Juana

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Juana - Una storia nell'erba

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Antonino Chiaramonte

Juana, una storia nell’erba.

Titolo | Juana, una storia nell’erba

Autore | Antonino Chiaramonte

© Tutti i diritti riservati all’Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

La fine di un concerto è sempre e comunque per tutti l’inizio di un nuovo e rigenerato vigore per quello che verrà.

A Giorgio Gaber, con rispetto

Parte prima

Una storia, e altre storie.

Quella sera riaccese il camino, diede un’occhiatina all’impianto del

riscaldamento e riavvivato il fuoco con dell’altra legna si diresse nello studio

dove, per via del cambio casa, alcuni quadri, tra cui alcune molas

colombiane, alcune tele africane e qualche stampa proveniente da chissà

quale viaggio, attendevano poggiati momentaneamente ad un calorifero.

Con lo sguardo e coi pensieri si girò intorno mentre seduto alla scrivente,

così gli piaceva denominare tutto l’apparato elettrico ed elettronico

necessario per potere comodamente scrivere e comunicare, seguitò a

raccontare alcune vicende vissute nel tempo trascorso e nei tratti di tempo e

di vita significativi e determinanti, con il gusto di farlo potendo concedersi

proprio un po’ di tempo per scrivere, finalmente. Fumò qualcosa, e si mise

subito all’opera.

Per le molas colombiane decise che andavano appese alla parete bianca che

faceva da sfondo allo scrittoio color ciliegio lucido da dove una churchill,

versione classica con vetro verde, diffondeva una luminosità soffusa, per le

due foto fatte al mare, e ingrandite, scelse la parete di fronte tra la porta

vetro con l’arco in tufo e mattoni che si affacciava al porticato e il passaggio

alla stanza del camino. Su quella parete aveva nei giorni precedenti appeso

tre cartoline comprate in chissà quale aeroporto. Erano cartoline quadrate,

un formato insolito, una era la foto di un labirinto di siepi alte dove alcune

figure piccolissime quasi insignificanti vagavano in cerca dell’uscita e l’altra

una grandiosa e bellissima foto di cavalli in corsa dove la spettacolare scia di

polvere lasciava intravedere il loro gran numero, cosa che lo portò a pensare

alla vita dove, a proposito di polvere, c’è chi la fa e corre più forte e chi

invece se la mangia o la respira restando indietro.

Sulla parete erano disposte in diagonale ed in realtà erano tre le cartoline

essendo due uguali, quelle del labirinto, messe ai lati di quella dei cavalli in

corsa. Gli piacque ripensare a quella sua frase che recitava così : tra non so

da dove vengo e non so dove potrò andare intanto, corro libero.

Altre foto incorniciate che erano di lei, le poggiò sul mobile di pesantissimo

tek, mentre per la raffigurazione di un danzatore dervisho pensò che

potesse intonarsi bene con lo spazio tra il camino ed il grande divano ad

angolo. Le due foto in rigoroso bianco e nero del comandante con il sigaro

cubano che emana il suo armonioso profumo le poggiò da parte perché lei

avrebbe deciso liberamente su dove appenderle, erano piacevolmente sue,

sapevano di sudamerica. Adesso c’era da decidere sulle tele africane ma non

ebbe nessuna esitazione, la parete giusta era da giorni spontaneamente

divenuta quella della musica essendoci poggiati già alcuni strumenti musicali.

Un basso che gli teneva simpatica compagnia, in piedi dentro la bella

custodia nera da viaggio, simpatica nel senso che sembrava dire,

pronto per partire ? Pronto.

Uscì a prendere altra legna, era intenzionato a tenere il fuoco

acceso per tutta la notte, adorava il crepitio del fuoco e il profumo

dell’erba inumidita all’alba, quando, uscendo dal salotto del camino

ben caldo e rasserenante, cominciava a pensare ad un bel caffè

fumante.

Davanti casa, il portico si estendeva al giardino d’ingresso fin sotto

l’immensa e pacifica quercia da dove allungando lo sguardo, un

susseguirsi in crescendo di montagne accompagnava a certi cieli

stellati, a certe aurore dai colori belli, suggestivi.

Il verde dominava su tutto, magnifico. Era un territorio ricco di

acqua, di fiumi e di torrenti e quello che lambiva, facendosi sentire

e spesso con il vivacissimo fragore delle cascate, la zona del pendio

del terreno, si chiamava Caronte. Il Traghettatore.

Era nato e cresciuto su un’isola e sapeva tante cose sui traghetti anche se a

dire il vero la sua grande passione erano da tanto tempo le navi mercantili. Si

era più volte ripromesso di fare un lungo giro su di un mercantile che magari

per andare da Rotterdam a Buenos Aires avrebbe fatto scalo prima

dell’oceano a Madeira. Era certo che fosse un bel posto. Ne era certo perché

gliene aveva parlato a lungo un caro amico sudamericano, Macarena, che per

le sue attività vi aveva vissuto e proprio lì, diceva sempre di voler tornare. E’

un’isola dove si produce vino che naturalmente, per gustarlo fino in fondo,

deve essere accompagnato da una cucina di quelle senza fretta, di quelle da

gustare e annusare e non di quelle per mangiare o per sfamarsi. Vi transitano

commercianti, uomini di mare, figure la cui pausa sull’isola non si sa mai

bene se sia in attesa di qualcosa o qualcuno, oppure per una voluta

condizione di estraneità e distacco dal resto del mondo o da una parte di

esso. Un posto dove ci si può estraniare per lunghi periodi dalle cose che in

altri luoghi sarebbero importanti e vitali e lì invece diventano beatamente

marginali e secondarie. Era spesso nei suoi pensieri l’idea di una permanenza

a Madeira, anche se sapeva che si trattava di una eventualità piuttosto

improbabile. Ma la sua vita era stata e continuava ad essere piena di

eventualità piuttosto improbabili, ma non impossibili e quindi realizzabili.

Credeva e si alimentava delle energie positive che gli davano le combinazioni

temporali e le coincidenze numeriche.

Aveva fatto grandi sacrifici, la casa ne aveva richiesti parecchi, e lui non

riuscendo a voler dominare la sua indole, li aveva fatti senza mai tirarsi

indietro anzi, facendosi sempre avanti, proponendosi in prima persona

perché convinto delle sue idee. Sulla settimana enigmistica, spesso fonte o

documento, a proposito di coincidenze e numeri, risolvendo un gioco

enigmatico era venuta fuori una frase di tale Papaleo che recitava così :

Quando si ha fiducia in se stessi nessuna cosa sembra veramente

impossibile .

Ma se si vuole parlare di fiducia in se stessi bisogna tornare indietro,

attraversando se stessi, per ripartire dalla parola fiducia e dal senso che

ognuno dà a questo termine. La fiducia verso gli altri è il presupposto di

partenza, quella in se stessi è conseguenziale e direttamente proporzionale a

quella che si riesce ad acquisire su di sé dagli altri. La fiducia tradita è

generatrice di fiducia in se stessi. C’è sofferenza a volte, ma è così che

cresciamo e ci costruiamo le difese per tutelarci dai fisiologici momenti

critici della vita e del vivere quotidiano.

Se riesco ad ottenere fiducia dagli altri è perché probabilmente mi sarò fatto

capire bene, avrò proposto o direttamente dimostrato non il mio valore, no,

ma semplicemente le mie capacità che saranno valide e credibili tanto

quanto, poi, di conseguenza ritorneranno a me rafforzate dal consenso

avuto, non negato, o non avuto. La fiducia in se stessi è spesso nelle favole,

nei racconti, nelle storie.

Questa storia, era giunta alle pacifiche, anzi atlantiche, descrizioni dell’ isola

Madeira, dove la lingua ufficiale è il portoghese, a cui era seguita una

riflessione sui sacrifici e sulla fiducia. Ma andiamo avanti... .

Per finire la vostra lettura vi invito a recarvi presso le librerie

presenti nella sezione del mio sito: www.antoninochiaramonte