.2°C per decennio nell’ultimo periodo.

Per contrastare l’aumento dei gas serra, principali imputati del riscaldamento

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

dell’atmosfera, sono da privilegiare alcune azioni:• Aumento dell’efficienza del parco elettrico, sostituendo tutti quegli impianti

che hanno rendimenti inferiori al 40%. Sostituzione degli impianti con piùdi 30 anni di vita;

• adozione della carbon tax;• numero adeguato di nuovi impianti a ciclo combinato, alimentati a gas naturale;• impianti per la cogenerazione industriale d’elettricità e calore;• impianti di massificazione di emulsioni e residui;• riduzione dei consumi energetici nel settore dei trasporti. Il servizio pubbli-

co ha avuto nell’ultimo decennio, in Italia, una riduzione del 5%, a fronte diun incremento del 25% delle auto private nelle aree metropolitane;

• incremento delle produzione di energia da fonti rinnovabili. Il libro biancodell’UE individua, come obiettivo minimo per il 2010, il raddoppio del con-tributo energetico delle energie rinnovabili. L’attuazione di progetti di svi-luppo di fonti rinnovabili dovrebbe essere sancita da Patti territoriali, Con-tratti ed Intese di Programma;

• riduzione dei consumi energetici nei settori industriale, abitativo e terziario.• aumento dell’assorbimento di CO2 da parte delle foreste;• informazione al pubblico e formazione.

4. Natura e biodiversità

La biodiversità, conferenza di Rio de Janeiro del 1992, è composta dai molte-plici aspetti di diversità genetica, specifica (naturale o agricolo-zootecnica)ecosistemica, paesaggistica e culturale considerando l’uomo parte integrante deiprocessi naturali.

In particolare il riferimento è alla tutela del suolo e del sottosuolo contra-stando la desertificazione.

5. Ambiente marino e costiero

Qualità dell’ambiente e della vita negli ambienti urbaniQuest’indicatore, più di altri, investe la qualità della vita dei singoli individui

e d’intere collettività. Per promuovere una maggiore qualità della vita sono fonda-mentali i programmi per la salute quali Città sane e l’Agenda 21.

• L’ambiente urbano rappresenta la questione ambientale più critica:• Ampliamento delle aree metropolitane;• Recupero dei centri storici e dei “cosiddetti scarti urbani”;• Mobilità- rumore-inquinamento atmosferico- congestione- degrado della qua-

lità della vita (la mobilità urbana è sempre più motorizzata);• Raccolta, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti con particolare attenzione alla

raccolta differenziata (100 comuni del centro nord 50% della raccolta diffe-

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Ciro Mundi

renziata, nelle regioni meridionali 3%;• Politiche urbane d’ampliamento degli spazi verdi;• Innovazione del governo locale;• Rafforzamento e promozione dell’orientamento sostenibile nei piani locali

(territoriali e di settore) e loro integrazione con i processi d’Agenda 21 localiper fondare la pianificazione ambientale locale (Piani di risanamento acusticied atmosferici, piani urbani di traffico e mobilità, piano dei rifiuti, integra-zione tra piani di settore e piani territoriali);

• Rafforzamento e promozione dell’orientamento sostenibile dei programmid’intervento dedicati alla riqualificazione urbana ed ambientale;Quest’azione programmatica non può tralasciare il grave problema della

presenza, nel settore ambientale, della criminalità organizzata e non; pertanto, se-guendo la strada tracciata da altre Amministrazioni (Asti, Alessandria, Salerno,Regione Basilicata, solo per citarne alcune) si ritiene urgente l’istituzione, anche inProvincia di Foggia, di un Osservatorio Ambiente e Legalità.

In sintesi, un processo locale di sviluppo sostenibile richiede l’adesione, an-che sul piano delle scelte e dei comportamenti, di una pluralità sempre più ampiad’attori: imprese, istituzioni, consumatori, associazioni, strutture esperte, attraver-so cui si esprimono interessi diversi e spesso conflittuali; ruolo dell’Ente pubblico èdi contemperare gli eventuali conflitti e di disegnare un piano di programmazionein continuo aggiornamento.

Le Agende 21 devono contemperare, sviluppare, promuovere nuove e piùavanzate opportunità e pertanto è fondamentale incentivare e ridisegnare le moda-lità di partecipazione dei cittadini.

6. Il ruolo della Provincia

In questo panorama, le Amministrazioni provinciali, soprattutto in virtù delleulteriori deleghe ricevute, svolgono un ruolo strategico di primaria importanza che siesplica nella programmazione dello sviluppo che, per rappresentare un ciclo virtuoso,deve fondarsi sulla programmazione del territorio, e non viceversa, per rispondere aduna domanda semplice ma emblematica: “quale sviluppo per questo territorio?”.

In mancanza di strumenti operativi di programmazione, la risposta a questa do-manda non può che risultare ardua, episodica, frammentaria o, nel peggiore dei casi,assolutamente in contrasto con la vocazione naturale di uno o più ambiti territoriali.

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale deve costituire il libromastro non solo per la mera lettura di un territorio ma, soprattutto, per la suainterpretazione autentica, nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile.

L’Amministrazione provinciale di Foggia, pur in assenza del DRAG (Documentoregionale di assetto generale) ha costituito l’ufficio del Piano per la stesura del PTC.

Siamo al lavoro, ma abbiamo già sufficienti elementi per ritenere che que-st’occasione è unica ed irripetibile per costituire un vero e proprio Laboratorio perlo sviluppo della Capitanata.

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

Le varie specificità locali (del territorio, dell’ambiente, del paesaggio) non devo-no essere solo analizzate, descritte, interpretate (che è il compito del Piano) ma devonocostituire il presupposto per passare dalla teoria all’azione. Il piano deve diventare ilpresupposto di un’efficace azione progettuale sul territorio. Quale migliore occasionedel PTCP per costituire un Laboratorio per lo sviluppo sostenibile della Capitanata?Un Laboratorio che coinvolga le risorse professionali locali, che coinvolga, in una gran-de coralità partecipativa, il maggior numero di soggetti presenti sul territorio.

Ciò consente di raggiungere un duplice obiettivo. Per un verso, dare correttaapplicazione al piano e, per altro verso, di acquisire un know how importante cherappresenta una vera e propria eredità culturale.

Il nodo strategico di un Piano non è rappresentato dall’aggiornamentocartografico, dal bilancio economico finanziario, dalla pertinenza tecnica ma so-prattutto dalla condivisione degli obiettivi, delle strategie, delle azioni e delle pro-poste avanzate dai soggetti coinvolti.

Questo Laboratorio dovrebbe ricoprire un altro ruolo, altrettanto strategi-co: migliorare la funzione di raccordo tra gli Enti sovraordinati alla Provincia (inparticolare la Regione) e i Comuni. Dovrebbe essere in grado di garantire la giustadose di flessibilità ad un piano che, come quello provinciale, va considerato unwork in progress e non uno strumento concluso una volta per tutte (ad esempiol’adeguamento al DRAG quando sarà redatto dalla Regione).

Dovrebbe rappresentare il vero supporto programmatico sul quale fondareuna organico programma politico-progettuale per i finanziamenti della ComunitàEuropea, sia da parte dell’Ente Provincia, sia da parte dei singoli Comuni.

È, comunque, doveroso segnalare che la pianificazione provinciale, in Italia,ha dato risultati largamente insoddisfacenti.

Molti i motivi. Tra i principali :In Italia la pianificazione ha avuto esiti quasi esclusivamente a livello comunale.

• La situazione intermedia dell’Ente Provincia compresso tra le competenze diindirizzo della Regione e quelle operative dei Comuni.

• La volontà, anche all’interno di un quadro come quello appena delineato, divoler pianificare aspetti e questioni territoriali nel dettaglio. Come se il PianoProvinciale potesse essere un’estensione di quello Comunale.A questa situazione (almeno dal punto di vista legislativo) ha posto rimedio

prima la 142/90 e poi il DLGS 112/98 ed in ultimo (anche se in modo incompleto)la riforma della legge urbanistica regionale pugliese 20/01.

Di qui la speranza (soprattutto in questo momento che si sta avviando lacomplessa macchina del Piano Provinciale) che si possa arrivare a risultati più effi-caci, con ricadute sull’ambiente e sul territorio maggiormente significative.

In ordine meramente alfabetico, le parole chiave di un Piano Provinciale sonotre: ambiente, paesaggio, territorio.

Il progetto deve essere unico. Integrare le esigenze di ambiente, paesaggio eterritorio non è facile, ma assolutamente necessario perché in alternativa vi è il fal-limento delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile.

Ambiente, paesaggio e territorio sono spesso usati come termini coincidenti,

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Ciro Mundi

talvolta come sinonimi. Questo ingenera confusione linguistiche ed operative.• L’Ambiente può definirsi come il sistema di relazioni che una determinata

comunità instaura con lo spazio in cui nasce e si sviluppa. In particolare l’eco-logia ha come oggetto di indagine le relazioni tra l’uomo (o qualsiasi altroorganismo vivente) e ambiente.

• Il territorio è il palinsesto all’interno del quale le varie generazioni hannoinserito molteplici, scritture, cancellazioni (la metafora del palinsesto appar-tiene al francese Andre Corboz). L’essere umano (con le sue intenzioni, lesue strategie, la sua cultura) è il protagonista dei processi di costruzione delterritorio.

• Paesaggio (1^ Conferenza Nazionale del Paesaggio Ottobre 1999 - Conven-zione Europea del Paesaggio Ottobre 2000) Il paesaggio è quella parte diterritorio cui la società riconosce valore. Nel paesaggio vi sono i luoghi divita della popolazione.Il paesaggio non è un quadro da contemplare, ma un’insieme di forme viveLa ricchezza del paesaggio italiano è data dalla inscindibilità:

• delle forme fisiche• delle forme sociali• dei processi culturali che si sono stratificati nel tempo e che agiscono tuttora

nel donare senso all’esistente.Al centro di qualsiasi politica ci deve essere sempre l’uomo, colui che vive nel

territorio, colui che lo abita (nel senso latino del termine).Il Territorio si struttura in reti, tra le principali:1. Rete ambientale2. Rete insediativa3. Rete infrastrutturalePer ognuna di queste il PTCP (nell’ottica dello sviluppo sostenibile) dovrà

prevedere delle linee di intervento diverse per ogni tipologia di rete, che sappianointeragire tra loro.

7. Rete ambientale

Obiettivo generale della politica ambientale dovrebbe essere quello di costrui-re le condizioni per un corretto funzionamento del sistema ecologico a grande scala.

Il piano dovrebbe agire su due versanti:• stabilire quali sono gli ambiti naturali, paesistici, storici ed archeologici sui

quali apporre i vincoli ambientali, riconoscendo in essi le invarianti struttu-rali del territorio;

• (per evitare di ridurre l’ambiente ad un sistema di vincoli che storicamente siè dimostrato inefficace) identificare le modalità di funzionamento degli am-biti sottoposti a vincoli per valorizzarli, in modo integrato alle altre peculia-rità territoriali, e renderli compatibili con le altre politiche di sviluppo soste-nibile (piuttosto che la tutela astratta).

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

8. Rete insediativa

Obiettivo generale è di identificare le opportunità intercomunali di azione.Pertanto, all’interno di un quadro costituito dalla pianificazione comunale, il PTpotrebbe fornire alcuni indirizzi operativi ai piani comunali.

9. Rete infrastrutturale

Obiettivo generale è di fornire indicazioni programmatiche e concretamentefattibili su questioni di scala vasta che affrontate a livello comunale perderebbero diefficacia.

In sintesi, il PTCP non determina vincoli (tranne che nel caso della rete am-bientale), non garantisce diritti individuali, non ha effetti diretti sulla proprietà, madelinea una programmazione attraverso la concertazione delle scelte con tutti glienti portatori di interessi a livello territoriale.

Sin qui abbiamo parlato di strumenti programmatici e tecnici. È chiaro, però,che questi mezzi potenziano la loro efficacia solo se vengono supportati da adegua-te iniziative di comunicazione e di sensibilizzazione. Ed è proprio con questo argo-mento che vorrei concludere il mio intervento sulla rivista “La Capitanata”.

Educazione e comunicazione sono i due strumenti di intervento scelti dallaProvincia di Foggia per sollecitare nuovi comportamenti e stili di vita sostenibilinelle nostre comunità.

Lo stato di salute di ecosistemi e biodiversità è minacciato da atteggiamenti,individuali e collettivi, troppo spesso superficiali. Per queste ragioni, crediamo cheil consenso informato debba essere garantito dalle istituzioni. Insomma, il nostrocompito è quello di suggerire nuove coscienze, soprattutto nei più giovani, attra-verso azioni metodiche di formazione al rispetto di ciò che ci circonda. È chiaroche in quest’ottica i bambini diventano la risorsa principale sulla quale investire,capaci come sono di migliorare i propri comportamenti non ancora radicati. I piùpiccoli, inoltre, diventano moltiplicatori di gesti positivi, contagiando le rispettivefamiglie con il loro entusiasmo.

Per tutte queste ragioni, abbiamo realizzato un fumetto a colori: cercheremo dispiegare, in modo semplice e diretto, il valore dell’acqua. Fra giochi, passatempi e pagi-ne da colorare, i bambini entrano in un mondo che parla il loro stesso linguaggio perillustrare, con esempi concreti, cosa accadrà se continueremo a sprecare questa preziosarisorsa, già così scarsa in natura. Completano il lavoro, un decalogo di consigli perridurre il consumo dell’oro blu e l’approfondimento scientifico sul ciclo dell’acqua.

L’operazione che ci sforzeremo di mettere in piedi con la riapertura dellescuole, dunque, sarà improntata al massimo coinvolgimento dei ragazzi, che diven-teranno i veri protagonisti di questa campagna di sensibilizzazione.

Il fumetto verrà presentato nelle scuole da un gruppo di giovani collaboratoridella Provincia di Foggia impegnato sul versante della Protezione Civile e della educa-

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Ciro Mundi

zione ambientale. Si comincerà dalle scuole medie, per individuare e formare alcunitutor. Questi ultimi, insieme al nostro staff, terranno delle lezioni ai bambini delle ele-mentari, partendo dalle quinte classi per arrivare alle prime. Si darà il via, così, ad unasorta di processo a cascata, che utilizzerà i lettori più grandi per coinvolgere i più picco-li. Stiamo valutando l’ipotesi di spingerci sino alle scuole materne.

In pratica, vogliamo parlare ai giovani non solo utilizzando il loro linguag-gio, i canali di trasmissione più frequenti, i codici verbali e paraverbali, gergo, slange luoghi comuni. Crediamo, infatti, che si possa fare di più e meglio, chiamando incausa gli stessi ragazzi come veicoli di trasmissione delle informazioni. Per questavia, gli studenti passano, di volta in volta, da fruitori dell’informazione a diffusoridella stessa. Di colpo si ritrovano insegnanti, accrescendo livello di gratificazione, equindi di attenzione e di responsabilità.

Questo è solo un tassello della campagna di educazione e di comunicazionepromossa dalla Provincia di Foggia. Buona parte degli sforzi sono rivolti agli adul-ti, allo scopo di avviare dibattiti e riflessioni sulle principali questioni aperte del-l’ambiente.

Per lanciare questa nostra iniziativa, abbiamo scelto lo slogan “VersoJohannesburg”, poiché dal 26 agosto al 4 settembre prossimi, proprio aJohannesburg, in Sud Africa si svolgerà il Secondo Vertice Mondiale sullo SviluppoSostenibile. A dieci anni dal Summit sulla Terra di Rio de Janeiro sono ancora tantii problemi sul tappeto, da risolvere o da contenere su scala mondiale.

Proposto dalla Decima Sessione della Commissione ONU (CSD10), questomeeting internazionale si pone un obiettivo preciso: Governi, società civile e mon-do dell’economia vengono incoraggiati a portare avanti iniziative di collaborazioneche affrontino dei problemi specifici e conducano a dei risultati misurabili. Obiet-tivo finale, migliorare i livelli della qualità di vita. Il Vertice di Johannesburg, allora,costituisce un passo avanti, rispetto a Rio, nel tentativo di tradurre i concetti inazioni concrete. L’Agenda 21 Locale, quindi, servirà come base per lo sviluppo diiniziative tangibili che mettano a segno determinati traguardi.

“Nessun Paese può raggiungere lo Sviluppo Sostenibile da solo” è scrittonella prefazione del documento generale su Agenda 21. “Tutti insieme possiamo”.

Crescita economica, sviluppo sociale e protezione ambientale sono tre vasicomunicanti, in continua osmosi l’uno con l’altro. Non esiste uno sviluppo respon-sabile privo di una di queste tre componenti, garantite e tutelate dall’impegno ditutti e di ciascuno. E proprio pensando alla responsabilità di ogni individuo, abbiamoprogettato una campagna di confronto fra i diversi soggetti a vario titolo coinvolti.

A Johannesburg si parlerà di povertà, fonti idriche, impianti fognari, agricol-tura, desertificazione, energia, occupazione, sanità, istruzione. Ed ancora, si parleràdi oceani, foreste, terre emerse, atmosfera. Entro il 2015 i Paesi ricchi dovrannoimpegnarsi a ridurre sovrapproduzioni e modelli di sviluppo esagerati.

In perfetta sintonia con il concetto di “Globalizzazione”, abbiamo voluto ri-portare questi temi alla situazione di Foggia e della sua provincia. Stiamo cercando undialogo con i cittadini, avviando dibattiti ed approfondimenti su agricoltura biologi-ca, organismi geneticamente modificati, biotecnologie, alimentazione sicura, città sane,

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Sviluppo sostenibile, scommessa da vincere

inquinamento, certificazione ambientale per le aziende e così via. Argomenti di tuttii giorni, spiegati da esperti e tecnici, incalzati dalle domande della gente.

Per raggiungere questi obiettivi - di diffusione su larga scala dei temi di inte-resse generale - abbiamo stretto rapporti di collaborazione con organi d’informa-zione locale. Ogni giovedì, a partire dalle 20.30, va in onda sull’emittente Teleblu, latrasmissione televisiva “Verso Johannesburg” curata dall’assessorato provincialeall’Ambiente. Per oltre un mese, inoltre, le colonne del quotidiano “La Gazzettadel Mezzogiorno” hanno ospitato interventi spontanei di esperti, tecnici ed autori-tà, sempre sui temi di Johannesburg attualizzati alla realtà di Foggia. Questi contri-buti sono scaturiti da una lunga intervista che ho rilasciato a “La Gazzetta”, peraffrontare a 360 gradi le tematiche ambientali del nostro territorio.

Infine, poiché la strada “Verso Johannesburg” è lunga, anche la Provincia diFoggia si “mette in cammino”. E lo fa con un camper attrezzato per raggiungere iprincipali luoghi di vacanza estivi della Capitanata. I volontari di numerose asso-ciazioni ambientaliste, infatti, stanno distribuendo materiale divulgativo sui temidella protezione personale e ambientale. In un pieghevole sono elencati consigli pervivere le vacanze in sicurezza e per rispettare l’ambiente, mostrando particolareattenzione e sensibilità alla crisi idrica e dell’emergenza incendi.

Dalla comunicazione interpersonale a quella telematica: abbiamo pensato che,nello spirito della “Globalizzazione”, dovevamo sfruttare le tecnologie e i progres-si scientifici, ormai ampiamente raggiunti dalle società industrializzate. Il nostroscopo è quello di raccogliere pareri ed impressioni sui problemi ancora irrisolti.Ecco che il Portale Ecologico della Provincia di Foggia, on-line diventa una piazzavirtuale dove attingere informazioni e farne circolare delle altre.

A settembre, tutte queste iniziative si sono trasformate in “Dopo Johanne-sburg”, per fare il punto della situazione sulle decisioni assunte al Vertice e percapire quale ricaduta possano avere sul nostro territorio.

Al principio dell’autunno, abbiamo lanciato un’iniziativa pubblica, denomi-nata “Sette giorni al verde”, con il duplice riferimento alla settimana ecologica chevogliamo organizzare a Palazzo Dogana e al progressivo depauperamento dellerisorse naturali.

La manifestazione è stata articolata in una ricca e qualificata sessione conve-gnistica e in una sessione più educativa, che ancora una volta vedrà protagoniste lescuole.

Crediamo che solo a conclusione di questo lungo giro di consultazionimulticanale si possa pensare alla stesura del Primo Rapporto Ambientale della Pro-vincia di Foggia, che dovrà essere continuamente aggiornato.

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Antonio Pepe

La Capitanata è una terra dalle mille risorse: nel settore agro-alimentare,zootecnico, turistico e culturale, con una storia millenaria e dalle inestimabili ric-chezze naturali.

Purtroppo, carenze infrastrutturali, maggiori difficoltà di accesso al credito,maggior costo del denaro rispetto al Nord, e comunque il divario socio-economicoin genere che il territorio della Capitanata presenta rispetto alle zone più ricched’Italia e dell’Europa, non hanno permesso in passato la realizzazione di una con-creta politica di sviluppo e di rilancio di tutte le risorse di questo territorio.

Nonostante queste enormi potenzialità la disoccupazione ha raggiunto livel-li assai alti.

Tra gli anni sessanta e gli anni settanta, la Capitanata veniva indicata tra le“aree canguro” del Mezzogiorno, ovvero tra le aree caratterizzate dalla maggiorepropensione allo sviluppo e dalla più elevata capacità di risoluzione del divario conil Nord.

L’introduzione delle tecniche irrigue in agricoltura, l’industrializzazione pi-lotata dalle partecipazioni statali, l’avvio delle infrastrutture del Gargano e della suaconseguente valorizzazione turistica, avevano innescato un meccanismo di crescitapropulsiva che aveva pochi paragoni nel resto del Mezzogiorno, o comunque face-vano sperare in un futuro ricco di sviluppo.

Questo processo, però, si è rallentato drasticamente: la carenza idrica ha pe-nalizzato l’agricoltura; il sistema infrastrutturale, come ha dimostrato drammatica-mente la stessa crisi idrica, non solo non è stato completato, ma nel frattempo, inmolte realtà, è diventato obsoleto. L’attuazione dei programmi di crescita sociale edeconomica della Regione Puglia deve individuare il baricentro dello sviluppo dellaregione stessa nelle sue tre aree naturali rappresentate dal Salento, dal Barese e dallaCapitanata.

Una provincia con le risorse della nostra Capitanata deve essere messa nellecondizioni di crescere!

Un nuovo patto per lo sviluppo si deve attivare al più presto tra i vari livelliistituzionali, a prescindere dalla connotazione politica, per risolvere i numerosi pro-blemi che ancora rallentano lo sviluppo della nostra terra.

A cominciare dalla lamentata carenza di infrastrutture, da quelle che manca-no totalmente a quelle ancora da ultimare.

Un’identità di relazione per la Capitanatadi Antonio Pepe

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Un’identità di relazione per la Capitanata

Quello che è stato fatto con strumenti di programmazione territoriale, anco-ra non è sufficiente.

Bisogna ridefinire concettualmente la progettazione dello sviluppo della in-tera provincia; con essa si deve proporre un’azione rivolta, da un lato, ad assicurareuna soddisfacente gestione degli urgenti problemi occupazionali e, dall’altro, a pre-disporre le condizioni per il riavvio di una permanente economia in crescita me-diante un programma di interventi fondato su almeno tre linee: sostegno al mercatodel lavoro; rafforzamento del comparto infrastrutturale; fornitura dei necessari ser-vizi di pubblica utilità.

Lo sviluppo locale, ovvero lo sviluppo legato al territorio, questo va sottoli-neato, presuppone anche la consapevolezza che la dimensione locale deve mettersiin relazione con una dimensione più ampia, non può essere autoreferenziale.

Lo sviluppo è anche la capacità di entrare in relazione.Qual è dunque il futuro della Capitanata? Un’identità tutta autoreferenziata

o un’identità di relazione?Per il Mezzogiorno d’Italia, penso che l’autoreferenzialità valga poco.Il futuro del Mezzogiorno passa per la capacità di mettersi in relazione.Il problema è capire con quali sistemi si entra in sinergia.È un problema di scelte politiche che spettano agli attori istituzionali dello

sviluppo ed in primo luogo alla classe dirigente degli enti locali.La mia idea è che la classe dirigente deve scegliere di comunicare in più

direzioni, deve scegliere di incamminarsi in un tentativo di fare rete, deve sceglieredi costruire una cultura di sistema, deve trovare relazioni con nuovi paesi.

Ritengo opportuno che la Capitanata debba essere aiutata ad avere relazionicon l’interno ma anche con l’esterno.

Rafforzando il sistema di relazioni verso l’interno, la Capitanata potrebbesvolgere una funzione di radicamento verso la costa.

Quella costa che rappresenta una ricchezza e un patrimonio da tutelare e davalorizzare: penso in tal senso all’importanza del turismo.

Un turismo nuovo, religioso e di svago, che necessita, però, oltre che di in-frastrutture ricettive, di un sistema di trasporti articolato ed efficiente.

Strategica sarà la realizzazione del completamento delle opere che colleganoil versante adriatico con quello tirrenico e del rafforzamento del corridoio n. 8 delversante adriatico.

Una nuova linea di comunicazione per persone e merci.Le scelte di sviluppo degli ultimi decenni hanno in un certo senso contribu-

ito a fare eclissare questa comunicazione tagliando fuori il sud adriatico da mercatidi sbocco.

Infatti in tutta la penisola solo due autostrade, la Roma-Pescara e poi laNapoli-Candela svolgono una funzione di integrazione tra i due versanti.

Si dovrebbe anche potenziare e sostenere la relazione della Capitanata con learee industriali, che potrebbero contribuire ancora di più a fare di Foggia e della suaProvincia un punto nodale per lo sviluppo, il vecchio sogno di una macro area di

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Antonio Pepe

riferimento per il basso Molise, per il nord Barese, per parte della Campania e per laBasilicata.

Bisognerebbe, infine, anche soddisfare l’esigenza di porre a disposizione del-l’Università di Foggia appositi finanziamenti per l’ampliamento degli spazi sia perl’aumento della competitività che per il miglioramento dei servizi per gli studenti.Foggia, infatti, è il terzo polo universitario della Puglia dopo Bari e Lecce.

Dobbiamo fare dell’Università di Foggia una “Università di servizio”. UnaUniversità a servizio degli studenti.

Purtroppo alla dispersione territoriale della Puglia si aggiunge il disagio deisistemi viari e di trasporto non sempre efficaci, per questo motivo si dovranno met-tere a disposizione degli studenti strutture logistiche decentrate, moderne e funzio-nali.

La politica per il diritto allo studio si deve basare su un insieme articolato distrumenti, che tengano conto delle diverse caratteristiche ed esigenze degli studentiuniversitari: interventi finanziari per la copertura dei costi di mantenimento aglistudi sulla base soprattutto del merito; alloggi e residenze universitarie; servizi diorientamento e di tutorato, in parte affidati agli stessi studenti, che accompagnino igiovani sin dagli ultimi anni delle scuole superiori.

L’obiettivo di tale politica deve essere quello di fare crescere l’Università diFoggia e di garantire ai giovani foggiani la possibilità di rimanere a studiare nellapropria città o nella propria provincia.

Questo affinché il diritto allo studio, che è anche diritto di accesso all’istru-zione superiore, sia garantito a tutti coloro che sono meritevoli e desiderano rima-nere a studiare nel proprio territorio sia per mancanza di possibilità economicheche per affetto.

Bisogna bloccare la emigrazione di “cervelli”.Solo con la collaborazione di tutti - Atenei, Regioni, Enti locali - riusciremo

ad avviare una più efficace politica per il diritto allo studio e a mettere a frutto nelmigliore dei modi le risorse disponibili.

Questi i punti fondamentali su cui ci si deve confrontare perché il divariosocio-economico del territorio della Capitanata, attraverso un processo di crescitae di sviluppo industriale, agricolo e turistico e culturale, sia definitivamente colma-to.

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Gianfranco Piemontese

Lo sviluppo quasi una chimeradi Gianfranco Piemontese

Questa potrebbe essere la conclusione di una delle possibili analisi, di cosasono stati il XIX e XX secolo, per un territorio geograficamente e culturalmentevasto qual è la Provincia di Foggia, ovvero la Capitanata. Una conclusione per alcu-ni versi corretta, ma non esaustiva, per via di alcune oggettive verità di come anchein questa provincia, che un tempo era una landa semi deserta e impaludata, si ricor-dino una serie di azioni che hanno poi contribuito allo sviluppo economico e socia-le. Vogliamo qui riferirci ad alcuni settori che hanno segnato il territorio rurale edurbano di questa grande provincia meridionale.

La rete infrastrutturale viaria, un tempo al servizio della transumanza degliovini è divenuta in seguito struttura base su cui impostare la moderna viabilità dicollegamento tra e con quei centri ad essa collegata ormai divenuti città, quali Apri-cena, San Severo, Foggia, Carapelle, Orta Nova, Cerignola, San Ferdinando diPuglia. Seguendo l’asse Nord-Sud dell’intricato reticolo che rispondeva al nome diRegi Tratturi, una Provincia come quella foggiana si è popolata di centri urbani. Diqui una rete viaria che vedeva ripartirsi dall’asse principale una serie di diramazioniche di fatto mettevano in connessione tutti i maggiori centri abitati della Capitana-ta, storica e moderna e intensificavano in particolare i rapporti con i centri abitatidel versante del fiume Ofanto, sia pugliesi che lucani. Questi centri, accomunati persecoli da una attività economica, sostanzialmente monoculturale, quale è stata laservitù a pascolo per le greggi abruzzesi, abolita la Regia Dogana delle mena dellePecore, vedranno appunto aprirsi orizzonti nuovi per l’uso agricolo di quelle vastetenute, interdette per secoli, tanto da essere definite terre salde. Una vocazione eco-nomica per la Capitanata, quella agricola, è geograficamente e storicamente deter-minata. I grandi affidatari dei pascoli delle diverse locazioni divennero i nuovi pro-prietari di quelle terre la cui fertilità e conduzione agricola era tutta da mettere allaprova. Una diversa conduzione di queste terre significherà anche diverse e nuovestrutture da realizzarsi su di esse, quali saranno appunto le masserie da campo etutti gli annessi rurali funzionali alla conduzioni di grandi estensioni di terreno.Realizzazioni architettoniche, successivamente, porteranno una modifica sostan-ziale del paesaggio rurale, sino ad allora caratterizzato dalla presenza di semplicicaseggiati e ricoveri per gli armenti: le poste. Uniche eccezioni i grandi insediamen-ti religiosi, abbazie e/o grange, a servizio delle numerose tenute pervenute in pos-sesso agli ordini religiosi tramite legati testamentari. Da San Leonardo di Lama

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Occupazioni possibili, occupazioni impossibili

Volara (l’attuale San Leonardo di Siponto), a Santa Maria di Ripalta (territorio diLesina), a San Pietro di Olivola e Sant’Antuono (entrambi nel territorio di San-t’Agata di Puglia), a Torre Alemanna (Cerignola), a San Leonardo le Matine (interritorio di Ascoli Satriano), a Sant’Agata sul Fortore (Serracapriola), per citarealcune delle principali strutture religioso-monastiche che presenziavano sul terri-torio da secoli, in alcuni casi prima ancora dell’instaurazione della Dogana dellamena delle pecore, appare chiaro che sorgevano centri anche e soprattutto a finiproduttivi. Come tutte le costruzioni architettoniche, anche le masserie, da quellesorte sul finire del XVIII secolo a quelle edificate nel XIX secolo hanno contribuitoa modificare in modo permanente una parte di territorio. Masserie, che per i mate-riali impiegati, per le attività svolte al loro interno e per le generazioni di personeche lì hanno vissuto la propria vita ed il proprio lavoro, oggi a ragione sono viste ericonosciute come importanti luoghi di testimonianze della cultura e dell’architet-tura. Queste esperienze legate ad un mondo produttivo agricolo, ed allo stesso tempoesempi del buon costruire, spesso hanno prevalso sui modi di edificare degli stessicentri urbani di Capitanata. E le strade, un tempo percorse dagli armenti, cedono ilpasso agli uomini destinati al lavoro dei campi.

Le architetture del lavoro e della residenza hanno segnato i primi passi peruno sviluppo che oggi chiameremmo senza dubbi di tipo sostenibile. Unasostenibilità derivata dalla sapiente tradizione colturale dell’uso dei suoli per anna-te e per differenti colture: un approccio che in seguito verrà stravolto dai sistemiintensivi e da prodotti coltivati per poi essere destinati al macero. Di queste espe-rienze primordiali di agricoltura e di strutture a servizio, il panorama rurale dellaCapitanata è ricco e trova disseminati in tutte le contrade stupendi esempi. Daicomplessi più grandi, dove alle masserie di residenza dei proprietari si uniscono leabitazioni di chi cura per tutto l’anno l’andamento dell’azienda, le stalle, i magazzi-ni interrati, le fosse granarie, sino alle residenze fuori porta. Splendidi esempi, que-st’ultimi, di architettura civile, posti nelle immediate vicinanze delle città, i cosid-detti sciale o casini restano testimoni visivi e solidi di epoche in parte tramontate. Aquesti prodromi di uno sviluppo agro-alimentare della Capitanata, verificatosi trala fine del XVIII secolo ed il XIX, si deve aggiungere quanto poi è avvenuto nel XXsecolo: la bonifica integrale.

Quella del prosciugamento delle paludi e della regimentazione dei corsi d’ac-qua è stata un’operazione che era stata già avviata nei secoli precedenti, ma perimperizia e difficoltà economiche non aveva portato a risultati esaltanti, anche per-ché l’intervento era finalizzato al solo drenaggio delle acque. Al progetto di bonifi-ca integrale, invece, era legato anche l’appoderamento dei terreni ricavati dal pro-sciugamento con la conseguente presenza di uomini e donne, un presidio umanoche oltre a soddisfare le necessità di lavoro e di sostentamento, tutelava di fatto illavoro prodotto dall’azione di bonifica. Anche per questo tipo di azione tesa ad unforma di sviluppo sostenibile non poteva mancare l’apporto dell’architettura. Unapporto che si è esplicitato attraverso una serie di studi tipologici per le residenze ele strutture di servizio da destinare a questi nuovi elementi del paesaggio rurale

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Gianfranco Piemontese

della Capitanata. Si può citare in questo caso specifico, insieme all’architettura an-che l’urbanistica. La Capitanata, come il resto dell’Italia, nei primi quarant’anni delXX secolo divenne un laboratorio di sperimentazione per quanto riguarda laideazione, progettazione e realizzazione di nuovi centri comunali e borghi di servi-zio, per la campagna e per i suoi addetti. Una rivendicazione di primogenitura inItalia, per questo genere di urbanistica può essere riconosciuta alla città di Foggia,che nel Bando per il Concorso Nazionale del Piano Regolatore Generale e di am-pliamento, richiedeva espressamente la previsione di borgate rurali per ospitareduemila famiglie, da prevedersi intorno alla città. Previsioni che in seguito sarannofatte proprie nel Piano Generale redatto per conto dell’Opera Nazionale Combat-tenti, che prevedeva la realizzazione di tre nuovi centri comunali e di borghi ruralidi servizio. I centri comunali e le borgate erano realizzati non solo per assolvere aicompiti agricoli, che le terre strappate alle paludi e quei pochi ettari sottratti ai vastilatifondi necessitavano; ma anche per operazioni di svuotamento dei centri storicidelle città, di un popolazione povera dedita al lavoro agricolo giornaliero. Su questeparti delle città, e Foggia non ne fu esente, si posarono gli occhi delle grandi impre-se immobiliari, che trovarono una solida sponda nel regime fascista e nella sua po-litica di risanamento urbanistico. Il “ripopolamento” delle campagne ed il relativoprodotto di tale operazione, sia per i modi di attuazione che per gli eventi bellici fudestinato ad un fallimento. Tale aspetto negativo fu reiterato nel dopoguerra, peri-odo che ha visto operare l’ERSAP (Ente Riforma e Sviluppo Agricolo Pugliese).L’ente operò in Puglia continuando la politica dell’ONC, tesa ad incoraggiare lacoltivazione dei terreni ed a rispondere alle tante richieste che venivano dal mondodei lavoratori agricoli per avere assegnati i terreni abbandonati dei latifondi o delpubblico demanio. Gli esiti di questo ulteriore intervento sono sotto gli occhi ditutti. Viaggiando in questa assolata Provincia, percorrendo le tante strade realizzatedal Consorzio Generale di Bonifica della Capitanata, dall’ONC, dall’Ersap, dallaAmministrazione Provinciale, si può vedere le centinaia di case rurali abbandonate,quasi megalitiche stele funebri di una ennesima occasione di sviluppo mancato. Si-curamente le condizioni per riavviare un processo di ottimizzazione delle coltureagricole oggi passa anche attraverso il recupero ed il riuso di questo patrimoniostrutturale architettonico, legandolo alle nuove aspettative di una agricoltura ripu-lita dalla chimica e da raccolti iperbolici, privi di qualità e di garanzia per la salutedelle persone. Forse una parte del chimerico sviluppo, passa attraverso questa nuo-va consapevolezza, di una agricoltura priva di manipolazioni genetiche, unita allariscoperta e alla fruizione (per molti abitanti delle città sarebbe una scoperta) diluoghi che racchiudono una Storia antica e recente. Si potrebbe così sfatare un pre-giudizio: che lo sviluppo nelle campagne di Capitanata non sia mai esistito, né,tanto meno, possa esistere.

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Sante Ruggiero

Occupazioni possibili, occupazioni impossibilidi Sante Ruggiero

Si corre il rischio di ripetersi, ma la situazione occupazionale nella nostraprovincia è ben lontana dagli standards medi del territorio nazionale e, come è notol’Italia continua a correre a due velocità quella del nord Italia, che tende ad avvici-narsi alla media europea e quella del Sud che si allontana sempre di più; quindi unaforbice che tende ad allargarsi facendo sprofondare il sud Italia verso i paesi sotto-sviluppati.

Ma, al di là della questione generale del Mezzogiorno d’Italia, non vi è dub-bio che nel nostro territorio, sicuramente, ci sono alcuni segnali più congiunturaliche strutturali di sviluppo di nuova occupazione; penso al contratto d’Area diManfredonia e ai sei Patti Territoriali nella nostra provincia, ma il dramma è che aquesta nuova occupazione corrisponde anche una forte perdita occupazionale.

A Foggia l’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato è ridotto a 600 unità circa, inpassato occupava 1.500 addetti più tutto l’indotto che non esiste più.

La chiusura di attività commerciali come la ex Standa, l’Upim, la stessaEnichem a Manfredonia (tralascio la questione ambientale che ha portato alla chiu-sura dello stabilimento) sono la prova provata che si sono persi migliaia di posti dilavoro, che lo stesso Contratto d’Area, forse, non riuscirà a pareggiare. A tuttoquesto si aggiunge la crisi idrica che ha dimezzato le giornate lavorative in agricol-tura oltre ad arrecare danni materiali agli agricoltori, ai viticoltori e agli allevatori.

Esiste, dunque, una emergenza lavoro nella nostra Provincia e a quanti cer-cano una prima occupazione non è possibile pensare di dare nel breve e medioperiodo una risposta positiva.

Bisogna pensare a un modo nuovo di concepire lo sviluppo in Capitanata,bisogna attrezzarsi affinché ai giovani si dia una formazione professionale adeguatae rispondente ai processi produttivi. Quello che accade a Manfredonia, dove le azien-de lamentano l’impossibilità di trovare manodopera qualificata, è un segnale preoc-cupante che deve far riflettere le istituzioni locali, le quali non devono affannarsi acreare occupazione sostituendosi agli imprenditori, ma creare condizioni formativeed opere infrastrutturali che siano di attrazione per investimenti produttivi inCapitanata.

Penso, quindi, ad una formazione che esca dagli schemi rigidi del passato eche possa essere competitiva nel mercato del lavoro. La possibilità di costituire aFoggia l’Agenzia Provinciale per la formazione non deve essere vista soltanto come

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Occupazioni possibili, occupazioni impossibili

risposta occupazionale ai formatori iscritti nell’ex Albo Regionale ma deve esseredi vero slancio verso il mondo del lavoro e verso i giovani.

Sarebbe utile, quindi, che il CPEL (Consulta Provinciale per l’Economia edil Lavoro) diventasse uno strumento utile di programmazione che vede unite tuttele forze sindacali, imprenditoriali ed istituzionali. Questa sinergia consentirebbe didefinire delle linee programmatiche di intervento per realizzare in Capitanata queipresupposti per la crescita e lo sviluppo del nostro territorio che ne ha tanto biso-gno.

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Enrico Santaniello

Sviluppo? Sì, ma a pre-condizione che…di Enrico Santaniello

In uno degli ultimi numeri di una rivista di divulgazione scientifica a grandediffusione è apparso un articolo nel quale si spiegano i seri danni provocati ad alcu-ne razze canine dall’ossessione di purezza del pedigree. Qualcosa del genere, ineconomia, è avvenuta con l’infausta stagione dei “modelli di sviluppo”, variantesoft dei piani quinquennali delle economie di Stato. Lo schema è noto ed apparen-temente sensato: il governo della realtà economica si compie ponendo schemiprestabiliti e rigidi e costringendo, per amore o per forza, il flusso delle energieproduttive entro gli argini di questi schemi. Perché le dighe reggano è necessariofornirle di una certa solidità e pesantezza: ne consegue che ogni “modello di svilup-po” si porta dietro i suoi rituali, le sue burocrazie, le sue superstizioni. Altrettantoinevitabile è l’invettiva che i profeti del modello di sviluppo corrente riservano aifautori di quello precedente: così pionieri dell’industrialismo si ritrovano oggiecologisti virtuosi, cantori della grande impresa si convertono al “piccolo è bello” estrenui difensori della piccola proprietà contadina elevano inni sospirosi alcooperativismo. In realtà il difetto sta nel manico: quale che sia la qualità intrinsecadel modello di sviluppo, la fondatezza e l’opportunità delle intuizioni in esso con-tenute, esso non potrà mai funzionare come impianto teorico a priori, come costru-zione astratta: funzionerà se verrà fatto proprio dalla mano invisibile del mercato,se convincerà i produttori ed i consumatori della sua intima utilità. Se non si com-prende questo assunto fondamentale, tutto si riduce a levare i pugni al cielo e aprendersela di volta in volta con il destino cinico e baro o con lo Stato Imperialistadelle Multinazionali o in generale con qualsiasi consolatorio nemico immaginarioci aiuti a sottrarci al principio di realtà e alle dure risposte della storia.

Questo vuol dire che l’unica possibile via di sviluppo è quella delladeregulation, che si tratta di puntare esclusivamente sugli “animal spirits” del capi-talismo? Ovviamente no. Ma è ragionevole e salutare mantenere una percezionerigorosa dei limiti e delle possibilità concrete degli interventi. La Germania (!) haspeso per le proprie regioni orientali in dieci anni più di quanto l’Italia abbia spesoin mezzo secolo per il Mezzogiorno; eppure la differenza fra la Baviera e la Prussiaè maggiore oggi di quando il Muro divideva Berlino. Non è quindi il caso di colti-vare attese miracolistiche, ma casomai di moltiplicare gli sforzi proprio per la diffi-coltà del compito. A mio modo di vedere, lo sforzo della comunità e delle sue rap-presentanze deve riguardare soprattutto le precondizioni dello sviluppo, sia in sen-so tradizionale che innovativo. Dobbiamo cioè avere le idee chiare sulle infrastrut-

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Sviluppo? Sì ma a pre-condizione che…

ture materiali e virtuali, sulle vie di collegamento, sull’energia, su quell’indispensa-bile fattore che sono le risorse umane. Anche qui, è inutile prodursi nelle consuetee diligenti compilazioni di tutto quello che manca, di tutto quello che deve esserefatto, di tutto quello che vogliamo (e lo vogliamo subito!). È una buona esercitazio-ne da comizio, ma ormai ai comizi vanno in pochi.

Se non vogliamo fare demagogia, dobbiamo piuttosto occuparci delle priori-tà, definire scalette, cercare di pensare in positivo ed a lunga gittata. Malgrado uneccesso di paludamento consociativo, io credo che la programmazione negoziatanon sia una cosa sbagliata. Ritengo anzi che ne sia senz’altro giusta l’intuizione difondo: la necessità di coinvolgere le parti sociali, il mondo dell’impresa e delle pro-fessioni, le categorie produttive. Purché ci si tenga fuori dal concreto merito dellescelte imprenditoriali, che deve, vivaddio, continuare ad essere affidato alla creati-vità, all’intuizione e al rischio di chi vuole farsi motore di ricchezza e di progresso,è importante un metodo che porta le diverse articolazioni del corpo sociale a con-frontarsi, a verificare le proprie idee e i propri progetti con le idee e i progetti altrui.È in tale spirito che affido a questo scritto un’idea o forse una suggestione: tra legrandi infrastrutture di sviluppo di questo territorio, forse la più trascurata è anchequella più importante, ed è la città capoluogo.

Si badi, non mi riferisco alla discussione, pure meritevole di approfondimen-to e di sviluppo, sulla diversa velocità con cui determinati processi di irrobustimentoproduttivo e di marketing territoriale hanno viaggiato a Foggia rispetto a Cerignola,San Severo o Manfredonia; non mi appassiono alle questioni di campanile e credopoco ad uno sviluppo fatto di annunci e propaganda. La questione che vorrei porreè quella della città capoluogo -con il suo immenso peso demografico, produttivo eculturale- come punto di riferimento dello sviluppo dell’intera Capitanata. Non c’èbisogno di essere estimatori di De Rita per sapere che i distretti industriali, le areedi sviluppo diffuso, i piccoli miracoli economici non sono soffocati, ma anzi valo-rizzati ed esaltati dalla presenza di una forte e concentrata realtà urbana. Senzaandare troppo lontano, Pescara a Nord e Bari a Sud della Capitanata sono esempida manuale di questo assunto. Le relazioni economiche fra il capoluogo e i maggio-ri centri della provincia, o anche solo fra il capoluogo e le aree di maggior dinami-smo produttivo sono adeguate a questo ruolo? Di più: la stessa morfologia dellacittà di Foggia, le sue vie d’accesso, il suo assetto urbanistico, la dislocazione al suointerno dei servizi e degli edifici pubblici sono funzionali a questo obiettivo? Se-condo me no, e non saranno sufficienti né un po’ di tempo né poche risorse percambiare questo stato delle cose: una ragione di più per affrontare il problema conenergia, senza farsi distogliere da inutili polemiche o miopie. È un tema così pre-zioso ed importante da coinvolgere non solo le pubbliche istituzioni e la politica,ma chiunque, imprenditore, intellettuale, professionista, commerciante, sindacali-sta, semplice cittadino abbia a cuore le sorti della nostra comunità. Penso che fra ilettori di questa rivista siano la stragrande maggioranza.

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Primo forum internazionale dei governi locali

Primo forum internazionale dei governi localiFoggia, 22-24 novembre 2001

Presentazionedi Franco Mercurio

Un anno fa si svolgeva, organizzato dalla Provincia, il primo Forum interna-zionale dei governi locali. L’idea guida del Forum era abbastanza semplice: metterea confronto quattro realtà molto diverse e distanti fra di loro su argomenti comuni:sviluppo, politiche sociali, giovanili e culturali. In una lunga tre giorni si sono in-contrate le delegazioni del Governatorato di Siliana (Tunisia), della città di Peter-sborough (Inghilterra), del distretto di Klodzko (Polonia) e della Provincia di Fog-gia. Il filo comune che lega i quattro governi locali è dettato dai rapporti di gemel-laggio che la Provincia di Foggia ha intessuto in questo ultimo lustro.

Lo sforzo non è stato solo quello di mettere a confronto realtà e metodi diamministrazione e di governo dei processi molto diversi fra di loro. È stato quellodi definire un possibile percorso comune per iniziative più durature nel tempo, siaverso l’integrazione sociale che verso lo scambio culturale.

Nel mese di maggio di quest’anno il Forum ha visto l’edizione polacca, cheha incentrato gli sforzi nella definizione di progetti comuni volti a coniugare svi-luppo e cultura.

“La Capitanata” pubblica le relazioni ufficiali che furono tenute fra il 24 e il27 novembre dello scorso anno, organizzate secondo un percorso di lettura piùagevole di quello effettivamente sviluppatosi durante il Forum.

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Primo forum internazionale dei governi locali

Le ragioni del primo foruminternazionale dei governi locali

di Antonio Pellegrino

Come Presidente della Provincia di Foggia sono lieto di ospitare il primoforum internazionale dei Governi Locali organizzato e voluto con il preciso inten-to di mettere a confronto con temi concreti della nostra vita quotidiana i partnersqui presenti. Questa emozione è accresciuta dal fatto che un’iniziativa di dialogo, dicollaborazione e di pace si snoda fra Europa e Mediterraneo in un momento nelquale non molto distante da noi si assiste a quelli che speriamo siano gli ultimi colpidi coda di una guerra che è costata come tutte le guerre molte vite innocenti.

Anche l’Italia, con la giornalista Maria Grazia Cutuli, ha pagato il suo primotributo di sangue, ma dall’11 settembre ad oggi sono tante le vite di uomini e donnedi tante fedi, razze e paesi che sono state rapite da questa follia sanguinaria e dall’ancorpiù folle proposito di creare uno scontro di civiltà e di religioni in un mondo che, alcontrario, vuole pace e serenità.

Per spiegare le ragioni del nostro stare insieme oggi, mi rifarò all’insegna-mento di un grande italiano, Altiero Spinelli, che molti anni fa disse a tutti noi chel’armonia dei popoli, il concerto delle nazioni, la fine delle barriere dell’intolleran-za e dell’ignoranza sarebbe avvenuta quando la spinta a questo obiettivo fosse ve-nuta dal basso, dalle realtà più piccole che però sono anche quelle più vicine allepersone e alla gente comune. La Provincia di Foggia ritiene di avere una sorta divocazione al gemellaggio per via della natura stessa del suo territorio e della suastoria. Abitiamo in una grande terra, abituata da millenni all’incontro dei popoli:non è un caso che anche la storia antica ci abbia consegnato idealmente alcune pagi-ne significative, una su tutte quella del trionfo di Annibale nella battaglia di Canne.Ma ci sono anche altre motivazioni storiche che ci uniscono: figurano tra i lontaniprogenitori alcuni componenti della delegazione di Siliana ed è altrettanto possibileche i guerrieri normanni di Roberto il Guiscardo avessero in precedenza frequenta-to le verdi valle del Galles e di Peterborough. Quanto a Klodzko è ragionevoleimmaginare che anche i cavalieri polacchi irrobustissero le milizie di Federico diHoensthaufen che noi chiamiamo Federico II di Svevia.

E se questo riguarda gli “ingressi” nella nostra terra, non inferiori sono statele “uscite”. Meno di 150 anni fa decine di migliaia di abitanti della Capitanata han-no varcato gli oceani in cerca di pane e di lavoro. Insomma, nel corso dei millenni

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Primo forum internazionale dei governi locali

tanta gente è arrivata qui e da qui è partita: proprio perché noi pensiamo che questosia stato un privilegio, un’occasione di ricchezza e di crescita, abbiamo voluto farcipromotori senza presunzioni o arroganza di questi giorni di studio e di confrontoper ricevere qualcosa, per imparare e per crescere, nella speranza di offrire qualcosadi utile anche ai nostri partners, convinti come siamo che questi interscambi rap-presentano la condizione preliminare perché gli individui e le comunità possanocrescere. Nel corso dei contatti bilaterali che abbiamo avuto con ciascuno di voi,abbiamo potuto riscontrare uno stesso sentire su questo terreno: abbiamo, cioè,potuto verificare, sulla falsariga di un grande libro della cultura araba, “Le mille euna notte” , che la verità non sta in un solo sogno ma in molti sogni. E non solo disogni parleremo in questi giorni ma anche di concreti passi sulla strada della colla-borazione e della cooperazione, di esperienze e di approfondimenti: parleremo dicultura e di sviluppo, di giovani e di politiche del welfare ma avendo sempre pre-sente l’obbiettivo unitario di questa iniziativa: contribuire a fare in modo che l’Eu-ropa del Mediterraneo sia in misura crescente luogo di serenità, di prosperità, dirispetto e conoscenza reciproca tra gli individui e le nazioni. In una parola, sia unluogo di pace.

Per questo ritengo che il gemellaggio non sia soltanto un’occasione per faredelle nuove conoscenze o gite in paesi o città che hanno qualche affinità tra di loroma sia uno strumento che serve a progredire, affratellare e rinsaldare vincoli diamicizia e di cooperazione.

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Primo forum internazionale dei governi locali

Le politiche del Comune di Peterborougha favore dello sviluppo locale

di Alex Mackay

Peterborough si trova nella parte orientale dell’Inghilterra, a circa 130 chilo-metri a nord di Londra e a circa 50 chilometri a nord di Cambridge. È in una posi-zione molto importante per quanto riguarda l’accesso verso nord e sud ed ancheverso est ed ovest.

La storia di Peterborough è antica: essa è stata profondamente ispirata dallaciviltà romana. Preziosi oggetti d’argento furono ritrovati molto vicino alla città eora fanno parte di una pregevole collezione. Gli inizi dell’età moderna risalgonoinvece al Medio Evo e alla nascita della Cattedrale che, situata al centro diPeterborough, rappresenta il cuore della sua vita culturale. Durante il Medio Evo,la Cattedrale rappresentava il punto governativo ed amministrativo della città el’embrionale cuore dello suo sviluppo economico.

Un ruolo determinante nello sviluppo di Peterborough è stato giocato dalleferrovie che costituiscono una parte molto importante dell’economia della città apartire dal 1840 fino ai nostri giorni.

Secondo una precisa statistica, nel 1901 il 25% dei maschi adulti di Peterbo-rough era impiegato nelle ferrovie e nelle industrie ad esse connesse. Per questomotivo ancora oggi Peterborough resta un magico crocevia tra i percorsi est-oveste nord-sud.

Un altro ruolo importante a livello storico nello sviluppo economico diPeterborough è stato svolto dalle murature in mattoni. E ciò è accaduto a partiredalla fine del diciannovesimo secolo fino ai nostri giorni. Anche gli italiani sonostati qui e hanno aiutato la città a sviluppare quell’industria primaria.

Al momento è in corso di costruzione un nuovo distretto amministrativo,ampio e privato, chiamato “Hampton”. Per rendere possibile questo sviluppo èstato necessario sradicare il sentimento di attaccamento alla terra. Ci saranno fino aottomila nuove case, il che è chiaramente uno sviluppo assai significativo per lacittà.

La città moderna nasce idealmente alla metà degli anni ’60, quando fu nomi-nata città satellite (new town) e quando fu fondato un ente di sviluppo (‘developmentcorporation’). Si tratta di un istituzione speciale nel Regno Unito, tesa ad offrirepiani e finanziamenti che permettano la realizzazione di sempre più importanti com-plessi urbani. Così un numero di città satelliti furono disegnate allo stesso tempo e

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fuse tra di loro. La popolazione in Peterborough crebbe del 50%, cifra che rappre-senta il maggiore tasso di crescita del periodo.

L’ente di sviluppo usò anche finanziamenti in grado di portare molte piùindustrie e servizi a Peterborough. Questo è il periodo in cui il cosiddetto ‘centurioneromano’ fu adoperato per fare una campagna di marketing per la città.

Dagli anni settanta ad oggi la popolazione è aumentata sino a raggiungere150.000 abitanti. La città ha pianificato anche una crescita maggiore per i prossimi15 anni, fino a raggiungere un’eventuale popolazione di circa 180.000 abitanti. Nonè un caso che Peterborough sia realmente una delle città con la crescita più velocedell’Inghilterra orientale.

L’economia è pienamente bilanciata con un buon mix di industrie manifattu-riere e di servizi. Siamo particolarmente forti nel settore della finanza e delle assicu-razioni. Queste sono le aree in cui l’ente di sviluppo sta concentrando la sua atten-zione e sta portando alla luce nuove società.

Il settore agricolo è molto più sviluppato di quanto appaia, perché molte indu-strie di trasformazione sono collocate a Peterborough. La percentuale d’impiego èalta, ma dal punto di vista economico le industrie legate all’agricoltura e alla lavora-zione degli alimenti sono molto più numerose di quanto non emerga dalle cifre.

Tali sono le compagnie attualmente ubicate in Peterborough. È evidente cheesse costituiscono la base per molte multinazionali, anche se alcune di loro, dopo glieventi dell’11 settembre, stanno valutando le possibili strategie di ripresa. Noi speria-mo che si tratti di un fenomeno temporaneo e che l’economia ritrovi la sua forza.

Considerando la salda relazione esistente con le maggiori compagnie di pro-venienza italiana, sarà molto interessante discutere sul rafforzamento dei legami traPeterborough e l’Italia, in modo particolare con Foggia. Naturalmente la nostraottica commerciale tiene in conto un forte rapporto con l’Italia. Ho appena spiega-to la maniera in cui l’economia di Peterborough funziona nel particolare contestoin cui opera, ma chiaramente lo sviluppo economico di qualsiasi area è soggetto amolte e differenti influenze. Non si tratta unicamente di ciò che accade a livellolocale e neppure su base regionale. Si tratta anche di come si reagisce all’andamentodell’economia nazionale e di come ci si relaziona all’economia europea ed interna-zionale.

Nell’est dell’Inghilterra notiamo che qualcosa come il 70% dei nostri scambiavviene con altri paesi europei, inclusi i paesi dell’Europa orientale. Allora è moltoimportante per noi, da un punto di vista sia regionale sia locale, rendere più saldoquesto vincolo commerciale.

Le strutture dei piani di sviluppo e le proposte che noi siamo soliti varare perincrementare i progressi concernenti le infrastrutture ed i trasporti, le proposte intermini di progettazioni sulla forza lavoro e sulla crescita demografica sono regola-ti da una rigida struttura all’interno della quale noi operiamo.

Innanzitutto, dobbiamo obbedire a normative di pianificazione regionali. Eciò avviene in tutta l’area orientale dell’Inghilterra, che conta una popolazione dicinque milioni di abitanti. Si tratta di una direttiva generale molto vasta finalizzata

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alla crescita e allo sviluppo. Tale è il contesto all’interno del quale a livello di contea(quella del Cambridgeshire, di cui fa parte Peterborough), noi siamo chiamati asviluppare il ‘piano strutturale’ (structure plan, per una popolazione di 700.000 abi-tanti giustapposto al piano locale, il local plan).

Il piano locale fa unicamente riferimento alla città di Peterborough, anche seil piano di sviluppo specifico deve essere sempre relazionato al piano strutturale alivello di contea e alle norme di pianificazione regionali.

Una strategia chiave è legata allo sviluppo economico regionale. La prospet-tiva, molto ambiziosa, mira a porre la regione tra le prime venti in Europa entrol’anno 2010. Attualmente siamo al trentaquattresimo posto su un totale di settantottoregioni. Per raggiungere questo traguardo ci siamo posti una serie di obiettivi-chia-ve.

Innanzitutto, vogliamo cercare di rendere le nostre aziende più competitive.Per essere tra le prime 20, dobbiamo raggiungere una percentuale media di crescitadel 3.2%. Attualmente abbiamo una percentuale di crescita del 2.3%. Quindi, sipuò notare come sia necessario aggiungere in futuro quasi un 1% di crescita affin-ché si possa riuscire nell’intento.

Ciò che vogliamo fare è concentrarci sul genere giusto di industrie che possa-no assicurare il realizzarsi delle competenze e delle formazioni necessarie per ilmiglioramento della produttività e per il conseguimento della maggiore crescitache noi stiamo perseguendo.

Vogliamo anche porre la nostra attenzione sulla creatività imprenditoriale:nell’Inghilterra orientale ci sono molte società che hanno principalmente concen-trato la loro attenzione sulla ricerca e sullo sviluppo, guardando a nuovi modi diproduzione, in particolare studiando strategie alternative per vincere le sfide am-bientali e sviluppare l’uso delle nuove tecnologie per numerose compagnie moltoforti nel settore tecnologico dell’Inghilterra orientale.

La Regione ha anche deciso di concentrarsi su un numero di industrie digrande successo e, particolarmente, sulla conoscenza delle industrie dell’est, perfare in modo che esse possano crescere.

Stiamo lavorando molto, inoltre, a quello che chiamiamo regeneration plus,‘super rinascita’, per fare in modo che tutte le zone della Regione, e non solo quelleche sono attualmente ricche, siano in grado di beneficiare dei miglioramenti econo-mici. Quindi, ciò riguarda le strategie per coinvolgere le aree svantaggiate e fare inmodo che le persone che in questo momento non hanno accesso alle competenzepossano guadagnarle, in modo da non far parte di quella che la Commissione Euro-pea chiamerebbe ‘sconfitta dell’esclusione sociale’ (overcoming social exclusion).

Noi vogliamo anche concentrarci sullo sviluppo delle infrastrutture, sia fisi-che, in termini di trasporto, sia, ugualmente importantissime, in termini di teleco-municazioni, così da permettere lo scambio commerciale attraverso l’uso di internete lo sviluppo del commercio elettronico.

Infine, vogliamo migliorare il profilo internazionale delle regioni. Si tratta diuna regione nuova. È un’area non dotata di entità naturale e formata da 6 contee,

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che in realtà si sono unite negli ultimi due anni. Quindi, si tratta di definire l’iden-tità dell’area e di fare in modo che essa sviluppi buoni legami con tutte le altreregioni della comunità europea.

Per quanto riguarda le strategie di sviluppo economico a livello locale, stia-mo adottando un nuovo approccio che si basa sull’associazionismo.

Noi ci troviamo proprio nel cuore dello sviluppo economico. C’è una nuovaaspettativa in Gran Bretagna, ovvero che gli enti locali diventino i capi della comu-nità e uniscano tutti i diversi attori per operare in associazione in vista di uno scopocomune. È necessario, quindi, dare un filo conduttore all’ampia gamma di associa-zioni presenti sul territorio che sono variegate: abbiamo, infatti, associazioni che sioccupano dell’apprendimento scolastico, dello smaltimento dei rifiuti, della salute,dei giovani, della sicurezza della comunità, della prevenzione del crimine. Ciò chestiamo tentando di fare è dare senso e coesione a queste associazioni, in manieratale che esse non agiscano in direzioni separate, ma condividano scopi e strategiecomuni. Così ora stiamo sviluppando qualcosa che chiamiamo ‘strategia della co-munità’. Ogni autorità locale in Gran Bretagna deve svilupparne una e deve fare inmodo che ciascun settore della comunità, privato, pubblico e del volontariato, siacoinvolto e cooperi affinchè queste associazioni funzionino.

Noi abbiamo sei priorità: promuovere la prosperità e l’inclusione sociale,migliorare la sicurezza e fronteggiare il crimine, fornire un buon supporto politicoa persone vulnerabili, occuparci dell’ambiente naturale ed edilizio, promuovere losviluppo della comunità, fornire un’alta qualità di vita e opportunità di apprendi-mento. Lo scopo che sta dietro tale strategia è favorire la coesistenza equilibrata ditutte le singole priorità.

Il punto che vogliamo enfatizzare è che tutti all’interno della città hanno unruolo da svolgere nello sviluppo globale di essa. Ciò non riguarda solo l’autoritàlocale o l’autorità sanitaria o gli organismi di sviluppo economico. È un tentativoche tutti gli appartenenti agli enti locali devono compiere per lo sviluppo globaledella città. Vi sono alcuni progetti principali a cui stiamo lavorando nell’ambitodella strategia della comunità.

Il primo tra tutti è lo sviluppo di un’Università. Peterborough è una dellecittà più grandi della Gran Bretagna che non ha una propria Università, e noi stia-mo proprio iniziando una collaborazione con un ateneo vicino, contando di creareuna nostra autonoma nel giro dei prossimi 15 anni in modo da trattenere i giovanitalenti e, con essi, la competenza e la conoscenza intellettuale. Ciò è ancora necessa-rio per creare una buona qualità di vita all’interno della città. Un settore in cui lacittà è molto forte è il lavoro nel settore ambientale e noi stiamo sviluppando ciòche è definito un “gruppo” o un “grappolo ambientale”. Praticamente stiamo unendotutte le diverse organizzazioni che sono coinvolte nell’ambiente o hanno un inte-resse economico in materia, in modo da poter condividere idee ed esperienze eguardare allo sviluppo di progetti comuni.

Uno sviluppo molto ragionevole è la creazione di ciò che è definito un ‘cen-tro d’innovazione’, vale a dire un centro che abbia la finalità di promuovere nuove

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attività commerciali. Ancora una volta la progettualità potrebbe essere focalizzatasull’ambiente, ma si tratta soprattutto di fare in modo che quelle nuove attivitàcommerciali diano il giusto livello di supporto, non solo in termini di ricerca maanche in termini di supporto economico e di consulenza sul mercato, sull’esporta-zione e sullo sviluppo economico: si tratta di aiutare a ripartire il costo della fase di“start up”, ossia a ripartire il peso dell’amministrazione, di eventuali frodi e altroancora.

Inoltre, siamo molto desiderosi di sviluppare un centro cittadino. Abbiamoun centro di buona qualità, che ricopre un’importanza primaria a livello regionalecome centro commerciale. È un centro molto compatto che accoglie l’eredità dellacittà: la cattedrale, la piazza della cattedrale, il centro commerciale, il tutto concen-trato all’interno di un’area facilmente percorribile a piedi. Sappiamo che dobbiamosviluppare il centro per migliorare le ricche offerte e le attrattive. E stiamo per lan-ciare una nuova iniziativa chiamata ‘società di rinascita urbana’, vale a dire unasocietà che unirà tutti i settori urbani (pubblico, privato e della comunità) secondouna nuova ottica. Si tratta di una suddivisione della città e quindi di una divisione dimercato tesa ad interessare quelli che curano il suo sviluppo. È un modo concretodi svincolarsi da un’autorità locale piuttosto passiva, di proiettarsi verso l’esterno edi attendere l’arrivo di operatori molto più attivi, più dinamici, che siano in gradodi sviluppare la città secondo quelle linee principali di cui desideriamo l’attuazione.

Per quanto riguarda il settore della sanità, stiamo ipotizzando lo sviluppo diun nuovo ospedale nel giro dei prossimi sette anni. Esso potrebbe avvenire con unaccordo di collaborazione tra pubblico e privato, definito ‘iniziativa finanziaria pri-vata’. Non credo che qualcosa del genere esista in altre parti d’Europa, ma l’animadel progetto consiste nel fatto che il settore privato si assume il rischio finanziario.Il settore pubblico non fa investimenti in termini di capitale all’inizio e il settoreprivato corre tutto il rischio economico. Tuttavia, il settore pubblico risponde dellaqualità dei servizi attraverso degli accordi con il settore privato riguardanti lo svi-luppo del day hospital.

Infine, stiamo per prendere parte alle iniziative europee di finanziamento.Peterborough prenderà parte allo svolgimento di un compito trans-nazionale perindividuare i modi migliori di sviluppo e di rinascita delle diverse parti della città.In tal modo contiamo di rendere competitiva la nostra città e perfettamente rispon-dente alle logiche del mercato del lavoro.

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Le politiche del Governatorato di Silianaa favore dello sviluppo locale

di Naceur Talbi

L’apertura, la tolleranza, la stabilità e lo sviluppo sono i tratti essenziali dellaTunisia di oggi e della politica di sviluppo regionale.

In effetti lo sviluppo regionale occupa un posto privilegiato tra i poli di inte-resse della collettività nazionale come scelta di civilizzazione ed obiettivo politico.

La novità nell’approccio tunisino dello sviluppo regionale sta nel fatto che questostrumento costituisce sempre di più il punto di partenza di piani di sviluppo ed è unelemento essenziale nella realizzazione di uno sviluppo integrato che consacra la po-litica di decentralizzazione, soprattutto dopo il cambiamento del 7 novembre.

Quest’orientamento ha assunto maggiore rilievo in seguito ad una creazionedei consigli regionali. In effetti, tre dimensioni maggiori caratterizzano l’approcciotunisino dello sviluppo:

• Il libero gioco dei meccanismi del mercato, fattore d’incitazione e di promo-zione dell’iniziativa privata come locomotiva dello sviluppo;

• La considerazione sempre crescente di regolamenti che garantiscono l’aper-tura e la liberalizzazione dell’economia;

• La conferma della solidarietà sociale come componente essenziale della lottacontro l’esclusione nei confronti del suo ruolo fondamentale di rinforzo del-la coesione sociale.Queste tre dimensioni traducono le scelte fondamentali della Tunisia: scelte

della crescita, dell’equilibrio e della moderazione. D’altra parte, la strategia futuradi sviluppo tiene conto, oltre alle considerazioni d’ordine politico e culturale, dialtre esigenze che bisognerà soddisfare per rispondere alle aspirazioni e alle nuoveambizioni del paese.

Queste esigenze si riferiscono segnatamente:• Al rinforzo del ruolo del settore privato;• Allo sviluppo delle risorse umane;• Alla padronanza delle tecnologie e, in particolar modo, a quelle dell’infor-

mazione, della comunicazione e della biotecnologia.D’altra parte i differenti programmi regionali costituiscono un sostegno all’at-

to già intrapreso a larga scala, nell’ambito del Fondo di Solidarietà Nazionale, a favo-re delle zone d’ombra e la cui integrazione costituisce uno degli obiettivi principali.

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La nostra politica di sviluppo poggia essenzialmente sugli assi seguenti:• La consolidazione dell’apertura dell’economia e il rinforzamento del ruolo

del settore privato;• L’adattamento delle politiche settoriali;• Lo sviluppo delle infrastrutture;• La valorizzazione delle risorse umane;• Lo sviluppo sociale;• Lo sviluppo regionale.

Il settore industriale rappresenta senza dubbio il terreno ideale in cui si cristalliz-zano i diversi orientamenti apportati dal cambiamento del 7 novembre, in particolarequelli relativi alla liberalizzazione economica, all’apertura all’esterno, alla ridistribuzionedei ruoli tra i settori (pubblico e privato) per incoraggiare le iniziative del partenariato.Il programma di ristrutturazione dell’industria tunisina punta ad accrescere lacompetitività delle imprese per dare ad esse i mezzi per affrontare le mutazioni allequali assistiamo sul piano planetario e fare in modo che si adattino alla liberazione delleimportazioni e facciano fronte ai nuovi dati dell’economia mondiale.

La nuova era ha permesso di intraprendere importanti lavori per modernizzaree rinnovare i tratti stradali diventati inadatti, allungare le reti autostradali e renderefluido il traffico all’interno delle città, nei dintorni immediati e nelle strade periferi-che dette di “circonvallazione”, migliorando le vie d’accesso.

Per disincastrare le regioni, nuove strade collegano tutte le delegazioni e igovernatorati.

Il settore del trasporto ha registrato uno sviluppo spettacolare su tutti i piani.Queste misure, evidentemente, hanno avuto un impatto benefico; nel corso

degli ultimi anni, infatti, si è registrato un aumento sensibile degli investimenti nelsettore dei trasporti.

Il settore delle comunicazioni si è considerevolmente sviluppato nel cor-so degli anni del cambiamento.

Coscienti dell’importanza del ruolo delle comunicazioni, e più in generaledelle telecomunicazioni nella vita dei tunisini, dappertutto, nello sviluppo econo-mico e sociale, i poteri pubblici hanno accordato un’attenzione particolare a que-st’ambito riservandogli investimenti importanti a fine di permettergli di realizzareprogrammi a grande scala, d’introdurre nuove tecnologie e di disporre di una retesicura, rapida ed efficace.

Si potrebbe porre la questione seguente: l’impiego è una condizione oppureuna conseguenza dello sviluppo?

La Tunisia del cambiamento ha risolto la questione scegliendo un approccioeconomico fondato sulle risorse umane che fanno dell’uomo l’agente e il primobeneficiario dello sviluppo e si può affermare che, nel caso della Tunisia, l’impiegoè sia condizione, o meglio, prodotto dello sviluppo.

Il programma regionale dello sviluppo è stato ristrutturato e congloba i cantieriregionali di sviluppo così come il programma di sviluppo regionale integrato (P.D.R.I).

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Tra gli obiettivi primari non possiamo non annoverare l’educazione per assi-curare il decollo economico al quale aspira il paese. Ed è a questo prezzo che lascuola sarà effettivamente tale com’è nell’auspicio di tutti tunisini. Si tratta di pro-seguire la lotta contro l’analfabetismo e la Tunisia ha già registrato dei buoni risul-tati in quest’ambito.

Dall’inizio del cambiamento sono state introdotte delle riforme fondamen-tali al livello dell’azione municipale attraverso:

• Una revisione dello statuto delle municipalità;• Una promulgazione del codice della fiscalità locale;• Una creazione di una cassa di prestiti e di sostegno alle comunità locali;• Una creazione del centro nazionale di formazione e di riciclaggio dei quadri

regionali e municipali;• Una creazione di comitati di quartiere.

La nostra politica degli sviluppi locali dà la priorità ai progetti aventi un’inci-denza diretta sulla vita dei cittadini. Essi sono:

• Le strade;• Le reti d’illuminazione e di risanamento;• La disposizione di discariche controllate;• La creazione di zone di verde;• L’incoraggiamento di rilancio di progetti economici produttivi per accresce-

re le risorse municipali;Tutto questo serve ovviamente a stringere i legami tra cittadini e l’istituzione

municipale e anche rendere dinamica l’interazione tra loro. In effetti, la politicadello sviluppo locale si appoggia sugli orientamenti nazionali in materia diliberalizzazione dell’economia, di apertura ai mercati esteri e di sviluppo del settoreprivato. I risultati importanti registrati sul piano economico nel corso degli ultimianni, grazie alla messa in opera di una politica di sviluppo locale attiva e coerente,hanno contribuito all’instaurazione di condizioni propizie alla concretizzazionedegli obiettivi strategici di sviluppo nei diversi ambiti e settori.

L’amministrazione ha conosciuto nel corso degli ultimi anni importanti ri-forme che hanno toccato differenti aspetti dell’attività amministrativa. Tali riformepuntavano nella loro quasi totalità a migliorare la qualità delle prestazioni e ad av-vicinarle al cittadino, accorciando i tempi di contatto tra i cittadini e i responsabilidelle municipalità.

Infine, nonostante i multipli successi e l’importanza degli acquisti, il paese èchiamato a consentire sforzi supplementari per superare le sfide della prossima tap-pa e cogliere le opportunità che offre al fine di permettere la realizzazione di nuovisupporti di crescita.

La Tunisia ha saputo mostrarsi all’altezza degli obiettivi che si era posta edegli appuntamenti che si è data nel tempo e sta cercando di accrescere sempre piùla mobilitazione di tutte le forze vive della Nazione, di tutte le categorie sociali e ditutti gli operatori economici, in vista della strategia di sviluppo.

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Le politiche del Distretto di Klodzkoa favore dello sviluppo locale

di Dairusz Mikosa

La Polonia è uno dei più grandi paesi nell’Europa con 312 000 kmq e 40milioni di abitanti. È indubbiamente il paese strategico in riferimento allo sviluppodell’ Europa Centrale come legame tra est ed ovest. Nel 1990, dopo la vittoria diSolidarnosc, ovvero dopo le prime libere e democratiche elezioni, sono nate auto-nomie comunali come prime unità amministrative. Nei dieci anni delle riforme,con il processo di la democratizzazione in tutti campi e soprattutto nell’economiadel mercato libero, il prodotto nazionale lordo era del 6%. Adesso lo sviluppo delprodotto nazionale lordo è del 4% con indice d’incremento.

La nuova divisione amministrativa della Polonia prevede dei comuni di auto-gestione dove gli abitanti scelgono l’autorità municipale. Nel 1999 il governo polaccoha deciso di fare quattro importanti riforme amministrative. Una di queste è la suddi-visione per regioni. Prima avevamo 49 voivodati, adesso abbiamo 16 regioni che sonoun trait d’union con la Repubblica Ceca. Attualmente lo stato conta 16 voivodati chesi dividono per i 30 distretti. Il distretto di Klodzko è il più grande nella Bassa Slesiache, a sua volta, conta 3 milioni di abitanti, si estende su una superficie di 20 mila kmqe ha 190 chilometri di confine con la Repubblica Ceca.

Le più grandi città dei voivodato sono Wroclaw, Legnica, Jelenia Góra, Wal-brzych. In Bassa Slesia ci sono 169 comuni, mentre sul solo territorio del distrettodi Klodzko se ne contano 14. Le strutture amministrative sono tre: il comune, ildistretto e il voivodato di autogestione. Alla testa del voivodato c’è il maresciallo ei consiglieri scelti del voivodato. Queste tre strutture dell’autogestione sono indi-pendenti l’uno dall’altra, con mezzi finanziari e competenze totalmente separate. Ilsindaco del comune non dipende dal presidente e il presidente non dipende dalmaresciallo. Nell’istruzione il comune dirige le scuole elementari e il distretto lescuole superiori. Una delle più importanti riforme del regime, iniziate l’anno scor-so, è la possibilità di firmare i contratti regionali, sulla base della legge della politicaregionale di Polonia. La possibilità autogestione del voivodato, in questo caso dellaBassa Slesia, consente anche di decidere le proprie strategie di sviluppo, stabilendoi più importanti investimenti per la Regione e firmando il contratto con il proprioministero.

Questi mezzi finanziari sono trasmessi in forma di contratto per due anni alla

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Regione, in modo da realizzare la decentralizzazione delle finanze pubbliche. Il “sog-getto” che decide che cosa succederà in una Regione è il consiglio del voivodato.

La strategia dello sviluppo del distretto di Klodzko si realizza anche sullabase delle potenzialità dei singoli 14 comuni.

Il distretto di Klodzko si trova lungo la catena delle montagne Sudety. Lapiù alta vetta è Snieznik.

La seconda più importante città - Duszniki Zdrój - è molto conosciuta perchèvi sorge la villa rustica di Chopin: qui si può vedere anche il calco della mano sini-stra del grande musicista. Kudowa Zdroj è un’importante stazione termale e si tro-va sulla zona del confine con la Repubblica Ceca.

Klodzko ha un’economia diversificata che va dai giacimenti minerari delmarmo e delle altre pietre preziose alle segherie. L’albero rappresenta un grossopotenziale economico al punto che quasi tutti sono “inventariati”. Tra le antichetradizioni del nostro territorio, quella più significativa è data dalla produzione divetri e cristalli. Con queste e altre potenzialità industriali contiamo, a breve termi-ne, di ripartire così lo sviluppo:

1 - sviluppo del turismo e delle cure termali;2 - sviluppo delle iniziative di piccole e medie imprese;3 - aumento in generale del tenore di vita degli abitanti del distretto. Accanto a queste prospettive di base intendiamo dare un maggiore impulso

alle attività di ricerca scientifica: Klodzko ha l’Università di Wroclaw strutturatasulla base di corsi per corrispondenza. Il nostro auspicio è quello di creare corsiordinari per dare tutti gli strumenti adeguati e aggiornati ai nostri ricercatori.

Non ultimo aspetto della nostra strategia di sviluppo è il potenziamento del-la formazione e dell’informazione turistica. Sono tanti i modi per arrivare con l’in-formazione alla bella terra di Klodzko, le pubblicazioni, i siti internet, la presenzaalle fiere turistiche, la collaborazione tra i partners e la presenza alle manifestazioniculturali e alle fiere. Dal 1992 al 1994 si è registrato un grosso incremento delleaziende agrituristiche. Esse rappresentano il volano della nostra economia e più diun auspicio per il futuro che nella nostra terra risulta baciato da un elemento im-portante, la musica, con il Festival di Chopin.

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Le politiche della Provincia di Foggiaa favore dello sviluppo locale

di Matteo Valentino

Lo scenario di collaborazione, fratellanza e comunanza entro il quale oggimuove i suoi primi passi questo forum internazionale dei Governi locali è statotratteggiato dal presidente Antonio Pellegrino nel suo indirizzo politico di saluto.Non ricorro a caso al termine politico perché un più forte e saldo vincolo fra icittadini europei e la grande apertura prospettica sull’area mediterranea in terminidi reale integrazione, contengono un valore speciale di cui noi amministratori sia-mo profondamente consapevoli. Con il massimo coinvolgimento possibile dei cit-tadini, avverto chiaramente l’onere di presentare quanto la Provincia di Foggia harealizzato e quanto ha ancora in animo di fare a sostegno dello sviluppo e dellacrescita del territorio.

Il punto di partenza della nostra azione non poteva prescindere dallavalorizzazione delle risorse endogene di cui la nostra provincia è molto ricca, primefra tutte, il patrimonio culturale, il turismo e l’agricoltura. Il turismo è un settore diestrema importanza in quanto valorizza tutte le risorse presenti sul territorio, daquelle naturalistiche a quelle paesaggistiche, da quelle storiche e architettoniche aquelle culturali e folkloristiche sino a quelle gastronomiche e artigianali e offre unaelevata possibilità di occupazione. Anche in Capitanata si vanno affermando nuovimodelli di sviluppo, al punto che ormai si parla di “turismi” al plurale in quantomolteplici sono le esigenze di utilizzo del tempo libero in termini di conoscenza,riposo e benessere.

I principi informatori dei nostri programmi di intervento sono passati da unapolitica di valorizzazione sostenibile delle risorse turistiche diffuse alla diversifica-zione del settore in una logica di turismo per tutti destinato a varie fasce. Dal puntodi vista degli interventi ci siamo orientati su attività di coordinamento che passanodalla selezione delle risorse per la costruzione di due livelli di offerta, uno estensivocon una forte valenza di animazione del territorio e di acculturazione diffusa e l’al-tro che potremmo definire “di eccellenza” con una forte connotazione di prodottoturistico in grado di essere attrattivo a medio e a lungo termine e indurre un signi-ficativo sviluppo economico.

Sviluppo e sostegno di progetti-pilota emblematici e trasferibili, attivazionedi processi di formazione degli operatori del settore, messa a disposizione degliattori del sistema turistico di informazioni e competenze adeguate per una migliore

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gestione delle attività, ricerca di nuove occasioni progettuali e di relativi finanziamentieuropei in accordo con gli altri enti locali, finalizzazione progettuale dei contributi:sono queste le linee di forza della nostra progettualità. Pensare ad una crescita eco-nomica entro i limiti delle possibilità ecologiche del territorio senza compromette-re l’integrità degli ecosistemi e delle risorse presenti così da poter soddisfare le ge-nerazioni future è indispensabile per poter applicare una gestione delle risorse di-sponibili in termini di miglioramento e conservazione delle bellezze naturalistichee paesaggistiche.

Siamo tutti consapevoli dei grandi cambiamenti a cui è stato sottoposto negliultimi anni il settore agricolo, cambiamenti strutturali che nei prossimi anni modi-ficheranno in toto uno dei settori trainanti dell’economia nazionale che proprio inCapitanata presenta indicatori significativi che la rendono terza provincia italianaper l’ammontare del valore aggiunto agricolo. Le scelte che si sono affermate nel-l’ultimo decennio hanno mostrato maggiore attenzione ad una produzione agricoladi qualità con una serie di provvedimenti legislativi per l’introduzione dei limiti evincoli imposti dall’attività primaria. L’Europa chiede con forza di ridurre le ecce-denze alimentari e di produrre alimenti qualitativamente superiori: d’altro canto iluoghi di produzione non possono essere ipersfruttati perché rischiano di esseredanneggiati in modo permanente. Lo sforzo, quindi, va compiuto con l’aiuto deci-sivo di tutti i protagonisti del comparto agricolo e nella diffusione di una nuovafigura di agricoltore che sia allo stesso tempo produttore di beni alimentari di qua-lità, garante della salvaguardia del territorio e imprenditore.

Interventi significativi hanno anche riguardato la crescita del tessuto indu-striale della nostra provincia. Il dinamismo industriale resta uno degli indicatorieconomici dalle maggiori implicazioni per la capacità di produrre ricchezze e di-stribuire redditi. Se fino a quindici anni fa le vie dello sviluppo erano nazionali evedevano la necessaria intermediazione degli Stati, oggi si ha la percezione che illivello nazionale stia come perdendo consistenza a fronte dei bei più concreti ambi-ti locali. Gli enti pubblici hanno iniziato una marcia di avvicinamento a criteri diimprese e il decentramento istituzionale consente alle province di incidere diretta-mente sulle dinamiche del mercato del lavoro. Sono infatti le amministrazioni pro-vinciali, oggi, a dover provvedere al riordino degli accessi al lavoro e intorno all’as-se della formazione è collegata una definizione selettiva degli incentivi.

Il primo sforzo da produrre per la Capitanata sta nell’affermazione della lo-gica dei distretti industriali, ovvero piccole aziende concentrate in determinate areeche condividono capacità imprenditoriali e siano in grado di competere sui mercatiinternazionali. Le comunità economiche devono mostrare una certa disponibilitàdi strutture di imprenditorialità, in pratica un certo livello di crescita. Le occasioniper le aree sinora meno sviluppate ci sono tutte: insieme al contratto d’area localiz-zato nel triangolo Manfredonia-Mattinata-Monte S. Angelo la Capitanata relativa-mente ai sei patti territoriali è destinataria di una richiesta complessiva di finanzia-menti diretti di circa 350 miliardi.

Il passo successivo consiste adesso nel puntare a un vero coordinamento de-

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gli interventi. In questo senso la formazione professionale deve essere un campoprivilegiato d’azione, in modo da dare una corrispondenza efficace tra l’offerta dilavoro della nostra zona e la specifica domanda che verrà a manifestarsi da qui abreve. Tutte le azioni formative e di riqualificazione delle risorse umane locali de-vono rafforzare le basi della ripresa delle occupazioni e quanto già sperimentatocon il contratto d’area di Manfredonia può essere un punto di partenza per appron-tare un vero e proprio modello di intervento. Per rilanciare ulteriormente il nostroterritorio bisogna puntare sulla qualità delle offerte territoriali e innalzare i livelli diinnovazione e di processo di prodotto con l’auspicio di poter contare sull’offerta dipersonale strumentalmente evoluta e su infrastrutture di ricerca e formazione al-l’avanguardia.

La formazione del progresso locale in funzione dello sviluppo del territoriocomporta una pianificazione che costituisca ad un tempo i quadri del fabbisogno estabilisca gli obiettivi, consentendo l’integrazione con le risorse disponibili. In que-sto senso la regionalizzazione e la provincializzazione del Governo centrale potràfavorire una maggiore e migliore capacità di intervento e direzione su processi rav-vicinati di occupazione e lavoro che premieranno coloro che sapranno risponderealla crescita in modo più articolato e con la massima trasparenza. A questo puntodiventa persino ovvio sottolineare la necessità di una riqualificazione della pubbli-ca amministrazione locale da attuarsi in maniera non episodica ma con interventitarati sulle reali esigenze dei beneficiari e delle aeree in cui si trovano ad operare. Itrasferimenti di risorse dello Stato agli enti locali tendono e tenderanno sempre piùad essere compressi sia in termini nominali che reali: da qui la necessità di procede-re all’individuazione e alla mobilitazione di nuovi occasioni di finanziamento extrabilancio, soprattutto in direzione dell’Unione Europea. La Provincia di Foggia havoluto caratterizzarsi proprio per la sua capacità di far sì che i progetti, i program-mi, i piani potessero diventare collettori di risorse finanziarie aggiuntive, regionali,statali e soprattutto comunitarie. Per ottenere risultati soddisfacenti siamo ricorsial meglio della capacità programmatica del governo del territorio nel nostro ruoloistituzionale considerato che la nostra terra si è segnalata tra le prime del sud perl’utilizzo di fondi comunitari, somme che vengono versate da tutti gli Stati membriper interventi a sostegno di progetti particolari destinati alle aree depresse.

Anche alla classe imprenditoriale della Capitanata gli ultimi anni hanno ri-servato numerosi e impegnativi banchi di prova: il passaggio dall’assistenzialismostatalista alla concorrenza sui mercati che man mano dilatavano sempre più i confi-ni non è stato indolore. Viviamo un’epoca che non permette più timidezze, esita-zioni, eccessi di prudenza: molte cose sono cambiate e anche noi amministratorisiamo chiamati a uno sforzo continuo di crescita, stimolati anche dal confrontodiretto e incalzante con i colleghi del nord. Il nostro augurio è che anche questoforum internazionale possa essere un’occasione al servizio del nostro territorio edella nostra comunità. E quando “promettiamo mari e monti”, come recita il no-stro motto, non esageriamo.

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Giovani, globalizzazione e transnazionalitàdi Dariusz Mikosa

La Polonia nel 1989 ha subito radicali cambiamenti politici, sociali ed econo-mici ed ha effettuato un nuovo orientamento della politica internazionale.

Oggi siamo un paese libero e democratico, aperto a collaborazioni con altristati, in tanti settori e luoghi della vita sociale ed economica. Anche noi come auto-nomia distrettuale stiamo cercando di instaurare ed allargare rapporti. Il difficileperiodo di trasformazione non ha provocato turbamenti nei polacchi e ha fattocapire la necessità di allargare i rapporti internazionali. Da un lato i contatti servo-no per velocizzare lo sviluppo economico, sostenere le riforme politiche, economi-che e sociali, rafforzare lo stato nel panorama dei rapporti internazionali e dall’altrofa aprire nuove tappe per lo sviluppo fra partners stranieri e consente di stringerelegami sociali, economici e culturali.

La collaborazione internazionale, i processi di globalizzazione, trasnazio-nalità e integrazione devono mobilitare i paesi a risolvere in maniera solidale i reci-proci problemi, rispettando comunque le identità nazionali.

La diversità culturale e la diversa nazionalità in Europa e nel mondo sonovalori e non difetti. Questo aspetto deve stimolare a formare rapporti internaziona-li così che gemellaggi e partenariati diventino un modo per instaurare pace e amici-zia fra i paesi.

Oggi si avverte la necessità di preparare i giovani ad inserirsi nel mondo dellavoro senza frontiere. Siamo chiamati ad affrontare questi problemi per prepararei giovani a al mondo del lavoro e facilitare il loro inserimento nelle nuove condi-zioni di vita, si spera più evolute. Questi processi, tuttavia, fanno paura e generanopreoccupazione. Per giunta, la storia della Polonia è stata dolorosa e questo ci faessere prudenti. Abbiamo da poco festeggiato l’anniversario dell’Indipendenza: dopo123 anni di sottomissione la Polonia ha recuperato l’indipendenza e il nostro paesesi è liberato da tre oppressori; i prussiani, i russi e gli austro-ungarici .

Gli avvenimenti storici più prossimi ai nostri giorni ci hanno fatto vedere chela sovranità del nostro paese è stata spesso minacciata.

Nella nuova storia della Polonia c’è una data importante, il 1989, l’anno deicambiamenti. Dopo dodici anni ci troviamo in una nuova situazione internazionaleche crea tante possibilità di sviluppo ed anche nuove esperienze. Tutto ciò per ipolacchi rappresenta una sfida.

Malgrado queste esperienze dolorose eravamo e siamo una nazione aperta,

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cordiale, tollerante ed ospitale. Noi apprezziamo più di tutto la pace e la libertà. Sia-mo determinati ad effettuare i cambiamenti positivi che ci danno possibilità di svilup-po. Il desiderio per raggiungere determinati scopi nei settori della vita sociale ed eco-nomica ci impone rinunce e sacrifici. Stiamo cercando di assolvere il compito.

A livello di strutture di autonomie locali realizziamo tante iniziative per aiu-tare il nostro popolo a comprendere i cambiamenti. Cerchiamo di inculcare il sensodella democrazia e del bene comune. Siamo a tutti gli effetti sul cammino delleriforme e questo iter sarà agevolato dalla collaborazione con i partners stranieri.

Per poter realizzare i nostri obiettivi è necessario individuare le reali necessi-tà del fabbisogno: essere coscienziosi e responsabili delle proprie idee, servirsi dallaconoscenza delle lingue straniere, della formazione delle capacità professionali,informatiche e creative, sapersela cavare, insomma, anche in situazioni disagiate. Laglobalizzazione ha degli effetti positivi e negativi. Il nostro ruolo sta proprio nelcapire quali sono gli strumenti per poter affrontare e studiare nel migliore dei modiil fenomeno. È questa la nostra sfida per poter costruire un futuro migliore.

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I servizi a favore dei ragazzidi Brenda Town

Gli operatori che si occupano dell’organizzazione dei servizi sociali stannofornendo accesso ai servizi, al di fuori dell’ambiente ospedaliero, a ragazzi e giovanidai 0 ai 19 anni. Essi hanno bisogni diversi e spesso complessi, e per questo richie-dono una risposta molteplice, proveniente da organismi differenti.

I problemi di salute la cui risoluzione è affidata ai servizi sociali, riguardanogiovani e ragazzi disabili, che hanno delle invalidità fisiche o delle incapacità d’ap-prendimento, degli impedimenti visivi o uditivi e dei disturbi comunicativi, comead esempio l’autismo. Sono tutte aree-chiave, in cui opera il nostro personale, cheriguardano ragazzi che richiedono cure e protezione dagli abusi. La gamma di pro-fessionisti include pediatri, che sono una squadra altamente specializzata, diversiterapeuti, infermiere specializzate nella cura degli handicap, comprese infermieredesignate alla cura dei ragazzi ed infermiere designate alla loro protezione. Sonotutte figure che avranno importanti questioni con cui cimentarsi in collaborazionecon altri organismi.

Noi abbiamo un efficace servizio infermieristico scolastico ubicato nelle scuoleche lavora con tutti i bambini in età scolare e un servizio di visite, che offre unsupporto alle famiglie e si occupa principalmente dei bambini dai 0 ai 4 anni. Lacollaborazione lavorativa tra i vari servizi sanitari di base locali e gli altri organismiè fondamentale per fornire davvero la cura di cui possono avere bisogno tutti iragazzi e tutti i giovani.

Gli altri organismi a cui si è fatto riferimento, eccetto quelli strettamenteconnessi alla sanità, si trovano all’interno del nostro consiglio cittadino. Per esem-pio, i servizi sociali e l’ente d’istruzione locale.

Le organizzazioni di volontariato giocano anche un ruolo importante nellavoro associativo. Esse procurano dei collegamenti e dei punti di riferimento aifruitori dei servizi, ci aiutano a definire le loro necessità ed anche a fornire unagamma di servizi pratici e di sostegno alle famiglie.

La popolazione residente a Peterborough, per quanto concerne le fasce di etàdagli 0 ai 24 anni, si aggira sui 157.000 abitanti. Il cambiamento sociale e demograficosta avendo un impatto significativo sui bambini, sugli adolescenti e sui genitori.Localmente, a Peterborough, c’è una crescita importante della popolazione, che sicrede dovuta anche ai nuovi sviluppi edilizi. In maniera crescente, individui e fami-glie sono più “mobili” e restare in una comunità per molte generazioni non è più la

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norma. La struttura familiare e il rapporto tra i vari membri della famiglia stannoanche cambiando. Ci sono più famiglie con genitori single. Sempre più si esprimeinteresse sulle difficoltà che bambini e giovani vivono all’interno della loro comu-nità. E certamente ciò riguarda la vita familiare, l’educazione scolastica, le prospet-tive d’impiego, l’uso di droghe, la salute sessuale e il crimine. I giovani riconosconotutti questi problemi, ma spesso li guardano da una prospettiva differente. Essi spessosi vedono incolpati o biasimati per tali problemi, ma in realtà non sono coinvolti indiscussioni riguardanti la maniera di risolverli. I genitori, la scuola e la comunitàpiù estesa hanno un ruolo importante da giocare nella crescita dei ragazzi e nellosviluppo dei giovani. I ragazzi e i giovani che maturano in un ambiente difficilehanno maggiori probabilità di incontrare problemi nell’adolescenza e nell’età adul-ta. È stata condotta una ricerca che chiaramente mette in correlazione tali problemial comportamento antisociale degli adolescenti, all’abuso di droghe, alla criminalitàgiovanile, all’insuccesso scolastico e alla gravidanza adolescenziale.

Stiamo tentando di sconfiggere questi problemi a Peterborough e di andareincontro ai bisogni di tutti i ragazzi e di tutti i giovani sviluppando il senso di squa-dra tra i nostri operatori. Una delle nuove progettualità va sotto il nome di ‘surestart’, inizio sicuro. ‘Sure start’ è un’iniziativa di finanziamento del governo ed èrivolta a gruppi d’età che vanno dai 0 ai 4 anni. Localmente abbiamo due schemi,che sono focalizzati su comunità specifiche note. Uno di questi schemi è ora moltoben collaudato. I finanziamenti hanno permesso agli enti ed ai leaders delle comu-nità locali di prendere decisioni riguardanti l’impiego di personale esperto e l’ac-quisto di nuove apparecchiature per sostenere e beneficiare la comunità. Col pro-gredire del progetto, sempre di più la comunità, attraverso i propri rappresentanti,ha svolto un’azione di controllo e decisionale. Il fine di ‘sure start’ è quello di mi-gliorare la salute ed il benessere nei bambini prima e dopo la nascita in modo che ibambini siano pronti ad affrontare nuove esperienze quando vanno a scuola. I pro-grammi di ‘sure start’ prevedono inoltre una collaborazione coi genitori per mi-gliorare le possibilità nella vita dei ragazzi attraverso un migliore accesso dei geni-tori stessi ai servizi che offrono supporto alle famiglie e consigli sull’educazione,sui servizi sanitari e sul primo apprendimento.

La seconda iniziativa è rivolta ad una fascia di età maggiore ed è chiamata‘communities that care’, ossia ‘comunità che si prendono cura’. Questo è un nuovotipo di programma preventivo ideato per focalizzare i fattori responsabili dell’esclu-sione sociale, dell’insuccesso scolastico, della gravidanza in età scolare, dell’abusodi droghe e di crimini, unendo i leaders della comunità e gli enti statutari per for-mulare dei progetti sul futuro dei ragazzi in una comunità. A Peterborough il pro-getto ‘communities that care’ è incentrato su un’area riconosciuta per gli alti livellidi privazione, e in cui si richiede protezione da tutti i problemi menzionati. Unadelle prime azioni di questo programma è stato lo studio in due grandi scuole localisu gruppi appartenenti alla fascia di età dagli 11 ai 16 anni. Il resoconto finale è statoprodotto sulla base di 1344 validi modelli d’indagine, di cui 937 sono stati compilatida persone che vivono nel bacino di utenza del programma ‘communities that care’.

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A partire dal giugno 2000 è stato formato un team di progettazione per la comunitàcomposto da più di trenta membri. Questi membri includono residenti locali, gio-vani, organismi di volontariato, rappresentanti della sanità e del consiglio locale,polizia, consiglieri locali e coloro che lavorano nel settore delle problematiche gio-vanili. Questo team ha trascorso alcuni mesi analizzando i risultati del resocontoed identificando le priorità-chiave verso cui bisogna indirizzarsi evidenziando i ri-schi a cui si sottoponevano la comunità e le persone. Questo lavoro probabilmentefarà formulare delle decisioni sulle modalità più idonee per migliorare i servizi dicui beneficiano ragazzi e giovani, farà identificare gli errori del progetto e farà avan-zare proposte per correggerli. È importante che la lezione appresa dai progetti diquesta piccola comunità e da queste iniziative, e i benefici che hanno mostrato,siano diffusi per essere accolti da comunità più grandi. Il cambiamento culturaleintorno a come noi valutiamo i nostri ragazzi ed i nostri giovani è veicolo per ilfuturo.

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Le aspettative e i bisogni dei giovani di Silianadi Habib Rezgui

La Tunisia che noi definiamo “del cambiamento” ha saputo concepire unastrategia pluridimensionale e coerente rendendo concreti i diritti fondamentali e ilprincipio della giustizia sociale.

Essa, pertanto, non ha perso di vista il suo ruolo attivo e responsabile perassicurare il suo contributo all’interno della Comunità internazionale.

Alle sue costanti di sempre, fondate sul rispetto della legalità internazionale,ha affiancato la creazione di relazioni di cooperazione tra i diversi popoli e nazionirinforzando i legami di solidarietà e di vicendevole aiuto.

Le risorse umane sono la vera ricchezza della Tunisia e rappresentano la chiavedello sviluppo del paese: non è un caso che uno dei fattori primordiali sul quale laTunisia ha basato la sua politica sociale e internazionale sia proprio la gioventù cherappresenta più del 50% della popolazione attiva tunisina. Tale categoria socialeoccupa un posto di scelta tra le priorità dello Stato.

Quest’interesse nasce dalla convinzione profonda che l’avvenire di un paesee la sua invulnerabilità non potrebbero essere garantiti che dalla formazione e lapromozione dei giovani.

Per le loro dimensioni politiche, culturali e in materia di educazione, le misu-re prese in favore della gioventù, dai primi giorni del cambiamento, incarnano unodei principali orientamenti della Tunisia: si tratta di associare i giovani all’opera disviluppo nazionale, coinvolgerli nella dinamica della riforma per permettere loro diassumere il loro ruolo nella realizzazione degli obiettivi nazionali e di portare ilcontributo nell’edificazione del paese.

Questa volontà politica si è espressa con l’introduzione di riforme strutturaliimportanti nei settori della gioventù, dell’infanzia e dello sport, nel quadro delladinamica di riforme che ha abbracciato tutti gli ambiti della vita politica, economicae sociale. Questi settori sensibili hanno potuto raggiungere una fase di maturità erealizzare una mutazione radicale dal punto di vista di metodi, di concezioni, diprogrammi, degli obiettivi e dei mezzi adoperati.

Una serie di misure e di decisioni presidenziali prese in favore dei giovanirappresenta il punto di partenza di una politica globale che punta a promuovere lagioventù, oltre che a conglobare i diversi aspetti della protezione e dell’inquadra-mento dei giovani al centro delle decisioni.

Una volta aperte le vie del dialogo e rinforzate le organizzazioni e le associa-

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zioni giovanili, questa politica punta ugualmente ad incoraggiare l’impiego dei gio-vani, a mettere in moto delle strategie adeguate, a sviluppare le attività giovanili e lapratica dello sport.

Lo stato del 7 novembre ha dato più d’importanza al dialogo con i giovani,ad ascoltare ed analizzare le loro opinioni al fine di tenerne conto nelle strategie enei programmi concernenti la gioventù.

Le due consulte nazionali dei giovani, quella del 1995 e del 2000, hanno per-messo a questa fascia importante della popolazione di prendere la parola per dire adalta voce che cosa pensa, dei problemi che toccano da vicino e tutto ciò ha permes-so di evidenziare le azioni in favore dei giovani. Per questo motivo abbiamo costi-tuito la “Banca Tunisina di Solidarietà” ( B.T.S.)

Quest’istituzione, uno dei primi strumenti del fondo di solidarietà naziona-le, ha permesso di finanziare i piccoli progetti, in particolare quelli dei giovanidiplomati delle superiori, e ciò ha aiutato la creazione di più di 40.000 microimprese.

Questo dispositivo si è consolidato, inoltre, con la creazione del fondo na-zionale dell’impiego, ideato per aiutare i giovani tramite programmi di formazionee d’impiego. Da anni l’umanità assiste alla nascita della globalizzazione e alla for-mazione di un ordine economico nuovo basato sul libero scambio e su un progres-so tecnologico considerevole. Allo stesso tempo, però, assiste all’aumento della vio-lenza e alla moltiplicazione di attacchi, mentre si sviluppano il crimine organizzatoe il terrorismo ed esplodono i conflitti e le guerre in numerose regioni del mondodovuti gli uni e gli altri alla nascita del fanatismo e dell’estremismo, sotto diverseforme: politica, etnica, religiosa. Questa è una realtà che ci porta a risvegliare lacoscienza universale. È in questo contesto che la nostra gioventù, imbevuta daiprincipi della Carta del 7 novembre e cosciente delle sue responsabilità nei con-fronti paese e del mondo intero, guidata dalle direttive del Presidente della Tunisia,aderisce volontariamente al movimento internazionale della pace e della non-vio-lenza con l’ambizione di partecipare alla formazione di un mondo più giusto, piùsolidale, più libero, più dignitoso e armonioso, privilegiando il dialogo e la tolle-ranza e il rispetto dei principi democratici con lo scopo di creare nuove forme disolidarietà tra giovani del mondo intero.

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Le aspettative e i bisogni dei giovani di Klodzkodi Zbigniew Bartnik

La situazione attuale della Polonia in merito alle politiche giovanili non èsemplice e va comunque rapportata alle esigenze dei giovani in relazione al lorocontesto sociale. Consideriamo gioventù quelli nati dal 1975 al 1985 . I “grandi”hanno 26 anni, i “piccoli” 16. Nella fascia intermedia ci sono quelli di 17, 18, 19anni. Pur essendo giovani, vista la loro situazione, in Polonia non sono affatto invi-diati. Questo è molto strano perché da sempre gli anziani invidiano l’età della gio-vinezza parlandone in modo nostalgico. Perché noi in Polonia non siamo “invidio-si” dell’età giovanile?

L’incapacità di comprendere i cambiamenti, la mancanza di progettualità fu-tura, spesso la povertà e la voglia di esaudire i propri sogni, sono elementi che de-terminano la mancanza di equilibrio psichico e tranquillità interiore. La tendenza arifiutare tutto ciò che accade intorno crea condizioni di vita difficile.

Eliminare nei giovani le comprensibili difficoltà psichiche risulta essere uncompito non facile da parte degli insegnanti. Per i giovani il periodo di trasforma-zione significa caos sociale, politico ed economico che è necessario attraversare perpoco o per lungo tempo. Oggi i ragazzi polacchi non comprendono l’operato degliadulti perché non trovano nel rinnovamento della Casa “Polonia” sentimenti disicurezza. Su ciò che accade in Europa e nel mondo i ragazzi sono informati attra-verso i media, la televisione, i film, i video, i genitori, la scuola che in massima parteli informa su tutto e i coetanei che hanno avuto possibilità di viaggiare all’estero.Tutto questo rappresenta per loro un’immagine positiva dell’Europa e del mondo ecertamente migliore rispetto al loro paese. Agli occhi dei giovani polacchi il sistemadi funzionamento dei paesi europei è organizzato in una democrazia consolidatadove l’uomo è al centro dell’ attenzione.

Non tutti comprendono che c’è bisogno di un grande sforzo comune perottenere gli stessi risultati. Istruire ed inculcare l’impegno lavorativo per il paese,responsabilità ed autonomia sono i nostri prossimi obiettivi. I processi di globa-lizzazione, trasnazionalità e integrazione suscitano preoccupazione fra i ragazzima anche riflessioni e domande. Tuttavia la maggior parte di loro guarda confiducia e speranza al rinnovamento, come una chance in più per poter raggiungereil proprio benessere. La non facile situazione economica familiare fa abbandona-re loro gli studi per andare a lavorare, pur non essendo ancora sufficientementepreparati. Per quanto questa situazione giovanile non sia diffusa, noi siamo chia-

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mati a rispondere ai loro interrogativi. In Europa riusciranno a muoversi benesolo quei giovani che avranno una qualifica ben formata. Anche coloro che sannoapprezzare la propria identità nazionale, che comprendono il significato e il valo-re di sovranità e tolleranza e che hanno consolidati valori morali hanno possibili-tà di successo. Assimilare questi concetti e servirsene nel proprio paese darà mag-giori garanzie nei confronti degli altri paesi circa l’osservanza delle leggi attraver-so la tolleranza e il rispetto.

Tali azioni potranno eliminare le irrazionali paure o le attese sbagliate, nellaimmediata risoluzione dei nostri problemi circa l’entrata nell’Unione Europea. Suquesto punto la scuola svolge un importante compito. Proprio nelle scuole sonoavviati i cosiddetti “Club Europei” i cui docenti sono impegnati nell’insegnare iprocessi di rinnovamento .

La riforma del sistema dell’Istruzione si è attivata per facilitare il ruolo degliinsegnanti a questo nuovo compito. Le problematiche esposte stanno a significareche i nostri giovani non sono ancora pronti ad affrontare le sfide della vita, e noiadulti conoscendo le cause di tali difficoltà, dobbiamo riuscire a risolvere la situa-zione. L’elemento fondamentale è istruire e formare fra i giovani polacchi la co-scienza e la responsabilità per sè e per il loro paese per la loro vita in mondo senzafrontiere e nel nuovo sistema di potere politico, economico e sociale.

Una sorta di “catalogo dei valori comuni” dovrebbe indicare la strada perrealizzare tanti compiti nel processo educativo della gioventù. Il catalogo è fon-damentale per la collaborazione e i rapporti internazionali e viene stabilito dallepersone e dai cittadini di tutte le nazioni. Tutti devono capire il significato diparole come libertà, pace, democrazia, rispetto dei diritti umani, autorità dellalegge, benessere e solidarietà. Sono parole legate tra loro e indicano lo stile e ilmodo di comportarsi di ogni singola persona che deve rispettare le regole perpoter fare scelte tra quelle giuste e buone e tra quelle sbagliate e cattive. La cono-scenza e il rispetto di questo catalogo, universale per tutti i paesi, faciliterà il mododi vivere per tutti e permetterà la costruzione della nuova visione della futuraEuropa.

Per quanto riguarda l’Istruzione polacca nella scuola superiore, a partire dasettembre 2002, andrà in vigore un nuovo sistema di organizzazione. Vogliamo chela nuova rete scolastica corrisponda al fabbisogno del mercato del lavoro, alle effet-tive aspettative di alunni e genitori. È indispensabile la moderna formazione di basenei profili professionali. C’è la necessità di migliorare la qualità della formazioneattraverso i seguenti punti:

• preparazione all’esame di maturità e a quello di idoneità all’Università;• servirsi delle lingue straniere;• saper bene utilizzare il computer;• saper essere imprenditore e professionalmente dinamico nel mercato econo-

mico;• avere capacità pratiche nelle diverse professioni in accordo con le esigenze

dei datori di lavoro.

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Tendere al miglioramento della qualità della formazione è uno dei più impor-tanti scopi strategici per lo sviluppo della nostra regione. Diffondere l’istruzionesecondaria superiore potrebbe garantire, per almeno l’80% dei giovani, l’ educa-zione con la maturità.

Le finalità della riforma scolastica devono passare per una presa in conside-razione delle esigenze del nuovo mercato del lavoro, dei cambiamenti demograficie delle condizioni dell’economia. Oggi i giovani culturalmente preparati che vo-gliono subito intraprendere la carriera professionale non sono in grado di farloperché il mercato del lavoro richiede altre competenze. Il nuovo processo educativoprevede la formazione pratica delle capacità idonee alle esigenze del nuovo mercatodel lavoro polacco ed estero. Per realizzare questo processo è necessario abbando-nare i vecchi stereotipi sul modo di pensare e di fare. In più bisogna inculcare neigiovani l’arte del sapersi arrangiare in qualsiasi situazione. Sicuramente il mercatoglobale del lavoro comporta per i docenti nuove sfide. Per il cambiamento educativovalidi aiuti potranno essere la collaborazione internazionale realizzata sui piani discambi culturali fra i ragazzi, scambi di esperienze fra maestri e professori e utilizzodi metodologie pratiche.

Compito della scuola è quello di realizzare le aspettative della popolazionepolacca anche all’estero in modo da rendere visibili gli effetti. Da questo dipenderàla preparazione dei ragazzi per la vita e nel mondo. Le odierne trasformazioni, losviluppo dei processi dinamici in Europa sono spesso tradotte come tendenze allosviluppo economico, al miglioramento del lavoro e delle condizioni di vita e allaformazione della comunità civile.

La tendenza al cambiamento non significa che in Europa ci sarà unadifferenziazione sotto l’aspetto delle possibilità di sviluppo. Attualmente ci sono esicuramente ci saranno grandi differenze tra le varie regioni. Nel mondo reale nonavviene il passaggio perfetto della merce e dei fattori della produzione. Si può direche il mercato non è uno strumento perfetto per lo sviluppo omogeneo. Con l’avan-zato processo di integrazione e globalizzazione, usufruiranno di più le regioni eco-nomicamente avanzate; ciò potrebbe creare grandi disuguaglianze ed è per questoche noi dobbiamo cercare di livellare le sproporzioni. A tal proposito su ogni ordi-ne amministrativo in Polonia si sta lavorando per diminuire le differenze fra le re-gioni e velocizzare lo sviluppo dei territori meno abbienti. Un ruolo importanteassumono i fattori locali e regionali che scoraggiano o incoraggiano gli investitori.La concorrenza costringe a modernizzare le imprese e a sfruttare nel miglior modopossibile le risorse. Il distretto di Klodzko ha molte risorse che dovranno esseremeglio sfruttate per ottenere lo sviluppo presente e futuro. Tutte queste attivitàdevono avvenire in accordo con le politiche del governo e la tutela della nostraeconomia. Il gravoso impegno pesa sulla responsabilità politica di noi amministra-tori locali e di governo. Dipenderà da noi assolvere i compiti per non deludere leaspettative dei giovani: tra queste, far capire che soprattutto nel loro paese hannovalide opportunità. Il nostro sviluppo è condizionato anche dalla possibilità di po-ter usufruire della collaborazione degli altri paesi europei. Questa è una grande

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sfida per l’attuale e prossimo governo. La collaborazione con altri paesi è subordi-nata ai concreti bisogni di ciascuno e continua sulla reciproca collaborazione chefaciliterà l’adattamento dei nostri cittadini al nuovo modo di vita. I contatti inter-nazionali devono aiutare i giovani ad essere attivi anche fuori del loro paese. Invirtù di ciò per loro sarà possibile conoscere gente nuova, altre tradizioni, culture,usanze, allacciare nuove amicizie, incrementare l’uso delle lingue straniere. È moltoimportante, infine, inculcare nei ragazzi il rispetto della diversità e far comprendereche ciascuno di noi nel proprio paese è responsabile del suo comportamento digni-toso nei confronti degli altri. I momenti privilegiati per attuare questi insegnamentisono gli scambi culturali da noi organizzati e quello che con la Provincia di Foggiane è una testimonianza.

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Le aspettative e i bisogni dei giovani di Foggiadi Pierino Amicarelli

I giovani costituiscono la risorsa sulla quale puntare ed è dai loro bisogni edalle loro aspettative che dovremmo partire per provare a dare loro un paio di aliproprio come quelle del gabbiano Jonathan di Richard Bach, protagonista di unlibro diventato il best seller del secolo in tutto il mondo, e amato soprattutto dagiovani e giovanissimi, per via delle sue avventure di libertà e di amicizia. Tutti gliincontri cominciano con le presentazioni ed allora proveremo a raccontarvi qualè la situazione dei ragazzi in provincia di Foggia: lo faremo con dovizia di dati,cifre, statistiche per tentare di scattare una fotografia quando più possibile fedele.La nostra area territoriale per estensione è la terza provincia d’Italia, con oltre7170 Kmq e una popolazione che supera le 676 mila presenze: i giovani di etàcompresa tra i 20 e i 29 anni sono 108556 mila e convivono due fenomeni in com-pleta antitesi che si riflettono anche sulle opportunità a disposizione della comu-nità. I due fenomeni in questione sono quelli dell’espansione e dello spopolamento.Qualche altro particolare può aiutare a comprendere meglio di cosa stiamo par-lando: l’area di espansione è circoscritta dalla parte sud est della provincia, pre-senta una superficie territoriale che supera i 2000 Kmq, la popolazione comples-siva si aggira intorno ai 260500 abitanti ossia il 37,4% della popolazione provin-ciale, l’area di spopolamento localizzata nella parte nord ovest della provincia hauna superficie territoriale inferiore ai 1500 Km e in questa area attualmente risie-de una popolazione di circa 53000 abitanti. Secondo l’ultimo censimento l’indi-catore relativo al livello di invecchiamento è passato da valori minimi inferiori al7% a valori massimi che superano il 36% . Il rapporto anziani-bambini è tale percui nella zona di spopolamento ci sono 72 anziani per ogni bambino con meno di5 anni e scende a 63 anziani nelle zone di espansione. A fronte di questa classifica-zione demografica nelle aree cosiddette di ‘spopolamento’ resta forte il problemadella disoccupazione.

Nella città capoluogo si registra un tasso di disoccupazione pari al 29% , ladisoccupazione giovanile sale sino a sfiorare il tasso del 59% ed è destinato a saliresino al 69% quando si parla della disoccupazione femminile. La situazione estesaall’intera provincia non cambia di molto, anzi, in alcune zone di spopolamentoprecipita di molto e l’andamento investe tutti i settori della produzione, da quellaeconomica che perde circa il 9% degli occupati a quella agricola che subisce unaflessione di circa 3000 unità.

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La statistica è destinata a peggiorare se si pensa al drammatico e prolungatoproblema di siccità che stiamo subendo in questi ultimi anni. Non è ancora supera-to del tutto, quindi, il ricorso all’emigrazione verso il nord Italia e all’estero e que-sta è una abitudine consolidata negli anni del dopoguerra, una necessità che si offri-va come unica alternativa ad un contesto in lento recupero. Oggi sono soprattuttole professionalità a partire, le intelligenze formate nelle nostre Università: quelladella formazione, infatti, è una nota di eccellenza nella nostra provincia che ha rag-giunto risultati apprezzabili facendo ricorso ai programmi comunitari dell’UnioneEuropea. Ottimo anche lo sviluppo dell’Ateneo foggiano che da qualche anno haottenuto l’autonomia didattica e amministrativa dal capoluogo di regione, varie equalificate le proposte formative che vanno dalla facoltà di Agraria a quella di Eco-nomia da Giurisprudenza a Medicina e Chirurgia sino ad arrivare alla recentissimalaurea in Lettere e filosofia. Non manca, dunque, l’occasione di prepararsi in modoadeguato alle sfide del mercato e sono infatti molti i ragazzi decisi a restare in sede.Un’altra bella novità in termini di formazione arriva dalla prestigiosa Università diUrbino, dove la facoltà di sociologia ha stipulato una convenzione con il centro dimedicina sociale degli ospedali di Foggia. Anche la Provincia ha aderito a questainiziativa e presto vedremo nascere il primo laboratorio del mutamento antropolo-gico, una specie di banca dati nazionale che raccoglie studi e ricerche compiute sinoa questo momento sul tema del disagio diffuso. La collaborazione porterà moltigiovani studenti a lunghe trasferte nella nostra città e in quella di Urbino e anchequesta convenzione è il segno di un fermento e di una vivacità che anima i giovani,desiderosi di qualificarsi e di ritagliare un proprio spazio nei vari campi professio-nali. Malgrado ciò, tuttavia, non si arresta il fenomeno della “fuga intellettuale”.

Lo scorso anno i ragazzi hanno risposto in modo sorprendente all’opportu-nità di partecipare ai corsi di subfornitura organizzati dalla Provincia di Foggiaspecializzandosi in settori che producono beni e servizi utili all’indotto di aziende eattività di prossimo insediamento nelle nostre aree industriali e, grazie a programmidi sviluppo concertati, hanno acquisito specializzazioni nel settore del legno e deltessile partecipando con entusiasmo a stage nelle aziende del nord est d’Italia, Èsorprendente vedere ogni giorno il flusso di ragazzi che chiedono informazioni ainostri sportelli, è bello vedere la loro determinazione che li spinge ad andare fino infondo con il desiderio di farcela da soli, mettendo sul tappeto tantissime idee nonsoltanto sul lavoro.

Non è un caso, dunque, se parte proprio dalla Capitanata il primo patto ter-ritoriale per il sociale promosso dall’assessorato alle politiche sociali della Provin-cia di Foggia, per concordare proposte e risposte ai bisogni della popolazione. Inostri giovani hanno avuto anche l’occasione di provare, di toccare con mano realtàpiù evolute proprio nel settore del sociale e moltissime sono le richieste di ragazzi eragazze attivi nel settore del no-profit che hanno svolto stage di lavoro proprionelle cooperative sociali più consolidate del nostro Paese. Giovani imprenditoridell’economia no-profit hanno risposto con entusiasmo mettendo in discussione leproprie idee e al loro ritorno in tanti hanno avviato attività e progetti facendo teso-

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ro di quanto imparato nel nord dell’Italia. In questa direzione sta lavorando anchel’Osservatorio sulle qualità dei servizi e delle politiche sociali istituito dalla Provin-cia di Foggia circa un anno fa e il primo passo è stato quello di leggere e analizzarela mappa dei bisogni della popolazione, praticamente proprio quello che vogliamofare con questa iniziativa di partenariato con un bacino di riferimento geograficomolto più ampio e di respiro internazionale. Sono tante le sfumature da valutarequando si parla di una categoria come quella dei giovani e allora l’aspettativa deiragazzi passa anche attraverso il tempo libero, momento di aggregazione e disocializzazione con obiettivi e compiti ben precisi da potenziare. Le offerte dellosport garantiscono un ventaglio di alternative già ben nutrito, dall’atletica leggera aigiochi di squadra classici come il calcio, il basket e la palla a volo. Sono oltre qua-ranta i piccoli impianti sportivi che questo ente ha consegnato lo scorso mese diagosto con un occhio di riguardo proprio agli sport minori e lusinghiere sono statele affermazioni degli atleti della nostra provincia che si stanno affermando a livellonazionale ed internazionale. Incoraggianti sono anche i risultati raggiunti nel cam-po artistico-espressivo, particolarmente vivace per la presenza di gruppi musicaliche si esibiscono in manifestazioni di piazza o nei principali luoghi di ritrovo deigiovani. Sono tutti aspetti che vogliamo sostenere come amministrazione: tra letante ipotesi al vaglio, inoltre, c’è anche quella di un percorso teatrale nelle scuolesuperiori che porterebbe a un ulteriore gemellaggio con la provincia di Pesaro eUrbino.

Ai giovani non manca la capacità di elaborare proposte: i ragazzi hanno mol-te idee in cantiere per soddisfare le proprie esigenze e ne hanno dato ampia dimo-strazione la scorsa primavera quando nell’aula consiliare di questo palazzo si è riu-nito il ‘Parlamento dei ragazzi’, l’iniziativa promossa da Amnesty Internationalcon il patrocinio della Provincia di Foggia che ha visto impegnati 63 tra deputati esenatori eletti nelle scuole medie superiori con relativa adozione delle loro ‘delibere’.Dimostrando solida capacità progettuale, i giovani delegati hanno saputo dibatteresu temi di grande attualità, dalla fame delle popolazioni dei paesi più poveri allanecessità di costruire spazi ludico-ricreativi per i più piccoli, dallo sfruttamentosessuale di donne e bambini al bisogno di comunicazione tra le nuove generazioni.Per tutte queste ragioni siamo convinti che l’esperienza di parteneriato, che oggi èqualcosa di più di una semplice inaugurazione o di una pur vera stretta di mano,possa servire ai nostri giovani e alle nostre intelligenze a crescere procedendo nelsolco del cambiamento.

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Welfaredi Raymond Pobgee

Il mio intervento prende le mosse da un trinomio fondamentale per l’econo-mia e il progresso, convinto come sono che senza istruzione, sanità e servizi socialinon c’è futuro per nessun gruppo o nazione. Ora è stato stabilito a Peterboroughche le due maggiori aree del budget sono in primo luogo quella dell’istruzione e insecondo luogo quella dei servizi sociali. In un budget di più di 200.000.000 di ster-line, l’istruzione prende all’incirca 87 milioni. Proprio per il grosso interesse asso-ciato a tali questioni, è stato condotto uno studio da altre città simili a Peterborough,per vedere di trovare il rimedio adatto a risolvere i problemi particolarmente con-nessi ai servizi sociali.

Per quanto riguarda l’istruzione, gli ultimi anni hanno visto significativi cam-biamenti nel modo di avvicinarsi ad essa. L’intero sistema è stato adeguato alledirettive impartite alle scuole a livello nazionale. Tutta una serie di prove, a cui sonosottoposti i ragazzi, costituiscono le tappe della loro istruzione. Le scuole sono poiclassificate sia localmente sia a livello nazionale secondo un sistema a scala. Di con-seguenza, secondo il punto di vista di Peterborough, appare chiaro che le fontidell’istruzione migliorano continuamente. Questo è un fattore positivo per i giova-ni. Anche a Peterborough stiamo fondando una nuova Università, il che è un passoin avanti significativo per raggiungere l’obiettivo che anche gli altri colleghi delpartenariato intendono perseguire: mantenere nella propria città le intelligenze dicui tanto andiamo fieri.

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Le politiche a favore del Welfaredi Chris Town

La nostra organizzazione si compone di due sistemi. Uno fornisce serviziospedalieri e l’altro, il servizio sanitario di base, gestisce tutti gli altri servizi chesono forniti dalla sanità, ma non come parte del suo sistema ospedaliero.

La nostra responsabilità, come servizio sanitario di base, è essenzialmentequella di usare tutte le risorse disponibili per promuovere la salute dei residenti diPeterborough. Per dare un’idea di quanto denaro sia coinvolto nella stessaPeterborough, noi spendiamo circa 150.000.000 di sterline all’anno in servizi sani-tari per una popolazione di 160.000 abitanti.

La nostra responsabilità, inoltre, è assicurare che i servizi sanitari non fornitinegli ospedali siano di una qualità molto alta. A tal proposito, abbiamo nuovi rego-lamenti e disposizioni che ci permettono di stabilire gli standard a cui le personeche offrono quei servizi devono conformarsi. Questa è ancora un’altra innovazionenel sistema inglese.

Inoltre, siamo responsabili della gestione di alcuni servizi e lavoriamo con idottori locali e i pazienti nella comunità. Nel nostro budget sono incluse le cureospedaliere offerte dai nostri ospedali locali.

Infine - e questa è la cosa più importante per oggi - una nuova responsabilitàè quella di lavorare a stretto contatto con i nostri colleghi del consiglio comunaleper garantire che le richieste sui servizi da parte dei pazienti della comunità sianosoddisfatte da entrambi gli enti in maniera simile.

In Peterborough abbiamo due grandi ospedali: l’obiettivo è quello di fornireun servizio ospedaliero completamente moderno in grado di fornire tutta una gam-ma di apparecchiature mediche e chirurgiche alla popolazione di Peterborough.

Attualmente quei due ospedali operano producendo una significativaduplicazione, nonché uno spreco di fatica. Ad appoggiare il nuovo ospedale ci saràuna serie di piccole unità, che forniranno servizi diagnostici, terapeutici e alcuni tipidi ricovero. Noi abbiamo anche una questione importante riguardante il modo ditrattare persone con problemi di malattia mentale. Queste persone non sono piùricoverate in ospedale, ma curate, di fatto, completamente nella comunità.

Impieghiamo anche infermiere, medici di famiglia, che sono i dottori dellasanità di base, dentisti, farmacisti, optometristi od ottici.

Ciò che stiamo tentando di fare è fermare il flusso delle persone che vanno inospedale. Il sistema inglese e il sistema britannico, per molti anni hanno fatto gran-

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de affidamento sugli ospedali, ritenendoli il posto principale per ricevere cure. Noiora stiamo cercando di rovesciare quella tendenza e di curare il maggior numero dipersone nelle loro rispettive case.

Per questo vogliamo impedire che le persone vadano negli ospedali, in primoluogo in quei casi in cui ciò non sarebbe appropriato. Noi abbiamo una vasta popo-lazione di ultra-ottantenni che richiedono cure massicce nella comunità e in ospe-dale. Per questo motivo stiamo investendo grosse quantità di denaro nello sviluppodei nostri servizi, insieme con i nostri colleghi che forniscono assistenza sociale.

Abbiamo anche molti pazienti che sono stati ricoverati in ospedale abba-stanza appropriatamente, ma che poi non possono essere dimessi e spesso restanoin ospedale per lunghi periodi di tempo, perché non siamo stati in grado di svilup-pare appropriati servizi di riabilitazione. Queste unità sono inadatte a garantireloro di essere dimessi. Noi stiamo perciò investendo grandi somme di denaro persviluppare quei servizi.

Tuttavia continuiamo ad avere grossi problemi nel reclutare personale quali-ficato nel Servizio Sanitario Nazionale Britannico e, infatti, abbiamo molti postivacanti per professionisti.

Il nostro budget per i medicinali sta aumentando dell’11% all’anno, mentrenormalmente l’inflazione nel nostro paese e nelle zone limitrofe si aggira al 30%.Così una significativa crescita è in atto. Stiamo tentando di sviluppare dei sistemi inmaniera tale che tutti, indipendentemente dal luogo di provenienza o dalla possibi-lità economica, abbiano accesso all’assistenza. Questa è un’altra sfida che stiamoaffrontando.

A proposito della collaborazione con il consiglio di Peterborough, essa devemigliorare proprio nei servizi sanitari e sociali. Intendiamo sviluppare uncoinvolgimento di tutti i servizi degli enti locali e del settore del volontariato. Eall’interno del sistema britannico c’è un vasto settore del volontariato che fornisceun sistema di servizi a tutti i gruppi di pazienti con cui abbiamo bisogno di lavora-re. Stiamo attualmente sviluppando dei meccanismi per accedere alle informazionifornite da entrambi i servizi. C’è, però, un aspetto che quadra poco. Credo che tuttinoi abbiamo avuto la sensazione che in passato i servizi abbiano concesso ciò cheera ritenuto giusto dallo stato e dai professionisti. Ora stiamo lavorando sodo peressere coinvolti con i pazienti. Stiamo iniziando a sviluppare sistemi che ci permet-tono di condividere informazioni: visitiamo più direttamente i pazienti e i clientinella comunità ma stiamo valutando anche i loro bisogni attraverso il punto di vistadell’organizzazione deputata alla loro soddisfazione. Allo stesso tempo stiamo ini-ziando a mettere insieme un budget, così il denaro degli enti locali e il denaro delservizio sanitario nazionale sono messi in un fondo d’investimento comune perl’acquisto di servizi.

Stiamo anche guardando a nuovi modi di fornire quei servizi a mano a manoche il numero delle persone pronte a riceverli aumenta. Stiamo attivamente pro-muovendo la rimozione di tutte le barriere, soprattutto amministrative, che esisto-no dagli ultimi cinquant’anni. Abbiamo istituito un comitato associativo che ha

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rappresentanti sia nel direttivo sia nei consiglieri del consiglio di Peterborough eche comprende ancora membri non esecutivi di entrambe le organizzazioni, ovve-ro i comitati ospedalieri, i comitati del servizio sanitario di base ed i comitati dellasalute mentale.

Attualmente abbiamo tre programmi che sono funzionanti, quello per i ra-gazzi, per gli adulti con problemi mentali e, infine, i servizi per gli anziani. Poi, cistiamo rivolgendo ad un terzo gruppo che sta cercando di promuovere una salutemigliore, sta cercando di identificare le cause della cattiva salute nella nostra città esta provando a sconfiggerle.

Così per la prima volta nel sistema britannico, il prossimo anno avremo unanuova organizzazione che fornirà servizi alle persone con problemi di salute men-tale e che riunisce operatori provenienti da entrambe le organizzazioni.

Noi stanzieremo formalmente budget per persone con incapacità di appren-dimento, così i loro servizi possono essere meglio collegati alle necessità intrinse-che piuttosto che alle necessità delle organizzazioni. Abbiamo nominato managerseniores e lavoratori professionisti, affinché lavorino insieme nella comunità. E loroguideranno questi nuovi supplementi ai servizi. Alcune iniziative di finanziamentodel Governo nazionale, vale a dire ‘sure start’ (inizio sicuro) e ‘communities thatcare’ (comunità che hanno cura) sono già in dirittura d’arrivo. Si tratta di iniziativecentrali che uniscono le popolazioni locali e le organizzazioni strategiche per svi-luppare servizi nuovi e moderni. Così noi abbiamo un’agenda piena di sfide.

Credo che il sistema britannico abbia avuto un Servizio Sanitario Nazionalebuono per più di 50 anni. Tuttavia abbiamo capito che ci sono compiti che nonsvolgiamo bene come potremmo: c’è stata duplicazione ed in alcuni casi competi-zione tra il Servizio Sanitario Nazionale e i servizi dei governi locali. Per questomotivo stiamo cercando di correggere tali errori e speriamo di procedere con unservizio completamente integrato.

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Le politiche del Welfaredi Barbara Janowicz

Tra i numerosi problemi della nostra terra intendo soffermarmi in particola-re sul comparto dell’istruzione e della sanità.

I cambiamenti dell’organizzazione del sistema scolastico sono evidenti: ab-biamo licei di tre anni con vari indirizzi, le scuole professionali che completano ilcorso di studi in due anni, gli istituti tecnici della durata di quattro anni e le scuolecomplementari di due anni. Scopo della riforma sta nel cambiamento della coscien-za degli insegnanti e nella necessità dell’istruzione continua. Ci sono determinatilivelli dell’istruzione e gli insegnanti devono studiare e aggiornarsi di continuo. Perquanto riguarda la sanità, occorre fare un piccolo preambolo storico per far vederecome era il comparto prima della riforma. Fino al 1998 la Polonia era uno dei pochipaesi nell’Europa in cui negli stessi ospedali si curavano pazienti che avevano biso-gno di cure intensive o a medio termine. Non esisteva in Polonia il medico di fami-glia, il medico del primo contatto e per questo i pazienti erano legati ad una istitu-zione (o un ospedale) vicino al luogo di abitazione. Da tre anni è stata introdotta lariforma della sanità: sono state create sedici “casse dei pazienti”, quattro ospedalielementari e un ospedale specialistico.

Dopo la riforma amministrativa dello Stato, l’assistenza sociale sul territoriodel distretto è realizzata dal Centro dell’Assistenza delle Famiglie che sostiene iportatori di handicap, gli anziani e gli orfani. All’interno vi lavorano psicologi,psicoterapeuti, assistenti sociali e coordinatori di profilassi delle tossicodipendenze.Con i mezzi finanziari previsti per l’assistenza abbiamo aperto anche le case dell’as-sistenza sociale ma miriamo ad eliminare le grandi case dei bambini e creare le casefamiliari (o famiglie sostitutive). Naturalmente miriamo a migliorare il nostro pa-trimonio sociale e per far questo riteniamo utili le esperienze di scambio e i tavoli diconfronto. Per noi polacchi è una possibilità importante e un treno da non perdere.Stiamo trasformando il nostro paese e per questo non vorremmo fare gli stessi er-rori del passato.

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Le politiche attuate dalla Provinciadi Foggia a favore del welfare

di Giuseppe D’Urso

Il mio intervento parte da due constatazioni: la prima è che il ruolo delleistituzioni pubbliche nel nostro paese e in particolare dell’Ente Locale rispetto aiservizi alla persona sta attraversando una importante fase di ridefinizione; la secon-da è che se vogliamo interrogarci correttamente sulle responsabilità e sugli stru-menti dell’ Ente Locale per quanto riguarda i servizi alla persona non possiamonon prendere atto del più ampio scenario di riferimento costituito dal ruolo delleistituzioni pubbliche e dal rapporto di queste con la società civile e soprattutto delprofondo processo di mutamento che lo ha investito.

Le fasi ed i passaggi di questo processo sono noti e segnati da alcune leggi chea partire dalla L.142/90 hanno ridisegnato il sistema delle autonomie locali del no-stro paese in direzione di una forte valorizzazione dell’ Ente Locale quale perno ditutte le politiche locali e promotore di processi di sviluppo.

Per quanto riguarda la Provincia il percorso di trasformazione dell’ordina-mento delle Autonomie Locali intrapreso con la L.142/90, il processo di trasferi-mento di importanti funzioni amministrative avviato dalle leggi Bassanini, la pro-grammazione comunitaria relativa all’ Agenda 2000, la pongono al centro dei nuoviassetti istituzionali come ente di governo di area vasta e di coordinamento del terri-torio e dello sviluppo locale.

Come è affermato nella nuova formulazione dell’ art. 2 della L.142/90 conte-nuta nella L.265/99: “La Provincia, ente locale intermedio tra Comune e Regione,rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina losviluppo”.

Al pari del Comune l’ente intermedio diviene pienamente soggetto esponen-ziale della collettività di riferimento e garante della risposta ai bisogni della stessa,nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza.

Diversi sono i fattori che tendono a spostare a livello intermedio i processidecisionali e spingono verso la valorizzazione ed il potenziamento delle capacità digoverno dei livelli territoriali intermedi:

• l’ importanza dei fattori d’identità, la valorizzazione dei modelli economicilocali, il consenso partecipante delle parti sociali;

• la qualità nella programmazione dello sviluppo locale che sempre più richie-de di lavorare per progetti integrati, ambientalmente sostenibili, in grado di

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valorizzare e promuovere le risorse locali;• l’intera strumentazione della programmazione negoziata trova il suo perno

di riferimento nella dimensione provinciale;• la stessa legislazione comunitaria spinge in direzione dell’organizzazione delle

realtà locali e ne incentiva lo sviluppo.Il livello intermedio è inoltre essenziale a livello delle tecniche di program-

mazione perché solo realtà istituzionali sovracomunali rendono efficace ed effi-ciente la riorganizzazione dei servizi e la localizzazione delle infrastrutture.

In questa direzione si sono mosse molte delle riforme di settore degli ultimianni, tra queste, per centrare nuovamente il discorso sul tema degli interventi diwelfare, la Legge Quadro di riforma dell’assistenza “Disposizioni per la promozio-ne di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” che, in buona sostanza,ne è l’anticipazione.

Prima di abbandonare il discorso più generale credo sia utile richiamare, informa schematica, le nuove funzioni che oggi competono alla Provincia:

• servizi di area vasta, si tratta di funzioni proprie della Provincia che richiedo-no una gestione organica e sovracomunale, senza per questo essere riferibilialla complessa dimensione regionale;

• programmazione;• coordinamento e promozione dello sviluppo: è un ruolo che le viene espres-

samente riconosciuto in quanto ente esponenziale della “comunità provin-ciale”, ed è emerso man mano dagli sviluppi della programmazione negozia-ta che hanno evidenziato il territorio provinciale come ambito ottimale dellaconcertazione tra i diversi soggetti implicati nei processi di sviluppo locale;

• raccolta dati ed assistenza agli enti locali.I settori di intervento delle Province nell’ordinamento delle Autonomie Locali, sono

quelli principalmente riferibili alle tre macro-aree:• gestione del territorio (pianificazione territoriale e urbanistica, lavori pub-

blici, protezione civile, trasporti);• attività economiche e produttive (commercio, artigianato, industria, turismo);• servizi sociali (tutela della salute, servizi socio-assistenziali, beni ed attività

culturali, istruzione scolastica).Il decreto 112 non individua espressamente l’ente locale destinatario del

conferimento delle funzioni, tale compito spetta alla legislazione regionale.Le Regioni, ad eccezione di quelle funzioni che richiedono l’unitario eserci-

zio a livello regionale, attribuiscono agli enti locali compiti e funzioni amministra-tive secondo le loro dimensioni territoriali, associative ed organizzative, così con-formandosi al principio di sussidiarietà istituzionale, che presuppone, come noto,l’allocazione delle competenze al livello più basso possibile, in considerazione dellanatura della funzione e l’intervento sostitutivo del livello superiore solo in caso diinadempienza dell’ ente naturalmente destinatario delle stesse.

Nel settore dei servizi sociali l’individuazione delle competenze di regioni edenti locali avviene in via residuale, rispetto alle funzioni espressamente riservateallo Stato.

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Ai Comuni, con il concorso delle Province, spetta l’erogazione dei servizi edelle prestazioni sociali, nonché i compiti di progettazione e di erogazione dei ser-vizi sociali, oltre che di promozione e coordinamento operativo dei soggetti cheagiscono in tale ambito, con particolare riguardo al volontariato, la cooperazionesociale, le I.P.A.B.

Per completare il quadro che mi permetterà di entrare nel merito delle azioniconcretamente attivate dalla Provincia di Foggia nell’ambito degli interventi diwelfare, non mi resta che richiamare l’elemento più significativo in rapporto allospecifico oggetto di questa mia comunicazione: la Legge Quadro per la realizzazio-ne del Sistema Integrato di Interventi e Servizi Sociali.

Una legge di portata storica, non solo perché sostituisce finalmente una nor-mativa di più di un secolo fa, ma perché fonda e conferisce autorevolezza al sistemadelle politiche sociali nel nostro paese, aumentando in misura significativa le risorsefinanziarie che lo Stato destina ai servizi sociali (oltre ai finanziamenti legati alleleggi di settore - tossicodipendenza, minori, handicap - le risorse aggiuntive cresco-no di 1.800 miliardi nel triennio 2000-2002), caratterizzandolo come sistema di pro-tezione sociale attiva che si pone l’obiettivo della promozione del benessere e dellacoesione sociale; dunque politiche sociali di aiuto alla normalità della vita delle per-sone e delle famiglie e non solo politiche riparative che intervengono in aiuto dellesituazioni di crisi e disagio.

Ne deriva un sistema di opportunità e prestazioni di tipo universalistico cheallo stesso tempo individua priorità d’accesso per quei cittadini in condizione dimaggiore e più urgente bisogno, indica “standard essenziali”, cioè quei servizi chedevono obbligatoriamente essere presenti su tutto il territorio nazionale, e attraver-so lo strumento del Piano Nazionale Sociale, definisce precisi obiettivi di prioritàsociale.

Gli obiettivi di priorità sociale contenuti nel 1° Piano Sociale 2001-2003 sono:• la valorizzazione e il sostegno alle responsabilità familiari;• il rafforzamento dei diritti dei minori;• il potenziamento degli interventi di contrasto alla povertà;• il sostegno alle persone non autosufficienti, in particolare persone anziane e

persone in condizione di grave disabilità, attraverso servizi domiciliari;• la prevenzione delle dipendenze, in particolare delle tossicodipendenze;• l’ inclusione degli immigrati;• l’ attenzione agli adolescenti.

Con il Piano Sociale la legge quadro introduce un elemento di rottura rispet-to al passato delle politiche sociali nel nostro paese di grande portata: il metododella programmazione, che a livello locale si traduce nella definizione dei Piani diZona .

I piani di zona rappresentano lo strumento strategico attraverso i quali i co-muni associati, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione, possonodisegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali con riferimento agli obiet-tivi strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare.

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Una programmazione sociale intesa come processo partecipato di definizio-ne delle priorità, delle strategie di intervento, degli strumenti attuativi, attraversoun processo condiviso di conoscenza dei bisogni, di integrazione delle risorse, deisaperi, delle competenze, di condivisione e messa in campo delle responsabilità daparte di tutti i soggetti istituzionali e comunitari interessati: gli enti locali, in primoluogo i comuni associati, gli altri soggetti istituzionali, i soggetti del terzo settore,dell’associazionismo e gli enti delle confessioni religiose, le organizzazioni sinda-cali, le associazioni sociali di tutela degli utenti, le Ipap, le fondazioni, le forme diautoaggregazione ed auto e mutuo aiuto degli utenti e delle famiglie.

Lo scenario che si vuole costruire è quello di un sistema di welfare delleresponsabilità, “ovvero di un welfare che può essere definito plurale, perché co-struito e sorretto da responsabilità condivise, in una logica di sistema allargato digoverno”, che se assume a suo fondamento il principio della sussidiarietà allo stessotempo ne dà in maniera netta un’interpretazione in senso solidaristico.

Si tratta, cioè, di un modello di sussidiarietà che non prescinde da una preli-minare e chiara assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni che devonogarantire ai cittadini la soddisfazione dei bisogni, l’accesso ai servizi e la qualitàdegli stessi. Che non vuole assolutamente, e nella maniera più netta - usando leparole della ministra Livia Turco - avallare un sistema di welfare residuale, “in cuilo Stato interviene solo quando e solo laddove la società non ce la fa”.

Credo sia a questo punto chiara la sfida che le nostre istituzioni e in partico-lare gli enti locali hanno di fronte.

Il ruolo che sono chiamati a svolgere è nuovo. Richiede mutamenti fonda-mentali di impostazione e prospettiva soprattutto in termini di capacità strategicadi indirizzo e orientamento, di costruzione del consenso nei confronti del sistemadegli attori locali.

Richiede quello che gli studiosi del settore hanno indicato come “il passaggioda una prospettiva di government, intesa come funzione esclusiva del soggetto pub-blico, ad una prospettiva di governance, intesa come attività di governo svolta at-traverso la mobilitazione di una serie di soggetti per intraprendere azioni e politicheappropriate in contesti dinamici e affollati di attori” (Ugo De Ambrogio, MatteoLo Schiavo, Irs Milano).

È tuttavia questa una tendenza già in atto negli enti locali, sostenuta da quelprocesso di riforma del sistema delle autonomie locali che ho richiamatoschematicamente all’inizio.

La legge quadro, in coerenza con gli orientamenti normativi, non attribuiscealla Provincia compiti gestionali, bensì di monitoraggio, formazione e coordina-mento.

Il primo livello di attribuzione riguarda sostanzialmente quelle che potremmodefinire le funzioni di “osservatorio” e cioè rendere organica la raccolta di dati delterritorio, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, attraverso approfondimentisu specifiche aree di bisogno. È questa evidentemente una funzione strategica che èalla base di tutto il lavoro di programmazione e pianificazione degli interventi.

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La competenza in campo formativo e di aggiornamento professionale deglioperatori sociali appartenenti sia al pubblico che al privato non è nuova per l’enteProvincia, ma va riorganizzata e ridefinita nel nuovo scenario.

La Provincia, infine, partecipa alla definizione e all’attuazione dei piani dizona negli ambiti territoriali decisi dalle Regioni, fornisce supporto agli enti localinella progettazione, consolida e coordina gli interventi territoriali.

Dal quadro generale ne scaturisce una concreta azione politico-amministra-tiva svolta dal nostro Ente nel settore delle politiche sociali.

Il filo rosso che le unisce e le rende organiche ad un unico processo è la vo-lontà di contribuire, mettendo in campo responsabilità, risorse, passione, a volteanche conquistati dal fascino delle “cose difficili”, ad un processo collettivo di ri-cerca, di sperimentazione e realizzazione delle condizioni migliori perché per tuttie prioritariamente per chi oggi vive con più fatica la sua vita, si possano dare oppor-tunità di benessere, di protagonismo, di realizzazione e partecipazione.

Ciò che dà senso al percorso e ritorna sempre è la ricerca del massimocoinvolgimento delle istituzioni e della società civile in tutte le sue articolazioni edespressioni.

Sicuramente in stretta coerenza con i principi che informano la legge quadrosui servizi sociali sono alcune nostre recenti iniziative quali l’istituzione dell’Osser-vatorio Permanente sulla Qualità e le Politiche Sociali, la promozione ed attivazio-ne del Patto Territoriale per il Sociale - “Progetto Sintesi”.

Le due iniziative sono tra loro strettamente collegate.Se obiettivo del Patto Sociale è quello di definire e costruire uno spazio in cui

programmare e pianificare le politiche e gli interventi in campo sociale, attraverso ilconfronto, l’integrazione, la corresponsabilità e la concertazione tra soggetti diver-si, istituzionali e non, per renderle più adeguate alle necessità e ai bisogni dei citta-dini, è evidente che una delle prime esigenze è quella di poter disporre di uno stru-mento che in maniera sistematica raccolga ed elabori la conoscenza derivante dallaraccolta dei dati relativi alle dimensioni e caratteristiche di base della popolazione,alla dotazione dei servizi, strutture ed iniziative attivate dai diversi soggetti - entilocali, Asl, Terzo Settore - nelle diverse aree d’intervento, in modo da poter dispor-re di una base conoscitiva su cui fondare l’intero processo di programmazione.

Uno dei risultati più importanti a cui siamo giunti in questi mesi di lavorotesi a dare concretezza a un’ idea tanto affascinante quanto difficile da perseguirequale quella del Patto Territoriale per il Sociale. Credo sia stato soprattutto l’averlatraghettata dal regno delle belle teorie a quello della pratica possibile. Questo attra-verso un costante ed ostinato lavoro fatto di incontri comune per comune, ammini-stratore per amministratore, operatore per operatore.

Una rete di comunicazioni molto concrete, di contatti diretti, hanno creatoquelle condizioni materiali, una sorta di atmosfera propizia perché fondata sul reci-proco rispetto e riconoscimento in positivo del ruolo e dell’identità sociale, politi-ca, istituzionale di ciascuno, per cui oggi l’obiettivo di una politica sociale ragiona-ta, trasparente, responsabile, capace di esplicitare le proprie opzioni e di darsi stru-

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menti di controllo e verifica, sulla base di un patto tra tutti gli attori coinvolti èpraticabile.

Chiusa la fase della formalizzazione delle adesioni, della definizione dei referentiper ciascun soggetto che partecipa al Patto: i Comuni, le Asl, i Sindacati, le Diocesi, leComunità montane, l’ Università, gli Uffici del Ministero della Giustizia, le Associa-zioni degli utenti, il terzo Settore, con l’insediamento ufficiale dei sei “avoli di zona”avvieremo nel concreto l’azione di programmazione partecipata degli interventi so-ciali e di definizione degli strumenti e delle metodologie di attuazione.

Nell’ immediato pensiamo di porre al centro dell’ azione di concertazione ladefinizione del nuovo Piano territoriale degli interventi a favore dell’infanzia e del-l’adolescenza.

Il nuovo triennio di finanziamenti della legge 285/97 dovrà essere l’occasio-ne per porre seriamente al centro della nostra attenzione la qualità degli interventirealizzati e da realizzare a favore delle bambine e dei bambini, delle ragazze e deiragazzi.

L’esperienza del primo triennio ci ha permesso di progettare e realizzare in-terventi estesi a tutti i comuni della provincia. Il nuovo piano dovrà partire da unattento monitoraggio dell’ esistente ed affrontare alcune problematiche urgenti ri-maste purtroppo scoperte nel precedente triennio.

Penso alla deistituzionalizzazione dei minori - negli istituti della provinciane sono ricoverati un centinaio – e quindi all’attivazione non solo di strutture d’ac-coglienza di tipo familiare, ma di una rete integrata di servizi di sostegno alle fami-glie e ai genitori nei loro compiti educativi e di sostegno e sviluppo dell’ affidofamiliare - è in corso ad opera dell’Osservatorio un monitoraggio sull’ attuazionedella legge 184/83 nei comuni della provincia.

Penso alla scarsità di strutture d’accoglienza e di supporto socio-educativoper l’area della devianza minorile - i dati recenti sulle denunce di minorenni allaProcura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bari per la nostraprovincia non sono affatto tranquillizzanti- da attivare soprattutto nei grandi cen-tri della provincia; ma anche a progetti di promozione dei diritti e della partecipa-zione dei bambini e degli adolescenti alla vita sociale, politica, amministrativa dellenostre comunità; alla progettazione e realizzazione con i bambini, con gli stessiragazzi, di spazi per giocare, incontrarsi, fare cultura.

Ancora è urgente avviare la progettazione e realizzazione di servizi a rete diprevenzione, contrasto, e trattamento per quanto riguarda le problematiche di abu-so e maltrattamento a danno dei minori.

Con la ripresa del corso di formazione ed aggiornamento per gli operatoriimpegnati negli interventi a favore di minori, promosso e realizzato dalla Provin-cia, si realizzerà, a partire alla fine di gennaio 2002, un corso di formazione di baseper operatori della rete territoriale dei servizi per l’abuso e il maltrattamento (servi-zi sociali dei comuni, consultori Asl, reparti ospedalieri, strutture di accoglienzadel privato sociale, ufficio minori della Questura, Prefettura) e un corso paralleloper il personale delle scuole.

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Il corso, condotto da operatori specializzati del Centro per il Bambino Mal-trattato di Milano, vuole essere una base da cui partire per poter attivare in ciascunazona una rete di servizi ed interventi nel settore, coordinati a livello provinciale esupportati da un sistema territoriale di monitoraggio e analisi del fenomeno.

Un’altra area d’intervento su cui abbiamo inteso intervenire sempre nell’ot-tica di creare le condizioni di sistema per facilitare l’integrazione e le connessionitra servizi, strutture ed interventi in modo da poter poi veramente, nel concretodell’agire, porre al centro la persona che vive un disagio è quella della disabilità.

In collaborazione con il Consorzio per l’Università di Capitanata e l’ Osser-vatorio Provinciale sulla Qualità e le Politiche Sociali attiveremo a breve l’Osserva-torio dell’handicap.

L’osservatorio, che si avvarrà della consulenza e supervisione di due espertidel settore quali Carla Colombo del Consorzio Pisa Ricerche e Gianni Tognonidirettore dell’Istituto Mario Negri Sud, vuole essere uno strumento di servizio eduna risorsa di conoscenze a disposizione dei cittadini disabili e di tutti quei soggettiistituzionali e non partecipi delle problematiche collegate all’handicap.

La stessa prospettiva è alla base dei progetti per la prevenzione e il contrastodei fenomeni di dipendenza da sostanze stupefacenti attivati con i finanziamentidel fondo nazionale di interventi per la lotta alla droga (Agenzia giovani Dioniso,Prometeo e Seneca) dove ancora l’attenzione e l’impegno è verso la messa in retedelle risorse, l’integrazione degli interventi, il coinvolgimento delle realtà istituzio-nale e della società civile, la centralità della conoscenza, del monitoraggio e dellavalutazione partecipata delle attività messe in campo.

Alla lotta contro l’odioso fenomeno della tratta e dello sfruttamento sessualedelle donne e dei minori è finalizzato il progetto “Roxana”. Il progetto, sostenutoda un vasto partnerariato costituito da organismi istituzionali, forze sociali e terzosettore, è alla sua seconda edizione ed è integrato in una rete regionale e nazionaledi strutture ed organismi attivi nel settore.

Mi pare importante evidenziare come al progetto “Roxana” si sia giunti attra-verso l’esperienza realizzata nel precedente “Progetto Occupazione Integra Xenia”attivato con finanziamenti del Fondo sociale Europeo e cofinanziato dalla Provincia.Da questa esperienza è sorta la cooperativa Xenia che oggi gestisce il progetto ed èpunto di riferimento degli interventi attuati nel settore dell’immigrazione.

A livello territoriale è attiva una rete si servizi e interventi che va dall’inter-vento di strada all’attività di informazione, consulenza, assistenza sociale e sanita-ria, all’attivazione di percorsi di fuoriuscita dallo sfruttamento sessuale tramite per-corsi di assistenza e di protezione, di inserimento socio-lavorativo. È attiva unalinea telefonica di pronto aiuto e accoglienza.

Nell’ottica delle politiche sociali s’inserisce il gemellaggio Foggia-Modena,esperienza partita dal basso, dalle realtà della cooperazione sociale e del volontariatodelle due province e dalla quale si sono progressivamente sviluppate iniziative supiù fronti: l’educazione interculturale, la finanza etica e il sostegno a progetti disviluppo nei paesi poveri del sud del mondo, la cooperazione sociale.

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Le idee maturate in seguito a tutta una serie di contatti attivati, di incontrirealizzati, seminari di studio, in particolare quelli relativi alle questioni dell’intercultura,del microcredito, della finanza etica, gli interventi di Riccardo Petrella, fondatore delClub di Lisbona, qui a Foggia, hanno dato impulso a originali percorsi di progetta-zione e sperimentazione in un settore centrale non solo per le politiche di welfare, maper la realizzazione di uno sviluppo globale non subordinato alla mera logica delmercato e centrato sulla persona, che è quello dell’economia sociale.

Alcuni passaggi significativi di questo percorso sono quelli legati alla ricercadi strumenti e mezzi per sostenere lo sviluppo dell’impresa sociale nel nostro terri-torio e che oggi, con la costituzione del Centro Servizi per il Terzo Settore e l’atti-vazione di un “Fondo di Garanzia” a sostegno dell’impresa sociale che vede insie-me l’ Amministrazione Provinciale, i principali comuni della provincia e Banca Eti-ca ci ha permesso di cogliere un risultato di grande rilievo quale la candidatura afinanziamento nell’ ambito del “P.I.C. Equal” dell’iniziativa “Clips capitale socia-le” per imprese di promozione locale e la sua ammissione a finanziamento in basealla preliminare valutazione effettuata dalla Regione Puglia.

La consapevolezza di dover pensare e di conseguenza agire come soggettodinamico, capace di promuovere lo sviluppo sociale delle nostre comunità, ci hareso estremamente attenti alla dimensione europea delle politiche sociali. Voglioricordare tra le altre iniziative l’organizzazione di momenti formativi e di diffusio-ne delle conoscenze in merito, come i Workshop sulle politiche giovanili e socialidell’ Unione Europea svoltisi nei comuni di Manfredonia, Lucera e San GiovanniRotondo lo scorso anno, che hanno avuto un successo in termini di partecipazionedavvero inaspettato; la partecipazione ai programmi di iniziativa comunitaria sulletematiche dell’inclusione sociale e della cooperazione – “Nascent”, “Interreg III”,programma, quest’ultimo, di prossima attuazione che ci vede svolgere un’impor-tante funzione di coordinamento.

Come Provincia di Foggia abbiamo sempre voluto riservare attenzione a fa-vore e sostegno dell’impegno per la pace, la solidarietà e la giustizia tra i popoli,promuovendo iniziative di del dialogo, della conoscenza e del reciproco rispettofra persone, culture, civiltà diverse, per battere ogni forma di razzismo ed intolle-ranza.

Concludo questo mio intervento ricordando un vecchio proverbio nordafri-cano: le mani che piantano non muoiono mai.

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Culturadi Khalifa Djebeniani

Sono contento di presiedere il forum nella parte relativa alla cultura, che oggici consente di riunire delegazioni di paesi differenti, dal punto di vista della lingua edella religione, al fine di discutere su argomenti quali la globalizzazione, lamondializzazione e i problemi dei giovani. Sono convinto che ogni intervento diquesta seduta abbia espresso un concetto che partecipi in maniera esauriente allacreazione della definizione della nostra identità entro gli spazi geografici, umani esociologici che sostengono bene la cultura e che sono prodotti da una mescolanzaculturale che rimonta a tempi lontani. Il mio paese, la Tunisia, è stata terra didominio ma anche terra di cultura ed è stata forgiata nel tempo attraverso l’incon-tro tra le civiltà che si sono avvicendate, Fenici, Cartaginesi e arabo-musulmani. Èstato riconosciuto che i tunisini hanno saputo digerire, assimilare e rendere agevolimettendoli anche in pratica, quei valori d’apertura, di dialogo, di tolleranza e dilibertà. La consapevolezza e la fede di questi valori, di questo patrimonio così caroche si è consolidato in Tunisia dopo il cambiamento del 1987, impegnerà il miopaese in un genere nuovo che verrà utilizzato nel suo risvolto essenzialmente cultu-rale, secondo l’affermazione stessa del Presidente della Tunisia, autore di questocambiamento. Un vasto progetto che attraverso l’educazione ha dato la possibilitàreale a un gran numero di persone di accedere all’arte, alla cultura e a tutte quellequestioni che abbiano fini sociali. Dunque, sin dall’inizio è sembrato evidente chel’essenzialità degli sforzi di questo cambiamento dessero la possibilità alla societàdi confrontarsi con un patrimonio storico. “Le cose cambieranno all’inizio nel cuoree negli spiriti” scriveva Gabriele D’Annunzio. Ed è così che questa rivoluzioneportò a ristabilire uno spirito nazionale e civile nonché a conferire fiducia nell’av-venire dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La cultura deve essere conside-rata come una sorta di propaganda, un pretesto politico, per divenire avanguardiadi cambiamento. Nella Tunisia attuale, la volontà politica si accompagna così in unmodo effettivo a una volontà culturale e pertinente. Quando per esempio, si evocala classe privilegiata della donna nella società tunisina, si parla di evoluzione culturale.Quando si parla di solidarietà, si tratta di assimilare una nuova cultura nazionale,quando si parla dell’allargamento sui rilevamenti economici parliamo ormai di que-stioni eminentemente culturali. Inoltre, le questioni della relazione tra Stato e religio-ne sono ridotte anch’esse alla dimensione culturale dei paesi. Lo stesso sviluppo delturismo, e i nostri amici italiani ne sanno qualcosa, ha il suo riflesso culturale. La

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Tunisia moderna ha realizzato la cultura come un’arte maggiore. Il raddoppiamentodel bilancio a suo favore, la copertura sociale offerta ai creatori della cultura, vale adire agli artisti, è un incoraggiamento materiale alla produzione nazionale oltre adessere un segnale di garanzia e di libertà della cultura. Così ogni estate la Tunisia daCartagine a Hammameth passando per il deserto, si trasforma in una vasta zona cheaccoglie festival e teatri, canti di musica jazz, musica classica, cinema, diventando unpunto di incontro, di culture diverse di civiltà differenti come pure di nazionalitàdiverse. È l’occasione per assistere alla stagione cinematografica di Cartagine, dove ilcinema tunisino anche se non produce molto, è il più originale, di certo più coraggio-so del cinema arabo perché i film trattano in modo eccellente anche soggetti tabù. Dapoco c’è anche la possibilità di assistere alla stagione teatrale di Cartagine. È benesapere che il teatro tunisino si differenzia ed è all’avanguardia nell’ambito del teatroafricano e del mondo arabo. Questo paese, insomma, resta fedele al suo patrimonio ealle sue radici fondandosi sulla cultura della libertà che domina la finalità supremadella politica in Tunisia. Per questo motivo concludo rifacendomi allo scrittore italia-no Salvatore Lombardi: “Quest’arte maggiore è soprattutto unita per dimensioneconcreta multidimensionale, dimensione legislativa e istituzionale. Tutto è destinatoa rendere irreversibile le scelte culturali, per assicurare l’elemento essenziale per lapropria vita, vale a dire la libertà”.

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Le politiche culturali di Silianadi Mohammed Hedi Jouini

La Tunisia appartiene al mondo Mediterraneo, culla di civiltà moltoprestigiose come pure di grandi religioni. Situata nel cuore del mare essa è semprestata un crocevia di scienza, del sapere e delle arti, un centro che ha cercato di arric-chire la cultura mediterranea e mondiale.

Dal cambiamento del 1987 il Presidente si è preoccupato di fare della cultu-ra uno strumento ideale e ha gettato le basi per edificare il suo progetto politico e disviluppo della Tunisia basato appunto sui valori della libertà, della giustizia e dellatolleranza al fine di concretizzare queste scelte. La Tunisia ha adottato, dunque, unaserie di riforme e di realizzazioni che hanno permesso alla cultura di contribuire adare forza all’espansione dei valori nella società tunisina. La cultura in Tunisia occu-pa una posizione strategica e resta una scelta inevitabile poiché è un elemento diazione contro le tentazioni oscurantiste ed estremiste e contro tutti quegli ostacoliche si sono presentati nelle varie fasi della storia universale, segnati dalla mondia-lizzazione e dalla globalizzazione, al fine di mantenere il settore della cultura eadottare delle misure idonee in modo da adeguarle alle diverse congiunture econo-miche. Un sacrificio notevole è stato quello di dare l’equivalente dell’1% del bilan-cio nazionale a favore della cultura, di impegnare le consultazioni nazionali perfinanziare iniziative e assicurare un inquadramento scientifico e pedagogico del set-tore creando diversi studi superiori (studi di musica, teatrali, di animazione) e dicoprire il territorio tunisino di una rete di biblioteche nazionali per soddisfare ilbisogno culturale. Non ultimo aspetto, quello di dotare le associazioni culturali diun contesto favorevole al livello della produzione e della diffusione. Per questomotivo è stata ideata la giornata internazionale della cultura, che al suo internovanta festival locali e regionali.

Il nostro Paese ha sempre espresso la sua ferma volontà di restare ancorato aldialogo e alla cooperazione e ciò è insito nella natura stessa del Mediterraneo, conla diversità dei suoi popoli, la complementarità della loro cultura e l’interpretazio-ne dei loro interessi: in una parola, polo di civiltà sul mondo circostante. Va inoltresottolineata l’importanza che ha accordato il nostro presidente al dialogo e alla co-municazione tra i popoli del Mediterraneo e del mondo intero per fare di questobacino un angolo di pace e di buon vicinato. Non potremmo concepire il gemellaggiose non in questo senso. Le opportunità culturali nel nostro paese, infatti, fondano leproprie radici nella tradizione del dialogo e della cooperazione culturale poiché è

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stata una scelta inconfutabile della politica del nostro paese soprattutto adesso chel’Italia dà ospitalità a un gran numero di lavoratori tunisini. Pur non essendo possi-bile elencare le differenti manifestazioni di questi scambi culturali, è necessario fareriferimento ad alcuni esempi che riassumono la grande volontà dei due paesi dimettere in evidenza i legami tra di loro e di confrontarsi sul piano culturale. Adesempio, il museo di Tunisi ha attuato l’esposizione intitolata “vestiti per il corpo, ilcorpo per i vestiti”. Questa importante esposizione di ricchezza proveniente daFirenze resta un fatto eccezionale poiché è la prima volta dall’esposizione di Firen-ze del 1938 che tale mostra viene fatta al pubblico al di fuori dell’Italia. La produ-zione culturale italiana che tratta di musica, cinema, è presente nelle grandi manife-stazioni culturali tunisine come il festival di Cartagine e una settimana culturaletunisina è organizzata regolarmente in Italia. La regione di Siliana, che ha firmato ilprotocollo del gemellaggio con la provincia di Foggia, considera che gli scambiculturali e la volontà di costruire rapporti durevoli abbiano come fine quello difavorire il dialogo e gli aiuti comuni tra i nostri popoli, compreso quello britannicoe quello polacco. Per concretizzare questo obiettivo la regione di Siliana non haesitato a moltiplicare le iniziative e creare delle occasioni utili allo scopo affinché lacooperazione risulti fruttuosa per le nostre regioni. Ed è per questa ragione che èutile fare riferimento a questi obiettivi, ovvero raggiungere le prospettive degli scambiculturali tra i dipartimenti gemelli; aumentare i ritmi delle visite delle delegazioniallargando i differenti campi di cooperazione; assicurare scambi regolari d’infor-mazione tra le regioni gemelle; inserire nel calendario annuale gli scambi culturalitra le nostre regioni; incoraggiare il turismo dei giovani; animare un dialogo internoin modo da favorire il turismo d’accoglienza presso le famiglie e, infine, consolidarela collaborazione tra le associazioni culturali, sociali, e sportive delle nostre regioni.È utile segnalare, infine, che la regione di Siliana assegna un posto privilegiato alturismo culturale, perché vi sono dei siti archeologici assai importanti che sono latestimonianza dei passaggi delle diverse civiltà nella regione, basti ricordare il sitodi Zama che è stato teatro della seconda guerra punica tra Annibale e Scipione.

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Le politiche culturali a Peterboroughdi Marco Cereste

A sostegno degli scopi del Ministero della Pubblica Istruzione, tesi ad incre-mentare la promozione dell’inclusione sociale, i servizi educativi della comunitàsono preposti a fornire o a conferire poteri, e quindi ad attivare, un servizioonnicomprensivo per tutti i giovani tra gli 11 e i 25 anni. La maggior parte di voistarà dicendo che chiunque non abbia 25 anni è stato probabilmente tagliato fuori,ma tali sono le regole a cui stiamo lavorando.

Abbiamo fissato un programma che deriva da una struttura pedagogica ditipo curriculare, ponendo particolare attenzione alle nuove attività, sia lavorativesia educative, offerte dai nostri club giovanili e riguardanti il settore dei servizi so-ciali. Vari servizi di consultorio e di orientamento rivolti ai giovani, e che coinvol-gono più di 10.000 residenti al loro interno, hanno l’intento di favorire l’impegno eil coinvolgimento dei giovani nelle strutture democratiche locali. Per quelli che nonhanno capito il nostro gergo, per dirla in breve, tutti hanno perso interesse, soprat-tutto la nuova generazione, nel processo democratico. Se si prendono i risultatidelle ultime elezioni in Inghilterra, tale interesse è risultato essere davvero bassissi-mo. E la cosa più importante, se noi crediamo nella democrazia, è accertarsi chetutti votino e prendano parte a quel processo. Il miglior modo per farlo è coinvol-gere la gioventù e renderla partecipe di ciò che facciamo. In questo ambito si inseri-scono una serie di iniziative:

• un progetto urgente e specificatamente rivolto ai giovani, per renderli consa-pevoli e, quindi, per permettere loro di controllare e valutare i servizi perloro disponibili a livello locale;

• un’azione ben definita di volontariato giovanili;• la concessione di premi, quale quello del “Duca di Edimburgo”, per ricono-

scere il buon operato svolto dai giovani nelle varie posizioni. Il premio “Ducad’Edimburgo” è abbastanza utile perché interessa moltissime differenti atti-vità e offre veramente a tutti un’opportunità di partecipazione;

• un lavoro, sufficientemente esteso ed imparziale, di presa di contatto con unbuon numero di giovani non occupati;

• definire il possibile supporto all’istruzione formale, ad esempio progetti perore di insegnamento extra-scolastico, che forniscano anche modelli compor-tamentali;

• definire un sostegno ai progetti a favore dei giovani.

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Abbiamo avuto una discussione interessante con alcuni miei colleghi delleautorità locali e della sanità intorno ad alcune cose che tutti dobbiamo considerareper il futuro. Uno dei pensieri di oggi è che alcuni dei problemi che sono presenti inuna società moderna sorgono dalla mancanza di comprensione di ciò che significafamiglia ed essere genitori. E così, ancora una volta dopo trent’anni, stiamo pensan-do che tutti dovremo realmente iniziare a reintrodurre quei servizi nelle scuole.Ciò che noi possiamo fare come autorità è proprio preparare il più possibile adaffrontare i bisogni basilari che i giovani avranno da adulti. Per interrogare le per-sone sulle loro aspettative è stato svolto uno studio. Le persone interessate possonochiedere di prendere visione del lavoro, completato appena l’anno scorso e facenteriferimento alle aree del Cambridgeshire e di Peterborough. Ad esso sono allegatela valutazione dei club giovanili ed anche le squadre che coinvolgono i giovani nelleloro attività di organizzazione e pianificazione all’interno della propria comunità.

Le riunioni, molto importanti, in cui avvengono delle consultazioni su deter-minati argomenti, ed i luoghi di ritrovo dei giovani possono essere visionati attra-verso i siti web che usano le moderne tecnologie. Attualmente si sta svolgendo unlavoro di consultazione con due gruppi di giovani, a livello locale, e che si allarghe-rà al più ampio gruppo cittadino, un forum di studenti incentrato sui punti di vistadei giovani sull’istruzione e da cui emergono cose differenti.

Qual è l’influenza dei giovani sulla politica del consiglio comunale? Forumsui servizi giovanili, a cui partecipano congiuntamente rappresentanti tra membrieletti, alti funzionari e personale delle organizzazioni di volontariato, si svolgonoregolarmente. Io personalmente mi incontro con giovani nei meeting e nei luoghiscelti da loro e visiono i loro progetti in tutta la città, in tutti gli uffici e in tutti gliorganismi. Suona molto bene, ma c’è da fare davvero molto di più.

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Le attività culturali a Klodzkodi Barbara Drozynska

Le regioni di Klodzko, di Nowa Ruda, di Bystrzyca sono bellissime e ricchesotto tanti punti di vista, in primo luogo per le vocazioni turistiche, in secondoluogo per l’eredità culturale e storica. Questa grande ricchezza, di fatto, ci uniscecon l’ Europa in modo naturale. Dal quarto secolo avanti Cristo questa strada èpassata alla storia come “la strada dell’ambra”. Oggi il ritorno alla tradizione e lacapacità di sfruttare l’eredità culturale per lo sviluppo dei tempi moderni sta dandoun’ulteriore marcia. Sino ad oggi abbiamo realizzato diversi programmi interna-zionali, come “I giorni della cultura cristiana ceco-polacca” e “Le strade del tem-po”. Queste esperienze, unite agli scambi culturali tra le nostre regioni e special-mente tra i giovani, aprono nuove possibilità.

I soggiorni culturali, basati su programmi più o meno individualizzati, devo-no servire a stringere delle amicizie e conoscere l’eredità dei costumi: devono avere,insomma, un carattere creativo. La Polonia da undici anni sta vivendo un periododi trasformazioni politiche, sociali ed economiche. Naturalmente incontriamo del-le difficoltà ma ci sforziamo di superarle. Anche la necessità di studiare nuove capa-cità è un fattore di crescita per stare al passo con i tempi.

Le attività che permettono ai giovani di cambiare il modo di pensare e di “creare”il mondo è necessario. Imparare a rispettare i valori della tolleranza e dell’accettazionema anche la religione, gli usi e i costumi sono condizioni imprescindibili per potercrescere insieme. Grazie a questa conferenza possiamo creare tante aree di collabora-zione e soprattutto aiutare i giovani ad entrare nella vita adulta senza paure, con unatteggiamento positivo rivolto all’uomo che vive in un altro paese. La parola cultura sitrova nella nostra vita in varie sfere: la musica, l’arte, il teatro, l’architettura e la storia.Creare qualcosa significa fare cultura. Di cultura, in un certo senso, parliamo anchedurante i processi economici, nell’educazione professionale, nell’industria turistica oanche quando vediamo le possibilità di sfruttare in modo positivo le tradizioni esistenti.Le proposte del mio programma partono fondamentalmente dall’integrazione interna-zionale e gli scambi culturali devono essere la risposta a questa necessità. Iniziando arealizzare il comune programma internazionale dobbiamo porci queste domande: aquali necessità deve rispondere il programma dello scambio culturale? Quali sono lenostre aspettative e che cosa si deve fare per ottenere il più possibile reali effetti durantela realizzazione degli internazionali scambi culturali? Le necessità indipendenti del po-sto di abitazione, davanti alle altre nazioni, in un momento di fusione dei processi del-l’integrazione sono la base comune della nostra attività.

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Primo forum internazionale dei governi locali

In una ideale scala gerarchica metterei al primo posto la conoscenza dellalingua e della cultura delle altre nazioni. È un fattore importante perché ridurrebbedrasticamente la paura della vita in futuro, nel mondo integrato, la paura dell’ag-gressione, della mancanza della comune accettazione. Un’altra necessità consistenell’eliminare gli stereotipi dell’attività e del modo di pensare tra gli adulti e i giova-ni. Tali priorità ci permettono di precisare gli scopi del compito progettato:

• L’integrazione della gioventù delle diversi nazioni per riprendere le attivitàche servono a far conoscere le loro culture, i costumi, le usanze, i modi divita, i modi di pensare, di fare, e della mentalità;

• Dar vita ad atteggiamenti aperti ai contatti con le altre persone, sulla base diuna tolleranza comune e dell’accettazione dei comportamenti;

• Risvegliare le impressioni e le emozioni positive per stringere i contatti con irappresentanti dei gruppi coetanei delle altre nazioni, passare in modo co-mune il tempo libero;

• Conoscere le specificità della cultura delle altre nazioni per la partecipazionereale agli eventi culturali;

• Risvegliare la motivazione positiva al lavoro nel proprio paese, nella propriaregione e anche l’accettazione piena realizzata nella promozione positiva deivalori davanti alle altri nazioni;

• Motivare positivamente i giovani al lavoro ottenere le alte qualificazioni pro-fessionali. Precisare queste aspettative ci permette di rispondere ad ovvie domande: che

dobbiamo fare, dove dobbiamo andare? Quali forme e metodi dobbiamo usare perottenere gli effetti aspettati? Essi sono misurabili e incommensurabili. Misurabilisono questi concreti, che riguardano compiti concreti. Incommensurabili sono questiche riguardano maggiormente la nostra coscienza, le nostre emozioni. Consideria-mo effetti incommensurabili la conoscenza della cultura, della mentalità, delle usanze,dei modi di vita delle altri nazioni, la capacità di stringere nuove amicizie, impararela tolleranza per gli altri. Gli effetti misurabili, invece, si possono ottenere con larealizzazione del programma e sono i seguenti:

• Partecipazione nei concreti eventi culturali delle altre nazioni, nelle sfere del-la musica, del teatro e dell’arte;

• Cambio delle esperienze delle sfere comuni, sviluppo del turismo, modi del-l’istruzione, raggiungimento di qualificazioni professionali, sfruttamento po-sitivo dell’eredità culturale.Per realizzare tali idee può avere la sua influenza non solo l’impegno dei

giovani ma anche dei loro genitori e dei loro insegnanti.Il nostro programma di partenariato, intanto, prevede incontri di tutti i par-

tecipanti con gli organizzatori e i rappresentanti delle province. Il tempo di sog-giorno del gruppo è adattato ai numero dei compiti. Sembra che sei giorni nel peri-odo precisato, per gli organizzatori, possa bastare per realizzare i primi compiti checi siamo prefissi.

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Primo forum internazionale dei governi locali

È opportuno che al termine del soggiorno i partecipanti possano dire qualesia il punto debole e quale il punto forte. La verifica si può fare per confrontare leaspettative nel primo incontro con gli effetti previsti sulla base di altre esperienze.La forma di questa valutazione, la verifica della qualità si può ottenere con il que-stionario anonimo o con il voto generale della visita in un paese, magari nella scaladal uno a dieci.

Ogni programma, comunque, deve avere influenza sulla società locale di unanazione, deve trovare il largo riflesso nella stampa locale e nei mezzi di comunica-zione. Io spero che questa ed altre proposte servano alla realizzazione dei nostriprogetti: possiamo intraprendere collaborazioni in tanti altri campi, perché in tuttii casi è una grande possibilità per noi tutti.

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Primo forum internazionale dei governi locali

Le politiche culturali a Foggiadi Valeria De Trino

Nella visione dell’Amministrazione della Provincia di Foggia presieduta dalAntonio Pellegrino, la cultura ha costituito qualcosa di più di un settore da rilanciareo di una occasione di immagine: essa è stata un’opzione di fondo, una scelta costanteche ha ispirato tutta l’azione politica nella consapevolezza che senza un’adeguata faseculturale e una ancor più adeguata conoscenza non può esserci una autentica crescitacivile ed economica. Partendo dalla consapevolezza che tre sono i fattori che mag-giormente caratterizzano l’epoca che stiamo vivendo, la globalizzazione dei mercati,il forte sviluppo tecnologico e le infinite possibilità di comunicazione e che questielementi uniscono culture e individui come mai prima d’ora, in questa ottica la cultu-ra è una risorsa in grado di trasformare lo sviluppo, il che significa valorizzare laformazione delle nuove tecnologie e delle nuove professionalità. Il settore privatoassume un ruolo chiave nelle innovazioni del sistema “Cultura” ed è fondamentaleper lo sviluppo delle politiche culturali il contributo dei giovani, che costituiscono unampio segmento fra i fruitori delle attività culturali e sono da sempre una forza disviluppo della produzione e dell’innovazione culturale. La trasformazione del setto-re culturale della provincia di Foggia è passata attraverso alcune direttrici di interven-to: prestare maggiore attenzione alla domanda e quindi ai modi per riorganizzarel’offerta e creare aggiornate forme di fruizione dei beni artistici e culturali nell’intentodi attrarre maggiori flussi di presenze, sollecitare e concretizzare le nuove opportuni-tà connesse all’avvio di forme di collaborazione strutturale con il mondo delle impre-se per attuare progetti di recupero, valorizzare il patrimonio artistico e culturale, spe-rimentare nuovi assetti istituzionali e organizzativi. Adottare, quindi, un orientamentoal mercato nella gestione dei beni culturali significa riconoscere che tutte le espressio-ni della cultura di un popolo devono essere condivise e vissute: spetta poi al manage-ment comprendere sia il valore funzionale che quello emozionale e adottare di conse-guenza tutte le azioni necessarie a rendere trasferibili tali valori ai fruitori. I puntifondamentali affrontati possono essere così riassunti: conoscenza del pubblico, defi-nizione di una politica del pubblico, programmazione di una politica di eventi cultu-rali, creazione di una rete di relazioni.

Palazzo Dogana è stato insieme metafora e realtà tangibile di questa politicaculturale: abbiamo iniziato con il ripristino del cortile del palazzo Dogana che haospitato ed ospita manifestazioni di valore e di vario interesse durante i mesi estivi,mentre in questo “salotto” del ‘700 si sono alternati eventi musicali ed eventi teatrali

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Primo forum internazionale dei governi locali

di vario genere e contenuto. Dal ripristino del cortile si è passati al recupero del Tri-bunale della Dogana, che è stata un’operazione di rilancio in termini di cultura e didignità del capoluogo dauno. In questi anni abbiamo svolto un’azione di sollecitazio-ne di traino per tutti i comuni della Provincia con la manifestazione estiva “Stradepossibili”, itinerari attraverso borghi antichi, castelli e cattedrali pensati per delineareuna nuova offerta culturale e far crescere un bisogno di cultura che forse si era affie-volito. Più di mille persone tra artisti, tecnici e organizzatori hanno lavorato nei mesidi luglio e agosto di ogni anno per ben tre anni e molta attenzione è stata data anche aivecchi e ai nuovi contenitori della cultura. Sono stati istituiti tre musei, quello interat-tivo delle scienze, il Museo del territorio e il Museo di storia naturale, che uniscono aipercorsi conoscitivi quelli didattici e ludici. Queste nuove istituzioni sono state pen-sate avendo ben chiaro che la loro finalità non è soltanto la conservazione dell’esi-stente ma soprattutto la programmazione di un flusso continuo di attività e di inizia-tive culturali per ottimizzare i guadagni provenienti dal patrimonio culturale aumen-tando l’offerta e promuovendo la domanda. Questi musei sono nati dalla consapevo-lezza che l’interazione e la connessione tra culture e individui diversi possono conci-liare la necessità di preservare e consolidare conoscenze culturali. In tale ottica non èstato, naturalmente, dimenticato il mondo giovanile: abbiamo recuperato una bellastruttura da una vecchia caserma dei vigili del fuoco ed è per questo che porta il nomedi “Teatro del fuoco”. Infine, abbiamo creato la scuola di pubblica amministrazione“Marcone”, l’Università della terza età “Imperati”, e la fondazione concertistica “Um-berto Giordano”, con un organico di 60 elementi. Sbaglia chi pensa alla cultura comead un lusso per pochi: al contrario, essa è di per sé un motore di sviluppo. La presenzadi partners stranieri nella nostra città e al tavolo di questo forum ci spinge a farenostre le parole di Umberto Eco: “forse il progetto di una conoscenza e descrizionereciproca arriva nel momento in cui essa è veramente possibile quando, cioè, tutti gliabitanti del mondo sono abbastanza vicini da poter davvero capire la loro reciprocadiversità. Le speranze comuni si costruiscono su memorie diverse che diventano co-muni, sull’accettazione di storie separate ma non lesive dell’identità altrui, sulla com-prensione delle ragioni che ci hanno fatti diversi nel tempo e che ci spingono ad esseresempre più simili”.

Per questo sarebbe opportuno cominciare a costruire tutte le premesse per unacollaborazione autentica sui temi della cultura puntando su un patto di cooperazionefondato su una alleanza tra amministrazioni, associazionismo economico e culturale.La cultura non è solo l’ambito specifico dei beni e delle attività culturali ma essa,correttamente intesa, è l’elemento che contribuisce a determinare lo sviluppo socialee produttivo dei nostri paesi. Forte è il rapporto tra i diversi saperi, i vari percorsiformativi e le loro conseguenze sul piano dell’impresa creativa e tecnologica. Il carat-tere orizzontale dei nostri territori agganciato alla verticalità cognitiva, creativa e tec-nologica è la sfida che può essere affrontata partendo dalla cultura. Essa potrebbediventare un’occasione preziosa per rendere più evidenti e produttivi i legami che civedono riuniti in questa sala dal vincolo di amicizia che siamo certi ci condurrà ad unarricchimento reciproco e ad una crescita culturale ed economica.

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Tommaso Nardella

Angelo Ciavarella: bibliofilo e saggistadi Tommaso Nardella

Ho conosciuto Angelo Ciavarella sul finire degli anni cinquanta del secoloscorso allorquando allestii, in un’aula dell’edificio scolastico Balilla di San Marco inLamis, una mostra di documenti, libri, opuscoli, giornali e riviste di interesse locale.

Ebbi il suo plauso invitandomi, nel contempo, a continuare nella ricercabibliografica e archivistica necessaria alla conoscenza storica del nostro passato.Questa l’origine di una lunga amicizia.

Lo incontrai una seconda volta nell’aprile del 1968, epoca nella quale colla-borai con la biblioteca provinciale di Foggia per la realizzazione di una “Mostrabibliografica del Gargano” in coincidenza del nono centenario della fondazione, sudi uno sprone di Monte Celano, della Badia nullius di San Giovanni de Lama. Unamanifestazione che ebbe ampio riscontro su “La Gazzetta di Parma” del 17 ottobredel medesimo anno.

Prese il Ciavarella lo spunto dell’esposto “Quaternus de excadenciis etrevocatis Capitanatae” di Federico II per occuparsi di Pagano da Parma, un nobileghibellino che, dopo la sconfitta bolognese dello svevo, si trasferì, seguendo il suore, in Puglia, stabilendo la sua dimora in Monte Sant’Angelo ove si fece dalle localimaestranze edili costruire, a pochi passi dallo speco micaelico, un mausoleo la cuiampia mole ricordava la struttura architettonica dell’ormai lontano suo “bel SanGiovanni” di Parma. Altro che tomba di Rotari!

In un corposo numero del Bollettino del Museo Bodoniano, una miscellaneadi saggi scritti dal fior fiore degli studiosi europei in onore di Angelo Ciavarella, inoccasione del suo pensionamento, Erminda Del Donno ha censito, a partire dal1950 fino al 1992, tra monografie, saggi e cataloghi ragionati, ben 232 titoli delNostro, senza registrare la sua quarantennale collaborazione alla rivista “AureaParma”, all’”Archivio Storico per le Province Lombarde” e alla “Gazzetta di Par-ma”, il giornale più antico d’Italia.

A tutt’oggi sono stati schedati solo 133 titoli di opere riprodotte nel catalogodella mostra allestita, nel giugno del 1998, nel convento di San Matteo alla cui rea-lizzazione hanno collaborato Leonardo Farinelli, Baldassarre Molossi, AntonioMotta, chi scrive, Luigi Pelllizzoni, Franco Maria Ricci, il Bodoni dei nostri giorni,Giuseppe Soccio e padre Mario Villani.

Angelo Ciavarella si laureò in lettere all’università di Napoli nel 1938 conuna tesi su Benjamin Constant, relatore Adolfo Omodeo, poi rettore di quella uni-versità e ministro della Pubblica Istruzione nei primi governi di liberazione.

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Angelo Ciavarella: bibliofilo e saggista

Dopo aver per un biennio insegnato nel liceo Bonghi di Lucera, vinse il con-corso nelle biblioteche governative e fu dal Ministero assegnato alla Palatina di Par-ma ove fece l’apprendistato e sui richiami storici e artistici che offriva la città e suifondi librari della ricca biblioteca. Nominato direttore dell’Universitaria di Cata-nia nel maggio del 1954, intraprese i lavori di rinnovamento e di integrazione diquella biblioteca devastata da uomini e da termiti. La sua instancabile opera si con-cluse con l’inaugurazione ufficiale della stessa nel maggio del 1955 alla presenzadelle massime autorità dello Stato. Promosse ed allestì in quell’occasione la mostra“Verga – De Roberto – Capuana” e di essa dette alle stampe il catalogo, riccamenteillustrato, che raccoglie, in appendice, numerose lettere e documenti inediti.

Sterminato restava comunque l’elenco dei problemi strutturali, giuridici ebibliografici da risolvere, giorno dopo giorno, di una complessa istituzione pubbli-ca per lunghi anni alla deriva.

Non c’era tempo da perdere, occorreva portare a compimento diverse iniziati-ve intese a potenziare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi e, nel contempo,dare un aspetto più decoroso a tutti gli ambienti. Pose nel frattempo fine alle mireuniversitarie di impossessarsi dell’edificio bibliografico per ricavarne aule delle qualisi aveva impellente bisogno. Fu dimostrato con dati giuridici e tecnici inoppugnabilil’illegittimità della richiesta per cui la biblioteca vinse la sua battaglia. Riorganizzò eriunì in ordine cronologico le varie raccolte, sistemò il disperso archivio della biblio-teca, giacente nel massimo disordine, concentrò in un’unica sede vecchi e nuovi cata-loghi, attese al riordinamento e alla razionale dislocazione di tutti i fondi storici. Feceripristinare e schedare il fondo Scriffignani (nel quale, tra l’altro, si annidava una delleprime copie dell’edizione collettiva delle opere di Cicerone stampate a Milano nel1498-99 dal tipografo sanseverese Alessandro Minuziano), separò i periodici estintida quelli in corso per dare a quest’ultimi lo spazio sufficiente per il proporzionalesviluppo nel tempo onde evitare dannose confusioni.

Fece compilare un nuovo inventario dei manoscritti e incunaboli più rariimmettendovi volumi allora reperiti e comunque mai registrati. Un patrimonio dicirca ventimila volumi di straordinaria rarità.

Si ebbe, per un recupero del genere, il pubblico plauso di Santo Mazzarino,allora direttore dell’Istituto di Storia Antica dell’università catanese.

Ordinò in 11 eleganti album con passe-partout 526 lettere d’amore inviate daGiovanni Verga a Dina Castellazzi, contessa di Sordevolo, rinvenute dal Ciavarellatra cumuli di polverosi scartafacci destinati probabilmente al macero. Un ritrova-mento la cui eco oltrepassò i confini nazionali. Durante la permanenza sicilianapartecipò anche al convegno di studi filologici promosso dalla città di Bergamo inonore del cardinale Angelo Mai nel centenario della morte con una relazione daltitolo “Angelo Pezzana corrispondente del Mai”.

Si guadagnò la cittadinanza onoraria bergamasca che certamente gradì ma dicui non v’è traccia nella memoria di amici e familiari. Spero che mi perdonerà se,mettendo il naso tra le sue “carte”, ho infranto la sua ancestrale riluttanza ed estraneitàai rumori del mondo.

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Tommaso Nardella

Rientrato a Parma, come direttore di ruolo della Palatina, nel settembre del1957 attese subito all’esplorazione e ricognizione dei vecchi fondi sconvolti e dan-neggiati dal bombardamento del 1944 e accumulati alla rinfusa nei vani delle fine-stre a pian terreno. L’opera di sistemazione definitiva richiedeva tempo e studio.Sulla scorta di elementi descrittivi da lui compilati fornì indicazioni utili sia per laconsistenza che per il contenuto di detti fondi. Sono numerosi e costituiscono ilprezioso, inesauribile scrigno della Palatina, per oltre la metà ancora da scoprire evalorizzare. Si chiamano: Paciaudi, Mazza, Smeraldi, Casa, Colombo, Moreau,Casapini, Perrau, Bramieri, Testi, Tommasini, Affò, Pezzana, Sanvitale, Simonetta,Bodoni, ecc.

Durante questo lavoro di dissotterramento ebbe la gioia di rinvenire due pre-ziosi volumi del copialettere Pezzana, dati per dispersi dai precedenti direttori. Comea Catania, si preoccupò di migliorare gli uffici e dare ordine e decoro ai monumentaliambienti, come il risanamento dell’intero salone “Maria Luigia” ricco di migliaia divolumi. L’anelito di riportare l’istituto all’antica dignità e splendore non potevarealizzarsi solo con gli esigui stanziamenti ministeriali per cui occorreva coinvolge-re nell’impresa l’amministrazione comunale, provinciale, l’associazione degli indu-striali e le banche emiliane e lombarde perché “la Biblioteca, così argomentava, è unimportante strumento di formazione culturale per tutti i cittadini, che vive e operaprima di tutto nel territorio fisico della città”. Grazie al contributo statale ma so-prattutto a quello privato il Ciavarella realizzò un antico sogno che così manifestòal venerando amico Ildebrando Pizzetti: “Vorremmo, se il nostro sogno non fossetroppo ambizioso, dar vita e incrementare accanto all’antica e preziosa Palatina,una creatura tutt’affatto moderna, una biblioteca veramente aggiornata, ricca delpiù vario materiale di studio, in grado di rispondere alle accresciute esigenze dinovità e di interesse dei giovani, a prova e conferma della continuità dialettica delleillustri tradizioni, che sono un incentivo e una forza perenne di progresso. Questarigogliosa duplicata vita ospitata nello stesso complesso della Pilotta costituirebbeun aggancio, un anello di congiunzione e di interpretazione tra antico e moderno”.L’illustre musicista con testamento olografo lascerà in eredità della Pilotta, una bi-blioteca ricca anche di preziosi spartiti musicali ed un ampio carteggio con perso-nalità del mondo della cultura e dell’arte.

Il tutto, va sans dire, fu razionalmente sistemato in un luminoso ambiente.Un altro specialistico fondo affidato oggi alle cure di una giovane concittadinafoggiana.

Infine dedicò tutto se stesso ai fondi danneggiati della galleria Petitot, rasaletteralmente al suolo dalle bombe e, come abbiamo già detto, al salone “MariaLuigia” con un marmoreo busto della duchessa realizzato da Antonio Canova edove, come un tempo, negli scaffali continuano a fare bella mostra splendide e son-tuose legature artistiche, segno di regale e civile umanesimo.

Con altrettanta alacrità provvide all’acquisto di libri, che raddoppiò rispettoal passato esercizio, immettendo nella biblioteca utili collane di attualità tecniche,scientifiche, di arte e di letteratura. Fece restaurare e incorniciare 31 quadri (sovrani

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Angelo Ciavarella: bibliofilo e saggista

e personaggi di corte del ducato) di inestimabile valore dipinti da Ferrari-Locatelli,Van Loo, Martini, Appiani, Gérard e Lefréve.

Nel luglio del 1960 fondò il museo Bodoni nel quale si conservano inventariati80.000 tra punzoni e matrici originali, 16 opere in pergamena tra cui la copia unicadelle “Stagioni” di Thompson stampata nel 1794 e l’Iliade del 1808, in carta Bavie-ra, capolavoro dell’arte tipografica del grande saluzzese.

Incredibile il numero delle mostre, tutte fornite di cataloghi ragionati, realiz-zate dal Ciavarella e dai suoi collaboratori in Italia e all’estero. Mirabili quelle suBodoni (ben sei), sul Settecento parmense, Verga, De Roberto e Capuana, Sthendal,Apollinaire, Dante (mostra di codici ed edizioni rare), Arnoldo Mondatori, sui gra-fici ungheresi Zapf e Szànto, sul nono centenario della morte di San Pier Damiani,sull’Accademia di grafica e arte del libro di Lipsia, sui Battei tipografi ed editori inParma, su Bodoni in Offenbach e sui codici miniati della Palatina.

Amalia Radaeli, titolare in Milano della libreria Hoepli, bibliofila di straordi-naria esperienza e competenza, così scriveva in una recensione ad un mirabile volumesui codici miniati posseduti dalla Palatina e curati dal Ciavarella nel 1964: “L’artedella miniatura, su pergamena, così scrive, è, per la sua destinazione di ornamento dellibro, un’arte nascosta e di difficile accesso. Chiusa fra pagine preziose per la lorostessa venustà, celata in volumi gelosamente conservati, è ignota al gran pubblico epressoché sconosciuta a uno stragrande numero di persone colte. In Italia, se il substratoumanistico, comune a moltissimi, rende piuttosto facile l’incontro su vari argomenti,la conoscenza, anche elementare di questa branca dell’arte pittorica è così ristretta cheil discorso non si svolge che tra specialisti di alto livello … Bene ha fatto AngeloCiavarella, con il lodevole ausilio della Cassa di Risparmio parmense, a permettereagli ignari di gettare uno sguardo nel Sancta Sanctorum della Biblioteca Palatina cheegli dirige, nella sala dei manoscritti, che ha dischiuso con mano amorosa come hortusconclusus. Disponendo della rara possibilità di concedere al lettore molte riproduzio-ni a colori, di ricca e fine esecuzione, il Ciavarella ha potuto offrire in questo impareg-giabile volume un saggio della sontuosità di 14 codici miniati di diverse scuole e didiversi paesi. Ha accompagnato questo dispiegamento di splendide pagine con noti-zie erudite circa la destinazione e la provenienza dei vari libri, e in tutto si è dimostra-to così appassionato bibliofilo da comunicare veramente ai lettori non solo la vivaammirazione che egli prova per la bellezza di quei volumi, ma anche l’interesse per ivari aspetti che rendono un libro attraente. Ha premesso a questa esposizione alcunepagine che rivelano poeticamente il nascere e l’affermarsi della sua bibliofilia partico-larmente dell’amore per quei libri che egli, quale direttore della Palatina, custodisce:un amore che non è che un aspetto della profonda e delicata comunione che lo uniscea Parma e fa di lui uno dei suoi concittadini più veri”.

Ma anche nostro non avendo mai rotto il cordone ombelicale con la sua terrache ha onorato con il suo ingegno e che lo ha visto nascere in San Marco in Lamisl’11marzo del 1915.

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Michele Ferri

La figura e l’attività editoriale di Mario Simonedi Michele Ferri

Per la sua attività di editore, bibliografo e storico, Mario Simone (1901 –1975) acquisì una solida reputazione fuori dei confini provinciali, sino a divenire unsicuro punto di riferimento nella storia della cultura in Puglia. Ebbe tale riconosci-mento da parte di eminenti personalità, tra le quali Maria Brandon Albini, che inMezzogiorno vivo diede particolare risalto alle sue iniziative editoriali, e TommasoFiore, che lo annoverò tra i più laboriosi “formiconi” di Puglia.

Negli anni universitari a Roma, dove consegue la laurea alla “Sapienza” e sispecializza in diritto penale presso la Scuola d’applicazione giuridico – criminalediretta da Enrico Ferri, Mario non manca di ricercare rapporti con personalità delrepubblicanesimo e dell’antifascismo. Lo ritroviamo, quindi, collaboratore di Gio-vanni Conti presso la Libreria Politica Moderna e frequentatore di un’altra note-vole figura, il geniale editore Angelo Fortunato Formiggini.

Un altro dei suoi “maestri iniziatori “ è Alfredo Petrucci, da Mario rievocatocon queste parole: “poeta ed artista di rara sensibilità e operosità, Alfredo Petrucci,autorevole fratello maggiore, mi ha trasfuso il gusto, i segreti tecnici e il rispettoamorevole della buona stampa, dall’esordio lontano agli ultimi tempi: un periododi cinquant’anni nel quale è stata per me decisiva la sua collaborazione.”

Nel 1929, Mario Simone pubblica il lavoro critico del Petrucci su un pittoredell’Ottocento nativo di Foggia, Domenico Caldara, e dal 1932, a Roma, con luifonda e dirige un “Lunario della Toga”, meglio conosciuto come “Almanacco giu-ridico forense italiano”. Durante il periodo trascorso nella Capitale, Mario è, tral’altro, attivamente impegnato come redattore capo de “La Puglia a Roma”, la rivi-sta dell’Associazione pugliese. Ma neppure in quegli anni trascura i suoi rapporticulturali con Manfredonia, in particolare, e con la Puglia. È del 1925, infatti, il qua-derno da lui curato, Manfredonia e il Gargano, che, stampato nel centro sipontinopresso la tipografia di Ortensio Bilancia, raccoglie contributi di Michele Bellucci,Matteo Barboni, Nicola Quitadamo, Giovanni Tancredi e di …Marius Sipontinus(uno degli pseudonimi con cui Mario amava firmarsi). Nella nota introduttiva aqueste “pagine di vita regionale e di arte” Mario, appena ventiquattrenne, ispiran-dosi agli eroi risorgimentali Mazzini e Cattaneo, non senza solennità dichiara: “Ab-biamo fede nella potenza dei ricordi per il risveglio dei nostri concittadini, ché, ‘unanazione non vive di passato soltanto’, come ammonisce Mazzini, ‘ma deve inoltra-re senza posa verso il futuro e leggere nella gloria dei padri una severa condannadell’inerzia dei figli’, e abbiamo fede in questo risveglio per la rinascenza della re-

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La figura e l’attività editoriale di Mario Simone

gione e del comune, per lo sviluppo delle imperfette agricolture e dei commerci, perl’azione educativa degli intellettuali, per il benessere delle classi umili che controogni avversità, nell’isolamento e nella malaria, danno ricchezza e decoro all’anticaterra che Dante chiamò fortunata.” Il significato di tutta una vita emerge evidenteda queste parole intessute di virtù civile e profonda umanità.

Sempre agli anni romani risale, inoltre, il primo scambio epistolare tra MarioSimone e Tommaso Fiore, del quale fornisce ampia documentazione un articoloapparso ne “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 giugno 1978. Dunque, in unalettera del ‘26 Mario Simone chiede all’illustre meridionalista di voler contribuireattraverso la creazione di una rivista a promuovere “lontano da qualsiasi trafficopolitico, un movimento di cultura per la rinascita della Regione.” E nella sua rispo-sta il Fiore, pur sconsigliando il progetto della rivista (perché, afferma, “il fascismonon legge i libri, ma le riviste sì”), gli fornisce un elenco, completo di indirizzi, dipossibili collaboratori; si tratta, come afferma l’autore dell’articolo, di un elenco dinomi che si potrebbe definire “una mappa della cultura democratica del tempo.”

Nel 1933, lasciata Roma, Mario Simone si trasferisce con la famiglia (il padre e lamadre) a Foggia, dove dà vita allo Studio Editoriale Dauno e, con il prof. BaldassarreCocurullo (Procuratore del Re presso il Tribunale) e l’avv. Vincenzo La Medica, fondae dirige una rivista giuridica, “La Corte d’Assise”, e pubblica anche una nutrita serie diopuscoli a carattere monografico denominati Quaderni de “La Corte d’Assise”.

Verso la fine degli anni ’30 l’attività editoriale di Mario Simone riceve nuoviimpulsi e va sempre più intrecciandosi con le sue iniziative e ricerche nell’ambitodella storiografia risorgimentale. Tra il ’38 e il ’40 vedono la luce i suoi primi saggisulla Capitanata nel Risorgimento nazionale e in particolare sul giureconsulto re-pubblicano Luigi Zuppetta, nativo di Castelnuovo della Daunia, mentre nella “Bi-blioteca del Risorgimento Pugliese” sono intanto pubblicati quattro importanti “qua-derni “, tra i quali, nel 1939, un saggio sui moti carbonari della Daunia scritto dalnoto storico socialista Antonio Lucarelli.

Con la caduta del fascismo, Mario Simone ritorna all’impegno politico, mili-tando nel Partito d’Azione, del quale organizza la federazione provinciale, che sidirama in quasi tutti i comuni della provincia e raggiunge nel ’44 un considerevolenumero di tesserati. Ma dopo qualche tempo, rimasto deluso per gli esiti del Partitod’Azione, “svanito - secondo il suo malinconico commento – in un mare di chiac-chiere, decide di dedicarsi esclusivamente alle cose di cultura.”

Nel ’46, riprendendo l’antico progetto manifestato vent’anni prima aTommaso Fiore, diviene editore e redattore in Bari, presso i fratelli Laterza, dellarivista “Puglia”, che tuttavia, a causa di difficoltà nella distribuzione e nelle vendite,non riuscì ad affermarsi. Nel fare un bilancio di questa esperienza, Mario annotanei suoi Ricordi che “ fattori di successo di un periodico sono la tempestiva pubbli-cazione e diffusione e si sbaglia, affidandone la stampa a un grande stabilimento.”

Nel 1947 Mario Simone fonda e organizza la Società Dauna di Cultura inFoggia, divenendone segretario generale, carica che ricoprirà per circa venticinqueanni. Questo sodalizio, la cui vita giunge fino ai primi anni ’80, promuoverà alcune

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Michele Ferri

delle più interessanti manifestazioni culturali della Capitanata.Intanto, egli prosegue le sue ricerche bibliografiche riguardanti il periodo

risorgimentale e nel 1948 è pubblicata la sua Bibliografia del 1848 in Capitanata.Tale saggio costituì un importante contributo storiografico nel quadro delle cele-brazioni centenarie del 1848 organizzate dallo stesso Mario Simone, nella sua qua-lità di Presidente del Comitato provinciale. Tra le manifestazioni vi fu anche l’alle-stimento presso il Museo civico di Foggia di una mostra storica, della quale eglicompilò il relativo catalogo. Nel 1948, inoltre, è eletto vice-presidente della Societàdi Storia Patria per la Puglia.

Nel 1950 si svolge a Foggia, da lui organizzato, il Convegno nazionale diStudi Fridericiani, con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica LuigiEinaudi. Il Convegno ebbe rilevanza nazionale e, come riportò la stampa dell’epo-ca, convennero per la prima volta a Foggia illustri studiosi provenienti da varieuniversità italiane e straniere, tra cui De Stefano, Morghen, Cessi, Mor, Palumbo.Lo stesso anno, da Segretario della Società Dauna di Cultura, unitamente al Presi-dente, Michele Vocino, promuove e organizza a Manfredonia, d’intesa con l’Am-ministrazione comunale, le onoranze alla memoria di Michele Bellucci, spentosiqualche anno prima in Roma. Del Bellucci Mario Simone tornò a occuparsi variealtre volte, anche per lamentare il fatto che non si fosse mai provveduto a una degnapubblicazione dei suoi manoscritti .

Nei primi anni ’50 sono numerose le iniziative culturali che vedono MarioSimone protagonista. Nel 1950 e 1951, viene nominato capo ufficio stampa delleprime due manifestazioni postbelliche della Fiera di Foggia. Nel ’51 è relatore alprimo Congresso Storico Pugliese trattando il tema “Aspetti politici della RegiaDohana Menae Pecudum”. Nel ’53 organizza, come segretario, il terzo CongressoStorico Pugliese in Foggia. Ancora nel ’53, e successivamente nel ’57, promuove eorganizza con la Società Dauna di Cultura due premi nazionali di poesia intitolatial poeta di San Severo Umberto Fraccacreta. Intorno agli anni ’50 segue con vivointeresse e partecipazione le varie iniziative di don Silvestro Mastrobuoni, per circaun quindicennio ispettore onorario per le antichità e opere d’arte di Manfredonia,impegnato in quel periodo nella valorizzazione della chiesa e del complessomonumentale di San Leonardo di Siponto. Frutto degli studi del Mastrobuoni efelice compimento degli intensi rapporti di collaborazione fu la pregevole mono-grafia su San Leonardo, pubblicata nel 1960.

A partire dalla seconda metà del decennio ’50, va intensificandosi e amplian-dosi l’attività dello Studio Editoriale Dauno (S.E.D.) e del Centro per l’EditoriaScolastica e Popolare (C.E.S.P.), emanazione del primo, attraverso la promozionedi prestigiose collane i cui testi, meticolosamente curati nella veste editoriale e gra-fica, spesso rappresentano il coronamento di anni di lavoro, di interventi di revi-sione critica, di laboriose ricerche. Basti pensare alla miscellanea Scritti meridionalidi A. Fraccacreta, a Le Isole Tremiti di F. Delli Muti o a La Civitas Troiana e la suaCattedrale di M. De Santis, e ancora alle edizioni critiche, con annotazioni dellostesso Mario Simone, degli scritti di Saverio Altamura e della Cronistoria di Foggia

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La figura e l’attività editoriale di Mario Simone

di Carlo Villani (col titolo Risorgimento Dauno). Vanno altresì menzionate lemonografie della “Miscellanea giuridico-economica meridionale”: La Dohana MenaePecudum di Angelo Caruso (dal 1947 al 1959 direttore dell’Archivio di Stato diFoggia e poi soprintendente archivistico per le Provincie napoletane), I beni deiGesuiti in Capitanata nei secoli XVII-XVIII di Addolorata Sinisi e La Dogana diFoggia nel secolo XVII di Giuseppe Coniglio (direttore dell’Archivio di Stato diMantova). Inoltre, tra i quaderni di “Risorgimento Meridionale”, non si possonotralasciare Vincenzo Lanza e la vita universitaria a Napoli nel primo Ottocento diDomenico Pace, Il clero di Capitanata nella crisi della Unificazione. Il processo amons. Frascolla di Antonio Vitulli, Lotte sociali e politiche a Manfredonia di Mi-chele Magno e infine la ricostruzione storica di Pasquale Schiano, La Resistenza nelNapoletano, con presentazione di Ferruccio Parri. Una speciale citazione merita ilLibro rosso della città di Manfredonia, che Angelo Celuzza, ammirandone l’ele-ganza editoriale, ritiene “un vero atto di amore verso la sua città”.

Un altro non trascurabile settore di attività fu quello dell’editoria scolastica,che tra l’altro incoraggiò molti giovani autori ed ebbe quale importante risultato laproduzione a stampa di annuari e quaderni da parte di varie scuole della provincia(il magistrale “Poerio” di Foggia, il liceo scientifico “Galilei” di Manfredonia, i liceiginnasi “Lanza” di Foggia e “Tondi” di San Severo).

Che questa editoria di alto profilo abbia esercitato un notevole stimolo cul-turale in Capitanata lo sottolinea, tra gli altri, Michele Melillo, il quale nel recensireAria ed arie di Alberona dei giovani Caruso, D’Alterio e De Matteis (Foggia, S.E.D.,1963), rileva che grazie alla presenza dello Studio Editoriale Dauno “si allineanointere collane che in parte avviano e in parte concludono importanti capitoli dellastoria del Mezzogiorno” e aggiunge poi, con note benauguranti, che “sono tra-montati i tempi delle timide e rischiose imprese degli autori di provincia, metodica-mente rifiutati dagli editori ‘nazionali’ e perciò costretti a elemosinare contributi esubire i limiti degli stampatori locali.”

Indubbiamente questa attività editoriale, spesso in osmosi con le iniziativedella Società Dauna di Cultura e, dai primi anni ’60, per il tramite della rivista “laCapitanata” (diretta da Angelo Celuzza e pubblicata da Mario Simone), in coope-razione con la Biblioteca provinciale, ha avuto una rilevante funzione di crescitacivile grazie alla pubblicazione di opere di grande valore e interesse, che si possonoconsiderare veri e propri testi di riferimento per la conoscenza di aspetti storici eculturali della Capitanata e del Mezzogiorno. Un altro di tali testi, che costituisceinoltre un significativo esempio di quel concerto di interventi di cui si diceva, èDaunia Antica (Foggia, Amministrazione Provinciale di Capitanata, 1970), che pre-senta (a cura di Mario Simone) le interessanti monografie di Franco Biancofiore,Meluta D. Marin e Oronzo Parlangeli, tre dei docenti universitari impegnati, nellaseconda metà degli anni ‘60, presso la “Cattedra di Studi Dauni”, i cui corsi, direttidal prof. Michele Melillo, furono organizzati dalla Società Dauna di Cultura colpatrocinio del Comune di Foggia.

Insieme con quella di editore va richiamata la sua attività giornalistica, che

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Michele Ferri

per oltre un cinquantennio lo vide impegnato nella pubblicazione di corrisponden-ze, resoconti, memorie, recensioni, saggi e contributi critici. Parlando ancora dellesue iniziative di promozione culturale, non si può trascurare la fondazione nel ’59del Centro di Cultura Popolare “Antonio Simone”, che ebbe un ruolo non secon-dario nell’organizzazione di mostre librarie e fotografiche, nella commemorazionedi uomini di cultura, nella rievocazione di eventi storici, per esempio le celebrazio-ni nel 1963 del VII centenario della fondazione di Manfredonia, e poi nello svolgi-mento di seminari, dibattiti e conferenze, circoli di lettura e cineforum, proiezionidi filmati e diapositive, visite guidate a monumenti e luoghi notevoli.

Anche se costantemente impegnato nel suo lavoro editoriale, Mario Simoneera instancabile nel promuovere nuove iniziative, qualche volta, come egli osserva-va, “circondate dall’indifferenza paesana”. Non era interessato a esaltare le gloriedel passato per compensare le miserie del presente. Al contrario, dalla rievocazionecritica del passato traeva lo stimolo o prendeva lo spunto per incidere sul presente.

Nonostante qualche lato impervio del suo carattere, non esitava a mettersi adisposizione degli studiosi che chiedevano la sua collaborazione e non trascuravadi attestare la sua gratitudine a quelli che egli chiamava i “benefattori” del Centro diCultura, dove vari giovani si affacciarono, attirati da voglia di sapere o più sempli-cemente per ricerche scolastiche su questo o quell’aspetto della storia locale. Anchese parsimonioso nel rispondere direttamente, Mario metteva a disposizione i suoilibri, che potevano essere consultati in sede o presi in prestito. Grazie a lui, i figli dicontadini, pescatori e operai che erano tra quei frequentatori poterono avere tra lemani i Dorso, i Gobetti, i Salvemini, i Gramsci e i Fiore e sapere nel contempo chifossero i Pietro Giannone e Gian Tommaso Giordani.

Nel 1974 il suo cospicuo patrimonio librario (circa cinquemila titoli, tra cuile sue edizioni e varie pregevoli raccolte di riviste e opuscoli di argomento locale) fuceduto in donazione al Comune di Manfredonia e, dopo un periodo di colpevoleincuria da parte delle amministrazioni che si sono succedute, finalmente da qualcheanno in gran parte recuperato, attende di essere catalogato e messo a disposizionedei cittadini e degli studiosi.

Col patrocinio del Comune di Manfredonia e della Provincia di Foggia, orga-nizzato dal Centro di Documentazione Storica di Manfredonia, sulla figura e l’operadi Mario Simone si è svolto di recente un riuscito convegno di studio, dal quale, comeha rilevato in un suo articolo Paolo Cascavilla, sono emersi quali tratti salienti leseguenti caratteristiche di Mario Simone: “la considerazione ‘militante’ della cultura,l’impegno a superare ogni visione provincialistica, il desiderio di costruire ponti traideologie e di lavorare insieme pur avendo opinioni politiche diverse.”

In estrema sintesi il convegno ha messo in luce la complessità della figura diMario Simone, la sua alta visione della cultura, le sue doti organizzative e infine lasua straordinaria capacità di raccogliere intorno ai suoi progetti e alle sue iniziativepersone di diversa formazione, unite dal comune intento di perseguire la promo-zione civile della nostra terra.

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Antonio Lo Re

Capitanata tristedi Antonio Lo Re

C’era una volta

Insieme a tante istituzioni buone e cattive, utili e inutili, la Capitanata nepossedeva due buone e utilissime: il Monte frumentario e la Real Società economi-ca: dal primo il povero coltivatore pigliava grano, dalla seconda idee ed aiuti.

L’uno e l’altra sono scomparsi, né sono stati in alcun modo sostituiti. Il granodel Monte, trasformato in moneta, è andato perduto; e i libri, le memorie, i lavoridella Società economica giacciono inonorati. Dio sa dove. Dio sa come.

Dal primo doveva nascere una “Cassa di prestazioni agrarie”, dall’altra unComizio agrario… Ahimé, sono morti i genitori, senza discendenti.

Non è possibile misurare, né pur con approssimazione, l’enorme danno cheè venuto a questa regione, anzi a tutte le province del Mezzogiorno, dalla così detta“vita pubblica” nella quale furono gettati, dal 1860, gli uomini nostri, i grandi e ipiccoli, i vecchi e i giovani, i signori e gli artigiani. Da un momento all’altro, sbolli-to l’entusiasmo guerriggero con le ultime farse rappresentative della guardia nazio-nale, tutto in Italia diventò “Parlamento”. Fu un vero sfogo cutaneo, che dura an-cora, ma che, come il morbillo, ha lasciato tracce di lesioni croniche ne’ centri piùvitali dell’organismo nazionale. I più ricchi o i più furbi, o i più forti, o i più sfaccia-ti al Parlamento nazionale; gli altri al Parlamento delle province; gli altri al Parla-mento de’ comuni. Tutte le intelligenze, tutte le attività, tutte le professioni, tutte lecoscienze, tutte le istituzioni, tutti gli ideali furono sacrificati a questo nuovo nume,al Parlamento. Così tutto si vide languire dintorno: i ricchi s’indebitarono per cor-rer dietro al suggestionante fantasma dell’ambizione; i produttori impoverirono,abbacinati dalla nuova rettorica erompente; l’operaio dimenticò il mestiere per fareil prosindaco; la terra, abbandonata s’isterilì; la ricchezza si andò consumando; illavoro diventò fatica per chi non vi era più abituato; e tutte le istituzioni che avevansoci illustri, scopi umanitari, programmi altamente civili, le quali vivevano mode-stamente facendo il bene, studiando il meglio, allargando l’orizzonte della scienzain tutte le sue benefiche applicazioni all’agricoltura, all’industria, al commercio,tutte codeste istituzioni che non eran Parlamento nazionale, Consiglio o Deputa-zione provinciale, Consiglio o Giunta comunale, furon disertate e morirono di ane-mia, o furono uccise proditoriamente. I Parlamenti si sono moltiplicati non purema inaspriti, e più candidati sono pullulati; mentre le buone istituzioni sono andatedecadendo, assottigliandosi, sino a scomparire interamente.

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Capitanata triste

* * *

C’era una volta…Con decreto reale del 29 Dicembre 1826 furono istituiti i Monti frumentari,

con lo scopo di render servigio ai poveri prestando loro del danaro a modico inte-resse, di sviluppare le operazioni agricole e industriali per il miglioramento dellastessa classe povera, per reprimere gli effetti tristi dell’usura, sempre più feroce quantopiù fatta a povera gente. L’interesse, che si scontava al Monte frumentario, era ugualealla sedicesima parte di un tomolo (litri 54,55) di cereale. Il credito non potevaessere fatto a gente disordinata e dissipatrice, e, in ogni caso, si doveva dare la pre-ferenza a chi avesse preciso bisogno per la coltivazione. Data la molteplicità di codesteforme di credito, i Monti avevano tutta la importanza pratica di stabilimenti locali,con grande utilità per il piccolo agricoltore e con una relativa sicurezza di accordareil credito a persone meritevoli.

Eran cinquantadue i Monti frumentari di Capitanata, con un capitale di 60mila tomoli di cereali.

Dove sono andati?L’usura ha conquistato il suo dominio; nessuna forma di credito agrario è

potuta attecchire, anzi ogni forma di credito qui langue miseramente; i piccoli col-tivatori sono diminuiti; i grossi pensano se non convenga meglio cedere in blocco iloro beni alle oculate e provvide Amministrazioni delle Banche e de’ Tribunali…

* * *

C’era una volta…“La Società economica, scriveva con enfasi benevola Scipione Staffa1, è la

sintesi compiuta della civiltà antica innestata alla civiltà moderna. L’opera attiva ebenefica di cotesta Società sulla produttività di Capitanata è stata da vero prodi-giosa. Sin dal 1834 i soci Gabaldi e Montefiore erano premiati per i miglioramentiportati all’arte del setaiuolo: e la società promoveva la piantagione dei gelsi, otte-nendo dal Governo de’ premi di 50 e 120 ducati2 per coloro i quali avessero pian-tato gelsi e tratta la seta dai filugelli allevati con la foglia indigena. Nel 1843 era giàqui un gelseto di 250 mila alberi; e nel 1860 tutta la provincia ne contava più di unmilione, e nell’ospizio della Maddalena si filavano bozzoli col 75% di resa.”

“Incoraggiava, scrive lo stesso Staffa,3 l’industria dell’olivo, e prometteva ilpremio di Ducati 20 a chi piantava, ed assicurava per tre anni 300 ulivi; di ducati 40a chi ne piantava, ed assicurava 500, e più tardi ne distribuiva 4000 piedi gratuita-mente. Cercava perfezionare la semente dei grani, e dava gratuitamente quelle che

1 Il presente e l’avvenire della provincia di Capitanata – Napoli, Tipografia Vico S. Girolamo, 1860.2 Un ducato è uguale a L. 4,25.3 op. cit.

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Antonio Lo Re

ritraeva da Tangarod e dalla Sicilia. Faceva sperimenti dei grani piantati coi fossetti,che trovava vantaggiosi per le piccole tenute. Dava dei metodi come preservare igrani dalla volpe, o bufone, e dall’orobanca. Studiava altresì come preservare le favein Puglia dalla parassita ed esiziale orobanca, e quindi nel suo orto sperimentaleimpiantava fave col fieno greco, colla vinaccia fresca, col terriccio di vinaccia, colforte lescivio di calce, con soluzione di solfato di rame e pubblicava i vari risultati.Spingeva la piantata dei prati artificiali colla distribuzione gratuita di vari semi, ecommendava la lupinella comune, e della luzzerniera profittava soprattutto Frejavilleamministratore dalla casa Montmoreney in Cerignola. Fra le varie piante fenili tro-vava buona sotto la urenza del sollione l’amaratus caudatus. Del pari dicasi degliincoraggiamenti dati pel cotoniere, per la canapa, lino, pece navale. Promoveva,dietro analoghi sperimenti, la coltura dell’opocino, dei grani orientali, grani settantini,barbabietole, rape toscane, fagiuoli del capo di Buona Speranza, giuggiolene, robbia.La Società Economica di Capitanata è stata la prima, e forse l’unica nel Regno adintrodurre tori e vacche svizzere per migliorare la razza dei bovi, come anche lecapre della Valle dei Mambri, ed ora il Gargano, e la contrada di Valfortore vantanoallievi migliori. Devesi a questa la introduzione degli arieti, e delle pecore dellaSassonia ed Ungheria, e veniva dall’istessa promesso il premio di ducati 100 a chipropagava l’innestamento del merinos, e migliore lana. Procurava i modelli dellamacchina trebbiatoria e ventilatoria da Manchester, che dava in 12 ore di lavoroordinario tomola 268, come anche per l’aratro Ridolfi, e si otteneva dal Ministroche S. M. nel Consiglio di Stato 1834 approvava per tutte le Società-Economicheducati 100 da prelevarsi sugli stati discussi provinciali per quest’ultima macchina.Introduceva l’aratro Toscano, e quello alla Domasle; dava i disegni dell’aratro Grangè,propagava gli erpici, il seminatorio Hugues, toglieva dalla Scozia modelli di mac-chine per trebbiare, e edava dei modelli degli estirpatori e sarchiatori. Faceva venirestrumenti metereologici per studiare il corso metereologico dell’anno, e vi stabilivaun gabinetto analogo per studiare i fenomeni della grandine, che affliggono la Puglia,e per la prima proponeva una società reciproca e volontaria per salvare i campi daidanni della grandine. Additiva i mezzi come nel Gargano intaccare i pini, lavorarela pece navale all’uso di Svezia, facendo venire disegni e descrizioni dei fornelli colàusati. Cercava far progredire l’industria delle api, dando modelli di migliori arnie, edietro premio di ducati 100 vedeva sorgere per primo una fabbrica di spirito di vinoa Rodi. Voleva a tutt’uomo, ed a varie riprese riproponeva la istallazione d’unascuola agraria di 30 fanciulli tratti dal popolo. Dava premii per incoraggiare la fab-bricazione delle tele nelle esposizioni annuali di Foggia di arti e mestieri, e panni aduso dei contadini, e s’otteneva buoni risultati. Pei premii l’arte del guantaio s’è resacomune in Foggia, come nella provincia tutta la fabbricazione del sapone, dei bot-toni, ossi e formelle. Sorgeva una fabbrica di seterie in Foggia a sua spinta, in cui igros, le levantine, i trapunti, ed altri tessuti gareggiavano con quelli della Capitale.Diffondeva i seminatori, specialmente del poligono e del guado subappennino, im-piantandoli prima nel suo orto sperimentale. Studiava sui marmi ed alabastriGarganici, su la torba papiracea del contado di Alberona, sul solfato di ferro nei

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terreni di Castelnuovo. Voleva da ultimo la Società-Economica, per soccorrere aibisogni peculiari dei Comuni tutti della Provincia, che i Decurionati locali s’unisse-ro una volta al mese, proponendo quello, che a ciascuna industria occorresse, eCerignola si ebbe alle basi di ciò tre stalloni pel miglioramento della razze seconda-rie dei cavalli.”

* * *

Dove è andata anche questa? La Capitanata come Saturno mangia i figli suoi.E non pure la Società-Economica è morta, ma tutte le sue buone opere sono oraannientate: non più gelsi, né seta, né olivi, né olio, né tele, né marmi, né semi nuovi,né nuovi animali, né istruzione, né educazione agraria. Siamo ritornati all’anticopeggiorando; ma le Amministrazioni locali che, per finirla, cessarono di sussidiarla,si dibattono fra i debiti e gli scandali, fra le inchieste e le Corti di Assise.

1. Il terrazzano

In vano cerchereste in un dizionario di agricoltura italiano o straniero unsignificato a questa voce, così come realmente l’ha nella vita campestre di Capitanata.Nessun libro di statistica, di economia, di sociologia, di antropologia si occupa diquesto tipo secolare e singolare di operaio rustico, il quale rappresenta una veracolonia semi-zingaresca, con usi, costumi e dialetti speciali.

Nessun cenno nelle poche insufficienti opere di economia rurale di questaregione, né pure nel volume XII su la inchiesta agraria dell’Angeloni; appena ilGarelli, dal Piemonte, gli consacra poche linee1.

Dove è il pascolo, sono le ferule, i funghi e il terrazzano: scomparso il primo,scompariranno gli altri. Ma il terrazzano non è un pastore, non è mai stato tale, pernulla al mondo anzi si deciderebbe ad esserlo (più tosto gli piacerebbe di assalirlo);e tanto meno un agricoltore contro del quale perpetua furti di ogni genere, piùamico della scure che della zappa odiata.

La sua genealogia più rintracciarsi tra i rami del vecchio albero del brigantaggio,il quale, cacciato dai boschi dissodati, sia venuto a ingentilirsi nella pianura aprica. Ela pianura è così vasta, così aperta, interminabile quasi, che egli vi scorazza serena-mente, a piedi o cavalcando un asino, o una rozza, o un muletto, da padrone nonmolestato, non turbato, non osteggiato da uomini, né da animali, né da cose.

Ha il corpo ossuto, angoloso, segaligno, le spalle leggermente incurvate, ilviso scarno, rugoso, da la pelle ispessita, plumbea, resistente, impassibile così alle

1 ALESSANDRO GARELLI, I salari e la classe operaia in Italia, Torino, Penato 1874, Pag. 407.

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scottature del sollione, come alle raffiche del vento carico di nevischio; gli occhiincavati, smorti, ma a quando a quando guizzanti lampi di ferocia, ereditata da lun-ga generazione di avi indeterminabili.

Veste poveramente, con la giacchetta e i calzoni corti sino al ginocchio, di telaturchina; ha il capo coverto da un berretto di cotone a maglie, bianco o turchinocome le calze, sul quale mette ancora un cappellaccio di feltro da le falde spioventie contorte.

Si direbbe il figliuolo delle intemperie: non però della intemperanza. Na-sce nella miseria, vive nella miseria, miseramente muore: ma della ricchezza nonsente il pungolo: sente bensì irresistibile, quasi feroce, il bisogno della libertà,dirò meglio del vagabondaggio campagnuolo, per il quale soffre più di stentiche non raccolga pane. Il fondo del suo carattere è la docilità offuscata però dauna tale ignoranza, che quella più non si ritrova quando meglio si vorrebbe; e incambio trovate una testardaggine che si manifesta alle volte con delle pericoloseinsolenze specialmente quando egli contratta il prezzo de’ suoi più piccoli pro-dotti.

È sobrio, forse perché deve esserlo: certo non usa a cantina, non si ubbriaca,non giuoca. Ama la moglie, alla quale è fedele, e i suoi figli: adora Iddio e i suoicomandamenti, meno qualche volta il settimo… applicato a’ prodotti della ter-ra.

Pochi legumi mal preparati, o delle erbe selvatiche, poco o punto condite conolio e sale, del pane nero, raramente ben cotto, qualche frutto carpito qua e là, apena maturo o immaturo affatto, ecco tutto il desinare che egli divide con la prole.Vive di poco, e di poco si contenta: ma lo scarso regime alimentare e la povertà disostanze azotate nel cibo, deprimendo costantemente le sue energie, ne degrada iltipo fisico, il suo nerver power, e non gli permette un lavoro che richieda grandeforza muscolare; e d’altra parte il suo cervello non esercitato mal si adatta a lavoriche domandino discernimento e specializzazione. Così che il suo guadagno si fatanto meschino che non basta da solo al mantenimento della famiglia: ed egli habisogno di essere aiutato dalla donna e dai figliuoli per mettere insieme quel che civuole per isfamarsi.

II

I terrazzani non sono meno di otto mila tra uomini e donne, e rappresentanouna vera casta sociale ben distinta da tutte le altre con le quali si trova a contatto: laquale, per gli usi, le abitudini, la costituzione della famiglia e il dialetto, si divideanch’essa, avuto riguardo alla organizzazione del lavoro, in tante piccole classi, che,cominciando da quella de’ vagabondi campagnuoli, si arrampicano su su sino allapiù alta e dignitosa dell’operaio contadino, in quella forma che qui prende il nomespeciale di versuriere.

Di terrazzani versurieri se ne contano circa ottocento. Il versuriere è un pic-colo coltivatore nomade di biade, seguace in quarantesimo del sistema di economia

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che il De Gasparin chiamò celtico; non coltiva più di una versura2, e per più di unanno su lo stesso terreno. È il vero tipo del nuskilled labourer; non conosce il suomestiere, per il quale non ha passione, e giuoca al “bianco e nero” del “come val’annata” quel po’ di peculio guadagnato e risparmiato, come una formica, durantela stagione estiva.

Qualche volta egli si spinge sino a una forma, direi brutale quanto primitiva, dicollettività del lavoro. Un proprietario che non voglia o non possa maggesare il suoterreno, lo cede per questo scopo gratuitamente sino alla estensione di venti o trentaversure, a un terrazzano, il quale a sua volta divide la impresa con alquanti compagni, etutti si assumono il rischio della coltivazione. Se il ricolto riesce ubertoso, qualche cosaguadagnano; se no, peggio per loro. Ma nell’un caso o nell’altro il proprietario avràavuto il suo maggese senza spender nulla. Non scorgete in tutto ciò una triste somi-glianza con i rapporti che ancora esistono tra i cooperatori della produzione siciliana?

Poi si scende più basso ancora: il terrazzano carrettiere. Sono seicento circaoccupati al trasposto dello stallatico o del concime raccattaticcio da alcune località,le quali si trovano sciaguratamente nei dintorni dell’abitato, alle masserie più o menolontane, o del frumento falciato dal campo alle aie, o del grano trebbiato dall’aia allefosse3 di conservazione, o dalle fosse alla stazione ferroviaria. Vivono così, giornoper giorno, dividendo il loro guadagno problematico con gli animali e con la fami-glia, riuniti in una casa sola, che è stalla, alcova, cucina, gallinaio e sala, nel più pienofatalistico accordo. Se il carrettiere non trova da occupare come tale la sua giornata,non perde per questo il suo tempo: si trasforma volta a volta in cacciatore, pescato-re, legnaiuolo, boscaiuolo, raccoglitore di erbe e di funghi, di frutta acerbe e diferule, esercitando, più o meno onestamente, uno o più di cotesti mestieri.

Poi, più basso ancora: i terrazzani cacciatori, che qui chiamano “cacciatori digiornata”, non meno che pescatori di lago, di stagni, di canali.

Preferiscono la caccia notturna, preferiscono la caccia senza fucile, ma pos-seggono anch’essi la loro brava paperina, uno schioppo dalla lunga canna, rugginoso,malandato, vecchio, col quale azzardano colpi terribili da schiantarlo, come accadequalche volta, per l’avidità di non perdere o di raddoppiare la preda. Del resto sonoabilissimi tiratori, quanto pazienti e tenaci appostatori. Accovacciati in mezzo a’giunchi o a’ tamarici degli acquitrini, inzuppati di melma sino alla pancia, restano leintere notti invernali aspettando che passino i grossi volatili acquatici, le oche, leanitre, per scaraventar loro addosso una vera grandinata di grossi pallini. Ma cac-

2 La versura è uguale ad Ea 1, 234.3 Le fosse, dal lato della tecnica delle costruzioni rurali, possono considerarsi come i moderni silos sotter-

ranei in muratura dall’intonaco impermeabile, nei quali si conservano i prodotti agrari. Hanno una capacità da1500 a 2000 Ettolitri di biada. Se ne trovano a Cerignola, a Orta, a Stornara ecc. ma sono queste sole di Foggia(più di mille nel Piano della Croce), le quali sin dal 1725, per pubblico istrumento, hanno funzione legale ecollettiva, che trova un riscontro nei moderni Magazzini generali. Un vero sindacato elettivo, e una compa-gnia di operai disciplinati e responsabili presiedono alla ricezione, alla conservazione, alla restituzione dellamerce; aiutati da una contabilità semplice e spedita, la quale serve da documento legalmente ritenuto da tuttii poteri costituiti. (Vedere sullo argomento la nota a pag. 193 del libro di S. STAFFA - Il presente e l’avveniredella provincia di Capitanata, Napoli, 1860.)

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ciano anche le allodole fra i solchi di fresco seminati, di notte, scovrendone primacon l’aiuto di una lanterna e dopo averle incantate con i rintocchi cadenzati di unacampanaccia rauca e fessa, ammazzandole crudelmente, anzi schiacciandole sotto iloro informi scarponi. E insidiano la bita di altri uccelletti in mille modi; mentre colfucile cacciano ancora le lepri, le volpi, e qualche volta il lupo.

Il mercato della città è sempre pieno di cotesta cacciagione, e parte viencomperata da incettatori speciali, i quali la spediscono in lontani paesi con largoloro profitto. Infine, la caccia si estende anche ai topi campagnoli, che i terrazzaiacchiappano con una trappola semplice e ingegnosa fatta di vimini a cannucce; ognitopo poi vendendo per un soldo ai coltivatori di frumento, sui quali pesa inesorabi-le quell’altra spesa non piccola di produzione.

III

A corto di ogni altro espediente, il terrazzano va vagando per le immensepianure pascolative, aiutato in ciò dalle donne, in busca di tutto quello che più omeno lecitamente può far suo, per rivenderlo o usarne. Ora sono sterpi e spini, orarami e frutti di perastri, ora ferule, ora asfodeli, ora funghi4, ora olive, e poi cicoriee cardi e finocchi e asparagi selvatici, e frumento spigolato tra le ristoppie, e luma-che e rane: tutto deve servire o per la famiglia – pane, combustibile, minestra – o percavarne qualche po’ di denaro vendendo il supero su la piazza o per le vie.

Sopra tutto è il frumento che conservano le donne gelosamente poi che dovràessere pane per l’inverno maledetto. Sì che assai raramente la storia cittadina registrail caso che, anche nelle annate di carestia, i terrazzani siano usciti a domandar delpane, e tanto meno ad assaltare i forni e le panetterie, abbiano accettato dalla provvi-denza pubblica un lavoro che non è il loro, ma che etimologicamente doveva essertale, quello cioè di aprire un fosso di scolo, di sterrare, di cavare e trasportare pietre.

Quando le donne restano in caso, lavorano ad intessere bruscole di giunchiper l’oleificio e, per il caseificio, museruole per i buoi e per gli asini, grandi e picco-le, di forme diverse, tanto utili e tanto ricercate. Sono le terrazzane in fine che lavo-rano a rompere con la zappetta le zolle, rovesciate dall’aratro, che mondano i campidi frumento dalle erbacce, che dánno il maggior contingente di vendemmiatrici.

Così, il terrazzano, fra il maggior guadagno dell’estate e il minore dell’inver-no, fra il suo guadagno e quello della moglie e quello de’ figliuoli, mette insieme untre lire al giorno, le quali vanno spese tutte tra il sostentamento della famiglia, ilmantenimento dell’indispensabile, bestia, asino o ronzino che sia, e l’affitto dellacasa, o meglio, del tugurio.

4 È di una certa importanza la produzione ed il commercio dei funghi mangerecci di Foggia, sia freschi chedisseccati, per la bontà e per l’assoluta innocuità di essi. Sono tutti degli agaricini; abbonda la specie agaricuseryngii (che vive sulla ferula). Poi l’ag. ostreatus, l’ag. procerus, l’ag. ovoide. I funghi si vendono freschi inautunno e in primavera, e secchi tutto l’anno. Per disseccarli sogliono infilzarli a un fil di canape e asciugarli alsole.

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Capitanata triste

Oh! vederle coteste abitazioni, le più sontuose a pian terreno, le ordinariescavate per tre o quattro metri entro terra, umide, oscure, tetre, vere grotte, come ilpopolo le chiama, o pessime stalle, come sono nel migliore de’ casi; nelle quali lafamiglia convive con l’animale e, qualche volta, due famiglie sono insieme con pa-recchi animali, in un luogo solo!…

IV

La funzione sociale della classe dei terrazzani sarebbe trascurabile se si voles-se solo guardare il numero relativamente esiguo de’ suoi componenti e la tenuitàdei loro mezzi intellettivi, morali e materiali; ma non è così se si consideri che essasta nella società moderna come una viva dimostrazione paradossale della più bassadegradazione operaia unita al più grande sentimento della indipendenza umana. Ècome una colonia di Pellirosse che resta incolume, imperturbabile e non turbata nelvorticoso progresso della civiltà americana.

Come fenomeno economico, il terrazzano discende in linea retta da un siste-ma di economia eminentemente estensivo e a grande coltura, due condizioni chedominano nella Capitanata, dove egli può vivere tollerato, come vivono i funghimangerecci, gli asfodeli innocui e le ferule nocive.

Quando i saldi e le mezzane, questi pascoli meschini che sono come gli ulti-mi avanzi di una fertilità, risparmiata per tanti secoli e liquidata in così pochi anni –dall’abolizione del Tavoliere… – saranno anch’essi solcati dall’aratro, e al postodelle ferule sarà nato l’olivo, degli asfodeli, il prato, dei funghi la vite, e la proprietàsarà divisa, e la campagna colonizzata, e la coltura fatta intensiva, il terrazzano scom-parirà, come è scomparso il brigante, come va scomparendo il mandriano. Alloratutta questa enorme massa di energie, che va sciupandosi ed esaurendosi in unaforma degenerante del lavoro umano, come l’accattonaggio, si applicherà alla terra,coscientemente, amorevolmente, sapientemente: e il terrazzano diventerà contadi-no e il suo tipo economico e sociale rimarrà nella storia, come una parentesi morbo-sa di un lavoro disordinato e incosciente.

L’Amministratore

L’assenteismo de’ proprietari di Capitanata, che ho commentato altra volta1,è rappresentato, in una forma più acuta e falsamente contraria agl’interessi dellaterra e al progresso dell’agricoltura, da un intruso: dall’Amministratore.

Un signore, che non viva qui, che qui non sia nato, ma che quivi abbia eredi-tato dagli avi suoi le estese tenute onde son ricchi, per citarne pochi, i Guevara, i

1 Cfr. A. LO RE, Capitanata triste, pag. 23, Cerignola, Ruocco e Bufano, 1895.

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Corigliano, i Ludolfi, i Filiasi, i Giusso, i Berlingieri, i Caracciolo, i Pignatelli e,della colonia abruzzese, i Cappelli, gli Angeloni, i Sipari, i Palitti, si sceglie un tale,che può essere un avvocato o un medico, un notaio o un faccendiere, un agricoltoreo un maestro elementare, un tabaccaio o un militare giubilato, e lo nomina ammini-stratore delle sue terre, con le mansioni modestissime di esigere quel che c’è daesigere e di pagare il pagabile.

Dal punto di vista della ermeneutica economica, cotesta forma di intrapresa agrariadee considerarsi come una derivazione peggiorata “economia diretta” che io ho chia-mato delegata2; nella quale, anche quando è pura, l’interesse che la intrapresa progredi-sca evidentemente è assai minore che in ogni altra forma di amministrazione rurale.

Peggiorata: poi che questo “amministratore”, che non è un agronomo, né unagricoltore né teorico, né pratico, vive anch’egli lontano dalle terre che governa,incapace non pure d’intendere i bisogni e le possibili trasformazioni utili, dal latotecnico e dal lato economico, ma di conoscere, se non razionalmente, praticamentealmeno, le colture che vi si fanno, o si possano fare; incapace sopra tutto di amarlele terre che amministra. È naturale che a sua volta scelga un sotto amministratore,un fattore, un rappresentante del rappresentante; un altro intruso: un irresponsabi-le. L’azione che, in ogni azienda agraria menata ad “economia diretta”, à da essereprossima per riescire vigile, pronta per tornare efficace, unica per essere rigorosa, siva così diluendo e stemperando tra molte persone disadatte, tra molto tempodannevolmente perduto, su molto spazio dove tutto si confonde, scolorisce, si sperde,sì che infine il padrone non sa nulla del suo amministratore, l’amministratore menoche nulla del suo fattore, e gli opranti nulla di nulla: una neghittosità che vorrebbeparere ordine, ed è disordine mascherato; una non curanza che vorrebbe camuffarsia superiorità di spirito colto, e non è che stupida melensaggine.

In cotesto rallentamento di ogni vincolo tra i cooperatori della produzione,migliorare le sorti degli operai della campagna, rialzare l’indice di fertilità della ter-ra, trasformare il sistema di coltura, colonizzare il latifondo torna assolutamenteimpossibile: anche l’utile netto del proprietario, sempre bassissimo, diventa spessevolte problematico. Io conosco grandi estensioni di terreno in condizioni comequelle che vado esponendo, qui in Capitanata, le quali sono affatto passive.

In aziende così condotte capitano gli operai peggiori, il rifiuto di altre azien-de; ed è naturale. Colui che dee intendere alla scelta è un tale che non è stato sceltobene né pur lui è un salariato, che vive dell’azienda: non interessato nell’esito dellaindustria, non affezionato a’ campi, incurante del padrone. Tra lui e il padrone vi èl’amministratore, come un cuscinetto, per attenuare le scosse, raddolcire gli urti,covrire le piccole magagne. Ora è chiaro: della scelta fatta male deriva la pessimaesecuzione dei lavori, la povertà del ricolto, la rovina del terreno.

E ciò potrebbe anche passare, se codesti operai avventizi, mantenuti da que-sto sistema di amministrazione non rappresentassero un vero fenomeno degradan-

2 Cfr. A. LO RE, Economia dell’industria agraria, Pag. 187, Foggia, Modugno, 1895.

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te e pericoloso per la società moderna. Il contadino, che pur chiamandosi tale, siavagabondo, e abbia sua casa in città, e vada per i campi in busca di lavoro, è uncontrosenso di tutte le forme del lavoro manuale e di tutte le organizzazioni indu-striali moderne. In fondo il “contadino”, per benefica, indelebile azione atavica, èbuono, è tranquillo, è severo, onde è morale e suscettibile di utili e feconde trasfor-mazioni; ma se su codesto fondo fate nascere il micoderma dell’indifferenza e del-l’abbandono altrui, o se vi fate vegetare la muffa del disprezzo, dell’odio, del livorecontro tutti, voi vedrete che il contadino, il quale dovrebbe avere la casa sul campoe il campo per campar la casa, sarà uno spostato che diventerà il nuovo “brigante”della società avvenire.

Così come è ora possiede tutti i difetti del salariato che faccia mille mestierisenza conoscerne bene alcuno: lavora male, lavora con stento, lavora poco; ingan-na, ruba, tradisce.

Ebbene: codesti signori, che abbandonano la terra al primo capitato, li ritrove-rete, nelle grandi città, alla testa di tutti i comitati di carità pubblica, di tutte le ammi-nistrazioni di opere pie, di tutte le sottoscrizioni di beneficenza: son mezzi codestiper isgravare la propria coscienza da ogni scrupolo: e dimenticano o non sanno o nonintendono o non sentono, che se volessero fare il sagrifizio di poche delle loro me-schine vanità per trovare il tempo di amare la terra, la terra avita, la terra sconosciuta,di governarla, di assisterla, di farla valere, maggior beneficio verrebbe e non momen-taneo e non corruttore e non depravante a migliaia di vite che alla terra direttamentesono attaccate, alla ricchezza nazionale, all’agricoltura patria, a loro stessi, in un avve-nire che si disegna torbido, e inquietante per la società moderna.

L’Amministratore non è che il rappresentante di questo assenteismo dell’as-senteismo, ed è il dio termine della coltura estensiva, ed è il simbolo di un’atoniaagraria pericolosa, poi che impedendo incoscientemente ogni progresso, ogni mi-glioria, ogni innovazione concorre passivamente a che la terra sia sfruttata, la pro-duzione diminuita, la concorrenza aumentata, lo sbilancio ingigantito fino al falli-mento.

La coltura estensiva, quando non sia nemica inesorabile la natura, deeconsiderarsi come l’effetto della povertà de’ capitali, della intelligenza, della vo-lontà e dell’amore per la vita campestre. Ebbene: mettete insieme un propritarioche non conosca le sue terre delle quali spende improduttivamente il reddito,un amministratore che sappia appena tirar la somma de’ prodotti lordi e sot-trarne le spese per spedire il resto al primo, il potere affidato a mani estranee,lavorato da operai posticci, e avrete tutte quelle qualità negative, e avrete lafatalità della coltura estensiva, e avrete la massima dispersione delle forze con ilminimo profitto. Qui nessuno ha interesse che l’azienda progredisce, che le col-ture si trasformino, che il bestiame si migliori; che i concimi riescano più ab-bondanti ed efficaci, che le macchine aiutino la mano d’opera; non il proprieta-rio per non aver la noia di occuparsene, come l’eroe mondano del Farini, e poi,perché, dopo tutto il credito fondiario che lo ha aiutato nei bisogni urgenti; nonl’Amministratore, cui conviene di non azzardar progetti che potrebbero per la

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loro somma bestialità menomargli il prestigio, tanto più gelosamente custoditoquanto più facilmente vulnerabile; non il capo effettivo dell’azienda, il massaroo fattore che sia, il quale se non sa il suo mestiere, pensa però con la invincibilemalitia rusticorum come “valga più un ovo oggi che una gallina domani” e chese “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo” quell’occhio non servirebbe certo afare ingrassare lui.

Ma queste organizzazioni schiettamente feudali, grandi famiglie, larghe pro-prietà, immense ricchezze stagnanti, circoscritte, immobilizzate dai vincoli delleleggi, potevano al più durare sino al ’60, non più quando la rivoluzione che pure èstata conservatrice, le sbrandellò miseramente, sì che ora le famiglie son rimaste, mason scomparse o diminuite le ricchezze: ed è restato il fasto d’un tempo, ma circon-dato dal disordine finanziario e da debiti enormi.

È naturale che la decadenza economica aumenti fatalmente.È strano che tante scuole di agricoltura, superiori, medie ed elementari, non

abbiano in un periodo di circa trent’anni dato modo a questa regione dimenticata dimigliorare almeno questa forma assurda di sistema amministrativo; che non abbia-no creato né proprietari come dovrebbero essere, né direttori come sarebberodesiderabili: né proprietari che sentissero il bisogno di buoni direttori, né direttoriche per dottrina, e per pratica affidassero i possessori della terra: né alcuno infineche sapesse e volesse dire dove è il danno, quale è il danno, come possa guarirsi.

Ora, vedete, questo è certo: che così la terra è abbandonata con uno scettici-smo che non à riscontro: che codesto abbandono è demoralizzante poi che dimo-stra mancanza di fede e di coltura, di ordine e di perseveranza, di esempio e didisciplina: che codesto abbandono è socialmente pericoloso, poi che tende ad au-mentare un proletariato agrario più pezzente del Cinese: che codesto abbandono èeconomicamente disastroso, poi che deprimendo l’indice della produzione col de-primere quello della fertilità, diminuisce la massa delle materie alimentarie necessa-rie al paese, e provoca per conseguenza una concorrenza invincibile non solo magaloppante.

Pretendere che questi signori si uniscano alla terra è vano, però che nel lorosangue, per lunga ignavia ereditata dai padri, nulla sia rimasto del sentimento roma-no evocato da Plinio: “Chi lavorava male il terreno era tassato d’infamia dai Censo-ri”3; e pretenderlo sarebbe forse un male, da poi che essi verrebbero alla terraimpreparati, sfiduciati e malsicuri. Pretendere che l’Amministratore diventiagronomo, al punto da sostituirsi utilmente al proprietario nel curare il migliora-mento dell’azienda e l’innalzamento del reddito netto, è come pretendere dalla na-tura che gli tolga gli anni di dosso, e novello Fausto, tenti il connubio dell’empirismopiù banale della vecchia agricoltura col metodo razionale, chimico, fisiologico emeccanico, che regola e indirizza la nuova. Miracoli siffatti non sono possibili.

Per trovare uno spiraglio di luce che infonda nell’animo un poco di buona

3 Libro XIX, Capo III.

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speranza bisogna guardare l’avvenire e carezzare e propugnare l’idea, che ove i pa-dri si resero trascurati e neghittosi, vengano i figli illuminati e volenterosi, per dedi-care i loro studi, la loro energia, il loro tempo, il loro amore alla terra.

Ecco, se la generazione dei signori che tramonta questo solo sapesse fare:incamminare i discendenti alle dottrine dell’agricoltura, ogni colpa sarebbe cancel-lata, e persino le Ninfe, povere profughe da’ boschi discacciate, canterebbero l’innodella riabilitazione. Dalla dottrina, che è scienza, spanterebbe l’ideale che è fede: edalla fusione di quello con questa sorgerebbe completa la coscienza dell’agronomomoderno.

Venite dunque, o giovani signori. Nessun ideale è superiore a quello del-l’agricoltura. La vita campestre è il tipo normale della vita umana: è su’ campi chequesta si sviluppa in tutta la sua interezza: è su’ campi che la salute materiale delcorpo si integra con la salute morale dello spirito: è da’ campi che viene la forzadelle nazioni.

Non ricordate i versi di Orazio?Non his juventibus orta parentibusInfecit aequor sanguine Punico,Sed rusticorum mascula militumProles, Sabellis docta ligonibusVersare glebas,…

Il mediatore

Il Lexis ha dato questa definizione: “L’opera de’ mediatori consiste nel tro-vare compratori a coloro che vogliono vendere e venditori a coloro che voglionocomperare”1.

Ma considerare la funzione del mediatore dal solo punto di vista commercia-le o da quello dello scambio delle ricchezze, non è comprenderla in tutta la suainterezza. La influenza di lui si esercita su la economia sociale con una forma diparassitismo dissanguante, il quale, secondo il Potter, fa abbassare i salari, secondome fa anche diminuire il prodotto netto, e secondo il Boullainvilliers, costituendouna vera imposta, fa crescere il prezzo delle mercanzie.

Dove è intermediarismo è parassitismo: dove è parassitismo è miseria. Eccoperché nella Capitanata, ove il sistema economico è tuttora bambino, insufficientela organizzazione commerciale, povere le condizioni dello scambio, il mediatoreattecchisce e si moltiplica portentosamente in un numero indefinito di sensali dicereali, di lane, di erbaggi, di uve e di vini.

Chi sono? – Risponderei col Müller: “plurique viles sunt et mendaciis

1 S. Lexis, Commercio (in Schömberg, vol. 13).

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abundantur, ita ut in dubio mendaces esse presumantur”. Platone a’ suoi tempiebbe a dichiararli “immeritevoli di esercitare i diritti politici, come quelli che siabituavano all’inganno e alla impudenza”2.

Quali garanzie morali e legali offrono costoro? Domandatelo alla Camera diCommercio e non vi saprà dir nulla. Sono mediatori “privati”, sconosciuti a ognipotere costituito, sfuggenti alle disposizioni del Codice di Commercio, già per séstesse monche e insufficienti. Il Codice prescrive che essi tengano de’ libri speciali(art. 33) e non li tengono: il Codice li chiama responsabili delle carte sottoscritteche riguardano gli affari trattati per loro mezzo (art. 29), e codeste carte non esisto-no addirittura.

Non pure sono numerosi, ma inframmettenti, astuti, assorbenti e prepotentie impudenti; ora per codeste qualità hanno posto l’assedio al mercato, e lo tengonosenza misericordia, da padroni, ingannando il compratore, turlupinando il vendi-tore, trescando con l’uno e con l’altro, dettando i prezzi, creando mille ostacoli aogni contratto, mille dubbi, mille cavilli, mille garbugli, per dimostrare indispensa-bile nei contratti l’opera loro e la loro presenza.

In fin de’ conti, l’opera loro riesce socialmente dannosa poi che tende a farinnalzare il prezzo delle derrate. Il produttore addosserà al compratore il costodella mediazione; e se il compratore è un piccolo commerciante, che è come dire unaltro sensale anche lui, addosserà al consumatore, alla vittima delle vittime, il prez-zo della prima e della seconda mediazione. Tutto ciò dee accadere in maniera e inproporzione più sensibili e più dannose ne’ nostri mercati, ne’ quali una grandedistanza separa la domanda dalla offerta, manca assolutamente la “esteriorità” alcommercio moderno, la fede e l’audacia nelle contrattazioni coi compratori lonta-ni, le conoscenze ampie ed esatte del fluttuar de’ prezzi.

“La critica scientifica – scrive il prof. Montemartini, come conclusione diuna sua acuta e dotta analisi della funzione intermediaria3 – non si è mai indugiata,anzi l’economia politica accompagnò sempre l’agitazione pratica e si fece ben pre-sto a rivedere i difetti e gli inconvenienti che presenta la mediazione ed il suo eser-cizio. Perché dobbiamo qui distinguere due correnti di economisti: gli uni, purammettendo l’utilità e l’efficacia della mediazione, si scagliano contro i mediatori ene fanno risultare l’ingordigia e la frode che per essi è inerente all’esercizio dellafunzione; gli altri combattono la funzione stessa intermediaria, la dichiarano dan-nosa ed inutile all’interesse sociale. Fra i primi si può annoverare lo stesso Smithche ha espressioni di biasimo e di dispregio parlando della classe e del modo di agiredei mercanti in genere. Egli non parla espressamente degli intermediari, ma questisono compresi al certo in quella classe di mercanti che “in generale hanno interessead ingannare ed anche opprimere il pubblico perché il loro interesse è sempre inalcuni rispetti differente da quello del pubblico ed anzi talvolta ne è anche oppo-

2 In UMBERTO GRECO: Dei mediatori, 1889.3 Gl’intermediarii e la funzione intermediaria nella circolazione delle ricchezze del dott. r Giovanni

Montemartini. Milano, Vallardi, 1892.

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sto”. Questa critica di Smith alla classe intermediaria fu poi ripetuta dagli scrittorisocialisti che si occuparono della questione.

La seconda corrente, che attacca direttamente la funzione intermediaria comeinutile e dannosa, si fonda specialmente su ragioni di indole economica. Già ilBouillainvilliers diceva che la retribuzione all’intermediario costituisce un’impostache accresce il prezzo delle mercanzie. Anche Stuart Mill doveva riconoscere chenove decimi degl’intermediari fra produttori e conservatori erano inutili: RobertoOwen lamentava il crescere eccessivo della classe intermediaria che non facea altrose non accrescere il costo di produzione e lo svantaggio del produttore. Si vienecosì gradatamente alla teoria economica che vede nell’attività intermediaria un la-voro improduttivo, che si dovrebbe nell’interesse sociale togliere, ridurre, soppri-mere, nella teoria economica che considera gl’intermediari come parassiti della so-cietà.

Ora io credo che la quistione vada posta così: non si nega che l’intermediarismocompia una funzione importante nello scambio delle ricchezze, da poi che facilita ilcontratto fra la domanda e l’offerta, fa conoscere la quantità di questa e la impor-tanza di quella, la qualità della merce, le condizioni del mercato, la misura dei prez-zi; ma si afferma che, perché codesta funzione risponda onestamente, perfettamen-te, economicamente al suo o a’ suoi scopi, ha da organizzarsi in forma cooperativa.La cooperazione scaccerà l’intermediario. I coltivatori riuniti in sindacato, o con-sorzio, o comitato, o Camera, come ora vuolsi chiamare, dovrebbero rendersimutuamente il servigio della mediazione, senza o con tenuissima spesa; sostituen-dosi così agli intermediari di professione che sono i loro sfruttatori impenitenti, lacui dannosa intromissione verrebbe così soppressa, con lo scopo di vendere i loroprodotti nelle condizioni più favorevoli di collocamento, di trasporto, di prezzo.

I produttori pugliesi di cereali, di lane, di uve, di vini, di erbaggi, si associnoe costituiscano per ciascun gruppo di codesti prodotti una “Camera di Mediazio-ne”. La camera dovrebbe costituire un ente a sé, affatto distinto da ‘ singoli coltiva-tori che concorsero a crearla, come pure dai membri che temporaneamente la com-pongano; dovrebbe avere personalità propria, distinta. Tutti i coltivatori dovrebbe-ro, un certo tempo prima dell’epoca del raccolto, presentare al registro delle infor-mazioni, che deve essere sempre depositato nei locali della Camera, lo stato precisodei loro fondi – se la cognizione delle condizioni vegetative diverse nella terra han-no importanza – come pure le diverse partite che intendono offrire sul mercatodescritte qualitativamente e quantitativamente. La verità delle singole deposizionied esposizioni deve essere sempre verificata ed approvata dalla Camera, la qualepossibilmente ne dovrebbe rispondere. Il registro delle informazioni poi deve sem-pre tenersi esposto per le consultazioni che i compratori volessero fare. Tutti i con-tratti che ci conchiudessero verrebbero registrati nel registro dei contratti, verreb-bero sottoscritti dalle parti e dai membri, o da alcuni dei membri della Camera,incaricati a ciò. Tanto il compratore che il venditore dovrebbero pagare una senseriaminima per il servigio ricevuto, solo sufficiente a coprire le spese che la Cameraincontra nelle sue funzioni; oppure i produttori potrebbero sostenere essi solo il

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costo del servizio di mediazione per allettare viemmeglio i compratori.La Camera finalmente, se costituita legalmente, potrebbe in certi casi essere

garante di fronte al compratore della precisa esecuzione del contratto, ed in caso dinon adempimento, procederebbe lei stessa per le vie legali contro il socio colpevole.Si dovrà tenere anche a pubblicare ad eguali intervalli un listino dei prezzi, cherappresenterebbe la media dei prezzi fattisi in tutti i contratti conchiusi col ministe-ro della Camera”4.

Camere siffatte in questa regione a grande coltura dovrebbero sopprimere l’in-termediario, sostituendolo nelle contrattazioni di compere e di vendite. Così la cono-scenza che esse hanno del mercato, la esattezza delle registrazioni contabili, del bol-lettino de’ prezzi e delle altre notizie utili, ne farebbero degli organi di scambio di unaincontestabile utilità per i produttori e per i consumatori, a’ quali renderebbero iservigi ad un costo minimo, sbarazzando il mercato dal parassitismo de’ sensali.

Gl’impreparati

Il medico che ha potuto, senza accorciare e senza allungare la vita ad unosolo de’ suoi malati, mettere insieme un gruzzolo, l’ingegnere che ha guadagnatoqualche migliaio di lire nella costruzione di un ponte; l’appaltatore il quale s’è fattopagare la breccia che non ha sparso su le strade rotabili; il farmacista arricchito, ilsalumaio, il bottegaio, i quali hanno saputo lavorare a loro vantaggio sull’equilibriodella bilancia, ecco, si sentono prendere invincibilmente da un sentimento di orgo-glio che li trascina a mutare il campo delle loro battaglie, e ad affrontare un nemicopiù potente, il più potente, la terra. Non è un fenomeno economico, per il quale ilcapitale risparmiato dall’industriale nelle intraprese pericolose viene finalmente in-vestito, in modo più sicuro e tranquillo, nella industria agraria; non è ne pure ilfenomeno psichico pel quale l’industriale cerca nella vita de’ campi quel riposo del-lo spirito, che il turbinio degli affari gli aveva per tanti anni negato; non è nemmenoil fenomeno artistico e letterario, pel quale questi piccoli magri borghesi voglionoabbeverarsi alle pure sorgenti virgiliane. Niente di tutto ciò, e per una sola ragione:che qui non si tratta già di barattare moneta con un tanto di terreno e creare ilpossesso e la proprietà, o la vita tumultuosa e affaticata della città, scambiare felice-mente con quella de’ campi, o la lettura di “Nanà” con “Le delizie della vita campe-stre” di Agostino Fappanni; ma di sposare il triste giuoco dal tappeto verde di uncircolo, o dal tavolo unto di bottega, o dalle candele di una subasta, o dal registro diun notaio; al seno della terra, che è tappeto scuro, che è bottega tetra, che è candelaspenta, che è contrasto pericoloso, che è il misterioso e l’imprevedibile, e che perciò, forse, ipnotizza fatalmente i neofiti e poi li uccide.

Affidare il seme, anzi il grano, che è il seme del seme, alla terra; vederselo

4 G. MONTEMARTINI, op. cit.

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germogliare in pochi giorni, crescere, fiorire, fruttificare in pochissimi mesi: semi-nare uno e raccogliere dieci, forse quindici, forse venti…! L’elemento fantasticos’impossessa del cervello di chi non ha l’esercizio di analizzare tutte le fasi, che unfenomeno qualunque dee attraversare prima di manifestarsi in tutta la sua verità enel suo splendore; s’impossessa del cervello degl’impreparati, e lo tiene.

Allora tutto par facile e naturale; dalla semina alla raccolta. La terra, ma essaè fatta per produrre; il clima, ma esso è fatto per dare il calore e la pioggia, il ventoe l’umidità, la luce e la vita. Un seme, vedete, dà sempre venti, trenta, cinquantasemi; questo si sa; ma chi sa che la terra può essere esausta, chi sa quanto e comedovrebbe fertilizzarsi, chi sa se sia adatta a quella coltivazione, e chi pensa che incambio di calore, quanto ce ne vuole, il clima non dia che gelo, e in cambio dellapioggia grandine, e in cambio del vento uragano, e dell’umidità brina e della luce edella vita, oscurità e morte? Fate studiare queste cose ed avrete l’agricoltore equili-brato, che sa quando e quel che dee fare; fate che non si sappiano o si sappiano male,e avrete questi spostati, che hanno dell’alcolista la manomania: la terra e il grano, ilgrano e la terra, e battono su la terra il naso per non rialzarlo più.

Nella Capitanata si chiamano “Industriosi di campo”; e “gl’industriosi” nonsono agricoltori, non posseggono, cioè, né per atavismo, né per studi proprî, né perpratica acquistata, quelle doti, le quali, se sono necessarie in ogni professione, di-ventano indispensabili nell’esercizio dell’agricoltura. Piace loro di imitare, come sesi trattasse di un innocente sport ciclistico, l’agricoltore, perché egli ha sempre ungran numero di persone attorno, di opranti da comandare, di animali da ammirare,e da fare ammirare, di veicoli da mettere in uso, di polli e di agnelle da regalare tuttoun fasto, più o meno fittizio, che suggestiona potentemente.

Le conseguenze sono inevitabili: la loro rovina e la rovina della terra.Quante cadute si son vedute! Mettono su carrozza – questo prima di tutto e

sopra tutto –, e si lasciano trascinare da un paio di cavalli, adorni di tintinnantisonagli dalla città alla campagna e dalla campagna alla città, più per isfogo di vanitàche per bisogno di sorvegliare le faccende dell’azienda improvvisata.

Su’ campi si ara e si semina, così come si giuoca un biglietto al lotto.Una turba famelica, scettica e ladra, finge di eseguire o esegue male i lavori; ma i

lavori non contano, non conta l’ingrasso, non conta la qualità né la quantità del seme:quel che fa tutto è il cielo e la fortuna. Piove, non piove; è sereno, è nuvolo; è caldo, èfresco… Viene la grandine o viene la brina, ed è perduto tutto. Lo speziale rimane conpoche spezie. Non importa, sarà meglio quest’altro anno; e non è meglio. Il peggiosono i debiti; e la fine è il fallimento. Lo speziale, questa volta, rimane senza spezie.

Ma l’esempio non giova: cento cadono, duecento sorgono a tentare Saturno,il divoratore de’ figliuoli. È così che noi assistiamo ad un fluttuar di gente poco notao sconosciuta, la quale si ostina a domandare alla terra la fortuna, inconsideratamente,dissennatamente, e trova nella terra la rovina; è così che gl’“Industriosi” compaio-no e scompaiono dal mercato di Capitanata come le figure di un caleidoscopio,come fantasmi da lanterna magica, senza lasciare traccia del loro passaggio, senzalodi e senza rimpianto. Ma i risparmi accumulati per vie diverse sono stati distrutti;

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e allora il fatto personale prende tutta la importanza di un fenomeno economico-sociale, che si manifesta in una stasi di ogni altra esplicazione del lavoro umano.

E la terra? Derubata da codesti incoscienti sfruttatori della fertilità, maltrattatadai lavori incompleti o malfatti, non corretta, non rinsanguata, poi abbandonata omanomessa, s’irrigidisce in una sterilità che è povertà di produzione, moria degli ani-mali, fomite di miasmi, e poi ancora miseria del contadino, infiacchimento degli orga-nismi, emigrazione, ebetismo, e, chissà, domani, forse, rivoluzione e anarchia.

Vi ha il caso migliore, ma assai raro, che l’“industrioso” arricchisca per la“benedizione del cielo”; ebbene costui, come uscito fuori dal pelago perigliosos’abbrancherà alla riva del “Debito pubblico” e comprerà della rendita, guardandoi campi con quel terrore indefinibile, col quale il naufrago, scampato miracolosa-mente, ripensa alle acque che stavano per inghiottirlo.

O vincitore o vinto, l’Impreparato, sia che volendo provarsi con la terra,rimanga annientato, sia che nella prova abbia la ventura di innalzarsi a rentier, eser-cita nell’agricoltura il triste e depravante officio del parvenu, il quale corrotto ecorruttore, vive la vita cittadina misteriosamente, con mezzi de’ quali non si cono-sce l’origine, con spese di fonte incerta, sempre elegante, sempre apparentementericco, eternamente sorridente, cinico per la vita e, qualche volta, malfattore.

Parassita l’una e parassita l’altro; il primo della terra, il secondo della società.Entrambi consumatori improduttivi: questi pe’ risparmî dei privati e delle banche;quegli della fertilità del suolo. Tutti e due mangiatori di ricchezza, della ricchezzaaccumulata con il lavoro di milioni d’affamati. Chi sfrutta la terra incoscientemente,o per basso egoismo di subito guadagno, compie un delitto. Gl’impreparati dell’agri-coltura sono incoscienti insieme e avidi sfruttatori. Che essi falliscano o arricchisca-no, l’effetto è lo stesso: la terra rimane depauperata, la fertilità distrutta. Quanto tem-po ancora e quanto danaro ci vorranno per ripristinarla? E durante cotesto intervallodi tempo quante sostanze indispensabili alla vita, il pane, la carne, l’olio, e tutte lematerie prime delle industrie, saranno insufficienti a’ bisogni del consumo umano?

Ogni questione agraria trae seco una questione sociale. Elevare i prodotti è lamissione della scienza agricola, missione degna de’ più alti e nobili sforzi, perché ilsuo successo diminuisce il numero delle creature umane che soffrono la fame opatiscono per la mancanza di una sufficiente nutrizione. Il coltivatore, che non rie-sca ad aumentare la massa delle materie alimentari, le quali sono nel suo dominio, èun non senso, poi che non farà la propria fortuna, ne servirà all’interesse generale.

III

Peggiori sono gl’Impreparati che ci vengono di fuori.Unificate politicamente quanto volete, sognate di affratellare come più vi piace

questa Italia nostra, una sola cosa non riescirete giammai a calcare sopra un tipounico: l’agricoltura. L’Italia avrà sempre tante agricolture quante ha regioni. È fattain un certo modo così simpatico insieme e così barocco che clima, terreno e merca-

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to variano tanto sensibilmente, anche a breve distanza, da dare la illusione di unviaggio attraverso i due emisferi.

Vennero i Francesi e soppressero con la legge 21 maggio 1806, ossia con untratto di giacobinismo inopportuno, irrazionale e dannoso, la Dogana della messadelle pecore, che è quanto dire un vero istituto economico-sociale adattato, per viadi selezione, lungo tre secoli e mezzo, all’ambiente pugliese, governato da una com-pleta e provvida legislazione rurale che cominciata con Guglielmo il Malo nel 1155,si era andata svolgendo e perfezionando con Federico II e con Alfonso I d’Aragona.Venne la rivoluzione italiana e abolì il Tavoliere1.

I Francesi invasori e gl’Italiani, non unificati ma rimescolati dalla rivoluzio-ne, scambiarono la intempestività e il disordine con la libertà: vollero adattare tuttigli ambienti a un ambiente solo ideale, vollero persino confondere i punti cardinali,e il Sud adattare al Nord, ed il Nord al Sud; distrussero il vecchio che qualche cosaancora valeva, senza sapere e potere nulla di nuovo edificare.

Dall’affrancazione del Tavoliere lo Stato riscosse cinquantadue milioni e mez-zo di lire, i quali furono consumati Dio sa come, certo improduttivamente. E questosarebbe il male minore, se col Tavoliere altri milioni di azoto e di fosforo non fosseroandati distrutti, e distrutti i boschi, sacri alla vita e alla ricchezza, e distrutta la pasto-rizia, campagna benefica e indissolubile della agricoltura “estensiva” e povera, bilan-cia di compensazione tra gl’interessi della montagna e quelli della pianura.

Il pugliese ha molte terre e molto ben senso per muoversi di casa in cerca dirisaie o di marcite, non tanto né tanto ne hanno gli altri, i quali sono venuti e vengo-no qui da conquistatori della terra e della produzione: d’una terra che non conosco-no, d’una produzione che non sanno come si possa ottenere. Il loro peccato morta-le è questo: credere che ovunque e comunque si possano usare gli stessi strumentidi produzione, nella sicurezza che il guadagno non debba mancare. E così: oprantinuovi, animali di altre razze, arnesi, attrezzi e macchine di altri luoghi, nuovo ordi-namento dell’azienda: e poi dissodamenti improvvidi, prosciugamenti assurdi, col-tivazioni impossibili, costruzioni luttuose, trasformazioni zootecniche e coltureintempestive, e una prodigalità di spese, dal salario del bracciante alla mercede delcontadino, dall’onorario del Direttore al pourboire del giornaliero: molto vino, infondo a tutto ciò, molto cognac: molto danaro e molte illusioni. Un bel giornosono venuti i disinganni; il danaro è finito, la terra è rimasta avara sino al punto danon pagare gli interessi dei capitali impiegati, e le illusioni sono svanite con gli ulti-mi vapori dell’alcool. Bisognava ricordarsene: Moglie e buoi de’ paesi tuoi.

La Puglia, come tutte le regioni del nostro paese, aveva ed ha bisogno di“selezione”, e invece i nuovi venuti sono ricorsi all’“acclimazione”. Non migliora-re ciò che è prodotto di ambiente fisico, economico e sociale; ma importare quelche si è prodotto sotto altre condizioni non solo diverse ma inimitabili. Innovarenon migliorando: ecco l’effetto di questa impreparazione.

1 Leggi del 26 febbraio 1865 del 7 luglio 1868 e del 7 marzo 1871.

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Una rinnovazione senza metodo, senza misura, insufficiente, disordinata,estemporanea, la quale, per ciò stesso, non è mai potuta attecchire, sia essa venutada privati o da associazioni, da Commissioni ufficiali o da Scuole non meno ufficia-li, non meno agrarie, non meno teoriche, dimostrative e pratiche. Niente è rimastoincolume dopo codesto uragano, eccetto che il grano. Iddio salvi il grano diCapitanata: il “grano” e la “bianchetta”.

Conoscete la storia contemporanea del nostro cavallo?Un bel giorno il 6 dicembre 1831, venne in mente a Ferdinando II di nomina-

re una commissione perché avvisasse a’ mezzi di migliorare le razze dei nostri ca-valli e riportare ai loro antichi pregi. Dal 1833 al 1860 furono acquistati, 105 stallonitra inglesi puri e non puri, arabi, barbareschi, tedeschi, senza una scelta determina-ta, per uno scopo o per degli scopi determinati, i quali erano mandati di qua e di làper le diverse provincie, cambiandoli ogni anno e non “riformando” i prodotti cat-tivi. Così nella Terra di Otranto, ove le cavalle sono generalmente di bassa statura simandarono gli stalloni più alti, e invece di indirizzare colà la produzione al tipo delcavallo da sella o da tiro leggero, come il luogo avrebbe richiesto, si cercò di ottene-re cavalli da tiro grandissimi; così nella provincia di Bari, ove volevansi cavalli alti,fu mandato lo stallone Cadmus dalle orecchie sbarrate, dalle ganasce grosse, dalmantello mal tinto, piccolo e, per giunta, vecchio; così nella Capitanata, ove si nota-va in molte razze il difetto de’ piedi dall’unghia molle, bassi e slargati, si mandaronostalloni con lo stesso difetto che si voleva combattere nelle cavalle. La conseguenzanon poteva che essere che questa: il cavallo napoletano, alto, forte, agile, impetuosoe destro, dai movimenti risoluti e scultori, docile e resistente, andò scomparendo, eora è entrato nel dominio degli studi archeologici.

Il periodo delle “novità”, da che il mondo è tutto conosciuto, è finito:l’“adattamento” più o meno secolare è avvenuto: si tratta ora di “migliorare” quelche ciascuno possiede. Chi non capisce queste cose tanto semplici, può essere undirettore di serraglio, o un educatore di scimmie, o un allevatore di pulci: non è, enon può essere un produttore serio e severo, il quale sappia quel che voglia, e vogliaquel che possa volere: è uno snob dell’agricoltura, è un Impreparato.

Più che a disastri finanziari, la “Novità” ci ha condotti a un disastro morale,a una debacle della fede e dell’ideale. E questo è male più grave. A forza di assisterea tanti insuccessi, a tante vanità sgonfiate, a tante imposture, la massa degli agricol-tori in cambio di progredire ha ancora più fisso il chiodo nella idea che i padrisapessero fare assai più dei figliuoli. Di qui una perplessità in ogni movimento, unasfiducia, un’apatia, una stasi che ha ritardato chi sa mai di quanto il libero svolgi-mento del progresso agrario di questa regione.

Chi ha insegnato a’ viticultori di S. Severo quel modo raffinato insieme erobusto di allevare le viti? E quale ha avuto una maggiore influenza educativa,colturale, economica e sociale, la vigna del Pavoncelli o la Scuola agraria di Cerignola?

Una cosa è la industria agraria, un’altra la manifatturiera. Se viene un indu-striale, chimico e tecnico, che conosca i processi più perfezionati ed economici d’unaspeciale industria la quale non abbia i limiti de’ “compensi decrescenti” o la ineso-

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rabilità della “Rendita” ricardiana, o come la industria terriera, sia egli giapponese ochinese, russo o austriaco, francese o tedesco, ben venga; egli non si troverà mainella ineluttabile condizione di sottostare a condizioni ineluttabili. Ma se viene perseminare, per piantare, per concimare, per arare, per raccogliere, non gli basterà néla “cittadinanza” né la “naturalizzazione” volute della legge scritta: gli ci vorrannoquelle che solo la natura può dare per lunga ereditarietà e per atavico adattamento.

* * *

L’agricoltura, in somma, ha il suo blasone e la sua aristocrazia è e deve essereconservatrice. Quando l’aristocrazia de’ Borghese e de’ Sciarra è voluta scenderefino a’ loschi costruttori edilizi ha dovuto vendere i quadri, chiudere le gallerie,fuggire. Quando l’agricoltura ha voluto concedersi ai borghesucci ingrassati, si èavvilita, è caduta, togliendo pane al popolo. Impossibile che le bellezze dell’arteintenda e adori chi non ha, per lunga educazione, fino il senso estetico e acuto edelirante il sentimento della bellezza; impossibile che intenda la terra, questo immaneorganismo donde emana la Vita, chi della vita individuale e collettiva, vegetale eanimale, economica e sociale non abbia, per analisi tormentosa di tutte le sue mani-festazioni, una cognizione larga, profonda, documentata.

Impossibile finalmente che una parte almeno di cotesto sentimento dell’artee della natura, che ha creato le Gallerie e i Poderi italiani, non discenda per li rami.Come un americano, arricchito nelle miniere di carbon fossile, così ragionevole,così indolente e così egoista, è preso in fine dalla febbre di parer principe, e consu-ma i suoi milioni a comprar quadri e statue che non comprenderà mai, così unsalumaio ingrassato è invasato dalla mania di seminar la terra, e mangia in erba quelche dovrebbe essere la ricca messe futura.

Ma l’arte ha le sue radici, profonde e sicure, nella genialità italica che non halimiti; e la fertilità, che è limitata, si consuma per la insipienza degl’intrusi, edegl’impreparati.

La terra, così maltrattata, si vendica impoverendo tutti.

Il bue

Diomede per ricordare il bove che egli trovò, superbo di forme e docile dicarattere, nella regione de’ Dauni, lo fece effigiare su speciali monete insieme allatesta di Pallade gallata e di Giove laureato. Secondo il Della Martora1, se si confron-ti quel bue effigiato con gli attuali buoi pugliesi, si scorgono identiche le forme, sene togli quelle lievi modificazioni, le quali sono andate manifestandosi o scompa-rendo per gl’incroci con altre razze bovine introdotte attraverso tante generazionidi popoli incursori e di governi stranieri.

1 Vedi la Nota a pag. CCXLI del volume Censimento del bestiame, 1881. Roma 1882. E.

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Il bue pugliese ha il corpo alto, lungo e di colore grigio, con forti le estremità,ampio e muscoloso il petto, angolosa e poco sviluppata la groppa. Lavoratore ro-busto, infaticabile, paziente per indelebile impronta atavica, consuma nel lavoropiù del foraggio, che scarsamente riceve nella greppia o a stento bruca su’ magripascoli, il suo stesso organismo, dimagrando sino alla consumazione. In tale stato,a quindici anni, poco su poco giù, lo macellano; e nessuno certo può dire che la suacarne così sia buona. Scarso è pure il latte delle vacche, ognuna di esse non produ-cendone più di quattro o cinque litri al giorno, ma assai ricco di caseina, tanto chebastano dieci litri per fabbricare un grosso caciocavallo.

Dove signoreggia il piano e grande è la coltivazione cerearia, l’agricoltura haper suo simbolo il bue: il bue con Cerere coronata di spighe.

E del grave occhio glauco entro l’austeraDolcezza si rispecchia ampio e quieto

Il divino dei pian silenzio vede.

E dove signoreggiando il piano, la coltura è estensiva e ceraria e grande, se ilnumero de’ bovini diminuisce, vuol dire che, o la superficie coltivava si è ristrettaed è ritornata in pascolo, o che si procede fatalmente verso la sterilità del terreno. Ilfatto esclude qui il primo corno del dilemma. È vero che una parte del terrenoaratorio pugliese è diventato vigneto; ma è vero altresì che una egual parte, se nonmaggiore, di pascolo è stata rotta dall’aratro e seminata di cereali.

Resta il secondo corno, che è il solo ammissibile, che è anzi disgraziatamenteuna realtà. L’indice della fertilità dee assottigliarsi a misura che si assottiglia il nu-mero del bestiame, date le condizioni economiche che incombono su l’agricolturadi Capitanata, poi che il lavoro, lo stallatico e i foraggi, che sono imprescindibilifattori di fertilità in un paese a coltura estensiva, vanno a loro volta diminuendo. Illavoro, che era già imperfetto e insufficiente, diventa più imperfetto e meno suffi-ciente ancora; il letame, già per sé stesso incapace a mantenere la fertilità del terre-no, non servendo a restituire che una parte delle sostanze sottratte al suolo e nonpotendo rispondere alle diverse condizioni del suolo, importanza però se guardia-mo nel loro tutto le condizioni e le esigenze della nostra pratica, non che scemare èanzi cresciuta, e per gli elementi molteplici che lo compongono, e per gli effettifisico-chimici che genera nel terreno e per il basso costo di sua produzione, diven-terà per la diminuita quantità più incapace e più incompleto ancora, senza che lecircostanze attuali favoriscano l’impiego de’ concimi chimici: i foraggi che eranoscarsi e poveri, diventando più scarsi e meschini, importeranno ancor minore quan-tità di azoto dall’aria nel terreno, come fanno tenerosamente e gratuitamente leleguminose con li loro tubercoli radicali: e tutto ciò segna la liquidazione progres-siva, incontrastabile della fertilità delle terre nostre.

2 Considerations sur la vie rurale. Un grand père à ses petits-enfants. Paris, Bonchard-Huzard, 1873.

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Siamo lontani, scriveva il De Bèhague a’ suoi nepoti2, dal tempo in cui ilmaestro comune, l’illustre Dombasle usciva nelle sue dotte memorie in questa infe-lice esclamazione; Il bestiame è un male necessario. Il bestiame è ora riconosciutocome il fondamento essenziale di ogni buona agricoltura, esso ne è la ricchezza,esso è destinato ad un grande ufficio negli interessi economici del paese.

In fine, lo stallatico, non ostante la sua insufficienza a soddisfare la nutrizio-ne vegetale, è assai giovevole anche perché la sua funzione fertilizzante si esplica alunga scadenza: e ciò è un bene dove come qui, una evoluzione culturale verso la“intensività”, se s’ha da fare, si potrà fare col tempo e non col danaro.

E bene il fatto è questo: il numero dei nostri buoi diminuisce con una pro-gressione spaventevole. Pare che gli agricoltori pugliesi, distratti dalla coltivazionedella vigna, la quale, secondo loro, vive senza ingrasso e si contenta delle zappature,abbiano dimenticato che il grano pugliese, che li ha arricchiti prima, è figlio delbestiame; e che se lo stesso grano li immiserisce ora lentamente ed inesorabilmenteperciò solo, che essi il bestiame non allevano più. Dal 1875 al 1881 la Regione Adria-tica meridionale segnò un aumento del 53% nel numero dei bovini. Codesto nume-ro che la statistica dell’81 determinava per la nostra Regione in 203,815, è oggi ri-dotto alla metà. La Capitanata che contava allora 39836 capi, ora ne conta menodella metà. Il solo territorio di Foggia che in quell’anno aveva 2786 bovini, que-st’anno ne ha a pena 1049. L’oggi è cattivo, ha detto A. Schopenhauer, ed ogni gior-no sarà più cattivo finché il peggio non arrivi.

La storia registra i nomi delle mandre pugliesi decimate o scomparse. Eranocelebri quelle del Nannarone con 200 vacche destinate alla riproduzione: tipi gran-dissimi, dalle corna grosse con la punta nera, dal manto grigio chiaro, quasi bianco,ottimi lavoratori; quella del Cappelli di 600 capi circa, forti e belli; del Francavilla di500 capi, dei fratelli Spada di 300, dei Sipari, dell’Angelone, del Ricciardelli,dell’Alicandri-Ciuffelli, del De Loreto, del Masci, del Caniglia, del De Renzi, delTanturri e di moltissimi altri, che ne avevano dai 100 ai 200 ognuno.

È forse avvenuta una evoluzione verso la intensività nell’allevamento del be-stiame pugliese, sì che il bue da lavoro sia stato trasformato in bue da carne, e nellavoro de’ capi a’ bovini sieno stati sostituiti gli equini, seguendo le norme dell’agri-coltura inglese?

Ohimé, che pure i nostri cavalli vanno non solo assottigliandosi di nume-ro ma infiacchendosi per deficienza di nutrizione, di convenienti ricoveri, dicure igieniche e per incroci disadatti allo scopo, il quale non è poi né pur bendeterminato. Erano notevoli e assai apprezzate le mandre de’ Varo di Troia,dello Zezza di Cerignola, del Barone e del Nannarone di Foggia, dello Spagnolettidi Andria, del Bisaccia, e poi del Filiasi, del d’Alessandro, del De Benedictis, delSansone, del Papa, del Tonti, del De Paolis, del Celentano, del Ripandelli, delBelmonte, del Mascia, del Nuzzi, del Brunetti… ora scomparse affatto o ridottea minime proporzioni. La vendita scarsa e incerta de’ prodotti, la rimonta fattacon criteri più fiscali che zootecnici, la scelta basata sul prezzo più che su labontà, le male arti de’ sensali disonesti hanno assestato l’ultimo colpo a questa

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industria. E siccome la nobiltà vuolsi abbia fatto il suo tempo anche tra gli ani-mali domestici, e in cambio di quella meglio si miri alla utilità, così è accadutoche l’Argos hyppium, come Diomede chiamò questa terra in omaggio a’ cavalliche aveva trovato focosi e di forme spiccate e speciose, in vece di produrre quellisi sia data a produrre muli. La produzione mulina in fatti è meno rischiosa,meno costosa, ora più ricercata.

La Capitanata, dall’81, conta oggi un numero doppio di muli. Foggia che colcensimento di quell’anno si trovò a possederne un migliaio, nel ’95 ne possedevapiù di duemila. Ma il mulo è un pessimo motore nella pianura per la trazione del-l’aratro e degli altri arnesi di lavorazione della terra: la sua forza non sta sul petto,sta sulla schiena: e i suoi piedi son fatti per arrampicarsi sui pendii sassosi e ripidi.Paragonato al bue come valore economico, presenta la stessa inferiorità del cavallo,senza possedere di questo i caratteri pregevoli della celerità, della sensibilità; dellaobbedienza, della intelligenza, che lo rendono superiore al bue. Il mulo, come ilcavallo, ha una quota di deperimento a suo carico assai alta anche se viva e lavorilungamente, per 20 anni poniamo; dopo dei quali non rimarrà che il valor del suocuoio: viceversa, il bue che ti ha dato il suo lavoro per parecchi anni, se non sivenderà al macellaio con un profitto, poco o nulla si perderà del prezzo al quale fucomperato.

E con il bue va scomparendo anche la vacca, sì che il cacio-cavallo, vanto ericchezza della Puglia, il migliore e forse l’unico tipo di formaggio possibile nellecondizioni in cui si svolge il caseificio meridionale, semplice nella fabbricazione,facile nella conservazione, non soggetto ad avarie, con una quota di scarto minimao nulla, ottenibile in tutte le stagioni con mezzi semplici, poco costosi, poco in-gombranti, sì che, dicevo, questo leggendario tipo di formaggio è ora costretto arifugiarsi nella Lombardia, dove hanno imparato ad abbozzarlo alla peggio, e dondeviene a noi non più grasso e pastoso e aromatico e conservabile, come il cacio-cavallo autentico, ma con un prezzo di concorrenza feroce, la quale seppellisce lavecchia industria casearia di Capitanata.

E i versi del Carducci tornano a suggestionarmi ancora, non già come uninno, ma come un rimpianto: un rimpianto della ricchezza che si va disfacendo edella poesia che non pure da’ campi, ma dall’animo nostro si va dileguando.

T’amo pio bove; e mite un sentimentoDi vigore e di pace al cor m’infondi,O che, solenne come un monumento,Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento,L’agil opra dell’uomo grave secondi.………………………………………

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Capitanata triste

Vini e Uve

I

Sono andato leggendo il ponderoso volume “Notizie e studi intorno ai vini edalle uve d’Italia”, pubblicato con grande cura, con dovizia di dati, con scrupolosaprecisione di cifre, con larghezza di analisi, dal Ministero di Agricoltura1, e mi sonofermato – ciò è tanto naturale – a quella parte che riguarda le nostre uve e i nostri vini.Manca qui, come in tutto il lavoro, la sintesi critica che dimostri gli errori, noti ledebolezze, largheggi ne’ consigli e additi la nova via e i mezzi per percorrerla. Forse,il fare e il dire tutto questo non era negli intendimenti del compilatore del volume, nédi ciò alcuno vorrà muovergli rimprovero, ma è certo una lacuna che salta agli occhide lettore, avido più che di notizie, di pensieri, ed è tale che stimola a punto il cervelloa colmarla, meditando. Io non so come, non so perché: il vino è diventato (chi loavrebbe detto, o Anacreonte, bevitore e amante sincero!), specialmente per noi Italia-ni, e più specialmente per noi meridionali, argomento e materia di ineffabile malinco-nia. Non più Ovidio canterebbe ora, come duemila anni fa: “Il vino dispone gli animie li fa accensibili e diluisce le cure”. Non più i Goliardi canterebbero:

Vino buono, vin soaveLieve ai buoni, ai tristi grave,

Di dolcezza sapor, aveMondana letizia.

L’animo è disposto al triste presagio sempre. Ecco: le brinate hanno corrosole gemme, la tignola sta per brucare i racemi, l’oidio infradicia gli acini, la peronosporapuò corrompere tutto, la filossera tutto distruggere: e mancano i danari per lapotagione, e le zappature sono lunghe, sono costose, sono insufficienti, e la ven-demmia, la grande antica letizia georgica, è piena di tanti fastidi, minacciata da tantipericoli, accompagnata da tanti piccoli furti, e richiede tanta gente, tante opere,tanto danaro: e poi il vino, il grave problema, sarà vino? quando sarà vino? qual saràvino? e chi lo comprerà? quando, come, quanto sarà comperato?…

Tutto un poema di palpiti, di ansie, di speranze, di delusioni, di dolori. LaFrancia proibisce, la Grecia tradisce, la Spagna concorre, i paesi danubianirinviliscono, il Nuovo Mondo manda il finimondo.

Ora, cercate nelle tasche de’ nostri viticultori quel che basti a far le spese di pro-duzione dell’annata, e lo cercherete invano: domandate se qualcuno vorrà o potrà pre-starlo loro, e lo domanderete invano: chiedete dove sono andati i guadagni degli anniubertosi, e nessuno saprà dirvelo: ricercate almeno i progressi nella coltivazione delleviti e nella tecnica del vino, e troverete (doloroso, doloroso!) la superficie del vigneto

1 Roma, Tip. nazionale di Bertero 1896.

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diminuita per abbandono forzato della terra, per mutamenti violenti di possesso, peruna delle tante forme della miseria fondiaria: frugate nelle cantine, in questi casoni gran-di e piccini, i quali hanno l’aria di vaste tettoie per depositarvi del carbon fossile, costru-ite senza misura, senza sapienza, senza economia, frettolosamente, babilonicamente, etroverete un vino che non è vino, come vino non fu mai, e troverete del mosto.

A che illudersi? Nell’arte del vino noi a questo stadio di fabbricazione siamoarrivati: al mosto. Oh il mosto delle nostre terre è buono, è di stoffa poderosa, èautentico. Venite or voi che siete scaltri tanto e sapienti da conoscere le debolezzenostre e le virtù della roba nostra, venite a raccattare questa materia grezza, che noinon sapremmo, non potremmo, non che trasformare razionalmente, neppur con-servare a lungo, e fatene del vino, il vostro vino, anzi i vostri vini, speculando su lamiseria nostra. Non noi potremo, mai, forse, cantare i versi patriottici della Saintealliance des peuples:

Pour l’étrager coluez bons vins de France,De sa frontière il reprend le chemin.

II

L’avvenire del vino sta nella sua emancipazione prettamente industriale.Gli sforzi fatti, e presto falliti, i capitali inghiottiti, i risultati tecnicamente

pessimi e finanziariamente disastrosi, hanno dimostrato chiaramente che l’uva èdell’agricoltura, il vino dell’industria.

S. Cognetti de Martiis, introducendo nella vita economica la legge delThomson, dice: “tutte le volte che la trasformazione dell’energia è fatta con proces-so imperfetto, una parte di quest’energia è dissipata in modo da non potere poisubire trasformazioni utili”.

L’agricoltore, il quale ha voluto estendere e diffondere la sua attività oltre lavigna, ha fatto del cattivo vino: ha fatto male a sé stesso, perché ha perduto in luogodi guadagnare: male all’industria, che non è progredita: male all’economia vinicolanazionale, che non si è avvantaggiata.

I vasti capitali d’impianto e di esercizio che richiede, la direzione illuminata ela vasta mano d’opera di cui ha intenso bisogno, i rapporti continui ne’ quali devetrovarsi col grande commercio di esportazione e con le altre industrie che lavoranosui suoi residui come su altrettante materie prime, fanno della enotecnia una indu-stria abbastanza vasta per invocare l’autonomia tecnica e amministrativa. La suacomunanza con la azienda rurale, e sia pure con il suo podere-vigna, non che gio-varle le nuoce, poi che le toglie elasticità e libero movimento.

Innanzi tutto, chi ha da coltivare la vigna e fare il vino, per ricco capitalistache sia, non riescirà mai a possedere due capitali nettamente distinti e sufficiente-mente bastevoli per i due rami della sua azienda, in apparenza così prossimi e soli-dali, ma in realtà così diversi e molte volte contrari e lottanti: uno dei due faràsempre le spese dell’altro. E siccome è la coltivazione della vigna e il raccolto del-

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l’uva quello che viene prima e che più attrae, per sentimento atavico, l’affetto e lecure dell’agricoltore, così è molto probabile che il ramo cadetto sia la cantina. Icapitali, già fortemente impegnati nella coltivazione, non lasciano che un margineben meschino per l’industria.

La fabbricazione del vino richiede una mano d’opera intelligente, vigile, co-stante, educata alla cantina..

Non parlo della direzione, la quale richiede coltura ed attitudini specialissi-me e, in molti casi, elevate, tanto più se le è anche affidata la parte commerciale deitrasporti, de’ contratti, della ricerca di nuovi sbocchi e di più rapidi e vantaggiosicollocamenti.

Credere che, sia pure la più modesta delle pratiche di vinificazione, si possaeseguire con un lavoro unskilled, come dicono gl’Inglesi, cioè non imparato, daoperai che abbiamo tolto, per la bisogna, all’aratro, alla stalla, alla trebbiatrice, allapotagione, all’innesto magari, è un grave errore: ed è grave, economicamente, per-ché codesta male esecuzione sarà causa d’interruzioni, di perditempo, di guasti.

Dopo la vendemmia il canto georgico è finito, e comincia il rumore prosaicodelle macchine e degli arnesi, accompagnato dal movimento silenzioso e ordinatodegli operai e dal cenno sapiente del Direttore.

La campagna non pure diventa inutile, ma dannosa.Il podere sarà sempre più o meno lontano dal centro d’attività commerciale,

dal luogo di carico, di trasporto, di consumo, di vita operaia, la qual cosa crea all’in-dustria impacci gravi e spese più gravi ancora.

I fabbricati per essere bastevoli devono essere più ampii, tanto da ricoveraretutti gli operai, i quali non certo possono abbandonare, a sera, l’opificio e ridursi incittà, per ritornare la dimane con sensibile perdita di tempo, di forza, di ordine e dicontrollo per l’officina rustica.

E così, sarà ancora necessario avere come fissi gli operai che potrebbero esse-re avventizi; tenere in piena funzione e per proprio conto un laboratorio per leriparazioni agli attrezzi, alle macchine, al bottame: di che saremmo liberati, se l’in-dustria non fosse attaccata alla vigna.

Inoltre, se è vero il concetto espresso nella frase famosa del Guyot: “il geniodel vino sta nel vitigno”, non è meno vero, se non famoso, quest’altro: la tiranniadel vitigno impaccia lo sviluppo dell’industria.

Allora questa industria avrà raggiunto il suo più alto grado di perfezionamentoe la più stabile attività finanziaria, quando potrà mettere in commercio tante qualitàdi vini quanti sono i gusti, tante quante sono le classi sociali nelle quali i consumatorisi dividono: il vino da pasto fino o non fino, rosso o bianco, il vino dolce ed il vinoalcoolico, spumante o non spumante: e tutti buoni, e sempre buoni, e sempre quelli.

La Francia, può dirsi, per questo, la prima nazione industriale vinicola delmondo.

Ora siffatto completo adattamento della merce al consumo, questa “divisio-ne del lavoro”, perché riesca ha bisogno di una grande quantità e di una sufficientevarietà di uve.

Solamente lavorando a trasformare enormi masse di qualità differenti è pos-

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sibile una selezione commercialmente metodica di prodotti, nella quale si può faretesoro di tutto il nuovo e l’utile di cui si è andata circondando l’arte del vino, daitentativi di zimotecnica ai tagli più arditi, dalle filtrazioni allo invecchiamento, ed èpossibile ancora lo svolgimento, entro la stessa officina, di questa industria nellealtre che trasformano i suoi residui.

Ma, tanto e tale uva non si ricava da un vigneto, per vasto che sia, (e ricordoquello del Pavoncelli di Cerignola, che è in Italia il più vasto di tutti), sì che, in talcaso, è la cantina che obbedirà all’uva, non questa a quella, come industrialmentedovrebbe accadere.

Dopo tutto, fatto il vino bisogna saperlo vendere. Il commercio del vino ri-chiede una pratica speciale, che è il risultato di un lungo tirocinio; richiede unaconoscenza perfetta dei mercati esteri, del loro svolgimento, delle loro relazioni,de’ loro bisogni, di tutte le esigenze doganali, e dei modi di soddisfarli prontamen-te, facilmente; vuole “colpo d’occhio” acuto e celere, grande “intuizione commer-ciale” e, qualche volta, anche l’azzardo: or tutto questo il viticoltore non acquisterà,né saprà fare mai bene, securamente, francamente, a meno che egli non sia il Magodell’agricoltura, dell’industria e del commercio.

III

Non è certo sfuggito alla osservazione dei nostri produttori di vino il fattoche, durante e dopo l’ultima vendemmia, le uve, i mosti e i vini bianchi sono statiassai ricercati, e acquistati a prezzi relativamente alti; mentre che per i rossi comunie da taglio di poco è mutata la triste sorte dell’abbandono nel quale giacciono da untempo, che a molti comincia a parere lunghissimo.

Ciò era prevedibile, ed è fortuna che sia così avvenuto, in conseguenza deltrattato commerciale che l’Italia ha stipulato con la Germania e più ancora per l’ap-plicazione della clausola di favore alle nostre relazioni vinarie con l’impero Austro-Ungarico.

Tutto, del resto, fa supporre che codesta richiesta e codesto rialzo non pureabbiano a continuare, ma debbano anche aumentare negli anni successivi.

Il male è, però, che la Puglia in generale e la Capitanata in ispecie, non disponeche di una piccolissima, quasi incalcolabile, quantità di vitigno bianco (su una produ-zione di 853.354 ettolitri di vino, soli 119470 sono di vino bianco: appena un settimo);sì che per noi riescirà di poca o di nessuna importanza il nuovo commercio coi dueImperi del Nord, se non ci poniamo nella condizione di soddisfare a questa nuovadomanda, la quale spunta benefica: sul nostro squallido mercato del vino e delle uve.

La storia dell’agricoltura è ricca di trasformazioni culturali, ora lente ora re-pentine, per l’adattamento ai nuovi bisogni del consumo. Lottare con la natura, allevolte tiranna, con gl’interessi commerciali, con le esigenze della industria: ecco ilcompito dell’agricoltore; ecco la fonte della prosperità nazionale. A questa lotta cidev’essere sempre preparato, con vigile lo sguardo rivolto all’avvenire.

Né la trasformazione è tale da fare indietreggiare i viticultori, ormai esausti

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dall’impiego, generoso sì ma inconsiderato, di tutto o gran parte del loro numerarioe del loro credito nel vasto e intenso impianto del vigneto meridionale.

Più che una trasformazione, è una modificazione non già della coltura, sìbene del tipo del vitigno: parziale modificazione, la quale, potendo appunto otte-nersi con poca spesa e in tempo brevissimo, menerebbe la nostra agricoltura a quel-la proporzionalità di prodotto che, è il gran segreto delle industrie agrarie razional-mente costituite.

Dal momento che la domanda si allarga, e si allargherà sempre più per le uvebianche, da vino e da tavola, ebbene produciamole. Non si tratta di distruggere ilvitigno rosso per sostituirgli il bianco: ma si tratta solamente di far largo tra il rosso,perché il bianco trovi il suo posto.

L’innesto su le viti è de’ più facili e de’ più precoci. Entro lo stesso anno in cuisi esegue, l’innesto fruttifica: nel secondo anno è già adulto, e la produzione èrimuneratrice.

Tutte le viti in sopra numero, tutte quelle in eccesso, tutti i vitigni di varietàmal riescita, tutte le pezze poco feraci, tutte quelle che sono andate a male e s’hannoa ripiantare, tutto il cattivo e tutto l’inutile, tutto l’eccessivo e tutto il manchevolepuò formare il primo soggetto di questi innesti del bianco. Le esigenze commerciali,le circostanze speciali di luogo e di tempo faranno il resto. Qui il bianco starà alrosso nella proporzione di 1 a 4, là di 1 a 2; oggi come 1 a 3, domani, forse, come 3a 2. Tutto sta nel cominciare, così, per tentativi, lentamente, cautamente, senza isoliti slanci traditori, come il mercato comanda, come vogliono i compratori, comedetta il tornaconto, come spira il vento del Nord, che è quello che ora ci aiuta.

Il nuovo lavoro s’impone a tutti, ai grandi e ai piccoli proprietari, e più aisecondi che non a’ primi; però che se è vero che questi possono procacciarsi unosbocco, lontano o lontanissimo, per la loro merce rossa, a via di rischi, di sagrifici edi larghissime concessioni di credito, non è men vero che gli altri, e sono i più,vendono, quando si e quando no, agli usurai cantinieri della propria cinta daziaria ilsudato prodotto ad un prezzo che è la derisione del guadagno.

I fittaiuolie la tassa di ricchezza mobile

Come nella Lombardia, vive anche qui e lavora una classe di piccoli, medi egrandi fittaiuoli, così prospera e florida un dì, quando il capitale non mancava, lafertilità non era esaurita e gli alti prezzi agevolavano il risparmio, ora malandata,infiacchita, impoverita dai debiti e dalla usura; la quale produce quasi tutta la im-mensa massa cerearia che può germogliare su 200,000 ettari di terreno, con pazien-za, con ostinazione, con passione, se non con cosciente preparazione alle odiernelotte della produzione terriera.

Or tra i malanni che da un ventennio hanno colpito a morte i fittaiuoli diCapitanata, sì che il loro numero è andato sempre più assottigliandosi, e la energia

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economica degli “scampati” più affievolendosi, non ultimo è questo che più li smungee li porta inesorabilmente a fallire: da venti anni essi pagano la tassa di ricchezzamobile su un reddito netto presunto di 25 lire per ogni versura1 la quale producanon meno di 30 tomoli2 di frumento. Si ammette, come vedete, che una produzionedi 30 tomoli per versura, ossia di 16 ettolitri circa per ettaro, dia un reddito netto di25 lire.

Tutto ciò è enorme: non è solo un errore, è un orrore.Una versura che renda trenta tomoli, non pure è incapace di fruttare 25 lire

nette, ma è altresì in perdita assoluta.Io ho raccolto direttamente e indirettamente le notizie reali su le spese colturali

del frumento, e sono tutte concordi, di poco variando le une dalle altre, nel dimo-strare codesta verità.

Ma avanti di venire alla dimostrazione, bisogna notare due fatti di una altissi-ma importanza economico-agraria per la produzione del frumento nella Capitanata:il primo è che il sistema di coltura del Tavoliere si basa sul “Maggese”, per il qualel’azienda si divide in tre parti, di cui due produttive e una improduttiva, ma, badate,lavorata, le cui spese di lavorazione e gl’interessi di codeste spese, tutto compreso,vanno a carico delle due prime: il secondo è che i prezzi del frumento dal 1873 inpoi sono andati sempre diminuendo (da 35 lire siamo scesi a 19), e la esportazione siè sempre affievolita, sino a diventar nulla.

E ora, ai conti.Eccone uno, tipico nella sua semplicità numerica e dialettale, che io riporterò

tal quale per conservare tutta la schiettezza e l’autenticità di che è pieno.Affitto di una versura ducati181 Lire 76,50Arrussa e semina2 ” 7 ” 29,75Semenza tomola (5 et. 2,77)a 10 lire il tomolo ” 12 ” 50,00Acchianatura e zappullatura3” 2 ” 8,50Pungente e munnima4 ” 5 ” 21,25Mietitura ” 5 ” 21,25Carrima5 ” 3 ” 12,75Trebbiatura ” 6 ” 25,50Carriatura6 ” 2 ” 8,50

Totale Ducati 62 L. 254,00

1 La versura è uguale a Ettari 1,234,5.2 Un tomolo è uguale a litri 55,34.1 Un ducato è uguale a L. 4,25.Cotesto prezzo di affitto può variare da un minimo di ducati 15 (Lire 68,75) a L. 100 per versura.2 Preparazione del terreno.3 Cilindratura e sarchiatura.4 Erpicatura e scerbatura.5 Trasporto de’ covoni sull’aia.6 Trasporto del frumento alle Fosse del Piano, nelle quali si conserva.

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Siccome, però, di tutta la superficie della masseria si seminano solamente idue terzi, lasciando l’altro terzo per il maggese, per il quale non si spendono menodi 17 a 18 ducati (da 72,25 a 76,50 lire), e siccome anche per questa terza parte si deepagare il prezzo di affitto, ossia altri 18 ducati (L. 76,50), così è che bisogna aggiun-gere, perché il conto torni, il terzo della somma di 18 più 18, ossia 12 ducati, allespese su notate. Le quali, per ciò, da ducati 62 (L. 254,00) salgono effettivamente aducati 74, pari a lire 314,50.

È bene notare qui, che in codesto conto mancano le cifre che rappresentinol’interesse del capitale di scorta, la quota di assicurazione, le spese generali, il conci-me ecc., le quali in una contabilità razionale pure dovrebbero trovare il loro posto.

Ecco un altro conto, non meno reale del primo:

Affitto di I versura (terreno di 2a classe) Lire 50,00Spese per maggese il terzo della superficie ” 25,00Arrusso (preparazione del terreno) ” 17,00Semenzato (lavori di semina) ” 20,00Acchianatura (covritura del seme) ” 10,00Semenza, compreso il trasporto(tomola 5 a L. 10) ” 50,00Pungente (scerbatura) ” 20,00Caccia alle arvicole, in media ” 10,00Metitura (mietitura) ” 25,00

A riportarsi L. 227,00Riporto L. 227,00

Carrima (a seconda della distanzadelle pezze dell’aia) ” 12,00Trebbia 1 lira per tomolo e per 30 tomoli ” 30,00Carriatura (trasporto del grano trebbiato) ” 7,00Assistenza e sorveglianza ” 10,00Tasse di esercizio, bestiame, vetturee domestici, fuocatico ed altro ” 5,00Mezzana (pascolo saldo) per gli animali,custodia e altro ” 40,00

Totale L. 331,00

Anche in codesto conto mancano alcune spese (quella per il concime peresempio) le quali ne eleverebbero sensibilmente il totale. Comunque, sta il fatto chequesto conto al primo si avvicina per molti versi e assai gli si accosta nella sommafinale. La quale, per altre indagini fatte e per larghissime notizie attinte, sta inesora-bilmente fra i 70 e i 75 ducati, ossia fra 297,50 e 318,75 lire.

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Ciò posto, una versura che renda 30 tomoli di frumento, pari a ettolitri 16,50,con il prezzo medio unitario di venti carlini (ducati 2) il tomolo di lire cioè 17l’ettolitro, darà un introito di ducati 60, pari a lire 250: che è quanto dire: sarà inperdita di 42 a 64 lire. Altro che 25 lire di reddito netto?

Per pareggiare la spesa occorrerebbe una produzione minima di 35 tomoli aversura; e per ottenere quel profitto di 25 lire, la terra non dovrebbe dare meno di38 tomoli per ogni versura; nulla, però, aggiungendo a’ conti colturali che ho pre-sentato, i quali, come accennavo, mancano ancora di qualche spesa. Non si dovreb-be, infatti, trascurare quella del trasporto del frumento alla stazione ferroviaria, chepure raggiunge i 40 centesimi a quintale, essendo noto come gli acquisti si faccianosulla base sacramentale del “posto stazione”.

Ma pur troppo una produzione media di 38 a 40 tomoli è ora vano domandarea queste terre estenuate da’ lunghi ricolti, insufficientemente lavorate, poco o puntoconcimate, soggette ai mille rischi meteorici che sono conseguenza del denudamentodi tutti i monti e le pendici circostanti. Dato il sistema di cultura dominante, è fataleche ciò sia. Mutarlo? E bene mutiamolo: io stesso ne ho indicato altra volta la via. Mala via è lunga, è aspra, è difficile; e l’Agente delle tasse non aspetta certo che primaquella si percorra che egli non sia pagato. Così accade che non il reddito si tassi, ma laperdita, aumentando il passivo e agevolando la fallenza. Non altrimenti tocca alfittaiuolo pugliese di quel che toccò all’eroe del Ricciardetto, il quale:

andava combattendo ed era morto.

Ancora un altro conto culturale che rispecchia il caso generale del rendimen-to medio di questi terreni, coltivati con metodi imperfetti. È un conto nel quale nonmanca, spero, alcun titolo di spesa e di entrata.

Spese

Preparazione del terreno Lire 33,00Concime (quota stallatico) ” 60,00Semente Ett. 2,50 a Lire 25 ” 62,50Seminagione ” 17,50Sarchiatura ” 5,00Mietitura ” 30,00Trebbiatura ” 15,00Interesse del capitalefondiario o fitto ” 80,00Assicurazioni ” 25,00Spese generali ” 15,00Interesse 5%del capitale circolante ” 16,50

Totale spese L. 359,50

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Prodotti

Grano: Ett. 15 a Lire 17 Lire 255,00Paglia: Q. 12 ” ” 4 ” 48,00Stame: ” 12 ” ” 3 ” 36,00

Totale prodotto L. 339,000

Perdita a pareggio ” 20,50

Oggi un quintale di frumento vale L. 18,50 o L. 19. Dal 1873 il prezzo delgrano è andato sempre decrescendo, e l’anno scorso ha raggiunto il limite più bas-so. Invano spereremmo in una ripresa dei prezzi di 35 e 40 lire il quintale.

Bisogna inoltre notare che siffatto decadimento non rappresenta che una fra-zione dell’abbassamento reale, poiché quando il prezzo era alto il grano non pagavaallo entrare in Italia il dazio protettore di 7 lire per quintale: sicché ora il prezzovero del grano è di circa 12 lire, essendo la tariffa doganale quella che solamenteassicura a’ nostri coltivatori, sul mercato nazionale, il prezzo di già così poco opunto remunatore di 18 o 19 lire. Realmente è il prezzo di 12 lire quello che dominale transazioni del mercato internazionale. E ancora: se un quintale di frumento vale12 lire in Inghilterra, non vale più di Lire 11,80 a New-York, più di 10 lire a Chicago,e meno di tanto vale a Buenos Aires, nelle Indie e sulle bocche del Danubio.

D’altra parte, fuori del nostro paese i prezzi de’ trasporti hanno subito dimi-nuzioni così considerevoli, che mentre a Londra, per esempio, il grano americanopuò vendersi 10 o 11 lire per quintale, noi non possiamo pagarlo meno di 19. Intan-to la mano d’opera si fa sempre più scarsa nelle campagne, le spese di produzioneaumentano di anno in anno, sì che il margine ipotetico di un beneficio viene, ancheper questo lato, ad essere distrutto.

In fine, la Puglia non può rinunciare alla coltivazione del frumento, e d’altraparte l’agricoltore non può più, nella presente situazione e malgrado la protezionedoganale, sostenere una tassa che grava su di un reddito che non esiste. Questi sonoi due termini del problema sui quali richiamo l’attenzione di tutti coloro cui incom-be l’alto dovere di salvaguardare gli interessi dell’agricoltura e degli agricoltori diCapitanata.

Voce de’ monti

Batte l’inverno la sua gelida ala su queste diramazioni delle giogaieappenniniche le quali, ora elevandosi in monti per circa 900 metri, ora digradandoin colli bassi di 40 metri, dagli strati informi, dai dossi verdeggianti, dalle valli rego-lari, si dirigono da Ovest verso Est, da per tutto accessibili.

Nell’insieme formano una delle più incantevoli sorprese della Capitanata

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dovute alle monellerie del vecchio Tavoliere, il quale ama la celia per ispaventare isuoi sonnolenti nepoti, e qui innalza un braccio per formare un monte, e là lo allun-ga per formare una catena, e ora ingobba una mano per imitare una valle, e ora laraggrinza per imitare i burroni.

Codesta regione subappennina, la quale comprende ventidue Comuni, erasenza dubbio la parte più popolata della provincia. Diffusa vi era la piccola coltura.Il grano, il granone, le civaie, il lino, la canapa, la patata, il topinamburo si alternanonelle coltivazioni diligentemente fatte, se bene con sistemi alquanto vetusti: e ilfrutteto e l’oliveto vi prosperano meravigliosamente, quello dando frutta di un gu-sto squisito, questo, olio di una bontà e di una finezza naturali.

“Ad ogni modo quei villanzuoli sono affezionati alla terra, e l’ozio non logo-ra le loro sostanze, non li fa incerti della dimane”. Così scriveva il Della Martora1

nel 1874.Ma vent’anni dopo la scena è mutata: dov’era produzione, è oggi miseria:

dov’era vita, è oggi morte. L’artigiano avanti, il contadino dopo abbandonano, dap-prima soli, poi con la famiglia, poi in frotte, poi in messa, i loro paeselli, le loro case,i loro strumenti di lavoro, i loro terreni e si avviano, più che attratti da un miraggiodi vita migliore, cacciati dalla peggiore delle vite possibili, per luoghi ignoti e paesisconosciuti, non per arricchire ma per sfamarsi.

Da venti anni è andato sempre aumentando il numero di codesti infelici, scia-gurati emigranti, quasi tutti contadini. Nel 1876 furono11; e dopo otto anni, nell’83,diventarono 275; e dopo dieci altri anni, nel ’93, sono 1057; e la statistica dell’annopassato, 1895, li fa ascendere a 3153. Un crescendo, come vedete, spaventevole.

Dapprima tentarono tributanti le terre europee incolte; ma poi si disse loroche l’Europa è troppo vecchia e troppo sfruttata perché possa dar più pane ancora,e si rivolsero al Nuovo Mondo con cresciuta audacia: e prima fu l’America delNord, e poi quella del Sud. Intanto orde di speculatori interessati nei trasporti,losche associazioni di agenti d’emigrazione, infami società intraprenditrici dicolonizzazione, stimolavano, provocavano, consigliavano, agevolavano, aiutavanocon le lusinghe più basse e mendaci, con tutti i mezzi più immorali e scandalosi,questa nuova forma di una nuova, impunita tratta di schiavi bianchi. Non più ilcapo della famiglia ora emigra con la speranza di ritornare: ora partono le famiglieintere, dopo aver venduto il poderetto, gli animali, gli utensili, la casa, le masserizie.Non più i soli contadini braccianti ora emigrano; vanno anche via i fittaiuoli e ipiccoli possidenti, barattando le scorte del fondo.

E de’ più in vano si attende il ritorno. A pena sbarcati, un branco di lupispietati li assale, e, dopo mille torture, dopo infinite sevizie senza nome, dopo lafame procurata a centellini, li caccia nelle regioni pestilenziali delle piantagioni, ovepersino il Cinese si ricusa di lavorare, e ove lo scudiscio, il bastone e la febbre gialladissolveranno quei poveri residui di carne italiana.

1 Le risposte della R. Società economica di Capitanata à 34 Quesiti ecc. Napoli, G. Nobile, 1874.

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Aumentata inopinatamente, bruscamente la offerta delle terre per l’abban-dono de’ possessori, in una regione educata alla piccola proprietà e alla piccolacoltura, povera di capitali, tisica di risparmî, il valore commerciale di quelle èsceso rapidamente, senza che i salari, come sarebbe parso logicamente conseguente,per l’esodo de’ contadini giornalieri, siano aumentati. Ed è naturale: il rinvilirede’ valori fondiarî abbassa l’indice della coltura e, per conseguenza, della manod’opera. La domanda di quest’ultima non è cresciuta pel fatto che dove primas’impiegavano quattro opere per lavorare un ettaro di terreno, ora non se ne im-piega che una.

Ridotto il lavoro de’ campi, è aumentata la superficie de’ terreni incolti, ed èdiminuita la produzione: la miseria così allargandosi ha investito e travolto anche ilproprietario, un dì benestante. In questa catena di fatalità ineluttabile si avvolge orail Subappennino, perdendo, nelle strette che lo avvinghiano, l’energia, la forza, ilcoraggio indomito onde fu ricco il seme de’ montanari progenitori.

La fame ci fa egoisti. L’animale abbandona la madre che non può più nutrir-lo. L’uomo si divide dalla patria che non può più sfamarlo. Il seno della madre Terranon basta ormai a sostentare i suoi figliuoli; e i figliuoli la fuggono. La terra nostraè esausta: ed è esausta perché un parassitismo polimorfo la dissangua per tutte levie, inaridendo ogni sorgente di vita. Parassitismo agrario, generato da un’atavicainsipienza, e manifestantesi in tutto un sistema colturale disordinato e depauperante,il quale toglie ogni anno, incessantemente, dalla terra parte delle sue sostanze, senzamai rifornirle o rifornendole incompletamente: parassitismo economico che ha sueradici nel fiscalismo tributario dello Stato e più in quello de’ Comuni, nelle speseimproduttive che sgravano i bilanci di quello e più di questi: parassitismo socialeche deriva dallo smarrimento della “coscienza del limite”, per cui il desco si è tra-sformato in mensa, e la mensa in banchetto, e la parsimonia in “comodità”, e lacomodità in lusso; che deriva da una istruzione superficiale, senza indirizzo e senzamisura, da leggi giacobine che hanno dato le terre in balia dei Farisei, del militarismoa oltranza, come lo ha chiamato l’Onor: Fortunato2, invadente e prepotente, chedistrae dalla terra capitale e lavoro da una colonizzazione sbagliata non pure madisastrosa.

Non vi è forse – domandava il Lenormant nel movimento di emigrazione chetende ad aumentare nelle classi agricole d’Italia e che minaccia di finire con lospopolamento delle campagne, già mancati di braccia, un fatto sufficiente per im-porsi alla attenzione degli uomini di Stato e degli economisti, e per mostrare loroche, nell’interesse del paese, la questione agraria è una di quelle che devono essereprima di qualunque altra e più seriamente studiata?

2 Discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 13 Luglio 1896.

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Antonio Lo Re

Zagara

E se non fosse la Capitanata?Non forse questo ballonzolamento di nove ore in un carrozzone sganghera-

to e incomodo e sudicio, rumoroso e cingolante in tutti i toni più flebili e più stri-denti, nove ore di contorsione di tutti i muscoli, di pestamento di tutte le ossa, diribollimento di tutti gl’intestini, non forse questo viaggio di un’altra età, di un’altraciviltà, d’un altro mondo mi ha trasportato nel paese che la Mignon vedeva come inun sogno perenne dell’anima sua?

Kennst du das Land, wo die Citronen blühnIm dunkeln Laub die Goldorangen glühn?

Era una interminabile pianura, una distesa senza fine di terra nuda di alberi,gialla di stoppie, arsa dal sole, sitibonda. La terra degli armenti e de’ mandriani, su laquale si può andare, andare e andare senza trovare un ricovero, un tugurio, una grot-ta, un sorso d’acqua; su la quale, tranne le faticose opere della messe e il lento passardelle greggi stanche, ogni cosa par che si perda in un silenzio tetro come di deserto, inuna monotona desolante uniformità come di mare tranquillo sconfinato.

E ora son valli e colline e monti vestiti di verdura; e son giardini incantevoli;e son limpide e fresche e chete sorgenti d’acque cristalline; ed è fragranza di fiorid’arancio, che (canta Virgilio),

per ventar non perde foglia,Tenace ha fior, che l’alito consola

E molce de’ vegliardi il petto anelo;

ed è aria purissima che snebbia il cervello, rinvigorisce il corpo e lo spiritoallieta.

Inerpicandosi su questi ripidi viottoli, su’ quali s’intrecciano i rami e s’ad-densano le foglie degli agrumi perennemente verdi, formanti come un asilo miste-rioso di labirinti profumati, di archi, di volte, di gallerie da cui pendono i frutti delcolor dell’oro, sapientemente costruite da mani di fate, vi parrà di sognare o di aversognato prima, quando lasciaste la brulla pianura, il caldo afoso e l’aria greve; ecome il Fiorentino che accompagnava Vasco di Gamao nelle isole dell’Asia meri-dionale mormorerete trasognati; “Sonvi melarance assai, ma tutte dolci”.

Siete sul Gargano, sulla curva settentrionale, deliziosa e incantevole, che vada Viesti a Rodi, così dissimile dalle altre che sono tre (la orientale dalla punta rossaa Viesti, la occidentale da Rodi ad Apricena e la meridionale da Apricena alla puntarossa), i cui monti dalle vette aguzze, dai fianchi frastagliati da burroni, dalle pen-denze dirupate, dalle balze scoscese, dalle orride spelonche, paion sorti in un’epocaviolenta e tempestosa della natura.

A Vico, a Rodi, esposti a settentrione e al mare, ma riparati da filari di elci o

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Capitanata triste

da canneti fitti, impenetrabili, a Ischitella in una conca tepida come una serra difesada tutti i venti, meno che da ponente, donde guarda il lago Varano, sono i giardinidegli agrumi: e il “giardino” per que’ paesi è tutto. Sopra una estensione di 1300ettari vegetano, alti e robusti, l’arancio e il limone, la limoncella, il limone dolce, ilbergamotto, il manderino, la lima di Spagna, il barberino, il cedro, il bulsino, ilbelvedere; ma l’arancio e il limone occupano il primo posto. La produzione totalesi calcola a circa 100 milioni di frutti1.

Grosse sono e pregiate le arance di Vico e di Ischitella; ma più resistenti sonoquelle de’ giardini alti di Vico. Poche le arance di Rodi, alquanto sbiadite, assaisuccolente e meno conservabili; ma superbi abbondanti e produttivi i limoni. Lacontrada di Malvestuto produce le migliori arance, per il gusto fine e delicato, per lafragranza acutissima. I limoni della contrada di San Mennaio sono i migliori limonidel mondo.

* * *

Sul Gargano gli agrumi si coltivano con una cura assai più raffinata che non sifaccia in Sicilia. Ma non è solo raffinatezza è anche razionalità di coltura. Il solofatto che durante il flagello della gomma, onde furon colti e distrutti gli agrumetisiciliani, i giardini garganici rimasero quasi completamente illesi, sta a dimostrareche la propagazione degli alberi, prima ancora che fosse detto provato e scritto daagronomi e da botanici, era fatto lassù con i semi dell’arancio forte, che può consi-derarsi come il selvaggio del genere, ed è certamente la specie più rustica e più resi-stente.

Nel marzo i semi, cavati da melangoli sani e ben maturi, sono messi a germo-gliare entro scatole ripiene di terriccio. Nate le pianticine, dopo un anno sono tra-sportate in un vivaio temporaneo, ove restano ancora un altro anno. Quivi trovanoun terreno della migliore qualità, e ogni cura più delicata e premurosa, dalloinnaffiamento opportunamente dato ed eseguito, alle concimazioni, alle ripuliture,alle coverture per preservarle dal gelo, ai ripari di canne, vive o morte, per preser-varle dai venti del nord.

E passato codesto anno, si trapiantano ancora in un vivaio stabile, ove si la-sciano crescere e invigorire per altri quattro anni, sino a che in somma non siano ingrado d’essere trapiantate alla dimora che dev’essere stabile e definitiva.

Codesta dimora è preparata seguendo le regole della più pura arboricoltura.Si divide il terreno in tante zone di forma rettangolare, le quali si vanno lavorandosino alla profondità di 75 cm., se siamo in pianura, e di 60 a 70 cm. se in pendio, inmaniera che la terra scavata da una zona riempia il fosso fatto nella successiva, e cosìvia, sin che l’ultima resti vuota. Finito siffatto lavoro di rivolgimento della terra, si

1 La statistica ufficiale del 1895 segna queste cifre: Aranci N. 95.485.150; Limoni N. 24.221.229; agrumidiversi N. 44.130. In tutto N. 89.750.509.

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Antonio Lo Re

appiana il suolo e si praticano delle buche semicircolari profonde 45 cm., alla di-stanza di 4,5 mt. nella pianura, di 4,2 mt. su’ declivi, di 5,20 mt. nelle pianure ferti-lissime, ove gli alberi avranno uno sviluppo maggiore. Nelle buche, disposte su’vertici di quadrati o di rombi, vengono trapiantati gli alberetti, disponendo conmolta precauzione orizzontalmente le radici, le quali si covrono dapprima con unpo’ di terreno finissimo, e poi con del terriccio, e poi di nuovo con dell’altro terre-no, sino alla superficie. Seguono gl’innaffiamenti per più giorni secondo il bisognoe le circostanze.

Le giovani piante sono innestate ne’ mesi di maggio e giugno, o di settembree ottobre, a scudetto, con le specie più ricercate, dopo due anni da che furon postenella loro dimora stabile. E anche qui le cure continuano indefesse, scrupolose,direi quasi amorevoli.

Il terreno dell’agrumeto si rivolta ogni anno con la zappa, tra l’aprile e ilmaggio; e questo lavoro serva anche per rovesciare le erbacce cresciute.

La concimazione delle arance si fa ogni quattro o cinque anni; quella de’limoni ogni tre, lungo la stagione invernale. Codesto intervallo sarà tanto più brevequanto più abbondante sarà la irrigazione, poiché l’acqua agevola la solubilità dellesostanze nutrienti e la funzione assorbente delle radici. Pochi coltivatori usano dispargere l’ingrasso su tutta la superficie del terreno; i più, per economia di spesa,dànno il concime a ciascun albero separatamente, scavando, per ciò, attorno al pie-de di ciascuno di essi una conca così profonda da toccare quasi il palco delle radici.Quivi si deposita il letame, e poi si covre con del terreno. A pena dato l’ingrasso, glialberi vengono inaffiati.

Per l’ingrasso usa lo sterco pecorino, ne’ giardini ove abbonda l’acqua diirrigazione; e il suo potere fertilizzante è provato che valga per quattro anni: o usail letame cavallino, ove l’acqua è meno abbondante contando sur una fertilizzazio-ne di tre anni. Ma quando si vuole ottenere un pronto effetto, a scapito magari delladurata, si ricorre al pozzo nero, vecchio d’un anno e asciutto, il quale si sommini-stra agli agrumeti malaticci o sfruttati o depauperati per una delle tante causepatogeniche.

Non si dà meno di un quintale di concime per ogni albero.La Corte di appello di Trani con sentenza del 23 giugno 1883 dichiarò

demaniali le acque irrigue del Comune di Vico; le quali da quell’anno vengonodistribuite a’ proprietarî degli agrumeti con le norme stabilite in un regolamentopubblico. Ogni anno si determina la somma che deve essere ripartita fra i diversiproprietari godenti l’uso dell’acqua.

Codesta somma varia dalle 8 alle 10 mila lire, pagando così per ogni ora diirrigazione da 75 a 85 centesimi.

L’adacquamento comincia il 25 di aprile e termina col terminar dell’ottobre.Nella stagione estiva la irrigazione si fa tre volte; e si fa sempre per turno: un turnoregolato sapientemente e dal punto di vista agrario e dal punto di vista fiscale.

È anche demaniale l’acqua irrigua di Ischitella, ove si pagano, per ogni ora diservizio, 50 centesimi, se l’acqua viene da una sorgente alquanto magra; o si paga

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Capitanata triste

una lira se la sorgente è più ricca.A Rodi l’acqua di “buona stagione” ossia l’acqua irrigua de’ mesi estivi è

scarsa, sì che gli agrumeti ad eccezione di quelli di S. Barbara e S. Lucia, sono irriga-ti una volta ogni due o tre anni. Ma i giardini a livello del mare hanno l’acqua de’pozzi privati, estratta con morie od altri congegni idrofori.

Dopo la raccolta de’ frutti, dall’aprile a tutto il maggio, gli alberi si potano. È unlavoro paziente, minuto, scrupoloso, che i coltivatori garganici eseguono così perfetta-mente come meglio non saprebbe fare un esperto conoscitore della fisiologia vegetale.Le piante vengon liberate da’ rami inutili e dai dannosi, i quali torrebbero forza e vitaalla pianta senza dare un frutto di più: e si butta giù il vecchiume, il cancrenoso, ilmalato, e tutto ciò che tolga aria e luce alla chioma sempre verde: e si conserva allapianta il suo natural portamento, equilibrando la funzione delle radici con quella de’rami e delle foglie, e l’una e l’altra con la produzione de’ fiori e de’ frutti.

* * *

Dopo tre o quattro anni dalla presa dallo innesto, gli alberi cominciano a darfrutti. Dapprima due o tre, poi, d’anno in anno, un numero sempre maggiore, sinoal ventesimo anno, dal quale comincia il periodo del massimo prodotto, che puòraggiungere i duemila frutti per ciascun albero. (Gli alberi della contrada Malvestutodànno cinquemila arance ognuno). Ma quanti rischi, ohimé! quanti pericoli, quantidanni e quali perdite con questi alberi così belli e così ricchi, ma pur tanto delicati!

“Il frutto, ha scritto il mio amico Siniscalchi nel Pungolo del 4 agosto ’93,aspettato con tanta ansia e trepidanza, curato e vagheggiato, venuto su a traverso imille pericoli della neve, della grandine, della brina e della siccità vien raccolto espedito. Ma prima quante cure, quanto lavoro e quante spese. Vi è tutto un mecca-nismo semplice e complicato a un tempo, che serve a preservare il frutto dopo ilraccolto, a sceglierlo, a classificarlo, a conservarlo pel lungo viaggio. Questo lavoro,così comune in Sicilia, è per noi affatto nuovo, e sorprende a vederlo”.

Comincia la raccolta di frutti ancora immaturi nel settembre e segue per tut-to l’ottobre. Di questo tempo le arance ed i limoni si spediscono a Trieste e nel norddi Europa. Poi cessa la esportazione degli agrumi garganici e comincia quella inver-nale degli agrumi siciliani, i quali hanno una maturanza precoce. Ma dal mese dimarzo si riprende sul Gargano la raccolta generale, che continua ne’ mesi successivisino al luglio, e gli agrumi prendono la via ancora di Trieste, di Londra e dell’Ame-rica.

Usa qualche volta di raccogliere una parte del frutto tra il dicembre e ‘l gen-naio, per preservarlo dal gelo, e di conservarlo ne’ magazzini per farne poi le primespedizioni di primavera.

Il frutto vien raccolto o avanti l’adacquamento o un venti giorni dopo, e quan-do è perfettamente asciutto, e con tutto il peduncolo. Così è messo in panieri fode-rati di panno. Ogni precauzione non sarà mai superflua perché l’agrume resti inco-lume. Sotto alcune tende vengono ora i ragazzi con le ceste ripiene di frutti, e quivi

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trovano le donne siciliane pratiche del mestiere, le quali scelgono gli agrumi, liaccartocciano e li depongono nelle casse che vengono leggermente chiuse. Il lavoroprocede rapido e ordinato come se fosse eseguito da un meccanismo di orologeria.

Ma non è tutto. Le casse, caricate sui muli, vanno ai filatori, specie di barac-che lunghe e larghe, ove rimangono circa dieci giorni (più nell’aprile e maggio, menonel giugno e luglio), prima di essere scoperchiate. Qui si esegue un secondo lavoro,e più perfetto, di scelta. Le donne sedute scartocciano i frutti, incartocciano i buoni,gettano lo scarto nelle ceste, e i buoni depongono sur un banco alla loro portata;altre donne in piedi scelgono i frutti per grandezza e li porgono agli uomini, che limettono in linee strette e regolari in modo che restino fermi ad ogni possibile urto;altre donne, in fine, passano a spargere nelle casse piene trucioli di carta colorata,farfalle dipinte e figurine d’ogni colore. Il coperchio vien ora inchiodato fortemen-te sulle casse cerchiate, mentre per il filotorio continua carezzevole la cantilena po-polare siciliana.

A seconda della bontà e della serbevolezza gli agrumi si dividono in cinque“qualità”: le prime tre servono benissimo per i lunghi viaggi; le altre due per i viaggibrevi2. Le casse poi si distinguono con il numero dei frutti che contengono; essendoessi disposti in strati quadrati, aventi un lato di 16,20, 25,30 o 36… frutti vi sarannocasse “intere” da 128, da 160, da 200, da 300, da 360; e “medie” da 80, da 100 frutti;e altre ancora da 180 e 216.

I diversi mercati di esportazione richiedono un lavoro “d’imballaggio” più omeno raffinato e preciso. I mercati di America voglion lusso nello interno e nello ester-no delle casse, non che uno “stivaggio” stretto: quelli d’Inghilterra domandano minorlusso di casse, ma uno “stivaggio” anche stretto: quelli della Germania e dell’Austria,non vanno tanto pel sottile, e ciò perché colà si pratica un nuovo lavoro di scelta e diimballaggio da società speciali che si occupano del commercio degli agrumi.

Non è molto e le casse che si mandavano in America partivano da Rodi;ma la via riusciva lunga e dispendiosa, poi che i battelli impiegano dieci giorniprima di uscire dal Mediterraneo; adesso le imbarcano su velieri per Manfredonia,donde vanno a Napoli per ferrovia, e da Napoli filano direttamente per il nuovomondo.

In questo traffico, che è pur rappresentato da una ingente massa di capitale edi lavoro, il capoluogo della provincia non prende parte e non può prenderla, datele presenti condizioni di viabilità, in alcun modo. Si va più facilmente e a più buonmercato da Foggia a Bologna che non da Foggia a Vico, a Ischitella, a Rodi, a Peschici:da Napoli possono arrivare qui due lettere impostate nelle ventiquattrore; ma daFoggia a’ suoi paesi garganici una lettera viaggia due giorni avanti di giungere aldestino. Così tanta produzione, che dovrebbe prendere la via del capoluogo crean-dovi nuove fonti di attività commerciale e di guadagno, è allontanata col danno ditutti.

2 Il prezzo delle arance oscilla dalle 20 alle 50 lire il migliaio.

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Capitanata triste

Oh, le ferrovie elettorali, e la retorica ferroviaria del Gargano! Quelle e que-sta si sono sempre svolte nelle regioni iperboliche dell’inverosimile, con frasi e pro-getti iperbolici, come molti esploratori usano per sbalordire le tribù incivili, o, perrestar più bassi e più nella realtà, come i Dulcamara usano con i contadini su lepiazze de’ villaggi. Ma ogni speranza non è perduta. So di una linea ferroviaria ascartamento ridotto di centr. 90, lunga 100 chilometri, progettata da un colto inge-gnere, il Piccirella, la quale, con forti pendenze e con tratti a grimagliera centrale(sistema Abt) costeggerebbe le strade comunali e provinciali, congiungendo i centripiù popolari del Gargano: Rodi, Carpino, Montesantangelo, S. Giovanni Rotondo,S. Marco in Lamis, con Foggia. Il progetto mi pare riescito tecnicamente efinanziariamente: è modesto, economico, limitato a’ bisogni e alle risorse della re-gione, e ha questo di precisamente determinato: fare del mercato del capoluogo ilcentro fisico ed economico del commercio garganico.

È tristamente vero, e ha l’aria d’un paradosso ricercato: hanno fatto l’unitàitaliana: ma quella di Capitanata non è fatta ancora!

* * *

Ai conti:

Spese d’impianto

(su di un ettaro di terreno si possono piantare 400 alberi di agrumi)

Per N. 400 piantoline di melangolo sveltedal vivaio a L. 2 l’una Lire 800,00Per cavare il terrenoalla profondità di 1 mt.a L. 10 per ogni pianta ” 4000,00Per letame (some 100 a L. 2,50 la soma) ” 250,00Per piantare e fare le conche ” 15,00Per costruire le goreper lo innaffiamento artificiale ” 70,00Interesse di queste spese anticipate al 5% ” 256,70

Spesa del 1° anno L. 5391,70

Spese del 2° anno

Per zappatura, giornate 70, a L.1 Lire 70,00Per svellere le cattive erbe tre voltedurante l’anno, giornate 100 ” 100,00

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Per innestare, giornate 15 Lire 15,00Per innaffiamento, giornate 3 di due uomini ” 600Tasse sulle acque ” 40,00Assistenza durante l’anno ” 40,00Interesse su queste spese al 5% ” 13,70

Spesa del 2° anno L. 284,55

Le spese segnate per il secondo anno, eccetto quelle per lo innestamento, lequali son comprese fra le spese d’impianto, si ripetono negli anni successivi, poi chesono effettivamente identiche, e si devono per ciò considerare come spese ordinarieannuali di coltivazione. Però a misura che la pianta cresce, aumenta la spesa delletame e della potagione, mentre diminuisce quella dell’assistenza. Così un albero,che abbia 20 anni di età, ha bisogno di 3 some di letame le quali si pagano L. 6: masiccome la concimazione si pratica generalmente ogni tre anni, la spesa annualemedia sarà di L. 2. Per la potagione non si può fare un calcolo esatto, dappoiché laspesa, che a quella si riferisce, varia a seconda dello stato dell’albero e de’ danni chegli abbiano prodotto i geli o i venti caldi del Sud. In media per potare un albero di20 anni si spendono annualmente 0,50 centesimi. Ma gli alberi sorprendenti dellacontrada Malvestuto i quali producono cinque mila frutti ogni anno, richiedonodue giornate di potatura che si soglion pagare L. 1,25 ognuna.

Il prodotto

Dopo sei anni dallo innesto, le 400 piante dànno 12000 frutti (30, cioè, peralbero) i quali venduti a L. 40 il migliaio, si convertono in L. 480.

Dopo dieci anni dallo innesto, ogni pianta dà in media 100 arance; così tuttele 400 ne daranno 40,000, che vendute a L. 40 il migliaio, diventano 1600 lire.

Dopo venti anni dallo innesto, ogni pianta produce in media 1000 arance; e le400 ne producono per ciò 400,000, le quali vendute a L. 40 il migliaio daranno16,000 lire.

* * *

Così, come Dio volle, arrivai alla stazione di Apricena, indolenzito e mal-concio. La luna tingeva di giallo le stoppie ingiallite, e le lucciole dalla fosforescenzaintermittente sprizzavano bagliori turchini su la landa silenziosa e sterminata.

E io, come sognando d’aver sognato, sentivo una canzone dolce, dolcementecantata da una voce soave, che rievocava il bel Paese…

Kennst Du das Land…?

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Capitanata triste

Addio, Tavoliere!

Migrano ancora su’ vetusti tratturi, da ottobre a maggio, gli armenti super-stiti, rari e poveri avanzi d’una ricca pastorizia scomparsa, invano cercando le diste-se mezzane smaltate di erbe umide di rugiada sulle quali il sole mai permette perlunghe ore l’indugiarsi della neve.

Il Tavoliere è stato affrancato o, per esser chiari, non esiste più. Ecco un’altravittima, forse delle più vere e maggiori, dell’intransigente giacobinismo politico edel trascendentalismo economico. Poiché è stato sempre fatale per la nostra agri-coltura l’impero del liberalismo irrazionale e la suggestione delle astrazioni econo-miche. Quelle eran le teorie, quello era il metodo, quelle le idee, tracciate sullafalsariga, applicabili in modo assoluto a tutte le funzioni della proprietà fondiaria.

Non altrimenti era accaduto verso il 1831, quando al re Ferdinando II moltieconomisti di quel tempo, seguendo le teorie del Palmieri, e dimentichi dellaimprovvida legge del 1806, per la quale, se non veniva a riparare l’altra del 1811,assai prima tutto il Tavoliere sarebbe stato dissodato, fecero più che l’elogio,l’apoteosi astratta dell’affrancamento del Tavoliere, sì che questo poteva ritenersicome decretato. Se non che il ministro d’Andrea, vecchio e cauto ministro non sistette contento a queste discettazioni accademiche, e volle che uomini speciali epratici, versati segnatamente in materia di agronomia, di geologia e di botanica,come il Granata e altri, osservassero e esaminassero con attenta cura tutto, e di tuttoprendessero nota per dar un giudizio completo e indiscutibile. Ebbene lo studio e larelazione di costoro riuscirono unanimemente contrari al progetto di affrancamen-to, facendo rilevare non pure tutti i danni che dal progetto sarebbero derivati, marilevando anche le difficoltà molte e grandi che nella esecuzione si sarebbero incon-trate. E il re allora, quasi spaventato, disse: “Dunque non se ne faccia più nulla”.

I vincoli, ecco i nemici fatali, che a’ nostri quarantottisti, seminanti teorierivoluzionarie raccattate di seconda mano dalla Francia, dovevano parere come stru-menti di tortura dell’individuo e della proprietà, come parassiti della ricchezza, comevampiri della produzione. Che cosa eran dunque codesti vincoli? Si vietava didissodare le terre salde pascolabili oltre ad un quinto di tutta la estensione godutada ciascun enfiteuta. Questo limite, che la saggezza de’ padri nostri credè non purutile ma necessario di stabilire per conservare la proporzione tra la pastorizia el’agricoltura, tra l’ingrasso e la produzione, e tenere viva una vecchia industria assaiprofittevole, la quale compendiava il benessere delle montagne nevose e della pia-nura ardente quos torret Atabulus1, parve ai puritani della rivoluzione un’onta aigrandi principi di libertà raffazzonati sulla scorta di quelli dell’89, e decisero diabolire, di costringere i possessori al riscatto delle enfiteusi, con lo scopo, ideal-mente santo, ma praticamente funesto, di rendere libere le terre soggette a un cano-ne e ad alcune restrizioni.

1 I vincoli derivavano dalla legge 13 gennaio 1817 in vigore nelle provincie napoletane.

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La legge del 26 febbraio 1865 segnò, col così detto “affrancamento delTavoliere di Puglia”, la condanna della pastorizia meridionale, la catastrofe dei va-lori fondiari di Capitanata, la miseria di gran parte delle montagna dell’Abruzzo,del Sannio e della Lucania, e fu l’invito alla emigrazione.

Dove ora l’aratro, rozzo e impotente, va raschiando la terra per meglio im-poverirla, erano una volta, e non è molto, ampie praterie verdeggianti, su le quali,d’inverno e di primavera, a miriadi erravano branchi di bellissimi lanuti, per la mag-gior parte merini, e mandre di cavalli e di muli, di buoi e di vacche, così belli e fortie numerosi come niuno ha visto mai neppur nei Pampas americani. In verità chenon una landa desolata e deserta come ora si presenta, ma una dilettosa Arcadiadovea apparire questa immensa pianura con i suoi tre milioni di animali pascolantie liberi e i tranquilli pastori, i quali, come il mandriano di Libia, cantato da Virgilio,

………adduce secoLa casa, i lari e d’ogni guisa arnesi,La cretese faretra e il can d’Arniole;Non altrimenti di roman guerriero,

Che di armatura patriva covertoSotto forma inegual si pone in via

E improvviso dinanzi all’oste accampa…

L’affrancamento del Tavoliere è riuscito finanziariamente infruttuoso, eco-nomicamente e socialmente disastroso. Lo stato che riscuoteva un reddito annuoperpetuo e irredimibile di due milioni e mezzo di lire, si è visto passar sotto gliocchi, come le figure di un caleidoscopio, le somme riscosse a centellino per il ri-scatto de’ canoni; e un brutto giorno, avendole introitate tutte, si è accorto chel’aveva anche miseramente consumate. Così l’Erario è rimasto senza la rendita, sen-za il capitale, e con parecchi spese, in appendice, di liti e di stipendi.

Sarebbe stato in vero follia sperare che dopo l’affrancamento i possessoriavessero rispettato il pascolo. Ahimé, la febbre de’ subiti guadagni invase violente-mente in tutti gli agricoltori del Tavoliere, i quali si dettero pazzamente a dissodarele terre buone e le cattive, e tutto sottoposero alla voracità delle biade, allettati daiprimi pingui ricolti, dovuti a una fertilità accumulata lunghesso tanti secoli. Ma lafertilità, come tutte le ricchezze mal governate, come tutte le energie non rispar-miate, è andata via via esaurendosi tanto che ora la produzione media del frumentodella nostra regione è certo tra le più basse, e molti terreni non si coltivano più perla loro assoluta impotenza a produrre alcunché.

“Io mi sgomento, diceva il Baer, innanzi al disordine, in cui si troverà gittatala classe dei censuari, ed anche lo Stato”. Più che disordine, deve ora dirsi miseria: elo sgomento deve essere assai maggiore. I grandi proprietari gettati nelle fauci vele-nose e dilanianti del Credito Fondiario; i medii e i piccoli dissanguati dall’usura; ifittaiuoli scomparsi per mancanza di profitto; i contadini emigrati per fame; unospopolamento angoscioso e tetro delle campagne; la stasi di ogni industria; la mise-

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Capitanata triste

ria e il parassitismo depravante: ecco gli effetti della idolatria di una “idea”, chepareva liberale, a danno della realtà e del fatto, che dovrebbe governare e indirizza-re ogni trasformazione di un qualunque sistema di economia rurale.

Doveva almeno far pensosi i novi legislatori il ricordo dell’infelice tentativoche di un simile affrancamento si fece sotto la dominazione francese, nel 1806. Resalibera la dissodazione delle terre pascolative, tutti si diedero a dissodare, per fruirede’ precari vantaggi della preistorica verginità di quelle terre; ma quando le ebberosfruttate, le abbandonarono, lasciandole come inutile peso al Governo, il quale nontrovava a chi darle, e ben si dové ritornare ai vincoli e alle pastoie abborrite perridare alla proprietà il valore fondiario perduto.

La tradizione appula, quella abruzzese, la sannitica, la lucanica è essenzial-mente pastorale; e queste regioni debbono alla pastorizia la prosperità e il benesse-re, del quale sono testimoni irrecusabili gli scritti e le opere.

Ora è evidente che la pubblica e la privata fortuna venne scadendo presso noi amisura che l’industria armentizia per la diminuizione del pascolo si andò restringendo.

Il Correnti nel suo Annuario valutava per un milione il numero delle pecoree degli agnelli; per 24 mila quello delle vacche; per 17 mila quello dei cavalli; per piùdi 18 mila quello dei buoi pascolanti sul Tavoliere. L’Angeloni credé di poter affer-mare che, nelle condizioni nelle quali si trovava ancora la superficie del pascolo diCapitanata quando fu fatta l’inchiesta Agraria (1879-89), potevano vivere delle no-stre erbe 500.000 pecore con parecchie migliaia di capre, e circa 7500 animali granditra muli e cavalli di servizio.

Fermiamoci a questo cifre1.Ammettendo che il prezzo di ciascun ovino sia di L. 20 e di ciascun altro

animale grosso L. 227, si avrebbe per i primi un valore di L. 10.000.000 e per isecondi di L. 1.700.000. Inoltre: dato che ogni pecora dia 2 chilogr. di lana bagnata,e ogni agnello ne dia grammi 850, si ha una produzione totale di Kg. 950.000 di lanadi pecore e 850.000 Kg. di lana di agnelli; la quale al prezzo medio di L. 3.80 al Kg.per le pecore, e L. 2,85 per gli agnelli (e aggiungendovi 1000 quintali di pelli delleprime e 40.000 dei secondi) raggiunge la cifra di 4.000.000 di lire. Ancora: si puòritenere che di codesti animali 195.000 vadano macellati; e calcolando a Kg. 10 ilpeso netto di ogni animale vendibili a L. 1 il Kg., si hanno ancora 2.050.000 lire.Finalmente si dee tener conto della produzione de’ latticini: un 14.000 quintali cir-ca, che a L. 100 il quintale, fanno 1.400.000 lire. Alle quali si debbono aggiungere L.150.000 di materie fertilizzanti e 500.000 come aumento presunto degli animali.

Con un gregge così numeroso era naturale la grande ricerca del pascolo equindi l’aumento del valore locativo. La pastura non costava meno di L. 9 a 10 percapo minuto, in media L. 40 per ettare, sì che la Puglia non introitava meno di4.000.000 di lire all’anno; il quale reddito capitalizzato al 6% costituiva un capitalefondiario di L. 75.000.000.

1 Vedere Volume XII, Fas. I, Inchiesta Agraria. Relaziono del Barone Angeloni 1884. Tip. del Senato.

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Antonio Lo Re

Non meno di 5000 persone, oltre i tosatori che sono operai avventizî, eranooccupati in questa industria: la quale, come afferma lo stesso Angeloni, aveva unacircolazione generale di 17.000.000 di lire sopra un capitale di 12.000.000 escluso ilcapitale fondiario.

Ebbene tutto ciò non esiste più. Il giallo delle ristoppie e il bruno o il rossicciodella terra smossa di recente hanno preso il posto del bel verde smaltato delle nostrenane sì, ma pingui e fragranti praterie. A tutto quel che abbiamo distrutto nullaabbiamo sostituito eccetto la vigna; che è ben piccola cosa rispetto a questa pianuradi 302,180,04 ettari, e che per giunta nella sua disordinata e disastrosa avanzata nonè che la conseguenza fatale del primo gravissimo inconsiderato errore.

Dopo tutto però, nella pianura, se non è carne, è pane, e se non è pane èalmeno vino. Dove il clima e il terreno permettono le trasformazioni colturali, seanche queste si sbagliano nel senso economico, un piccolo margine per un guada-gno anche piccolo può pure rimanere, o almeno venire dall’oggi al domani. Madove per ineluttabile condizione naturale di suolo e di atmosfera una industria agrarianon può che essere quella che è, o morire; dove anzi perché codesta industria viva,si ha il bisogno di spingerla verso un altro territorio che le dia ciò di cui manca;dove, come nell’Abruzzo, nel Sannio, nella Lucania, non son che monti e balze, e,meno che per pochi mesi, nevi e ghiacci, e, la pastorizia è l’unica forma economicapossibile e profittevole, se si sposta uno solo de’ coefficienti per i quali cotesta for-ma è conseguibile, essa cessa di essere remunerativa e dee scomparire, lasciando nelsuo ambiente un disordine irreparabile.

Così è accaduto, che distrutto il pascolo invernale e primaverile della pianu-ra, il quale dava nutrimento al gregge per tre quarti dell’anno, la pastorizia montaninaè morta. E così è accaduto, che la superficie di molte montagne, fonte di grandiricchezze, è rimasta inutilizzata e inutilizzabile non altrimenti come cosa senza va-lore e si è gettata la perturbazione nel seno di un milione di famiglie, le quali dallapastorizia traevano tutto il loro guadagno. Nella sola provincia di Aquila, circa 100comuni su 127, quanti quella provincia ne conta, non vivevano che del reddito deiloro monti. E ora?

Come la industria de’ buoni e forti Abruzzesi non feconda più le terre diPuglia, così il commercio fra le due regioni, un di tanto rigoglioso e vivace, nonanima più il nostro mercato, fatto languido dall’abbandono. Foggia era reputata edera realmente la sede de’ maggiori affari, il più ricco e vasto mercato meridionale, ilcentro della famosa Fiera che riuniva tutto ciò che di commercio, d’industria e diricchezza possedesse il regno di Napoli; ma poi che le hanno tolto il Tavoliere, nonè stata e non è più niente di tutto ciò.

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Raffaele Colapietra

Matteo Imbriani alla Camera per la difesadei diritti civili e delle libertà statutarie

di Raffaele Colapietra

Il 2 settembre 2001 è caduto il centenario della morte d’Imbriani, dopo quasiesattamente quattro anni d’infermità e dolorosa immobilità paralizzante, cheemblematicamente lo aveva colpito mentre inaugurava in piazza della Lizza a Siena,all’ombra dialetticamente “tirannica” della fortezza medicea, e non lungi dalle me-morie cateriniane del S. Domenico, il monumento a Giuseppe Garibaldi1.

Il ricordo dell’oblio in cui Milano, per non dire l’Italia, hanno fatto caderel’analoga ricorrenza per Cavallotti (6 marzo 1898) nonostante certe profondissimeaffinità ambientali che si è avuto modo di segnalare in nota, mi ha indotto a ripren-dere in mano gli appunti di una conversazione tenuta a Trani nel novembre 1990,che la cortesia di quei cittadini rese affollata e partecipe, e che mi giovò allora, e piùmi giova oggi, per ridestare e rinfrescare amori giovanili attorno ai quali i decennitrascorsi, malgrado le benemerenze, troppo conosciute per essere dettagliate, diGiovanni Spadolini ed Alessandro Galante Garrone, non hanno apportato davveroluce soverchia.

Imbriani si trova poi in una posizione particolarmente delicata e defilatanei confronti di Cavallotti, che si è potuto, con gli opportuni distinguo, collocaree mantenere alla meglio nell’ambito di quel radicalismo a cui gli studiosi, ed unacerta esigua pattuglia di epigoni, hanno dedicato un’attenzione non trascurabile,con esiti critici ragguardevoli, come in quelli di Giovanni Bovio, che viceversa, edassai lodevolmente, è stato abbastanza presente alla memoria civile e scientificapugliese, se non del tutto a quella napoletana, sì da presentare oggi un bilanciosoddisfacente tanto sotto il profilo culturale quanto sotto quello strettamente po-litico.

1 Ho creduto opportuno soffermarmi con qualche cura sulla localizzazione specifica dell’evento del 20settembre 1897 (davanti al monumento è ancor oggi la lapide dell’antica sede della società operaia dove Imbrianifu trasportato e Cavallotti fu il primo ad accorrere al capezzale dell’amico) a causa della sua sempre rilevantis-sima rappresentanza simbolica, così come lo è, ovviamente, la data prescelta, quella stessa nella quale, due anniprima, il Crispi presidente del Consiglio aveva inaugurato con un importante discorso il Garibaldi del Gallorisul Gianicolo. Esso era una rivendicazione con iudicio della laicità irrinunziabile dello Stato risorgimentale asuggello della proclamazione della data, nel suo venticinquennio, come festa nazionale, secondo che ricordaorgogliosamente a Gallipoli l’epigrafe dettata per il proponente, all’epoca deputato del collegio, Nicola Vi-schi, l’antico patrizio di Trani e “proconsole” giolittiano in Terra d’Otranto. Non a caso Milano avrebbecontrapposto al 20 settembre del conformismo ufficiale il 3 novembre di Mentana e del “fossato” da essascavato tra la nazione e la monarchia nella suggestiva immagine di Agostino Bertani, per affidare l’inaugura-zione del suo Garibaldi ad uno dei più smaglianti e complessi discorsi extraparlamentari di Felice Cavallotti.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

E questa delicatezza dipende dall’essere stato Imbriani irrigidito, e sostan-zialmente esaurito, nelle secche di una protesta tanto generosa quanto esteriore edeclamatoria nell’ambito che genericamente può chiamarsi meridionale, se non pro-priamente meridionalistico, nonché, e più gravemente, a livello nazionale, in quelledi un irridentismo enunciativo, fine a se stesso quando non incoerente e contrad-dittorio.

Gli equivoci e le ambiguità di Raffaele Cotugno quale più o meno legitti-mo erede politico del Nostro e, più impegnativamente, curatore e prefatore, nel1923, dei suoi discorsi parlamentari 2 sono senza dubbio alla base di questa rapi-da e sommaria mancanza d’interesse critico, non sanata certo da quel che è ve-nuto dopo soprattutto in ambito regionale pugliese, un nome per tutti, MicheleViterbo.

Le pagine che seguono, dunque, sull’onda sentimentale dell’occasionale cir-costanza accennata, e sulla base modestissima di una rilettura del saggio di Cotugnoe di una rivisitazione, come si suol dire, dell’attività parlamentare intensissima diImbriani nei pochi anni in cui egli di fatto sedette alla Camera, si propongono contutta semplicità di cominciare a far conoscere, se non altro, lo spessore di testi-mone del liberalismo ottocentesco che il Nostro riveste nel passaggio dal Risor-gimento al post Risorgimento, ed in quello egemonico dalla plenitudine crispinaal prologo giolittiano, in quanto portavoce di una determinata, e sensibilissima,coscienza parlamentare, che in quegli anni decisivi fu messa severamente alla pro-va.

Si tratta, come sempre, di studiare e di approfondire, dopo aver conosciutodi massima: ma questo è un compito che, guardandomi indietro3 posso serenamen-te lasciare ad altri.

Elemento centrale e determinante di tutta la vicenda umana e politica diMatteo Renato è senz’altro la sua nascita a Napoli, il 28 novembre 1843, nel cuoreprofondo, per così dire, della “famiglia di patrioti” di crociana memoria la cuivicenda andrebbe oggi ripercorsa con sguardo più scaltrito e spregiudicato sulretroterra provinciale “rampante” settecentesco degli Imbriani nella valle Caudina

2 Non si trascuri ovviamente, la data di quell’edizione, che segnava una tappa ulteriore di avvicinamento alfascismo da parte di Cotugno radicale, interventista e nittiano, il tutto con gran numero di virgolette, delventennio precedente (naturalmente, la singolare levatura soprattutto intellettuale del personaggio attendeancora una ricostruzione a tutto tondo: ma qui egli ci interessa essenzialmente quale responsabile di unosnodo critico all’interno del quale Imbriani è rimasto impigliato senza scampo).

3 Mi si consenta, proprio a conferma di questa chiave introduttiva autobiografica, l’auto citazione dellarecensione che dedicai in “Belfagor” 1959 estratto di pp. 25 col titolo L’Italia in Africa da Assab ad Adua a Laprima guerra d’Africa del compianto Roberto Battaglia, che in conseguenza mi divenne carissimo amico “Notocon piacere come l’A. riservi all’Imbriani un’attenzione non condizionata dal consueto cliché protestatario edirredentista e borghese proprio del patriota napoletano. Imbriani è senza dubbio una figura schiettamenterisorgimentale, in senso generico e culturale, senza troppe precisazioni politiche, e quindi già anacronisticaalla fine dell’Ottocento. Ma la sua funzione liberale, la sua ispirazione popolare e la sua aggressiva onestà sirivelarono più volte insostituibili, connesse come erano con una severa preparazione dottrinaria e sia purelibresca, ed una spiccata sensibilità parlamentare”.

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Raffaele Colapietra

della S. Martino tanto cara al Nostro e dei Poerio dell’ormai remota ed estraneaTaverna.

Tale elemento si rende poi più ravvicinato e coinvolgente se si colloca MatteoRenato come fratello mezzano tra due personalità parimenti d’eccezione, Vittorio,su cui non ci sono da spendere molte parole, e Giorgio, caduto nel gennaio 1871, aventidue anni, a Digione, al pari di Giuseppe Cavallotti, il fratello di Felice, maassai più e meglio di lui essendosi già messo in luce tra le figure più vigorose dell’in-transigenza repubblicana napoletana in chiave garibaldina che si era saputa serbareindenne dalle suggestioni bakuniste.

Non si trascuri peraltro, specie sotto l’angolo visuale che attualmente ciconcerne, ciò che gli zii materni abbiano potuto rappresentare e significare per ilgiovane che non a caso, a differenza di Vittorio, volle costantemente accompa-gnare il cognome Poerio a quello paterno, forse soprattutto Alessandro, di cuisintomaticamente si leggeva un motto poetico in epigrafe a “L’Italia degli Italia-ni” di cui parleremo tra breve, un motto nel quale è in nuce il rapporto sempretormentosamente dialettico, e tormentosamente avvertito, tra forma e contenutodella democrazia: “A che le leggi provvide E ’l frequente Senato E di suffragigravide L’urne e il pensiero amato E la parola libera E la comun città… se manca-no Virtude e libertà?”.

Matteo Renato veniva dunque a rappresentare, non soltanto dal punto divista anagrafico, una sorta di quid medium tra gli opposti estremismi, diciamo così,che si sarebbero configurati in Vittorio ed in Giorgio, e ciò, almeno in parte, anchea causa della vocazione, o scelta che fosse, schiettamente militare che lo contraddi-stingue fin dall’indomani dell’infantile esilio del 1850 al seguito di Paolo Emilio e diCarlotta Poerio suoi genitori, nel 1855 il collegio militare di Asti, quindi l’accade-mia di Torino, infine, nel 1859, la partecipazione alla guerra agli ordini di un conter-raneo meridionale, il generale Carlo Mazzacapo.

Il richiamo garibaldino sarebbe stato comunque prevedibilmente irresistibileal pari che per Cavallotti, di solo un anno più anziano (lo era anche Giolitti, maquale differenza! ed è un dato di fatto, il signum di un altro mondo), l’imbarco conMedici, la presenza alla battaglia di Milazzo con decorazione sul campo e promo-zione da parte di Enrico Cosenz4, quella assai più drammatica, a fianco di PiladeBronzetti, e con una breve prigionia nel campo borbonico, a Castelmorrone, neldifficile tentativo di coprire Caserta tra Maddaloni e S. Maria Capua Vetere durantela battaglia del Volturno.

Che quella del Nostro, come si è accennato in nota, fosse all’epoca una posi-

4 È appena il caso di avvertire fin d’ora che tutt’e tre i militari fin qui nominati avrebbero rivestito ufficialtissimi nell’Italia unitaria e monarchica, non sappiamo se ed in quale misura mantenendo contatti col No-stro, che ribadisce comunque fin qui un’ortodossia garibaldina che, e lo vedremo, può tingersi di repubblica-no, ma nulla deve specificamente a Mazzini, né tanto meno a Cattaneo, e questo in forte diversificazionerispetto a Cavallotti e a Bovio.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

zione politicamente alquanto sorvegliata sembra confermato dal suo allineamento,come aiutante di campo, accanto al Cosenz divenuto generale divisionario dell’eser-cito regio nella campagna del 1866 mentre Vittorio e Giorgio entrambi, ed è signi-ficativo di una fase biografica destinata tra breve a divaricarsi con forza, si arruola-vano tra i volontari di Garibaldi.

La rottura, come per tanti altri rispetti, anche questo lo abbiamo segnalatoin nota, si sarebbe verificata soltanto a Mentana, allorché Matteo Renato, dopoun arduo di laceramento vissuto a Firenze dinanzi alla folla che tumultuava sottopalazzo Riccardi, sede all’epoca del vacillante gabinetto Rattazzi, sarebbe entratoa far parte, senza dubbio sotto l’influsso preponderante di Giorgio, dello statomaggiore di Giovanni Nicotera, nella sua scriteriata avventura ciociara, donde gliinevitabili arresti in fortezza, a Palmanova, ma, si noti, non l’abbandono dellacarriera militare, nella quale l’Imbriani tenente dei granatieri persiste, pur in uniter esistenziale sempre più arruffato ed aggrovigliato, che lo avrebbe sospinto inpolemiche giornalistiche costellate da querele ed a duelli con i principali espo-nenti del giornalismo conservatore di quegli anni, Arturo Colautti ed il giovaneMichele Torraca.

Ancora una volta, ed ora definitivamente ed in modo tragico, la rottura sa-rebbe stata determinata da Giorgio, la sua morte a Digione, la scena melodrammaticadella salma vegliata da Jessie White Mario nella cripta dei Cappuccini e di MatteoRenato che getta nella bara la propria medaglia al valore e scrive le proprie dimis-sioni dall’esercito.

Il matrimonio con Irene Scodnik, l’esule dalmata che tanta parte avrebbeavuto nella sua vita e tanta responsabilità nell’inaridirne la memoria nel più angustoirredentismo, ratifica e suggella la svolta, che implica anche una freddezza ormaipermanente ed insuperabile con Vittorio ed un sempre più assiduo coinvolgimentopolitico culminato, sempre in chiave essenzialmente garibaldina, ancora alla vigiliadella “rivoluzione parlamentare”, nel gennaio 1876, con l’assunzione, a fianco diGiuseppe Avezzana, della vicepresidenza del comitato direttivo dell’associazionedei superstiti delle patrie battaglie, donde, il 10 marzo successivo, nella ricorrenzanon puramente formale della morte di Mazzini, l’uscita de “L’Italia degli Italianimonito quotidiano politico morale ed eco scientifica”, il pedagogismo paternalisticoe positivista al potere, si potrebbe dire con una battuta, con tutte le luci e le ombrenon lievi che ciò comporta.

La presa di distanza nettissima nei confronti del Nicotera ministro dell’In-terno bastava da sola a fornire chiaramente la cifra politica di tale pedagogismo, cheveniva ad esemplificarsi in novembre, in occasione delle elezioni generali del 1876,con la prima delle diciotto candidature di Imbriani prima dell’elezione del maggio1889, ma forse, al di là dei 46 voti racimolati, la più significativa di tutte, quellapresentata, e che sarebbe stata più volte reiterata, a San Severo, che era stato il col-legio della “sinistra giovane” di De Sanctis e del progressismo essenzialmenteintellettualistico di Zuppetta, e perciò, ambientalmente parlando, il passaggio dallademocrazia post giacobina del Subappennino del comunitarismo e degli usi collet-

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Raffaele Colapietra

tivi alla democrazia presocialista del libertarismo anarchicheggiante del Tavoliere edel Gargano settentrionale5.

Trasformando il giornale in settimanale nel luglio 1877 con una rubrica spe-cifica dedicata all’Italia irredenta6 la caratterizzazione del Nostro in quest’ultimosenso appare tanto rapida quanto probabilmente strumentale, l’esigenza di rita-gliarsi uno spazio tutto proprio all’interno della democrazia e, più latamente, del-l’estrema orma non più ministeriale, attraverso l’associazione centrale per le pro-vincie del Mezzodì dell’Italia irredenta, di cui Garibaldi è “preside”, Avezzana pre-sidente, Bovio vice ed Imbriani segretario e pratico factotum, un uffucio che loautorizza a trattare Crispi da “cittadino indegno e pessimo italiano” per l’incontrocon Bismarck da cui l’irredentismo si mostra allarmato non meno di quanto facciala sensibilità liberale e parlamentare dinanzi all’autoritarismo di Nicotera, tantopoco estremista, quella sensibilità, da indurre il Nostro a deporre una corona alPantheon sulla fresca tomba di Vittorio Emanuele ed a sostenere in proposito unavivace polemica con l’inflessibile Alberto Mario7.

L’exploit irredentista si sarebbe in effetti, obiettivamente, verificato nell’esta-te 1878, com’è noto, col congresso di Berlino ed in seguito con Italicae res diHaymerle, a cui Imbriani aveva replicato con Pro Patria introdotto da Bovio e Lui-gi Mazzacapo, il fratello del suo antico generale, e già ministro della Guerra, colQuid faciendum, una ventata di comizi che, dal Sannazaro di Napoli a Milano,attraverso il Politeama di Roma, scuoteva l’opinione pubblica, il Nostro sempre inprimissima fila, Garibaldi esortante all’insurrezione per gli irredenti ed alla guerrapartigiana sulle montagne, la nazione armata e il suffragio universale quali presup-posti ed obiettivi ad un tempo un po’ di tutta l’agitazione.

5 Mi permetto di richiamare in merito a quanto ne dico in Sansevero collegio elettorale di De Sanctis: lucied ombre della Sinistra giovane in Francesco De Sanctis un secolo dopo a cura di Attilio Marinari, Laterza,1985, II 355-432, Da De Sanctis al socialismo attraverso Imbriani in Studi per una storia di San Severo, SanSevero 1989, II, 605-672, L’attività politica di Luigi Zuppetta dopo l’unità in “Archivio Storico Pugliese”,1989, pp. 375-415. Imbriani sarebbe stato candidato ancora nel maggio 1880 con un plebiscito a Castelnuovo,la patria di Zuppetta, in quanto scambio dell’eredità e delle consegne, senza alcuna base organizzata sociale,ma scarsissimi risultati nel resto del collegio, nell’ottobre 1882 nel secondo collegio di Foggia a scrutinio dilista con 1218 voti complessivi ed il plebiscito trasferito a Rodi, nella prospettiva delineata nel testo, nelmaggio 1886 con un forte incremento in città, tra i ceti artigiani ed operai, a segnare il configurarsi di una verae propria democrazia radicale, appunto per questo essenzialmente urbana nei confronti del ministerialismotrasformista e più tardi crispino (nel 1890, quando il Nostro era già alla Camera, egli, benché sconfitto nelcollegio, raccoglieva in Sansevero città la maggioranza assoluta dei voti: e si noti, ad illuminare i costumidell’epoca, che proprio e soltanto quell’anno, nel maggio, Imbriani era apparso per la prima volta fisicamentea Sansevero, di passaggio nel recarsi a Castelnuovo per commemorarvi Zuppetta nel primo anniversario dellamorte).

6 È appena il caso di segnalare l’opportunità imprescindibile di uno studio specifico sull’Imbriani giorna-lista e talent-scout, si pensi alla successiva collaborazione del giovanissimo Salvatore Di Giacomo al foglio diTrinità Maggiore la cui lapide commemorativa, allo sbocco sul Gesù Nuovo, è diventata pressoché illeggibile.

7 Ancora l’11 aprile 1897, alla vigilia del dramma di Siena, nel corso di richiami “ideologici” che avremomodo di riprendere più avanti, Imbriani difendeva Vittorio Emanuele dalle critiche di Napoleone Colajanniperché, rispetto alle tradizioni repubblicane naturali in Italia (ed è interessante questa che è constatazione piùche rivendicazione) “il voler disconoscere ciò che hanno operato altri, con sacrifici anche nobili ed alti, miparrebbe ingiustizia”.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

Costretto, con un opuscolo sereno ed equilibrato intorno al regicidio, a po-lemizzare indirettamente col fratello Vittorio che col velenoso È galantuomo ilCairoli? aveva preso spunto dall’attentato Passanante per una tirata schiettamentereazionaria, Imbriani manifestava in tal modo duttile prontezza nel passare dall’at-mosfera arroventata dell’irredentismo nazionalistico e fine a sé stesso a quella piùarticolata, ed accentrata sulla difesa dei diritti statutari, che avrebbe condotto nel-l’aprile 1879 a quella Lega della Democrazia, con omonimo brillantissimo giornaleaffidato alla direzione di Alberto Mario, in cui si suole oggi a ragione avvisare ilprimo nucleo dell’estrema radicale e democrativa definitivamente identificatasi neiconfronti della Sinistra storica dopo la caduta di Cairoli8.

Significativamente il ritorno al potere di quest’ultimo, sia pure sulla piatta-forma sgradevolmente regionalista dell’abolizione parziale del macinato, avrebbesuggerito anche a Garibaldi più miti consigli nei confronti di Italicae res e ad Imbriani,nell’ottobre 1879, l’accennato dignitoso equilibrio di Pro Patria, una prova di piùche l’irredentismo, almeno a sinistra, non era ormai che uno dei tasselli di un mo-saico assai più ampio e complesso, il cui provvisorio suggello, nel febbraio 1881, èfornito da quel comizio dei comizi a Roma la cui gestazione ed il cui svolgimentoandrebbero ricostruiti con cura come una delle maggiori mobilitazioni d’opinionedell’epoca, ed il cui ordine del giorno conclusivo, Imbriani al suo postonell’umanimità che lo sancisce, “invita il popolo a riconquistare il suffragio univer-sale9 come uno dei diritti costitutivi di quella sovranità da cui sorga la legge dellavita nuova italiana”.

Proprio la morte di Garibaldi, peraltro, nel giugno 1882, a mezzo tra laconclusione della Triplice ed il bombardamento di Alessandria, un rinnegamentovistoso del principio di nazionalità che avrebbe dato modo peraltro ad Imbrianidi elogiare il Mancini ministro degli Esteri per non avervi voluto prender parte (siricordino le contemporanee, e successive, veementi recriminazioni di Crispi e ditutto il successivo nazionalismo patriottardo, da De Zerbi a Corradini!) accanto-nandosi per il momento le conseguenze di ogni genere che la Triplice avrebbepotuto esercitare anche e soprattutto sul risvolto costituzionale della politica in-terna italiana, la morte di Garibaldi, dicevamo, accolta dai democratici francesi,in testa Georges Clemenceau, con ampie esibizioni di solidarietà, offriva il destroper un’iniziativa clamorosa della quale il Nostro sarebbe stato al centro. Giovan-ni Bovio, infatti, che aveva sempre mantenuto, prima e dopo Tunisi, l’atteggia-

8 Non a caso proprio al Nostro pochi giorni prima dell’assemblea romana, il 15 aprile 1897 (BibliotecaNazionale di Napoli, Archivio Imbriani, XX, II, 62) si era rivolto Napoleone Colajanni auspicando “unaestrema sinistra non docile, gesuitica e forse aspirante al potere sotto la monarchia come la vorrebbe il Bertani…ma battagliera ed intransigente come quella francese sotto l’Impero” formula felicissima, quest’ultima, e cheImbriani avrebbe fatto sostanzialmente propria, la tribuna parlamentare come mezzo di comunicazione colpaese e di propaganda presso l’opinione pubblica, in prospettiva genericamente repubblica.

9 Chiaro riferimento al grosso e decisivo equivoco costituzionale dei plebisciti, donde il mito crispinodella “monarchia democratica” e l’utopia di Mario intorno ai placidi tramonti” determinati fisiologicamente,per così dire dal suffragio universale.

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mento più conciliativo ed aperto verso i repubblicani transalpini d’estrema, in-viava a Parigi, come rappresentante della “democrazia meridionale” per l’anni-versario della presa della Bastiglia, il nostro Imbriani, dando alle stampe, insiemecon Federico Salomone, un manifesto per annunziare la ripresa della tradizionedegli scambi politici italo-francesi, interrotti nel novembre 1880, e la cui cronistoriaandrebbe pur ricostruita sotto il profilo culturale e civile del “mito” della repub-blica10.

Il soggiorno parigino di Imbriani si sarebbe protratto parecchi giorni, salvoripetersi poco più tardi, sempre nel nome di Garibaldi, nel settembre 1882, all’Ho-tel de Ville ed al Grande Oriente, una compromissione massonica pressoché inevi-tabile alla quale Imbriani non poteva che acconciarsi, sulla traccia di Bovio, nono-stante l’estraneità di fondo che, al pari di Cavallotti, lo teneva lontano dalla formi-dabile associazione dei liberi muratori11.

L’episodio Oberdan piomba su questo clima a divaricare con violenza le po-sizioni della democrazia, da un lato la parola d’ordine di Bertani, suggestionato daCrispi ed isolato un po’ in tutta l’estrema, Bovio, Cavallotti, il neo eletto AndreaCosta, “bando ai sospetti, mano alle riforme”, dall’altro il “piombo e sangue” fre-neticamente invocato da Imbriani, con sullo sfondo la sottoscrizione per migliaia dicarabine da depositarsi, con patetico donchisciottismo, presso gli studi del pittoreSaverio Altamura e dello scultore Francesco Jerace12, più in là la candidatura aBelluno, sul limite delle Alpi “contese”, dove già sono stati eletti i radicali CarloTivaroni ed Emilio Morpurgo ma dove Imbriani, pur raccogliendo circa tremilavoti in successione al progressista Giuriati, in un intreccio di populismo edirredentismo difficilmente districabile, deve cedere il passo al generale Ricci, candi-dato ministeriale.

Malgrado tutto, il discorso si spostava in realtà, concretamente, sulle rifor-me, stavolta il suffragio universale amministrativo, anch’esso attraverso una serie dicomizi che andrebbe ricostruita con diligenza e che si sarebbe conclusa a Napoli,nel dicembre 1883, al teatro S. Ferdinando, con una grande manifestazione in cuiImbriani sarebbe stato al fianco di Bovio e di Costa, non più che una salvazioned’anima, a dire il vero, al pari della firma apposta al manifesto elettorale dell’estre-ma nel 1886 o della partecipazione al comizio napoletano anti africanista del luglio

10 “I popoli che hanno delle affinità – si leggeva nel manifesto del 1882, da leggersi, ovviamente, nellaprospettiva del 1914 – se vogliono vivere liberi, non debbono separare i loro diritti, i loro interessi, i loro fini:e debbono ricordare ciò ai rispettivi governi che, separati, dimenticano le cause disastrose che alimentano letenebrose Sante Alleanze sulle rovine delle nazioni e della libertà”.

11 Molto più obiettivamente interessante la parabola politica e culturale di Pro Patria, il motto che avrebbedato origine all’omonimo quotidiano sorto nel settembre 1882 dalle ceneri del “L’Italia degli Italiani” e che sisarebbe mantenuto in vita fino al marzo 1883, redattore capo, sempre a Napoli, uno scienziato e repubblicanofederalista di ferro come Arcangelo Ghisleri, le mille miglia distante da Imbriani, la cui personalità ne rimaneperaltro inseparabile.

12 Si porrebbe a questo punto, naturalmente, l’affascinante tema della compromissione “sovversiva” dellearti figurative nel Mezzogiorno prima e dopo il Quarantotto e l’unità, tema che non è ovviamente il nostro mache non può andar sottovalutato in una storia civile e politica dell’intellettuale meridionale.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

1887, un primo approccio del Nostro ad un tema che in seguito, in chiave di na-zionalità, gli sarebbe stato particolarmente caro. Il personaggio che dunque, il 24marzo 1889, viene eletto deputato nel secondo collegio di Bari contro RiccardoSpagnoletti in una suppletiva per morte di Fabio Carcani, l’illustre patrizio diTrani che condivideva, abbastanza scialbamente, per la verità, la sfumaturaprogressista pentarchica del Panunzio a Molfetta, quel personaggio, dicevano, èun gentiluomo ormai attempato, che ha tenuto una posizione politica essenzial-mente garibaldina e tardorisorgimentale assai coerente, che in Puglia a San Seve-ro, come si è visto in nota, sta imperversando ed egemonizzando un’interessantetransizione democratica urbana, e che perciò può apparire in grado di fare effica-cemente da portavoce così per i disagi che la guerra doganale sta apportando inparticolare alla Puglia come per la sensibilità liberale di una certa opinione pub-blica ormai non più disposta a farsi coinvolgere indiscriminatamente nel climaplebiscitario di aspettazione messianica che aveva accolto l’avvento di FrancescoCrispi.

Matteo Renato Imbriani avrebbe risposto a questa fiducia in modo memora-bile e clamoroso fin dal suo esordio parlamentare del 10 maggio successivo, uncontributo decisivo alla compiutezza morale dell’estrema, una significativa affer-mazione dell’elettorato meridionale sul “deputato del popolo” imponente e tonan-te col suo cappellaccio e la sua valigia di documenti, ma anche un valore spiritualeassolutamente inestimabile, l’onestà, il disinteresse, una corrucciata grandezza mo-rale, spinta fino alla pignoleria, che lo rendeva una sorta di spauracchio per qualsi-asi ministero, un estremo soffio del romanticismo garibaldino sulla democrazia ita-liana.

Le pagine che seguono aspirano a documentare come questo ritratto, ormaidefinitivamente e magari oleograficamente acquisito fino a ieri (oggi, l’abbiamo vi-sto, del tutto dimenticato) veda arricchito con sfumature liberali e democratiche, eperciò propriamente politiche, che fanno di Imbriani non soltanto un personaggioma un’autentica personalità parlamentare13.

L’interpellanza “sulle cause che hanno prodotto la miseria e lo squalloranelle oneste e laboriose popolazioni delle Puglie” va inquadrata sullo sfondo didue avvenimenti di vasta risonanza ad essa immediatamente precedenti, all’inter-no la costituzione definitiva di una opposizione di Destra capeggiata dal Rudini equanto mai conciliante e sfumata un po’ su tutti i principali temi politici sul tap-peto, ma strutturata in prevalenza intorno al moderatismo lombardo nella sua

13 Vale la pena di ricordare che Imbriani ottenne nel collegio circa 7500 voti, un paio di migliaia in più diSpagnoletti, per il quale ultimo furono compattamente la nativa Andria, la Trani di Giambattista Beltrani,Giovinazzo e Bisceglie, mentre Cafiero e Pansini fecero confluire su Imbriani rispettivamente Barletta eMolfetta, e Bovio il suo vecchio collegio uninominale di Minervino e Spinazzola, anche Terlizzi e soprattuttoCorato votando in maggioranza per l’estrema, quella squadratura municipalistica dei risultati elettorali in cuiè tanta parte della storia politica non soltanto del Mezzogiorno e che attende ancora di essere studiata espiegata a dovere.

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fase di transizione all’imprenditorialità industrialistica che l’avrebbe sempre me-glio caratterizzato e reso egemonico, all’estero la morte in battaglia, a Metemmà,del negus Giovanni, che parve per un attimo, aprire seducenti prospettive alleambizioni dei circoli imperialistici, delle quali alla Camera si rese prontamenteinterprete Edoardo Arbib vivacemente confutato da Bonghi con la consueta al-ternativa del “l’Africa che abbiamo in casa”, la prospettiva bonificatrice e colo-nizzatrice, nella circostanza coinvolgente il suo antico collegio elettorale diAgnone, simile a “la più selvaggia parte dell’Africa” donde uno strepitoso e fa-moso incidente, da cui Bonghi uscì vittoriosamente. Non solo: ma i grandi scio-peri agricoli in Lombardia, i tumulti operai a Milano, Gallarate e Terni con nu-merosi feriti e dozzine di arresti, fornivano bene la misura di un malessere diffusonell’intero paese, dinanzi al quale il governo non solo sospendeva le promesseeconomie sul bilancio dell’Africa (la commissione del bilancio, che cercava d’im-porgliele, sarebbe stata indotta a dimezzarsi attraverso una raffica di dimissioni)ma si appellava al diritto statutario regio sulla guerra e sulla pace per rifiutare larichiesta di una legge speciale in proposito.

Il “novello Mirabeau”, come “Il Diritto” definiva Imbriani con una iperbolegiustificativa dalla concitazione dell’ora, articolava pertanto il suo intervento attor-no a quattro nuclei fondamentali:

1) l’esigenza organizzativa del lavoro, che nella circostanza rimane fine a sestessa ma che è all’origine di un lungo discorso tipicamente pugliese (il contadino diRuvo che inneggia alla fame “perché la fame ci permette di affermarci e di raggiun-gere certi ideali” donde il commento del Nostro: “Questo grido schietto di popolo,o signori, è sublime. E chi non sa comprenderlo né valutarlo non ha mai vissuto frail popolo”);

2) il rifiuto, che rimarrà costantissimo in Imbriani, del catastrofismo del “tantopeggio tanto meglio” nel definire, contro Bonghi, in realtà partiti d’ordine i cosid-detti partiti “sovversivi” “perché, sentinelle avanzate, indichino al governo, che paresordo, i mali che poi dovrà finire per toccar con mano. Se noi fossimo davverosovversivi, lasceremmo che questi pericoli sovrastassero, si accavallassero e schiac-ciassero tutto”;

3) il rifiuto, ovviamente altrettanto costante, della politica estera segreta, chetrascende la contingenza della Triplice e va a toccare l’art. 5 dello Statuto anche quinell’ambito di un lungo discorso che culminerà col Giolitti “bolscevico dell’An-nunziata” nel programma diciannovista del Dronero (“Io non conosco i vostri pat-ti segreti, non li conosce la Camera, non li conosce il popolo. Ma appunto perchésono segreti egli li crede immani”);

4) il Parlamento, inteso come mezzo di mobilitazione della pubblica opinio-ne (“Noi da questa tribuna parliamo all’Italia”).

Non a caso l’apulitas del problema sarebbe stata fatta subito propria, in unasquadratura senza mezzi termini, da Antonio Salandra, così come era stato lui, alsuo esordio parlamentare, a farla propria quale relatore sull’innalzamento del daziosul grano.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

Il deputato di Lucera, il presidente del Consiglio, il calabrese Miceli ministrodell’Agricoltura, lo stesso Bonghi, che aveva interpellato in senso largamente ana-logo a quello d’Imbriani, facevano a gara per minimizzare e sdrammatizzare gliavvenimenti (a parte l’ultra africanismo enfatizzato da Salandra) una volta che essisembravano poter assumere un colorito politico protestatario di massa troppo spic-cato, e non sanato certo dalle 20 mila lire stanziate per i comuni maggiormentecolpiti in Terra di Bari, che il Nostro contrapponeva nella replica alle 400 mila speseper il treno reale il Romagna, nel settembre precedente, alla “conquista”, in granparte fallita, di quelle roccaforti repubblicane e socialiste col pretesto delle grandimanovre.

Organizzatore di quel viaggio era stato il vecchio mazziniano AlessandroFortis, ora sottosegretario all’Interno, ed era a lui che si rivolgeva il 28 maggioImbriani con pronto e calcolato slargamento nazionale della sua tematica, gli arrestiarbitrari a Milano ed i quattro morti in provincia, a Corbetta, “e lo chiedo – aggiun-geva il Nostro con chiara fissazione delle responsabilità – all’autorità politica per-ché dall’autorità politica sono partite le informazioni e sono stati dati gli ordiniall’autorità giudiziaria… I governi si servono dei procuratori generali e dei procu-ratori regi loro dipendenti per legittimare tutti gli arbitri, essi non rifuggono datutti gli artifici, da tutti i mezzi”.

Ammonendo a non identificare l’energia con la repressione fine a se stessa,Imbriani sollevava nella replica a Fortis un’esigenza di distinzione rigorosa tra legi-slativo ed esecutivo, così come aveva già fatto implicitamente per il giudiziario, chesarebbe restata tenatce in lui14 e presupponeva una chiarificazione preliminare gra-zie alla quale l’opinione pubblica fosse posta in grado di scegliere (“Non so di qualedemocrazia voglia parlare. Egli ha detto che se ne appellerà agli elettori. Già con lalegge che ha vietato il verdetto degli elettori allorquando si viene assunti a ministroo segretario generale egli si è sottratto a questo verdetto”).

L’accennata crisi della giunta del bilancio riproponeva peraltro in primissimalinea all’ordine del giorno il tema delle economie, ed era ad esse che si appellava il 4giugno Crispi per non far prendere in considerazione una proposta d’Imbriani,Bovio ed altri deputati pugliesi per una partecipazione statale del 20% alla spesaoccorrente alla fornitura di acque salubri alla regione pugliese, un primo nucleoconcettuale del futuro acquedotto, spesa che Alfredo Baccarini già ministro deiLavori Pubblici valutava in 80 milioni e che il presidente del Consiglio ritenevasuperflua sotto il profilo igienico, rimettendosi per il resto all’iniziativa privata, una“democrazia dal basso” che trovava il Nostro tutt’altro che sfavorevole (“Io nonho aspettato dal governo grandi benefici perché i grandi benefici debbono i popoliprocurarseli da loro, non aspettarli come manna che discende dal cielo”) ma, nel-

14 Il 27 giugno 1891, criticando la legge che esonerava dal sorteggio degli impiegati dello Stato eletti allaCamera i ministri ed i sottosegretari, Imbriani escludeva a priori che impiegato potesse essere il presidentedella Camera, e il 9 giugno 1892, dinanzi alla richiesta di sei mesi di esercizio provvisorio avanzata da Giolittifresco presidente del Consiglio, insisteva perché ministri e sottoministri si sottoponessero a nuove elezioni.

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l’insieme, una sensibilità economica ed imprenditoriale anacronistico, è tutt’altroche sveglia.

La chiusura della Camera chiamava intanto il Nostro, a fianco di AntonioMaffi, il deputato operaio di Milano, e del romagnolo Pietro Turchi, ad una difficileopera di mediazione in seno al diciassettemi congresso che si teneva a Napoli tra il20 ed il 24 giugno 1889, nel senso di una stretta connessione fra l’organizzazionesociale e la propaganda politica, che Antonio Fratti annacquava nella formula delle“necessità dell’unità di lavoro”, per superare l’opposizione intransigente degliastensionisti, uno dei tanti compromessi che avrebbero reso il congresso pratica-mente inconcludente, a parte il rifiuto, netto ma non schiacciante, e nel quale Imbrianisi trovava senza dubbio cordialmente d’accordo, delle proposte socialisticheggiantidi Errico De Marinis e Giuseppe De Felice per l’abolizione del diritto di eredità eper la proprietà collettiva inalienabile.

Il centenario della rivoluzione e l’esposizione universale, ma anche la visitadi solidarietà ai due esuli dell’estrema, Andrea Costa ed Amilcare Cipriani, richia-mavano a fine agosto Imbriani a Parigi, dove era stato preceduto dai protagonistidel congresso, Fratti e Felice Albani, e dove era atteso da un significativo spiegamentodella massoneria parlamentare e dal ricevimento del sindaco Chautemps in munici-pio.

Al suo discorso il Nostro replicava in termini tanto vaghi quanto compro-mettenti (“Noi abbiamo una causa comune nel campo della civiltà come abbiamosventure comuni in quello della patria. La vostra frontiera è squarciata alla mercédel Tedesco come la nostra è squarciata a posta alla mercé dell’Austria. È la grandeidea latina che ci unisce. È questa idea latina che spaventa i nostri nemici”) cheFratti si sarebbe incaricato di compromettere ulteriormente con l’auspicare senz’altrol’alleanza italo-francese e la guerra all’Austria, donde una polemica vivacissima,padroneggiata alla meglio da Cavallotti col rifiuto tanto di una eventuale “ingiusta”aggressione da parte della Francia quanto di una guerra “infame e scellerata” controdi essa, la repubblica non potendo venire in Italia se non per virtù di plebisciti.

Ma Imbriani non defletteva, malgrado il vivissimo turbamento suscitato dal-l’attentato di Emilio Caporali a Crispi a via Caracciolo a Napoli15 e si lasciava anziandare anche lui all’auspicio di una guerra di liberazione franco-italiana per l’Alsa-zia Lorena, che costringeva Cavallotti ad una presa di distanza definitiva col lascia-re la questione “alla coscienza dei due popoli che stanno di fronte”16.

15 Si disse subito, ed era vero, che il Caporali fosse conosciuto da Imbriani e soprattutto da Bovio, che loaveva anche raccomandato in quanto oriundo del suo collegio pugliese. I telegrammi del Nostro e di Cavallottial presidente del Consiglio non cancellavano perciò i sospetti di cui si era reso interprete il Codronchi prefettodi Napoli col parlare di arruolamenti di volontari per la Dalmazia promossi proprio dai due uomini politici.

16 Per tutto l’argomento si vedano i resoconti e le corrispondenze de “Il Secolo” in particolare 3, 11, 15, 16e, 30 settembre, 6 ottobre 1889, con un’importante partecipazione di Luigi Ferrari, il giovane e brillantedeputato di Rimini (il tutto va visto sullo sfondo delle elezioni generali del 23 settembre in Francia, cheavevano segnato il tramonto definitivo del fenomeno Boulanger).

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

L’abbraccio affettuoso tra Imbriani e Crispi, che suggellava la seduta inaugu-rale della nuova sessione della Camera, allietata da un discorso della Corona parti-colarmente aperto a tendenze democratiche, concludeva formalmente e patriottica-mente l’impasse, ma non senza che il clima politico fosse stato messo a rumoredall’esilio delle elezioni amministrative del 10 novembre, le prime indette a normadella nuova legge comunale e provinciale di cui il presidente del Consiglio era statoartefice e protagonista, i radicali primi a Milano per numero di voti, i ministeriali diBaccelli con un sol seggio di maggioranza a Roma ed appena qualcuno in più aNapoli ed a Bologna, ma poi un autentico plebiscito democratico in Romagna (tut-ti i comuni eccetto Rimini), nelle Marche e nell’Umbria, anche lì con l’eccezionequasi solitaria di Perugia, a non parlare di Verona, Parma e Genova dove i radicaliera stati determinanti nel provocare la sconfitta dei conservatori e dei clericali.

In questo scenario di “regioni inferme che hanno bisogno di una pronta curaricostituente”, per rubare l’espressione alla “Nuova Antologia” 1 dicembre 1889 vainquadrata la classica questione di libertà e di diritto parlamentare sottoposta il 5dicembre alla Camera, la scarcerazione di Pietro Sbarbaro eletto deputato di Paviaal posto di Benedetto Cairoli, e di cui la giunta per le elezioni proponeva la conva-lida.

Imbriani, che in luglio aveva visto proibita una sua conferenza proprio a Paviaper sospetto d’irredentismo, è fermamente al suo posto in difesa delle prerogativeparlamentari (“Si tratta della sovranità nazionale delegata alla Camera… ben piùalta, ben più in su di quanto non sia quella dei tribunali”).

Se il governo non ha scarcerato prima della convalida, argomenta il Nostro,vuol dire che se ne rimette alla Camera “potere politico sovrano”, la convalida esclu-dendo che Sbarbaro sia tra i condannati esclusi a loro volta dalla rappresentanzanazionale.

Imbriani rammenta Crispi, che ne era stato discusso protagonista, la questio-ne Lobbia, nel senso di far garantire dal controllo parlamentare il principio dellaseparazione dei poteri, dal momento che “il potere legislativo ha il diritto di dareidei moniti al potere esecutivo quante volte esso influisca sul potere giudiziario”.

Egli accetta perciò la proposta del presidente Biancheri perché la questionesia sottoposta ad una specifica commissione ed iscritta all’ordine del giorno, rifiutaquella Baccarini sollecitante il governo a far scarcerare Sbarbaro, perché in tal casonon sarebbe il Parlamento a decidere, esclude l’opinione del guardasigilli Zanardelliche la Camera chieda in questo modo al sovrano una sorta di grazia, ricorda nuova-mente a Crispi che l’anno prima si è sospesa la seduta a Westminster perché unministro aveva privato per due ore una donna della libertà personale, conclude,dinanzi alle esitazioni ministeriali, che avrebbero fatto trascinare la questione perparecchi mesi: “Forse verrà un’altra Camera la quale sarà più gelosa delle proprieprerogative”.

Tra queste ultime ve ne era per la verità una che Crispi rimetteva per la primavolta in onore, quella di discutere l’indirizzo di risposta al discorso della Coronasecondo la vecchia consuetudine liberale e parlamentare subalpina.

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Imbriani il 6 dicembre se ne compiace, giacché di tutti gli atti della Corona èresponsabile il ministero, donde l’opportunità di un’ampia discussione di politicagenerale17 a cominciare dalla lodevole iniziativa di abolizione della tariffa differen-ziale18 “perché è una delle poche volte in cui il governo raccoglie il voto popolare,manifestato con la voce potente della nazione. Questa è veramente vittoria demo-cratica” (la pubblica opinione specialmente pugliese che rifiuta la guerra doganale esi afferma sul Parlamento e, attraverso esso, sul governo).

Tutt’altro è purtroppo da dirsi per la garanzia ministeriale che si è creduto dipoter dare ad un prestito di quattro milioni al nuovo negus Menelik in violazionedelle prerogative parlamentari su cui il Nostro torna a distendersi con un nuovomeno coperto accenno all’art. 5 dello Statuto ma aderendo anche al basilare concet-to crispino, dal quale in seguito sarebbe rinvenuto, del potere costituente insitoorganicamente, e perciò costantemente, nell’attività del Parlamento (già qui vi èperaltro un sintomatico spostamento, anch’esso nel gusto di Crispi, in direzionedei plebisciti, ben al di là della “camicia di forza” dello Statuto semplice barrierache impedisce di retrocedere all’assolutismo) identificando nell’esecutivo la respon-sabilità esclusiva dell’iniziativa politica.

“Non doveva anche il ministero, costituzionalmente, nell’allargare la sua sfe-ra d’azione, ottenere il pieno consenso del Parlamento?” si chiede preliminarmenteImbriani: e prosegue: “Io credo che siamo nel diritto nostro parlamentare dimodificazioni da apportarsi a quell’articolo dello Statuto che conferisce alla Coro-na il diritto di pace e di guerra… È stato riconosciuto che le assemblee legislativesono assemblee costituenti in permanenza, che lo Statuto è una barriera che non cipermette di andare indietro ma ci lascia indefinito il campo per andare avanti. Quindiquesta questione, che sarà parte essenziale del programma della democrazia, saràportata in quest’aula, sarà decisa dal consenso dei legislatori. Ma finché questo nonavvenga io vi domando che rispettiate almeno le prerogative che i claustri del vo-stro Statuto ci lasciano19, che rispettiate almeno queste prerogative e ci chiediatealmeno i denari quando dovete sperperarli. Vi potrebbero essere negati. Almenonon ci sia questa menzogna inaudita, questo pericolo per voi stessi, per le vostreistituzioni (sic!) di vedere che il popolo attribuisce tutto il danno alle assembleelegislative mentre il danno deriva unicamente da coloro che malamente ci governa-no. Il popolo italiano fu chiamato in una solenne circostanza a fare atto di sovranitàquando ebbe a pronunziare i suoi plebisciti. Da allora in poi non so che egli sia statoconsultato per compiere quegli atti di solenne sovranità perché la stessa legge elet-torale che abbiamo adesso è monca, e preclude il voto a una quantità infinita diturbe, mentre poi si parla di orizzonti democratici raggiunti”.

Non è privo d’interesse, specialmente dal nostro attuale punto di vista,soffermarci sulla letterale sequela di colpi di spillo con la quale alla riapertura della

17 Ancora il 19 giugno 1895 Imbriani avrebbe sostenuto la natura essenzialmente politica dell’indirizzo dirisposta al discorso della Corona.

18 Che tuttavia, avrebbe ricordato il Nostro già il 20 dicembre, era stata l’Italia a mettere, e non la Francia.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

Camera nel 1890 dopo le vacanze natalizie, proprio sul terreno squisitamente libe-rale dei diritti civili, armonicamente da lui prediletto accanto a quello delle più ge-lose prerogative parlamentari e statutarie. Imbriani perseguitasse il ministero e adpersonam Crispi nell’elaborazione di quella legislazione ordinaria a cui a buon di-ritto oggi si suol raccomandare il suo nome, a cominciare, il 5 febbraio, dall’ordina-mento del personale di pubblica sicurezza e del relativo regolamento, nel cui art. 40che autorizzava ad invitare a comparire “per necessità” il Nostro scorgeva il peri-colo di una prevenzione dilatata fino all’arbitrio.

“Per tutte le libertà quella individuale è la prima ed ha per unica garanzia l’au-torità giudiziaria” egli esordiva programmaticamente: e proseguiva: “Dovunque c’è ilgenerico c’è l’arbitrio. La libertà va interpretata largamente. Io non sono intollerantené restrittivo per nessuno. Una legge deve essere garanzia di libertà per tutti, comin-ciando dal prete e finendo a chi porta il berretto rosso. Ma il pericolo di questa leggesta appunto nella sanzione legale. So bene che l’opera di un ufficiale di pubblica sicu-rezza, quando fa un atto di conciliazione, è opera santa, ma quell’ufficiale per la suaopera non ha bisogno che di autorità morale… come quella che ha il rettore dell’uni-versità e il nostro presidente della Camera… Non concilierete due individui che nonsi vogliono conciliare se non li avrete convinti con la forza morale… Manette, sempremanette! Con un po’ meno di manette si regolerebbero le cose molto meglio e sicamminerebbe molto meglio… Ma voi con quest’articolo m’imponete! È dunquenella sanzione legale che io trovo la violazione della libertà”20.

La libertà come conquista incessante e diuturna, quindi, che in quantotale si concretizza, e formalizza nella legge, dall’individuo passandosi agevol-mente ai comuni quali raggruppamenti primordiali in grado di dialogare diret-tamente con lo Stato ed invece “soffocati dalla legge comunale e provinciale”che aveva mantenuto improvvidamente in vita le provincie (7 e 8 febbraio 1890),

19 Si noti che Imbriani, nonostante quest’apertura in apparenza schiettamente repubblicana, non avevamai sollevato il problema del giuramento al bene inseparabile del re e della patria, tanto cara invece, com’ènoto, a Cavallotti, e dal quale, il 5 febbraio 1890, il Nostro sembra peraltro prescindere nel commemorare dipropria iniziativa il Falleroni “che non esercitò il mandato di deputato ma ne fu rivestito”, il risultato irrecu-sabile della sovranità popolare, insomma, che trascende la mancata prestazione del giuramento e perciò ilmancato esercizio del mandato, come si era verificato, è ben noto, il 30 novembre 1882, con l’uscita spontaneadall’aula, nonostante la reiterata invocazione della forza, del neo eletto deputato di Macerata.

20 A questo punto Imbriani ricorda di essere andato più volte di persona e spontaneamente dal questore diNapoli “da gentiluomo a gentiluomo” senza che ciò gli restringesse la libertà, evocava a Zanardelli il “repri-mere non prevenire” del 1878, aveva un gustoso scambio di battute con Cripi che bofonchiava sull’eccesso dilibertà: “Ce la dà Lei la libertà o l’abbiamo conquistata noi? – L’abbiamo dalla legge – L’abbiamo conquistatanoi e perciò è diventata legge – È sancita dalla legge – Non è una largizione, è una conquista nostra” battutesulle quali, se avesse ancora frequentato la Camera, avrebbe avuto qualche cosa da dire, naturalmente, anchesotto il profilo terminologico, Silvio Spaventa, a non parlare del rigoroso ragionamento legalistico che avreb-be di lì a poco svolto Salandra quale relatore sull’autorizzazione a procedere contro Andrea Costa, e malgra-do che anche in quell’occasione Imbriani gli ricordasse che “è il Parlamento che fa le leggi”. Già il 22 febbraio1890, intanto, con una delle sue consuete alzate d’ingegno paradossali, il Nostro si era dichiarato favorevole aconcedere i pieni poteri al governo in materia di circoscrizione giudiziaria esclusivamente in caso di guerraall’Austria (sic!).

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un’evoluzione alla quale, per la verità, com’è noto, Crispi stava già pensandoper conto suo21.

Quando alle associazioni, quelle cattoliche di Napoli ed il comitato romanodella Trento e Trieste, sciolte entrambe nel corso dell’estate 1889, esse trovavano il22 febbraio successivo in Imbriani il promesso imparziale patrocinatore “perchéavrete sciolto un’associazione prima che da essa si facesse alcun atto e non l’avete,sciogliendola, deferita al potere giudiziario sotto un titolo di reato” dal momentoche “non si deve parlare di partiti sovversivi di piazza là dove è l’esercizio dellapubblica franchigia”: ed al presidente Biancheri, il quale prevedibilmente restringe-va tale esercizio nei limiti della legge, il Nostro replicava (“Noi prepariamo il terre-no per poter disfare le male leggi”) con un richiamo a quell’opinione pubblica qualeatmosfera formativa per elaborare la legislazione che già era stata al centro del suoesordio parlamentare.

E lo sarebbe stata ancor più e meglio nel viluppo inscindibile tra politicaestera e politica africana (“Io desidero sapere se vi sono ispirazioni straniere…”)allorché quest’ultima, il 5 marzo 1890, tornava all’ordine del giorno della Camera,Imbriani affiancandosi ad Achille Plebano nel denunziare le violenze e le repressio-ni dell’autorità militare, ma poi proseguendo su una via che abbiamo individuatocome particolarmente sua (“Ormai la coscienza nazionale è urtata da questa conti-nuazione di politica segreta nella quale i fatti nostri sono affidati ai segreti deglialtri… Ora, poiché questo è veramente lo spirito pubblico in un paese che vive diopinione pubblica – sic! – esso deve imporsi al governo quale che esso sia e deverichiamarlo alla giusta considerazione delle cose ed ai veri interessi del paese… Mipare davvero di essere tornato ai tempi di Augusto: allora nelle sue mani l’imperiodelle legioni, il tribunato della plebe, egli censore, egli pontefice massimo e quindi?quindi la servitù… Ma in questo modo io credo che ci avviciniamo di troppo a quelgoverno personale che sotto l’ombra di una difesa, di un’egida indiscutibile, finiràpoi per schiacciarci”).

Il ruere in servitium di tacitiana memoria ed il fantasma di Bismarck di cuinon poteva prevedersi l’imminente caduta sembravano così coniugarsi in un’allar-mante connubio su cui i tardi e precipitosi provvedimenti del ministro Miceli sulBanco di Napoli e su quello di Sicilia per eccesso illegale di circolazione gettavanol’ombra ulteriore del crack finanziario (“Siamo mezzo falliti! – gridava Imbriani –

21 Col presidente del Consiglio Imbriani aveva avuto un fatto personale tanto clamoroso quanto futileallorché, l’8 marzo 1890, lo aveva tacciato di gesuitismo quanto allo scioglimento del Consiglio comunale diTerni ed al divieto di commemorare Mazzini a Livorno, senza che Biancheri gli togliesse la parola. Costrettoalle dimissioni dalla vivacissima protesta di Crispi, il presidente della Camera era stato rieletto all’unanimità.Più consentanea invece a ciò che si dice subito dopo nel testo l’interrogazione del 15 marzo su un manifestoper Oberdan di cui la questura aveva proibito l’affissione senza che l’autorità giudiziaria lo incriminasse.Rimane a sé, invece, il 28 marzo, e nome di una democrazia radicale opportunamente contemperante l’ordinecon la libertà, l’opposizione all’ergastolo “perché non conforme allo scopo della pena”, mentre il 2 giugno1890, in un intervento che riprenderemo ad altro proposito, si compie un altro passo in direzione dei progettidi Crispi (“Se le provincie e le prefetture sono organismi fittizi ed inutili, le sottoprefetture sono addiritturaorganismi dannosi, che intralciano le amministrazioni con danno dell’erario”).

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Io veggo banche che falliscono da ogni parte, il credito sul vuoto, veggo che, se nonaveste permesso che le banche potessero emettere cinque volte più della loro riser-va, sarebbero già fallite anche la Banca Nazionale ed il Banco di Napoli!”) men-tre sullo sfondo, in un corpo a corpo significativo con Leopoldo Franchetti eRocco De Zerbi, si stagliavano polemicamente gli eroi di una nuova nazionali-tà, che sembrava far rinverdire la “famiglia di patrioti” tra le ambe abissine, ilnegus Giovanni “un nobile re che è morto combattendo nel suo paese: Auguroa tutti i re di morire in quel modo, l’auguro a me stesso”, ras Alula campioneanch’egli di una certa forma di patriottismo in quanto “sentimento che legal’uomo alla terra dove è nato”, gli abissini tutti come popolo e nazione, i quali“avevano anch’essi una civiltà loro e, quando si parla di assumere una missionedi civiltà, io rispondo che la civiltà non s’impone a cannonate, con le forche,con le bastonate”.

Matteo Renato Imbriani non prese parte distinta all’elaborazione del pattodi Roma, nel maggio 1890, quale programma del radicalismo democratico per leimminenti elezioni generali.

Egli si limitò a collaborare con Orazio Dogliotti ed Achille Majocchi allaparte militare, che del programma è quella meno personalmente ispirata da Cavallotti,il cui intervento si ravvisa potentemente in tutto il resto, e viceversa più disorganicaed anche più stancamente utopistica, dalla nazione armata alla riduzione della fer-ma con reclutamento regionale ed ordinamento territoriale quale avvio a quellaclassica soluzione del federalismo repubblicano, dalla consegna degli stabilimentimilitari all’iniziativa privata alla diminuzione nel ritmo delle costruzioni navali edalla sospensione delle opere di fortificazione.

Se peraltro questi provvedimenti militari rientrano di massima nella questio-ne finanziaria che, affrontata prestigiosamente da Vilfredo Pareto, rappresenta unadelle colonne portanti del documento, l’altra, attinente all’istanza liberale per il ri-spetto dei diritti pubblici e parlamentari, pur tipica della mentalità di Cavallotti,rispecchia temi e suggerimenti che abbiamo visto e vedremo peculiari d’Imbriani,revisione dell’art. 5 dello Statuto, garanzie al diritto d’interpellanza, convocazionedella Camera su richiesta di un decimo dei suoi membri in sessione straordinaria,abolizione del sequestro preventivo, dell’ammonizione e del domicilio coatto, ri-parazione degli errori giudiziari e così via di seguito.

Un tentativo di saggiare in Puglia la fecondità di questa tematica attraversouna commemorazione di Cairoli affidata a Bari a Bovio e ad Imbriani andò sostan-zialmente fallito: ma l’eccidio di Conselice, tre morti e venti feriti il 21 maggio189022 conferiva all’improvviso e drammaticamente una risonanza sociale naziona-le all’interpellanza tutta politica e liberale che Giovanni Bovio aveva presentato

22 Lo stesso giorno la Camera rifiutava di prendere in considerazione una vecchia proposta Crispi del1873, che Cavallotti aveva rispolverato con lunga e dettagliata relazione, e che rifletteva, stiamo per vederloancora, un argomento carissimo ad Imbriani (“Nessun deputato può, nel corso della legislatura, essere chia-mato a funzioni pubbliche retribuite con stipendi o indennità sul bilancio dello Stato”).

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intorno al comportamento della forza pubblica durante il congresso del patto diRoma, e che veniva in discussione il 26 maggio.

“Il popolo vi guarda senza speranza e voi gli restituite diffidenza” avevaconcluso Bovio col suo consueto linguaggio epigrafico, salvo presentare, dinanziall’intrattabile replica ministeriale, una mozione invitante il ministero a “rispetta-re le libertà garantite dallo Statuto” donde il compatto arroccamento della Destracon qualche interessante eccezione, Bonghi, Prinetti, Colombo, specialmente ilvecchio Desiderato Chiaves, il che suscitava sensazione, intorno al ministero me-desimo.

Imbriani, che il 10 maggio aveva puntualmente ripresentato la sua interpel-lanza dell’anno precedente sulle condizioni economiche della Puglia, incappando,come già con Salandra, nell’indignazione dei protezionisti e degli agrari, questa voltaNiccolò Melodia, il grosso notabile di Altamura23, Imbriani, dicevamo, rivolgevapertanto una particolare lode a Chiaves per il rapporto contraddittorio da lui postotra la Corona statutaria ed i “poteri dittatoriali” del presidente del Consiglio e,proseguendo il proprio intervento del 28 maggio, il giorno prima dell’interruzioneelogiativa a Chiaves, dopo aver ironizzato sui “matrimoni di vecchi sdentati e bavosi”che seducevano Crispi con i loro “nuovi abbracciamenti” (il ralliement autoritarioe repressivo della Destra) veniva a stringere il cuore del problema, sviluppando ilconcetto di Bovio in forme che facevano ripensare al ruolo che Agostino Bertaniaveva conferito all’estrema nei confronti di Cairoli e Zanardelli ai tempi de L’Italiaaspetta.

“Noi formiamo ora – precisava infatti il Nostro – un corpo di opposizioneche spinge innanzi i ritrosi, che rivela le piaghe esistenti, che cerca di medicarle eche non aspira a nulla per sé. È in ciò la nostra forza perché il giorno in cui qualcheaspirante al potere si trova poi impotente in mezzo a quell’ingranaggio che stritolatutto, deve ritornare a ritemprarsi qui per acquistare nuove forze, nuove energie24…La nostra forza è nel pensiero ed è contro questo pensiero che si viene a muovereguerra… Vi spaventa il pensiero?… Ma se il pensiero è vero, se è giusto, vincerà, vischiaccerà e passerà sopra di voi. Se il pensiero non è giusto, se è inetto, cadrà, eallora a che paventarlo tanto?”, il liberalismo agonistico, insomma, la libera gara,significativamente affermata e quasi dovuta gridare da Imbriani tra i rumori cre-scenti della Camera.

Ma perché questa gara potesse dispiegarsi fisiologicamente, senza ostacoli,occorreva preventivamente salvaguardarne i presupposti, l’incompatibilità tra uffi-

23 “La gran massa dei miei concittadini – prorompeva Melodia – non ama di vedersi esposta al ludibriogenerale, quasi novello Lazzaro, dinanzi alla Camera ed al paese!”, un infortunio evangelico, quello del gransignore del palazzo neoclassico prospettante la cattedrale di Altamura, attesa la ben diversa sorte di Lazzaro edell’epulone nella parabola di san Luca!

24 Il riferimento è a Fortis, che in effetti dopo qualche giorno si sarebbe dimesso da sottosegretario all’In-terno ma senza affatto ritornare nell’estrema tout court, evolvendo anzi verso il radicalismo legalitario, dovelo avrebbe incontrato Giolitti.

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ci amministrativi e politici “che deve essere il sostrato di ogni ordinamento libe-ro” e che anche Cavallotti aveva inserito fra i capisaldi del patto di Roma (2 giu-gno 1890), la sottrazione degli affari della guerra25 ai militari di carriera col sotto-porre il capo di stato maggiore in quanto capo dell’esercito responsabile erevocabile dinanzi al ministro borghese investito dall’esclusiva responsabilitàpolitica (14 e 16 giugno 1890), una sorta di “privatismo onesto” in grado di re-spingere l’intervento falsamente promozionale dello Stato e del suo socialismoconcretamente burocratico (20 e 22 giugno 1890 a proposito dell’istituzione diuno specifico Credito Fondiario: “Il vostro nuovo istituto non servirà che allaspeculazione edilizia. Vi siete gettati a corpo perduto in questa speculazione epare che non ne vogliate uscire per quante dure lezioni andiate ricevendo. Persalvare questa speculazione avete consentito che la Banca Nazionale eccedessenella circolazione di 50 milioni”).

L’inevitabile inquadramento internazionale mazzinianamente auspicante unarinnovata coalizione latino-germanica contro il panslavismo purché al suo inter-no non si affermasse a sua volta il pangermanesimo e purché alla Russia come talesi affidasse una missione provvisoria di civiltà atta a frantumare l’artificiositàplurinazionale di Vienna e di Costantinopoli (16 giugno 1890) e, in politica inter-na, l’utopia altrettanto inevitabile26 dell’imposta unica progressiva, facevano dacorollari a questo primo tentativo d’applicazione del patto di Roma nei suoi prin-cipali postulati programmatici in vista delle elezioni generali, scadenza a cui face-vano da battistrada da un lato, il 27 luglio, le amministrative di Napoli, che Imbrianivinceva con un buon paio di migliaia di voti di maggioranza sulla coalizioneministeriale e nicoterina del Casale e del Napodano, salvo personalmente subitodimettersi da consigliere in ossequio all’incompatibilità più volte rivendicata, dal-l’altro, il 10 agosto, la combattutissima sconfitta, al primo collegio di Roma, delgiornalista ed esule triestino Salvatore Barzilai contro il conte Antonelli, candi-dato ministeriale e collaboratore notissimo di Crispi in campo coloniale, nono-stante la relativa imponente mobilitazione di tutta la democrazia radicale, culmi-nata al Quirino con un comizio d’Imbriani e Cavallotti sotto la presidenza diEttore Ferrari27.

25 In questo contesto Imbriani riprende i punti da lui fatti inserire nel patto di Roma, la diminuzione dellaferma in vista dell’istituzione di un tiro a segno democratico e di una guardia nazionale per l’ordine pubblicoorganizzata su base comunale come strutture in grado di “preparare in pochi mesi un ottimo soldato” madeplora altresì l’arbitrio della commissione suprema di avanzamento, propone la soppressione dei tribunalimilitari che moltiplicano i casi di recidiva e di “aspra reclusione”, stigmatizza la dipendenza dei carabinieri adun tempo dai ministri della Guerra e dell’Interno ed il loro comportamento spesso insubordinato, crudele efazioso, un rifiuto del mito su cui ci sarebbe molto da riflettere e non solo quanto ai tempi del Nostro.

26 Non a caso l’auspicio ne sarebbe tornato il 16 dicembre 1891 in riferimento ai titoli pubblici al portato-re, non più che assaggi su un terreno al quale Imbriani, e comprensibilmente, è di massima estraneo.

27 Andrebbero approfonditi in merito i rapporti tra il Nostro e “La Capitale”, il nuovo ed assai ben fattogiornale che si affiancava assai più autorevolmente al popolaresco “Messaggero” come portavoce del radicalismodemocratico a Roma.

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Il Nostro si tenne assai riservato, pur aderendo sostanzialmente a Cavallotti28

nella polemica cosiddetta dell’oro francese che contrappose quest’ultimo a Bovioed a tutta la stampa ministeriale, su iniziativa di Enrico Cernuschi, alla vigilia delleelezioni del novembre 1890, e sulla quale non abbiamo qui modo d’intrattenerci:ma è molto significativo notare che la sua candidatura fu la sola in grado di contra-stare su piano nazionale quella di Francesco Crispi eletto in quattro collegi concirca 28 mila voti complessivi rispetto ai 20 mila d’Imbriani, secondo eletto a Baridietro Bovio e davanti a Pietro Pansini e Stefano Jannuzzi nell’integrale caratteriz-zazione più o meno autenticamente radicale di quella deputazione, ma con 2317voti a Porto Maurizio dinanzi ai 12 mila del Biancheri presidente della Camera (laveneranda democrazia di Oneglia, che da Filippo Buonarroti sarebbe andata a fini-re a Giacinto Menotti Serrati, non si smentiva!), 3363 voti a Belluno rispetto ai 5747del primo eletto, il moderato Pascolato (e quindi non si può trattare soltantod’irredentismo o di populismo generico!), 2515 a San Severo contro i 4483 delcapolista Nicola Tondi, appena 475, invece, a Patti, nella Sicilia che è stata la sola, sinoti, a determinare il plebiscito crispino con i risultati di Palermo, Messina, Modicae Girgenti.

I radicali, con 364 mila voti ma soltanto una sessantina di deputati rispetto aiquattrocento con 643 mila voti (gli scherzi dell’uninominale, ancorché corretti dal-lo scrutinio di lista!) della maggioranza ministeriale, avevano perso le elezioni: mala correttezza della loro impostazione finanziaria, protagonista del patto di Roma,sembrava vistosamente confermata così dalle dimissioni, l’8 dicembre, del Giolittidal dicastero del Tesoro e dall’interim delle Finanze, come dall’accenno al “riordi-namento dei tributi” che aveva fatto spicco nel discorso della Corona quarantott’orepiù tardi e rifletteva le vedute del nuovo titolare di via Venti Settembre, BernardinoGrimaldi.

Imbriani, che il 12 aveva commemorato Alfredo Baccarini prevedibilmentelodandolo per aver abbandonato con tanta indipendenza di giudizio il potere nelmaggio 1883 alla consacrazione parlamentare del trasformismo, affrontava il 17 di-cembre la discussione sull’indirizzo di risposta non sul piano finanziario, che avrebbefatto oggetto di una sua specifica interpellanza, bensì su quello della promessa am-nistia e soprattutto della commentatissima ingerenza elettorale del clero in sensoastensionista, che aveva fatto parlare persino di abolizione delle quarentigie, ed aproposito della quale Attilio Brunialti si affiancava al Nostro nello schermeggiarecol guardasigilli Zanardelli.

L’amnistia, quanto ad essa, e nonostante i clamorosi precedenti che avevanocaratterizzato la precedente legislatura, andava sdrammatizzata e ricondotta nellesue proporzioni (“La riparazione di un’ingiustizia è cosa lodevole, ma il sollevarla

28 Attraverso un trafiletto appunto su “La Capitale” 16 novembre 1890 che, dopo aver riportato il fonda-mentale scambio di lettere iniziali tra Cernuschi e Cavallotti, così concludeva: “Noi vi diciamo apertamenteed altamente di dove questi mezzi ci vegnono: sono fonti palesi: fate voi altrettanto, diteci altrettanto voi se losapete. È una sfida che vi lanciamo in viso!”.

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ad un grande avvenimento politico e sociale parmi che sia voler dare importanzaalle piccole cose, e che sia uno dei sintomi più brutti del tempo”).

Ben altra cosa l’atteggiamento del clero, in merito a cui, pur partecipando deldiffuso abbaglio quanto al “lacido tramonto” della Chiesa in quanto tale, Imbrianiha modo d’illustrare nel modo più efficace il suo larghissimo liberalismo.

“Il papato è ridotto ad un’ombra – egli esordisce – ed il combatterlo ad ogniistante può essere un mezzo di governo ma non corrisponde alla realtà delle cose.Poiché se questo papato ha la sua forza, che non è certo materiale ma tutta morale,l’ha delle coscienze. Ora questa forza non si combatte che col pensiero, con l’istru-zione, con l’educazione, e certo non con l’imporre freno alla libertà delle manife-stazioni altrui… Se questa teocrazia il presidente del Consiglio vuol davvero com-battere, perché non propone l’abolizione della legge delle guarentigie? Questa leg-ge è una enormità nel nostro diritto pubblico perché costituisce non in nome dellasovranità nazionale, perché uno di questi sovrani non ha avuto nessun voto di po-polo e non può averlo”29.

Quanto alla questione finanziaria, che veniva in discussione il 19 dicembre189030 essa dava modo ad Imbriani tanto di apprezzare la correttezza politica per-sonale del dimissionario Giolitti (“Ha manifestato un’accortezza grande. Egli, chedeve meglio di ogni altro conoscere le condizioni della finanza e del testoro, e chene vedeva tutte le difficoltà, alla prima occasione, ha piantato il ministero senzamancare al suo programma di economie, sul quale anzi egli insisteva, ed ha detto:venga altri a questo posto e vedremo che cosa ne saprà cavar fuori. Questa condottaè correttissima e non merita che elogio. Dirò anzi che è caduto bene, in piedi”)quanto d’inquadrare l’episodio in ambito assai più vasto, dove ancora una voltal’opinione pubblica regina del parlamentarismo liberale l’avrebbe fatta da ispiratricee padrona.

“Quando il Parlamento dà un voto di fiducia – spiegava preliminarmente ilNostro con un’importante chiarificazione di costume e di prassi – non lo dà al

29 Naturalmente Crispi, riprendendo quel che fin dal 1871 aveva sostenuto insieme con Mancini senzatroppa fortuna, rivendicava tanto con Brunialti quanto con Imbriani la “sovranità unica” vigente in Italia. Lasua antica prospettiva di un diritto comune valido per tutti sarebbe stata del resto ripresa congenialmente dalNostro in un intervento 29 novembre 1895 che ricorderemo ad altro proposito (“Se non vi fosse più leggedelle guarentigie, essendoci il diritto comune per tutti, come noi vogliamo la libertà per tutti, ci troveremmoin ben altra condizione di cose, in ben altro ambiente e ben più respirabile”).

30 Imbriani aveva concluso il precedente intervento con un insolito excursus sul Senato elettivo, che pren-deva spunto dalla recente infornata di ben ottantotto padri coscritti (ma il 9 marzo 1891 avrebbe deploratoche non ne avesse fatto parte Angelo Camillo De Meis, la cui commemorazione ex abrupto costituisce un’al-tra fra le infinite spie della sensibilità tutta risorgimentale, anche nel versante culturale del termine, del No-stro). Tipica è anche la sua deplorazione che nel discorso della Corona si fosse parlato di “leggi intese albenessere degli operai” come, nel gusto post bismarckiano e dell’imminente Rerum novarum, “compito prin-cipale della prossima sessione legislativa”, senza far cenno di contadini e piccoli proprietari, non cogliendocome precisamente verso questi ultimi le recenti elezioni avessero spostato il baricentro della democraziaradicale col passaggio della leadership al suo interno da Milano all’Emilia ed al Polesine, prodromo dell’orga-nizzazione socialista del successivo decennio, un protagonismo delle campagne che col nuovo secolo (maImbriani non l’avrebbe visto) si sarebbe esteso alla Puglia.

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capo del governo ma a tutto il gabinetto, anzi molti danno quel voto di fiduciaappunto perché vi sono membri del gabinetto che per essi sono elementi di garan-zia”.

La destinazione a metà settembre 1890 di Federico Seismit Doda dalle Fi-nanze, che offre spunto formale all’interpellanza Imbriani, ha alterato il concettoappena espresso, non è stata né preceduta né ratificata da un consiglio dei mini-stri, i quali ultimi si sono acconciati a farsi semplicemente informare dal presi-dente Crispi.

Certo, Imbriani non esita ad incedere per ignes, è il re che nomina e revoca iministri a norma della lettera statutaria, ma “il regime parlamentare si fonda sulletradizioni e consuetudine e non sulla potestà regia che si vorrebbe con un nuovometodo rafforzare in nuova guisa creando nuovi pericoli”.

È l’ombra della monarchia costituzionale, insomma, che viene oggi ad inte-grare la minaccia prussiana, dopo quella del cancellierato e dei suoi poteri che unuomo del Quarantotto come Chiaves ha definito dittatoriali: e ad esse, l’abbiamodetto, il Nostro contrappone l’opinione pubblica “la quale regna sovrana, e devedettare consuetudini, usi, metodi, nell’applicazione delle norme costituzionali…Quando la rappresentanza nazionale indica alla Corona in qual parte essa debba(sic!) scegliere i suoi ministri, la Corona li sceglie e non può (sic!) mutare quei mini-stri se non riceve dalla Camera l’indicazione dei nuovi. E se li muta essi devono(sic!) immediatamente presentarsi alla Camera per ricevere la sanatoria o nuova in-dicazione, per vedere se il mutamento corrisponda o no all’indirizzo politico dellaCamera stessa… I ministri sono nella condizione di poter fare il male, quindi èdovere, è obbligo della rappresentanza nazionale d’impedir loro di far questo male…poiché essi rappresentano il fatto, e contro il fatto non c’è che l’idea, il diritto chederiva dall’idea, che possa frenarli”.

È dunque su un complesso retroterra culturale e politico, il diritto consuetu-dinario a cui lo Statuto fa esclusivamente da garanzia negativa, l’interpretazioneriduttiva della sfera in cui può esercitarsi la responsabilità ministeriale, essendo essasostanzialmente fine a se stessa nell’estrinsercazione del potere e perciò da sotto-porsi ad incessante vigilanza parlamentare alla luce di postulati e presupposti benpiù elevati, è su questo retroterra che Imbriani può concludere vaticinando, comein effetti sarebbe accaduto poco più di un mese più tardi, che “il ministero cadràcertamente sulla questione economica”, più o meno questa si collegasse alla “pocodignitosa politica estera”, in subordine, dunque, quest’ultima, in subordinel’irredentismo, anche agli occhi del Nostro, nonostante le suggestioni che le Alpiancora “povere di fatti” il “rotto mal onesto” confine orientale del discorso diSolimbergo e del banchetto di Udine, che erano costate il posto a Seismit Doda,potevano esercitare su di lui.

Ed egli era al suo posto nella memorabile e decisiva giornata delle “santememorie”, il 31 gennaio 1891, ma le sue parole, tutt’altro che all’oleografia risorgi-mentale alla Luzzatti o alla Finali, s’ispirano ancora una volta sobriamente al prin-cipio delle responsabilità collegiale del gabinetto, che appariva ancora una volta

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violato, a danno di Giolitti, tanto dalla prevaricazione di Crispi quanto dall’acquie-scenza di Grimaldi (“Parmi brutta abitudine biasimare gli atti di qualche ministroche faceva parte del gabinetto mentre i ministri rimasti tacciono e col loro silenzioquasi approvano le parole degli oratori. A me pare che ciò costituisca un predecentedei peggiori in un’assemblea politica perché conduce a qualche cosa di molto brut-to, al decadimento del parlamentarismo”).

Antonio Di Rudinì era il nuovo presidente del Consiglio ed a lui, che avevamantenuto per sé il portafoglio degli Esteri, Imbriani rivolgeva alla presentazionedel ministero, il 14 febbraio, una richiesta che non solo, rispetto all’opposizioneintransigente diffusa nelle fila radicali, rifletteva le aperture collaborazionistiche diCavallotti, fiducioso in chiave francofila nel ritorno di Nicotera a palazzo Braschi,ma le richiamava severamente nell’orbita parlamentare di modifica dello Statuto dacui il Nostro, e con lui “La Capitale”, non intendevano decampare (“Io almenoavrei voluto l’assicurazione che nessun patto sarà rinnovato, nessun nuovoconchiuso, senza che prima sia chiesta l’approvazione della rappresentanza nazio-nale”).

Non è meraviglia pertanto che il 17 marzo egli aderisse alla mozione Bonghiper la preventiva approvazione parlamentare alla proclamazione di eventuali pro-tettorati in Africa, una tematica che aveva avuto lungamente a protagonista France-sco Crispi, ora tornato da deputato a far da can da guardia ai diritti di libertà, comeImbriani avrebbe schiettamente riconosciuto allora ed in seguito31 ora, ad esempio,sulla base di sue dichiarazioni della primavera 1885 secondo la quale la questioneafricana era vulnerata alle origini per avere il governo proclamato lo stato di guerrae compromesso il bilancio senza quell’approvazione del Parlamento che sarebbestata indispensabile, quanto alla fornitura dei mezzi finanziari, anche per l’inter-vento della Corona32.

Giovanni Nicotera proponeva nel frattempo l’abolizione dello scrutinio dilista ed il ritorno all’uninominale: ed Imbriani, che si sarebbe astenuto al pari diBovio rispetto al voto favorevole di Cavallotti, pur ammettendo che lo scrutinio dilista non fosse altro che un pasticcio cucinato a quattr’occhi fra i notabili del consi-glio provinciale (e qui l’esempio di Casera) inquadrava anche il il 22 aprile 1891l’argomento in un’ampia problematica di base nazionale, avente a proprio fonda-mento, ancora una volta, il suffragio universale dei plebisciti.

31 Il 7 dicembre 1891 gli avrebbe augurato addirittura, a questo scopo, di rimanere a lungo fuori dal potere“con la parola, con l’opera e con l’esempio”.

32 In quella medesima seduta del 17 marzo 1891, a proposito d’incidenti verificatisi a Livorno, Imbriani sisoffermava sulla “inciviltà del diritto individuale vendicato sul momento”, il farsi giustizia da sé, in altreparole, prodromo del linciaggio per il quale si fa espressamente il nome di New Orléans e dell’eccidio in cuierano rimasti coinvolti gli emigrati italiani, donde il richiamo del ministro a Washington, e che tuttavia il 7dicembre successivo Imbriani, rispetto agli orrori dell’Africa, con ottocento indigeni seviziati ed uccisi, avrebbedefinito, quale risultato dell’impeto anziché della perversione, “come la luce lunare rispetto ai raggi ardentidel sole”.

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Raffaele Colapietra

“Si tratta – egli affermava – di una riforma di cui credo che neppure la Came-ra sola si potrebbe occupare. Si tratta infatti di una di quelle leggi per le quali abbi-sognerebbe il referendum, perché si tratta di mutare il metodo con cui il popoloesercita la sua sovranità… Il collegio nazionale sarebbe il più logico, il più naturale,quello che darebbe maggiore autorità ad un Parlamento”.

Posta peraltro l’impossibilità pratica di una soluzione del genere, il Nostrosuggerisce un’alternativa forse al nostro sguardo attuale ancor più stimolante (“For-mate un nuovo ente organico nel quale siano rappresentate diverse frazioni di pro-vincie e così il collegio uninominale perderà il carattere di feudo”).

Inventare qualche cosa di nuovo che apra la strada al riordinamento am-ministrativo, dunque, una volta che la riforma Crispi è caduta con lui: ma noncerto attraverso la commissione vagheggiata da Nicotera, zeppa di senatori efunzionari (“Questa è essenzialmente una prerogativa della Camera e non cela lasceremo togliere. Noi non vogliamo che la futura rappresentanza nazio-nale sorga dalla volontà del potere esecutivo qualunque esso sia”): e perciò ilsuffragio universale maschile a tutti i ventunenni in grando di firmare all’attodel voto onde evitare quello dei morti e degli assenti e, un primo passo versocoloro che saranno gli evoluti e coscienti della predicazione e della propagan-da socialista33.

C’erano, l’abbiamo accennato in nota, ad emozionare e commuovere l’opi-nione pubblica, le rivelazioni sui massacri africani, protagonisti il tenente Livraghi,che avrebbe dato vita ad un neologismo tanto breve quanto diffuso, ed EteocleCagnassi: ma a fine aprile 1891 Imbriani avrebbe provocato addirittura la sospen-sione della seduta per la sua insistenza nel volerne sapere di più: e la proposta suae di Bovio per il ritiro a Massaua sotto la protezione della flotta o quanto menoper la commercializzazione della colonia eritrea non avrebbe incontrato migliorfortuna.

Si tornava perciò ai corollari ed agli strascichi dell’ormai ratificata riformaelettorale: e qui il Nostro, il 20 maggio, nel ribadire l’ufficio del deputato comeindirizzato essenzialmente “al sindacato assiduo, all’esame, alla critica dell’operadel potere esecutivo, al ricondurre il governo alle rette norme costituzionali, piùche al far leggi, che ordinariamente non sono buone” avanzava inattesamente unasorta di proposta di limitazione della proprietà fondiaria, un decimo a coltura in-tensiva, i nove decimi espropriati con indennizzo dallo Stato e distribuiti ai conta-dini con cedole trentennali di riscatto34 il tutto allo scopo di evitare che, col ritorno

33 Il 10 aprile 1897 Imbriani avrebbe parlato di un voto “di principio” anche agli analfabeti di 20 annipurché in grado di firmare all’atto del voto, il solito spauracchio delle intimidazioni e dei brogli.

34 È così esasperato in forma paradossale quello che sappiamo esser un caposaldo del Nostro, il Parlamen-to come controllo dialettico dell’esecutivo più che come vero e proprio potere legislativo formalisticamenteinteso e fine a sé stesso: e, quanto alla proposta di riforma fondiaria, essa sarebbe stata reiterata in più ampiocontesto il 21 marzo 1892.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

all’uninominale, “tanti che popolavano questa camera… siano i deputati del lorocollegio perché ne sono i proprietari”35.

Il rinnovo anticipato della Triplice, l’inaugurazione del monumento aGaribaldi a Nizza, i grandi scioperi metallurgici a Milano, l’assoluzione di AmilcareCipriani e degli altri principali implicati nella prima celebrazione pubblica dellafesta del lavoro, il 1° maggio 1891, a Roma, a S. Croce in Gerusalemme, con i rela-tivi violentissimi incidenti che avevano fatto da contorno, tutto ciò assestava inaccettabile equilibrio la situazione internazionale ma riproponeva in primissimopiano la questione sociale, non senza un’indiretta influenza della Rerum novarum,che induceva a collegare quella ecclesiastica nella drastica alternativa tra l’abolizio-ne delle guarentigie, sollecitata dall’estrema, e la loro qualificazione di “statutarieed immutabili” pronunziata da Di Rudinì alla Scala l’8 novembre.

Nel grande dibattito parlamentare che seguiva, e che si accentrava intorno aduna ormai inesorabile ed improcrastinabile ricomposizione delle parti politiche,Imbriani, che interveniva il 7 dicembre alla vigilia del voto, pur non potendo esclu-dere da questo processo il Crispi di cui anzi tesseva l’apologia liberale a cui si èaccennato in nota, si preoccupava di tornare ai plebisciti come unica e sola fonte dilegittimazione della sua monarchia democratica, evidentemente sottovalutandone,o ignorandone addirittura, i pericoli bonapartisti, ma soprattutto sottraendo al Par-lamento ogni possibilità costituente e circoscrivendone l’attività, come si è già vi-sto, ed una volta per sempre, al controllo dell’esecutivo.

“Io credo – spiegava infatti il Nostro – che via sia un gran pericolo nel toccaree nell’innovare il patto fondamentale dei poteri come sono costituiti. Credo che perfa ciò sia d’uopo d’un potere costituente. Oggi forse si potrà rinnovare in meglio loStatuto ma domani un Parlamento compiacente con le sue palline nere ci farà tornareindietro di molto… Sul terreno dei plebisciti io sono così forte che non me ne rimuo-verò mai, e questo è proprio il terreno della legalità, il fondamento del nostro dirittopubblico. Ché, se ne vogliono uscire i ministri o altri, peggio per loro: i Parlamentistessi che ne volessero uscire farebbero cessare la loro ragion d’essere36.

35 In stretta attinenza con la polemica contro il ritorno all’uninominale, il regionalismo come tutelacorporativa di interessi locali ed il municipalismo quale negazione del partito politico, una articolazione dia-lettica possibile all’interno dell’unità, emergono come bersagli polemici nell’intervento del 13 giugno 1891contro le associazioni regionali ormai pullulanti nella capitale ed altrove, una preoccupazione unitaria cheinduceva Imbriani, pur mantenendo ferma l’istanza per la riduzione della ferma a 18 mezi ed auspicando anzil’abolizione della pena di morte nell’esercito in tempo di pace, ad avanzare qualche riserva sull’ordinamentoterritoriale pur propugnato, come si è visto, nel patto di Roma. Non a caso, del resto, il 9 luglio 1896, ilNostro si sarebbe dichiarato contrario al commissario civile in Sicilia e pertinacemente fedele al comune“quale elemento naturale, logico, fortemente organico dello Stato”: e l’unitarismo intransigente non rifuggi-va, ove del caso, e sulla traccia, del resto del mai rinnegato Garibaldi, di rivestirsi di panni monarchici se è veroche, in occasione del volgare sfregio inferto il 2 ottobre 1891 dai pellegrini clericali francesi nel Pantheon allatomba di Vittorio Emanuele, Imbriani non esitava a definire quest’ultimo, del resto in perfetta coerenza colpassato, “il più grande protagonista del risorgimento italiano”.

36 La temperie laicista di quei giorni è peraltro così accentuata che lo stesso Imbriani conclude con unaccenno, rarissimo nel suo conformismo di costume (la difesa del duello!) al matrimonio “come atto giuridicoe sociale”: e pochi giorno dopo, il 14 dicembre 1891, avrebbe chiesto al ministro Pelloux, che aveva parlato diconcubinati, la legalizzazione dei matrimoni contratti dagli ufficiali senza permesso col solo rito religiosopurché l’integrassero con l’atto civile, anche facendo a meno della dote prescritta per la sposa.

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Raffaele Colapietra

La Costituente torna dunque a riemergere come il filo rosso, la grande in-compiuta del Risorgimento; ma per il momento c’è l’ergastolo chiesto per Livraghia Massaua, ci sono le testimonianze dei generali Orero e Fecia di Cossato sui mottidi spirito dell’insospettabile e prestigioso Antonio Baldissera intorno alla “sop-pressione tranquilla” degli indigeni.

Imbriani ne chiede l’arresto come omicida per mandato, o quanto meno lamessa in stato d’accusa presso il magistrato ordinario, Crispi e Zanardelli, al potereall’epoca dei fatti contestati, convengono con lui, l’11 dicembre 1891, quandoLivraghi è stato già assolto da parecchi giorni perché Baldissera ha ammesso tran-quillamente le proprie responsabilità nell’aver fatto torturare, bastonare e morire difame, denunzia l’eccesso di potere come un reato per definizione, ma prosegue an-che amaramente, dinanzi alla Camera che, con 246 voti contro 95, gli darà torto:“Io veggo dietro queste confessioni qualche cosa di brutto, veggo l’impunità assi-curata… Anche in guerra c’è un limite nei poteri, c’è un diritto pubblico fra lenazioni civili che certamente non è abolito solo perché ci troviamo in mezzo aibarbari, per rispetto di noi stessi, per rispetto della civiltà”.

La Costituente conduce naturaliter alla repubblica e non è meraviglia cheImbriani si discosti ora per la prima volta dal suo tenace agosticismo, in polemicaneppure velata con Cavallotti, il cui possibilismo ministeriale oltranzista lo ha ri-dotto persino a coprire Baldissera, con l’aderire al convegno romano del 13 marzo1892 in cui avrebbe esordito il giovanissimo Arturo Labriola e la repubblica sareb-be stata definita “il mezzo necessario a raggiungere l’eguaglianza e la giustizia so-ciale per il bene dell’umanità”.

Ma nel frattempo la civiltà si può e si deve difendere nelle sue innumerevoliprosaiche esigenze quotidiane, si veda come il Nostro prenda spunto da un argo-mento di più che ordinaria amministrazione, gli atti giudiziari ed i servizi di cancel-leria, per elevarsi a considerazioni di ordine generale che involgono larga parte del-la dislocazione del cittadino nel seno della società.

“La giustizia non è materia tecnica – egli osserva il 19 febbraio 1892 – è undiritto di natura, una funzione dello Stato, se volete scendere più giù, una questionedi ordine pubblico. Ora tassare, mercanteggiare questa giustizia, porla sul listinodella vostra borsa, è qualche cosa che urta il sentimento morale. La giustizia do-vrebbe essere gratuita in tutto e per tutto… Ma voi avete fatto uno dei cespiti piùforti delle vostre entrate di questa giustizia che avete avvilito in ogni modo… Voisubordinate il sentimento di giustizia al desiderio di aiutare il governo nel qualeavete fiducia. Ma se questo sentimento di benevolenza e di giustizia è davvero nel-l’animo vostro, perché non proponete una legge per dare indennità agli imputatiassolti? Questa legge deve essere il substrato di ogni ragione giuridica e politica inuno Stato libero. E se voi non la proponete la proporremo noi… Il delinquente nonè, per lo più, che uno sventurato”.

Questo Stato libero e moderno “deve fortificare l’individuo perché deve es-sere il risultato della volontà di tutti i singoli” precisa Imbriani l’8 marzo nell’op-porsi all’aumento della tassa di successione proposto da Luigi Ferrari in quanto

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

immobilizzante ed isterilente la piccola proprietà, questa struttura portante dellasocietà in difesa della quale il Nostro si dichiara conservatore tra gli applausi dellaDestra e del centro, lieto della diminuzione delle entrate del lotto “perché forseindica un progresso nella moralità pubblica” (e qui sembra di leggere Giustino For-tunato) ma attento a citare dagli studi sociologici di Angelo Mosso il dato impres-sionante secondo il quale in provincia di Caltanissetta solo il 9% dei coscritti è attoal servizio militare37.

“Se la miseria è per se stessa un danno – commenta Imbriani il 21 marzo 1892– le conseguenze della miseria sono danni indefiniti”: e perciò, mettendo da parte loStato “che divora tutto”, il dazio interno sui cereali va abolito, la proprietà fondiaria,l’abbiamo visto, limitava e così pure, al terzo grado, il diritto di successione, suben-trando altrimenti il comune, che il Nostro vede sempre dinamicamente al centrodell’auspicato rinnovamento, anche sotto il proficlo economico e sociale.

Questo rinnovamento è messo in forse dalla crisi di politica finanziaria chetravaglia il governo e che induce Di Rudinì a sostituire Colombo con Luzzatti ed apresentarsi il 4 maggio alla Camera con la richiesta di pieni poteri in merito per dueanni, regia dei fiammiferi, diminuzione delle pensioni, 15 milioni di economie perriforme organiche (ma non in campo militare, con la riduzione ad otto, richiesta daColombo, dei corpi d’armata, che invece da dieci erano stati portati a dodici, e conla riduzione delle spese navali), aumento della tassa di successione.

Nulla di più contrario, quindi, agli auspici di Imbriani, che non esitava adargomentare la propria opposizione sul porro unum delle economie militari (“Fin-ché voi spenderete in armamenti continui, finché non vi sentirete il coraggio diridurre l’esercito alle semplici forze che occorrono per la difesa nazionale… nonisperate assolutamente nulla di bene per la ricostruzione dell’economia naziona-le”).

Ma la politica militare in quanto tale, e la crisi nel suo complesso, presentava-no nella circostanza un risvolto squisitamente costituzionale che il Nostro non silasciava sfuggire, l’intervento pesante e determinante della Corte attraverso il Rattazziministro della Real Casa ed il Cosenz capo dello Stato Maggiore generale, cheImbriani non manca di nominare e denunziare a tutte lettere, senza riguardi per ilsuo antico generale garibaldino, e delineando anzi la prassi che il Di Rudinì avrebbedovuto correttamente seguire invece di offrire, come aveva fatto, per vedersele ac-cettate con nuovo incarico e l’accennata sostituzione, le dimissioni dell’intero gabi-

37 Le economie militari, porro unum della Destra Lombarda più ancora che della democrazia radicale (“Laquestione militare in Italia va guardata unicamente dal lato difensivo” 26 febbraio 1892) non esimevano Imbrianidall’aggiungere polemicamente: “Per acquistare il nostro territorio anch’io ci sto, naturalmente. Ci fermere-mo alle Alpi Giulie, non abbiamo bisogno di andare più in là, dove non ci sono interessi nostri” salvo, s’inten-de, l’Adriatico che è “nostro esclusivamente nostro, e nessun altro interesse vi deve penetrare al di fuoridell’interesse italiano” come Imbriani avrebbe ribadito ancora il 29 giugno 1896, concedendo che “il Mediter-raneo lo potremo avere comune con la Francia”. Ancora il clima, diremmo, di Fortunato si respira invece il 21marzo 1892 nella lugubre descrizione della concentrazione a Crotone delle bare dei cantonieri della litoraneajonica uccisi dalla malaria.

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netto, e cioè o formazione, con uomini già pronti e disponibili, di tutta una nuovacompagnia o rinunzia all’incarico e convocazione della Camera.

Che ci fosse un grosso retroscena (“Questo parla perché è comandato daRattazzi!” era l’esclamazione assai rude del Nostro) veniva confermato indiretta-mente dall’improvvisa e violenta critica di Giolitti, prodromo comunque della sfi-ducia votata al ministero della Camera e della nomina che, con procedura del tuttoinsolita, Umberto avrebbe conferito precisamente all’ex ministro del Tesoro.

“Ho dovuto temere di assistere ad un infanticidio” era l’arguto commentod’Imbriani, il 25 maggio 1892, al ritorno del gabinetto dal Senato nell’aula diMontecitorio, dove le dichiarazioni di Giolitti erano state accolte col più profondosilenzio.

Ma non si trattava soltanto di arguzie, rese magari straziate dal parallelodel “ministro minore”, preso addirittura, ancorché indirettamente, per“ciabattino” rispetto al conte di Cavour, e fino ad un certo punto comprensibilinell’uomo del Risorgimento che non poteva che venerare Crispi ed ignorareGiolitti.

Imbriani diceva anche qualche cosa di costituzionalmente molto più se-rio, rimproverava a Giolitti di aver accettato di discutere un’interpellanza alSenato, quella assai significativa Guarneri sull’esclusione dei senatori dal nuovoministero, senza ritornare invece immediatamente alla Camera “con poca con-venienza verso questo consesso che ha le sue fonti nella sovranità diretta dellanazione”, rilevava che i ministri militari Pelloux e Saint Bon erano stati“ricomandati al loro posto contro ogni corretta procedura parlamentare” es-sendo “cosa anticostituzionale ed affatto nuova, che una responsabilità di go-verno potesse essere affidata per motivi tecnici e non politici”, osservava cheBrin agli Esteri non avrebbe fatto altro che seguire le istruzioni del segretariogenerale Malvano, deplorava che ai Lavori Pubblici tornasse Genala, l’uomodalle convenzioni ferroviarie “uno degli atti più funesti per il nostro paese”,concludeva col contrapporre la “politica nazionale” a quella “dinastica” che siriassumeva, a suo avviso, nel mantenimento della Triplice, nel ventilato ritornoal macinato e nel rifiuto delle economie militari.

L’esito incertissimo della votazione sull’odg di fiducia Baccelli, 169 sì, 160no, 38 astenuti, inducevano Giolitti, com’è noto, a dimissioni prontamente e, conogni probabilità, concretamente respinte dal re, donde, il 27 maggio, la ripresenta-zione alla Camera e la richiesta di sei mesi di esercizio provvisorio con sullo sfondolo spettro sempre più grandeggiante di elezioni generali anticipate, le prime colritorno all’uninominale.

Perciò il discorso d’opposizione d’Imbriani, il 9 giugno 1892, assume un si-gnificato particolare, la sua vasta argomentazione costituzionale coinvolgendo dinecessità obiettivamente la Corona e rimandando perciò di fatto la soluzione delproblema precisamente al voto popolare.

“Signori – egli affermava rivolgendosi ai ministri – la vostra presenza a quelposto è sotto la vostra responsabilità, di voi che avete riaccettato quel posto: ed

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

ogni voto contro di voi è dato solamente ai responsabili. Difatti, se voi incostitu-zionalmente agiste, pur affermando di eseguire ordini ricevuti, voi sareste i respon-sabili, e noi avremmo il diritto di mettervi in stato d’accusa”.

Lo stesso Bonghi ha ammesso che l’art. 67 dello Statuto deve essere considera-to nello spirito e non nella lettera “perché noi non siamo soltanto un governo costitu-zionale, siamo un governo parlamentare… e non tollereremmo che fossero nominatiministri neppure persone le quali non sedessero in uno dei rami del Parlamento”.

E tuttavia il conflitto venuto in essere tra Camera e Corona non potrà averealtro giudice che il popolo, cioè la sovranità nazionale, dal momento che con i ple-bisciti “è la nazione che ha conferito la sovranità, ha delegato le funzioni di capodello Stato, non altro… La Corona deve essere moderatrice fra i partiti e deve (sic!)chiamare a costituire il potere esecutivo responsabile coloro che sono indicati dallasovranità della nazione”.

Ed Imbriani conclude auspicando per la prima volta una legislatura la cuidurata sia ridotta a solo due anni e, sul momento, negando l’esercizio provvisorio“per protestare legalmente e rimettere a posto il potere esecutivo che esce dallalegge, dallo spirito dello Statuto… un governo illegale sotto la sua responsabilità”:parole di fuoco delle quali, ovviamente, Giovanni Giolitti non avrebbe mancato diricordarsi38.

L’esclusione di Matteo Renato Imbriani dalla Camera diventava in tal modouno dei principali obiettivi delle elezioni generali del 6 e 13 novembre 1892, le pri-me governate e “manovrate” da Giolitti, nel Mezzogiorno con l’intentoprogrammatico generale di eliminare il fenomeno clientelare e notabilare Nicoteraanche a costo di rivitalizzare quello Crispi ambientalmente e sociologicamente nongran che diverso, in Terra di Bari mediante una netta correzione delle vedute daSinistra storica, per così dire, del “proconsole” locale, Pietro Nocito deputato diAcquaviva e sottosegretario alla Giustizia, correzione che non escludeva affattol’eventuale appoggio governativo a candidati schiettamente conservatori, come ap-punto nel caso di Corato, il collegio uninominale dove si presentava il Nostro, checon 1818 voti contro 1923 era battuto da Giambattista Beltrani, non senza il richie-sto ed ottenuto intervento della Banca Nazionale e dell’a noi già noto NiccolòMelodia, in quei giorni medesimi fatto senatore.

L’opzione per Gaeta del ministeriale contrammiraglio Corsi eletto anche aSora dette modo ad Imbriani di presentarsi in quest’ultimo collegio contro Lefebvre,grosso proprietario, industriale delle carta e sindaco di Isola del Liri, che lo batté il

38 Pur avendo concentrato la sua ostilità, a parte l’aspetto costituzionale, sui progetti fiscali del ministeroGiolitti “che si vuole imporre chiedendo i quattrini: ora i quattrini non glieli vogliamo dare”, Imbriani avevavoluto poi esibire l’antriplicismo quale motivazione saliente del suo voto contrario, tanto da censurare inquella chiave il voto favorevole di Barzilai e da astenersi sul voto unanime della Camera che respingeva le sueconseguenti dimissioni. Se un suo discorso di fine giugno 1892 a Chioggia accentrato sulla decadenza delcostume parlamentare si vedano la lettere Cavallotti e l’articolo Turati rispettivamente su “Il Secolo” e sulla“Critica Sociale” 3 e 16 luglio 1892.

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26 febbraio 1893 fra tali e tante illegalità da fare annullare quasi subito la già avve-nuta proclamazione.

Mentre pertanto, il 10 aprile, Pietro Pansini, che era stato rieletto a Molfetta,denunziava alla Camera lo scioglimento dei consigli comunali della sua città e diCorato, per favorire l’elezione di Beltrani, l’attività propagandista dell’estrema siconcentrava a Sora, col corollario di un clamoroso duello fra Cavallotti e Lefebvre,con l’inevitabile commissariamento, questa volta ad Arpino, che si eraplebiscitariamente pronunziata per Imbriani, con un’infelice e declamatoria letteraaperta di quest’ultimo al “Lucifero” di Ancona che, sia pure in termini esagitati,stava ad indicare il significato e la portata della sua assenza nell’atmosfera convulsadella Banca Romana39.

La lettera appariva il 21 maggio 1893, il giorno stesso della votazione, checonferiva la vittoria ad Imbriani con 9 voti di maggioranza, un clima surriscaldatodi sopraffazione e di violenza che determinava un nuovo annullamento ed una ter-za votazione, il 9 luglio, stavolta con una più netta, e definitiva, affermazione diLefebvre, 2827 voti contro 2302.

Ma nel frattempo, per attribuzione violenta di 147 schede mediante effrazio-ne delle urne a mano armata era stata annullata l’elezione di Beltrani, il quale aven-do rinunziato alla candidatura perché i “mezzi materiali e morali atti alla lotta” nongli erano stati forniti nonostante l’intervento di Pietro Rosano presso Giolitti, il 6agosto il collegio di Corato elesse deputato senza competitori Imbriani, il quale sipreoccupò subito di scambiare infiammati messaggi di solidarietà con EdouardLockroy e la democrazia francese in occasione dell’eccidio di Aignes Mortes del 18agosto 1893 che aveva provocato in Italia, da Genova a Messina, ma con epicentri aRoma e specialmente a Napoli, un’ondata di sciovinismo di proporzioni e violenzainaudite, ed il 18 settembre, in un grande comizio dell’Aventino, non esitò ad invo-care il referendum, la Costituente e l’abolizione dell’art. 5 dello Statuto.

È dunque su una linea quanto mai intransigente ed estremista che egli rien-trava alla Camera, ma le circostanze non gli consentivano di farlo se non il 20 di-cembre 1893, l’anniversario di Oberdan, egli non mancava certo di sottolinearlo,alla presentazione del nuovo gabinetto presieduto da Francesco Crispi40.

Essa, com’è noto, si fondava sul concetto apocalittico di “spedizione di Marsalaalla rovescia” per giustificare l’eccezionalità dei provvedimenti in corso ininterrotto

39 “Una putrida bufera avvolge l’Italia. Occupa il governo una banda di malfattori che tutto credesi lecito.Prerogativa di questo governo è l’ipocrisia superata solo dall’impudenza. Sotto il peso turpissime, per difen-dersi, mentono, e colti in flagranza di menzogna cinicamente vi si drappeggiano”.

40 Pur senza uno specifico discorso Imbriani era tuttavia già intervenuto attivamente nella seduta del 23novembre 1893 in cui la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche d’emissione, i cosiddetti Sette,aveva presentato la sua relazione con relativi documenti, che Imbriani aveva proposto di pubblicare subito,trattandosi di “questione altamente morale”, associandosi in seguito alla richiesta Cavallotti di deposito invisione negli uffici di segreteria nelle more della stampa e specificando in seguito, con l’adesione di Giolitti,che nel frattempo la relazione si sarebbe dovuta leggere immediatamente, donde la sospensione della seduta,l’agitazione e il tumulto del resoconto ufficiale, che avrebbe condotto alle dimissioni del ministero l’indomani24 novembre, dopo l’avvenuta lettura della relazione.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

di “adozione in Sicilia: ma è proprio questa pregiudiziale che veniva negata altrettan-to apoditticamente dall’unitarismo risorgimentale d’Imbriani, non senza che egli dal-l’anniversario di Oberdan avesse tratto introduttivamente spunto per deplorare l’as-senza di accenni e mutamenti alla politica estera e persino al contenuto del rinnovodella Triplice (art. 5!) nel programma di Crispi a causa del “volere occulto il quale simette in contraddizione col sentimento della nazione” (e così una sorta di costituzio-nalismo repubblicano veniva a sgretolare l’antico e ben noto lealismo del Nostro).

“L’unità d’Italia – egli affermava facendo proprio il plebiscitarismo crispinodella monarchia democratica – non può correre alcun pericolo perché ha radicinell’anima degli italiani ed è voluta dal popolo che l’ha affermata nella sua sovrani-tà”, quel popolo che peraltro non era più in grado di pagare “un centesimo” d’im-posta e non poteva né doveva che rivendicare a sé il “diritto di Stato e di popolo” di“batter moneta” attraverso l’abolizione di tutti gli istituti d’emissione e la “sovrani-tà” di una banca unica, ma non di Stato, come l’aveva realizzata Giolitti.

Ma erano i risvolti costituzionali della mancata costituzione del ministeroZanardelli, contro la quale Cavallotti aveva protestato dal collegio pugliese d’Imbriani,da Molfetta, dove si trovava per un giro propagandistico dopo averlo effettuato inCalabria, e dopo che Bonghi aveva auspicato lo scioglimento della Camera ed ungabinetto extra parlamentare, erano quei risvolti che più che mai continuavano adallarmare il Nostro (“Spero che non potranno più in Italia aver effetto certe deleterieinfluenze anticostituzionali, certe influenze che sono partite dal Palazzo, e che vi saràalmeno chi, con la propria energia, richiami all’osservanza della legge e della volontànazionale di tutti, niuno eccettuato, chiunque vive in Italia”).

Crispi garante di una costituzione alla quale è soggetto anche il re, dunque,dopo essere stato richiamato ad esserlo per l’unitarismo plebiscitario, che Imbrianiribadiva risorgimentalmente plaudendo alla requisitoria di Crispi e Cavallotti con-tro i partiti politici, che Giolitti aveva tentato di riesumare ed alla cui dialetticaFortis continuava a dichiararsi indefettibilmente fedele a nome del radicalismolegalitario, e che viceversa non erano che “fazioni… morte e seppellite nella co-scienza del paese” donde l’accoglimento fervido della patriottica “tregua di Dio”invocata dal presidente del Consiglio.

“Tempo, e non molto” era stato chiesto da lui precisamente ad Imbriani perpoter constatare i risultati sociali ed unitari dei suoi provvedimenti in Sicilia: ma iltempo si era dilatato a due mesi ed i provvedimenti si erano concretizzati nellostato d’assedio e nei tribunali militari quando, il 20 febbraio 1894, la Camera siriaprì con una pioggia d’interpellanze soprattutto sull’arresto di De Felice, conl’esposizione finanziaria di Sonnino e con l’esplicitazione da parte di Crispi (“Oggisi trattava di disfare l’Italia!”) del concetto della “Marsala alla rovescia”.

“Altro che questioni finanziarie, signori ministri! – prorompeva allora ilNostro – Qui si tratta della libertà e dei più alti interessi del paese, si tratta dellanostra sovranità! Oh, verranno le discussioni finanziarie, ed allora sarete messi almuro, ma fin da oggi dovete accettare le discussioni sulla vostra condotta antiliberalee liberticida!”

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Raffaele Colapietra

La Camera dette torto all’oratore democratico e si dovette preliminarmenteprocedere all’esposizione del ministro del Tesoro ed alla contrastatissima sostitu-zione di Zanardelli con Biancheri alla presidenza della Camera: ma il 24 febbraio,quando cominciò il dibattito politico, Imbriani ebbe modo di far risuonare a nomedell’estrema la nota più altamente e comprensivamente drammatica, centrata sullaviolazione di una mezza dozzina di articoli dello Statuto, dalla libertà individualeall’inviolabilità del domicilio ed alla libertà di stampa, dal diritto di riunione a quel-lo dei deputati ed al principio del giudice naturale, ma specialmente sulla denunziadi uno stato di cose, di un’atmosfera che, politicamente prima ancora che social-mente, andava rendendosi irrespirabile41.

Non credo possibile la rivoluzione di fatto immediata – egli dichiara infatti –Ma se per rivoluzione vuolsi intendere quel gran movimento delle coscienze e delleidee che si svolge nell’anima della nazione con processo più o meno rapido, mainfallibile, e conduce ad un fine, che è condanna dei mali presenti, eliminazionedelle loro cause, rinnovazione di istituti corrotti, reintegrazione di diritti morali,affermazione dei diritti immutabili e supremi della sovranità nazionale, egli è evi-dente che l’Italia si trova già in questo periodo di rivoluzione”.

Il riflesso sociale di una constatazione del genere si circoscrive all’auspicio diun affratellamento umanitario di vecchio stampo democratico (“Guardiamo difrontele schiere dei sopraffattori e schiariamoci sempre con i sopraffatti, dovunque essi sitrovino!”): ma, ancora una volta, la nota che vibra in prevalenza in codestoaffratellamento è quella liberale e liberatrice, suscitata da un impulmso di reazionead un clima pesantemente avverso (“Viviamo in un ambiente che non è libero, losentiamo, abbiamo attorno qualche cosa che si sente più che non si dice, che presa-gisce ciò che può accadere di peggio”).

E perciò l’appello e l’ammonimento severo ai ministri, di gusto che si direb-be squisitamente inglese (“Guardatevi dal furore di governare, è il peggiore di tuttii furori”) e la rivendicazione accurata delle prerogative conculcate dei deputati (“Noistiamo qui in quest’aula, su questi banchi, ma ci sentiamo privi del prestigio chedovrebbe avere il rappresentante della nazione, umiliati dall’essere convocati abeneplacito del governo, di non esser capaci, con la nostra voce e con l’adempimen-to dei nostri doveri, a porre rimedio a questo stato di cose”, rimedio che, ben losappiamo, dovrebbe consistere essenzialmente nel controllo dei governanti in quantotali, del loro “mal fare” che può e deve essere presunto in chi eserciti il potere: “Nelmondo moderno non deve esistere altra sovranità che quella del diritto che sopra laforza, dell’ingegno e della scienza contro la superstizione, dei popoli sui governanti”).

41 Imbriani specifica che gli accusati non si possono scegliere il difensore, loro primo diritto, e che itribunali si sono dichiarati competenti su atti precedenti da essi qualificati reati. L’oratore nega che ci sia inatto in Sicilia lo stato di guerra, non essendovi invasione di truppe nemiche e neppure contrapposizione diforze regolari, e ricorda che anche in Boemia è stato proclamato di recente lo stato d’assedio, ma per voto delParlamento e senza l’intervento dei “tribunali giberna” (non a caso Crispi nella replica si preoccupa di confu-tare proprio la pregiudiziale sull’esistenza o meno della guerra: “L’abbiamo soffocata. C’era allora e si potevaestendere dappertutto: l’abbiamo spenta”).

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

Vale la pena tuttavia di notare, al di là della sensibilità liberale e parlamentaresempre vivissima42 che, da un punto di vista strettamente culturale, la vicinanzad’Imbriani a Crispi rimane risorgimentalmente insuperabile ed intatta, si veda ilragionamento attraverso il quale lo Statuto viene presentato come semplice cornicepreliminare che il governo deve riempire con un quadro di attività propria e speci-fica, da controllare e garantire da parte del Parlamento con sullo sfondo la natioquia nata di deterministica memoria (“Anch’io riconosco che v’è una legge chedetermina le patrie, una legge naturale che determina i diritti dell’uomo alla vita ealla libertà. Ma gli Statuti non debbono essere che la proclamazione di principiinviolabili, che sono l’estrinsecazione dei diritti naturali”).

Analoga ed ovviamente assai più impegnativa osservazione può a maggiorragione farsi per il risvolto sociale del problema, che non a caso i deputati socialistiavevano voluto enfatizzare con un loro specifico documento di condanna delle vio-lazioni statutarie e liberali commesse dal governo, che Imbriani non era stato ingrado di comprendere (“Per Dio, vogliono restare in quattro!”).

Già il 24 febbraio egli si era rifatto a Giovanni Bovio per rifiutare la lotta diclasse come programma democratico “di pensiero e ideale umano” e per lasciarsiandare a definizioni moralisticamente patetiche (“C’è chi lavora e chi non fa niente.Il lavoro è il dovere della vita e chi non lavora è un essere ignobile”).

Ma il 13 marzo 1894, con Enrico Ferri che pretendeva espressamente di appli-care teorie socialiste alla ripartizione dei demani collettivi dell’ex Stato pontificio edera stato seccamente squalificato (“La Camera non ammette deputati socialisti”) dalpresidente Biancheri che già qualche giorno prima aveva rimproverato a CamilloPrampolini di “sollevare passioni di classe, cosa indegna del Parlamento”, il Nostro siallargava a considerazioni ben più ampie che, mutate tutte le infinite cose che sono damutare, non sarebbero dispiaciute forse, tanti anni più tardi, a Benedetto Croce, le cuiradici risorgimentali non erano poi distantissime da quelle d’Imbriani.

Riprendendo infatti la contrapposizione degli oppressi ai soverchiatori, mainquadrandola in una parabola che dalle libertà dei comuni italiani conduceva aquella inglese sulla traccia del “pensiero latino” contro le “teorie esotiche” ed ilgiacobino “monopolio della libertà e ingiustizia che conduce all’ingiustizia socia-le”, il Nostro si chiedeva: “Che cos’è questa classe borghese? È stata la classe intel-ligente, che ha sacrificato tutto per suscitare nella coscienza popolare la dignitàumana… Io comprendo altamente che cosa sia la collettività, ma questa voglio spon-tanea, altrimenti diventa tirannide… (la quale) è la formula dell’egosimo, il più spinto,il più terribile degli egoismi. Io vedo l’immediato ostacolo, l’ingiustizia diretta, esogno contro e pugno e voglio cadere combattendo contro esso”43.

42 “Io vedo un indirizzo brutto nel governo, quello di screditare ogni giorno più le istituzioni parlamen-tari per poi poterle violare o magari sopprimere” (8 marzo 1894).

43 Si ricordi a questo proposito un’apostrofe di Victor Hugo, col quale dovremo non a caso concludere il nostrodiscorso: “Communistes, votre ennemi c’est le mur mitoyen, le mien, c’est le dispotisme. J’aime mieux escalader lestrônes que la haie du voisin” e dunque la radice essenzialmente liberale in senso individualistico dell’azione politica.

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Raffaele Colapietra

Non a caso la confutazione d’Imbriani si colloca all’interno di uno stato dicose che ormai Crispi è in grado di dominare grazie alla strabocchevole maggioran-za parlamentare che la sua impostazione unitaria, patriottica e dinastica gli ha ga-rantito.

Il discorso si sposta così all’ordinaria amministrazione nell’ambito della qua-le, dopo una serie di assaggi, l’accennato voto a vent’anni con firma del voto, ilsindaco elettivo senza restrizioni ma non responsabilità ed unicità di funzioni pernon più di due o tre anni44, un titolare borghese anche alla Marina, Imbriani,coadiuvato da Pietro Pansini, perviene il 1° maggio 1894, subito dopo essere andatoa testimoniare a favore di De Felice in Sicilia, ad un vero e proprio abbozzo costi-tuente il cui art. 16 definisce i deputati “commissari del popolo” (sic!), ne fissa ilnumero a trecento con collegio unico nazionale per il quale l’elettore può votarefino a trenta candidati, esclude stipendi ed uffici retribuitivi45, stabilisce a tre anni ladurata della legislatura col proibirne lo scioglimento prima di un biennio, prescrivela decadenza in seguito ad un’assenza protrattasi per più di un mese, sottopone lavalidità delle leggi alla ratifica del referendum, imprescindibile anche per stipulazionidi alleanze, dichiarazioni di guerra e modifiche statutarie, ammette alla discussionedei due rami del Parlamento un testo di legge proposto da un numero di cittadiniequivalente ad un quoziente per deputato46.

Ma, a parte la stretta fiscale imposta da Sonnino dopo il rimaneggiamentoministeriale dei primissimi di giugno ed il progressivo ricompattarsi della Destraintorno a Crispi, era il susseguirsi degli attentati anarchici, il 16 giugno Paolo Legacontro di lui, il 26 Sadi Carnot presidente della repubblica caduto ucciso a Lione edil 30 giugno Giuseppe Bandi, l’eminente memorialista garibaldino, a Livorno, adautorizzare l’indomani 1° luglio il presidente del Consiglio alla presentazione diprovvedimenti intesi a “punire i provocatori, gli incitatori e quelli che per mezzodella stampa fanno l’apologia di reati” che Imbriani sintomaticamente accoglievaed interpretava sotto una duplice chiave, quella pubblica e liberale che lo induceva

44 La proposta formulata l’11 aprile 1894, sarebbe stata reiterata il 5 luglio 1896 in un contesto molto piùampio ed articolato che vedremo a suo tempo.

45 Si noti che Imbriani non si pone mai il problema dell’indennità parlamentare, che pur aveva rappresen-tato uno dei postulati del patto di Roma, e, il 2 maggio 1894, affronta molto marginalmente quello dell’emi-grazione, i cui tragici esiti nel Brasile non gliene suggeriscono altro che una generica giustificazione nellecondizioni economiche del paese e nel suo sistema di alleanze, trattandosi di un fenomeno, a suo avviso,tutt’altro che necessario.

46 In una generica accentuata sensibilità costituzionale di questo periodo rientrano anche gli interventi 8maggio e 14 giugno 1894 spazianti dalla denunzia delle sevizie inferte dalla forza pubblica alla soppressionedei collegi militari passando attraverso la ventilata possibile riduzione della lista civica ad un monarca che nondovrebbe rallegrarsi per discorsi di ministri o proposte di legge “quando il Parlamento sovrano può spazzartutto, ministri e proposte” e la contrarietà manifestata a commissioni tecniche per le economie “di cui solo laCamera è giudice e che debbono essere indicate dal governo” (perciò una commissione di generali per lostudio delle riforme militari sarebbe stata giudicata da lui “un’offesa al potere legislativo” il quale avrebbeofferto al governo “l’opera di carità di seppellire i cadaveri” se esso avesse persistito nella sospensiva suiprovvedimenti finanziari Sonnino e nella proposta di commissioni di studio).

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

a bollarli come “primo sdrucciolo sulla via della reazione”, quella individualistica eborghese secondo la quale, previo porto d’armi, i provvedimenti si sarebbero resisuperflui se non si fosse resa libera ed illimitata la detenzione di armi e munizioniper la difesa della famiglia e della proprietà, una sorta di Far West all’ombra degliunalienables rights.

Quando peraltro il 7 luglio i provvedimenti venivano alla ratifica parla-mentare, che l’11 sarebbe stata sancita a scrutinio segreto con 188 sì e 16 no, i trequinti della Camera istruttivamente già in vacanza, tre anni di domicilio coattocomminati a “coloro che abbiano manifestato il deliberato proposito di commet-tere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali”, Imbriani, accantonato quest’ulti-mo aspetto, al quale, lo abbiamo visto, e non è meraviglia, non si mostrava parti-colarmente sensibile, ne prendeva spunto per un excursus latamente liberale sulleistituzioni e sul loro oculato finanziamento (“Il governo spenda bene il denaroche ha, la polizia sia buona e capace, la vita e la sostanza dei cittadini siano tutela-te, e tutto ciò senza largheggiare in denaro”) ma anche e soprattutto su quello chepoteva apparire un loro progressivo deteriorarsi (“Abbiamo anche il diritto dipretendere… la libertà del giudice popolare, conquista che noi dobbiamo difen-dere ad ogni costo perché rappresenta la coscienza del popolo che si manifesta colgiudizio di fatto”) e ciò specialmente a danno dell’esercito e della marina, tutt’al-tro che appendici del potere esecutivo, ed anzi suscettibili di discussione ininter-rotta “perché li vogliamo migliorare, non vogliamo che diventino strumenti gret-ti di casta, vogliamo che ad essi sia legata la nazione intera appunto perché nonvogliamo la lotta di classe”.

L’utopia della nazione armata, dunque, ancora una volta come ai tempi diCattaneo e secondo l’esempio americano e svizzero, quale grande strumento dieducazione civica volta a stornare lo spettro del socialismo ma anche quello del-l’accentramento fine a sé stesso (“Nulla di più temibile sulla via della reazione chei vecchi giacobini! Sempre lo stesso spirito di autoritarismo…”) ed ancora ifarneticamenti dei criminologi dottrinari alla Raffaele Garofalo invocanti ilritnorno alla tortura ed alla pena di morte (“La pena per essere efficace deve averela sanzione morale che viene dall’opinione pubblica, la quale aborre davvero daidelitti e li condanna nella sua alta coscienza […] Le leggi ordinarie debbono ba-stare a tutto e nulla deve esservi di eccezionale […] È cosa enorme perseguire,colpire chi è stato riconosciuto innocente, ché allora la reazione diventa legitti-ma… ciò che era un delitto potrà assumere carattere di lotta in nome della legalitàe della giustizia”).

Non la repressione in quanto tale, dunque, niente patrie en danger, l’indi-pendenza del potere giudiziario assicurata e garantita in modo definitivo dinanzialle esorbitanze del potere esecutivo: riconosciamo il migliore Imbriani, una voltamessa da parte la provocazione schematica della lotta di classe, e non a caso ascol-tiamo la sua voce, subito prima dello squallido scrutinio segreto al quale abbiamofatto cenno, in difesa della legge come garanzia universale e perciò tutt’altro chediscriminante: “Gli anarchici vivono nella legge e chiunque vive nella legge non

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può essere messo fuori legge a priori. Se costui commette un reato è colpito dallalegge. Questa specie d’interdetto dogmatico è qualche cosa che urta col sentimentogiuridico… Il domicilio coatto è un prodotto dell’aberrazione del senso giuridicoitaliano”.

Non a caso alla breve e concitatissima ripresa dei lavori parlamentari, neldicembre 1894, dopo lo scioglimento dei circoli socialisti e la costituzione della legaper la difesa della libertà e subito prima della presentazione del plico Giolitti e dellaproroga della sessione, tutti episodi ai quali il Nostro avrebbe preso parte con con-vulso protagonismo, lasciando depositate ben 34 interpellanze al banco della presi-denza della Camera, i suoi interventi più corposi e meditati sarebbero stati dedicatia problemi ed a principî di libertà intesi nel loro fondamento essenziale, le elezionidel quarto collegio di Palermo e di Corleone che andavano annullate, pur avendoespresso deputati protesta, per il semplice fatto di essersi tenute in regime di statod’assedio, donde la presunzione di astensioni per timore e l’impossibilità di accer-tare se e fino a che punto fosse stata menomata l’esplicazione della volontà popola-re, il senso di frustrazione che invadeva l’animo al cospetto delle esorbitanze gover-native (“Quando è possibile che vi siano degli italiani che languono nelle reclusioniper semplice reato d’opinione, che siano mandate a domicilio coatto personedegnissime, cittadini innocenti, sol perché è stata riportata una frase da qualcheagente di polizia, io mi vergogno di far parte, come cittadino e come deputato, diuno Stato simile”).

La “questione morale” che aveva provocato la proroga della sessione avreb-be avuto a suo protagonista, com’è noto, Felice Cavallotti: ma Imbriani sarebbestato prontamente ed autorevolmente al suo posto nell’adunanza che avrebbe rac-colto alla Sala Rossa di Montecitorio 180 deputati a meno di ventiquattr’ore dalladrastica decisione di Crispi, la sera di domenica 16 dicembre 1894, ed avrebbe presola parola in chiave unitaria e patriottica (“Quando un’assemblea, composta dallediverse parti politiche, trova una nota comune qual è quella che ci anima, si è certidi dire che l’ambiente parlamentare si è risanato e rappresenta il sentimento delpopolo”).

Si trattava senza dubbio di un unitarismo patriottico eccessivamente ottimi-stico ma che, proprio in quanto tale, faceva onore ad Imbriani ed alla generosità conla quale egli aveva colto il significato morale e politico dell’azione di Cavallottirispetto al feroce meridionalismo regionalistico della stampa crispina che non man-cava viceversa di far breccia nell’animo di Bovio per quanto attinente al programmadell’opposizione ed alla personalità del presidente del Consiglio.

Non si può negare tuttavia che al Nostro competesse una sorta di secondafila rispetto al leader milanese ed ai socialisti nel clima d’assieme delle elezioni ge-nerali del maggio 1895 che, superate senza difficoltà, consentivano ad Imbriani dirientrare alla Camera e di esordire il 13 giugno su una linea tanto intransigente(“Qui noi siamo riuniti per giudicare i vostri reati”) quanto sommaria nell’articola-re il giudizio, la violazione dello Statuto, la questione morale, la mancata richiestadi sanatoria per decreti legge già in esecuzione da un anno al di fuori della legittimi-

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

tà costituzionale, ed in realtà, precisava Imbriani il 6 luglio, non contemplati dallalegislazione nazionale né dal regime parlamentare in genere, i cui “elementi preci-pui” essendo, e lo sappiamo, “la discussione, la pubblicità e il controllo”, il gover-no vi si sottraeva, meritando perciò di essere posto in stato d’accusa ben al di làdella presunta immaturità dell’elettorato (“Quando noi non abbiamo che leggielettorali restrittive, il suffragio ristretto col collegio uninominale, possiamo noidare al popolo la colpa se la rappresentanza nazionale non adempie ai suoi dove-ri?”).

Si ha insomma la sensazione che in quelle settimane potentemente e quasimuscolosamente dominate dal conflitto personale, e quindi dall’alternativa nonsoltanto politica fra Cavallotti e Crispi, il Nostro abbia voluto, o sia stato indottoa prescegliere una posizione abbastanza defilata, attenta, più che all’evolversi tem-pestoso della situazione, ai problemi di principio ed alle grandi parole d’ordine, il“via dall’Africa” ad esempio, che torna a risuonare il 26 luglio 1895 o, l’11 prece-dente, l’irredentistico rinvio del 20 settembre festa nazionale all’effettivo compi-mento dell’unità italiana, sia pure in un risvolto liberale che non ci giunge nuovo(“Non inneggiamo alla libertà del pensiero in questo momento in cui, come ita-liani, dobbiamo vergognarci di veder rinchiusi nelle luride carceri cittadini chescontano il proprio pensiero”) o ancora, il 18 luglio, la deplorazione per la man-cata amnistia “che è forse la più alta prerogativa” di un governo che invece pre-tende di negare la qualità politica, e di relegare tra i reati comuni, a pensieri edopinioni che all’opposto, proprio in quanto tali, sono atti eminentemente politi-ci47.

È proprio quest’ultimo tema significativamente d’attualità alla riapertura dellaCamera, il 26 novembre 1895, a proposito dell’eventuale grazia a Giuseppe De Fe-lice, che Imbriani tiene rigorosamente a distinguere dalle persistenti responsabilitàministeriali (“Io sono troppo osservante dalle guarentigie statutarie per toccare chinon debbo e non posso toccare, perché non si può difendere in quest’aula e perchéè irresponsabile statutariamente. Dunque la mia parola viene diretta a coloro chesono i veri responsabili”).

Ma anche l’anticlericalismo d’occasione del 20 settembre rimane d’attualitàin un clima così schiettamente illiberale, nel quale i provvedimenti di emergenzaper la Puglia ancora in crisi, credito agrario, sospensione di tributi, rinnovo dicambiali, rimangono frammentariamente e superficialmente sullo sfondo rispettoalle grandi istanze di libertà a cui il Nostro è particolarmente sensibile, con espres-sioni che anch’esse ci risultano tutt’altro che nuove (“Lasciamo tanto al Vaticanoquanto all’anarchico la piena libertà di spiegare il proprio pensiero. Il Vaticano

47 Quanto al “via dall’Africa!” si ricordi doverosamente che esso echeggiava a commento polemico deltrionfale ingresso in aula dal generale Baratieri, abbracciato dal presidente Villa, da Crispi e da Cavallotti,quasi a simboleggiare l’unità della patria intorno al condottiero vittorioso, e che il 2 luglio precedente, proprioin replica ad Imbriani che nessuno poteva sapere dove ci si sarebbe spinti “perché il decoro nazionale deveessere tutelato anche in Africa”.

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che cosa rappresenta se non una forza ed un’influenza morali? Le armi della vio-lenza s’infrangono contro di essa. È dunque con la forza morale che voi lo dovre-ste combattere, mai con le minaccie e con le violenze, come tutti i pensieri sicombattono ugualmente con la forza di pensieri migliori”: ed abbiamo già citatole riflessioni suggerite ad Imbriani, il 29 novembre successivo, dall’eventualità diun’abolizione delle guarentigie e del ritorno anche per il pontefice al diritto co-mune).

Ma nel frattempo andava obiettivamente ingrandendosi l’ombra dell’Africaa proposito della quale i rudi e prosaici interrogativi d’Imbriani, il 27 novembre(“Quanto vi costa questa passeggiata militare? In quali condizioni vi trovate ades-so? Quali sono le vostre intenzioni? Volete davvero andare a distruggere il tronod’Etiopia? Che cosa ci sostituirete? Vi lasceranno sostituire qualche altra cosa?”)precedevano di sole due settimane il drammatico ed inatteso annunzio di AmbaAlagi.

Del tutto occasionalmente, ma pur significativamente, esso veniva fornitoalla Camera dal generale Mocenni ministro della Guerra nel pomeriggio del 10 no-vembre 1895, subito dopo che Imbriani, dopo aver fatto di nuovo risalire alla per-sona di Crispi la responsabilità del metodo anticostituzionale dei decreti legge e delsuo abuso incontrollato, si era soffermato proprio sull’essenza e la gestione delleforze armate in Italia, separandole anzitutto preliminarmente dai poteri fondamen-tali dello Stato (“La questione vera è che alla Camera non vi dovrebbero esseremilitari”) ed insistendo poi sul decentramento e sulla privatizzazione di tutti glistabilimenti bellici del momento che, e qui una sintomatica citazione di Cavallotti,“il socialismo di Stato è stato sempre la base di tutte le dittature del mondo… Il mioideale sarebbe quello di chiudere le caserme” sulla base della riduzione della fermaa non più di un anno e soprattutto di un più agile governo degli stanziamenti e delloro impiego concreto (“Questo dubitare sempre, questa diffidenza continua postanella nostra amministrazione, in modo che per controllare la spesa di un centesimosi debbono spendere centinaia di lire, è cosa assolutamente contraria ad ogni buonandamento amministrativo. Dovete aver fiducia negli ufficiali, ritenerli uominid’onore: quando mancano all’onore, dovete essere irresistibilmente severi ed allon-tanarli dall’esercito”).

In tal modo, e la cronaca burrascosa precedente e susseguente ad Adua loavrebbe confermato, Imbriani si congedava da Crispi su grandi questioni costitu-zionali di principio più che su problemi particolari suscitati dall’Africa o dalla “que-stione morale” o dal fiscalismo di Sonnino e così via.

La controprova è nel fatto che, pur avendo ribadito la richiesta di vedere l’expresidente del Consiglio posto in stato d’accusa nel discorso del 17 marzo 1896 cheesamineremo tra breve (e la viva ilarità che accoglieva la richiesta era indice di bendiversi intendimenti, malgrado tutto, da parte dell’assemblea in gran maggioranzacrispina eletta l’anno precedente) solo quarantott’ore più tardi Imbriani avrebbecompianto come “miseri” gli ex ministri, proseguendo col dire, sua come per essibisognasse usare “un linguaggio più che corretto perché io non ho mai approvato

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

quei procuratori che inveivano contro gli accusati”, nella circostanza in primo luo-go Oreste Baratieri “il quale mi è doppiamente sacro, e come accusato legittima-mente, e come accusatore del caduto ministero”: e qui la grande e bella conclusioneottimistica ottocentesca sul diritto di nazionalità alla Mancini48 che si sprigiona vit-torioso quale elemento di civiltà dalla catastrofe africana (“Un gran risultato per laciviltà forse l’avrete avuto, forse il sangue nostro non è stato sparso invano per laciviltà, perché quella nazione etiopica, si è riunita dinanzi al pericolo imminente, haacquistato coscienza della propria forza nell’unione e adesso non si dissolverà piùma fonderà un impero che si avvierà verso la civiltà e porterà il suo frutto nel con-tinente africano”).

Spetta a Matteo Renato Imbriani la definizione di “ministro di galantuomi-ni”, più esattamente “onesta schiera di galantuomini, con la quale il gabinetto DiRudinì è passato alla storia, o quanto meno alla cronaca parlamentare, e fu accoltoalla sua presentazione in aula, il 17 marzo 1896.

Lodato per l’amnistia generale immediatamente promulgata, il ministeroera invitato a “troncare il delitto africano” attraverso una “pace onorata” col “le-ale” Menelik (“L’Italia smarriva il sentimento dell’onore andando a sopraffare unaltro popolo, a distruggere un’altra nazionalità”) ma anche l’effettivo e prontorichiamo delle truppe e l’accennata messa in stato d’accusa del ministero Crispi,la cui richiesta il Nostro condivideva con Bovio ma non, significativamente, conCavallotti49.

Quanto all’ispirazione complessiva del gabinetto, Imbriani elogiava Di Rudinìper la chiara e sincera patina conservatrice del suo liberalismo ma deplorava chenon fosse affatto tale la circolare diramata ai prefetti all’atto di insediarsi a palazzoBraschi quale ministero dell’Interno, tutta un’insistenza inopportuna sulla maestàdella legge a tutela dell’ordine pubblico e contro le associazioni criminose.

Ma i tempi permanevano grossi, e tali da non poter essere affrontati con sem-plici aggiustamenti di combinazioni ministeriali, se è vero che già il 21 maggio,

48 Non a caso l’8 maggio 1896 Imbriani avrebbe inneggiato a Kossuth nel salutare il millennio del regnod’Ungheria, ma avrebbe anche stigmatizzato l’oppressione esercitata da quest’ultimo sulle minoranze rume-ne, così come aveva già fatto il 2 maggio 1894.

49 Essi si sarebbero tuttavia trovati uniti, il 9 maggio 1896, nel votare l’odg di fiducia Suardi Gianforteinterpretato come conferma della politica di raccoglimento (e quest’ultima, da Bovio, quale prima tappa versoil ritiro assoluto dell’Africa). Un certo influsso del clima latamente moralizzatore di quei mesi può cogliersianche nelle rinnovate folgori del Nostro contro il lotto “onta per la nazione e pel governo italiano” (5 giugno1896: giusto un anno più tardi, l’8 giugno 1897, ne avrebbe proposto senz’altro l’abolizione) che si collocanotra la richiesta di eliminazione dei coatti politici e d’introduzione del lavoro nelle colonie di domicilio coattoche ancora rimanevano aperte, con sullo sfondo la reiterata sottolineatura dell’autorità morale da conferire alfunzionario di pubblica sicurezza che “idealmente dovrebbe tendere la mano ai perseguitati, aiutare gli infelicied i sopraffatti, raddrizzare tanti torti. Invece, stornato dai suoi fini, adoperato spesso come strumento dibassa polizia e di vendetta di governo, ecco che cade in disprezzo prezzo le popolazioni e non raggiunge i suoifini” (28 maggio 1896: dove mi pare di scorgere anche un sottile riferimento al Mezzogiorno nei suoi infinitimeandri di mentalità e di costume) ed una singolare difesa della scuola classica e dello “spirito latino” controla demolizione di Niebuhr e Mommsen (26 giugno 1896) che ci fa toccar con mano quanto, magari attraversoCarducci, il Nostro fosse ancora culturalmente e risorgimentalmente vicinissimo a Francesco Crispi.

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Raffaele Colapietra

all’indomani del rifiuto di mettere in discussione una rinnovata proposta di EttoreSacchi per la messa in stato d’accusa del ministero Crispi, Imbriani risollevava labandiera della Costituente al di là di una Camera suscettibile, come la presente,d’involuzione reazionaria e al di là dello stesso controllo parlamentare sull’esecuti-vo quale ragion d’essere del costituzionalismo liberale (“Il miglior modo perché ilParlamento funzioni consiste nella solerzia, nella sollecitudine dei deputati… Quan-do si riconosce, come io credo che sia di presente, la necessità di modificare tutta lalegge fondamentale dello Stato, allora sorge la necessità di una Costituente nomina-ta ad hoc dal popolo con plebiscito a suffragio universale”).

Le circostanze non consentivano peraltro di proseguire su questa prospetti-va di riformismo ab imis che sembrava imposta dall’atmosfera infuocata, fino ailimiti della rivoluzione e della repubblica, del biennio precedente, la politica esterasopravveniva a temperare utopismo e tecnicismo in un arduo equilibrio nei con-fronti del quale la parola d’Imbriani assumeva più la cadenza di testimonianza oaddirittura di profezia che non quella d’immediata analisi politica.

Si veda ad esempio come pochi giorni più tardi, il 25 maggio 1896, reiterandol’auspicio di una dissoluzione dell’Austria e della Turchia ad opera delle nazionalitàe di un remoto indiretto intervento della Russia, il Nostro mostri di sapersi sottrar-re a tempo e luogo all’anglomania dilagante all’interno del costituzionalismo libe-rale, di saper ben distinguere tra il liberalismo di Gladstone e l’imperialismo diChamberlain col dissociare l’Italia dall’Inghilterra la quale “non ha che un bisogno,quello cioè di soggiogare, far servire o distruggere la razza nera, invece di risolle-varla”.

Certo, quella dissoluzione implica, come abbiamo visto a suo tempo chel’Adriatico sia “esclusivamente nostro” e perciò il 2 luglio Imbriani deve annunzia-re con commosse parole il proprio distacco dalla maggioranza dell’estrema, checondivide l’odg Di San Giuliano tanto “rinunziatario” in ambito africano quantoortodosso in quello triplicista (sono con lui Barzilai e Pansini e, apoditticamente, isocialisti, ma anche la gran massa dei crispini) donde la necessità di abbandonare ilfremente linguaggio sulla “missione dell’Italia” in pro degli oppressi, da Cuba aCandia, e concentrarsi su problemi di politica interna che peraltro ancora una voltale circostanze rendevano quanto mai concreti e significativi.

Presentandosi infatti alla Camera, il 5 luglio 1896, la relazione di EdoardoPantano sull’eleggibilità del sindaco in tutti i comuni, il Nostro, condividendola,ovviamente, ma sottoponendola al suffragio universale, allargava il discorso a crite-ri di profondo rinnovamento amministrativo, il comune ampliato, eccetto che inmontagna, fino a comprendere non meno di 10 mila abitanti “per aver vita propriaed i mezzi per esercitare l’attività propria, se vogliamo l’autonomia comunale” al-trimenti, postilla duramente Imbriani, “nel comunello il sindaco elettivo sarà ilfeudatario del luogo”.

Non solo: ma egli dovrà rimanere in carica per non più di due anni, nonpotrà essere rimosso per ragione di ordine pubblico, non sarà rieleggibile per unperiodo da determinarsi, si dovrà obbligatoriamente ricorrere al Consiglio di Stato

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

in caso di una sua sospensione per grave reato o abbandono dell’ufficio ma anche alparere di quel consesso per qualsiasi scioglimento di consiglio comunale, tassativa-mente proibito nel corso della campagna elettorale politica, un qualche magistratoparticolare dovendo sostituire i regi commissari “piovre e cavallette dei bilanci co-munali”, tutti temi schiettamente liberali50 che avrebbero visto coalizzati e rintuz-zarli tanto la maggioranza ministeriale quanto quella dell’estrema.

Questo stato di cose si riproponeva il 9 luglio a proposito dell’innovazionepiù notevole dell’epoca in campo amministrativo, il commissario civile in Sicilia,che Imbriani combatteva sia per l’illegalità del decreto che lo istituiva sia soprattut-to per il suo carattere introduttivo al ventilato ordinamento del Mezzogiorno in tregrandi regioni, una soluzione contrastata non soltanto in nome dell’unitarismodinastico privilegiato dai crispini ma anche e specialmente in difesa del comune“questo elemento naturale, logico, fortemente organico allo Stato” come sappiamoda sempre carissimo ad Imbriani.

E poiché nei giorni successivi il ministro Di Rudinì si sarebbe dovutoricomporre a causa delle dimissioni del generale Ricotti suo “capo morale” e delColombo per la mancata riduzione di due corpi d’armata, l’opposizione del No-stro non poteva il 21 luglio che venir fortemente confermata, e ribadita vistosamen-te dal voto alla riapertura della Camera, il 1° dicembre 1896, allorché, dopo averlodato il trattato di Addis Abeba, egli presentava, di concerto col socialista GregorioAgnini, una mozione per il ritiro assoluto dall’Africa, che l’assemblea respingevacon 184 voti contro 26.

La convergenze obiettiva con i socialisti non si limitava del resto alla politicacoloniale se è vero che l’8 dicembre Imbriani era a fianco di Filippo Turati nel de-nunziare una serie di pesanti ingerenze governative nel campo della libertà di riu-nione e nel presentare la relativa mozione, rigettata dalla solita massiccia maggio-ranza che vedeva ora automaticamente affratellati, su posizioni di conservazioneautoritaria e borghese, moderati e crispini, nonostante che Di Rudinì motteggiassesu Imbriani più conservatore di lui in quanto individualista, una formula che ilNostro non poteva ovviamente che raccogliere, accettare e sviluppare ma, ancorauna volta, in senso schiettamente liberale.

Pochi giorni più tardi, il 15 dicembre, la circolare del guardasigilli Costa perlo scioglimento dei circoli socialisti e delle camere del lavoro parve far rivivere igiorni più torbidi dell’autoritarismo crispino: e davanti ai socialisti e ad Imbriani,che il 18 e il 19 dicembre avevano chiamato in causa in proposito lo stesso istitutomonarchico, Cavallotti, pur tenacemente vicino al ministero, non poteva fare a menodi riconoscere su “Il Secolo” che la “questione sollevata da Imbriani ritrova nellecondizioni tristi del paese e della coscienza pubblica base ed eco, di cui gli amici

50 È appena il caso di ricordare se e quanto essi sarebbero stati d’attualità durante tutto il periodo giolittiano(a parte le applicazioni che il Nostro aveva già avuto modo di subirne ad opera dell’uomo di Dronero) tantoda costituire uno dei principali obiettivi riformistici da parte del primo ministero Sonnino.

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Raffaele Colapietra

delle istituzioni dovrebbero preoccuparsi per primi” e non certamente sulla lineadel Torniamo allo Statuto che non a caso Sidney Sonnino avrebbe firmato sul nu-mero di capodanno della “Nuova Antologia”.

La crisi di Candia, nel febbraio 1897, sopravvenne a rinsaldare la rinnovatasolidarietà all’interno dell’estrema, il romanticismo garibaldino, la difesa del dirittodi nazionalità, l’interpretazione e l’ispirazione dello spirito pubblico, tutte direttri-ci mediante le quali, attraverso le elezioni generali del 21 marzo 1897 e la conse-guente eliminazione totale e definitiva del crispismo come temibile forza parlamen-tare, riusciva a riproporsi egemonicamente, nonostante l’ormai dichiarata, ed al-trettanto irreversibile, scissione repubblicana dal complesso dell’estrema sinistra, econ essa quella di Giovanni Bovio, la convergenza prestigiosa tra Cavallotti edImbriani, presentatore, quest’ultimo, all’apertura dei lavori della nuova Camera, l’8aprile, dell’interpellanza “circa quella nefasta politica che conduce a far commette-re dall’Italia risorta atti di violenza inconcepibile contro la madre Grecia, calpe-stando il diritto delle genti ed il principio di nazionalità”.

E l’interpellanza sarebbe stata illustrata, tra il 9 e l’11 aprile, da un seguitod’interventi, fino alla machiavelliana “necessità della guerra” in quanto “cozzo san-guinoso d’idee” per il quale si scomodava insolitamente Hegel, che ancora una vol-ta le circostanze avrebbero reso emblematicamente gli ultimi di Matteo RenatoImbriani51 e che conviene perciò leggere con larghezza ed unitariamente, tanto nel-lo slancio tribunizio e nel calore eccezionale di convinzione, quanto nelle conside-razioni più propriamente ed acutamente politiche, la fictio dell’equilibrio europeo edel conseguente intervento armato in ardua dialettica col movimento delle nazio-nalità, la nuova Santa Alleanza dell’imperialismo come degenerazione del liberalismoe perciò economico – finanziaria anziché ideologico – militare, l’anticipazione del-l’argomento interventista sull’articolazione eterogenea dell’Intesa quale alternativapreferibile alla compattezza organica degli Imperi Centrali, ed in essa, nella suaprospettiva latamente internazionalista e mazziniana, l’apertura a ciò che nel 1897era, e vent’anni dopo coerentemente sarebbe stato, Leonida Bissolati.

“Io non so dove voi vogliate condurre l’Italia, se vi siete messi in mente di

51 Il 15 maggio 1897 Imbriani aderiva alla mozione di Errico De Marinis per il ritiro assoluto dall’Africache la settimana successiva sarebbe stata respinta dalla Camera con 242 voti contro 140 (“Il principio siaaffermato nettamente dinanzi al paese affinché esso sappia ciò che deve fare, dove deve andare, e non abbial’ambiguità e il caos dinanzi a sé”) ed il 14 giugno si soffermava ancora polemicamente sulla protezione accor-data dagli inglesi alla schiavitù a Zanzibar e sulla situazione del Benadir, in cui il nostro Antonio Cecchi si eralasciato coinvolgere (“L’Inghilterra ci trarrà l’utile suo, noi non ci troviamo alcun utile, noi ci troviamo sem-pre nelle situazioni le più dubbie, le più antipatiche, senza ritrarne alcun utile, anzi, non ricavandone che ildanno e le beffe. E tutto ciò per proteggere una speculazione, una società antipaticamente indiziata… Se laciviltà europea si deve affermare così barbaramente io rinunzio a questo movimento di civiltà”). Ma non sitrascuri l’altrettanto costante difesa dei diritti civili dell’individuo in quanto tale (“Si usano contro i detenutimodi assolutamente incivili e molti di essi ricevono la morte sotto diverse forme”16 giugno 1897 a commentodell’impressionante lettera del militare Pasquale Torres ergastolano a S. Stefano sulle sevizie subite) né latenace polemica contro la “macchina” burocratica in quanto tale, che arriva, il 1° luglio 1897, a proporrel’abolizione dei tribunali sostituiti dalla pretura a fine conciliativo in ogni comune, dall’arbitrato in manieracivile e dai giurati in quella penale.

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Matteo Imbriani alla Camera per la difesa dei diritti civili e delle libertà statutarie

dilaniarla e di annullarla. Se volete che questa Italia, potente di un solo forte pensie-ro, banditrice al mondo del suo diritto, una volta, ed invocata da tutti gli oppressi,se volete che questa Italia sia maledetta dai popoli, aspettatevi che venga una giusti-zia la quale vi commini quella tale Nemesi che è sempre infallibile quando giusta-mente percuote. Voi, la guerra che volevate evitare, l’avrete, perché sarà guerra san-ta, giusta, ulatrice di tanti obbrobri, che sarà seguita dal cozzo dei due imperi che sitrovano dietro la Grecia, e questa tempesta purificatrice e santa, dilaniando e di-struggendo i due imperi barbari d’Europa, il turco e l’austriaco, farà le vendettedella civiltà vera… Quando voi avrete posta questa nuova lega di prepotenti che èstata chiamata il prodromo degli Stati Uniti d’Europa dal ministro degli affari esteri(scil. Emilio Visconti Venosta) a base della vostra condotta nell’azione internazio-nale, potrà accadere che un giorno sia menomata la vostra stessa indipendenza, l’in-dipendenza di tutti i popoli. Imperocché questa nuova tirannide di governi, strettiinsieme da interessi non confessabili, vi ridurrà un giorno a premere su tutti gli Statiminori d’Europa ed a rapire ad ognuno di essi l’indipendenza, se non si adattano adesser servi vostri. Inoltre avverrà infallantemente lo scoppio del dissidio tra voi, perl’urto dei contrastanti interessi. E voi, che non siete i più forti, che avrete perduto laforza morale, che attigevate dai principî e dalle idee, rimarrete schiavi e distrutti… Oamici socialisti, io che non mi sono mai sentito secondo ad alcuno di voi nel volerela giustizia sociale applicata nella sua integrità, io qui apertamente sono lieto diriconoscere anco una volta quel che sempre affermate, che i socialisti italiani nonsono secondi ad alcuno nell’amore della patria, nel riconoscimento del diritto dinazionalità e del principio d’indipendenza”.

Felice Cavallotti che, lo abbiamo visto, dalla crisi di Candia era stato condot-to a riavvicinarsi ad Imbriani alla luce della comune camicia rossa, che questoriavvicinamento aveva ribadito e consolidato attraverso un nuovissimo repubblica-nesimo etico (la “invisibile forza” che sembrava trattenere a mezzo “un’opera chevoleva essere onestamente riparatrice” nell’intervento sull’indirizzo di risposta aldiscorso della Corona 13 aprile 1897), che a metà maggio aveva riscoperto la fratel-lanza d’armi con i socialisti, nella circostanza Oddino Morgari, col denunziare allaCamera il caso dell’operaio Romeo Frezzi di Jesi, arrestato, percosso e conseguen-temente deceduto nelle carceri di Roma in seguito all’attentato Acciarito contro ilre, e subito dopo con l’aderire finalmente all’abbandono totale dell’Africa, ed infi-ne in settembre col sottoscrivere il manifesto per l’abolizione del domicilio coatto,Cavallotti era l’uomo designato da tutta una vita ad interpretare i sentimenti dellaCamera e soprattutto della pubblica opinione allorché l’assemblea unanime, il 30settembre 1897, alla riapertura della sessione, respingeva le dimissioni presentate daImbriani in seguito alla tragedia di Siena52.

52 Imbriani, che il 21 marzo 1897 era stato eletto anche ad Andria, soverchiando il conservatorismoclericaleggiante di Ceci e lo pseudoprogressismo di Spagnoletti, sarebbe stato confermato il 3 giugno 1900deputato di Corato con un formalismo unanime quanto mai discutibile.

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Raffaele Colapietra

“Molti discorsi che si fanno qui dentro – affermava il leader milanese, incon-sapevole di stare anticipando di soli tre mesi il proprio personale epicedio – nonvalgono l’insegnamento che parlerà da quel seggio vuoto53, quotidiano ricordo, nelleore del dovere, dell’abnegazione con cui egli lo intese e lo concepì… Anche quelliche si lamentavano della frequenza delle sue parole oggi ne sentono il desiderio:perché quell’uomo non è stato cercato dalla sventura e non l’ha trovata per caso, fuesso che andò a cercarla, per aver troppo chiesto a sé medesimo nel seguire il senti-mento del proprio dovere”.

E torniamo convulsamente a quel seggio per ascoltare le parole che MatteoRenato Imbriani ne fa echeggiare in esordio al discorso del 29 novembre 1895 chegià abbiamo incontrato a proposito della ventilata abolizione delle guarentigie edella funzione che in merito può e deve esercitare la tribuna parlamentare, le cuidiscussioni “unico mezzo che ancor resta al paese per iscoprire una qualche parte diverità, hanno la loro grande utilità: non pei risultati e pei voti che si danno quidentro ma perché illuminano il paese”.

Ebbene, questa funzione esercita in nome di un principio generale che non acaso è posto in cima all’intervento, ed in forza di esso: “La libertà e la verità hannoquesto di eccellente, che tutto ciò che si fa per esse o contro di esse loro riesceegualmente utile”.

Queste parole non sono d’Imbriani ma di Victor Hugo, la prefazione diHernani, tutta fitta contesta di motti e sentenze che al tribuno napoletano doveva-no essere parimenti familiari (“En revolution, tout mouvement fait avancer… Leromantisme… n’est… que le libéralisme en littérature… Le libéralisme littéraire nesera par moins populaire que le libéralisme politique… Dans les lettres comme dansla société, point d’étiquette, point d’anarchie: des lois. Ni talons rouges, ni bonnetsrouges”).

La prefazione reca la data del 9 marzo 1830, il dramma era andato in scena il25 febbraio, in primissima linea nella meticolosa organizzazione Gautier, Dumas,Balzac, Berlioz, i più bei nomi della gioventù romantica francese: giusto cinquemesi più tardi, le trois glorieuses, una data capitale nella storia del liberalismo euro-peo: Imbriani era il tardo epigono superstite, che dava la mano al nascente sociali-smo attraverso la democrazia garibaldina, di quei romantici e di quei liberali.

53 Si ricordi che il seggio, poi ceduto al comune di Corato, era emblematicamente il n. 1 della Camera, cheera stato di Garibaldi, al culmine della “montagna” dell’estrema sinistra, quasi a simboleggiare un trait d’unionfra Montecitorio e il paese.

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Giuseppe De Matteis

Calabria come approdo dell’animanella narrativa di Corrado Alvaro

di Giuseppe De Matteis

La letteratura italiana compresa nel cosiddetto ventennio nero (1922-’43) of-fre un aspetto quanto mai intricato, complicato, contraddittorio, in cui si esaurisco-no i vecchi sperimentalismi e nascono nuove aperture e nuovi indirizzi, per cui nonè facile orientarsi con sicurezza, specie sul versante della narrativa.

I casi più vistosi che si registrano vanno dalla “prosa d’arte” dei rondisti, al“realismo magico” del Bontempelli. Nel ventennio, inoltre, a dispetto dell’autarchiaculturale proclamata del Fascismo, si fanno sentire in Italia alcuni portati della cul-tura straniera, destinati a lasciare il segno, come l’intimismo memoriale di Proust eJoyce, la psicanalisi di Freud, l’esistenzialismo di Sartre, il sessualismo di Lawrence,il surrealismo di Kafka e dei francesi (Breton), il cronachismo americano di Steinbeck,Hemingway, Faulkner, Caldwel, Sarayan.

Nella narrativa va sottolineata la comparsa di un filone realistico che, nelrecupero di una poetica di stampo naturalistico-ottocentesco, corretta dagli appor-ti degli scrittori stranieri, specie americani, trova modo di avviare la narrativa versouna maggiore concretezza e modernità di contenuti e di stile. Va osservato ancheche, durante il periodo fascista, la letteratura non subì vistose influenze, né in sensopositivo né negativo, salvo alcuni casi: vi fu, è vero, un’aria stagnante, senza proble-mi, senza drammi nell’ambito letterario ma, in generale, il regime fascista non fuavvertito come una malattia, un’epidemia o una piaga. Durante, poi, gli ultimi annidella dittatura e subito dopo la capitolazione del fascismo, scrittori autorevoli comeAlvaro, Vittoriani, Piovene non mostrano alcun cambiamento nella loro arte; anzi,maturano meglio le loro istanze, producendo opere di grande spessore umano eculturale, oltre che di serio impegno etico e civile.

Fu proprio Alvaro, il più anziano dei tre, che già nel 1930, con il romanzobreve Gente in Aspromonte (1930), tentò di abbandonare la pura letterarietà e cer-cò, sull’esempio di Verga, un’arte più genuina, più seria nel ritratto della propriaterra, nella resa della chiusa sofferenza, delle passioni e dei drammi non espressi, diuna vita veramente legata al proprio ambiente, alla proprie radici, senza infingimenti.A differenza di Verga, Alvaro, nell’evocare il proprio paese, portava l’esperienza diuno scrittore passato attraverso il più raffinato studio della pagina, la precisionedescrittiva, evocativa, insegnata dal decadentismo e praticata da decenni di prosa

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Calabria come approdo dell’anima nella poesia di Alvaro

poetica. Gente in Aspromonte presenta, per esempio, “un impegno più sottilmentepsicologico e uno stile più raffinato, con una capacità di seguire le sensazioni, illento movimento dell’animo di alcuni pastori, il destarsi di due ragazzi alla vita e alrancore” 1 . Nei Malavoglia Verga, non analizza, non comunica i pensieri, le im-pressioni della gente di Acitrezza; la fa parlare e nelle parole “sono tradotte, inmaniera precisa, senza aggiunte, le reazioni, i pensieri”. Alvaro segue, invece, il suopersonaggio, suggerendoci lui le emozioni di quello, usando anzi la propria lingua,anche nelle inflessioni più sottili, per poter comunicare al lettore, fedelmente, ilmondo del contadino calabrese. Nelle prime pagine del romanzo descrive così ipastori:

“… I pastori cavano fuori i coltelluzzi e lavorano il legno, incidono di cuorifioriti le stecche da busto delle loro promesse spose, cavano dal legno d’ulivo la figurinada mettere sulla conocchia, e con lo spiedo arroventato fanno buchi al piffero dicanna. Stanno accucciati alle soglie delle tane, davanti al bagliore della terra, e aspet-tano il giorno della discesa al piano, quando appenderanno la giacca e la fiasca al-l’albero dolce della pianura. Allora la lune nuova avrà spazzato la pioggia, ed essiscenderanno in paese dove stanno le case di muro, grevi delle chiacchiere e dei sospiridelle donne. Il paese è caldo, è denso più di una mandra. Nelle giornate chiare i buoisalgono pel sentiero scosceso come per un presepe, e, ben modellati, e bianchi comesono, sembrano più grandi degli alberi, animali preistorici” 2.

Si nota in questo brano come lo scrittore abbia tradotto nel proprio linguag-gio tutta la situazione descritta, facendo passare attraverso la sua sensibilità l’espe-rienza del contadino, notando le case “grevi” di chiacchiere e di sospiri, il paese“caldo”, “denso”: sensazioni sottili, che certamente non si addicono ai contadini.Alvaro dice l’essenziale, non aggiunge nulla di sovrabbondante nel descrivere lascena; egli è piuttosto attento a cogliere lo stato d’animo del contadino che pensaalle case di pietra, alle piante dolci, non selvagge, della pianura.

A voler guardare, poi, ad una situazione consimile, in D’Annunzio o inSlataper, ci si accorge che parecchie cose cambiano. I pastori dannunziani assumo-no, per esempio, atteggiamenti falsamente primitivi, ieratici, biblici, indugiando nonpoco nella diluizione del dettato, con tendenze all’estetismo. Alvaro, invece, tradu-ce il tutto in un linguaggio estremamente fine, ma non aggiunge nulla che non sianel quadro, come cioè potrebbe essere visto dalla gente del posto, nei singoli mo-menti. Lo scrupolo nel ritrarre la “verità” dei fatti è fedele, senza intromissioni.Giustamente è stato osservato che “la posizione di Alvaro è quella di chi usa unagrande sapienza stilistica a servizio della materia da rendere, per darci col maggior

1 R. MONTANO, Il romanzo fra le due guerre, in Novecento-La letteratura e il pensiero, Napoli, EditriceG.B. Vico, 1980, pp.260-269.

2 C. ALVARO, Opere I, Milano, Bompiani, 1990, pp. 347-348.

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Giuseppe De Matteis

rigore possibile le sensazioni, i moti dell’animo, le reazioni anche impercettibilidella conoscenza, del sentimento dei suoi personaggi […]. Gente in Aspromontenon vuol darci una pura descrizione di aspetti del paesaggio e del costume tradottinei modi di un letterato assai fine. Alvaro ha pensato a un’azione in cui si manife-stano al vivo, le tensioni interne, umane di quella società”3 . C’è, cioè, da parte diAlvaro, oltre all’organatura definitiva di un romanzo, anche lo sforzo di “capire”,di “illuminare”. E ciò serve sicuramente a porre in evidenza le qualità più distintivedi questo scrittore: la mobilità dell’intelligenza, una solida esperienza culturale eletteraria, una coscienza morale salda, una profonda assimilazione delle forme piùavanzate della cultura europea, verso la quale Alvaro si aprì progressivamente, acominciare dalla tematica meridionalistica allo sperimentalismo e all’utopismo let-terario del dopoguerra, dall’attività giornalistica alla crisi di ritorno e di rigetto,dalla campagna alla città, dal Meridione all’Europa.

L’attaccamento alla gente calabra è, però, l’aspetto che connota meglio l’uo-mo e lo scrittore, poiché Alvaro è fondamentalmente persona del Sud, legata da unforte rapporto affettivo, culturale e sociale alla sua terra, alla sua razza. E la razza è,per Alvaro, tutta la popolazione calabra, nella più ampia accezione del termine, percui ad essa “si rapportano l’antica stirpe bruzia, e i greci e gli arabi e quanti altrioccuparono le nostre terre meridionali e l’Italia, non solo ma i loro ordinamentipolitici, le loro norme etiche, il prodotto di civiltà che quelle popolazioni trasmise-ro a noi”4. L’appartenenza alla razza costituisce una componente essenziale dell’ar-te di Alvaro, “delle sue convinzioni ideologiche, della sua stessa norma di vita, dimoralità, di costume da proporre a ideale”; essa si identifica con le forze primigeniedi una “natura aspra e selvaggia”, di una natura di “pietra” (uomo di coccio cometanti altri uomini della sua razza) e costituisce per lo scrittore la sua libertà, l’indi-pendenza necessaria per poter svolgere fino in fondo e per bene la propria missio-ne, salvando così la sua misura di uomo, la sua coerenza e la sua dignità. L’attacca-mento al suo mondo e alla sua gente ha, dunque, ragioni morali e sentimentali e nonpuò che rappresentare il centro unitario dell’arte di Alvaro: da qui il ritorno idealealle fonti favolose di un passato, ad un mondo elementare visto nell’alone del mito.Alvaro guarda dall’interno la sua Calabria, come realtà personale e non geografica;egli sa proiettarsi nell’innocenza dell’infanzia e nella memoria, consapevole di sen-tire il legame concreto con la vita vissuta in paese, con gli insegnamenti di un tempoidealizzato. In Quasi una vita (1954), egli scriverà che il suo impegno è quello “diuno che rimane fedele al meglio di sé, alle sue origini, alla sua formazione, agli idealicon cui entrò nella vita”. Questa affermazione fa capire come la formazione di Alvarosi sia svolta secondo un paradigma morale fatto di visualizzazioni puntuali e precisesul mondo moderno. La sua sofferenza e il senso della solitudine scaturiranno pro-prio dal costante confronto tra queste due realtà, quella del paese, approdo idealedell’anima, e quella della città e del mondo, in cui lo scrittore medita sui fatti del

3 R. MONTANO, op. cit., 262.4 P. PIZZARELLI, C. Alvaro, in “Scrittori calabresi”, Cosenza, Pellegrini, 1996, p. 22.

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Calabria come approdo dell’anima nella poesia di Alvaro

costume e della civiltà, traendone motivo per giungere ad una celebrazione dellavita (così sarà, per esempio, nei due libri postumi: Roma vestita di nuovo e Belmoro).

In Alvaro coesistono “impulsi e tendenze contrastanti, liricità assoluta o ra-ziocinio moraleggiante, regionalismo e cosmopolitismo, realismo e magia evocativa,disposizione verghiana e resa dannunziana” 5; ciò che, però, caratterizza la materianarrativa è un’atmosfera di isolamento e di solitudine, più insistente e più palesesoprattutto nei 75 racconti, compresi nell’edizione Bompiani delle Opere (vol. II,1994). Questo della solitudine è un dato costante un po’ in tutte le opere di Alvaro,nell’Uomo è forte, ad esempio, e fin nel lontano Uomo nel labirinto. Già EmilioCecchi, uno dei primi critici dell’autore calabro, metteva in rilievo, parlando dellasua produzione narrativa, la naturale severità e riservatezza di Alvaro. Si potrebbequi accennare ad una sola novella, Breve ritorno, per poter comprendere quale im-portante ruolo hanno avuto la solitudine e la malinconia in tutta la narrativa diAlvaro. Guido, un giovane calabrese, che vive a Roma la misera vita dell’impiegato,torna per una breve vacanza al paese natale: è deluso della vita cittadina e spera cheil padre voglia tenerlo con sé per sempre. Ma è costretto a fingere e a tacere per nondeludere il padre che si è fatto molte illusioni sulla “fortuna” del figlio, tanto chevorrebbe quel poco che ha e trasferirsi in città con la famiglia. Il giovane riprendeallora la via del ritorno con una gran pena nel cuore: la pungente nostalgia della suaterra e della sua gente. È un bel racconto, dov’è ben ritratta la vita triste, grama esoffocata dalle convenzioni, della gente di Calabria, segretamente pervasa dalla spe-ranza di mutar sorte, ma accompagnata da una grande tristezza:

“Quando Guido partì, suo padre lo accompagnò sino al colle, presso il tor-rente. Poi lo stette a guardare come il sole che tramonta. Gli disse quanto si voltò“Arrivederci” con voce incredula. I fratellini già ruzzavano in terra intorno a unastradicciola di formiche”.

Notiamo come lo scrittore, specie quello ultimo, riesce in qualche modo astaccarsi dal senso tragico della vita della gente meridionale. Se si analizza, per esem-pio, il finale del secondo capitolo del romanzo L’età breve, si vedrà come infanzia,fanciullezza e adolescenza rappresentano il tempo in cui si forma l’uomo e non ilrimpianto del perduto paradiso. Siamo all’inizio del Novecento, nell’immaginariopaese di Corace, in Calabria. Filippo Diacono ha annunciato al figliuolo Rinaldoche lo avrebbe mandato a studiare a Roma in un collegio di religiosi. Fin dalle pri-me battute del racconto si delineano chiaramente le figure e la vicenda, mossa pervie interne, è prevalentemente intima. Citiamo qui solo un breve passo:

“Ti dirò perché smisi [di studiare], disse il signor Oscuro. Una volta mio padremi mandò uno dei nostri contadini a portarmi certa roba. Il contadino aveva una suabisaccia; no, che dico? Aveva le provviste di viaggio messe nella manica della giacca, lagiacca la portava sulla spalla, la manica era legata in fondo, faceva come un sacco. Ioero stanco di quelle pappe che ci davano, e ficcai la mano in quella riserva, e trovai unpezzo di salsiccia, un bel pezzo di pane di grano, formaggio, frutta, e mi misi a man-

5 G. TROMBATORE, Narratori del nostro tempo, Palermo, Manfredi, s.d., p. 106.

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Giuseppe De Matteis

giare avidamente. E poi me ne rimase una tal voglia, che due giorni dopo scappavo dalcollegio e me ne tornavo a casa. Vedrai, vedrai Rinaldino, che brode, che pane, cheroba insipida. Ti assicuro che io non mi saziavo mai con quella roba, e mi sentivomolto stupido, proprio rammollito. Così me ne tornai a casa mia”.

Sono evidenti, in questi pochi brani citati, i temi critici dell’opera di Alvaro:da un lato la presenza di un corale lirismo e il recupero della memoria che con-notano gran parte della sua narrativa; dall’altro gli strumenti espressivi, che ave-vano fatto, è vero, la loro vigilia d’armi con la lezione del Verga, ma che avevanoallargato il loro orizzonte partecipando al clima di rinnovamento della lettera-tura europea di quegli anni (ricordiamo, in proposito, la sua collaborazione allarivista di Bontempelli, il “900”). Nella scrittura di Alvaro, infatti, affiora l’amal-gama dell’esperienza naturalistica, di quella memoriale proustiana e del mono-logo interiore. E le punte più alte di questi esiti stilistici si troveranno proprioin Quasi una vita. Già all’epoca di Gente in Aspromonte, però, lo scrittore haall’attivo alcuni volumi (da L’uomo nel labirinto, 1922, a L’amata alla finestra,1929), che mostrano l’influenza esercitata su di lui, pur così fortemente radicatonella realtà, sia da D’Annunzio sia dagli scrittori della prosa d’arte, cui vannoricondotte alcune preziosità classicheggianti del suo stile. La descrizione deipastori calabresi in Gente in Aspromonte, ad esempio, di cui abbiamo già parla-to, assume un particolare rilievo se la si confronta con la rappresentazione chedel pastore dà Vincenzo Cardarelli, teorico ed esponente di spicco della prosarondista, in una pagina di Prologhi. Viaggi. Favole (1937). Il confronto è tantopiù interessante in quanto la prima frase dello scritto di Alvaro sembra rove-sciare intenzionalmente la prima frase del testo cardarelliano; il rimando diAlvaro a questo testo, tra l’altro, può essere individuato anche nell’accostamentodio invernale-“pastore d’inverno”:

“È bello vedere il pastore d’inverno, in mezzo al vento, passare le sue giorna-te cantando e tirando sassi ai montoni irrequieti. È il pastore che fa l’inverno inMaremma Giacché se si lascia acchiappare dai primi calori e venti della primavera, èfinita, per lui e per il suo branco tosato e non più tenero: tutto se ne va in malora.Trascorre le intere giornate lungo la ferrovia e non è più lui. È già un pigro smarrito,un uomo d’altri tempi, che ci sorride sempre e non sa più che cosa ci stia a fare. Ilpecoraio è bello vederlo alla sua stagione, quando la ricotta non piglia d’acido e sainvece lievemente di fumo”.

A Cardarelli interessa relativamente la rappresentazione della condizione delpastore maremmano e il suo isolamento; a lui freme la realizzazione di una scritturaelegante e forbita, che segua i canoni della prosa rondista. Deriva da qui la sensazio-ne di distacco e di alta compostezza formale e stilistica che il suo dettato trasmette:la descrizione del pastore (“È bello…”) si rifà immediatamente ad un interesse dinatura estetica.

In tutt’altro contesto si colloca la rappresentazione del pastore Argirò inAlvaro: lo scrittore, pur non trascurando la dimensione “mitica”, emblematizzatanel dio greco, affida alla letteratura un compito di rappresentazione della realtà, per

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Calabria come approdo dell’anima nella poesia di Alvaro

suscitare un sentimento morale di partecipazione alle vicende del pastore e di con-danna dei latifondisti che vivono pigramente del lavoro degli altri. La staticità nonè consona né all’indole né alla produzione artistica di Alvaro. In lui c’è sempre laconflittualità (e l’osservazione è stata fatta quasi sempre dalla critica) fra il cosmo-politismo e il regionalismo, tra la vita artefatta del mondo benestante e la vita paesa-na, spesso, travagliata da seri problemi di povertà e di sofferenza: “Insieme con unsenso di solitudine primordiale e inerte, c’è sempre in Alvaro un’ansia di muoverealla scoperta del mondo esterno, che può essere quello della terra meridionale, comequello dei grandi agglomerati urbani. E se il viaggio della sua fantasia verso la Calabriaappare più suggestivo e poetico, questo avviene perché nel primitivismo paesanoegli spera di trovare una natura umana più vergine e schietta”6. La sua è una storiacircolare: dalla solitudine iniziale alla ricerca del mondo, alla delusione e al definiti-vo rifugio nella propria interiorità. Giustamente Geno Pampaloni, a proposito diquesta apertura alvariana sul mondo, parlando dei racconti come tra le opere mi-gliori e sicuramente più congeniali allo scrittore, osservava: “Con Alvaro il raccon-to perde definitivamente il carattere di “forma chiusa” che aveva avuto la novellanella tradizione italiana, dai classici trecenteschi sino al bozzetto dell’Ottocento: eassume una forma nuova, aperta e insieme carica di significazioni allusive alla “to-talità del reale”, frammento di un discorso ove è sigillata l’incompiutezza della vitaumana, il suo interminabile “segreto”7.

E, sempre il Pampaloni, nella Premessa al secondo tomo delle Opere di Alvaro(Milano, Bompiani, 1994, p. VII), scriveva: “Il meglio di Alvaro va cercato nei rac-conti e nei diari […]. La sua vera vena è quella di scrittore di racconti. In essi eglitrova il suo giusto ritmo di narratore allusivo, volutamente incompiuto, spazio aper-to” e cita come esempi l’incipit di Cavalla nera e Solitudine, “racconto molto bel-lo”, dove si registra, cosa assai rara nella nostra narrativa, “un amalgama [felice] tramemoria, speranza e , appunto, solitudine […Anche] i racconti ambientati all’este-ro sono tagliati nella stessa stoffa. C’è sempre come un moto pendolare, tra la gran-de città cosmopolita e il vecchio paese […]. A mia conoscenza, non c’è altro scritto-re italiano che abbia saputo esprimere con tanto vigore lo spatriamento, quello cheMeneghello chiama il “dispatrio”, e il senso di un’avventura europea”.

Un autore dal respiro europeo, dunque, Alvaro ma profondamente radicatoalla sua terra; non sappiamo, perciò, se sarebbe diventato quel grande scrittore cheè se non fosse nato a San Luca di Calabria e non fosse rimasto tormentosamenteattaccato alle proprie radici, fino alla fine dei suoi giorni. Egli - come scrisse Pancrazi-parlava sempre “della sua Calabria, e calabrese restò”; in effetti, Alvaro rivendicò,in ogni occasione, per iscritto ed oralmente, la sua appartenenza alla razza calabra:

6 G. TROMBATORE, op. cit., p. 108.7 G. PAMPALONI, Poeta dei segreti, saggio introduttivo a Opere di C. Alvaro, vol. I, Milano, Bompiani,

1990, p. XXII.

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Giuseppe De Matteis

“Io sono uno degli scrittori meridionali contemporanei. Sono calabrese, natoin un villaggio della più remota montagna della penisola italiana, l’Aspromonte[…]. Nella mia vita di scrittore ho dedicato gran parte del mio lavoro alla gentedella mia terra, facendo mio il suo rancore contro la classe dirigente” 8; indicò ilmodo di agire e le qualità dei calabresi: il riserbo e il pudore, il senso della dignità,l’abitudine al risparmio, la necessità di comunicare, di colloquiare (Un treno, in Untreno nel Sud, Milano 1958; ma si veda anche Diario, in Ultimo diario, Milano 1959).Alvaro sente, inoltre, l’orgoglio di essere stato preceduto da grandi uomini, calabresicome lui, quali Gioacchino da Fiore, Francesco da Paola, Tommaso Campanella,amanti della giustizia e appassionati cultori dell’immagine metafisica delle cose, deigrandi ideali e “delle idee universali”9. Il calabrese è portato, ancora “ai grandi con-cetti, alle grandi idee”, comportamento riscontrabile anche nella gente più umile10.Campanella è, però, il filosofo-poeta metafisico nel quale più si riconosce la gentedi Calabria: egli è “il calabrese più italiano, uno degli italiani più vivi, quello che siaccostava alla vita e alla civiltà e all’avvenire partendo dal popolo, dal senso religio-so della Calabria monastica” 11. I calabresi sono inclini alla speculazione filosofica,alla metafisica e, dunque, naturalmente orientati agli studi classici, che “sono anchestrumento di elevazione sociale”12. Alvaro sostiene che forte è nei calabresi l’amoreper la natura, quella più aspra, che deve esprimere la fatica del contadino, uomodalla forte tempra, abituato a convivere con i terremoti, con le alluvioni, le frane; daqui il senso della fatalità, istintivo nel calabrese, che è lì pronto a subire la violenzadelle fiumare, che prima o poi travolgeranno ogni cosa13.

Altro fondamentale concetto della calabresità di Alvaro è dato dalla famiglia,che si ispira ai grandi valori morali della rinuncia e del duro lavoro, “la piccolafatica terribile”, come egli affermava, di ogni giorno. “La forza della Calabria è[dunque] nella sua struttura familiare. La famiglia è la sua spinta vitale, il campo delsuo genio, il suo dramma e la sua poesia”14. Sono le donne le colonne portanti delnucleo familiare e la loro fatica è “la più rituale e persino liturgica”, come ha scrittoil Mazzalli (ivi, p.33); la “fedeltà alla fatica” è anche la vocazione delle madri, che,assolto il compito di far crescere i figli, si trovano “alle soglie dell’ospizio dei pove-ri”15.

I mali del Mezzogiorno sono proiettati in lontananza in tutto il discorso nar-rativo (racconti, romanzi, saggi, diari di viaggio) di Alvaro, assumendo le forme diistituzioni antropologiche e culturali. Il passato assume il senso lirico dell’infanzia,

8 C. ALVARO, Letteratura ricca e vita povera, in Totalitarismo e cultura, Milano, 1957, pp. 245-246.9 IDEM, Itinerario italiano, ivi 1941, e Una vita, in Quasi una vita, ivi 1950.10 IDEM, L’animo del calabrese, in “Il Ponte”, sett. - ott.1950.11 IDEM, Calabria, in “Lyceum”, Firenze 1931.12 E. MAZZALI, La Calabria di Alvaro, in “Ausonia”, n. 3-4, 1978, p.31.13 C. ALVARO, Itinerario italiano, p. 282, e Il tempo, p. 39-40.14 IDEM, Itin., pp.284-288.15 IDEM, Il tempo, pp. 12-13 e 16.

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sulla quale lo scrittore d’invenzione fa regredire il presente. Le opposizioni stori-che convergono sul recupero del “paese”, cosicché l’emigrato (altro importanteproblema affrontato da Alvaro) ritorna dall’America (“mondo nuovo”) al suo pae-se d’origine, e vi s’integra di nuovo16. Ma il ritorno al paese “non è solo memoriadell’infanzia” per Alvaro; lo scrittore è anche “moralista attento” e sollecito a ricer-care “se e come l’individuo riesce a salvare la sua individualità ontologica e morale,la sua integrità umana. La storia progressista, in senso tecnologico, aliena e deformal’uomo. Al contrario l’uomo salva e compie la propria personalità e libertà nei valo-ri culturali della sua regione” 17.

Alvaro aderisce pienamente alla realtà popolare calabrese, orientando l’inda-gine del proprio personaggio in maniera critica, annunciandone la sua fabulatio giàdalle prime prove narrative: La siepe e l’orto, opera del 1920.

Temi privilegiati nella narrativa di Alvaro, sono l’amore e la fatica, congiuntialla donna del paese e alla madre. Sono temi universali, che potrebbero suggerirequalche affinità con la narrativa di Pirandello e di Tozzi, specie se si pensa al deno-minatore comune della “roba”, di verghiana memoria. E si possono indicare quivari esempi: Ritratto di Melusina, Cata dorme, Madre di paese, Monologo, Cin-quanta lire, Il ragazzo solitario, L’età.

Altri temi rilevanti nella narrativa di Alvaro sono il senso della giustizia, for-temente integrato nella vocazione umanistica del popolo calabrese (si legga Genteoppure Villanova) e l’esilio, che comporta l’intervento lirico della memoria, la qua-le riesce a recuperare l’infanzia, esaltandone la dimensione mitica; e l’infanzia nonpuò che trovare il suo “habitat necessario e congeniale” nella Calabria: così avverràin Gente in Aspromonte, nei primi racconti di La siepe e l’orto, ne L’amata allafinestra e nei successivi 75 Racconti. Il romanzo postumo Mastrangelina (1960)svolge a fondo l’ambiguo gioco tra fedeltà e infedeltà al paese natale (Rinaldo viveormai a Turi, in bilico tra deludenti esperienze di amore e di lavoro). La protagoni-sta è la donna-mito dell’infanzia che si è ormai distrutta, poiché è passata dallo statodi innocenza all’esperienza della prostituzione, in età adulta.

Più intensa appare la trasfigurazione lirica nelle pagine di paesaggio, nellacapacità che lo scrittore rivela nel descrivere, in modo contemplativo, gli usi, i co-stumi, i riti pastorali, riconducendo il tutto “alla matrice dell’infanzia e quindi allaCalabria magica e liturgica”18. Basterà leggere, a questo proposito, le belle pagine diLa capra, in Quasi una vita (75 racconti), (pp. 262-264) e Una vita (pp. 61-62). Saràproprio Alvaro a confessarci che per lui “Non è possibile scrivere realisticamente[…]. La favola della vita mi interessa ormai più della vita”19. Al lirismo si affiancaora l’interpretazione esistenziale dei fatti umani; e lo scrittore scoprirà d’essere as-sai vicino a Pirandello, specie nell’indagine di alcuni importanti temi quali la purez-

16 IDEM, L’animo, p. 972 e Una vita, p. 212.17 E. MAZZALI, op. cit., pp. 34-36.18 E. MAZZALI, op. cit., pp. 38-39.19 C. ALVARO, Una vita, cit., pp. 257 e 424.

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Giuseppe De Matteis

za, l’amore, la donna, il “potere demoniaco dell’uomo”20. Oltre la frontiera delnaturalismo, Alvaro condivide in pieno la poetica di Pirandello, lavorando a fiancoa lui e producendo un tipo di scrittura più introspettiva, più analitica, più moderna:L’età breve (1946) e Parole di notte (1955) sono il frutto migliore della sua esperien-za postnaturalistica; in questi anni usciranno anche Paesi tuoi di Pavese (1941) eConversazioni in Sicilia di Vittorini (1942).

Tra questi, Alvaro è il solo scrittore che, sradicato da parecchi anni dal suopaese, pensa e canta la Calabria come entità mitica, come approdo aurorale,identificabile con l’infanzia, bella e cara stagione della vita. Le Langhe di Pavese e laSicilia di Vittorini non sembrano molto dissimili dalla Calabria di Alvaro, ma inrealtà essi non sanno recuperare gli aspetti più significativi della cultura etnica dellapropria regione, risalendo come Alvaro e, forse, in parte, Tozzi, a ritroso fino al-l’infanzia. Il recupero dell’infanzia, del passato, con l’aiuto della memoria, consen-te la salvezza dell’anima e dell’identità dello scrittore e, nello stesso tempo, significaresistenza di valori.

20 Si legga la Prefazione di C. ALVARO a L. PIRANDELLO, Novelle per un anno, Milano, 1969, p. 21.

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Angelo Rossi

Il breve scritto che qui pubblichiamo è una cartolina postale inviata da DiVittorio da Lugano il 10 dicembre 1914 (data del timbro postale) al seguente indi-rizzo: “Al Cittadino Efisio Orano-Federazione dei Lavoratori - Bitonto (prov-Bari) Italia” e pervenuta al destinatario l’11 dicembre1914 (data del timbro postale).

Il testo è questo: “Carissimo Orano, so che avete tenuto una specie di conve-gno, non so dove, per deplorare la nostra partecipazione ad un preteso FascioMussoliniano che si sarebbe costituito a Lugano. Stando alla corrispondenza che ave-te letto sul “Popolo” (“Il Popolo d’Italia”, fondato il 15 novembre 1914 da BenitoMussolini, Ndr) avete fatto molto bene. Io, nei panni vostri, avrei fatto lo stesso. Peròti avverto che la corrispondenza al “Popolo” in cui si parlava del Fascio ecc., fu unainvenzione. Fu un trucco fatto a Mussolini dai suoi nemici di qua. Di fatti, avrete giàletto la smentita sull’istesso “Popolo”. Assemblee di profughi per quello scopo nonse ne sono mai tenute, nè mai fra i profughi si sono manifestate idee favorevoli allaguerra. Sono contro a tutte le guerre pur non approvando il contegno conservatoredel P.S.I. e mi dichiaro solidale pel Sindacalismo e per la rivoluzione, sempre.

Saluto tutti i compagni e a te con distinta stima tuo G Di Vittorio”.Il destinatario, il “cittadino Efisio Orano, è un sindacalista sardo che svolge atti-

vità di organizzazione sindacale in Puglia ed è esponente della stessa corrente delsindacalismo rivoluzionario, alla quale si richiama esplicitamente lo stesso Di Vittorio.

Lo scritto è interessante perchè riguarda il formarsi della posizione di DiVittorio in un momento storico decisivo per il nostro Paese. Di Vittorio si trova aLugano, come profugo, in quanto colpito da mandato di cattura insieme ad altri 30,in conseguenza della dura repressione poliziesca sviluppatasi dopo l’eccidio diAncona e gli avvenimenti della “Settimana rossa” nel giugno 1914.

A Bari, in particolare, dove l’8 giugno era stato proclamato lo sciopero gene-rale di protesta, la polizia, benchè la città fosse calma e non si registrasse alcunincidente, era intervenuta per stroncare la protesta dei lavoratori. Fra questi vi fu-rono tre morti e molti feriti. Di Vittorio è costretto alla latitanza e all’espatrio clan-destino in Svizzera.

Durante l’esilio a Lugano, scoppia la crisi europea ed ha inizio la prima guer-

Di Vittorio e l’interventismo: un ineditodi Angelo Rossi

1 M. ISNENGHI-G. ROCHAT, La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Milano 2000, pp. 5-13 e p.85e ss.; R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario1883-1920, Einaudi, Torino 1965. Cap. IX: “La crisi della guer-ra” e Cap. X “Il mito della guerra rivoluzionaria”; L. VALIANI, Il Partito Socialista nel periodo della neutralità,“Annali Feltrinelli”, Milano, 1962.

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Di Vittorio e l’interventismo: un inedito

ra mondiale. La sequenza tragica degli avvenimenti è troppo nota e non v’è necessi-tà di riesaminarla. Pare opportuno, invece, richiamare la discussione che si svolseall’interno del PSI all’indomani dello scoppio della guerra mondiale. Infatti era an-cora in pieno svolgimento la polemica sulla “settimana rossa” quando il 28 giugno1914 si ebbe l’attentato di Sarajevo nel quale trovò la morte l’erede al trono dell’Im-pero asburgico, l’arciduca Francesco Ferdinando. La situazione precipitò in luglio eall’inizio di agosto la guerra fra gli Imperi Centrali da una parte e l’Intesa costituitada Francia, Gran Bretagna e Russia era incominciata. L’Italia alleata degli ImperiCentrali, messa di fronte alle iniziative unilaterali, non concordate di Austria eGermania, aveva scelto la neutralità. Nell’immediato, le conseguenze politiche piùdisastrose colpirono il movimento operaio e l’Internazionale socialista: non vi fuun’iniziativa unitaria per impedire il conflitto europeo attraverso la mobilitazionedelle masse operaie e lo sciopero generale internazionale, e i partiti socialisti deivari paesi europei impegnati nella guerra si divisero e seguirono le decisioni deirispettivi governi. Fu il crollo della Internazionale socialista.

C’era una situazione nuova che si doveva analizzare e nella quale occorrevaprendere posizione. Non si trattava di impedire la guerra, poichè essa ormai era inpieno svolgimento, con la partecipazione di Stati nei quali i dissensi e le divisionisembravano aver lasciato il posto ad una unanime volontà di lotta. In Italia, nonancora investita dalla guerra, si sviluppò immediatamente la discussione ed essainteressò tutto lo schieramento politico. Il Partito Socialista, in particolar modo,dovette assumere una decisione che non si inquadrava, come ci si attendeva, inun’azione unitaria di tutti i partiti socialisti.

La decisione del PSI riguardava il solo ambito nazionale, in quanto il peggio,la guerra, era già accaduto.

Questo è il punto di partenza per considerare lo sviluppo del confronto checoinvolse le forze politiche e che impegnò in modo particolare le varie anime delsocialismo italiano.

La scelta della “neutralità assoluta”, adottata dalla Direzione socialista il 3agosto 1914, interveniva a cose fatte, quando anche il governo italiano aveva decisodi non intervenire. Di certo, la “neutralità assoluta” veniva incontro al bisogno dipace a al ripudio della guerra, assai diffusi e prevalenti nel Paese, specie tra le massesocialiste e cattoliche ma si presentava come posizione provvisoria, non adeguata alritmo degli avvenimenti e alle diverse ipotesi del loro sviluppo, sia quella della vit-toria della Germania e dell’Austria, quale pareva profilarsi nelle prime settimane diguerra, sia l’altra ipotesi del successo dell’Intesa.

La decisione della neutralità presa dal governo Salandra aveva avuto una in-fluenza positiva, perchè aveva permesso di bloccare sul nascere la spinta di ambien-ti nazionalisti per la entrata in guerra dell’Italia a fianco degli imperi centrali, inosservanza degli obblighi contratti con l’alleanza.

Ma “la neutralità assoluta” non rispondeva nè alle aspirazioni dell’irredenti-smo, che era certo presente nello schieramento democratico e socialista (CesareBattisti, trentino e deputato socialista al Reichsrat di Vienna, era indubbiamente ilsuo esponente di maggior spicco) nè intercettava la vasta corrente di simpatia che siera andata formando nell’opinione pubblica del Paese nei confronti del Belgio, il

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Angelo Rossi

piccolo paese aggredito e invaso dall’imperialismo tedesco, che aveva fatto il suoesordio con la palese violazione delle norme del diritto internazionale e dei trattati,sprezzantemente definiti dal Cancelliere Bethmann-Hollweg “chiffons de papier”.

Si capisce la ricerca di nuove posizioni che superassero l’angustia della “neu-tralità assoluta”. Se si tiene presente lo svolgimento degli avvenimenti, allora si puòcomprendere il travaglio di giovani come Di Vittorio e il loro approdo a posizioniinterventiste.

La “neutralità assoluta” aveva il difetto di apparire conservatrice, di non pre-parare un intervento attivo delle forze popolari, anzi rischiava di consegnarle inuna condizione di passività all’iniziativa altrui. La neutralità di un paese come l’Ita-lia, collocato al crocevia di uno scontro gigantesco di forze e di interessi, non avevafuturo; per quanto sentita fosse l’aspirazione alla pace da parte delle masse popolariitaliane, non era possibile per l’Italia ritagliarsi nella neutralità un rifugio sicuro inattesa che la tempesta si placasse. Nei fatti la neutralità assoluta assunta come riferi-mento principale della politica socialista in Italia, per quanto ammantata di riferi-menti a nobili idealità, alla fine ebbe una funzione oppiacea nei confronti delle mas-se poichè la sua traduzione in termini di pratica politica fu quella del “non aderire,nè sabotare” cioè quella della subordinazione passiva alle scelte, anche le più pe-santi, operate dalla classe dirigente e dai suoi vertici politici e militari.

In questo quadro in rapido movimento, in questa situazione dinamica si presen-tano dubbi, ripensamenti, si sviluppano discussioni aspre e non solo i rapporti politicima anche le relazioni umane sono sottoposte ad una dura tensione. Di questa realtà èespressione il testo che poniamo all’attenzione del lettore e che proviamo ad analizzare,con riferimenti al contesto storico dell’epoca. Dobbiamo tener conto che Di Vittorio,nel momento in cui scrive, è un giovane di 22 anni dalla forte personalità, già segnato daesperienze di vita e di lotta durissime, riconosciuto come militante e dirigente del movi-mento operaio in Puglia, di orientamento sindacalista - rivoluzionario, che si sta con-frontando in un ambiente ricco di passione politica e di fermenti culturali, quale quellodei rifugiati di Lugano, con le contrastanti tesi che si sviluppano sulla guerra e sull’avve-nire della rivoluzione. È questo il punto di partenza: non si capisce nulla dell’evoluzio-ne successiva se non si tiene presente che Di Vittorio è un proletario rivoluzionario, chenon accetta lo stato di cose esistente in Italia, che ha conosciuto sulla sua pelle e suquella dei braccianti della sua Cerignola che cosa è il dominio di classe.

La lettera segna chiaramente che la riflessione di Di Vittorio è in corso, chenon è approdata ancora a conclusioni certe; si presenta difensiva nei confronti deldestinatario, con il chiarimento che non vi è stata alcuna partecipazione ad un pre-teso “Fascio Mussoliniano” la cui costituzione non c’è mai stata tra i profughi diLugano. Nella ricerca di una sintonia con l’interlocutore, si spinge sino a dire, chese le cose fossero state vere, come le ha presentate una corrispondenza del “Popolod’Italia”, certamente egli, al posto dei sindacalisti pugliesi, si sarebbe comportatonello stesso modo, deplorando la formazione del “Fascio” e la partecipazione adesso. È opportuno richiamare all’attenzione del lettore che il termine “fascio” ave-va un significato assai diverso da quello poi invalso, dopo l’affermazione del Fasci-smo, e comunque, a partire dalla fondazione dei “Fasci di combattimento” periniziativa di Mussolini, nel 1919. Il termine “fascio”, diffuso nella pubblicistica po-

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Di Vittorio e l’interventismo: un inedito

litica, riveniva dall’esperienza siciliana dei “Fasci dei Lavoratori” del 1892 e defini-va la convergenza e l’unione di forze politiche, nel riconoscimento di un comuneinteresse e per il raggiungimento di una comune finalità. Nella lettera di Di Vitto-rio, dopo questa premessa di chiarimento dove appare la preoccupazione del mili-tante di non perdere il rapporto con i suoi compagni di fede e di lotta nella regioned’origine, v’è una seconda parte in cui si manifesta un’incertezza e una ricerca inatto. Non vi sono appigli sicuri, salvo la riaffermazione di una fedeltà agli ideali. Èevidente che Di Vittorio non giudica negativamente l’azione di Mussolini, in quelmomento, tanto da presentare l’ipotesi che ai danni dello stesso Mussolini possanoesservi delle mene, degli intrighi diretti a metterlo in difficoltà, in cattiva luce. Egliavverte Orano del “trucco fatto a Mussolini dai suoi nemici di qua”, con la “inven-zione” del “Fascio”. Da quanto scrive Di Vittorio, si deduce che egli leggeva il“Popolo d’Italia” ed era informato sull’evoluzione dei rapporti tra il Partito Socia-lista e lo stesso Mussolini. E questi rapporti si erano conclusi, all’epoca della letteradi Di Vittorio, con una drammatica e definitiva rottura.

Questi sono i momenti salienti della vicenda:1) il 18 ottobre 1914 veniva pubblicato sull’ “Avanti!” un lungo articolo del

suo direttore, Benito Mussolini, dal titolo “Dalla neutralità assoluta alla neutralitàattiva e operante” che presentava il nuovo indirizzo che, secondo Mussolini, il so-cialismo italiano doveva assumere;

2) nei giorni immediatamente successivi, la Direzione socialista si riuniva edecideva di respingere la posizione di Mussolini. Questi si dimetteva da direttoredell’ “Avanti” il 21 ottobre;

3) il 15 novembre usciva il primo numero de “Il popolo d’Italia”, fondato ediretto Mussolini;

4) il 24 novembre la sezione milanese del PSI deliberava a larga maggioranza l’espul-sione di Mussolini dal Partito. Il 29 novembre la Direzione ratificava la decisione.

Ora tutti questi avvenimenti erano conosciuti da Di Vittorio quando scrivevaad Orano e quindi riferire, come fa, che “Assemblee tra i profughi non se ne sono maitenute, nè mai fra i profughi si sono manifestate idee favorevoli alla guerra” sembraessere da un lato la constatazione di una situazione, dall’altro il tentativo di rassicura-re i compagni sull’andamento della discussione all’interno dell’ambiente dei profu-ghi luganesi. La chiusa della lettera è significativa: Di Vittorio sente il bisogno di fareuna dichiarazione di fede rivoluzionaria e di ribadire il suo impegno contro “tutte leguerre”, anche se non approva “il contegno conservatore del PSI”.

È questo il passo più impegnativo e che deve essere interpretato, soprattuttoin considerazione del successivo atteggiamento di Di Vittorio, dichiaratamente in-terventista.

Infatti, come narra M. Pistillo, nella biografia dedicata al grande dirigentepugliese, questi fa ritorno in Puglia il 5 gennaio 1915, in seguito all’amnistia conces-sa per i fatti della Settimana rossa.

“Di Vittorio-scrive Pistillo- vive drammaticamente questo problema (quellodella guerra, n.d.r.) e la scelta da compiere. La maggior parte dei dirigenti sindacali-sti (De Ambris, Corridoni, Masotti) si sono dichiarati a favore dell’intervento delnostro Paese a fianco della Francia e dell’Inghilterra. Questo fatto ha portato ad

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Angelo Rossi

una frattura nell’USI, ove la corrente anarchica capeggiata da Armando Borghi, èdecisamente attestata contro la partecipazione al conflitto e per la neutralità. Sulterreno dell’interventismo si realizza un incontro importante tra Mussolini e moltidirigenti sindacalisti. La posizione di Di Vittorio prima oscillante e, comunque,critica nei confronti della neutralità assoluta, si fa via via più vicina alle posizioniinterventiste di De Ambris, Corridoni, Mussolini. Di Vittorio non ignora quale sial’orientamento dei lavoratori pugliesi. Egli sa benissimo che questi sono contro laguerra e vogliono ad ogni costo tenere il nostro paese fuori del conflitto.

Ma di fronte all’avvenimento, e sotto l’influenza dei maggiori esponenti delsindacalismo rivoluzionario, sbanda, assume una posizione sbagliata e si dichiara afavore dell’intervento dell’Italia. Chiamato alle armi,scrive unarticolo per “Il po-polo d’Italia” (18 giugno 1915) il quotidiano diretto da Benito Mussolini, dal titolo:“La guerra liberatrice cementa l’unità nazionale-Come partono i soldati di Puglia”,nel quale sostiene la necessità della guerra come anticipazione di quella di classe chedovrà portare la liberazione ai lavoratori”2.

Sappiamo che Di Vittorio fece servizio militare per tutta la durata della guer-ra e oltre. Ferito gravemente in un combattimento sull’altipiano dei Sette Comuni,fu dichiarato inabile alle fatiche di guerra; poi trasferimenti a Roma, all’isola dellaMaddalena, in Sicilia, fino a Bardia, al confine con l’Egitto. Praticamente confinatoper motivi politici, Di Vittorio ritornerà in Italia solo nell’agosto1919, quando laguerra è finita da un pezzo.

Ho richiamato gli eventi successivi della vita di Di Vittorio, durante il con-flitto mondiale, per sottolineare che nel giovane sindacalista, profugo a Lugano,stava maturando, per motivi ideali, una scelta piena di rischi e di pericoli.

In questo sta la spiegazione del periodo conclusivo della lettera ad Orano,che può apparire reticente, perchè Di Vittorio non esprime un orientamento a favo-re dell’intervento, quale invece sarà manifestato con grande passione alla vigiliadell’entrata in guerra. Si trattava di una riflessione sofferta, ma chiaramente emer-geva un’attenzione nei confronti di Mussolini, quando questi già aveva rotto con ilpartito socialista e l’ “Avanti” aveva iniziato una campagna contro il suo ex diretto-re espulso, ponendo, con grande forza polemica, il problema del finanziamento del“Popolo d’Italia” e delle sue fonti sospette (“l’oro francese”).

Di Vittorio, in modo semplice e diretto com’era nella sua natura, scrive adOrano, tendendogli idealmente la mano, ribadisce di essere contrario “a tutte leguerre” e conclude con l’affermazione della sua fedeltà alla causa delle classi lavora-trici - “pel sindacalismo” - e della rivoluzione liberatrice.

Ma il giovane rivoluzionario pugliese proprio nello stesso dicembre del ‘14va precisando la sua posizione in senso decisamente interventista. Prima un artico-lo polemico apparso il 18 dicembre nei confronti dei socialisti svizzeri sul settima-nale Libera Stampa, e finalmente, al ritorno in Italia, dopo l’amnistia per i fatti della“Settimana rossa”, il discorso pronunciato a Cerignola il 4 gennaio 1915 documenta-

2 M. PISTILLO, Giuseppe Di Vittorio, Lacaita, Manduria,1987, p.58 e ss. e più ampiamente M. PISTILLO,Giuseppe Di Vittorio 1907-1924, Editori Riuniti, Roma 1973, pp.159-176.

M. MAGNO, Galantuomini e proletari in Puglia, Bastogi Foggia 1984, pp. 206-211

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Di Vittorio e l’interventismo: un inedito

no che Di Vittorio, sciolti i dubbi, si sta schierando per l’entrata in guerra dell’Italia afianco dell’Intesa. L’interventismo di Di Vittorio è fervente: l’Internazionale del 24aprile pubblica una lettera di adesione alla dichiarazione che sullo stesso giornale èstata pubblicata il 10 aprile, a firma di Alceste De Ambris, Michele Bianchi, PietroNenni, Luigi Razza, Maria Rygier ed altri. Infine l’articolo sul Popolo d’Italia.

Il filo conduttore in questo lungo e contraddittorio percorso divittoriano è ilgiudizio politico che viene espresso nella lettera ad Orano e si riferisce al “contegnoconservatore del PSI”. Questo giudizio è maturato in Di Vittorio, sindacalista rivo-luzionario, nella considerazione dell’insufficienza del PSI durante la Settimana ros-sa e della debolezza della politica della “neutralità assoluta”. Questa politica, sap-piamo, fu giudicata positivamente da Lenin, ma solo perchè fu ritenuta un puntoper il passaggio ad una azione politica ispirata alla tesi della trasformazione dellaguerra imperialista in rivoluzione proletaria, che fu poi l’idea centrale della Rivolu-zione d’ottobre del ‘17, in Russia. Ma la neutralità assoluta non portò alla rivolu-zione, si tradusse invece nel “non aderire, nè sabotare”. Si presentava drammatica-mente la crisi del socialismo italiano che ebbe una prima grave manifestazione nel‘14 e poi si sviluppò durante il “biennio rosso”, fino al tracollo nel 1922 e all’avven-to del fascismo.

Rispetto alla passività di quella politica, l’agitazione interventista, s’impose,perchè, sia pure contraddittoriamente, esprimeva la insofferenza diffusa nella societàitaliana rispetto allo status quo politico, sociale e giuridico-istituzionale. In questaagitazione confluivano forze diverse, di orientamento addirittura opposto: democra-tici e liberali invocanti fraternità latina, antimilitarismo, lotta della civiltà contro labarbarie, la liberazione di Trieste e Trento come coronamento della lotta risorgimen-tale; sindacalisti rivoluzionari ed ex socialisti, come Mussolini, che consideravano laguerra come un’occasione rivoluzionaria; profughi delle regioni “irredente” comeCesare Battisti; nazionalisti, banditori delle aspirazioni imperialistiche della giovanepotenza italiana, che all’inizio del conflitto premevano perchè l’Italia entrasse in guerraa fianco dell’Austria e della Germania; artisti, letterati e uomini di cultura come D’An-nunzio e il “futurista” Marinetti che contribuirono non poco, attraverso un’intensacampagna propagandistica, a veicolare l’interventismo nell’opinione pubblica e inconsistenti strati della popolazione italiana, particolarmente nella piccola e mediaborghesia. La gioventù studentesca aderì entusiasticamente all’agitazione, rendendo-si protagonista del movimento di piazza che anticipò e presentò come “popolare”,voluta dal paese e imposta al parlamento, la scelta della guerra. I mesi che precedette-ro il maggio1915 furono il momento in cui le più diverse tendenze della società italia-na, spesso in una torbida miscela di interessi non confessabili, di pulsioni alla violenzae di generose aspirazioni, confluivano, disponendosi alla grande mutazione che sisarebbe realizzata attraverso la guerra.

Ma al di là del fenomeno “interventismo”, che pure merita un’analisi specifica,la sostanza è che lo Stato unitario e la società italiana non potevano evitare lo strettopassaggio della guerra. Infatti se mantenere la neutralità per tutta la durata del conflit-to non era possibile - anche gli Stati Uniti d’America dapprima neutrali, entrarono inguerra; se per un’alternativa rivoluzionaria non esistevano volontà e forza, come di-

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Angelo Rossi

mostrava l’esito della “settimana rossa”, l’unico percorso praticabile restava la parte-cipazione al conflitto. In questo senso non credo si possa attribuire all’interventismouna corresponsabilità dell’ “inutile strage” - così la chiamò Benedetto XV - del con-flitto mondiale. Quando si pose il problema dell’intervento e il movimento nacque, laguerra, uno scontro di proporzioni gigantesche, senza precedenti nella storia, era giàin corso. Almeno nel ribollente movimento interventista c’era una tendenza, quelladell’interventismo democratico, che mirava a dare un primato alla direzione politica,ad aprire una discussione sulle finalità della guerra e quindi a non lasciare tutta laresponsabilità della condotta della guerra a Cadorna e allo Stato Maggiore che impo-sero la scelta degli assalti frontali e la guerra d’usura, e alla Nazione la conseguentespaventosa emorragia in vite umane 3. L’ultimo anno di guerra, dopo Caporetto e ladestituzione di Cadorna, dimostrò che era possibile condurre la guerra in altro modo,rispetto a quello praticato da Cadorna e Capello. Infatti sotto la direzione di Diaz,l’esercitò italiano subì perdite di gran lunga inferiori a quelle avutesi sotto il prece-dente comando: dal maggio1915 a tutto ottobre 1917 si ebbero medie mensili di 11.000morti e 27.000 feriti; nel periodo successivo le medie si abbassarono a 4.800 e12.000.

Fu l’interventismo del ‘15 l’anticamera del fascismo del ‘22? Se s’intende in-dicare una continuità tra il movimento interventista e il fascismo che nacque e sisviluppò nel dopoguerra sino alla presa del potere nel ‘22, bisogna notare che nel-l’interventismo erano presenti certamente forze democratiche che agivano per met-tere in discussione l’assetto arretrato della società nazionale ed anche tendenze chenon esitavano a qualificarsi come “sovversive” e rivoluzionarie. È questo un segnodi discontinuità e di distinzione che non può essere trascurato. D’altra parte, moltidegli interventisti furono tra i più fieri e risoluti avversari del fascismo non solo DiVittorio, ma Salvemini, Giovanni Amendola, Carlo Rosselli, e persino lo stessoAlceste De Ambris, esponente di primo piano del sindacalismo rivoluzionario, unodegli promotori della campagna per l’intervento fin dall’agosto ‘14, che divennepresidente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, organizzazione antifascista,morto poi esule in Francia. In conclusione non fu lo stesso insieme di forze politi-che e sociali a dare vita ai due movimenti.

Ciò detto, nel quadro dell’interventismo c’è un “problema Mussolini” cheesplode nell’ottobre ‘14 e ha conseguenze politiche enormi. Il fatto è che Mussolinisceglie di rompere con il PSI sul terreno della partecipazione italiana alla guerra,mentre poteva, con l’influenza e la popolarità di cui godeva, chiedere un pronun-ciamento del Partito, attraverso un Congresso. Bisogna osservare che quando escel’articolo famoso “Dalla neutralità assoluta alla neutralità relativa e operante”, l’ac-coglienza non è totalmente negativa. Il caso di Di Vittorio non è asssolutamenteisolato. Gramsci scrive il suo primo articolo, e allo scritto di Mussolini, il 31 otto-

3 Cfr. PIERO PIERI, L’Italia nella prima guerra mondiale, Einaudi, Torino 1965, p. 65 e ss. dove si analizza-no le prescrizioni tattiche del Cadorna, contenute nel “libriccino dalla copertina rossa, divenuto famoso:Attacco frontale e ammaestramento tattico”.

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Di Vittorio e l’interventismo: un inedito

bre dedica un’attenzione positiva 4.Mussolini realizza un’operazione politica di rottura con il PSI; ciò non era

affatto inevitabile, in quanto posizioni politiche contrastanti sulla questione, pureesssenziale della guerra, non avevano sino allora portato a una decisione estrema,quale la cacciata per indegnità. Se si esamina con grande attenzione l’evoluzione diMussolini dal luglio 1914 sino alla fondazione del “Popolo d’Italia” e, pur valutan-do questa come una crisi essenzialmente politica, non riconducibile a mero oppor-tunismo, non si può non concludere che Mussolini, sul terreno degli “interessi na-zionali” sceglie di operare il passaggio di campo.

Mussolini, restando nel partito e chiedendo un pronunciamento congressualesulle sue posizioni, poteva svolgere una funzione pedagogica. Probabile sarebbestata la formazione di una minoranza sulle sue posizioni, che avrebbe operato an-che nel prosieguo degli avvenimenti in modo partecipe e attivo. Mussolini, invece,scelse di andare per proprio conto: fece un giornale, con soldi che gli furono datidall’altra parte,e ruppe con il partito.

L’operazione politica è qui: la divisione tra il Partito Socialista, interprete delsentimento delle masse popolari, e le avanguardie, che si interrogavano sul futuro delPaese e che confusamente, in modo contraddittorio, cercavano una via di uscita. Eb-bene, restando all’interno del Partito, sarebbe stata definita una linea di confine trauna posizione favorevole all’intervento, in sintonia con le aspirazioni irredentistiche,interpretate da socialisti come Cesare Battisti, in difesa di popoli come quello belga eserbo, invasi dagli eserciti degli Imperi centrali, e l’opposto nazionalismo, primafilotriplicista, poi convertitosi all’alleanza con l’Intesa,ma pervaso da una spintaimperialistica, e animato da spirito antisocialista e antioperaio. Mussolini, per usareuna espressione gramsciana, tolse le “stecche dal busto”, cioè privò il partito sociali-sta di tanti giovani, militanti e attivi, come Di Vittorio, che non riuscivano ad accetta-re, pur restando nel loro intimo socialisti, la linea ufficiale del PSI.

Il “Popolo d’Italia”, nato con fondi sulla cui provenienza legittimamente l’ “Avan-ti!” insisteva con la domanda “Chi paga?”, divenne il punto di raccolta e lo strumentodi agitazione della minoranza interventista, nella confusione delle diverse posizioni.

Entra, a questo punto, in gioco l’uomo Mussolini, la sua formazione, la sua cultura,la sua smisurata ambizione, un Ego ipertrofico, e quindi la intima vocazione demiurgicacon la conseguente assoluta spregiudicatezza morale, in una parola il suo “machiavellismo”.

Mussolini svolse un ruolo enorme: intuendo l’urgenza drammatica del mo-mento storico e la funzione decisiva delle masse, giocò, in modo ambiguo e dema-gogico, le minoranze contro il Partito. Il risultato fu che il partito fu disarmato e leavanguardie interventiste democratiche e rivoluzionarie furono compromesse.

Fu in questa rottura storica creatasi sul terreno della fine dell’Internazionalesocialista, ma con una specificità italiana, che si gettarono le basi dell’antagonismofra socialisti e combattentismo, nel dopoguerra, che aprì le porte al fascismo.

4 A. GRAMSCI, Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino 1958, pp. 3-7.

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Angelo Rossi

Cartolina inviata da Giuseppe Di Vittorio a Efisio Orano.

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Francesco Violante

Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia.Dalle chartae del Codice Diplomatico Pugliese (1024-1266).

di Francesco Violante

Uno studio che verificasse puntualmente l’ipotesi di lavoro proposta nel ti-tolo certamente esulerebbe di molto dalle poche cartelle nelle quali esso deve esserecontenuto. Suo obiettivo è quindi fornire un primo e sintetico quadro dell’organiz-zazione del territorio, con particolare riguardo ai rapporti dinamici e mutevoli tracultum e incultum, di verificare quindi una possibile linea di tendenza progressivanello sfruttamento dello spazio agrario, sulla scia degli studi sull’argomento citatiin nota, nel territorio–campione della diocesi di Troia, scelto per essere già un “clas-sico” punto di riferimento per gli studi sulla Capitanata medievale1.

D’altro canto è opportuno rilevare che una ricerca, come la presente, con-dotta quasi esclusivamente sui documenti – e ciò spiega l’alto numero di note – hadei limiti nella natura stessa delle chartae, che registrano solo secondariamente datiriguardanti l’organizzazione sociale, produttiva ed economica, ma altrettanto na-turalmente tendono a registrare con più frequenza episodi di mutamento, piuttostoche elementi di continuità, negli ambiti di ricerca citati.

1. Biccari

Situato in alta collina, ai confini occidentali della diocesi, prossimo alle sor-genti del Vulgano, il castrum di Biccari, per la sua posizione strategica e per l’inten-sificarsi dello sfruttamento agricolo e pastorale del suo territorio, è il fulcro di unasignoria locale abbastanza intraprendente da cercare di sottrarsi all’influenza delvescovato di Troia2, del resto non l’unico potere ecclesiastico a rivendicarne l’inve-stitura della parrocchia3. È possibile ricavare le prime indicazioni sullo sfruttamen-to dello spazio agrario in un documento del 1122, con il quale Guglielmo d’Altavilla,signore di Biccari, fratello e vassallo del conte Roberto di Loritello, concede agli

1 Codice Diplomatico Pugliese, continuazione del C. D. Barese (d’ora in poi CDP), vol. XXI, Les chartesde Troia. Edition et étude critique des plus anciens documents conservés à l’Archivio Capitolare (1024-1266),ed. J.-M. Martin, Bari 1976 (d’ora in avanti CDP XXI).

2 CDP XXI, doc. 15 (1067), pp. 107-108.3 CDP XXI, doc. 41 (1113), pp. 160-165. Il riferimento è all’arcivescovo di Benevento.

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Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia

eremiti della chiesa di S. Leonardo, costruita nella sua silva, la chiesa di S. Panfilosul monte Erbemale, nei pressi del lago di Biccari, abbandonata dopo l’inizio deilavori, “cum omnibus terris et ortis que illius sunt”4. In esso emerge il ruolo spessoricoperto dalle istituzioni ecclesiastiche, d’accordo con la signoria locale, nellavalorizzazione agricola di terreni ancora in gran parte boschivi e come questo feno-meno non conosca sempre uno sviluppo lineare, ma proceda anche con provvisoriebattute d’arresto. Un quadro certamente più complesso e diversificato, e definitivo,per il periodo in questione, appare in due documenti, l’uno del 1144, l’altro del1177, arco di tempo in cui possiamo cogliere il culmine dello sviluppo di questoagglomerato5. Con il primo dei due documenti citati, Riccardo Drudæ Vallis, si-gnore di Biccari, restituisce a Ugo, vescovo di Troia, la decima dei canoni in denaroche riceve dagli abitanti di Biccari, dei beni della cattedrale e delle chiese di Biccari,e l’investe per baculum della metà delle decime “mei agri … vinearum et omniumolivarum nostrarum ac omnium vaccarum et iumentorum nostrorum omniumquenostrorum [pecoru]m et porcorum … de uno molendino … de alio molendino …de una petia terræ … de uno ortulo et fovea … de meditate unius petiæ vineæ … dequidam petia terræ cum arboribus quæ est iuxta Sanctum Vitum … de olivetoquodam … de terra cum olivis … de casa, vineis et terris … de quodam molendino…”6. Ulteriori informazioni è possibile ricavare dal secondo documento, in cui siha testimonianza delle contese sorte tra Guglielmo, signore di Biccari, e suo padreBrienus, e la cattedrale di Troia a proposito di alcune decime relative al territorio diBiccari e al monopolio del lavoro degli Ebrei. La Chiesa di Troia rivendica per sé“medietatem integram decimarum campi tui [scil. Guglielmo] quem in pertinentiisBiccari habes de fromento, ordeo, lino et leguminibus … et integras decimas vini etolei, vinearum et olivarum vestrarum curiæ Biccari, et decimas fructuumiumentorum, vaccarum, ovium, caprarum et porcorum”. La citazione, pur nel for-mulario tipico dei documenti notarili, è sufficientemente puntuale, anche nel docu-mento precedente e nel testo non riportato, per essere considerata indicativa ai no-stri fini. La produzione appare diversificata e comprendente cerealicoltura (fru-mento e orzo, secondo il modello mediterraneo e secondo le caratteristiche urbanee commerciali di questi grani), colture arbustive specializzate (vigneti e oliveti),colture orticole (lino), prodotti dell’allevamento7. Nel caso dei documenti citatinon è possibile dedurre se la coltura dei legumi fosse riservata agli orti o fosse inve-ce parte di un sistema di rotazione sui campi a cereali secchi.

4 CDP XXI, doc. 44 (1122), p. [171-172] 172.5 Cfr. MARTIN J.-M., Introduzione a CDP XXI, p. 43.6 CDP XXI, doc. 67 (1144), p. [219-221] 220. Sul valore del termine fovea come sorta di “magazzino

sotterraneo a forma cilindrica … rivestito con mattoni d’argilla” per la conservazione dei cereali cfr. LICINIO

R., Uomini e terre nella Puglia medievale. Dagli Svevi agli Aragonesi, Bari 1983, pp. 43-44.7 CDP XXI, doc. 94 (1177), p. [278-285] 280. Sul modello mediterraneo e sulla commercializzazione dei

grani cfr. ABULAFIA D., Le due Italie: relazioni economiche fra il Regno normanno di Sicilia e i Comuni setten-trionali, Napoli 1991 (ed. orig. Cambridge 1977); LICINIO, Uomini e terre cit., p. 49 e bibliografia ivi citata;MONTANARI M., Cereali e legumi, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo [Atti delle ottavegiornate normanno-sveve, Bari 1987], a c. di G. Musca, Bari 1989, pp. 89-110 e bibliografia.

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Francesco Violante

2. Foggia

La prima menzione certa della chiesa di Santa Maria di Foggia risale al 1092,citata all’interno del documento con il quale il duca Ruggero dona al vescovo di Troiail casale di S. Lorenzo in Carminiano8. Solo cinque anni dopo è possibile delineare unquadro più articolato dell’agglomerato di Foggia e delle sue attività economiche, no-tando la concessione del duca Ruggero ai canonici del capitolo di Troia della decimadelle rendite ducali di Troia e Foggia “de frumento et ordeo, meratico et oleo, data etplaceatio”9. Un’interessante cartula del 1125 mostra Foggia divisa in un castrum ed inun burgus, dotata di un proprio territorio e punto di riferimento, grazie alla presenzadi un hospitale, per i pellegrini che probabilmente si recavano a Monte Sant’Angelo10.Che la produzione di cereali, vino e olio sia caratteristica dello spazio agrario foggianoè confermata, e accresciuta con riferimenti ai prodotti dell’allevamento, da una nuovaconcessione di decime alla cattedrale di Troia da parte del duca Ruggero: “concedimus… totam decimam frumenti, ordei, vini … etiam et totam decimam dati atque terratici… Adicimus etiam decimationem omnium iumentarum, vaccarum, porco[rum],pecorum, agnorum, lanarum atque casei, insuper et de omnibus nostris molendinis”11.La presenza di vigne, specialmente nei sobborghi di Foggia, è ricavabile da più di undocumento. Nel 1159 il vescovo di Troia Guglielmo III riceve in dono da Pelagio,abate del monastero di Sant’Angelo di Orsara una casa, un orto e alcune vigne site “inpertinentiis Fogiæ”12, mentre nel 1162 la cattedrale di Troia riceve, tra le altre cose,ben undici “petias vinearum” in località Bassano, che con altre vigne confinanti sem-brano costituire un vero e proprio “quartiere”13. Schieratasi al fianco di Tancredi con-tro Enrico VI, Foggia subisce un assedio, condotto da Gualtiero, vescovo di Troia ecancelliere del Regno, che le causa la distruzione di vigneti e oliveti siti nei sobborghidella città14. Nel 1233 abbiamo notizia della cessione all’ospizio S. Lazzaro della Por-ta di David di Gerusalemme, da parte di Gregorio, vescovo di Troia, della chiesa di

8 CDP XXI, doc. 28 (1092), pp. 135-136.9 CDP XXI, doc. 32 (1097), p. [142-144] 143. Non mi è stato possibile ritrovare il termine meraticum in

alcun glossario o lessico di latino e latino medievale tra quelli più in uso come quelli di Du Cange e Forcellini,né consultando gli indici di altri volumi del CDP relativi alla Capitanata. L’editore dei documenti non segnalala particolarità linguistica, traducendola senz’altro con “vino”, credo facendola derivare da merus, o magarimeratus con funzione sostantiva e suffisso –icum. È un’interpretazione ragionevole, anche considerando ilcontesto, ma allo stato attuale non mi è possibile esprimere con sicurezza un parere. Altre ipotesi di lettura,come terratico o herbatico, richiedono una lettura diretta del documento, anche in fotografia o microfilm, chenon mi è stato ancora possibile condurre.

10 Cfr. MARTIN, Introduzione cit., p. 58 e CDP XXI, doc. 48 (1125), pp. 178-179.11 CDP XXI, doc. 53 (1128-1129), p. [191-192] 191.12 CDP XXI, doc. 76 (1159), pp. 241-244.13 CDP XXI, doc. 79 (1162), pp. 247-249.14 Cfr. MARTIN, Introduzione cit., p. 69 e CDP XXI, doc. 139 (1220-21?), pp. [376-392] 380-381: “Quod cancellarius

qui erat episcopus troianus at archiepiscopus … et Nicolaus Guastacarne cum comite Roggerio de Andria cum exercitusuo et cum clericis et toto populo troianis extiterunt ante Fogiam et obsederunt eam et devastaverunt ecclesias etconcusserunt ecclesias et combusserunt possessiones vinearum et oblivarum”. Sulla lotta tra il vescovato di Troia eFoggia cfr. MARTIN, Introduzione cit., pp. 67-72 e RYCCARDI DE SANCTO GERMANO Cronica, a c. di C. A. Garufi, in R.I. S.2 7/2, Bologna 1936-1938, rist. anast. Torino 1966, pp. 151, 161, 167, 184, 189-190.

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Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia

S. Lazzaro “in pertinentiis Fogiæ, extra habitationem ipsius loci, cum domibus, vineis,ortis, terris et possessionibus”15. Non che tutto il territorio di Foggia fosse coltivato,altrimenti non si spiegherebbero le parole con cui Guglielmo III, vescovo di Troia,autorizza San Leonardo di Siponto a che “vocabulum Sancti Leonardi in territorioparochiæ nostræ Fogiæ fundari, constitui et bonificari”16. Molto interessante infineun documento del 1177, in cui si proibisce all’abate di Pulsano e al priore di SanNicola di costringere le monache del monastero di Santa Cecilia nei pressi di Foggiaa coltivare la terra, di esigere una tassa per l’uso del mulino e di sottrarre loro i panniche tessono. Vale la pena riportare per intero i passi più significativi: “ad tantam inopiamdevenerunt [scil. le monache] quod, non habentes quid cultoribus agrorum suorumporrigant, relicto plaustro, ad campum exire coguntur ut malas et inutiles herbas quein agris nascuntur propriis manibus sicut duri messores exstirpent, et rursum temporemessis pro ciceribus et aliis leguminibus colligendis, quia non habent unde conducantoperarios, ipsas oporteat in campo pondus diei et estus miserabiliter sustinere, adaquas et longius a cenobio pro lana et pannis lavandis exeuntes”.

Il documento ci fornisce almeno tre spunti di riflessione, sull’esistenza di la-voratori salariati, sull’operazione della sarchiatura, fatta a mano, e sulla presenza sul-lo stesso campo coltivato a cereali di legumi, in particolare ceci, il che indica un tipo dirotazione che potremmo definire quanto meno “di tipo” triennale17. La presenza dilavoratori salariati e stagionali è un elemento caratterizzante della struttura economi-ca e sociale del territorio preso in considerazione, assieme alla concentrazione dellapopolazione in casali e grossi borghi fortificati, inquadrata da un potere signorilerigoroso, e denuncia un paesaggio agrario fondamentalmente costituito da campi apertia cereali e pascoli. Altro elemento della proposta interpretativa di Philip Jones18, PierreToubert e Rinaldo Comba19, per citare le parole dello storico francese, la“giustapposizione del cultum a carattere intensivo e dell’incultum pastorale”20, che siè involuta in un vero e proprio conflitto tra le due forme di gestione dello spazioagrario. Tra le poche voci discordanti quella di Mario Del Treppo, la cui tesi mi sem-

15 CDP XXI, doc. 149 (1233), pp. [409-411] 410-411.16 CDP XXI, doc. 91 (1156-1175), p. 274.17 CDP XXI, doc. 96 (1177), p. [287-289] 288. Su questo aspetto di grande rilevanza cfr. TOUBERT P.,

Paesaggi rurali e tecniche di produzione nell’Italia meridionale della seconda metà del secolo XII (1981), inID., Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell’Italia medievale, a c. di G. Sergi, Torino 1997_,p. [316-341] 328, con le considerazioni di LICINIO R., Masserie medievali. Masserie, massari e carestie daFederico II alla Dogana delle pecore, Bari 1998, che sostiene siano essi “esempi di grande rilievo ma nonindicativi di una pratica generalizzata, e comunque privi di riferimenti alla doppia aratura del maggese” (p.140, nt. 57). MARTIN J.-M., Le travail agricole: rythmes, corvées, outillage, in Terra e uomini nel Mezzogiornonormanno-svevo [Atti delle settime giornate normanno-sveve, Bari 1985], a c. di G. Musca, Bari 1987, p. [113-157] 117, ritiene possibile una rotazione triennale, ma più probabile, e quindi più diffusa, quella biennale.

18 JONES P., Storia economica Cambridge, I, Torino 1976 (trad. it. sull’ed. Cambridge 1966_), p. 478.19 COMBA R., Le origini medievali dell’assetto insediativo moderno nelle campagne italiane , in Storia d’Italia.

Annali 8: Insediamenti e territorio, a c. di C. De Seta, Torino 1985, p. [369-404] 394.20 TOUBERT P., La terra e gli uomini dell’Italia normanna al tempo di Ruggero II: l’esempio campano

(1979), in ID., Dalla terra ai castelli cit., pp. [300-315] 302-303.

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bra essere questa: ad un forte potere politico centralizzato (e negli anni considerati inquesto studio il riferimento è a Federico II) corrisponde un raggiunto equilibrio traagricoltura e allevamento21. Durante il Regno normanno Del Treppo ammette chel’iniziativa di trasformazioni agrarie, specie in senso vitivinicolo e olivicolo, sia statacondotta da un ceto di piccoli e medi proprietari e, aggiungerei, con il beneplacito esotto controllo signorile, rimanendo pur sempre in un contesto di carattere pastorale.È chiaro allora che le istanze di riequilibrio che Del Treppo attribuisce a Federico IIsono state rivolte ad una valorizzazione cerealicola a scapito di quelle colture specia-lizzate cui si accennava in precedenza. Tra “opposizione” e “integrazione” proporreiun’ipotesi di equilibrio variabile nel tempo tra le diverse componenti dell’economiarurale, che riconosca il ruolo economico dell’incultum, oltre al riconoscimento dellavalorizzazione di terre ad esso sottratte, e sul concetto di “specializzazione di funzio-ni” che propongo per il territorio di S. Lorenzo e di Troia.

3. Golfiniano, Montaratro, Ponte Albanito, S. Lorenzo in Carminiano

Si sono voluti considerare insieme questi tre agglomerati (considerandoGolfiniano come facente parte del territorio di S. Lorenzo in Carminiano) perchéprobabilmente più utile per comprendere, considerando l’evoluzione dello spazioagrario, l’immagine proposta da Jean-Marie Martin di un demanio ducale primiti-vo, probabilmente retaggio del demanio pubblico bizantino, sulla pianura e sullecolline fra Troia e Vaccarizza, nel quale si sono innescate alcune dinamiche di inse-diamento, dai tratti comuni nelle zone considerate22. Dei tre citati, l’agglomeratopiù importante è quello di S. Lorenzo in Carminiano. Nel 1092 il duca Ruggerodona e concede al vescovo di Troia Gerardo il “casale quod dicitur SanctusLaurencius in Carminiano cum omnibus rusticis tam presentibus quam futuris etcum omnibus pertinentiis suis”, e ne descrive i confini23. La principale attività eco-nomica sembra essere l’allevamento, tanto che tre anni più tardi Ruggero concedealla Chiesa di Troia l’herbaticum sugli ovini pascolati nel territorio di S. Lorenzo24.Nel 1100 il popolamento del casale è ormai stabile e Uberto vescovo di Troia stabi-

21 DEL TREPPO M., Agricoltura e transumanza in Puglia nei secoli XIII-XVI: conflitto o integrazione? , inAgricoltura e trasformazione dell’ambiente. Secoli XIII-XVIII [Atti della XI Settimana di studio dell’Istituto“Francesco Datini”, Prato 1979], a c. di A. Guarducci, Firenze 1984, pp. 455-460.

22 Cfr. MARTIN, Introduzione cit., pp. 52 ss.23 CDP XXI, doc. 28 (1092), p. [135-136] 135.24 CDP XXI, doc. 31 (1095), pp. 141-142. Da notare che mentre nell’Introduzione [cit., pp. 41 e 55] Martin

sostiene l’ipotesi dell’allevamento transumante, negli ultimi studi pubblicati ha precisato questa posizione, esclu-dendo la transumanza dalla Puglia all’Abruzzo in questo periodo: cfr. MARTIN J.-M. – NOYÉ G., La Capitanatanella storia del Mezzogiorno medievale, Bari 1991, in particolare Il popolamento del Tavoliere e dei suoi dintorni(provincia di Foggia, Italia), pp. 47-63; MARTIN J.-M., Insediamenti medievali e geografia del potere, in Capitanatamedievale, a c. di M. S. Calò Mariani, Foggia 1998, p. [76-83] 79, nt. 24: “la transumanza a lunga distanza, fraAbruzzo e Capitanata, suppone […] l’imposizione di una infrastruttura abbastanza sofisticata e controllatadallo Stato. A mio parere, dal VI al XIV secolo, non si trova la minima traccia di tali attività”.

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lisce i diritti dei suoi abitanti: “concedo … omnibus hominibus de casale SanctiLaurencii … tam presentibus quam futuris … terras, vineas, hortos, foveas, quæ inpredicto casale vendere et donare … potestatem habeant”. La popolazione viene diseguito suddivisa a seconda del numero degli animali da tiro posseduti: “si quishabet aratum de duobus bobis [segue l’ammontare del tributo, in denaro, dovuto alvescovo] … item qui habet duo iumenta … qui verum unum bovem vel unum asinumseu unum iumentum abuerit … item qui habet aratrum de tribus bobis seu depluribus … homo nempe qui nullum laboriosum habuerit …”. Vengono specificatele corvée “ad seminandum … ad mundandum … ad metendum”25. Vigne, orti, maspecialmente la coltivazione di cereali (frumento e orzo, in una riga del testo nonriportata), la specificazione delle corvée di semina, sarchiatura e mietitura, la pre-senza di fosse per la conservazione dei cereali, la distinzione sociale operata in baseal tiro animale a disposizione, la menzione specifica di un aratro a tre o più buoi,ovvero l’aratro pesante con animali aggiogati in fila, indicano uno sfruttamento delterritorio molto diversificato rispetto a quanto risulta dai primi documenti citati. Inparticolare la menzione dell’aratro pesante può indicare la volontà e la possibilità didissodamenti che del resto mi sembrano confermati, nel medesimo spazio agrario,da un documento riguardante il villaggio di Ponte Albanito: “dono habere quandamterram in pertinenti[is] casalis nostri [dell’abate di S. Nicola di Troia] PontisAlbaneti”, terra concessa ad laborandum e confinante con un’altra “terram quamMayfridus … tenet ad eodem nostro monasterio ad laborandum, et usque ad aliasterras quas Maynardus … ad laborandum tenet”26. Analoga a questa carta di con-cessioni quella riguardante Montaratro: “concedo et annuo omnibus hominibushabitantibus in Monte Arato presentibus et futuris domos ædificare, vineas et arboresplantare, terras laborare, ovium pascua, porcorum atque armentorum habere”27.Trent’anni dopo S. Lorenzo appare come un discreto centro di mercato, segno diun ulteriore accrescimento del suo rango28. È un’ipotesi non peregrina una rota-

25 CDP XXI, doc. 33 (1100), p. [144-145] 145.26 CDP XXI, doc. 82 (1165), p. [253-255] 254. Su Ponte Albanito cfr. MARTIN, Introduzione cit., p. 50.27 CDP XXI, doc. 34 (1100), p. 146. Nel 1080 (cfr. CDP XXI, doc. 16, pp. 108-109) Roberto il Guiscardo

delimita tra il Celone ed il Vulgano un territorio per il monastero di S. Maria di Monte Arato, che dona aStefano, vescovo di Troia. La chiesa appare come un punto di raggruppamento per la popolazione contadina,in un territorio che nel 1024 risulta essere un semplice punto sui confini di Troia (cfr. CDP XXI, doc. 1, p. [79-82] 80). Nel 1092 il duca Ruggero concede al vescovo di Troia Gerardo la chiesa di S. Maria di Montaratro “etcasalem eius et villanos qui modo ibi sunt et quod venturi sunt” (cfr. CDP XXI, doc. 27 (1092?), p. [133-134]133), il che denuncia già una certa strutturazione dello spazio agrario, oltre ad una volontà di colonizzazione,che ricevono il loro riconoscimento ufficiale col documento del 1100 citato. Nel 1192 Gualtiero di Paleariaconcede al capitolo la decima di un’iscla “suptus Montem Aratum” che l’imperatore gli ha dato (cfr. CDPXXI, doc. 113, pp. 331-334). Sul valore di iscla cfr. LICINIO, Uomini e terre cit., p. 18: “terreno argilliforme cheha la capacità di assorbire molta acqua e di conservarla a lungo, e che, se disseccato, presenta la caratteristica discrepolarsi e spaccarsi”. Su Montaratro cfr. MARTIN, Introduzione cit., pp. 53-54.

28 CDP XXI, doc. 57 (1130-1131), pp. [198-201] 199-200: “… ivi [probabilmente un segretario] ad dominusmeus [il vescovo di Troia] ad Sanctum Laurentium et portavit ad dominus meus I solidum de vino; unde dedi[via] teca III denarios et III denarios de piscibus; et ad Iohannes de Capua dedi I solidum de azaro; et IIIsolidos dedi ad Iohannes de Capua; et Costantino dedi VIII denarios pro cura Sancte Marie”.

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zione di tipo triennale anche a S. Lorenzo, a considerare un documento con ilquale Guglielmo IV, vescovo di Troia, conferma al capitolo cattedrale le conces-sioni dei predecessori, aggiungendone altre. Tra queste, la decima “in frumento,ordeo et leguminibus tam Troiæ quam campi Sancti Laurentii”. Che i leguminon siamo invece coltivati negli orti, come pure era possibile, è chiarito neldocumento, di seguito al testo citato: “decimas nihilhominus ortorum nostrorum… in cepis et aliis [cipolle e agli]”29. La medesima cartula è interessante ancheperché ci fornisce la notizia dello sviluppo dell’olivicoltura: “concedimusintegram decimam olei nostri de trappetis nostris Troiæ videlicet et SanctiLaurentii, tam de nostris olivis quam de reliquo etiam oleo”30: l’allevamentoevidentemente arretra31, ma non scompare mai del tutto. Credo anzi probabileche, contestualmente ad un accrescimento del territorio di S. Lorenzo versoovest, lungo il Cervaro, in direzione delle terre demaniali di Golfiniano, lo spa-zio agrario abbia conosciuto una specializzazione di funzioni, per la quale an-drebbe indagato il peso ed il ruolo del potere politico, essendo riservato aGolfiniano ed alle terre immediatamente vicine l’allevamento e l’uso dell’incol-to32. Ancora nei primi anni Trenta del ‘200 S. Lorenzo si configura come centrodi attrazione e di discreta vita economica, come dimostrano due documenti del123033 e del 123334, finché Federico II, erigendo la domus Pantani, tra Foggia eS. Lorenzo, non costituisce un centro di potere, per quanto non fortificato, al-ternativo al castrum episcopale35, e ne disperde gli abitanti in altri nuovi villag-gi, ad esempio ad Ordona36. Continua ancora, in seguito, ad attirare abitanti37,

29 CDP XXI, doc. 99 (1182), p. [293-296] 296.30 Ibidem, p. 294. Vedi anche CDP XXI, doc. 113 (1192?), pp. 331-334.31 Cfr. MARTIN, Introduzione cit., p. 56.32 CDP XXI, doc. 36 (1105), p. [149-151] 150: “Quartus terminus est terra Sancti Laurentii que cum his

terris coniuncta est. Has igitur terras dono et concedo … habendum et possidendum, rusticos coadunandum,nec non herbaticos accipiendum”; doc. 45 (1122), pp. 172-175; doc. 98 (1180), pp. 291-293, in cui la perma-nenza di attività legate all’allevamento è segnalata dalla citazione di un “Robbertum iumentarium” e di un“Roggerium menescalcum”; doc. 123 (1200), pp. 352-353, con il quale Federico II concede ai Laurentinil’utilizzo del bosco e dei pascoli del territorio di Golfiniano, probabilmente legittimando una consuetudine:“concedimus et donamus vobis et heredibus vestris in perpetuum uti lignis mortuis et pascuis in terra demaniinostri de Golfoniana libere et absque ullo servitio, remittentes vobis et heredibus vestris et vos penitus liberosfacientes ab omni eo quod hactenus pro ipsis lignis et pascuis forestariis nostris annuatim solvere consuevistis”.

33 CDP XXI, doc. 146 (1230), pp. 404-406, in cui si citano almeno due terre a pastinato e cintate. Sul valoredel verbo pastinare cfr. LUZZATTO G., Breve storia economica dell’Italia medievale, Torino 1993 (16ª rist.), p.89: preparazione del terreno per piantarvi un vigneto o ampliare uno esistente.

34 CDP XXI, doc. 149 (1233), pp. 409-411.35 MARTIN-NOYÉ, L’evoluzione di un habitat di pianura fino al XIV secolo: l’esempio di S. Lorenzo in

Carminiano, in La Capitanata nella storia cit., p. [231-261] 237. Corregge e puntualizza MARTIN, Introduzio-ne cit., p. 56, in cui si parla della domus nei termini di una “fortezza”.

36 CDP XXI, docc. 153, 154 e 155 (1237), pp. 422-423 ; 424-425 ; 425-427. In essi si cita la “trasmigratioLaurentinorum per nova imperialia casalia” (p. 422).

37 CDP XXI, doc. 156 (1242), pp. 427-431. L’autore dell’atto giuridico è un cittadino di Aversa, abitanteora a S. Lorenzo.

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ma il quadro fornito da due documenti del 1270 (ma le terre cui si fa riferimentosono le stesse) è quello di una comunità in declino38.

4. Troia

Situata in altura tra le valli del Celone e dell’Acqua Salata, affluente del San-noro, Troia rivela un’ottima posizione strategica e l’intelligenza del catepano Basi-lio Boiohannes che, con Dragonara, Fiorentino e Civitate – oltre a Montecorvino,Tertiveri e Biccari –, ne fece un importante centro di frontiera per proteggere laLongobardia bizantina dai Longobardi stanziati sull’Appennino tra Puglia e Basili-cata39. Fondata nel 1019 nelle vicinanze dell’antica città romana di Aecae e popolatacon uomini provenienti dalla contea di Ariano, dai primi documenti a disposizioneTroia appare caratterizzata da uno sfruttamento del territorio in senso prevalente-mente pastorale, anche se non manca la citazione di un “tributum frumenti”40. An-cora nel 1034 due fratelli e la moglie di uno di essi vendono una terra vacua sitaall’interno della città di Troia, sulla Strata41, e bisogna attendere il decennio 1040-1050 per le prime attestazioni della presenza di vigne42. Nel 1059 lo sfruttamentodel territorio incomincia a diversificarsi, e la valorizzazione dei terreni esige ancheun lavoro di canalizzazione della acque43. Nel 1081 Roberto il Guiscardo cede alvescovo di Troia Gualtiero e ai canonici della cattedrale “totam decimam frumenti,

38 CDP, vol. XXXII, Les actes de l’abbaye de Cava concernant le Gargano (1086-1370), ed. J.-M. Martin,Bari 1994, docc. 75 e 76 (1270), pp. 190 ss. “Item invenitur quod dicta ecclesia Sancti Iohannis habet in SanctoLaurentio, que sunt de possessionibus dicte ecclesie, domus una, casaline due, petie vinearum destitutarumquindecim vel parum plus et quoddam modicum olivetum” (p. 191). Oltre alla debolezza intrinseca alla strut-tura del vigneto pugliese, d’accordo con TOUBERT, Paesaggi rurali cit., pp. 332-333, credo concorrano allaspiegazione del fenomeno anche le scelte del potere politico.

39 Cfr. MARTIN, Introduzione cit., p. 33.40 Cfr. FUIANO M., Economia rurale e società in Puglia nel medioevo, Napoli 1978, p. 86 e Appendice I e II,

pp. 129-139. Vedi anche CDP XXI, doc. 1 (1024), p. [79-82] 81: “Ob hanc igitur fidelitatem … dedimus eislargitatem hanc ut ubicumque ipsi voluerint per totam Longobardiam … vendere et emere aliquid, sine plateaticoet commercio vendant et emant et numquam reddant aliquod tributum frumenti sive alicuius rei … Et animaliaillorum per Longobardiam sine herbatico, ubicumque voluerint, pascant infra praenominatos terminos. EtTroiani cum Baccariciensibus usque ad terminos et fines Siponti communem pascendi animalia habeant locumita quod nec Baccaricienses Troianis nec Troiani Baccariciensibus herbaticum vel dent vel accipiant”. Per ladiscussione sull’autenticità del documento, e con ragionevoli dubbi su di essa, cfr. MARTIN J.-M., Troia et sonterritoire au XIe siècle, in “Vetera Christianorum”, 27 (1990), p. [175-201] 177, nt. 8 e 9.

41 CDP XXI, doc. 3 (1034), pp. 83-85.42 CDP XXI, doc. 6 (1040), pp. 89-91; doc. 9 (1050), pp. 96-97; Le colonie cassinesi in Capitanata, IV,

Troia, a c. di T. Leccisotti, Montecassino 1957, doc. II (1040), p. [46-48] 47: “in pertinentia de civitate Troia, inloco qui vocatur Scabeczuli, inde una petia de vinea cum terra vacua”; doc. V (1045), pp. 51-53, importanteanche per la citazione di un palmento; doc. VI (1050), pp. 53-54.

43 CDP XXI, doc. 11 (1059), p. [101-103] 101: “habeo inclitam medietatem de ipsa terra et hortale qui estin pertinentibus eisdem nostrum molino”; p. 102: “et cum arcatura ibi faciendum ad aquam conducendam adipso molino”.

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ordei, vini, quod modo habemus vel abituri sumus ex omnibus nostris aratibus,etiam et totam decimam dati atque terratici quod nobis publica recolicione ab ho-minibus prefate civitatis [scil. Troia] vel a foris contingente, nec non decimationeomnium iumentarum, vaccarum, porcorum, pecorum, agnorum, lanarum atque casei,insuper de omnibus molendinis”44. Che in quegli anni il territorio vedesse un’espan-sione delle terre coltivate a grano, e che quindi l’indicazione contenuta nel docu-mento precedentemente citato non sia generica, è confermato per via indiretta dallamenzione di fosse per la raccolta e la conservazione dei cereali presenti nelle casedella città45. Negli stessi anni aumentano le citazioni di terreni coltivati a vigneto,che iniziano ad organizzarsi in “quartieri”, in un’opera di dissodamenti e di au-mento della superficie coltivata che ha visto chiese e monasteri situati all’interno oai margini dei boschi ricoprire un ruolo importante, ed in generale l’organizzarsi diuna certa disciplina sociale, ravvisabile nella gestione dei canali per l’irrigazione enell’uso di trappeti, forni e mulini46. Nel 1097 Ruggero Borsa concede ai canonici diTroia la decima delle sue rendite di Troia e Foggia “de frumento et ordeo, meraticoet oleo”47, ma sono ancora numerose le attestazioni di terre senza alcuna specifica-zione di colture, quindi probabilmente non sfruttate dal punto di vista agricolo, in

44 CDP XXI, doc. 17 (1081), p. [109-111] 110.45 CDP XXI, doc. 18 (1083), pp. 111-114; doc. 20 (1086), p. [117-119] 118: “etiam et ubicumque de intus

et foras case et casalina habemus et fosse et hortora et vine_ et terr_ et sedio de molino et obliveto”. Ho volutoriportare questo passo anche perché la citazione di un “obliveto” aiuta a riconsiderare l’affermazione di F UIANO,Economia rurale cit., p. 92, di una “scarsezza, in quel territorio, di alberi d’ulivo”, rilevata solo in base aldocumento del Guiscardo e non facendo riferimento ad altri documenti come questo e altri che saranno citatiin seguito (cfr., ad es., Le colonie cassinesi cit., doc. IX, pp. 58-60: “quinquaginta pedi de olibe cum terra ubipositi sumus et cum ipse ficora que ibi sunt”). Da tenere comunque presente l’indicazione che i termini olivetumo terra vitata possono indicare anche solo piante “disordinatamente disperse su distese anche grandi di terra,che non riescono a imprimere nel paesaggio agrario dei campi aperti una nuova e più organica forma”: SERENI

E., Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari 19794, p. 108.46 CDP XXI, doc. 21 (1088), p. [119-121] 120: “vinee tribus pecie … loco ubi nominatur Monte Albino, et

secus vinea filio Fantino eius … cum olivis et cum ficore”; doc. 22 (1089), p. [121-123] 122: “… aquam de ipsobibario … in pertinentiis eiusdem civitatis, et qualiter esse videtur per cursum et ductilia eius … propterortum vel vineas aut tantum solum modo terra adacquare”; doc. 25 (1091), pp. 128-130, in cui si ha notizia diuna vigna confinante con un’iscla e nei pressi di un mulino sul Celone; doc. 30 (1094), p. [139-141] 139:“vineas in locum quod vocatur Planum Fureste”, confinanti su due lati con altre vigne; doc. 42 (1115), p. [165-167] 167: “vineam cum terra vacua iuxta viva[rium] … et vineam qu_ est ad furestam secus vineam…”. Iltermine furesta è da intendersi come incolto “di stretta appartenenza demaniale cui sono applicati costituzio-nali diritti di riserva signorile controllati dai forestarii”: PORSIA F., L’allevamento, in Terra e uomini cit., p.[235-260] 248. Vedi anche VON FALKENHAUSEN V., L’incidenza della conquista normanna nella terminologiagiuridica terminologia giuridica e agraria nell’Italia e in Sicilia , in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltàcontadina, a c. di V. Fumagalli e G. Rossetti, Bologna 1980, pp. 221-245. Il documento del 1088 potrebberagionevolmente far pensare ad un tipo di coltura della vite associata ad altri alberi come sostegno, tipico delBeneventano, indicazione questa in contrasto con le “vites et arbores ibi humiles”, cioè ad alberello basso esenza sostegni citate da GUAIFERIO, Historia S. Secondini episcopi, in UGHELLI F. – COLETI N., Italia sacra, I,Venetiis 1717 (rist. anast. Bologna 1972), cc. 1337-1338. Sul problema cfr. FUIANO, Economia rurale cit., p. 43;TOUBERT, Paesaggi rurali cit., p 330. Per il ruolo delle istituzioni ecclesiastiche cfr., ad es., CDP XXI, doc. 46(1123), p. [175-177] 176: “Deo et Sancty Nicolay monasterio quod situm et dedicatum est in civitate Troia …dono ac concedo [Guglielmo d’Altavilla] tantum de ripa fluminis Cervarii quantum michi proprio iure pertinet,ubi caput molendini bene et ample possit edificari cum suo aqua ductili”.

47 CDP XXI, doc. 32 (1097), p. [142-144] 143.

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Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia

48 CDP XXI, doc. 37 (1105), pp. 151-153; doc. 39 (1109), pp. 156-157; doc. 52 (1128), pp. 188-190; (sulMonte Calvello): doc. 54 (1129), pp. 192-194; doc. 56 (1130), pp. 196-197; doc. 58 (1132), pp. 201-204; doc. 68(1146), pp. 222-224; doc. 142 (1226), pp. 397-399.

49 CDP XXI, doc. 53 (1128-1129), pp. 191-192.50 CDP XXI, doc. 55, (1129-1130), p. [195-196] 195. Acutamente TOUBERT [Paesaggi rurali cit., p. 336, nt.

88] segnala la menzione al primo posto delle giumente e dei puledri, indice della loro rilevanza, ma diversa-mente da lui ritengo il “caseum caballi” prodotto da latte vaccino, e non da quello di giumenta, come la stessastruttura logica e grammaticale della frase sembrano confermare.

51 CDP XXI, doc. 59 (1132), p. [204-207] 205: “unum ortum qui est in costa montis huius civitatis, iuxtaortum martini caldararii et ortum Raonis de Accetto”, a p. 206 è citato anche un “Attum aurificem”; doc. 69(1150), pp. 224-226, che vede autore dell’atto giuridico un “Gregorius f. quondam Mainardi ferrarii”, oltre adessere citata anche una chiesa di S. Nicola de ferrariis; doc. 80 (1162), pp. 249-251, in cui si dona una terra alpriore della chiesa di S. Giovanni de Pizzunis, “[pro qui]nquaginta ovibus et pro quadraginta copellis ordei etvigenti operibus boum et pro septem ducalibus”, terra confinante con quella di Bonismiro “de Armannoconzatore” (p. 250). Un “Marcus conzator” è citato come teste in una vendita nel 1169: CDP XXI, doc. 83,pp. 255-257. Sembra opportuno richiamare qui le parole di Giovanni CHERUBINI, I prodotti della terra: olio evino, in Terra e uomini cit., p. [187-234] 228, che definiscono il vigneto come “teatro privilegiato dell’indivi-dualismo agrario, del piccolo possesso familiare, a causa dell’accumulo di manodopera e delle attenzioni chela vite richiede nel corso dell’anno, oltre che dello stesso aspetto fisico della vigna, sempre delimitata da siepi,da muretti, da recinzioni protettive contro il bestiame”.

52 CDP XXI, doc. 92 (1176?), pp. 274-275; doc. 100 (1183?), pp. 296-298; doc. 108 (1189), pp. 319-321;doc. 118 (1195), pp. 342-345; doc. 129 (1212), pp. 362-363.

53 CDP XXI, doc. 99 (1182), pp. 293-296; doc. 113 (1192?), pp. 331-334.54 MARTIN, Introduzione cit., p. 48.

particolar modo quelle situate sul Monte Calvello, il che potrebbe far pensare an-che in questo caso ad una specializzazione di funzioni48. Del 1128-29 è un docu-mento, già citato per Foggia, con il quale Ruggero concede alla cattedrale di Troia ladecima del frumento, dell’orzo, del vino, degli animali e dei prodotti dell’alleva-mento49, mentre l’anno successivo il vescovo Guglielmo concede ai canonici “om-nem decimationem de aratris nostris in frumento et ordeo, de iumentis nostris inpullis, de vaccis nostris in vitulis atque in caseis caballi et in pecoribus agnorum,lanarum et casei decimationem”50. Nei primi anni Trenta, ma specialmente alla metàdel XII secolo, le chartae iniziano a segnalare una crescente differenziazione socia-le, ed insieme il ruolo avuto dai ceti medi artigiani nella valorizzazione del suolo51.Concludo questo quadro citando un gruppo di documenti, fino al 1212, che testi-moniano lo sviluppo del vigneto52, e due diplomi, già citati per S. Lorenzo in Car-miniano53, che offrono un panorama ampio e completo del paesaggio agrario diTroia.

5. Vaccarizza

Definita come civitas nella prima metà dell’XI secolo54, nel documento del1024 con cui il catepano Basilio Boiohannes definisce i confini del territorio di Troia,

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Francesco Violante

55 CDP XXI, doc. 1 (1024), pp. 79-82.56 CDP XXI, doc. 7, (1047), pp. 91-94.57 FUIANO, Economia rurale cit., Appendice V, p. [149-151] 149.58 CDP XXI, doc. 75 (1156), pp. 239-241.59 CDP XXI, doc. 87 (1170?), p. [263-265] 264.60 CDP XXI, doc. 90 (1175), pp. 272-273. Il documento è anche importante per la citazione di campi

coltivati a cereali: “Tempore vero messium messores qui illuc ad [met]endum adventaverint in vita sua etdonec ibi ipse dominus episcopus in campo laborare voluerit [… de ips]o campo nobis decimam donat”.

61 CDP XXI, doc. 88 (1172), pp. 265-269.62 CDP XXI, doc. 99 (1182), pp. 293-296.63 CDP XXI, doc. 113 (1192), pp. 331-334.64 CDP XXI, doc. 120 (1196), p. [347-349] 348: “reservato tamen nobis … molendino nostro quod est in

flumine Achelonis … et quadam parte terrarum … sub predicto molendino nostro prope olivas ubi terminusfixus est”.

65 CDP XXI, doc. 152 (1236), pp. 416-421.66 Su tutto cfr. MARTIN, Introduzione cit., pp. 48-49, che attribuisce la decadenza di Vaccarizza alla con-

correnza di altri centri, maggiori, Troia e Foggia, e minori, Montaratro.

ai suoi abitanti, insieme con quelli di Troia, è concesso di pascolare liberamente ipropri animali fino ai confini di Siponto e di dividersi l’herbaticum che verserannogli stranieri55. Un simile sfruttamento del territorio è ancora confermato nel 1047,quando si ha notizia da un documento dell’esistenza di due ampi appezzamenti diterreno nei pressi della strada pubblica, senza nessuna specificazione di colture56. Inquesti anni Vaccarizza è dominio signorile, e perde il titolo di civitas per quello dicastrum o castellum. Nel 1109 Defensore, signore di Vaccarizza, restituisce all’aba-te Bertrando di S. Sofia di Benevento il monastero di S. Arontius “in pertinentia deeodem castro Vaccaricia, praepositum fluvio Aceloni, una cum omnibus cellis ethominibus, vineis et terris, olivetis et silvis et aquis”57, segno che lo spazio agrariodel castrum si è diversificato. Nel 1156 Vaccarizza fa parte dei possedimenti delvescovo di Troia58, e nel 1170 il vescovo Guglielmo III concede ai canonici di Troia,in difficoltà dopo la concessione di alcune franchigie da parte del re alla città diTroia, la “Baccaritiæ medietatem in omnibus redditibus suis sive in villanis seu inquibuscumque possessionibus intrinsecis et forinsecis”59. Nel 1175 viene istituitoun balivo da parte di vescovo e dei canonici, che ricevono il giuramento di fedeltàdegli abitanti60. In un documento del 1172 sono citate “decem petias de terris etvinealibus in territorio Vaccaritiæ”, confinanti da un lato con terre con olivi e terresenz’altra specificazione. Si ha notizia di località denominate “Vineales Sancti Viti”e “Vineales et Olivetum Sancte Mariæ de Vaccaritia”, confinanti anch’esse con ter-reni vergini nei pressi del fiume Celone61. Le rendite derivanti da oliveti e campicoltivati a cereali, e da trappeti e mulini, sono chiaramente signorili, come mostra-no due documenti, del 118262 e del 119263, importanti anche perché, escludendo lacartula del 1196 con la quale il vescovo di Troia Gualtiero concede al capitolo l’altrametà di Vaccarizza (riservandosi il mulino sul Celone)64, sono gli ultimi documentiche citano Vaccarizza o il suo territorio prima del 1236, anno in cui l’elementosilvo-pastorale ricompare con evidenza65, segnando la decadenza del castrum66.

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Continuità e mutamenti nel paesaggio agrario della diocesi di Troia

Concludendo, nonostante le avvertenze metodologiche avanzate introducen-do la ricerca, mi sembra sia possibile individuare un’evoluzione nell’organizzazio-ne dello spazio agrario qui considerato, databile tra XI e XII, alla cui realizzazionehanno concorso sia il potere signorile sia ceti cittadini. La diversificazione dellosfruttamento agrario, nel senso di una valorizzazione viticola e olivicola, oltre chedi colture orticole specializzate, con conseguente disciplina del controllo del terri-torio, induce a molteplici questioni, come l’incidenza su di essa della crescitademografica67, dell’aumento delle capacità tecnologiche, delle richieste del merca-to, ed in generale delle dinamiche sociali e politiche, che non era qui possibile esa-minare.

Si nota infine una discrepanza tra arco temporale considerato e fenomeni digrosso rilievo, si pensi alla vicenda politica sveva, che non sembrano avere un ruolodecisivo nelle vicende considerate. In effetti, un esempio fondamentale di organiz-zazione e controllo del territorio, come i sistemi masseriale e castellare di FedericoII, non è stato considerato. La ragione è ancora una volta nelle fonti programmati-camente indicate, che non danno informazioni in questo senso, e che non ho intesointegrare appunto per non snaturare questo lavoro.

67 In che misura è difficile dirlo, in presenza di dati imprecisi. Sul problema cfr. BELLETTINI A., La popola-zione italiana dall’inizio dell’era volgare ai giorni nostri. Valutazioni e tendenze, in Storia d’Italia, V, I: Idocumenti, Torino 1973, pp. 487-532.

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Maria Altobella

Area public library: fisionomia bibliograficadi Maria Altobella

Le biblioteche non si fanno: crescono.Augustine Birrell

L’evoluzione storica del modello di biblioteca è dovuta alla stretta dipenden-za tra le trasformazioni tecnologiche ed i bisogni di istruzione e di impiego deltempo libero da parte di tutte le categorie dei cittadini, determinando un nuovomodo di organizzare e utilizzare gli strumenti del sapere. Centro di ordinata con-servazione ma anche di ampia, generosa e multiforme diffusione dei documenti, labiblioteca si propone come centro formativo rinnovandosi nel contenuto ma so-prattutto nella concezione, nello spirito di organizzazione - semplice ed efficienteinsieme - nelle fonti di informazione sempre più varie e numerose e nel passaggio,dunque, da funzioni sussidiarie a funzioni di guida e di promozione, rappresentan-do, così, la novità e la multiformità dei suoi servizi1 .

La biblioteca moderna ha acquistato e consolidato caratteristiche che le asse-gnano funzioni diverse e sostanzialmente nuove rispetto al passato ed ha visto ilprogressivo ampliamento della propria cerchia di azione, dei propri contenuti edelle proprie tecniche in quanto biblioteca concepita e messa in opera al servizio ditutti i cittadini, collegata all’ambiente economico, sociale e culturale.

La genesi istituzionale della public library, avviene in area anglosassone versola metà del XIX secolo e si colloca in un contesto molto vasto, quello della rivolu-zione industriale e delle riforme che daranno luogo alla trasformazione della socie-tà britannica, società che si fa più dinamica e si caratterizza per la fiducia nella forzaoperativa del sapere2 .

La public library britannica si configura, quindi, con tratti distintivi ben pre-cisi che la accomunano comunque, sotto molti aspetti, all’analogo istituto sortocontemporaneamente negli Stati Uniti d’America. Le biblioteche americane si ca-ratterizzano per la liberalità e l’assenza di formalismi, oltre alla versatilità impiegata

1 BOTTASSO E., La biblioteca pubblica: Esperienze e problemi, Torino 1973.2 KELLY T., A History of Public Libraries in Great Britain 1845-1975, London 1977.

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Area public library: fisionomia bibliografica

nel fare ricorso a strumenti di informazione, ma soprattutto per la particolare con-cezione della propria funzione educativa3 .

L’applicazione italiana migliora il modello straniero in un punto fondamen-tale e cioè prima ancora che “per tutti” è “di tutti”, nata e cresciuta all’interno dellacomunità.

L’aggettivo “pubblica” subisce una trasformazione e non indica più l’accessi-bilità pubblica della struttura, bensì assume un valore sostantivato in quanto tra lefunzioni biblioteconomiche e l’uso pubblico si stabilisce una sorta di relazione spe-culare per cui i servizi tendono a riflettere i bisogni della collettività4 .

La biblioteca diventa, quindi, una tipica espressione degli ideali egualitari edemocratici, un efficace strumento di diverse esigenze, forgiato dalla comunità lo-cale per offrire a tutti occasioni di informazione e di formazione5 .

Oggi la biblioteca pubblica, partendo dal mito della public library, rappre-senta, per la sua modernità e per la sua ricchezza, il livello più alto di sintesi trasapere diffuso, sapere organizzato e sapere organizzativo.

Nel quadro concettuale della public library si inserisce la progettazione dellaBiblioteca Provinciale e dei suoi servizi - recentemente presentata dal Direttoredottor Franco Mercurio - in particolare dell’area costituita da Sala Studio, Sala Adulti,Sala di Consultazione e Deposito librario, il cui gruppo di lavoro (coordinatoreMaria Altobella) dovrà predisporre strumenti di mediazione delle raccolte e, nellostesso tempo, attestare su livelli di eccellenza lo sviluppo interdisciplinare delladocumentazione.

Ciascun settore della biblioteca ha ormai la sua storia ed il modo migliore peressere ancora vitale rimane quello di una crescita coerente, che può muoversi nelsegno della continuità, ma può anche passare attraverso momenti di svolta - purchèciò avvenga in modo motivato e consapevole - dovuti a un mutamento degli obiet-tivi; la biblioteca, infatti, è prima di tutto servizio, ma è anche laboratorio di crea-zione di nuovi servizi.

Lo sviluppo dell’apparato bibliografico dell’area della public library deve te-nere conto dei diversi profili dell’utenza e, quindi, in base a scelte organizzate, pre-vedere diverse tipologie di bisogni da soddisfare, diverse forme di erogazione diservizi e diversi generi di documenti.

La Sala Studio (referente Arcangela Morelli), di nuova istituzione, risolveràil problema molto sentito del sovraffollamento degli studenti che “invadono” labiblioteca per trovare uno spazio confortevole dove studiare i propri testi ed, even-tualmente, usufruire di altri servizi6 .

3 SHERA J.H., Libraires and the organization of knowledge, New York 1965.4 TRANIELLO P., La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell’Europa contemporanea, Bologna 1997.5 CARINI-DAINOTTI V., La Biblioteca Pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967), Firenze 1969.6 ALTOBELLA M., Studenti al pascolo in Nuovo Gazzettino Dauno,18 gennaio 1997.

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Maria Altobella

La presenza degli studenti che occupano impropriamente la struttura biblio-tecaria snatura la funzione principale della public library che è quella di servire lacomunità dei cittadini attraverso le proprie collezioni documentarie. Pertanto, sem-pre più si propone, soprattutto da parte dell’AIB-CUR7 , di organizzare spazi alter-nativi a quelli tradizionali per letture informali.

Una Sala Studio, quindi, attrezzata, rappresenterà un luogo, un servizio gra-tuito - in un quadro più vasto di comunicazione sociale - e costituirà un ponte tra i“clienti” non istituzionali della biblioteca e l’attività culturale della biblioteca stessae della città.

Inoltre, consentirà alla biblioteca di tornare ad essere la “ biblioteca di tutti”,che il manifesto dell’Unesco definisce come “centro informativo locale che rendeprontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e di informa-zione”.

In questo ambiente saranno accessibili sia materiali che consentono alla strut-tura di presentarsi come un servizio non legato all’informazione bibliografica, siastrumenti generali, di supporto ad ogni tipo di studio quali:

- una Enciclopedia generale- le Garzantine- Dizionari:

plurilinguidei sinonimi

- Codici:di Diritto Civile e Diritto Penaledi Procedura Civile e Procedura Penaledell’Ambientedella Strada

- Annuari:Pagine gialleGuida Monaci

- Guide:turistichedella cittàdell’Università

- Calendari:di congressidi mostre e fieredi spettacoli ed altri avvenimenti

7 AIB - CUR è una lista di discussione dei bibliotecari italiani, ideata e realizzata nell’ambito della Com-missione Nazionale Università- Ricerca dell’Associazione Italiana Biblioteche.

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Area public library: fisionomia bibliografica

Troveranno posto, inoltre, opuscoli informativi, depliant e locandine di ma-nifestazioni artistiche e culturali; materiale illustrativo su dibattiti, seminari, borsedi studio e concorsi; elenchi telefonici ed orari dei servizi pubblici e di trasporto.

Sarà corredata, oltre che di tavoli e di sedie, di vetrine e bacheche, di alcuniterminali per la ricerca di informazioni bibliografiche e magari di un servizio dicaffetteria8 .

Si differenzierà dal reference service che è ricerca bibliografica avanzata.La Sala Adulti (referente Renato Santamaria) ha bisogno di una ristruttura-

zione completa diretta a differenziare sempre più l’offerta rispetto alla Sala di Con-sultazione ed assumere un preciso ruolo di informazione primaria e di consultazio-ne “breve”. In attesa di cambiare denominazione, si configurerà come sala di primalettura e, quindi, offrirà prevalentemente testi di consumo, di attualità, divulgativi,di facile ed agile lettura, con aggiornamento costante ed in continuo confronto conla Sala di Consultazione ed il Deposito librario in modo da dare luogo - tra questisettori - ad una vera e propria osmosi.

La Sala Adulti, dunque, si caratterizzerà soprattutto in funzione degli instantbooks, trattando tutti i problemi nuovi; ma comprenderà anche dizionari linguisti-ci e tecnici, manualistica in genere, prontuari professionali e pratici; la sua fisiono-mia sarà di natura miscellanea.

Il gruppo di lavoro, dopo una attenta riflessione, per rendere più visibile ilnuovo volto della Sala, ha concordato in via sperimentale l’istituzione di uno spa-zio in cui i volumi saranno organizzati per aree di interesse.

La soluzione di presentare il materiale librario in grandi raggruppamenti puòessere interessante in una sala a scaffalatura aperta in quanto, offrendo uno sguardod’insieme, rappresenterebbe un percorso alternativo.

Questo tipo di organizzazione si ispira alla “biblioteca a tre livelli”, progettoavviato da Heinz Emunds della Biblioteca di Munster, circa 30 anni fa, nella Re-pubblica Federale9 .

Emunds aggiunse al settore del deposito - accessibile solo attraverso il cata-logo - ed al settore a scaffale aperto, un terzo livello chiamato di “ingresso”. Ilmodello biblioteconomico a cui si riferiva era certamente quello che nel mondoanglosassone viene chiamato browsing area e che nel modello tedesco dellaDreigeteilte Bibliothek (biblioteca tripartita o a tre livelli) viene definito comeNahbereich (settore vicino).

8 PONZANI V., Biblioteca pubblica per chi? in A.I.B. notizie: newsletter dell’Associazione Italiana Biblio-teche, n.4 aprile 2001.

9 KLAASSEN U., La biblioteca a tre livelli: Un nuovo approccio per l’utenza in La biblioteca efficace:Tendenze e ipotesi di sviluppo della biblioteca pubblica negli anni ’90, a cura di M.Cecconi, G.Manzoni,D.Salvetti, Milano, 1992.

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Maria Altobella

Questo settore precede, fisicamente e funzionalmente, le sale di lettura ed ildeposito ed ha lo scopo di aiutare l’utente a superare la “paura della soglia”, cioèl’imbarazzo, la timidezza e la soggezione che spesso ostacolano il rapporto tra al-cuni utenti disorientati e sprovveduti e la struttura bibliotecaria. Infatti, buona par-te della domanda di informazione non viene soddisfatta in modo adeguato attraver-so le consuete forme di sistemazione e catalogazione per cui è necessario, di frontea domande generiche, orientare in modo diverso gli interessi più diffusi dell’utenza.Proprio per questo la classificazione avverrà secondo Reader-interest10 .

Una distribuzione amichevole degli spazi ed una segnaletica chiara e cromatica,studiata in modo da attirare l’attenzione; scaffali, vetrine e bacheche dedicate a pre-sentare il materiale secondo aree di interesse il più possibile aderenti ai gusti piùcomuni e mutevoli dell’utenza; materiale documentario che possa fungere da bi-glietto da visita della biblioteca; saranno questi i requisiti indispensabili per la rea-lizzazione dell’ ipotesi progettuale per non far sentire il “pre-pubblico” escluso daogni rapporto organizzato e qualificato11 .

La scelta dei temi ed il modo di allestirli possono variare: scaffali variegati performato e colore, parte dei libri esposta di piatto, piccole mostre tematiche di brevedurata e rinnovate, posti di accesso all’informazione in piedi e sedute comode; qua-si un piccolo salotto di lettura, in cui i cittadini si andranno ad affacciare per riceve-re stimoli ed introdursi poi al sevizio bibliotecario vero e proprio. Sull’esempiodelle biblioteche a cielo aperto di alcuni atenei12 .

In quest’area ruoterà il patrimonio solitamente collocato altrove e bisogno-so di una promozione specifica, riproponendolo attraverso un approccio alternati-vo a quello di tipo disciplinare

Umberto Eco nel “De bibliotheca” affermava che “la funzione ideale di unabiblioteca è di essere un po’ come la bancarella del bouquiniste, qualcosa in cui sifanno delle trouvailles, e questa funzione può essere permessa solo dalla liberaaccessibilità ai corridoi degli scaffali”13 . Ed è quello che verrà consentito ai fruitoridel livello di ingresso nel senso che l’azione che si vuole esercitare attraverso learee di interesse è fortemente promozionale.

Per favorire una visualizzazione del collegamento ideale e funzionale tra ilsettore tradizionale ed il settore tematico, si può citare il classico concetto dicircolarità del sapere, e risalire allo studio di Antonio Panizzi sulla biblioteca delBritish Museum.14

10 REVELLI C., Il catalogo, Milano 1996, pag.342.11 FEDERIGHI P., Per lo sviluppo dei rapporti tra “nuovo pubblico” e biblioteca in Verso una biblioteca del

pubblico a cura di G. Parlavecchia e G. Tarchiani, Milano 1991.12 ELLI E.-LANTONE C., Biblioteche al top in Campus, aprile 2002, pagg.22-32.13 ECO U., De bibliotheca, Milano 1981, pagg. 21-22.14 MILLER E., Prince of Librarians: The Life and Times of Antonio Panizzi of the British Museum, London

1967.

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Area public library: fisionomia bibliografica

I primi temi individuati saranno i seguenti:- Narrativa (suddivisa per generi)- Concorsi- Hobbies- Computer- Salute e benessere- Natura e Ambiente- Temi internazionali- Paesi, Popoli, Viaggi- Casa e Famiglia- Sport- Religioni- Musica- Gastronomia- Comunicazione visivaLa fisionomia della Sala Adulti sarà molto composita e l’organizzazione fisi-

ca , con aree di interesse diverse, sarà ricondotta a unità dai servizi che si andrannoad impiantare. D’altra parte la garanzia di organicità può essere assicurata solo daun sistema integrato di gestione delle informazioni e dall’allestimento di stru-menti di mediazione molto efficaci15 .

La Sala di Consultazione ( referente Maria Altobella) differisce dalle altreSale perché raccoglie e mette a disposizione le opere di consultazione, cioè i sussidifondamentali per lo studio di qualsiasi argomento in grado di offrire rispostemultiple, differenziate e simultanee16 . All’idea di consultazione, come è noto, è sem-pre associata una documentazione generale ma completa, riconducibile ad un servi-zio teso a conseguire il massimo sviluppo della mediazione tra domanda di lettorie risposte bibliografiche, realizzando il punto più alto di incontro fra utente e col-lezioni17 .

La Sala di Consultazione della Biblioteca Provinciale dispone di un riccoapparato bibliografico ordinato sistematicamente - e la bibliografia è un metalin-guaggio che presiede alla propedeutica di qualunque disciplina oltre che essernetecnica ausiliaria interna - ma anche di fonti e di classici, formando una “bibliotecaautosufficiente”18 .

Nel contesto della biblioteca come sistema informativo, la collezione diconsultazione è un elemento fondamentale all’interno di un ciclo di attività

15 SOLIMINE G., La biblioteca pubblica d’informazione: una strategia possibile in La biblioteca e il suopubblico a cura di M. Accarisi e M. Belotti, Milano 1994.

16 DEL BONO G., Consultazione, Milano 1992.17 MALTESE D., La biblioteca come linguaggio e come sistema, Milano1985, pagg. 131-135.18 Lineamenti di biblioteconomia A cura di P. Geretto, Firenze 1992, pagg. 31-33.

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Maria Altobella

interagenti e deve immettere materia-energia e informazione, procedere a elaborar-la per renderla fruibile ed infine cederla sotto varie forme. La sequenza immissio-ne-trattamento-cessione caratterizza la consultazione come sistema aperto, poichéconsente il passaggio e la trasmissione di informazioni19.

Fisicamente la collezione è in gran parte composta da libri, ma anche damicrofiches, videocassette, floppy disk e cd-rom. Secondo il contenuto, invece, puòessere ricondotta ad alcuni grandi gruppi:

- opere di tipo bibliografico:bibliografiecataloghi di bibliotechecataloghi commerciali ed editorialiindici

- opere a testo discontinuo:enciclopediedizionariconcordanzerepertori biograficicronologieannuari

- opere a testo continuo:manualitrattaticollezioni di testifontiguideopere di tipo iconicopubblicazioni in forma tabellare

- opere di tipo iconico:repertori iconograficiatlanti

- opere di tipo tabellaree numerico:

pubblicazioni statistiche tavole matematiche e logaritmiche

19 AGHEMO A., Informare in biblioteca, Milano 1992.

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Area public library: fisionomia bibliografica

Il patrimonio bibliografico si articolerà sempre più nel fornire all’utenza do-cumenti e informazioni che testimoniano l’attività e l’avanzamento della conoscen-za. Quindi specializzare le raccolte per alimentare il ciclo produttivo di nuova in-formazione.

Si procederà revisionando e selezionando l’attuale apparato, aggiornandolocontinuamente ed utilizzando negli altri settori della public library tutto ciò chepotrebbe non essere corrispondente alla caratteristica dinamica e all’organizzazio-ne concettuale delle collezioni di consultazioni.

La fisionomia della Consultazione sarà la risultante delle scelte di fondo, del-le priorità, dei criteri di selezione sia per le acquisizioni dei documenti che per larevisione del patrimonio bibliografico20 .

Il Deposito librario (referente Pasquale D’Addedda), in stretto collegamentocon le Sale Adulti e Consultazione, rappresenta la stratificazione storica della Bi-blioteca e ne rispecchia la formazione culturale. Svolge funzioni sia conservativeche di ricambio e completezza informativa. Oggi riorganizzato e razionalizzato21,è certamente un ricco serbatoio di informazioni.

Questo settore ha il compito di conservare l’eccezionale patrimonio librariodella Biblioteca Provinciale non collocato fisicamente nelle Sale di lettura la cui ri-chiesta di consultazione e prestito - essendo l’accesso riservato al personale - avvieneattraverso il Banco di distribuzione, cerniera tra Deposito librario e Sala Cataloghi.

A servizio della lettura dei volumi conservati nel deposito librario è la SalaAdulti.

Ricco di circa 80.000 unità bibliografiche tra volumi ed opuscoli, questo ma-gazzino, indubbiamente, rappresenta, per il valore delle enormi collezioni racchiu-se in spazi definiti, uno straordinario apparato retrospettivo da valorizzare22 .

Tra gli obiettivi:- ripristinare le collane- preparare bibliografie tematiche- procedere ad un censimento delle prime edizioni italiane delle opere

letterarie- allestire mostre bibliografiche aventi per oggetto:

atlanti storicivecchie carte geograficheedizioni pregiate di Bibbieagiografieedizioni musicaliedizioni teatraliedizioni tascabili

20 SOLIMINE G., Le raccolte delle biblioteche: progetto e gestione, Milano 1999.21 D’ADDEDDA P., Il nuovo magazzino librario della Biblioteca Provinciale di Foggia, in La Capitanata,

ottobre 2001, pagg. 283-288.22 MANFRON A., La biblioteca si mostra: problemi dell’esibire libri, in Bollettino AIB, n.3 1994, pagg. 291-300;

BUTTÒ S. –TONI F., Consigli pratici per allestire una mostra bibliografica, Roma, AIB, 1996.

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Maria Altobella

Si dovrà puntare molto sull’interdisciplinarità e non dovrà venir menol’unitarietà delle raccolte, garantita dai collegamenti thesaurali predisposti a livellodi catalogo e di sistema informativo della Biblioteca.

Il miglior modo di articolare l’area della public library consiste, dunque, nel-l’intenderla come un insieme di unità in relazione fra di loro nel rispetto delle ri-spettive specificità, senza ripetere al loro interno duplicazioni, i cui servizi devonoessere tendenzialmente integrabili.

Successivamente alla definizione della fisionomia va impiantata una coerentepolitica di sviluppo che determini, anno per anno, gli obiettivi particolari da rag-giungere confrontandoli con i risultati in quanto bisogna rispondere di un proget-to ma principalmente sottoporlo a costante verifica attraverso un continuo lavorodi monitoraggio.

Perché come sostiene Giovanni Solimine, «soltanto una biblioteca capace di“ascoltare” queste tendenze evolutive, di cogliere queste modificazioni, di reagirecon tempestività e competenza, di dare sempre risposte soddisfacenti ad ogni do-manda, e quindi di offrire raccolte e servizi “di qualità”, può aspirare a rimanere unsolido punto di riferimento per ampie fasce di pubblico24 ».

Quando ciò verrà realizzato, si otterranno importanti innovazioni di tipofunzionale.

24 SOLIMINE G., La qualità delle raccolte in La qualità del sistema biblioteca a cura di O.Foglieni, Milano2001, pagg.139-142.

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Enrichetta Fatigato

La comunicazione in bibliotecadi Enrichetta Fatigato

Premessa

I rapporti fra i sistemi viventi sono mediati da processi comunicativi.La comunicazione è un concetto sistemico e, in quanto tale, si riferisce alle

relazioni tra i sistemi correnti, finalizzate agli indirizzi degli organismi di riferimento,al loro mantenimento, riproduzione e/o trasformazione, in un processo infinito.

Nei complessi insiemi del mondo organico e sociale, i livelli organizzativi siazionano in base a precise e necessarie reti di connessioni fra sistemi e strutture disostegno proprie; sono gli innumerevoli sottoinsiemi di sistema, tutti aggregati ecoordinati, fra loro e con il sistema, mediante processi di comunicazione.

Per questo motivo un sistema vivente è un organismo complesso, diverso daun sistema statico o da una macchina di tipo classico o da aggregati casuali: al suointerno fluttuano materia, energia e informazioni, dotati di caratteristiche entropichee rinnovabili, variamente utilizzate e finalizzate.

Gli organismi complessi sono sistemi aperti, dotati di strutture di relazione einterazione con l’ambiente e attraverso scambi e trasferimenti di informazioni cre-ano, modificano, mantengono e permeano specifici rapporti di confine con altrisistemi e strutture.

L’inadattabilità reciproca degli scambi comunicativi determina la caducità delsistema e della sua struttura; la tenuta dei relativi processi di scambio realizza unsistema aperto in cui il circuito di informazioni fra il sistema stesso e i suoisottosistemi, fra le strutture del sistema e il contesto ambientale esterno garantiscela sopravvivenza e la riproducibilità.

La comunicazione è il presidio degli scambi (un ormone, una frequenza, un do-cumento) e dei rapporti di sistema interno/esterno, identificabili come informazioni.

Il flusso delle informazioni reca in sé modelli di varianza detti anche indica-tori semiotici di sistema o identità comunicativa, l’uso e il controllo dei quali èl’aspetto predominante delle strutture e delle funzioni di tutti i sistemi aperti.

La conoscenza e l’uso dei sistemi e delle strutture di comunicazione consen-tono di cogliere i modelli di varianza interni ed esterni dei sistemi stessi.

Categorie analitiche, quali la semiotica, la sintassi e la semantica, proprie del-la Scienza del linguaggio, sono particolarmente utili quando oggetto di analisi sonoi sistemi comunicativi delle produzioni intellettuali.

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La comunicazione in biblioteca

Infatti la semiotica, che è produzione, riproduzione e scambio di segni (indica-tori di informazioni) è riferimento per l’analisi degli strumenti della comunicazionebibliotecaria relativa ai principi delle analisi e codifiche descrittive dei documenti.

Non è necessariamente comprensione: essa presiede l’organizzazione dellatrasmissione/ricezione di messaggi informativi relativi a serie organizzate di mit-tenti/ricettori, integrati in rete sistemica con altri mittenti/ricettori.

La sintassi è funzione ordinatrice di quei segni che consentono la codificazioneanalitico-descrittiva e di significato.

La semantica consente la interpretazione e comprensione dei contenuti e deisignificati espressi attraverso segni e codifiche: è questo il processo attraverso cuil’informazione va trasformandosi in comprensione e conoscenza usando forme rap-presentative dei contenuti della comunicazione, che consentano la definizione, iden-tità e relazione specifica con altri sistemi di relazioni.

L’uso e l’articolazione di queste categorie, la loro applicazione al mondo del-le biblioteche e della documentazione, presidiano le procedure tipichedell’intermediazione bibliotecaria.

Per questa ragione, è sempre utile e necessario riferirsi alle biblioteche comea sistemi in cui si realizzano particolari processi di comunicazione con l’impiego dispecifici strumenti per l’ identificazione analitica e semantica dei prodotti intellet-tuali espressi attraverso i documenti.

I collegamenti, gli scambi e la circolazione delle informazioni fra sistema, trastruttura e il suo ambiente, realizzano specifici rapporti di confine e modelli divarianza ricostruibili storicamente.

Sinossi del campo semioticodel sistema comunicativo “biblioteca”

evoluzione storica dei sistemimodificazione delle strutture comunicativetrasformazione della ricezione della comunicazioneDa ‘archivium’ a ‘bibliotheca’L’inventarioUtenza esclusivaDai sistemi chiusi fino alla bibliotheca di grandi dimensioni a compartimenti.Il canone, l’indice, la bibliographiaUtenza specialeI sistemi aperti e l’automazioneIl catalogo, l’indice, la bibliographia, il repertorioUtenza localeUtenza in rete sistemicaL’informazione planetaria e i nuovi sistemi di identificazione dei documentiLo ‘scriptorium’ elettronicoUtente remoto

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Enrichetta Fatigato

La comunicazione attraverso i documenti:breve excursus storico

Un breve esame delle strutture e delle funzioni di quei sistemi dedicati allatutela, conservazione e comunicazione delle produzioni intellettuali espresse neidocumenti scritti, il senso e il significato assunto nel tempo storico dagli strumentirappresentativi della trasmissione informativa e cognitiva, consentirà di tracciare ilmutamento dei modelli di riferimento, cercando di cogliere, infine, il valore e l’usonei sistemi contemporanei.

Alto medioevo

Le notitiae librorum, circolazione e conoscenza di informazioni riguardantiprodotti culturali e intellettuali in forma scritta, in questo periodo storico sono affi-date alle ricerche individuali realizzate dagli studiosi attraverso reti di conoscenze.

Gli epistolari informativi sono lo strumento comunicativo più diffuso e inuso fra gli intellettuali, mancando una circolazione organizzata delle segnalazionilibrarie, non esistendo un vero mercato librario dopo la definitiva scomparsa delletabernae literariae di epoca ciceroniana, dove i venditori esponevano le notitiaedelle produzioni rotolo-papiracee sotto forma di elenchi o nomenclature per le piùsvariate finalità informativo-culturali.

A fronte di questa rete di relazioni conoscitive, legate a figure di singoli intel-lettuali, negli scriptoria vescovili e monastici si realizza un circuito integrato dellacomunicazione, a partire dalla produzione del materiale scrittorio, alla scrittura oincisione, alla legatura e conservazione nell’archivium dei documenti scritti per unadestinazione d’uso esclusivo della comunità religiosa nelle celle, nella mensa, nel-l’oratorio.

Gli strumenti di identità comunicativa sono racchiusi negli inventaria cherispondono piuttosto ad una quantificazione patrimoniale che ad una qualificazio-ne segnaletico-divulgativa delle produzioni intellettuali in forma scritta.

Il valore d’uso è piuttosto riferito all’armaria di cui deve essere dotata laChiesa contro gli infedeli.

I luoghi deputati alla conservazione dei testi scritti in latino sono identificatiindiscriminatamente e chiamati archivia, bibliothecae o scriptoria, e indiscriminataè la raccolta: rotula, cartularia, diplomina, e volumina.

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La comunicazione in biblioteca

Basso medioevo

Per tutto il periodo storico che si svolge a partire dal XII e fino al XIV secolo,la nascita delle prime università crea un mercato librario e un pubblico nuovo, an-che se inserito in un circuito ancora esclusivo, circoscritto a motivazioni del tuttoparticolari di studio e di ricerca.

La produzione e la vendita dei documenti scritti per lo studio è controllatadalle università, e l’adeguamento degli strumenti segnaletico-comunicativi è affida-to agli stationarii (librai).

Questi espongono gli exemplaria dei documenti in fascicoli appesi alle fine-stre delle officine librarie e scribi incaricati dall’università riproducono le copie pergli studenti, che ne fanno richiesta a seguito delle notitiae rei literariae ricevute neicorsi universitari.

In generale, l’ampliamento del pubblico investe anche il mondo circoscrittodelle biblioteche che ampliano i loro repertoria, e attrezzano le strutture fisiche anuove funzioni.

Le biblioteche religiose subiscono una trasformazione interna: non c’è piùidentità fra l’archivium e la bibliotheca monastica. L’architettura dello spazio fisicointerno continua a riprodurre nelle disposizioni dei banchi, a doppia colonna pa-rallela, le righe dei libri di preghiere o dei codici scolastici.

I fondi sono distribuiti in una parte pubblica, in una segreta, nelle celle e nelrefettorio dei conventi degli Ordini. È questa l’epoca dei libri incatenati ai banchi dilettura: particolare di non trascurabile entità se messo in relazione agli strumentiidentificativi e segnaletici tipici di un assetto di sistema a struttura comunicativaassolutamente circoscritta.

I fondi si arricchiscono di quei repertori e documenti adatti a formare chieri-ci e dottori con una impostazione culturale scolastico-aristotelica e di numerosilibri di diritto, e sempre meno libri di Patristica, ma l’attrezzatura delle strutturecomunicative risponde ad una destinazione d’uso ancora tutta ripiegata su se stessa.

Non a caso permane l’identità fra lo spazio fisico bibliotheca e il valoresegnaletico della bibliografia.

È frequentissimo, infatti, l’uso della accezione bibliotheca per indicare lo stru-mento repertoriale della bibliografia, propriamente detta, che se sostituisce gra-dualmente il termine inventarium, permarrà per tutta l’epoca moderna (es.:Bibliotheca authorum ecc), ad indicare bibliografie o segnalazioni bibliograficheparticolari.

Compaiono, nelle stesso periodo, le biblioteche dei collegi universitari, leprivate dei docenti laici e quelle di studiosi lontani da organizzazioni specifiche(Petrarca) che guadagnano spazi inusitati all’area ecclesiastica.

I fondi delle biblioteche laiche diventano onnicomprensive e rappresentativedi quella cultura che disancorata dalla egemonia clericale, apre nuovi circuiti cultu-rali e specialistici e nel tempo nuovi varchi ai processi di identificazione degli stru-menti comunicativi.

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Enrichetta Fatigato

L’età umanistica

Si espande a dismisura, rispetto alle biblioteche religiose, il circuito delle ri-produzioni dei codici dell’antichità nelle corti dei principi rinascimentali.

Il possesso di biblioteche legate al potere temporale delle Signorie, determinala fioritura di raccolte librarie prestigiosissime affidate alle cure di eminenti studiosie ricercatori per la selezione e raccolta di opere rare e di pregio da conservare non inarmadi, ma in casse che seguono il “Signore” nei suoi spostamenti.

Le raccolte sono destinate ad un pubblico di borghesi acculturati e costituiteda testi in volgare di narrativa, astrologia e cronaca.

Ad illustrare i criteri adottati nella scelta delle opere da inserire nei fondilibrari vengono redatti i canoni bibliografici: Guarino Veronese ne redige il primo.

Il canone guariniano è un modus esclusivo per raccogliere libri, prediligendogli storici ed escludendo gli autori in volgare; manifesto rappresentativo più dellacultura umanistica che di un modo di costruire una biblioteca attraverso l’articola-zione di strumenti segnaletici.

A prescindere dal criterio funzionale che ne configura la nascita, è inevitabileche il canone bibliografico nel tempo assolva anche il compito di strumentosegnaletico-comunicativo e di repertorio.

Il canone parentucelliano, commissionato a Tommaso Parentucelli da Cosimode’ Medici in occasione del riordino della Biblioteca di San Marco, verrà usato da nu-merose biblioteche signorili come criterio elencativo e inventariale per reperire i testi.

Da questo canone, pure se marcatamente a sfondo religioso, trasse vantaggioanche l’editoria a servizio esclusivo delle Signorie, per estrarre informazioni suitesti da sottoporre alla riproduzione dei copisti per il diletto dei committenti.

Con il canone parentucelliano si dilata il sistema comunicativo e informativosui fondi librari che, inevitabilmente, risentono della necessità di adeguare le cono-scenze alle trasformazioni sociali ed economiche in corso, frutto dell’incrementodei traffici e delle comunicazioni commerciali.

La fusione delle biblioteche signorili con le religiose, affidate alle autoritàmunicipali (Malatestiana a Cesena, Sforzesca a Pavia, l’Aragonese a Napoli, ecc...),se da un canto ribadirà l’egemonia della Chiesa sugli strumenti di formazione ediffusione della cultura scritta, il perdurare dell’egemonia culturale delle bibliote-che delle istituzioni religiose contribuirà alla canonizzazione della lingua italiana ealla necessità di provvedere all’apertura pubblica delle biblioteche. In questo conte-sto il canone parentucelliano costituirà uno strumento di integrazione della culturareligiosa monolingue con la classicista bilingue, ma anche una prima forma struttu-rale dei sistemi di comunicazione in corso di realizzazione.

Dopo la stampa tipografica

La rapida riproduzione di copie, conseguente all’introduzione della stampa

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La comunicazione in biblioteca

tipografica, fa esplodere un sistema di comunicazione delle produzioni intellettuali tut-to esterno al mondo delle biblioteche rappresentato da bollettini, prospetti, cataloghied elenchi redatti dai tipografi per ragioni commerciali, rendendo inevitabile il riverbe-ro sulla comunità degli studiosi dell’epoca di questa accelerazione comunicativa.

Oltre le corrispondenze epistolari fra editori-tipografi e studiosi, che realizza-no il rapporto domanda/offerta di un bene agli albori della sua esistenza, va sottoline-ato un particolare di non trascurabile rilevanza: molti studiosi si dedicano, in misuraquasi paritetica agli stampatori, alla compilazione di repertori sistematici finalizzatinon al commercio, ma alle proprie competenze specialistiche e professionali.

Ricordiamo Trithemius che, bibliografo e catalogatore, raccoglie nella suaopera oltre settemila opere di autori segnalandoli in un indice alfabetico di rapidaconsultazione. Questo elenco costituisce un repertorio bio-bibliografico anche diautori di estrazione non ecclesiastica.

All’intensificarsi di studi legati allo sviluppo delle scienze naturali e dellamedicina, è legata l’opera del padre della bibliografia: Konrad Gesner.

La bibliografia si apre oltre che ad una moderna concezione della sua reda-zione, curata negli aspetti analitico-descrittivi, ad un requisito affatto significativo:il repertorio diventa una struttura organizzata con metodica e ragionata sistematicità.

Questo strumento favorisce l’accesso alla conoscenza, consente di ampliarelo spettro delle ricerche scientifiche e contemporaneamente apre il vasto fronte del-le bibliografie speciali destinate all’ illustrazione articolata dei fondi bibliotecari.

Gesner stesso nella redazione della sua ‘Bibliotheca universalis’, invita glistudiosi delle discipline speciali alla costituzione di biblioteche pubbliche e private.

La sua gigantesca produzione repertoriale si amplia nelle ‘Pandectae’ di titoliricercati nelle più grandi biblioteche italiane e germaniche, e si arricchisce di titoliricavati dai catalogi typographorum.

Il suo termine catalogus scriptorum viene affiancato a specializzazioni più det-tagliate (bibliothecarum, autorum, typographorum...) diventando una Biblioteca ide-ale, un canone bibliografico, cui far riferimento per la costituzione di biblioteche.

Gesner, al pari di Lutero e Melantone, ritiene che il potere secolare debba occu-parsi di accrescere, a fianco delle scuole, le biblioteche e la sua attività di bibliografo nonfa, certo, riferimento a sistemi privi di strutture e strumenti comunicativi, dal momentoche nei suoi scritti, con una modernità sconvolgente, parla di servizi di biblioteca.

La modernità di Gesner

Si è già riferito delle segnalazioni ‘ragionate’ attraverso giudizi critici e braniintroduttivi.

Gesner introduce una descrizione bibliografica moderna per favorire la cre-scita di un pubblico più attento all’uso delle segnalazioni: al nome dell’autore e deltitolo dell’opera, aggiunge i criteri della segnalazione tipografica e delle modernetecniche di collazione.

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Enrichetta Fatigato

Molti principi dei moduli di catalogazione bibliotecaria moderna (compresala scheda di spoglio) fanno riferimento al suo catalogus scriptorum, che attraversoopportune segnalazioni di collocazioni, diventava catalogus librorum.

Ancora oggi, nei sistemi elettronici, si ritrovano i criteri gesneriani della rac-colta dati, della loro memorizzazione in un sistema programmato e reso noto aipotenziali utenti, e del recupero dell’informazione.

Dalla visione enciclopedica di Gesner nasce la moderna scienza bibliograficae biblioteconomica.

L’impostazione e l’esposizione sistematica delle segnalazioni sarà condivisaanche da Possevino nella sua ‘Bibliotheca selecta’, seppure in contrapposizione conGesner per il taglio decisamente dogmatico-religioso dato alla raccolta; una sceltache toglieva valore a quelle espressioni dal sapere umano concretizzate nei testi involgare e d’impianto laico.

La specializzazione delle scienze, troverà gradualmente in tipologie struttu-rali-repertoriali, quali le bibliografie specializzate un grande canale di rappresenta-zione e divulgazione.

Anche Andrei Maunsell, sotto la spinta gesneriana, redigerà il ‘Catalogue ofEnglish printed books’, diretto al potenziamento delle lingue volgari, contenenteutili indicazioni sulle trascrizioni del formato dei libri da riportare nelle citazionibibliografiche: una sorta di anticipazione di quella che sarà la futura ricercabibliologica di matrice inglese.

Dal punto di vista della definizione dei sistemi di comunicazione, per tutto ilXVI secolo, permarrà la commistione linguistica nel termine Bibliotheca fra oggettodella comunicazione, strumento di trasmissione della stessa e localizzazione fisica.

Nella produzione del bibliografo francese Naudè troviamo un primo tenta-tivo di distinzione fra bibliotheca e bibliographia, che assegna alla prima i valorisegnaletici e repertoriali e alla seconda gli scopi più tipici dell’historia literaria.

Questa distinzione permarrà fino a tutto il XIX secolo, commista a espres-sioni quali bibliologia, bibliografia analitica e descrittiva, bibliografia storica, circo-scritta all’ambito degli studi letterari.

Dall’età moderna alla contemporanea

Per tutto il Sei-Settecento, la commistione di significati, la mancanza di una pre-cisa e definitiva identità disciplinare articolata in loci communes, fa sì che Diderot noninserisca la voce nell’‘Encyclopedie’ e parli del bibliographe come di un trascrittore dicopie di libri: sintomatica rappresentazione di una incerta e dibattuta definizione disistema comunicativo organizzato in strutture proprie ed articolate per il suo sviluppo.

Con il Denis il termine acquista il significato di filologia, più tipico dell’eru-ditismo settecentesco che del valore repertoriale o decrittivo già assunto in Francia.

Sul finire del XVII secolo, i giornali letterari assolvono alla funzione reper-

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La comunicazione in biblioteca

toriale tipica della bibliografia, in perfetta identità fra biblioteca e repertori.Jacob, con la ‘Bibliographia parisinia’, nell’intento di integrare la ‘Biblio-

graphia’ di Naudè, aprirà un versante repertoriale del tutto nuovo che sfocerà nelleprime bibliografie nazionali, (come le definirà Scipione Maffei nell’Introduzione al‘Giornale de’ letterati d’Italia’ del 1710), vere e proprie bibliografie correnti.

‘Bibliographia’ e giornali letterari copriranno due versanti diversi, uno quel-lo della ricostruzione della memoria pubblica e retrospettiva, l’altro proteso allanotitia librorum, ma su scala internazionale, in ragione dei mutati scenari sociali eculturali e, quindi, con un’attenzione ai significati contenuti nelle opere.

Anche i cataloghi di vendita manterranno ancora la terminologia di bibliografia,tanto che perderà il senso datole dal Naudè, per diventare piuttosto un elenco di libri.

Sembra lontano il tempo in cui con il termine bibliographia o bibliothecapoteva intendersi un canone per allestire e dare segno e significato alle bibliotechepubbliche e private.

La crisi delle grandi biblioteche ecclesiastiche e dei ricchi privati, seguentealla Rivoluzione, la confisca statale di quei beni impone la necessità per gestirli, diistituire la ‘Bureau central bibliographique’ a Parigi per avviare un programma dicatalogazione collettiva unificata.

Attraverso i ‘Cours de bibliographie’ si inizia a porre attenzione verso lequalità dell’addetto alla biblioteca e del suo ruolo, secondo la concezione di Diderot,piuttosto che quella di Naudè o Denis.

Con il Camus ispettore degli Archivi Nazionali, nasce la bibliographia bi-bliotecaria al servizio dei lettori, antesignana del catalogo di biblioteca e per il qualeil suggerimento indica di ubicarlo all’ingresso delle biblioteche, poiché rappresen-tativo del posseduto della raccolta.

Contrariamente a Peignot, che faceva del bibliotecario un bibliologo, ovveroun erudito in storia del libro, con una cultura enciclopedico-metodica, per Boulardil bibliotecario deve svolgere il ruolo tipico del venditore di libri: redigere cataloghidi opere, edizioni, ecc...

Solo a fine secolo, con Constantin Hesse ci sarà la cesura totale fra bibliographiae scienza del bibliotecario o biblioteconomia e la bibliologia di matrice inglese.

In questa linea evolutiva si afferma una figura sociale nuova: il ruolo di bi-bliotecario con compiti di ordinatore e conservatore, con funzioni che riguardanopiuttosto la biblioteca in sé che il rapporto bibliografico-segnaletico.

Nel territorio italiano una tipica espressione di questo orientamento è dataproprio dalla definizione del ruolo e dalle funzioni dei bibliotecari svolte in lonta-nanza e isolamento da relazioni con il pubblico frequentatore delle biblioteche.

Questo approccio culturale alle funzioni dell’addetto alla biblioteca è con-fermato dalla istituzione in Italia del magazzino librario nel 1817, separato dallesale di studio e lettura.

Una differenza sostanziale dalle biblioteche americane, dove, invece, consul-tazione e sistemazione dei libri in scaffalature aperte congiungeva in un continuumfisico e ideologico e sistematico documenti, loro localizzazione e pratiche di indi-cizzazione repertoriale.

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Enrichetta Fatigato

Contemporaneamente, in Italia si affermava il ruolo dello Stato nella tuteladel patrimonio bibliografico nazionale, con il riconoscimento del ruolo guida affi-dato alla Biblioteca Nazionale di Roma e poi di Firenze.

A completamento di una vasta opera di sistemazione per il reperimento dellepubblicazioni, citiamo le grandi realizzazioni a Milano della Bibliografia Italiana, ilBollettino delle opere ricevute per diritto di stampa, la Bibliografia Nazionale Ita-liana a cura della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e l’opera retrospettivadel Pagliaini, Catalogo della Libreria Italiana dal 1847 al ‘99.

In Italia, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il modello della publiclibrary, si affermerà definitivamente corrispondendo al bisogno di alfabetizzazionee scolarizzazione diffusa e con esso partirà tutto il fronte dell’apertura delle biblio-teche alle nuove tecniche comunicative commisurate al nuovo pubblico.

L’attenzione si sposta dalle funzioni repertoriali bibliocentriche, alla ricercadei nuovi linguaggi perché la comunicazione riguardante le risorse documentariesiano sempre commisurate ai bisogni degli utenti delle biblioteche.

Nodale diventa la figura del bibliotecario mediatore dei linguaggi di trasmis-sione delle conoscenze realizzate nei documenti, la cui competenza professionale ènel favorire l’uso delle biblioteche attraverso sistemi linguistici di comunicazionescientificamente formulati.

Nel concetto di public library, così come lo aveva teorizzato nel 1937 McColvin, si esprime il principio di obiettività della biblioteca.

Primo a proporre in Italia questa biblioteca di tipo americano era stato Etto-re Fabietti e, sempre intorno agli anni trenta, di poco a lui successivo Luigi DeGregori che presentava il modello americano come quello della “Biblioteca nuova”aperto a tutti i cittadini.

Fra il 1952 e il 1953 con Virginia Carini Dainotti si diffonde la pratica del-l’apertura delle biblioteche alle nuove tecniche e al nuovo pubblico, con la costitu-zione graduale su tutto il territorio italiano di un servizio nazionale di lettura fa-cente capo localmente alle biblioteche di capoluogo e articolato in biblioteche mi-nori collocate anche nelle località più piccole: si trattava di un modello basato suambito provinciale e già sperimentato in altri paesi europei.

Nei tempi più recenti le competenze professionali più tradizionali sonosottoposte ad una vera e propria rivoluzione copernicana degli strumenti edelle procedure atte a governare l’esplosione delle produzioni documentariein forme e tipologie diverse dal tradizionale documento cartaceo, dovendoorientare le mediazioni anche agli accessi cognitivi tipici della Società dell’in-formazione.

I modelli di varianzaQuesto schema sintetico permette di evidenziare i modelli più contempora-

nei di varianza dei sistemi strutturali della comunicazione biblioteconomica, delloro rapporto con i supporti e con le forme di presentazione delle stesse e la quali-

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La comunicazione in biblioteca

ficazione dell’utenza:

Gestione di raccolte proprie Biblioteca cartacea Pubblico localeBiblioteca elettronica

Gestione di raccolte ‘altre’ Biblioteca virtuale Pubblico in rete

Sistema informativo planetario Biblioteca digitale Pubblico remotosconosciuto ‘invisibile’

I linguaggi della comunicazione bibliotecaria:quadro di riferimento generale

Analizziamo, ora, le strutture comunicative che nelle biblioteche consento-no di realizzare sistemi aperti di comunicazione attraverso l’uso di specifici lin-guaggi o sintassi di trasmissione.

Ci riferiremo, in particolare, a quelle metodologie e procedure tecniche cheservano a produrre per ciascun documento una scheda, una voce bibliografica oanche una registrazione che consenta, da un lato, di descriverlo, identificarlo ereperirlo, dall’altro lo riconduca all’interno di una vasta area di significati dotati dipregnanza comunicativa aperta, segnaletica e interdisciplinare.

Le procedure di controllo e gestione dei documenti produrranno registra-zioni descrittive e servizi secondari di analisi e indicizzazione: due approcci sistemiciche si tradurranno in prassi distinte di catalogazioni.

Nella biblioteconomia contemporanea, prerequisito essenziale alla realizza-zione di questi approcci sistemici, è divenuto, a livello planetario, l’adozione dicodici sintattici uniformi che consentano, in regime di comunicazione aperta, loscambio di informazioni e di dati bibliografici fra più sistemi aperti e la formazionedi archivi comuni.

La struttura del linguaggio comunicativo, che può non essere necessariamenteconoscitivo e rimanere solo identificativo, si organizza intorno al principio dellacatalogazione descrittiva.

Lo scopo di questa struttura comunicativa, adottata per ciascun documentoafferente la raccolta bibliotecaria e documentaria, è quello di accogliere sia la de-scrizione, ovvero una registrazione che contenga un insieme di informazioni estratteda parti costitutive il documento stesso o da altre fonti, e che siano in grado didescriverlo e identificarlo per quelle che sono le sue caratteristiche fisiche ebibliografico-analitiche, sia i punti di accesso (codifiche di nomi, titoli, enti, ecc…)che aiutino a reperire gli elementi descrittivi specifici di un documento fra l’univer-so delle descrizioni di altri documenti, diversi anche per tipologia.

A questo complesso di elementi si aggiunge l’operazione di analisi e di rap-presentazione del contenuto del documento, realizzato con procedimenti di

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Enrichetta Fatigato

indicizzazioni in rete di relazioni semantiche.La tenuta di questo reticolo di significati dotati di pregnanza comunicativa, è

garantita dall’adozione di sistemi linguistici che adottino una sintassi coestesa nonsolo ai contenuti disciplinari dei singoli documenti, ma alla prevedibile relazioneche le discipline intessono fra loro.

Principi sistemici e strutture linguistiche

La mediazione bibliografica oggi si fonda su alcuni principi strutturali, com-plementari fra loro: la normazione, l’uniformità e la standardizzazione cheregolamentano sia la redazione delle descrizioni bibliografiche, che delle relazionisemantiche.

Sono criteri dettati dall’esigenza di adeguare i sistemi di catalogazione ai mutatibisogni di utenza e di circolazione aperta delle informazioni e che recepiscono, apartire dalla prima metà degli anni ’50, l’esigenza di un coordinamento internazio-nale, volto all’adozione di tecniche catalografiche compatibili e basato sull’unifica-zione delle norme e delle metodologie e procedure classificatorie per consentirel’identificazione e la circolazione delle testimonianze intellettuali anche attraversol’uso dell’elettronica.

In particolare, vanno ricordati i Principi di Parigi (1961) approvati dalla Con-ferenza Internazionale sui Principi di Catalogazione (ICCP) convocata dall’IFLAcon l’intento di raggiungere un consenso internazionale sui principi della cataloga-zione bibliografica per autori.

Furono il primo passo verso la costruzione di una solida base per la standar-dizzazione internazionale della catalogazione.

Essi contengono le norme, molto generalizzate, per la scelta e forma delle inte-stazioni per autori e titoli per la redazione di cataloghi di pubblicazioni a stampa.

Nella Definizione dei Principi se ne raccomanda l’uso in tutti i cataloghi dibiblioteche e negli elenchi alfabetici di pubblicazioni.

I Principi di Parigi non sono un codice di catalogazione, ma un quadro dinorme di riferimento per i codici nazionali e si occupano delle intestazioni, qualipunti di accesso all’informazione catalografica, trascurando invece la descrizione ela gestione dei cataloghi.

Le questioni trattate riguardano le funzioni e la struttura dei cataloghi; i tipi diintestazioni e loro funzioni; le intestazioni di enti collettivi; le opere in collaborazio-ne; le raccolte; la schedatura sotto il titolo e le parole d’ordine per i nomi di persona.

L’International meeting of catalouging experts (1969) convocato dall’IFLAa Copenaghen, ampliò lo spettro delle problematiche espresse dai Principi, ma so-prattutto avviò il lungo percorso di ricerca di criteri uniformi e standardizzati incui far rientrare le forme di intestazioni per nomi di persona, per opere classicheanonime, ma soprattutto quelle riguardanti le codifiche da dare alle pubblicazionidegli enti, per la ovvia difficoltà di trovare un unico sistema uniforme linguistico

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La comunicazione in biblioteca

cui far aderire le strutture nazionali linguistiche diverse.L’ elaborazione dei principi di standardizzazione dei linguaggi comunicativi

consentiva il Controllo Bibliografico Universale (U.B.C.).Questo principio faceva riferimento a liste nazionali di forme ufficiali per

connettere la forma standard internazionale con la nazionale specifica, ma l’impor-tanza dell’ International meeting va collegata alla intuizione di raccomandare l’im-piego di norme standardizzate per la descrizione dei vari materiali.

Risale al 1971 la prima norma di descrizione standard: l’ISBD(M) cui neltempo sono seguite numerose altre che scaturiscono dall’ISBD(G) del 1975.

Tutti i sistemi di catalogazione nazionali si sono adeguati, dal 1961 in poi, aicriteri stabiliti dai Principi di Parigi e dalla elaborazione della struttura delle ISBD.

In particolare, ricordiamo le Anglo-American Cataloguing Rules 1 e poi 2,perché costituiscono, ancora oggi, per l’ampiezza elaborativa, un grande punto diriferimento per la compilazione e revisione di codici locali e nazionali e, recependole prime ISBD(M), contribuirono alla integrazione nelle AACR2 di tutto quel ma-teriale di recente generazione che entra nelle biblioteche, guidando l’IFLA alla com-pilazione delle citate ISBD(G).

In Italia i Principi di Parigi e le ISBD sono state recepiti nelle Regole Italianedi Catalogazione per Autori del 1979.

La comunità dei bibliotecari fa oggi riferimento anche ad altri sisteminormativi e linguistici speciali per una più precisa descrizione e identificazione deidocumenti.

In particolare, l’International Organization for Standardization (ISO), di cuil’Italia è membro attraverso l’Ente Italiano di Unificazione (UNI), ha fornitocodifiche per le identificazioni di diversi tipi di documenti.

A titolo esemplificativo citiamo l’ISBN e l’ISSN, le abbreviazioni di parole, laconversione delle lingue scritte con tabelle di traslitterazione (ISO R/ 233: vedi Ap-pendice VI RICA), le norme per la compilazione di thesauri monolingue (ISO 2788),lo standard OSI per le biblioteche: rappresentazione dei processi di interconnessionefra sistemi aperti (ISO/7498), l’UNI 6392 per i cataloghi alfabetici di periodici in cuisono recepite le ISBD(S) e le norme ISO per il trattamento dei periodici.

I formati per lo scambioe la circolazione delle informazioni

Dal 1974 all’U.B.C. lavora l’IFLA al fine di realizzare il controllo di tutte lepubblicazioni di materiale bibliografico, su qualsiasi supporto, e per consentire alleagenzie bibliografiche e alle biblioteche nazionali di agevolare l’accesso alle pub-blicazioni.

Scopo dell’U.B.C. è consentire lo scambio di informazioni bibliografiche inun formato riconosciuto a livello internazionale, controllato e condiviso.

La doppia esigenza di creare sia reti di scambio internazionali di registrazio-

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Enrichetta Fatigato

ni bibliografiche, che la possibilità di accedervi, generò il formato di scambio leggi-bile dal calcolatore chiamato MAchine Redeable Catalogue

Con l’adozione del MARC, tutte le norme e gli standard descrittivi prece-dentemente illustrati, risultano catturabili dall’elaboratore anche all’interno di si-stemi diversi.

In Italia, il formato di scambio adottato dalla Bibliografia Nazionale fu, dal1975 al 1984, l’ANNAMARC, fino alla successiva adozione del formatoUNIMARC, in seguito alla produzione di registrazioni nel Servizio BibliograficoNazionale.

Parallelamente all’evoluzione delle ISBD si sono realizzate nuove edizionidell’UNIMARC per adeguare i formati di scambio ai nuovi supporti.

Il Permanent UNIMARC Control, creato dall’IFLA dopo il 1991, consentedi mantenere il formato e di adeguarlo costantemente alle variazioni degli standard.

A titolo di esempio citiamo la transcodifica dell’OPAC dell’Indice del Servi-zio Bibliotecario Nazionale realizzato con la ISO Z 39.50 e del WEB in UNIMARC.

Ricordiamo, inoltre, l’impegno dell’IFLA per concorrere alla riduzione deicosti di catalogazione, giovandosi degli effetti benefici che la catalogazione parteci-pata contribuisce a realizzare, congiunta ad una sempre maggiore semplificazionedei codici catalografici, in particolare con l’avvento dell’editoria elettronica e le ri-sorse in rete.

Il rapporto redatto nel ’97 sui Requisiti Funzionali per i Record Bibliografici(FRBR 1997) rappresenta la base di definizione e identificazione delle entità che gliutenti ricercano in un record bibliografico, le caratteristiche di ciascuna entità e lerelazioni fra entità diversi.

I supporti della comunicazione

Esaminati i principi generali che sovrintendono la formazione del sistema edella struttura comunicativa biblioteca, guardiamo ora gli strumenti che consento-no la trasmissione strutturata della comunicazione bibliografica e documentaria: isupporti comunicativi primari, secondari, terziari e gli agenti del trasferimento co-municativo.

I Supporti comunicativi primari sono le raccolte e i fondi bibliografici e do-cumentari che caratterizzano la biblioteca e rendono conto della sua storia istitu-zionale e ne definiscono la mission.

I Supporti comunicativi secondari sono le tecniche che consentono la sele-zione, la raccolta e la trasmissione delle informazioni relative agli stessi supportiprimari.

Il primo caso attiene la gestione fisica del materiale rispetto agli spazi, all’utenzadiretta, alle procedure di acquisto, di gestione delle nuove accessione, di fondi spe-cialistici o antichi e di messa a regime dei sistemi di collocazione fisica (scaffalatureaperte, criteri bibliometrici, stoccaggio).

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La comunicazione in biblioteca

I supporti secondari, più genericamente noti come cataloghi e bibliografie,hanno il compito di realizzare per ciascun documento: una registrazione che loidentifichi rispetto ad altri, l’occasione editoriale della pubblicazione (illustrazioni,collana ecc…) e la relazione fra descrizioni e relativi punti di accesso nei cataloghiautomatizzati.

I Supporti comunicativi terziari, infine, sono i moderni supporti di comuni-cazione che prescindono sia dai documenti fisici che dalle strutture secondarie; questiprevedono la produzione, codificazione e analisi del documento all’interno di si-stemi digitali e la loro circolazione in un sistema planetario di connessioni e su cui,oggi, più che per i documenti materiali, si impone l’attenzione al controllo, allatutela degli accessi e al grado di autorevolezza delle fonti.

Gli intermediari della trasmissione comunicativa bibliotecaria si pongono ainodi di scambio fra domande e bisogni informativi sempre più circoscritti e offerteche, pur esercitandosi attraverso le più classiche operazioni biblioteconomiche di sele-zione, controllo, organizzazione, analisi, valutazione e disseminazione di informazionibibliografiche, devono tener conto dei più recenti orientamenti in tema di informationmanagement per vincere la sfida di quella informazione circolante via etere che, mentrerealizza identità fra contenuto delle scienze e forma della loro trasmissione, può lasciareinteri bacini culturali poco attrezzati in isolamento comunicativo, spiazzati dalle riso-luzioni commerciali on-line, e, anche, dall’anarchia della rete.

In questo terzo millennio la funzione del bibliotecario si conferma e si deli-nea figura nodale di riferimento per la trasmissione e l’ uso dei linguaggi comunica-tivi della biblioteca, per il reference material e l’information retrieval in rete e per ilriassetto e il potenziamento di prestazioni di servizi qualitativamente validi, effica-ci e speciali in termini di relazioni soddisfacenti con i destinatari della comunica-zione, qualificabili sempre più come servizi di orientamento all’uso degli strumentiper l’accesso alle conoscenze.

In questo senso il Manifesto dell’UNESCO del 1994 definisce le bibliotecheservizio culturale per eccellenza, riferimento locale per l’informazione e la crescitadella persona e delle comunità.

Anche durante il seminario “Appalti e qualità dei servizi in biblioteca” svol-tosi a Roma nella sessione di Bibliocom 2001 coordinato dall’Osservatorio lavorodell’AIB, è stato ribadito il ruolo della biblioteca all’alba del terzo millennio qualestrumento indispensabile per il diritto di accesso all’informazione e del biblioteca-rio intermediario attivo fra risorse e utenze.

Un nesso biunivoco che può essere realizzato e misurato producendo e met-tendo a regime servizi bibliotecari efficienti e offrendo prodotti qualitativamenteelevati, con una particolare attenzione agli accessi alle risorse elettroniche locali eremote per utenze locali, ma anche remote.

Anche il gruppo di lavoro dell’AIB ‘Gestione e Controllo’ nelle recenti “Li-nee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane” ha tracciato ledirettive per l’orientamento dei bibliotecari e degli Enti interessati perché contri-buiscano

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Enrichetta Fatigato

- all’elevazione della qualità dei servizi in biblioteca,- a potenziare l’adozione di standard e requisiti minimi condivisi per il fun-

zionamento- a realizzare norme e indicatori per gli usi e le risorse remote- a monitorare lo ‘status’ della cooperazione delle biblioteche in rete per la

condivisione di servizi informativi.Per estrema coerenza con le specificità locali, occorre precisare che i criteri più

recenti di misura della user satisfaction nell’era degli accessi digitali, in alcuni contestibibliotecari risente non tanto e non solo della possibile, oggettiva difficoltà riscon-trata in altre realtà di adozione e comparazione di set base di indicatori uniformi e dimetodi statistici standard, quanto di quei gap storici che hanno vincolato le risorseumane e le propensioni culturali a metodologie professionali statiche e unidirezionalie all’uso di risorse strutturali tenute in regimi di arretratezza e obsolescenza.

Si ritrovano in queste linee - guida alcune delle intuizioni già espresse daMaltese: “non c’è biblioteca che non sia specializzata, non solo nel senso che ognibiblioteca può essere descritta nei filoni di interesse attorno a cui è venutasi for-mando e crescendo, ma, soprattutto in quando è sempre possibile, e anche necessa-rio, procedere all’analisi delle singole biblioteche in termini di sistemi, da definirenelle finalità proprie di ciascun sistema, nell’organizzazione finalizzata delle partiche lo compongono e infine nell’ambiente su cui agisce e da cui riceve stimoli econdizionamenti”.

Biblioteca speciale è allora qualunque biblioteca in cui l’intermediazione trarisorse documentarie disponibili (anche fuori della biblioteca stessa) e utilizzatoridel sistema è sentita e realizzata, anche solo in parte, come trasferimento dinamicodi informazioni, e misurata sulla base dei successi e degli insuccessi. Una gestionecosì intesa, sia chiaro, non è specifica o più adatta a questo o a quell’altro tipo dibiblioteca, poiché non è legata alla natura delle raccolte o alla composizione delpubblico che pure, come abbiamo visto, sono elementi che entrano necessariamen-te nell’analisi dei singoli sistemi, ma ai modi dell’intermediazione bibliotecaria. Inquesto senso ritengo che essa sia la sola in grado di fornire indicazioni e orienta-menti in Italia, all’istituto della biblioteca locale, più che il loro modellamento sullabiblioteca pubblica di tradizione inglese e americana è soprattutto nelle bibliotecheriappropriate dalle popolazioni locali che si dovrebbe cercare di realizzare il massi-mo di personalizzazione e di - specializzazione del servizio.

Scriptorium elettronicovs. intermediazione bibliotecaria?

Intermediazione bibliotecaria e information management, già a partire da-gli anni ’80, come si vede, hanno assottigliato le reciproche regioni di confine am-plificando le funzioni e le convergenze delle specifiche, singole professioni (L.J.Anthony. D. Maltese).

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La comunicazione in biblioteca

Anche Paolo Bisogno attribuiva al bibliotecario e allo specialista della docu-mentazione comunione d’intenti nella predisposizione di servizi e prodotti attra-verso l’impiego di metodologie scientifiche e impianti tecnologici adeguati.

Lo scarto dei tempi più recenti è rappresentato dalle sfide che la globalizza-zione delle reti comunicative hanno lanciano al mondo e alle professioni delle bi-blioteche e della documentazione, a partire dall’inizio degli anni ’90, essendo sem-pre più evidente l’integrazione, ove non anche possibile, la irriflessa commistionefra oggetto della ricerca bibliografica o documentaria e forma di presentazione ecomunicazione :

“L’elemento per me più significativo è la possibilità, insita in un sistema didocumentazione elettronica in rete, di fondere in un sistema informativo tanto laraccolta documentaria quando gli strumenti della sua indicizzazione (con tutto ilcorredo di problematiche tecniche relative alla definizione di unità bibliografica edi documento e relativi criteri descrittivi e di indicizzazione). Compare qui il pos-sibile superamento di quella separatezza caratteristica di tutta l’età moderna e siprofila una approssimativa analogia (che ha il valore euristico puramente allusivo)con la produzione (ed indicizzazione?) medievale di documenti che trova il suospazio nella biblioteca ‘scriptorium’: un luogo dove si scrive, si conserva, si legge, sitrascrive”.

Le professioni del settore sono tenute a dilatare sempre più le acquisitecompetenze ‘orizzontali’ e ad amplificarle attraverso l’uso di sistemi informativiad alto valore aggiunto perché le forme e i tempi per l’accesso alla conoscenza eall’informazione sono le chiavi di volta del vantaggio competitivo fra le organizza-zioni, in primis fra quelle che tale accesso devono garantire sia realizzato in modoscientificamente selezionato, diffuso, fruito.

La contemporanea congiuntura utente/documento così come delineata, nel-la breve citazione di Gatti, deve essere tutelata in ogni sistema pubblico per la do-cumentazione o di biblioteca nazionale, locale, scolastica, universitaria o per la ri-cerca, dal potenziamento dei servizi di reference.

Servizi “della biblioteca” quale agenzia di informazioni bibliografiche, adaccesso non settoriale e unidirezionale in cui si impone la flessibile integrazione,intersezione e interdisciplinarietà con quelle competenze professionali tipiche dellaSocietà dell’informazione che creano nuovi vantaggi e nuove sfide, ma anche ne-cessitano di nuove tutele per la relazione utente/documento, libro/lettore e biblio-tecario all’ingresso del nuovo millennio.

Nella realizzazione di sistemi multimediali di accesso alle informazioni, disviluppo e potenziamento delle reti di cooperazione per la diffusione informaticadella documentazione e per la loro omogeneizzazione in ambienti cognitivi inte-grati (vedi l’esperienza della Mediateca di Santa Teresa a Milano) permane e si po-tenzia, l’atteggiamento culturale e professionale di chi nel tempo, attraverso l’usodei nomoi della biblioteca - oggi diremmo e-reference - ha cercato di governare e‘catturare’ il flusso dei saperi codificati nei documenti, rispondendo al compito digarantire, rispetto alle fonti informative primarie e secondarie

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Enrichetta Fatigato

- il reperimento,- la selezione,- la registrazione catalografica,- la sistematizzazione e indicizzazione semantica,- la localizzazione,- il controllo,- la diffusione e la circolazione.Si riverbera quello che fu l’antico sogno dei bibliografi del ‘500: governare le

produzioni librarie attraverso l’uso della bibliografia segnaletica universale,concretizzatasi nella ‘Bibliotheca Universalis’ di Gesner e via via, a giungere ai pri-mi anni del ’900 a realizzazioni quali il ‘Rèpertoire bibliographie universel’ di Otlete La Fontaine.

Impostazioni metodologiche costrette a franare di fronte all’ingigantirsi del-l’universo delle produzioni documentarie, alla specializzazione degli ambiti disci-plinari e alla necessità di articolare strumenti tecnici di controllo non più circo-scritti a singoli fondi librari e all’attività di bibliografi illuminati.

E, come la conseguente separazione fra bibliografia e biblioteconomia inambiti affini, ma specialistici, affidò alla prima i compiti della repertorialità dellearee tematiche e delle articolazioni delle scienze e all’altra la gestione delle bibliote-che attraverso gli strumenti del controllo dei flussi documentari e destinati alle utenzepubbliche. Così i bibliotecari del terzo millennio devono non tanto e non solo ga-rantire l’uso dei nuovi strumenti e l’esercizio di nuove competenze per l’accessoalle conoscenze, ma tutelare la specialità, l’autorevolezza e la selezione e diffusionecontrollata dei flussi documentari favorendo la crescita di utenza attiva e consape-vole dei percorsi di accesso selettivo agli strumenti e alle forme di rappresentazionedei contenuti dell’information retrieval.

“Le biblioteche si trovano a dover gestire servizi di informazione bibliograficae di disponibilità di documenti che non ammettono ostacoli, lacune o zone d’om-bra, considerata l’esigenza degli studiosi di accedere in modo agevole, tempestivoed esaustivo a informazioni e documenti ovunque questi siano pubblicati. La sepa-razione tra materiale posseduto e materiale non posseduto non regge più, essendoimpensabile che una biblioteca possa presumere di impostare i suoi servizi unica-mente sulle proprie raccolte documentarie;anche per le attività tecnico-professio-nali le biblioteche avvertono la necessità di appoggiarsi a strutture e servizi che nefavoriscano l’operatività. Quando si parla di condivisione delle risorse fra le biblio-teche, quindi, non bisogna intendere solo la possibilità di cooperare nel campo del-la formazione delle raccolte bibliografiche e nei servizi di prestito, ma anche per ilcomplesso delle attività di mediazione che le biblioteche esercitano.

Questa funzione di mediazione va intesa come sistema integrato di risorsedocumentarie, di strategie e strumenti per la circolazione e fruizione delle pubbli-cazioni e orienta il temuto paradosso di accesso all’informazione senza bibliotecarie di documentazione senza intermediazione.

Nel confronto con le sfide che l’universo delle comunicazioni digitali lanciano

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La comunicazione in biblioteca

al mondo delle biblioteche, l’abilità professionale di chi valuta, seleziona, organizza erende fruibile l’accesso alle risorse in rete (gratuite e/o commerciali) restituisce valoreaggiunto al servizio agli utenti della istituzione bibliotecaria in cui opera.

L’editoria commerciale, che affianca a produzioni cartacee di periodici, ver-sioni in formato digitale e ha progressivamente polverizzato i formati delle unitàbibliografiche, dalle monografie ai periodici, agli spogli e ai servizi elettronici didocument delivery, con costi competitivi rispetto alle produzioni a stampa.

La recente tecnologia push automaticamente trasferisce sullo scriptorium vir-tuale dell’utente informazioni provenienti dalle più disparate fonti, senza che sipossa realizzare alcun controllo di autorità, sovraccaricando l’ambiente cognitivodel cosiddetto ‘information overload’ elettronico, privo di orientamento.

Il ruolo dell’intermediario bibliotecario va individuato proprio nell’orienta-mento all’uso e al reperimento delle fonti, siano esse su supporti tradizionali che adaccesso elettronico, nella predisposizione dei linguaggi condivisi e condivisibili diindicizzazione e ricerca, nella realizzazione della ricerca stessa, nella predisposizio-ne e verifica di strategie economiche di ricaduta del servizio sugli utenti, nella rifor-mulazione di aree di ricerca più avanzate, nella valutazione finale della ‘user sati-sfaction’ e nella localizzazione e fornitura dell’accesso ai documenti.

In sostanza una vera e propria azione di user orienting, in cui però il valoreaggiunto dell’intermediazione non si limita solo ad offrire una risposta per ognidomanda, ma è in grado di modificare l’espressione della domanda iniziale, gui-dando l’utente attraverso le ‘trappole bibliografiche e tecnologiche’ ad un progres-sivo rovesciamento del ruolo dell’intermediario.

Nel confronto con le sfide delle tecnologie elettroniche non regge più tantol’essere mediatori fra ricerca e prodotto finito, ma garanti di un progressivo percor-so relativo e non assoluto di emancipazione dell’utente nella ricerca bibliografica,instaurando rapporti di alfabetizzazione/consulenza.

A questo orientamento della professione bibliotecaria hanno condotto le tappeche la moderna biblioteconomia ha compiuto per adeguare gli strumenti di connes-sione utente/documento attraverso procedure condivise, standardizzate, norma-lizzate e controllate per rinsaldare gli scopi della già consolidata cooperazione na-zionale e internazionale intorno al trattamento delle risorse elettroniche, delle ban-che dati e degli accessi alle fonti elettroniche per lo sviluppo e il potenziamento deiservizi resi dalle biblioteche e per la condivisione di regimi e protocolli internazio-nali per gli accessi alle fonti documentarie.

Orientamenti preparati sin dalla citata Conferenza di Parigi e dalle racco-mandazioni all’adeguamento delle funzioni dei cataloghi bibliografici a strumentiper l’accertamento delle opere e delle edizioni di autore all’uso di intestazioni uni-formi per i nomi degli autori/persona e degli enti/autori e dalla diffusione di standarddescrittivi per le registrazioni bibliografiche.

Dalle risoluzioni di Parigi come è noto, sono stati originati oltre venti codicidi catalogazione nazionale.

In particolare, AACR 1 del 1967 e AACR 2 del 1978 rev.1988 e successive

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Enrichetta Fatigato

revisioni in corso a cura del Joint Stearing Committe RICA del 1979 in corso direvisione a cura dell’ICCU per adeguarle ai vari formati di rappresentazione dellepubblicazioni.

Le AACR, com’è noto, offrono criteri e principi standard per il trattamentodi ogni tipo di materiale selezionato per l’acquisizione da parte delle biblioteche didocumenti in qualsiasi forma o formato. Nel tempo hanno favorito lo sviluppo diservizi bibliografici fondati sulla condivisione di record bibliografici e di liste diautorità uniformi. I cataloghi on-line sono divenuti struttura portante dei sistemibibliotecari integrati, e permettono di affiancare alle più tradizionali risorse di bi-blioteche i sistemi in linea a struttura più complessa in regime di condivisione dirisorse digitali attraverso i portali e i gateways.

Barbara Tillett, nel convegno svoltosi a Roma sulle Risorse elettroniche, hariferito dell’ancor più recente processo di revisione cui sono sottoposte le regoleangloamericane per approfondire il loro uso per le risorse elettroniche (cap.9),nonpiù identificate come archivi per elaboratore. La Tillett ha riferito dei problemirelativi all’area 5 della descrizione fisica di materiali che, anche se girano nell’etere,hanno comunque una loro estensione e per i quali è necessario adeguare il lessicodelle designazioni specifiche del materiale (SMD) agli usi più convenzionali degliutenti (CD-Rom invece che disco ottico).

Nuove direttive all’impianto del capitolo 12 sui seriali, mirano a stabilire ilivelli descrittivi per le risorse reperibili sul Web , gli e-journal, i database in aggior-namento programmato, le pubblicazioni a fogli mobili e un po’ tutte le risorse incontinuazione.

L’orientamento più recente è quello di abolire la parte 1 delle Regole perriorganizzarla in un unica struttura più uniforme rispetto ai formati e simile allastruttura ISBD, evolvendo verso registrazioni basate sull’espressione legate ai re-cord per specifiche manifestazioni, secondo la terminologia di FRBR.

Anche la struttura ISBD è sottoposta a progressive modifiche, seguenti alcontemporaneo modificarsi dei supporti della comunicazione e della informazio-ne: si pensi alla struttura di ISBD(S) già revisionata nel 1988.

Il dibattito sui seriali si è ulteriormente evoluto per la descrizione di quelleunità che non sono strictu sensu un seriale, pur rivestendone alcune caratteristiche:le risorse integrative, le risorse in continuazione nei formati a stampa e nei formatielettronici disponibili sui siti Web.

Il gruppo di lavoro della Library del Canada, nominato dall’Ifla per la revi-sione degli standard per i seriali, collabora con i membri della rete ISSN e delleAACR per ridurre al massimo le differenze fra i reciproci standard, infatti anche larete di ISSN sta rivedendo le proprie impostazioni.

Ad analogo processo di revisione sono sottoposte le ISBD (CM), per i mate-riali cartografici disponibili in rete, e l’orientamento più recente è quello di revisio-nare l’intero impianto ISBD quando sia necessario ricorrere a più di una ISBD perrealizzare un record bibliografico.

Le stesse ISBD(ER) dal 1997 sono in fase di revisione per adeguarle non solo

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La comunicazione in biblioteca

a risorse testuali monografiche, ma seriali, in continuazione e cartografiche.L’impulso dato dall’IFLA alla comunicazione fra biblioteche attraverso lo

scambio di record bibliografici costruiti con standard internazionali per la descri-zione dei diversi formati e l’impianto dato dalla struttura delle ISBD per il tratta-mento nelle biblioteche, ha contribuito, dal 69 ad oggi, al superamento delle barrie-re linguistiche di comunicazione.

Si è aperta la strada al controllo bibliografico internazionale e favorita la conver-sione dei record bibliografici in formato leggibile dall’elaboratore, garantendo il con-trollo di autorità per le scelte realizzate e disponibili per gli utenti delle biblioteche.

Le risoluzioni della 39^ conferenza dell’IFLA di Grenoble del 1974 defini-rono compiti e finalità del Controllo Bibliografico Universale quale sistema mon-diale e di azione permanente

- per migliorare e adeguare le infrastrutture di comunicazione;- per sostenere le professioni della documentazione e delle biblioteche nel-

l’esercizio di servizi qualificati di accesso ai bisogni informativi delle utenze;- per garantire programmi internazionali di cooperazione per il controllo e

lo scambio delle informazioni bibliografiche su base nazionale;- per sostenere la condivisione internazionale delle procedure di identifica-

zione, registrazione e diffusione dei formati per le registrazioni.Il risultato di questo lungo processo fu l’adozione internazionale del forma-

to MARC, divenuto poi MARC2, quale condizione strutturale fondamentale per-ché i dati organizzati in condivisione ISBD potessero essere gestiti, immagazzinatie trasferiti nei regimi della cooperazione bibliotecaria.

Come è noto, dopo le sperimentazioni di adattamenti su scala nazionale(UKMARC in Gran Bretagna, ANNAMARC per la bibliografia italiana a curadell’ICCU), negli anni ‘70 si è giunti all’adozione di un unico formato, l’UNIMARC,condiviso su scala internazionale, interfacciato e armonizzato con ISBD e sottopo-sto a revisione conseguentemente alle revisioni degli standard descrittivi.

Nella relazione svolta al citato convegno di Roma sulle risorse elettroniche,Scolari ha, inoltre, sottolineato la progressiva armonizzazione dei formati biblio-grafici MARC e UNIMARC agli standard descrittivi per le risorse elettroniche eper i seriali. L’adeguamento del formato UNIMARC allo standard descrittivoISBD(ER) ha sollecitato alcune attente riflessioni sullo standard stesso, suscitatedalla consapevolezza della natura e funzione diversa dello standard e del formato,ma che diventano occasione di valutazione per l’obiettivo che si propongono direndere agevole e diretta la registrazione bibliografica per gli utenti finali di risorseelettroniche locali e remote.

In particolare, nella presentazione dell’etichetta UNIMARC 215, che corri-sponde all’area 5 ISBD della ‘descrizione fisica del materiale’ si precisa che “l’eti-chetta è ripetibile solo nel caso di kit multimediali, secondo la corretta opzioneprevista da sempre in ISBD(G)” ma non in maniera altrettanto chiara viene espres-sa nella introduzione all’area 5 di ISBD(ER).

Infatti, ISBD (ER) seguendo la precedente impostazione di ISBD(NBM) e

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Enrichetta Fatigato

di ISBD (CF) consiglia di realizzare differenti registrazioni bibliografiche o di re-plicare l’area 5 per i diversi supporti e facendo corrispondere una riga ad ogni de-scrizione specifica.

Ma, se questa indicazione vale per i kit multimediali; come regolarsi per do-cumenti uguali ma su supporti diversi?

La duplicazione dell’etichetta, in questo caso, metterebbe l’utente di frontea scelte alternative, mentre sarebbe più opportuno descrivere uno dei formati inarea 5 e l’altro in nota, evitando la duplicazione dell’area per i manuali di accompa-gnamento per i quali lo standard stesso prevede la segnalazione nella sotto area delmateriale allegato 5.4.

Inoltre, l’etichetta MARC 856 corrisponde alla nota relativa alle modalità diaccesso a risorse elettroniche remote di ISBD (ER) e si trova al di fuori del bloccodelle note perché non si tratta di una nota descrittiva vera e propria, fra l’altro pocoformalizzata dallo standard stesso, ma di un legame che, nei cataloghi automatizzati,è attivabile dall’utente stesso e gli consente di accedere direttamente alla risorsaremota.

Una differenza comprensibile per la natura e gli scopi eminentemente de-scrittivi dello standard e del formato che consente l’accesso alle descrizioni in rete.

L’etichetta 856, già presente in MARC21, ora in UNIMARC comprende nu-merosi sottocampi di vasta formalizzazione per un pieno e flessibile uso nei sistemiin rete. A differenza di MARC 21 che la prevedeva anche nelle registrazioni didocumenti a stampa che rinviassero a loro versioni elettroniche intere o parziali,

UNIMARC la impiega solo per la localizzazione del materiale in versioneelettronica, utilizzando l’etichetta 452 (Altra edizione su diverso supporto) per illegame fra la versione elettronica e quella presente in un altro media (opera posse-duta in formato cartaceo e su CD-ROM, lasciando all’utente che naviga in OPACdi scegliere tra i due formati descritti) usando l’etichetta 488 per quei legami piùgenerici e meno diretti fra versioni non identiche, ma affini e più o meno ampi.

Le note descrittive di ISBD perciò sono piuttosto carenti, non consentendo nellaloro articolazione le relazioni di collegamento fra opere ed opere, azione più tipica dellaricostruzione della storia bibliografica dei documenti, per esempio dei seriali.

‘Il succo, se si vuole, potrebbe essere quello della tendenza nei fatti, non an-cora però nelle versioni disponibili di ISBD a una descrizione bibliografica piùsmagrita in cui non sono impropriamente inseriti dati che pertengono non alla de-scrizione ma ad altri ‘luoghi’ della registrazione catalografica. Parrebbe legittimosperare in una evoluzione delle varie ISBD, che tenga davvero in conto i risultati diFRBR, anche se le bozze circolanti di prossime revisioni paiono soprattutto preoc-cupate, magari giustamente,di conservare un forte legame con le precedenti edizio-ni e quindi il travaso di FRBR nelle ISBD sembra essere tutt’altro che immediato’

Ora, al di là delle pessimistiche previsioni di Scolari, guardiamo a quali lineedi orientamento possono condurre le armonizzazioni dei formati e l’omogeneizza-zione degli standard, in particolare per il mediatore bibliotecario e per la nuovautenza dell’era digitale.

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La comunicazione in biblioteca

‘Credo che la pubblicazione dei Requisiti Funzionali per Record Bibliograficirappresenti il momento in cui l’interesse prevalente della catalogazione si volge dal-la definizione di criteri certi per la descrizione dei documenti all’elaborazione didispositivi per mettere quegli stessi documenti in relazione fra loro.

Gli oggetti vengono, dunque, correlati, piuttosto che essere semplicementedescritti.

Tessere la rete delle relazioni esistenti fra documenti è una procedura cherichiede competenze specifiche e la creazione di una nuova figura di bibliotecarioin grado di sovrintendere alla costituzione dei collegamenti fra le registrazioni.’

Gli impegni più recenti dell’IFLA, riferiti al convegno romano dalla Plassarddell’IFLA, a proposito dello sviluppo e uso di tecnologie elettroniche nei diversicontesti bibliotecari, sono particolarmente attenti e mirati ‘a promuovere la biblio-teconomia globalmente, in particolare attraverso la fornitura di accesso eguale aiprogrammi di alfabetizzazione sull’informazione, e la conservazione del patrimo-nio documentario mondiale’.

Un progetto di grande portata realizzabile attraverso il potenziamento ditecnologie ad impatto economico ridotto, che coinvolge più direttamente le agen-zie bibliografiche nazionali (NBA), la gestione controllata dei diritti, l’adeguamentodegli standard descrittivi e classificatori alle risorse disponibili in rete.

Anche l’ISBD Review Group e lo Standing Committee Section on Catalo-guing dell’IFLA lavorano alla revisione in atto dell’impianto ISBD e alla loro inte-grazione e conformazione ai Requisiti Funzionali per i Record di Base descrittiva,anche per le risorse elettroniche e i seriali.

Analogo impegno viene profuso dall’IFLA per la condivisione internaziona-le di direttive standard per l’authority control, anche dei rinvii e dei soggetti, a se-guito delle novità introdotte dalle reti e dai nuovi standard che li descrivono perconsentire gli accessi.

La ricaduta di tutto questo impegno della comunità internazionale dei bi-bliotecari (tratteggiato fin qui solo nelle linee essenziali), come è ovvio, si registraanche negli assetti di realizzazione e gestione degli OPAC.

La Plassard aggiunge:‘Un altro progetto iniziò nel 1996 quando i colleghi finlandesi suggerirono

alla Division of Bibliographic control and UBCIM un progetto finalizzato alla pro-duzione di direttive per migliorare la visualizzazione degli OPAC e il recupero’.

La realizzazione delle OPAC Guidelines è ormai in stato di avanzata realiz-zazione e dovrebbe essere pubblicato prima della Conferenza IFLA del 2002 diGlasgow.

Antonio Scolari ha ripercorso l’iter storico degli OPAC negli usi delle bi-blioteche a partire dagli anni ’60, fino alla recente e concreta necessità di una atten-zione degli enti di normalizzazione e standardizzazione alla verifica dei requisiti dibase di un sistema di automazione .

L’evoluzione delle ricerche per adeguare le tecniche di registrazionecatalografica a formati standard e ai principi catalografici uniformi e standardizzati

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Enrichetta Fatigato

(di cui nei paragrafi precedenti si è offerto un profilo d’insieme e aggiornato agliultimi interventi riferiti durante il congresso di Roma) ha consentito l’ampliamentodelle possibilità di accedere negli OPAC a liste uniformi di autori,titoli e soggetti edi usare l’accesso alle keyword attraverso la logica booleiana, migliorando per gliutenti la visualizzazione dei vari formati della registrazione bibliografica e assimi-lando le pratiche di ricerca alla funzionalità delle basi dati on-line con possibilità diaccesso all’informazione senza intermediatori, facilitati dagli help contestuali alleschermate di ricerca, per accessi più o meno esperti.

L’applicazione dello standard Z 39 50 consente l’ampliamento delle funzioniper l’information retrieval e, attraverso la prima fase di incasellamento delle speci-fiche UNIMARC nei campi strutturati del protocollo, ha reso possibile la ricercabibliografica sui cataloghi in linea delle biblioteche.

Il passo successivo è stato quello di creare protocolli connection - oriented, checioè consentissero di poter preservare i dati di ricerca ottenuti in un set su cui l’utentepotesse intervenire successivamente per perfezionare o riordinare i dati raccolti.

L’espansione della ricerca tramite Z39 50 su reti diverse per tipologie di hostcollegati e per basi dati disomogenee quali quelle presenti in Internet, favoriscel’utente che con un medesimo linguaggio di ricerca accede a più fonti catalografichemantenendo il dialogo con i diversi ambienti di ricerca per tutto il periodo di dura-ta della sessione di lavoro.

L’applicazione del WEB in biblioteca accoppiato allo standard Z39 50 supe-ra gli accessi alle fonti documentarie in forma unidirezionale e consente la struttu-razione del formato catalografico di recupero dati in ambiente ipetestuale e in cui, apartire da una query è possibile accedere a nuovi set di risultati, attraverso linkprevisti.

‘Dal punto di vista dei metodi di interrogazione accanto alla classica ricercatramite operatori booleiani si incomincia a intravedere l’integrazione anche negliOPAC di metodi, noti da tempo e utilizzati nel mondo dell’informazione in linea,basati sull’analisi della rilevanza delle registrazioni trovate durante la ricerca e sullaloro presentazione ordinate sulla base della rilevanza; collegata a queste metodologiedi ricerca è anche la cosidetta retroazione di rilevanza (relevance feedback), un pro-cesso secondo cui il giudizio di rilevanza o di non rilevanza, espresso da un utentea proposito di un documento, viene rinviato al sistema di information retrieval chepuò così correggere il valore di rilevanza del documento, presentandolo in succes-sive ricerche simili sulla base del nuovo peso attribuitogli’.

Il reference per la BibliotecaProvinciale di Foggia

Quale può essere la ricaduta delle considerazioni fin qui tratteggiate per ilcontesto della Biblioteca Provinciale di Foggia in cui l’assetto attraversa la fase diibridazione’ dei servizi?

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La comunicazione in biblioteca

Le risorse elettroniche stanno affiancando le tradizionali dotazioni patrimo-niali e lo strumento comunicativo esercitato attraverso il reference non può pre-scindere dalla consapevolezza del contesto su cui attestare le ipotesi di lavoro per ilrecupero dello storico gap funzionale di servizi e il progressivo avvicinamento aglistandard medi nazionali di qualificazione di proposte e prestazioni.

Il reference deve necessariamente essere la rifrazione speculare dell’ impegnoprofuso per

- l’ammodernamento e l’informatizzazione degli impianti;- il potenziamento e la valorizzazione delle risorse umane (organiche, a con-

tratto determinato, in outsourcing e, da ultimo, di volontariato qualifica-to);

- i nuovi percorsi che l’introduzione e il potenziamento della mediazionecatalografica elettronica lasciano intravedere;

- la creazione di macro-aree funzionali alla riorganizzazione dei servizi;- la riqualificazione, l’aggiornamento e l’arricchimento delle collezioni, an-

che attraverso l’ingresso delle risorse elettroniche locali e remote.È, peraltro, in via di definizione compiuta la costituzione del Polo di Foggia

del Servizio Bibliotecario Nazionale.Elemento determinante, per scongiurare definitivamente il riverbero negati-

vo sui servizi ad assetto elettronico del mancato collegamento alla base di coopera-zione nazionale, in particolare e non solo, in relazione alle azioni di deposito legalee di InterLibrary Loan (prestito interbibliotecario) e di Document Delivery (forni-tura di documenti) e di cooperazione catalografica, ma anche per il governo, subase consortile, e con prevedibile risparmio di economie, degli accessi in rete allerisorse elettroniche di periodici, di spogli di articoli e di banche dati specialisticheche hanno, tutti, nei servizi di reference la prima interfaccia con la possibile utenza.

È assolutamente necessario concentrare la tenacia del governo politico didefinitiva transizione, portando a buon fine le azioni e le intese che portino la Pro-vinciale in S.B.N., perché dall’appena trascorso solipsismo cartaceo, non si cada nelsolipsismo dell’elettronico a rete locale, non essendo assolutamente qualificante perl’offerta di servizi, sopperire alla mancanza della cooperazione bibliotecaria in retecon la sola, pur valida, disponibilità degli accessi Internet predisposti nelle singolesale.

L’altro aspetto che si vuole in premessa sottolineare è contenuto nella carat-teristica propria del reference alla Provinciale di Foggia, che per un periodo di tem-po non quantizzabile si collocherà nella grande area della trasformazione dei servi-zi sostenuti da procedure cartacee e manuali (e mai, nel passato, sistematicamenteanalizzati e monitorati anche con semplici operazioni di rilevazione cartacea delleutenze e degli usi), a procedure di progressiva ibridazione elettronica di prestazio-ni e di funzioni.

Occorre condividere un prerequisito mentale fondamentale, consistente nel-la convinzione che ancora per qualche tempo si dovrà convivere con l’habitusmetodologico dell’esplorazione di sistemi possibili, valutando volta per volta, in

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Enrichetta Fatigato

itinere, le situazioni come si manifestano e come gli addetti ai servizi li presentano,alternando il cartaceo all’elettronico locale, all’on-line e agli usi remoti.

Siamo in una fase di trasformazione ‘aperta’, in cui ogni previsione ha il ca-rattere dell’impossibile, ove non esistono procedure che possano darci la sicurezzadi evitare errori, pericoli e responsabilità.

Sorregge questa fase:- la certezza salda della mission dell’Istituto diretta alla fornitura di servizi

informativi che dovranno virare dai sistemi per il possesso dei documenti ai moder-ni regimi di accesso alle fonti,

- la certezza che la suddetta virata non potrà prescindere dal costantemonitoraggio dell’adeguatezza dei regimi di servizio individuati, al fabbisogno in-formativo non solo espresso, ma soprattutto disorientato,

- la certezza che le competenze professionali di tutti gli addetti alla media-zione catalografica non basta più che siano biblioteconomicamente qualificate nel-la gestione sempre più integrata di tutti i formati di manifestazione dei documenti,(realizzata anche attraverso la necessaria e improcastinabile implementazione del-l’uso di tutti moduli dell’applicativo SEBINA), ma che, da subito, siano orientateall’ intersezione degli stessi, con abilità all’uso dei sistemi informatici, non solo dinatura locale e non solo di natura catalografica (consultazione di banche dati suCD-ROM, accesso a siti selezionati e abilità alla navigazione orientata),

- la certezza che queste abilità professionali dovranno non solo garantire gliusi, ma accogliere, interpretare e orientare i livelli di manifestazioni di bisogni in-formativi, spezzando il tradizionale concetto di servizio e di prestazioni a vettoreunidirezionale e biliotecariocentrico, favorendo nell’ utenza la consapevolezza diessere una risorsa ‘aggiuntiva’ per lo sviluppo dei servizi stessi attraverso la pro-gressiva disintermediazione di alcune prestazioni e l’intermediazione per la tuteladi qualità e autorevolezza delle fonti.

Parlando di reference sarà più opportuno distinguere ed intersecare alcunefunzioni.

La prima è il reference di gestione, l’altra il reference di servizio.Il primo è l’ambito più tipicamente collegabile alle funzioni direttive che, in

quanto area di gestione propriamente detta, nell’avvalersi di un grado di coordina-mento e studio intende, evidentemente, dotare il reference di un impianto che nonpotrà che essere a forte impatto valutativo. (allegato 1) e in cui i gradi della valuta-zione varieranno con il variare degli assetti: dalla attuale fase di pre-ibridazionefino all’auspicata costituzione di sistemi infornativi integrati a scala settoriale (leSale) e a scala macrodimensionale (tutto il regime dei servizi).

Una impostazione che certamente non ‘ingabbi’ l’ibridazione bibliotecariain atto in schemi, modelli procedurali, modulistica, tabelle e statistiche, e meno chemai in caselle di bilancio.

Da subito è opportuno si qualifichi una erogazione di servizi informativiguidati e sostenuti non da criteri assertivi, ma da atteggiamenti di permeabile atten-zione e ascolto interno ed esterno, per offrire proposte culturali e di servizio

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La comunicazione in biblioteca

improntati alla flessibilità, e orientati a produrre efficienza ed efficacia. L’uso flessibile di questi strumenti, sostenuto dall’incremento della interme-

diazione gestita con il software SEBINA, il confronto con standard, linee guida,esempi di ‘best practice’ qualifica il riassetto globale della Biblioteca Provinciale.

Le recenti ‘Linee guida per la valutazione dei servizi nelle biblioteche pub-bliche ’sono un valido e utile strumento base per attenersi agli standard nazionalicondivisi per il monitoraggio e la valutazione delle prestazioni delle biblioteche edad esse si farà, d’ora in poi riferimento per sperimentare le misure e gli indicatoriprevisti anche nella BPFG.

L’ uso incrociato delle 12 misure e dei 15 indicatori, così come suggerito nelcapitolo sulla rilevazione dei dati potrà incrementare la lettura dei servizi con unaattenzione particolare alla tipicità dei rapporti utente/documento/bibliotecario comerealizzato nella BPFG, per invertire il tradizionale segmento unidirezionale dei ser-vizi all’utente, attraverso il potenziamento delle operazioni di alfabetizzazione e dicooperazione dell’utenza stessa, sicché possa emergere un nuovo pubblico, risorsaaggiuntiva per l’adeguamento e la flessibilità di servizi.

Questa sperimentazione proposta nella logica di servizi integrati partirà conla nuova sede riservata alla Mediateca e ai Centri di documentazione.

Allegato 1

Schema dei campi sottoposti ad analisi e valutazione per il potenziamentodel reference di gestione (la lettura, la comprensione e l’adozione pratica di questoschema è possibile solo con l’impiego contestuale delle Linee Guida per la valuta-zione redatte dall’AIB):

Area servizio al pubblico: descrizione con incrocio dei punti 1.2 e 2.2Popolazione: rilevazione su basi comunali con disaggregazione per sesso ed

età,condizione lavorativa, titolo di studio.Acquisti: rilevazione fatta a fine anno con modulo 3.1 e annotazioni al punto

2.1Dotazione documentaria: rilevazione annuale con modulo 3.2-2 ed esten-

sione alle altre misure rappresentate dalle classi e all’intersezione con le localizza-zioni

Iscritti al prestito: rilevazione annuale a gestione automatizzata attraverso ilpotenziamento dell’uso del software di gestione. Incroci principali con le basi datiISTAT sulla popolazione complessiva e per classi d’età, sesso, titolo di studio eprofessione. Intersezione con la dotazione documentaria.

Prestiti: rilevazione a scadenze preordinate e con gestione automatizzata. In-crociare con le Annotazioni 2.9 e con la dotazione documentaria 1.3

Altri incroci: ILL in entrata e uscitaCon orari, giorni e mesiCon le sezioni specifiche della BPFG

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Enrichetta Fatigato

Periodici correnti: rilevazione come da annotazione 2.6 incrocio con il 6Prevedere registrazione collegamenti in linea.Personale rilevazione annuale presenze per media settimanaleverificare lo stato della cooperazione territoriale per alcune metodiche (cata-

logazione, prestiti) per stabilire la ricaduta del carico di lavoro sul personale inter-no. (Le LL.GG. non lo prevedono per i sistemi bibliotecari esistenti, ma per quelliin via di realizzazione può essere utile cogliere l’incidenza del fenomeno attraversogli assi numero di contatti/mese, contatti/tipo di esigenza, tipo di contatto (telefo-nico, postale, @mail).

Transazioni informative:distinguere fra - direzionali escluse (anche se talora può essere utile v. ZWEIG)-informative: rilevazione a campione di 3 settimane modello 3.6 -7-8definire la natura e le articolazioni in - deterministiche

- probabilistichedefinire il grado di risposta in: - completate

- non completate- riorientate

10. Orario di apertura: rilevazione a fine anno per l’orario medio di apertura:modulo 4 3.3

Consente una verifica puntuale componendo in fasce orarie e usando le an-notazioni 2.5

11.Visite: la carta d’ingresso consente la rilevazione delle presenze quotidia-ne 3.7 9

Registrare il numero delle visite guidate. Valutare le frequenze per mostre ecc…

Area servizi al pubblico 1.1

La recente risistemazione delle sale e la prevista qualificazione degli spazidestinati alla Mediateca e ai Centri di documentazione consente di integrare larilevazione spaziale, prevista dalle LL.GG., con alcune osservazioni

potenziamento del livello ‘comunicativo’ con l’esposizione- all’ingresso della pianta generale della biblioteca- all’ingresso delle sale delle specifiche piante topografichee con l’adozione diffusa della- segnaletica, a norma ISO, per gli spazi dedicati a:- postazioni per il reference di servizio- studio- ricerca- lettura

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La comunicazione in biblioteca

- incontri- conferenze o tavoli di lavoro- uso di particolari media- uso di particolari strumenti (fotocopie, ecc.)- particolari età o categorie di utenti- composizione dello spazio fisico in modo che si percepisca l’integrazione e

la continuità fra le aree e, all’interno di queste, fra i vari media, salvaguardandoall’utente la percezione della completezza dell’offerta informativa congiunta all’uni-tarietà del sistema organizzativo.

- proiezione negli spazi virtuali della rete della continuità delle azioni svoltenegli spazi fisici

- conversione nella postazione del reference di servizio di tutte le possibiliforme di informazioni delle attività svolte, in corso o in progetto per chi non ne-cessariamente consulta il sito, (in verità il vero potenziamento del reference passaproprio attraverso questa metodica che è assolutamente necessaria venga da subitoacquisita in modo diffuso)

- apertura di uno spazio nel sito per il servizio di reference- predisposizione di aree virtuali (presso l’indirizzo del reference) e/o cartacee

(da consegnare e raccogliere presso l’area del servizio reference) di interlocuzionesistematica, continua e ricorrente con l’utenza: questionari, desiderata (come giàesistenti), verifiche e monitoraggio sui percorsi tracciati.

- elaborazione di database per la lettura ‘ragionata’ dell’interlocuzione inraccordo fra coordinamento e responsabile del servizio reference, per raccogliere leindicazioni da sottoporre alla valutazione della Direzione

- verifica periodica delle pagine web al fine di modularle al variare dei percor-si individuati.

Il servizio di reference è centralizzato in una postazione di accoglienza e diprimo livello al 1° piano, nella zona contigua all’area dei cataloghi generali cartaceie on-line.

La centralizzazione di quest’area favorisce la mediazione fra utente e primoassetto del recupero informazioni.

Il bibliotecario addetto a questo tipo di reference è a disposizione del pub-blico per orientamento all’uso della Biblioteca;

informazioni dettagliate sulla biblioteca, le sue collezioni e i suoi servizi.informazioni su altre biblioteche;orientamento e Assistenza alla consultazione dei cataloghi cartacei e on-line

(link incrociato a ‘Gli opac nel mondo e in Italia);orientamento e Assistenza nell’utilizzo dei repertori cartacei, on-disk, on-line;prestito interbibliotecario e fornitura di documenti;informazioni editoriali;guida, orientamento e promozione della lettura;raccolta di suggerimenti per la predisposizione di servizi e il miglioramento

di prestazioni.

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Enrichetta Fatigato

Presso la postazione del servizio reference sono disponibili a pronta consul-tazione:

guide ai servizi della città e provincia;guide alle manifestazioni culturali ricreative della città e provincia;guide alle novità librarie e documentali;Dalla zona di centrale di prima accoglienza l’utente potrà essere orientato

verso altre aree di reference più generale o speciale sulla base delle nuova configura-zione di spazi e servizi ad assetto integrato di risorse disponibili.

Popolazione 1.2

L’analisi del ‘profilo di comunità’ cui si riferiscono i servizi di biblioteca ècondizione di essenziale portata per le azioni di reference a cui le ‘Guidelines forpublic libraries’ emanate dall’IFLA hanno dedicato un riguardo del tutto particola-re e attento, rimarcato anche dalle ‘Linee Guida’ dell’AIB, che consigliano dimonitorare la distribuzione e le trasformazioni dei flussi d’utenza per fasce d’età,sesso, status professionale, e livello d’istruzione.

La gestione automatizzata dell’ingresso consente di verificare questi dati conbuona facilità ma queste informazioni di per sé non bastano.

Perché sia efficace la nuova proposta di servizi, così come va delineandosinella BPFG, è necessario incrociarle anche con le basi anagrafiche per comuni dellaprovincia, e con le fonti ISTAT sulla distribuzione della popolazione, i dati suiprofili delle aree, industriali agricole e residenziali, sulle caratteristiche dettagliatedelle reti di comunicazione (SS. SP, autostrade, ferrovie, autobus urbani ed extraur-bani), sviluppo dei piani regolatori, insediamenti scolastici e universitari e centri diformazione professionale.

Un buon servizio di reference dovrà sistematicamente, con somministrazionedi questionari o brevi interviste mirate, contribuire all’Esame della provenienzageografico-urbanistica della propria utenza e, dell’abilità agli spostamenti usandospecifici sistemi di trasporto;

incrocio di questo esame con gli assetti economico-produttivi presenti sulterritorio di provenienza;

valutazione dell’incidenza dei bisogni espressi dai pubblici diversi per con-dizione sociale, provenienza etnica o per disabilità fisiche;

studio dei contesti culturali ambientali , evidenziando la frequenza, per spe-cifici aree di eventi culturali e per il tempo libero;

confronto dell’appartenenza a gruppi associativi e partecipativi (politici, reli-giosi, sindacali, sportivi);

Esame degli ‘atteggiamenti’ verso lo studio, la ricerca, la lettura, l’aggiorna-mento culturale e professionale, le occasioni di svago e tempo libero (frequenza diconcerti, di mostre, conferenze, sale cinematografiche discoteche ecc..)

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La comunicazione in biblioteca

Acquisti e dotazione documentaria

Queste due macro-aree vengono analizzate congiuntamente e di seguito al-l’area dedicata alla popolazione, perché entrambe non possono essere realizzatesenza una attenta analisi del profilo di comunità emergente e del fabbisogno infor-mativo connesso alla consistenza delle collezioni.

L’obiettivo finale dovrebbe consentire al reference di gestione, di redigere laCarta delle Collezioni, con l’ausilio, degli addetti al servizio di reference per la fasedi rilevazione dei profili di interesse della comunità.

Per Carta delle Collezioni si dovrà intendere uno strumento agile di tuteladel bisogno del lettore di disporre di un servizio bibliotecario attrezzato e rispon-dente alle necessità informative espresse, ma soprattutto latenti.

Alla definizione della Carta si giungerà:favorendo l’adesione a forme di cooperazione interbibliotecaria territoriale

e remota;coordinando gli acquisti fra le aree e/o salecoordinando gli acquisti su scala territoriale;specializzando il patrimonio documentario (anche attraverso scorpori dei

fondi esistenti) per aree tematiche significative e caratterizzanti la stratificazionestorica dei fondi della biblioteca , ma anche le aree di nuova istituzione esperimentali;

integrando nelle aree tematiche i molteplici, diversi supporti di manifesta-zione dei documenti;

revisionando e aggiornando le raccolte con sistematicità (tasso di invecchia-mento dei contenuti, stato di conservazione, tasso di uso o prestito verificato attra-verso la statistica elaborata dal software SEBINA);

predisponendo, a cura della Direzione, nel manuale operativo interno,le pro-cedure e le griglie di riferimento per la scomposizione del patrimonio;

specializzando l’area del servizio reference con il corredo di tutti i in raccor-do con le classi della CDD come espresse nelle specifiche sale;

definendo le finalità, le procedure e le periodicità;stabilendo un protocollo sui criteri base (vetustà, uso)sulla periodicità delle operazioni di revisione;sulle griglie per selezione dei riacquisti;sulle destinazioni al deposito;sugli scarti e le alienazioni;sugli standard minimi per anno e documenti supporti a dimensionamento

integrato.Qualificando l’area del servizio di reference in continuità diretta con la Sala

di Consultazione dove sono concentrati tutti gli strumenti repertoriali più signifi-cativi e di cui va testato continuamente il Dimensionamento (per eccesso o difetto)in rapporto all’utenza reale (verifica d’uso);

grado di aggiornamento in rapporto all’entità economica e alla tipologia delsupporto (cartaceo o in linea?);

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Enrichetta Fatigato

trasferimento possibile di strumenti particolari, ma di primo accesso all’in-formazione, nella postazione del servizio reference.

A proposito delle procedure per gli acquisti e per la specializzazione dellearee tematiche, in particolare va detto che si può avere una reale testimonianza delprocesso di pre-ibridazione dei servizi, innanzi illustrato, proprio dalla predispo-sizione nell’Intranet della Biblioteca del database ove riepilogare tutte le propostedi acquisto - documenti, emesse dai settori o dalle aree per essere trasmesse alleditte fornitrici dopo il controllo di budget e l’approvazione della Direzione.

Un primo, significativo passo verso la centralizzazione della notifica di alcu-ni passaggi ‘nodali’ che nel regime cartaceo sfuggivano a forme di condivisione co-noscitiva e che può contribuire a instaurare il regime di cooperazione interna deibibliotecari.

La conseguente notifica dell’arrivo degli ordini consente agli addetti alle tran-sazioni informative di favorire con buona tempestività il possesso in visione di queidocumenti acquistati perchè segnalati dagli utenti attraverso i desiderata e di verifi-care contestualmente la progressiva immissione dei relativi record bibliograficinell’OPAC.

È necessario porre massima attenzione allo sviluppo delle collezioni attra-verso un progetto organico di sviluppo con un impegno pari a quello riservato allamediazione catalografica.

Occorre che ci si sposti dalla visione culturale incentrata essenzialmente sullacapacità e sensibilità del bibliotecario di incrementare le raccolte attraverso l’usodelle produzioni editoriali e il contatto con i potenziali utenti, ad una politica disviluppo delle collezioni che integri la selezione con l’organizzazione e informa-zione catalografica, con la guida, l’orientamento e l’assistenza all’uso degli stru-menti, con gli aspetti promozionali e di invito alla lettura, sottoponendo e regi-strando le valutazioni dei risultati per l’aggiornamento o la revisione delle scelte.

Metodologie di questo tipo consentono di chiarire progressivamente:i profili delle comunità di riferimento;la finalizzazione delle aree della biblioteca;le metodologie di valutazioni e misurazioni delle utenze;la specializzazione dei settori disciplinari e le disponibilità di budget.Strumenti possono essere:la comparazione qualitativa e quantitativa- con cataloghi di altre biblioteche e centri di documentazione- con elenchi di periodici curati da enti specializzati in ambiti disciplinari

particolari- con cataloghi di editori- con elenchi di spogli di riviste realizzati da banche dati specializzate- bibliografie prodotti da specialisti della materia.Questionari di valutazione di pertinenza qualitativa e specialisticaWorksheetSviluppo della cooperazione territoriale

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La comunicazione in biblioteca

- per orientare verso biblioteche specializzate- per avviare rapporti territoriali di ILL e DD- per il coordinamento degli acquisti per le aree diverse

Transazioni informative

Attualmente non è possibile gestire i prestiti globalmente tramite le registra-zioni nell’Opac.

Perciò anche per le operazioni di prestito locale, come per gli acquisti, undatabase nell’Intranet può favorire la notifica diffusa delle operazioni riguardanti idocumenti presenti nelle sale e nei depositi e che ancora sono rappresentati neicataloghi cartacei.

È un modo per registrate e condividere alcuni passaggi, ma anche per nondisperdere le notizie sugli usi, le utenze, le frequenze, le sale a maggior impatto dirichieste, la natura del prestito.

È inevitabile che, contestualmente va implementato l’impianto tecnologicoattraverso l’uso del modulo di gestione del prestito nel software SEBINA alimen-tato dall’incremento dei record bibliografici.

Da questo incremento di prestazioni dovrà scaturire la riqualificazione, or-mai in uso in tutti i regimi bibliotecari ad impostazione elettronica, degli strumentioperativi e del servizio, governando la transizione dai tradizionali moduli cartaceialla modulistica elettronica e allo scanner con l’adozione dei quadri di riferimentostrutturali per le funzioni di ILL e DD.

Nell’area delle transazioni hanno snodi peculiari i servizi di Interlibrary Loane Document delivery.

Tradizionalmente sono stati inquadrati rispettivamenteil primo quale relazione fra biblioteche;il secondo come tempo dedicato all’interno del prestito interbibliotecario

per la trasmissione fisica dei documenti e fornitura di articoli di riviste in fotocopiao in formato elettronico.

L’orientamento più recente assegna:al primo il prestito fra biblioteche e la fornitura di articoli di periodici via fax

(vedi raccomandazioni IFLA)al secondo la fornitura (senza obbligo di resa) di documenti in copia identica

all’originale attraverso il database elettronico travalicando i limiti propri delle sin-gole biblioteche.

La questione posta non è mera esercitazione astratta di percorsi identificativi.Si tratta di inquadrare il problema per quel versante che interseca, nel servizio

di reference, il prestito interbibliotecario con lo sviluppo delle raccolte e delle colle-zioni, attraverso le procedure di acquisizioni e di verifica delle consistenze dei perio-dici posseduti, con la finalizzazione e gestione delle aree tematiche realizzabili nellaBPFG con processi di spostamento delle localizzazioni, e con operazioni di scarto.

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Enrichetta Fatigato

La rilevazione statistica su:Distribuzione e gestione delle utenze per età, sesso, professione e residenza;Tempi e Costi;Controllo del traffico di prestiti interbibliotecari;Verifiche di efficienza;Rapporti fra prestiti in originali o in altra forma o supporto;Verifica delle aree disciplinari maggiormente investite dai prestiti,attraverso

sondaggio a scadenza semestrale;Distribuzione geografica dei richiedenti e dei fornitori anche commerciali

per misurare il livello dell’efficacia del servizio.Rispondenza delle dotazioni patrimoniali ai bisogni degli utenti;Incidenza dei prestiti in rapporto alla vetustà dei fondi.Questa totale trasformazione del servizio è ormai nodale per l’intero regime

bibliotecario ed è accompagnato dai protocolli specifici per gli standard dedicatiISO 10160 e 10161 e le loro successive riedizioni e ampliamento che consentonol’ILL in rete fra hardware e software diversi per la gestione delle transazioni realiz-zate (vedi Scolari Standard OSI).

Inoltre lo sviluppo del regime di cooperazione sulla base dei propri registristatistici rappresenta senza dubbio un vantaggio notevole per bypassare le questio-ni tariffarie partecipando ai progetti nazionali di adozione di regimi di reciprocitàdegli scambi, realizzando così l’abbattimento dei costi.

A questo servizio va dedicato personale altamente specializzato sia perché èun arco di intervento sottoposto a progressive mutazioni e ibridazioni anche inambito internazionale (vedi i rapporti con l’OCLC) sia per i sistemi di archiviazionee transizione delle ricerche, sia per l’individuazione dei fornitori più o meno effi-cienti sia per una riduzione dei costi a parità di servizi.

L’implementazione dell’uso del software Sebina nel modulo di gestione deiperiodici correnti trova una necessità impellente anche per l’accesso alle informa-zioni tramite l’Opac.

L’occasione consente la verifica sulle consistenze, le aree di stoccaggio, leclassi CDD, e le testate che dovranno essere spostate nelle aree tematiche speciali.

All’area di servizio reference dovranno pervenire i periodici di prima infor-mazione bibliografica ed editoriale.

Per alcune testate potrà avanzarsi il collegamento fra l’OPAC e il WEB dovesono presenti i collegamenti alle testate di periodici in linea sia in forma di siti che dipagine di aggiornamento quotidiano.

Sarebbe interessante se la Biblioteca aderisse a progetti nazionali ed interna-zionali di spogli da periodici, sarebbe occasione per vincere le nicchie di operativitàimproduttive per ricaduta sui servizi e, certo, qualificherebbe l’espressione delle pro-fessionalità locali e gratificherebbe la condivisione allargata di nuove metodiche.

Emerge la necessità di una più fluida circolazione di messaggi e comunica-zione di confronti metodologici perché le prassi siano sempre più uniformi e con-divise.

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La comunicazione in biblioteca

A riguardo molto utile sarà la realizzazione di Workshop per temi specifici ecompetenze funzionali,così come individuato dalla Direzione-

Accompagnare questo progetto con sondaggi interni può avvicinare le scel-te della Direzione al reale fabbisogno di formazione e aggiornamento continuo ericorrente.

Il punto del servizio reference collaborerà per la distribuzione e raccolta deisondaggi seguendo le disposizioni in merito della Direzione.

Bibliografia di riferimento

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Enrichetta Fatigato

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La comunicazione in biblioteca

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Luigi BALSAMO; La bibliografia, Firenze 1995.L. Balsamo, La bibliografia cit., pp. 17-18.Idem, p. 19.L. Balsamo, La bibliografia cit., per Johann Tritheim (Trithemius) pp. 24-25.Idem, pp. 28-38, particoll. P. 33.L. Balsamo, La bibliografia cit, p. 40.Idem, pp. 43-44.Idem, pp. 75-76.A.Serrai. I loci communes nell’opera bibliografica di Gesner.IN: Annali del-

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Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane : misure,indicatori, valori di riferimento /

Associazione Italiana Biblioteche.Gruppo di lavoro ‘Gestione e valutazio-

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Enrichetta Fatigato

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La comunicazione in biblioteca

indicatori, valori di riferimento /Associazione Italiana Biblioteche.Gruppo di lavoro ‘Gestione e valutazio-

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oggi aprile 2001 p.42-56

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Marianna Iafelice

Il ritratto inciso in alcune settecentine della BibliotecaProvinciale di Foggia “La Magna Capitana”

di Marianna Iafelice

Il lavoro di catalogazione del fondo antico della Biblioteca Provinciale diFoggia fornisce quasi quotidianamente nuovi percorsi di ricerca che se sviluppatipossono apportare ulteriori tasselli alla storia del libro a stampa del XVII e delXVIII secolo.

Uno di questi percorsi di ricerca nasce proprio dalla constatazione della nu-merosa presenza di ritratti incisi delle edizioni del XVIII, sec. molti dei quali porta-no la firma del maestro incisore e del pittore.

Giuseppina Zappella nell’introduzione alla sua opera “Il ritratto nel libroitaliano del Cinquecento” afferma che “nonostante l’indubbio interesse iconogra-fico e artistico, il ritratto nel libro a stampa, non ha beneficiato della benché minimaattenzione da parte degli studiosi, [...] manca un repertorio sistematico dei ritrattilibrari, mancano studi sia pur parziali e limitati sull’argomento”.

Ora se questa grave lacuna per il ritratto del XVI secolo è in gran parte risar-cita, grazie proprio al lavoro della Zappella, per la ritrattistica nel libro a stampa delXVIII secolo, mancano studi che si soffermano anche solo a ricostruire parzial-mente le vicende dei maestri incisori che si sono dedicati a questo ambito.

La mancanza di schedari iconologici, analitici e stilisticamente ragionati la-mentata pure dalla Zappella, risulta grave e ancor più inspiegabile se si pensa chenell’ambito dell’illustrazione libraria la ritrattistica è il genere meglio documentatoartisticamente1 proprio per la presenza a cui già si è accennato di numerose firme.

E se nell’ambito della ritrattistica in generale, sono fondamentali due aspetti,quali la somiglianza e la caratterizzazione del personaggio2, nell’ambito della ritrat-tistica libraria, non bisogna tralasciare nemmeno il concetto di memoria, inteso insenso ampio e generale.

Infatti è proprio nella ritrattistica e in quella libraria in particolare, che siafferma non solo il “culto degli uomini illustri” e dell’immagine pubblica, ma ancheil superamento di quel tradizionale anonimato artistico, per cui la firma o il sempli-ce monogramma divengono a partire dal Rinascimento un indizio di partecipazio-

1 G. ZAPPELLA., Il ritratto nel libro italiano del Cinquecento, Milano, Editrice Bibliografica, 1988, p. 11.2 CLAUDIA CIERI-VIA, L’immagine del ritratto. Considerazioni sull’origine del genere e sulla sua evoluzio-

ne dal 400 a 500, a cura di Augusto Gentili,in Materiali I, Roma 1989, p. 9.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

ne meno subordinata e impersonale alla storia dell’illustrazione libraria3 .È a partire dalla seconda metà del XVII secolo però, che si comincia a fare

una distinzione netta fra il lavoro dell’artista e quello dell’incisore, menzionandosia il nome del pittore a sinistra che quello dell’incisore a destra. Nella maggiorparte dei casi i nomi sono accompagnati da espressioni quali pinxit, del., delineavit,per l’artista, sculpsit, sc., incidit, inc. fecit per il maestro incisore.

Nei quasi 2000 volumi del fondo antico della Biblioteca Provinciale, finoracatalogati con il softaware SeBiNa, il numero dei ritratti rilevati nei libri italiani delSettecento è di ben trentatré, di cui ben 29 sono firmati e solo 4 sono anonimi. Perognuno di questi ritratti è giusto precisare che la loro posizione all’interno del-l’opera non segue uno schema fisso, anche se a differenza di quanto avveniva nelXVI sec. si rileva solo un caso in cui questi sono collocati nel frontespizio4 , men-tre frequentemente sono posti sul verso della pagina che precede quest’ultimo, ilcui recto per l’evidenza del segno lasciato dall’impressione della matrice, è il piùdelle volte presentato come carta di tavola, e quindi impressa solo da un lato.

L’uso della carta di tavola magari ripiegata, è riscontrabile anche in quei casiin cui i ritratti sono posizionati all’interno di un volume contenente raccolte diopuscoli di autori diversi, come nel caso della Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici,(Venezia, Zane-Occhi 1728-57).

Solo tre sono invece i ritratti rilevabili dopo il frontespizio, come nel caso diGiacomo Filippo Gatti (Ultimi Uficj del portico della Stadera al p. Giacomo FilippoGatti ..., Napoli, Stamperia dei Muzi, 1766 ) o del cardinale Angelo Maria Durini<1725-1796> (L’Apologia dell’Eneide, Firenze, Cambiagi, m 1790) quest’ultimo ese-guito da Aloisio Cunego5 e collocato all’inizio dell’epistola dedicatoria a lui indi-rizzata.

Il soggetto sicuramente più frequente di questi ritratti risulta essere l’imma-

3 G. ZAPPELLA, Op. cit. , pp. 5, 217 .4 Si tratta del ritratto del Metastasio eseguito da un incisore napoletano Benedetto Cimarelli, presente nel

frontespizio dell’Elogio del Metastasio, di Michele Torcia, edito a Napoli, Raimondi, 1772.5 Veronese , si forma a Roma. Il Kannès ritiene che la sua prima opera nota come incisore è una Liberazio-

ne di San Pietro, del 1779 dalla pala dello Zampieri in S. Pietro in Vincoli a Roma. Nel 1787 incise pure S.Agnese dal dipinto di Andrea Sarto nella Cattedrale di Pisa e nel 1790 una Danae dal Correggio per conto delbibliofilo livornese Giuseppe Poggioli. Nonostante gran parte della sua attività fu svolta a Roma il VonHeinecken (1790) scrive l’artiste travaille à present à Livourne, anche se della durata di questo soggiorno inToscana non si hanno notizie più precise, e forse fu proprio in occasione di questo soggiorno che incise questoritratto per l’edizione fiorentina dell’Apologia. Il suo nome compare pure in una serie di raccolte di stampe diAntonio Canova , i cui rami oggi si conservano presso La Calcografia Nazionale di Roma, o in opere quali iRitratti di uomini illustri dell’Istituto de’ minori Cappuccini (Roma 1804) di cui il Cunego firmò oltre ifrontespizi, ben dodici tavole.

Il Kannès ritiene che di fronte all’ampia lista di immagini di santi, beati, prelati e cardinali illustri cherisulta da un’analisi anche sommaria della sua opera, che tra l’altro non è stata mai compiutamente catalogata,si ha l’impressione che egli abbia finito per dedicarsi ad un “artigianato minore” di ritratti e stampe devozionali.G.L. KANNÈS, A. Cunego, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 31, pp. 359-360.

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Marianna Iafelice

gine dell’autore dell’opera, a cui molto spesso si accompagnano numerosi elementiche concorrono ad arricchire la descrizione, come lo stemma o tutti quei segni ca-ratteristici dell’esercizio della professione dell’Autore. Segni che molto spesso sonoaccompagnati da motti e didascalie che risultano poi fondamentali per identificareil personaggio. E poiché sempre più spesso la didascalia non comprende solo i datianagrafici o l’età ma indica la professione, il titolo nobiliare, l’appartenenza a unordine religioso, il motto che spesso l’accompagna, può, come scrive la Zappellaper il Cinquecento, anche nel Settecento “… illustrare particolarmente il personag-gio, ... per illuminare il suo mondo interiore, per ricordare vicissitudini e amba-sce6 ” .

La ricca presenza di edizioni del XVIII secolo, nella biblioteca foggiana con-sente magari in più fasi, non solo di effettuare una ricognizione attenta delle pre-senze degli artisti che si sono dedicati a questa attività, ma anche di censire i ritrattifirmati e di rendersi conto di quanto sia sviluppato il fenomeno del reimpiego dimatrici per ritratti di personaggi uguali.

Altro fattore da non sottovalutare è il contributo assai significativo che ilritratto librario, e in particolare quello del XVIII secolo può fornire alla storia del-l’abbigliamento, in quanto “l’abito è il segno che fa riconoscere la dignità del perso-naggio, la sua posizione sociale, la sua appartenenza a un ordine religioso, a unadeterminata categoria … ”7 . Ora, se per il XVI secolo, come lamenta la Zappella,non è possibile effettuare una cronologia attendibile del vestiario, in quanto nonsolo non è possibile fornire una precisa datazione, ma anche perché l’abbigliamen-to risulta spesso “falsato” dalle finalità didascalico - celebrative, per il XVIII, seco-lo questo è possibile maggiormente laddove al ritratto si accompagna l’età del per-sonaggio o addirittura la data di esecuzione.

E sono proprio la ricchezza e il fasto del vestiario, legati strettamente allecaratteristiche stesse della corte napoletana di quell’epoca, i due elementi distintiviche si ritrovano nei ritratti incisi da Antonio Baldi, <1692-1773 ca.> dove eleganza,ricercatezza e abbondanza di particolari si fondono, dando vita a ritratti maestosi,quasi monumentali degli esponenti dei ceti dirigenti del XVIII sec.

Baldi però, non nasce come incisore perché come afferma il De Boni8 si for-ma alla scuola napoletana del Solimena anche se ben presto “... considerando lascarsità ch’era in Napoli degli incisori in rame e ritrovandosi a ragionamento convarj autori delle nostre arti, fu animato da quelli e volle seguitare un naturale impul-so ch’egli avea d’intagliare”9 . Per cui abbandona la pittura e si dedica all’incisione,sotto la guida del maestro napoletano Andrea Magliar, divenendo uno specialista

6 G. ZAPPELLA, Op. cit., p. 162.7 G. ZAPPELLA, Op. cit., p. 193.8 F. DE BONI, Biografia degli artisti… , Venezia, 1840, p. 55.9 B. DE DOMINICI, Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani, Bologna, Arnaldo Forni Editore,

(da una ristampa anastatica della Stamperia Ricciardi, Napoli , 1742), Vol. III, p. 720.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

nell’esecuzione di ritratti, definiti dal De Dominici “assai somiglianti”10 , in cui si ècostantemente attenuto ai moduli caratteristici propri del Solimena che alloracapeggiava incontrastato la scuola napoletana11 .

Suo è il ritratto di Giuseppe Volpi <1680-1756> (Cronologia dei vescovipestani... Napoli, G. Riccio, 1752), opera già stampata una prima volta nel 1720. Ilritratto del patrizio barese, che ebbe il merito di riportare, la sua famiglia dallavicina Bitetto, dove questa si era rifugiata per sfuggire alla peste, a Bari, fu eseguitodal vivo nel 1745, come riporta la precisazione posta accanto alla firma del Baldi, edè inserito in un clipeo con volute che nella parte superiore, rompono la linearitàdella elegante cornice ovale che ospita invece, al centro della parte inferiore, lo stem-ma12 , sormontato da corona, che sicuramente contribuisce ad esaltare l’importanzadel personaggio.

Il Volpi raffigurato con la parrucca bianca, dai capelli leggermente arricciati,ha la marsina o giamberga come veniva denominata prima del 1780, con bottonipiccoli e fitti, senza colletto, con le spalle piccole e strette, da cui fuoriescono mani-chini pieghettati di estrema finezza.

Tra i ritratti di Baldi menzionati dal De Dominici, viene citato tra gli altriquello di Niccolò Gaetani d’Aragona Duca di Laurenzana <1163-1741> negli Av-vertimenti intorno alle passioni dell’animo, (Napoli, F. Mosca, 1732), opera che aFoggia è conservata priva del ritratto che risulta presente invece nell’altra opera delCaetani, la Disciplina del cavaliere giovane (Napoli, G. e V. Muzio, 1738).

In questo ritratto, come in tutti quelli eseguiti da Baldi, il discorso delle di-mensioni è fondamentale al pari di quello della ricercata eleganza. Infatti in questoritratto a piena pagina, prevalgono forme ricche e solenni dove il personaggio cam-peggia in tutta la sua monumentalità, anche se è racchiuso in una cornice ovale. Lacornice, a doppio listello con didascalia all’interno, poggia su un piedistallo, su cuisono visibili pure l’elmo e lo scudo sempre ovale, intagliato in forme barocche13 . Laseverità del duca si esprime non solo con lo sguardo austero, ma anche e soprattuttocon l’abbigliamento, che vuole essere una esplicita esaltazione della sua carriera mili-tare, che lo vide raggiungere il grado di tenente generale nell’esercito di Carlo II diSpagna, per ricognizione austriaca, e poi quello di Giustiziere di Terra di Lavoro eConsigliere di Stato. Ma è proprio lo sguardo del duca e non solo, accompagnato dauna solenne austerità ad affiancarlo al ritratto di Costantino Grimaldi nelle Discussio-ni istoriche, teologiche e filosofiche, (Lucca, 1725, 3 v. ) ritratto che compare uguale

10 B. DE DOMINICI, Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani, Bologna, Arnaldo Forni Editore,(da una ristampa anastatica della Stamperia Ricciardi, Napoli , 1742), Vol. III, p. 721.

11 O. FERRARI, A. Baldi in Dizionario Biografico degli Italiani, V.5, pp. 460-461.12 Capitolato d’argento e di rosso di sei pezzi; col capo d’argento caricato di una volpe, tenente in bocca

un gallo tutto al naturale. G. B. DI CROLLANZA, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobilie notabiliitaliane estinte e fiorenti, Bologna, Arnaldo Forni Editore, Vol. 3. p 440.

13 Inquartato: nel 1° e 4° d’oro alla gemella ondata d’azzurro posta in banda; nel 2° e 3° d’azzurro all’aqui-la d’’argento coronata d’oro. G. B. Di CROLLANZA, Op. cit., 1 p. 193.

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Marianna Iafelice

nella Dissertazione in cui si investiga quali siano le operazioni che dipendono dallamagia diabolica (Roma, Pagliarini, 1751) e che viene citato pure dal Thieme Becker14 ,perché il Baldi lo esegue in collaborazione con il pittore Gaetano Garsia, anch’egliallievo del Solimena, attivo a Roma, Ragusa, e in Dalmazia. Anche in questo caso ilritratto è a piena pagina, con cornice ovale a doppio bordo priva di didascalia, pog-giante su un piedistallo rettangolare, con lo stemma sempre sormontato da corona.15

Il Grimaldi è ritratto con la stessa parrucca “alla cortesana” che indossa ilDuca di Laurenzana, parrucca di moda agli inizi del Settecento con ciocche inanellatealte sulla fronte, dove sono divise da una scriminatura.

Analoga maestosa eleganza dalle pose studiate, secondo una “tendenzarazionalistica alimentata proprio dalla scuola del Solimena”16 è riscontrabile nelritratto di Giacomo Filippo Gatti <m. 1774> (Gli ultimi Uficj del portico dellastadera al p. Giacomo Filippo Gatti, Napoli Stamperia de’ Muzj, 1746) eseguito dalBaldi, a cui già abbiamo accennato per la sua diversa collocazione all’interno del-l’opera, e su cui bisogna ancora soffermarsi perché rientra in un’altra importantecategoria, quella in cui il soggetto ritratto è il dedicatario dell’opera. Nel caso delGatti, l’opera che gli viene dedicata è una sorta di omaggio postumo, dei compo-nenti del Portico della Stadera, di cui entrò a far parte il 7 luglio 1728 con il nome diPompeo Acquavivida.

Ora se la dedica al Gatti sembra avere il triste sapore del ricordo amichevole,un puro intento celebrativo e cortigianesco è presente sia nel ritratto di ElisabettaFarnese <1692-1766> (Rime dell’abate Carlo Frugoni, Parma, 1734), l’unico ri-tratto femminile riscontrabile fino a questo momento nelle settecentine foggiane,firmato da Anton Fritz17 , sia in quello grandioso di Leopoldo I° Granduca di To-scana (Saggio orittografico ovvero osservazioni sopra le terre nautiliche di AmbrogioSoldani, Siena, V. Pazzini Carli e figli, 1780.), opera di Ciro Santi, pittore e incisoredi origine bolognese che secondo il Bolaffi18 è stato autore di stampe di soggettoreligioso oltre che di una Veduta del Duomo di Siena, città in cui abitò fino al 1780,essendo attivo sia nel Duomo che nel Palazzo Arcivescovile. Specializzato in inci-sioni riproducenti fregi e arabeschi, non si allontana da questi canoni nemmeno peril ritratto del Granduca, in cui predomina un’ampia e maestosa cornice rettangola-re, arabescata con quattro medaglioni più piccoli negli angoli, che ospita al suointerno altri due medaglioni più grandi, racchiusi a loro volta da una doppia corni-ce, di cui quella esterna è floreale.

Nel primo medaglione vi è il profilo imponente e regale del granduca, nella

14 THIEME BECKER, Allgemeines lexikon der bildenden, Künstler, Veb. E. A. Seemann Verlag Lweipzig,Vol. XIII, p. 175.

15 Arma: Fusato d’argento e di rosso. Cfr. Enciclopedia storico nobiliare, vol. 3, p. 574.16 R. WITTKOWER, Arte e architettura in Italia (1600-1750), Torino , Einaudi, 1972, p. 405.17 THIEME -BECKER, Op. cit., Vol. XII, p 505. Nell’opera viene menzionato proprio questo ritratto.18 BOLAFFI, Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dall’XI al XX secolo,

Torino, Bolaffi Editore, 1975 Vol., X, p. 148; THIEME -BECKER, Op. cit.,Vol. XXIX, p.431.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

sua divisa riccamente ornata di galloni, nel secondo è raffigurata l’allegoria dellaFelicità Pubblica rappresentata da una giovane donna con corona di fiori sul capoche siede su un seggio con un caduceo in una mano e una cornucopia nell’altra.

Il ritratto di Leopoldo si inserisce in quella categoria di ritratti tondi chenascono dall’imitazione non solo delle monete, ma anche delle bullae che negliantichi codici, inizialmente contenevano solo il titolo dell’opera, per poi ospitareanche il ritratto del poeta19 .

Numerosi sono i tondi presenti nelle settecentine foggiane, basti pensare aquello dell’avvocato, l’arcade Francesco Maria Gasparri <1678-1735> inciso da PaoloPilaja20 operante a Roma tra il 1727-47, e quello anonimo di Benedetto Varchi chefa da antiporta all’ Ercolano, (Padova, Vopi-Comino, 1744), o quello di FrancescoRedi <1626-1698> che accompagna l’edizione napoletana delle sue Opere (Napoli,M. Stasi, 1778, 7 v.) edizione che merita di essere citata perché presenta una dupliceparticolarità: quella di possedere nello stesso libro più ritratti, anche se si tratta diimmagini diverse della stessa persona, e quella per cui il secondo ritratto è un ton-do, rendendo così esplicita la derivazione classico numismatica, del resto il tondocon l’effige del Redi, posto accanto ad altri tre medaglioni, riprende una medagliacelebrativa eseguita dallo scultore Massimiliano Sodani Benzi <1646-1740> ed èinciso da Filippo de Grado21, esponente di una delle più importanti ed illustri fami-glie di incisori napoletani.

Tra i ritratti eseguiti dai maestri della scuola napoletana, non possiamo nonmenzionare il ritratto di Francesco Mazzarella Farao, docente di Antichità Gre-che e Romane, nell’opera La Neoellenopedia … (Napoli, Stamperia Porsiliana,1779), dipinto ed inciso da Francesco La Marra, un artista attivo a Napoli versola metà del XVIII secolo. Anch’egli allievo del Solimena, anche se consideratoforse tra i più modesti, è conosciuto, per una tela conservata nella Chiesa diSant’Aspreno ai Crociferi in Napoli, dove si conservava pure una sua Pietà cheperò andò distrutta nell’1800. Il Bolaffi ritiene che, in tempi recenti, l’interessenei confronti di questo artista si è concentrato soprattutto sulla sua produzionegrafica, vicina stilisticamente a quella di Luca Giordano, infatti proprio in questianni gli sono stati restituiti numerosi fogli un tempo assegnati al Giordano, sullabase di una concordanza stilistica con alcuni disegni del Musée des Beaux Arts di

19 G. ZAPPELLA, Op. cit., p. 21.20 Incisore prevalentemente di soggetti religiosi oltre che di ritratti, incise nel 1734 in collaborazione con

G. Petroschi, Il cortile di palazzo Venezia. Collaborò alle illustrazioni ed eseguì il ritratto dell’autore perl’opera di Andrea Adami Storia di Volseno antica metropoli della Toscana, Roma, 1737, oltre alla Pianta delConclave del 1740.

Cfr. THIEME BECKER, Op.cit., Vol. XXVII, p. 370.21 Figlio di Bartolomeo fu allievo sia dello zio Arcangelo che del nonno Francesco. Suoi sono i dodici ritratti

tra cui quello di L. Giordano, F. Caracci, M. Merisi, P. Rubens per l’opera di G. P. Bellori Le vite de’ pittoriscultori e architetti moderni di cui quattro non sono firmati. Il Calcagni ricorda inoltre cinque incisioni per iCommentariorum in Regii Herculanensis Musei Aeneas tabulas Heraclensis I, Napoli 1754- 1755 oltre al contri-buto che fornì all’opera monumentale voluta dal Tanucci Le antichità di Ercolano esposte, Napoli 1757-1792 . A.ABRAMI CALCAGNI, De Grado, in Dizionario Biografico degli italiani, Vol. 36, 1988, pp. 191-193.

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Marianna Iafelice

Orleans e con un foglio firmato conservato nel Gabinetto dei Disegni e delle Stam-pe degli Uffizj.22

Altri grandi interpreti del Settecento napoletano, furono gli autori del ritrat-to di Agatopisto Cromaziano, nome evidentemente accademico di Tito Benvenu-to, conosciuto soprattutto con l’altro suo nome accademico di Appiano Buonafe-de, ritratto che precede il frontespizio dell’opera in due volumi Ritratti poetici ecritici di varj moderni uomini di lettere, (Napoli, Fratelli Terres, 1789) che appare insemplice cornice rettangolare con didascalia (Agatopistus Cromatianus magni vatisimago haec est. O quam bene in ipso ore sacrum musis emicat ingenium. JosephusCyrillus Regius Professor juris fecit.)

Il ritratto è eseguito da Giuseppe Aloja su disegno del pittore AntonioCavallucci23 <1725-1795>.

Alfredo Petrucci24 considera Giuseppe Aloja il capostipite o comunque ilmembro più anziano di quella numerosa famiglia degli Aloja, che ebbe un ruolofondamentale nell’attività incisoria napoletana nel periodo a cavallo fra il XVIII e ilXIX secolo. Suo fu infatti il ritratto fatto in occasione della beatificazione di JuanPalafox, anche se la sua opera più importante è ritenuta una Veduta di Napoli, inci-sa su otto lastre di rame e ultimata nel 1759.

Appaiono praticamente uguali invece, ad un primo e disattento sguardo iritratti del navigatore inglese John Meares <1746-1801> che fanno da antiporta alledue copie dei Viaggi dalla China… editi a Napoli nel 1796 da Policarpo Merande eLuigi Coltellini e quelli editi a Firenze sempre nel 1796 da Gioacchino Pagani.

In realtà, però le differenze insorgono evidenti già per le due copie dell’edi-zione napoletana, in cui un solo ritratto porta la firma di Cimarelli, firma che seppureriscontrata in numerose altre incisioni, molte delle quali sono conservate proprionelle settecentine della biblioteca foggiana, non ci hanno portato per ora a conosce-re notizie più precise sulla sua vita e sul duo operato.

L’incisione del Cimarelli, simile nell’impostazione agli altri due ritratti, poichéevidentemente ricavata dallo stesso disegno, si avvicina molto più a quella di GaetanoVascellini <1745-1805> che non a quella anonima della seconda copia napoletana,dove Meares appare con uno sguardo accigliato e severo, quasi minaccioso.

Anche l’abbigliamento potrebbe trarci in inganno, poiché la marsina a dop-pio petto e la voluminosa cravatta sapientemente annodata intorno al collo si ritro-vano identiche in tutte e tre le tavole, manca però nel ritratto anonimo la definizio-ne dei particolari. Basta infatti dare uno sguardo proprio al collo della marsina, ilcui colore è volutamente di una sfumatura più chiara, per dare risalto alle grosse

22 BOLAFFI, Op. cit., Vol. VII, p. 223.23 Originario di Sermoneta che svolse gran parte della sua attività per i Caetani di cui era suddito, tanto che

dal Duca fu avviato alla pittura prima nella scuola di Stefano Pozzi e poi di G. Lapis. Fu influenzato dalMengs, dal Batoni oltre che dai maestri veneti. Pur seguendo un “classicismo sostenuto e corretto rifuggedagli eccessi rigoristici preferendo la delicatezza delle forme e dei colori tenui e raffinati”. BOLAFFI, Op. cit.,V. III, p. 209.

24 A. PETRUCCI, Aloja Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. II, pp. 514-515.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

asole, per comprendere come questo particolare sia del tutto assente nella tavolanon firmata.

Di origine fiorentina ma sicuramente operante a Napoli, dove muore intor-no al 1785 è invece Antonio Zaballi25, conosciuto anche come Zabaglio o Zabelli,allievo di Francesco Allegrini.

Dei suoi tre ritratti presenti nelle opere conservate a Foggia, il primo è quellodi Redi che fa da antiporta alla già menzionata edizione delle sue Opere, dove unacornice ovale molto semplice e lineare poggiante su piedistallo, racchiude l’immaginedello scienziato aretino in cui spicca soprattutto il riccioluto volume della parruccache scende fin sul petto, dove è visibile la cravatta e la sottomarsina sbottonata.

Un’analoga cornice ovale, questa volta puntellata come nelle monete, rac-chiude il ritratto di Francois Jacquier, effettuato quando l’autore aveva cinquantadueanni. Questa volta Zaballi lavora su disegno di un Giusti non meglio precisato,anche se in realtà possiamo ipotizzare che si tratti di quel Giusti Gregorio di Ora-zio < Pistoia dopo il 1732-dopo il 1787> ritrattista disegnatore e miniatore, il qualeinviato dalla famiglia Tolomei a Roma a studiare sotto Sebastiano Conca26 e ilritrattista Pompeo Batoni, invia nel 1756 alla città natia la pala per l’altare maggioredi San Vitale27 .

Dei ritratti di Zaballi quello che colpisce è la povertà dei particolari e delledecorazioni, che si manifesta nella sottigliezza scarna delle cornici ma anche per lasuperficiale e sommaria rappresentazione degli elementi legati all’abbigliamento.

Di Zaballi è pure il ritratto di Pietro Metastasio che negli elementi iconograficioltre che nell’impostazione somiglia a quello che accompagna gli undici volumi in12° delle Opere, dell’edizione datata Londra 1782-83, edizione sicuramente con unfalso luogo di stampa come ci conferma M. Parenti28 nel Dizionario dei luoghi distampa falsi inventatio supposti, in quanto stampata a Livorno da Tommaso Masi.

Il Metastasio della falsa edizione londinese, però porta la firma di PompeoLapi a cui si accompagna il frontespizio incorniciato e inciso da Giovanni BattistaLapi. Non sappiamo se fossero parenti anche se ci sono molti elementi che ci fannosupporre un legame in quanto, Giovanni Battista anche se fu originario di Roma, fuattivo a Cortona, Firenze e Livorno ed è proprio in questa città che lasciò dei dipin-ti nella chiesa dell’Annunziata29 .

25 Riprodusse in rame i Cento ritratti della Real famiglia dei Medici, Firenze 1762. Il Bolaffi ritiene che siconoscono pure derivazioni da dipinti del Seicento bolognese tra cui Carracci, Reni, Guercino, oltre ai suoinumerosi rami che si conservano preso la calcografia nazionale di Roma.

26 Il Conca fu a sua volta allievo del Solimena. Cfr. DE DOMINICI, Op. cit., Vol. III, p. 665.27 BOLAFFI, Op. cit. Vol. VI, pp. 106-107.28 M. PARENTI, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, Firenze, Sansoni Antiquaria-

to, 1951, p. 12229 Illustrò pure il Museo etrusco di A. F. Gori (1737) e le Opere di Algarotti. Cfr. BOLAFFI, Op. cit., Vol.

VI, p. 358. THIEME BECKER, Op. Cit., Vol. XXII, p. 369.

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Di Pompeo, invece il Bolaffi rifacendosi al Thieme Becker30 lo vuole di ori-gine livornese (il che ci induce a pensare ad un legame di parentela tra i due) e ci fasapere che nel 1783 incise La strage degli innocenti dai cartoni di Raffaello.

Un nuovo ritratto del Metastasio, questa volta presente nei sedici volumidelle Opere, edite da Antonio Zatta 1781-83, è di quello che viene invece definitodal Bolaffi il signore incontrastato della calcografia veneziana di quell’epoca: Mar-co Pitteri, <1702-1786>.

Discepolo del Piazzetta, fu avviato al bulino da Giuseppe Baroni e “fu con-quistato dalla maniera di Claude Mellan introdotta a Venezia da C. A. Faldoni, atagli paralleli rinforzati o attenuati a seconda della gradazione chiaroscurale senza ilricorso a tagli incrociati”31. Delle 444 incisioni catalogate dal Ravà ben 140 risulta-no derivanti dal Piazzetta, non mancano però nemmeno incisioni dai piazzetteschiAngeli e Marinetti, oltre che da altri contemporanei quali Novelli, Cignaroli,Mingardi32 .

Della scuola scuola veneziana, è pure Antonio Baratti del quale conserviamoa Foggia ben due ritratti, quello del poeta inglese Alexander Pope <1688-1744>

(I Principj della morale, Venezia, Giambattista Novelli, 1761) inciso all’ac-quaforte su rame, e quello del poeta antipetrarchesco Francesco Berni <1497-1535.>

Il Baratti allievo di Giuseppe Wagner, si forma presso lo stabilimento di que-st’ultimo e qui a differenza dei suoi compagni di lavoro Fabio Berardi e FrancescoBortolozzi non manifesta ambizioni stilistiche ma si dedica più alla tecnica, dive-nendo un maestro nel predisporre il letto, operazione necessaria per gli incisoriall’acquaforte.33

Il Baratti incisore di importanza nazionale ed internazionale pur avendodato vita ad un proprio laboratorio, in cui lavorava coadiuvato soprattutto dallamoglie Valentina Monaco, intagliatrice di caratteri, continuò a lavorare anche pergli altri editori e calcografi, tra cui il suo maestro Wagner, la Calcografia Magna diVenezia, i Remondini di Bassano oltre ai Vallardi di Milano34 . Il nome di Baratti, silega a quello dei più importanti editori librai della seconda metà del Settecento, nonsolo a Venezia, ma come sostiene Alfredo Petrucci ma anche a Roma e a Parigi.

Oltre alla collaborazione della moglie e dei suoi tre figli il Baratti ebbe in unsecondo momento due allievi: Antonio Dandi e Giuseppe Daniotto35 , di quest’ul-timo è il ritratto di Carlo Goldoni presente nelle Memorie del signor Carlo Goldoni

30 BOLAFFI, Op. cit., Vol. VI, p. 359. THIEME BECKER, Op. Cit., Vol. XXII, 1928.31 A. RAVA’, Marco Pitteri incisore Veneziano, Firenze, 1922.32 Suo è il ritratto del maresciallo Schulemburg e le 37 vignette su disegno del Piazzetta per l’Officium

Beatae Mariae Virginis, edito dal Pasquali nel 1740. La collaborazione con il Piazzetta diventa più stretta apartire dal 1742, risalgono infatti a questo periodo la Serie degli Apostoli e il famoso ritratto del Goldoni. Dal1755-1770, collaborò con Pietro Longhi , e dal 1760 con G. B. Tiepolo. BOLAFFI, Op. cit., Vol. IX, pp. 127-129.

33 A. PETRUCCI, Antonio Baratti, in Dizionario Biografico degli Italiani,Vol. VI, pp. 2-3.34 A. PETRUCCI,. Antonio Baratti, in Dizionario Biografico degli Italiani,Vol. VI, pp. 2-3.

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scritte da lui medesimo e facenti parte delle Opere teatrali del sig, Carlo GoldoniVeneziano36 , (Venezia, Zatta e figli, 1788), e secondo quanto afferma Gastone Geran,Giuseppe Daniotto è celebre proprio per questo ritratto che è uno dei pochi chesono giunti fino a noi del celebre commediografo.

Sempre in ambito veneziano, opera il pittore Bartolomeo Nazari 37 <1699-1758>, discepolo a Bergamo del Ghislandi, a Venezia di A. Trevisani e a Roma di B.Luti e di F. Trevisani, lo troviamo iscritto pure alla fraglia veneziana dei pittori dal1726 al 1750 e presso la corte dell’Imperatore Carlo VII. Pur essendosi dedicato allapittura religiosa e a quella di paesaggio, acquistò fama come ritrattista, operandoprima sulle orme del Ghislandi e poi dell’Amigoni. Secondo il Vesme, suoi sonodue ritratti all’acquaforte siglati B.N.F. (Bartolomeo Nazzari fecit), sempre sua ènel nostro caso la firma come pittore (Barth Naz. Pinx.) posta sotto il ritratto diApostolo Zeno, che appartiene a quella categoria di ritratti in cui l’autore è rappre-sentato all’interno del suo studio che è spesso descritto fin nei minimi particolari, edove come avveniva già nel ritratto librario del XVI secolo, i protagonisti incontra-stati di questi ambienti sono i libri38 , del resto già la Zappella ha scritto che: “in talsenso il ritratto contribuisce all’edificazione spirituale del personaggio e nelcontempo viene proposto al lettore come stimolo a rivivere una cultura e una dot-trina di antica tradizione e in continuo svolgimento”39.

Apostolo Zeno ha la parrucca a riccioloni che poggia fin sulle spalle, lagiamberga senza colletto, allargata a campana in vita, con maniche strette ed altirisvolti, dall’apertura della giamberga sul petto, sotto la cravatta si intravede lasottomarsina aperta, con bottoni piccoli.

Serio, impostato e alquanto altero è lo sguardo di Marc Antoine Muret <1526-1585> nel ritratto che precede l’Operum (Padova, Comino, 1741, 15x8,7), incisoda Giuseppe Patrini <1711-1786>.

Anch’egli fu attivo come incisore a Venezia, anche se a partire dal 1750 sitrasferisce a Parma, dove subisce l’influsso del Mellan.

35 THIEME-BECKER, Op. cit., Vol. VIII, p. 364.Secondo quanto afferma E . Bénézit nel Dictionnaire critique et documentaire des peineres ..., (1976),

illustra pure un’edizione dei Sonetti di Petrarca editi dallo Zatta a Venezia nel 1874. E. BENEZIT, Dictionnairecritique et documentaire des peinters, Libraire Gründ, 1976, Vol. 3. P. 350.

36 Una prima edizione delle Opere di Goldonifustampata a Venezia da G. Pasquali in 8° , con disegni diPietro Antonio Novelli, e le incisioni del Baratti, mentre solo poche tavole furono incise da GiulianoGiampiccioli, una sola era di G. Daniotto. Geran scrive che in origine l’opera doveva articolarsi in 30 volumida pubblicare in otto anni, ma la partenza per Parigi dell’Autore e forse anche il disinteresse crescente deisottoscrittori, fecero si che la Pasquali si fermasse al 17° volume uscito con la data del 1777. L’edizione com-pleta delle Opere teatrali con rami allusivi sarebbe stata iniziata l’anno dopo ad opera dello Zatta, anchequesta volta con disegni affidati al Novelli.

37 A. BAUDI DI VESME, Le peintre –Graveur italien, Milano, 1906. BOLAFFI, Op. cit., Vol. VIII, p.101.

38 G. ZAPPELLA, Op. cit., p. 18539 G. ZAPPELLA, Op. cit., p.45.

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Come il Gregori, di cui parleremo in seguito, contribuì all’opera dello ZanettiDelle antiche statue greche e romane (1740-43) e il Bolaffi scrive che per l’esecuzio-ne di una pianta della città di Parma percepì dal novembre 1760 uno stipendio men-sile dal duca, a cui s’aggiunse dal novembre 1770 un premio annuale 40.

Il ritratto di Giuseppe Averani <1662-1738> considerato uno dei più cele-brati interprete del diritto romano, oltre che il più illustre esponente della scuolaitaliana del Cujacio, è inserito in una carta di tavola ripiegata, che ospita una corniceovale a doppio listello, priva di didascalia, dove il giurista è raffigurato con la bian-ca parrucca a riccioloni, meno strepitosa e con un volume ridotto rispetto a quelladi Costantino Grimaldi, mentre dalla lunga toga, spicca una grossa cravatta biancache sembra addolcire il severo effetto d’insieme. Del resto la toga nel XVIII secoloresiste ancora come abbigliamento del patriziato, ma solo per circostanze partico-lari, mentre è più diffusa nella borghesia soprattutto per l’esercizio delle professio-ni liberali. L’Averani è ritratto seduto al suo tavolo di lavoro, su cui è poggiato unlibro, mentre un’altro è nella sua mano destra. La cornice si chiude con lo stemmanella parte bassa, mentre il tutto poggia su un piedistallo che ospita la didascaliaIosephus Averanus I. C. Fior. In Pisana Academia Antecessor. L’incisione che fa daantiporta alle Lezioni toscane, dell’Averani (Firenze, Gaetano Albizzini, 1744, 3vol.), fu realizzata dal fiorentino Carlo Gregori <1719-1759> incisore a bulino cheformatosi nella scuola di Jacob Frey, collaborò alla illustrazione di importanti rac-colte di divulgazione artistica quali il Museum Etruscum (Firenze 1737-1743) e ilMuseum Florentinum di A. F. Gori, (Firenze 1731-1762)41.

Il Gregori in questo caso lavora in collaborazione con il pittore GiovanDomenico Ferretti <1692-1768>, considerato il terzo protagonista del Rococò inToscana dopo A. Gherardini e G. C. Sagrestani. Il Ferretti conosciuto pure comeGian Domenico da Imola perché figlio di un orefice imolese, è considerato il re-sponsabile di una svolta dai modi estrosi e bizzarri, oltre che di un parziale classi-cismo sempre spiritoso e lieve ma espresso con forme larghe e tondeggianti42.

A Foggia, Ferretti lo ritroviamo in un altro ritratto, quello elegantissimo ericercato di Benedetto Menzini, inciso questa volta da Cosimo Mogalli <1667-1730>che fu principalmente incisore riproduttivo, dimostrando una grande abilità so-prattutto nell’uso del bulino. Collaborò tra gli altri alla ripubblicazione postumadelle opere di Thomas Dempster De Etruria regali libri septem, (Firenze 1723-24),e alla produzione di soggetti religiosi, mitologici e storici, molti dei quali per il

40 Sue sono le seguenti incisioni : La comunione di Santa Lucia, da Sebastiano Ricci 1730; La nascita diMaria, dal dipinto di C. Ruta nell’Oratorio di San Quirino; Una macchina per fuochi d’artificio (1745); Lapianta del teatro Farnese e scene del teatro stesso. BOLAFFI, Op. cit., Vol. VIII, p. 372

41 Di Gregori sono pure alcune lastre per le opere di J. B. Bossuet Oeuvres, Venezia, 1736-1757, o di A.M.Zanetti Delle antiche statue greche che nell’antisala della libraria di S. Marco si trovano, Venezia 1740-1743.Oltre a copie di celebri dipinti del Domenichino, Correggio, Raffaello, Tiziano, Reni. BOLAFFI, Op. cit.,Vol. VI, p. 163.

THIEME-BECKER, Op. cit., Vol. XIV, p. 577.42 BOLAFFI, Op. cit., Vol. IV, pp. 408-409.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

Museum Florentinum43, pubblicato dal Moucke a Firenze tra il 1731-1766.Nel caso del Menzini un fluido panneggio scende dall’alto a coprire in parte

una cornice ovale a doppio listello con didascalia, di cui si intravede solo una partecontenente i dati anagrafici Benedictus Menzinus Flor. Aet. Suae An.XXXVII. Inbasso al centro della cornice, da un mascherone si apre una specie di valva che ospi-ta un verso di Orazio (L. I. Ep. III) Pindarici fontes qui non expalluit hanstus, men-tre sul lato esterno adagiato alla cornice si scorge un uomo in una tipica posaclassicheggiante.

Assai ricca è la presenza di ritratti nei cinquantuno volumi della Raccolta diopuscoli scientifici e filologici, (Venezia, Cristoforo Zane poi Simone Occhi 1728-1757), infatti nel 12° Tomo troviamo il ritratto del medico ferrarese Giovanni Bat-tista Lanzoni <1663-1730> facente parte dell’Arcadia dove era conosciuto con ilnome di Alzindo Epiziano, oltre che di numerose altre Accademie tra le quali quel-la degli Apatisti, di Firenze, dei Fisiocratici di Siena e dei Concordi di Ravenna.Lanzoni nell’ormai tipica toga e parrucca a riccioloni, è ritratto da Andrea Bolzonio Bolsoni <1689-1760> anch’egli ferrarese, che ebbe una prima formazione pressol’Accademia per poi seguire gli insegnamenti del pittore Giacomo Parolini. La suaopera di incisore secondo quando afferma il Bargellesi ha “carattere più riprodut-tivo e divulgativo che di invenzione; tuttavia sono tecnicamente pregevoli alcuneincisioni a maniera nera e altre a bulino con taglio parallelo senza intersecazioni”44.Numerose sono le sue incisioni di ritratti tra cui viene menzionata proprio quelladel Lanzoni eseguita nel 1716, oltre che quella ben più rara eseguita a punta seccaper il ritratto di Carlo III Re di Spagna45.

Nel Tomo ventiseiesimo, è invece presente il ritratto di Romano Merighi<1658-1737> della Congregazione Camaldolese, in abiti ecclesiastici e con lozuccotto in testa, racchiuso in cornice ovale a doppio listello nella cui parte bassaospita il cappello (che dal XV secolo fu concesso oltre ai cardinali anche ai vescoviprotonotari e alti prelati), cappello ai cui lati pendono due cordoni terminanti consei fiocchi disposti simmetricamente a destra e a sinistra dello scudo46.

L’autore del ritratto il veneziano Carlo Orsolini <1704-1784>, incisore surame, è ricordato in particolare per i ritratti dei procuratori e dei notabili della Re-pubblica, specializzato nelle illustrazioni librarie, i suoi ritratti sono spessostilisticamente accostati alle opere della maturità di Marco Pitteri47.

43 BOLAFFI, Op. cit., Vol. VII, pp. 416-417. THIEME-BECKER, Op. cit., Vol. XXIV, p. 17.44 G. BARGELLESI, Andrea Bolsoni, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.,11, pp. 367-368.45 Tra i ritratti menzionati figurano quello di T. Ruffo cardinale di Ferrara, (1712), Scipio Giraldi Sacrati,

giurista (1719), A. Beatrice Manfredi Cappuccina (1729), Ferrante Borsetti letterato ( 1751 da G,. A. Ghedini),Giacomo Sanvitali gesuita (1754).

46 Inizialmente si portava un fiocco per parte, ma alla fine del 1300 se ne posero sei per lato; quest’uso fu prestoimitato da presuli e da dignitari, per cui i porporati per differenziarsi ne aumentarono via via il numero. Nel 1832una decisione della Congregazione del Cerimoniale stabilisce definitivamente per i cappelli cardinalizi 15 fiocchi daogni parte, per quelli dei patriarchi e arcivescovi 10, per i vescovi 6, oltre a stabilire i colori: rosso per i primi, verdeper i secondi, e violaceo per i vescovi. G. C. BASCAPÈ, Sigillografia, II, Milano, Giuffrè, 1978, p. 79.

47 THIEME BECKER, Op. cit., Vol. XXVI, p. 62.

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Marianna Iafelice

Nella ormai classica cornice ovale molto stretta e priva di didascalia si inseri-sce pure il ritratto del bibliotecario vicentino Michelangelo Zorzi, eseguito da Fran-cesco Zucchi <1692-1764> incisore a bulino, all’acquaforte e a mezzotinto, che siformò a Pordenone dal fratello Andrea. Intorno al 1750 fu chiamato a Dresda perriprodurre in incisione i quadri della galleria, ma lo scoppio della guerra dei setteanni però, lo costrinse ad interrompere il lavoro, anche se il Fussli ritiene che inrealtà Zucchi non si recò mai personalmente a Dresda ma vi mandò le sue opere daVenezia. Numerosi suono i suoi ritratti e le sue illustrazioni per libri, tra cui ilBolaffi ricorda quelle del Paradiso Perduto di Milton, (Parigi 1742) dai disegni delPiazzetta o di F. Zugno per la Secchia rapita del Tassoni, (Modena, 1744)48 .

Lo sguardo gioviale e bonario accompagna invece il ritratto del cremoneseFrancesco Arisio <1657n.>, ritratto ripiegato in carta di tavola, dalle dimensioniassai grandi. Infatti per colui che ebbe il merito di detenere l’incarico di Conserva-tore degli Ordini per ben 36 anni, è stato eseguito un ritratto il cui linguaggio èaulico e tradizionale con forme ricche e solenni, basta guardare i tre cartigli che loaccompagnano, quello nella parte alta della cornice ovale Ob cives servatos, quelloche l’attraversa nella parte bassa, Angelus Masaratus Cremone Fra. Arisius Ord.Conser. Civit Cremon, e infine quello che è appeso ad una fune che a sua volta èlegata alla cornice Angelus hanc pinxit faciem, sic dextera tantum Angelica Arisium,pingere digna fuit Aetatis ann. 45. C.F.R.S.I.

Rientrano invece nella categoria dei ritratti anonimi, quello di Dante Alighierinell’antiporta alla Divina commedia tratta da quella che pubblicarono gli Accade-mici della Crusca l’Anno 1595, edita a Venezia da G. Pasquali nel 1772. Racchiusoin una raffinata cornice rettangolare con decorazioni a fogliame negli angoli, e nelcartiglio la didascalia: Dantes Aligherius ex Pinacotheca Comitis Danielis LiscaPatricii Veronensis ; pictus quondam a Bernardino India celebri Pictore, BernardinoIndia. Tratto quindi da un dipinto di Bernardino India che nato a Verona nel 1528,collaborò sia con il Sammicheli (palazzo Canossa e cappella Pellegrini a S. Bernardinodi Verona) sia con il Palladio (villa Pojana e Palazzo Thiene a Vicenza). Sensibileagli influssi del Manierismo emiliano, in particolare del Parmigianino, lavorò pre-valentemente a Verona e nella provincia, realizzando anche, negli anni ’70 e ’80, unacospicua serie di raffinate pale d’altare. In una di queste, Il martirio di SantaDegnamerita, una mano ignota appose l’iscrizione “Bernardinus India postremovitae anno faciebat MDXC” che ha consentito alla critica di conoscere la data dellasua morte.

Altro ritratto anonimo è quello di Francesco Quirino49 , patriarca di Gradorappresentato in atto di preghiera , con il libro e la tiara a due punte, che ricorda permolti versi il cinquecentesco ritratto di Pio V nel Corpus juris canonici, ConstitutionesClementis quinti, (Venezia, 1572). Anonima è pure l’icisione del medico filosofoPietro d’Abano <1250-1316>, che fu insegnante di medicina , filosofia e astrologia

48 BOLAFFI, Op. Cit., Vol. VI, p. 263.49 Tomo 39, Raccolta di opuscoli scientifici e filologici.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

all’Università di Parigi e poi dal 1306 all’Università di Padova. Profondo conosci-tore del greco, fu accusato una prima volta dal tribunale dell’inquisizione forse pergli argomenti trattati nel Conciliator differentiarum philosophorum et praecipuemedicorum. Prosciolto grazie all’intervento dei suoi protettori Alvarotto e di Pie-tro Altichino, fu accusato una seconda volta nel 1315, anno della sua morte, anchese l’accanimento dei Domenicani si protrasse ben oltre questa data, tanto che l’an-no seguente il Tribunale decretò comunque che le sue spoglie dovessero essereposte al rogo. Raffigurato di profilo, con il cappuccio, un indumento prettamentecittadinesco, riservato nel 1300 alle più alte cariche, questo ritratto non ha nulla ditipicamente settecentesco, in quanto anche per la posizione di profilo dell’autore èmolto più vicino agli apparati del ritratto librario cinquecentesco. Ultimo ritrattoanonimo è quello di Francesco Bracciolini, ne Lo Scherno degli dei poema piacevoledi Francesco Bracciolini, (Firenze, Per Giovanni Betti, 1795). È presente invece unsolo caso in cui si hanno le sole iniziali B.F. ed è per il maestoso ritratto di SanFrancesco di Sales che fa da antiporta al primo tomo delle sue Opere edite a Vene-zia Dai Baglioni nel 1735. Seduto nel suo studiolo con le vesti dettagliatamenterappresentate, basti guardare il pizzo fine che fuoriesce dall’abito, oppure le deco-razioni del panneggio, che scende dalla libreria o quello analogo che ricopre il tavo-lo da lavoro. Dalla porta aperta dello studio, è possibile scorgere pure la facciata e ilporticato di una villa, il cui dettaglio della decorazione architettonica è mirabile,basti guardare le lesene terminanti con ordine corinzio oppure le balaustre e icornicioni, riccamente decorati con fregi. Nello studio, cinque angeli ondeggianoin un andamento quasi vorticoso, ognuno con libro in mano, da cui si leggono ititoli delle opere del santo incluse nella pubblicazione.

A questo punto si conclude la prima fase della ricognizione nell’ambito dellaritrattistica libraria del Settecento, e si conclude con la consapevolezza di quantoancora si potrà scrivere su questo argomento nel momento in cui sarà catalogatotutto il ricco fondo antico conservato nella biblioteca di Foggia, che porterà magarialla redazione di un catalogo completo, che potrà a pieno titolo inserirsi come uncontributo prezioso alla storia del libro italiano del Settecento, storia ancora tuttada scrivere.

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Marianna Iafelice

AVERANI GIUSEPPE, Sezioni Toscane, Firenze, G. Albizzini, 1744.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

MENZINI BENEDETTO, Opere, Firenze, Tartini e Franchi, 1731-1732.

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Marianna Iafelice

POPE ALEXANDER, I Principj della Morale, Venezia, G. Novelli, 1761.

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Il ritratto inciso in alcune settecentine italiane della Biblioteca Provinciale

VOLPI GIUSEPPE, Cronologia dei vescovi pestani…, Napoli, G. Riccio, 1752.

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Rossella Palmieri

Perché la Puglia non è la Californiadi Rossella Palmieri

Ne hanno parlato antropologi e scrittori, giornalisti e politici. Ma “Perché laPuglia non è la California”1, resta, malgrado il paradossale e dialettico titolo, uninterrogativo che necessita ancora di mille e sfaccettate risposte, come sfaccettata èla problematica del meridione in generale, prim’ancora che della Puglia. Dietro l’iro-nia del titolo si celano pagine sferzanti che fanno emergere una verità quasi sempli-ce, malgrado le contraddizioni del sistema economico e dello sviluppo del sud. Per-ché questa regione possa volere e ottenere un futuro sul quale costruire, un futurodi riscatto all’altezza delle sue potenzialità, è necessario che politica e istituzionidiano una brusca sterzata ad un immobilismo secolare e a un torpore che per trop-po tempo si è sedimentato nel perverso meccanismo dell’assistenzialismo a pioggia.Eppure non manca quello che può essere definito il valore indotto, il surplus dellaterra: risorse naturali, uomini, clima, bellezze artistiche e soprattutto la singolarecoincidenza che vede raggruppata, nel raggio di pochi chilometri, tutta la vocazio-ne che un territorio può avere: monti, mare, laghi, colline.

Allora vuol dire che la Puglia ha bisogno di un modello “alternativo” di svi-luppo, ma, al tempo stesso “interno”, relativo, cioè al bisogno della terra? Di certoTatò guarda in tre direzioni: l’agricoltura, il turismo e la new economy, a sua voltastrettamente legata alla commercializzazione dei prodotti.

Il tutto, però, deve essere reso più agevole da una nuova cultura d’impresa eda un potenziamento delle infrastrutture che ancora contribuiscono, nel loro essereobsolete, a rendere più netto il gap tra nord e sud.

Nel testo, comunque, non mancano anche “fotografie” tutte particolari epersonali, come quelle del primo dopoguerra “ricordando la felicità di poter per-correre tutta la penisola sui sedili di legno dei treni ansimanti, scambiandosi bic-chieri di vino e panini alla mortadella. Erano anni belli quelli in cui trascorrevo imesi estivi nella terra di mio padre”. Da questi ricordi lontani, quasi sfocati, si passaall’innamoramento profondo e immediato dell’agosto del 1997, quando, dopo piùdi trent’anni, l’autore tornò in questi posti per descriverli con passione e trasportoprima di far vedere l’altra faccia della medaglia, più lucida e analitica. Tatò parte dal

1 FRANCO TATÒ, Perché la Puglia non è la California, Baldini e Castoldi, 2000. Euro 12,91.

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Perché la Puglia non è la California

principio che “la Puglia possiede spirito imprenditoriale in misura superiore a tuttele altre regioni del Meridione”. Ma alla luce di questa enunciazione di principio èopportuno notare quali siano le riposte che l’autore offre o, quantomeno, gli spuntidi riflessione che propone. Perché ad esempio, c’è una scarsa propensione dellebanche ad investire nel capitale di rischio delle imprese? E gli investitori sanno chesuddividendo il loro capitale su più iniziative avranno ritorni tali da compensare leeventuali perdite di investimenti meno fortunati? Questi interrogativi non devonorimanere tali, come il titolo sembra suggerire. Le risposte ci sono. E non nel luogodell’immaginario. Quello che la California è per gli Stati Uniti non è una chimera.Proprio a portata di mano forse no, ma neanche un modello irraggiungibile.

Ed è proprio questa la scommessa. Non è un caso che l’economista NicolaRossi affermi che la Puglia è il luogo dove nasce il vento delle novità. Basta farlosoffiare, ora come non mai, questo vento del coraggio imprenditoriale.

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Gli autori

Lucio Stanca, nato a Lucera nel 1941, è Ministro per l’Innovazione e le Tecnolo-gie. Laureato in Economia presso l’Università Bocconi di Milano, nel 1968 è stato chia-mato presso la sede di Milano dell’IBM Italia e poi nominato direttore di filiale grandiclienti a Roma. Trasferito negli Stati Uniti presso la IBM Corporation ha assunto, tral’altro, l’incarico di assistente del Presidente. Rientrato in Italia nel 1983 come Diretto-re Commerciale della IBM Italia, è stato successivamente General Manager di una uni-tà operativa responsabile di alcuni paesi europei, presso la direzione europea della IBMdi Parigi. Nel 1990 è diventato Direttore Generale della IBM Italia, nel 1991 ne è diven-tato Presidente e, successivamente, Vice Presidente della IBM Corporation e membrodel comitato mondiale direttivo della Corporation. Nel 1994 si è trasferito nuovamentea Parigi come Presidente e Direttore generale della IBM Europe, Middle East and Afri-ca, organizzazione con operazioni in oltre 100 paesi, con un fatturato di trenta miliardidi dollari e con oltre 100.000 persone. Nel 1997, ancora Presidente, ha curato le opera-zioni di marketing della società a livello mondiale e nel 1998 ha ricoperto la carica diPresidente Emea (Europe, Middle East and Africa) con sede a Parigi. È membro delconsiglio di amministrazione dell’Univeristà Bocconi e Vice Presidente dell’AspenIstitute Italia.

Paolo Agostinacchio è nato ad Ascoli Satriano nel 1938. Laureato in Giurispru-denza presso l’Università degli studi di Bari, già componente del Consiglio dell’ordineForense, è stato consigliere comunale dai primi anni ’60 sino al 1971. Deputato elettonella circoscrizione di Bari-Foggia nel 1983 e nel 1992, è stato presidente dal 1994 al1995, sino alle dimissioni da Deputato, della Commissione Finanze della Camera deiDeputati. Sindaco di Foggia dal maggio 1995, è stato confermato al primo turno nel1999. È Presidente del Consiglio nazionale dell’A.N.C.I.(Associazione Nazionale Co-muni d’Italia), membro permanente della seconda Commissione Agricoltura del Co-mitato delle Regioni a Bruxelles ed è stato insignito dell’onorificenza di Commendato-re della Repubblica nel 1998. Dal marzo del 2000 è stato investito del Cavalierato delSanto Sepolcro di Gerusalemme. Ha rivestito diversi incarichi politici a livello provin-ciale e nazionale: è stato negli anni ’60 dirigente giovanile della Segreteria provincialedel Movimento Sociale italiano, componente del Comitato Centrale, di cui è stato an-che Vice-presidente, e della Direzione Nazionale del MSI-DN. Nel 1991 ha fatto partedell’Esecutivo del MSI-DN con la responsabilità del Dipartimento per i problemi delloStato e, successivamente, fino al 1994 responsabile dell’Ufficio Agricoltura. Dal 1994 ècomponente dell’Assemblea Generale e della Direzione Generale di AN.

Antonio Pellegrino è nato nel1937 a Foggia. È primario della Divisione diUrologia degli Ospedali Riuniti di Foggia e dal dicembre 1995, Presidente della Pro-vincia di Foggia. Dopo aver studiato a Roma e a Siena, è tornato a Foggia, nel 1964, e da

Gli autori

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Gli autori

allora si è dedicato esclusivamente all’attività ospedaliera. Nel 1970 ha conseguito laLibera Docenza in Patologia speciale chirurgica e Propedeutica Clinica. È autore di 40pubblicazioni scientifiche.

Nel 1963, come Ufficiale Medico dell’Esercito, ha prestato i primi soccorsi inFriuli alle popolazioni colpite dal disastro del Vajont, meritandosi l’encomio del Gene-rale di Corpo d’Armata.

Già segretario provinciale e consigliere nazionale del sindacato medico ANAAO,ha presieduto l’Ordine dei Medici nel triennio 1984-1987. È presidente della SocietàApulo-Lucana di Urologia.

L’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci gli ha conferito il I Elmetto d’Oronel 1988 con la seguente motivazione: “Stimato senza riserve per le sue eccellenti dotiprofessionali ed umane, amato da una schiera di amici, di colleghi e di pazienti, che di luiesaltano la grande onestà, l’innata socievolezza e l’altruismo senza limiti e senza privile-gi”. Dal 1994, quando si impegnò per la prima volta in una competizione elettorale, èPresidente della Provincia, eletto sempre al primo turno.

Maria Altobella, bibliotecaria dal 1973, è laureata in Giurisprudenza presso l’Uni-versità degli Studi di Bari con tesi: “Beni culturali e biblioteche: attività legislativadallo Stato unitario alle Regioni”. Ha conseguito, inoltre, il Diploma di Archivistica,Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari. In qualità di FunzionarioCulturale Bibliotecario è coordinatore dell’Area public library della Biblioteca Provin-ciale di Foggia oltre che referente della Sala di Consultazione. Ha curato la pubblica-zione di cataloghi bibliografici, bibliografie speciali, dossier tematici e collaborato ariviste specializzate. Ha svolto attività di docenza in corsi di formazione professionaletra cui, nel 1998, quella relativa a “Mediateca 2000. Progetto d’azione organizzato dalMinistero per i beni Culturali e Ambientali”.

Pierino Amicarelli, 52 anni, originario di Vico del Gargano, dipendente dellaAsl Fg/1 è Assessore provinciale all’Organizzazione delle Risorse Umane. Oltre adessere segretario amministrativo regionale del Partito Popolare ha deleghe agli Affari eServizi generali, al Personale, alla Formazione del Personale e alla Statistica.

Zbigniew Bartnik è Vice Presidente del Distretto di Klodzko.

Lucia Bertell è nata a Verona nel 1964. Laureata in Pedagogia, ha lavorato dal 1990al 1993 come collaboratrice dei quotidiani “Il Nuovo Veronese” e “La Cronaca”, dal1990 al 1992 alla Camera del Lavoro di Verona e dal 1992 al 1998 è stata dipendentedell’Ente Poste Italiane. Presidente di “Mimesis”, associazione universitaria di formazio-ne cultura e servizi dal 1987 al 1991 e dal 1994 al maggio 2001, è attualmente presidente di“Guglielma ricerca e creazione sociale” piccola società cooperativa che si pone l’obiettivodi mettere in campo le esperienze acquisite nel campo della progettazione, del lavorosociale e della ricerca con un’attenzione e una scommessa sul lavoro di creazione sociale.Responsabile dal 1997 al 2000 dell’Ufficio Pedagogia dell’Autogestione della “Mag So-cietà Mutua per l’Autogestione” di Verona (che si occupa di promuovere e sostenere leimprese del Terzo settore), ha curato la progettazione di percorsi formativi.

Matteo Biancofiore, imprenditore, dal 15 maggio 2001 è Presidente dellaConfcommercio PMI della provincia di Foggia. Dal giugno 2001 è Presidente del C.A.T.,

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Gli autori

il Centro Assistenza Tecnica della Confcommercio: è, inoltre, Presidente della Cofidi ePresidente del C.A.T. Regione Puglia. Dal novembre 1999 ha ricoperto l’Incarico diAmministratore della Confcommercio PMI e nello stesso anno è divenuto componen-te del Comitato Tecnico della Cooperativa di Garanzia Fidi. Nel 1997 è stato elettoPresidente del Gruppo Giovani Imprenditori in seno alla Confcommercio PMI di Foggiae successivamente Componente del Consiglio Nazionale dello stesso Organismo (in-carico ricoperto fino al 15 maggio 2001). Nel 1997 è stato nominato Componente dellaConsulta Giovani del CNEL, in rappresentanza della Confederazione nazionale.

Nicola Biscotti è nato nel 1958. Imprenditore nel settore dei trasporti pubblici,è stato presidente dei giovani industriali dal 1989 al 1992. Dal 1992 al 1996 è statopresidente regionale dei giovani imprenditori e dal 1995 al 1999 è stato componentedella giunta di Confindustria in rappresentanza dei giovani imprenditori. Attualmenteè presidente dell’Assindstria di Foggia, componente del Comitato Ristretto Mezzo-giorno di Confindustria, vice presidente della commissione mista Confindustria MIUR,presidente dell’organismo bilaterale regionale Confindustria-sindacati per la forma-zione professionale, presidente della società “Patto di Foggia” e vice presidente dellaFederazione regionale Industriali di Puglia.

Antonio Calvio, nato a Cerignola il 15.04.53, imprenditore nel settore alimen-tare, Presidente Provinciale della Confesercenti, è componente dell’Assemblea Nazio-nale e della Giunta Regionale della Confesercenti, del Consiglio della Camera di Com-mercio di Foggia e Consigliere al Comune di Cerignola.

Marco Cereste è responsabile del South Peterborugh Primary Care Trust.

Raffaele Colapietra è nato all’Aquila nel 1931. Ha insegnato fino al 1990 storiamoderna presso l’Università di Salerno, dalla quale si è volutamente dimesso per privi-legiare la libera attività professionale, supportata da una pluridecennale presenza diosservatore e recensore dei risvolti storiografici e culturali della società civile. In que-st’ambito la sua attenzione si è rivolta spesso al Mezzogiorno e alla Puglia con contri-buti rilevanti alle vicende e all’ordinamento della Dogana e a problemi storici di Foggiae San Severo.

Giulio Colecchia è nato a Foggia nel 1952. Dipendente dell’ENEL dal novem-bre 1974, si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Bari nel 1984 con unatesi in Economia del lavoro sul Piano di sviluppo socio-economico del SubappenninoMeridionale. È stato Segretario Provinciale della Flaei-Cisl di Foggia dal 1978 al 1988,componente la Segreteria Provinciale della Ust-Cisl di Foggia dal 1988 al 1997, Segre-tario Generale della Ust-Cisl di Foggia, componente l’Esecutivo Regionale della Cisldal 1997, componente il Consiglio Confederale Nazionale della Cisl dal 1997 e delConsiglio di Amministrazione dell’Università di Foggia dal settembre 2000 al 31 mar-zo 2001. Presidente dell’Associazione culturale “Al centro il lavoro”, attualmente èsegretario generale della Cisl, carica che ricopre dal 1996.

Giuseppe De Matteis è nato ad Alberona. Ha insegnato presso le scuole supe-riori di Foggia e di Bari prima di passare all’Università di Pisa come docente di Lin-gua e Letteratura Italiana sino al 1986. Da quell’anno si è trasferito a Pescara dove gli

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Gli autori

è stata affidata la cattedra di Storia della critica letteraria e contemporaneamente, lasupplenza di Lingua e Letteratura Italiana, insegnamento che attualmente continua asvolgere presso l’Università “G. D’Annunzio” di Chieti in qualità di titolare. Colla-bora a varie riviste letterarie nazionali: (Galleria, Italianistica, Studium, EsperienzeLetterarie, Aevum, Opinioni, Merope, Proposte, etc.). Ha pubblicato numerosi volumi,tra i quali: Cultura e poesia di Vincenzo Cardarelli (1971), Critica, poesia e comunica-zione (1978), Il nomade illuso: letture e sondaggi carducciani (1983), Dittico pirandelliano(1989), Ragioni e certezza della poesia (1990), La narrativa di Italo Calvino (1991),Protagonisti della cultura letteraria meridionale (1993) e l’ultimo in ordine di tempo:Istanze della narrativa italiana contemporanea (2002). Nel 1985 gli è stato conferito ilPremio della cultura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. È membro della “So-cietà di Storia Patria per la Puglia” e della “Società Dauna di Cultura”. Ha svolto esvolge numerose iniziative di carattere culturale a Foggia, in provincia, a Chieti, a Romae a Pisa.

Valeria De Trino Galante è nata a Foggia nel 1947.Dal 1972 è insegnante di Scienze, Chimica e Biologia presso il Liceo Scientifico

“Marconi” di Foggia.Dal 1994 al 1998 è stata Assessore alla Cultura, Pubblica Istruzione e Servizi

Sociali della Provincia di Foggia.Attualmente è Responsabile dell’Agenzia per la Cultura della Provincia di Fog-

gia e coordinatrice del Sistema Museale Provinciale.

Khalifa Djebeniani è governatore di Siliana.

Barbara Drozynska è direttore del settore Pubblica Istruzione, cultura e sportdel distretto di Klodzko.

Giuseppe D’Urso, insegnante, 50 anni, sposato con tre figli, è nato a SanBartolomeo in Galdo, ma risiede a Foggia da molti anni. Presidente provinciale dell’Arcidal 1974 al 1979, componente nello stesso periodo del Consorzio Teatro PubblicoPugliese, D’Urso è membro del coordinamento provinciale dei Democratici di Sinistra.Consigliere Comunale dal 1985, è capogruppo dei Ds a Palazzo di Città.

È stato Assessore alla Pubblica Istruzione e Servizi Sociali della Provincia diFoggia, con delega alla gestione delle scuole, ai rapporti con l’Università e gli istituti diricerca, alla biblioteca provinciale, ai servizi sociali.

Enrichetta Fatigato, nata e residente a Foggia, laureata in Filosofia ha coltivato,a partire dalla tesi di laurea sull’urbanizzazione terziara di Foggia pubblicata in saggiosu “La Capitanata”, interessi per gli studi sociologici. Presta attualmente servizio pres-so la Biblioteca Provinciale di Foggia in qualità di Funzionario culturale Bibliotecario.

Esperta di biblioteconomia, bibliografia e tecnica dei cataloghi e docente in corsidi formazione e aggiornamento per bibliotecari, ha curato per il Distretto Scolastico diFoggia la pubblicazione “Rapporto sulle biblioteche scolastiche del Distretto di Fog-gia”.

È stata dal 1990 al 2000 responsabile della Biblioteca centrale delle Facoltà diEconomia e Giurisprudenza di Foggia.

È attualmente responsabile de “ilDock-Centri servizi” di Foggia e documenta-

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Gli autori

zioni multimediali istituito presso la Biblioteca Provinciale di Foggia avendone ideatoe progettato l’impianto.

Michele Ferri, laureato in Lingue e letterature straniere moderne, insegna linguae civiltà inglese al liceo scientifico “Galilei” di Manfredonia. Collabora con articoli dicarattere culturale a riviste e periodici. Ha pubblicato Mario Simone nel centenariodella nascita presso le Edizioni del Golfo nel gennaio del 2002 e, quale vicepresidentedel centro di documentazione storica di Manfredonia, ha promosso un convegno distudio sulla figura e l’opera dell’editore Mario Simone, del quale sta curando la pubbli-cazione degli atti.

Matteo Fusilli è nato nel 1955. Laureato in filosofia, è stato nominato nel 1981componente del comitato di studi per lo sviluppo e la tutela del Gargano presso lafacoltà di Scienze politiche di Padova e ha presentato la prima proposta di legge perl’istituzione del parco naturale del Gargano. Nel 1985 è stato eletto assessore al Turi-smo e all’Ambiente della comunità montana del Gargano, ente che ha diretto dal 1989al 1991. Direttore generale dell’Assoturismo, è stato componente del comitato di ge-stione del Parco Nazionale del Gargano in qualità di esperto in conservazione dellanatura. È stato assessore provinciale all’Ambiente e, successivamente, al Bilancio e alleFinanze. Docente a contratto dei corsi di Economia e Gestione delle imprese turistichee di Sociologia del turismo presso l’Università degli Studi di Foggia, autore di numero-se pubblicazioni, è attualmente presidente dell’ente Parco del Gargano.

Piero Gentile è nato nel 1956. Laureato in ingegneria meccanica, imprenditorenei settori delle costruzioni, dei servizi d’ingegneria ed industriali, è presidente del-l’Ente Fiera di Foggia dal 1993. Quest’anno è stato nominato commissario straordina-rio dello stesso Ente. Presidente del collegio sindacale dell’Associazione Industriali diCapitanata, componente della commissione Industria della Camera di commercio, ègià stato Presidente dei costruttori edili di Capitanata e Presidente regionale dell’ANCE(associazione nazionale costruttori edili).

Marianna Iafelice è nata a San Severo nel 1971, si è laureata in Conservazionedei Beni Culturali, Indirizzo dei Beni Archivistici Librari presso l’Università degli stu-di di Udine, per poi specializzarsi a Bari nella catalogazione informatizzata del libroantico. Di recente ha conseguito il Diploma della Scuola biennale di ArchivisticaPaleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari.

Ha contribuito alla schedatura degli incunaboli e delle cinquecentine della bi-blioteca comunale di San Severo, finalizzata alla realizzazione di un catalogo su cd-romdal titolo “Gli incunaboli e le cinquecentine della Biblioteca Comunale A. Minuzianodi San Severo”. Nel 2000 le è stata affidata dalla COMES ATP, la redazione di unaricerca storico, libraria, archivistica da allegare al progetto di ristrutturazione eriqualificazione funzionale dell’immobile di pregio che ospita l’Istituto TalassograficoSperimentale “A. Cerruti” del CNR di Taranto.

Ha pubblicato sulle riviste Carte di Puglia, La Capitanata, Il Provinciale. Attual-mente sta effettuando la catalogazione informatizzata del fondo antico della BibliotecaProvinciale di Foggia.

Barbara Janowicz è consigliere del distretto di Klodzko.

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Gli autori

Mohamed Hedi Jouini è consigliere regionale di Siliana e sindaco di Bargou.

Alex Mackay è responsabile dello sviluppo economico di Peterborugh.

Giuseppe Marcucci è nato a San Giovanni Rotondo nel 1947. È stato nelle filedella Cgil dal 1975, prima di diventare segretario della camera del lavoro di San Gio-vanni Rotondo, sua prima esperienza sindacale. Responsabile di zona del Gargano peril sindacato, è stato segretario della Fillea provinciale dal 1977 al 1980. Per un anno emezzo è stato nella segreteria regionale degli edili (1980-1981) e poi segretario generaledel camera del lavoro di San Severo sino al 1990. Dall’ 8 maggio del 1995 è segretariogenerale della camera del lavoro provinciale della Cgil.

Franco Mercurio è laureato in filosofia con specializzazioni post-laurea in am-bito storico e amministrativo. Direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, è re-sponsabile del coordinamento interprovinciale delle quattro province di Avellino,Benevento, Campobasso e Foggia. Ha svolto numerose attività di docenza fra cui, ulti-ma, dal 1997, presso l’istituto universitario di Architettura di Venezia, Laurea in piani-ficazione territoriale urbanistica e ambientale, corso di “Storia delle città e del territo-rio”. È autore e curatore di numerose pubblicazioni fra cui La frontiera del Tavoliere.Agricoltura, bonifiche e società nel processo di modernizzazione del Mezzogiorno tra’800 e ’900, Foggia, 1990; Classi dirigenti o ceti dominanti? Breve storia di Foggia in etàcontemporanea.

Dariusz Mikosa è Presidente del Distretto di Klodzko.

Ciro Mundi, 45 anni, neurologo ospedaliero, è stato Assessore Provinciale nellalegislatura Pellegrino, dal 1994 al 1998, con la delega alla programmazione, al persona-le, alle politiche comunitarie e alla formazione professionale.

Segretario comunale dei democratici di Sinistra negli anni 1999/2000, dal 1999 èconsigliere comunale DS della città di Foggia. Attualmente è Assessore Provincialeall’Ambiente e al Territorio.

Tommaso Nardella, originario di San Marco in Lamis, ha svolto gran parte dellasua attività lavorativa presso gli archivi di Napoli, Roma, Foggia e Trani.

Rossella Palmieri, laureata in Lettere classiche, ha svolto il dottorato di ricer-ca in Filologia greca e latina presso l’Università di Bari. Nel corso degli anni ha fre-quentato tre corsi di perfezionamento in culture classiche e moderne e in metodologiadella letteratura italiana. Ha pubblicato su riviste specializzate due articoli di Cicero-ne e uno di Seneca. Giornalista pubblicista, collabora con la testata “La Gazzetta delMezzogiorno”.

Antonio Pepe è stato eletto con il sistema maggioritario nella circoscrizione XXIPuglia nel collegio 04 Foggia centro. Iscritto al gruppo parlamentare di Alleanza Na-zionale, già deputato nella XII e XIII legislatura, è stato componente della VI commis-sione permanente Finanze dal 21 giugno 2001 di cui è capogruppo di An alla Camera incommissione finanze e componente della giunta per le elezioni.

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Gli autori

Gianfranco Piemontese, nato a Foggia il 22 novembre 1959 è architetto e pro-fessore presso l’Istituto Statale d’Arte di San Nicandro Garganico. Per conto del Mini-stero per i Beni Culturali ed Ambientali, dal 1988 al 1991, ha svolto ricerchestoricoñartistiche sui beni culturali a Foggia e provincia. Nel 1988 e 1989 ha svoltoricerche sulle Piazze storiche dell’Italia meridionale ed insulare, nello specifico su quel-le pugliesi. Ha pubblicato saggi sull’architettura e l’urbanistica in Capitanata negli anniTrenta. Attualmente svolge consulenza sui Beni Culturali all’interno del gruppo cheredige la progettazione del “Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale della Pro-vincia di Foggia”. Per conto dell’ITC- Istituto per la Tecnologia delle Costruzioni -CNR di Bari sta producendo un ricerca sui beni culturali diffusi nel contesto rurale diCerignola. È autore di una monografia sull’architetto Concezio Petrucci e il progettodell’Opera San Michele a Foggia, in uscita per conto delle edizioni Edipuglia. Insiemead Arturo Cucciolla e a Stefania Robles ha avviato uno studio generale sull’intera operadell’architetto Petrucci.

Raymond Pobgee è sindaco di Peterborugh.

Habib Rezgui è deputato e consigliere regionale di Siliana.

Sante Ruggiero, 49 anni, lavora alla Sofim dal 1976 ma è attualmente distaccatoper gli impegni nel sindacato. La sua carriera è iniziata proprio in fabbrica come com-ponente del consiglio. Dal 1980 al 1995 è stato segretario provinciale dei metalmeccanici.Attualmente è segretario della UIL Foggia, carica che detiene da sette anni.

Enrico Santaniello è nato a Napoli nel 1953. Dopo aver conseguito il diplomadi maturità scientifica si è laureato in medicina all’Università di Firenze. Fa parte del-l’Aeronautica Militare come ufficiale medico, con il grado di Tenente Colonnello. ABari è entrato a far parte della Giunta Distaso come Assessore ai Trasporti. Successiva-mente, per la rotazione interna concordata con il partito, ha lasciato l’incarico di asses-sore divenendo Presidente del gruppo consiliare di Forza Italia. Alle ultime elezioniregionali è stato il primo eletto nelle fila di Forza Italia nella circoscrizione di Foggia.Attualmente è Assessore regionale all’Urbanistica ed Edilizia Residenziale Pubblica.

Naceur Talbi è consigliere regionale di Siliana e sindaco di Krib.

Brenda Town è manager del Comune di Peterborugh.

Chris Town è capo esecutivo di North Peterborugh PTC.

Matteo Valentino è nato a Cerignola. Già Presidente Provinciale della Confe-derazione Italiana Agricoltori, Valentino è sposato con due figli ed è consigliere comu-nale dei Democratici di Sinistra a Cerignola.

Dal 1994 al 2002 è stato Assessore alle Attività Produttive e Sviluppo della Provinciadi Foggia con le deleghe a Industria, Commercio e Artigianato, Agricoltura e Turismo.

Francesco Violante si è laureato in storia medievale con il docente Giosuè Musca.Attualmente è cultore della disciplina presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Uni-versità di Bari.

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La CapitanataPubblicazione quadrimestrale, anno XXXVIII, n. 12, giugno 2002

Direttore responsabile: Franco MercurioRegistrato presso il Tribunale di Foggia

n. 22/01

Finito di stampare nel giugno 2002per conto della Biblioteca Provinciale di Foggia

presso il Centrografico Francescano - Foggia - Tel. 0881/777338 - Fax 0881/722719

I testi contenuti in questo volume potranno essere liberamente riprodotti in tutto o in parte nella linguaoriginale o in traduzione, citando la fonte, senza alcuna autorizzazione preventiva, purché sia compro-vata palesemente l’esclusione di qualsiasi attività di lucro o di qualsiasi intenzione di restrizione dellalibera circolazione delle idee e delle conoscenze.

ISSN 0392 - 3339