Itinerari di cultura giuridica e politica · Forse il destino dell’uomo non è di realizzare...

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ARACNE Itinerari di cultura giuridica e politica Omaggio a Francesco Tritto a cura di Mario Sirimarco

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ARACNE

Itinerari di culturagiuridica e politica

Omaggio a Francesco Tritto

a cura di

Mario Sirimarco

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ISBN 88–548–0953–6

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I edizione: dicembre 2006

CON IL PATROCINIO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

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Forse il destino dell’uomo non è di realizzare

pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete.

Ma è sempre un grande destino.

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Indice

MARIO SIRIMARCO

Introduzione

PAOLO ACANFORA

“I liturgici di dio”: il mito dello stato nuovo in Giuseppe Dossetti

GIUSEPPE CASALE

Felice Battaglia: il valore nella possibilità

GIOVANNI FRANCHI

Cultura, storia e società nel pensiero di Alois Dempf

ALESSANDRO FRUCI

Luigi Sturzo e il problema della guerra

MARIA CRISTINA IVALDI

Robert Schuman profeta della riconciliazione e dell’integrazione europea

SIMONE MISIANI

Prometeo e Orfeo. Comunicazione d’impresa e legittimazione del benessere nell’Italia dell’ENI di Enrico Mattei

STEFANO PRATESI

Dai diritti dell’uomo ai diritti cosmici: camminando insieme a Italo Mancini

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AUGUSTO ROMANO

Sulla giustizia tributaria in Ezio Vanoni: dalla tutela dell’interesse collettivo alla produzione di bene comune

TERESA SERRA

La lezione di Costantino Mortati di fronte alla trasformazionee alla crisi della democrazia moderna

MASSIMO TRINGALI

Felice Balbo e Augusto Del Noce: fra marxismo e modernismo

CRISTIAN VECCHIET

Modernità liquida, diritto e politica. Contributo ad un’attualizzazione del pensiero di Rosmini

Notizie sugli Autori

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1. Questa raccolta, con quasi tutti i contributi presenti, rappresentauna nuova, non certo conclusiva, tappa di un itinerario di ricerca, ini-ziato con la pubblicazione di un altro lavoro collettaneo, Cattolici, dirit-to e politica1, che si propone di studiare il contributo dato dalla “cultu-ra cattolica” (con tutte le difficoltà di inquadrare una simile categoria)2

alla riflessione giuridica, politica ed economica del nostro paese in unmomento storico in cui si è più portati sbrigativamente a dimenticare oa marginalizzare questo apporto per noi invece essenziale nella prospet-tiva della costruzione della Repubblica, dello sviluppo del pensieroeuropeista, della configurazione di un ordinamento giuridico internoed internazionale fondato sulla dignità della persona e sulla pace, dellaindividuazione dei segni della crisi delle nostre istituzioni e del mondocontemporaneo in generale. E i saggi contenuti in questa raccolta ne of-frono una chiara dimostrazione: da quelli di carattere più prettamentericostruttivo (Acanfora, Fruci, Misiani, Ivaldi, Romano) a quelli piùspeculativi (Serra, Franchi, Pratesi, Vecchiet, Tringali, Casale).

2. Al di là del compito di curare la presente raccolta vorrei offrire unmodesto contributo al tema di fondo del libro con alcune veloci consi-

Introduzione

Il diritto penale dal volto umanoRicordando Francesco Tritto allievo di Aldo Moro

1 M. SIRIMARCO, S. PRATESI (a cura di), Cattolici diritto e politica, Roma, 2004, con studi suCapograssi, Passerin d’Entrèves, Del Noce, Bachelet, Murri, Sturzo, Bendiscioli.

2 Cfr., per quanto riguarda la filosofia, P. PRINI, La filosofia cattolica italiana del Novecento,Roma–Bari, 1997.

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derazioni provocate dalla lettura delle ultime lezioni romane di AldoMoro, raccolte e curate in modo scrupoloso dal suo allievo FrancescoTritto3.

Il libro, che l’editore Cacucci (non a caso l’editore delle lezioni di Fi-losofia del diritto tenute da Moro a Bari negli anni Quaranta)4 ha pub-blicato pregevolmente, contiene una ricca Introduzione in cui Tritto, dauna parte, ricostruisce la sua collaborazione con Moro e offre una toc-cante e diretta testimonianza che illumina il rapporto dello statista con isuoi studenti e con i giovani, della sua capacità di guardare al di là, nonal domani ma al dopodomani, di cogliere prospettive nuove, di antici-pare problematiche, di individuare soluzioni. Ne esce una fotografia

10 Introduzione

3 A. MORO, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale, (raccolte e curate da F. TRIT-TO), Bari, 2005. Il pensiero di Aldo Moro, necessita naturalmente, nonostante tanti e spesso au-torevoli lavori, di un ampio approfondimento in tutte le direzioni in cui esso si è articolato. Ol-tre agli spunti indicati in queste poche pagine, soprattutto sul piano della ricostruzione stori-co–politica meriterebbero ulteriori attenzioni i concetti di democrazia difficile, di terza fase, didemocrazia sociale. Così come andrebbero approfonditi il cd. dossettismo di Moro e la sua insi-stenza, sempre laicamena impostata, sull’importanza dell’ispirazione cristiana in politica comeargine alla deriva, ben colta soprattutto negli ultimi anni, dell’esercizio autoreferenziale del po-tere. Per una prima panoramica delle opere di e su Aldo Moro v. A. MORO, La democrazia in-compiuta. Attori e questioni della politica italiana — 1943–1978 (a cura di A. AMBROGETTI), Ro-ma, 1999.

4 Per G. CAMPANINI, Aldo Moro. Cultura e impegno politico, Roma, 1992, p. 26–27, “al di làdelle motivazioni accademiche, in qualche modo casuali, che hanno determinato il conferimen-to di un incarico di insegnamento impegnativo e delicato come quello di Filosofia del diritto,non è senza significato per la maturazione stessa del pensiero politico di Moro che tale insegna-mento sia stato accettato e a lungo continuato. La filosofia del diritto è materia certo assai lonta-na da quell’ambito penalistico nel quale si collocavano gli interessi prevalenti del giovane do-cente, ma è indicativa dell’attenzione che già allora egli riservava ai problemi della politica edello Stato”. La cattedra di Filosofia del diritto era rimasta vacante nel 1941 e il giovane Moro,assistente volontario in Diritto penale con il prof. Petrocelli, ottiene l’incarico grazie alla pub-blicazione di una monografia, che è poi un rielaborazione della sua tesi di laurea, dal titolo Lacapacità giuridica penale, Padova, 1939. Una successiva monografia, La subiettivazione della nor-ma penale, Bari–Città di Castello, 1942, gli aprì le porte della libera docenza in Diritto penalenel 1942. Del 1947 è L’antigiuridicità penale, mentre nel 1951 pubblica Unità e pluralità dei rea-ti. Moro diventa professore ordinario a Bari nel 1951. Qui rimane ad insegnare fino al 1963 an-no del trasferimento alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”,cattedra di Istituzioni di diritto e procedura penale, dove, nonostante i suoi numerosissimi im-pegni politici e di governo, continuerà ad insegnare, a ricevere gli studenti e a seguire le tesi dilaurea fino al tragico 16 marzo del 1978.

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particolarmente affascinante che ci mostra un Moro decisamente diver-so da quello ‘ufficiale’.

Dall’altra parte, questo lavoro introduttivo è di grande interesse so-prattutto per cogliere l’importanza delle lezioni quale contributo più si-stematico di Moro alla scienza penalistica italiana alla quale aveva purdonato in passato, come accennato, notevoli monografie, per riconosci-mento unanime della dottrina, su singole questioni (si pensi ai lavorisulla unità e pluralità dei reati e a quello sulla subiettivizzazione dellanorma penale o della antigiuridicità penale)5.

L’importanza di queste lezioni, seppur pubblicate a diversi anni didistanza, è sottolineata, adeguatamente, del resto, da Giuliano Vassalliche nella Presentazione ricorda che finalità essenziale del lavoro è pro-prio quella di permettere agli studiosi di diritto penale di conoscere conmaggiore completezza e autenticità il pensiero penalistico “di un gran-de cultore della materia”. È appena il caso di ricordare che le opere pe-nalistiche di Moro si sviluppano in un arco di tempo limitato e che gliimpegni politici ed istituzionali non gli consentono di dedicarsi alla ste-sura di nuove opere giuridiche. Le lezioni universitarie rappresentava-no, allora, per Moro una occasione importante e la lettura delle lezionipermetterà, quindi, di inquadrare il pensiero di Moro nel più ampio di-battito dottrinario riguardante i principali temi ed istituti penalistici.

In questa sede preme rilevare un altro aspetto caratterizzante le le-zioni morotee. Mi riferisco cioè al fatto che queste lezioni sono intrisedel suo pensiero filosofico; a volte sullo sfondo, a volte ben visibile (aldi là del fatto che, come ci ricorda Tritto, la prima parte del corso dellelezioni, prevedeva un programma che riprendeva i temi generali sul di-ritto e sullo stato trattati nelle lezioni di filosofia del diritto). La profon-da formazione filosofico–giuridica, solo in parte rintracciabile nelle le-zioni di filosofia del diritto pubblicate nel 1945, gli consente, infatti, dianalizzare i problemi della materia affrontata in modo complesso, te-

Introduzione 11

5 Per una valutazione del pensiero penalistico moroteo, cfr. G. VASSALLI, L’opera penalisticadi Aldo Moro, in F. S. FORTUNA, F. TRITTO (a cura di), Crisi o collasso del sistema penale?, Uni-versità di Cassino, 2002 e L’opera penalistica, in P. SCARAMOZZINO (a cura di), Cultura e politicanell’esperienza di Aldo Moro, Milano, 1982.

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nendo presente tutte le angolature, ponendo costantemente e lucida-mente l’attenzione sulle diverse implicazioni sociali e politiche degli ar-gomenti e degli istituti trattati.

Nel Moro delle lezioni si realizza, in perfetta coerenza col suo pen-siero filosofico e con la sua esperienza politica, una perfetta comple-mentarietà di diritto, politica e morale in quanto le categorie della giuri-dicità e della politica sono, ed è qui che si sente forse maggiormente lasintonia con Giuseppe Capograssi, espressione della vita etica e quindisono categorie che nascono e si situano nel profondo dell’umanità6. Di-ritto e politica si collocano cioè in quel processo attraverso il quale “ilsoggetto realizza la sua vita più vera, ascendendo dal piano della suaparticolarità empirica a quello della universalità, che rappresenta il suo

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6 Sulle matrici filosofiche del pensiero di Moro essenziale punto di partenza è il notevolesaggio di R. MORO, La formazione giovanile di Aldo Moro, in “Storia contemporanea”, XIV,1983, n. 4/5. Cfr. anche S. SUPPA, Eternità e storicità nel diritto moderno. Note per una discussio-ne su G. Capograssi, A. Del Noce e A. Moro, in D. CASTELLANO, G. CORDINI, Esperienza giuridi-ca e secolarizzazione, Quaderni della rivista “Il Politico”, Milano, 1994, p. 301 e ss., per il quale“l’esordio di Moro è di stampo tipicamente agostiniano, riprendendo quell’Agostino più pro-prio della tradizione della filosofia vichiana, anche se sia Vico, sia Agostino non ricorrono inMoro con la stessa frequenza e intensità con cui ricorrono in Capograssi”. Sul rapporto Mo-ro–Capograssi, cfr. N. BOBBIO, Diritto e stato negli scritti giovanili, in P. SCARAMOZZINO (a curadi), Cultura e politica nell’esperienza di Aldo Moro, Quaderni della rivista “Il politico”, Milano,1982 e G. CAMPANINI, op. cit., p. 176 che considera Capograssi il vero maestro di Moro. Per unadiversa interpretazione cfr. R. MORO, op. cit., p. 926, che parla anche di contatti precisi e docu-mentabili tra i due ma che non vede nel filosofo di Sulmona l’ispiratore di Moro. Molto presen-te naturalmente negli scritti politici di Moro è l’influenza del pensiero cattolico francese e diMaritain in particolare (cfr. A. MORO, Al di là della politica, Roma, 1982). In realtà il problemadelle matrici culturali, e filosofiche in particolare, del pensiero di Moro si presenta estremamen-te complesso e appare di ardua se non impossibile soluzione. Riservandomi di approfondirequesto tema in un mio prossimo lavoro (Tra l’amore e il dolore. Introduzione alla filosofia giuri-dica di Aldo Moro, in corso di preparazione), mi sembra che si possa dire che, soprattutto perquanto riguarda la componente giuridico–filosofica del suo pensiero, a differenza di qella piùprettamente penalistica e di quella filosofico–politica, Moro, comprendendo bene la comples-sità del fenomeno giuridico, contro i tentativi riduzionistici di molte dottrine del tempo, operiuna sorta di sintesi delle principali concezioni, salvando le parti vitali di diverse teorie e arrivan-do ad una definizione, che qualcuno ha definito ‘sfumata’, del diritto (un po’ come quella capo-grassiana) che è, ad avviso di chi scrive, la più adatta o la più completa a spiegarlo. Per questomotivo Kelsen e Romano, Capograssi e Cicala, Cammarata e Battaglia, letti ed interpretati inmodo originale e personale, sono ceramente presenti nella formazione del giovane studioso.Un’approfondita lettura delle lezioni baresi non può che confermare questa prima impressione.

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valore propriamente umano […] l’eticità è in ogni caso slancio sponta-neo della persona che, superando le angustie del suo limite particolare,spazia nell’universale”7.

Ecco perché la sua preoccupazione è per i principi, per le ‘cose es-senziali’8. È sempre in primo piano la sua convinzione sulla necessitàche l’esperienza giuridica, e quindi anche e soprattutto quella che si evi-denzia nel diritto penale, mantenga ferma la sua finalità che è il richia-mo incessante alla persona umana. L’idea di fondo è che la personaumana rappresenti allo stesso tempo il principio e il fine dell’esperienzagiuridica stessa9. Anche qui si avverte qualche presenza capograssiana enon solo per la terminologia usata.

Queste premesse sono alla base della sua concezione ‘umanistica’ deldiritto penale che Tritto ha evidenziato nella Introduzione e che tantiautorevoli studiosi (Bettiol, Vassalli, Conso, Contento) hanno semprecolto nell’opera morotea. E le lezioni rappresentano la sede più impor-tante nella quale questa concezione, già presente nelle monografie delprimo periodo, viene compiutamente elaborata, anche alla luce dellastraordinaria esperienza politica e istituzionale acquisita da Moro (altempo delle lezioni pubblicate era Presidente del Consiglio dei Mini-stri). Scrive Tritto: “sia che Egli rivolga l’attenzione all’autore del reato(persona libera di autodeterminarsi e di scegliere, quindi, tra il bene e ilmale), sia che si tratti di indagare sulle singole categorie o istituti penali-stici, ogni Sua riflessione è incentrata sulla persona umana, sulla sua di-gnità, sui valori, su giustizia, libertà, verità”(p. 62). Il suo argomentareparte dall’uomo per giungere sempre all’uomo anche quando tocca glialtri rami del diritto10.

Emblematica, in questa prospettiva, la concezione etico–retributiva

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7 A. MORO, Lo Stato. Corso di lezioni di filosofia del diritto, Padova, 1943, p. 1. 8 Cfr. G. VASSALLI, La scelta, relazione al Convegno Aldo Moro: il diritto e la storia in “No-

mos”, 1/2002. 9 Cfr. A. MORO, La persona umana e l’esperienza giuridica, in Umanesimo e mondo contem-

poraneo, Roma, 1954. 10 Cfr. anche G. CONTENTO, Il volto umano del diritto penale di Aldo Moro, in “Riv. It. Dir.

Proc. Pen.”, 1988.

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della pena con la quale, abbastanza insolitamente, iniziava il corso di di-ritto penale.

Per Moro la pena non è “il male per il male, la rinuncia, la limitazionedella personalità odiosamente praticata in se stessa. La pena è questa li-mitazione della personalità finalizzata ad una ragione più alta, che èquella della cancellazione del male, della eliminazione, sul piano ideale,del male che si è verificato nella vita sociale: il male al quale subentra ilbene. La pena, con le sue limitazioni, con i suoi svantaggi, è il segno delbene che riprende il suo dominio nella vita umana e nella vita sociale, ri-prende il suo dominio e cancella il male. Quindi non è una crudeltà, an-zi, non può essere una crudeltà, la pena, perché essa è finalizzata ad unariaffermazione del bene nella vita e, quindi, non è male come male, malimitazione e svantaggio per il bene che rappresenta, per il bene chereintroduce, per l’ordine che ristabilisce nella vita umana e nella vita so-ciale […] Si colpisce l’uomo per ritrovare la persona nella sua capacitàdi orientamento in senso morale e sociale. Si scava nella personalità at-traverso la pena, si inserisce il pungolo della tristezza, della mortificazio-ne che la pena immediatamente esprime, ma per una finalità restauratri-ce, per ritrovare, attraverso la pena, la persona modificata, emendata”11.In un primo momento essa, cioè, la pena è rivolta al passato con la suafunzione di negazione e cancellazione del reato; in un secondo momentosi volge all’avvenire con la sua finalità rieducativa e di sicurezza sociale.

3. Resta anche nelle lezioni, in parte attutito solo dal suo entusiasmoe dalla predilezione tante volte dimostrata per i giovani, un senso di

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11 A. MORO, Lezioni, cit., pp. 102 e 122. Il fatto che la pena sia in primis rivolta al passatoconsente di ribadire il legame tipico fra diritto e morale, permette “di rientrare nell’ambito dellavita morale, nell’ambito dei valori della vita morale, nell’ambito delle grandi categorie del benee del male, che propriamente si ritrovano nella vita morale e sono più o meno evidenti — maper quanto riguarda il diritto penale sono molto evidenti — nella vita giuridica. Anzi, proprioquello che c’è di tipico nel diritto pnale è l’avvicinarsi di più con i suoi istituti a quelle che sonole categorie fondamentali della vita morale. La categoria fondamentale della vita morale che co-s’è? È il bene ed il male, il merito e il demerito, il premio della coscienza soddisfatta o il tor-mento della coscienza turbata, inquieta” (p. 100). Sulla concezione della pena in Moro, cfr. AA.VV., Aldo Moro e il problema della pena, Bologna, 1982, con scritti di G. Bettiol, F. Tritto, G.Vassalli e M. Martinazzoli.

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pessimismo, direi di matrice paolina, verso il mondo delle istituzioni,della politica e del diritto. È un motivo ricorrente nella produzione mo-rotea già da quando, giovane docente di Filosofia del diritto, scrissequeste parole: “Probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica dicui noi saremo stati determinatori, non soddisferà le nostre ideali esi-genze: la splendida promessa, che sembra contenuta nell’intrinseca for-za e bellezza di quegli ideali, non sarà mantenuta. Ciò vuol dire che gliuomini dovranno pur sempre restare di fronte al diritto e allo stato inuna posizione di più o meno acuto pessimismo. E il loro dolore nonsarà mai pienamente confortato. Ma questa insoddisfazione, ma questodolore sono la stessa insoddisfazione dell’uomo di fronte alla sua vita,troppo spesso più angusta e meschina di quanto la sua ideale bellezzasembrerebbe fare legittimamente sperare. Il dolore dell’uomo che trovadi continuo ogni cosa più piccola di quanto vorrebbe, la cui vita è tantodiversa dall’ideale vagheggiato nel sogno. È un dolore che non si placa,se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire ocantato nell’arte o quando la forza di una fede o la bellezza della naturadissolvono quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomonon è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamentedella giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino”12.

* * *

La vita di un allievo rimane quasi sempre ed inevitabilmente legata aquella del suo maestro. In Franco Tritto questo legame è stato ancorapiù forte perché, dalla morte del suo Maestro, la sua vita, almeno quella‘pubblica’ e universitaria in particolare, è stata caratterizzata in tutti isensi dal suo rapporto, complesso, viscerale, romantico direi, con AldoMoro.

I suoi principali lavori sono interpretazioni del pensiero penalisticodi Moro o suoi immediati sviluppi; la sua ‘carriera’ universitaria nascee… finisce (ma questo non fu mai per lui un dramma) con Moro; il suo

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12 A. MORO, Lo Stato, cit., pp. 7–8.

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atteggiarsi nei confronti della Università e nel rapporto con gli studenti,considerati la parte più sana e vitale di quel mondo, è decisamente mo-roteo. Dalla morte di Moro, vissuta come è noto drammaticamente edalla quale mai più si era in un certo senso ripreso, Tritto ha vissuto nelsegno del suo Maestro, ha avuto un solo scopo (anche perché quelloche pure lo tormentava della ricerca della verità storica sulla vicendadei 55 giorni del rapimento e dell’uccisione era decisamente fuori dallasua portata): custodire la memoria di Moro, difenderla orgogliosamen-te, solitariamente, spesso velleitariamente, in un contesto politico–cul-turale fatto di opportunismi, strumentalizzazioni e tatticismi. Difesadella memoria non tanto o non solo in prospettiva storica o storiografi-ca, ma soprattutto sul piano etico e culturale, come modello ed esempioda additare alle nuove generazioni. Per questo motivo Moro è semprepresente nelle sue lezioni che si aprivano immancabilmente con un pic-colo scritto del suo maestro, le Confidenze di un Professore13.

Se Moro, non il Moro statista e politico, ma il Moro docente univer-sitario e ‘uomo normale’ viene ancora letto e studiato da molti giovaniche hanno frequentato e frequentano la Facoltà di Scienze Politiche alla“Sapienza”, questo si deve solo all’insegnamento e all’esempio di Fran-cesco Tritto.

Non è un caso che, quasi naturalmente (anche se il male è statoprofondo, crudo, violento oltre che rapido), subito dopo la pubblica-zione del libro che raccoglie le lezioni di Moro tenute nella Facoltà diScienze Politiche di Roma nell’anno accademico 1975–76, Tritto ci halasciato lasciandoci, però, l’opera alla quale ha dedicato gli ultimi annidi vita e che in precedenza non aveva avuto il coraggio di affrontare. Laserenità profondamente cristiana che lo ha accompagnato negli ultimiistanti della sua esistenza terrena è anche le serenità per l’opera compiu-ta, per la testimonianza di amore e di fedeltà completamente realizzata.Anche se in uno degli ultimi incontri, mi aveva espresso il rammaricoper non essere andati così come programmato (in sordina rispetto allepoco gradite celebrazioni ufficiali) a visitare la tomba di Moro a Torrita

16 Introduzione

13 In “Azione Fucina”, 12/1944.

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Tiberina; rammarico, non so se accompagnato dal presentimento dellafine, perché quella visita avrebbe dovuto avere un significato diversodagli altri anni: avrebbe voluto comunicare al Maestro che l’allievo ave-va diligentemente adempiuto al suo dovere.

A quel dovere che Tritto ha riversato in tutta la sua esperienza, vissu-ta con passione e impegno prioritario e totale, di docente universitario:le sue lezioni erano frequentatissime e seguitissime, il suo rapporto congli studenti straordinario; ogni studente sapeva di avere in lui un puntodi riferimento umano; una persona, prima che un professore, sulla qua-le avrebbe potuto contare, che lo avrebbe ascoltato, capito e incoraggia-to. Ogni studente, così come ognuno che lo conosceva, sapeva che ave-va di fronte una persona buona che lo avrebbe sempre accolto con ilsuo sorriso pieno di luce. Con quel sorriso con cui continueremo sem-pre a ricordarlo.

A poco più di un anno dalla sua scomparsa, abbiamo voluto dedica-re affettuosamente a Franco Tritto questo lavoro, da tempo program-mato e al quale avrebbe dovuto partecipare con un saggio sulle linee ge-nerali del pensiero giuridico di Aldo Moro.

Mario Sirimarco

Introduzione 17

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Desidero ringraziare tutti coloro che hanno in qualche modo parte-cipato a questa iniziativa. Il Presidente del Senato per aver voluto pa-trocinare il libro; il magnifico Rettore dell’Università di Roma “La Sa-pienza” per il contributo concesso; tutti gli autori per l’impegno profu-so. Un grazie a Gianluca Senatore, Alessandro Fruci, Stefano Pratesi e atutto il personale del Dipartimento di Teoria dello Stato dell’Università“La Sapienza”.

Un ringraziamento speciale alla professoressa Teresa Serra per la di-sponibilità ad accompagnare, con la sua autorevolezza e competenza, illavoro di tanti giovani.

M.S.

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A me pare che gli uomini i quali vedano profilarsiuno Stato capace di imporre loro dei gravi sacrificidi ordine materiale allo scopo però di avviare aduna reformatio del corpo sociale e ad una maggioreaequalitas fra gli uomini debbano vedere finalmen-te profilarsi i «liturgici di Dio

(Giuseppe Dossetti)

La vicenda politica di Giuseppe Dossetti è da diverso tempo oggettodi analisi storica e ha trovato un interesse progressivo nel corso degli ul-timi anni. La bibliografia di riferimento ha raggiunto oramai dimensionipiuttosto considerevoli1. Tuttavia la complessità della sua figura, e una

PAOLO ACANFORA

“I liturgici di Dio”: il mito dello stato nuovo in Giuseppe Dossetti

1 Non può essere, in questa sede, avviata una analisi puntuale dei numerosi testi che hannoavuto per oggetto Giuseppe Dossetti e il gruppo dossettiano, ma è utile rimandare ad alcuni diessi in modo da offrire un quadro significativo delle interpretazioni storiografiche esistenti. Trale analisi sul dossettismo cfr. G. BAGET–BOZZO, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperie Dossetti, Firenze, 1974; G. CAMPANINI, Fede e politica, 143–1951. La vicenda ideologica dellasinistra DC, Firenze, 1976; P. POMBENI, Le Cronache Sociali di Dossetti, 1947–1951, Firenze,1976; ID., Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia in Italia (1938–1948), Bologna,1979. Tra le monografie su Dossetti cfr. la biografia di G. TROTTA, Giuseppe Dossetti, Firenze,1996 e le collettanee: AA. VV., La memoria pericolosa di Giuseppe Dossetti, Trento, 1997, Giu-seppe Dossetti, a cura di G. TROTTA, Milano, 1997; Giuseppe Dossetti, a cura di P. ACANFORA, L.SANTORO, in “Humanitas”, n. 5/2002. Quanto allo specifico contributo dato alla Costituentecfr. E. BALBONI, Pluralismo, autonomie sociali e finalismo dello Stato nel pensiero dei cattolici de-mocratici, in Le idee costituzionali della resistenza, Roma, 1997, pp. 88–101; U. DE SIERVO, Ilprogetto democratico cristiano e le altre proposte: scelte e confronti costituzionali, in Democraziacristiana e costituente, a cura di G. ROSSINI, Roma, 1980; ID., Le scelte costituzionali, in I cattolicidemocratici e la costituzione, a cura di N. ANTONETTI, U. DE SIERVO, F. MALGERI, Bologna,

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certa “frammentarietà” della sua elaborazione politica2, rendono spessoutili revisioni e puntualizzazioni della sua “opera”, tanto sul piano spe-culativo quanto su quello dell’azione politica. Queste stesse caratteristi-che permettono inoltre di individuare nuovi piani di ricerca che posso-no portare significativi contributi alla comprensione della personalitàdossettiana e, più in generale, del periodo storico in esame. Il peso rico-nosciuto al ruolo e alle funzioni svolte da Dossetti e dal suo gruppo al-l’interno della Democrazia cristiana e delle istituzioni repubblicane (As-semblea Costituente, Parlamento, Governo) è tale, infatti, da coinvolge-re nell’analisi l’intero periodo postbellico, almeno sino alla uscita di sce-na del leader reggiano e allo scioglimento della sua corrente3.

Lo scopo del presente saggio è quello di avanzare una ipotesi di let-tura dell’esperienza politica dossettiana, e più in generale dei primi annirepubblicani, che parta dalla constatazione del radicale mutamento av-venuto nel modo stesso di concepire la politica di massa. Sia sul pianodell’elaborazione che su quello della propaganda i partiti di massa del-l’Italia repubblicana si trovano a dover fare i conti con l’eredità del fa-scismo e, più generalmente, con l’esperienza dei movimenti totalitari4.

20 Paolo Acanfora

1998, tomo I; R. MORO, I contributi dei cattolici nella fase costituente, in Dalla FUCI degli anni’30 verso la nuova democrazia, a cura di M. C. GIUNTELLA, R. MORO, Roma, 1991. Sulla politicaestera cfr. i contributi di E. VEZZOSI, La sinistra democristiana tra neutralismo e Patto Atlantico(1948–1949), in L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945–1950), a cura di E. DI NOLFO,R. H. RAINERO, B. VIGEZZI, Settimo Milanese, 1990; G. FORMIGONI, La sinistra cattolica italianae il Patto atlantico (1948–1949), in L’alleanza occidentale, a cura di O. BARIÈ, Bologna, 1988; ID.,La Democrazia cristiana e l’alleanza occidentale, Bologna, 1996; L. GIORGI, Giuseppe Dossetti ela politica estera italiana, 1944–1956: metodo, prospettiva, sviluppo, Cernusco, 2005; V. CAPPE-RUCCI, La sinistra democristiana e la difficile integrazione tra Europa e America (1945–1958), inAtlantismo ed europeismo, a cura di P. CRAVERI, G. QUAGLIARIELLO, Soveria Mannelli, 2003.

2 Sull’incompiutezza del corpus dottrinale dossettiano si pronuncia G. CAMPANINI, Dossettipolitico, Bologna, 2004, p. 16.

3 La vicenda politica dossettiana si chiude, come è noto, con il convegno di Rossena del set-tembre del 1951. Una utile ricostruzione del convegno, ricchissimo per le analisi proposte, la siottiene consultando i documenti depositati presso l’Istituto di Scienze Religiose di Bologna(d’ora in poi ISR) nel Fondo Giuseppe Dossetti (d’ora in poi FGD), fascicoli 55–56

4 Un esempio esplicito lo si trova in relazione al mito della nazione che nei primi anni dellarepubblica diviene il terreno su cui si confrontano tutti i partiti di massa, compresi quelli carat-terizzati da una cultura politica spesso tradizionalmente estranea a tale tematica, cfr. E. GENTI-LE, La grande Italia, Milano, 1997

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Il totalitarismo fascista ha costituito un esempio straordinariamente si-gnificativo per la “strategia del consenso” dei partiti di massa repubbli-cani, imponendo temi e modalità di comunicazione politica5 e ponen-dosi come modello fondamentale per qualsiasi partito che ambisse aguidare lo stato e a divenire forza egemone nella società6. Di particolareimportanza è, sotto questo profilo, l’utilizzo del mito politico. Grazieanche alle sollecitazioni provenienti da altre discipline (si pensi, adesempio, agli studi di Ernst Cassirer)7 negli ultimi anni la storiografia haprogressivamente confermato il valore e il peso del pensiero mitico nel-la società di massa8 fino ad arrivare ad individuare nella “religione poli-tica” una delle categorie–chiave per comprendere la storia del novecen-to9. Il contributo degli studi antropologici è stato, su questo piano, par-ticolarmente produttivo10.

“I liturgici di Dio” 21

5 Cfr. A. VENTRONE, Forme e strumenti della propaganda di massa nella nascita e nel consoli-damento della Repubblica (1946–1958), in Propaganda e comunicazione politica, a cura di M. RI-DOLFI, Milano, 2004, pp. 209–232

6 Cfr. Ibidem, pp. 322–323; A. VENTRONE, La cittadinanza repubblicana, Bologna, 1996, p.119, in cui si afferma che “se si esaminano le forme organizzative e propagandistiche cui diede-ro vita nel secondo dopoguerra cattolici e comunisti, ci si accorge subito che la rielaborazione— a volte l’imitazione — del modello fascista fu esplicita”.

7 Cfr. E. CASSIRER, Simbolo, mito e cultura, Roma–Bari, 1981. Per valutare il suo complessi-vo lavoro di analisi si veda, Filosofia delle forme simboliche, diviso in tre volumi: Il linguaggio,Firenze, 1961; Il pensiero mitico, Firenze, 1964; Fenomenologia della conoscenza, Firenze, 1966,a cui si è aggiunta postuma una quarta parte, Metafisica delle forme simboliche, Milano, 2003

8 Dei primi tentativi di analisi, parziali e circoscritti, si trovano per il caso italiano in M.ISNENGHI, Alle origini del 18 aprile: miti, riti, mass media, Padova, 1977; G. PETRACCHI, Russofi-lia e russofobia: mito e antimito dell’URSS in Italia (1943–1948), in L’Italia e la politica di poten-za in Europa, cit., pp. 655–675; Nemici per la pelle. Sogno americano e mito sovietico nell’Italiacontemporanea, a cura di P. P. D’ATTORRE, Milano, 1991. Uno spunto di natura filosofica lo sitrova in R. BODEI, Dal parlamento alla piazza. Rappresentanza emotiva e miti politici nei teoricidella psicologia delle folle, in “Rivista di storia contemporanea”, a. XV, 1986, fasc. 3, pp.313–321. Più centrati sul piano delle feste e dei simboli politici sono i lavori di M. RIDOLFI, Lefeste nazionali, Bologna, 2003 e Gli italiani e il tricolore, a cura di F. TAROZZI, G. VECCHIO, Bo-logna, 1999. Ma le analisi più puntuali e complete si trovano nell’opera di E. GENTILE, di cuioccorre almeno citare Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Ro-ma–Bari, 1994 e ID., Il mito dello stato nuovo, Roma–Bari, 1999. Si veda pure R. MORO, Religio-ne e politica nell’età della secolarizzazione: riflessioni su di un recente volume di E. Gentile, in“Storia contemporanea”, a. XXVI, n. 2, aprile 1995.

9 Cfr. E. GENTILE, Le religioni della politica, Roma–Bari, 2001. 10 Si veda, a titolo esemplificativo, D. KERTZER, Riti e simboli del potere, Roma–Bari, 1989.

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Sulla scorta di questi lavori si può oggi affermare che “non è possibi-le comprendere gli aspetti fondamentali della politica di massa ignoran-do l’importanza del pensiero mitico nell’origine e nella formazione deimovimenti collettivi del nostro secolo [il Novecento]”11.

Su questo piano può essere forse utile fare alcune puntualizzazioniche ci permettano di disegnare un quadro più dettagliato della questio-ne. In particolare occorre precisare che la categoria politica del “mitodello stato nuovo” deve essere concepita, a nostro modo di vedere, noncome l’espressione generica di un qualsivoglia mito politico ma piutto-sto come un mito profondamente radicato nella storia politica naziona-le e, conseguentemente, come un fenomeno squisitamente italiano. Énel radicalismo mazziniano che può essere, infatti, rintracciata la sua ge-nesi12.

Il pensiero idealistico di Mazzini ebbe notevole peso nella diffusionedi un’immagine negativa dello stato liberale sorto dal processo risorgi-mentale e diede corpo al mito del risorgimento come “rivoluzione na-zionale incompiuta” che influenzò una larga maggioranza delle nuovegenerazioni nei primi anni del novecento13. Le nuove forze che si affac-ciarono sulla scena politica nazionale si caratterizzarono, ognuna conuna sua propria fisionomia, per una esplicita contrapposizione al siste-ma di potere giolittiano, dando vita a quel fenomeno assai eterogeneoche fu l’antigiolittismo14. Nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, sociali-sti, cattolici democratici si ritrovarono accomunati da questo minimocomune denominatore negativo. Ognuna di queste forze proponevauna propria visione della realtà nazionale ed una diversa valutazione delrapporto stato–masse che costituiva il fulcro per la costituzione delnuovo stato alternativo a quello liberale15. Il fascismo rappresentò senzadubbio l’espressione più compiuta della costruzione di un nuovo mo-

22 Paolo Acanfora

11 E. GENTILE, Il mito dello stato nuovo, cit., p. 270. 12 Idem, p. 3. 13 Idem, p. 5. 14 Per una valutazione complessiva del periodo giolittiano si veda E. GENTILE., L’Italia gio-

littiana, Bologna, 1990. 15 Cfr. E. GENTILE, L’antigiolittismo e il mito dello Stato nuovo, in ID., Il mito dello Stato

nuovo, cit., pp. 31–82.

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dello di stato16. Nel mondo cattolico il radicalismo democratico di Ro-molo Murri e la democrazia autonomista ed antistatalista di Luigi Stur-zo costituirono i due esempi più significativi di questa nuova realtà17.

A nostro modo di vedere, tuttavia, l’elaborazione dossettiana si è ca-ratterizzata per una sua precipua originalità che ha segnato, per moltiversi, una certa distanza con la tradizione del cattolicesimo politico18.La proposta politica dossettiana e la sua concezione dello stato nuovonon nascevano dal clima politico che aveva caratterizzato gli ambienticattolici nei primi anni del novecento con le diatribe interne all’Operadei congressi. Le divisioni tra intransigenti e conciliatoristi e quelle traintegralismo democratico cristiano e clerico–moderatismo non inqua-drano precisamente, a nostro avviso, il percorso teorico politico di Giu-seppe Dossetti. Assai più significative, su questo piano, ci appaionopiuttosto le riflessioni nate intorno agli anni Trenta, appartenenti allacosì detta “cultura della crisi”, che pure naturalmente risentirono dellacontrapposizione modernismo–antimodernismo che travagliò il mondocattolico19. É sulle analisi teologico–politiche di Jacques Maritain, diCharles Journet, di Etienne Gilson, di Emmanuel Mounier che si co-struiscono i nuovi paradigmi interpretativi della realtà senza fughe no-stalgiche in modelli improntati alla teologia medievale e senza alcun ri-fiuto aprioristico della modernità. É in questo filone della cultura politi-ca cristiana che viene avanzato il progetto antitotalitario di una terza viasegnato dai valori e dai principi del cristianesimo20. Il confronto con i

“I liturgici di Dio” 23

16 Come è noto il modello di stato nuovo di matrice fascista non ha una sola versione. I pro-getti che possono essere considerati paradigmatici di due diverse fondamentali tendenze nelconcepire il fascismo (autoritaria e totalitaria) sono quelli di Alfredo Rocco e di Giuseppe Bot-tai. Si veda, idem, pp. 171–268.

17 Ibidem. Cfr. anche ID., L’Italia giolittiana, cit., pp. 103–118. Per uno sguardo d’insieme almovimento cattolico nel periodo preso in esame si veda G. DE ROSA, Storia del movimento cat-tolico in Italia. Dalla Restaurazione all’età giolittiana, Roma–Bari, 1966.

18 Lo stesso Dossetti ha precisato la sua distanza “formativa” dalle figure tradizionali delcattolicesimo politico e segnatamente da Murri e Sturzo. Cfr., A colloquio con Dossetti e Lazzati.Intervista di L. Elia e P. Scoppola, Bologna, 2003, pp. 22–26.

19 Sulla contrapposizione tra modernismo ed antimodernismo in Italia si veda P. SCOPPOLA,Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, 1961.

20 Per un veloce ma puntuale affresco dell’opera più significativa di questo filone si veda P.CHENAUX, L’Umanesimo integrale di Jacques Maritain, Milano, 2006. Per una analisi della rice-

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modelli di società totalitari e l’esperienza diretta del fascismo hanno in-fluenzato profondamente la visione della comunità e dello stato dosset-tiana. É qui, più che altrove, che vanno cercate le categorie politichefondamentali che hanno caratterizzato il pensiero di Giuseppe Dossetti.

La questione del pieno inserimento delle masse nel nuovo stato de-mocratico (con modalità che fossero radicalmente diverse da quelle to-talitarie del fascismo e da quelle ritenute parziali e deficitarie dello statoliberale) poneva problemi fondamentali per le politiche del consensodei nuovi partiti di massa. Nel mondo politico cattolico ripiegare su po-sizioni antimoderne non appariva più possibile. Lo stesso avvenutoconfronto con la ventennale esperienza fascista, come detto, impedivaun ritorno tout court alle politiche dei primi anni del secolo.

Nell’immediato dopoguerra la Democrazia cristiana si trovava, dun-que, a dover affrontare il problema del consenso in relazione alla suaaspirazione a divenire un grande partito di massa e ad essere forza ege-mone nel nuovo stato repubblicano. La necessità di mobilitare le massee di far convergere su di sé il più ampio consenso possibile induceva ilpartito cattolico ad adottare temi e modalità di comunicazione politicaspesso non semplicemente riconducibili alla propria tradizione cultura-le. Su questo piano esso mostrava una certa sensibilità alle esperienzedei movimenti totalitari, tanto di matrice fascista quanto di matrice co-munista, lanciando la propria sfida anche sul terreno, apparentementepoco congeniale, del pensiero mitico21.

Inserita in questo contesto la vicenda politica dossettiana acquista unsignificato affatto particolare. Le diversità con la maggioranza degaspe-riana del partito si palesano anche su questo livello. Nell’elaborare la

24 Paolo Acanfora

zione in Italia dell’ideale storico concreto della “nuova cristianità” si veda il lavoro di P. SCOP-POLA, La nuova cristianità perduta, Roma, 1985

21 Su come il complessivo mondo cattolico reagisce a questo fenomeno si veda F. DE GIOR-GIS, Linguaggi militari e mobilitazione cattolica nell’Italia fascista, in “Contemporanea”, V, n. 2,aprile 2002; R. MORO, Religione del trascendente e religioni politiche. Il cattolicesimo italiano difronte alla sacralizzazione fascista della politica, in “Mondo Contemporaneo”, n. 1/2005. Unesempio significativo per la DC è l’elaborazione del mito della nazione, cfr. E. GENTILE, Lagrande Italia, cit., pp. 335 e ss. Sul tema della nazione nel mondo cattolico è utile vedere G.FORMIGONI, L’Italia dei cattolici, Bologna, 1998.

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propria proposta politica Giuseppe Dossetti parte da una premessa checostituisce già uno spartiacque all’interno del mondo democristiano: “ilmondo e la vita sociale che la guerra ha distrutto devono essere rico-struiti. Importa sapere come noi, DC, vogliamo ricostruire questo mon-do sociale: vogliamo ricostruirlo esattamente come era prima, magarianche con qualche lieve ritocco, o vogliamo un mondo sostanzialmentenuovo, in cui i rapporti sociali siano veramente mutati e siano ispiratidal soffio potente del Cristianesimo? La risposta per la DC è chiara: noivogliamo un mondo nuovo, un ordine nuovo”22.

Nonostante questa dichiarata unità d’intenti, all’interno della Demo-crazia cristiana la proposizione di un ordine nuovo era, come è noto, in-tesa con significati profondamente diversi. La proposta politica dega-speriana, che pure non era assolutamente riducibile al semplice ritornoallo stato prefascista23, aveva connotati molto differenti da quelli su cuisi era aggregato il gruppo dossettiano. Sul binomio De Gasperi–Dosset-ti la storiografia si è diversamente pronunciata24 ma ci sembra di poterdire che la differenza consista in primis in questa premessa fondamen-tale. In Dossetti vi era la radicale convinzione che, all’indomani della se-conda guerra mondiale, si aprisse un’era del tutto nuova che chiudesse“la Storia dell’Europa moderna ed [aprisse] non un nuovo capitolo maun nuovo volume”25. Ai nuovi tempi occorreva dunque rispondere conuna volontà di rinnovamento ed una azione conseguente capace di af-

“I liturgici di Dio” 25

22 G. DOSSETTI, Orientamento e azione della DC, in “Tempo Nostro”, 12 gennaio 1947, orain ID., Scritti politici, a cura di G. TROTTA, Genova, 1995, pp. 95–95.

23 Ci limitiamo a rimandare al lavoro di P. SCOPPOLA, La proposta politica di De Gasperi, Bo-logna, 1978. Per una valutazione complessiva della cultura politica degasperiana si veda A. GIO-VAGNOLI, La cultura democristiana, Roma–Bari, 1991.

24 Il giudizio di un radicale antagonismo trova la sua prima espressione “storiografica” in G.BAGET–BOZZO, Il partito cristiano al potere, cit. Questo lavoro ha fornito sul piano storico il pa-radigma interpretativo fondamentale per le ricerche successive. Tuttavia taluni tendono a miti-gare il contrasto Dossetti–De Gasperi e propongono, come fondamentale dualismo all’internodella DC di quegli anni, quello Gronchi–De Gasperi. Si veda P. SCOPPOLA, La repubblica deipartiti, Bologna, 1991, pag. 218. Una sintetica analisi comparativa dei due leader è in G. CAM-PANINI, Dossetti politico, cit., pp. 45–57.

25 G. DOSSETTI, Triplice vittoria, in “Reggio Democratica”, 31 luglio 1945, ora in ID, Scrittipolitici, cit., p. 32.

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fermarsi come “cura radicale”. Con questa espressione egli intendevaindicare la necessità di trasformare lo stato in modo da dotarlo di “unanuova struttura che rappresent[asse] il presupposto e lo strumento perle vere e definitive soluzioni dei nostri problemi e dei nostri tempi”26.

Nonostante ci si ponga il problema del mutamento istituzionale se-condo la prospettiva dossettiana, eviteremo, in questo saggio, di riper-correre l’itinerario costituente, già ampiamente percorso in sede storio-grafica27. Piuttosto interessa focalizzare l’attenzione sulle modalità concui il gruppo dossettiano elabora e comunica la propria proposta politi-ca, tenendo pure in considerazione l’idea di partito che esso propu-gna28.

Sotto questo profilo particolarmente ricca di spunti e, in una certamisura, rivelatrice ci appare la relazione tenuta da Giuseppe Dossetti alconvegno di Bisceglie del luglio 1949. In essa il leader reggiano utilizzatoni ed affronta temi che non lasciano spazio a dubbi sulla valenza sa-crale e mitica del suo linguaggio politico. La premessa di base alla suaanalisi politica è sempre la medesima: la necessità di ripensare ex–novole strutture fondamentali della società e delle istituzioni. La radicalitàdell’approccio è tale da investire pressoché tutti i livelli della comunità:“noi non possiamo pensare che il rimedio e l’esigenza fondamentaledella ricostruzione sia rappresentata da un semplice rinnovamento dellestrutture economiche sociali e politiche. La crisi di queste strutture […]non è se non un aspetto di una necessità di rinnovamento e di una crisipiù profonda e più totale […]. Il rinnovamento non può esprimersi erealizzarsi se non in una ricomposizione ordinata e globale dell’unità ditutti questi piani”29.

26 Paolo Acanfora

26 ID, Il compito primo, in “Tempo Nostro”, 9 marzo 1947, ora in ID, Scritti politici, cit., pp.100–101.

27 Si veda soprattutto, P. POMBENI, Il gruppo dossettiano, cit; ID., La costituente, Bologna,1995. Per il confronto diretto con i documenti si veda G. DOSSETTI, La ricerca costituente, a cu-ra di A. MELLONI, Bologna, 1994.

28 Considerazioni interessanti sul tema vengono proposte da P. POMBENI, La concezione delpartito in Dossetti e la formazione della classe dirigente, in Giuseppe Dossetti, “Humanitas”, cit.,pp. 704–712.

29 ISR FGD, fasc. 758, dattiloscritto di G. DOSSETTI, Verso una rinnovata cristianità, per ilConvegno di Bisceglie 24–28 luglio 1949.

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Occorre prendere atto, precisa il giovane leader democristiano, cheil secondo dopoguerra ha presentato novità straordinarie che richiedo-no un metodo ed un’azione diversa dal passato. Per affrontare efficace-mente quel “corpo grande e complesso della realtà contemporanea”non è più possibile rifarsi alle “idee esili” e agli “schemi vecchi di ieri”,oramai del tutto inadeguati e sproporzionati30. L’avvento della societàdi massa ha posto il problema del consenso in modo affatto nuovo, pre-sentandolo talvolta con i caratteri peculiari del misticismo e mettendoin crisi le strutture proprie dello stato liberale31. Senza nominarla Dos-setti coglie il peso dell’esperienza fascista. Egli intuisce come sia impos-sibile, all’indomani di questa esperienza, riproporre le categorie politi-che, sociali ed economiche tipiche del liberalismo prefascista. L’argo-mento meriterebbe una trattazione a parte, ma vale la pena annotareche, a differenza del gruppo degasperiano, Dossetti non propone un’in-terpretazione del fascismo come tragica “parentesi” nel quadro dellastoria nazionale32. Egli riprende piuttosto il paradigma gobettiano delfascismo come “autobiografia della nazione” proponendo una interpre-tazione della storia d’Italia in cui il regime fascista rappresenta l’ultimoe drammatico episodio delle storture dell’assetto politico (oligarchia) edeconomico–sociale (assenza riformismo) propriamente liberali33. Inquesto modo il leader reggiano sottolinea l’urgenza di porsi di fronte al-la realtà contemporanea con idee e metodi nuovi. Su questo punto vale

“I liturgici di Dio” 27

30 ISR FGD, fasc. 756, bozze degli appunti degli interventi di G. Dossetti tratti dalle note diD. Lamura e C. Forcella relativi al convegno di Bisceglie nei giorni 25–26 luglio 1949. Su questomedesimo tema Dossetti si era già ampiamente soffermato nella sua famosa relazione al conve-gno di Civitas Humana del 1 novembre 1946, dove parla di “sproporzione tra fatto e coscienzadel fatto”, cfr. G. DOSSETTI, Scritti politici, cit., pp. 310–324, la citazione è a pag. 312.

31 ISR FGD, fasc. 756, bozze degli appunti degli interventi di Dossetti tratti dalle note di D.Lamura e C. Forcella relativi al convegno di Bisceglie nei giorni 25–26 luglio 1949.

32 Gli esempi di come il gruppo legato a De Gasperi faccia propria questa interpretazionesono molteplici. A titolo esemplificativo si veda il radiodiscorso di G. Gonella agli italiani delNord–America del 1 gennaio 1948 in G. Gonella, La fine dell’isolamento culturale dell’Italia,Roma, 1948, p. 5.

33 ISR Fondo Cronache Sociali (d’ora in poi FCS), serie C, b. 24, fasc. 260, sottofasc, 3, di-scorso di Dossetti all’Augustinianum di Milano del settembre 1951. Cfr. pure la relazione Pro-blematica sociale del mondo d’oggi al convegno dell’UCIIM del 26–30 agosto 1951, ora in G.DOSSETTI, Scritti politici, cit., pp. 267–283.

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la pena ancora annotare che il giudizio diffuso sul gruppo dossettianoera, all’interno della DC, legato ad un radicato pregiudizio. I dossettianierano ritenuti degli “idealisti”34 aventi un approccio ideologico di ma-trice cattolico–integralista35. Partendo da queste valutazioni, si è legitti-mata sul piano storiografico la tesi di un Dossetti per molti versi “impo-litico”, incapace cioè di guardare con realismo al contesto sociale, poli-tico ed economico del secondo dopoguerra tanto sul livello nazionalequanto su quello internazionale36. Il giudizio è condizionato dall’ideache l’unico “realismo” possibile fosse, in sostanza, quello degasperia-no37. Tuttavia se si guarda con attenzione alle analisi ed alle propostedossettiane troveremo numerosi elementi che porterebbero a valorizza-re la tesi contraria. A questo proposito potrebbe essere utile richiamarealcune questioni di fondo: — sul piano politico il modello di riferimento del gruppo è costituito

dal laburismo inglese38, con cui si sottolinea, innanzitutto, la fonda-

28 Paolo Acanfora

34 L’uso un poco liquidatorio che si faceva di questa espressione soprattutto da parte dei de-gasperiani è noto. Tale era la nettezza del giudizio che, nel fare il punto sulla DC italiana, Enri-co Tosi (responsabile ufficio esteri del partito), in una riunione internazionale di rappresentantidei partiti ad ispirazione cristiana a Ginevra, bollò Dossetti come “un idéaliste” lasciando inten-dere che la sua uscita di scena non fosse un danno considerevole per il partito (Centre Histori-que des Archives Nationales, Archive Privé 519 Fond Robert Bichet, c. 10, réunion de Genève,14 gennaio 1952). Il piano internazionale da cui la citazione è presa testimonia inesorabilmentecome il giudizio non fosse legato a mera polemica interna al partito ma fosse viceversa profon-damente radicato nel gruppo degasperiano.

35 Sul piano storiografico la valutazione del Dossetti politico integralista ha avuto molto suc-cesso. La prima di queste opere che prova a porsi, senza grandi risultati, nell’ottica di una anali-si storica della vicenda del politico reggiano è F. BOIARDI, Dossetti e la crisi dei cattolici italiani,Firenze, 1956. Numerosi sono i testi che successivamente ne riprendono il giudizio. Tra i più re-centi si può rimandare a S. F. WHITE, Christian democracy or pacellian populism? Rival forms ofpostwar italian political catholicism, in European christian democracy. Historical legacies and com-parative perspectives, Notre–Dame, 2003, pp. 199–227; G. BEDESCHI, La fabbrica delle ideologie.Il pensiero politico nell’Italia del novecento, Roma–Bari, 2002, dove vengono condivise le valuta-zioni espresse da Augusto Del Noce su Dossetti ed in cui pure si ripropongono giudizi ed anali-si sulla sua figura e sul rapporto con De Gasperi viziati da una certa approssimazione.

36 Insistono ancora su questa tesi, ad esempio, F. MALGERI, Dossetti e la D. C. dal 1948 al1951. L’esperienza di Rossena, in Giuseppe Dossetti, “Humanitas”, cit., pp. 713–719; E.VEZZOSI, La sinistra democristiana tra neutralismo e patto atlantico, cit., pp. 195–221.

37 F. MALGERI, Dossetti e la D. C. dal 1948 al 1951, cit., p. 718. 38 Cfr. G. DOSSETTI, Triplice vittoria, cit. Cfr. pure l’analisi di V. SABA, Quella specie di labu-

rismo cristiano, Roma, 1996

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mentale convergenza sul tema del lavoro39. Laburismo che, come ènoto, lungi dal porsi in una prospettiva utopica, sale al potere in In-ghilterra nell’immediato dopoguerra con un programma improntatoad un radicale riformismo;

— sul piano economico le proposte avanzate dal gruppo dossettiano so-no orientate in senso keynesiano40. Queste proposte che contrastanocon la linea Pella–Einaudi e, generalmente, con le tesi monetariste,non appaiono affatto, nel contesto della ricostruzione italiana, viziateda scarso realismo. Le stesse valutazioni di fondo sono infatti avan-zate da diversi ambienti americani, circa l’utilizzo dei fondi ERP ero-gati all’Italia all’interno del piano Marshall41. Il capo della missioneECA Zellerbach, l’amministratore ECA Hoffman, l’ambasciatore inItalia Dunn spingono affinché il governo italiano adotti misure ispi-rate a questi principi42 muovendo anche dure critiche al governo DeGasperi43. Lo stesso atteggiamento è tenuto dalla CIA nel 194944;

— sul piano della politica estera, le posizioni sull’Europa e sull’adesio-ne dell’Italia al patto atlantico, non sono affatto riducibili ad un neu-tralismo tout court, in cui il gruppo di “Cronache Sociali” non credeaffatto, ma sono viceversa assai comprensive delle dinamiche inter-nazionali45;

“I liturgici di Dio” 29

39 Si vedano anche le osservazioni sul socialismo “spirituale e cristiano” che costituirebbeun punto di riferimento per l’approccio politico di Dossetti, in ID., Fede religiosa e idea sociali-sta, in “Reggio Democratica”, 8 settembre 1945, ora in ID., Scritti politici, cit., pp. 33–35

40 Sull’argomento cfr. l’analisi di G. FORMIGONI, Politica estera e progetto economico–socialenel Dossetti politico, in Giuseppe Dossetti, “Humanitas”, cit., pp. 720–726; ID., La Democraziacristiana e l’alleanza occidentale, cit, dove numerosi sono i riferimenti alle analisi economichedel gruppo dossettiano in virtù della profonda convinzione dell’esistenza di un nesso inscindibi-le tra politica economico–sociale e politica internazionale.

41 Su questo tema si veda la puntuale e assai documentata ricostruzione di M. DEL PERO,L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo (1948–1955), Roma, 2001

42 Idem, pp. 55–64. 43 Idem, pp. 60–61. Si veda, ad esempio, il “Country Study” (studio che gli USA facevano su

tutti i paesi aderenti al piano Marshall) riguardante l’Italia. Tali sono gli atteggiamenti criticiche, nel 1950, si assiste ad una riduzione dei fondi per l’Italia esplicitamente voluta da Hoffmanper i motivi sopra indicati. Vedi pag. 79 e ss.

44 Idem, pp. 72–73. 45 Sul tema cfr. soprattutto i numerosi lavori di G. FORMIGONI, Il mondo cattolico italiano e

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— sul piano delle dinamiche interne al partito Dossetti è tutt’altro cheprivo di realismo. Le critiche rivolte a De Gasperi e al suo grupposono innanzitutto critiche di metodo46. La posizione dossettiana è didifesa delle prerogative e della autonomia del partito dagli organi digoverno. Egli si muove con pragmatismo all’interno degli organi di-rettivi del partito (consiglio nazionale e direzione) ed è vice–segreta-rio (dall’agosto 1945 al marzo 1946 e soprattutto dall’aprile 1950 al-l’aprile 1951). Uomini della sua corrente opereranno inoltre all’inter-no del governo sia in qualità di ministri (Fanfani) sia in qualità disottosegretari (Moro47, La Pira). In aggiunta a ciò il periodico delgruppo, “Cronache Sociali”, ha un taglio piuttosto analitico, su temidi settore e raramente si trovano analisi teoriche “sganciate” dai con-creti contesti che vengono di volta in volta esaminati. In sintesi il giu-dizio di impoliticità sembra adattarsi assai male alla figura di Dosset-ti e all’azione del suo gruppo. Non è affatto un caso, invece, che proprio il “realismo” sia richiama-

to come un’esigenza imprescindibile. Al citato convegno di Bisceglie, ilgiovane leader democristiano parla della necessità di un “nuovo reali-smo” ossia di una “visione realistica dei rapporti tra bisogni economicie bisogni spirituali” che sia dunque “diversa da ogni concezione mate-

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la scelta occidentale dopo le elezioni del 1948, in La dimensione atlantica e le relazioni internazio-nali nel dopoguerra 1947–1949, a cura di B. VIGEZZI, Milano, 1987, pp. 191–237; ID., La sinistracattolica italiana e il patto atlantico (1948–1949), cit., pp. 209–259; ID., La ricerca di un atlanti-smo cattolico nei primi anni cinquanta, in L’Italia e la politica di potenza in Europa (1950–1960),a cura di E. DI NOLFO–R. H. RAINERO–B. VIGEZZI, Settimo Milanese, 1992, pp. 199–225; ID.,L’unità della politica: scelta atlantica e politica nazionale, in Giuseppe Dossetti, cit., pp. 65–83.Ma soprattutto si rimanda ancora alla precisa ricostruzione in ID., La Democrazia cristiana e l’al-leanza occidentale, cit.

46 Le critiche a De Gasperi vengono da Dossetti impostate sul piano del metodo già nellalettera del 28 febbraio 1946 e nella successiva del 7 marzo 1946. In esse viene esplicitamentedetto che le riserve più gravi che il leader reggiano solleva riguardano la questione del metodocon cui De Gasperi determina la sua politica trascurando totalmente gli organi di partito. VediG. DOSSETTI, Lettera a De Gasperi, in Id., Scritti politici, cit., pp. 43–49.

47 Per quanto riguarda Aldo Moro, Dossetti riferisce che la sua collocazione come sottose-gretario al ministero degli esteri fu “una delle pochissime cose che riuscii a fare nella formazio-ne del governo del ’48”, sebbene gli fu riservato un posto assolutamente marginale. Cfr. A collo-quio con Dossetti e Lazzati, cit., p. 85.