Introduzione Alla Teologia Morale

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www.sviluppoepace.it Lévêque Chiara Maria Università Cattolica - Milano Teologia 3 – Prof. Aramini Riassunto libro “Introduzione alla teologia morale”. INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA MORALE Michele Aramini I. LA TEOLOGIA MORALE COME SCIENZA 1. Il fatto morale La moralità è un fatto costitutivo dell’uomo. L’uomo è un essere morale , dotato di una coscienza che lo interroga e lo fa interrogare sul sentimento della colpa e quindi sul bene e il male. La teoria morale è un’interpretazione del fatto morale che dà delle indicazioni per rendere più spedita la ricerca del bene; essa fornisce princìpi e norme morali con cui la coscienza dell’uomo è chiamata a confrontarsi. 2. La teologia morale La teologia morale è la chiarificazione dei valori morali che sono già patrimonio della coscienza dei credenti; è la branca della teologia che riflette sulla risposta che l’uomo deve dare alla chiamata di Dio. Teologia dogmatica : si occupa della ricerca sulle verità della salvezza. Teologia morale: ricerca in qual modo l’uomo deve modellare la sua vita alla luce della sua vocazione e destinazione soprannaturali. La morale è quella parte della teologia nella quale si indaga riguardo alle norme del libero agire umano alla luce della rivelazione. Una morale cristiana non può avere altro fondamento che la nostra creazione e redenzione in Cristo. Il compito della teologia morale viene svolto attraverso due momenti logici: 1

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Lévêque Chiara Maria Università Cattolica - MilanoTeologia 3 – Prof. AraminiRiassunto libro “Introduzione alla teologia morale”.

INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA MORALEMichele Aramini

I. LA TEOLOGIA MORALE COME SCIENZA

1. Il fatto morale

La moralità è un fatto costitutivo dell’uomo. L’uomo è un essere morale, dotato di una coscienza che lo interroga e lo fa interrogare sul sentimento della colpa e quindi sul bene e il male.La teoria morale è un’interpretazione del fatto morale che dà delle indicazioni per rendere più spedita la ricerca del bene; essa fornisce princìpi e norme morali con cui la coscienza dell’uomo è chiamata a confrontarsi.

2. La teologia morale

La teologia morale è la chiarificazione dei valori morali che sono già patrimonio della coscienza dei credenti; è la branca della teologia che riflette sulla risposta che l’uomo deve dare alla chiamata di Dio. Teologia dogmatica: si occupa della ricerca sulle verità della salvezza.Teologia morale: ricerca in qual modo l’uomo deve modellare la sua vita alla luce della sua vocazione e destinazione soprannaturali.La morale è quella parte della teologia nella quale si indaga riguardo alle norme del libero agire umano alla luce della rivelazione.Una morale cristiana non può avere altro fondamento che la nostra creazione e redenzione in Cristo.Il compito della teologia morale viene svolto attraverso due momenti logici:

1) FASE FILOSOFICA: innanzitutto è necessario precisare quei concetti universali che sono necessari per comprendere l’esperienza morale di ogni uomo Analisi dell’atto umano.

2) Precisazione delle categorie proprie della tradizione morale cristiana: il comandamento, la legge divina, il peccato, la conversione… mettersi in ascolto del messaggio biblico; ad esempio mostrando come il comandamento di Dio si fa presente nella coscienza.

L’intero agire cristiano deve svilupparsi a partire dalla comunione di vita con Cristo che trova il suo inizio nel battesimo.La legge fondamentale di ogni azione morale esige che l’agire sia coerente con la qualità dell’essere cristiano. I gesti del cristiano devono essere realizzazione dei sentimenti di Cristo.Non è vero che “l’agire segue l’essere”, l’agire morale cristiano si forma e si matura nella responsabilità personale dinanzi a Dio. Il compito della morale è quello di capire la volontà di Dio e di seguirla con amore.L’autentico insegnamento morale non può consistere soltanto nella presentazione dei limiti di ciò che è permesso, ma deve presentare anche l’ideale della perfezione morale che si ha nella persona di Cristo comprendere sempre meglio la volontà di Dio.

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3. Teologia morale ed etica filosofica

- L’etica filosofica fonda la propria conoscenza del fatto morale sulla RAGIONE; quindi propone la conformità dell’agire umano alla ragione. Sostiene che si debba prima individuare CHI E’ L’UOMO e poi derivarne i precetti morali. Lo SFORZO ETICO è sempre uno sforzo umano per il perfezionamento di sé stessi. L’etica filosofica mostra la ricerca etica dell’uomo ma anche la sua limitata capacità e il suo bisogno di un oltre.- La teologia morale si fonda sulla FEDE; cerca di interpretare l’aspirazione al bene e alla verità propria di ogni uomo alla luce della Rivelazione biblica propone ai Cristiani regole di comportamento. L’UOMO E’ MEMBRO DI CRISTO. L’AGIRE MORALE è un far luogo alla potenza di Dio.

4. Teologia morale e Bibbia

La vita morale è risposta alla chiamata del Padre, che è chiamata alla santità.La Bibbia è il documento fondamentale della morale cristiana ma, non essendo un manuale di teologia morale, necessita di una riflessione integrativa.2 aspetti:- Nell’insegnamento biblico prevale la PARENESI ovvero l’esortazione all’osservanza della Legge e all’imitazione del Cristo senza riferimenti etici nel presupposto che siano sottintesi.- Problema dei CONTENUTI MORALI: nella Bibbia non c’è sistematicità, si toccano solo certi aspetti della vita umana e i problemi morali “nuovi” non trovano risposta nella Bibbia. Da qui la necessità della riflessione morale che cerca di costruire delle risposte in consonanza con il concetto di uomo e di bene proposto dalla Bibbia importanza delle testimonianze di vita!La morale cristiana deve essere fondata sulla Bibbia ma anche sulla ragione credente che cerca di capire sempre meglio l’uomo e i suoi problemi; da qui si apre il confronto con le scienze che studiano l’uomo (psicologia, sociologia…).

5. teologia morale e Magistero della Chiesa

La competenza sul bene e sul male appartiene innanzitutto alla coscienza dell’uomo.La coscienza cristiana si forma nel dialogo con il Magistero e la teologia morale è al servizio di questo dialogo. Anche la coscienza credente e le indicazioni del Magistero devono essere sottoposti a critica perché mantengano la fedeltà al Vangelo.

II. LA CRISI DELLA MORALE CRISTIANA NEL CONTESTO ODIERNO

La nostra epoca sta vivendo una profonda crisi della morale. Questa crisi è:* CULTURALE: la filosofia non si occupa più della morale.* ESISTENZIALE: colpisce anche l’uomo comune “privatizzazione della

coscienza” = collage di opinioni morali derivanti da fonti diverse a aseconda della convenienza.

Alla base della crisi vi è il fenomeno della SECOLARIZZAZIONE in base al quale la società perde sempre più il riferimento a Dio.

1. Aspetti teologici della crisi

1) LA MORALE DEL PECCATO: si trattava di una predicazione ordinaria nel periodo compreso tra l’illuminismo e il Concilio Vaticano II. La preoccupazione giusta era di fornire al confessore delle indicazioni precise che lo aiutassero a valutare le colpe e a imporre le penitenze per una conversione effettiva.

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Limiti: troppa attenzione al comportamento oggettivo e quasi nulla al processo di formazione dell’intenzione del soggetto e rigorismo nella valutazione morale.Risultato: fobia del peccato per i credenti che portava ad una cinica rassegnazione.

2) UNA TEOLOGIA NATURALISTICA: la scolastica medievale considerava l’uomo secondo una visione naturalistica o cosmologica dove non giocano alcun ruolo la coscienza e l’intenzione soggettiva. L’identità del soggetto è definita indipendentemente dal suo comportamento.Risultato: la legge ha un significato indipendente dalla coscienza dell’uomo; la vita morale è concepita come lotta contro le passioni e le emozioni sono un disturbo. Il naturalismo-intellettualismo è incapace di dialogare con la modernità e con le scienze umane.

3) IL CAMBIAMENTO CONCILIARE: il Concilio Vaticano II ha chiesto di considerare come centro della morale la dignità della persona umana, qualificata dalla sua coscienza. Compiti della verità morale sono la difesa e la crescita di tale dignità dell’uomo.La sequela Christi è la risposta a una chiamata che parte dalla persona storica di Gesù; il tema biblico della sequela di Gesù è il tema fondamentale della teologia morale ed il principio architettonico della moralità cristiana, la quale è caratterizzata da una struttura dialogica: la chiamata di Cristo suscita la risposta libera dell’uomo la morale cristiana è cristocentrica e antropologica.

2. Aspetti filosofici della crisi

L’odierna crisi della morale è sia crisi della morale cattolica che crisi dell’etica filosofica.Dato lo stretto legame che intercorre tra le due, la crisi dell’etica filosofica ha contribuito ad accrescere la crisi della morale cattolica.Elementi e funzione che ognuno di essi svolgeva nell’impianto tradizionale, quattro dimensioni:

1) Etica basata sull’idea di NATURA; 2) La natura ha il suo corrispettivo soggettivo nell’idea di RAGIONE;3) Natura e ragione hanno la loro trasparenza sociale in un insieme di DOTTRINE E

ISTITUZIONI;4) Questi tre elementi sono riferiti all’idea di DIO come loro principio e fondamento.

I momenti della crisi:a) La crisi parte dalla crisi della dimensione-Chiesa perdita di trascendenza;b) La crisi passa poi ad intaccare la dimensione interna all’uomo stesso perdita

dell’universalità;c) Caduta della trasparenza sociale: le singole morali non riflettono più la ragione di

una società bensì determinati interessi perdita della trasparenza sociale;d) Sgretolarsi del cuore della morale, cioè della sua assolutezza perdita del valore

assoluto dell’imperativo etico.La morale tradizionale ha come fondamento Dio (fondamento ultimo) e la natura (fondamento prossimo), e come elemento che la fa conoscere la ragione-coscienza (criterio interno) e le istituzioni (criterio esterno). È l’erosione di questi quattro elementi a costituire la sua crisi.Analisi dei quattro momenti di crisi:

a) SECOLARIZZAZIONE DELL’ETICA: Dio non è più fondamento della morale. Questa crisi deriva dalla crisi della credibilità della Chiesa in seguito alla sua divisione, che porta a non avere più un’unica verità e alle guerre di religione. La morale deve essere universale e, in tal modo, le Chiese non possono più proporsi come fondamento dell’esistenza morale.Si cerca allora un fondamento della morale che sia aconfessionale.

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Il teologo olandese Grozio, a metà seicento, dà vita ad una morale laica basata sulla natura umana e sulla ragione. Dio non è più rivelazione e diviene Lui stesso una scoperta della ragione.Kant è il più alto rappresentante della morale laica. Fonte della moralità è la ragione senza bisogno di appello a una realtà ulteriore; il riferimento a Dio non fonda l’istanza morale ma ne è invece una conseguenza. Trasferendo da Dio all’uomo la radice e il motivo dell’agire etico, Kant non intende indebolire la morale ma anzi conferirle una certezza assoluta, tuttavia è stato proprio il disancoramento religioso della morale a contribuire al suo oscuramento.

b) LA PERDITA DELL’UNIVERSALITA’ E IL PASSAGGIO AL RELATIVISMO MORALE: Kant nel cercare un fondamento laico alla morale intende conferirle una base valida per tutti evitando il pericolo del relativismo che proviene dalla pluralità di confessioni cristiane.Dalla seconda metà dell’ottocento si sviluppano le ricerche etnologiche e la scuola sociologica di Durckheim e Comte; l’interpretazione sociologica del fatto morale dice che il valore morale è relativo, esso infatti varia a seconda della società di riferimento. Il contatto con nuove popolazioni induce a pensare che non esista la comune misura: invece di un universo morale ideale, con differenti gradi di attuazione effettiva, tanti mondi morali autonomi e ugualmente validi.

c) DALLA NORMA SOCIALE COME CONCRETIZZAZIONE DELLA VERITA’ MORALE ALLA NORMA COME ESPRESSIONE DI INTERESSI PARTICOLARI: la norma è l’incarnazione oggettiva degli ideali coltivati da una certa società.Le teorie marxiste sostengono che le norme sociali non costituiscono l’applicazione della ragione etica ma, al contrario, sono espressioni di interessi individuali e di gruppi. Secondo Marx è l’essere che determina la coscienza e non viceversa. La coscienza di chi vive in queste società è perciò falsa coscienza.

d) LA DISSOLUZIONE DELLA COSCIENZA MORALE: La quarta tappa è costituita dalla messa in discussione della coscienza stessa, fino alla sua abolizione.La coscienza morale è considerata il giudizio senza appello nell’agire concreto.Freud però compì il gesto dissacrante di guardare dentro la coscienza e, invece di temerne il giudizio, erigersi a giudice di essa. Nella coscienza egli non trova Dio ma tutte le varie censure sociali; alla radice della psiche umana c’è un principio di piacere che viene controllato attraverso l’introiezione delle censure esterne. Con Freud viene cancellato dalla morale ogni tratto di assolutezza; richiamandosi alla sua coscienza l’individuo crede di appellarsi a una realtà sacra e intangibile, mentre non fa che indicare una funzione sociale che si è abilmente travestita e truccata.Nietzsche sostiene che nell’uomo vi sia l’originario principio della volontà di potenza intesa come impulso di vita e non come desiderio di dominio.Differenze tra Freud e Nietzsche:

o Per Freud la struttura dell’uomo che organizza il proprio io attraverso l’istanza del limite è fondamentale e presente in ogni cultura; per Nietzsche essa è propria della civiltà platonico-cristiana ormai al tramonto.

o Nietzsche ritiene possibile un uomo diverso, un oltre-uomo che sia al di là del bene o del male, per cui la morale va superata, mentre per Freud essa va mantenuta come un malum necessarium.

Punti in comune:o Lo smantellamento della coscienza come istanza originaria e assoluta, della

categoricità dei suoi imperativi, della perentorietà e della sacralità della sua voce.o La coscienza etica è ridotta a razionalità funzionale e viene messa a nudo nei suoi

meccanismi di formazione: da una parte (Freud) per declassarla, dall’altra (Nietzsche) per decretarne la morte.

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Conseguenze della crisi morale: MAGGIORE LIBERTA’ dai condizionamenti e maggiore autonomia

pluralismo etico e privatizzazione della coscienza. INCERTEZZA teorica e difficile uso della libertà.

Forme di pseudomoralità:1) ETICA EMOTIVISTA: Il criterio esclusivo è il desiderio del soggetto. Ricerca

spasmodica di una vita di qualità (es. aborto, eutanasia..);2) ETICA UTILITARISTA: Il criterio di scelta è il profitto; la vita umana è

condizionata da parametri di tipo economico (es. aborto);3) ETICA SOCIOLOGISTA: Il criterio qui è quello dell’opinione dominante. La vita

umana dipende dal valore che la cultura o l’ideologia prevalente sono disposte a riconoscerle (uso della statistica).

Cammino storico della riflessione etica:- Fondazione- Giustificazione- Gerarchia dei valori

Il PLURALISMO ETICO, lungi dall’essere un’obiezione al tentativo di delineare una sola prospettiva etica in chiave filosofica, la richiede e, implicitamente la postula.Il fatto che in questa nostra epoca si affermi da più parti l’idea dell’incommensurabilità delle morali è il prodotto di una congiuntura storica ed esprime la negazione o della morale o dell’uguaglianza ontologica degli uomini.Il pluralismo etico di tipo anglosassone propone il modello di un’etica neutrale, che non impone valori a nessuno, limitandosi a porre regole procedurali. Obiezioni:- In realtà neutrale non è in quanto propone una affermazione del valore assoluto della libertà;- L’etica non può essere ridotta al suo profilo procedurale;- Esso non può essere considerato un valore per il solo fatto di esserci;- Infine anche il pluralismo etico vuole imporre la sua posizione come universalmente giusta.Il profilo strumentale del pluralismo etico è al servizio del progetto culturale proprio delle tecnoscienze che vuole globalizzare tutte le espressioni della cultura occidentale. Il pluralismo etico è utile a questo obiettivo perché depotenzia qualsiasi atteggiamento critico nei confronti di una scienza che si presenta come eticamente neutrale.

3. La condizione morale dell’uomo contemporaneo

La natura, per la tradizione morale cristiana, è il fondamento dell’agire morale retto; tuttavia una morale della natura si trova diffusa in tutte le culture e in tutte le civiltà natura come realtà divina.Il mito è un discorso che esprime in forma narrativa le leggi profonde della vita e il mito narra ciò che è avvenuto all’origine, ovvero ciò che hanno fatto gli dèi e l’uomo deve riprodurre nella propria vita questi archetipi divini.Nel passaggio dal mito al logos la morale diventa imitazione, per cui è necessario ripetere tutti i gesti compiuti dal divino dato che, tutto ciò che è difforme dal modello naturale-divino è destinato a fallire.La contestazione dell’etica tradizionale comporta la sua sostituzione (in modo consapevole solo con Nietzsche) con un’etica del progetto.L’etica del progetto è il tentativo di trasformare in proposta morale la crisi stessa della morale; oggi essa fa perno sulla libertà e sulla necessità1 come materiale da plasmare; oggi per l’uomo

1 La necessità è l’insieme delle situazioni, cosmiche e sociali, entro cui l’uomo si trova e con cui deve fare i conti.

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contemporaneo fare i conti significa piegare la realtà esteriore ai propri progetti, trasformarla secondo le proprie intenzioni utilizzo della TECNOLOGIA = la natura diviene solo un serbatoio di materie prime!Oggi l’etica del progetto è l’estensione dell’atteggiamento tecnologico a tutto il reale; il principio produttivo dell’agire morale è la mia libertà senz’altra misura che sé stessa e i limiti che trova sono solo di fatto e non di principio.Il senso più radicale della secolarizzazione è lo spegnersi dei modelli morali nella loro istanza di princìpi normativi di vita buona.Fenomeno del ritorno alle radici: è la resistenza alla secolarizzazione. L’uomo secolarizzato è senza radici; le radici dell’uomo sono la natura, la cultura e la religione.L’uomo secolarizzato vuole fare a meno di tutto questo con il risultato che la libertà provoca vertigine.Il risultato finale però è:

Il RITORNO ALLA NATURA, con lo sviluppo dell’ecologia e le iniziative che costituiscono l’ “arcipelago verde”.

Il RITORNO ALLE RADICI CULTURALI, con la riscoperta delle tradizioni locali o la riscoperta delle radici lontane.

Il RITRONO ALLA RELIGIONE dagli anni ’70 ripresa del fascino delle grandi religioni tradizionali, movimento new age.

Non meraviglia che l’uomo secolarizzato e l’uomo in cerca delle proprie radici possano convivere in un unico corpo, dato che l’uomo è per natura contraddittorio.Lo sperimentalismo è segno di debolezza, la progettualità è segno di forza.La caratteristica saliente dell’uomo di fine secolo è l’identità debole. Debole perché senza radici, discontinua, settoriale, cioè più vicina a una tipologia infantile che alla tipologia classica della persona adulta!

4. Una morale per l’uomo

Accuse a: ETICA DELLA NATURA: se l’uomo deve misurarsi su un ordine naturale, ne viene

decapitata la sua trascendenza e diventa una cosa. ETICA DEL PROGETTO: se non esistono valori oggettivi, la scelta umana cade

nell’arbitrato.Tertium che spezza l’alternativa natura/progetto: LA BIBBIA.L’uomo biblico si definisce come risposta a Dio che lo chiama; non c’è l’arbitrio di una libertà autonoma e non c’è l’immersione dell’uomo nel mondo delle cose.L’incontro tra le due libertà nella modalità appello-risposta costituisce l’ETICA DELLA PERSONA: che unisce oggettività e soggettività, verità e libertà.

IV. IL MESSAGGIO MORALE DELLA BIBBIA

1. La morale come incontro della libertà di Dio con la libertà dell’uomo

La Bibbia non conosce né l’etica della natura né l’etica del progetto.Il fondamento della morale è, nella Bibbia, la presenza di quel valore assoluto che non è un ordine ben articolato di leggi universali né la coscienza e la libertà dell’uomo, ma un essere personale che chiama a questa libertà.Aderire al patto stipulato con Dio è la base del rapporto tra uomo e valore morale. L’uomo buono, il cui agire è valido, è l’uomo che vive la propria esistenza in obbedienza a Dio.Il Dio della Bibbia si manifesta nell’ambito etico e non in quello produttivo.

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Gli studiosi della Bibbia dicono che la prima pagina non è la Genesi, con il racconto della creazione, ma l’Esodo, con il racconto dell’alleanza.L’idea di creazione non è il costruire in base a idee ma è la “Parola”; l’idea c’è ma l’accento cade su altro, sulla volontà della parola. Dio è il Dio della parola che parla all’uomo attraverso l’interpellazione morale. La stessa creazione delle cose viene vista in analogia con l’interpellazione morale, l’ETICA è l’esperienza prima in base alla quale viene pensata la stessa creazione del mondo.Nella Bibbia si è sedimentata la figura piena dell’esperienza morale quindi nei testi biblici cerchiamo la verità di ciò che noi viviamo, la verità della nostra esperienza morale. L’esperienza morale di ogni uomo ha un profilo religioso, ciò significa che si può accedere al bene solo decidendo di affidarsi a una causa buona.

2. La morale dell’Antico Testamento e del giudaismo

Momenti più significativi della sua proposta morale espressi nelle tre forme fondamentali in cui si esprime la Parola di Dio: la legge, la profezia e la sapienza. LA LEGGE: è quella dell’Alleanza del Sinai, che modifica diritto e costumi in modo che

divengano espressione della fede in Dio. I PROFETI: con il loro messaggio i Profeti precisano i termini dell’infedeltà del popolo di

Israele. La vicenda di Israele ha un significato universale: gli uomini non riescono a realizzare nei propri ordinamenti sociali la giustizia di Dio. Sarà necessario l’intervento di Dio, che in fatti è parte essenziale della predicazione profetica.

I SAPIENTI: I sapienti negano che si possa conoscere il bene attraverso tentativi ed esperimenti; il sapere che fa vivere viene solo dal timore di Dio. Anche la sapienza rimanda a un’opera ulteriore di Dio destinata a salvare l’uomo.

PROFILO STORICO:

♣ DALLE ORIGINI ALLA MONARCHIA: I testi di riferimento si trovano nella parte storica del libro della Genesi; in questo periodo il valore sociale è la famiglia patriarcale. Il rapporto con Dio è personale.

♣ ESODO E SINAI: Il libro dell’Esodo contiene l’etica di Israele: fare il bene significa fare ciò che Dio comanda in Israele. Il Decalogo dà una prima determinazione del dovere morale; le norme diventano espressione del comandamento di Dio, il quale determina la differenza tra bene e male. I Comandamenti del Decalogo hanno un significato simbolico: l’ubbidienza a Dio. L’ubbidienza ai Comandamenti è l’espressione dell’uomo che promette sé stesso a Dio, come Dio nell’Esodo ha promesso sé stesso all’uomo.

♣ IL PERIODO MONARCHICO (X-VII secolo a.C.): redazione eloista e jahvista. Vi è accresciuta coscienza di essere popolo e di essere regno stabile, per grazia della promessa. Il re è responsabile dell’osservanza della legge e perciò delle deviazioni dall’alleanza. La costruzione del tempio di Gerusalemme, l’introduzione di alcuni elementi pagani fenici, come i cicli della natura, all’interno della religione di Israele, il commercio e l’urbanizzazione, fanno rischiare la perdita d’identità del popolo di Dio. Si pone il problema se sia lecito governare stato e società come gli altri popoli o se occorra attenersi ad altri princìpi. Il Dio di Israele avvalla logiche di affermazione e di potere?

♣ IL PROFETISMO: per i Profeti l’istanza etica è primaria, essa è intesa come la richiesta fondamentale che Dio rivolge al popolo, in piena libertà reciproca. Il culto ha meno importanza in quanto si ritiene che l’incontro con Dio avvenga nelle scelte coerenti radicali. I Profeti di maggiore interesse sono quelli che accompagnano la monarchia di Israele: Israele non vive una storia di fede ma di calcoli politici e di alleanze con i vicini, c’è il rifiuto per la parola di Dio e per le sue leggi che, poiché restringono la libertà, vanno eluse.

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Vi è una fede scaramantica fatta di culti per “tenere buono” Dio che non comprende come la legge divina voglia semplicemente predisporre il cuore all’accoglienza della chiamata di Dio. Tutta la predicazione dei Profeti è volta a denunciare questo difetto di fede. Il ciclo dei Profeti si conclude con la distruzione di Gerusalemme. Tra i maggiori Profeti vi è Isaia.Tuttavia vi è la speranza della conversione, il modello seguito è: denuncia-opposizione e annuncio-speranza; critiche dei Profeti:- alla monarchia e al culto: gli uomini sbagliano a riporre la propria sicurezza nel re e nei

sacrifici anziché in Dio;- alla legge: è solo mero tentativo di addomesticare Dio. Mentre la legge correttamente intesa

è la via che Dio dà per arrivare a Lui; i Profeti non si oppongono alla legge ma solo alla sua interpretazione riduttiva da parte del popolo di Israele.

° Rapporto tra Profeti e monarchia: il comportamento del re è importante perché contribuisce a plasmare l’immagine del popolo dell’alleanza per cui viene spesso criticato dai Profeti.° Culto: critica al culto come rassicurazione magica e non come via per cercare Dio.Al centro della predicazione profetica sta l’annuncio della salvezza e non del giudizio.

♣ ESILIO E POST-ESILIO: Vasta produzione letteraria; visione ottimistica che crede che l’alleanza non verrà più violata. Dio supera con il suo dono la fallibilità dell’uomo. Ma il ritorno all’esilio mostra che questo regno deve ancora venire e si sviluppano diverse linee di sostegno alla speranza del popolo:- Linea apocalittica: il presente è tempo di purificazione in attesa della vittoria di Dio;- Linea della fedeltà quotidiana alla Torah2: comunità che riflette sul giudizio di Dio per

distinguere bene e male e ritrovare gli atteggiamenti corretti.♣ IL GIUDAISMO: è fondato sulla elevazione della Torah a espressione massima della volontà di

Dio, pertanto la risposta della fede deve consistere nella fedele osservanza quotidiana dei suoi precetti. Ubbidire alla Torah non è legalismo ma comunione con Dio. Un evento esterno provocò una divisione all’interno del giudaismo: l’imposizione dei costumi ellenistici in Giudea. Da una parte vi fu la rivolta maccabaica contro questa imposizione, dall’altra la corrente farisaica che rifiutava entrambe; quest’ultima rappresenta la forma più elevata di moralità del giudaismo e propone come primo precetto l’osservanza della Torah, considerata la via della salvezza.

COMPLESSI LETTERARI:

♠ LA TORAH: è un complesso di precetti che tocca tutti gli aspetti della vita. L’ammaestramento è dato come divino. La Torah è salvifica e rassicurante, insegna il limite dell’uomo e la necessità di interrogarsi per conoscere la volontà di Dio e fare bene il compito che intende assegnare all’uomo. Si crea una cultura dell’ascolto e dell’ubbidienza a Dio.

♠ DEUTERONOMIO E OPERA DEUTERONOMISTA: fa parte della Torah; i libri vanno da Giosuè a 2 Re. Il punto essenziale è che Dio non vuole solo che il popolo gli sia dipendente, ma che assuma coscientemente questa esistenza dipendente primato della coscienza. Per avere un continuo riferimento all’alleanza bisogna escludere totalmente gli idoli e tutta la persona è chiamata a riconoscere la benevola sovranità di Dio; le norme sono accompagnate da motivazione e finalità, la storia è richiamata per mostrare l’agire giusto e fedele a Dio, rispettare i precetti vuol dire dimostrare di amare Dio; le benedizioni-maledizioni indicano che la storia avanza in relazione alle scelte dell’uomo. Vi è un forte collegamento tra individuo e comunità. La proposta morale dell’opera deuteronomista ha uno spirito vicino a quello del Nuovo Testamento. Punti problematici: a) convinzione della sacralità assoluta del giuramento; b) accettazione della violazione dell’ospitalità; c) teorizzazione del dovere allo sterminio totale per le città vicine a Israele; d) immaturità nell’interpretazione del principio storico-salvifico.

♠ I LIBRI SAPIENZIALI:

2 Torah: termine ebraico designante la Legge.

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- LA SAPIENZA ANTICA: PROVERBI 10-31. Elementi principali: il mondo ha un ordine attinto dalla ragione che lo esprime nei Proverbi. Alle azioni sagge segue il benessere, l’azione di Dio citata è solo quella constatata nell’esperienza. I Proverbi sono un quadro di sostegno per le decisioni del soggetto e il loro obiettivo è la riuscita dell’uomo nella società del suo tempo. Il fondamento dell’etica sapienziale è antropologico perché si basa sull’esperienza. Sono toccati tutti gli ambiti della vita, come l’uso della lingua, la condanna della violenza, l’invito alla laboriosità ecc. Vi è la certezza che la pienezza della vita è assicurata dall’inserimento della propria persona in un ordine sociale e cosmico diretto da Dio.

- GIOBBE E QOELET: questi due libri testimoniano la crisi del modello ordinato, proprio della sapienza antica; in essi si discute del perché si debba fare il bene. La spiegazione della moralità diventa immediatamente teologica: è solo l’assoluta santità di Dio che fonda il comportamento buono. La ragione dell’agire buono si trova solo in Dio; l’uomo può solo godere dei beni come ubbidienza alla sapienza divina inaccessibile. Il problema principale di Qoelet è la morte che sembra vanificare ogni sforzo umano, dato che la presenza di Dio non è ancora concepita come risposta ma solo come sprazzi di felicità.

- LA SAPIENZA RIVELATA: in Proverbi 9-11. La sapienza è presentata come attributo divino che va riconosciuto e accolto. Il comportamento morale è ora inserito nel quadro della creazione-alleanza: l’uomo deve evitare il male e prendersi cura del prossimo. Il timore del Signore diventa il compito riassuntivo dell’uomo. Il libro della Sapienza introduce la considerazione della vita dopo la morte, distinguendo tra empi e giusti. Gli empi sono atei, mentre i giusti sono i credenti. Il primo compito morale è la fede nel trionfo dei giusti dopo la morte.

- LA MORALE DEI SAPIENTI: è una morale della ricerca continua del bene e dell’educazione dell’uomo al bene, si cerca dunque il rapporto tra azioni umane e loro conseguenze. Il fine del cammino morale è l’ubbidienza a Dio e alla sua Legge; la controfigura dell’empio (la cui vita è una assurda alleanza con la morte) serve a esprimere la necessità della scelta: non c’è una terza via tra bene e male. La tranquillità degli empi + minacciata dall’esistenza del “giusto povero” che ricorda loro che anch’essi hanno un’anima. Il giusto povero è perseguitato dagli empi. Viene affermata la relazione essenziale tra verità e libertà.

Conclusione sul messaggio morale dell’Antico Testamento:Si tratta di una MORALE DIALOGICA O DELL’ALLEANZA, che impone valori e cose da fare perché Dio per primo ha fatto e vuole qualcosa dal suo popolo, le cui azioni hanno enormi ricadute.È possibile una così grande responsabilità per il popolo di Dio prima di una rinnovazione totale del mondo? a) Il presente è il tempo della confessione del peccato in attesa di Dio;b) Osservanza della Torah;c) Abbandono fiducioso a Dio senza pretesa di incidere nella storia.L’UOMO è grande se visto alla luce di Dio, piccolo se visto in sé stesso. Per questo vivere in modo degno significa per l’uomo innanzitutto riconoscere Dio, lodarlo e ubbidirgli.

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3. La morale del Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento costituisce la fonte autorevole della morale cristiana. L’evento Gesù Cristo costituisce il compimento obiettivamente invocato dalla prima alleanza.Come leggere le norme del Nuovo Testamento: 1) Si considera la legge del Nuovo Testamento come una legge nuova proposta da Gesù che è il

nuovo Mosè. Le sue esigenze etiche integrano e superano quelle dell’Antico Testamento, lasciando cadere le norme di carattere rituale.

2) Interpretazione utopica della morale. I comandi della non violenza, dell’amore per i nemici, ecc. sono considerati solo dei consigli distinti dai comandamento veri e propri. In questa linea si pone pure la riforma di Lutero. Il Nuovo Testamento genera una tensione tra esigenze radicali e operatività etica.

Per superare questa dicotomia occorre un nuovo metodo di lettura dei testi del Nuovo Testamento attraverso tre presupposti:

a. La morale del N.T. è radicata nell’A.T. ma con la mediazione del giudaismo palestinese;

b. Nei testi attuali sono presenti diversi orientamenti teologici;c. Il progetto etico comune ai testi del N.T. si può rinvenire con lo studio del fenomeno

religioso.Non si dà etica nel Vangelo che non sia espressione della fede nella persona di Gesù e la vicenda storica di Gesù coinvolge fin dai suoi inizi la risposta degli uomini. La parola di Gesù può prendere forma nel tempo solo se trova un popolo che la accoglie.

♥ IL MESSAGGIO MORALE: Alle radici del messaggio morale del N.T. si trova l’annuncio della risurrezione.

♥ GESU’ DI NAZARET: il nucleo unificante dei Vangeli è l’annuncio del Regno di Dio ai poveri. La morale insegnata da Gesù è strettamente collegata con l’annuncio del Regno di Dio. L’annuncio è il compimento della promessa fatta da Dio nella prima alleanza. Il nucleo della morale di Gesù è il comandamento dell’amore. Quattro aspetti:

LA MORALE DEL REGNO DI DIO: ora il Regno si è fatto vicino grazie all’azione e alla parola di Gesù; il messaggio dei miracoli serve a Gesù per annunciare il Regno di Dio. Questo Regno si manifesta anche attraverso il perdono dei peccatori. Il Regno è proclamato ai poveri che sono coloro che credono con animo aperto e fiducioso in Dio e i destinatari del Regno; le Beatitudini sono un manifesto conciso del Vangelo.

IL COMPIMENTO DELLA LEGGE: I dieci comandamenti sono a tutti gli effetti ancora validi. Gesù porta a compimento la rivelazione storica della volontà di Dio consegnata nella prima alleanza. La condizione per partecipare al Regno di Dio è l’attuazione integra e fedele della volontà di Dio.

IL COMANDAMENTO MASSIMO E NUOVO: Il principio chiave dell’etica evangelica è il comandamento dell’amore del prossimo (particolarmente in risalto nel Vangelo di Matteo). L’amore per Dio e per il prossimo hanno due significati diversi, infatti amare Dio significa temerlo e credere in Lui. Il comandamento dell’amore è esteso anche ai nemici in modo da accrescere la qualità del soggetto chiamato ad amare. Il comandamento dell’amore è presentato da Giovanni come il comandamento nuovo: esso è qualificato cristologicamente, nel senso che il modello e il fondamento dell’amore reciproco è l’amore gratuito e salvante di Gesù.

LA VITA DEI DISCEPOLI: la predicazione morale di Gesù rende gli interlocutori protagonisti del suo messaggio. I discepoli non sono i credenti più veri ma sono il modello di ogni credente. Gesù annuncia alle folle il Regno di Dio, mentre ai discepoli mostra che il Regno si attuerà mediante il suo personale destino di morte/resurrezione. Chi segue Gesù è chiamato ad imitarlo. Condizioni della sequela di Gesù: la relazione

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della coppia, l’uso dei beni materiali, i ruoli e le autorità. La morale evangelica ha due punti cardine: la sequela di Gesù e l’esigenza radicale e massima dell’amore. Il discepolato è la sequela e significa condivisione del destino di Gesù.

♥ PAOLO DI TARSO: il suo insegnamento è contenuto nelle sette lettere autentiche. Cenni sul suo pensiero:

LA VITA NELLO SPIRITO: il nucleo centrale dell’insegnamento di Paolo si trova nella lettera ai Romani. Il momento fondatore della condivisione con Gesù è il battesimo che fa passare dalla morte alla vita. Al principio della carne si sostituisce quello dello spirito.

LIBERTA’ E LEGGE: la legge di Dio è santa ma ciò che la trasforma in via di morte è il peccato; una volta battezzati e quindi liberati dal peccato, i credenti sanno vivere la legge nel modo giusto. La legge è l’espressione autorevole del primato della carità.

L’UOMO NUOVO NELLE SITUAZIONI STORICHE: in forza del dono dello Spirito il cristiano si conforma a Cristo e vive la vita, animata dalla carità, come culto spirituale. Anche le relazioni di coppia e quelle familiari trovano nell’esperienza cristiana una nuova qualità: la carità diventa reciproco servizio. Nello stesso modo anche le relazioni padroni-schiavi vengono mutate. La libertà cristiana si pone su un altro piano rispetto a quella garantita dal potere politico: i doveri civici non contrastano con la fede e la libertà religiosa.

LA TRADIZIONE APOSTOLICA: Sapienza dall’alto è sinonimo di Parola impiantata che è la legge perfetta della libertà perché esprime la volontà d’amore di Dio e la legge del suo Regno. In tutti gli autori del Nuovo Testamento la carità trova il suo momento originante nell’esperienza della fede e nel battesimo.

LE LETTERE PASTORALI (DI SCUOLA PAOLINA): sono le lettere a Tito e a Timoteo per questioni pratiche.

Conclusione sul messaggio morale del Nuovo Testamento: In cinquant’anni di testi del N.T. si possono trovare elementi comuni:

1) Gesù ha inaugurato il Regno di Dio: tale Regno per i Vangeli si identifica con l’azione e la parola di Gesù. Il discepolo è colui che imita Gesù e nello stesso tempo è in attesa del suo ritorno al termine della storia. Il dono dello Spirito rende il cristiano capace di una vita nuova.

2) Il corrispettivo biblico della coscienza è il cuore, il luogo dove si vive la relazione con Dio e si maturano le decisioni etiche.

3) Il progetto di vita cristiano è immerso pienamente nella storia, in armonia con il principio dell’incarnazione.

V. I COMPITI DI UNA TEOLOGIA MORALE RINNOVATA

La fede nel Vangelo di Gesù impone una nuova interpretazione del comportamento morale. Compito della teologia morale è quello di dare ragione delle esigenze morali che nascono dalla fede cristiana, è quello di essere intelligenza della fede.La teologia studia i modi comuni di pensare e di agire delle persone e li interpreta alla luce del Vangelo.

1. Urgenza di una teoria della coscienza

Alla teologia morale manca una trattazione vera e propria di carattere teorico.Le nozioni generali erano raccolte attorno a quattro titoli fondamentali: l’atto umano, la legge, la coscienza, il peccato; essi individuano effettivamente le articolazioni essenziali di una teoria della morale ma devono essere precisati attraverso un confronto con il messaggio biblico.La morale tradizionale attribuiva ogni atto umano alla ragione, tralasciando il ruolo della coscienza.

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La coscienza era però intesa solo come presenza del soggetto a sé stesso e questo implicava una grande difficoltà a pensare la figura della coscienza nel suo significato morale; necessità quindi di superare questo difetto morale. La concezione del soggetto è necessariamente legata alla teoria dell’agire morale.

2. Necessità dell’analisi fenomenologica

L’analisi fenomenologica è necessaria per evitare i difetti di astrattezza nella considerazione dell’esperienza morale. Essa consiste nella descrizione di ciò che avviene nella realtà, nel nostro caso è la descrizione di come si forma e opera la coscienza morale dell’uomo nelle condizioni ordinarie di vita. La morale tradizionale ignora la rivelazione biblica, ecco che il compito fondamentale di una corretta teologia morale è mostrare come la Scrittura sia essenziale per comprendere l’esperienza morale cristiana. Lo svolgimento di questo compito richiede alcuni passaggi teorici: occorre infatti elaborare una teoria della coscienza cristiana fondata sul comandamento di Dio.Non è possibile separare coscienza morale e coscienza psicologica dato che questo collegamento permette di comprendere che il soggetto non ha semplicemente doveri, ma è in debito di sé nei confronti di altro da sé. La coscienza morale può quindi prodursi unicamente nella forma di un’interpretazione della precedente coscienza effettiva alla descrizione fenomenologica succede il passo dell’interpretazione (ermeneutica). L’uomo che decide per la fede nel Vangelo accetta una verità che gli appare risposta valida a interpretare la coscienza; la scelta della fede è imposta al soggetto dalla sua coscienza morale.

3. la dimensione ecclesiale dell’esperienza morale

la pretesa della fede cristiana che la verità ultima della coscienza morale possa essere conosciuta soltanto a prezzo della fede nel Vangelo si può comprendere solo correggendo due errori:

- L’idea che esista una ragione in grado di conoscere la verità sulla norma morale;- Che vi sia un senso morale definito in termini mistici.

L’errore si corregge con la fenomenologia: l’essere umano realizza la propria identità solamente attraverso l’esperienza pratica che fa riferimento alla tradizione evangelica. Compito della teologia morale è spiegare l’importanza e la necessità della comunità della Chiesa per la fede e l’esperienza morale cristiana.È urgente rispondere alla pressione della società secolarizzata che tende a relegare la religione nell’ambito privato della coscienza. La fede ha infatti bisogno di essere argomentata di fronte a tutti e solo nella vita ecclesiale il credente trova le indicazioni per comprendere e interpretare cristianamente il modo in cui vive.La coscienza dell’uomo ha in radice la qualità di coscienza credente.

VI. LE STRUTTURE FONDAMENTALI DELL’AGIRE MORALE

Se si parte dalle esperienze immediate della coscienza, che sono varie e mai concluse, si può arrivare a comprendere l’assolutezza del dovere morale, oppure tale comprensione resterà difficile o addirittura impossibile?

1. La sintesi tra coscienza e dovere morale

La coscienza non è un’entità astratta, ma una realtà che trova spiegazione a partire dalle esperienze ordinarie della vita conclusione dell’analisi fenomenologica.Autori come Blondel hanno posto il problema che il riconoscimento del valore pratico possa compromettere la possibilità di spiegare il valore assoluto dell’imperativo morale e quindi la sua

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pretesa di essere ubbidito senza condizioni. Quindi per spiegare l’assolutezza del dovere morale sembra che ci si debba allontanare dal processo dell’esperienza, col risultato di dissociare dovere morale ed esperienza.

2. la nozione di dovere

La coscienza comune ci dice che buona in senso morale è l’azione che realizza il dovere. Affermazione contestabile.

3. L’atto morale dell’uomo

La soluzione del rapporto tra dovere e atto libero richiede due elementi:- Il debito originario che il soggetto ha verso gli altri;- Distinzione sui diversi tipi dell’agire umano.

Volere, a un certo momento, è una necessità per il soggetto. La necessità di volere, dunque, viene istituita attraverso le forme originarie dell’agire; volere davvero può soltanto colui al quale il proprio agire appaia addirittura quale condizione del suo essere, quale forma del suo libero venire all’esistenza.

4. L’azione e i suoi motivi

Perché il soggetto possa agire è necessario che egli sia prima di tutto “mosso”, ovvero che gli si manifestino motivi che inducono all’azione.Cos’è un motivo? Non è riconducibile alla figura del fine. Il motivo è innanzitutto la figura di un’azione che si prospetti al soggetto stesso come possibile e insieme promettente in quanto capace di dischiudere la via alla conoscenza. La motivazione all’agire ha a che fare sempre con l’incompiutezza del soggetto che ricerca la propria identità. E l’agire esige che l’uomo sia libero e in grado di disporre di sé. La percezione del carattere sensato della vita precede il riconoscimento effettivo del suo senso e che la vita dischiuda un senso vuol dire appunto che essa prometta una salvezza.

5. L’agire morale come prova per la libertà

La speranza di trovare ciò che è necessario per costruire la propria identità è la motivazione decisiva per l’azione morale. Alcune azioni degli altri verso noi stessi sono sorprendenti e realizzano un bene desiderabile che ci fa comprendere come anche le nostre azioni possano essere di accoglienza, di bene e diventano quindi azioni che interpellano la nostra libertà.

♦UNA DIFFERENZA CHE DELUDE: vi è differenza tra la promessa insita nelle azioni e l’atto che potrebbe realizzarla. In particolare la differenza emerge quando l’azione non realizza la promessa che essa conteneva, ovvero fallisce.Sempre esiste uno scarto tra la promessa ancora indeterminata che motiva l’agire e il risultato effettivo conseguito.

♦LA TENTAZIONE: Di fronte all’evidenza dello scarto può nascere nel soggetto l’idea di attuare una strategia difensiva, in modo da corazzarsi nei confronti delle delusioni. Ma il progetto difensivo cambia completamente la qualità dell’agire umano: il soggetto, invece di decidere di sé stesso, vuole mettere alla prova l’universo. Ciò diventa una cattiva disposizione dell’animo che compromette i rapporti umani per rendere tutto misurabile. Lo scarto ha due aspetti: 1) l’atto realizza sempre solo in misura parziale anche la migliore intenzione; 2) la cattiva volontà.

♦LA PERDITA DELLA LIBERTA’: Con questa operazione di nascondimento ci precludiamo in primo luogo la possibilità di capire la qualità morale dei nostri pensieri e sentimenti. Se la relazione tra gli uomini resta solo un atto pratico va gestita con criteri utilitaristici. Il sistematico risparmio

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del coinvolgimento personale produce peraltro il risultato di rendere tali rapporti sterili in ordine alla crescita personale; la libertà che si risparmia è la libertà che insieme si perde.

♦LA FEDE NECESSARIA: La delusione relativa all’atto umano è propria dell’agire stesso, dato che l’agire dell’uomo è fatto in modo tale che all’inizio sembra promettente e facile e poi esso può arrivare alla meta solo se questa è laboriosamente voluta. Ed è in questa seconda fase che viene messa alla prova la libertà. L’uomo può giungere alla verità di sé stesso solo accordando fiducia alla promessa iniziale. L’imperativo morale è ciò che dà forma pratica alla fede e il soggetto comprenderà l’imperativo morale attraverso una serie di esperienze che lo orienteranno man mano verso la decisione dell’ubbidienza. Quindi ci sono esperienze interlocutorie che hanno un carattere di indicazione. L’agire deve assumere la qualità della fede e dunque della disposizione assoluta di sé; tale disposizione prende allora la forma dell’attesa di conoscere gli imperativi che di necessità verranno dall’esperienza successiva e dell’impegno pregiudiziale ad osservarli (esempi: Mosè e il roveto ardente; vocazione di Samuele). Condizione preliminare perché l’uomo possa rispondere con fede è la testimonianza di altri che apre lo spazio dell’agire intenzionale.

6. Il male morale come fuga dalla libertà

La tentazione fondamentale per l’uomo è il progetto di risparmiare la propria vita, rifiutando il rischio della libertà. Si tratta di una tentazione illusoria perché la vita dell’uomo non può essere in alcun modo messa al sicuro (Gesù:«Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà» Marco 8, 35). Solo dopo aver provato e collaudato ciò che conviene l’uomo si impegnerebbe ma questo modo d’agire presuppone che le azioni dell’uomo siano prive di impegno. Questo progetto ha due aspetti: 1) aspetto attraente: possibilità di agire senza rischio; 2) aspetto ingannevole: tale possibilità non sussiste! Anche l’azione di prova lascia un segno indelebile sull’uomo che la compie. L’uomo mette in gioco sé stesso sempre.

7. La prova e il peccato nel rapporto tra uomo e donna

La relazione tra l’uomo e la donna sta all’origine remota di ogni altro legame tra gli uomini. Tali rapporti inoltre costituiscono il luogo privilegiato dell’esperienza morale; all’origine del rapporto tra uomo e donna sta l’incontro reciproco, detto “accadimento” dato che è una sorpresa, un regalo ed è l’accoglimento di un desiderio che è effettivamente proprio dei due da sempre.

IL VALORE DEI SENTIMENTI: il sentimento di meraviglia indica che nelle persone c’era un desiderio nascosto che aspettava solo di essere portato alla luce; l’accadimento che mi fa incontrare l’altro mi interpreta; io sono, soltanto a condizione di scorgere che altri mi attende; il bene per l’uomo assume di necessità la forma della compagnia, dell’essere con altri. Il sentimento è la prima iniziale forma di conoscenza della realtà.

LA TENTAZIONE DEL SOSPETTO: il male morale è rifiuto di volere o fuga dalla libertà. Dopo l’incontro iniziale, la prosecuzione del rapporto uomo-donna comporta che si incontri la difficoltà della relazione e allora i due fanno i conti con il dubbio di essere stati ingannati. Nasce il sospetto circa le vere intenzioni dell’altro e il passo successivo può essere quello di far diventare il sospetto quale motivo che esonera dall’impegno troppo ingenuamente assunto in precedenza; se il dubbio diventa la ragione di disimpegno personale è possibile che il rapporto si spezzi ma è anche possibile che continui in forma più cauta. La tentazione è quella di sospettare sempre delle intenzioni altrui e ciò è peccato.

IL PECCATO COME SOSPETTO NELLA BIBBIA: nella Bibbia il sospetto è la forma principale attraverso cui si manifesta il peccato. Il sospetto è l’opera di satana ( = colui che sospetta) che deve sottoporre tutte le azioni ad una prova. Il sospetto è figura tanto importante perché è proprio attraverso di esso che l’uomo tenta di evitare il proprio coinvolgimento.

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8. Il ruolo della cultura nell’agire morale

Il passaggio dall’agire spontaneo e infantile alla scelta libera si configura sempre come una seconda nascita. Su questo passaggio influiscono anche elementi culturali: la cultura infatti offre alla stessa coscienza personale una prima istruzione dei significati dell’agire che sono necessarie ma insufficienti. La seconda nascita, che non è il risultato di un processo educativo, è un atto che deve sempre essere ripreso dal soggetto. Vi è un debito permanente che l’uomo ha di decidere di sé e la libertà comporta che il soggetto umano viva l’esperienza della ripresa di sé stesso e non invece della continua ricerca di nuovi esperimenti.L’atto libero è l’atto mediante il quale si riconosce l’imperativo proposto dalla coscienza espresso da un tempo particolare (kairós), un tempo che consente finalmente la disposizione di sé da parte del soggetto, cioè un tempo pieno.L’atto libero è articolato in due tempi:1) IL CAMMINO MORALE COME RICERCA DI SE;2) IL CAMMINO MORALE COME RIPRESA DI SE.Vediamoli:1) IL CAMMINO MORALE COME RICERCA DI SE: la cultura contemporanea si concentra sul

momento della ricerca e non va mai oltre, ma negare il secondo momento vuol dire negare la libertà dell’uomo. Figura emblematica: Ulisse. La cultura pubblica non propone un ideale di vita buona e la coscienza del singolo resta in balìa di sé stessa, senza alcun punto di riferimento. Il soggetto minaccia di rimanere infantile e quindi prepotente e impotente. L’uomo rimane spettatore e non attore. Nel contesto sociale descritto diventa problematica la stessa formazione psicologica della coscienza che è condizione perché possa poi prodursi in maniera adeguata la stessa decisone della fede. La teologia è chiamata a svolgere il ruolo di aiuto delle coscienze.

2) IL CAMMINO MORALE COME RIPRESA DI SE: la Bibbia propone la figura della ripresa, non della ricerca permanente. Le prime vicende della vita dischiudono un senso o più francamente una promessa, che l’uomo alla fine può e deve scegliere senza più incertezze. Soltanto quando egli giunge a tale scelta, giunge insieme alla sua vera nascita. È il Vangelo che propone tale destino. La vicenda di Gesù è compimento della precedente vicenda di Mosè e dei figli di Adamo. Israele ha dovuto affrontare delle prove in modo da comprendere la verità della legge, così come i Profeti: all’iniziativa di Dio il Profeta deve consentire liberamente, ma la prima fase è facile, la seconda invece è il tempo della prova ed è difficile.Stessa cosa è avvenuta per i discepoli: essi sono stati scelti ancor prima che potessero capire; hanno aderito liberamente ma le difficoltà successive fanno si che essi mettano in dubbio la libertà della loro prima risposta; una seconda risposta, questa sì libera, verrà solo dopo che essi saranno istruiti dalla loro stessa vicenda precedente. La forma della loro scelta allora sarà appunto quella del consenso al destino assegnato dall’iniziativa solitaria del Maestro. La coscienza morale è il debito pratico che interpella la scelta libera dell’uomo.

VII. LA LEGGE MORALE

Per secoli l’insegnamento morale cristiano ha usato la legge come categoria principale per comprendere il senso dell’imperativo morale.La legge era però intesa, anche dalla teologia morale, come norma prodotta esclusivamente dalla ragione e non dalla fede (tradizione giuridica latina). È una nozione errata. Non è la ragione dell’uomo che riconosce con un atto intellettuale la legge ma sono i costumi.La legge assume un significato morale quando il soggetto ne accetta la pertinenza e decide di ubbidirvi. In tal senso la verità della legge morale, e insieme della correlativa obbedienza, possono essere conosciute unicamente a prezzo della fede. È alla Bibbia che ci rivolgiamo per approfondire la figura della legge.

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I PRECETTI DELLA LEGGE MOSAICA: nella tradizione mosaica si conoscono dapprima alcuni precetti, che non fanno immediato riferimento al rapporto con Dio, e solo dopo viene alla luce l’idea riassuntiva di legge (Torah). È solo con i Profeti che i precetti assumono un significato teologale: esprimono la loro qualità di istruzione proveniente da Dio e sono la via dell’ubbidienza a Dio. Vi è un legame tra legge e promessa. Perché l’ubbidienza a Dio passa per l’ubbidienza ai precetti? Vediamo di seguito i vari elementi.

1. Il carattere imperativo della legge

La legge dice al soggetto ciò che deve fare. Per comprendere il carattere imperativo della legge bisogna fare riferimento alla tentazione dell’uomo di essere unico arbitro delle proprie azioni. Conseguenza di questo arbitrio è lo sperimentalismo: il passare da una esperienza all’altra per provare quanto essa sia gratificante. Proprio a questo modo di essere dell’uomo si oppone la legge: «Non desiderare». L’arbitrarietà dell’agire e la pretesa di non essere giudicati sono largamente presenti negli stili di vita contemporanei. Definire l’agire come arbitrario è una valutazione morale negativa.La legge mi obbliga ad onorare la promessa e quindi mi aiuta a realizzare la mia identità; l’imperativo non fa altro che confermare ciò che è nato nella coscienza del soggetto e richiede di essere confermato perché egli non si disperda. L’obbedienza alla legge realizza il ricongiungimento tra Io e me. Un importante aspetto dell’imperativo dato dalla legge è il suo essere categorico: la legge non si può discutere, può invece soltanto essere osservata o non osservata; la legge dice solo la necessità per il soggetto di ubbidire a una promessa, che è sempre trascendente.Errore: “legge delle opere”, quando si osserva il dettato materiale della legge e lo si fa valere come opera conclusa di cui poi rivendicare la ricompensa.

2. Il carattere universale della legge

La legge ha la forma di imperativo dato indistintamente per tutti; non è rivolto al singolo e con riguardo alla sua singolare situazione. La legge intende far valere un ordine universale es. “non uccidere”. La caratteristica di universalità della legge è stata spiegata dalle dottrine morali in base a due elementi: 1) funzione politica della legge: la legge è universale perché intende tutelare il bene comune; 2) razionalità della legge: essendo la ragione facoltà dell’universale, la legge che è razionale è universale.La Bibbia conosce molti precetti che hanno carattere giudiziario inoltre nella storia vi è la costante per cui la coscienza morale trova la sua prima articolazione nelle forme del diritto. La legge è fatta di parola, parola che dice la promessa. In questo dire la parola la legge trova il suo carattere universale. Leggi universali neppure potrebbero essere enunciate, qualora mancasse quel mezzo dell’intesa reciproca che è appunto la lingua.

3. La legge come divieto

La legge ha un aspetto negativo: essa è divieto e proibisce determinati comportamenti. Per comprendere bisogna rifarsi al costume, dato che in esso si realizza la prima forma della norma morale. Il costume è il complesso dei modelli di comportamento che, non scritti né precisamente formulati dalla tradizione, pure sono in qualche modo da tutti conosciuti e apprezzati e diventano in tal senso i criteri obbligati per ogni valutazione morale dei comportamenti propri e altrui. Il carattere di prescrizione universale è proprio anche del costume. Man mano che la vita sociale si fa più complessa le norme del costume diventano meno chiare e aumentano i conflitti: a questo punto interviene la legge che mira a fissare degli argini. Questo è il processo di nascita delle norme giuridiche nella Bibbia, ma è il processo di nascita della legge in ogni società.

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Differenza tra legge e costume: il costume istituisce positivamente il senso del bene la legge è invece dall’origine formulata per rapporto all’eventualità della trasgressione, ecco perché si presenta in forma di divieto.Tuttavia la legge intende anche insegnare positivamente che cosa sia il bene. È questo il motivo per cui i comandamenti del decalogo mantengono la loro attualità, anche dopo che Gesù ha formulato e proposto la legge in modo positivo.Se si considera la legge in senso giuridico solo l’atto che vìola la legge è peccato e non il processo di pensieri che vi conduce; ma la legge è intesa correttamente solo se la si intende nel suo senso morale, di appello all’uomo perché operi il bene.La legge è formulata negativamente anche perché è impossibile dire positivamente il senso del bene in forma astratta e generale.

VIII. LA COSCIENZA MORALE

La legge con il suo carattere proibitivo non basta a guidare l’agire morale dell’uomo. La legge infatti si occupa delle forme esteriori dell’agire dell’uomo piuttosto che delle intenzioni; ma è sbagliato separare le intenzioni del soggetto dalle sue opere.L’intenzione: non è buona intenzione quella che intende sperimentare, provare e solo dopo concentrarsi sull’opera scelta.In che modo l’agire rivela alla coscienza le sue intenzioni se la coscienza non ha intenzioni previe? La comprensione avviene perché la coscienza è in sé stessa intenzione di agire, di porre l’atto libero. Le intenzioni della coscienza devono però essere riprese dalla volontà del soggetto. È attraverso questa ripresa libera che si esprime la coscienza morale e il soggetto realizza la propria vera identità. In questo momento si passa dalla coscienza psicologica a quella morale.La coscienza: essa è in prima battuta coscienza psicologica e assume la sua qualità morale quando in modo deliberato l’uomo assume il compito di volere e dispone di sé.La vergogna è l’esperienza cardine della coscienza. Vergogna intesa come cattive azioni compiute.L’elemento centrale è il passaggio dal giudizio altrui al giudizio proprio: il primo richiamo viene dal giudizio degli altri perché il soggetto accede alla coscienza mediante l’agire e dunque necessariamente mediante il rapporto con gli altri. Sullo sfondo della vergogna ci sta il sentimento della colpa la cui comprensione è aiutata dal sentimento del pudore . Il pudore è il sentimento che segnala la vulnerabilità della nostra immagine così come essa viene colta dall’occhio degli altri.La colpa invece avverte quando il mio modo di corrispondere al compito dell’alleanza è scadente. Per eliminare il senso di colpa ci sono due possibilità: 1) La prima via cerca un’ulteriore distanza dal prossimo; 2) La seconda via è quella che realizza l’atto della confessione, il riconoscimento che abbiamo un debito verso gli altri. Questa accettazione di responsabilità si può fare solo nell’accettazione consapevole della prossimità che è destino degli uomini. L’obiettivo è diventare chiaro di fronte agli altri, responsabile pur senza dipendere dal loro giudizio e insieme chiaro di fronte a me stesso. La maturità morale di un soggetto si misura in proporzione alla capacità dei suoi singoli gesti di esprimere la sua qualità interiore.La coscienza è una attitudine che permette di percepire la qualità degli atti del soggetto, per indicare se essi sono adatti a realizzare la responsabilità di prossimità a cui ogni uomo è chiamato. La coscienza dell’uomo matura nella sua storia personale.

1. I modelli civili e culturali e la formazione della coscienza

La formazione della coscienza morale del singolo è legata alle condizioni sociali del vivere, ai modi normali in cui si vive.Oggi c’è un distacco sempre maggiore tra coscienza e società dato che quest’ultima non propone più al singolo modelli buoni. La distanza maggiore si verifica tra società e famiglia dato che la

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società si occupa della famiglia come di una qualsiasi organizzazione della quale occorre regolare diritti e doveri. Gli stili di comportamento propri degli adolescenti, che si adeguano all’ambiente in cui sono, offrono in tal senso un modello per capire gli stili di comportamento propri di ogni età successiva rischio di una adolescenza interminabile.Questa società non aiuta la crescita della coscienza morale, dato che, in assenza di modelli di vita buona, diventa sempre più difficile comprendere il Vangelo.Difetto della mediazione ecclesiale: anche i cristiani oggi vivono un disagio, come se il modello di vita cristiana realizzato nella comunità della Chiesa fosse astratto e inadatto ai tempi; è compito allora della Chiesa curare al suo interno la formazione di un modello di vita cristiano che sia un punto di riferimento.

2. Le strutture psicologiche della coscienza

Prima ancora che la coscienza morale possa confrontarsi con i modelli di vita buona proposti dalla cultura, la coscienza incontra la promessa e l’appello al bene attraverso le prime esperienze della vita.Se i genitori non svolgono questo compito di fornire la norma rivelatrice dell’ordine della realtà il bambino ha gravi difficoltà a realizzare la sua prima identificazione psicologica. Occorre riconoscere il ruolo marginale assegnato alla famiglia nella società odierna, almeno come luogo di conoscenza delle regole sociali. La famiglia vive la sensazione inquietante di non potersi riferire ad alcun codice generale, per disciplinare il rapporto tra genitori e figli e tra familiari in genere.Il ruolo dei genitori nella strutturazione della coscienza morale del figlio si comprende alla luce del valore simbolico ch’essi assumono ai suoi occhi invito inconsapevole alla fede compito gravoso che spesso viene rifiutato dai genitori. Si comprende come sia impegnativo il compito della Chiesa nel formare la coscienza dei genitori e dei figli cristiani ma anche di tutti gli uomini.

3. Il ruolo delle scelte personali nella formazione della coscienza

Sulla maturazione della coscienza morale incidono i comportamenti morali che il soggetto compie nel corso della sua vita. I comportamenti liberi dell’uomo modificano la coscienza. Il rimorso, che avverte della scarsa qualità dell’azione rispetto al dovere, si affievolisce, man mano che a esso non segua la confessione della colpa, e quindi la conversione; in verità il rimorso non scompare mai, ma si trasforma in risentimento, disprezzo ecc. Oggi il rimorso si affronta con terapie psicologiche, dimenticando completamente che il soggetto sarebbe guarito dal ritorno alla forma della vita buona.FORMAZIONE DELLA COSCIENZA E TRADIZIONE TEOLOGICA: l’insegnamento della teologia scolastica ha proposto un significato attuale e non abituale della coscienza: la coscienza come giudizio espresso dal soggetto stesso dell’agire su ogni singolo suo atto. Alla coscienza come capacità che permette di elaborare il giudizio non veniva dedicata nessuna attenzione. La dottrina scolastica ha avuto due meriti teorici: 1) affermare con chiarezza la tesi che la competenza sul giudizio morale degli atti è esclusivamente dell’agente; 2) il riconoscimento di un legame inscindibile che lega la coscienza morale alle forme dell’esperienza pratica.Quindi la coscienza non è concepita come capacità di giudizio ma come giudizio concreto.

4. L’opzione fondamentale e la coscienza morale

La teologia morale, ispirata alla riflessione antropologica di Rahner, identifica talora l’idea di coscienza con quella di opzione fondamentale. L’origine dell’idea di opzione fondamentale si trova nel pensiero di Maritain, egli introdusse l’idea di una prima decisione morale nella vita del soggetto, la quale determinerebbe una qualità destinata a rimanere presente in tutti i suoi comportamenti successivi, fino a che essa non sia apertamente modificata. L’orientamento al bene è frutto di una scelta.

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Se si seguisse la concezione di Maritain si creerebbe un problema teorico insolubile: nel caso di una prima scelta cattiva, la coscienza diverrebbe insuperabilmente erronea; nel caso di una prima scelta buona, questa conferirebbe significato necessariamente buono a ogni atto successivo anche se compiuto senza scelta intenzionale. Quindi la prima scelta darebbe la qualità morale a ogni altra scelta, dimenticando che ogni atto deve diventare atto morale.È utile l’opzione fondamentale nella teoria morale perché l’opzione fondamentale è la qualità riassuntiva del soggetto, quella con la quale egli dispone di sé.

IX. IL PECCATO

Il peccato è un fatto. La fede cristiana a proposito del peccato esprime una tesi precisa: l’agire morale dell’uomo si realizza in una condizione storico-universale di peccato. La tradizione scolastica dice che il peccato è la trasgressione della legge e quindi appare difficilmente riferibile alla dottrina del peccato. Per capire il ruolo centrale che il peccato ha nella visione cristiana, bisogna analizzare la dimenticanza del tema a opera della filosofia moderna dopo la sua separazione dalla teologia.

1. Peccato e filosofia moderna

Il progetto della filosofia moderna prevede l’emancipazione dell’uomo da ogni autorità esterna, in particolare dalla Chiesa, attraverso la realizzazione di una morale autonoma.

□ COLPA E PECCATO NELLA FILOSOFIA EMPIRISTA: 1) Prima corrente: l’eliminazione della nozione di colpa è ottenuta attraverso il

declassamento della distinzione bene e male da fatto di valore a fatto di esperienza. Il bene è ciò che risulta piacevole (utilitarismo) mentre il male è ciò che risulta spiacevole, che fa male ad altri, non perché rende cattivo il soggetto.

2) Seconda corrente: distinzione tra bene e male in accezione morale riferita ai sentimenti però!

Nell’empirismo il criterio del bene e del male è ridotto al sentimento, pertanto è annullata la nozione di peccato che consiste nella decisione di disubbidire all’imperativo morale.

□ IL PENSIERO RAZIONALISTA: Kant è il filosofo più importante di questo pensiero. Egli afferma che solo la ragione a priori può esprimere l’imperativo morale. Anche kant elimina la nozione di peccato: l’uomo può trasgredire l’imperativo categorico ma solo se perde la ragione, quindi se compie un atto non formalmente voluto. Problema insoluto della sua analisi: a volte il soggetto può volere contro la ragione.

□ LA FILOSOFIA DI KIERKEGAARD: al centro del suo pensiero vi è il carattere di decisione radicalmente alternativa (aut aut) che caratterizza la determinazione libera dell’uomo. Nel suo pensiero il peccato assume un significato teologico di rifiuto della fede, mentre non viene considerato l’aspetto morale dell’esperienza. Due alternative: forma etica della vita o fede. La filosofia del tempo intendeva l’imperativo morale quale legge universale e dunque espressa dalla ragione. Kierkegaard ripropone la stessa estraniazione tra fede e morale.

□ LA TEOLOGIA DEL ‘900: la marginalizzazione della nozione di peccato prodotta dalla filosofia non è stata sufficientemente contrastata dal pensiero teologico, dato che questo non è stato in grado di mostrare in modo adeguato la necessaria connessione tra agire morale e fede. L’impegno maggiore della teologia è stato l’elaborazione della distinzione tra peccato e peccati: il singolo peccato è indicatore di un destino oggettivo della persona, che è indipendente dalla libertà, i peccati invece sono espressioni inevitabili della condizione umana debole ereditata da Adamo.

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2. Il peccato e gli stili di vita del nostro tempo

La dimenticanza del peccato è avvenuta anche ad opera della cultura del nostro tempo. Cultura: stili di vita + pensiero degli intellettuali.Oggi vi è una “perdita del senso del peccato” (frase di Pio XII). La perdita del senso del peccato è la divaricazione tra compito morale e cultura, con la conseguente emarginazione della prospettiva morale dai comportamenti proposti dalla cultura contemporanea.Accusa alla Chiesa: il potere ecclesiastico in passato teneva vivo il senso di peccato per mantenere il controllo sulle coscienze. Ancora oggi in effetti la concentrazione della predicazione morale sul tema del peccato e della legge rischia di essere l’unico modo con cui la Chiesa parla agli uomini della morale, e può effettivamente produrre delle forme sbagliate di colpevolizzazione delle coscienze.

3. Teologia del peccato

L’approccio oggettivistico (senza riferimento alla coscienza soggettiva) al tema del peccato è quello utilizzato da tutta la tradizione teologica e non solo dalla moderna teologia morale.Nei primi secoli cristiani si legarono peccato e penitenza: le pene servono innanzitutto a salvaguardare la qualità della vita della Chiesa e poi come deterrente e riparazione del male commesso.S. Tommaso definisce il peccato come forma cattiva della relazione con Dio. Egli distingue tra peccato mortale e peccato veniale. È mortale il peccato che comporta la perdita dello stato di grazie, è veniale il peccato che non comporta una conseguenza così grave.Vi è poi una definizione morale di peccato mortale e veniale: mortale è il peccato che trasgredisce la legge in materia grave; qui però l’aspetto religioso è relegato in secondo piano.La distinzione tra peccato mortale e veniale in termini materiali deve essere contestata perché non è in grado di spiegare la qualità morale del peccato dei farisei: in quel caso infatti manca la materia grave ma secondo il Vangelo quello è peccato mortale per eccellenza.La via di soluzione a queste difficoltà deve passare dalla distinzione dei criteri di valutazione del peccato. La distinzione tra mortale e veniale dev’essere ovviamente definita in base all’impatto che il peccato ha nella relazione con Dio: il credente deve sempre temere che il proprio peccato sia mortale e deve sempre sperare che diventi veniale attraverso la confessione, intesa come volontà permanente di conversione.Il peccato è una minaccia permanente contro la fede stessa.

X. LA SEQUELA DI GESU’

La fede è la disposizione di sé verso il Vangelo, è la sequela di Gesù.

1. Avere la fede ed essere nella fede

Conflitto tra morale e fede: è espresso dal conflitto tra ragione e fede. La filosofia infatti sostiene che la verità morale è di esclusiva competenza della ragione. Per dimostrare la pertinenza della fede nella ricerca della verità morale bisogna richiamare gli elementi fondamentali dell’esperienza morale:

LA COSCIENZA COME ESPERIENZA: la coscienza morale è prima di tutto un’esperienza. L’esperienza della coscienza morale nasce fin dall’inizio in relazione all’esperienza pratica. La coscienza è voce e in qualche modi dice.

COSCIENZA PSICOLOGICA E COSCIENZA MORALE: l’esperienza dell’agire trova le condizioni originarie per realizzarsi nelle forme dell’accadimento del bene, cioè nella sensazione di

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essere benvoluto e sollecitato a volere bene. È solo attraverso l’esperienza pratica che il soggetto giunge alla presenza di sé, cioè alla coscienza psicologica. Essa assume subito il carattere di coscienza morale, perché capisce che il “si può volere” comporta che si “debba volere”, altrimenti il soggetto non raggiunge un’identità propria. La necessità di volere è il dovere morale. La coscienza di sé ha due profili: 1) si annuncia attraverso le forme dell’agire; 2) diviene effettiva solo mediante le scelte del soggetto. La coscienza morale è la percezione che la coscienza è un compito.

NATURA RELIGIOSA DELLA COSCIENZA: la natura religiosa della coscienza si comprende richiamando la figura della fede quale condizione esistenziale di tutti gli uomini. Perché l’uomo esprima realmente un “volere” è necessario che egli creda. L’uomo dipende psicologicamente dalle opere che egli compie e se sente come non sue queste opere ne risulta un conflitto nella sua identità.

L’OBIEZIONE ILLUMINISTICA: AUTONOMIA CONTRO ETERONOMIA: c’è l’idea che la coscienza sia definibile teoricamente, senza dover tenere conto dell’esperienza pratica; la ragione pretende di determinare che cosa sia la coscienza e che cosa sia la verità morale in modo autonomo. La critica alla morale proposta dalla fede è il fatto di non essere autonoma in quanto riceve per rivelazione la norma morale. Il cristianesimo terrebbe l’uomo in una condizione di minorità da cui solo la ragione sarebbe in grado di farlo uscire. Ma innanzitutto l’autonomia pone problemi teorici insolubili e poi l’imperativo morale si può formulare solo a partire dalle evidenze di valore che sono fornite dalle esperienze iniziali della vita dell’uomo. Contrariamente a quanto afferma l’obiezione filosofica, la fede cristiana e la connessa obbedienza morale sono piena realizzazione dell’autonomia. La ricerca di ciò che si è intuito essere verità di Dio rispetto alla verità proposta dalla cultura, chiede alla libertà del singolo di uscire dalla comoda conformità alle regole sociali. Non sono corrette le forme di ricerca della verità di Dio che rifiutano il confronto con la cultura; la fede autentica non si estranea dalla tradizione culturale ma vive in essa. Gesù è il senso della storia.

2. La coscienza e la fede in Cristo

Il messaggio di Gesù si riferisce agli insegnamenti tradizionali: per fare intendere ai suoi ascoltatori la verità del Vangelo, Gesù fa riferimento a ciò che essi già vivono; inoltre Gesù fa pure continuo riferimento alle azioni effettivamente poste da coloro che lo ascoltano. La precedente coscienza morale degli ascoltatori permette loro di comprendere la verità del Vangelo che Gesù rivela.

GESU’ E LA TRADIZIONE DELL’ANTICO TESTAMENTO: la predicazione di Gesù rimanda alla precedente rivelazione di Dio a Israele: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (Matteo, 15, 24). Ogni uomo è chiamato ad approdare alla fede di Gesù, non importa quale sia la tradizione culturale di partenza. Per fare comprendere l’imperativo morale le Scritture ci presentano le figure della promessa e del comandamento. Esse si manifestano nella forma dell’accadimento che sorprende. La promessa costituisce la condizione originaria perché l’uomo possa volere.

IL COMANDAMENTO DI DIO: nell’insegnamento di Gesù troviamo il compimento della legge, la quale viene fatta consistere in pochi imperativi essenziali: il perdono, l’accoglienza dell’altro nel bisogno e il servizio.

LA SEQUELA/IMITAZIONE DI GESU’: la comprensione vera dei comandamenti avviene attraverso la testimonianza pratica di Gesù. Egli è il paradigma vero che dà senso e verità al comandamento di Dio. La morale cristiana deve qualificarsi come sequela/imitazione di Gesù. L’imitazione è decisione e quindi non è perdita di autonomia. L’identità dell’uomo deriva da un volere. In Gesù il comandamento si realizza nella chiamata perentoria: seguimi! La sequela indica la via, l’imitazione indica la meta. La morale cristiana è sequela o imitazione? Sequela e imitazione sono congiunte, non sono due realtà diverse.

LA NECESSITA’ DELLA PRATICA: Gesù invita i discepoli ad interrogarsi sulla qualità effettiva dei loro atti. Chi pratica la legge troverà anche la sua felicità nel praticarla; la parola di Gesù deve mutare l’essere stesso di chi ascolta, per poter essere anche intesa. Finché l’uomo non dispone di sé,

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vive nella menzogna perché fa delle cose che non vuole realmente, in questo senso è schiavo. La libertà si realizza solo dove l’uomo riconosce la sua verità ultima e le si affida.

3. Il ruolo del Magistero nella formazione della coscienza morale cristiana

Corrisponde alla logica obiettiva del vangelo l’identificazione della coscienza morale con la fede. Qual è il ruolo del Magistero nella formazione della coscienza morale del cristiano? Gesù propone un unico modello di comportamento: la sua persona. Invece la preoccupazione degli apostoli è di tipo diverso: essi si curano di dare forma ad un éthos cristiano, cioè costituire dei costumi conformi alla fede. Questo compito non è in contrapposizione con il Vangelo, dato che dà un criterio per dire alla coscienza individuale dei cristiani come si deve attuare l’obbedienza al Vangelo in un determinato contesto storico. Il compito di annuncio del Vangelo è svolto dalla predicazione ordinaria e dalla testimonianza dei Santi; la funzione di determinare l’éthos cristiano è svolta dalla Chiesa.

IL POSSIBILE CONFLITTO: è possibile che la coscienza individuale esprima delle riserve circa le norme poste dalla Chiesa; la soluzione è il sapere che norma di comportamento in ultima istanza per il singolo è quella dettata dalla sua stessa coscienza morale.

LA DETERMINAZIONE DELLE NORME MATERIALI: le norme morali proposte dalla Chiesa, nelle loro determinazioni materiali, debbono fare riferimento alla qualità del contesto storico e civile entro il quale la fede cristiana vive; più precisamente alle forme della morale civile. Esiste una circolarità tra esperienza morale immediata dei credenti, ministero di governo e di insegnamento dei vescovi e sacerdoti.

QUALE COMPETENZA DEL MAGISTERO IN MATERIA MORALE? Dopo il Concilio Vaticano I si è avuto un consistente sviluppo del Magistero pontificio in materia morale; i due capitoli maggiori sono la dottrina sociale e la morale matrimoniale e familiare in genere. Non sembra che ci siano argomenti per negare pregiudizialmente una competenza di carattere magisteriale e non solo disciplinare dei vescovi in materia morale. Ciò a motivo del compito proprio e irrinunciabile del Magistero di formare la coscienza morale dei cristiani. Bisogna distinguere tra magisteriale e pastorale: l’intervento pastorale è infatti quello che mira a stimolare dei comportamenti sui quali si suppone un consenso pacifico.Il magistero aiuta l’uomo a comprendere che egli è cosciente di sé solo grazie al dono di altri ed è chiamato a realizzare il proprio dono di sé a Dio. In tal modo le norme del Magistero aiutano a realizzare quella pienezza della disposizione di sé verso Dio che è la fede.

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