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La legislazione riguardante la salute e la sicurezza sul lavoro trae spunto dalla Costituzione; in

particolare si richiama l’art. 32, 1°comma:

“La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della

collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Anche l’ art. 2087 del codice civile stabilisce che: "L'imprenditore e' tenuto ad adottare,

nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la

tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"

Lo statuto dei lavoratori, legge 300/1970, tutela la salute degli stessi, in particolare: art. 9 - tutela della salute e dell'integrità fisica; art. 13 - al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d'inquadramento; art. 15- atti discriminatori per motivi politici o religiosi; art. 18- reintegrazione nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento; Con il D.Lgs 9 aprile 08 n.81 (che chiameremo 81/08) è stato riordinato un sistema normativo eterogeneo, risalente agli anni 50, mediante una riallocazione delle norme tecniche negli allegati, i quali hanno una maggiore flessibilità di aggiornamento dinamico, dando vita ad un testo unico che si propone di essere esaustivo in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori. CONCETTO DI PERICOLO, RISCHIO, PREVENZIONE, PROTEZIONE L’infortunio avviene se c’è un pericolo? No, l’infortunio avviene se c’è un rischio. Qual è la differenza tra pericolo e rischio? Il pericolo è un modo di essere dannoso di una sostanza, ad esempio un acido, di una macchina, ad esempio una sega, di una situazione di lavoro, ad esempio una stanza riempita di fusti di benzina, di un modo di comportarsi, ad esempio camminare su una fune tesa. Il rischio invece nasce quando contemporaneamente abbiamo un pericolo ed un lavoratore esposto. Senza esposizione al pericolo non c’è rischio? NO! Per non avere danno basta tenere lontano il pericolo? Sì, questo è il metodo migliore di tutelare il lavoratore. Diminuire la probabilità che il pericolo possa attaccare il lavoratore si chiama prevenzione. Si attua o eliminando totalmente il pericolo dal luogo di lavoro o separando il pericolo dal lavoratore con barriere sicure.

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Cosa è la protezione? La protezione consiste nel proteggere il lavoratore con schermi, apposito abbigliamento, attrezzature e facendo in modo che il danno sia accettabile se accade l’infortunio. È meglio la protezione della prevenzione? Se si vuole avere la certezza di non incorrere in infortuni non è sufficiente indossare una protezione ma non si deve anche eliminare o ridurre il rischio. Cioè la prevenzione, eliminare il pericolo, è meglio della protezione. Naturalmente è opportuno fare contemporaneamente la prevenzione e la protezione. La Prevenzione: È il complesso delle disposizioni o misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno; Nel Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/08) grande importanza viene assegnata all'informazione ed alla formazione dei lavoratori e delle varie figure che rivestono ruoli specifici, nell'ambito dell'organizzazione del sistema di prevenzione. L’Informazione: è definita come complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro. La Formazione: è definita come un processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi; L’Addestramento: è definito come complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l'uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze pericolose, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro. LE FIGURE DELLA PREVENZIONE AZIENDALE Il datore di lavoro (DL) è il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, che ha la responsabilità decisionale dell'organizzazione del lavoro, dell'azienda e di spesa. Non può delegare le seguenti attività:

La valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del relativo documento;

La designazione del RSPP Il datore di lavoro, che organizza e dirige le attività, deve inoltre:

Nominare il medico competente per la sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto;

Designare i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e di gestione dell'emergenza; nell’affidare i suddetti compiti ai

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lavoratori, deve tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

Deve fornire ai lavoratori i necessari e idonei DPI, sentito il RSPP e il medico competente, ove presente;

Deve richiedere l'osservanza delle norme vigenti, da parte dei singoli lavoratori nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza di igiene del lavoro di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei DPI messi a loro disposizione;

Deve adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

Deve adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;

Deve consentire ai lavoratori di verificare, mediante il RLS, l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

Deve consegnare tempestivamente al RLS, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di valutazione dei rischi;

Deve elaborare il documento di valutazione dei rischi e, su richiesta consegnarne tempestivamente copia ai RLS;

Deve aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione; Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP): Persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali, designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi; Medico competente (MC): Medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali, che collabora con il DDL ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso DDL per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto; Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS): persona eletta o designata dai lavoratori per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro; Preposto: persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Lavoratore: Persona che svolge un’attività lavorativa in un luogo di lavoro a qualsiasi titolo con o senza retribuzione Diamo alcune definizioni ai termini pericolo rischio e salute: Pericolo: proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni;(es. l’elettricità ha la capacità di provocare un danno, fulminare; il martello ha in se la capacità di provocare un danno, contusioni; la benzina ha in se la capacità di provocare un danno, incendio ustioni)

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Rischio: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione; (es. modalità di utilizzo dell’elettricità prese, spine, cavi volanti ecc.; utilizzo del martello senza protezioni; utilizzo della benzina vicino a fonti di calore o scintille) Salute: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente esclusivamente in una assenza di malattia o d'infermità; I rischi presenti negli ambienti di lavoro, in conseguenza dello svolgimento delle attività lavorative, possono essere divisi in tre grandi categorie. 1)RISCHI PER LA SICUREZZA I rischi per la Sicurezza, o Rischi di natura infortunistica, sono quelli responsabili del potenziale verificarsi di incidenti o infortuni, ovvero di danni o menomazioni fisiche (più o meno gravi) subite dalle persone addette alle varie attività lavorative, in conseguenza di un impatto fisico-traumatico di diversa natura (meccanica, elettrica, chimica, termica, etc.). Le cause di tali rischi nella maggioranza dei casi sono da ricercare in un non idoneo assetto delle caratteristiche di sicurezza che riguardano: l’ambiente di lavoro le macchine le apparecchiature; le modalità operative; l’organizzazione del lavoro, etc. Lo studio delle cause e dei relativi interventi di prevenzione e/o protezione nei confronti di tali tipi di rischi deve mirare alla ricerca di un ‘Idoneo equilibrio bio-meccanico tra l’UOMO E l’AMBIENTE DI LAVORO, tra l’UOMO e la MACCHINA, o l’IMPIANTO’ sulla base dei più moderni concetti ergonomici. 2)RISCHI PER LA SALUTE I Rischi per la salute, o Rischi igienico-ambientali, sono quelli responsabili della potenziale compromissione dell’equilibrio biologico del personale addetto ad operazioni o a lavorazioni che comportano l’emissione nell’ambiente di fattori di rischio, di natura chimica, (vapori o gas tossici) fisica (vibrazioni, rumore, radiazioni) o biologica (contatto con virus o batteri), con seguente esposizione del personale addetto. Le cause di tali rischi sono da ricercare nella insorgenza di non idonee condizioni igienico-ambientali dovute alla presenza di fattori ambientali di rischio generati dalle lavorazioni, e dalle modalità operative. Lo studio delle cause e dei relativi interventi di prevenzione e/o di protezione nei confronti di tali tipi di rischio deve mirare alla ricerca di un "Idoneo equilibrio bio-ambientale tra UOMO E AMBIENTE DI LAVORO ". 3)RISCHI TRASVERSALI O ORGANIZZATIVI Tali rischi, sono individuabili all’interno della complessa articolazione che caratterizza il rapporto tra l’operatore / lavoratore e "l’organizzazione del lavoro" in cui è inserito. Il rapporto in parola è peraltro immerso in un "quadro" di compatibilità ed interazioni che è di tipo oltre che ergonomico anche psicologico ed organizzativo. La coerenza di tale "quadro", pertanto può essere analizzata anche all’interno di possibili trasversalità tra rischi per la sicurezza e rischi per la salute.

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Valutazione dei rischi: è una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, e deve essere finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza; La valutazione dei rischi deve riguardare tutti i fattori di rischio presenti per la sicurezza e la salute dei lavoratori nella scelta e nelle caratteristiche delle attrezzature di lavoro e/o delle sostanze o dei preparati pericolosi impiegati, nelle caratteristiche e nella sistemazione dei luoghi di lavoro compresi i rischi riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi. Il DDL effettua ed elabora il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) in collaborazione con il RSPP e il medico competente. La valutazione è realizzata previa consultazione del RLS. La valutazione e il DVR devono essere rielaborati:

in occasione di modifiche del processo produttivo o dell'organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori;

in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

a seguito di infortuni significativi;

quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione devono essere aggiornate. Il DVR deve essere custodito presso l'unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi. Addetti Antincendio ed alle emergenze (A.I.) Il rischio incendio è sempre presente nella maggioranza dei luoghi di lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo di designare il/i lavoratore/i addetti alla prevenzione incendi e gestione delle emergenze. Questi lavoratori hanno diritto ad avere una formazione specifica in merito a tale rischio e alle norme per prevenire gli incendi. Le aziende, in base al Dec. 10/3/1988, sono classificate a rischio basso, medio, alto. Addetti Primo Soccorso (P.S.) Il datore di lavoro ha l’obbligo di designare il/i lavoratore/i addetti al primo soccorso in azienda. Questi lavoratori hanno diritto ad avere una formazione specifica in merito a tale rischio e alle procedure standard di primo soccorso. Le aziende sono classificate a rischio basso, medio, alto.

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EMERGENZA NEI LUOGHI DI LAVORO La stesura di un piano d’emergenza è un passaggio fondamentale nell’adempimento dei vari obblighi previsti dai DL n. 81 /2008 e dal DM 10.3.1998. Il datore di lavoro, in accordo con le persone incaricate della gestione dell’emergenza, predispone il piano aziendale come parte integrante del documento di valutazione dei rischi, all’interno del quale si indica come fronteggiare situazioni di emergenza, ovvero situazioni che potrebbero comportare un pericolo per l’incolumità delle persone o di danno alle cose ed all’ambiente. Il piano di emergenza infatti deve consentire di proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori e degli ospiti, deve proteggere il “bene azienda”, diminuire i danni materiali interni, ridurre i costi assicurativi, garantire livelli di controllo più efficaci e periodici, ridurre le perdite di immagine e le responsabilità verso l’esterno. Il piano di emergenza si può quindi definire come una procedura di mobilitazione di mezzi e persone atte a fronteggiare una determinata condizione di emergenza. Finalità La finalità del piano d’emergenza consiste nell’esplicitazione delle azioni da intraprendere in caso di incendio o di emergenza per:

- limitare le conseguenze sulle vite umane, i danni all’ambiente ed agli impianti; - consentire l’evacuazione dal luogo di lavoro in condizioni di sicurezza, prevedendo tutti i possibili

tipi di emergenze che possono manifestarsi nell’azienda; - garantire l’intervento dei soccorritori.

Obiettivi Il piano di emergenza deve conseguire i seguenti obiettivi:

- evitare che l’attivazione di un piano di emergenza, a seguito di un incidente, possa provocare ulteriori emergenze di altro tipo;

- prevenire o limitare pericoli alle persone, internamente ed esternamente all’attività; - prevenire o limitare danni ambientali nelle zone immediatamente limitrofe allattività; - organizzare contromisure tecniche per l’eventualità di emergenza di ogni tipo; - coordinare gli interventi del personale a tutti i livelli, in modo che siano ben definiti tutti i

comportamenti e le azioni che ogni persona presente deve attuare per salvaguardare la propria incolumità e, nei limiti del possibile, per limitare i danni alle strutture ed impianti dell’attività;

- stabilire le priorità d’intervento: soccorso alle persone, messa in sicurezza degli impianti, attivazione degli impianti finalizzati a contenere e ridurre le emergenze;

- intervenire, dove necessario, con un pronto soccorso sanitario; - evitare, per quanto possibile, il blocco di attività all’interno del locale - stabilimento durante

un’emergenza; - coordinare l’intervento interno con quello di eventuali mezzi esterni all’impianto; - individuare tutte le emergenze che possano coinvolgere l’attività, la vita e la funzionalità

dell’impianto; - definire esattamente i compiti di ognuno all’interno dell’attività durante la fase di pericolo; - registrare razionalmente tutti i casi di incidenti avvenuti durante la vita d’impianto; - stabilire tutte le operazioni di ripartenza delle attività al termine di una emergenza.

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Contenuti del piano di emergenza Il piano di emergenza ha i seguenti contenuti generali:

- le azioni che i lavoratori devono mettere in atto in caso di incendio; - le procedure per l'evacuazione del luogo di lavoro che devono essere attuate dai lavoratori e dalle

altre persone presenti; - le disposizioni per chiedere l'intervento di soccorso; - specifiche misure per assistere le persone disabili; - individuazione ed identificazione di un adeguato numero di persone incaricate di sovrintendere e

controllare l'attuazione delle procedure previste. Per la stesura del piano di emergenza si tiene conto dei seguenti aspetti:

- le caratteristiche dei luoghi con particolare riferimento alle vie di esodo; - il sistema di rivelazione e di allarme incendio; - il numero delle persone presenti e la loro ubicazione; - i lavoratori esposti a rischi particolari; - il numero di addetti all'attuazione ed al controllo del piano nonché all'assistenza per l'evacuazione

(addetti alla gestione delle emergenze, evacuazione, lotta antincendio, pronto soccorso); - il livello di informazione e formazione fornito ai lavoratori.

Il piano di emergenza contiene le seguenti istruzioni scritte:

- i doveri del personale di servizio incaricato di svolgere specifiche mansioni con riferimento alla sicurezza antincendio;

- i doveri del personale cui sono affidate particolari responsabilità in caso di incendio; - i provvedimenti necessari per assicurare che tutto il personale sia informato sulle procedure da

attuare; - le specifiche misure da porre in atto nei confronti dei lavoratori e degli ospiti esposti a rischi

particolari; - le specifiche misure per le aree ad elevato rischio di incendio; - le procedure per la chiamata dei Vigili del Fuoco, per informarli al loro arrivo e per fornire la

necessaria assistenza durante l'intervento. Aggiornamento del piano di emergenza Il piano di emergenza deve essere aggiornato periodicamente, sia in caso di necessità sia in caso di variazioni. Il piano deve essere verificato periodicamente (annualmente) anche con esercitazioni. Compiti e doveri degli incaricati per la lotta antincendio, per l’evacuazione e l’emergenza e di altro personale di servizio incaricato Gli incaricati devono attuare le azioni che si rendano necessarie in caso di incendio o di emergenza antincendio, secondo quanto indicato nei capitoli seguenti. Provvedimenti necessari per l’informazione sulle procedure divulgazione del piano Deve essere data la massima divulgazione del piano di emergenza alle persone incaricate delle azioni da intraprendere. Tutti i lavoratori devono essere informati con chiare istruzioni scritte almeno sulle modalità di evacuazione e sulle procedure da attuare .

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Il piano di emergenza è utile prima che capiti l’emergenza e non durante la stessa, pertanto deve essere conosciuto e studiato prima; durante l’emergenza può al limite essere consultato. Il piano di emergenza prevede che sia sempre disponibile l’elenco dei lavoratori presenti nell’unità operativa; si consiglia pertanto di attuare disposizioni tali da avere sempre a disposizione un registro presenze (attraverso anche l’uso di badge) per essere sempre in grado di indicare con precisione il numero delle persone al momento presenti e saper gestire un’eventuale emergenza indirizzando con precisione i soccorritori esterni incaricati della gestione dell’evento.

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RISCHIO INCENDIO Principi della combustione Affinchè si verifichi il fenomeno della combustione, è necessaria la sussistenza contemporanea di tre fattori:

� Combustibile

� Comburente

� Temperatura di innesco

TRIANGOLO DEL FUOCO Combustibile

Comburente Temperatura utile d’innesco Ovvero, affinché la combustione avvenga, ovvero il fuoco si sviluppi, dobbiamo avere presenti contemporaneamente il combustibile, ovvero la sostanza che possa bruciare (legno, carta, sostanze infiammabili sia liquide che gassose, ecc.), il comburente, ovvero l’ossigeno che è comunemente nell’aria, e la temperatura utile d’innesco, ovvero un riscaldamento tale del sistema combustibile/comburente, che possa provocare il fenomeno della combustione. Questo concetto è molto importante, perché la prevenzione e la lotta agli incendi sono basate sull’azione di sottrazione di uno dei fattori della combustione al sistema precedentemente descritto. Infatti, in assenza di combustibile l’ossigeno ed il calore (entro certi limiti) non daranno mai origine a fiamme, lo stesso si può dire se avessimo del combustibile ed alta temperatura, ma in un ambiente privo di ossigeno, ne tanto meno può originarsi un incendio da una sostanza combustibile lasciata in presenza di ossigeno, ma a temperatura normale. Pertanto ai fini della prevenzione incendi è sempre bene ricordare che un eccessivo accumulo di materiale infiammabile e un eccessivo riscaldamento del suddetto materiale sono fattori che di regola amplificano il rischio di incendio, e che pertanto devono essere prevenuti ed evitati. L'ESTINZIONE DEGLI INCENDI Abbiamo accennato all'importanza di poter scoprire l'incendio sin dai primi momenti. Altrettanto importante è poter disporre di mezzi e personale antincendi per intervenire efficacemente una volta che l'incendio sia stato segnalato. Parleremo quindi dei principali mezzi di estinzione incendi, in modo che il lettore possa avere una sufficiente cognizione di quelli disponibili. I piccoli mezzi di spegnimento (secchi d'acqua, secchi di sabbia, ma principalmente estintori) sono della massima efficacia se impiegati subito e da persona sufficientemente abile, essi diventano praticamente inutili se il fuoco ha avuto la possibilità di superare lo stadio iniziale.

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Occorre quindi disporre anche di mezzi più potenti che vanno dagli estintori carrellati di grande capacità, alla rete idrica antincendi, alle attrezzature per la formazione ed il lancio della schiuma, agli impianti di spegnimento automatici ad acqua nebulizzata, a schiuma, ad anidride carbonica, ad idrocarburi alogenati eccetera. MEZZI DI ESTINZIONE PORTATILI Estintori idrici Estintori a schiuma Estintori a polvere Estintori ad anidride carbonica Estintori ad idrocarburi alogenati Gli estintori, come abbiamo visto, sono caricati con estinguenti diversi a seconda del tipo di fuoco da spegnere, che sono distinti in 4 Classi (A,B,C, e D). Nella tabella che segue sono riportati i vari tipi di fuoco che sono in grado di spegnere. I tipi di fuoco sono: - Classe "A": fuochi da materiali solidi, generalmente di natura organica, la cui combustione avviene con formazione di braci. - Classe "B": fuochi da liquidi o solidi liquefattibili. - Classe "C": fuochi da gas. - Classe "D": fuochi da metalli.

Tipi di mezzi estinguenti da utilizzare secondo la classe dei fuochi

Agente estinguente A B C D

Ad acqua si no no no

A schiuma si no no no

A polvere no si si no

Anidride carbonica 1) si no

Idrocarburi alogenati 1) si si no

1) efficacia limitata

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PRIMO SOCCORSO Prime regole Allarme: va innanzi tutto ricordato che segnalare tempestivamente un incidente ai servizi specializzati, non è soltanto un dovere umano e morale, ma è un preciso dovere del cittadino (penalmente punito: articolo 593 del Codice Penale, omissione di soccorso). Art. 593 c.p.: “Chiunque…trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità… è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila…Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte , la pena è raddoppiata”. Primo esame: dato l’allarme, si dovrà valutare la situazione ponendo particolare attenzione a tre condizioni: lo stato di coscienza dell’infortunato, la sua respirazione e la sua attività cardiaca, ricordando sempre che le condizioni generali del soggetto possono rapidamente aggravarsi con il trascorrere del tempo. Primo soccorso: spesso la vita dell’infortunato può dipendere dai primi interventi compiuti da chi giunge in suo soccorso; in ogni caso il soccorritore occasionale non deve mai sostituirsi al medico, deve però conoscere quelle manovre necessarie, che possono essere facilmente ricordate e semplici da eseguire per portare un primo soccorso. Deve inoltre ricordare e saper valutare che in talune evenienze è meglio “non fare” piuttosto che correre il rischio di peggiorare una situazione già di per sé a rischio.

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INFORTUNIO IN ITINERE L’Inail tutela i lavoratori nel caso di infortuni avvenuti durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Il cosiddetto infortunio in itinere può verificarsi, inoltre, durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi, oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. È stata riconosciuta la possibilità di indennizzo anche per l'infortunio occorso al lavoratore durante la deviazione del tragitto casa-lavoro dovuta all'accompagnamento dei figli a scuola.

Qualsiasi modalità di spostamento è ricompresa nella tutela (mezzi pubblici, a piedi, ecc.) a patto che siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Al contrario, il tragitto effettuato con l’utilizzo di un mezzo privato, compresa la bicicletta in particolari condizioni, è coperto dall’assicurazione solo se tale uso è necessitato.

Le eventuali interruzioni e deviazioni del normale percorso non rientrano nella copertura assicurativa a eccezione di alcuni casi particolari, ossia se vi siano condizioni di necessità o se siano state concordate con il datore di lavoro. Esistono, tuttavia, alcune eccezioni. Ad esempio:

interruzioni/deviazioni effettuate in attuazione di una direttiva del datore di lavoro interruzioni/deviazioni "necessitate" ossia dovute a causa di forza maggiore (ad esempio

un guasto meccanico) o per esigenze essenziali e improrogabili (ad esempio il soddisfacimento di esigenze fisiologiche) o nell'adempimento di obblighi penalmente rilevanti (esempio: prestare soccorso a vittime di incidente stradale)

interruzioni/deviazioni "necessarie" per l'accompagnamento dei figli a scuola brevi soste che non alterino le condizioni di rischio.

Utilizzo di un mezzo privato

L’utilizzo dell’automobile o dello scooter può considerarsi necessario solo in alcune situazioni. Esempi:

il mezzo fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure raggiungibile ma non in

tempo utile rispetto al turno di lavoro i mezzi pubblici obbligano a attese eccessivamente lunghe i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del

mezzo privato la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico deve essere percorsa a piedi ed è

eccessivamente lunga.

Consumo di alcool, droga e di psicofarmaci Rimangono esclusi dall'indennizzo gli infortuni direttamente causati dall'abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall'uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni, nonché dalla mancanza della patente di guida da parte del conducente.

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VIDEOTERMINALI (VDT) VIDEOTERMINALE: apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione, costituita da personal computer, sistemi di videoscrittura, di elaborazione dati, testi o immagini. POSTO DI LAVORO: l'insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale,eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, incluso il mouse, il software per l'interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l'unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l'ambiente di lavoro immediatamente circostante; LAVORATORE: il lavoratore che utilizza un'attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni. La visione occupazionale ravvicinata (meno di un metro), protratta (molte ore al giorno per molti anni), statica (minime alternanze con visione da lontano) può causare condizioni di disagio a breve-medio termine. Non è stato ancora chiarito se possa causare anche effetti a più lungo termine. Comporta un marcato e concomitante impegno di: Accomodazione: il cristallino modifica il suo potere rifrattivo per poter mettere a fuoco sulla retina un oggetto situato a meno di 5 metri; Convergenza: i globi oculari ruotano in modo simultaneo e sincrono verso l’interno, per poter far convergere i due assi visivi sull’oggetto osservato, in modo tale che la sua immagine cada sulle fovee retiniche, parti destinate alla visione distinta. I disturbi per la vista e gli occhi Muscolo-scheletrici dipendono da affaticamento fisico e mentale Derivano solitamente da:

inadeguata progettazione del posto di lavoro

modalità di svolgimento

inadeguato comportamento da parte dell’operatore I disturbi oculo-visivi danno luogo a sintomi quali:

bruciore, lacrimazione

senso di corpo estraneo

ammiccamento frequente

fastidio alla luce, pesantezza

visione annebbiata o sdoppiata

stanchezza alla lettura

cefalea Principali cause:

illuminazione inadatta

riflessi da superfici lucide

luce diretta (artificiale o naturale) su monitor o occhi

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presenza di superfici di colore estremo (bianco o nero)

difettosità del monitor

impegno visivo statico, ravvicinato, protratto nel tempo Prevenzione:

ai primi sintomi di affaticamento fare piccole pause

socchiudere le palpebre per 1/2 minuti

distogliere lo sguardo dagli oggetti vicini e rivolgerlo verso quelli lontani

verificare l’illuminazione e le tende

eliminare riflessi e/o abbagliamenti

seguire con lo sguardo il perimetro del soffitto Disturbi muscolo-scheletrici: Cause:

posizione di lavoro scorretta

errata scelta degli arredi

posizione di lavoro fissa e mantenuta per lungo tempo

movimenti rapidi e ripetitivi delle mani (uso di tastiera e mouse) Prevenzione:

verificare che la parte alta del monitor sia al livello degli occhi

verificare la distanza del monitor e della tastiera

stare seduti ben eretti con i piedi ben poggiati

regolare bene l’altezza e l’inclinazione della sedia

ai primi sintomi di dolore al collo o alle estremità concedersi una pausa alzandosi e muovendosi Gli operatori ai VDT hanno diritto ad una interruzione del lavoro mediante: pausa cambiamento di attività In assenza di contrattazione ha comunque diritto ad una pausa di 15 min. ogni 120 min. La sorveglianza sanitaria è prevista per chi utilizza i videoterminali sistematicamente e abitualmente per almeno 20 ore settimanali dedotte pause e interruzioni. E’ esercitata dal Medico Competente. Sono previste visite preventive e periodiche. Sono previsti controlli degli occhi e della vista, alla colonna vertebrale e agli arti superiori. Periodicità: biennale se classificati idonei con prescrizioni e/o quelli con più di 50 anni; tutti gli altri ogni 5 anni. I disturbi sono di tipo psicologico o psicosomatico, quali mal di testa, stanchezza, irritabilità, tensione nervosa, ansia, depressione, insonnia, problemi digestivi.

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STRESS LAVORO-CORRELATO

Gestione dello stress e dei rischi psicosociali sul lavoro. L’obiettivo è di promuovere in tutti i Paesi europei una maggiore conoscenza di questi fenomeni e contrastare le loro ricadute negative sulla salute dei lavoratori e sul benessere delle aziende. Nel continente, infatti, lo stress è la seconda causa più frequente dei problemi di salute lavoro-correlati e si stima che sia, insieme ad altri rischi psicosociali, il motivo all’origine di più della metà dei giorni di assenza per malattia.

Un fenomeno da non sottovalutare. Una gestione efficace della salute e della sicurezza sul lavoro offre dunque potenziali benefici sia per i lavoratori, sia per le aziende e anche per la società nel suo insieme. Tanto più in un periodo di incertezza economica come quello attuale, in cui l’esigenza di mantenere un elevato livello di produttività spinge spesso a lavorare sotto pressione per rispettare le scadenze.

Liquidare queste questioni come un mero obbligo amministrativo invece di affrontarle è controproducente. Ridurre i rischi psicosociali sul posto di lavoro, infatti, significa anche contribuire al miglioramento delle performance aziendali.

Ne soffre fino a una persona su sei. Più del 40% dei datori di lavoro considera i rischi psicosociali più complessi da gestire rispetto a quelli tradizionali, sia a causa della delicatezza della materia, che tocca una sfera molto personale, sia per mancanza di esperienza. Emerge inoltre la tendenza a sottovalutare la questione.

Tante le cause, dalla mancanza di tempo alle molestie. Lo stress lavoro-correlato si verifica solitamente quando il lavoratore si trova nella condizione di non riuscire a gestire un carico di lavoro eccessivo e può trasformarsi, se prolungato nel tempo, in seri problemi di salute a livello fisico e psichico. Le cause all’origine dei rischi psicosociali sono molteplici e includono la mancanza di tempo, richieste sproporzionate o contraddittorie, la distribuzione iniqua di premi, promozioni e opportunità professionali, le molestie psicologiche e sessuali, la poca chiarezza rispetto al ruolo del lavoratore in ambito aziendale, così come la discrepanza tra il lavoro che è chiamato a svolgere e le sue effettive competenze. Anche una persona molto qualificata, infatti, può finire vittima dello stress se le sue capacità non sono adeguatamente valorizzate dalle mansioni che le sono affidate.

STRESS LAVORO – CORRELATO: le 3 fasi 1. Fase di Allarme L’organismo è esposto ad un stimolo esterno. In situazioni di normalità l’individuo reagisce allo stimolo, tramite una risposta psicofisica, ottenendo così il ripristino dell’omeostasi(stato interno psicofisiologico di equilibrio). Un esempio può essere una lite in ambiente di lavoro che poi si risolve, una situazione pesante che dopo certo un periodo riesce a sbloccarsi. Quando ciò non accade si entra alla fase successiva.

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2. Fase di Resistenza L’organismo è ripetutamente e continuamente esposto all’agente stressante. In questa fase l’organismo continua a operare al di sopra del livello di potenzialità omeostatica e recupera risorse sottraendole ad altre funzioni (ad esempio: digestione, sistema immunitario).L’individuo si arrabbia continuamente, diventa facilmente irritabile con i colleghi e con la famiglia, ha problemi di memoria, digestivi, di insonnia, mal di testa, ecc. Alcuni esempi possono essere: un difficile rapporto con i colleghi, cattivo rapporto con il proprio datore di lavoro, mancanza di lavoro fisso. 3. Fase di Esaurimento L’organismo non riesce più a rispondere a nessuna richiesta. Lo stress ha superato tutte le capacità di risposta dell’organismo, conducendo così l’individuo a squilibri funzionali ed alterazioni organiche. L’individuo continua a mangiar e bere raramente e/o male, si sente infelice e depresso. Il mal di testa aumenta, la stanchezza e il senso di impotenza pervade l’organismo; tachicardia, ansia, disturbi del sonno. In condizioni gravi e in soggetti particolarmente sensibili si possono sviluppare ulcere e si possono danneggiare le arterie. LO STRESS NEL LAVORO Lo Stress nel lavoro può essere definito come un insieme di reazioni fisiche ed emotive, dannose, che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze dal lavoratore. Gli ambiti dello stress nell’ambiente di lavoro Vengono classificati in due tipologie: · lo stress associato all’esposizione ai rischi fisici:rumore, illuminazione, microclima, ecc. Ad esempio un’ individuo che lavora tutti i giorni in un reparto in cui vi è tantissimo rumore; · lo stress associato all’esposizione ai rischi psicosociali: funzione e cultura organizzativa, ruolo nell’ambito dell’organizzazione, evoluzione della carriera, autonomia decisionale/controllo, rapporti interpersonali sul lavoro, interfaccia casa/lavoro, pianificazione dei compiti, carico di lavoro, ritmo di lavoro, orario di lavoro. Fattori lavorativi Lavorare in modo frenetico, precipitoso, mancanza di concentrazione, smemoratezza, riduzione delle capacità percettive, riflessi imprecisi, irritabilità e insoddisfazione sono tutti fattori che favoriscono l’istaurarsi di condizioni di stress. Effetti Lavorativi Questi comportamenti espongono il lavoratore a situazioni di pericolo. All’aumentare della percentuale di insoddisfazione e errore sul lavoro, infatti, aumenta il rischio di infortunio e la nocività dei prodotti utilizzati (dovuto all’effetto dello stress sul sistema immunitario). Pensate a quanto è maggiore la probabilità di infortunio per un individuo, insoddisfatto, che lavora tutti giorni ad una macchina, compiendo gli stessi movimenti o le stesse azioni. POSSIBILI SOLUZIONI Di seguito alcune soluzioni che possono essere adottate per combattere lo stress da lavoro; naturalmente tali misure sono di carattere generale in quanto la percezione e la possibile quantità di stress varia per ogni attività. In generale però possiamo dire che un’azienda, impresa o ditta dovrebbe provvedere a: 1. Far scambiare, quando possibile, la tipologia di lavoro (se questo è ripetitivo)

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2. Ridurre ed eliminare, ove possibile, le fonti di variazioni di temperatura, ventilazione umidità, livello sonoro; 3. Controllare la pianificazione del lavoro, le procedure ed i compiti assegnati; 4. Assegnare le varie mansioni, adattandole alle capacità; 5. Dare sostegno ai lavoratori, fornendo supporto laddove necessario; 6. Coinvolgere direttamente i lavoratori nelle decisioni che influiscono sulle mansioni; 7. Verificare la possibilità di aumentare le competenze in funzione dei ritmi di lavoro, delle mansioni assegnate e di maggiori responsabilità del personale coinvolto; 8. Organizzare Riunioni Aziendali, laddove compaiono problematiche, al fine di stimolare il personale ad affrontare i problemi; 9. Responsabilizzare e dare importanza all’operato dei dipendenti; 10.Garantire l’armonia e parità di diritti e doveri all’interno del proprio posto di lavoro

Di particolare importanza è l’individuazione degli eventi sentinella, ovvero un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente indicativo di un serio malfunzionamento del luogo di lavoro, che può comportare danni di varia natura al lavoratore.

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MOBBING In un mercato del lavoro sempre più globale e flessibile, si riscontra un aumento di conflitti relazionali che, se mal gestiti, facilitano la comparsa di episodi e fenomeni disfunzionali riconducibili al mobbing. La definizione più conosciuta ed accreditata del fenomeno è: “il terrore psicologico, o mobbing, consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da uno o più persone, principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa, e qui costretto a restare da continue attività ostili. Queste azioni sono effettuate con un’alta frequenza (definizione statistica: almeno una volta a settimana) e per lungo periodo di tempo (definizione statistica: per almeno sei mesi). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali”. Il mobbing è comunemente definito una forma di violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi, ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro”. I segnali di allarme che le vittime di mobbing presentano a livello psicosomatico (cefalea, tachicardia, gastroenteralgie, dolori osteoarticolari, mialgie, disturbi dell’equilibrio), emozionale (ansia, tensione, disturbi del sonno, dell’umore) o comportamentale (anoressia, bulimia, potus, farmacodipendenza) possono anche essere precoci, ma se lo stimolo avverso si protrae nel tempo, oltre al possibile contributo allo sviluppo di patologie organiche, i sintomi sopra descritti, e quindi le conseguenze sulla salute eventualmente derivanti da una condizione di mobbing, possono trasformarsi in due quadri sindromici principali, che rappresentano le risposte psichiatriche a condizionamenti o situazioni esterne:

1) il Disturbo dell’Adattamento (DA) 2) il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).

Il mobbing è comunque un fenomeno sociale ed è agito, subito o favorito da esseri umani. Il mobbing è un'azione aggressiva, che vede necessariamente due attori: l´aggressore (mobber) e la sua vittima (mobbizzato), ma bisogna anche tenere presenti i cosiddetti “spettatori” (side-mobbers). La situazione tipica del mobbizzato è l'isolamento. La vittima di mobbing si sente incompresa e sola di fronte al suo nemico, in una situazione senza via di uscita, in cui non sa come vi è entrata e spesso nemmeno perché. Il mobber invece può agire da solo o cercarsi alleati. Gli spettatori, infine, sono tutte quelle persone (colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale) che non partecipano direttamente al processo di mobbing, ma che in qualche modo sono coinvolti, lo percepiscono, lo vivono di riflesso. Se anche uno spettatore non agisce direttamente, molto spesso può tramutarsi con il suo silenzio in un complice del mobber. L’organizzazione stessa subisce però delle notevoli ripercussioni negative, non solo sul piano del benessere dei propri dipendenti, ma anche in termini di calo del rendimento dei dipendenti stessi, di peggioramento del clima lavorativo, di elevato assenteismo, di turnover del personale e quindi della produttività o della qualità dei servizi.

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BURN OUT Il termine burnout (letteralmente bruciato, fuso) definisce la sindrome da stress lavorativo cronico di colui che vive una condizione di esaurimento fisico ed emozionale, mostra un atteggiamento distaccato e apatico verso il lavoro e nei rapporti interpersonali e sperimenta una sensazione d’inefficacia professionale con conseguente riduzione della produttività. Esaminata inizialmente come malattia professionale specifica delle attività socio-sanitarie, si riscontra in realtà in tutte le professioni basate sui rapporti interpersonali che comportIno un elevato investimento emotivo, colpendo soprattutto i soggetti più motivati e con elevate aspettative nei confronti del lavoro. Psicologicamente e' un processo in cui lo stress si trasforma in un meccanismo di difesa e di risposta alla tensione, con conseguenti comportamenti di distacco emozionale. Le conseguenze del burnout variano da forme piu lievi (assenteismo, lieve somatizzazione, deterioramento della prestazione lavorativa) a manifestazioni gravi (sintomi psico-fisici importanti, richiesta di trasferimento, abbandono volontario del posto di lavoro). FATTORI DI RISCHIO Tra i fattori che possono accrescere lo stress vi sono le condizioni di lavoro insufficienti, un’organizzazione carente e le “politiche” aziendali poco appaganti. Inoltre, a livello individuale, possono contribuire all’insorgenza del burnout la contestuale presenza di problematiche familiari o relazionali e la scarsa tolleranza dello stress.

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TUTELA DELLA SALUTE DELLE LAVORATRICI MADRI D. LGS. 151/01 Il datore di lavoro deve: 1) in collaborazione con il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente, consultato il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, identificare le mansioni/lavorazioni vietate per la gravidanza e/o l’allattamento; 2) integrare il documento di valutazione del rischio con l’analisi e l’identificazione delle operazioni incompatibili, indicando per ognuna di tali mansioni a rischio le misure di prevenzione e protezione che intende adottare:

3) informare tutte le lavoratrici in età fertile dei risultati della valutazione e della necessità di segnalare lo stato di gravidanza non appena ne vengano a conoscenza. D’altra parte la lavoratrice correttamente informata, consapevole cioè dei propri diritti e dei rischi per la sua salute e di quella del bambino, deve informare tempestivamente del proprio stato di gravidanza il datore di lavoro.

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DIVIETO DI FUMO SUI LUOGHI DI LAVORO

In azienda è opportuno che il fumo di tabacco venga considerato attentamente sia per l’applicazione del divieto che per la valutazione del rischio globale. L’approccio gestionale del fumo di tabacco è il modo concreto di trattare un rischio per la salute in maniera efficace anche in azienda, offrendo ai lavoratori informazione e consulenza sull’argomento al fine di proteggerli dal fumo passivo, proponendo la disassuefazione ai fumatori attivi e cercando di evitare l’iniziazione al fumo dei non fumatori. La presenza di lavoratori fumatori può comportare per l’azienda: ■ maggiori assenze per malattia; ■ aumento di incidenti e infortuni; ■ riduzione della produzione (pause per fumare); ■ contrasti con i colleghi non fumatori; ■ possibile interazione fra i prodotti del fumo di tabacco e i fattori di rischio occupazionale, con maggiore probabilità di insorgenza di patologie; ■ possibile effetto dei prodotti del fumo sui beni aziendali con azioni di tipo chimico e meccanico (su parti metalliche, su parti di strumenti meccanici di precisione, ecc.); ■ aumento delle spese aziendali per pulizia e manutenzione aree fumatori; ■ perdita economica (per ogni lavoratore che fumi 6 sigarette/giorno con 5 minuti di pausa, la perdita è di circa 1.080 euro/anno per i 30 minuti al giorno di lavoro remunerato ma non prestato). Una gestione aziendale mirata al fumo di tabacco può determinare per tutti i lavoratori i seguenti vantaggi: ■ miglioramento delle condizioni di salute; ■ miglioramento delle relazioni con i colleghi (benessere personale e di gruppo); ■ miglioramento dell’ambiente di lavoro; ■ promozione della salute. I vantaggi per l’azienda sono invece i seguenti: ■ aumento della produttività; ■ miglioramento dell’immagine dell’azienda; ■ diminuzione dei conflitti aziendali; ■ diminuzione delle spese. Oltre all’applicazione del divieto assoluto di fumo (all’interno e all’esterno) ed alle misure generali di prevenzione incendi come riportato dall’art. 46 del D.Lgs.81/2008, il Datore di Lavoro con la collaborazione dell’RSPP: ■ deve dare segnali chiari e univoci di divieto di fumo nei locali chiusi non privati ai sensi dell’art. 51 della L. 3/2003 posizionando idonea cartellonistica e istituendo la vigilanza sul rispetto del divieto; è infatti interesse del Datore di Lavoro mettere in atto e far rispettare il divieto, anche per

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tutelarsi da eventuali rivalse da parte di tutti coloro che potrebbero instaurare azioni risarcitorie per danni alla salute causati dal fumo; ■ come “promotore della salute” può elaborare una politica di gestione del fumo di tabacco in azienda coinvolgendo i lavoratori e le altre figure della prevenzione per la salute e sicurezza in azienda; ■ può (ma non è obbligato) istituire nella propria azienda i locali riservati ai fumatori (anche se gli appositi impianti di ventilazione non sembrano in grado di abbattere, sia all’interno che all’esterno, i rischi per la salute legati alla esposizione a fumo passivo); ■ in collaborazione con il Medico Competente e il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, come previsto dal D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., deve fare informazione sui rischi supplementari dovuti al fumare per gli esposti ad agenti cancerogeni e/o mutageni (art. 239) e all’amianto (art. 257), sulle misure di prevenzione del fumo adottate nel luogo di lavoro e su quanto previsto dalla normativa vigente per la violazione del divieto di fumo; ■ deve informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute derivanti dal fumo di tabacco attivo e passivo, sulle misure di prevenzione del fumare adottate nel luogo di lavoro, sulle procedure previste dalla normativa vigente per la violazione del divieto e sulle modalità efficaci per smettere di fumare; ■ deve valutare ed eventualmente inserire nel Documento Valutazione Rischi (DVR) l’esposizione al fumo passivo dei lavoratori impiegati nei locali riservati ai fumatori come esposizione ad agenti chimici pericolosi; deve individuare e applicare le adeguate misure di prevenzione e di protezione ed elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza degli esposti a fumo passivo. La normativa vigente sul divieto di fumo prima del 2003 riguardava solo alcuni luoghi pubblici (sale corse, cinema, ospedali, scuole, ecc.) e tutelava solo i lavoratori impiegati in particolari attività per le quali il fumare sarebbe stato pericoloso. Con l’entrata in vigore della L. 3/2003, art. 51 “Tutela della salute dei non fumatori” il divieto di fumo è stato esteso a tutti i locali chiusi, con le sole eccezioni dei locali riservati ai fumatori e quelli privati non aperti a utenti e al pubblico. In base alla legge, devono essere nominati degli “addetti” autorizzati a vigilare sul rispetto del divieto e, in ambito pubblico, accertare le infrazioni ed elevare multe. Coloro cui spetta, per legge, regolamento o disposizioni di autorità, assicurare l’ordine all’interno dei locali dove vige il divieto, nonché i conduttori dei locali pubblici, curano l’osservanza del divieto, esponendo, in posizione visibile, i cartelli elaborati ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. I cartelli devono essere adeguatamente visibili e recare la scritta “Vietato fumare”, integrata dalle indicazioni della relativa prescrizione di legge, delle sanzioni applicabili ai contravventori e dei soggetti cui spetta vigilare sull’osservanza del divieto e cui compete accertare le infrazioni. Oltre alle sanzioni di carattere generale, per l’inosservanza del divieto di fumo nei luoghi di lavoro, altre sanzioni sono previste per i lavoratori, i Datori di Lavoro, i Dirigenti e preposti come da D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. riguardo l’esposizione a fumo passivo. Sanzioni per il Datore di Lavoro e i Dirigenti ■ Al Datore di Lavoro che non abbia valutato il rischio di esposizione a fumo passivo e che non abbia per questo impartito delle direttive riguardo il divieto di fumo in tutti gli ambienti chiusi

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può essere contestata la violazione dell’art. 223, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. (mancata valutazione del rischio da esposizione ad agenti chimici pericolosi). ■ Al Datore di Lavoro che consenta ai lavoratori di fumare e che, quindi, non garantisca la salubrità dell’aria dei locali di lavoro può anche essere contestata la violazione dell’art.64, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. ■ Al Datore di Lavoro che non segnali il divieto di fumare con l’apposita cartellonistica potrà essere contestata la violazione dell’art. 163 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. ■ Al Datore di Lavoro o al Dirigente che non richieda il rispetto del divieto di fumare negli ambienti in cui ciò è proibito potrà essere contestata la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. f, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. ■ Al Datore di Lavoro o al Dirigente che non abbia provvisto i locali ove vi sia esposizione ad agenti cancerogeni di segnali riportanti il divieto di fumo o che non abbia previsto il divieto di fumo in dette aree può essere contestata la violazione dell’art. 237,lett. b, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. Sanzioni per i preposti ■ Al preposto che non richieda il rispetto del divieto di fumare negli ambienti in cui ciò è proibito potrà essere contestata la violazione dell’art. 19, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. Sanzioni per i lavoratori ■ Al lavoratore che trasgredisca il divieto di fumo negli ambienti in cui ciò è proibito potrà essere contestata la violazione dell’art. 20, comma 2, lett. b, del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.

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MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI (MMC) Come previsto dall’articolo 28 del decreto 81/08 il datore di lavoro (D.L.) valuta questo rischio in rapporto all’attività dell’azienda e alla mansione specifica dei lavoratori. Tale valutazione deve essere inserita nel documento di valutazione dei rischi (D.V.R.). Tutte le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico sono movimentazione manuale. Tali norme si applicano ad ogni azione di movimentazione manuale in tutti i contesti di lavoro; sotto un profilo pratico le procedure di valutazione dovrebbero rivolgersi a:

Carichi di peso superiore a 3 Kg

Azioni di movimentazione che vengono svolte non occasionalmente (ad es. con frequenze medie di 1 volta ogni ora nella giornata lavorativa tipo). I limiti del carico movimentabile manualmente sono selezionati in funzione della necessità di garantire un livello di protezione della popolazione lavorativa adulta sana e, pertanto, dovranno essere scelti limiti differenziati per sesso e fascia di età. Partendo da un peso ideale di 23 Kg che viene considerato protettivo per il 99% dei maschi adulti e per il 75 – 90 % delle donne, in Italia, sulla base anche dei dati esistenti in letteratura, si preferisce partire da un peso ideale di 25 Kg per i maschi adulti e 20 Kg per le femmine adulte; in tal modo si protegge circa il 90% delle rispettive categorie. Per quanto riguarda le azioni di sollevamento, viene ormai universalmente adottato il metodo NIOSH che, oltre ad essere utilizzato negli USA da molti anni e quindi ben collaudato, rappresenta la base per numerosi standard europei in corso di elaborazione. Il più recente modello proposto dal NIOSH è in grado di determinare, per ogni azione di sollevamento, il cosidetto RWL (Recommended Weight Limits) O “LIMITE DI PESO RACCOMANDATO”. Il datore di lavoro adotta misure organizzative necessarie o ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una MMC da parte dei lavoratori. Qualora non sia possibile evitare la MMC ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la MMC in osservanza alle norme ISO di buona tecnica previste nell’allegato XXXIII . In ambito INAIL le malattie denunciate con maggior frequenza sono:

1. Affezioni della colonna vertebrale (spondilo-discopatie del rachide lombare) 2. Sindrome del tunnel carpale 3. Tendinopatie della mano e del polso 4. Epicondilite 5. Sindrome da impingement della spalla 6. Borsiti croniche del ginocchio

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I PRINCIPI DELLA PREVENZIONE

Partendo dal presupposto che occorre evitare la movimentazione manuale dei carichi adottando a livello aziendale misure organizzative e mezzi appropriati, quali le attrezzature meccaniche, occorre tener presente che in alcuni casi non è possibile fare a meno della MVC.

In quest'ultima situazione, oltre ad alcuni accorgimenti che il datore di lavoro adotterà dal punto di vista organizzativo (es. suddivisione del carico, riduzione della frequenza di sollevamento e movimentazione, miglioramento delle caratteristiche ergonomiche del posto di lavoro), è opportuno che il lavoratore sia a conoscenza che la MVC può costituire un rischio per la colonna vertebrale in relazione a: 1. Caratteristiche del carico:

è troppo pesante le donne in gravidanza non possono essere adibite al trasporto e al sollevamento di pesi,

nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri durante la gestazione fino a sette mesi dopo il parto (legge 1204/71);

è ingombrante o difficile da afferrare; non permette la visuale; è di difficile presa o poco maneggevole; è con spigoli acuti o taglienti; è troppo caldo o troppo freddo; contiene sostanze o materiali pericolosi; è di peso sconosciuto o frequentemente variabile; l'involucro è inadeguato al contenuto; è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi; è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa

distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco; può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il

lavoratore, in particolare in caso di urto. 2. Sforzo fisico richiesto:

è eccessivo può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco è compiuto con il corpo in posizione instabile può comportare un movimento brusco del corpo

3. Caratteristiche dell'ambiente di lavoro: lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell'attività

richiesta il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o di scivolamento per le scarpe

calzate del lavoratore il posto o l'ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale

dei carichi a un'altezza di sicurezza o in buona posizione il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del

carico a livelli diversi il pavimento o il punto di appoggio sono instabili

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la temperatura, l'umidità o la circolazione dell'aria sono inadeguate. 4. Esigenze connesse all'attività:

sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati

periodo di riposo fisiologico o di recupero insufficiente distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.

Inoltre il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi: inidoneità fisica a svolgere il compito in questione indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione

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MOVIMENTAZIONE DEI CARICHI CON MEZZI MECCANICI

Senza addentrarci in descrizioni dettagliate dei vari mezzi meccanici, che non sarebbero adatti alla presente dispensa, ci limitiamo ad elencare i più comuni:

Gru a cavalletto

Carroponte

Gru a bandiera

Fork lift (muletto)

Gru semovente

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Pala meccanica

Un apparecchio di sollevamento è una macchina destinata al sollevamento ed alla manovra di carichi sospesi tramite ganci o altri dispositivi di trattenuta del carico. Le operazioni di carico e di scarico da effettuare con i mezzi di sollevamento e di trasporto comportano obblighi per i dirigenti ed i preposti che non si esauriscono con le istruzioni date ai dipendenti in ordine ai rischi a cui sono esposti, ma si estende all’attuazione delle misure di sicurezza indicate dalla legge e ad esigere l’osservanza puntuale da parte dei lavoratori dipendenti. Il Datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano: · installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso, · oggetto di idonea manutenzione, · assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza ; Provvede altresì che siano curati la tenuta e l’aggiornamento del registro di controllo delle attrezzature di lavoro per cui lo stesso è previsto. il Datore di lavoro sottopone le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutare l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza .

Regole comuni:

1. I lavoratori devono utilizzare i macchinari affidatigli con diligenza e cura, seguendo le corrette modalità di utilizzo descritte nel Manuale d’uso.

2. Non è consentito rimuovere o modificare le protezioni, salvo che durante la manutenzione; in questo caso le operazioni andranno effettuate in completa sicurezza, seguendo le istruzioni del Manuale d’uso e manutenzione e dietro autorizzazione del responsabile aziendale.

3. Non è consentito riparare, lubrificare o cambiare parti meccaniche con il macchinario in movimento o in esercizio.

4. Se si rende necessario introdurre mani o parti del corpo all’interno della macchina, questa deve essere messa in condizioni di fermo assoluto e garantito.

5. La guida o l’uso dei mezzi di sollevamento sono consentite solo a personale qualificato, in possesso dei requisiti psico-fisici e professionali adeguati.

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USO IN SICUREZZA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO Si intende per attrezzatura di lavoro: Qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto destinato ad essere usato durante il lavoro; Si intende per uso di una attrezzatura di lavoro: Qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale:

La messa in servizio o fuori servizio,

L’impiego,

Il trasporto,

La riparazione,

La trasformazione,

La manutenzione,

La pulizia,

Il montaggio,

Lo smontaggio; Si intende per zona pericolosa: Qualsiasi zona in prossimità di una attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso; Si intende per lavoratore esposto: Qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa; Si intende per operatore: Il lavoratore incaricato dell'uso di una attrezzatura di lavoro. Le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. Si considerano conformi le attrezzature di lavoro costruite secondo le prescrizioni dei decreti ministeriali Il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di legge, le attrezzature devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie. Nella scelta delle attrezzature, il datore di lavoro deve prendere in considerazione:

Le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;

I rischi presenti nell'ambiente di lavoro;

I rischi derivanti dall'impiego delle attrezzature stesse;

I rischi derivanti da interferenze con le altre attrezzature già in uso.

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Il Datore di Lavoro deve prendere le misure necessarie affinché:

Le attrezzature di lavoro siano installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso;

Siano oggetto di idonea manutenzione;

Siano corredate da apposite istruzioni d'uso e libretto di manutenzione comprensibili all’operatore;

Siano assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza

Siano curati la tenuta e l'aggiornamento del registro di manutenzione e controllo delle attrezzature. Il Datore di Lavoro prende le misure necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante l'uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell'ergonomia. Inoltre il datore di lavoro deve provvedere affinché': Le attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione siano sottoposte a un controllo iniziale (dopo l'installazione e prima della messa in esercizio). Deve provvedere affinché' le attrezzature soggette deterioramenti siano sottoposte a controlli periodici, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, e siano sottoposte a controlli straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano:

Riparazioni,

Trasformazioni,

Incidenti,

Periodi prolungati di inattività;

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I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE Si intende per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato «DPI», qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. Non costituiscono DPI:

Gli indumenti di lavoro ordinari

Le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio

Le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell'ordine pubblico;

Le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto stradali;

I materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attività lavorative;

I materiali per l'autodifesa o per la dissuasione;

Gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o non possono essere ridotti da misure tecniche di prevenzione, o non possono essere ridotti da mezzi di protezione collettiva, o non possono essere ridotti da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro. I DPI:

Devono essere conformi alle norme di cui al D.Lgs 4/12/92, n. 475, e sue successive modificazioni;

Devono inoltre essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;

Devono essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;

Devono tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;

Devono poter essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità. In caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:

Deve effettuare l'analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;

Deve individuare le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi;

Deve aggiornare la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

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Il datore di lavoro, sulla base delle norme d'uso fornite dal fabbricante, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, in funzione:

Dell’entità del rischio;

Della frequenza dell'esposizione al rischio;

Delle caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore;

Delle prestazioni del DPI. Il datore di lavoro:

Deve mantenere in efficienza i DPI e ne deve assicurare le condizioni d'igiene;

Deve provvedere a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti,

Deve fornire istruzioni comprensibili per i lavoratori;

Deve destinare ogni DPI ad un uso esclusivamente personale;

Deve informare preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge;

Deve assicurare una formazione adeguata circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI. I lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento utilizzano i DPI messi a loro disposizione in conformità alla informazione, alla formazione all'addestramento ricevute. I lavoratori:

Devono provvedere alla cura dei DPI messi a loro disposizione;

Non vi devono apportare modifiche di propria iniziativa. I lavoratori devono segnalare immediatamente qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione. Si ripotano alcuni DPI di uso più comune:

DPI di protezione della testa

DPI protezione dell’udito

DPI protezione occhi e viso

DPI protezione vie respiratorie

DPI protezione mani e braccia

DPI protezione piedi e gambe

DPI protezione della pelle

DPI protezione intero corpo

DPI di sostegno del corpo – imbracature di sicurezza.

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Il RUMORE DEFINIZIONE DI RUMORE Il suono è un’oscillazione di pressione acustica che si propaga nell’aria con caratteristiche particolari di frequenza e di livello tali da renderli udibili al nostro orecchio Il RUMORE è un suono le cui caratteristiche di frequenza, livello e variabilità nel tempo intensità, da risultare fastidioso o addirittura dannoso per la salute. TIPOLOGIA DI RUMORE Rumore COSTANTE: Livello sonoro con variazioni trascurabili nel tempo Rumore FLUTTUANTE: Livello sonoro estremamente variabili nel tempo Rumore IMPULSIVO: Livello sonoro con elevati picchi di breve durata UNITA’ DI MISURA DEL RUMORE L’unità di misura del rumore è il decibel (dB) È un’unità LOGARITMICA, non lineare Se la pressione acustica emessa raddoppia ciò corrisponde a un aumento all’incirca di 3 dB La percezione del rumore avviene a livello dell’ORECCHIO UMANO sottoforma di pressione acustica. CLASSIFICAZIONE DEL RUMORE DANNOSO: Quando in funzione del livello e del tempo di esposizione si superano i limiti di legge. DISTURBANTE: Indipendentemente dal livello e dalla durata di esposizione, genera effetti psicologici negativi sulla persona. EFFETTI DEL RUMORE FISIOLOGICI

Perdita di udito Mal di testa Problemi

cardiocircolatori

PSICOLOGICI

Stress Nervosismo Tensione

Disturbi della

comunicazione

Abbattimento Insonnia

Il D. Lgs. 81-08 testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro prende a riferimento i contenuti

del DLgs 195/2006 e li riporta nel Titolo VIII Capo Il ed in particolare introduce:

a) il livello, il tipo e la durata dell'esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a rumore impulsivo;

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b) i valori limite di esposizione e i valori di azione;

c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore;

d) per quanto possibile a livello tecnico, tutti gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori

derivanti da interazioni fra rumore e sostanze ototossiche connesse con l'attività svolta e fra

rumore e vibrazioni;

e) tutti gli effetti indiretti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazioni

fra rumore e segnali di avvertimento o altri suoni che vanno osservati al fine di ridurre il

rischio di infortuni;

f) le informazioni sull'emissione di rumore fornite dai costruttori dell'attrezzatura di lavoro in

conformità alle vigenti disposizioni in materia;

g) l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l'emissione di rumore;

h) il prolungamento del periodo di esposizione al rumore oltre l'orario di lavoro normale, in

locali di cui è responsabile;

i) le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile,

quelle reperibili nella letteratura scientifica;

j) la disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito con adeguate caratteristiche di

attenuazione.

Valutazione e Misurazione devono essere programmate ed effettuate con cadenza

almeno quadriennale, da personale adeguatamente qualificato.

In ogni caso il datore di lavoro è chiamato ad aggiornare la Valutazione dei Rischi in occasione di

notevoli mutamenti che potrebbero averla resa superata e quando i risultati della Sorveglianza

sanitaria ne dovessero mostrare la necessità.

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valori limite di esposizione rispettivamente LEX,8h= 87 dB(A) e ppeak= 200 Pa (140 dB(e) riferito a 20 (micro)Pa); valori superiori di azione: rispettivamente LEX, 8h= 85 dB(A) e ppeak= 140 Pa (137 dB(e) riferito a 20 (micro)pa); valori inferiori di azione: rispettivamente LEX, 8h= 80 dB(A) e ppeek= 112 Pa (135 dB(e) riferito a 20 (micro)Pa).

A seguito della Valutazione e/o della Misurazione svolta, il datore di lavoro deve

provvedere a eliminare i rischi alla fonte o a ridurli al minimo ed in ogni caso a livelli non

superiori ai valori limite di esposizione, attraverso Misure di Prevenzione e Protezione di seguito

riportate:

a) adozione di altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione al rumore;

b) scelta di attrezzature di lavoro adeguate, tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il

minor rumore possibile, inclusa l'eventualità di rendere disponibili ai lavoratori attrezzature

adeguate alla normativa vigente, il cui obiettivo o effetto è di limitare l'esposizione al rumore;

c) progettazione della struttura dei luoghi e dei posti di lavoro;

d) adeguata informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da

ridurre al minimo la loro esposizione al rumore;

e) adozione di misure tecniche per il contenimento:

1) del rumore trasmesso per via aerea, quali schermature, involucri o rivestimenti

realizzati con materiali fonoassorbenti;

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2) del rumore strutturale, quali sistemi di smorzamento o di isolamento;

f) opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro e dei

sistemi sul posto di lavoro;

g) riduzione del rumore mediante una migliore organizzazione del lavoro attraverso la

limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione e l'adozione di orari di lavoro appropriati,

con sufficienti periodi di riposo.

Qualora dovesse risultare dalla Valutazione che i valori superiori di azione risultino oltrepassati, il

datore di lavoro deve provvedere ad elaborare e ad applicare un Programma di misure tecniche e

organizzative volte a ridurre l'esposizione al rumore, considerando in modo particolare le Misure

di Prevenzione e Protezione sopraelencate. Inoltre, i luoghi di lavoro dove i lavoratori possono

essere esposti ad un rumore al di sopra dei valori superiori di azione devono essere indicati da

apposita segnaletica, delimitati e, quando possibile, ne deve venire limitato l'accesso ai soli addetti

ai lavori.

Prevenzione

In caso di impossibilità ad evitare i rischi da esposizione al rumore attraverso le Misure

di Prevenzione e Protezione, il datore di lavoro deve provvedere a fornire ai lavoratori

Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) per l'udito conformi alle normative vigenti:

a) nel caso in cui l'esposizione al rumore superi i valori inferiori di azione il datore di lavoro

mette a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale dell'udito;

b) nel caso in cui l'esposizione al rumore sia pari o al di sopra dei valori superiori di azione fa

tutto il possibile per assicurare che vengano indossati i dispositivi di protezione individuale

dell'udito;

c) sceglie dispositivi di protezione individuale dell'udito che consentano di eliminare il rischio

per l'udito o di ridurlo al minimo, previa consultazione dei lavoratori o dei loro

rappresentanti;

d) verifica l'efficacia dei dispositivi di protezione individuale dell'udito

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LE VIBRAZIONI Come per la valutazione acustica il D.lgsl. 81-08 testo unico sulla sicurezza nei luoghi di

lavoro prende a riferimento i contenuti del DLgs 187/2005 ed in particolare introduce la

Valutazione dell'esposizione alle vibrazioni nei luoghi di lavoro.

Capo III - Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a vibrazioni

Art. 200. - Definizioni

1. Ai fini del presente capo, si intende per:

a) vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al

sistema mano-braccio nell'uomo, comportano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori,

in particolare disturbi vascolari, osteoarticolari, neurologici o muscolari;

b) vibrazioni trasmesse al corpo intero: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al corpo

intero, comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare lombalgie e

traumi del rachide;

c) esposizione giornaliera a vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio A(8): [ms-2]: valore

mediato nel tempo, ponderato in frequenza, delle accelerazioni misurate per una giornata

lavorativa nominale di otto ore;

d) esposizione giornaliera a vibrazioni trasmesse al corpo intero A(8): [ms-2]: valore mediato

nel tempo, ponderato, delle accelerazioni misurate per una giornata lavorativa nominale di otto

ore.

Le vibrazioni sono movimenti periodici di un corpo più o meno elastico in direzioni alternate ed

opposte rispetto ad una posizione di equilibrio.

L’ intervallo di frequenza delle vibrazioni a cui può essere sottoposto il corpo umano in rapporto

ai diversi tipi di attività lavorativa è compreso tra 1 e 400 Hz ( cicli al secondo).

L’art 200 introduce la definizione di VALORE GIORNALIERO( per una giornata lavorativa di

8 ore) DI ESPOSIZIONE ALLE VIBRAZIONIN MECCANICHE AL :

1) SISTEMA MANO – BRACCIO (HAV)

2) AL CORPO INTERO ( WBV)

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VIBRAZIONI AL CORPO INTERO WBV

È noto che attività lavorative svolte a bordo di mezzi di trasporto o di movimentazione quali:

ruspe, pale meccaniche, trattori, macchine agricole, autobus, carrelli elevatori, camion,

imbarcazioni, ecc., espongono il corpo a vibrazioni o impatti che possono risultare nocivi per i

soggetti esposti.

Dai numerosi studi epidemiologici pubblicati in letteratura sugli effetti dell’esposizione a

vibrazioni meccaniche trasmesse al corpo intero (Whole Body Vibration), appare che alcuni

disturbi si riscontrino con maggior frequenza tra lavoratori esposti a vibrazioni, piuttosto che tra

soggetti non esposti.

I conducenti e gli operatori di macchinari mobili che lavorano in posizione assisa sono esposti a

vibrazioni e urti trasmessi al corpo intero attraverso il sedile e il pavimento.

È stato stimato che una frazione tra il 4 e 7% della forza lavoro in USA, Canada e alcuni Paesi

Europei tra cui l’Italia è potenzialmente esposta a vibrazioni trasmesse a tutto il corpo di elevata

intensità.

Studi epidemiologici dimostrano che i conducenti e gli operatori che lavorano in posizione assisa

in un macchinario mobile (veicoli e macchinari edili e per la movimentazione merci, trattori

agricoli e forestali, autocarri, gru a ponte, ecc.) sono più soggetti a sviluppare mal di schiena

(localizzato nella parte bassa della colonna vertebrale) e sciatica prima di altre categorie di

lavoratori.

Vi è una sufficiente evidenza epidemiologica che il rischio di insorgenza di patologie del rachide

lombare aumenta con l’aumentare della durata e dell’intensità dell’esposizione a vibrazioni

trasmesse al corpo intero.

Il mal di schiena? Ha molteplici cause……

Una scorretta posizione di guida

Una prolungata postura assisa

Una scarsa visibilità che costringe il conducente a movimenti di torsione ed estensione

Cattive condizioni del sedile

Guida troppo veloce su un fondo stradale dissestato

Attività che comportino una sollecitazione sulla schiena, come spostare oggetti pesanti

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Disturbi cervico-brachiali derivanti da movimenti di rotazione e torsione del capo, dai

movimenti ripetitivi del sistema mano-braccio-spalla per azionare i comandi dei veicoli e

dall’esposizione a vibrazioni meccaniche.

Per le vibrazioni trasmesse al corpo intero:

a) il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è

fissato a 1 m/s2;

b) il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 0,5

m/s2.

c) Nel caso di variabilità del livello di esposizione giornaliero va considerato il livello giornaliero

massimo ricorrente.

VIBRAZIONI MANO – BRACCIO

Sono prodotte dall’uso di strumenti vibranti che vengono distinti in 2 categorie:

A) strumenti pesanti di 40-45 Kg come:

martelli e perforatori pneumatici che producono vibrazioni variabili da 20 a 80 Hz di frequenza,

con elevata accelerazione;

B) strumenti leggeri fino a 10 Kg, di norma azionati da motori elettrici come le mole ad albero

flessibile che producono frequenze vibratorie comprese fra i 150 e gli 800 Hz

L’utilizzo degli attrezzi a mano comporta un rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori con

disturbi:

1)vascolari

2)osteoarticolari

3)neurologici

4)muscolari

La patogenesi è individuata nel microtraumatismo vibratorio ripetuto, nell’ipertono muscolare

riflesso, nello sforzo muscolare necessario per sostenere lo strumento vibrante, con azione

accessoria del freddo per riflusso sulle mani del lavoratore dell’aria compressa raffreddata dalla

decompressione.

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Manifestazioni angioneurotiche:

i sintomi sono inquadrabili nel fenomeno di Raynaud, ed interessano le estremità distali degli arti

superiori a volte le sole dita delle mani.

Parestesie , formicolii, senso di intorpidimento, diminuizione della sensibilità tattile ai polpastrelli:

sono sintomi a carattere permanente o accessuale, specie sotto l’azione di stimoli freddi.

Progredendo l’esposizione, si ha la comparsa della sincope locale delle estremità o “ fenomeno

del dito bianco” accompagnato da insensibilità tattile/dolorifica e difficoltà dei movimenti.

Osteoartroparia da vibranti:consiste in fenomeni del tipo artrosi deformante con dolori e

scroscii articolari.

Colpisce soprattutto le piccole ossa del carpo, sotto forma di pseudo cisti ossee: le articolazioni

interessate sono: polso , gomito e spalla.

I lavoratori più colpiti sono:minatori , cavatori , lavoratori edili, operatori dell’industria

metalmeccanica e metallurgica.

Lesioni tendinee

I traumi vibratori associati a posture incongrue, movimenti ripetitivi, elevata forza applicata

all’impugnatura, possono provocare l’infiammazione dei tendini con le degenerazioni

conseguenti.

Manifestazioni neuro/muscolari: turbe neurosensitive interessano le estremità distali degli arti

superiori e coinvolgono il territorio del nervo Mediano(s. del Tunnel C.) ed Ulnare e talora anche

il n. Radiale; la sensibilità vibrotattile è particolarmente compromessa> nel lavoratori che usano :

smerigliatrici, motoseghe e strumenti odontoiatrici.

MISURAZIONE

FASE A· Con la direzione aziendale, i preposti ed i rappresentanti dei lavoratori vengono

individuate le postazioni di lavoro ritenute significative per la campagna di valutazione.

FASE B - Una volta individuate le postazioni significative, vengono studiate macchine

utensili e mezzi tramite metodologie come previsto dalla normativa sopracitata.

FASE C - Ad indagine ultimata verranno redatte le relative certificazioni comprensive delle

descrizioni di:

postazioni e ciclo di lavoro;

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durata del ciclo completo;

valore misurato in Accelerazione Equivalente riferita alle 8 ore lavorative (A8 = m/s2);

eventuale superamento dei valori limite.

FASE D - Stesura di rapporto secondo quanto previsto dalla normativa e secondo i contenuti

delle linee guida ISPESL:

a.descrizione della tipologia produttiva, del ciclo di impianti a rischio, dell'elenco addetti e tempi

di esposizione;

b. descrizione della strumentazione e metodologia di lavoro utilizzate;

c. elenco dei livelli di accelerazione;

d. valutazione della situazione esaminata tramite individuazione dei livelli di esposizione dei

lavoratori e delle aree a rischio;

e. descrizione degli eventuali adempimenti a cui l'azienda deve adeguarsi in ragione dei

livelli di esposizione individuati.

Valori limite di esposizione e valori di azione per le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio:

a) il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è

fissato a 5 m/s2;

b) il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, che fa scattare

l'azione è fissato a 2,5 m/s2

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IL RISCHIO ELETTRICO L’elettricità è la forma di energia più versatile presente in natura. Può essere pericolosa se non viene usata correttamente. Alcune norme possono aiutare a minimizzare i rischi elettrici e a ridurre incidenti ed infortuni. Il rischio elettrico non può essere eliminato, ma può essere controllato attraverso la formazione e informazione dei lavoratori nonché mediante semplici regole comportamentali La gravità degli effetti è in funzione dei seguenti parametri:

• l’intensità della corrente

• La durata del contatto

• Il percorso della corrente nel corpo umano

CONTATTO DIRETTO: si intende il contatto di una persona con una parte attiva, cioè in tensione, dell’impianto P.e. contatto con un conduttore non protetto,… CONTATTO INDIRETTO: Si ha quando una persona tocca una parte di un utilizzatore elettrico che normalmente non deve essere in tensione, ma ché può trovarsi in tensione per difetto di isolamento. P.e. l’involucro metallico di una macchina alimentata elettricamente. Protezione dai contatti diretti.

• Protezione passiva: segregare e rendere inaccessibili le parti attive mediante

isolamento, barriere, involucri,….

• Protezione attiva: Interruzione immediata dell’alimentazione in caso di contatto

diretto, ottenuta mediante l’uso di interruttore differenziale ad alte sensibilità

Protezione dai contatti indiretti

• Senza interruzione di alimentazione:Utilizzo esclusivo di componenti di classe II

Protezione attiva:Uso di impianto di terra coordinato con l’interruttore generale di protezione dei circuiti elettrici (interruttore differenziale,…) Impianto di messa a terra collegare una massa a terra vuol dire stabilire un collegamento elettrico tra la massa e il terreno a potenziale zero; In Italia i lavori elettrici sono regolati da leggi e norme tecniche: D.Lgs 81/08 (analisi del rischio; formazione e informazione) La nuova norma europea CEI EN 50110 (CEI 11-48) si basa sugli stessi principi del D.Lgs. 81/08 (analisi del rischio, formazione, organizzazione, ecc.) Definizione di lavoro elettrico: CEI EN 50110 Lavori su, con o in prossimità di un impianto elettrico quali: Prove e misure, riparazioni, sostituzioni, modifiche, ampliamenti, ispezioni. CEI 11-27 Lavori su impianti elettrici con accesso alle parti attive e conseguente rischio di folgorazione o arco elettrico

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Si è in presenza di un lavoro elettrico solo quando viene coinvolta una parte attiva di un impianto elettrico. Tipi di lavori elettrici In funzione dello stato delle parti attive (fuori tensione o in tensione), si possono avere: Parti attive sotto tensione Parti attive fuori tensione La nuova norma cei 11-27 integra la norma cei en 50110 e definisce: a) i ruoli e le competenze nella organizzazione del lavoro;

b) i criteri per l’attribuzione delle qualifiche al personale;

c) l’idoneità ai lavori sotto tensione in bt;

d) i requisiti minimi formativi delle persone.

In base alla istruzione, esperienza, affidabilità, le persone sono suddivise in: PERSONA ESPERTA (PES), Persona formata in possesso di specifica istruzione ed esperienza tali da consentirle di evitare i pericoli che l’elettricità può creare (Modulo 1A + 1B) PERSONA AVVERTITA (PAV), Persona formata, adeguatamente istruita in relazione alle circostanze contingenti, da Persone Esperte, per metterla in grado di evitare i pericoli che l’elettricità può creare PERSONA COMUNE (PEC), Persona non Esperta e non Avvertita nel campo delle attività elettriche In base alla norma CEI EN 50110 i LAVORI SOTTO TENSIONE possono essere eseguiti solo da PERSONA IDONEA, cui sono riconosciute le capacità tecniche adeguate ad eseguire specifici lavori sotto tensione. PEI = PES o PAV + conoscenze teorico - pratiche relative ai lavori sotto tensione (moduli 2A + 2B)

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EFFETTI DI UNA SCARICA ELETTRICA SUL CORPO UMANO

Premessa La corrente elettrica è un flusso di cariche elettriche tra due punti di un corpo conduttore avente un diverso potenziale elettrico. Un conduttore è qualunque materiale attraversato da una corrente elettrica, esso può essere un buon conduttore ed opporre poca resistenza od un cattivo conduttore dove la conducibilità elettrica è esigua. In tutti i conduttori attraversati da una corrente elettrica si sviluppa una quantità di calore che è direttamente proporzionale al quadrato dell'intensità, alla resistenza del conduttore e al tempo. In qualunque conduttore il passaggio di un flusso di elettroni genera un campo elettrico ed un campo magnetico. L'induzione elettromagnetica è il fenomeno per cui un circuito percorso da corrente, genera una tensione su un circuito vicino senza una connessione fisica, ma solo per via magnetica. Il passaggio della corrente elettrica nei conduttori solidi avviene solo sulla loro superficie. Quando una scarica elettrica attraversa il corpo umano, per la particolarità del conduttore, esso subisce varie modificazioni chimiche, fisiche e biologiche. Negli USA lo shock elettrico primario è associato ad una mortalità di circa 0,5 per 100.000 persone l'anno. Su 1.000 decessi 5.000 necessitano di un trattamento d'emergenza. In Italia le folgorazioni rappresentano circa il 4% degli infortuni mortali sul lavoro e sono tra il 3% e il 5% dei ricoveri per ustioni. In presenza di un incidente di natura elettrica, dove la persona colpita diventa parte di un circuito o peggio quando interposto tra due conduttori chiude prima il circuito, i danni spesso sono attribuiti al solo valore della tensione mentre concorrono altre variabili:

· Tipo di onda elettromagnetica (sinusoidale, continua, pulsante)

· Effetto Joule (quantità di calore dissipato)

· Frequenza delle onde (le basse frequenze Hertziane risultano essere quelle più pericolose)

· Impedenza del conduttore (la resistenza opposta alla penetrazione)

· Tipo di conducibilità (flusso elettronico o conducibilità elettrochimica)

· La tensione (alte tensioni implicano alta intensità, maggiore lavoro elettrico prodotto)

· L'intensità (espressa come quantità di elettroni movimentati nell'unità di tempo)

· Durata del contatto (la gravità dei danni dipende anche dalla prolungata esposizione)

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Effetti generali dell’elettricità sul corpo umano:

Ustioni lungo il percorso, sia superficiali che profonde;

Perdita di coscienza per depolarizzazione di neuroni;

Polarizzazioni prolungate delle membrane;

Diversa permeabilità delle membrane cellulari;

Rottura delle membrane cellulari;

Fenomeni elettrolitici con formazione di basi forti e necrosi umida;

Fenomeni coagulativi e necrosi profonde per formazione di acidi forti;

Denaturazione delle proteine;

Spasmi della muscolatura liscia e striata;

Disturbi degli equilibri elettrici.

La membrana cellulare, sparando cariche elettriche, si comporta come un condensatore. La membrana non è perfettamente isolante ed è attraversata da un certo numero di ioni perciò, oltre ad un valore di capacità, presenta anche una resistenza elettrica.

Il modello elettrico semplificato delle cellule umane è perciò rappresentato da un condensatore C in parallelo, con una resistenza R e da un generatore di tensione che rappresenta il potenziale di riposo determinato dalla diversa concentrazione di ioni nella cellula.

Potenziale di riposo

Il corpo umano, è in gran parte composto di una soluzione salina conduttrice, di fatto è costituito da un insieme di atomi o gruppi di atomi che, in ragione della loro affinità elettrochimica si scambiano gli elettroni dell'ultimo orbitale assumendo le caratteristiche di ioni. (cationi, se hanno perso elettroni oppure anioni, se hanno acquistato elettroni); sono tali le cellule (fig. 2) o il liquido interstiziale che le separa.

Gli ioni K+, Na+, Cl+, etc., si muovono verso zone di minor concentrazione e che sono soggetti al campo elettrico generato dall'insieme degli altri ioni. Poiché la cellula ha verso gli ioni un

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comportamento di tipo selettivo, gli ioni non si diffondono allo stesso modo dentro e fuori la cellula (ad esempio la cellula è molto permeabile allo ione potassio piuttosto che allo ione sodio). Lo ione K+ viene trasportato all'interno della cellula mentre lo ione Na+ viene espulso con la tipica azione di pompaggio biochimico a spese dell'organismo (pompa metabolica). La cellula viene quindi a possedere un potenziale negativo all'interno rispetto all'esterno (potenziale di riposo). Nei mammiferi le cellule del sistema nervoso centrale presentano un potenziale di riposo di -70 mV, una cellula miocardica ha delle escursioni tra circa -90 mV e + 35mV una differenza di potenziale notevole se si considerano le piccole dimensioni delle cellule.

Potenziale d'azione Se si applica ad una cellula eccitabile un impulso di corrente di polarità inversa a quella della cellula stessa, il potenziale da negativo diviene positivo per ritornare di nuovo al valore iniziale. Quando lo stimolo elettrico eccita la cellula, aumenta notevolmente la permeabilità della membrana agli ioni sodio che, entrando nel citoplasma della cellula, prima la depolarizzano, annullando la differenza di potenziale tra interno ed esterno, e poi ne causano l'inversione di polarità. L'ampiezza minima dell'impulso di corrente necessario ad eccitare la cellula e a determinarne l'inversione del potenziale decresce con l'aumentare della durata per tendere ad un valore costante secondo una curva simile ad un'iperbole equilatera denominata curva di eccitabilità. Uno stimolo elettrico riesce a eccitare la cellula soltanto se produce un flusso di corrente la cui intensità e durata sono superiori ad una soglia che è propria del tipo di tessuto e prende il nome di reobase. Una corrente elettrica che attraversa un corpo umano superata la resistenza cutanea si ripartisce in tante ramificazioni in ragione della conducibilità incontrata nei tessuti sottostanti, più facilmente sono attraversabili i vasi, i nervi, le ossa. Da un punto di vista circuitale il corpo umano può essere rappresentato tramite un circuito a quattro resistenze (quadripolo equivalente ad una persona). Effetti sul cuore Per gli effetti sul cuore bisogna tener conto anche del percorso della corrente. Ad esempio, tra i più pericolosi, abbiamo i percorsi mano sinistra-torace, mano destra-torace, mani-piedi. Il valore della corrente elettrica dipende anche dalla resistenza che il corpo umano oppone. Questa diminuisce in presenza di ferite; aumentando la pressione del contatto e aumentando la superficie di contatto; con pelle umida o peggio bagnata dove una corrente di basso voltaggio riesce a far penetrare un notevole flusso di elettroni che poi diventa la causa degli eventuali danni. La resistenza aumenta, invece, in presenza di zone cutanee dallo spesso strato corneo come quelle callose. Si possono ritenere come livelli di sicurezza i 25 volt in corrente alternata e i 60 volt in corrente continua. Da notare come la corrente alternata si dimostra più pericolosa di quella continua per circa 4,5 volte. Correnti ad alta frequenza (f >>50 Hz) sono meno pericolose di quelle a 50 Hz. Alcune apparecchiature speciali (antenne televisive, recinzioni elettriche, apparecchiature elettromedicali, interruttore di prossimità etc.) hanno parti metalliche accessibili collegate a circuiti attivi tramite un'impedenza di valore elevato.

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Per garantire dal pericolo dell'elettrocuzione, il costruttore deve fare in modo che la corrente che può attraversare il corpo di una persona durante il servizio ordinario, non sia superiore a 1mA in corrente alternata o a 3mA in corrente continua. Le parti metalliche che non devono essere toccate durante il servizio ordinario devono presentare una tensione di contatto che non deve dar origine, attraverso il corpo della persona, a correnti non superiori a 3,5 mA in corrente alternata e a 10 mA in corrente continua. Una corrente continua con una intensità di circa 50 mA o, una corrente alternata di 7 mA sono in grado di provocare contrazioni tetaniche ad una mano impedendole di staccarsi dalla sorgente. Una corrente di circa 100 mA e frequenza di 60 Hz che attraversi per la durata di un secondo il torace è in grado di provocare una fibrillazione ventricolare. L'applicazione nell'area dell'encefalo di una corrente tra i 400 e 800 mA provoca crisi epilettica. La pericolosità della corrente diminuisce all'aumentare della frequenza poiché ad alte frequenze la corrente tende a fluire solo sulla superficie della pelle. Il fenomeno si chiama appunto effetto pelle e le lesioni provocate dal passaggio della corrente elettrica sono solo superficiali e non interessano organi vitali, in ogni caso una penetrazione a livello cellulare, si è visto che, le membrane non risentono dei repentini cambi di polarità ed il trasporto ionico non risulta alterato. Dare dei valori precisi alla resistenza elettrica del corpo umano risulta piuttosto difficoltoso essendo questa influenzata da molte variabili: percorso della corrente, stato della pelle (presenza di calli, sudore, umidità, tagli, abrasioni etc.), superficie di contatto, tensione di contatto (sperimentalmente si è visto che all'aumentare della tensione diminuisce la resistenza). L'impedenza transtoracica di un adulto varia tra i 15 e i 150 Ohm, come si evince, è possibile una valutazione solo statistica e quindi, le norme CEI fanno riferimento a valori convenzionali riferiti ad un campione medio di popolazione. Nel caso di un contatto che avvenisse tramite strati isolanti (guanti, calzari, pedane etc.) alla Rc occorre ovviamente aggiungere la resistenza di tali materiali. Ogni individuo reagisce in modo diverso al passaggio della corrente per cui la quantità di corrente necessaria ad innescare una fibrillazione può variare da caso a caso; nonostante questo, il percorso seguito dalla corrente ha una grande influenza sulla probabilità d'innesco. Per questo motivo è stato definito un "fattore di percorso" che indica la pericolosità dei diversi percorsi seguiti dalla corrente considerando come riferimento il percorso mano sinistra-piedi.

Fulminazione

Se la differenza di potenziale tra nuvola e terra supera un valore compreso tra gli 80 milioni e il miliardo di volt, l'aria viene perforata dalle cariche elettriche e si ha il fulmine, con una corrente che ha un valore medio di 10.000 ampere e un valore limite pari a 200.000 ampere. La perforazione non è istantanea. Dalla nuvola parte una scarica iniziale (detta "scarica pilota" o "scarica leader") non visibile, che procede a scatti con una velocità di 100 chilometri al secondo. Dalla terra parte una scarica di segno opposto, detta di richiamo. Al momento dell'incontro tra le due scariche si ha il fulmine, una scarica finale chiamata scarica di ritorno a velocità di 50.000 Km/sec.

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La corrente raggiunge il picco massimo in un tempo brevissimo pari a qualche microsecondo, mentre globalmente il fenomeno può durare da qualche decina o qualche centinaia di microsecondi.

Al suo interno il fulmine può sviluppare una temperatura di 15.000 gradi centigradi. Il calore espande l'aria ed è questa espansione che provoca il tipico rumore del fulmine, ovvero il tuono. Poichè il suono si propaga a 340 metri al secondo, mentre la luce a 300.000 chilometri al secondo, si ha una differenza tra la visione del fulmine (lampo) e la percezione del tuono.

Quando un fulmine colpisce una persona, nel corpo umano può entrare attraverso le aperture del cranio, cioè occhi, orecchie, naso e bocca e si scarica a terra dopo aver percorso il sangue e il sistema nervoso. Come conseguenza più probabile si ha asistolia e paralisi dei muscoli respiratori, ma mentre il cuore può riprende a battere autonomamente, i polmoni hanno bisogno della ventilazione assistita, in assenza della quale la morte può giungere per anossia cerebrale.

È possibile che con un adeguato e precoce soccorso circa il 70% delle persone colpite da un fulmine possa sopravvivere senza danni.

Zona 1 - al di sotto di 0,5 mA la corrente elettrica non viene percepita (si tenga presente che una piccola lampada da 15 watt assorbe circa 70 mA). Zona 2 - la corrente elettrica viene percepita senza effetti dannosi. Zona 3 - si possono avere tetanizzazione e disturbi reversibili al cuore, aumento della pressione sanguigna, difficoltà di respirazione. Zona 4 - si può arrivare alla fibrillazione ventricolare e alle ustioni. Quando una corrente elettrica attraversa un corpo umano può produrre effetti pericolosi consistenti generalmente in alterazioni delle varie funzioni vitali, in lesioni: al sistema nervoso, ai vasi sanguigni, all'apparato visivo e uditivo, all'epidermide etc. Alcuni tra questi effetti risultano essere particolarmente pericolosi.

LA TETANIZZAZIONE

Si ha quando i muscoli rimangono contratti fino a quando il passaggio di corrente elettrica non cessa del tutto.

Il valore più grande di corrente per cui una persona è ancora in grado di staccarsi della sorgente elettrica si chiama corrente di rilascio e mediamente è compreso tra i 10mA e i 15mA per una corrente di 50Hz. Da notare che correnti molto elevate non producono solitamente la tetanizzazione perché quando il corpo entra in contatto con esse, l'eccitazione muscolare è

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talmente elevata che i movimenti muscolari involontari generalmente staccano il soggetto della sorgente.

Diversamente con l'esposizione di un appropriato flusso di corrente il processo di contrazione delle miofibrille muscolari rimane bloccato da una depolarizzazione forzata e non volontaria del sarcolemma dovuto ad un elevato flusso elettrico proveniente sia dalle fibre nervose che da altri e contigui sistemi di conduzione. L'estemporaneo processo obbliga lo ione calcio 2+, come per un segnale preveniente dalla placca motoria, ad impegnare per un tempo prolungato la tropomiosina C, la quale sarà costretta a liberare i siti di aggancio presenti sui miofilamenti di actina e consentire alle teste della miosina la contrazione muscolare.

Per correnti più alte può intervenire l'arresto della respirazione se il processo sopradescritto colpirà diaframma e muscoli respiratori e in alcuni casi lo spasmo della laringe. Per inibizione dei centri del respiro presenti nel bulbo, se la scarica interesserà la regione encefalica.

La corrente elettrica, a seguito del calore dissipato per effetto Joule, riscalda le parti attraversate, è lesiva per le pareti cellulari, ha un'azione di denaturazione delle proteine, si innescano fenomeni di termocoagulazione, si possono avere ustioni superficiali o profonde. La necrosi muscolare si manifesta anche con l'immissione in circolo di grandi quantità di mioglobina che risulta essere nefrotossica.

Nel caso in cui la pelle venisse esposta per un flusso di corrente la cui densità fosse di circa 60 milliampere al mm2, questa sarebbe carbonizzata in pochi secondi. FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE GENERALITÀ Il cuore funziona grazie a stimoli elettrici, pertanto una corrente elettrica esterna può alterare il suo funzionamento fino alla fibrillazione ventricolare. E' l'effetto più pericoloso, ed è dovuto alla sovrapposizione delle correnti provenienti dall'esterno con quelle fisiologiche che, generando delle contrazioni scoordinate, fanno perdere il giusto ritmo al cuore. Il cuore ha la funzione di pompare il sangue lungo le vene e le arterie del corpo. Per questo scopo, i muscoli del cuore, le fibrille, si contraggono e si espandono ritmicamente a circa 60/100 volte al minuto. Questi movimenti sono coordinati da un vero e proprio generatore d'impulsi elettrici, il nodo seno-atriale. Appositi tessuti conduttori si incaricano di propagare questi impulsi che, passando attraverso il nodo atrio-ventricolare, arrivano alle fibre muscolari del cuore. Quando gli impulsi elettrici arrivano alle fibrille, queste ultime producono le contrazioni dando luogo al battito cardiaco. Il cuore, proprio a causa della natura elettrica del suo funzionamento, è particolarmente sensibile a qualunque corrente elettrica che proviene dall'esterno, sia essa causata da uno shock elettrico o introdotta volontariamente come nel caso del pace-maker. La corrente generata dal pace-maker è semplicemente un supporto agli impulsi elettrici prodotti nel nodo seno-atriale e non produce anomalie nel normale funzionamento del cuore ma lo aiuta a correggere certe disfunzioni. Una corrente esterna che attraversa il cuore potrebbe in questo

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caso avere effetti molto gravi per l'infortunato perché potrebbero alterarsi la sincronizzazione ed il coordinamento nei movimenti del cuore con paralisi dell'operazione di pompaggio del sangue. Questa anomalia si chiama fibrillazione ed è particolarmente pericolosa nella zona ventricolare perché diventa un fenomeno non reversibile in quanto esso persiste anche se lo stimolo é cessato. Meno pericolosa, grazie alla sua natura reversibile, è invece la fibrillazione atriale.

La fibrillazione ventricolare è reversibile entro i primi minuti soltanto se il cuore é sottoposto ad una scarica elettrica appropriata. Solo così si possono evitare gravi danni al tessuto miocardico, al cervello e nel peggiore dei casi la morte dell'infortunato.

NEL PARTICOLARE Il tessuto miocardico per sua natura è un conduttore, ed in molte zone le cellule sono organizzate in microcircuiti. Queste riconoscono in un gruppo di cellule del NS la proprietà di circuito primario. La funzione contrattile si esplica quando il segnale elettrico dal circuito primario abbia attraversato per induzione tutti i microcircuiti e da questi in tutte le cellule, giungendo alla periferia. Quando i circuiti secondari, per una delle tante cause, e fra queste l'influenza di una corrente esterna non riconoscono il circuito primario perdono la capacità di una depolarizzazione sincronizzata. L'invasione di un flusso di corrente elettrica esterna avente un valore di induzione elettromagnetica notevolmente elevato, che per la sua durata colpisce anche nel periodo di vulnerabilità, distrugge il delicato equilibrio dove i microcircuiti vengono attivati e sottratti alla dipendenza del circuito primario, con conseguenti depolarizzazioni autonome, perdita del sincronismo, contrazione di tipo vermicolare, maggior consumo di molecole di adenosintrifosfato. Qualora questo fenomeno fosse di breve durata (un tempo inferiore al ciclo cardiaco), e i valori della intensità non fossero elevati, è possibile che possa verificarsi solo l'azzeramento dei potenziali elettrici, lasciando la facoltà alle cellule del circuito primario di riprendere la sua normale funzione come in una defibrillazione. Proprio questo risultato viene raggiunto impiegando il defibrillatore, un'apparecchiatura medicale che applica un impulso elettrico al torace dell'infortunato tramite due elettrodi. I fattori che possono rendere probabile l'innesco della fibrillazione ventricolare sono diversi. Tra i più significativi c'è l'intensità della corrente che attraversa il corpo nell'unità di tempo, di cui una piccola parte passa attraverso il cuore e causa la fibrillazione. Questa quantità è molto difficile da determinare in modo certo, nonostante i numerosi studi che sono stati realizzati per valutare il minimo valore di corrente che può dare inizio a questo fenomeno, l'impossibilità di realizzare esperimenti diretti con l'uomo rendono molto difficoltosa una raccolta di dati sufficientemente attendibili. LA DEFIBRILLAZIONE È una pratica terapeutica che utilizza una scarica controllata di corrente elettrica allo scopo di correggere anomalie funzionali su basi elettriche del cuore. Essa è largamente usata nella cardioversione di molte turbe del ritmo. In un arresto cardiaco, dovuto a fibrillazione ventricolare o a tachicardia ventricolare senza polso, al momento della scarica, la corrente che riesce a colpire il cuore non supera il 4% del totale, tutto il resto si disperde ramificandosi in altri tessuti. La quantità di elettroni che sono messi in campo sono tra i 30 e i 40 Ampere per una corrente

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monofasica scaricati tutti in 3-5 msec. L'effetto che si ottiene è una simultanea depolarizzazione di tutte le fibre del miocardio. Dopo il silenzio elettrico le cellule del NS sono in condizioni di iniziare le depolarizzazioni guida. Le prime esperienze di defibrillazione le fecero i Russi nel 1952 utilizzando corrente alternata di rete per correggere turbe del ritmo cardiaco, ma il primo che si occupò della defibrillazione elettrica moderna fu l'americano Paul Maurice Zoll, nel 1953 egli dimostrò che entro i primi minuti un cuore in arresto se opportunamente stimolato con una corrente elettrica può riprendere la sua attività. In seguito egli si occupò della costruzione dei primi defibrillatori. La corrente che è in uso nel cuore è di natura elettrochimica e quindi di tipo continua, di conseguenza i primi defibrillatori, che ancora oggi resistono, erano dei monofasici. Erano costruiti in modo semplice perché utilizzavano una corrente continua da un pacco batterie o da un trasformatore, avevano un regolatore di tensione e un condensatore le cui armature erano gli elettrodi entro i quali doveva trovarsi il cuore al momento della scarica. La seconda generazione fu quella dei defibrillatori semiautomatici, che consentivano a laici di eseguire una defibrillazione in quanto la macchina era in grado di stabilire se il ritmo era defibrillabile esonerando l'operatore dal fare una diagnosi. Oggi i nuovi defibrillatori bifasici hanno tempi di ricarica ridotti (4 secondi) e tempi di scarica da 5 a 10 msec con un'energia di lavoro standard a 150J ed il tempo di scarica fermato quando un processore rileva l'avvenuta efficacia riducendo ulteriormente i danni collaterali relativi all'effetto Joule sulle cellule colpite. L'AHA, che per prima ha applicato un algoritmo della defibrillazione, stabiliva range utili di energia da utilizzare che andavano da 200J a 360J per gli adulti e nei bambini da 2 a 4 J/Kg per i monofasici, tenuto conto che la soglia minima efficace è stata calcolata tra i 175J e 320J. Per i defibrillatori bifasici i livelli partivano da 120J e arrivavano fino a 170J. Altro genere di defibrillatori sono quelli automatici impiantabili, sono in grado di riconoscere ed automaticamente convertire una fibrillazione ventricolare, le loro minuscole dimensioni consentono anche un impianto sottocute in quelle persone soggette a ricorrenti fenomeni di questa aritmia. In conclusione il successo di una defibrillazione, per quanto brillanti possano essere le nuove macchine resta legata al tempo d'intervento, alla possibilità di trovare un cuore non in acidosi metabolica, non in ipossia e che ancora resiste una certa scorta di molecole di ATP senza le quali le teste dei miofilamenti di miosina non agganceranno l'actina con impossibilità alla contrazione muscolare.

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Le Radiazioni Ottiche Artificiali(ROA)

Per radiazioni ottiche si intendono tutte le radiazioni elettromagnetiche nella gamma di lunghezza d'onda compresa tra 100 nm e 1 mm. Lo spettro delle radiazioni ottiche si suddivide in radiazioni ultraviolette, radiazioni visibili e radiazioni infrarosse. Queste, ai fini protezionistici, sono a loro volta suddivise in:

Radiazioni ultraviolette: radiazioni ottiche di lunghezza d'onda compresa tra 100 e 400 nm. La banda degli ultravioletti è suddivisa in UVA (315-400 nm), UVB (280-315 nm) e UVC (100-280 nm);

Radiazioni visibili : radiazioni ottiche di lunghezza d'onda compresa tra 380 e 780 nm;

Radiazioni infrarosse: radiazioni ottiche di lunghezza d'onda compresa tra 780 nm e 1 mm. La regione degli infrarossi è suddivisa in IRA (780-1400 nm), IRB (1400-3000 nm) e IRC (3000 nm-1 – 1 mm).

Le sorgenti di radiazioni ottiche possono inoltre essere classificate in coerenti e non coerenti.

Le prime emettono radiazioni in fase fra di loro (i minimi e i massimi delle radiazioni coincidono), e sono generate da LASER, mentre le seconde emettono radiazioni sfasate e sono generate da tutte le altre sorgenti non LASER e dal Sole.

Tutte le radiazioni ottiche non generate dal Sole (radiazioni ottiche naturali) sono di origine artificiale, cioè sono generate artificialmente da apparati e non dal Sole.

Principali effetti dannosi della radiazione ottica sull’occhio e la pelle

La tipologia di effetti associati all’esposizione a ROA dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente, mentre dall’intensità dipendono sia la possibilità che questi effetti si verifichino che la loro gravità.

L’interazione della radiazione ottica con l’occhio e la cute può provocare conseguenze dannose come riportato nella Tabella a seguito

Lunghezza

d’onda (nm)

Tipo Occhio Pelle

100 - 280 UV C fotocheratite

foto congiuntivite

Eritema

(scottatura della

pelle)

Tumori cutanei

Processo accelerato di

invecchiamento della pelle 280 - 315 UV B

315 - 400 UV A cataratta fotochimica Reazione di foto

sensibilità

400 – 780 Visibile lesione fotochimica e

termica della retina

Bruciatura della pelle

780 - 1400 IR A cataratta

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bruciatura della retina

1400 - 3000 IR B cataratta,

bruciatura della cornea

3000 - 106 IR C bruciatura della cornea

Esempi di sorgenti di radiazioni ottiche artificiali che possono comportare rischio per occhi e/o cute dei soggetti esposti sono di seguito elencate

SORGENTE POSSIBILITA' DI

SOVRAESPOSIZIONE

NOTE

Arco elettrico (saldatura elettrica) Molto elevata Le saldature ad arco elettrico (tranne quelle a gas) a

prescindere dal metallo, possono superare i valori limite

previsti per la radiazione UV per tempi di esposizione

dell’ordine delle decine di secondi a distanza di un metro

dall’arco. I lavoratori, le persone presenti e di passaggio

possono essere sovraesposti in assenza di adeguati

precauzioni tecnico-organizzative

Lampade germicide per

sterilizzazione e disinfezione

Elevata Gli UVC emessi dalle lampade sono utilizzati per sterilizzare

aree di lavoro e locali in ospedali, industrie alimentari e

laboratori

Lampade per fotoindurimento di

polimeri, fotoincisione, “curing”

Media Le sorgenti UV sono usualmente posizionate all’interno di

apparecchiature, ma l’eventuale radiazione che può

fuoriuscire attraverso aperture o fessure è in grado di

superare i limiti in poche decine di secondi

“Luce Nera” usata nei dispositivi di

test e controllo non distruttivi

(eccetto lampade classificate nel

gruppo “Esente” secondo CEI EN

62471:2009)

Bassa – Media o Elevata in

relazione all’applicazione

Il rischio è riconducibile all’emissione di UVA associata alla

radiazione visibile

Lampade UVA sono utilizzate in dispositivi quali quelli

dedicati al controllo e all’ispezione dei materiali o per il

controllo delle banconote; analoghe sorgenti sono usate nei

locali per intrattenimento quali discoteche, pub e nei

concerti.

I sistemi impiegati in metallurgia superano il limite per

l’esposizione a UVA per tempi dell’ordine di 1 – 2 ore,

rispetto ad attività che possono essere protratte per tutto il

turno lavorativo.

Lampade/sistemi LED per Elevata La radiazione UV utilizzata per le terapie in dermatologia e

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fototerapia la “luce blu” utilizzata nell’ambito di attività sanitarie

(fototerapia dell’ittero neonatale, chirurgia rifrattiva, ecc…).

Lampade ad alogenuri metallici Bassa

(Elevata se visione diretta)

Sono utilizzate nei teatri, in ambienti vasti (es.: supermercati)

e aperti per l’illuminazione esterna e possono superare sia i

limiti per gli UV che per la radiazione visibile e in particolare

per la “luce blu” per visione diretta della sorgente

Fari di veicoli Bassa

(Elevata se visione diretta)

Possibile sovraesposizione da luce blu per visione diretta

protratta per più di 5-10 minuti: potenzialmente esposti i

lavoratori delle officine di riparazione auto

Lampade scialitiche da sala

operatoria

Bassa

(Elevata se visione diretta)

Per talune lampade i valori limite di esposizione per luce blu

possono essere superati in 10 minuti in condizioni di visione

diretta della sorgente

Lampade ad alogenuri metallici Media-Elevata Sono utilizzate nei teatri, in ambienti vasti (es.:

supermercati),e aperti per l’illuminazione esterna e possono

superare sia i limiti per gli UV che per la radiazione visibile e

in particolare per la “luce blu”

Lampade abbronzanti

Media – Elevata Le sorgenti utilizzate in ambito estetico per l’abbronzatura

possono emettere sia UVA che UVB, i cui contributi relativi

variano a seconda della loro tipologia. Queste sorgenti

superano i limiti per i lavoratori per esposizioni dell’ordine

dei minuti.

Lampade per usi particolari eccetto

lampade classificate nel gruppo

“Esente”

Media – Elevata Si tratta di lampade fluorescenti non per illuminazione

generale quali quelle utilizzate in acquari e terrari.

Queste lampade presentano elevate irradianze UVB che

possono portare a sovraesposizioni in pochi minuti,

soprattutto a distanze ravvicinate.

Lampade per uso generale e lampade

speciali classificate nei gruppi 1,2,3 ai

sensi della norma CEI EN

62471:2009

Bassa-Media-Elevata in

relazione alla classificazione

Inclusi sistemi LED. Necessari accorgimenti pe installazione

ed uso sicuro se la classe è superiore alla prima.

Corpi incandescenti quali metallo o

vetro fuso, ad esempio nei crogiuoli

dei forni di fusione con corpo

incandescente a vista e loro

lavorazione

Elevata–Molto elevata Nel corso della colata e in prossimità dei crogiuoli le

esposizioni a IRB-IRC possono superare i valori limite per

tempi di esposizione dell’ordine di pochi secondi.

Riscaldatori radiativi a lampade Medio-Elevata Emissioni di radiazioni infrarosse superiori ai valori limite

possono essere riscontrate fino a 2 metri di distanza da

taluni riscaldatori radiativi: necessari accorgimenti per

installazione ed impiego sicuro

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Apparecchiature con sorgenti IPL

per uso medico o estetico

Elevata-Molto elevata Emissioni di radiazioni ottiche potenzialmente molto

superiori ai valori limite anche per pochi secondi. Necessarie

precazuzioni per installazione/impiego sicuro

Laser Molto Elevata/Elevata:

laser in classe 4/3B; Media:

Laser in classe 2-3. Innocui:

Laser in Classe 1

per i Laser in classe 3B e 4 sono obbligatorie specifiche

misure di tutela e specifici requisiti di installazione ai fini

della sicurezza

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LAVORI IN QUOTA – CADUTE DALL’ALTO Si definiscono lavori in quota quelle attività lavorative che espongono i lavoratori al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. Il rischio di caduta dall’alto è il fattore che presenta la maggior incidenza quanto a frequenza di casi d’inabilità permanente e di casi mortali perché non vengono rispettate le norme elementari di prevenzione: uso delle cinture o il montaggio di una corretta impalcatura, interventi di facile attuazione e dai costi limitati, e non viene svolta una sufficiente attività di formazione e informazione. Tipico esempio di lavoro in quota è il lavoro sui tetti, per ispezione, manutenzione, pulizia (spesso eseguite da personale non specializzato) o per rifacimento, smontaggio o demolizione. I PERICOLI:

• cadute (inciampare, scivolare, perdere l'equilibrio)

• sfondamenti di coperture dei tetti;

• cadute dall'alto oltre il bordo del tetto.

Tutte queste attività non dovrebbero essere effettuate senza una previa valutazione del rischio, senza adottare rigorosamente le misure di sicurezza richieste e senza garantire un controllo efficace. Tutto il lavoro da svolgere, compreso il lavoro di breve durata che duri minuti anziché ore, dovrà essere pianificato con cura, al fine di minimizzare i rischi per i lavoratori. Elemento fondamentale ai fini del buon funzionamento di tutti i sistemi di prevenzione e di protezione contro la caduta dall’alto è la capacità del lavoratore di saperli gestire con competenza e professionalità e quindi si rendono necessarie:

• - l’idoneità psico-fisica del lavoratore;

• l’informazione e la formazione adeguate e qualificate del lavoratore, in relazione alle operazioni previste;

• l’addestramento qualificato e ripetuto del lavoratore sulle tecniche operative, sulle manovre di salvataggio e sulle procedure di emergenza.

• Sistemi per la riduzione dell’altezza di caduta

• Impalcatura di protezione

• Reti di protezione

• D.p.i. anticaduta: a) assorbitori di energia; b) connettori; c) dispositivo di ancoraggio; d) cordini; e) dispositivi retrattili; f) guide o linee vita flessibili; g) guide o linee vita rigide; h) imbracature.

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In questo capitolo considereremo anche le scale (struttura a gradini o a pioli che permette di superare a piedi un dislivello); sono considerate portatili o mobili quando possono essere spostate ove necessario. Le scale portatili sono attrezzature di largo impiego e negli anni il loro uso è stato oggetto di specifiche disposizioni legislative. Scale doppie: devono essere costruite con materiale adatto alle condizioni di impiego con dimensioni appropriate al loro uso, sufficientemente resistenti nel loro insieme e nei singoli elementi. Per assicurare stabilità alla scala devono essere provviste di dispositivi antiscivolo alle estremità inferiori dei montanti; non devono superare l’altezza di 5m e devono essere provviste di catena di adeguata resistenza o di altro dispositivo che impedisca l’apertura della scala oltre il limite prestabilito di sicurezza. Scale ad elementi innestabili: la lunghezza della scala in opera non deve superare i 15 m; le scale in opera lunghe più di 8 m devono essere munite di rompitratta per ridurre la freccia di inflessione.

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IL RISCHIO BIOLOGICO Definizioni Agente Biologico (a.b.)

Qualsiasi microorganismo (m.o.), coltura cellulare, endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, intossicazioni.

Microrganismo

Qualsiasi entità microbiologica cellulare o subcellulare in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico.

Coltura cellulare

Il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari. Possiamo praticare una classificazione in 4 gruppi, in base alle caratteristiche di

a) infettività b) trasmissibilità c) patogenicità d) neutralizzabilità

I GRUPPO: agente biologico (a.b.) che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani; II GRUPPO: a.b. che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi in comunità; sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche; III GRUPPO: a.b. che può causare gravi malattie in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; può presentare un elevato rischio di propagazione in comunità ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche; IV GRUPPO: a.b. che può causare gravi malattie in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; può presentare un elevato rischio di propagazione in comunità ma non sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche; Esempi Gruppo 2: Legionella pneumophila, Virus influenzali, Cytomegalovirus Gruppo 3: Mycobacterium tubercolosis, virus dell’epatite B, C, D, virus della s. da ID acquisita (AIDS) Gruppo 4: Virus Ebola, Marburg, febbre emorragica del Congo Elenco esemplificativo di attività lavorative che possono comportare la presenza di agenti biologici:

Agricoltura

Contatto con animali e/o prodotti di origine animale

Servizi sanitari di vario tipo compresi le unità di isolamento

Smaltimento rifiuti

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Impianti per la depurazione delle acque di scarico

Tutte le attività in cui si usano attrezzature in grado di provocare tagli, ferite, abrasioni;

Scuole di ogni ordine;

Tutti i luoghi chiusi, con scarso ricambio di aria;

VALUTAZIONE DEL RISCHIO Nella VDR il datore di lavoro tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative, ed in particolare:

Classificazione agenti biologici

Informazione sulle malattie che possono essere contratte

Potenziali effetti allergici e tossici

Insorgenza di eventuali patologie infettive professionali

Sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici

Eventuali situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul

rischio

Il Documento di valutazione del rischio deve essere integrato con i seguenti dati:

Fasi del procedimento lavorativo che comportano rischio di esposizione ad agenti

biologici;

Numero di lavoratori esposti;

Metodi e procedure adottate e misure preventive e protettive applicate;

Programma di emergenza per la protezione dei lavoratori contro il rischio di esposizione

ad un agente biologico del gruppo 3 o 4.

Il datore di lavoro, eseguita la valutazione del rischio, applica i principi di buona prassi microbiologica e adotta, in relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative. La sorveglianza sanitaria è obbligatoria per i lavoratori addetti alle attività in cui la valutazione evidenzia un rischio per la salute, ed è eseguita dal medico competente. La finalità della sorveglianza sanitaria è rivolta alla valutazione globale dello stato di salute (condizioni di ipersuscettibilità), all’impostazione dell’immunoprofilassi, alla diagnosi precoce di infezioni e patologie, all’informazione ed ha anche importante valenza medico-legale.

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RISCHIO CHIMICO E’ il rischio connesso all’uso professionale di sostanze o preparati impiegati nei cicli di lavoro, che possono essere intrinsecamente pericolosi o risultare pericolosi in relazione alle condizioni d’impiego. RISCHIO CHIMICO DEFINIZIONI: PERICOLO: La proprietà intrinseca di un agente chimico di poter produrre effetti nocivi. RISCHIO: La probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o esposizione. AGENTE: L’agente chimico, fisico o biologico presente durante il lavoro e potenzialmente dannoso per la salute. AGENTI CHIMICI: Tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato. SOSTANZE: Gli elementi chimici ed i loro compositi allo stato naturale o ottenuti mediante qualsiasi procedimento di produzione. PREPARATI: Miscele o soluzioni costituite da più sostanze. Sono pericolose le sostanze e i preparati che hanno una o più proprietà chimico-fisiche e/o tossicologiche. In particolare occorre riferirsi a sostanze e preparati:

• ESPLOSIVI: sostanze e preparati solidi, liquidi, pastosi o gelatinosi che, anche senza l’azione dell’ossigeno atmosferico, possono provocare una reazione esotermica con rapida formazione di gas e che, in determinate condizioni di prova, detonano, deflagrano rapidamente o esplodono in seguito a riscaldamento in condizione di parziale contenimento.

• COMBURENTI (Ossigeno): sostanze e preparati che a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, provocano una forte reazione esotermica.

• ESTREMAMENTE INFIAMMABILI (R12- os. etilene): sostanze e preparati liquidi con punto di infiammabilità estremamente basso ed un punto di ebollizione basso e le sostanze ed i preparati gassosi che a temperatura e pressione ambiente si infiammano a contatto con l’aria.

• FACILMENTE INFIAMMABILI (R11 – Toluene):

• sostanze e preparati che, a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono subire innalzamenti termici e da ultimo infiammarsi;

• sostanze ed i preparati solidi che possono facilmente infiammarsi dopo un breve contatto con una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo il distacco della sorgente di accensione;

• le sostanze ed i preparati liquidi il cui punto d'infiammabilità è molto basso;

• le sostanze ed i preparati che, a contatto con l'acqua o l'aria umida, sprigionano gas estremamente infiammabili in quantità pericolose;

• INFIAMMABILI (R10 - xilene): sostanze ed i preparati liquidi con un basso punto di infiammabilità.

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• MOLTO TOSSICI (T+): sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, in piccolissime quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche;

• TOSSICI (T – formaldeide): sostanze e preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, in piccole quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche;

• NOCIVI (Xn – clorobenzene): sostanze ed i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche;

• CORROSIVI (C – acido cloridrico): sostanze ed i preparati che, a contatto con i tessuti vivi, possono esercitare su di essi un'azione distruttiva;

• IRRITANTI (Xi – dimetilammina): sostanze e preparati non corrosivi, il cui contatto diretto, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria;

• SENSIBILIZZANTI ( Xn - R42; Xi – R43): sostanze ed i preparati che, per inalazione o assorbimento cutaneo, possono dar luogo ad una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato produce reazioni avverse caratteristiche;

• CANCEROGENI:

• MUTAGENI: sostanze ed i preparati che, per inalazione, ingestione o

assorbimento cutaneo, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza;

• TOSSICI PER IL CICLO RIPRODUTTIVO: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare o rendere più frequenti effetti nocivi non ereditari nella prole o danni a carico della funzione o delle capacità riproduttive maschili o femminili;

• PERICOLOSI PER L’AMBIENTE: sostanze e preparati che qualora si diffondano nell'ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati differiti per una o più delle componenti ambientali.

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Si parla di rischio chimico in ogni attività lavorativa in cui sono utilizzati agenti chimici, o se ne prevede l’utilizzo, in ogni tipo di procedimento, compresi: la produzione, la manipolazione, il trasporto, l’immagazzinamento, il trasporto o l’eliminazione, il trattamento dei rifiuti o che risultino da tale attività lavorativa. La sorveglianza sanitaria si attua per la valutazione dello stato di salute del singolo lavoratore in funzione dell’esposizione ad agenti chimici sul luogo di lavoro. Nella valutazione dei rischi il Datore di lavoro, relativamente alle sostanze chimiche presenti in azienda, prende in considerazione: a) le loro proprietà pericolose; b) le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza c) il livello, il tipo e la durata dell’esposizione; d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresi la quantità degli stessi; e) i valori limiti di esposizione professionale o i valori limiti biologici f) gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare g) se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese I rischi possono essere:

a) Per la sicurezza: pericolo di incendio e/o esplosione, pericolo di contatto con sostanze corrosive, pericoli di intossicazione o asfissia.

b) Per la salute: pericolo d’inalazione e/o contatto e/o ingestione con sostanze nocive che possono provocare effetti irreversibili. Il danno da rischio chimico causato dall’inalazione, dal contatto (pelle e mucose ), dall’ingestione, provoca:

u irritazioni apparato respiratorio

u allergie respiratorie e cutanee

u irritazioni pelle e occhi

u alterazioni sul sistema nervoso

u alterazioni al fegato e all’apparato digestivo Il Datore di Lavoro deve:

1) valutare i rischi connessi al uso dei prodotti pericolosi 2) scegliere opportunamente le sostanze ed i preparati chimici da impiegare; 3) sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso (per esempio l’utilizzo di

un agente cancerogeno sul luogo di lavoro è subordinato alla dimostrazione che non è tecnicamente possibile ricorrere a sostanze alternative o a processi tecnologici meno pericolosi;

4) informare i lavoratori sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi e addestrali in occasione dell’introduzione di nuovi prodotti sul modo di prevenire incidenti, disturbi e malattie. Informare i lavoratori dell’esistenza della scheda e del luogo in cui è conservata.

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5) Identificare le sostanze a rischio presenti o potenzialmente presenti in ogni fase dell’attività;

6) limitare l’utilizzo degli agenti chimici sul luogo di lavoro; 7) valutare la possibile sostituzione con altri prodotti a minor grado di rischio; 8) limitare al minimo il numero dei lavoratori che sono o possono essere esposti e separare

le lavorazioni a rischio; 9) verificare le incompatibilità o la possibilità di reazioni pericolose o prodotti di

decomposizione; 10) individuare le modalità di conservazione e impiego necessarie a limitare al più basso

livello possibile l’esposizione, rispettare i livelli di esposizione regolamentari e tenere conto dei valori raccomandati;

11) controllare l’esposizione dei lavoratori mediante misurazione dell’agente chimico ogni qualvolta non è ragionevolmente possibile escluderne la presenza;

12) sottoporre a controllo sanitario i lavoratori e consultare M.C. 13) informare e formare i lavoratori sugli agenti chimici presenti

FRASI DI RISCHIO E DI SICUREZZA Le sigle “R” e “S” sempre presenti sulle etichette dei prodotti chimici utilizzati in laboratorio. Rappresentano rispettivamente una definizione dei rischi specifici connessi con l’impiego della sostanza chimica considerata (R) Sono formate dalla lettera R seguita da un numero di identificazione che indica un rischio specifico: Esempio: R 36 Irritante per gli occhi R 45 Può provocare il cancro Sono possibili anche combinazioni di frasi per rischi simili o concausa uno dell’altro. Esempio: R 36/38 Irritante per gli occhi e per la pelle R 42/43 Può provocare sensibilizzazione per inalazione e contatto con la pelle La lettera S fornisce consigli di prudenza con le precauzioni da adottare durante l’impiego (S): Sono formate dalla lettera S seguita da un numero indicante il consiglio di prudenza specifico. Esempio: S 22 Non respirare le polveri. S 45 In caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico (se possibile, mostrargli l’etichetta) Anche per le frasi S sono possibili combinazioni di più consigli di prudenza. Esempio: S 20/21 Non mangiare, né bere, né fumare durante l’impiego. S 36/37 Usare indumenti protettivi e guanti adatti.

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IL LAVORO IN AMBIENTI CONFINATI Gli ambienti, gli spazi confinati sono aree di lavoro in cui possono verificarsi eventi incidentali importanti, che possono portare ad un infortunio grave o mortale, in presenza di agenti chimici pericolosi (ad esempio, gas, vapori, polveri). Aree di lavoro generalmente non destinate allo stazionamento fisso di lavoratori, con “aperture per l’entrata e l’uscita limitate e di difficile utilizzo”, con “condizioni di ventilazione sfavorevole”, … Riguardo alle condizioni di rischio, si sottolinea che tali condizioni “possono esistere precedentemente all’inizio delle attività, altre possono sopraggiungere durante l’esecuzione di alcuni lavori” (saldatura/taglio/brasatura, uso di particolari sostanze, uso di attrezzature di lavoro che producono inneschi, perdite da tubazioni, rimozione di fanghi, …). Riportiamo alcuni fattori di rischio: - “asfissia: presenza/impiego di gas che si sostituiscono all’O2 ( azoto usato per bonifica e/o inertizzazione, gas di saldatura, ecc.); formazione di CO2 attraverso vari processi biologici (fermentazione, decomposizione sostanze organiche); reazioni chimiche di ossidoriduzione di sostanze (combustione con rilascio di CO2, di NH3, di H2S, ecc.); -incendio/esplosione: presenza di gas/vapori/nebbie infiammabili o polveri combustibili, unitamente ad una sorgente di innesco (elettricità statica, utilizzo di fiamme libere, fenomeni di attrito, scariche atmosferiche, ecc.); -intossicazione: impropria bonifica di tubazioni e/o recipienti; liquidi e solidi emettono gas tossici in presenza di aria o vapori d’acqua (zolfo, fosfuri che emettono fosfina a contatto di acidi ed acqua o vapore, ecc.); reazioni chimiche di decomposizione o fermentazione; rilasci accidentali da valvole o altre sorgenti di emissione; residui di materiali stoccati; (…); -folgorazione: attrezzature di lavoro/utensili con alimentazione elettrica inadeguata, pareti interne bagnate; -caduta: utilizzo di scale inadeguate o impiegate in modo improprio, mancato utilizzo o utilizzo scorretto dei DPI anticaduta; -annegamento: presenza di liquidi o solidi finemente suddivisi, che possono risultare letali per saturazione e occlusione delle vie respiratorie”; -ustioni: “contatto con parti a temperatura elevata o molto bassa, ingresso in macchine termiche; -schiacciamento: caduta di carichi, ecc”. Ad esempio l’azoto (N2) è un “ gas inerte, ha un peso specifico uguale a quello dell’aria, quindi non tende a stratificarsi verso il basso (come ad es. la CO2), né a sfuggire verso l’alto; per garantire una concentrazione di ossigeno adeguata, almeno superiore al 17%, la concentrazione di azoto deve essere inferiore all’83 %; in alta concentrazione può causare asfissia. I sintomi possono includere perdita di mobilità e/o coscienza”. L’anidride carbonica (CO2) è generata dalla “combustione completa di sostanze combustibili e/o infiammabili in presenza di atmosfera ricca di O2”. È un gas incolore e inodore che tende a ristagnare in basso. “Può essere assorbito per inalazione. Elevate concentrazioni in atmosfera determinano una carenza di ossigeno con rischio di perdita di coscienza o morte della persona esposta”.

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Il monossido di carbonio (CO) è “generato dalla combustione incompleta di sostanze combustibili e/o infiammabili in presenza di atmosfera povera di ossigeno”. Gas incolore e inodore, con peso leggermente superiore a quello dell’aria che “si dispone sul pavimento con la tendenza a salire verso l’alto”. Con l’aria “forma facilmente miscele esplosive: a concentrazione minima del 12% v/v (volume della sostanza/volume totale, ndr) è infiammabile-esplosivo”. L’idrogeno solforato (H2S) “a temperatura ambiente e a basse concentrazioni, è un gas dal caratteristico odore di uova marce. Soglia olfattiva media 35 μg/m3, a concentrazioni molto più alte la percezione dell’odore svanisce per esaurimento funzionale dei recettori. Inodore a concentrazioni superiori a 100 ppm perché paralizza il senso dell’olfatto. Peso leggermente superiore all’aria, si dispone sul pavimento con tendenza a salire verso l’alto. Si addensa in sacche”. La relazione si sofferma anche sugli effetti sulla salute dell’idrogeno solforato. L’anidride solforosa (SO2) è un “gas incolore non infiammabile, odore pungente; si inumidisce e si ossida facilmente per formare acido solforoso e poi, più lentamente, acido solforico”. “Tende a ristagnare in basso”. L’anidride solforosa è “irritante, assorbita prevalentemente per via respiratoria, ma anche, come acido solforoso, per via digestiva. Intossicazione acuta per inalazione di concentrazioni massicce: irritazione di congiuntive e mucose vie aeree superiori. L’azione irritante è dovuta alla trasformazione in acido a contatto con l’ambiente umido delle mucose oculari, nasali e della pelle per poi arrivare all’apparato respiratorio provocando broncocostrizione. Nei casi più gravi, difficoltà di respiro, cianosi, disturbi della coscienza, soffocamento, morte”. Veniamo ora al rischio di incendio ed esplosione che si può determinare in presenza di: - “gas e vapori infiammabili (metano, acetilene, propano, butano, xilolo, benzene, ecc.); -liquidi infiammabili (benzine e solventi idrocarburici); -polveri aerodisperse ad alta concentrazione (farine nei silos, segatura/polveri di legno); -eccesso di O2 o di ossidanti in genere (causa di violenta ossidazione di sostanze grasse o oleose, nitrato di ammonio con paglia o trucioli di legno; a livello del 24% di O2, i capi di vestiario possono subire combustione spontanea); -macerazione o decomposizione di sostanze organiche con autoriscaldamento fino al raggiungimento della T di autoaccensione”. Il rischio di incendio e esplosione può essere inoltre correlato alla presenza di gas: - “collettori fognari, vasche e fosse biologiche; - serbatoi stoccaggio liquami (biogas prodotto dalla fermentazione batterica di rifiuti, vegetali, liquami di fognatura e zootecnici, materiale organico in decomposizione); presenza di metano che può variare dal 50% all’80 %; - silos e serbatoi: il tipo di gas è funzione delle sostanze presenti o introdotte (residui di materiale stoccato, residui di lavaggio e pulitura);

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- impiego di gas pesanti (densità maggiore di 0,8 rispetto all’aria) in ambienti depressi e ristagnanti, come il propano/butano (gpl) usato come propellente nell’impiego di prodotti sanificanti o disinfettanti”. E alla presenza di polveri: - silos e serbatoi di stoccaggio per polveri alimentari farine, amido, ecc.), chimiche (resine, detergenti, farmaceutiche), metallurgiche (Al, Mg); - strati e accumuli sono possibili sorgenti di nubi, sollevate da spostamenti e movimenti di aria. Le nubi possono esplodere in presenza di sorgente di accensione; - uno strato di 0,8 mm di polvere combustibile depositato su una superficie maggiore del 5% del pavimento di un locale rappresenta un pericolo di esplosione (National Fire Protection Agency)”. Ricordiamo, per concludere, che si ha rischio di esplosione se è presente “una sorgente d’innesco efficace, ossia con un’energia sufficiente ad accendere la miscela infiammabile”. Ed esistono diversi tipi di sorgenti d’innesco: “scariche elettrostatiche; scariche elettriche; scariche atmosferiche; scintille di origine meccanica; fiamme libere; onde elettromagnetiche; superfici calde; reazioni esotermiche”. FATTORI DI RISCHIO IN AMBIENTI CONFINATI Molteplici sono i fattori di rischio presenti nelle attività lavorative svolte in ambienti confinati, tutti da valutare con grande attenzione in sede di “valutazione dei rischi” e di programmazione delle attività. Vediamo nel dettaglio i principali. 4.1 - Fattore di rischio chimico Questo fattore è riconducibile alla presenza e/o all’utilizzo, nello svolgimento delle attività e nelle lavorazioni, di “agenti chimici pericolosi”, ovvero sostanze e/o preparati che in base alle loro caratteristiche chimiche, fisiche e tossicologiche, sono in grado di provocare:

incendi;

esplosioni;

ustioni chimiche;

corrosione di materiali o degrado di impianti;

danni acuti o cronici alla salute. Tali rischi sono generalmente associati alla presenza di:

polveri;

gas;

vapori;

sostanze chimiche solide;

atmosfere esplosive.

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4.2 Fattore di rischio fisico Questo fattore è riconducibile alla presenza, durante le attività lavorative, di agenti fisici in grado di determinare condizioni di stress tali da peggiorare le condizioni di lavoro. Tali agenti possono essere così classificati:

rumore

vibrazioni

microclima

illuminazione

posture

campi elettromagnetici

radiazioni ottiche artificiali etc. 4.3 – Fattore di rischio infortunistico Questo fattore è riconducibile alla presenza, durante le attività lavorative, di pericoli oggettivi che, se non adeguatamente valutati e prevenuti con idonee misure di sicurezza, possono provocare lesioni e/o infortuni ai lavoratori. Tra i principali rischi infortunistici, possiamo ricordare:

cadute dall’alto

elettrocuzione

cadute di materiali/seppellimento

schiacciamenti e/o traumi

incarceramento e/o intrappolamento

utilizzo di attrezzature non sicure o non adeguate al lavoro da svolgere

annegamento etc. 4.4 – Fattore di rischio strutturale Questo fattore è riconducibile alla caratteristiche fisiche e strutturali dell’ambiente confinato nel quale si deve operare:

difficoltà di accesso

dimensioni dell’ambiente

sviluppo in orizzontale o in verticale

difficoltà di spostamento all’interno dell’ambiente etc. Nella valutazione di questo aspetto, occorre valutare, prima di tutto, i requisiti di sicurezza previsti dall’Allegato IV, Capo 3. del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 (vedere allegato A1).

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4.5 - Fattore di rischio cognitivo, o soggettivo Questo fattore è riconducibile sostanzialmente a tre aspetti:

livello di esperienza e di capacità professionali dei lavoratori destinati ad operare all’interno di un ambiente confinato. E’ evidente come lavoratori meglio formati e addestrati, con un maggior bagaglio di esperienza e di capacità professionali, siano meno esposti, a parità di attività lavorativa, a rischi d’infortunio;

livello di conoscenza e di consapevolezza dello specifico lavoro da svolgere. Prima di eseguire un qualsiasi lavoro in un ambiente confinato, i lavoratori incaricati devono ricevere tutte le necessarie informazioni tecniche e procedurali: tipologia del sito, sostanze presenti o potenzialmente presenti, modalità di accesso e di evacuazione etc. Di conseguenza, deve essere sempre disponibile una completa e accurata “valutazione dei rischi specifici”, senza pericolose semplificazioni o sottostime;

sottovalutazione del rischio da parte dei lavoratori. Soprattutto nel caso di attività ripetitive e routinarie, è inevitabile una certa sottovalutazione dei rischi da parte dei lavoratori, con una diminuzione del livello di attenzione. Appare quindi consigliabile variare, per quanto possibile, la tipologia di attività cui sono destinati i lavoratori, prevedendo l’esecuzione di periodici momento formativi e addestrativi, per “tenere alta l’attenzione”.

4.6 – Fattore di rischio organizzativo Questo fattore è riconducibile, sostanzialmente, a una mancata pianificazione e organizzazione dei lavori in ambienti confinati. In altri termini, i lavori in ambienti confinati non possono mai essere improvvisati, ma devono vedere la partecipazione di vari soggetti aziendali, ognuno con un preciso compito e una precisa responsabilità:

valutazione dettagliata dei rischi

definizione della squadra di operai incaricata dei lavori

designazione del preposto

verifica delle capacità professionali dei lavoratori

scelta delle attrezzature e dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)

pianificazione operativa di dettaglio delle attività

designazione del lavoratore che dovrà rimanere all’esterno a sorvegliare i lavori

pianificazione della procedura di emergenza per il soccorso e l’evacuazione di un lavoratore infortunato etc.

Scopo dell’organizzazione, tra l’altro, è quello di prevedere, per quanto possibile, ogni imprevisto e ogni pericolo, in modo da essere preparati ad affrontarli, senza pericolose improvvisazioni.

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4.7 – Fattore di rischio fisiologico individuale Questo fattore è riconducibile alla presenza di fattori individuali che, in qualche modo, potrebbero interferire con lo svolgimento di attività lavorativa in ambienti confinati, come, ad esempio, una predisposizione a sindrome claustrofobica e/o ad attacchi di panico. In questo caso, appare fondamentale l’attività del medico competente, che nella sua valutazione dell’idoneità lavorativa specifica deve tener conto delle specifiche problematiche legate agli ambienti confinati.

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Concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, Organizzazione della prevenzione aziendale; Le figure della prevenzione aziendale

Pag.2

Emergenza nei luoghi di lavoro Pag.7 Rischio incendio Pag.10 Primo soccorso Pag.12 Infortuni in itinere Pag.13 Il lavoro al videoterminale Pag.14 Rischio stress-lavoro correlato - Concetti di mobbing e burn out Pag.16 Legge 151/2001 – tutela della gravidanza Pag.21 Divieto di fumo nei luoghi di lavoro Pag.22 La movimentazione manuale dei carichi Pag.25 Movimentazione dei carichi con mezzi meccanici Pag.28 Uso in sicurezza delle attrezzature di lavoro Pag.30 I Dispositivi di Protezione Individuale Pag.32 Rischio Rumore Pag.34 Rischio Vibrazioni Pag.38 Rischio elettrico Pag.43 Rischio ROA Pag.53 Cadute dall’alto - Lavori ad alta quota Pag.57 Rischio biologico Pag.59 Rischio chimico Pag.61 Lavori in ambienti confinati Pag.65 INDICE Pag.71