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INDICE INTRODUZIONE p. 3 CAPITOLO 1. Il mondo dei Centri Educativi Occupazionali Diurni (CEOD) nell’insieme dei servizi alla persona disabile: costi e strategie, due ambiti collegati p. 6 1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento. p. 6 1.2 Domanda e offerta dei servizi alla persona disabile. p. 12 1.3 Numero dei CEOD presenti nel Veneto distribuiti per A.ULSS e per provincia di appartenenza della struttura: una fotografia del territorio. p. 16 CAPITOLO 2. Un’analisi delle strategie e dei costi: definizione, specificazione e un’applicazione p. 19 2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei servizi alla persona. p. 19 2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura della qualità. p. 28 2.3 I concetti di costo all’interno dei servizi alla persona. p. 34 2.4 Analisi di un caso: la gestione economica e strategica di una cooperativa. p. 42 CAPITOLO 3. I costi seguono/sono le strategie p. 56 1

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INDICE

INTRODUZIONE p. 3

CAPITOLO 1. Il mondo dei Centri Educativi Occupazionali Diurni (CEOD) nell’insieme dei servizi alla persona disabile: costi e strategie, due ambiti collegati p. 6

1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento. p. 6

1.2 Domanda e offerta dei servizi alla persona disabile. p. 12

1.3 Numero dei CEOD presenti nel Veneto distribuiti per A.ULSS e per provincia di appartenenza della struttura: una fotografia del territorio. p. 16

CAPITOLO 2. Un’analisi delle strategie e dei costi: definizione, specificazione e un’applicazione p. 19

2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei servizi alla persona. p. 19

2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura della qualità. p. 28

2.3 I concetti di costo all’interno dei servizi alla persona. p. 34

2.4 Analisi di un caso: la gestione economica e strategica di una cooperativa. p. 42

CAPITOLO 3. I costi seguono/sono le strategie p. 56

3.1 La struttura dei costi di un CEOD: un approccio standard. p. 56

3.2 Strategie alternative ed impatto sulla struttura dei costi. p. 70

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CAPITOLO 4. Strategia buona con costi bassi: un’utopia? p. 83

4.1 Nascita di un CEOD in una rete territoriale efficace ed efficiente: sviluppo ed analisi dei fattori critici di successo. p. 83

CAPITOLO 5. La soluzione: l’educazione come forma che mira ad una mediazione a impatto economico p. 94

5.1 Lo sviluppo delle risorse umane come chiave per il miglioramento della qualità dei servizi in termini economici e strategici. p. 94

5.2 Valutazione dell’outcome nell’ambito dei servizi per i disabili. p. 101

CONCLUSIONI p. 111

BIBLIOGRAFIA p. 116

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INTRODUZIONE

Il successo della cooperazione sociale ha contribuito ad aprire anche in Italia un dibattito

scientifico ed innovativo sulle organizzazioni no-profit e in particolare su quelle che uniscono

una natura di impresa con un’esplicita finalità sociale (i cosidetti “servizi alla persona”).

Il concetto di «impresa sociale», che è entrato nel lessico non solo degli addetti ai lavori, deve

molta della sua popolarità proprio all’esperienza della cooperazione sociale italiana.

Quest’ultima ha contribuito a dimostrare che è possibile creare assetti organizzativi in grado di

realizzare un equilibrio sostenibile tra l’essere impresa e il perseguire finalità di carattere

assistenziale e solidaristico. L’impresa sociale rappresenta oggi una realtà diffusa, seppure in

forme di gestione diverse, in tutta Europa.

Alle cooperative sociali viene riconosciuto un ruolo essenzialmente esecutivo, che

rappresenta l’esito finale di politiche intraprese da un soggetto esterno, cioè la pubblica

amministrazione. Le conseguenze di questa interpretazione sono diverse, a seconda del punto di

vista che si assume come dominante.

Da un lato, l’esternalizzazione a favore delle cooperative sociali costituisce un fenomeno

positivo perché consente di risparmiare risorse, affidando la gestione di servizi ad agenzie che,

in via generale, sono più efficienti delle amministrazioni pubbliche, in particolare per quanto

riguarda la razionalizzazione dei processi produttivi. Ma, d’altro canto, allo stesso fenomeno

può essere data una connotazione negativa, nel momento in cui si evidenzia che la ricerca del

risparmio può passare per una riduzione delle retribuzioni e, in ultima analisi, della qualità dei

servizi.

Ancora, teniamo in considerazione che i vantaggi competitivi che derivano dalle specificità

organizzative dei servizi sociali contribuiscono a spiegare l’emergere, inizialmente in modo

spontaneo, delle organizzazioni di terzo settore e particolarmente delle cooperative sociali. Sul

loro consolidamento hanno poi influito la crisi del sistema del welfare, la spinta innovativa sul

piano culturale esercitata dai movimenti sorti a partire dalla prima metà degli anni sessanta, il

lento processo di devoluzione a favore delle amministrazioni pubbliche locali, la strutturazione,

seppur in modo frammentato, di un quadro normativo favorevole.

A questi fattori vanno aggiunte le decisioni strategiche assunte dalle singole cooperative, ma

soprattutto dalle loro organizzazioni di rappresentanza e coordinamento (si pensi, ad esempio,

all’adozione di codici etici, protocolli di qualità, ama anche più in generale all’intensa attività

formativa effettuata in questi anni dalle cooperative sociali e dalle loro organizzazioni di

coordinamento).

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Dunque, secondo questo approccio, le cooperative sociali sono nate e si sono sviluppate

contribuendo esse stesse a creare le condizioni della propria esistenza, suscitando una domanda

di servizi fino ad allora latente a cui hanno risposto attraverso l’innovazione dell’offerta, e

individuando meccanismi di soluzione che fanno leva sia sui fattori di produzione interni (la

presenza del volontariato) sia sull’interesse di finanziatori terzi (in primo luogo le

amministrazioni pubbliche e le A.ULSS di riferimento).

Questa interpretazione presenta ricadute ben precise a livello di strategia, di governo e di

organizzazione. È’ chiaro infatti che la diffusione o prevalenza di un modello rispetto all’altro

contribuisce a determinare l’identità della cooperazione sociale sia come impresa di servizi, sia

nelle relazioni con i suoi interlocutori più significativi. La cooperativa sociale realizza una

strategia «consapevole-proattiva», finalizzata ad influenzare direttamente il proprio ambiente di

riferimento, proponendosi come soggetto in grado di costruire gli elementi dello scenario in cui

si trova ad agire.

Sulla base delle suddette considerazioni storiche ed operative, questa tesi si propone di

studiare la forma manageriale definita da strategie economiche all’interno dei servizi alla

persona disabile: in modo particolare si prenderà in analisi la natura economica ed educativa di

un Centro Educativo Occupazionale Diurno (CEOD) in gestione ad una cooperativa sociale.

La scelta nasce dall’esigenza di sviluppare una mappa specifica dei costi che tale struttura in

particolare (e non un’associazione o un’Ipab) deve sostenere per svolgere la funzione di

assistenza e crescita sociale di soggetti disabili, nella prospettiva successiva della definizione di

una strategia buona che segue costi bassi e nell’ottica dell’educazione come forma che mira ad

una mediazione ad impatto economico.

Si parla di dimensione economica e strutturale per capire il problema organizzativo e di

coordinamento. Nell’ambito dei servizi alla persona e in modo particolare per la gestione dei

CEOD nelle sue diverse forme, l’attività di coordinamento è ancora necessaria, ma assume

aspetti diversi poiché, dovendo affrontare il rischio e l’incertezza, è diverso il ruolo

dell’organizzazione. Questo passa, infatti, da un ruolo prescrittivo e procedurale ad un ruolo

attivatore della sperimentazione e dell’esplorazione, cui viene richiesto di generare varietà ed

innovazione e non solo uniformità e prevedibilità dei comportamenti e minimizzazione dei

costi.

In questo senso si parlerà di una forma ipotetica di struttura di cooperativa sociale, sulla

scorta dello studio di un caso specifico, come organizzazione che coordina attività specializzate

nell’assistenza e sviluppo personale e sociale della persona disabile, definendo obiettivi,

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capacità professionali e strategia come dati e che il problema da risolvere sia come distribuire i

compiti e le risorse economiche e umane nel modo più efficiente ed efficace possibile.

Strategia e struttura si influenzano reciprocamente, ed entrambe sono esposte alle variazioni

dell’ambiente; la struttura si conforma alla strategia, che a sua volta viene influenzata dalla

struttura in un processo circolare. Si parla, di conseguenza, di un approccio interdipendente in

quanto la strategia da attuare nella cooperativa futura sarà il prodotto dell’attuale struttura in

analisi che ha recepito e rielaborato gli stimoli provenienti dall’ambiente.

Ma l’organizzazione è un sistema che apprende e si trasforma attraverso l’azione di una

pluralità di soggetti (interni ed esterni) che interagiscono con i cambiamenti ambientali. Tali

cambiamenti sono causa ed effetto delle azioni definite dalla strategia. La struttura conformata

sul rapporto impresa sociale – ambiente ha la capacità di modificarsi, evolversi e differenziarsi

sotto la spinta di una pluralità di soggetti individuali e collettivi.

La strategia che si vuole sviluppare a conclusione di questa tesi si misura con la capacità di

creare alternative che generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e

variabilità che consentono di dominare e sfruttare, piuttosto che subire, la complessità

ambientale e di rilevazione dei bisogni delle famiglie dei soggetti di riferimento.

Verrà quindi posto l’accento, in termini organizzativi e di gestione, su un approccio di tipo

evolutivo: la relazione fra strategia e struttura passa da circolare a contestuale e in tale

approccio, oltre all’ambiente figurano le strategie degli attori e le strutture che governano le

relazioni fra gli attori.

Risulta importante fare questa precisazione in quanto, sulla base di un rapporto e di

un’analisi di costi e di strategie, la cooperativa è collocata in un contesto sociale, istituzionale e

politico più ampio, che include l’insieme di regole, convenzioni e sistemi di sanzione

storicamente e normativamente definiti, che fondano le relazioni tra gli attori e, di conseguenza,

le modalità di gestione diretta.

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CAPITOLO 1

IL MONDO DEI CENTRI EDUCATIVI OCCUPAZIONALI DIURNI (CEOD) NELL’INSIEME DEI SERVIZI ALLA PERSONA DISABILE: COSTI E

STRATEGIE, DUE AMBITI COLLEGATI.

1.1 Definizione del CEOD: normativa di riferimento (1)

Nella Regione Veneto esiste una rete di servizi diurni e residenziali particolarmente radicati

nel territorio, organizzata in un sistema integrato di competenze, responsabilità e risorse sia

pubbliche che del privato sociale.

La Regione Veneto è stata tra le prime a realizzare una politica territoriale dei Servizi

Sociali fondati sull’associazionismo tra i Comuni e sull’integrazione socio-sanitaria (L.R. n. 64/75),

“Costituzione dei Consorzi per la gestione unitaria dei servizi sociali di interesse locale: Unità locali

dei servizi sociali”.

La Legge Regionale sull’assistenza L.R. n. 55/82, “Norme per l’esercizio delle funzioni in

materia di assistenza sociale”, che a più di vent’anni dall’approvazione mantiene la sua attualità,

attribuisce alle A.ULSS la competenza dei servizi per la disabilità finalizzati alla promozione della

salute, prevenzione, cura, riabilitazione e piena integrazione sociale.

La Regione, con Regolamento 8/84 e L.R. n. 22 del 1989, Piano Sociale Regionale, ha

definito gli standard dei servizi sia in termini di caratteristiche strutturali che in termini di

professionalità e di modalità organizzative.

La Regione attraverso la realizzazione della rete dei servizi domiciliari, territoriali e

residenziali risponde alla complessità dei bisogni della persona con disabilità e della famiglia in

un’ottica di promozione sociale e di qualità della vita.

Il CEOD Centro Educativo Occupazionale Diurno, inserito in questo panorama legislativo, è

una struttura territoriale a carattere diurno. Attraverso la conduzione di specifiche attività e

programmi ha la funzione di favorire negli ospiti, in rapporto alle potenzialità ed alle attitudini

individuali, il mantenimento e lo sviluppo dell’autonomia personale nonché relazioni interpersonali

e sociali con l’ambiente interno ed esterno; inoltre ha l’obiettivo di promuovere il conseguimento di

capacità occupazionali e la professionalizzazione, in rapporto alle potenzialità e attitudini

individuali.

Ha bacino di utenza interdistrettuale ed è inserito nel contesto dei servizi educativi,

formativi, socio-sanitari e riabilitativi del territorio, con i quali è funzionalmente collegato;

l’accesso ai CEOD è determinato dalle A.ULSS di residenza a seguito dell’Unità Valutativa

Multidimensionale Distrettuale (U.V.M.D.).

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I CEOD rappresentano i servizi di accoglienza diurna delle persone con disabilità grave. La

maggior parte di essi è nata per dare continuità ai percorsi scolastici e formativi, alle persone con

disabilità in età giovane/adulta, che hanno adempiuto all’obbligo scolastico.

I CEOD sono efficacemente integrati nella rete dei servizi territoriali; l’accoglienza diurna

voluta fortemente dalle famiglie viene sostenuta e spesso rappresentata dalle stesse, sia in qualità di

soggetti fruitori che in qualità di soggetti gestori.

Molte Associazioni o Cooperative che gestiscono i CEOD hanno, tra i loro componenti e

soci, familiari di persone con disabilità che usufruiscono del servizio.

Il Veneto è tra le Regioni che hanno maggiormente consolidato l’esperienza dei Centri

Diurni; si può affermare che oltre la scuola e la residenzialità i CEOD costituiscono il più

importante nodo ella rete dei servizi in materia di educazione, riabilitazione e sviluppo

dell’autonomia delle persone con grave disabilità.

I Servizi Diurni consentono di integrare le risorse della famiglia, a sostegno del difficile

compito di affrontare, nel quotidiano, i gravi carichi che l’assistenza alla persona disabile comporta.

I CEOD sono un efficace mezzo di contrasto ai ricoveri ospedalieri inappropriati (come avveniva

fino agli anni novanta), alla residenzialità e alla istituzionalizzazione; rendono effettivo il diritto

della persona con disabilità di permanere nel proprio ambiente di vita e contribuiscono alla sua

piena integrazione nel territorio di appartenenza.

RETE DEI SERVIZI

DOMICILIARI TERRITORIALI RESIDENZIALI

S.A.D. N.P.I. G.F.

(Servizio Assistenza Per l’età evolutiva (Gruppo Famiglia)

Domiciliare)

A.D.I. C.E.O.D. C.A.

(Servizio Assistenza (Centro Educativo (Comunità Alloggio)

Domiciliare Integrata) Occupaz. Diurno)

A.P. S.I.S.S. R.S.A.

(Aiuto Personale) (Servizio Integrazione (Residenza Sanitaria

Scolastica e Sociale) Assistita)

S.I.L.

(Servizio Integrazione

Lavorativa)

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Legge 5 Febbraio 1992 n. 104. Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti

delle persone handicappate

(art. 8) L’inserimento e l’integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante:

…l’istituzione o adattamento di centri socio-riabilitativi ed educativi diurni a valenza educativa, che

perseguono lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a persone temporaneamente o

permanentemente handicappate, che abbiano assolto l’obbligo scolastico e le cui verificate

potenzialità residue non consentano idonee forme di integrazione lavorativa.

Regolamento Regionale 17/12/1984 n. 8 “Determinazione degli standard relativi ai servizi

sociali, punti 1, 2 e 3 dell’art. 23 della Legge Regionale 15/12/1982 n. 55 “Norme per

l’esercizio delle funzioni in materia di assistenza sociale””.

Il Centro Educativo Occupazionale è una struttura territoriale, a carattere diurno, che ha la

funzione di favorire negli ospiti, attraverso specifiche attività e programmi:

- il mantenimento e lo sviluppo dell’autonomia personale;

- l’instaurarsi di relazioni interpersonali e sociali con l’ambiente;

- il conseguimento di capacità lavorative e la professionalizzazione, in rapporto alle

potenzialità ed attitudini individuali.

Ha bacino d’utenza interdistrettuale ed è inserito nel contesto dei servizi educativi,

formativi, socio-sanitari e riabilitativi del territorio, con i quali è funzionalmente collegato.

DESTINATARI

Il CEOD è destinato a disabili gravi e gravissimi, in età post-scolare, residenti nell’area di

pertinenza della struttura.

STANDARD DELLE STRUTTURE E DELLE PROFESSIONALITA’

SOCIO-ASSISTENZIALI L.R. 22/89

STRUTTURA Addetto alla

assistenza

Educatore

Professionale

Istruttore tecnico

pratico

Centro diurno per

disabili parzialmente

autosufficienti

1:4,5 1:9 1:9

Centro diurno per

disabili non

autosufficienti

1:1,2 1:15

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Provvedimento 7 maggio 1998. Linee guida del Ministero della Sanità per le attività di

riabilitazione (G.U. n. 124 del 30/05/1998)

Le attività sanitarie di riabilitazione devono integrare l’intervento riabilitativo ed il recupero

con l’intervento assistenziale per garantire, da un lato il mantenimento delle potenzialità comunque

raggiunte e, dall’altro, offrire valido supporto agli utenti e alle famiglie onde evitare rischi di

istituzionalizzazione.

Le unità di offerta di servizi ad integrati sociale e sanitari possono essere organizzate in

forma domiciliare e/o attraverso il ricorso a strutture diurne e devono:

- garantire assistenza qualificata che soddisfi sia i bisogni primari che quelli psichici ed

affettivi;

- potenziare o mantenere il livello di autonomia acquisito per la miglior conservazione

possibile del benessere psico-fisico;

- perseguire l’integrazione sociale delle persone con disabilità, favorendo costanti

collegamenti con l’ambiente esterno.

“Atto di indirizzo e coordinamento per l’organizzazione dei servizi di riabilitazione” (DGR n.

253 del 1 Febbraio 2000)

Tratta dell’inserimento ed integrazione sociale della persona con disabilità e, al punto c),

propone che si realizzi mediante:

“Istituzione o adattamento di centri socio-riabilitativi ed educativi diurni, a valenza

educativa, che perseguano lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a persone

temporaneamente o permanentemente handicappate, che abbiano assolto l’obbligo scolastico

e le cui verificate potenzialità residue non consentano idonee forme di integrazione

lavorativa. Gli standard dei centri socio-riabilitativi sono definiti dal Ministero della Sanità,

di concerto con il Ministero degli Affari Sociali, sentita la Conferenza Permanente per i

rapporti tra Stato e Regioni”.

La tipologia degli utenti di tali centri è costituita da soggetti, di norma in età giovane/adulta,

per i quali si è raggiunto un miglioramento funzionale stabilizzato che richiede solo interventi di

mantenimento.

Essi si collocano nell’ambito socio-sanitario e erogano prestazioni a ciclo continuo, diurno e

a carattere estensivo.

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Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali

L. 328/2000

Art. 22 punto 2 lettera f)

“Interventi per la piena integrazione della persona disabile ai sensi dell’art. 14; realizzazione di cui

all’art. 3 comma 3 della Legge 104/92 dei centri socio-riabilitativi…”

Art. 22 comma 4

“In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi

adottati, prevedono per ogni ambito territoriale, di cui all’art. 8 comma 3 lettera a), tenendo conto

anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, delle seguenti prestazioni:

d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociale.

Piano Nazionale Sociale 2001-2003

Riguardo all’obiettivo di sostenere e sviluppare l’autonomia delle persone non

autosufficienti, i Piani di Zona dovranno prevedere, con particolare riferimento alla disabilità grave

e gravissima, lo sviluppo di centri diurni e di centri di accoglienza a carattere educativo a sostegno

della permanenza in famiglia di persone con handicap grave…

DGR n. 3972 del 30/12/2002 All. n. 5.

“DPCM 29/11/2001. Definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza”

Prestazioni in regime semiresidenziale nella fase di lungoassistenza (CEOD):

- prestazioni diagnostiche e terapeutiche;

- prestazioni riabilitative, educative e di socializzazione anche quando attengono al sollievo

della famiglia (livello ulteriore regionale: costo sanitario 67,5%, costo sociale 32,5%).

Legge Regionale 22 del 16 Agosto 2002 “Autorizzazione e accreditamento delle strutture

sanitarie, socio-sanitarie e sociali”

La Legge Regionale del 16 Agosto 2002 n. 22 “Autorizzazione e accreditamento delle

strutture sanitarie, socio-sanitarie e sociali” nei provvedimenti attuativi definisce il CEOD “Centro

Diurno per persone con disabilità” come un servizio. Gli stessi interventi attuativi della L.R.

22/2002 definiscono le modalità e i requisiti necessari ai centri diurni per persone con disabilità per

ottenere l’autorizzazione all’esercizio.

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In sintesi: CEOD

CENTRO EDUCATIVO OCCUPAZIONALE DIURNO

DENOMINAZIONE CENTRO DIURNO PER PERSONE CON DISABILITA’

DEFINIZIONE E’ un servizio territoriale a carattere diurno rivolto a persone con

disabilità con diversi profili di autosufficienza, che fornisce

interventi a carattere educativo – riabilitativo – assistenziale.

FINALITA’ Riabilitativa educativa, di socializzazione, di aumento e7o

mantenimento delle attività residue.

UTENZA Persone con disabilità in età post-scolare con diversi profili di

autosufficienza.

CAPACITA’ RICETTIVA Fino a 30 posti organizzati in gruppi.

(1) dati forniti dall’Osservatorio Regionale Handicap “Il Centro Educativo Occupazionale Diurno”

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1.2 Domanda e offerta dei servizi alla persona disabile (2)

DISTRIBUZIONE PER SESSO E CLASSI DI ETA’

La suddivisione per sesso e classi d’età sottolinea come la percentuale di utenti di sesso

maschile inseriti nei CEOD (55%) sia superiore a quella femminile (45%).

Al 31/12/2004 il 90,9% delle persone con disabilità inserite nei CEOD ha un’età compresa

nella fascia tra i 19 e i 54 anni con una maggior concentrazione, il 33,9%, tra i 25 e i 34 anni.

Sia per il genere maschile che femminile, la fascia con maggior utenti risulta quella tra i 25 e i 34

anni; segue, a scalare, quella tra 35 e 44 anni.

1,23,1

13,8

33,929,6

13,6

4,30,5

0

5

10

15

20

25

30

35

0-14 15-18 19-24 25-34 35-44 45-54 55-64 64 eoltre

FASCIA D'ETA'

Per le fasce 19-24 e 45-54 i due generi seguono un andamento diverso: per il genere

maschile sono più numerosi gli utenti nella fascia tra i 19 e i 24 anni rispetto alla fascia tra i 45 e i

54 anni, per il genere femminile, invece, avviene l’inverso.

ETA’ ALL’INGRESSO NEL CEOD

I dati mostrano che la gran parte degli utenti accede al CEOD nella fascia d’età compresa tra

i 15 e i 34 anni e in particolare il 20,5% tra il 15° e il 18° anno, il 28,3% tra il 19° e il 24° anno, il

24,6% tra il 25° e il 34° anno.

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CERTIFICAZIONE DI INVALIDITA’ CIVILE

È riconosciuta GRAVE la persona handicappata con ridotta autonomia personale “in modo

da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera

individuale o in quella relazionale”.

Le persone con disabilità frequentanti i CEOD nel 98% dei casi hanno il riconoscimento di

invalidità civile, così suddiviso per classi di invalidità espresse in percentuale:

Utenti dei CEOD per % di Invalidità civile

Non indicato 90

Inferiore a 46% 1

46% - 73% 215

74% - 99% 578

100% 4332

Il grafico che segue mostra come il 79% dei disabili presenti nei CEOD sia in possesso della

certificazione di handicap ai sensi della Legge 104/92 art. 3, comma 1 e 3, e di questi il 90% sia in

condizione di handicap grave (art. 3 comma 3 della L. 104/92).

Suddivisione utenti CEOD per certificazione handicap

ai sensi della L. 104/92

certif icati con handicap

8%

non certif icati21%

certicati con handicap

grave 71%

13

Su 5322 utenti dei CEOD, 5216 hanno il

riconoscimento di Invalidità Civile e di

questi il 63% percepisce l’indennità di

accompagnamento.

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DATI A CONFRONTO NEL QUADRIENNIO 2001-2004

Le persone con disabiltà che hanno frequentato i CEOD del Veneto nel 2004 sono aumentate

rispetto al 2003 di 204 unità, rispetto al 2002 di 322 e rispetto al 2001 di 666 unità (5320 nel 2004,

5116 nel 2003, 4998 nel 2002, 4654 nel 2001).

Confronto quadriennio 2001-2004

Numero utenti dei CEOD

4654

49985116

5320

42004400

4600

4800

5000

5200

5400

anno2001

anno2002

anno2003

anno2004

Il numero complessivo regionale di persone con disabilità residenti in Veneto e frequentanti

i CEOD, espresso in rapporto alla popolazione residente, è aumentato dall’1,03‰ del 2001al 1,1‰

del 2002 al 1,12‰ del 2003, fino a raggiungere l’1,16‰ nel 2004.

La percentuale di persone con disabilità con riconoscimento di invalidità civile nel 2004

(98%) è aumentata dell’1% rispetto agli anni 2001 e 2002 (97%); pressoché invariata rimane la

distribuzione per classi di invalidità. Mentre risulta notevolmente aumentata la percentuale di utenti

con invalidità civile che hanno l’indennità di accompagnamento (dal 28% nel 2001 al 47% nel

2002, al 61% nel 2003 fino al 63% nel 2004).

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Il grafico seguente mette a confronto il quadriennio per la percentuale di utenti aventi

certificazione di handicap ai sensi della L.104/92 art. 3 comma 1 e 3. Si registra un incremento delle

certificazioni di handicap, in particolare quelle di handicap grave (56% nel 2001, 64% nel 2002,

70% nel 2003, 71% nel 2004).

Suddivisione utenti CEOD per handicap ai sensi della L. 104/92

Certificati con

handicap

Certificati con

handicap grave

Non

certificati

Anno 2001 7% 56% 37%

Anno 2002 8% 64% 28%

Anno 2003 9% 70% 21%

Anno 2004 8% 71% 21%

7%

56%

37%

8%

64%

28%

9%

70%

21%

8%

71%

21%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

anno 2001 anno 2002 anno 2003 anno 2004

(2) dati forniti dall’Osservatorio Regionale Handicap “Il Centro Educativo Occupazionale Diurno”

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1.3 I Numero dei CEOD presenti nel Veneto distribuiti per A.ULSS e per

provincia di appartenenza della struttura: una fotografia del territorio (3)

La seguente tabella riporta il numero dei CEOD e il numero delle persone con disabilità che

vi afferiscono (5322), in questi sono comprese le persone (2) residenti nella Regione del Veneto che

frequentano CEOD fuori Regione.

I CEOD presenti nell’A.ULSS n. 16 di Padova accolgono complessivamente il maggior

numero di utenti (564 persone con disabilità).

L’A.ULSS n. 1 di Belluno ha il maggior numero medio di utenti per CEOD (36).

Considerando i dati a livello provinciale Padova è la provincia che ha il maggior numero di utenti

(1162) e il più alto numero medio di utenti per CEOD (28), mentre la provincia di Verona presenta

in assoluto il maggior numero di CEOD (55).

Numero di CEOD e di utenti per provincia

PROVINCIA

di appartenenza

della struttura

CEOD

gestiti da

A.ULSS

CEOD

gestiti in

convenzione

Totale

CEOD UTENTI

Numero medio di

utenti per CEOD

BELLUNO 4 4 8 205 26

VICENZA 17 34 51 1043 20

TREVISO 17 31 48 1037 22

VENEZIA 14 25 39 735 19

PADOVA 2 39 41 1162 28

ROVIGO 7 0 7 151 22

VERONA 12 43 55 987 18

Totale 73 176 249 5320 21

F.R 2 2 2 1

Totale 73 178 251 5322 21

La distribuzione dei CEOD nel territorio della Regione del Veneto è rappresentata nel

seguente grafico: si può notare che le A.ULSS con maggior numero di CEOD sono la n. 20 di

Verona con 30 strutture, la n. 16 di Padova, la n. 9 di Treviso e la n. 6 di Vicenza con 21 strutture,

mentre la A.ULSS n. 19 di Adria è quella con il minor numero (2 soli CEOD).

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CEOD presenti nella Regione del Veneto: 249

Distribuzione per A.ULS

4 4 58

14

19

10

1620

1210

12

69

21

85

2

29

9

16

0

5

10

15

20

25

30

35

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22

Il 29% dei CEOD presenti nel territorio sono gestiti direttamente dalle A.ULSS, mentre il

71% è gestito da Enti convenzionati (vedi grafico).

Suddivisone CEOD per natura Ente Gestore

CEOD gestiti in

convenzione71%

CEOD gestiti da A.ULSS

29%

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Le tipologie degli Enti Gestori dei CEOD sono rappresentate nella seguente tabella:

Natura dell’Ente Gestore Frequenza

COOPERATIVA SOCIALE 107

A.ULSS 73

ASSOCIAZIONE VOLONTARIATO 22

ONLUS 21

ENTE RELIGIOSO 8

IPAB 7

FONDAZIONE 6

ASS. TEMPORANEA D’IMPRESA 3

ENTE ECCLESIASTICO 1

ENTE RELIGIOSO FONDAZIONE ONLUS 1

TOTALE 249

(3) dati forniti dall’Osservatorio Regionale Handicap “Il Centro Educativo Occupazionale Diurno”

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CAPITOLO 2

UN’ANALISI DELLE STRATEGIE E DEI COSTI: DEFINIZIONE,

SPECIFICAZIONE E UN’APPLICAZIONE

2.1 La pianificazione strategica e la valutazione economica delle strategie nei

servizi alla persona

All’interno di un’impresa sociale, come può essere una cooperativa, la pianificazione

strategica non è solo utile, è indispensabile in quanto rinunciare ad essa significa evadere dalla

identificazione dei bisogni primari verso i quali la struttura intende regolare il suo intervento. In

questo senso, anche all’interno di una cooperativa sociale alla persona, non basta un generico

orientamento alla produzione di servizio (di profitto se parlassimo di azienda for-profit); è

necessaria una strategia economica per raggiungere tale valore, nell’ottica di una riduzione di costi

e risorse.

Inoltre, la pianificazione strategica è un «sistema direzionale», così come lo è il controllo di

gestione, a cui è strettamente collegata. Ciò che viene chiamato «elaborazione della strategia»,

oppure «analisi strategica», oppure «pianificazione strategica», tutte espressioni aventi in comune

l’esigenza di esplicitare gli obiettivi di fondo della gestione e come raggiungerli con decisioni di

grande impatto e rilevanza, sottintende in realtà una varietà di fasi o problematiche connesse alla

questione strategica, così classificabili:

a) quale organizzazione impiegare per favorire la corretta assunzione di scelte strategiche;

b) quale contenuto specifico dare alla strategia;

c) come tradurre in pratica i contenuti di una strategia in azioni coerenti e coordinate;

d) come verificare se le scelte fatte sono ancora valide.

Per pianificazione strategica s’intende, quindi, utilizzare nella gestione della struttura di

riferimento uno strumento “più elevato” del semplice intuito o doti personali di chi coordina il

servizio: consideriamo un sistema di pianificazione strategica inteso come sistema direzionale o

meccanismo operativo che si prefigge di far assumere all’organico gestionale strumenti per una

formulazione di contenuti di strategie e di scelte di implementazione degli stessi il più razionali ed

efficaci possibile al fine di soddisfare domande ed obiettivi primari.

Infatti, parlando di pianificazione strategica si deve necessariamente riflettere sul collegamento

che essa assume con il controllo di gestione: quest’ultimo è un sistema direzionale di monitoraggio

dei risultati, rispetto agli obiettivi determinati in sede di pianificazione strategica.

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In esso sono identificabili una «struttura strategica», definita come aree a cui possono

corrispondere o meno specifiche unità organizzative, e un «processo di pianificazione strategica»,

inteso come l’insieme delle fasi occorrenti affinché si possano tracciare nel modo più possibile

razionale ed efficace le linee guida durevoli del comportamento dell’impresa sociale. Inoltre, tale

processo fa riferimento alla formulazione delle iniziative che permettono all’impresa stessa di

affrontare con successo il confronto competitivo sui mercati di riferimento.

Per capire i CARATTERI FONDAMENTALI DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA,

viene presentato uno schema riassuntivo che ne identifica la validità. (1)

ORIZZONTE TEMPORALE Lungo periodo (pluriennale)

SCOPI Esplicitare i risultati attesi e come raggiungerli

OUTPUT DEL PROCESSO Politiche di gestione e relativi piani d’azione

SOGGETTI COINVOLTI Top management e staff di coordinamento

TIPO DI ATTIVITA’ MENTALE Creativa

TIPO DI PROCESSO Irregolare, poco formalizzabile, con ampio uso di

dati da fonti esterne

La pianificazione strategica ha a che vedere con problemi di strategia aziendale di volta in

volta molto differenti, spesso riguardanti ambienti competitivi in rapida e poco prevedibile

evoluzione, che poco si prestano ad una formalizzazione e procedurizzazione. Tuttavia anch’essa si

avvale, anche all’interno di servizi alla persona, di strumenti rivolti al miglioramento di quelle

scelte che sono all’origine del successo durevole dell’azienda, per sottrarle all’intuito puro e

semplice e all’improvvisazione. Tali strumenti servono ad esempio per individuare meglio i fattori

critici di successo e le azioni per conseguire vantaggi competitivi, oppure per individuare le

opportune alternative strategiche di ciascun business.

Esiste, quindi, un processo di pianificazione strategica, con la sua logica, con le sue fasi, con

i suoi requisiti di coerenza interna, con il suo bagaglio di strumenti; inoltre esiste l’esigenza di

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evitare che tale processo limiti o inibisca la capacità creativa e l’intuito dei soggetti imprenditoriali,

cioè i veri fattori critici del durevole successo dell’impresa sociale, all’origine di tutti gli altri.

Una strategia è in realtà un insieme di scelte, via via più operative, che partendo da un’idea o

un’intenzione devono tradursi in qualcosa di concreto: per verificare la convenienza economica di

una scelta strategica nella gestione di una cooperativa sociale che si pone l’obiettivo di rispondere

in maniera più esauriente possibile ai bisogni della comunità, non basta l’esperienza e il buon senso,

ma occorrono metodi rigorosi e affidabili di valutazione.

Quindi, il processo di pianificazione strategica, con i suoi metodi e i suoi strumenti, può

favorire una corretta valutazione ed implementazione della strategia prescelta e può supportare

validamente le doti personali citate e l’apprendimento organizzativo, e incanalarli in una direzione

coerente con gli obiettivi di fondo dell’impresa sociale.

La pianificazione strategica, intesa come processo, viene concepita come quell’insieme di

attività direzionali, per dare razionalità alla condotta strategica dell’impresa sociale, con cui:

- si definiscono gli obiettivi di fondo della gestione;

- si formulano le scelte principali con cui raggiungere gli obiettivi (strategie);

- si formulano i piani d’azione con cui dare attuazione concreta alle strategie.

I momenti essenziali della pianificazione strategica, con riferimento particolare ad una struttura che

si occupa di fornire servizi e quindi di elaborare una strategia coerente con l’obiettivo primario di

risposta ai bisogni dell’utente e del suo contesto di appartenenza, riguardano:

a) la definizione degli obiettivi di fondo della gestione;

b) la definizione delle regole generali di comportamento, specie nei confronti degli

stakeholders;

c) l’analisi del profilo competitivo di ogni business in cui l’impresa sociale opera;

d) l’identificazione delle alternative strategiche di ogni business e la formulazione delle

rispettive scelte;

e) la formulazione di una strategia di «portafoglio»;

f) la formulazione dei piani d’azione o piani operativi.

Considerando tali fasi bisogna precisare che il processo di pianificazione e controllo, inteso come

corretto modo di affrontare i processi decisionali in una prospettiva globale dell’impresa di lungo e

di breve periodo, fluisce continuamente nel tempo. Occorre perciò partire dal presupposto che

l’impresa abbia già formulato le scelte di fondo e che attualmente operi in ben precisi business, con

riferimento ai quali persegue determinate strategie.

Inoltre, tenendo in esame imprese quali cooperative sociali che offrono servizi ai cittadini

svantaggiati ma all’intera comunità in generale in termini di ricaduta sul territorio delle loro attività

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educative e sociali, alcune delle fasi sopra citate richiedono opportuni studi e analisi aventi per

oggetto l’ambiente di riferimento dell’impresa stessa (ambiente economico, politico, socio-

culturale, tecnologico, demografico, fisico) e gli scenari entro cui la stessa dovrà operare negli anni

futuri. Tali analisi conducono tipicamente a:

a) una valutazione attuale e prospettica della situazione economica, politica e sociale del

territorio di riferimento e della realtà circostante al fine di delineare le probabili tendenze

evolutive dei sistemi socio-economici rilevanti per l’impresa;

b) la definizione dei principali indicatori socio-economici, indici del costo del lavoro, tassi

d’inflazione generali e specifici di settore, indici dei prezzi di attrezzature e materie prime

con le quali si lavora, ecc;

c) l’identificazione dei più rilevanti vincoli esterni, quindi, eventuali vincoli o, al contrario,

opportunità di carattere generale che si prospettano all’operare dell’impresa.

OBIETTIVI DI FONDO DELLA GESTIONE

In un’impresa sociale che compete sul mercato per la distribuzione delle risorse e la

stipulazioni di convenzioni con altri enti, i cui proprietari sono motivati da attese di soddisfacente

rimunerazione del capitale conferito, è naturale fare riferimento ai risultati economico-finanziari

come espressione degli obiettivi di fondo che stabilisce l’impresa stessa. A riguardo diciamo che

questi risultati economico-finanziari sono variamente esprimibili e le attese dei proprietari (il

consiglio di amministrazione della cooperativa) vanno verificate alla luce delle attese di altri

soggetti interessati alle vicende dell’impresa (i portatori d’interesse che nel nostro caso fanno

riferimento agli enti socio-sanitari, alle amministrazioni pubbliche dei Comuni di riferimento, ai

soggetti che stipulano convenzioni o contratti con la struttura, ai genitori dei soggetti disabili, ecc).

In merito a questo diciamo che esistono due modi di esprimere i risultati attesi dai proprietari:

- attraverso indicatori contabili di equilibrio economico-finanziario – modello contabile;

- attraverso indicatori di valore economico creato dalle strategie – modello della creazione del

valore.

Parlando quindi di “classi di obiettivi”, possiamo indicare come obiettivi primari gli obiettivi

economici dei titolari dell’impresa sociale, in quanto il loro ruolo principale è particolarmente

importante e determinante nella politica operativa e gestionale della cooperativa; per definire gli

obiettivi secondari, invece, dobbiamo far riferimento ai clienti/utenti della struttura. Quest’ultimi,

specie in un contesto sociale come l’attuale, esprimono delle aspettative il cui soddisfacimento è la

prima condizione per garantire qualità e identità duratura e stabilizzata; se poi la cooperativa

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prevede anche dei prodotti di vendita, in analisi secondaria, ecco che la risposta dell’utente, in

questo caso la comunità sociale di contorno, diventa d’importanza rilevante.

Ancora, come gli altri stakeholders quali dipendenti e fornitori, la collettività manifesta delle

attese trascurando le quali l’impresa è destinata alla perdita di competitività ed identità sociale per

mancanza di consenso sia interno che esterno. In questo senso, è più corretto parlare di vincoli

all’impresa sociale piuttosto che di obiettivi, in quanto, l’impresa incapace di gestire i rapporti con i

dipendenti, i fornitori di risorse e la collettività rischia di conseguire successi effimeri e di

compromettere proprio quelle prospettive di valore durevole a cui mirano i soggetti a cui compete il

ruolo critico e il potere decisionale di cui abbiamo parlato.

REGOLE GENERALI DI COMPORTAMENTO DELL’IMPRESA

Si tratta di regole di comportamento che l’impresa sociale intende perseguire nei suoi rapporti

con proprietari, clienti, dipendenti, fornitori e collettività, ma anche nei suoi indirizzi strategici in

senso stretto. Tali regole, considerando l’interesse dell’impresa nel fornire servizi efficienti a

rispondere in modo esaustivo al maggior numero di soggetti al fine di acquistare credibilità ed

identità sociale duratura, possono riguardare:

- l’assetto imprenditoriale nelle convenzioni (quali rapporti di forza al suo interno);

- la politica di investimento degli utili, con scopo di suddivisione delle risorse sempre ai fini

sociali;

- la struttura finanziaria (cioè il grado di indebitamento, il rapporto tra capitale di credito e

capitale proprio);

- l’immagine da accreditare nei confronti dei clienti (eccellenza qualitativa) e di altri soggetti

(ad esempio se l’impresa intende assumere posizione strategica come polo che offre più

servizi rispetto a quelli per i quali è inizialmente nata, caso frequente delle cooperative

sociali);

- la presenza nel territorio e nella comunità in generale dei servizi prodotti;

- l’atteggiamento nei confronti dei dipendenti e dei loro rappresentanti sindacali (politiche

occupazionali, salariali, organizzative, di crescita professionale, di apprendimento

organizzativo);

- la politica nei confronti dei fornitori, siano essi enti per convenzioni o finanziamenti, oppure

aziende che offrono lavoro a commessa all’interno della cooperativa che gestisce Centri

Educativi Occupazionali Diurni o Centri di Lavoro Guidato (CLG);

- le modalità di crescita (interna dell’impresa stessa ed esterna a livello territoriale);

- le politiche di comunicazione interna ed esterna;

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- i principi etici da rispettare nelle attività svolte e nell’accoglienza dei soggetti fruitori di tali

servizi.

Sono regole che fanno riferimento rispetto alle strategie da seguire ma soprattutto sulle filosofie

di gestione a cui ispirarsi, cioè su regole generali di condotta che costituiscono altrettanti principi

guida di comportamento dell’impresa sociale in diversi campi e nei confronti di diversi soggetti.

PROFILO COMPETITIVO DI OGNI BUSINESS IN CUI L’IMPRESA OPERA

I business in oggetto, chiamati anche Aree Strategiche d’Affari, compongono la struttura

strategica dell’impresa e insieme formano il suo portafoglio strategico. La loro definizione dipende

innanzitutto da:

- i servizi realizzati per soddisfare determinati bisogni;

- il territorio servito, sia in termini di classi di utenti che come aree geografiche di

riferimento;

- le tecnologie e metodologie con cui l’attività corrispondente viene svolta;

- il grado di integrazione verticale con cui si opera, tenendo conto delle figure

professionali presenti all’interno dell’impresa.

A questo punto, definiti con chiarezza i propri business, è necessario, per ciascuno di essi,

intraprendere una delicata e complessa fase di analisi, rivolta a definire il cosiddetto profilo

competitivo dell’area strategica d’affari in questione. Molto spesso, in questa fase della

pianificazione, si impiegano due concetti denominati:

a) attrattività: riguarda l’area strategica d’affari ed è determinata dalla sua

prevedibile evoluzione futura. Un’area strategica d’affari può avere più o meno

forza di attrazione a seconda delle opportunità e delle minacce insite nelle forze

competitive che agiscono nei suoi confronti;

b) posizionamento: posizione competitiva dell’impresa relativamente a quell’area

strategica d’affari definita dai suoi punti di forza e debolezza.

Nella valutazione del profilo competitivo di un’impresa sociale quale può essere una

cooperativa che opera in ambito di disabilità, risulta importante definire prima di tutto il business

sul quale si intende far leva (ad esempio attività che vedono la collettività partecipe, oppure

sviluppo di un modello di volontariato innovativo che sia di peso importante sia per l’azione

compiuta riguarda ai soggetti fruitori del servizio ma anche per l’immagine sociale che viene ad

assumere; a questo punto si identificano i concorrenti (come lavorano altre cooperative rispetto a

queste attività); infine, dopo un’analisi dei processi del business, si individuano i fattori critici di

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successo e quindi quali punti di forza sfruttare per assumere posizioni importanti nel mercato e

quali punti di debolezza verso cui lavorare per il loro completo e stabile superamento.

ALTERNATIVE STRATEGICHE DI BUSINESS E LE CORRISPONDENTI SCELTE

Lo spettro delle possibili alternative strategiche può essere molto ampio e, soprattutto nel campo

dei servizi sociali, la creatività, l’esperienza e l’intuito imprenditoriale e manageriale assumono un

ruolo fondamentale, giocando un ruolo assolutamente decisivo. Occorre però che tali doti vengano

opportunamente guidate affinché i nessi logici tra obiettivi e azioni siano in qualche modo rispettati

e le buone idee si traducano in vantaggi e non in insuccessi. A tale scopo è utile considerare che le

alternative alle quali l’impresa sociale deve fare riferimento riguardano oggetti come:

1) i confini stessi del business, cioè i prodotti, i clienti e i sistemi entro cui l’impresa opera,

ampliandoli o restringendoli;

2) il tipo di vantaggio competitivo del business, passando da vantaggi di costo a vantaggi di

differenziazione o viceversa;

3) il percorso strategico da seguire, data la posizione attuale dell’area strategica d’affari, tenuto

conto che è individuabile una sorta di ciclo di vita del business stesso, articolato nelle fasi

di:

- ingresso;

- sviluppo;

- difesa o consolidamento;

- sfruttamento;

- disinvestimento.

Collegandosi allora al posizionamento competitivo, si osserva che una scelta come quella di

sviluppare o difendere una posizione occupata sul mercato richiede che si decida come fare ciò: a

questo fine, l’analisi dei processi e delle attività della catena del valore, l’individuazione dei fattori

critici di successo e dei punti di forza e di debolezza possono dare indicazioni utili per trovare le

soluzioni operative che in un processo di pianificazione strategica non possono venire ignorate,

pena la perdita di concretezza del piano.

STRATEGIA DI PORTAFOGLIO

Di questa fase parleremo brevemente in quanto il punto di grande importanza viene riferito

al fatto che essa trae origine dalla presenza di una pluralità di business nel portafoglio aziendale, nel

senso che, nelle scelte di portafoglio, l’esigenza da soddisfare è quella dell’equilibrio, spesso inteso

come finanziario ma in un servizio alla persona sia parla anche di un equilibrio di identità e attività

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sociale. Questo significa che i vari business devono, quindi, essere distribuiti in modo uniforme

all’interno del mercato dell’impresa, per evitare di incorrere in problemi di liquidità.

PIANI D’AZIONE

Il fatto che questa fase sia posta alla fine del percorso di pianificazione strategica non

significa che acquisti meno importanza rispetto alle precedenti ma semplicemente tiene presente

delle variabili appena descritte avendo carattere prettamente operativo.

Si tratta di una fase delicata che, se non tenuta in attenta considerazione, rischia di far intraprendere

un processo lungo e costoso senza porre le premesse per ottenere risultati concreti.

La formulazione dei piani d’azione porta la direzione del servizio a rispondere a domande tipo:

- Quali e quante risorse, umane e tecniche servono per attuare le strategie prescelte?

- Sono tali risorse reperibili internamente all’impresa e sul mercato in generale?

- Quali sono i tempi di reperimento di tali risorse e, più in generale, quali sono i tempi di

inizio e di conclusione dei progetti mediante i quali le strategie verranno realizzate?

- A quanto ammonta il fabbisogno del capitale generato dalle scelte strategiche?

- È possibile coprire tale fabbisogno in modo quantitativamente e qualitativamente

adeguato?

Normalmente la formulazione dei piani d’azione all’interno di una cooperativa si dovrebbe

materializzarsi:

a) nello sviluppo di progetti o programmi strategici con cui si pianifica

operativamente il cambiamento;

b) nella formulazione di politiche di gestione corrente, per disciplinare la continuità

del servizio offerto;

c) nella stesura del piano operativo, il quale è un documento nel quale i progetti

strategici e le politiche di gestione corrente vengono espressi in termini quantitativi

ed espressi in misure economico-finanziarie. Questo processo di quantificazione

richiede opportune articolazioni sotto il profilo temporale, nel senso che viene

fissato un orizzonte temporale prestabilito, entro il quale ricade la stesura dei

progetti prima definiti e la loro attuazione. Questo perché la direzione del servizio

intende operare una valutazione sulle conseguenze economiche ed operative e delle

politiche di gestione corrente, per valutarne la concretezza con gli obiettivi

dell’impresa: è chiaro che tale valutazione dovrà essere determinata nell’arco di un

periodo temporale opportuno rispetto agli obiettivi prefissati, per consentire una

proiezione significativa delle variabili economiche e sociali interessate.

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Inoltre, la pianificazione operativa richiede un’articolazione dal punto di vista

organizzativo, perché riflette l’esigenza di tradurre progetti e politiche in piani di

funzione commerciale, di ricerca, di sviluppo dell’impresa, i quali costituiscono

strumenti di guida strategica nei confronti della struttura organizzativa dell’impresa

sociale.

Il piano operativo trova la sua sintesi finale nei documenti amministrativi che espongono la

situazione economico finanziaria dell’impresa, conseguente alle scelte strategiche operate; sono

documenti che, relativamente nell’arco del tempo considerato, sono classificabili in:

- conto economico;

- prospetto dei flussi finanziari;

- stato patrimoniale.

I piani d’azione, così concepiti, sono la base per una programmazione d’esercizio all’interno del

servizio e, rispetto alla pianificazione operativa comportano maggior grado di dettaglio, da un punto

di vista operativo, e attribuzione di precise responsabilità su determinati obiettivi, da un punto di

vista organizzativo. In tal modo i processi di pianificazione strategica e di controllo di gestione si

saldano tra di loro ed assumono per l’impresa sociale che li determina un totale e corretto

programma di gestione del servizio, con i quali poter vantare un invidiabile aspetto competitivo sul

mercato sociale.

In conclusione, parlando di pianificazione strategica in un contesto lavorativo e gestionale come

quello delle cooperative sociali, si nota chetale processo, se rispettato in tutte le sue fasi, può

significare l’andamento positivo (o negativo se non correttamente seguito) del successo

dell’impresa in questione in termini di capacità gestionali e di risposta alla collettività.

Inoltre, rappresenta, per gli enti verso i quali la cooperativa è portatrice d’interesse per la

stipulazione di convenzioni, richiesta di finanziamenti, contratti di comodato per strutture, e altri

rapporti ancora, una efficace ed eccellente «carta d’identità» del servizio, in base alla quale il

riconoscimento sociale e in termini economico-finanziari è d’obbligo.

Detto questo, viene presentato di seguito un prospetto che sviluppa i cambiamenti in termini

di politica sociale avvenuti nel corso degli ultimi anni e verso i quali le imprese sociali hanno

dovuto adeguarsi: in modo particolare, parlando di strategie di gestione, si descriverà la Carta dei

Servizi, strumento fondamentale con il quale le imprese sociali, e quindi anche le cooperative in

esame, acquistano certificazione ed accreditamento e presentano il loro modello strategico

gestionale ai fini di una valutazione periodico e di una presentazione d’immagine alla collettività. (1) Brusa, “Sistemi manageriali di programmazione e controllo” Giuffrè Editore, Milano 2000

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2.2 Strumenti di regolazione nei percorsi di governance: modello della “Carta

dei Servizi” nelle imprese sociali come “strategia obbligatoria” nella misura

della qualità

Il processo di trasformazione dei sistemi di welfare ha assunto caratteristiche e tempi diversi

nelle varie realtà nazionali, ma tutte queste esperienze sono state caratterizzate da alcuni fattori

costanti. Tali fattori sono riconducibili alla riduzione del peso dell’intervento pubblico, alla crescita

dei processi di auto organizzazione da parte dei cittadini e alla nascita di una imprenditorialità

sociale che tende a combinare logiche di mercato e dinamiche di appartenenza su base valoriale e

non solo su base di convenienza economica.

In alcuni decenni, con velocità ed intensità diversificate a seconda dei settori e dei territori, si

sono verificati dei profondi cambiamenti nei modelli di welfare. Schematizzando possiamo

individuare tre periodi dall’avvio del welfare state ad oggi:

1. modello a “gestione diretta” in cui l’utente, a fronte di un bisogno percepito, si rivolge al

servizio pubblico il quale predispone la lettura del bisogno e, attraverso l’individuazione

della risposta congruente, attiva ed eroga il servizio;

2. la seconda fase, che potremmo chiamare della “esternalizzazione”, vede sempre un utente

che a fronte della percezione di un bisogno si rivolge al sistema pubblico che rilegge la

domanda, individua il bisogno ma, a differenza del modello precedente, non

necessariamente eroga il servizio. L’erogazione di questo, infatti, potrebbe essere stata

affidata e quindi esternalizzata, ad un ente gestore con altra natura giuridica. Questa si

configura come la prima fase dell’affermarsi del privato sociale come soggetto

prevalentemente gestore;

3. il terzo modello, che fa riferimento al sistema di sussidiarietà, a cui ancora si sta tendendo,

assegna al portatore del bisogno un ruolo più attivo, identificandolo come soggetto capace

non solo di rilevare il proprio disagio ma anche di orientarsi nel sistema dei servizi (di

qualsiasi natura giuridica essi siano) e di scegliere quello più adatto per la risposta al suo

bisogno. In questo caso il soggetto pubblico avrà il ruolo di supporto alla scelta del servizio,

nel caso in cui l’utente non sia in grado di farlo autonomamente, e di garanzia di qualità del

servizio erogato in qualsiasi nodo della rete l’utente acceda.

Parlando appunto di sussidiarietà, si tiene presente l’attuale passaggio, identificabile nella Legge

Quadro 328/2000 di riordino dei servizi sociali, che esprime la volontà “da stato gestore a stato

regolatore” del sistema integrato di welfare.

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A questo punto facciamo riferimento al “PROGETTO EQUAL ELAICOS”, progetto redatto da

Irecoop Veneto (Istituto regionale per l’educazione e studi cooperativi), che vede la partecipazione

di diverse A.ULSS del Veneto e di alcuni Enti Pubblici regionali: tale progetto coinvolge in qualità

di beneficiari tre sistemi (utente, operatore e struttura di erogazione dei servizi) con l’obiettivo di

miglioramento della qualità dei servizi socio – sanitari. (1)

In sede di analisi di costi e strategie nelle strutture che erogano servizi alla persona, in modo

particolare cooperative sociali, tale contributo è fondamentale in quanto ha seguito di pari passo

l’attuazione della legge e i suoi sviluppi, con interessanti intrecci che hanno permesso

l’ottimizzazione delle risorse e lo studio delle ricadute sui servizi stessi.

Proponiamo ora la riflessione effettuata in termini di qualità ed accreditamento, in un’ottica di

analisi e sviluppo di strategie economiche identificate nella struttura precedentemente presentata e

nell’ipotesi di cooperativa d’eccellenza che successivamente verrà descritta.

Con il termine “processo di regolazione” s’intende “l’insieme di norme, procedure ed azioni

attraverso le quali è possibile indirizzare ed orientare i comportamenti degli attori che agiscono in

un sistema”.

L’accento, quindi, è posto sulla presenza di alcuni attori, ovvero quell’insieme di soggetti ed

organizzazioni che operano in modo autonomo, orientati da propri sistemi di obiettivi. In particolare

si possono identificare le seguenti macrocategorie di attori:

- Ente regolatore

- Ente gestore

- Compratore del servizio

- Cittadino Utente

Ognuno di questi è portatore di propri obiettivi e di un proprio sistema di valori. Il compito quindi

del servizio pubblico è di mettere in atto dei processi di governance capaci di indirizzare il

cambiamento nel sistema dei servizi, in modo da attivare dei percorsi virtuosi che si traducano in un

miglioramento continuo della qualità dei servizi.

Affinché questo accada è necessario che vengano rispettati alcuni principi base che possono essere

così sintetizzati:

Gli enti governativi devono assumere la responsabilità su tutta la rete dei servizi: si

tratta di avviare un grande cambiamento culturale in cui il servizio pubblico diventa il centro

di una rete di servizi gestiti da diverso soggetti ma di cui il pubblico si fa garante rispetto ai

cittadini. In questa logica la Legge 328/2000 affida un ruolo centrale alle Amministrazioni

Comunali quali organizzazioni pubbliche più vicine ai cittadini.

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Deve essere assegnata pari dignità a tutti i soggetti che operano nel sistema: passata la

fase di esternalizzazione nei modelli di welfare, in cui si assegnava al terzo settore

esclusivamente un ruolo di gestore di servizi (spesso quasi esclusivamente su motivazioni di

contenimento dei costi), nel modello di welfare basato sulla sussidiarietà , i soggetti del

privato sociale assumono sempre più un ruolo di partner del servizio pubblico sia in una

logica di gestione ma anche di programmazione dei servizi. In questa cornice si colloca

anche tutta la tematica dei piani di zona in cui il soggetto pubblico è chiamato a gestire un

tavolo di concertazione con tutti i soggetti del territorio per definire i bisogni, le priorità e le

linee di intervento nel territorio.

Devono essere individuati e condivisi dei criteri di giudizio della qualità dei servizi: il

linguaggio comune tra i diversi soggetti che operano nel sistema deve essere la qualità intesa

come ottimalità a cui tendere per quanto attiene alle risorse da immettere nel servizio, al

processo di lavoro realizzato nel servizio, ai risultati ottenuti in termini di soddisfazione

dell’utente da un lato ma, soprattutto in termini di miglioramento della qualità della vita

della popolazione e quindi di risultati ottenuti sugli utenti. Il concetto di qualità deve essere

chiaramente esplicitato e condiviso per diventare il punto di riferimento unificante dei

diversi attori del sistema, prescindendo dagli obiettivi dei singoli.

Il processo di controllo deve rispettare la regola della terzietà: è evidente che un sistema

basato sulla governance deve dotarsi di modalità di controllo che possano essere usate non

tanto, o non solo, con funzione sanzionatoria ma soprattutto come elemento gestionale che

possa mettere in moto processi di miglioramento continuo. È però necessario che questo

processo sia svolto da soggetti che non hanno un’implicazione con i servizi monitorati.

Diventa, quindi, capire chi investire di questo compito nel momento in cui ancora oggi molti

servizi sono gestiti direttamente o indirettamente dal servizio pubblico.

Per mettere in atto veri percorsi di governance, il servizio pubblico deve utilizzare diversi

strumenti di regolazione per influenzare sia l’offerta che la domanda.

Per quanto riguarda l’OFFERTA i principali strumenti a disposizione possono essere così

sintetizzati:

o AUTORIZZAZIONE AL FUNZIONAMENTO: si tratta di verificare l’esistenza di alcuni

requisiti di base, solitamente legati alle strutture e al personale, senza i quali nessun soggetto

può operare nel mercato. Il servizio pubblico si rende quindi garante per tutti i soggetti che

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operano nel mercato di alcuni prerequisiti strutturali e funzionali senza i quali si ritiene non

possibile offrire un servizio minimo di qualità.

o ACCREDITAMENTO: questo strumento consente di definire la rete dei servizi che possono

percepire denaro pubblico sotto diverse forme come la retta, la convenzione o anche la

possibilità che il cittadino utente utilizzi dei “buoni servizi” in quel servizio. In questo caso

il servizio pubblico si rende garante anche dell’esistenza di alcuni requisiti legati al processo

di lavoro garantito dal servizio e ai risultati raggiunti o che si vogliono raggiungere.

o INCENTIVARE IL MIGLIORAMENTO: l’accreditamento da solo, però, garantendo degli

standard di processo e di risultato, non si pone in una logica di miglioramento continuo della

qualità. È quindi necessario definire e migliorare la qualità dei servizi producendo misure

sintetiche che possano mettere a confronto diversi servizi incentivando comportamenti

virtuosi.

o INDIRIZZARE I PREZZI: avendo a disposizione misure sintetiche e aggiornate della

qualità dei servizi sarà anche possibile diversificare rette e contributi in funzione della

qualità fornita.

Per agire sulla DOMANDA, invece, il servizio pubblico può usare i seguenti strumenti:

o RIDURRE L’ASSIMETRIA INFORMATIVA: affinché il cittadino diventi veramente

competente e si possa orientare nel sistema dei servizi è necessario dare informazioni

chiaramente comunicabili ai non addetti ai lavori (uso di media accessibili all’utente) in

grado di chiarire la rete dei servizi accessibili, le diverse caratteristiche di ciascun servizio,

la qualità erogata e garantita.

o PROMUOVERE SERVIZI DI QUALITA’: oltre a dare informazioni è possibile anche

pensare di istituire “marchi” di qualità o altri strumenti che garantiscano agli utenti la

qualità del servizio.

o COMUNICARE E RENDERE EVIDENTE IL RAPPORTO QUALITA’/PREZZI: capire

cosa si compra e quanto costa è un elemento fondamentale di trasparenza che potrà orienare

la domanda.

All’interno della legge nazionale di riordino dei servizi socio – sanitari, la Legge Quadro

328/2000, si è data competenza alle regioni per emanare leggi regionali su alcuni di questi punti tra

cui la definizione dei criteri di autorizzazione al funzionamento e di accreditamento nonché le

procedure, i ruoli e le funzioni dei diversi attori.

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La Regione Veneto ha recepito queste indicazioni nazionali emanando la Legge Regionale n.

22 del 2002 (“Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, socio – sanitarie e sociali),

con successivi decreti attuativi, che definiscono appunto i criteri e i processi di autorizzazione e

accreditamento. All’articolo 1 “Principi generali” la Legge dice che “la Regione promuove la

qualità dell’assistenza sanitaria, socio – sanitaria e sociale. La Regione provvede affinché

l’assistenza sia di elevato livello tecnico – professionale e scientifico, sia erogata in condizioni di

efficacia ed efficienza, nonché di equità e pari accessibilità a tutti i cittadini e sia appropriata

rispetto ai reali bisogni di salute, psicologici e relazionali della persona”.

A questo punto, in base alle suddette riflessioni e sviluppi, parlando di strategia all’interno di

un servizio alla persona e, in modo particolare in cooperative sociali che si occupano della gestione

di Centri Educativi Occupazionali Diurni come quelle prese in esame in questa tesi, risulta

inevitabile affrontare la questione della qualità del servizio stesso, misurabile attraverso processi di

certificazione ed accreditamento introdotti con la riforma ai servizi socio-sanitari (L. Quadro

328/2000).

Relativamente a questo il modello della “Carta dei Servizi” rappresenta la veste ottimale della

struttura stessa, in quanto contiene:

o le norme di funzionamento;

o gli standard di qualità e quantità di servizi erogati;

o le modalità di informazione e di rapporto con gli utenti e forme di partecipazione;

o il dovere di valutazione della qualità dei servizi e pubblicazione dei risultati ottenuti;

o le procedure di richiamo e di tutela degli utenti.

Il Dpcm 19/05/1995 intitolato “Carta dei servizi pubblici sanitari, principi e criteri di attuazione,

finalità, materiale illustrativo” inserisce nella valutazione delle strategie economiche e di qualità dei

servizi alla persona uno strumento indispensabile per il riconoscimento e il finanziamento di queste

strutture, in un’ottica di miglioramento delle prestazioni che seguono direttamente l’analisi dei costi

attuati per la gestione dell’impresa sociale.

La Carta dei Servizi rappresenta uno strumento di comunicazione e di informazione focalizzato

sul cliente esterno in quanto parte attiva nei processi di produzione (o co-produzione) del servizio e

di implementazione della qualità. Non solo portatore di diritti e destinatario di prestazioni, quindi,

ma anche soggetto con specifici doveri sul quale (e con il quale) progettare il servizio.

La Carta dei Servizi intende dar conto dello sviluppo della qualità di un servizio, in quanto

strumento, seppur non unico, di tutela dell’utente e di garanzia della qualità erogata e promessa. Ciò

ancor più oggi in un mercato, quello dei servizi alla persona, che si caratterizza per un elevato

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livello di variabilità e di mutevolezza, ma anche di complessità, sia sul piano degli attori coinvolti

che delle relazioni innescate.

Uno scenario peraltro caratterizzato dal significativo mutamento nel ruolo del sistema pubblico

che, da gestore, viene qualificandosi quale garante di servizi, come sancito dalla normativa di

riordino dei servizi sociali (Legge Quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali). È proprio la 328 a sancire che “al fine di tutelare le posizioni soggettive

degli utenti, (…) ciascun ente erogatore di servizi adotta una Carta dei Servizi sociali ed è tenuto a

darne adeguata pubblicità agli utenti” (Legge Quadro 328/2000, art. 13, comma3).

Alla valenza informativa, propria di ciascuna Carta dei Servizi, si somma l’obiettivo prioritario

che tale documento intende perseguire: quello di rappresentare un efficace strumento di tutela e di

garanzia attraverso l’individuazione e la conseguente pubblicazione di fattori di qualità rilevanti nel

processo di erogazione del servizio e dei relativi standard che ci si impegna a garantire.

Un obiettivo al quale tendere già evidenziato dalla precedente normativa (Direttiva del

Presidente del Consiglio dei Ministri del 27/01/1994) la quale, oltre a stabilire che “gli enti

erogatori di servizi pubblici (…) adottano le rispettive Carte dei Servizi pubblici sulla base dei

principi indicati dalla Direttiva e dallo schema generale di riferimento, dandone adeguata

pubblicità agli utenti (…)”, pone l’accento sull’importanza di individuare, all’interno di ciascuna

Carta dei Servizi, fattori da cui dipende la qualità del servizio e, sulla base di essi, individuare e

pubblicare “standard di qualità di cui assicurano il rispetto” (Dpcm 27/01/1994, sezione II,

articolo 1).

Ancora in tema di standard, la cui osservanza non può essere soggetta a condizioni, la Direttiva

specifica che essi devono essere sottoposti a verifica periodica con gli utenti ed aggiornati al fine di

essere adeguati alle esigenze del servizio, nella prospettiva che i soggetti erogatori adottino, di anno

in anno, piani diretti a migliorare progressivamente i livelli promessi di qualità.

La Carta dei Servizi, inoltre, può rappresentare un’importante leva di cambiamento

organizzativo se, in fase di progettazione del percorso e di definizione del documento, vengono

pianificati ed attuati specifici momenti di condivisione e di riflessione fra gli operatori del servizio

relativamente agli obiettivi che il servizio stesso intende perseguire, i risultati attesi sulla

popolazione di riferimento, i valori dominanti nell’agire quotidiano e fondanti la mission del

servizio, i processi di lavoro e le modalità organizzative. Se supportato da un adeguato sistema di

monitoraggio, tale strumento consente di tenere sotto controllo, attraverso una costante fotografia

dell’attuale, il livello di qualità che il servizio intende garantire.

(1) Callegaro, Porchia, Pedron, a cura di, “Equal Elaicos. Sfida per il miglioramento del sistema dei servizi sociali e

socio –sanitari nel Veneto”. Cleup, Padova 2003

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2.3 I concetti di costo e strategia all’interno dei servizi alla persona

All’interno dei servizi alla persona e, in questo caso specifico, delle cooperative sociali che

gestiscono Centri Educativi Occupazionali Diurni, parlare di costi significa intendere il servizio

come una vera e propria impresa, dove l’analisi degli stessi deve essere costruita tenendo ben

presente la molteplicità e la variabilità delle manifestazioni di vita dell’azienda.

Relativamente alla dimensione strategica di gestione di questi servizi si nota come spesso la

prospettiva sia orientata nell’ottica di espressioni quali “meno costi, più risultati” o “più risorse,

migliori risultati”: l’analisi che segue vuole mettere in luce la natura imprenditoriale delle

cooperative sociali in una dimensione strategica fondamentale per la risposta e gli obiettivi che tali

servizi devono perseguire.

Si svilupperà quindi una sintetica descrizione del significato di costo assunto nell’impresa

sociale, per affiancarlo poi al concetto di strategia utilizzata, allo scopo della definizione di un

rapporto ottimale che segua una linea di principio coerente con la mission dei servizi alla persona

disabile.

Affinché si possa parlare di impresa sociale è necessario che l’azienda sia in grado di creare

autonomamente quel valore capace di alimentare la funzione distributiva dell’azienda. Se poi questa

è no-profit, come nel caso delle cooperative sociali qui prese in esame, tale distribuzione ricadrà

prevalentemente all’esterno dell’azienda, ossia sulla comunità.

Ove l’azienda for-profit non fosse in grado di generare valore nel medio termine, questa

verrebbe certo valutata negativamente dall’azionista, che si troverebbe di fronte ad una sostanziale

inefficacia, intesa come incapacità dell’azienda stessa di raggiungere i propri obiettivi. In un

contesto no-profit, l’azienda non necessariamente verrebbe valutata negativamente, ma, più

semplicemente, verrebbe letta attraverso i parametri dell’azienda di erogazione. In altri termini

potrebbe essere recuperata all’interno della definizione di azienda no-profit la tradizionale

distinzione fatta dall’economia aziendale italiana tra azienda di produzione (impresa) e azienda di

erogazione.

Le aziende di erogazione «si occupano direttamente e durevolmente di soddisfare il

complesso dei bisogni ordinari o straordinari di determinati soggetti e a tal fine provvedono ad

impiegare convenzionalmente la ricchezza che ad esse perviene da una o più fonti e della quale

curano la preliminare provvista e conservazione»; le aziende di produzione «non si occupano di

soddisfare i bisogni di determinati soggetti nel modo più rispondente alle esigenze e ai gusti degli

stessi, ma limitano il proprio compito alla produzione, per il mercato, di beni o servizi di natura

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economica. Si dice che simili aziende servono indirettamente alla soddisfazione dei bisogni umani».

(Onida 1971)

In questo senso, essendo le cooperative sociali aziende di erogazione di servizi, si devono tenere

presenti i momenti che descrivono l’identità stessa della struttura e che sono ricercabili nei seguenti

punti:

- gli obiettivi dell’azienda;

- il contesto, inteso con riferimento al sistema dei valori e alla cultura interna della

cooperativa;

- i modelli di esternalizzazione dei servizi praticati dagli enti che governano il territorio nel

quale la cooperativa opera (modelli di welfare).

Nella dottrina aziendalistica emerge come requisito essenziale dell’impresa la capacità di

generare, attraverso la produzione di beni e servizi, una ricchezza maggiore rispetto a quella

consumata per tale produzione. Il margine che ne deriva dovrà essere impiegato in parte nella

crescita dell’azienda e in parte distribuito agli interlocutori.

Da tale affermazione consegue che, affinché la cooperativa sociale possa definirsi «impresa», è

necessario che essa sia in grado di realizzare valore attraverso la vendita, anche a enti pubblici, di

beni e servizi. In altri termini, una cooperativa che basa la propria economicità unicamente sui

contributi pubblici avrà solo la veste dell’impresa sociale, mentre il corpo sarà quello dell’azienda

di erogazione, che raggiunge i propri obiettivi, ossia il soddisfacimento di bisogni umani, attraverso

il consumo di ricchezza messa a disposizione da terzi, in questo caso dall’ente pubblico.

Proprio per questo, l’economicità nelle cooperative sociali che offrono servizi alla persona

rappresenta non un obiettivo ma un vincolo, il cui rispetto nel medio – lungo termine è condizione

per il raggiungimento degli obiettivi della cooperativa stessa.

La cooperativa sociale, affinché possa essere definita impresa, deve essere in grado di produrre

una ricchezza maggiore di quella consumata. Tale surplus ritorna in parte alla comunità sotto forma

di distribuzione di ricchezza e in parte rimane all’interno dell’azienda, che lo destina al proprio

potenziamento.

Non è possibile chiaramente definire a priori un valore soglia per tale indicatore, in quanto ogni

singola cooperativa ha le proprie specificità: è per questo motivo che si è scelto di analizzare un

singolo caso nella provincia di Treviso (uno dei migliori che descrive storicamente ed

operativamente la nascita di una cooperativa per la gestione di un CEOD), in quanto, seppur

seguendo linee legislative e gestionali date, ogni singola struttura adatta le proprie attività e

strategie di sistema in modo autonomo per garantire miglior risposta ai bisogni espressi dalla

comunità e maggior possibilità di sopravvivenza nell’ambito esteso dei servizi alla persona.

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Inoltre la forma di cooperativa, molto più che un’associazione o un Ipab (modello meno recente

di servizio alla persona perché Istituzione di Assistenza e Beneficenza superata dalla legislazione in

ambito socio – sanitario), offre l’opportunità di una gestione più allargata con la possibilità di

istituire altri servizi e modelli relativamente all’obiettivo da perseguire.

Esistono cooperative sociali (la maggior parte di quelli esistenti nel Veneto) che oltre ad avere

la gestione diretta di un CEOD, hanno istituito una serie di servizi diversi, non solo riferiti

all’assistenza e sviluppo sociale e personale della persona disabile, per garantire la loro presenza sul

territorio come ente di riferimento in questo ambito e come forma ulteriore di sostentamento.

In questo senso, definire i costi specifici che una cooperativa sociale deve sostenere risulta

essere un lavoro di indagine assai complesso, tanto più se tale studio si tenta di riferirlo alle

strategie attuate per la gestione completa della struttura in esame. Per condurre tale indagine occorre

assumere come base i sistemi dottrinali generalmente accolti e ciò può consentire di mantenere due

condizioni di sviluppo della ricerca: da un lato, l’approfondimento e l’ampliamento razionale dei

contenuti e dei problemi relativi all’analisi e alla rilevazione dei costi, dall’altro il mantenimento di

una prospettiva di osservazione globale del fenomeno di cooperativa sociale.

Per procedere nell’interpretazione del fenomeno del costo nella gestione strategica si possono

prendere le mosse dal modello a relazioni circolari con il quale è stata proposta una concezione

dinamica e multidimensionale dell’equilibrio dell’impresa sociale.

L’analisi della dinamica competitiva e della dinamica sociale nell’aspetto economico offre una

possibile prospettiva dalla quale interpretare il sistema dei costi e dei ricavi della cooperativa.

Una prima ipotesi di lavoro che può essere introdotta, secondo la tesi di Antonelli (vedi nota

bibliografica), è la distinzione, nella colonna dei costi, sistema unitario di valori espressivi degli

investimenti storici, attuali e probabilistici della combinazione aziendale, delle configurazioni

rilevanti per scopi di gestione strategica.

Nel paragrafo successivo, infatti, si procederà all’analisi economica della ripartizione dei costi e

delle risorse di una realtà di cooperativa presente nel Veneto al fine di collegare successivamente

tale studio alla gestione strategica di questo servizio.

Il procedimento di analisi dei costi condotto focalizzando l’attenzione su aspetti ed elementi

particolari di gestione per ricomporli successivamente nel più ampio fenomeno di cui fanno parte,

con l’obiettivo di definire un rapporto ottimale di costi e strategie nella definizione di una retta

standard per l’inserimento di una persona disabile in una cooperativa sociale, ha valore strumentale.

Classificare non implica spiegare, tuttavia costituisce un passaggio intermedio utile se

opportunamente definito nelle ipotesi che lo sorreggono e nei limiti di validità delle considerazioni

che ne potranno derivare. L’ipotesi di partenza è che la cooperativa combini i fattori produttivi che

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si procura sul mercato, secondo un assetto strategico in costante divenire, per soddisfare i propri

clienti e per ricercare un’armonia di lungo termine con l’ambiente in cui opera, in condizioni di

equilibrio economico durevole ed evolutivo. Pertanto, anche a livello di servizi alla persona, gli

investimenti che l’unità economica assiduamente compie, rinnova, dismette, reintegra, per essere

conveniente, secondo moduli variabili nel tempo, devono consentirle di procurarsi le condizioni

produttive necessarie per soddisfare tanto i clienti (i soggetti disabili e le loro famiglie), mediante il

sistema dei prodotti aziendali quali opportunità di sviluppo personale e sociale, quanto gli altri

interlocutori sociali (il territorio e l’intera comunità in una prospettiva di apertura al mondo della

disabilità), mediante una complessa offerta di beni intangibili e cioè di servizi.

La distinzione dei soggetti con cui la cooperativa entra in relazione può essere tradotta nella

scomposizione, per scopi di analisi, dei processi di gestione, dunque degli elementi di costo ad essi

relativi, in funzione della destinazione del loro risultato.

Ipotizziamo, quindi, di distinguere tra costi per l’orientamento sociale della strategia, o costi

della dominanza, e costi per l’orientamento competitivo della strategia, in breve costi della

competizione.

Secondo la distinzione di Antonelli possiamo, in particolare, definire costi della dominanza i

costi sostenuti dall’impresa sociale per mobilitare, attrarre, valorizzare i contributi, il consenso, la

fiducia degli interlocutori ambientali. I costi della competizione corrispondono al valore degli

investimenti effettuati per la produzione di beni e servizi destinati alla soddisfazione del

cliente/utente, intermedio o finale. (1)

Nel caso di una cooperativa sociale che gestisce un Centro Educativo Occupazionale Diurno

in convenzione con l’A.ULSS territoriale di riferimento, i costi di competizione fanno riferimento ai

costi diretti e fissi di gestione e quindi quelli legati alla struttura e al personale che vi opera al suo

interno. Parlando invece di costi di dominanza relativamente alla produzione di servizi all’interno

dei CEOD dobbiamo tenere in considerazione le attività che tale struttura promuove, in relazione ai

costi variabili decisi all’interno del consiglio di amministrazione della cooperativa stessa (ne sono

un esempio i costi per il trasporto, per la mensa, per le pulizie, che verranno definiti e studiati nei

prossimi capitoli).

In questa ottica, i costi di dominanza definiscono l’identità e il metodo di gestione della

struttura che opera all’interno del servizio alla persona che teniamo in considerazione molto più dei

costi di dominanza, esplicitati fin dalla stipulazione della convenzione per la gestione del CEOD:

come già detto, ogni struttura definisce le proprie strategie di gestione che ne specificano la natura e

le attività al suo interno, ed ecco perché il termine «costo di dominanza» bene spiega il concetto.

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È soprattutto la categoria dei costi di dominanza a suscitare i problemi di interpretazione ed

applicazione maggiori. Infatti, è difficile individuare quali costi vengano sostenuti esclusivamente o

prevalentemente per soddisfare le attese degli interlocutori sociali ovvero ricavarne il consenso

ritenuto opportuno per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo della combinazione produttiva del

servizio. Non tutte le cooperative hanno, infatti, una strategia sociale consapevole, esplicita,

implicita o emergente, inoltre quelle che operano investimenti in questo campo ricercano spesso

benefici, più o meno immediati, sulla domanda di mercato o sulla propria struttura operativa ed

organizzativa.

I costi della competizione comprendono la maggior parte dei costi dell’impresa e riguardano

il processo di acquisizione e di impiego dei fattori necessari per la produzione dell’impresa.

Per interpretare il costo della competizione nelle cooperative sembra utile specificare con maggior

dettaglio le dimensioni della gestione strategica. Esse possono avere rilevanza per l’analisi dei costi

tanto sul piano esplicativo che su quello normativo. Nel primo caso, si potrebbero osservare le

diverse coordinazioni operative messe in atto dalle imprese sociali che sperimentano determinati

orientamenti strategici e indagare, secondo la struttura logica del giudizio ipotetico, gli andamenti

dei costi in relazione ai fattori produttivi, alle operazioni, ai processi compiuti. Nel secondo,

potremo studiare le possibili alternative di gestione che si offrono all’azienda per raggiungere i

propri obiettivi competitivi, analizzare i profili economici di tali alternative, formulare ipotesi circa

il loro contributo probabilistico alle posizioni di equilibrio durevole ed evolutivo del sistema.

Nella letteratura dedicata alle strategie delle imprese sociali si reputa difficile isolare

variabili capaci di spiegare in via esclusiva o prevalente la formazione del vantaggio competitivo. Si

può tentare, comunque, in prima analisi, di scorgere quelle categorie competitive che più delle altre

aiutano a spiegare i motivi di preferenza o di fedeltà degli utenti verso la cooperativa sociale. Ad

ogni categoria competitiva, intesa come nucleo problematico complesso, possono essere associati,

per scopi di analisi, il comportamento d’acquisto/utilizzo dei clienti/utenti centrato in prevalenza, se

non in esclusiva, su alcuni aspetti del sistema di prodotto, per esempio la novità o la velocità del

servizio; l’orientamento competitivo dell’impresa sociale inteso come indirizzo dominante della

strategia; la dinamica dei costi, che esprimono, in termini di valori, gli investimenti effettuati nei

processi necessari per ottenere il sistema di prodotto; la dinamica dei ricavi di vendita collegata al

tipo di offerta proposta al mercato.

Parlando, inoltre, di costi per le strategie sociali come costi per la dominanza, si capisce che essa

viene intesa come il complesso delle strategie rivolte al controllo della variabilità ambientale, tanto

in ambito competitivo quanto sociale; per questo, è da tenere in considerazione la dominanza ai

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comportamenti strategici rivolti a definire i rapporti con gli stakeholders, le istituzioni e l’ambiente

naturale.

Le categorie di costo che possono formare oggetto di analisi nel tipo di struttura che si

intende esaminare e sviluppare, ovvero i componenti elementari, i costi di classe di produzione, i

costi unitari di prodotto, non dipendono soltanto da fattori impiegati nella funzione tecnico

produttiva. Crescente importanza assumono le operazioni di ricerca e sviluppo, di marketing, di

logistica, di gestione del personale. Soprattutto all’interno di realtà complesse come le cooperative

sociali, dove gli attori del mercato sono molteplici in riferimento alla risposta del servizio, le

combinazioni di processi che consentono di pervenire a risultati competitivi apprezzabili dai mercati

investono trasversalmente tutte le funzioni dell’impresa sociale. Da ciò si può far derivare il

carattere complesso degli andamenti (come vedremo dallo studio del caso che segue). Infatti, i

fenomeni di cui occorre tenere conto per poter interpretare correttamente il fenomeno del costo sono

molteplici, tra loro sono collegati da relazioni complesse, infine i fattori e i nessi da considerare

cambiano di continuo per numero, estensione, importanza, durata.

Inoltre, crescente importanza assumono quei processi, comportamenti, relazioni,

atteggiamenti, interni ed esterni alla combinazione della cooperativa che si manifestano in forme,

modi, condizioni non apprezzabili quantitativamente. Ma, se è vero che non è possibile misurare i

fenomeni quantitativi, tuttavia è pur sempre possibile ordinare le loro manifestazioni secondo criteri

di realizzabilità, crescente o decrescente. Inoltre, tali fenomeni possono essere apprezzati

indirettamente mediante indicatori che esprimano l’intensità di fenomeni diversi, ma più o meno

direttamente correlati a quello considerato.

Nell’ambito delle cooperative sociali, ma di tutti i servizi alla persona in generale,

considerevole peso assumono tutti quegli atteggiamenti di risposta e soddisfazione dell’utente non

direttamente, o comunque immediatamente, misurabili da parte di coloro che erogano il servizio. In

ogni caso, sebbene in maniera indiretta, la reazione degli stessi è sensibilmente percepibile e

permette di modificare la strategia in atto per fornire maggiore approvazione da parte degli utenti e

del loro contesto di appartenenza.

Di conseguenza, anche l’analisi dei costi direttamente collegati al servizio proposto assume

una tale importanza da essere presa in esame con celere urgenza.

È’ per questo che all’interno di realtà sociali come possono essere le cooperative, costo e

strategia seguono linee di principio necessariamente parallele: nella maggior parte dei casi, si

riescono ad intravedere generiche correlazioni, positive o negative, tra modalità di manifestazione

di fenomeni nei loro aspetti qualitativi, immateriali, intangibili e andamenti dei componenti di costo

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originari, di classe di produzione, di prodotto. Tali rapporti avranno necessariamente carattere

tendenziale, relativo, complesso.

La relatività delle relazioni tra gli andamenti sviluppati in una cooperativa sociale si collega

alle molteplici e variabili condizioni interne ed esterne, temporali e spaziali; tale relatività dovrebbe

essere rivista ogni qualvolta le principali circostanze rilevanti variano, conferendo un diverso

significato all’intero sistema causale considerato.

Il carattere di complessità delle relazioni, che è stato attribuito a questo tipo di impresa

sociale ma che è proprio di ogni tipo di comunità cooperativa e di servizi del terzo settore, fa

riferimento all’insieme di elementi quantitativi e qualitativi, alla molteplicità e variabilità di rapporti

che collegano le parti al tutto e questo al più ampio sistema di cui fa parte, alla difficoltà o

impossibilità di isolare l’influsso esercitato dai singoli fattori da quello degli altri, nella simultaneità

e successione degli accadimenti economici.

Prima di arrivare alla conclusione di tale riflessione, nella definizione dell’obiettivo che

questa tesi si prefigge di raggiungere, dobbiamo tenere in considerazione un ultimo indicatore, certo

non per importanza rappresentata, che assume all’interno delle cooperative un fondamentale

carattere gestionale strategico: i volontari.

La loro presenza agisce in due differenti direzioni, che variano al variare delle dimensioni

dell’impresa sociale e che all’interno delle cooperative che stiamo prendendo in considerazione

assumono particolare importanza anche dal punto di vista educativo e professionale: innanzitutto

essi consentono alle imprese di piccolissime dimensioni di raggiungere, o quantomeno avvicinarsi,

alla capacità di produrre una quantità di ricchezza maggiore rispetto a quella consumata. Invece,

nelle imprese sociali che riescono a raggiungere autonomamente condizioni di economicità, la

presenza dei volontari consente di allentare tale vincolo, in quanto la stabilità e la crescita della

cooperativa pare possibile anche a livelli inferiori dell’indicatore considerato.

Confrontando i costi della gestione tipica dell’impresa sociale (esempio: costi godimento

beni di terzi + ammortamenti + costi per servizi + costi per lavoro dipendente) con il valore della

produzione di servizi, si arriva a costruire un indicatore che, seppur grezzo e migliorabile, consente

una prima valutazione dell’efficienza, in quanto sintetizza le unità di valore della produzione per

ogni unità di costo di tale gestione. (2)

VALORE DELLA PRODUZIONE

____________________________________________________

COSTI DELLA GESTIONE DELL’IMPRESA SOCIALE

Nell’analisi dell’efficienza, il volontario può agire sia sul numeratore (valore della

produzione) sia sul denominatore (costi della produzione) del suddetto rapporto. Se da un lato è

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vero che una cooperativa non può basare la propria produzione di servizi sul volontario, è altrettanto

vero che, ove presente, esso consente sia di aumentare il valore della produzione sia, aspetto forse

più frequente, di ridurre i costi della produzione. Si tratta peraltro di un’analisi del volontariato

senza dubbio riduttiva, in quanto per come è obbligatoriamente strutturato il bilancio d’esercizio di

una cooperativa sociale, manca qualsiasi riferimento alla qualità del servizio erogato, aspetto sul

quale il volontariato incide maggiormente.

Ed ecco la chiave di lettura che questa tesi vuole fornire parlando di costi e strategie

all’interno di uno specifico servizio alla persona, una cooperativa che gestisce un Centro Educativo

Occupazionale Diurno: l’interpretazione del fenomeno del costo nella gestione strategica costituisce

esigenza particolarmente avvertita sul piano teorico ed applicativo in settori che si occupano di

assistenza e sviluppo personale e sociale delle persone disabili nello specifico, ma dell’intera

cittadinanza in generale.

Quindi, se la strategia si manifesta negli orientamenti competitivi e sociali e se si riescono ad

immaginare configurazioni di costo utili per rappresentare i riflessi economici, storici, attuali,

prospettici della gestione strategica, allora si potrà ritenere proficuo concentrare l’attenzione sui

costi derivanti dalle principali azioni strategiche verso il sistema competitivo e degli interlocutori

sociali, nonché considerare le caratteristiche delle principali metodologie di rilevazione di tali

componenti di costo per scopi di programmazione e controllo.

Nello studio del caso della cooperativa di Castelfranco Veneto si tenterà di analizzare nello

specifico la distribuzione dei costi e delle risorse economiche nella chiara prospettiva di gestione

delle strategie applicate: i costi seguono sempre le strategie? La dimensione strategica messa in atto

tiene presente il valore del costo e la soddisfazione dell’utente? Quale diventa la strategia standard

per eccellenza?

Sulla base di queste interrogazioni ci si prefigge di costituire un modello ipotetico di

struttura cooperativa che tenga in considerazione ogni variabile interna ed esterna, allo scopo di

offrire un servizio professionalmente adeguato ed economicamente strategico.

(1) Antonelli “Il costo delle strategie. Aspetti evolutivi della gestione e determinazioni quantitative.” Giuffrè Editore,

Milano 1997

(2) Centro Studi CGM “Comunità cooperative. Terzo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia.” Edizione

Fondazione Giovanneo Agnelli, Torino 2002

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2.4 Analisi di un caso: la gestione economica e strategica di una cooperativa

BREVE PRESENTAZIONE DELLA STRUTTURA SOCIETARIA E PROFESSIONALE

La cooperativa “Vita e Lavoro” venne costituita nel 1982 su iniziativa di un gruppo di

famiglie e di amministratori pubblici per realizzare politiche di promozione della persona, il

recupero e l’integrazione sociale di soggetti con disabilità e invalidità fisiche, psichiche e sensoriali

o comunque definite dalla società e soprattutto dalla legislazione “svantaggiate” o “disabili”.

I soci sono i familiari dei soggetti disabili inseriti nella cooperativa, i 27 Comuni

dell’U.L.S.S. n. 8 Asolo - Castelfranco Veneto e l’U.L.S.S. stessa. Tale composizione societaria è

una specificità che no ha un carattere formale ma sostanziale, infatti tutte le strutture della

cooperativa sono pubbliche.

Gli organi sociali all’interno della cooperativa sono:

- Assemblea dei soci;

- Consiglio di Amministrazione costituito per il 50% da rappresentanti dei Comuni

dell’U.L.S.S. n. 8 e per il 50% dai familiari dei soggetti disabili;

- Presidente eletto dal Consiglio di Amministrazione;

- Collegio Sindacale nominato dall’Assemblea dei soci.

L’attività di cooperazione rivolta a soggetti disabili è iniziata fin dal 1978 per volontà di alcune

famiglie interessate e grazie alla sensibilità operativa dell’U.L.S.S. n. 8 e delle Amministrazioni

comunali della Castellana, dell’Asolano e del Montebellunese.

La costituzione della cooperativa “Vita e Lavoro” è avvenuta nel 1982.

Inizialmente ha gestito 3 Centri Educativi Occupazionali Diurni (CEOD) in convenzione con

l’U.L.S.S. siti ad Asolo, Biadene e Castelfranco Veneto.

Successivamente, nel 1987, è stato costituito il CEOD di Pederobba e nel 1990 il Centro di

Lavoro Guidato (CLG) di Vedelago.

Nel 1998, a Castelfranco Veneto sono stati attivati un centro per la gestione del progetto

Horizon e un Centro per disabili motori (CDM). Nel 2001, con il finanziamento di “Vita e Lavoro”

è stata costituita la Cooperativa NOI mentre la gestione del CDM è stata assegnata al Centro

Atlantis.

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La cooperativa “Vita e Lavoro” articola attualmente il suo servizio in n. 5 centri operativi

dislocati ad Asolo, Biadene, Castelfranco Veneto, Pederobba e Vedelago, di cui n. 4 funzionanti

come CEOD e n. 1 come CLG, tutti di proprietà dei Comuni o dell’U.L.S.S. n. 8.

Il personale attualmente presente presso la cooperativa è di n. 45 dipendenti (di cui 41 in

servizio attivo) idonei e preparati per assicurare un servizio per n. 120 soggetti disabili lievi e

medio-gravi

Personale educativo e tecnico:

N. 5 coordinatori di centro al livello 8° CCNL

N. 15 educatori professionali al livello 6° CCNL

N. 6 educatori al livello 5° CCNL

N. 16 operatori dei servizi sociali al livello 4° CCNL

N. 1 addetta alle pulizie al livello 2° CCNL

N. 1 coordinatore dell’Unità Amministrativa al livello 8° CCNL

N. 2 impiegate di concetto al livello 6° e 5° CCNL.

La cooperativa si avvale della collaborazione permanente di due psicologi e di un pedagogista a

rapporto professionale convenzionale.

La formazione del personale viene realizzata a carattere permanente con corsi residenziali di

durata semestrale con argomenti relativi ai servizi svolti, alle attività promosse e al rapporto

instaurato all’interno della cooperativa; inoltre si prevede la partecipazione ad iniziative qualificate

di aggiornamento e formazione promosse da organizzazioni esterne.

Tutti i centri sono dotati di attrezzature, macchinari e automezzi inerenti le attività svolte

all’interno delle strutture (macchinari agricoli, serre, laboratori di falegnameria, oggettistica in

legno, fiori secchi, assemblaggio,…).

Ogni centro è dotato di attrezzature informatiche e di videocamere allo scopo di:

- acquisire elementi conoscitivi di ogni singolo utente, per poter monitorare costantemente il

suo percorso evolutivo in termini educativi, alla luce degli interventi proposti;

- acquisire elementi per uno studio metodologico sulle caratteristiche degli utenti;

- dare moderni strumenti operativi agli educatori;

- avere un quadro conoscitivo globale della cooperativa;

- dare, laddove è possibile, occasione di crescita lavorativa agli utenti.

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Il SERVIZIO DI RISTORAZIONE è assicurato con contratto di fornitura ad una cooperativa

sociale esterna e con una ditta privata.

“Vita e Lavoro” svolge dal 2001 il TRASPORTO CON ACCOMPAGNAMENTO dei soggetti

disabili dall’abitazione al Centro e viceversa con affidamento in appalto ad un consorzio di

cooperative e ad un privato secondo capitolati di servizio e con controllo costante della qualità delle

prestazioni.

TABELLA DI SINTESI STRUTTURE COOPERATIVA “VITA E LAVORO”

CENTRO ENTE PROPRIETARIO

SEDE

DISABILI

INSERITI

PERSONALE

IMPIEGATO

CEOD di Asolo U.L.S.S. n. 8 24 7

CEOD di Montebelluna Comune di Montebelluna 24 7

CEOD di Castelfranco Veneto Comune di Castelfranco Veneto 24 7

CEOD di Pederobba U.L.S.S. n. 8 24 7

CLG di Vedelago Comune di Vedelago 24 7

Gli utenti inseriti nella cooperativa si differenziano per patologie e per gravità; presentano

scarsa autonomia e autocontrollo emotivo e comportamentale della propria persona, causato dal

mancato apprendimento di abilità e competenze.

Le patologie più ricorrenti sono Sindrome di Down, oligofrenia, insufficienza mentale,

microcefalia, encefalopatia e le patologie da trauma cranico.

Le attività che la cooperativa espleta fanno riferimento ad interventi atti a valorizzare le

capacità residue del soggetto disabile di tipo psico-fisico, intendendo la persona come “soggetto

agente”, in grado di intrecciare relazioni sane ed aggreganti.

L’intervento della cooperativa promuove la valorizzazione interpersonale e lavorativa del

soggetto adulto. La vita in comune e l’impegno lavorativo nei laboratori sono gli strumenti

fondamentali per realizzare il clima e lo stile educativo di ogni singolo Centro della cooperativa,

attraverso:

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attività a carattere lavorativo suddivise per gruppi (laboratori);

attività a carattere educativo-personalizzato;

attività a carattere ricreativo e di animazione contestualizzata;

attività educative per l’inserimento degli utenti nel territorio;

attività funzionali alla vita autonoma nel Centro.

Ciascun Centro si differenzia per la tipologia di utente disabile ma gli strumenti operativi e

la metodologia generale sono gli stessi. Si privilegia uno stile educativo a carattere circolare, dove

l’educatore si configura come modello di apprendimenti, di abilità e di relazioni (non mero

assistente).

La suddivisione nel rapporto utente-educatore non è rigida, ma si promuovono scambi e

circolarità al fine di valorizzare gli stimoli e creare attivazione emotiva nei soggetti disabili.

ANALISI DEI COSTI DI PRODUZIONE DELLA COOPERATIVA

Per la nostra analisi prenderemo in considerazione solo i costi della produzione (riferiti ai

valori della produzione), al fine di valutare l’attività svolta dalla cooperativa in esame.

Nel bilancio consuntivo di fine anno è naturale che rientrano altri costi relativi a proventi e oneri

finanziari, rettifiche di valore di attività finanziarie e imposte sul reddito dell’esercizio, correnti,

differite e anticipate: rispetto all’obiettivo di questa tesi, però, sono di poco conto nel senso che

stiamo parlando di costi straordinari, normalmente presenti, ma che non si possono valutare a priori,

prima dell’avvio di un’attività.

Il nostro obiettivo è infatti quello di studiare i costi di produzione di un’impresa sociale e,

confrontandoli con i valori della produzione, vedere quanto un servizio di questo tipo può operare

con un attivo di produzione, quindi fornire un servizio che sia di qualità sia dal punto di vista

educativo ma anche per la sopravvivenza dello stesso.

Vediamo ora, rispetto al conto economico della cooperativa “Vita e Lavoro” di Castelfranco

Veneto, al 31/12/2005 quali sono stati nello specifico i valori della produzione:

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Valore della produzione

Descrizione Valore espresso in €

Ricavi delle vendite e delle prestazioni 1.715.877

Variazioni delle rimanenze di prodotti in

corso di lavorazione, semilavorati e finiti

- 977

Variazioni dei lavori in corso su

ordinazione

0

Incrementi di immobilizzazioni per lavori

interni

0

Altri ricavi e proventi, con separate

indicazione dei contributi in conto

esercizio:

1. vari 7.426

2. contributi in conto di esercizio 92.391

3. contributi in conto capitale 0

totale 1.814.717

Per specificare, diciamo che i ricavi per le attività lavorative fanno riferimento a € 219.126, i

ricavi dalla convenzione con l’U.L.S.S. n. 8 fanno riferimento a € 1.496.751. Parliamo poi di altri

contributi che possono essere imputati a soggetti terzi, sotto forma di donazioni o altro relativi a €

7.426 ed infine contributi in conto di esercizio pari a € 92.391.

Passiamo ora alla specifica dei costi di produzione, secondo i quali calcoleremo nel capitolo

successivo una retta media standard per l’inserimento di un soggetto disabile in un CEOD gestito da

una cooperativa sociale con lo stesso regime di “Vita e Lavoro”.

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Costi della produzione

Descrizione Valore espresso in €

Materie prime, sussidiarie e merci 95.164

Servizi 656.695

Godimento di beni di terzi 4.739

Salari e stipendi 676.221

Oneri sociali 185.220

Trattamento di fine rapporto 61.325

Trattamento quiescenza e simili 0

Altri costi del personale 352

Ammortamento immobilizzazioni immateriali 23.372

Ammortamento immobilizzazioni materiali 51.535

Altre svalutazioni delle immobilizzazioni 0

Svalutazioni crediti attivo circolante 0

Variazione rimanenze materie prime - 2.107

Accantonamento per rischi 0

Altri accantonamenti 0

Oneri diversi di gestione 15.242

totale 1.767.758

Per specificare rispetto ad alcune voci di costo presenti in tabella:

- costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci e costi per servizi: sono

strettamente collegati all’andamento del valore di produzione del conto economico,

precedentemente sviluppato;

- costi per il personale: la voce comprende l’intera spesa per il personale dipendente ivi

compresi i miglioramenti di merito, passaggi di categoria, scatti di contingenza, costo delle

ferie non godute e accantonamenti di legge e contratti collettivi;

- ammortamento delle immobilizzazioni immateriali: per quanto concerne gli ammortamenti,

si specifica che gli stessi sono stati calcolati sulla base della durata utili del cespite e del suo

sfruttamento nella fase produttiva.

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A questo punto, escludendo di analizzare nello specifico proventi e oneri finanziari e

straordinari e rettifiche di valore di attività finanziarie, anche se successivamente si presenterà il

loro contributo in valore economico nella chiusura del bilancio della cooperativa al 31/12/2005,

calcoliamo la differenza tra il valore e il costo della produzione

VALORE della produzione 1.814.717

COSTO della produzione 1.767.758

DIFFERENZA 46.959

Il dato che nella nostra analisi ci interessava scoprire era proprio quello relativo alla

produzione: il fatto che il costo della produzione per l’attività svolta dalla cooperativa sia inferiore

rispetto al valore della stessa, dimostra che la seguente impresa applica al suo interno delle strategie

(vedi paragrafo successivo) che le permettono di ricavare degli utili dalla produzione.

Parliamo di voci di costo che influenzano costantemente il bilancio consuntivo di

un’impresa sociale, come il costo del personale, delle materie prime, degli ammortamenti delle

immobilizzazioni: sulla base di queste voci di costo e di altre nello specifico, definiremo a quanto

ammonta il valore medio di una retta che l’U.L.S.S. di riferimento versa ad una cooperativa per

l’accoglienza e la presa in carico di ogni singolo utente inserito nel Centro Educativo

Occupazionale Diurno.

Dobbiamo aggiungere che, tenendo in considerazione anche oneri ed imposte, comunque la

cooperativa “Vita e Lavoro” è in grado a fine anno di calcolare un utile d’esercizio pari a 18.808,00

euro.

Questo sta a significare che il modello di gestione attuato, al di là della differenza positiva

tra costi e valore della produzione, rispecchia una buona strategia di organizzazione e pone la

cooperativa in una posizione d’eccellenza rispetto ad altri competitori del settore nella stessa

provincia di Treviso.

Dopo aver preso in esame la composizione dell’organico della cooperativa “Vita e Lavoro”

e aver affrontato un’attenta analisi delle variabili di costo sulla base delle quali la struttura opera,

teniamo in considerazione quali sono le strategie economiche e organizzative che fanno di “Vita e

Lavoro” una cooperativa leader nel settore sociale e nel territorio dell’intera U.L.S.S. n. 8 Asolo –

Castelfranco Veneto.

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Dopo lettura del bilancio consuntivo per l’anno 2005 e la relazione della gestione della

cooperativa, riferita allo stesso periodo di tempo, si può affermare che la situazione complessiva

può consentire interventi di miglioramento dei servizi e delle loro sedi, lo sviluppo e la

concretizzazione di nuovi progetti sui quali sarà opportuno l’impegno delle varie componenti

responsabili, secondo criteri di cautela e ragionevolezza.

ELENCO ED ANALISI DI CIASCUNA STRATEGIA APPLICATA NELLA GESTIONE

DELLA COOPERATIVA “VITA E LAVORO”:

punti di forza che la distinguono da altre strutture della stessa natura presenti sul territorio padovano

e all’interno dell’U.L.S.S. n. 8 della quale appartiene.

CENTRI COOPERATIVI

La cooperativa articola attualmente il suo servizio in n. 5 Centri operativi dislocati in Asolo,

Biadene, Castelfranco Veneto, Pederobba e Vedelago.

Il fatto di avere in gestione più di un Centro operativo riveste naturalmente un importante

punto di forza per la cooperativa in questione.

È evidente che, essendo la sua nascita datata a più di vent’anni fa, questa strategia di

gestione è risultata possibile con maggior facilità, sia da un punto di vista organizzativo che da

un punto di vista politico; a differenza, però, di altre realtà presenti nel padovano, “Vita e

Lavoro” ha saputo sfruttare il modello di ottima gestione delle strutture da lei istituite, per

applicare lo stesso modello vincente in altre zone del trevigiano.

Questo ha permesso che, prima di tutto, l’impresa di cui stiamo parlando, ha saputo, e

continua a dare, una corretta risposta ad un bisogno sentito e manifestato da molti genitori dei

soggetti dei quali si occupa (che, peraltro, sono stati i primi ad occuparsi della gestione di un

ipotetico Centro Educativo Occupazionale Diurno, o quantomeno hanno dato voce alla loro

esigenza): in questo modo l’immagine sociale che la cooperativa acquista all’interno del

territorio e dell’U.L.S.S. n. 8 ricopre un’importanza considerevole.

Inoltre, avendo ampliato il suo raggio d’intervento, “Vita e Lavoro” si pone nel

comprensorio della provincia di Treviso occupandone quattro lati principali, in Comuni con

elevato tasso di cittadinanza (e, conseguentemente, con maggior numero di soggetti disabili).

Secondo motivo per il quale il fatto di avere più Centri operativi ricopre una strategia di

organizzazione è che, avendo quattro centri su cinque la stessa modalità di andamento (i quattro

CEOD), la loro gestione può essere unica: infatti, anche per quanto riguarda il Centro di Lavoro

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Guidato di Vedelago dal momento che cambia soltanto il tipo di attività all’interno di esso

rispetto ai CEOD, la gestione organizzativa ed amministrativa delle cinque strutture è seguita da

un unico organico, facente riferimento all’intera cooperativa.

Questo rappresenta un grande punto di forza, in quanto permette di ridurre enormemente i

costi di gestione per quel che concerne personale, tempi, contatti per garantire una modalità

comune nelle diverse strutture.

La cooperativa dimostra quindi di effettuare ragionate scelte di implementazione dei

contenuti delle strategie, al fine che siano il più razionali ed efficaci possibile per soddisfare

domande ed obiettivi primari.

Avere più centri operativi rispondenti alla stessa cooperativa è sicuramente la strategia di

lungo periodo per eccellenza, la più duratura (finchè il centro esiste) e la più evidente.

Come terzo punto di forza, anche se non meno importante degli altri, l’esistenza di un centro

ad Asolo, uno a Biadene, uno a Castelfranco Veneto, uno a Pederobba e uno a Vedelago

consente a “Vita e Lavoro” un forte abbattimento dei costi anche dal punto di vista del trasporto

ed accompagnamento dei soggetti utenti. In questo modo, ogni servizio di trasporto fa

riferimento al suo centro di accoglienza e raccoglie gli utenti che territorialmente sono più vicini

ad esso in termini di chilometri. Il costo per la cooperativa si abbassa perché il servizio (che è in

gestione a terzi) impiega meno tempo a svolgere il suo ruolo e questo porta ad una minore usura

del mezzo (nei confronti della quale si calcola il tasso di contributo).

Per non aggiungere poi che, il fatto di dover raggiungere un CEOD più vicino a casa,

permette ai soggetti disabili di trascorrere meno tempo in pulmino e, quindi, di sfruttarlo in

attività di accoglienza giornaliera nella struttura, migliore possibilità di relazione con operatori e

altri utenti, più stabilità rispetto all’identificazione con un luogo fisico frequentato.

Secondo questo piano d’azione, gli esiti del processo appena descritti occupano una grande

importanza nella politica di gestione della cooperativa.

STRUTTURE IN COMODATO

Tutti gli edifici in uso sono di proprietà dell’U.L.S.S. n. 8 o dei Comuni dove il centro ha

sede, affidati alla cooperativa con un contratto di comodato della durata di dieci anni.

Da una precisa analisi dei costi e delle strategie che la cooperativa “Vita e Lavoro” coordina

al suo interno, il fatto che tutte le strutture nelle quali opera con Centro Educativo

Occupazionale Diurno o con Centro di Lavoro Guidato, risulta essere, a nostro avviso, una linea

di business di notevole importanza.

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Naturalmente, avendo anch’essa periodo di scadenza di lunga durata e probabilmente di

permanente decisione (a meno che l’ente proprietario non decida di utilizzare la struttura ad altri

scopi, ma in questo caso dovrebbe garantire, secondo contratto, uno stabile alternativo per

l’attuale parte in causa), tale situazione permette alla cooperativa di acquisire riconoscimento ed

identità per un tempo relativamente lungo.

Anche se, concettualmente parlando, definire questa una strategia non è del tutto corretto,

essa ricopre comunque un valore di gestione che la fa paragonare ad altre che descriveremo

come segue.

Innanzitutto, siamo di fronte ad una forte riduzione dei costi per quanto riguarda le eventuali

spese di affitto che la cooperativa dovrebbe affrontare ogni mese e che, date le dimensioni delle

singole strutture, acquisterebbero considerevole peso nel bilancio consuntivo annuale.

Secondo aspetto da tenere presente riguarda l’ipotesi rappresentata se le strutture fossero di

proprietà dell’impresa sociale in questione: tutte le spese di manutenzione, messa a norma

secondo la legge, utenze ed vari costi rispetto alla tipologia di servizio che la struttura offre

(abbattimento barriere architettoniche, ascensori, uscite di sicurezza, ecc), sarebbero a carico

della cooperativa stessa.

In questo modo, invece, grazie al contratto di comodato stipulato con l’U.L.S.S. n. 8 per i

centri di Asolo e Pederobba e con i rispettivi comuni per i centri di Biadene, Castelfranco

Veneto e Vedelago, alla cooperativa “Vita e Lavoro” spettano solo le spese di ordinaria

manutenzione della gestione e il pagamento delle utenze da essa sfruttate (acqua, luce, gas),

mentre, per le spese di straordinaria manutenzione dei cinque centri, si fa carico l’ente che ne

vanta la proprietà.

Nota di ulteriore vanto, a fronte della visita al centro di Castelfranco Veneto, è la tipologia di

struttura e la sua localizzazione nel territorio. Sono edifici che permettono la ottima accoglienza,

in termini di spazio e disposizione, dei 24 utenti di cui si parla; inoltre, essendo posizionati fuori

dal centro e lontano dalla strada, permettono ai soggetti disabili di muoversi nell’area

circostante senza la costante vicinanza dell’operatore.

VENDITA DEI PRODOTTI DEI LABORATORI

All’interno dei cinque centri si svolgono laboratori lavorativi in cui prodotti vengono

venduti con un considerevole fatturato.

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Tra le attività che la cooperativa “Vita e Lavoro” svolge nei cinque centri, sia nei CEOD che

nel CLG, sono previsti anche dei laboratori pratici, atti a stimolare la capacità manuale e

creativa dei soggetti disabili inseriti.

Tra questi individuiamo:

- Laboratorio oggestistica con fiori secchi;

- Laboratorio oggestica legno;

- Laboratorio orticoltura e manutenzione parco;

- Laboratorio di cartonaggio;

- Laboratorio di serra e orticoltura;

- Laboratorio oggettistica ceramica e confezione di bomboniere;

- Laboratorio di ristorazione scolastica;

- Laboratorio preoccuoazionale.

Un unico centro non si occupa di tutti i laboratori descritti ma sono gestiti in modo e in

quantità diversa a seconda della zona territoriale nella quale si trovano (ad esempio per il

laboratorio di orticoltura e serra). Per ognuno dei CEOD e per il CLG, comunque, le attività attuate

sono fonte di fatturato.

È questa una strategia ben studiata e praticata in quanto identifica l’impresa sociale con

un’elevata capacità di fornire servizi specializzati. Infatti, le aziende di servizi non sono solo in

concorrenza fra loro ma anche con i propri clienti (in questo caso sia gli utenti che la collettività):

per la cooperativa che offre servizi, il fatto di riuscire ad introdursi nel proprio campo dipende o

dalla sua capacità di fare le cose meglio e/o a un prezzo più basso rispetto al concorrente oppure

dalla temporanea o permanente carenza di capacità dello stesso.

Questo vuol significare che i laboratori che “Vita e Lavoro” ha istituito diventano

importante strumento per due motivi: innanzitutto, permettono, attraverso il lavoro dei soggetti

inseriti e il loro sviluppo personale di abilità, di essere una fonte di guadagno importante, che a fine

anno incide notevolmente sul bilancio consuntivo (vedi tabella che segue) e che permette alla

cooperativa di far fronte agli scoperti finanziari, in attesa del dovuto versamento dei finanziamenti

da parte degli enti in convenzione. Inoltre, non di meno importanza, attraverso i laboratori e la

vendita dei loro prodotti, la cooperativa diventa parte integrante della comunità ed “ospita” al suo

interno la stessa cittadinanza che giunge al centro per gli acquisti. È questo un aspetto sociale di

notevole impatto in quanto pone le basi per una piena integrazione del soggetto disabile nella

comunità di appartenenza.

“Vita e Lavoro”, così come altre cooperative che utilizzano questa metodologia di lavoro e

produttività, ha studiato ed applicato con successo il profilo competitivo di questo tipo di business,

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mantenendo regole di comportamento che rispettano prima di tutto l’impegno e la promozione

personale e sociale del soggetto disabile inserito, primo attore e fruitore di tale servizio.

A titolo informativo, viene presentata la tabella del fatturato per l’anno 2005 per la attività di

laboratorio, specificandone il contributo per ogni centro gestito dalla cooperativa.

CENTRI FATTURATO attività lavorative

ASOLO € 29.732,39

CASTELFRANCO VENETO € 18.617,36

BIADENE (MONTEBELLUNA) € 29.625,60

PEDEROBBA € 11.871,95

VEDELAGO € 109.427, 93

TOTALE € 199.275, 23

STRUMENTO DEL “BUDGET”

Ogni fine del mese, si effettua un controllo di spesa per programmare investimenti ed attività

Apparentemente, quella che verrà brevemente descritta, potrebbe non sembrare una scelta

strategica che la cooperativa applica nel controllo di gestione dei suoi costi e ricavi; il “Budget”

ricopre invece un’importanza non indifferente in quanto, a cura di personale amministrativo

preparato e attento, alla fine di ogni mese, viene fatto un calcolo della liquidità disponibile in

base alle spese urgenti da effettuare.

Questo permette alla cooperativa di mantenere, prima di tutto, un continuo controllo dei

costi e delle risorse disponibili evitando grandi margini di passività, e, in secondo luogo,

rafforza una strategia che si dimostra efficace se gestita in questo modo.

Di mese in mese vengono saldati i costi più urgenti, aspettando per i successivi di avere

maggiore liquidità disponibile: questo consente di programmare correttamente attività ed

investimenti necessari alla sopravvivenza e crescita della cooperativa.

Chiaramente, come è stato descritto precedentemente, della gestione di questa strategia si

occupa un unico organico esistente nella cooperativa ma che gestisce la componente

amministrativa di tutte e cinque le strutture presenti nel territorio trevigiano, con un’elevata

riduzione dei costi anche sotto questo fronte.

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LE COLLABORAZIONI PROFESSIONALI

La cooperativa si avvale della collaborazione permanente di due psicologi e di un

pedagogista a rapporto professionale convenzionale.

Passando ad analizzare le strategie attuate in base alle collaborazioni e all’assunzione di

personale che opera all’interno della cooperativa “Vita e Lavoro”, la prima riflessione da fare è

legata alla presenza costante di due psicologi e di un pedagogista non assunti direttamente dalla

cooperativa ma operanti in essa per mezzo di un rapporto convenzionale.

Ciò significa che, data la presenza di una convenzione con l’U.L.S.S. n. 8 per l’inserimento

dei soggetti disabili e la definizione di una retta per la loro accoglienza nelle strutture, tali figure

professionali rientrano per contratto e prestano il loro servizio in base alla suddetta convenzione.

Per la cooperativa questo significa una diminuzione di costi in quanto agevola dal punto di vista

burocratico ed amministrativo l’assunzione dei psicologi e del pedagogista: la convenzione in

atto, assicura la loro presenza costante, normata da una convenzione già stipulata con “Vita e

Lavoro” per altri scopi.

E’ chiaro che, nel momento di definizione della quota convenzionale da applicare, l’ente

socio-sanitario tenga presente del servizio di tre specialisti che offre alla cooperativa in esame,

ma i costi che la stessa deve assumere sono nettamente inferiori rispetto a quelli da affrontare se

le tre figure fossero assunte direttamente dall’impresa sociale.

Questa si dimostra essere una strategia perché non tutte le cooperative fanno questa scelta

(soprattutto nel territorio padovano); per “Vita e Lavoro” si legge come un punto di forza.

ORGANICO EDUCATORI ED OPERATORI

Personale educativo così composto:

- N. 5 coordinatori di centro al livello 8° CCNL;

- N. 15 educatori professionali al livello 6° CCNL;

- N. 6 educatori a livello 5° CCNL;

- N. 16 operatori dei servizi sociali al livello 4° CCNL.

Il rapporto tra educatori ed utenti rispetta la Legge Regionale (1:9), così come il rapporto

operatore ed utente (1:4,5). Questo è sicuramente un aspetto da tenere in gran considerazione in

quanto non tutte le strutture che gestiscono CEOD o CLG mantengono questi criteri standard

stabiliti dalla legge ma preferiscono assumere maggior numero di operatori socio-sanitari in quanto

inquadrati in un livello più basso rispetto all’educatore, con una conseguente riduzione dei costi del

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personale e, peggio ancora, minor investimento nei riguardi del soggetto utente per la sua crescita

autonoma, personale e sociale.

Da tenere in considerazione anche un altro aspetto per quanto riguarda l’organico educativo

operante nelle strutture: la cooperativa ha scelto di individuare tra gli educatori operanti in ogni sua

struttura un coordinatore di centro, che svolga funzioni di responsabilizzazione relativamente alle

altre figure presenti, ai soggetti disabili e alle attività sviluppate all’interno di esso.

In molte cooperative non esiste il coordinatore di centro ma bensì un dirigente, aventi

responsabilità anche di tipo amministrativo e che molto spesso non opera a contatto con i soggetti

utenti: significa, quindi, aumento di costi per la struttura e delega di compiti che, invece,

dovrebbero essere svolti dal top management.

In questo senso riteniamo che la scelta di “Vita e Lavoro” sia stata strategica e ottimale dal

punto di vista organizzativo, dal momento che la cooperativa opera in cinque centri separati ma con

attività simili tra loro.

“MOVIMENTO DI OPERATORI ED UTENTI”

All’interno dei diversi centri gestiti dalla cooperativa, sia gli operatori che gli utenti hanno la

possibilità spostarsi per periodi di tempo determinati da una struttura all’altra, secondo un

programma definito.

“Vita e Lavoro” mette in atto, infine, una strategia prettamente rivolta alla soddisfazione

degli utenti e dei dipendenti che in essa operano. Avendo più strutture sul territorio, la

cooperativa permette all’operatore o all’educatore, dopo un certo periodo di tempo e secondo

programmi definiti per non destabilizzare l’organizzazione del centro stesso, di trasferirsi in

un’altra struttura con lo scopo di conoscere (e trasferire) metodologie di lavoro sostenute da

un’altra equipe di lavoro e di conoscere, e quindi, lavorare con un altro gruppo di soggetti.

Questo evita l’alienazione del dipendente, che magari da molto tempio opera con le stesse

persone e metodologie, e consente al soggetto disabile di individuare figure di riferimento

diverse, operando un gran lavoro in termini di crescita ed avvicinamento alla nuova persona.

Inoltre, se un soggetto frequentante uno dei CEOD dimostra la capacità di avvicinamento al

mondo lavorativo (tramite il laboratorio preoccupazionale), c’è la possibilità che venga

trasferito al CLG, chiaramente dopo opportuna valutazione dei servizi socio-sanitari e modifica

della convenzione in atto.

Sono considerate strategie operative in quanto permettono di valutare la qualità della

struttura anche in termini di soddisfazione e motivazione rispetto al ruolo che la persona ricopre.

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CAPITOLO 3

I COSTI SEGUONO/SONO LE STRATEGIE

3.1 La struttura dei costi di un CEOD: un approccio standard

Nella definizione di una retta media standard per l’inserimento di un soggetto disabile in un

CEOD dobbiamo prendere in considerazione il concetto di costo nel suo approccio classico.

È importante studiare il comportamento dei costi in funzione di variazioni in parametri

ipotizzati rilevanti per la loro formazione. Questa classificazione è importante ai fini della stima

di quale possa essere il volume dei costi in situazioni alternative, ai fini della presa di decisioni

orientate al futuro.

Prima di tutto, consideriamo l’oggetto di analisi di variabilità che può essere un costo

elementare (materie prime, costo di lavoro, provvigioni) oppure un raggruppamento di costi (il

costo di una funzione o di un reparto) od una configurazione di costo (costo primo, costo di

produzione).

La variabilità dei costi relativi all’oggetto prescelto si determina a seguito dell’effetto su di

essi da fattori determinanti di costo (cost driver), la cui variazione ne muta l’entità totale.

Nella determinazione della retta media standard per l’inserimento di un soggetto in un CEOD,

dobbiamo tenere in considerazione quale funzione dell’impresa ricopre decisiva importanza e

quindi su che tipo di cost driver porre l’accento: come vedremo di seguito, risulta fondamentale

concentrarsi sulla variabile del servizio all’utente e quindi sul tipo di risposta dare ad una sua

esigenza, al fine di calcolare l’incidenza che questo ha sui costi completi di gestione.

Infatti, ulteriore elemento da definire è costituito dall’ampiezza della variabilità nell’entità di

cost driver; quest’ultimo fattore definisce l’area di rilevanza nell’analisi della variabilità dei

costi, ovvero l’intervallo di variazione del livello di attività entro il quale si mantengono valide

le ipotesi di comportamento dei costi relativi all’oggetto di analisi.

Nell’analisi della variabilità è anche fondamentale definire il tempo, ossia l’estensione

temporale dell’osservazione: nel nostro caso, ogni voce di costo viene calcolata nell’arco

temporale di un anno, periodo durante il quale viene calcolato il valore di una retta media

standard.

E’ chiaro che per il nostro scopo terremo in considerazione una serie di costi in base al

comportamento rispetto ad un fattore determinante; distingueremo tra (1):

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- COSTI FISSI, che non variano cioè al variare del volume di attività (nel nostro caso, per

esempio, il valore del costo dell’affitto dello stabile, nell’arco di un anno, nel quale

svolgere l’attività di Centro Educativo Occupazionale Diurno);

- COSTI VARIABILI, che dipendono e variano rispetto a tale volume, e quindi in base a

quanti soggetti vengono inseriti nel Centro in esame;

- COSTI MISTI, che comprendono i costi semivariabili (composti da una quota fissa e

una quota variabile) e i costi a scalini (che si hanno quando vi sono incrementi nei costi

all’interno dell’area di rilevanza a intervalli di variazione del driver).

Approfondendo ancora il concetto di costo prima di vederlo secondo un calcolo ipotetico

nella definizione di una retta media standard, parlando di servizi alla persona, distinguiamo i

costi diretti dai costi indiretti, la cui classificazione attiene alle modalità di imputazione e

attribuzione dei costi agli oggetti di costo:

- Per COSTI DIRETTI s’intendono quei costi che sono imputabili direttamente

all’oggetto secondo convenienti criteri di specialità, ossia mediante il prodotto tra

volume di fattore impiegato e il prezzo unitario, oppure che vengono attribuiti in modo

esclusivo ( nel nostro caso possono essere le materie prime, o il costo annuale per il

servizio di mensa, o l’ammortamento del pulmino dedicato al trasporto dei soggetti

disabili).

- Per COSTI INDIRETTI intendiamo invece quei costi che si imputano all’oggetto di

costo secondo criteri di comunanza, mediante un procedimento di ripartizione o

allocazione del costo; alcuni esempi riferiti al nostro caso sono i costi amministrativi per

il personale impiegato, oppure i costi sostenuti per la certificazione della struttura.

Ulteriore distinzione, per quanto riguarda l’impiego dei costi nelle decisioni relative a possibili

alternative di azione, va fatta parlando di:

- COSTI RILEVANTI, e cioè quei costi che differiscono tra diverse alternative di scelta e che

influiscono pertanto sul risultato finale del calcolo economico per un giudizio di

convenienza;

- COSTI IRRILEVANTI, quei costi che sono ugualmente presenti nelle alternative di azione

prese in considerazione, dove la loro considerazione non incide sul risultato dell’analisi;

- COSTI DIFFERENZIALI, sono quelli che si ottengono facendo la differenza tra i costi di

diverse alternative scegliendone una come base.

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Infine, ulteriore distinzione va tenuta in considerazione parlando di:

- COSTI CONSUNTIVI o EFFETTIVI che misurano il valore delle risorse utilizzate ex-post,

cioè dopo lo svolgimento dei processi, e

- COSTI STANDARD che appartengono alla categoria dei costi preventivi, ma sono riferiti a

condizioni operative non attuali ma ipotetiche (come nel caso studiato in questa tesi e

presentato nel seguente capitolo).

Dovendo analizzare diverse voci di costo, allo scopo della loro determinazione nella costruzione

di una retta media standard per l’inserimento di un soggetto disabile in un CEOD in gestione ad una

cooperativa sociale, è stato fondamentale anticipare la loro classificazione secondo quanto risulta

utile nel nostro studio.

Presentiamo comunque una tabella riassuntiva che ne classifica ogni possibilità in base al

criterio predominante.

CLASSIFICAZIONE DEI COSTI

CRITERIO (in base allo scopo) CLASSI

Comportamento rispetto ad

un fattore determinante (cost driver)

o Variabili

o Costanti

o Misti

Riferibilità e oggettività della misurazione

rispetto all’oggetto di costo

o Speciali

o Comuni

Modalità di attribuzione

all’oggetto di costo

o Diretti

o Indiretti

Impiego

nelle decisioni

o Rilevanti

o Irrilevanti

o Opportunità

o Differenziali

o Preventivi

Per il controllo

di gestione

o Consuntivi

o Standard

o Controllabili

o Non controllabili

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Sulla base della classificazione dei costi, calcoliamo ora una retta media standard rispetto ad

alcune voci di costo che rientrano nella diretta gestione di un Centro Educativo Occupazionale

Diurno, confrontando poi la retta calcolata con alcuni situazioni in cooperative del padovano e del

trevigiano.

DESCRIZIONE TECNICA ED ORGANIZZATIVA DELLA STRUTTURA

La STRUTTURA che ipotizziamo possa essere utilizzata per la gestione del CEOD è una

stabile di 500 metri quadrati circa, adeguato per offrire un servizio efficiente per 30 SOGGETTI

DISABILI ADULTI con disabilità media, del tipo sindrome di Down, oligofrenia e ritardo mentale

(secondo le norme legislative in atto, tale metratura viene calcolata facendo riferimento a 4 metri

quadrati per soggetto).

Si tratta di una STRUTTURA IN AFFITTO alla cooperativa gestore (non in comodato come

nel caso di “Vita e Lavoro” e quindi vedremo che la variabile di costo a cui facciamo riferimento

incide nettamente sul calcolo finale).

Ancora, in riferimento ad alcuni costi sensibilmente variabili in base alla loro natura,

diciamo che il SERVIZIO DI MENSA è in gestioni a soggetti terzi, con servizio di catering ma

senza bisogno di personale di servizio in quanto si cerca di sviluppare l’autonomia e la capacità del

soggetto nella preparazione della sala da pranzo, delle tavole e per la pulizia finale, sotto la guida e

il sostegno degli operatori.

Diversamente, per quanto riguarda il SERVIZIO DI TRASPORTO CON

ACCOMPAGNAMENTO nella cooperativa che ipotizziamo gestisca il nostro CEOD è interno, nel

senso che l’impresa ha acquistato per svolgere questo compito tre pulmini; sarà interessante notare

come questa variabile incida nella definizione della retta e, comunque, quanto convenga avere

questo tipo di servizio interno, nel nostro caso (diversamente, per “Vita e Lavoro” era più

conveniente affidare tale compito a cooperative esterne o ditte di trasporto in quanto la zona da

coprire è più ampia ma soprattutto perché i Centri da servire sono cinque).

Anche le PULIZIE vengono gestite direttamente dalla cooperativa, per sviluppare ed inserire

il soggetto disabile in un contesto di normalità familiare, con l’unica spesa di acquisto del materiale

di pulizia.

Infine, anche se come vedremo non ha influenza nella gestione dei costi per quanto riguarda

la definizione di una retta media standard per l’inserimento di un soggetto disabile in un CEOD,

all’interno della cooperativa, svolgeremo attività che stimolino le capacità residue dei soggetti

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utenti e le potenzialità nascoste, nell’ottica di una corretta autonomia personale e sociale e per

stimolare abilità manuali, creative e psicologiche.

Le attività che prendiamo in considerazione fanno riferimento a laboratori di cartonaggio, di

pittura, di ceramica, di confezione e rilegatura e laboratori con materiali modulabili (legno e

plastica). Inoltre, come già sottolineato in precedenza, verranno privilegiate tutte quelle attività che

ripropongono situazioni di vita comune e familiare (preparazione del momento del pranzo, pulizie

generali, pulizia personale, cura dell’ambiente esterno alla cooperativa e, data la collocazione

centrale rispetto al paese in cui sorge, integrazione ed inserimento nella vita societaria di tutti i

giorni).

PROSPETTO DESCRITTIVO DELLE VOCI DI COSTO CONSIDERATE

PERSONALE EDUCATIVO IMPIEGATO

Stiamo parlando di un costo variabile, in quanto il rapporto di educatori ed operatori varia a

seconda del numero di soggetti inseriti nella struttura e secondo la gravità della loro disabilità:

occupandoci di 30 soggetti adulti con disabilità media, i rapporti secondo la legislazione (Legge

Regionale n.55 del 1982) sono i seguenti:

- Rapporto EDUCATORE-UTENTE = 1/9

- Rapporto OPERATORE-UTENTE = 1/4,5

In termini di retribuzione annua per le due figure professionali e l’incidenza che questa

rappresenta per ogni singolo soggetto, facciamo riferimento alla seguente tabella:

EDUCATORE OPERATORE

Retribuzione media mensile € 1.100,00 € 800,00

Retribuzione media annuale € 30.000,00 € 22.000,00

Incidenza annuale sul singolo

soggetto

€ 3.340,00 € 4.890,00

Incidenza formalizzazione rapporto

lavorativo sul singolo soggetto

€ 63,00 € 130,00

Incidenza formazione del personale

sul singolo soggetto

€ 55,00 € 115,00

Incidenza assicurazione del

personale sul singolo soggetto

€ 2,50 € 4,50

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In totale, nel periodo di un anno, l’incidenza che un educatore e un operatore ricoprono nei

confronti di un soggetto disabile inserito in un CEOD, secondo i rapporti precedentemente definiti e

sulla base di tabelle medie di riferimento dei costi, è così riassunta:

EDUCATORE = € 3.460,50

OPERATORE = € 5.139,50

AFFITTO STRUTTURA

Abbiamo detto precedentemente che la struttura non viene data in comodato, come nel caso

studiato della cooperativa “Vita e Lavoro”, ma dobbiamo tenere in considerazione una struttura di

500 metri quadrati, regolata da un contratto di affitto.

Il costo della struttura è un costo fisso, in quanto, quando è stata definita la sua area di

estensione in base al numero di utenti disabili che la cooperativa può accogliere secondo la

normativa di riferimento, il suo costo (la quota di affitto o la rata mensile di pagamento attraverso

mutuo bancario) non varia rispetto al variare del numero di soggetti entranti. Infatti, può essere che

ci siano assenze, o dimissioni dei soggetti, o ancora, trasferimenti degli stessi in un'altra struttura.

Come per le altri voci di costo, anche per questa riferita al costo della struttura, i calcoli

d’incidenza nella definizione di una retta media standard sono stati fatti approssimando per eccesso,

come normalmente avviene quando parliamo di gestione di un’impresa; questo per evitare che, con

il passare del tempo, ci si trovi di fronte a passività elevate, determinate da un calcolo dei costi

troppo approssimativo.

Secondo la quota di mercato, uno stabile delle nostre dimensioni, come quello appena descritto,

ricopre i seguenti costi:

Descrizione oggetto di costo EDIFICIO DI 500 MQ

in uso per CEOD

QUOTA DI AFFITTO MENSILE € 2.000,00

QUOTA DI AFFITTO ANNUALE € 24.000,00

INCIDENZA ANNUALE SUL SINGOLO

SOGGETTO

€ 800,00

L’affitto della struttura ha un’incidenza annuale su ogni utente pari a € 800,00. Vedremo che

questa variabile di costo acquista un peso percentuale elevato nella definizione della retta media

standard, cosa che non avveniva nel caso della cooperativa “Vita e Lavoro”.

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UTENZE

Tenendo in considerazione la struttura di cui al punto sopra, calcoliamo ora l’incidenza che

le diverse utenze hanno in un anno nella gestione del CEOD. Sono costi derivati da un consumo

medio in un’abitazione normale e riportati nello studio di una struttura dell’ampiezza di 500

metri quadrati, utilizzata come Centro Educativo Occupazionale Diurno.

Chiaramente, siamo di fronte ad un costo variabile, in quanto varia a seconda dei giorni di

apertura della struttura, del consumo e l’utilizzo fatto delle varie utenze (tranne che per i rifiuti,

essendo questi ultimi soggetti ad una tassa annuale fissa, calcolata secondo la metratura dello

stabile e i soggetti che lo occupano).

UTENZE COSTI MEDI

Riscaldamento € 3.500,00

ENEL € 1.500,00

Telefono con rete internet € 2.500,00

Tassa rifiuti € 1.000,00

Acqua € 500,00

Totale costo utenze su un

anno di attività

€ 9.000,00

Incidenza media totale

utenze per ogni

singolo soggetto

€ 300,00

ASSICURAZIONE STRUTTURA ED UTENTI INSERITI

Analizziamo ora in breve quale incidenza acquista il costo misto dell’assicurazione della

struttura; è un costo misto in quanto è composto da una quota fissa riferita alla metratura dello

stabile ma varia a seconda dei soggetti inseriti al suo interno.

In un CEOD delle dimensioni e del numero di soggetti presenti, come quello descritto:

- Quota annua totale di assicurazione struttura = € 9.000,00

- QUOTA ANNUA DI ASSICURAZIONE DELLA STRUTTURA PER

SOGGETTO = € 50,00

Per quanto riguarda l’assicurazione personale di ogni soggetto inserito nel CEOD:

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- Per 30 soggetti, quota annua totale = € 1.500,00

- QUOTA PERSONALE ANNUA SOGGETTO DISABILE = €300,00

SERVIZIO MENSA

Consideriamo il servizio della mensa come affidato ad un soggetto terzo, sia esso

cooperativa o ditta esterna, solo per quanto riguarda la preparazione dei pasti. Il servizio di

preparazione della sala da pranzo e della distribuzione dei pasti viene considerata attività

integrativa del CEOD per sviluppare tale capacità nel soggetto disabile. Il costo della mensa,

quindi, non comprende il personale addetto alla distribuzione.

Considerando che:

COSTO GIORNALIERO DI 1 PASTO = € 6,00

GIORNI DI PRESENZA NEL CEOD DEL SOGGETTO DISABILE (secondo le normali

convenzioni con le U.L.S.S. del territorio, tenendo conto delle festività annuali e dei sabati e

domeniche) = 234 giorni

Allora:

COSTO ANNUALE DELLA MENSA PER UN SINGOLO SOGGETTO = € 1.400,00

PULIZIE

Le pulizie all’interno del CEOD sono considerate come un costo rilevante in quanto, la

scelta di affidarle ad un servizio esterno o di farle autonomamente dagli operatori con i soggetti

utenti fa variare il capitolo di costo finale nella definizione di una retta media standard.

Nel nostro caso decidiamo di mantenere il servizio all’interno della cooperativa per due motivi:

1. per la riduzione dei costi finali, dovendo acquistare solo la materia prima per svolgere il

servizio (comprensiva anche di forniture per i bagni, per la cucina e per gli uffici del

personale impiegato);

2. perché il servizio di pulizia viene sfruttato come ulteriore attività con lo scopo di

sviluppare l’autonomia personale dei soggetti disabili, cercando di creare le migliori

condizioni familiari ed abituando il soggetto alla cura di sé, degli altri e dell’ambiente

nel quale vive, sia esso il CEOD che la famiglia.

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Secondo un calcolo approssimativo di una quantità media di materiale di pulizia e di

forniture per i vari locali del centro, che sia sufficiente per un anno, i costi che seguono sono

i seguenti:

- COSTO ANNUALE PER LE PULIZIE E FORNITURE = € 3.500,00

- INCIDENZA DEL COSTO DEL MATERIALE PER LE PULIZIE E

DELLE FORNITURE SU OGNI SOGGETTO DISABILE INSERITO NEL

CEOD = € 120,00

SERVIZIO DI TRASPORTO

Diversamente per quanto considerato con la cooperativa del trevigiano “Vita e Lavoro”, in

questo caso ipotetico di gestione di un Centro Educativo Occupazionale Diurno, il servizio di

trasporto per l’accompagnamento dei soggetti utenti del centro nei due momenti della giornata

(andata e ritorno) viene gestito direttamente dalla cooperativa, utilizzando il personale già

impiegato.

Questa scelta è dettata dal fatto che la zona territoriale a cui fa riferimento il centro in

questione è sicuramente più circoscritta rispetto alle cinque strutture che invece gestiva “Vita e

Lavoro”.

Inoltre, e successivamente verrà presentato un semplice confronto, i costi di gestione di tale

servizio, per le dimensioni di questa cooperativa sono più bassi se riferiti ed imputati

direttamente alla struttura stessa.

Stiamo parlando di un costo rilevante e variabile, in quanto la distanza percorsa, il costo del

carburante, la presenza o assenza dei soggetti, incidono sul conteggio totale del valore del costo

a fine anno. In questa sede, abbiamo calcolato un costo medio, sulla base di alcune tabelle di

riferimento, con un numero complessivo di 30 SOGGETTI DISABILI inseriti in cooperativa e

l’acquisto da parte di essa di 3 PULMINI atti al trasporto e accompagnamento degli utenti.

La tabella che segue indica il valore di ogni indice di costo relativamente a questo servizio,

calcolato nell’arco di un anno di attività della cooperativa, considerando che ogni pulmino

percorrerebbe 150 chilometri al giorno (i valori sono riferiti alla somma dei tre mezzi).

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GASOLIO € 4.000,00

AMMORTAMENTO MEZZO € 9.000,00

ASSICURAZIONE E BOLLO € 7.500,00

MANUTENZIONE € 600,00

TOTALE COSTO ANNUO € 21.100,00

Incidenza del costo del trasporto

sul singolo soggetto

€ 700,00

Per AMMORTAMENTO significa l’estinzione graduale del valore dei pulmini acquistati e

destinati a perdere il loro valore con il passare del tempo.

Abbiamo calcolato un prezzo medio per l’acquisto di un pulmino, pari a € 30.000,00 (€

90.000,00 per tre pulmini): normalmente, per ammortizzare tali mezzi ad uso descritto, sono

necessari 10 anni.

Da qui risulta il costo annuo di ammortamento dei tre pulmini pari a € 9.000,00.

Di norma, le ditte o le cooperative che fanno servizio di trasporto calcolano una tariffa base

di circa € 1,00 al chilometri. Avendo la necessità di percorrere, con tre pulmini, circa 150

chilometri al giorno e moltiplicando il dato per 234 giorni di attività risulterebbe che:

€ 150,00 al giorno X 234 giorni = € 35.100 totali su un anno, con un incidenza del costo sul

singolo soggetto pari a € 1.170,00 annuali.

Mantenere il servizio di trasporto direttamente gestito dalla cooperativa, nel nostro caso,

risulta essere un ottima strategia di gestione in quanto prevede il risparmio di circa € 470,00

all’anno per soggetto utente.

SPESE DI CANCELLERIA E ATTREZZATURE PER L’UFFICIO

Anche le spese di cancelleria, per la normale gestione del centro (penne, fogli, inchiostro

stampanti, ecc.) e, in maggior misura, le attrezzature per l’ufficio (computer, stampante, fax,

telefono, ecc.), le quali subiscono una quota di ammortamento seppur ridotta, contribuiscono

alla definizione della retta media standard.

Sono costi considerati semivariabili perché composti da una quota fissa (l’acquisto delle

attrezzature) e da una quota variabile (la quantità di materiale di cancelleria che viene acquistato

ogni anno).

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Approssimativamente, calcoliamo l’incidenza che tali costi hanno sulla definizione di una retta

media.

- SPESE CANCELLERIA ANNUALI = € 2.000,00

- INCIDENZA SUL SINGOLO SOGGETTO = € 67,00

- ACQUISTO ATTREZZATURE UFFICIO = € 3.000,00

- INCIDENZA SUL SINGOLO SOGGETTO = € 100,00

SPESE AMMINISTRATIVE

La cooperativa ipotetica di cui stiamo parlando darà l’intera gestione della parte

amministrativa del servizio ad uno studio di consulenza esterno, sia per quanto riguarda la parte

relativa alle buste paga dei dipendenti, che per quanto la stesura del bilancio a fine anno e

l’I.V.A. relativa.

Facciamo, quindi, riferimento ad un costo fisso, che incide sulla definizione della retta come

segue:

- SPESE ANNUALI PER LO STUDIO DI CONSULENZA = € 2.500,00

- INCIDENZA SUL SINGOLO SOGGETTO = € 85,00

SPESE PER LA CERTIFICAZIONE DEL SERVIZIO

Dal momento che la cooperativa ipotizziamo si costituisca nell’anno 2006, secondo la

legislazione ISO (International Standards for Organisation) necessita di certificazione per

svolgere il proprio servizio di Centro Educativo Occupazionale Diurno.

Punti essenziali della certificazione (denominata VISION 2000):

- è basata sull’individuazione e soddisfazione delle aspettative e delle esigenze del cliente;

- richiede i requisiti specifici per l’individuazione e soddisfacimento delle esigenze di

formazione del personale e comunicazione con i clienti;

- affida maggior importanza alla progettazione e allo sviluppo di nuovi prodotti ed a un

miglioramento continuo;

- ha un orientamento ai risultati;

- prevede il coinvolgimento delle persone e della leadership.

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Emanate sotto forma di norme, la certificazione prevede delle direttive finalizzate alla

realizzazione di un sistema di qualità ottimale, a cui tutte le organizzazioni dovrebbero attenersi.

Porta alla certificazione rilasciata da apposite agenzie, con un incidenza sulla definizione della retta

media standard di medio rilievo.

Stiamo parlando di un costo fisso che però viene pagato un’unica volta e ammortizzato in un

anno all’interno della retta costruita per la gestione di ogni singolo soggetto nel CEOD.

- COSTO MEDIO DI UNA CERTIFICAZIONE = € 5.000,00

- INCIDENZA SUL SINGOLO SOGGETTO = € 170,00

In questo capitolo sono stati presi in considerazione una serie di costi che influiscono in modo

diversamente rilevante nella definizione di una retta media standard per l’inserimento di un soggetto

disabile all’interno di un CEOD (vedi tabella e grafico seguenti).

La nostra tesi, dopo aver affrontato nel dettaglio una reale situazione di un CEOD in gestione ad

una cooperativa, ha ipotizzato la medesima situazione cercando di determinarne costi e strategie

corretti, a norma di legge ed efficaci rispetto al servizio da svolgere. Questo spiega perché, come

vedremo nel paragrafo che segue, alcune voci di costo hanno assunto una natura diversa, o

comunque hanno preso in considerazione strategie alternative, sia rispetto alla concorrenza del

mercato sociale che rispetto alla riduzione diretta dei costi.

Nella tabella qui sotto vengono riportate schematicamente tutte le voci di costo e la loro

incidenza, tenendo in considerazione che la loro somma fa riferimento al valore di una retta media

standard, corrispondente al valore della convenzione che la cooperativa dovrebbe stipulare con

l’U.L.L.S. di riferimento per l’inserimento di ogni singolo utente.

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TABELLA RIASSUNTIVA DELLE VOCI DI COSTO E

LORO INCIDENZA SULLA DEFINIZIONE DI UNA RETTA MEDIA STANDARD

VOCI DI COSTO INCIDENZA

PERSONALE € 8.600,00

AFFITTO STRUTTURA € 800,00

UTENZE € 300,00

ASSICURAZIONE STRUTT.

E ASSICURAZIONE UTENTI

€ 350,00

SERVIZIO MENSA € 1.400,00

SERVIZIO PULIZIE € 120,00

SERVIZIO TRASPORTO € 700,00

SPESE CANCELLERIA

E ATTREZZATURE UFFICIO

€ 167,00

SPESE AMMINISTRATIVE € 85,00

SPESE PER CERTIFICAZIONE € 170,00

TOTALE € 12.692,00

Dalla tabella costruita e tenendo in considerazione alcune voci di costo che potrebbero

rientrare come costi non controllabili (ad esempio, la rottura di una porta della struttura, percorso di

percorrenza più lungo per un pulmino a causa di lavori in corso sulle strade, ecc) nella definizione

della retta standard, per l’inserimento di un soggetto disabile in un CEOD in gestione ad una

cooperativa, possiamo affermare che:

Una cooperativa che gestisce un CEOD con 30 soggetti con disabilità media

è in grado di fornire un servizio efficiente ed efficace con una convenzione stipulata con

l’U.L.S.S. di riferimento che preveda 14.000,00 Euro all’anno

per l’inserimento di ogni soggetto utente.

A questo punto, è corretto specificare che la cooperativa “Vita e Lavoro” di Castelfranco

Veneto offre un servizio ottimale alla comunità, tenendo in considerazione un’analisi dei costi che

si avvicina di molto al calcolo appena eseguito: è in grado di gestire i diversi centri in cui opera con

una quota annua stipulata tramite convenzione assolutamente coerente con i costi ed efficace

rispetto ai servizi offerti.

A conclusione di questo interessante paragrafo, costruiamo un grafico per indicare in termini

percentuali, e quindi direttamente più calcolabili e visibili, le incidenze di ogni voce di costo.

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INCIDENZA DELLE VOCI DI COSTO IN TERMINI PERCENTUALI

TABELLA DI RIFERIMENTO

PERSONALE 61,40%

AFFITTO 5,65%

UTENZE 2,10%

ASSICURAZIONI 2,50%

MENSA 10%

PULIZIE 0,85%

TRASPORTO 5%

CANCELLERIA

ATTREZZAT. UFFICIO

1,19%

SPESE

AMMINISTRATIVE

0,60%

CERTIFICAZIONE 1,21%

COSTI NON

CONTROLLABILI

9,50%

AREOGRAMMA DI RIFERIMENTO

5,65%

2,1%

2,5%

10%

61,4%

9,5%

0,85%

5%1,19%

1,21%0,6%

(1) Cinquini “Strumenti per l’analisi dei costi” Giappichelli, Torino 2003

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3.2 Strategie alternative ed impatto sulla struttura dei costi

Nel precedente paragrafo abbiamo tentato di delineare in modo esauriente quali possono

essere i costi che influenzano la definizione di una retta media standard per l’inserimento di un

soggetto disabile in un servizio alla persona come potrebbe essere un Centro Educativo

Occupazionale Diurno.

In questo paragrafo, l’intenzione è quella di studiare le migliori strategie utilizzabili

all’interno di un’impresa sociale come la cooperativa che gestisce un CEOD, e approfondire

l’impatto delle diverse strategie sulla struttura dei costi. Verranno, quindi, indicati diversi tipi di

strategie e per ognuna di esse si studierà l’impatto che possono avere all’interno della gestione di

un servizio alla persona, in quanto ciascuna porterà a diversa centralità dei fattori produttivi.

Passo importante da fare prima di questo, però, è rappresentato dall’approfondimento delle

misure di performance nella gestione della cooperativa, al fine di fornire molteplici contributi

all’innalzamento della qualità della gestione. (1)

Abbiamo già approfondito nei capitoli precedenti quale dovrebbe essere il percorso della

gestione strategia di un’impresa sociale; riprendiamone brevemente le fasi:

1) Fasi di analisi/diagnosi: comprende più attività, dal monitoraggio sistematico dei fattori

esogeni ed endogeni, all’eventuale approfondimento dell’indagine, alla definizione puntuale

del problema-chiave.

2) Fase di elaborazione della strategia: fase in cui si progetta il futuro dell’impresa. Questa

fase, a sua volta, può essere scomposta in più momenti, dalla generazione delle alternative in

cui emergono più progetti, alla loro formulazione, valutazione e connessa scelta della linea

d’azione. A nostro parere, studiando la strategia migliore da attuare in un servizio alla

persona, la valutazione acquista un’importanza fondamentale in quanto, prima di tutto ci si

concentra sul profilo di fattibilità della strategia, cioè della sua compatibilità presente e

prospettica con il contesto ambientale e le risorse dell’impresa; inoltre, si tiene in

considerazione il profilo di desiderabilità della strategia, che implica l’eventuale

comparazione con linee d’azione alternative alla luce della missione istituzionale del

servizio in esame.

3) Fase di realizzazione della strategia. Può essere scomposta in due momenti: prima di tutto, si

parla di avvio della fase attuativa, nella quale si definiscono e si tempificano le principali

azioni necessarie, si comunicano gli obiettivi di fondo, si procede agli investimenti deliberati

e alla sperimentazione di nuovi stili di gestione operativa. Successivamente, si passa

all’attuazione e al controllo dei risultati ottenuti, nella consapevolezza che i primi esiti

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tangibili ottenuti, facilitano l’allargamento del consenso attorno al nuovo indirizzo

intrapreso.

Parlando, quindi, di scelte strategiche dobbiamo tenere in considerazione non solo quali

vantaggi queste potrebbero portare all’impresa in termini di beneficio e risparmio economico;

soprattutto se consideriamo imprese che si occupano di servizi alla persona, come nel caso dello

studio del nostro ipotetico CEOD, l’accento va posto anche sul riscontro sociale e comunitario,

nonché di risposta al bisogno manifestato dagli utenti del servizio, al fine di attuare la miglior

strategia possibile e condivisibile.

È per questo motivo che nel seguente paragrafo metteremo a confronto più strategie attuabili per

uno stesso servizio offerto, studiando quale può essere il miglior risultato sia per la cooperativa che

in termini di servizio territoriale efficace.

In questo percorso è quindi importante che i dirigenti di un servizio alla persona in generale, e

nel nostro caso chi studia la possibile istituzione della cooperativa con in gestione il CEOD,

prendano in esame un sistema di misure di performance che metta i soggetti decisori nelle

condizioni di:

- sviluppare una più profonda comprensione delle attività dell’impresa in termini di input,

articolazione e risultati (output e outcome);

- verificare l’impatto di certe decisioni assunte in passato, nel caso di imprese già funzionanti,

sulla produttività, sull’economicità e sulle capacità di soddisfare le attese dei diversi

interlocutori. Tipicamente questo obiettivo è perseguito mediante la comparazione

intertemporale effettuata su un sistema di indicatori sviluppati internamente ai fini

direzionali;

- prender coscienze dei divari esistenti tra i valori dei parametri standard fissati da istituti

esterni (enti erogatori, soggetti responsabili di sistemi di accreditamento volontario) e i

valori degli indicatori relativi all’impresa. In questo caso lo scopo principale sarà quello di

colmare tali divari onde massimizzare l’ammontare delle risorse finanziarie percepite;

- identificare, mediante la comparazione interaziendale (con le altre cooperative già esistenti

ed operanti nello stesso territorio e in province diverse), determinati cambiamenti da

introdurre nella propria forma imprenditoriale. Infatti, l’osservazione dell’impatto positivo

sulle misure di performance di certe politiche o soluzioni adottate da altre imprese del

settore può suggerire il sentiero evolutivo lungo cui incamminarsi o può contribuire a

rimuovere le resistenze nell’intraprendere una nuova strategia già formulata. Questo punto è

risultato fondamentale nella nostra analisi, avendo precedentemente studiato il modello della

cooperativa “Vita e Lavoro” di Castelfranco Veneto, la quale mette in atto strategie di

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funzionamento delle attività e di controllo di gestione assolutamente imitabili dal punto di

vista dell’efficacia e della risposta fornita rispetto al problema sociale con il quale ha a che

fare (in questo caso, la disabilità viene affrontata considerando l’intera situazione

contestuale nella quale si sviluppa e prendendo in esame ogni attore sociale che può portare

il proprio contributo nella riduzione della marginalità prevista).

Quindi, soprattutto nella fase di realizzazione delle strategie, le misure di performance trovano

molteplici impieghi in quanto consentono di tradurre in termini chiari e concreti l’indirizzo

strategico desiderato, così da ottenere più facilmente l’adozione e il fattivo coinvolgimento delle

tecniche prescelte e dei soggetti che ne sono coinvolti, e da favorire l’armonizzazione degli obiettivi

di ogni unità operativa e di ogni persona con quelli dell’intera organizzazione.

Inoltre, permettono di favorire l’apprendimento da parte della direzione dell’impresa che offre il

servizio alla persona.

L’esame delle performance conseguite, il loro confronto con i risultati attesi e di quelli con

imprese analoghe consentono di verificare l’attuazione della strategia e possono suggerire ulteriori

cambiamenti da apportare tanto ai contenuti della strategia stessa, quanto ai metodi di realizzazione.

Laddove le misure considerate non riguardano solo variabili di output o di outcome, ma anche le

variabili che ne sono all’origine, e quindi le risorse e i processi, è più facile intervenire per tempo

nel correggere le strategie.

Rispetto agli approcci tradizionali, in cui l’azione correttiva scatta solo al manifestarsi di

certi valori assunti dalle grandezze economiche tenute sotto controllo, i principali vantaggi connessi

alla disponibilità di un set di indicatori variegati sono due: innanzitutto, la tempestività con cui si

prende coscienza dei problemi relativi alla scelta intrapresa o che si intende applicare; secondo, la

maggior facilità nel diagnosticare le cause dei problemi, proprio per il fatto che ad essere monitorate

sono anche le determinanti delle performance e non solo le performance stesse. In questo senso è

stato utile esaminare un caso reale di cooperativa per poi definire un’istituzione ipotetica che guardi

alla migliore performance attuata, in rispetto di strategie ed obiettivi prescelti per il miglior

funzionamento economico e sociale del servizio che si intende creare.

L’uso di indicatori di performance, allora, non si limita a misurare il cambiamento, ma

anche lo promuove. Il fatto stesso di misurare determina miglioramenti, in quanto accresce

l’attenzione e l’iniziativa degli operatori. Come nel nostro caso di educatori professionali, che

operano in strutture dove l’impatto sociale e le motivazioni ideali acquistano un peso determinante,

l’introduzione delle misure, se accettata, accresce la tensione all’efficacia e all’efficienza,

indipendentemente dal fatto che esse siano collegate ad un sistema premiante, il quale, peraltro, è

per lo più estraneo alla cultura delle imprese sociali che offrono servizi alla persona.

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Inoltre, l’uso di indicatori di performance, e quindi l’interesse per il buon funzionamento ed

identità della struttura, accresce l’efficacia delle politiche di gestione e di sviluppo del personale. In

questa tipologia di imprese, la valutazione dei risultati ottenuti dai diversi collaboratori è preziosa

perché può suggerire cambiamenti da introdurre a livello di persone (soprattutto in presenza di

un’alta quota di volontari), di strutture e di processi.

In più, la comunicazione all’interno dell’azienda dei risultati ottenuti può favorire la crescita

qualitativa del personale ai vari livelli: oltre ad essere occasione per approfondire la conoscenza

delle attività da parte degli operatori, costituisce per questi ultimi un’occasione di autovalutazione

delle proprie prestazioni ed è spesso fattore di motivazione in forza della spinta positiva generata

dalla consapevolezza dei risultati raggiunti.

In quest’ottica di servizio, prendiamo ora in considerazione diversi tipi di strategie di gestione di

un servizio e vediamo come esse possono influenzare l’impresa sociale: vedremo come strategie

diverse portano a diverse centralità dei fattori produttivi.

In rapporto al costo di ogni strategia e all’effettivo riscontro in termini di risposta e

soddisfazione dell’utente, si valuterà quale di esse potrebbe essere applicata con maggiori vantaggi

da una cooperativa sociale che si istituisce per la gestione di un Centro Educativo Occupazionale

Diurno.

STRATEGIA DI DIFFERENZIAZIONE

Il vantaggio rispetto ad una strategia di differenziazione si ottiene nel momento in cui

l’impresa sociale riesce ad ottenere sul mercato dei servizi un prezzo superiore alla media del

mercato all’effettivo costo che la differenziazione determina; in altre parole, per differenziazione

del prodotto/servizio si intende la situazione di mercato in cui i consumatori giudicano i beni offerti

dai produttori come sostituibili, ma non in modo completo, come invece si ipotizza nel caso di un

mercato di perfetta concorrenza.

La differenziazione va oltre la semplice ricercatezza del servizio, lo sviluppo di

un’immagine di alta qualità o l’immediata riconoscibilità del prodotto/servizio presso i clienti; una

strategia di differenziazione all’interno di un’impresa, basa il suo vantaggio anche a livello di

identità, di stile e di valori, che mettono in evidenza una maggiore facilità di adattamento

dell’organizzazione alle richieste del mercato.

Per essere ancora più precisi, diciamo che le imprese sociali producono servizi che sono

idonei a soddisfare lo stesso genere di bisogno, ma le differenze tra i beni prodotti sono tali da

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essere riconoscibili da parte dei consumatori e da orientare l’acquisto in relazione alle preferenze

manifestate dai singoli.

Si può affermare che la presenza di imprese sociali aventi dei servizi reciprocamente

differenziati configura una situazione di eccellenza e riconoscimento sociale tale da identificare

l’organizzazione in una condizione di maturità e riconversione.

Variabile fondamentale in una strategia di differenziazione fa riferimento all’attenzione

riguardo ai clienti/utenti: così come afferma Peters parlando di «piena rispondenza alle necessità dei

clienti», ogni azione da intraprendere, per quanto essa sia limitata o per quanto il reparto interessato

non sia in prima linea sul mercato, deve essere valutata e realizzata partendo dal punto di vista del

cliente, in quanto i profitti di lungo periodo sono dati dalle entrate derivanti da un rapporto positivo

e continuativo con il cliente.

Questo sta a significare che, all’interno di un’impresa sociale quale potrebbe essere una

cooperativa che offra servizi alla persona disabile, prima di ogni altra variabile è da tenere in

considerazione la soddisfazione del cliente e la coerenza del servizio stesso in base alle proprie

aspettative; in una strategia basata sulla differenziazione attuata nell’ambito socio – sanitario si

deve far leva sulla capacità che il servizio possiede di differenziare le offerte, in prospettiva di una

risposta adeguata all’utente. Infatti, le politiche di differenziazione del servizio da parte delle

imprese sociali costituiscono uno degli aspetti strategici di maggior importanza nel confronto

competitivo delle imprese.

Proprio perché la differenziazione è basata su un concetto di unicità, le prestazioni offerte

dal servizio devono saper rispondere a criteri di affidabilità (accentuata soprattutto dal momento che

l’intervento diretto è rivolto a capitale umano), rapidità, durata e sicurezza.

Per essere più precisi, diciamo che gli elementi chiave di una differenziazione efficace e

corretta sono:

la comprensione dei bisogni e delle preferenze dei clienti;

l’assoluta dedizione verso i clienti;

la conoscenza delle capacità di cui dispone l’impresa;

l’innovazione.

Si capisce, quindi, come una strategia di questo tipo possa essere applicabile ad un servizio

alla persona e risultare una scelta mirata e positiva: parlando di differenziazione, l’organizzazione

sociale rivolge la sua particolare attenzione ai bisogni dell’utente e alla sua necessità di ricoprire

anch’egli un ruolo nella comunità di appartenenza. La direzione del servizio utilizza, pertanto, ogni

sua risorsa e conoscenza per differenziare il servizio in termini di qualità, fedeltà ed innovazione.

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Queste scelte riguardanti prodotti e servizi sono influenzate da fattori sociali, psicologici,

emozionali, da un desiderio di esclusività, individualità e sicurezza. Per questo è assolutamente

necessaria una conoscenza approfondita sia degli utenti che del campo di attività dell’impresa.

Infatti, una strategia di differenziazione che voglia raggiungere elevato successo all’interno

del settore di competitività, consiste nella capacità di adeguare la domanda del mercato in termini di

differenziazione alla capacità dell’impresa di realizzarla; conseguentemente, nel momento in cui ci

si trova ad analizzare la domanda del mercato (sarebbe meglio parlare di comunità o territorio se la

materia non fosse prettamente economica) e ad individuare i modi potenzialmente più vantaggioso

per soddisfarla, è necessario prendere in considerazione non solo il prodotto/servizio che si andrà ad

offrire e le caratteristiche ad esso associate, ma l’attenzione va posta anche nel profilo dell’utente,

in termini di stile di vita, personalità, bisogno di riconoscimento sociale.

Soprattutto quando si parla di terzo settore, ma in modo particolare di servizi alla persona, il

punto chiave della strategia di differenziazione è dato dalla comprensione di ciò che gli utenti

desiderano e dai loro modelli comportamentali.

Soffermandoci ancora su questo concetto, al fine di comprendere correttamente come una

strategia possa influenzare da molteplici punti di vista la gestione economica ed organizzativa di

una struttura, sottolineiamo che il concetto di differenziazione riguarda l’analisi delle differenze (di

prezzo, di qualità, di prestazioni, di immagine) percepite dai clienti/utenti nel ventaglio di servizi

offerti dalle imprese sociali che costituiscono l’offerta di servizi alternativi.

Se ipotizziamo che un certo bisogno della collettività che usufruisce di questi servizi è

soddisfatto da un insieme di caratteristiche, allora il «mercato dei servizi» può essere pensato come

uno spazio avente tante dimensioni quante sono le caratteristiche ritenute interessanti; in questa

logica, un qualsiasi servizio può essere collocato in questo spazio multidimensionale, acquisendo un

posizionamento che lo distingue da altri servizi offerti.

Contemporaneamente è ragionevole pensare che i fruitori di tali servizi non si distribuiscano

in modo uniforme su tutto lo spazio del mercato, ma si addensino in modo più o meno marcato in

certe aree rappresentative di alcune particolari combinazioni risultanti dal servizio offerto. In questo

senso, analizzare la domanda ha appunto la funzione di tracciare una mappa di quelli che sono i più

significativi addensamenti delle preferenze, allo scopo di rispondere in maniera più efficace ed

immediata possibile ai bisogni espressi.

Quindi, supponendo che un’impresa sociale disponga di queste informazioni, allora essa si

porrà il problema di definire quale “fetta” di utenti intende servire e quindi come posizionare

correttamente il proprio prodotto/servizio.

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Proprio perché differenziare significa produrre unicità, diciamo che la creazione di un

vantaggio in termini di differenziazione dipende soprattutto dalla capacità dell’impresa di

differenziare i propri servizi e di offrirli ad un costo inferiore rispetto al maggiore prezzo che essa

consente di spuntare sul mercato.

In questa prospettiva, parlando dei costi della differenziazione, l’attenzione è relativa ad un

concetto di qualità, come variabile più significativa: la differenziazione implica una maggiorazione

dei costi per l’acquisto di input di maggiore qualità. Inoltre, la differenziazione, come già detto,

richiede innovazioni di servizi offerti e l’introduzione di questi nuovi modelli di mercato porta al

minore sfruttamento delle economie basate sulle curve di esperienza, sui servizi di base già offerti

che non richiedono maggiorazione dei costi.

Un’impresa che attua strategie di differenziazione può dirsi capace nell’organizzare tali

scelte nel momento in cui si trova di fronte all’esistenza di costi bassi in relazione ai benefici che la

qualità è in grado di apportare; per un’impresa è fondamentale conciliare la capacità di differenziare

e qualificare i servizi e la domanda potenziale di differenziazione da parte degli utenti che ad essa si

rivolgono.

La differenziazione può essere coerente sia con una strategia rivolta all’insieme del mercato,

sia con una strategia di focalizzazione su un segmento di mercato specifico; la scelta dell’ambito in

cui essa viene attuata è importante per orientare l’analisi della domanda. (2)

Vediamo nello specifico quali sono le differenze individuate e quali riscontri hanno

nell’organizzazione del servizio:

DIFFERENZIAZIONE RIVOLTA ALL’INSIEME DEL MERCATO

In questo caso, come già accennato precedentemente, bisogna tenere in considerazione ed

analizzare la domanda, le esigenze e le aspirazioni che i vari gruppi di utenti manifestano.

In un servizio alla persona significa, quindi, porre attenzione particolare alla soddisfazione

dell’utente, in una prospettiva di raggiungimento degli obiettivi che si ponga come determinante

fondamentale l’ascolto del bisogno manifestato dalla collettività.

Attuare una strategia di differenziazione, in questo senso, significa proporre servizi unici e

differenziati agli utenti ma tenendo presente non tanto gli elementi che differenziano i vari gruppi di

utenti e i segmenti determinati dalla loro domanda, quanto la caratteristiche generali della domanda

stessa: percorso che per un’impresa che offre servizi alla persona si dimostra più semplice rispetto

ad una scelta di segmentazione, in quanto risponde efficacemente ad un maggior numero di utenti.

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DIFFERENZIAZIONE FOCALIZZATA SU UN SEGMENTO SPECIFICO

In questo caso, parlando di una nicchia di mercato differenziata, l’analisi deve essere più

specifica: va incentrata su fattori che differenziano i vari gruppi e i vari bisogni in modo analitico.

Questo tipo di differenziazione sembrerebbe, anche parlando di servizi alla persona, di più

forte impatto sulla gestione, organizzazione ed immagine dell’impresa. Infatti, suddividendo gli

utenti e i bisogni in gruppi omogenei e offrendo loro una gamma di servizi destinati a segmenti

molto specifici, sarà più facile che essi trovino una risposta adeguata alle loro particolari aspettative,

rispetto a quanto avverrebbe nel caso di un servizio generalizzato destinato all’insieme del mercato.

I criteri di segmentazione utilizzati nel campo dei servizi alla persona disabile potrebbero

essere riscontrabili a dati socio – economici, a dati demografici, a dati psicologici: in questo modo,

l’impresa è in grado di studiare la domanda di ogni gruppo differenziato e offrire servizi che

rispondano alle esigenze di ciascuno di questi.

Bisogna comunque tenere in considerazione la difficoltà che tale specifica strategia può

incontrare. Innanzitutto si pone il problema dei costi elevati di gestione sia in termini organizzativi

interni che in rapporto al contributo degli enti di riferimento; inoltre, fattore di considerevole

importanza, nel corso del tempo i segmenti di mercato potrebbero subire dei cambiamenti e quindi

la segmentazione iniziale attuata dall’impresa risulterebbe inadeguata.

A conclusione di quest’analisi di strategia di differenziazione, possiamo affermare che tale

orientamento si dimostra comunque efficace per l’organizzazione di una struttura come quella

presentata nei paragrafi precedenti, in quanto pone come fondamentale la centralità di un fattore

produttivo quale la risposta in termini di servizio alle aspettative e domande dell’utente.

In sintesi, presentiamo i passaggi necessari per la formulazione di una strategia di

differenziazione, orientando l’obiettivo verso la promozione di standard di qualità ed unicità del

servizio considerato:

1. posizionare il servizio in relazione alle scelte effettuate rispetto alle caratteristiche del

servizio e alle combinazioni di tali caratteristiche;

2. selezionare il gruppo di utenti – obiettivo;

3. assicurarsi che le caratteristiche del servizio siano compatibili con le preferenze del gruppo

di utenti di destinazione;

4. valutare il potenziale di redditività derivante dalla differenziazione in relazione ai costi

della stessa.

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In una logica di gestione dei servizi alla persona, analizzando l’impatto sulla struttura dei

costi che una strategia di differenziazione comporta, possiamo dire che, a seconda del segmento che

tale strategia serve, diventano più importanti alcune variabili gestionali rispetto ad altre e, in base a

questo, cambia anche la struttura dei costi.

La strategia di differenziazione si basa su una logica di efficienza di saturazione delle risorse

disponibili, con un relativo aumento della logica della produttività su diversi segmenti di mercato a

cui l’organizzazione fa riferimento.

Parlando di differenziazione, facciamo riferimento ancora alla struttura delle attività di

routine standard di un servizio: l’impresa continua a svolgere e attuare il suo programma gestionale

ma, inoltre, in base alle esigenze di alcuni segmenti del mercato di riferimento, e dopo opportuna

classificazione e valutazione di questi, risponde a tali segmenti attuando una differenziazione nel

suo sistema.

Secondo tale processo, l’impresa utilizza le risorse disponibili al suo interno per offrire agli

utenti una ampia gamma di prodotti destinata a segmenti molto specifici, accentuando la possibilità

che questi gruppi di persone trovino un prodotto/servizio che maggiormente si avvicina alle loro

specifiche esigenze. Infatti, l’analisi va incentrata sui fattori che differenziano i vari gruppi ed un

insieme di bisogni, per poi saper gestire in modo efficace ed efficiente le risorse disponibili a

soddisfare tale domanda.

Come vedremo al termine di questo paragrafo, dopo la presentazione di un’altra tipologia di

strategia organizzativa applicata all’interno di un servizio alla persona, la differenziazione, in

termini di influenza sulla struttura dei costi dell’impresa in esame, rientra ancora come disponibilità

di risorse nella definizione di una retta media standard: appunti, per poter differenziare, si procede

alla saturazione delle risorse disponibili in una logica di produttività rispetto a diversi segmenti del

mercato, e in base a questi, cambia anche la struttura dei costi, pur rimanendo all’interno di una

definizione iniziale di risorse economiche disponibili.

STRATEGIE DI DIVERSIFICAZIONE

Considerando un tipo diverso di strategia rispetto alla differenziazione, vediamo come anche

in termini di strutture di costo il concetto possa variare: nella differenziazione ci trovavamo ancora

all’interno della gamma di risorse disponibili dell’impresa per l’attuazione di diverse attività rivolte

a specifici segmenti di mercato.

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In una strategia di diversificazione, invece il concetto cambia e si fa più complicato in una

logica di strutture di costo: in questo caso, parliamo di nuovi investimenti, non più di strutture di

costo diverse, in quanto tale strategia allarga e progetta nuovamente l’insieme dei servizi offerti

dall’impresa.

Infatti, la relazione che si può intravedere fra il costo complessivo di un fenomeno

innovativo, quale la diversificazione, e il sistema di servizi che da esso possono scaturire, anche

fissandosi nell’ambito dei servizi alla persona, nel tempo, può indurre a definire la categoria dei

costi per la novità dei servizi. Con tale configurazione di costo si può rappresentare il valore

complessivo degli investimenti effettuati dall’impresa per ottenere un sistema di servizi di successo.

Per un servizio, così come per un’azienda, diversificare significa, appunto, allargare la

gamma dei propri prodotti/servizi rispetto a quelli già offerti.

Un’impresa, prima di prendere la decisione di diversificare, deve tenere in considerazione

due importanti elementi chiave che fanno riferimento:

- alle opportunità di investimento che il settore in cui si vuole entrare offre (se sono più

attraenti di quelle disponibili entro il settore esistente dell’impresa)

- al vantaggio competitivo nei confronti delle imprese già consolidate nel settore che

l’impresa può stabilire.

Parlando di diversificazione, si coglie immediatamente il concetto che tale strategia vuole

ricoprire: nella normale accezione del termine, un’impresa diversificata è un’impresa che opera in

più di un mercato.

Questo concetto, inserito in un’ottica di servizi alla persona, potrebbe far pensare ad una

organizzazione che, non solo si occupa delle ordinarie attività per le quali riceve finanziamenti ed

esiste; la stessa impresa sociale, sia essa cooperativa o associazione potrebbe investire parte delle

sue risorse in settori diversi e quindi, diversificare i suoi servizi.

Un esempio che si può fare rispetto ad una cooperativa che si occupa della gestione di un

CEOD va riferito principalmente a strutture già consolidate nella gestione: nel corso della settimana

l’organizzazione in questione potrebbe occuparsi delle attività rivolte ai soggetti disabili mentre nel

fine settimana tale struttura potrebbe essere messa s disposizione per servizi diversi che rispondano

alle esigenze di una gamma più allargata di cittadini.

In questo senso, diversificare significa tenere in considerazione quelli che sono gli interessi

non solo della direzione che gestisce il servizio (che in questo modo acquista riconoscimento

economico e a livello di immagine sociale), ma soprattutto, come avviene per ogni strategia che si

attua nel terzo settore socio – sanitario, l’attenzione è rivolta a quelli che sono i bisogni della

collettività del territorio di riferimento.

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Abbiamo detto, infatti, che la diversificazione è quel processo di ampliamento della gamma

di servizi offerti o di beni prodotti, volto a ridurre o evitare il rischio finanziario, o comunque ad

arricchire l’impresa grazie a strategie di gestione efficaci sia in termini di organizzazione

imprenditoriale che in termini di risposta agli utenti.

La diversificazione corrisponde al processo inverso della specializzazione, in cui l’impresa

riduce la gamma dei propri prodotti/servizi per concentrare gli sforzi di ricerca, di progettazione, di

produzione e commercializzazione su un numero più ristretto di mercati.

Diversamente, la diversificazione potrebbe essere il risultato di una tendenza all’evasione

che deriva dal tentativo, da parte della direzione dell’impresa, di evitare di confrontarsi con le

difficili condizioni competitive che presenta l’attività principale.

In quest’ottica, l’impresa diversificata è in grado di eseguire attentamente processi

fondamentali come l’allocazione delle risorse e il controllo delle fasi operative; infatti, nel lungo

periodo, le imprese diversificate mostrano una redditività maggiore e una crescita più rapida rispetto

alle imprese specializzate, portando alla nascita di diversi fattori produttivi.

Nell’analisi di questo tipo di strategia di gestione, possiamo distinguere due diversi tipi di

diversificazione, studiando come la loro attuazione nei servizi rivolti ai soggetti disabili acquisti

diversa valenza, sia in termini imprenditoriali che sociali:

DIVERSIFICAZIONE A MACCHIA D’OLIO quando esistono consistenti omogeneità tra

le precedenti produzioni di un impresa (i servizi finora forniti) e quella che viene ad

aggiungersi. Si tratta di un processo che consente opportunità di utilizzo delle risorse

tecnologiche, organizzative, commerciali e manageriali già sviluppate dall’imprese per i pre-

esistenti servizi.

Questo tipo di diversificazione, in una logica di servizi alla persona, è più semplice da

attuare in quanto mantiene il servizio sulla stessa linea di principio, pur offrendo attività

diversificate e rivolte ad altri tipi di utenti.

DIVERSIFICAZIONE CONGLOMERALE quando un’impresa si inserisce in produzioni

del tutto sganciate, sotto il profilo della tecnologia e del servizio offerto, da quelle

precedenti.

Questo genere di strategia, anche all’interno dei servizi alla persona, presenta rischi

maggiori rispetto alla precedente, in quanto l’impresa deve penetrare in settori totalmente

nuovi e non riesce a godere del know-how già maturato nelle precedenti attività. Se però

questo inserimento innovativo riesce, allora l’impresa gode del vantaggio di operare in

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mercati che non sono correlati e, in questo modo, ottenere una posizione di eccellenza

rispetto ad altre imprese del settore.

Questo è possibile anche per cooperative che operano in CEOD nel momento in cui

utilizzano personale, strutture e attrezzature per inserirsi in altri settori, come per esempio

quello culturale. Chiaro che la gestione, a questo punto, della macchina operativa diventa

impegnativa e i rischi, anche in termini economico – finanziari devono essere tenuti

costantemente sotto controllo.

Tornando al concetto di diversificazione in generale, diciamo che, per migliorare i risultati

di tale strategia, bisogna analizzare nello specifico quali sono i motivi per i quali si intraprende

questa strada, valutandone attentamente le conseguenze della sua attuazione.

Inoltre, bisogna far leva sul concetto di vantaggio competitivo, dimostrando che questa si è

dimostrata l’unica via possibile per raggiungere gli obiettivi che la strategia di diversificazione

si pone. Perché essa costruisca un vantaggio competitivo, è necessario che i costi di gestione

dell’impresa diversificata non superino i benefici che la diversificazione offre attraverso la

condivisione delle risorse e delle competenze.

In questi termini anche la strategia di diversificazione, così come abbiamo visto per il

precedente concetto di differenziazione, se applicata all’interno di un servizio alla persona più

dimostrarsi come uno strumento efficace ed efficiente nella gestione dell’impresa sociale in

questione.

Per alcuni aspetti strutturali e organizzativi, la diversificazione potrebbe essere considerata

una strategia di più semplice attuazione, in quanto comporta “soltanto” un ampliamento della

gamma di servizi e non una loro differenziazione.

Fondamentale, comunque, è valutare separatamente ogni realtà organizzativa, analizzarne i

costi di gestione e le opportunità che essa può permettersi di sfruttare: passo ancora precedente

in questi tipi di servizi, consiste nell’ascolto delle specifiche esigenze ed aspettative dell’utente.

Solo così si applicherà la strategia migliore per la struttura, creando fattori produttivi diversi.

A questo punto, presentati questi due tipi di strategie da poter attuare all’interno dei servizi

alla persona e valutata l’influenza che essi hanno nelle programmazione e gestione delle attività

al loro interno relativamente alla struttura dei costi, presentiamo graficamente schematicamente

come avviene il passaggio da una logica di differenziazione ad una logica di diversificazione,

rispetto a strutture di costi fissi e variabili che possono subire modificazioni.

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ATTIVITA’ STANDARD

DI ROUTINE → DIFFERENZIAZIONE → DIVERSIFICAZIONE

---------------------------- ║ ------------------------------------ ║ --------------------------------

RISORSE DEFINITE SATURAZIONE NUOVI

PER RETTA MEDIA → RISORSE DISPONIBILI → INVESTIMENTI

Il tema della strategia ha rilievo analitico – descrittivo, incentrandosi sulla validità e sulle

caratteristiche intrinseche delle alternative; l’orientamento strategico, in quanto sintesi dei valori

imprenditoriali e della filosofia aziendale come cultura organizzativa nei confronti del territorio

di riferimento, è il nucleo nel quale si indirizzano gli atteggiamenti di fondo, le competenze e le

esperienze, i criteri decisionali, le modalità operative di interazione dell’impresa con i propri

interlocutori sociali.

Le potenzialità di mutamento riguardano la gestione strategica e, dunque, prima di tutto,

l’orientamento strategico di fondo, quindi l’azione di governo condotta dalla direzione

strategica, la struttura operativa ed organizzativa dell’impresa, infine il patrimonio delle risorse

intangibili.

Le attività strategiche e i connessi investimenti devono conferire all’impresa le risorse che le

consentano , nel tempo, di sviluppare relazioni di armonia con l’ambiente in termini di

redditività, competitività e socialità.

Ecco il motivo per il quale vengono studiate diverse strategie in base a diverse tipologie di

imprese; strategie attuabili in aziende for-profit non potranno essere attuate all’interno di servizi

alla persona, seppur concorrono al perseguimento dello stesso scopo in termini dio

soddisfazione del cliente e riconoscimento economico e sociale dell’attività intrapresa.

Infine, dal momento che abbiamo accennato precedentemente al concetto di politica di

strategia, spieghiamo nel concreto in cosa consiste.

L’attuazione della strategia richiede l’intervento, seppure in misura diversa in relazione al

tipo di strategia, di tutte le arre funzionali dell’impresa e riferendoci ad esse si parlerà di politica

(di approvvigionamento, di produzione, di marketing, degli investimenti, del personale,

finanziaria, di ricerca e sviluppo, ecc). Politica, quindi, come insieme di decisioni, obiettivi e

azioni che in singole aree funzionali dell’impresa si individuano e si attuano con lo scopo di

conseguire un obiettivo di ordine superiore: l’attuazione della strategia dell’impresa.

(1) Molteni, “Le misure di performance nelle aziende non profit di servizi alla persona.” Cedam, Padova 1997

(2) Grant, “L’analisi strategica nella gestione aziendale.” Il Mulino, Bologna 1994

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CAPITOLO 4

STRATEGIA BUONA CON COSTI BASSI: UN’UTOPIA?

4.1 Nascita di un CEOD in una rete territoriale efficace ed efficiente: sviluppo ed

analisi dei fattori critici di successo

Abbiamo indicato i caratteri fondamentali in termini di costi e strategie per l’istituzione di

un servizio alla persona come potrebbe essere una cooperativa sociale, ponendo l’accento rispetto a

quanto le due peculiarità debbano essere direttamente proporzionali ai fini di fornire una risposta

che sia il più possibile coerente ed efficace rispetto agli utenti stessi ma all’intera collettività.

Prima di mettere in evidenza quanto il contesto territoriale occupi un ruolo di notevole

importanza nei confronti dei servizi attivati al suo interno, riprendiamo brevemente il concetto di

servizio alla persona, legato ad un concetto di misurazione della performance percepita. È

necessario soffermarsi su questo passaggio in quanto dimostra per primo come sia possibile una

buona strategia dell’organizzazione legata ad una politica di bassi (o comunque reali e contenuti)

costi di gestione della struttura.

Caratteristiche principali delle aziende dei servizi alla persona:

- Come è proprio della maggior parte dei servizi, la risposta fornita ai bisogni degli utenti è

caratterizzata da un alto grado di intangibilità: per questo a volte risulta difficile valutare la

qualità del servizio, la quale molto dipende dalla capacità di suscitare fiducia e senso di

sicurezza.

- L’offerta fornita da questo tipo di servizi non consiste in oggetti ma si consolida in un

insieme di attività complesse.

- Di conseguenza, i servizi, almeno in una certa misura, vengono prodotti e consumati

simultaneamente.

- Alla contemporaneità tra prestazione del servizio da parte dell’azienda e fruizione dello

stesso da parte del cliente, è connessa l’impossibilità di immagazzinamento degli input.

Queste caratteristiche determinano una maggiore difficoltà nella valutazione, in quanto non

vi sono oggetti di cui controllare la qualità prima che il servizio venga erogato.

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- Trattandosi di servizi alla persona, la risposta al bisogno si modella sulle specifiche esigenze

di ogni utente. Si può quindi parlare di servizi personalizzati (nel caso della nostra

cooperativa, servizi verso soggetti con disabilità media), in quanto si registra l’impossibilità

di standardizzare in tutte le sue componenti il processo di produzione.

- Questo tipo di servizi hanno come obiettivo l’incremento del benessere della persona,

considerato sotto l’aspetto della salute fisica, della salute psichica, delle condizioni di vita,

dell’integrazione e del riconoscimento sociale. Queste imprese sociali diventano quindi le

prime “agenzie del cambiamento umano”.

- L’utente non si limita a ricevere il servizio ma è direttamente coinvolto nel sistema di

produzione/programmazione dello stesso per tutta la sua durata. Al fianco dell’utente

primario, che nel nostro caso è il soggetto disabile e la sua famiglia, il coinvolgimento in

questo processo dell’intera comunità, intesa come territorio di riferimento e verso il quale il

servizio ha una forte incidenza, risulta fondamentale.

- In questo senso, questo tipo di servizi appartengono alla categoria dei servizi relazionali, in

cui la relazione utente-operatore permane in tutte le prestazioni ed è essenziale per definire il

contenuto del servizio stesso. Il servizio, per essere prodotto, necessita della collaborazione

tra che offre l’intervento e chi lo riceve.

- La qualità non può essere controllata o gestita da altri che non siano le persone (operatori

della struttura, famiglia, enti preposti) a contatto con l’utente.

- Solitamente nel tipo di servizi considerati, l’interazione tra agente e utente si attua come un

processo che si dispiega per un arco di tempo sufficientemente ampio, nell’ambito del quale,

attraverso una variabile successione degli interventi, dovrebbe manifestarsi l’incremento di

benessere auspicato in sede di progettazione.

- Per gli utenti (in modo particolare la famiglia del soggetto disabile) è più difficile valutare la

qualità del servizio, perché essi non si basano unicamente sul risultato, ma tengono anche

conto del processo con cui il servizio è fornito.

Fissate le caratteristiche principali di un’impresa che fornisce servizi alla persona, diciamo

che queste perseguono fondamentali obiettivi e producono risultati lungo quattro dimensioni a

cui corrispondono altrettanti stakeholders, portatoti di interesse verso i quali l’adozione di

principi e di comportamenti suggeriti dall’impresa stessa, favorisce il raggiungimento di vari

obiettivi di performance:

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1. soddisfare i bisogni dei clienti/utenti, siano essi impliciti o espliciti, rappresentati

dagli utenti dei servizi, ai quali è opportuni affiancare i familiari, poiché anch’essi

possono trarre benefici dai servizi offerti dall’impresa sociale;

2. soddisfare le attese di soggetti che hanno posto in essere e governano l’impresa

sociale: si può trattare di attese di natura economica, se fossimo nel caso di aziende

for profit, di stima, di autorealizzazione e di soddisfacimento dei bisogni, nel caso

delle imprese che offrono servizi alla persona. Parliamo quindi del soggetto

economico costituito da quel nucleo che ha posto in essere e che governa l’impresa,

denominato “soggetto promotore”;

3. valorizzare, mobilitare, soddisfare i collaboratori di ogni ordine e grado, e quindi sia

i dipendenti dell’impresa che operano a stretto contatto con gli utenti, i dirigenti della

cooperativa e i soggetti volontari;

4. soddisfare le attese degli altri interlocutori da cui l’impresa dipende, poiché da essi

ottiene risorse naturali, umane e finanziarie, necessarie al suo funzionamento, quindi

gli enti dai quali riceve le proposte convenzioni dovute all’inserimento dei soggetti

disabili ma anche i soggetti privati, persone fisiche o aziende, che erogano contributi.

Per assolvere a questa molteplice funzione, in ogni impresa di produzione di servizi devono

essere presenti tre fondamentali tensioni:

1. la tensione alla produttività, intesa come valore dell’output per unità di lavoro o per unità di

capitale impiegato;

2. la tensione all’economicità, concepita come il raggiungimento e il mantenimento di un

equilibrio economico-finanziario che si autoalimenta. Questa è condizione di funzionalità

duratura (è ben evidente dall’analisi precedentemente fatta rispetto al valore di produzione

della cooperativa “Vita e Lavoro”); infatti, un perdurante squilibrio condurrebbe alla

cessazione dell’attività;

3. la tensione allo sviluppo, ovvero a progettare e perseguire un disegno di sviluppo inteso in

senso ampio (qualitativo e quantitativo) coerente con la missione produttiva dell’impresa

sociale.

In assenza di anche una sola di queste tre tensioni, qualsiasi impresa di fatto rinuncia in modo

più o meno grave a perseguire i quattro ordini di risultato prima menzionati.

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In armonia con la concezione di impresa sociale proposta, un sistema di misure di

performance dovrebbe consentire di tenere sotto controllo tanto la presenza di questi tre livelli di

tensione, quanto il grado di soddisfazione delle attese delle principali categorie di interlocutori

aziendali (utenti, soggetto promotore, collaboratori, enti erogatori).

È utile, a questo punto, mostrare come tali dimensioni di risultato costituiscano una utile

articolazione delle due categorie con cui si è soliti valutare il comportamento di un’organizzazione:

efficacia ed efficienza.

Per EFFICACIA s’intende la capacità di conseguire gli obiettivi prefissati: esprime la

corrispondenza tra il risultato di un’azione e un modello utilizzato per indicare la positività

del risultato stesso. Un’impresa è dunque efficace in relazione ai risultati conseguiti, a

prescindere dall’ammontare delle risorse impiegate allo scopo. La misurazione dell’efficacia

richiede la possibilità di esprimere in termini misurabili gli obiettivi da raggiungere e,

inoltre, la capacità di misurare il risultato effettivamente conseguito per confrontarlo con

l’obiettivo.

L’EFFICIENZA è definita come la capacità di impiegare nel modo più razionale i fattori in

vista di produrre determinati output. In generale, l’efficienza si sostanzia nella

minimizzazione del dispendio di risorse (e quindi dei costi, come abbiamo definito nel

capitolo precedente) a parità di volumi realizzati e di qualità degli stessi. È lo stesso

affermare che l’efficienza è la massimizzazione dei volumi e delle qualità a parità di utilizzo

delle risorse.

Il perseguimento di obiettivi di efficienza interessa di norma due tipi di misure: i costi

unitari di produzione (ottenuti come l’apporto dell’ammontare dei costi sostenuti e il volume

di risultato) e i rendimenti dei fattori (volumi di risultato rapportati ai volumi dei fattori

impiegati espressi in termini fisici: per esempio, in un CEOD, il numero delle unità di lavoro

standard).

Il giudizio di efficienza non è mai esprimibile in termini assoluti, ma soltanto procedendo ad

una comparazione implicita. Per arrivare ad un giudizio di efficienza i confronti possono

essere effettuati: con le prestazioni dello stesso oggetto di osservazione in intervalli

temporali precedenti o con le prestazioni di oggetti similari a quello osservato (osservazioni

ad altre imprese).

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In concreto, efficacia ed efficienza si prestano come intrecciate e collegate e,

conseguentemente, numerosi indicatori contengono informazioni tanto sull’una quanto sull’altra

dimensione.

L’efficacia dell’azione in una azienda no-profit che offre servizi alla persona è misurata in

termini di soddisfacimento delle attese, esplicite ed implicite, degli utenti. Poiché tale

soddisfacimento può essere collegato anche al prezzo pagato per il servizio ricevuto, e tale prezzo è

collegato al prezzo unitario e dunque all’efficienza, il soddisfacimento delle esigenze degli utenti

non è estraneo nemmeno alla dimensione dell’efficienza.

Anche la capacità di soddisfare le attese degli altri stakeholders può essere prevalentemente

intesa come manifestazione di efficacia.

L’efficienza trova tipica espressione nella produttività, i cui classici indicatori sono costituiti

dai rendimenti. Essi pongono in relazione i volumi di output ai volumi dei fattori impiegati espressi

in termini fisici.

Infine, diciamo che la tensione allo sviluppo (da intendersi in senso qualitativo prima ancora

che quantitativo) costituisce il fattore atto ad assicurare livelli sempre più elevati di efficacia e di

efficienza nel futuro. Il disegno di sviluppo, infatti, è un elemento essenziale sia per soddisfare nel

tempo una quantità crescente di bisogni, sia per perseguire un crescente livello di efficienza.

La tabella che segue posiziona le sette dimensioni di risultato e il binomio efficacia ed

efficienza, considerati nella misura della performance di un servizio alla persona e perfettamente

applicabili al caso ipotizzato di istituzione di una cooperativa che gestisce un Centro Educativo

Occupazionale Diurno.

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EFFICACIA-EFFICIENZA E DIMENSIONI DI RISULTATO (1)

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EFFICACIA EFFICIENZA

PRODUTTIVITA’

ECONOMICITA’

SVILUPPO

SODDISFAZIONE DEGLI UTENTI

SODDISFAZIONE DELSOGGETTO PROMOTORE

SODDISFAZIONEDEI COLLABORATORI

SODDISFAZIONE DEGLIENTI EROGATORI

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Parlando di efficacia ed efficienza della rete territoriale per la nascita di un Centro Educativo

Occupazionale Diurno, dobbiamo tenere in considerazione come fattore di successo non solo la

determinazione di una buona strategia organizzativa di lungo periodo facente riferimento agli

obiettivi, alle linee di condotta e alla allocazione delle risorse per il funzionamento di tale servizio.

È necessario fare riferimento anche all’intero contesto territoriale che funge da contorno

nell’attuazione e sviluppo di un’attività educativa e sociale di questa portata: infatti, il successo di

un’impresa sociale non dipende solo dalla capacità di perseguire le strategie che sono state decise,

ma dalla sua abilità nel creare valore cogliendo con flessibilità le opportunità che si presentano.

Perseguire l’obiettivo di una maggiore integrazione sociale delle persone disabili da parte

dei servizi significa, infatti, «educare» il territorio, divenuto reticolare e policentrico, a rendere

accessibili anche ai cittadini con qualche difficoltà in più le inedite opportunità di appartenenza e

relazione che offre a chi può percorrerne liberamente e autonomamente i gangli e gli addensamenti.

Proprio il concetto di territorio assume rilevanza nel definire come strategica quella logica di

intervento socio assistenziale ed educativo, che si propone come critica del paradigma medico-

sanitario, ma anche addestrativo - comportamentista, e che sostanzia sempre più l’identità

professionale dei nuovi operatori del sociale.

Diciamo che una vera integrazione sociale delle persone disabili resta obiettivo da

perseguire al fine di orientare le decisioni prese dai servizi alla persona, in un’ottica strategica

funzionale ed operativa.

Nell’analisi della costituzione di un’impresa che si occupa di fornire servizi alla persona,

assume notevole importanza lo studio dell’ambiente esterno nel quale tale servizio va ad operare:

l’analisi dell’ambiente con l’obiettivo di formulare una strategia si focalizza di solito su quello che è

definito l’ambiente operativo, e cioè quel sottoambiente che interagisce in modo più stretto con

l’organizzazione e che è quindi in una certa misura anche maggiormente influenzabile dall’impresa.

L’aspetto cruciale dell’impresa è rappresentato dal settore in cui opera, che ha un’influenza decisiva

sulle alternative strategiche disponibili (Cappellari R. 2001).

I servizi non possono più essere pensati in base alle categorie di appartenenza al servizio e di

inclusione, altrimenti manterranno le caratteristiche delle istituzioni totali. Tenderanno, infatti, ad

assorbire il soggetto, che, una volta affidato al servizio, non esisterà più per gli altri servizi; in

questo modo, il suo inserimento avverrà in base alle caratteristiche organizzative del servizio stesso,

più che in relazione ai bisogni reali della persona, dato che i protocolli di osservazione e le abitudini

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professionali tenderanno a non vedere ciò che è al di fuori della logica del servizio. Eventuali

interferenza di persone, gruppi, agenzie del territorio esterne al servizio, saranno accettate solo in

quanto compatibili con la struttura organizzativa interna e accolte comunque con un certo sospetto,

in quanto potenziali portatrici di disordine.

In questo senso, una strategia ottimale individuata sia nella cooperativa “Vita e Lavoro” ma

anche nell’ipotesi studiata rispetto al miglior funzionamento possibile per un CEOD, fa riferimento

alla riprogettazione del servizio individuandone il compito principale nel favorire occasioni di

relazioni per i soggetti disabili. Il servizio più adeguato non è quello che cerca di dare risposte al

suo interno a tutti i bisogni che vengono individuati, ma quello che rende più facile la

frequentazione degli spazi da parte di tutti, anche a costo di possibili imprevisti ed inconvenienti

perché è lì che si possono incontrare le persone.

È in questo modo che si lavora per accrescere l’autonomia, non nel senso di irrealistica e

disumanizzante autosufficienza, ma di moltiplicazione delle interdipendenze, di aumento dei nodi e

dei collegamenti con il proprio territorio fisico, sociale e simbolico.

Ecco l’importanza che ricopre il volontariato, sia come opportunità di apertura esterna del

servizio verso la comunità di appartenenza, sia come scelta strategica che segue costi molto bassi,

quasi inesistenti, nella gestione organizzativa di un servizio rivolto a persone con disabilità.

Sia in termini di efficacia che in termini di efficienza, l’esistenza di un gruppo di volontari che operi

a favore dei soggetti ospiti di un servizio, si dimostra uno strategico percorso di buona integrazione

di tale servizio nella comunità e, viceversa, la piena conoscenza da parte di quest’ultima

dell’esistenza di diverse realtà nel territorio: parlando di volontariato si intende “strategia

organizzativa” in quanto pone i suoi fondamenti in scelte di gestione che portino a conoscenza della

cultura organizzativa del servizio, che tengono in considerazione gli interessi degli stakeholders, ma

che soprattutto guardino al raggiungimento dell’obiettivo primario dell’impresa e cioè la

soddisfazione dell’utente inserito e delle loro famiglie.

Tra i soggetti del territorio, il volontariato è certamente uno dei più qualificati nel

contribuire a rendere possibili forme di convergenza nella lettura sociale della disabilità. Grazie alla

sua sensibilità pre-tecnica e alla presenza trasversale ai diversi contesti, il volontariato può risultare

un interlocutore irrinunciabile nel definire i processi e le azioni da avviare all’interno dei diversi

ambiti territoriali per costruire processi di integrazione calibrati su tessuti sociali specifici e, d’altra

parte, prossimi alle storie e alle fatiche dei soggetti disabili.

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Sempre tenendo presente la lettura di quest’analisi in termini strategici di gestione di un

servizio come potrebbe essere un Centro Educativo Occupazionale Diurno, prendiamo in

considerazione una sfaccettatura dell’azione volontaria sulla quale riflettere riguardo il rapporto con

i contesti e i tessuti sociali locali di vita e di relazione (2):

AMPLIFICAZIONE DEI SERVIZI

Il volontariato è prima di tutto un potenziale fattore di estensione del raggio di azione e di

amplificazione delle possibilità di lavoro socio-educativo di servizi e progetti. E’ una

potenzialità che si esplica a diversi livelli:

- a livello ideativo contribuisce a mettere a punto ipotesi, a tenere presente sguardi e

punti di vista più articolati e a sondare terreni di azione educativa insoliti ma utili;

- a livello di competenze, non di rado il volontariato è portatore di capacità e risorse

che possono non essere a disposizione degli operatori e dell’organizzazione;

- a livello organizzativo e logistico si possono ritrovare flessibilità e capacità di messa

insieme di risorse originali, diverse da quelle che si sono strutturate nel tempo nei

servizi e che, spesso, sono legate ad una serie di vincoli e freni di tipo formale e

burocratico.

INTEGRAZIONE TRA SERVIZI E TERRITORIO

Un altro aspetto interessante, del quale abbiamo già in parte parlato, riguarda la relazione tra

servizi e contesto territoriale, dato che il volontariato può contribuire a migliorare le interazioni

tra questi due ambiti. E’ una funzione delicata e cruciale, che si può intravedere nel fatto che il

volontariato, vivendo e abitando nel contesto, si muove tra interno ed esterno dei servizi, e

realizza vere e proprie mediazioni culturali tra la percezione sociale dei servizi, la loro

immagine e ciò che accade effettivamente al loro interno.

Inoltre, il volontariato porta all’interno del servizio la cultura e la sensibilità di un luogo, di

altre organizzazioni, di altri circuiti relazionali, e aiuta il servizio stesso ad entrare in contatto

con questi elementi.

Infine, il gruppo o il singolo volontario sono anche osservatori in presa diretta della quotidianità

del territorio: vedono la percezione di difficoltà, di opportunità che si determinano, di spazi che

si aprono, di nuove connessioni che si possono intrecciare.

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AZIONE EDUCATIVA

L’azione volontaria vista dall’angolatura del territorio, evidenzia immediatamente una

potenziale valenza educativa nei confronti di persone e gruppi presenti, legata al recupero

della pregnanza della quotidianità e della pre-tecnica nella messa a punto di occasioni,

spunti, proposte, opportunità volte alla promozione del benessere e dell’identità delle

persone disabili.

Sotto questo profilo, il volontariato, in particolare quando opera nella e attraverso la

quotidianità, compie un’opera di declinazione di molte ipotesi e griglie metodologiche in

una maniera fruibile da tutti, aprendo possibilità di presenza e di azione ricche, fertili e

inedite.

MOLTIPLICAZIONE DI INTERAZIONI

Prendiamo in considerazione la funzione del volontariato come come potenziale

moltiplicatore di contatti, connessioni, legami, opportunità, all’interno di un territorio

delimitato, della sua azione come soggetto di creazione di punti di contatto che aprono a

nuove possibilità relazionali per le persone con disabilità e le loro famiglie.

INCREMENTO DI CAPITALE SOCIALE

Un ultimo aspetto riguarda la funzione del volontariato come soggetto in grado di

alimentare e far crescere il capitale sociale circolante in un determinato territorio,

rinsaldando tessuti sociali che sembrano soffrire di processi di lacerazione e sfibramento. Se

è vero che l’elemento base di cui è costituito il capitale sociale è la possibilità di fidarsi gli

uni degli altri, allora, la quotidianità dell’azione semplice e del gesto di vicinanza possono

aiutare a far crescere questa fiducia.

Il seguente capitolo intitolava “Strategia buona con costi bassi: un’utopia?”: in questa

sede abbiamo voluto dimostrare come una semplice scelta organizzativa di un servizio nel

farsi carico di sviluppare l’azione volontaria al suo interno come opportunità di duplice

apertura, possa esemplificarsi in una presa di posizione strategica che segue costi molto

bassi ma che si dimostra estremamente positiva sia dal punto di vista organizzativo che

gestionale.

Il successo di un’impresa sociale è sicuramente misurato anche da quanto riesce a

stimolare l’interesse e il coinvolgimento nelle proprie attività, tanto più se si occupa di

fornire servizi alla persona.

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Gruppi ed esperienze di matrice volontaria sono portate avanti da persone che vivono

in un territorio e in esso esprimono anche istanza di partecipazione alle forme della

convivenza sociale che riguardano tutti, non solo le persone disabili e le loro famiglie.

E’ a questo livello che si incontra il valore politico del volontariato locale, radicato e

diffuso nei contesti: una realtà più o meno organizzata, che può esprimere attese,

contribuire ad influenzare scelte e a orientare sensibilità e comportamenti di persone,

organizzazioni ed istituzioni. Si tratta di una dimensione politica che è già inscritta

nell’agire quotidiano, nel modo in cui si avviano rapporti ed opportunità, si dà vita ad

esperienze e vicende concrete.

Un valore politico, dunque, che può essere contemporaneamente orizzontale e

verticale, in grado cioè di trovare ascolto nella gente comune ma anche tra i decisori politici

locali, concernente modalità, stili relazionali, presenze, non solo dichiarazioni verbali e

proclami, che possono contribuire al dibattito locale attorno alla città che si intende

costruire.

In questo senso, dobbiamo tenere presente la risorsa immateriale costituita dal

capitale umano come motore della strategia organizzativa del servizio che stiamo studiando

in questa tesi: capitale umano come l’insieme delle conoscenze, competenze e abilità

proprie delle singole persone che collaborano con il servizio stesso.

E’ sulla base di queste risorse che un’impresa sociale è in grado di generare e

difendere il vantaggio competitivo del servizio in termini di opportunità offerte,

coinvolgimento del maggior numero di attori sociali e soddisfazione degli utenti. (3)

Il tutto con una politica di gestione dei costi assolutamente coerente con la qualità del

servizio offerto.

Strategia buona con costi bassi: non più un’utopia!

(1) Molteni, “Le misure di performance nelle aziende non profit di servizi alla persona.” Cedam,

Padova 1997

(2) Tarchini, “Se il territorio apre alla disabilità” in Animazione Sociale, Associazione Gruppo

Abele, Torino 2004

(3) Cappellari, in Fagotto “Economia aziendale. Modell, misure, casi.” Mc Graw-Hill, Milano

2001

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CAPITOLO 5

LA SOLUZIONE: L’EDUCAZIONE COME FORMA CHE MIRA AD

UNA MEDIAZIONE AD IMPATTO ECONOMICO

5.1 Lo sviluppo delle risorse umane come chiave per il miglioramento

della qualità dei servizi in termini economici e strategici

È ormai un dato di fatto, accettato dalle politiche di gestione e di valutazione, che

nelle organizzazioni che erogano servizi alla persona, che determina la qualità siano gli

operatori, grazie alla loro capacità di dare delle prestazioni professionali, di leggere i

bisogni degli utenti, di personalizzare gli interventi ed effettuare le prestazioni con

comportamenti adeguati rispetto alle varie esigenze lavorative.

Il vero capitale economico e strategico di un’impresa sociale o di una organizzazione

socio - sanitaria, e in modo particolare di un Centro Educativo Occupazionale Diurno

gestito da una cooperativa come nel nostro caso di studio, è quindi la persona e la sua

competenza.

Tra le scelte strategiche fondamentali particolare interesse va dedicato alla gestione

del capitale umano: le scelte di gestione delle risorse umane rappresentano ormai un

elemento costitutivo della strategica aziendale complessiva e non solamente una

conseguenza della stessa.

Infatti, la strategia sociale riveste un ruolo pari a quello della strategia competitiva nel

caratterizzare la formula gestionale ed organizzativa dell’impresa sociale.

Allo stesso tempo è importante ricordare anche le varie difficoltà nella gestione e

valorizzazione delle risorse umane nell’ambito delle imprese sociali, in modo particolare

nel contesto socio – sanitario, senza dubbio maggiore rispetto ad latri ambiti produttivi a

causa di problematiche tipiche del settore quali, per esempio, il burn out oppure la difficoltà

di realizzare progressioni verticali di carriera per alcune professionalità.

Ricoprendo un ruolo fondamentale come portatore di conoscenze, relazioni e capacità

organizzative che sono legate alle persone che collaborano all’interno dell’impresa sociale,

il capitale umano, e quindi la strategia organizzativa che lo riguarda, devono far in modo di

vedere realizzate tali capacità, conoscenze e competenze. Il loro contributo è fondamentale

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e, di conseguenza, la gestione delle risorse umane ha un ruolo centrale nell’apprendimento

organizzativo e nella nascita di altri tipi di risorse necessari all’impresa per il suo corretto

funzionamento.

In questo senso, parliamo di educazione come forma che mira ad una mediazione ad

impatto economico in quanto, tenendo presente il valore strategico ed organizzativo

ricoperto dal personale che opera all’interno di un servizio alla persona, notiamo come il

corretto intervento educativo e formativo rivolto agli utenti costituisce il primo passaggio

per un’immagine competitiva, efficace ed efficiente del servizio offerto.

A questo proposito, l’approccio organizzativo che meglio si può adattare alle esigenze di

questo settore sembra essere l’approccio del «Total Quality Management» (Equal Elaicos),

in grado di leggere l’organizzazione come un organismo “vivente” che tende ad adattarsi

sempre meglio alle sollecitazioni/istanze interne ed esterne e fa del miglioramento la chiave

per una gestione efficace della qualità.

Consideriamo, allora, quali potrebbero essere alcune strategie efficaci da attuare in

un servizio alla persona quale un Centro Educativo Occupazionale Diurno, tenendo

presente il ruolo e il contributo offerto dal capitale umano:

o la diffusione di strumenti di miglioramento in tutti i livelli dell’organizzazione per

garantire la soddisfazione continua al minor costo, umano ed economico possibile;

o la valorizzazione delle risorse umane come leva esenziale per il miglioramento

dell’offerta di servizi;

o il coinvolgimento di tutte le figure professionali, anche quelle alla base della

piramide organizzativa, nella soluzione dei problemi e nella progettazione del

miglioramento continuativo.

L’obiettivo delle strategie di gestione delle risorse umane consiste quindi nel creare un

capitale sociale, un insieme di relazioni di fiducia, di comprensione reciproca, di valori

condivisi che favoriscano la cooperazione tra le persone e spingano le risorse a dispiegare le

proprie potenzialità.

Parlando di una politica delle risorse umane, intesa come una serie di linee guida,

strategie e strumenti messi a disposizione dall’organizzazione per incidere su quello che

dobbiamo ritenere il vero centro della problematica ossia la motivazione al lavoro, facciamo

innanzitutto riferimento all’art. 50 – Disposizioni sul personale dei Servizi alla Persona,

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della Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi alla

persona (DDL n. 14 dell’11 Luglio 2006). Sulla base di questo articolo e della posizione

fondamentale occupata dai diversi operatori nei servizi, “tutto il personale del sistema

integrato di interventi e servizi sociali, di cui alla presente legge, operante sia in ambito

pubblico che del privato sociale viene considerato unitariamente quale personale dei servizi

alla persona”. Inoltre, sempre all’art. 50 si dice che “la Giunta Regionale, attraverso il

monitoraggio dell’attuazione dei piani di zona, definisce la domanda di professionalità ed il

fabbisogno di nuovi profili professionali delle figure professionali, sociali e socio –

sanitarie”.

Il problema, però, è che le organizzazioni ad oggi utilizzano una serie di

pratiche/prassi consolidate nel tempo, a volte codificate a volte no, che spesso per vari

motivi hanno perso il vero scopo per cui erano nate: motivare e professionalizzare.

Nello specifico si trova nelle imprese sociali e socio – sanitarie (1):

o presenza di un sistema di valutazione individuale legato al sistema di incentivazione

che non incide particolarmente sulla motivazione al lavoro, ma più sul rapporto tra

dirigente e dipendente;

o piani formativi generici ed insufficienti a delineare il processo di sviluppo delle

competenze, facendo sì che si acquisti formazione sull’onda delle offerte, della moda

ed altre motivazioni;

o la programmazione delle progressioni, la mobilità interna e sviluppo di nuove

competenze non è pianificata sufficientemente, alimentando un senso di incertezza

trasversale a tutte le professionalità;

o il coinvolgimento del personale sui temi della mission, valori e strategie annuali delle

organizzazioni è assai basso e non permette di alimentare un senso di appartenenza

costante;

o i sistemi organizzativi si focalizzano sulle criticità per sanzionarle, anziché premiare

chi recupera il problema in una logica di miglioramento.

L’assenza di una politica delle risorse umane, ma soprattutto delle competenze per crearle

produce una serie di distorsioni a tutta l’organizzazione e non permette di effettuare il salto alla

“qualità sostanziale” richiesto non solo dalle nuove normative, ma dagli utenti stessi.

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A questo proposito il DDL n. 14 dell’11 Luglio 2006, all’articolo 51 – Azioni formative,

programmi di ricerca e di alta specializzazione, dice che “al fine di migliorare l’efficacia e la

qualità delle attività del sistema integrato dei servizi alla persona, la Regione promuove la

formazione degli operatori sociali e socio – sanitari e la programmazione regionale delle attività

formative degli operatori sociali si realizza in accordo con gli Istituti scolastici, le Università e gli

altri enti e soggetti titolari”.

È’ importante far notare come a volte, in alcuni servizi ed organizzazioni, manca una cultura

di fondo in grado di produrre attenzione costante agli operatori, mentre è invece forte l’attenzione

all’utente finale. Certo è che il bilanciamento tra bisogni dell’utente e bisogni degli operatori può

promuovere la qualità sostanziale.

La motivazione al lavoro diventa, quindi, il centro del problema e il punto di partenza da

dove iniziare a costruire un insieme organico di azioni che siano in grado di incidere su tutto il

sistema organizzativo.

I numerosi studi e teorie sulla motivazione avvertono che:

1. la motivazione è legata al soggetto e al suo sistema di valori e di pensiero

2. la motivazione è legata ai bisogni del soggetto

3. la motivazione è considerata interna ma può essere migliorata con fattori esterni

4. la motivazione è variabile e discontinua.

Risulta evidente che, essendo la storia di ogni organizzazione, di ogni impresa sociale e le

persone che ne fanno parte assolutamente irripetibili, costruire ed implementare una politica delle

risorse umane non può essere realizzata attraverso metodi standard e preconfezionati, ma solo con

azioni studiate e sperimentate al proprio interno. Risulta inoltre evidente che un’unica azione e un

unico strumento non può risultare sufficiente ad incidere sul problema centrale della motivazione al

lavoro.

A questo proposito, dobbiamo tenere in considerazione il concetto fondamentale di “cultura

organizzativa” dell’impresa sociale, il quale fa riferimento a quell’insieme di principi di fondo, di

valori e di modi di pensare che un gruppo di persone, rappresentanti l’organizzazione in esame, ha

sviluppato nel corso della sua esistenza in termini di adattamento all’ambiente esterno e di

integrazione interna.

Cultura organizzativa e politica delle risorse umane in una struttura sociale come una cooperativa

sono concetti direttamente proporzionali in quanto le conseguenze della prima sono estremamente

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concrete e influenzabili il secondo concetto, dal momento che questi modi di pensare e di agire

condizionano i comportamenti adottati dai membri di un gruppo.

Al fine di non affrontare l’argomento solo con modalità teoriche, teniamo in considerazione

un punto chiave della politica delle risorse umane e che ha un forte impatto sulla qualità del

servizio: il processo di sviluppo delle competenze.

Implementare il processo, in questo caso, significa:

a) migliorare l’offerta del sistema formativo che deve essere in grado di rispondere ai sistemi

formativi con metodologie capaci di trasferire competenze e non solo conoscenze nel settore

dell’impresa sociale;

b) migliorare le competenze professionali di una figura professionale, intese come l’insieme

delle risorse personali, conoscenze, abilità, metodologie, valori comportamentali, ecc. che

un soggetto mette in campo per raggiungere i risultati a lui richiesti dal contesto

organizzativo;

c) migliorare l’organizzazione che deve essere in grado non solo di inviare i soggetti in

formazione, ma soprattutto di predisporsi a ricevere ed implementare le competenze in

entrata.

Il processo di sviluppo delle competenze è senza dubbio, dunque, una opportunità per le

organizzazioni e deve essere realizzato, vista la complessità, attraverso una precisa strategia

organizzativa che prenda in esame tutte le aree critiche, al fine di evitare di far diventare la

formazione una pratica costosa e poco efficiente.

Le competenze sviluppate dalla singola impresa sociale servono per progettare, costruire,

vendere, assistere i propri prodotti/servizi/utenti, per guidare l’organizzazione, per gestire le risorse

umane, per programmare e controllare la gestione.

Tale patrimonio conoscitivo risiede nell’esperienza imprenditoriale e manageriale, nella

professionalità delle persone, nelle procedure organizzative, nelle norme di progettazione o di

produzione dei servizi che l’impresa intende offrire alla collettività e agli utenti diretti (nel nostro

caso i soggetti disabili che frequentano il Centro Educativo Occupazionale Diurno e le loro

famiglie).

Lo sviluppo del patrimonio di competenze specifiche richiede, in prima approssimazione,

adeguati investimenti: in particolare, può essere accelerato investendo nella riqualificazione e

formazione del personale, come è stato precedentemente specificato e sottolineato anche dalla

legislazione regionale più recente. I processi di apprendimento organizzativo finalizzati al

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cambiamento sono, però, lunghi e a carattere specifico, legati alla storia, alla cultura, agli attori

concretamente operanti nella combinazione dell’impresa sociale.

Il PROCESSO DI SVILUPPO DELLE COMPETENZE deve tenere in considerazione (2):

POLITICA DELLA QUALITA’ E DELLE RISORSE UMANE

OBIETTIVI SPECIFICI DI SVILUPPO DELL’IMPRESA SOCIALE

SISTEMA ORGANIZZATIVO

OBIETTIVI DI SVILUPPO INDIVIDUALI

PIANI DI SVILUPPO INDIVIDUALI O DI GRUPPO

1. POLITICA DELLA QUALITA’ E DELLE RISORSE UMANE

È necessaria la presenza di una politica della qualità e delle risorse umane chiara e che definisca

linee guida, strategie e risorse soprattutto per ridurre il turn over, in quanto, essendo la competenza

legata al soggetto, l’uscita dall’organizzazione porta alla perdita delle competenze e quindi

dell’investimento fatto.

2. OBIETTIVI DI SVILUPPO DELL’IMPRESA SOCIALE

Risulta fondamentale la presenza di strategie di sviluppo annuali o pluriannuali legate alle varie aree

(utenti, miglioramento attività, struttura, ecc.), al fine di recuperare il fabbisogno di competenza

generale e negoziarlo rispetto ai fabbisogni individuali e di gruppo.

3. SISTEMA ORGANIZZATIVO

Di importanza assoluta è la costruzione di un sistema in grado di supportare l’acquisizione delle

competenze ed incentivare il trasferimento. Prima di tutto, in un organico di personale che lavori

all’interno di un servizio alla persona, è necessario:

- definire il fabbisogno delle competenze

- definire le competenze necessarie e il livello di padronanza

- incentivare la formazione

- richiede di utilizzare le nuove competenze

- verificare il trasferimento delle competenze all’interno dell’equipe lavorativa

- premiare

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4. OBIETTIVI DI SVILUPPO INDIVIDUALI

Il recupero dei bisogni, degli interessi e delle motivazioni del soggetto è un altro punto cardine del

processo. Se manca la consapevolezza del fabbisogno di competenza è sicuro che mancheranno nel

soggetto comportamenti motivati a ridurre il fabbisogno stesso.

5. PIANI DI SVILUPPO INDIVIDUALI O DI GRUPPO

È il momento in cui si negoziano le esigenze organizzative con le esigenze individuali in quanto

non sempre i due tipi di bisogni coincidono. Infatti, risulta di importanza strategica legare lo

sviluppo personale allo sviluppo generale proprio al fine di ridurre il turn over e aumentare il senso

di appartenenza.

Sviluppare le competenze in una organizzazione al fine di migliorare l’offerta dei servizi

risulta essere pratica complessa e richiede competenze sicuramente specialistiche, ma anche precise

risorse.

È ormai indispensabile cominciare a recuperare nelle programmazioni la logica del “cliente

interno”. Per molto tempo, giustamente, si è lavorato sul capire, valorizzare e migliorare il fine

ultimo del servizio e cioè il cliente/utente, ma nel frattempo si è sicuramente perso di vista

l’organizzazione e le persone che vi lavorano, aspetti ad oggi estremamente fondamentali da

studiare e valorizzare.

(1), (2) Callegaro, Porchia, Pedron “Equal Elaicos. Sfida per il miglioramento del sistema dei servizi sociali e socio –

sanitari nel Veneto.” Cleup, Padova 2003

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5.2 Valutazione dell’outcome nell’ambito dei servizi per i disabili

Secondo un approccio manageriale la qualità di un prodotto/ servizio, anche se rivolto

direttamente alla persona, viene valutata in base alla sua capacità di soddisfare le esigenze del

cliente.

Questo approccio, sorto prima di tutto in ambito strettamente aziendale, si sta sempre più

diffondendo anche nell’ambito dei servizi alla persona in quanto attribuisce un ruolo centrale al

cliente/utente e gli consente di prendere parte attiva nella definizione e nel miglioramento del

prodotto/servizio.

Nonostante il valore che acquista l’utente sia uno degli aspetti più importanti della qualità,

non sempre costituisce il migliore indicatore di efficacia di un intervento.

In questo caso viene privilegiato un approccio alla valutazione orientato ai risultati sull’utente,

considerando perciò gli esiti ottenuti sull’utente attraverso l’intervento (valutazione dell’outcome).

Rispetto a questi due aspetti la recente normativa ha introdotto profondi cambiamenti,

infatti, con la Delibera della Giunta Regionale n. 2501 del 6 Agosto 2004 sono stati approvati i

requisiti minimi (organizzativi, strutturali, tecnologici) generali e specifici per l’autorizzazione e

l’accreditamento delle strutture sociali.

Tra i requisiti di accreditamento ve ne è uno generale riguardante la valutazione della soddisfazione

dell’utenza e uno specifico nell’ambito della disabilità relativo alla valutazione dei risultati

sull’utenza.

I servizi sociali sono dunque chiamati a valutare la qualità del loro servizio/intervento

considerando sia il giudizio espresso dai propri utenti, sia gli effetti prodotti sull’utenza da tale

intervento, nella prospettiva di poter offrire prestazioni sempre migliori e rispondenti alle loro reali

esigenze.

La valutazione delle informazioni raccolte presso gli utenti dovrebbe costituire, infatti, un

utile strumento di ridefinizione delle strategie del servizio/intervento e delle relative priorità, e

dovrebbe avere, dunque, una ricaduta concreta nella gestione ed organizzazione di tale

servizio/intervento.

In questo ultimo paragrafo di tesi tenteremo di spiegare ed analizzare, in termini di esito, le

dimensioni della qualità di un servizio, facendo particolare riferimento alla struttura

precedentemente presentata per l’accoglienza di soggetti disabili.

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In una prospettiva strategica ed economica è fondamentale tenere presente alcuni indicatori

di esito nella programmazione locale e del servizio, al fine di fornire una risposta quanto più

concreta e coerente ai bisogni espressi dagli utenti. In secondo luogo, la misura dell’outcome

permette al servizio di delineare una propria immagine di rispetto e di competizione nei confronti

delle altre realtà presenti nel settore, in quanto dimostra l’attenzione nei confronti di una qualità

percepita ed attuata.

Sono questi aspetti che definiscono la cooperativa, della quale abbiamo presentato le

strategie da attuare per un suo corretto funzionamento, come una struttura che tiene in

considerazione e promuove non solo la cultura organizzativa al suo interno ma pure le esigenze

espresse dagli utenti e dalla collettività intera: pratiche educative e scelte strategiche che facciamo

leva su concetti di qualità e di esito del servizio e delle attività al suo interno, si dimostrano il mezzo

principale per posizionarsi all’apice del riconoscimento sociale e socio – sanitario dell’intervento

all’interno del proprio settore d’appartenenza.

Diversamente dall’ambito aziendale, la valutazione della qualità nell’ambito dei servizi

sociali non consente sempre la costruzione di strumenti e metodologie standardizzate e

generalizzabili e deve inevitabilmente confrontarsi ed adeguarsi con le caratteristiche personali

dell’utenza di riferimento.

Anche all’interno dello stesso settore, quale ad esempio quello della disabilità, si possono

riscontrare forti disomogeneità tra le caratteristiche dell’utenza che può distinguersi sia per il tipo e

sia per la gravità della disabilità.

La difficoltà a creare strumenti e metodologie condivise non è comunque l’unico aspetto

problematico della questione. La capacità di cogliere il livello di soddisfazione della persona

disabile è un aspetto da tempo dibattuto, ed è frequente che, qualora l’utente non sia ritenuto in

grado di rispondere, vengano invitati ad esprimere una valutazione sul servizio i suoi familiari più

prossimi, meno frequentemente invece viene coinvolto l’utente stesso.

A questo proposito, allora, sarebbe interessante, e si dimostrerebbe come una scelta strategica di

fondo in termini di qualità del servizio, prendere in considerazione un’attività di stesura dell’esito

dell’intervento non solo sull’utente ma anche secondo il suo primario punto di vista. Chiaro che

l’utenza che stiamo considerando non risulta sempre facile da intervistare o, comunque, i risultati

ottenuti non sono del tutto credibili o valutabili.

In linea di principio l’utente rappresenta il legittimo ed ideale interlocutore di una simile indagine,

ma nell’ambito della disabilità è anche evidente la difficoltà di definire uno strumento che sia

adeguato alle capacità cognitive ed emotive dell’utente, e che risponda alla complessa varietà delle

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caratteristiche dell’utenza. In questo ambito, d’altronde, non si sono ritrovate esperienze e risultati

di un certo rilievo neppure in letteratura.

Si può pensare, però, di lavorare con il gruppo di lavoro e quindi con l’equipe di operatori che

svolgono le attività con gli utenti del servizio, per elaborare e sperimentare uno strumento che sia il

più possibile coerente con le risposte dei soggetti disabili.

Utilizzando un approccio consapevolmente sperimentale, si può considerare come indicatore

della soddisfazione dell’utente gli atteggiamenti e gli stati d’animo che caratterizzano la sua

permanenza nel servizio; si pensi alle attività svolte e alle relazioni interpersonali che si instaurano

all’interno del Centro, tenendo in considerazione particolari aree quali:

- Autonomia personale

- Rapporto con gli operatori

- Rispetto delle regole

- Rapporto con gli altri utenti.

Nonostante i limiti che si possono riscontrare, con un’analisi di questo tipo, consapevolmente

guidata e valutata, si può individuare una diversa modalità comunicativa con l’utente stesso e

dunque proporre un nuovo canale di ascolto delle sue percezioni e delle sue aspettative.

Seppure risulti difficile in alcuni ambiti imprenditoriali e soprattutto, come è stato descritto

sopra, nel settore dei servizi alla persona, valutare le dimensioni della qualità in termini di esito

risulta fondamentale per l’identità del servizio stesso e in prospettiva di alcune scelte strategiche di

fondo che la struttura intende attuare.

In modo particolare in ambito socio – sanitario dei servizi alla persona, la valutazione degli

outcomes presenta tre obiettivi principali (1):

1) il miglioramento o mantenimento delle condizioni di vita dell’utente/cliente nei tre settori:

o funzionale e organico (AREA SANITARIA)

o cognitivo e comportamentale (AREA SOCIO – SANITARIA)

o socio – ambientale e relazionale (AREA SOCIALE)

2) l’apprendimento

3) la soluzione dei problemi, quindi, le scelte strategiche da attuare.

Infatti, gli indicatori di outcome sono quelli che più direttamente esprimono l’efficacia con

cui l’impresa sociale persegue la propria missione produttiva, in quanto tendono a misurare

l’impatto delle prestazioni delle aziende no-profit dei servizi alla persona sullo stato di benessere

degli utenti. A volte, inoltre, si suggeriscono misure di risultato aventi per oggetto l’impatto

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dell’azienda sull’ambiente in generale: è il caso degli indicatori di efficacia sociale, che sono

largamente influenzati dai fattori esterni.

Come abbiamo detto, accanto agli indicatori di outcome propriamente detti, si considerano anche le

misure del grado di soddisfazione dei clienti che costituiscono uno strumento del raggiungimento di

obiettivi di miglioramento dello stato di benessere degli ospiti della struttura.

Tra questi obiettivi, teniamo in particolare considerazione al fine del completamento del

nostro studio relativo al funzionamento di un servizio alla persona che si concentri su costi e

strategie:

OBIETTIVI DI SALUTE

OBIETTIVI DI SISTEMA

OBIETTIVI STRATEGICI

OBIETTIVI DI INTEGRAZIONE

Prima di presentare le diverse configurazioni assunte dagli indicatori basati sulle misure di

outcome e di soddisfazione, ci soffermeremo proprio su questo ultimo concetto, non tanto per

quanto riguarda nello specifico le sue fasi ma piuttosto come viene concepita tenendo in

considerazione un servizio alla persona.

Valutare la soddisfazione dell’utente significa, in concreto e schematicamente:

o ascoltare e comprendere a fondo i bisogni che il cittadino esprime, quindi le sue aspettative;

o porre attenzione costante al suo giudizio;

o sviluppare e migliorare la capacità di dialogo e di relazione tra chi eroga il servizio e chi lo

riceve;

o riprogettare, di conseguenza, sia le politiche pubbliche che il sistema di erogazione dei

servizi.

Infatti, misurando la soddisfazione dell’utente nei confronti di un servizio, risulta importante

analizzare lo scostamento tra i bisogni del cittadino e il punto di vista della

direzione/amministrazione del servizio, sia esso pubblico che privato; inoltre, sempre in termini di

aspettative, valutare le attese del cittadino, i livelli di servizio definiti (e promessi) e le prestazioni

effettivamente fornite, favorisce lo sviluppo della cultura della misurazione e del miglioramento

continuo della qualità, coinvolgendo tutti gli operatori.

Infine, altro fondamentale interesse va dedicato allo studio di quelle che sono le prestazioni

effettivamente erogate e la percezione del cittadino, al fine di proseguire verso una creazione delle

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specifiche competenze professionali necessarie a progettare e gestire le indagini sulla qualità

percepita.

Possiamo anche aggiungere che la soddisfazione dell’utente si misura quando:

- si definiscono le politiche di intervento nelle fasi della pianificazione e dell’individuazione

delle scelte e delle priorità;

- si intende valutare l’impatto degli interventi di miglioramento dei servizi, per verificarne il

riconoscimento da parte del cittadino;

- si intendono promuovere percorsi di miglioramento della qualità;

- si impostano gli strumenti di controllo e valutazione interni (controllo di gestione,

valutazione dei dirigenti, controllo strategico).

In questo senso, la misurazione della soddisfazione dell’utente si pone come un’opportunità

nel miglioramento qualitativo del servizio e della sua gestione, in quanto si presenta come

occasione per riflettere e progettare in modo concertato, documentare e comunicare, studiare gli

esiti, misurare e valicare gli interventi e i servizi e promuovere la partecipazione. Infatti, la

valutazione partecipata (di utenti, equipe gestionale e stakeholders esterni) crea condizioni di

maggiore controllo sociale sul processo e alimenta responsabilizzazioni utili per il conseguimento

dei risultati attesi.

Parlando ancora di soddisfazione dell’utente, in relazione alle aspettative che esprime,

possiamo fare riferimento alla seguente tabella (Gioga, 2006) che presenta quattro casi di

possibilità: quando si presenta il secondo caso (giustamente soddisfatto) possiamo dire che il

servizio ha svolto un’attività gestionale corretta, in armonia con le aspettative espresse dai suoi

utenti. Si rifletta sulle altre tre possibilità. (3)

SODDISFAZIONE

ASPETTATIVE

1INGIUSTAMENTE

INSODDISFATTO

2

GIUSTAMENTE

SODDISFATTO

3

GIUSTAMENTE

INSODDISFATTO

4

INGIUSTAMENTE

SODDISFATTO

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Tenendo in considerazione questo prospetto, dobbiamo precisare che la soddisfazione

scaturisce dal divario tra due grandezze di incerta definizione:

- le aspettative dell’utente relative al servizio, le quali sono ampiamente soggettive, mutevoli,

e spesso implicite al momento in cui ha inizio l’intervento delle imprese che offrono servizi

alla persona;

- la percezione dell’utente intorno al servizio ricevuto, la quale dipende: dalla percezione del

mutamento del proprio stato di benessere avvenuto nel tempo (a cui corrispondono anche

fattori esterni), dei rapporti con il personale della struttura e gli altri utenti, dalla

professionalità del personale, dall’accessibilità e dalla convenienza dei trattamenti, dalla

continuità degli interventi, dalle caratteristiche tecniche e ambientali e dal comfort della

struttura fisica.

Facendo riferimento allo studio rispetto alla qualità, diciamo che i criteri per la sua

misurazione, secondo le dinamiche di accreditamento e certificazione sono i seguenti:

- di APPROPRIATEZZA dell’intervento rispetto al bisogno; massimo dei benefici in

rapporto a danni e costi

- di EFFICACIA, come rapporto tra i risultati ottenuti e gli obiettivi perseguiti

- di ACCESSIBILITA’, che eviti le disparità e promuova attivamente l’accesso dei soggetti

deboli

- di EQUITA’, criterio universalistico, da coniugarsi con la personalizzazione e non

l’uniformità

- di ACCETTABILITA’, perchè la soddisfazione della persona resta un elemento

fondamentale da indagare anche nei servizi alla persona

- di EFFICIENZA, come il rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse impiegate.

In questo senso, misurare la qualità all’interno di un servizio alla persona, e quindi

permettere delle classificazioni e comparazioni sistematiche per capire se stanno avvenendo dei

cambiamenti e il loro grado, fornisce alla struttura in esame un’opportunità di miglioramento in

itinere e visibile nei confronti degli utenti ospiti e dell’intera collettività: infatti, la soddisfazione

dell’utente è collegata a condizioni di umanizzazione e di comfort, in quanto un servizio alla

persona vede una relazione sociale multidimensionale, caratterizzata e condizionata dall’ambiente,

dall’interdipendenza, dalla reciprocità, che individua scambi non solo economici, ma anche sociali,

simbolici, psicologici e fisici.

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Qualora gli utenti siano nelle condizioni di esprimere un giudizio intorno alle prestazioni

ricevute, le misure del grado di soddisfazione rappresentano indicatori di performance alquanto

significativi, poiché si integrano strettamente con quelle di outcome (che descriveremo di seguito),

rappresentando un’occasione di verifica circa la qualità dell’impresa che offre servizi alla persona

di perseguire la propria missione e mantenere la propria cultura organizzativa.

Per quanto riguarda i bisogni connessi alla qualità della vita quotidiana, il grado di

soddisfazione manifesta in via diretta il valore di elementi importanti del servizio, quali: le

caratteristiche e la cura delle strutture, la rapidità d’intervento e l’intensità delle relazioni

interpersonali che si stabiliscono tra il personale e gli utenti.

A riguardo di quest’ultimo fattore, la soddisfazione dell’utente testimonia la capacità di

comprendere bisogni e richieste dello stesso, di rispettare e capire la sua persona, di comunicare e di

dialogare con lui, di coinvolgerlo nelle decisioni che lo riguardano, di rassicurarlo circa il servizio e

la cura che sta ricevendo.

Per quanto riguarda, invece, i bisogni connessi alla salute fisica e mentale dell’utente,

sovente il grado di soddisfazione non è direttamente correlato con la qualità degli interventi sanitari

e assistenziali.

Non è questa la sede per l’analisi di questo scostamento in quanto bisognerebbe studiare caso per

caso ogni utente, la sua relativa patologia e predisposizione al miglioramento, per poi collegarle alla

qualità del servizio offerto tramite un progetto educativo individualizzato; possiamo però, in linea

generale, affermare che, tuttavia, il grado di soddisfazione può influire sull’esito degli interventi in

quanto, in primo luogo agisce sull’attenzione che l’utente avrà nel seguire consigli e prescrizioni.

Inoltre, molti degli utenti soddisfatti delle prestazioni socio – sanitarie di servizi sia pubblici che

privati, ricevono un effetto benefico indipendentemente dall’impatto diretto del trattamento a cui

sono sottoposti.

Alla luce di queste considerazioni, le misure di soddisfazione assumono rilievo all’interno

così come all’esterno dell’impresa sociale in questione.

Per quanto riguarda l’interno, le informazioni di ritorno degli utenti relative al gradimento

della struttura, del personale e dei processi aziendali costituiscono tracce che il management può

utilizzare per riflettere intorno ai punti di forza e di debolezza del servizio offerto e, di conseguenza,

per identificare la direzione e i contenuti specifici dei cambiamenti da introdurre a livello di risorse,

di strategie e di funzionamento generale dell’impresa. L’ascolto dell’utente può far emergere sia

nuove possibilità di arricchimento delle attività e delle risorse di una struttura ma, allo stesso tempo,

potrebbe permettere una riduzione dei costi delle prestazioni, progettando un pacchetto di servizi

che escluda elementi giudicati non rilevanti dagli utenti.

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Per quanto riguarda l’esterno, infine, come già specificato in precedenza, la soddisfazione

degli utenti costituisce una delle principali determinanti dell’immagine della struttura, sia per

quanto riguarda l’ambiente immediatamente prossimo all’utente (la sua famiglia), il contesto

territoriale di appartenenza, ma anche altri stakeholders quali gli enti che collaborano al

finanziamento della struttura e i servizi socio – sanitari di riferimento.

A completamento di quest’analisi rispetto al funzionamento di un servizio alla persona quale

un Centro Educativo Occupazionale Diurno, vengono presentate le diverse configurazioni assunte

dagli indicatori basati sulle misure di outcome e di soddisfazione (Molteni, 1997).

È questo un passaggio fondamentale nella definizione delle strategie e dei costi di gestione ed

organizzazione di un servizio perché permette di classificare, seppur in linea teorica, la qualità

dello stesso e di pianificarne gli interventi e le attività; in termini di buon funzionamento di un

servizio alla persona è fondamentale porre attenzione non solo a dinamiche di struttura e processo,

ma completare la valutazione attraverso lo studi di indicatori di esito.

Secondo il contributo di Molteni (il più esauriente individuato in termini di misure di

performance dei servizi alla persona), la configurazione degli indicatori è così costituita (2):

OUTCOME/UTENTI

Una prima categoria di quozienti pone in relazione l’outcome complessivo con il numero degli

utenti. L’outcome medio unitario, esprimendo l’incremento medio unitario del benessere

dell’utente ottenuto nel periodo considerato, è un ottimo indicatore dell’efficacia dei servizi

erogati e consente di procedere ad interessanti comparazioni interaziendali.

OUTCOME/OUTCOME POTENZIALE

Questo genere di indicatori consente di compiere un passo fondamentale rispetto alla categoria

precedente. Infatti, un indicatore come l’outcome medio per utente assume un significato assai

diverso in relazione al profilo iniziale degli utenti.

In questo modo si ottiene il secondo tipo di indicatore di outcome, che esprime la percentuale

del miglioramento potenziale realizzato e manifesta quanto l’impresa di servizi alla persona è

stata in grado di perseguire gli obiettivi di gestione identificati per il periodo in esame

Da un punto di vista logico, i passi da compiere sono i seguenti:

- misurare lo stato di benessere iniziale dell’utente

- stimare il suo potenziale di miglioramento in un certo arco temporale

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- misurare nell’intervallo di tempo stabilito l’incremento dello stato di benessere,

depurando il valore da fattori extra - aziendali

- rapportare la misura di outcome così ottenuta con il potenziale di miglioramento

dello stato di benessere stimato precedentemente.

SODDISFAZIONE MEDIA

Un’altra classe di indicatori relativi all’esito dei servizi erogati considera il gradimento degli

utenti e, congiuntamente, dei familiari.

Questi indicatori acquistano maggiore importanza nei casi in cui l’utente ha una permanenza

prolungata presso l’organizzazione e le misure di outcome ad esso relative risultano

difficilmente ottenibili.

COSTI/OUTCOME o OUTCOME/COSTI

Introducendo la variabile costi, si perviene ad un altro quoziente significativo, il costo per unità

di outcome: in un rapporto che vede al numeratore i costi delle attività di base e al denominatore

l’outcome complessivo, lo scopo dell’impresa sociale in questione è quello di sviluppare la

propria immagine e conquistarsi un’autonomia finanziaria sempre più ampia.

Invertendo numeratore e denominatore, si ottiene un quoziente che segnala l’incremento di

benessere generato da ogni unità monetaria impiegata per la realizzazione dei servizi delle

imprese sociali e, quindi, può dirsi un indicatore di produttività delle risorse impiegate.

COSTI TOTALI/OUTCOME POTENZIALE REALIZZATO

Se con riferimento al potenziale di miglioramento si introduce la variabile costo, si può giungere

ad una relazione che vede al numeratore i costi totali e al denominatore la percentuale del

miglioramento potenziale realizzata, la quale esprime il costo unitario di un punto percentuale di

miglioramento potenziale realizzato, un valore sintetico delle performance delle imprese sociali

di servizi alla persona.

SODDISFAZIONE MEDIA/COSTO MEDIO UNITARIO

Ponendo in relazione grado di soddisfazione e costi totali delle attività centrali, anche questa

categoria di indicatori consente di riflettere in modo sintetico sul livello delle performance

aziendali.

La relazione che ne deriva vede al numeratore il grado di soddisfazione media e al

denominatore il costo medio unitario delle attività centrali.

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In questa prospettiva di studio di una struttura sociale che offra servizi alla persona, allora,

risulta possibile valutare con efficacia la qualità presente; di conseguenza, ne deriva anche una

riflessione sulle strategie attuate nel servizio in questione e si nota come queste ultime siano

strettamente collegate ai costi di gestione.

Nelle aziende che offrono servizi alla persona l’obiettivo del miglioramento dello stato di

benessere degli utenti costituisce un fattore direttamente connesso al soddisfacimento delle

attese non solo dei clienti, ma anche delle altre fondamentali categorie di stakeholders e cioè il

soggetto promotore, gli enti erogatori e i collaboratori di ogni livello, siano essi retribuiti o

volontari.

Una verifica di questo tipo è indispensabile qualora si parla di programmazione di servizi

educativi e formativi, in quanto mette in rapporto le aspettative con i risultati attesi, ciò che ci si

aspetta di ottenere nell’ambito di un progetto, di un’iniziativa, di un intervento in cui c’è un

obiettivo predefinito da raggiungere (nel nostro caso, l’accoglienza e sviluppo di soggetti

disabili in un Centro adeguato), con ciò che si è venuto a determinare.

Si scopre la necessità, allora, di assumere misure utilizzabili, mettendo a confronto risultati

attesi e risultati ottenuti.

Tale verifica si basa su variabili misurabili (indicatori), ricavate da fattori osservabili propri

delle attività e processi da sottoporre a verifica, e quindi da riconoscere o da stabilire prima di

procedere in senso attuativo, o in un’ottima di cambiamento rivolto ad un miglioramento del

servizio offerto.

In questo senso, valutare la qualità di un servizio significa impiegare un’attività di ricerca

applicata, realizzata nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi

della progettazione e di intervento, avente come scopo la riduzione della complessità

decisionale, attraverso l’analisi degli effetti diretti e indiretti, attesi e non attesi, voluti e non

voluti, dell’azione dell’organizzazione imprenditoriale, compresi quelli non riconducibili ad

aspetti materiali (non verso prodotti, ma verso servizi alla persona).

(1) (3), Gioga, “Valutazione e certificazione dei servizi”, Padova 2006 (2) Molteni, “Le misure di performance nelle aziende non profit di servizi alla persona” Cedam,

Padova 1997

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CONCLUSIONI

Giunti fin qui, dopo un’analisi di questo tipo rispetto all’ambito dei servizi sociali, in modo

particolare dei servizi alla persona disabile, possiamo affermare di aver elaborato uno studio

concreto per il funzionamento di un Centro Educativo Occupazionale Diurno: la strategia che si

vuole sviluppare a conclusione di questa tesi si misura con la capacità di creare alternative che

generano valore attraverso la combinazione di elementi di varietà e variabilità, che consentono di

dominare e sfruttare la complessità ambientale e di rilevazione dei bisogni delle famiglie dei

soggetti di riferimento.

Infatti, come cita l’articolo 28 – La tutela delle persone con disabilità, del recente DDL n. 14

dell’11 Luglio 2006, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi

alla persona, “l’accesso al sistema dei servizi sociali, socio – sanitari e sanitari avviene secondo il

principio della presa in carico delle persone in condizione di disabilità e approvazione del progetto

individuale di intervento, quali metodologie ottimali per sviluppare risposte integrate in relazione

alle diverse esigenze, fasi vitali, opportunità e risorse che si rendono accessibili.”

In questo senso, sono stati affrontati nello specifico temi relativi ai costi e alle strategie per il

funzionamento di una struttura che possa accogliere soggetti disabili e fornire loro la più adeguata

risposta possibile ai bisogni manifestati, in un’ottica di analisi del servizio relativa a competitività e

riconoscimento sociale.

L’obiettivo principale di ogni strategia analizzata e spiegata è quello di far corrispondere le

competenze dell’impresa sociale alle opportunità offerte dall’ambiente esterno.

Nel caso studiato in questa tesi, quando si sostiene che per la gestione del CEOD sono state

ipotizzate varie strategie organizzative, si vuole sottolineare che vengono analizzati diversi canali

competitivi per rispondere nel modo più efficace ed efficiente possibile alle esigenze dimostrate dal

territorio e dai suoi abitanti in condizioni di svantaggio sociale e sanitario.

Come abbiamo visto, la strategia come scelta d’indirizzo è fondata su (1):

a) obiettivi di lungo periodo;

b) conoscenza specifica dell’ambiente competitivo;

c) valutazione obiettiva delle risorse;

d) realizzazione efficace.

Dato lo scopo della nostra tesi e lavorando in un settore dove le persone, siano esse riceventi

o fornitori del servizio, sono i primi attori coinvolti nel processo di progettazione e formulazione

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delle attività, nella stesura delle strategie dobbiamo dedicare considerevole importanza alle risorse

interne del sistema: prime fra tutte, così come è stato descritto nell’ultimo capitolo, sono le risorse

umane, il capitale sociale che costituisce l’anello di congiunzione tra le scelte strategiche attuate

dalla direzione e le esigenze e ripercussioni sull’ambiente esterno in generale, ma in modo

particolare sugli utenti ospiti della struttura in esame.

Risorse e competenze dell’impresa sociale possono essere considerate i fondamenti della

strategia di lungo periodo in quanto, innanzitutto, le risorse hanno un ruolo fondamentale nella

definizione dell’identità del servizio, rispetto a ciò che essa è in grado di fare e ai bisogni che è in

grado di soddisfare. Inoltre, le risorse devono decidere in quali settori, e con quali tipi di strategia

competitiva, l’impresa può sfruttare al meglio le proprie capacità.

Abbiamo visto che la sopravvivenza e la buona gestione di un servizio alla persona segue

costantemente un’analisi dei costi che, se correttamente valutata ed applicata, inserisce il servizio

stesso in un’ottica competitiva di elevata posizione nel settore occupato.

I costi che scaturiscono all’interno di un’impresa sociale variano in funzione all’obiettivo

innovativo assegnato e degli ambiti competitivi nei quali l’impresa stessa sceglie di competere;

inoltre, dobbiamo tenere in considerazione i rapporti interorganizzativi con i quali avviene il

trasferimento delle conoscenze (tutti gli enti che sono coinvolti nella gestione e finanziamento della

struttura, per non parlare degli stakeholders esterni che ne possono modificare la cultura

organizzativa) e le modalità di formazione del personale che devono rispondere a precise regole

contenute nella legislazione recente in materia di servizi alla persona.

Le basi di una strategia di riduzione del costo devono essere rappresentate dalla

comprensione dei fattori che determinano i costi dell’impresa: è necessario andare oltre i dati della

contabilità di costo e le teorie base delle curve dell’esperienza, per analizzare le singole attività

delle imprese sociali e i fattori che influenzano la determinazione dei costi.

Le fonti del vantaggio dei costi sono numerose, per questo è necessario pensare ad ogni voce

di costo della cooperativa ipotizzata ed analizzata in questa tesi, come separata dalle altre, a sé

stante, e valutare i fattori e le variabili di costo che determinano il suo peso nei costi generali

dell’impresa sociale.

Molti cambiamenti nella riduzione dei costi possono essere ottenuti soffermandosi su

un’attenta progettazione e programmazione del servizio, per discutere di procedure operative ed

amministrative che riguardano l’impresa sociale nel suo complesso.

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L’efficacia di tale riduzione dei costi parte, prima di tutto, dalle motivazioni e dalla mission

condivisa dall’organico dipendente dell’impresa in un’ottica di soddisfazione dell’utente sempre

come primo obiettivo da raggiungere.

Fondamentale a questo punto, come è stato dimostrato nei capitoli precedenti, sarà anche

l’analisi della qualità strategica di gestione ed organizzazione del servizio. Per questo si è data

particolare voce a scelte strategiche attuate all’interno di numerosi servizi alla persona come il

volontariato; inoltre, si è posto l’accento su fattori critici di successo quali la valorizzazione ed

organizzazione delle risorse umane e la soddisfazione degli utenti ospiti delle strutture in termini di

esito del servizio.

In questa tesi abbiamo tenuto in considerazione tutta una serie di elementi caratteristici di

un’impresa sociale che offre servizi alla persona per valutarne il loro peso e valore sia all’interno

dell’impresa stessa, in termini di scelte strategiche organizzative, sia al suo esterno, in un’ottica di

soddisfazione dell’utente e di risposta ai bisogni del contesto territoriale di appartenenza.

Abbiamo parlato di risorse, di struttura organizzativa, di incentivazione e di controllo, di

stile gestionale, di cultura organizzativa, di risorse umane dipendenti e volontarie.

L’interesse, quindi, è stato rivolto su ciò che l’impresa è in grado di fare per assumere una

posizione d’eccellenza nel panorama di servizi sociali rivolti a soggetti disabili, a partire anche

dallo studio di strutture già presenti e funzionanti nel territorio da anni: nella visione di un Centro

Educativo Occupazionale Diurno gestito da una cooperativa, si è parlato quindi di risorse

dell’impresa sociale e sul modo con cui esse concorrono a determinare le routine organizzative in

un ambiente competitivo e in continuo cambiamento dal punto di vista di parametri sociali e

culturali.

Tenendo in considerazione il sistema della cooperativa sociale come forma di gestione di un

CEOD, si è dato valore alla struttura organizzativa del servizio e ai sistemi sui cui è basata tale

organizzazione: questi elementi si sono dimostrati, infatti, essenziali per l’implementazione efficace

della strategia.

Primo fra tutto, come individuato nel capitolo 5 parlando di rete territoriale rispetto a fattori

critici di successo per il funzionamento di un servizio rivolto a soggetti con disabilità, è il ruolo del

servizio del volontariato che, sia in termini di efficacia e di efficienza, che a livello di strategia

organizzativa che segue costi bassi, è tra i soggetti del territorio uno dei più qualificati nel

contribuire a rendere possibili forme di convergenza nella lettura sociale della disabilità.

Può risultare, infatti, un interlocutore irrinunciabile nel definire i processi e le azioni da avviare

all’interno dei diversi ambiti territoriali e nella struttura stessa.

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Dal momento che le imprese sociali di questo tipo conservano un notevole grado di

flessibilità nella scelta delle strutture organizzative e dei sistemi gestionali (basti pensare ai soli

scostamenti economici e progettuali attuati dalle direzioni di imprese sociali di due province venete

diverse che offrono comunque lo stesso tipo di servizi, con i medesimi criteri ed attività), alcuni

fattori che riguardano l’ambiente interno dell’impresa si possono considerare come una

conseguenza, piuttosto che una determinante i queste scelte.

In questo senso abbiamo tenuto in elevata considerazione il ruolo che le risorse umane

occupano all’interno di organizzazioni come le cooperative sociali, in quanto creano un capitale

sociale, un insieme di relazioni di fiducia, di comprensione reciproca, di valori condivisi che

favoriscono la cooperazione tra le persone e spingono le risorse a dispiegare le proprie potenzialità.

Se le cooperative si limitassero a fare gli interessi dei propri soci, se fossero dominanti solo gli

interessi del lavoro remunerato o si proponessero come agenzie professionali di erogazione di

servizi sociali, fiducia, cooperazione e solidarietà verrebbero giocate solo al loro interno, in una

logica autoreferenziale che aprirebbe a comportamenti opportunistici e strumentali rispetto alle

risorse sociali.

In una prospettiva che intende l’impresa sociale come “un’intrapresa” (e non un’azienda) per

produrre, organizzare e generare sociale, i servizi sociali investono sulle capacità dei soggetti

implicati per il perseguimento di progetti di interesse comune, attivando coalizioni, coltivando la

varietà di relazioni sociali, alimentando l’intelligenza sociale di soluzioni concrete ai problemi

organizzativi, curando la qualità dell’ambiente sociale condiviso.

In questo senso, i dirigenti di cooperativa devono stare nella complessità di gestire

un’organizzazione che, da un lato, ha il problema di sopravvivere, di garantire ai propri soci il

lavoro, ma allo stesso tempo devono cercare di incrementare il capitale sociale. Devono, quindi,

riuscire a separarsi dal proprio interesse organizzativo immediato per immaginare un bene

collettivo.

È corretto far leva su un concetto caro a chi si occupa e lavora nel settore sociale: il compito

che le imprese sociali si sono assunte è di sicuro più oneroso delle imprese for-profit. Rispondere

agli interessi degli azionisti è relativamente semplice; lo è meno tenere insieme la pluralità di

interessi, individuali, organizzativi, politici e locali che caratterizzano la mission di molte

cooperative.

Inoltre, sempre ragionando in termini di qualità dell’impresa sociale che offra servizi alla

persona ma seppur non entrando nello specifico per via dell’ampiezza dell’argomento e la diversa

sede di discussione, si è tenuta in considerazione la fondamentale applicazione educativa e

formativa del personale coinvolto nella gestione del CEOD.

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Il primo obiettivo che un servizio di questo genere deve perseguire è lo sviluppo

dell’autonomia e crescita personale e sociale dell’utente ospite: ecco perché parlare di

programmazione e progettazione della pratica educativa risulta fondamentale per ogni soggetto che

si trovi a collaborare in prospettiva di questo obiettivo.

A livello schematico ed analitico, al termine di un percorso di questo tipo che ha voluto

analizzare e strutturare il percorso di funzionamento di un Centro Educativo Occupazionale Diurno

a partire da ogni dinamica organizzativa di gestione, possiamo affermare che il percorso corretto

nella definizione di una scelta strategia che segua costi bassi, da attuare in un servizio di questo tipo

è il seguente (2):

1) RISORSE → identificazione delle risorse dell’impresa ed individuazione delle forze e

debolezze rispetto ai concorrenti.

2) COMPETENZE → individuazione delle risorse di base dell’impresa sociale. Cosa può

fare?

3) POTENZIALITA’ IN TERMINI DI VANTAGGIO COMPETITIVO SOSTENIBILE →

valutazione delle potenzialità delle risorse e delle competenze nel generare potenziale di

creazione, sostenibilità e sfruttamento del vantaggio competitivo.

4) STRATEGIA → selezione di una strategia che sfrutta al meglio le competenze dell’impresa

sociale rispetto alle opportunità esterne.

5) RISORSE – STRATEGIA → individuazione delle carenze di risorse che devono essere

colmate. Investimenti finalizzati all’integrazione e all’incremento delle risorse di base

dell’impresa sociale.

(1), (2) Grant, “L’analisi strategica nella gestione aziendale.”, Il Mulino, Bologna 1994

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