In viaggio con Leopardi: La partita sul destino dell'uomo...

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Siamo capaci di reggere lospettacolo dell’infelicitàgenerale?Diguardarealnullaincuicimuoviamosenzaperquesto perderci nellavertigine della suaimmensità? L’opera diLeopardièunagrandecriticadella civiltà. Può sembrareche egli stesso favoriscal’impressione di muoversinella direzione indicata daRousseau. Eppure c’è ben

altro. Leopardi anticipaNietzsche, anticipa il cuoredel pensiero di Nietzsche: iltemadella“mortediDio”.In viaggio con Leopardinasce come una partita a tresul destino dell’uomo.LeopardièilGiocatoreNero,il parricida che vedel’incapacità del GiocatoreBianco, cioè della tradizionedell’Occidente,diarrestarelafrana gigantesca da cui è

travolto.Ma inquestepaginela partita è giocata anche daun Terzo Giocatore, che inrealtà non “gioca” come glialtri due ma vede tuttol’errare e la violenza dellaciviltà occidentale. Ed èall’immensità di questovedere che si rivolgono lepagine di Severino,diventando uno strumentoprezioso di interpretazioneanche del nostro tempo e

dellenostrecosequotidiane.

EMANUELE SEVERINO,accademico dei Lincei, èautore di opere fondamentalitradotte in varie lingue.Scrive regolarmente sul“Corriere della Sera”. Tra isuoi ultimi libri ricordiamol’autobiografia Ilmioricordodegli eterni (Rizzoli 2011),Capitalismo senza futuro(Rizzoli 2012), Intorno alsenso del nulla (Adelphi2013) e La potenza

dell’errare(Rizzoli2013).

EmanueleSeverino

InviaggioconLeopardi

Lapartitasuldestinodell’uomo

Titolooriginale:TravelingwithLeopardi

©2015EmanueleSeverinoPubblicatoperlaprimavoltainGranBretagnadaWilliamHeinemannLtd

nel1949PubblicatodaViragoPressnel1996©2015RCSLibriS.p.A.,Milano

Primaedizionedigitale2015daNuovaedizioneRizzoliNarrativa

marzo2015

ISBN978-88-58-67941-8

Incopertina:ArtDirectorFrancescaLeoneschi

GraphicDesigner:AndreaCavallini/theWorldofDOT

www.rizzoli.eu

Quest’operaèprotettadallaLeggesuldirittod’autore.

Èvietataogniduplicazione,ancheparziale,nonautorizzata.

Istruzioniperlalettura

Il titolo di questo piccololibro sarebbe, propriamente,Partita con il cantore dellamorte. Ma potrebbe lasciare

perplessi. Lascia intendereche il cantoredellamorte siaLeopardi. Ma, se il temacentrale fosse Leopardi, sipotrebbe dire che egli hacantato anche altro, oltre allamorte. E non ha solo«cantato»,cioèpoetato,maèstatoancheprosatore.

Epoi,apartequest’ordinedi considerazioni, perchéLeopardisarebbe«il»cantoredella morte? Di altri e

grandissimi cantori dellamortesiperdeilconto.Anzi,non sene trovauno,dipoetio scrittori, che in qualchemodo non si riferisca allamorte. Lo stesso si può diredelle altre arti.Quando l’artefigurativamostra la bellezza,lofaperfermarla:questosuogesto spicca sull’inevitabilesfondodoveapparecheanchela bellezza se ne va via. Equando, agli inizi del XX

secolo, ogni forma di artemostra il dissolversi dellabellezza e della forma,mostrando allo stesso tempol’impossibilitàdisottrarleallamorte, porta in primo pianociò che prima aveva lasciatosullosfondo.Ildissolversidelmondo, rappresentato dalsuono,èiltemacentraledellamusica, che non ha bisognodi diventare atonale perrendere manifesto il divenire

edunqueilmoriredellecose.Dunque, daccapo, perchéLeopardisarebbe«il»cantoredellamorte?

Un primo passo indirezione della rispostaconsiste nel rendersi contocheLeopardi, oltre a trovarsial culmine della poesia, sitrova anche al culmine dellastoria del pensiero filosofico.Ma è una risposta cheinfastidisce ancora di più

della domanda. Leopardi alculmine della filosofia? Sì,recentementeilsuoZibaldonedi pensieri è stato tradottonegli Stati Uniti. Un grandesuccesso, sembra. Ma unadelleragionidi talesuccesso,non secondaria, è stata lacompiaciuta ammirazionederivante dal fatto che ilpoeta italiano conoscesseLocke. È ovvio che, quandodi Leopardi diciamo che egli

sta anche al culmine dellafilosofia, non lo diciamo perla sua conoscenza dellafilosofia inglese del XVIIsecolo.

Nel1990hopubblicatoIlnulla e la poesia. Alla finedell’età della tecnica:Leopardi, e nel 1997 Cosaarcana e stupenda.L’Occidente e Leopardi.Intendono rispondere adomandecomequelleacuici

siamo riferiti qui sopra. Eanche in altre occasioni sonoritornato su questi temi. Inqueste pagine si intendepresentare il nucleo dellaquestione che riguardaLeopardi. In questo senso èrivolto a un pubblico piùampio. Chi, leggendo,sentisse il bisogno diapprofondimentiediulteriorichiarimenti può consultarequei due saggi. D’altra parte

le pagine che ora presento liripropongono inmodonuovoe con nuovi spunti. Ma alpubblico a cui essevorrebbero riferirsi va dettoqualcosa di più: alcuneistruzioni, appunto, per lalettura.

L’opera di Leopardi è unagrande critica della civiltà.Può sembrare che egli stessofavorisca l’impressione di

muoversi nella direzioneindicatadaRousseau.Eppurec’è ben altro. LeopardianticipaNietzsche,anticipailcuore del pensiero diNietzsche: il tema della«morte di Dio». Quandoarriva a questo punto, illettorepuòtrovarelacosapiùomenointeressante.Cheperòriguarda le opinioni deifilosofi e dei letterati. Ilmondo va avanti. Ma,

chiediamoci, va avantiindipendentemente dalleopinioniumane?Quelledegliuomini comuni e di quellimeno comuni che escogitanole varie tecniche disopravvivenza, «materiali» e«spirituali»?

L’uomononpuò agire seinqualchemodononconosceil mondo in cui agisce. Leidee guidano le azioni.Marxsostiene che le idee derivano

dal modo in cui l’uomoproduce le cose che gliservono… e per certi tipi diidee la sua prospettiva puòautorizzarlo a dirlo. Ma perprodurre le cose è purnecessario sapere qualcosariguardo a esse. Per lomenoche sono disponibili al lorovenir prodotte e distrutte. Ilche, se può sembrareirrilevante, non è idea dapoco. Anzi, è l’idea sul cui

fondamento i mortaliregolano ogni loro azione epensiero.

Leopardianticipa ilcuoredel pensiero di Nietzsche: iltema della «morte di Dio».Ora aggiungiamo: la «mortedi Dio» è inevitabile. ELeopardi, per primo nellastoria dell’Occidente, mostraquesta inevitabilità. Appuntoperquestodiciamocheilsuopensiero sta al culmine della

storiadelpensierofilosofico.L’affermazionecheegliè

il cantore della morte siriferisce innanzitutto allamorte patita dagli uomini edal loro mondo. Ma c’èbisogno di «cantarla»? Imortalilaritengonoevidente.E allora non è retorica fuoriluogo dire che essa è«cantata»? La risposta aquesta domanda è affidataallepaginecheseguono.

Quidiciamoche lamortedell’uomo ha un sensoradicalmente diverso aseconda che un Dio eternoesista oppure sia soltantoun’illusione dei mortali.Inoltre (ed è l’aspettofondamentaledellaquestione;peraltro strettamenteintrecciato alla «morte diDio»), la morte di cui parlaLeopardi conserva e rendeestremo il significato che la

filosofia,sindalsuoinizio,leha conferito: lamorte, intesacomeannullamentodiciòchemuore. Il nulla è il grandetemadellaciviltàoccidentale.Che è la più attiva e la piùricca, la più sapiente epotente,perchélottacontroilnemico più temibile, che pergiuntaessastessahaevocato:ilnulla.

Leopardièilcantoredellamorteperché,propriamente,è

ilcantoredelnulla.A questo punto, le

«istruzioni per la lettura» diqueste pagine possono venirformulatenelmodoseguente.

La «partita con il cantoredella morte» è giocatasoprattutto da tre giocatori,per questo è la partita con ildestinodell’uomo.

IlGiocatore Bianco. Egliè la tradizione della civiltàoccidentale.Ècioèilpensiero

eleopereditaletradizione.IlGiocatore Bianco ritiene diavere la capacità di mostrareche il mondo, in tutti i suoiaspetti,esisteall’internodiunOrdine e di un sistema diLeggi immutabili che sifondano sul Principio divinoed eterno di tutte le cose.Questa convinzione è l’ideache guida le azioni umanecompiute lungo tutta latradizione dell’Occidente.

Esse possono sì violarel’Ordine e le Leggi delmondo, ma alla fine itrasgressori saranno raggiuntidallagiustiziadiDio;edessistessi agiscono o con laconsapevolezza più o menoesplicita di trasgredire, o coldubbio di andare contro lavolontà diDio.La tradizionedell’Occidente nasce colpensiero filosofico dei Grecied è potentemente rafforzata

dal cristianesimo. Sulversante dell’idea, ha la suaultima e più grandeespressione nella filosofia diHegel. Sul versante delleopere,siconcludeconlacrisidello Stato assoluto, cherappresenta il potere di DiosullaTerra.

Il Giocatore Nero, inqueste pagine, è Leopardi.Dico «in queste pagine»,perchéseLeopardièilprimo

a incominciare la partita conil Giocatore Bianco, e avincerla, egli si trova peròinsieme ad altri (che altrovehoconsiderato).Moltopochi,peraltro. Il Giocatore Nerovince sul piano dei concetti.Da parte sua, il GiocatoreBianco, ancora oggi, non sisente sconfitto: né sul pianodei concetti, né su quellodelleopere.Questo,ancheseèdiffusaefortelapercezione

che, in ogni campo, lospaesamento e il disagio delmondo siano enormementeaumentati. Il mondo,visibilmente, «non è piùquellodiunavolta».Leopardiè capace, insieme a pochialtri, di scorgere le ragionidell’immensa frana di più didue millenni di civiltà. (Nonsi capisce alcunchédell’attuale crisi economicasenonlasiinscriveinquesta

frana.)Insieme a pochi altri –

Nietzsche e Gentile, peresempio – Leopardi scorgequelle ragioni. La tradizionedell’Occidente è pertantoun’immensa vegetazioneessiccata. C’è chi, vedendoche le foglie sono ancoraattaccateairami,puòcredereche sia ancora viva.Ma nonsidevenemmenocrederechel’evento risolutore e

chiarificante sarà il grancolpodiventochefaràcaderele foglie. L’eventoautenticamente risolutore echiarificante è sapere perchél’immensa vegetazione si èessiccata: perché erainevitabilecheciòaccadesse.Ilsottosuolodelnostrotempo– che, come sempre èaccaduto, è un luogofilosofico – è abitato da queipochi di cui abbiamo fatto i

nomi (ma è difficileaggiungerne altri), cioè dacoloro che conoscono queiperché.

Si consideri inoltre che ilGiocatore Nero gioca sullascacchiera che è statacostruita dal GiocatoreBianco. La scacchiera doveper la primavolta il diveniredelle cose – la morte – èpensatoevissutocomeillorouscire dal nulla e ritornarvi.

In questo senso il GiocatoreNero, vincendo la partita, èun parricida. Quella di cuistiamo parlando è comunquela scacchiera, evocata per laprima volta dal pensierogreco, su cui è stata ed ègiocata l’intera storiadell’Occidente… e ormaianche dell’Oriente – lecategoriecheatalescacchieracompetono essendo ormaidiventate anche le categorie

fondamentali dell’Oriente(che pertanto ha cessato diessere la preistoriadell’Occidente,cioèdiessereilluogodoveildivenirenonèancora posto in relazione alnulla).

Mainquestepaginelapartitaè giocata anche da un TerzoGiocatore.Propriamente,eglinon «gioca» come gli altridue. Quindi non è un

«giocatore». Non perché ilgioco sia qualcosa di pocoserio,chealuinonsiaddica.Infatti si può ritenere che laprima forma di gioco sia lafesta arcaica, dove i mortalievocano e danno forma aun’immagine della vita.L’immaginerispecchialavitama, proprio perché èimmagine, li solleva al disopra dei pericoli della vitastessa. In tale immagine i

mortali si sentono soprattuttoaldisopradellamorte,salvi.Il gioco della festa arcaica ètutt’altro che un semplice«divertimento» (anche se inquest’ultimo può trapelarel’ecodiquella):èqualcosadimolto«serio».

Propriamente, il TerzoGiocatorenonèungiocatore.Infatti,adifferenzadeglialtridue che giocano sulla stessascacchiera, egli indica lo

Sguardochevedequalcosadimai visto dalle sapienze deimortali: loSguardo chevedelagrandeepotentescacchierasbriciolarsi, cadere a pezzi,non appoggiarsi ad alcunché;essa che è invece il sostegnosucui si appoggiaedi cui sialimenta tutto l’errare e tuttala violenza dell’Occidente (eormaidelPianeta).Losfacelodella scacchiera èinfinitamente più profondo

della frana della tradizioneoccidentale, provocata dalsottosuolo abitato dalGiocatore Nero, e quindi dalsuo aver vinto la partita colBianco. Lo sfacelo dellascacchiera coinvolgeentrambiiGiocatori.

Il TerzoGiocatore indicaloSguardochevedequalcosadimaivistodallasapienzadeimortali.NonèloSguardo:loindica. (Ma tale Sguardo è

presentenelprofondodiogniuomo.) All’immensità delloSguardo si rivolgono i mieiscritti – nei quali esso èchiamato non di rado«destino della verità». Essisono soltanto il dito cheindica l’Immenso, sono illinguaggio che tenta diesprimerlo: di esprimere ciòche non è in alcunmodo untentativo, ma già da sempresta al di sopra di ogni

tentativodistare.In questa «partita», è

presenteilditoeillinguaggiodi cui stiamo dicendo, chedunque possono venirchiamati il «TerzoGiocatore». Egli indical’anima comune delGiocatoreBiancoedelNero,il lorogiocare,appunto,sullastessa scacchiera.Grandissimi giocatori, comeabbagliante è la luce di

Lucifero. Testimonianol’Errore, il contenutodell’Errare. E il loro gesto èessenziale, perché senzal’Errore la Verità èimpossibile. Il TerzoGiocatore si farà avanti apartitamoltoinoltrata.D’altraparte si assume il compitodidescriverel’interapartita,einquesto senso incomincia aparlare sin dall’inizio. Inseguitoparleràdisestesso.

Va anche detto, in queste«istruzioni»,cheuncertotipodi lettore potrebbe sentirsi adisagioperl’ampiezzacheinqueste pagine vien data altema della contraddizione(cap.14ess.).Eglideveperòtenerpresente che è la stessafilosofiaaporrealcentroqueltema. Se si volesse scrivereun libro «facile» sul sensodella filosofia, che nonincludesse il tema della

contraddizione, non sarebbeun libro sulla filosofia. Ed èdalla filosofia che la scienzaeredita tale senso. Inoltre èLeopardi stesso ad affrontaresin dall’inizio il tema dellacontraddizione e a porlo alcentro del suo pensiero.Leopardi vince la partita colGiocatore Bianco perché lovede portatore di unacontraddizione fondamentale.Elosfacelodellascacchiera–

che può apparire soltantonello Sguardo del destinodellaverità–consistenelsuoessere la supremacontraddizione, infinitamentepiù profonda, presente inentrambiiGiocatori.

D’altra parte esiste tuttauna rosa di concetti il cuisignificato si è per lo piùconvinti di capire, ma la cuianima è, appunto, lacontraddizione. Si tratta per

esempio dei concetti di«lotta», «urto», «odio»,«dissidio interiore» (dal«vorrei e non vorrei» diZerlina nelDon Giovanni diMozart all’esclamazione diFaust: «Due anime abitano,ah,nelmiopetto!»,alla lottatra Amore e Morte di cuiparla Freud), «disagio»,«infelicità». Ed è sempre inrelazione a essi che sisviluppa il pensiero di

Leopardi sullacontraddizione. Il contenutodellaqualeèciòchenonpuòesistere;eil«principiodinoncontraddizione» esprimeappunto questa impossibilità.Tuttavia, dopo aver tentatostrenuamente di circoscriverelasuaviolazione,Leopardisiconvinceràdidovernegareinognicampo questo principio,e di dover affermarel’esistenza universale della

contraddizione. Non c’èbisogno di sottolinearel’audacia di questa tesi. Maprofonde sono le sueripercussioni sul pensiero diLeopardi e sulla partita cheegli gioca con la tradizionedell’Occidente.

Ringrazio infine gli amici diRizzoli per l’amabileinsistenza con cui mi hannoconvinto dell’opportunità di

ritornareancoraunavoltasulpensierodiLeopardi.

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Piangereimorti

«Non vogliamo, fratelli,lasciarvi nell’ignoranza aproposito di quelli che sono

morti, perché non siate tristicomegli altri che non hannosperanza. Se infatti crediamoche Gesù è morto e risorto,cosìancheDio,permezzodiGesù,raduneràconluicolorochesonomorti.»

Così scrive l’apostoloPaolo nella Prima lettera aiTessalonicesi. Anche iVangeli esprimono questaconvinzione. Chi piange ipropri morti non sa che

anch’essi risorgono. Come èrisorto Gesù. Quando ilcristianesimo assimilerà lafilosofia greca, aggiungeràchel’animaumananonèmaimorta: è immortale.Un altromotivo per non piangere inostri morti. Solo il corpo èandato distrutto. Marisorgerà. I morti non sonoveramentemorti.CosìparlailGiocatoreBianco.

Eppuresipuòreplicare.Il

Giocatore Nero ribatte che ènaturalepiangere imorticheabbiamo amato. È secondonatura. Se questa sua replicafosse vera, si dovrebbe direcheilcristianesimoè«contronatura». Li si piangeistintivamente, egli dice,«senza ragionare». Il pianto«è un puro sentimento». Lipiangiamoperché,«seguendounsentimentointimo,esenzaragionare», crediamo «che

essiabbianoperdutolavitael’essere». «Dunque noi noncrediamo naturalmenteall’immortalità dell’animo;anzi crediamo che i mortisiano morti veramente e nonvivi; e che colui ch’è mortonon sia più». Seguendo lanatura, crediamo che la vitadeimortisiaormainulla.Persempre. «Privato della vita edell’essere», chi muore èdiventatonulla,nonsarà«mai

più».Sipiangedunqueperluiperchésicrede,naturalmente,che questa privazione equesto «mai più» sial’«ultima e irreparabiledisgrazia».

Perchéabbiamomessotravirgolette molte espressionidella replica ora richiamata?Perché essa è di GiacomoLeopardi. Il Giocatore Nero.Il cantore della morte. Lareplica si legge nelle pagine

4277-79 di quell’operagigantesca, alla qualeLeopardihalavoratopertuttala vita, che ormai èconsuetudine chiamareZibaldone. (Noi non lofaremo.) Alla fine di quellepagine Leopardi appunta:«Recanati. 9 aprile. LunedìSanto,1827».Annotadistarescrivendo cose in cui sivoltano le spalle alcristianesimo e di scriverle

all’inizio della settimana cheper il mondo cristiano,all’internodelqualeeglivive,è«santa».

E come mai, tra i grandiche hanno pensato la mortecon parole, musiche, figureallontanandosi dalcristianesimo, proprioLeopardi? A questa secondadomanda risponderanno lepagine che seguono. Quilimitiamoci a dire,

riprendendo quanto già si èaffermato nelle precedenti«Istruzioni», che egli nonsolo è tra i geni più grandi,come poeta e come filosofo,ma che la sua filosofia ha lacapacità di portare altramonto l’intera tradizionedell’Occidente. Decenniprima diNietzsche,Leopardiapre la strada al tempo della«morte di Dio». Il nostrotempo. Certo, questa può

sembrare un’affermazionetroppo azzardata. Peresempio,lereligionielelorodegenerazioninon sono forseuno dei fenomeni più visibilie dunque ben vivi del nostrotempo?Ma,appunto,sidovràsentire che cosa rispondeLeopardi.

È andato annotando tuttala vita quel che pensava incampo filosofico, letterario,religioso, filologico.Alla sua

morte venne rinvenuto ungruppodimanoscrittidicirca4500pagine,senzatitolo.MaLeopardi aveva sentito ilbisogno di fare un po’d’ordine in quel materialeenorme, tanto che nel 1827aveva steso un indiceintitolato Indice del mioZibaldone di pensieri. Laparola«zibaldone»indicasìilcarattere di quei manoscritti,ma indicaancheunavivanda

composta da svariatiingredienti. Qualcuno haaccostato «zibaldone» a«zabaione». SennonchéLeopardi è capace diun’ironia sovrana. In modoaltrettanto sovrano saindirizzarlasudisé.Prenderesul serio chi fa dell’ironiasulla propria opera, e l’operacontiene pietre preziose, è –misembra– segnodicattivogusto e di poco spirito. Da

partemia,perevitarealmenoin questo caso taliinconvenienti, dirò Pensieriinvece di Zibaldone – comeappunto ho fatto nei mieiscritti dedicati al pensiero diLeopardi (e nelle citazioniindicherò Pensieri conl’abbreviazioneP).

Ritorniamo alla replicacontenuta nelle pagine 4277-79 dei Pensieri. Parlandodella natura che ci fa

piangere i nostri morti, lareplica non si confronta conl’apostolo Paolo. Ma ilriferimentoal cristianesimoèimplicito nel suo modo dirifiutare, si è visto, la tesidell’immortalità dell’anima.Nei Pensieri le numerosepagine che riguardano ilcristianesimo hannoun’importanza centrale.Altrettanto centrale la criticaa Platone e alla sua dottrina

dell’immortalità (e anzidell’eternità)dell’anima.

La natura, dunque. Unconcetto complesso,nell’opera di Leopardi. Nelpassosulcompiantodeimortila natura mostra uno dei latidi questa complessità: lanaturaèilnostrodesideriodiessere felici. È presentenell’uomo inteso sia comegenere siacome individuo.Eognuno la felicità la desidera

perséeperchiama.Amiamouna persona quandodesideriamocheancheleisiafelice. Dunque, quandoaccade che muoia, l’istintonaturale ce la fa piangereperché crediamo che nonpossa più esser felice, «maipiù» felice; e che nemmenonoi possiamo continuare aesser felici per la suapresenza,lasuavita,perquelche c’è stato tra noi. Se cioè

vogliamo sapere «quel chepassa nell’animo nostro»quandomuore chi amiamo –quel che naturalmente,istintivamente vi passa –,«troveremo che il pensieroche principalmente cicommuove, è questo: egli èstato,eglinonèpiù,iononlovedròpiù»(P4278).Unannodopo Leopardi scrive ASilvia; due anni dopo Lericordanze. Due dei suoi

Canti più alti. Canta il «maipiù» di Silvia e di Nerina.Canta? Non è stridente ilcantare la morte di dueragazzecheeglihaamato?Larisposta è negativa. Quandomostreremo perché, citroveremo dinanzi a uno deitemi decisivi del pensiero diLeopardi.

Va però anche osservato(qualcheriservalarenderemoesplicita più avanti) che

Leopardi considera il piantoper i morti comeatteggiamento dell’interogenereumano,laddoveessoèl’atteggiamento che siriscontra, come oggisappiamo, inuncertoambitodella storia dell’uomo, degliultimi millenni e di certeregionidellaTerra.Secioèsipuò presumere che ogniuomo desideri la felicità e ilpiacere, ossia che questa sia

la natura di ogni uomo, ciònon implica che, dinanzi allamorte di chi è stato amato,ogniuomocredache l’amatonontornerà«maipiù»perchéè totalmente «privato dellavita e dell’essere». Sarà ilpopolo greco a crederlo,guidato dai suoi pensatori.Con i Greci l’uomoincominciaamorireeaesserpianto in un modoassolutamente nuovo,

inaudito.Elafilosofiagrecaèilterrenoincuicrescel’interastoriadell’Occidente.

Comunque, a partel’estrapolazione cheattribuisce a tuttil’atteggiamento di alcuni difronte alla morte, Leopardipuò dire: «Allegano [cioè siappellano] in favoredell’immortalitàdell’animoilconsensodegliuomini.Amepar di potere allegare questo

medesimo consenso incontrario[cioèperdimostrareilcontrario]».

Appunto perché la naturacifapiangereinostrimortiece li fa piangere perché pernaturacrediamocheessinonsiano più e che noi non livedremo mai più. È «ilpensiero della caducitàumana»,cheèilcontrariodelcredere nell’immortalità. Ilcompianto dei morti mostra

che il «consenso degliuomini» è per «il non esserdefinitivamente più» di chi èmorto. Non lo piangeremmose potessimo pensare tra noi:«io rivedrò però questo taledopo la mia morte». Maquesto è il sentimento chenessuno prova, qualsiasisiano le sue convinzionirazionali(P4277-79).

Il tema del «mai più»ritornerà in Consalvo.

Morente, chiede «un bacio»all’amante, prima di esserlasciatopersempre(«pria/dilasciarmipersempre,Elvira»,vv.49-50).Luilalascianellavita, lei lo lascia nel nulladella morte. Il tema era giàstato toccato nei primi mesidel 1821: «Non c’è forsepersona tanto indifferenteperte, la quale salutandoti nelpartireperqualunqueluogo,olasciarti in qualsiasimaniera,

edicendoti,noncirivedremomai più, per poco d’animache tu abbia, non ticommuova, non ti producauna sensazione più o menotrista.L’orroreeiltimorechel’uomoha,perunaparte,delnulla, per l’altra, dell’eterno[ossia l’orrore e timoredell’eternità del nulla] simanifestadaper tutto,equelmai più non si può udiresenza un certo senso […]: è

partito per sempre – persempre? Sì: tutto è finitorispetto a lui: non lo vedròmai più: nessuna cosa suaavrà più niente di comunecolla mia» (P 644-45).Questo è il sentimento cheognunoprova,qualsiasisianole sue convinzioni razionali.L’orrore e timore del nulla –del nulla in cui vaprogressivamente cadendoogni momento della vita, e

del nulla definitivo dellamorte – è orrore e timoredell’eternità del nulla, dellamorte. Il Coro di morti cheapre il Dialogo di FedericoRuysch e delle sue mummie,composto nel 1824,incominciacosì:

Sola nelmondo eterna,acuisivolveogni creata

cosa,in te,morte, siposanostra ignudanatura;lietano,[…]

la nostra natura – il nostrodesideriodifelicità–checonlamorte è rimasta «ignuda»,spogliatadell’essere.

(Refrain. La potenzaespressiva del linguaggio di

Leopardi è evidente. Per uncertotipodilettorepuòessereappagante, anche sesconvolgente. Altri possonorestare indifferenti. Possonogiàaverchiusoquestepagine.Maperchicontinuaaleggereè decisivo ripetere che conLeopardi non si hasemplicementeachefareconuno scrittore e un poeta che«fa pensare». O meglio: eglifa pensare non soltanto così

comeunoscrittoreounpoetapossonofarpensare,macomeil pensatore che riesce asuperare, «in verità», l’interatradizione della civiltàoccidentale, cioè secondo ilsensochela«verità»possiedeall’interno di tale tradizione.Se la tradizionedell’Occidente sembra viva,dicevamo nelle «Istruzioni»,è viva nello stesso senso incui le foglie secche restano

ancora legate ai rami.Leopardi è ilGiocatoreNeroche ha partita vinta sulGiocatore Bianco.Indicheremoneicapitoli4e5lemosse essenziali di questapartita. Non è unaesagerazioneaffermarecheinessavienegiocatalasortedelnostrotempo.Lanostra.)

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«Inmezzoalnulla»e«ilnaufragarm’è

dolceinquestomare»

Il sentimento del «mai più»,

per Leopardi, è provato daognuno,qualsiasisianolesueconvinzioni razionali. Si èvisto. Le convinzionirazionali,appunto.Chevalorehanno? E che valore ha lavocedellanatura?Giacchéditutto questo il passo4277-79deiPensieri, da cui abbiamopreso le mosse nel capitoloprecedente, non parla. Parlainvece della direzione versocui effettivamente si dirige il

«consensodegliuomini».Nel1827 – quando stende quellepagine –, della verità, delvalore della ragione e dellanatura iPensieri si sono giàoccupatiafondo.

Già nel 1819 Leopardiscriveva: «Io era spaventatonel trovarmi in mezzo alnulla, un nulla io medesimo.Iomi sentivacomesoffocareconsiderando e sentendo chetuttoènulla,solidonulla»(P

85).Ha ventun anni. Questo

passo complicanotevolmentele considerazioni cheabbiamo svolto sin qui.Soprattutto perché nel 1819Leopardi scrive ancheL’infinito, e l’infinito èl’«eterno», l’«immensità»del«mare» in cui è per lui«dolce» fare naufragio.Mentre non è certo «dolce»,ma spaventoso e soffocante,

fare naufragio «in mezzo alnulla». Il nulla è la morte,«sola nel mondo eterna», incui «si posa / nostra ignudanatura».

Possiamo aggiungere,sviluppando uno spuntotoccato nel capitoloprecedente, che,contrariamente a quantoLeopardiritiene,lamortenonè sempre stata pensata comeannullamentoecome ilnulla

cherisultadall’annullamento.Infatti solo il pensiero grecoincomincia a pensare chel’altro, ossia ciò che nel lorodivenire le cose diventano, èl’assolutamente altrodal loroessere: è il nulla. Prima deiGreci questo senso radicaledel nulla è ignorato. Se ilcorpo vivo di un uomodiventa un cadavere, tuttaviasial’unosial’altrosilascianovedere e toccare, sono

entrambi cose, essere. Ilcadavereèsolorelativamentealtro dal corpo vivo. Per leciviltà pregreche il diventarcadavere è l’inizio di unviaggio che consente aiviventi dimantenere rapportidi diversa natura con chi èpartito. Se piangono i loromorti, il loro è un piantodiverso da quello dei Greci,che nel cadavere credono divedere l’annullamento di una

vita, il «mai più», l’esser«passato per sempre». Maritorniamoalpasso(P85)del1819.

«Considerandoesentendochetuttoènulla»,Leopardisisentesoffocare.Nelpassodel1819 si parla sia di un«considerare» sia di un«sentire». C’è il «sentire»:appartiene alla sfera del«sentimento intimo», cheabbiamo incontrato sopra; ci

fapiangereinostrimortiedèprodotto dal desiderio difelicità per noi e per coloroche amiamo, quando taledesiderioèfrustratodallaloromorte. Ma c’è anche il«considerare». Questa parolaguarda più alla ragione cheall’istinto. Indica la verità.Propriamente, anticipa lagrande sequenza che neiPensieri conduce alladistruzione del platonismo e

del cristianesimo, lefondamenta della tradizionedell’Occidente. È come seLeopardi anticipasse irisultati essenziali della suaindagine. L’anticipazione vaquindi interpretata alla loroluce.

«Tutto è nulla.»L’espressione non è daintendere come un piattorifiuto del «principio di noncontraddizione». La

negazionediquestoprincipio,in Leopardi, è estremamentepiù complessa. È ovvio cheper lui l’essere ancora vivinonequivaleall’esseremorti.Il«maipiù»si riferisceaciòche ne è della vita quandomuore una persona amata;non quando essa è viva. Lavita non è lamorte. L’esserenonèilnulla.

Dunque«tuttoènulla»(e«un nulla iomedesimo») nel

senso, appunto, che tutto è«in mezzo al nulla», ossiavienedalnullaevanelnulla.Non è prodotto da unDemiurgo o da un Dio; e,finendo, non è accolto dabraccia divine. «Essere»significa trovarsiprovvisoriamente «in mezzoal nulla». «Sentire» e«considerare» questo èspaventoso, orrore e timore.Avvertire ilnulladacuiogni

cosa è circondata (l’avvertireche è «il pensiero dellacaducità umana») significaesser soffocati da questostesso nulla. Il nulla soffocain quanto è sentito econsiderato; non in quanto ènulla. In quanto, sentito econsiderato, è soffocante,orrendo e temibile, il nulla è«solido».

Se e poiché per Leopardila verità scoperta dalla

ragione è questa, cioè «chetutto è nulla, solido nulla»,allora la conoscenza dellaveritàèlafontedell’angosciapiù profonda in cui l’uomopuòprecipitare – la falla cheprovoca il naufragio doveannega ogni speranza, ogniillusione, ossia ogni felicità.Infatti (scrive l’annosuccessivo) «la felicitàconsiste nell’ignoranza delvero»(P 326).Solovoltando

le spalle alla verità si puòaverequeltantodifelicitàchecièconcessa.

Sennonché, dicevamo,nello stesso periodo in cuiformulaqueste tesi,LeopardicomponeL’infinito. È spessointerpretato come un cantopositivo, che dal tempoconduce all’eterno. Il poetaode la «voce» del vento, làsul«colle»dovegli è«caro»rifugiarsi. E lo porta a

confrontarla («vocomparando») con l’«infinitosilenzio»checonducenelsuopensiero «l’eterno» («e misovvien l’eterno») e la suadifferenza rispetto a ciò chemuore e che per ora è vivo.«[…] Così tra questa /immensitàs’annegailpensiermio: / e il naufragar m’èdolceinquestomare».

Ma, dicevamo, non ècerto «dolce», bensì

spaventoso, soffocante efonte d’infelicità sapere ditrovarsi «inmezzo al nulla».Non è dolce annegare nelnulla. In «annegare» risuonala parola latina necare,«uccidere»; mentre annegarenell’immensità dell’eterno èuccidere la morte. E, allalettera, «naufragio» significalo «spezzarsi» (frangere)della nave. Il naufragio puòessere«dolce»soloselanave

che si spezza è quella delnulla e della morte, e il«mare» che ne accoglie iframmentièl’eterno.

TuttaviaLeopardinonstasmentendo se stesso. Infatti,se conoscere la veritàequivale a essere infelici,allora solo immergendosinella non-verità, cioènell’illusione, l’uomo puòaverequelpocodifelicitàchegli è concessa. E l’illusione

suprema è pensare, con tuttal’intensità di cui si è capaci,che l’eterno esiste ed èinfinito e che nell’eternol’uomopuòsalvarsidalnullaa cui la morte conduce:nell’eterno è dolcenaufragare. La dolcezza delnaufragio è tutta percepitaall’interno dell’illusione.Leopardi si èallontanatobenpresto dalla fede cristiana(della cui presenza, peraltro,

le prime pagine dei Pensierimostrano segni di grandeinteresse). Quando scriveL’infinito ne è già fuori.QuindiLeopardipuòdiresiache, in verità, tutto è inmezzo al nulla sia che,nell’illusione, è dolcenaufragare nel maredell’infinito.

Quanto si è detto permostrare la coerenza delcantore del nulla non è però

la sovrapposizione diun’ipotesi interpretativaa ciòche Leopardi effettivamentedice.Èluistessoadaffermareinmodo esplicito il carattereillusorio dell’eterno. Ancoranel 1819, e anzi unacinquantina di pagine primadi quella in cui si dice che«tutto è nulla, solido nulla»,egli scrive: «Il più solidopiacere di questa vita è ilpiacervanodelleillusioni»(P

51).Ilpiacere,intesonelsenso

più ampio: come ciò che siprovaquandoqualcosapiace.Il piacere è la stessa felicità(P 165). Quando la verità sifavedere,ciòcheèsolidoèilnulla(«solidonulla»)enonviè alcunché di più solido delnulla. Felicità e piacere sonodel tutto assenti. Quando,invece che nella verità, ci sitrova nell’illusione, quel che

è solido («il più solido») è ilpiacere che solo l’illusionepuòdare.Pertanto l’esistenzadell’eterno, in cui è dolcenaufragare e che procura ilmaggioredeipiaceri,nonpuòessereverità,maèillusione.

Nell’Infinitoilcantoredelnullacantadunquel’illusionedell’infinito e dell’immensitàdell’eterno. La canta, nelsensochevisiavvolge,vistadentro,equindinonpuòdire

chestaavvoltonell’illusione.Nellamisuraincuistaalsuointerno, la sente e la vedecome verità. Si è illusiproprio perché si consideraverità ciò che invece èillusione. Che l’illusione siaillusione lo si può saperequando sene esce:quando ilcanto finisce e ci si ponedinanzi alla verità nonillusoria.

E appunto questo accade

nei Pensieri, dove il filosoforiflette sul cantore. Non èpassato nemmeno un annodalla composizionedell’Infinitoenelluglio1820Leopardi rende esplicito ilnucleo della sua «teoria delpiacere»(P165-185).Unisce«ilsentimentodellanullitàditutte le cose, la insufficienzadi tutti i piaceri a riempircil’animo, e la tendenza nostraverso un infinito che non

comprendiamo», cioè lacapacità dell’infinito diriempirci l’animo. Certo, noinon comprendiamo l’infinito;ma non perché esso esista enoi siamo incapaci dipenetrarneilmistero.Infattiènecessario «che tutto esistalimitatamente, e tutto abbiaconfini e sia circoscritto» eche «niente sia eterno» (P165-66). Come desiderio difelicità, l’uomo è «desiderio

dell’infinito» e dell’eterno,dove «in luogo della vistalavora l’immaginazione, e ilfantastico sottentra al reale.L’anima s’immagina quellochenonvede»(P171),«puòfigurarsi dei piaceri che nonesistano,efigurarseliinfiniti»(P 167). È già fuoridiscussione, per Leopardi,che l’eterno e l’infinito nonesistono.Maeglièfilosofoe,Giocatore Nero, renderà ben

prestoesplicitoilfondamentodiquestasuaconvinzione.

A questo punto diventacomunque del tutto esplicitoil chiarimento che i Pensieridanno intorno al sensodell’Infinito: «L’animas’immagina quello che nonvede, [quello che non esistee] che quell’albero, quellasiepe, quella torre gli [le]nasconde,evaerrandoinunospazioimmaginario»(P171).

Un albero, una siepe, unatorre nascondono all’animauno spazio che èimmaginario,nonreale,echeil desiderio dell’infinitoimmagina infinito. E infattiL’infinitodice:

Sempre caromi fuquest’ermocollee questa siepe,

che da tantapartedell’ultimoorizzonte ilguardoesclude.Ma sedendo emirando,interminatispazi di là daquella, esovrumanisilenzi, e

profondissimaquieteio nel pensiermi fingo; oveperpocoil cor non sispaura.[…][…] e misovvienl’eterno,[…]

Nel canto e nei Pensiericompaiono le stesse parole:

«siepe», «spazio». Ma, nelcanto, l’infinito (gli«interminati spazi», i«sovrumani silenzi», la«profondissimaquiete»,epoil’«infinito silenzio»,l’«eterno», l’«immensità»delmare in cui è «dolce» farenaufragio) è sentito standoall’interno dell’illusione delpoeta, e quindi non è sentitoed espresso come illusione,ma come verità; invece nei

Pensieri il filosofo vede laverità angosciante esoffocante, quindi vedel’illusione conoscendolacometale;epertantoconosceil carattere illusorio eimmaginariodell’infinito.

Lo conferma quantoLeopardi dice (nellaPrefazioneeannotazionealledieci canzoni stampate inBologna nel 1824) apropositodell’usocheegli fa

del verbo fingere (checompareanchenelpenultimoversoqui sopra riportato, «ionel pensier mi fingo»): ilpoeta riconduce il significatodi fingere a formare,foggiare. Ossia fingere nonindica l’ingannare e ilnascondere quel che si è. Einfatti, se il desiderio difelicità porta a immaginareillusoriamente l’infinito, èimpossibile che stando

all’interno dell’illusione sisappiae sidicache l’infinitoèunafinzione,unnasconderela verità angosciante dellafinitezza e nullità di ognicosa. All’internodell’illusione, «io nel pensiermi fingo» significa che,quando la «siepe» non gli favedere gran parte«dell’ultimo orizzonte»,allora nel suo pensiero siformano e si fanno innanzi

quegli spazi e silenzi infiniti.Quandounosacheessisonouna sua finzione, un suonascondersi come stanno lecose,acostuiilcuorenon«sispaura». Il cuore gli «sispaura» quando sono essi,comeinfinitiedeterni,afarsiinnanzi. Si fanno innanzi nelricordo: «e mi sovvienl’eterno».Quando si ricorda,si crede che a farsi innanzinon sia un’illusione, una

finzione (lo si potrà crederedopo,quandosidubiteràdellaverità del ricordo), maqualcosadireale.

«Oveperpoco/ilcornonsispaura».Lapauradiquestoimpaurirsinonèl’angosciadichisisenteinmezzoalnulla.E inoltre manca ancora un«poco»perchéquestapaurasiproduca. Essa sta nelladimensione del timoredell’uomo che viene a

trovarsi di fronte a Dio; alRimedio a cui, peraltro,l’uomo affida dapprima lapropria salvezza. Poi ipensatori dell’Occidente siaccorgerannoche«ilRimedioèpeggioredelmale»,ossiaèpeggiore della morteannientante.Quell’espressione è diNietzsche, ma è innanzituttoLeopardi a esprimerne ilsenso essenziale.

Considerandoilcristianesimo(soprattuttonelqualeDioèilRimedio) come aspettoprimario del platonismo,Leopardi vede in esso il«massimo dei danni» infertialla natura, in quanto essa èdesiderioinfinitodifelicità(P817,marzo1821).

3

Dal«desiderioinfinitodelpiacere»al«fior

gentile»

Apropositodellepagine165-

66 dei Pensieri, nel capitoloprecedente si è detto che perLeopardi è necessario «chetutto esista limitatamente, etutto abbia confini e siacircoscritto»eche«nientesiaeterno». Sennonché Leopardinon scrive: «è necessario».Scrive: «la natura delle coseporta che tutto esistalimitatamente,eccetera»e«lanaturadellecoseportaancorachenientesiaeterno».Esela

«natura»è«desiderio infinitodipiacere»,ossiadifelicità,equindi è fonte benefica diillusioni nonché dellasuprema illusionedell’infinito e dell’eterno,comepuòlanatura«portare»,cioè implicare che tutto siafinitoechenientesiaeterno?

La risposta sta nel fattoche nel linguaggio diLeopardi la parola «natura»ha una molteplicità di

significati. Che però non siconfondono.«Lanaturadellecose» (quella che «porta chetutto esista limitatamente, etutto abbia confini e siacircoscritto»eche«nientesiaeterno»)non è la«natura» inquanto desiderio di felicità.«Natura delle cose» è unaformula della tradizionefilosofica, usata per indicarecome stanno realmente lecose, come è necessario che

stiano. (Si dice: in rerumnatura.) Nell’espressione«naturadelle cose»,«natura»ha un significato opposto aquello di natura comedesiderio di felicità. La«naturadellecose»èlaverità– e la verità è che tutto èlimitato nello spazio e neltempo, «circoscritto», e chequindi niente è eterno. Laverità è spaventosa,angosciante. Il desiderio di

felicità è invece l’illusione:l’illusione che la felicità sipossa raggiungere, l’illusioneche culmina nel credersifelici. Nelle stesse paginedovesiparladi«naturadellecose» si parla anche della«gran misericordia» della«natura», che questa voltasignifica desiderio di felicità;inaltreparoleèlanaturache«non potendo fornirli [gliuomini e gli altri esseri

viventi]dipiacerirealiinfiniti[come sarebbe il piacerederivante dall’esistenzadell’eterno in cui l’uomo sisalva dallamorte], ha volutosupplire[…]colleillusioni,edi queste è stata loroliberalissima»(P167).

Più complesso è ilchiarimento del perché la«natura»piangaquandosentechenon rivedrà«maipiù» lapersona amata che è morta

(cfr. cap. 1). Infatti, il «maipiù» è il diventar nulla daparte di chi muore (P 4277-79); e invece la «natura»,come desiderio di felicità egrandemente misericordiosa,nasconde con le illusioni dicuiè«liberalissima»lanullitàdel tutto. D’altra parte, si èvisto, la «natura» che piangeè «puro sentimento», che siesprimealdilàdellaragione,ossiaaldi làdelluogoincui

si manifesta la verità; sicchéla «natura» che piange nonpuò essere nemmeno la«naturadellecose»,ossianonpuò essere nemmeno laverità.

Nel1827,quandoparladiquesta «natura», Leopardi hagià ampiamente sviluppatoneiPensieriilprincipiochela«natura» è corrotta dalsorgere della ragione e delcristianesimo.Nella civiltà la

«natura» non è più quellaprimitiva: è stata alterata dabisogni che l’uomo, nonaccontentandosi di quelliprimari,havolutosoddisfare.E nel 1825 Leopardi avevacomposto il Dialogo diPlotino e di Porfirio, sulsuicidio, dove vieneintrodotta la distinzione tra«naturaprimitiva»e«secondanatura».

Dice Porfirio: «Quella

naturaprimitivadegliuominiantichi,edellegentiselvaggee incolte,nonèpiù lanaturanostra:mal’assuefazioneelaragione hanno fatto in noiun’altra natura; la quale noiabbiamo,eavremosempre,inluogo di quella prima. Nonera naturale all’uomo daprincipio il procacciarsi lamortevolontariamente:manéanco era naturale ildesiderarla. Oggi e questa

cosa e quella sono naturali;cioè conformi alla nostranatura nuova: la quale,tendendo essa ancora emovendosi necessariamente,come l’antica, verso ciò cheapparisce essere il nostromeglio;fachenoimoltevoltedesideriamo e cerchiamoquello che veramente è ilmaggiorbenedell’uomo,cioèlamorte.Enonèmeraviglia:perciocché questa seconda

natura è governata e direttanella maggior parte dallaragione.Laqualeaffermapercertissimo, che lamorte, nonche sia veramente un male,come detta la impressioneprimitiva; anzi è il solorimedio valevole ai nostrimali, la cosapiùdesiderabileagliuomini,elamigliore».

Ebbene,la«natura»dichipiange sentendo in sé che lapersona amata è diventata

nulla,enonsaràmaipiùconlui, è appunto la «secondanatura». Quando Leopardidice che «tutti» piangono laperditadellapersonaamata,ècoerente con se stesso nellamisura in cui pensa che sitratti di tutti coloro chepossiedono questa «secondanatura».Esipuòbenritenereche lo pensi anche se non loscrive, purché si tengapresente il carattere dei

Pensieri, che sono appunti enon un testo pronto per lastampa. Come la logica deldiscorso di Porfirio (cioè diLeopardi) dice che all’inizionon era naturale per l’uomodesiderare e darsi la morte,ma poi lo è diventato nella«seconda natura», così allalogica che elabora ilsentimento del «mai più» èconsentito dire che all’inizionon era naturale piangere la

morte e il «mai più» degliamati, ma poi, conl’evocazione greca del nulla,lo è diventato, e appunto,anche qui, nella «secondanatura» di coloro checrescono all’ombra diquell’evocazione.

La logica implicita diLeopardi tende allora ariscattare il tema della«natura»chepiange lamortedalla critica a cui abbiamo

accennato nel capitolo 2. Inaltre parole, se la distinzionetranaturaprimitivaesecondanatura viene resa esplicitaancheinrelazionealtemadelsentimentochepiangeil«maipiù», allora non è piùpossibileobiettareaLeopardiche è arbitrario estendereall’intera storia dell’uomoquella coscienza dell’andarenelnullaedel«maipiù»cheinvece incomincia a sorgere

nel popolo greco a opera deisuoi pensatori. A questopunto,dunque,quelpianto sipuò intendere come l’effettoche si produce nell’uomoquando in lui la «natura»,corrompendosi e diventando«seconda natura», non riescea coprire e a far tacerecompletamente la ragione,ossia la visione della verità(cioè della ragione e dellaverità greca che regge la

storia della civiltàoccidentale).

Ma è presente, negliscritti di Leopardi, un altrosenso ancora della «natura»,quello più noto: la «natura»come «dura nutrice» che «inunmomentoannulla»l’uomoeilsuomondo,eche«madreè di parto e di volermatrigna», quella chenonha«alseme/dell’uompiùstimao cura / che alla formica» e

che il poeta chiamaironicamente «amantenatura».Sonoespressionidelgrande canto La ginestra(1836). Nella Palinodia almarchese Gino Capponi, il«parto» con cui la naturamatrigna produce le cose èchiamato il «gioco reo»dell’«empia madre», chedopo averle generate ledistrugge, come un fanciulloche, subito dopo aver

costruito con dei fuscelli unedificio,lodistrugge.

Questa «natura» è ilprocesso stesso del diveniredel tutto, dove ogni cosa ègettata e travolta, nelprocesso incessante diproduzione e distruzione.Unprocesso assolutamente privodi senso. Poiché ogni cosaprovienedalnullaenelnullaritorna, il suo incominciare aesistere e la fine della sua

esistenza non hanno unscopo, un senso, non sonoaspetti di un Ordinamentoignoto. Nascita e morte nonnascondonounmistero.Tuttoè terribilmente chiaro. Nonesiste alcun Ordinamento. Ilnostro trovarci a esistere èsenzaperché.

Sono, queste, leconvinzioni di gran partedella cultura del nostrotempo.Masonoquasisempre

forme di una fede che sicontrappone alla fedemetafisica e religiosa.Leopardi è il primo ad averscavato il sottosuolo dove hapostolefondamentadiquelleconvinzioni, che quindi, soloin lui e in chi ha la potenzadel suo pensiero, cessano diessere semplici fedi. Con lavittoriadelGiocatoreBianco,il Giocatore Nero rendesolido il terreno dove

muovonoiloroincertipassiibigottidella«mortediDio».

Leopardi mostra chenascita e morte nonnascondono alcun mistero echenonvièalcunOrdinecheci si celi e che tuttaviarimanga nascosto. Il nostrotrovarci a esistere è senzaperché. L’arcano è che nonesiste alcun arcano. È unarcano nel senso che nonesiste alcun perché che lo

spieghi. Anche l’arcanodell’universo in cui viviamodiventerà nulla prima che siscopra un perché. «Cosìquesto arcano mirabile espaventoso dell’esistenzauniversale, innanzi di esseredichiarato né inteso, sidileguerà e perderassi». È lafrase che chiude il Canticodelgallosilvestre (scrittonel1824). Altri universi sarannoprodotti e questo arcano li

accompagnerà tutti. «Cosaarcana e stupenda / oggi è lavita al pensier nostro»,cantano i morti a FedericoRuysch,cioèglicanterebberose potessero parlare e avereun «pensiero». Sono andatidall’altra parte, ma nontrovano nulla (nemmeno sestessi). La vita, «al loro»pensiero è «stupenda» (dastupor, stupeo) perché lilascia nel totale stordimento

di chi avrebbe voluto trovarein essa qualcosa, qualchesignificato, ma non trovanulla.

Non esistendo alcunOrdinamento eterno, ogniordine essendo cioèprovvisorio, contingente, nonesiste nemmeno unaCoscienza che, assoluta,dominante, potente, sappiaalcunché delle cosedell’uomo e del mondo. Nel

DialogodellaNaturaediunIslandese, l’assenza di taleCoscienza, nella «Natura» inquanto divenire del tutto, èpotentemente incarnata nella«forma smisurata di donna»che l’Islandese incontra inuna regione sconosciutadell’Africa:«Videda lontanounbustograndissimo;chedaprincipio immaginò dovereessere di pietra […] Mafattosi più da vicino, trovò

che era una forma smisuratadi donna seduta in terra, colbusto ritto, appoggiato ildosso e il gomito a unamontagna, e non finta maviva;divoltomezzotrabelloe terribile, di occhi e capellinerissimi;laqualeguardavalofissamente; e stata così unbuono spazio senza parlare,all’ultimoglidisse:“Chisei?Che cerchi in questi luoghidove la tua specie era

incognita?”».È la «Natura». «Questi

luoghi» sono essa stessa. Edessa non sa nulla dell’uomo.Dopo il lungoeappassionatodiscorso dell’Islandese checonfessa alla «Natura» ilmotivo per cui l’ha semprefuggita e tutta l’infelicità cheda essa gli deriva, la«Natura» non si scompone edicepocheparole:

«Immaginavi tu forse che

ilmondofossefattopercausavostra? Ora sappi che nellefatture, negli ordini e nelleoperazioni mie, trattonepochissime, sempre ebbi edho l’intenzione a tutt’altroche alla felicità degli uominio all’infelicità. Quando io vioffendoinqualunquemodoeconqualsisiamezzo,iononme n’avveggo, se nonrarissime volte; come,ordinariamente, se io vi

dilettoovibenefico,iononloso; e non ho fatto, comecredetevoi,quelletalicose,onon fo quelle tali azioni, perdilettarvi o giovarvi. Efinalmente, se anche miavvenisse di estinguere tuttalavostraspecie,iononmeneavvedrei».

La «Natura» sta dicendoappunto di essereincoscienza, nonsenso. NelDialogo il nonsenso dice di

essere nonsenso,l’incoscienza dice di essereincoscienza. E tuttavialamentarsi della «Natura»,inveire contro di essa,rivolgerledomande–comeavolte accade nei Canti – haancora senso. Sanno di nonpoter trasformare il nonsensoinsenso;eledomande(«Chefaitulunainciel?dimmichefai /silenziosa luna?», «Ovesei, che più non odo la tua

voce sonar […]?») nonattendonoalcunarisposta.Malamenti, invettive, domandesonoformedella«forza»concui il canto, nell’opera delgenio, «sente la morteperpetua delle cose e suapropria» (P 261 – un tema,questo, che sarà sviluppatonei capitoli 6-8). Opera delgenio è quella della «nobilenatura».

C’èinfattiancoraunaltro

significato di «natura»(dunque in stretta relazionecon quel tema), che comparenellaGinestra o il fiore deldeserto. Il Vesuvio(«formidabil monte /sterminator Vesevo») èl’icona dell’«empia madre»Natura. Ha reso possibilesulle sue pendici e ai suoipiedi la vita degli uomini el’hadistrutta.Sullasua«aridaschiena» cresce la ginestra,

«contenta» dei deserti. Edessa è l’icona della «Nobilnatura»:

Nobil natura èquellache a sollevars’ardiscegli occhimortaliincontraal comun fato,e che con

francalingua,nulla al verdetraendo,confessailmalche ci fu datoinsorte,eilbassostatoefrale(vv.111-117)

A proposito di questi versicentrali del Canto, su cuiritorneremo più avanti (cfr.

capp. 6-8), qui diciamosoltanto che evidentementequesta«natura»nonsolononè la natura che «madre è diparto e di voler matrigna»,ma non coincide nemmenocon gli altri significati di«natura» che abbiamo soprarilevato.Essaè«nobile».Nonpiange. Ha anzi l’ardimentodi sollevare i suoi occhimortali eguardare il«comunfato». Così come la ginestra

ardisceguardareilvulcanoedè persino «contenta» deldesertoincuiessasitrova.Il«comunfato»èil«malchecifu dato in sorte»: il «giocoreo» dell’«empia madre».«Nobilnatura»:«fiorgentile»(v. 34). La contentezza delfiore è in qualche modoapparentataconildesideriodifelicità della «natura» cheabbiamo incontrato perprima. Eppure tale

contentezza non coincideaffatto con questo desiderio.A questo punto la suapresenza solleva moltiproblemi.Piùdiquantolasuaevocazione ne risolva.Soprattutto perché la nobilenaturanon«detrae»nullaallaverità. Per ora diciamo cheessaèilgenio.

Qui si è voluto rilevareche il linguaggiodiLeopardicontrolla questi diversi

significati della parola«natura»: la «natura»,dunque, come desiderio difelicità, come «natura dellecose», come «naturaprimitiva»e«seconda»,come«empiamadre»e«giocoreo»del «divenire», come «nobilenatura». La «natura dellecose»èchenientesiaeterno,ossia coincide col «giocoreo» e senza senso deldivenire. Questo gioco

produce e distrugge tutto,senza saperlo e senza alcunoscopo, produce quindi anchegli esseri viventi, la cui«natura» è il desiderio divivere felici, che però sicorrompe e diventa «secondanatura». Al culmine della«seconda natura», la «nobilenatura»delgenio.

4

LapartitatrailMitoeilGiocatoreBianco

Da quando abita la Terra,l’uomo, per vivere, sente di

dover agire: di dovertrasformare sé e il mondo incui vive. Altrimenti muore.Sente di dover diventarealtro. Adamo pecca perchévuol diventare Dio. Eritissicutdii,diceilserpentealuie alla sua compagna. «Saretecome dèi.» Non è vero chemorireteseavretemangiatoilfrutto dell’albero dellaconoscenza del bene e delmale. Morirete se rimarrete

quellochesiete.Ilgiardinodidelizie è in realtà unaBarriera. Dio la sorveglia. ÈluistessolaBarriera.Manonriescea impedirecheAdamolapenetri.Locacciaperòdalparadiso terrestre e si rendeinvisibile all’uomo. LaBarriera si ritira e siricompone ben al di làdell’orizzontechegliocchidiAdamo riescono araggiungere.

Lavolontàdivivereesigeil diventar altro, il riuscirecioè, volendo, a ottenere. E,credendo di ottenere, l’uomogiunge a convincersi che lecose, per quanto solidificatenella Barriera divina, nonsono di per sé assolutamenteostili al cambiamento, ma aun certo punto si rendonodisponibiliaessoealleforzedivine e umane che lodeterminano. (Anche divine,

perché Dio, ritirandosi dallosguardo dell’uomo, nonrimane poi inerte, mainterviene continuamentenellevicendedelmondo.Elofanno anche gli dèi che nonfigurano nelle religioni delLibro.) Il diventar altro dellecose del mondo visibile sicolloca quindi ben presto sultronodell’evidenzasupremaeimprescindibile. La visibilitàdel mondo è innanzitutto la

visibilità del diventar altro.Che qualcosa sia «evidente»significa, nell’uomo piùantico, che il qualcosa puòesser toccato, fiutato,veduto,udito,gustato.

Tuttavia, se da un lato lavita dell’uomo è impossibilesenzailsuodiventaraltro,sel’assenza del diventar altro ècioèlamorte,d’altrapartecoldiventar altro la morte siripresenta. Che cos’è

innanzitutto la morte se nonun diventar altro?Continuando a diventar altrol’uomo continua a morire:prima muoiono tutte le fasidella vita che lui, diventandoaltro, si lascia indietro; eglidiventaaltroinmododiverso,diventa cadavere, con cui iprimitivi riescono in varimodi a convivere ossia aconsiderarlo un modo diessere ancora vivi, un modo

dipresentarsiaisopravvissutidapartedi chiha sottratto lapropriavitaallavisibilità.

Maildiventaraltro,incuila morte consiste, suscital’angoscia. Prima, lamorte èilnonriuscireadiventaraltropenetrando laBarriera divinaquanto occorre per vivere.L’angoscia determinata dalnon riuscire a vivere. Poi lamorte è dovuta all’esserviriusciti: è appunto il diventar

altro che si libera in seguitoall’arretramento dellaBarriera.

Tuttavia di essa l’uomo,scavandolaepenetrandola, siè cibato.Mangiando la mela–cioèlaconoscenzacheDiovolevatenerepersé–Adamomangia Dio. Inoltre laBarriera ha ripristinato lapropria inviolabilità inizialecollocandosialdilàdelregnoche l’uomo ha ricavato da

essa; che è sì il regno dellavita,madellavitachemuore.

Dopo aver ucciso ildivino per poter vivere,l’uomo è spinto dunque adallearsi al divino per potertrovare in esso il rimediocontro l’angoscia per lamorte. Il divino è pertantosentito come la potenzasuprema che può semprericostituirsi al di là di ogniampliamento del regno

dell’uomo; è sentito come ladimensione da cui tuttoproviene,equindiancheogniregnoumano;èsentitoalloracome la dimensione dovetutto deve fare ritorno etrovaresalvezzadallamorteedall’angoscia per essa.Questo sentire si esprime nelmito.

Ma il tempo del mitotramonta: irrompe il tempodella forma originaria e

tradizionale del pensierofilosofico;iltempodiciòchestiamo chiamando «ilGiocatore Bianco». Egligioca dai Greci a Hegel. Enonintendecertocomegiocoquel che fa. Anche perchécon lui sulla Terra ha iniziol’evento più decisivo dellastoria dell’uomo: la volontàdiverità,lafilosofia.

La vittoria sulla morte ètroppoimportanteperl’uomo

perchésirassegniadaffidarlaallemanidelmito.Perquantograndesiastatol’aiutochehadato all’uomo nella lottacontro la morte, il mitorimanepursempre,agliocchidel Giocatore Bianco,immaginazione, fantasia,illusione. È soltanto lavolontà – fondata infine sunient’altro che su se stessa –chelarealtàsiafattainmododa soddisfare i desideri

dell’uomo. Assegna allarealtà i tratti che l’uomodesidera che essa abbia.Produce una configurazionedella realtà dimenticando diessere il produttore di questefigure. Per questo il mito ècosì intimamente legato allapoesia. «Poesia» provienedallaparolagrecapoíesis,chesignifica appunto,innanzitutto,«produzione».

La filosofia si fa carico

delcompitodelmito:salvarel’uomo dalla morte.L’angoscia per il diventaraltro, cioè per la morte, èchiamata da Platone e daAristotele tháuma, cheinnanzitutto – cioè primaancora di «meraviglia» –significa «angosciatostupore». Appunto perchéanche il mito scaturisce datháuma, Aristotele dice cheanche chi dimora nel mito,

chi «ama» il mito(philómythos), è in qualchemodo filosofo (philosóphos).Malafilosofiaintendelasciarparlare le cose, nonsovrapporsi a esse con lafantasia e l’illusione. Intendeche siano le cose stesse amostrarsi, uscendo dalnascondimento in cui lafantasia e l’illusione lerinchiudono. E intendelasciare che si mostrino non

in una luce incerta che lerenda ondeggianti e instabili,ma nella luce ferma e constabilità.

Appunto per questo lafilosofia, apparendo sullaTerra, intende la verità comea-létheia (non-nascondimento; ciò che sinasconde è latente) e comeepi-stéme (lo stare che siimpone «su», epi, ciò chevorrebbe smuovere il sapere

ilcuicontenutosta).Tradurreepistémecon«scienza»,comecomunemente accade, èindebolirne essenzialmente ilsignificato. E d’altra partesaràinevitabile,vedremo,cheLeopardi prendaesplicitamente inconsiderazione l’epistéme inquanto tale. Il gigantescolavoro della filo-sofia saràscoprirequalisonoitrattidelsapere (sophía, da saphés:

«chiaro», «luminoso») il cuicontenuto sta senza alcuntremore,echequindinonpuòessere alterato, scosso,negato, né dagli uomini nédagli dèi, né dalla potenza esapienza di un dioonnipotente.

La filosofia che compiequesto lavoro, si diceva, è ilGiocatoreBianco.Affinchéilcontenuto del suo sapere siainalterabile, incontrovertibile,

non tremante, epistémedunque è necessario che talesapere si rivolga al tutto, ecioèchequelcontenutosia iltutto. Se fosse soltanto unaparte, questa, per quantogarantita,sarebbepursempreindifesadall’irruzionedialtreparti prima ignorate, le qualipotrebbero portare con séforme di conoscenza diversee capaci di inficiare lastabilità della parte

inizialmente conosciuta. E,ancora, per potersi rivolgereal tutto è necessarioconoscere in cosa consista ilcarattereperilqualequalcosapuò appartenere al tutto. Siscoprirà ben presto che talecarattere è l’essere; e che iltutto è la dimensione al di làdella quale non c’è alcunessere, ossia l’al di là dellaqualeènulla,l’assolutamentenulla.

D’altra parte l’epistémeevoca il nulla anche perchéessa spinge all’estremo ildiventaraltroedaaltro:comegiàsièdetto(cfr.cap.2)èlafilosofia comeepistéme dellaveritàapensareildiventardanulla e il diventar nulla.Accadequindichelafilosofiaevochil’angosciaestremachesiproducequando lamorteèil diventar nulla.Propriamente, il tháuma da

cui nasce la filosofia e cheessaintendesuperareèquestaestrema angoscia che lafilosofia stessa ha prodotto.Come, nelmito, è la volontàdi diventar altro – per potervivere e, non più soffocatidalla Barriera demonica, perevitare lamorte – a spingerenelle braccia della morte, dicui il diventar altro èl’essenza, così, nell’epistémedella verità, è la volontà che

la vittoria sulla morte sia ilcontenuto di un sapereincontrovertibile a liberare laformaestremadellamorte.

Quindi l’epistéme dellaverità richiede la forma piùpotente di rimedio.L’epistéme si costituiscecome metafisica e ritiene diessere in grado di mostrareche il diventar altro sarebbeimpossibile se, al di là diesso, non esistesse l’Essere

immutabileedeterno,chegiàda sempre e per semprecontiene e conserva tutto ciòche nel diventar altro vieneprodotto e distrutto. Ladottrinaplatonicadelleideeèla prima grandiosaespressione di questoatteggiamento dell’epistéme.La morte è vinta perché ciòche più conta per l’uomo èeternamentesalvoneldivino.Ma la filosofia richiede il

rimedio più potente perché ildiventar altro, in ogni suaforma, èda essa inteso cometrattoessenzialedelcontenutodell’epistéme, ossia comel’evidenza incontrovertibile eassolutamente originaria, laqualenonè il semplice esservedute, toccate, udite dellecose, ma è lamanifestazionedell’unità che raccoglie in séquell’esser vedute, toccate,udite e, insieme, i tratti della

dimensione affettiva ementale: l’«esperienza»,l’unità dell’«osservabile»,l’appariredelmondo.

SipuòdirechequestosiailnucleodellasapienzacheilGiocatore Bianco fa valerefino al XIX secolo e ches’irradia nelle diverse formedi conoscenza e di vita dellaciviltàoccidentale.

5

LapartitatrailGiocatoreBiancoeil

GiocatoreNero

Abbiamo introdotto la parola

«partita» perché è costruitasul verbo «partire», chesignificail«dividersi»,quindil’«allontanarsi» (delle«parti»l’una dall’altra). Ci si puòdividere e allontanare anchedalla verità, e mostrare diessere nell’errore. In questosensochi«hapartitavinta»èla verità. Ma quale verità?ParlandodeidueGiocatori,ciriferiamo al modo in cui laverità è intesa all’interno

della fede nel diventar altro.Edèall’internodiquestafede–stiamopermostrare–cheilGiocatore Nero ha partitavinta.

Può sembrare strano oaddirittura inverosimile cheun«poeta»abbiapartitavintasulla gigantesca sapienzadellatradizioneoccidentale.Eancor più inverosimile se sitien presente che vince lapartitaquandoèpocopiùche

ventenne.Sembrerebbemenoinverosimile – ma solo perqualcuno–seciriferissimoaNietzsche. D’altra parteNietzsche, che mostra diconoscere Leopardi, rispettoalla tradizione occidentalegioca la stessa partita diLeopardi;eanchesenonpuòconoscere i Pensieri compienella sostanza le loro stessemosse(andandopoioltreconla dottrina dell’«eterno

ritorno»).«Io era spaventato nel

trovarmiinmezzoalnulla,unnulla io medesimo. Io misentiva come soffocareconsiderando e sentendo chetuttoènulla,solidonulla»(P85).Dicevonelcapitolo3chequesto pensiero del 1819 èl’anticipazione dei risultati acui Leopardi perviene dueanni dopo attraverso la lorofondazione. La fondazione è

ciò che più conta. È ilmomento decisivo, senza ilqualenonc’èfilosofia.

Senza questa fondazionequel «considerare» e«sentire»èsoltantounafede,uno stato d’animo, chemagari presagiscesemplicemente le cattivecondizioni di salute in cuiLeopardi verrà sempre più atrovarsi lungo la sua brevevita. Nel 1832 Leopardi

scriveva al filologo e amicosvizzeroLuigiDeSinnerunacelebre lettera, in cuiesclamava che «è stato pereffetto della vigliaccheriadegli uomini, che hannobisogno di esser convinti delpregio dell’esistenza, che sisonvoluteconsiderarelemieopinioni filosofiche comerisultato dellemie sofferenzeparticolari, e che ci si ostinaad attribuire alle mie

situazioni materiali ciò chedev’esser attribuito solo almio intelletto [«in base allemie ricerche», aveva scrittopocoprima].Primadimorire[Avant de mourir], miaccingo a protestare controquesta invenzione delladebolezzaedellavolgarità, ea pregare i miei lettori disforzarsididistruggerelemieosservazioni e i mieiragionamenti piuttosto che di

accusarelemiemalattie».«Osservazioni» e

«ragionamenti». Nel giugno1820 (P 140-41) indica ilprimo tratto della suafondazione. Esso riguarda,appunto, l’«osservazione» eindica l’«osservazione»originaria: la «fatale esensibile evidenza».Evidenteè ciò che non richiedenient’altro per essereaffermato;edèessoastareal

fondamento di ciò che non èper se stesso evidente.Ebbene, la«fatalee sensibileevidenza» è l’evidenza della«vanità delle cose», cioè laloro«nullità»,lanullitàcheaesse compete per il lorovenire dal nulla e il lororitornarvi.

Il testo si sta riferendoall’«impossibilità di esserfelice a questo mondo»(corsivo mio) e pertanto

l’evidente «nullità di tutte lecose» non può essere lanullitàdiunaltromondo,chenonpuò essere sensibile, checioènonè«fataleesensibileevidenza». Intendo dire cheLeopardi non stapresupponendoarbitrariamente che tutte lecose–sensibilienon–sianovanitàecheciò siaevidente:che tutte le cose sianovanitàè appunto quanto le sue

osservazioni e i suoiragionamenti intendonofondare.

In questo testo Leopardiaffermainvececheèevidenteche le cosedi questo mondosensibile sono vane e nulle,ossiasporgonoprecariamentedal nulla. «Sensibile»significa innanzitutto esser«presente,manifesto in carneeossa»,epertanto«provato»,«vissuto»dall’uomo.Ciòche

è «sentito» è evidente:«certezza e sentimento vivodella nullità di tutte le cose[di questo mondo] e dellaimpossibilità di esser felici aquesto mondo» (ibid.).L’affermazione di questa«evidenza» è costante negliscritti di Leopardi. NelDialogo di Timandro e diEleandro,peresempio,scrittonel 1824, si legge: «Nessunacosacredosiapiùmanifestae

palpabile, che l’infelicitànecessaria di tutti i viventi»;«necessaria» perché èimmediatamente connessaalla manifestazione epalpabilità della nullità dituttelecosedelmondo.

Fino a questo punto,d’altraparte–edèimportanteribadirlo – il Giocatore Neroè completamente d’accordocolGiocatoreBianco.È anzidal suo inizio greco che la

tradizione filosoficadell’Occidente (il GiocatoreBianco) afferma l’evidenzaoriginaria del diventare nonessere e dal non essere, daparte degli enti. Il GiocatoreNero avrà partita vintapartendo dalle stessepremessedelsuoavversario.

Va anche detto che,all’interno della fede neldiventaraltro,questoaccordoè inevitabile. Ma questa è

un’affermazione che nessunodei due Giocatori puòpronunciare, appunto perchéper essi il diventar altro èl’«evidenza» indubitabile einnegabile, non è una fede.Chesiaunafede,soltantounafede, lo dice il TerzoGiocatore, che per ora stalimitandosi a raccontare lastoriadellapartitatraglialtridue.

Ladifferenza–estrema–

chesussistetraquest’altridueGiocatori sta nel fatto chequello Bianco ritiene che ildiventar nulla e da nullasarebbe impossibile (cioè inse stesso contraddittorio) senon esistesse un Essereimmutabile(ilmondosarebbeimpensabile se non esistesseDio); quello Nero, invece,mostracheildiventarnullaeda nulla sarebbe impossibilese un Essere immutabile

esistesse (impensabile, ilmondo,seDioesistesse).

Leopardi ha ragionenell’individuare nell’Idea diPlatone la forma piùcaratteristica dell’Essereimmutabile. Sin dalleprimissime pagine deiPensieri la chiama«prototipo», cioè «modelloprimario»;pochiannidopoèindicata come il «tipoassoluto, universale,

immutabile, necessario,naturale, preesistente» (P1187). Preesistente: cheesiste già prima (in quantoimmutabile, necessario,eterno) dell’incominciare aesistere da parte delle cosecheesconodalnulla–eche,se è conosciuto dall’uomo, èil contenuto di unaconoscenza «innata». L’Ideaèilmodelloacui lecosedelmondo debbono

necessariamenteadeguarsi.Ora, l’«esperienza» è

costituita «dalle nostresensazioni». In P 1339 (checonlepagine1340-42,scrittenel1821,formaedesprimeilnucleo della mossa vincentedel ventitreenne GiocatoreNero) si afferma chel’esperienza «deriva» dallenostresensazioni.Masitrattadel «derivare» per il qualel’esperienza è appunto

l’insieme, l’unitàdellenostresensazioni. L’esperienza e lesensazioni sono l’evidenzaoriginaria e indubitabile. Le«sensazioni» infatti, perLeopardi, non sono semplicidati di senso privi dicoscienza: sono la coscienzadellaloroindubitabilità.

«Nostre maestre», esse«c’insegnano» qualcosa diessenziale e di decisivo.«C’insegnano che le cose

stanno così, perché cosìstanno, e non perché cosìdebbanoassolutamentestare»(P1339-40),ossialodebbonoperché i loro prototipi glieloimpongono. Nell’esperienzale cose si presentano cioè inun certo modo. L’esperienzamostra la voce, il volto, lagioventù e la primavera diSilvia.Mostrachecosìstannole cose. Ma non mostra checosì debbano assolutamente

stare.Anzi,mostrachequellavoce,quelvolto,lagioventùela primavera sono passati.«[…] Ahi come, / comepassata sei, / cara compagnadell’età mia nova, / mialacrimata speme!» Sonopassati come sono venuti.L’esperienza mostra cheSilvia ha incominciato aessereecheprimanonera,epertanto ha incominciato aessere venendo dal nulla di

ciòche,nellasuadeterminataindividualità, è stata;l’esperienza inoltre mostrache Silvia ha cessato diessere, non è più ed èdiventata nulla. Non sarà«mai più». E l’evidenzadell’esperienza non puòesseresmentita.

MaseesistesseunEssereeterno, se l’Idea esistesse, seesistesse il «tipo assoluto,universale, immutabile,

necessario, naturale,preesistente», cioè esistenteprimaedopol’esistenzadellecose del mondo, alloraesisterebbe il modello alquale è necessario che talicose si adeguino, ossia ilmodello per il quale le cosestanno così perché cosìdebbonoassolutamentestare.

In tal modo,l’ammaestramentodell’«esperienza» e delle

«sensazioni», che èl’evidenza indubitabile – eche è evidenza indubitabileanche per Platone e per ilpensiero dell’Occidente ingenerale – verrebbe a esseresmentito, negato. Se le cosestanno così perché l’Ideaimpone loro di essere comestanno, esse non sonopiù unvenire dal nulla e unritornarvi,masonounveniredagli ordini del preesistente

edeternoOrdinamentodivinosecondo il quale il mondoesiste, e un ritornare a taleOrdinamento. L’esistenzadell’Idea e di ogni Eternotrasforma in ente il nulla dacui gli enti sporgonoprovvisoriamente, cioècancella il divenire, ildiventaraltro.

Ma l’evidenza deldiventar altro non può esseresmentita.

Dunquequell’Ordinamento non puòesistere. Dunque nessunEssere eterno può esistere.«In somma, il principiodellecose […] è il nulla». E,ormai,ilnullaèilprincipioditutte le cose. «Certo è che,distrutte le forme Platonichepreesistenti alle cose, èdistrutto Iddio» (P 1340).Leopardi fonda la necessitàdella «morte di Dio»

sessant’anniprimachevengamostrata dallo Zarathustra diNietzsche, emostrata con unandamento concettualeanalogoaquellodiLeopardi.

Propriamente, all’iniziodel Pensiero che terminaaffermando la distruzione diDio,iltestodice:«Insomma,ilprincipiodi tutte lecose,ediDiostesso,è ilnulla».Mail fatto che al termine diquesto stesso Pensiero, cioè

dopo una trentina di righe,Leopardi scriva che, distruttele Idee platoniche, «èdistrutto Iddio» non èun’incredibilecontraddizione.Il Dio a cui si riferisceall’iniziononèinfattiilDioacui si riferisce alla fine. (Enon mi sembra unacircostanza del tuttoestrinseca che all’inizioLeopardi scriva «Dio» einveceallafine«Iddio».)

Giànel1820,infatti,inunaltro grande gruppo diPensieri, dedicato alcristianesimo, Leopardiscrive:«Lanaturaè lostessoche Dio» (P 393). Stariferendosi alla natura come«desiderio infinito delpiacere»,ossiacome impulsoacoprirelaveritàangosciantedella nullità e vanità dellecose. Al di là di ciò che ilcristianesimo crede di sapere

del suo Dio, il Dio delcristianesimo è, in verità,quell’umano desiderioinfinito. Tale desiderioproibisce ad Adamo diconoscerelaverità;glidicedinon conoscerla, se nonvuolemorire. Si tratta di una delleinterpretazioni più originali eprofondedelcristianesimo.

Ma intanto è chiaro che,in P 1341-42, mostrandol’inesistenza di ogni Essere

eterno, Leopardi stamostrando che il nulla è ilprincipioanchedel«desiderioinfinito di felicità», ossia diquesto«Dio»cheèlanatura.Qui sta dicendo che, neldivenire, il principio da cuiprovengono tutte le cose,quindi anche la natura-desiderio-Dio,èilnulla.Allafine di questo Pensiero,invece, quando sostiene chela «distruzione» delle Idee

platoniche preesistenti è la«distruzione» di Dio,Leopardi intende affermareche le Idee e il Dio comeEssere eterno non sono maiesistiti,echela«distruzione»di cui egli sta parlando èl’accertamentodell’impossibilità di taleesistenza. La morte di Dionon è cioè un processo, unrealedivenireincuidapprimaDio esiste e poi non esiste

più; ma l’accertamento chel’Essere eterno è solo ilcontenutodiunaimmensaederroneaillusione.

Il genio filosofico diLeopardi conducel’Occidente di fronteall’impossibilità di negare lanullità e la vanità delle cose.Conduce inevitabilmente allospettacolo spaventoso dellaverità, ossia a ciò che ingeneresitememache–privi

di quel genio, e avendo delresto «bisogno di esserconvinti del pregiodell’esistenza» – si puòcredere che non esista, cometuttora avviene negli epigonidellatradizioneoccidentale.Èquel genio a mostrare che lavera e insuperabilecondizione umana, al di làdelle illusioni, è la nullitàdella vita: «Io era spaventatonel trovarmi in mezzo al

nulla, un nulla io medesimo.Iomi sentivacomesoffocareconsiderando e sentendo chetuttoènulla,solidonulla».

6

Ilfilosofo,ilpoeta;loroseparazioneeloro

unità

Il Giocatore Nero ha partita

vinta giocando sulla stessascacchiera di quello Bianco.Non si tratta di unaconcessione, quasi che ilGiocatoreNeroabbiaunasuapropria scacchiera alla qualeabbia provvisoriamenterinunciato: il GiocatoreBianco, infatti, ha preparatola scacchiera su cui giocal’intera storia dell’Occidentee ormai del Pianeta. È ilBianco, infatti, ad aver

evocatoquella formaestremadel diventar altro che è ildiventar nulla e da nulla, eche, rigorosamente pensata,conduce inevitabilmente adaffermare che il nulla è ilprincipio di tutte le cose. Inaltre parole, è il Bianco adaver evocato l’epistéme dellaverità,nellaqualesiafferma,per la prima volta, quellaforma estrema del diventaraltro che ancora essa

consideracomeindubitabileefondamentaleevidenza.

Leopardi, dopo averrichiamato un passo diDiogeneLaerzio,dovesidicecheperSocrate«vièunsolobene, l’epistéme, e un solomale, il non sapere [tenamathían]», commenta:«Oggidì possiamo dire tuttol’opposto, e questaconsiderazione può servire adefinire la differenza che

passa tra l’antica e lamoderna sapienza» (P 231,settembre 1820.) Possiamodiretuttol’opposto,nelsensoche, avendo avuto partitavinta sul Giocatore Bianco,dobbiamo dirlo. E «tuttol’opposto»èchevièunsolobene, il non sapere (a-mathía), e un solo male,l’epistéme (máthos): laconoscenza della verità. Èquestaconoscenzaafarsìche

il Giocatore Nero, appena viperviene, «si senta comesoffocare considerando esentendo che tutto è nulla,solidonulla».

In questa fase della suariflessione–nellafasecioèincuiLeopardi, comevedremo,considerasolounodei fattoridella situazione in cui ci sipuò trovare conoscendo laverità – egli giunge a farpronunciare da Eleandro, nel

Dialogo di Timandro e diEleandro, la condanna piùradicale della filosofia inquanto conoscenza dellaverità.EleandroèilGiocatoreNerochecondannasestesso.Dice: «Dunque s’ingannanograndemente quelli chedicono e predicano che laperfezionedell’uomoconsistenella conoscenza del vero, etutti i suoi mali provengonodalle opinioni false e

dall’ignoranza,echeilgenereumano allora finalmente saràfelice, quando ciascuno o ilpiù degli uominiconosceranno il vero». Saràinvece necessario affermareche le verità della filosofia«debbano essere ignorate odimenticate da tutti: perchésapute, e ritenute nell’animo,non possono altro chenuocere. Il che è quanto direche la filosofia si debba

estirpare dal mondo» e che«l’ultima conclusione che siricava dalla filosofia vera eperfetta,siè,chenonbisognafilosofare.Dalches’inferisceche la filosofia,primieramente, è inutile,perchéaquestoeffettodinonfilosofare [ossia: per arrivarea non filosofare] non fa dibisogno esser filosofo;secondariamente èdannosissima, perché quella

ultimaconclusione[ossiacheè dannosissima] non vi siimpara se non alle propriespese,eimparatachesia,nonsi può mettere in opera, nonessendo in arbitrio degliuomini dimenticare le veritàconosciute […]. In somma lafilosofia, sperando epromettendo a principio [inunprimo tempo]dimedicarei nostri mali, in ultimo siriduce a desiderare invano di

rimediareasestessa».Il nome «Eleandro»

significa «colui che nutrepietà» (o il «nutrir pietà»,eleéin) per l’uomo (anér).Avendopietà,tentadievitareche gli uomini conoscano laverità. (È lo schema delGrande Inquisitore diDostoevskij, dove Ivan è inqualche modo un alleato delGiocatore Nero.)Propriamente, ha pietà per la

gente comune; e Leopardicondanna la Rivoluzionefrancese in quanto volontàche la Dea ragione – quindi,in sostanza, la filosofia –divenga la Dea delle masse.Eleandro-Leopardi crede chela filosofia dell’Illuminismoapra la strada aldisincantamento al quale egliè pervenuto. Leopardi scriveerendenotalaveritàsoltantoaidottidelsuotempo,versoi

qualinonsisenteindoveredinutrire troppi sentimenti dipietà.

Eppure, come abbiamoincominciato a dire sopra, inquesto capitolo, Eleandroesprime solo una fase dellariflessione di Leopardi sullaverità: solo uno dei fattoridella situazione in cui ci sipuò trovare conoscendo laverità.

Nel canto La ginestra

compare la «nobil natura»(cfr. cap. 3). E in posizionecentrale,vv.111-117,giacchéla ginestra è la stessa nobilenatura.

Nobil natura èquellaChe a sollevars’ardiscegli occhimortaliincontra

al comun fato,e che confrancalingua,nulla al verdetraendo,confessailmalche ci fu datoinsorte,eilbassostatoefrale;[…]

Compare,qui,unanaturache«s’ardisce». Per Eleandro

inveceèpietà,nonardimento,nascondere la veritàall’uomo. All’opposto, lanobile natura ha l’ardimentodisollevaregliocchisul fatocomune, ilmaledatoinsorteall’uomo, guardando laverità: «nulla al verdetraendo»,senzanasconderealcunchédiciòchediessafapiùmale.Eguardarelaveritàè il compito della filosofia.Allanobilenaturacompetedi

essere filosofo, anche se nonlecompetesoltantoquesto.

Essendo nobile, lafilosofianonèdunque, comeinvece afferma Eleandro, né«inutile»,né«dannosissima»,né «si riduce a desiderareinvano di rimediare a sestessa». Eleandro, d’altraparte, parla della filosofiaconsiderandola nel suoisolamento,nelsuononesseraccompagnata da nient’altro;

e in questo senso il discorsodi Eleandro è ineccepibile.Ma se la nobile natura nonpuò non pensare la verafilosofia, essa non è soltantoquestopensare.

Leopardi sa bene chenobilis è riconducibile anosco e che quindi indicacoluialqualespettadiesserenoto, riconosciuto, visibile,celebrato. Alla nobile naturaspetta di essere riconosciuta

perché, innanzitutto, conoscela verità: vede il «comunfato»: l’inimicizia (Laginestra,v.126)chel’«empianatura» (v. 148) ha perl’uomo (l’empia natura,nemica sia della nobilenatura, sia della natura inquanto desiderio infinito difelicità). Vede quindi lastoltezza(v.138)dellaguerratra gli uomini, chedimenticano la comune

nemica, «e tutti abbraccia /converoamor»(v.132).Nonl’amoreelapietàdichicredenell’esistenza di un Dioeterno da cui può essersalvato. Se la pietà diEleandroglifadirecheperlagente è estremamentedannoso conoscere la verità,lanobilenaturapensa invecechelaconoscenzadellaverità(il«veracesaper»,v.151)daparte dei popoli possa

ricostruire in essiquell’originarioatteggiamento di solidarietàche consente loro didifendersi per qualche tempodall’ostilità dell’«empianatura». Quando questoavverrà,alloralagiustiziaelapietà avranno un sensodiverso da quello da essemostratoquandononsivuolevedere lanullitàdiognicosa(«e giustizia e pietade, altra

radice/avrannoallorchenonsuperbefole»,vv.153-54).

Ma, ancora una volta, ilpensiero di Leopardi non sista contraddicendo, perdendoil controllo delle proprieaffermazioni. All’opposto,esso è straordinariamenterigoroso.

Primo: Leopardiconsideral’atteggiamentochenell’Infinito ha una delle suepiù alte espressioni,

l’atteggiamento dell’animache si rifugia nell’illusione(l’illusione che l’uomo sipossa salvaredalnulla),vi sichiude, si isola dalla veritàterribile, e quindi, nonpotendo nemmeno saperealcunché del suo essereillusione e di questo suorifugiarsi e chiudersi in essa,vive e sente come realtàl’infinito e l’eterno.L’illusione in cui l’anima si

chiudeèlapoesia,ilcanto.ELeopardi non si limita aconsiderareilcanto,macantanelmodopiùalto.(Etuttavia,considerando questoatteggiamento, Leopardi staal di sopra di esso: è ilfilosofare che comprende ilsensodelpoetareedelcanto.)

Secondo: Leopardiconsidera l’atteggiamentoopposto, come accade nelDialogo di Timandro e di

Eleandro; dove, appunto, siconsiderailpurofilosofare(siconsiderailconsiderare),cioèla filosofia chiusa in sé eseparata dalla poesia, dalcanto.

Terzo:Leopardiconsideral’unità dei due atteggiamenticui nelle prime dueconsiderazioni ha guardatoseparando l’uno dall’altro.Uno dei culmini di questoguardare a tale unità è La

ginestraoilfioredeldeserto.Laginestraèuncanto.Cantal’unità del canto, ossiadell’illusione, e della verità.La nobile natura è questaunità. Anche nei Pensieriquesta unità è ampiamente ebenprestopresente.Espessol’andamentodiquestiappuntiha la grandezza di un canto.Si trattadicapireperchée inche senso l’unità del canto edella conoscenza della verità

non sia un’inguaribilecontraddizione.

NellaGinestralapoesiaèpoesia dell’unità della poesiae della visione della verità.Nella poesia di questa unitàc’èlapoesiachecontienetaleunità,echeèlosplendoredelcanto La ginestra, e c’è lapoesia cantata. La poesiacantataèappunto laginestra,ilfioredeldeserto.

Qui su l’aridaschienadel formidabilmontesterminatorVesevo,la qualnull’altroallegra arbornéfioretuoi cespisolitari intornospargi,

odorataginestra,contenta deideserti.[…](vv.1-7)

«Qui», è la prima parola delcanto.Lapuòdirechisitrovalì,dovesitrovalaginestra.Elì si trova il cantore.Lo diceeglistesso:

Sovente aquesterive,che, desolate,abrunoveste il fluttoindurato, e parcheondeggi,seggo la notte;[…](vv.158-61)

Einquestostarenotturnodelcantoresirispecchialarovina

cheavvolgeilfioregentile:

[…] Or tuttointornoUna ruinainvolve,dove tu siedi,o fior gentile,[…](vv.32-34)

Ilcantorevedesestessonella

ginestra. Anche perché eglivede se stesso nella nobilenatura, la quale «tuttiabbraccia /converoamor»eporgeloroaiuto(vv.132-35),così come, dice il cantorerivolgendosialfioregentile,

[…]equasii danni altruicommiserando,alcielodi dolcissimo

odormandi unprofumoche il desertoconsola.[…](vv.34-37)

Il deserto è l’uomo. L’empianatura (di cui il Vesuvio«sterminatore» è l’icona) loha reso un deserto. Laginestra lo consola col suoprofumo. Il cantore è lanobile natura; essa è il

cantore, è cioè la ginestra. Ilprofumoèilcantodelfiore;ilprofumo è la poesia.Cantando la ginestra, Laginestracantalapoesia.Maèuna poesia che viene cantatadalla nobile natura e quindinon detrae nulla alla verità:poesia che sta unita allaverità. La nobile natura èquestaunità.Leopardichiama«genio»questaviventeunità.La ginestra è un’opera del

genio.Certo, la presenza della

ragione nell’uomo introduceinluiunacontraddizione:eglidesidera la felicità, vuoleilludersi, ma la ragione,mostrandogli la verità, glimostra che la felicità èimpossibile; tuttavia èinevitabile che nell’opera delgenio la visione della veritàsia unita all’illusione: aquell’illusione che è la

potenzaconcuil’operacantalaverità.

7

Lucidellamorteedelcanto

Sedici anni prima dellaGinestra, Leopardi aveva

scritto: «Hanno questo diproprioleoperedigenio,chequando anche rappresentinoal vivo la nullità delle cose,quando anche dimostrinoevidentemente e faccianosentire l’inevitabile infelicitàdella vita, quando ancheesprimano le più terribilidisperazioni, tuttavia aun’animagrande,chesi troviancheinunostatodiestremoabbattimento, disinganno,

nullità […], servono sempredi consolazione» (P 259,ottobre 1820). Laconsolazionedelfiorechecolsuo profumo «il desertoconsola». Infatti un’opera èdel genio quando in essa «lostesso conoscerel’irreparabile vanità e falsitàdiognibelloediognigrandeè una certa bellezza egrandezza che riempiel’anima»(P 260).Tale opera

è quella dell’arte e dellafilosofia (P 1189). Il genio el’«animagrande»checapiscelasuaoperavedonochetuttoè preda del nulla, ma lapotenza con cui lo vedono litrattiene, sia pureprovvisoriamente, al di fuoridelnulla.

L’«anima» che capiscel’opera del genio è «grande»perché è essa stessa genio.Nel Pensiero del 1820 si

guardaallasalvezzadeigeni,eancheper loro,per ipochi,l’unica salvezza possibile èbreve:nellaGinestrasipensauntempofuturoincuil’operadel genio possa diventarepalese a tutti («Così fattipensieri / quando fien, comefur,palesialvolgo»,vv.145-46);maancheperlaginestra,che è la nobile natura delgenio, la salvezza è breve:«anche tu presto alla crudel

possanza / soccomberai delsotterraneo foco» (vv. 300-01).

Le opere del genio«dimostrano evidentemente efanno sentire» il nulla el’infelicità: alla crudele«possanza» del fuoco, cioèdell’annullamento,oppongonola«forza»concuirendono palpabile e fannosentire quel fuoco. «Ilsentimento del nulla è il

sentimentodiunacosamortaemortifera»(P 261). Il nullauccideilsentimentoconcuièavvertito. È appunto«mortifero»;edopoaverresoindifferente e insensibile chilo sente, lo annulla.(«Giacché non è piccoloeffetto della cognizione delgran nulla, né poco penoso,l’indifferenza e insensibilitàche [tale cognizione] inspiraordinarissimamente, e deve

naturalmente inspirare, sopralo stesso nulla», ibid.).Leopardi chiama «noia»questosentimentomortifero.

Ma nel genio ilsentimento del nulla è vivo,potente, e allora «la suavivacitàprevale»sullanullitàdi ciò che tale vivacità fasentire: «l’anima riceve vita,senonaltropasseggiera,dallastessa forza con cui sente lamorte perpetua delle cose e

suapropria»(ibid.).Quelche«veduto nella realtà dellecose accora e uccidel’anima», veduto invecenell’opera del genio «apre ilcuoreeravviva»(P260).Ciòchesifavederenellarealtàèlaverità,elaveritàfavedereil nulla di ciò che è reale.Questa visione uccidel’anima,larendeinsensibileeindifferente.Ma la forza concuiilgenioesprimelavisione

della verità fa sì che talevisione apra il cuore e loravvivi, faccia sentire vivi,capacidiresisterealnulla.

E il genio si sente benvivo nella cura appassionatachehaperilsuolavoroeperil suo mostrare la nullità diogni cosa e sua propria.È lacura estremamenteappassionatachehaLeopardiper il proprio modo diesprimere quella nullità. Egli

stesso, nel rilevare quanto«studiosamente» il genio laesprima (ibid.), rinvia allepagine 214-15 del suomanoscritto, dove egli parladisé,eallargandoildiscorsoa«tuttigliscrittori»ea«tuttiifilosofi»che,«dipingendoladisperazione e loscoraggiamento totale dellavita», hanno la potenza delgenio, si chiede: «Ebbene?Contuttalalorodisperazione

passata, con tutto chescrivendo sentisserovivamentelanaturaelaforzadi quelle acerbe verità epassioni che esprimevano[…], e per conseguenzasentissero e avessero quasiperlemaniilnulladellecose,tuttavia si prevalevano [siservivano] del sentimentostesso di questo nulla permendicar gloria […], e coldesiderio della morte

vivamente sentito, evivamente espresso, noncercavano altro che diprocurarsialcunipiaceridellavita».

Che l’anima riceva vitadalla forza con cui sente lamorte delle cose e la proprianonèperòunasituazionechesiproducesoltantonell’operadelgenio.Qui siproducenelmodo più potente, perchédopol’irruzionedellaragione

nell’uomoilgenioproduceleillusioni più potenti. Ma visono altri modi, cheriguardano tutti coloro chesoffrono. Il Pensiero 140-41(scritto qualche mese primadi P 259-60) dice peresempio: «Il dolore o ladisperazione che nasce dallegrandi passioni e illusioni oda qualunque sventura dellavita, non è paragonabileall’affogamento che nasce

dalla certezza e dalsentimento vivo della nullitàdi tutte le cose». Questo«affogamento» (che è ilsoffocamentodicuiparlainP85) è ben peggiore di queldolore. (Tale dolore nascedalle grandi illusioni, nelsenso che si produce quandoaesse subentra ladelusione.)Infatti quel dolore «ha piùdella vita» – possiedemaggiormente il carattere

dellavita–,«èpienodivita»,mentre l’altro dolore, checonsiste inquell’«affogamento»,«ètuttomorte». Tanto che, rispetto aesso, lamorte stessa «è cosapiùviva».Mentreesso«èpiùsepolcrale, senz’azione senzamovimento senza calore, equasisenzadolore».Ancheinquesto caso, quindi, il doloreche nasce dalla sventura, eche quindi vede inmodopiù

omeno esplicito la nullità diciò che si ama, riceve vitadalla forza con cui sente lamorte.Poichélanobilenaturavede e sente con maggiorforza la morte, tale natura(che può esistere solo se laragione l’ha corrotta) è lamaggior sofferente. Ma c’èquell’altro dolore «piùsepolcrale» «e quasi senzadolore»cheèla«noia».

D’altra parte, se

conoscere lanullitàdi tuttoèconoscenzadellaverità,allora– e Leopardi lo rendeesplicito – anche la stessa«forza» con cui l’anima delgenio conosce la verità èillusione, ossia opera dellanaturacomedesiderioinfinitodi piacere, di vita felice; e,perottenereciòchedesidera,ildesideriodeveilludersi.Daquando la ragione ha fattoirruzione in questa natura, la

nobile natura è la forma piùalta di tale desiderio. In essal’illusione è unita alla veritànonperchél’unapossaessere(contraddittoriamente) l’altra,maperchélapotenzaconcuiil genio esprime la verità,cioè la vittoria del nulla sututto, gli dà l’illusione dipoter vincere il nulla e inqualche modo di essereeterno.

Lanobilenaturadel fiore

del deserto continua aesprimere lapropria finitezzae non eternità. Il suo cantocontiene alcuni dei momentipiù alti della lirica di ognitempo.Peresempio ilgrandenotturno dove il poeta,sedendo sulle «rive»«desolate» del vulcanoguardailcielo.

Un «crescendo», dove ilfuoco«indurato»dellalavasiscioglie e si rispecchia,

sempre più vasto, nel«purissimo azzurro» (vv.158-185): «Veggo dall’altofiammeggiar le stelle» cheagli occhi «sembrano unpunto,/esonoimmense»,«equando miro / quegli ancorpiù senz’alcun fin remoti /nodi di stelle», ai quali nonsolo l’uomo e la Terra, maperfino l’«aureo sole» e lenostrestellesonosconosciuti,«al pensier mio che sembri,

allora,oprole/dell’uomo?».Certo, questa prole è

nulla,malapoesia,checantal’infinito fiammeggiare dellestelle,riesceacontenereinséquell’infinito e a mantenersiin qualche modo al di sopradeltempo.IlcantoL’infinito,dovelapoesianonviveunitaalla filosofia, si illude chel’infinito sia il contenutoreale a cui essa si rivolge.Nella Ginestra, dove invece

la poesia vive unita allaverità, e pertanto allafilosofia, il canto evoca ed èesso stesso l’infinito, nelsensochel’infinitoèlaformadel canto, l’«aura» che èpropriadelpoetico(P 136) echeavvolgelaveritàterribiledelsuocontenutoreale.

Prima di dare inizio alcanto della Ginestra,LeopardiriportaunpassodelVangelo dell’apostolo

Giovanni: «E gli uominivollero piuttosto le tenebreche la luce» (III, 19).Ma nerovesciailsenso.Lacitazioneè dolentemente ironica. PerGiovanni la «luce» (phos) èCristo, che però riesce infineavincere lamorte;Leopardi,invece,hamostratoormaichela luce èquell’unitàdi veritàe di poesia che si producenellanobilenaturadelgenio,dove la verità è la vittoria

definitiva della morte e delnulla. Il fuoco del vulcano èl’immagine della morte. Ilfiore gentile sta sull’«aridaschiena»dellamorte.CiòcheperGiovanniè«laluce»,perLeopardisono«letenebre».

Certo,anchequelfuocoè«luce»: «sinistra face» (v.284). Essa si rispecchianell’uomo e nell’uomodiventatonobilenatura:c’èil«peregrino», il viandante che

vede e in cui si rispecchial’aggirarsi del fuoco sinistrotralevuoterovinediPompei;e ci sono le opere del genioche «raccendonol’entusiasmo»(P260).

Riaccendono l’«essereispiratidaldio»,iltrovarsiinqualche modo dinanziall’eterno e all’infinito.Accendereprovienedallatinocandere, «essere abbagliante,splendente», e questa è

appunto la proprietà della«luce». L’opera del geniorimette in luce il trovarsi inqualche modo dinanzi aldivino,eternoeinfinito.

Sisonocioèpresentatitresensi della «luce», che siimplicano a vicenda: la lucedelfuocoannientante(laluceterribile della verità); ilrispecchiarsi di esso nellacoscienza dell’uomo, chetenta di difendersene con le

illusioni procacciategli dallanatura (in quanto desiderioinfinito del piacere); ilrispecchiarsi di tale fuoconella potenza con cui vieneespressonell’operadelgenio.

Lo «scheletro» della cittàdistrutta dal vulcano vienedissepolto:

e dal desertoforodiritto infra le

filedei mozzicolonnati ilperegrinolungecontempla ilbipartitogiogoe la crestafumante,che alla sparsaruina ancorminaccia.E nell’orror

della secretanotteper li vacuiteatri per litemplideformi e perlerottecase, ove iparti ilpipistrelloasconde,come sinistraface

che per vòtipalagi atras’aggiri,correilbagliordella funerealava,che di lontanperl’ombrerosseggia e ilochi intornointornotinge.(vv.274-88)

Iprimiduesensidella«luce»sonoquinominati:ilbaglioredellalavaeilsuodiffondersi,oltre che nelle rovine dellacittà, nell’attonitacontemplazione del«peregrino». Il terzo sensodella «luce», qui, non ènominato,maèilnominante,la luminosa potenza dellapoesia che nell’atto in cuimostra l’orrore dell’oscuritànotturnadove spicca il fuoco

annientante sembra sollevarsisu di esso, diffondendo unaluce diversa. La stessa deiversi158-85,chesisollevaaldi sopra del pur infinito«fiammeggiare», nel«purissimoazzurro»,distellee di «quegli ancor piùsenz’alcun fin remoti / nodiquasidistelle»,«cuidilontanfa specchio il mare», e ilcantore vede «tutto discintille in giro / per lo vòto

serenbrillareilmondo».Il«purissimoazzurro»eil

«vòto seren» guardano dalontano «la mesta landa» sucui siede il cantore; e il«sereno» è «vuoto», il vuotodel nulla, e non puòrasserenare l’uomo, perchéquel brillare del mondo è laproiezionesul tuttodelfuocoannientante del vulcano; oquesto fuoco è il prenderforma sulla Terra del fuoco

cosmico (il «fuoco e le«fiamme» annientanti di cuiparla il Frammento apocrifodi Stratone da Lampsaco).Nell’incessante produzione edistruzione di cose e mondi,dove solo lamorte e il nullasono l’eterno, quella serenitàè la totale indifferenzadell’«empia natura» per lasortedell’uomo.

Nel canto, l’annientantefiammeggiare del tutto è

nominato. E tuttavia il cantonominante ha l’ardimento disollevare gli occhi e di tenerfermo lo sguardo sulnominato («Nobil natura èquella / che a sollevars’ardisce / gli occhi mortaliincontra/alcomunfato»):

Sovente aquesterive,che, desolate,abruno

veste il fluttoindurato, e parcheondeggi,seggo la notte;e su la mestalandain purissimoazzurroveggodall’altofiammeggiarlestelle,cuidilontanfaspecchio

ilmare,etuttodi scintille ingiroper lo vòtoserenbrillareilmondo.E poi che gliocchi a quelleluciappunto,(vv.158-67)

Sesiconsiderailmodoincui,nel canto, la luceannientante

è guardata, allora essa èsovrastata dalla luce delcanto: ilpurissimoazzurro, ilfiammeggiare e brillare dellestelleedelmondoeilserenolascianosottodisélapropriaforma minacciosa e sonotratti dell’entusiasmo delcanto, la luce della suapotenza. E nel cantol’immagine della «sinistraface»chenellanottecorretrairestidiPompeinonhanulla

di sinistro, ma «par cheingrandisca l’anima dellettore, la innalzi e lasoddisfaccia di sé stessa edella propria disperazione[…],el’animaricevevita,senon altro passeggiera, dallastessa forza con cui sente lamorte perpetua delle cose esuapropria»(P261).

8

Lapotenzadellanobilenatura

A questo punto della partitatra il Giocatore Bianco e

quelloNero(doveilTerzo,insostanza, si è fatto sentirequasi solo per descriverla),c’èforsebisognodidissipareun malinteso che potrebbesorgereapropositodiquantosi è detto nel capitoloprecedente sulla «nobilenatura» e sull’«opera delgenio».

Varibaditocioè,secenefossebisogno,cheilpensierodi Leopardi non ha nulla da

spartire con l’atteggiamentodell’«anima bella» che, diceHegelnellaFenomenologia,èquel «rifiuto dell’azione nelmondo» che del resto «portaalla perdita di sé». Non hanulla a che vedere colrifugiarsi nell’«opera d’arte»,nel sentimento «estetico» o«intimistico», onell’«umanesimo», dove sicrede ingenuamente di poterprescindere dalle forze che

agiscono nel mondo, comequelle delle armi, dellapolitica, dell’economia, dellascienza moderna, dellatecnica.Ciònonsignificachele anime belle stiano dallapartedelGiocatoreBianco:lesi può trovare sia al suoseguito sia al seguito delNero. In altre parole,Leopardi le tiene lontane dasé nel modo più fermo. Ilpensiero di Leopardi è la

dottrina della volontà dipotenza. Risulta soprattuttodaquanto si è richiamato sinqui a proposito della lottadell’uomo contro il nulla, eda qualche precisazione cheverràoraintrodotta.

Per non morire soffocatodalla Barriera cheinizialmente lo circonda, si èdetto, l’uomo deve diventaraltro e far diventar altro ilmondo.Ma in tal modo egli

evoca daccapo la morte, allaquale credeva di esseresfuggito, in quanto essaappartiene all’essenza deldiventar altro. Ed evoca laforma estrema della morte:quellachesiproducequandoil diventar altro è pensato evissutocomeildiventarnulla(cfr. cap. 4. Un quadro,questo ora richiamato, che èpiùvolteconsideratoneimieiscritti,machenoncostituisce

ancora l’essenza del TerzoGiocatore: potrebbe infattivenir tratteggiato anche daglialtridue).

Lalottacontrolamorteèl’agire originario dell’uomo.Ogni altro agire ne è unaconseguenza. Secondo unodei modi centrali in cuiLeopardi ladefinisce, la lottacontro lamorteè la«natura»come desiderio infinito dipiacere, cioè di vita, giacché

per esser desiderata essa nondev’essere vita infelice ma,appunto,piacere.Elavolontàdi vita è volontà di potenza:per vivere, sia pure una vitabreve, è necessario averepotenza sulla morte, sulleforze che a essa conducono;insomma è necessario agire.L’uomo è essenzialmente unessere pratico. Ogni tipod’uomo lo è. Anche l’uomoreligioso, contemplativo,

metafisico,chesirivolgeesialleaalla supremapotenzadiDiovedendoinluilasalvezzadallamorte.

Ma «la ragione è nemicadellanatura»(P15).Leopardiincomincia ad affermarequesto principio già neiprimissimi Pensieri(osservando, a tal proposito:«Gran verità, ma bisognaponderarle bene»). «Laragione è nemica di ogni

grandezza; la ragione ènemicadellanatura;lanaturaè grande, la ragione èpiccola». Non perché laragionerimpiccioliscaciòcheè grande, ma perché vede lapiccolezza di tutto, cioèl’incapacità di ogni cosa diesseregrandeediresisterealnulla;mentrelanatura,cheè«dominata dalle illusioni»,ingrandisceilpiccoloeriescea far sì che le «imprese», le

azioni, siano grandi.«Esempio: l’impresa diAlessandro: tutta illusione»(ibid.).

Dunque è già uomopratico il Giocatore Bianco.Quello Nero gli obietta diadottare però una pratica chein fondo risulta incapace divincerelamorte.IlGiocatoreNero non ritiene di poterlavincere, ma afferma che, perquelpococheèconsentito,si

puòviveresoloadottandounapratica diversa da quellasostenuta dal suo avversario.Affidando cioè non a Diol’agire salvifico, maall’uomo, e affidandogli,come forma suprema, piùefficace e ultima dell’agire,non l’azione religiosa,morale, politica, economica,tecnica, in quanto guidatedalla ragione, ma l’azionepoetica, peraltro a sua volta

unita alla ragione. «Poesia»,ripetiamo, proviene dallaparola greca poíesis, cheinnanzitutto significa«produzione». Si agisce solosesiproduceciòchetieneperun poco lontana la morte.Dopo il fallimento di ognialtra forma di azione,Leopardivedenelcantodellapoesia, cioè nell’opera delgenio, l’ultima difesa controilnulla.

Questo discorso facomprendere, tra l’altro,come«il cristianesimo debbaaverresol’uomoinattivo»(P253). Nel cristianesimo,«l’uomo considera questaterracomeunesilioenonhacura se non di una patriasituatanell’altromondo»,e«ipopoli abituati, massime ilvolgo,allasperanzadibenidiun’altravita,divengonoinettiper questa, o, se non altro,

incapaci di quei grandistimoli che producono legrandi azioni»: «ilcristianesimo ha contribuitonon poco a distruggere ilbello, il grande, il vivo, ilvario di questo mondo,riducendo gli uominidall’operare al pensare» efacendo diventare il mondo«monotonoemorto»(P253-54).

Tutte le forme di azione

che falliscono sono quelleguidate dalla ragione o conessa compromesse: dallaragione che per essereautenticamente se stessariesce infine a spogliarsi diogni illusione. Ma, cosìspoglia,èinevitabilecheessaveda la nullità e vanità diogni cosa. Il Giocatore Nerol’hamostrato.Cosìspoglia,laragione spinge nella «noia»,nel «sentimento del nulla»

(«sentimento di una cosamorta e mortifera», P 261),che è «sepolcrale,senz’azionesenzamovimentosenza calore, e quasi senzadolore»(P141).

Senza azione, senzamovimento, senza calore!Leopardi sa bene che leintenzioni della ragione sonoben diverse. La ragione hasempre inteso esserepratica,ragione che guida l’agire

dell’uomo e delle cose versoun progresso senza fine.Leopardi lo sa bene; comecostante è la sua critica alle«magnifiche sorti eprogressive» del suo secolo(«secol superbo e sciocco»,La ginestra, vv. 51-53). Maeglimostrache,nonostanteleintenzioni,laragionenonpuòessere pratica, ma, dovendoinfine giungere a vedere ilnulladituttelecose,conduce

a uno stato senza azione,senza movimento, senzacalore,chenonlottacontrolamortemadeponenelsepolcrodelnulla.

Dachelaragionepenetrae si fa strada nel desiderioinfinito di piacere, ossia nelmondo delle illusioni, èimpossibile che essa nongiunga fino in fondo e nonscopra lo spettacoloangosciante del nulla.

«Oggidì non si può nonsapere» (P 214). (Leopardiritienecioècheladistruzionedi Dio trapeli in qualchemodo sin dall’inizio dellafilosofia moderna. El’irruzione della ragione,come ogni altra cosa edevento, è senza perché.)Prima dell’avvento dellaragione il rimedio control’angoscia per la morte è,appunto, il dominio delle

illusioni. Esse sono piene divita,diazione,dimovimento,dicalore.Tuttavia,manmanoche la ragione si fa largo inesse, quel dominio perdeforza, sebbene Leopardisottolinei spesso la capacitàdelle illusioni di riprendersi(sia pure per breve tempo) ilterrenoperduto.

Ma nel tempo dellaragione dispiegata, l’unicorimedio contro l’angoscia

della morte è la potenza concui tale dispiegamento vieneespresso. La potenza diquesta espressione non puòessere data cioè dallinguaggio scientifico-matematico, che per la sua«precisione» non può chemettere in evidenza lafinitezza e contingenza,quindilanullità,diciòdicuiparla.«Tutto ilprecisononènaturale» (P 585), non può

cioèappartenerealla«natura»intesacomedesiderioinfinitodi piacere. Come ilcristianesimo non ha cura senon dell’altro mondo,lasciando inattivi gli uominiin questo, così i filosofi,specialmente moderni,lasciano l’uomo nell’inerziaperché lo mettono nellebraccia della ragione.«Assuefatti all’esattezza eprecisione matematica, tanto

usuale e di moda oggidì,considerano e misurano lanatura con queste norme,credono che il sistema dellanatura debba corrispondere aquesti principii, e noncredono naturale quello chenon è preciso ematematicamente esatto:quando anzi per lo contrario,sipuòdir tutto ilprecisononè naturale» (P 584-85).Leopardi non intende affatto

sostenere che il non precisosia reale: reale è proprio ilpreciso, non è altro che ilpreciso; ma proprio perquesto la conoscenza di essoparalizza,rendeinattivi.«Pre-ciso» proviene dal latinoprae-caedere, «tagliar via»:ciò che è pre-ciso è tagliatovia dall’illusione dell’infinitoe dell’eterno, la quale spingeinvece all’agire, alla grandeazione.

La potenzadell’espressione della nullitàdellecoseèdatainvecedallapoesia, dal suo «ardimento»nell’andar oltre la precisionedel linguaggio scientifico. Èinnanzitutto per questoardimento che la nobilenatura del genio «a sollevars’ardisce / gli occhi mortaliincontra / al comun fato».Leopardi non nega che laragion pratica abbia la

capacità di mettere adisposizione dell’uomograndiquantitàdioggettiedistrumenti che per qualchetempoglirendonomigliorelavita e allontanano la morte:sostienechelaragionechestaal fondamento della vitamiglioratanonpuòinfinedeiconti non scorgere la nullitàdella vita e di ogni suomiglioramento,enonpuònonsapere che quello che si

potrebbe chiamare il suoparadiso – il paradiso dellascienza e della tecnica – èdestinatoa trovarsianch’essonelle condizioni delloscheletro della città distruttadalvulcano.

È a questo punto che lanobile natura, unendo laragione alla poesia (avendol’ardire di non detrarrealcunchéallaverità)diventaesa di diventare la suprema

forma di volontà di potenza:la nobile natura è la ginestrache col suo profumo consolail deserto, pur sapendo che«presto» soccomberàanch’essa alla potenza delfuoco annientante (Laginestra, vv. 300-01). Enobile natura non saràsoltanto il genio, privilegiatorispettoatuttiglialtri(cioèal«volgo»), ma anche tutti glialtri, che giungendo a

comprendere le parole delgenio, e da lui amati eamandolo, sono anch’essidivenuti «anime grandi», alplurale, cioè selve, «selveodorate» di ginestre (ibid.,297-98).

D’altra parte, la poesia acui si rivolge Leopardi (pursapendo che ormai la si èperduta ma che la nobilenatura deve in qualchemodofar rivivere), non è la poesia

«romantica»,«spiritualistica», bensì lapoíesis che innanzitutto èproduzione, azione, vigore:quella dell’antico poetacantorecheincital’esercitoacombattere e a vincere e dàspicco all’esultanza dopo lavittoriaeallapaceraggiunta.

Lapoesiacheinnanzituttorichiedeil«vigoredelcorpo».Leopardiparlapiùvoltedellapropria fragilità fisica, e

impreca contro coloro cheimputano a essa la propriafilosofia. Eppure riconoscesostanzialmente di avere laforza fisica che gli consentediessereilfioredeldesertoechedifferiscedaquellacheèriscontrabile in lui dal puntodi vista medico («Uom dipovero stato e membrainferme»,Laginestra,v.87).Per questo egli puòimmedesimarsi nel «corpo»

di cui parla Tristano nelDialogo di Tristano e di unamico:

«Il corpo è l’uomo;perché (lasciando tutto ilresto) la magnanimità, ilcoraggio, le passioni, lapotenzadi fare, lapotenzadigodere,tuttociòchefanobilee viva la vita [dunque, oggi,innanzitutto il profumo dellaginestra], dipende dal vigoredelcorpo,esenzaquellonon

haluogo.Unochesiadeboledi corpo, non è uomo, mabambino;anzipeggio;perchélasuasorteèdistareavedereglialtrichevivono».

La poesia è inseparabiledal corpo. In questomodo sicomprende come Tristanopossa dire di esserespiritualmente morto («cosìmorto come sonospiritualmente»), chiudendouna sequenza (che anticipa il

finale della Ginestra) doveegli dichiara la propria forzadi fronte al «destino»: «E dipiùvidicofrancamente,ch’ionon mi sottometto alla miainfelicità,né piego il capo aldestino,ovengosecoapatti,comefannoglialtriuomini,eardiscodesiderarelamorte,edesiderare sopra ogni cosa,con tantoardore e con tantasincerità, con quanta credofermamente che non sia

desiderataalmondosenondapochissimi.[…]Tropposonomaturo allamorte, troppomipare assurdo e incredibile didovere,cosìmortocomesonospiritualmente,cosìconchiusainmedaogniparte la favoladella vita, durare ancoraquaranta o cinquant’anni,quanti mi sono minacciatidallanatura».

Le espressioni che homesso in corsivo indicano

appunto una forza che èinsieme del corpo e delprofumo della ginestra. E ildirsi «spiritualmente»«morto»è riconoscerenon lapropria debolezza, ma lamorte di quella «spiritualità»(così frequentementeconsiderata e combattuta neiPensieri) che prometteillusoriamente una qualcheformadivittoriasullamorte.

9

Ilsuicidio

Che Porfirio, discepolo diPlotino,auncertopuntodellasua vita abbia meditato di

uccidersi,echeilsuomaestrol’abbia dissuaso, èstoricamente accertato. Manel Dialogo di Plotino e diPorfirio i due filosofirappresentano le due forzechesicombattononell’animodella nobile natura (più volteLeopardi parla, nei Pensieri,del proprio ricorrentedesiderio di uccidersi) e cheallafinesiuniscono(Porfirionon si uccide e Plotino

riconosce le ragioni diPorfirio)manonsieliminano,cioè non eliminano la radicedella loro contrapposizione.Che è quel contrapporsi diragione enaturadove esse sitrovano sì unite dalla nobilenatura, ma in un equilibrioche è continuamenteminacciato dal prevaleredell’unaodell’altra.

Plotino chiede a Porfiriodi aprirgli il suo animo: in

nome del «tanto amore chenoi ci portiamo insieme datanto tempo». E che l’amoresia illusione, e in certo sensolapiùprofonda, legatacom’èal sentimento dell’infinito (P1017-18), è uno dei trattidominanti nelle opere diLeopardi. Plotino invitaPorfirio a porsi sul pianodell’illusione. E questo saràl’atteggiamentoconclusivodiPlotino e del dialogo.

Porfirio, infatti, non ribatteràpiù.

Ma intanto, all’inizio deldialogo, Porfirio rispondeponendosi invece sul pianodella ragione che ormai ègiunta «non solamente [a]conoscere, ma [a] vedere,gustare, toccare la vanità diogni cosa». Rifiuta leillusioni. Il desiderio diuccidersi, quindi, non èdovuto a qualche «sciagura»

chel’abbiacolpito.«Nessunacosaèpiùragionevoleche lanoia»,laquale«nascesempredalla vanità delle cose» e,solo essa, «nonèmaivanità,non inganno; mai non èfondata in sul falso». A suavolta, Plotino finirà conl’accettare tutto ciò chePorfirio gli mostra comeinevitabilmente implicatodallaragione,maagiràperfarritornare le illusioni

nell’anima del discepolo, inmodo che esse prevalganosullaragione.

Non è il caso di cercarcorrispondenze tra il Plotinostorico e quello del dialogo.Quellostoricoè,ovviamente,una grande incarnazione delGiocatore Bianco, ossia dichi,daun lato,comeSocratevede nell’epistéme dellaverità il solo bene, e l’unicomale nell’amathía, nel non

sapere, ossia nell’illusione; edall’altro lato pensa chel’epistème mostri l’esistenzadell’Eterno che salva l’uomodal nulla. È ovviamenteun’incarnazione delGiocatore Bianco anchePorfirio, che invece, nelDialogo, impersona laragione che, dapprimaseparatadalle illusioni, lasciainfine che esse abbiano aprevalere.

Nel Dialogo, Porfiriorifiuta la critica platonica delsuicidio, basatasull’inevitabilità dellapunizione del suicidanell’aldilà. Tale rifiuto erastato sviluppato neiPensieri,ma in relazione alcristianesimo. Nelle operepubblicate, viene evitata lacritica diretta delcristianesimo. C’è di mezzola Censura dello Stato della

Chiesa. Se l’infelicitàdell’uomo è evidente – dicePorfirio –, tuttavia il «fato»,che ne è l’autore, lasciaall’uomo,come«medicina»e«rimedio», la morte e lacapacità di darsela lui stesso.Ma Platone gli toglie anchequest’unico rimedio e gli fa«temere più il porto che latempesta». In tal modo egli«havintoincrudeltà,nonpurla natura [in quanto «empia

madre»] e il fato, ma ognitiranno più fiero, e ogni piùspietato carnefice, che fossealmondo».EPorfiriogridaaPlatone: «La natura, il fato ela fortuna ci flagellano dicontinuo sanguinosamente,con istrazio nostro e doloreinestimabile: tu accorri e[impedendoci di uscire colsuicidio da questo strazio] ciannodi strettamente lebraccia,eincateniipiedi».

Plotino risponde che apreoccuparlo non è tanto laproibizione platonica delsuicidio, ma la proibizioneoperatadalla«natura» stessa:«l’uccidersi di propria manosenza necessità, è contronatura […], è l’atto piùcontrario a natura», per lacontraddizione che sussiste,cioè per la «ripugnanza cheuno si vaglia [si valga] dellavitaa spegnereessavita, che

l’essere ci serva al nonessere». Plotino apreall’inizio la dimensionedell’amore, cioèdell’illusione,manonintendedimenticare la ragione.Richiama anzi, pur senzanominarlo esplicitamente,uno dei temi fondamentaliesplorati da Leopardi neiPensieri: quello relativo al«principio di noncontraddizione».

Ma va anche osservatoche, mentre Porfirio si erariferito alla «natura» inquanto «empia madre» cherende l’uomo infelice (e checompare verso la fine deiPensieri), Plotino richiamainvecela«natura»che,daunlato (e sin dall’inizio deiPensieri), èdesiderio infinitodi piacere e, dall’altro, èl’ambito in cui, appunto, èescluso ogni «principio

contraddittorio», quale èinnanzitutto l’odio per sestessi, il non voler essere.Cosa, questa, «che non puòstare in natura» (P 56). E suquesto versante i Pensieri(1597) dichiarano per lungotempoche«tuttonellanaturaè armonia, ma soprattuttoniente in essa ècontraddizione».

Porfirio replicanuovamente e mostra in che

senso debbano esseremantenuti entrambi i concettidi natura (secondo quantoabbiamo anticipato nelcapitolo 3). La natura, comedesiderio di felicità e odiodella morte, è anche odiodell’infelicità.Non può esserquindi contro natura fuggirel’inevitabile infelicità dellavitatogliendosidalmondo.Einfatti se l’uomo si èincivilito, lo ha potuto fare

andando contro natura, ossiasviluppandolaragionecontrola «natura primitiva». Maincivilendosi è diventatoinfelice. «Ora, se è lecitoall’uomo incivilito, e viverecontronatura,econtronaturaessere così misero; perchénon gli sarà lecito morirecontro natura?» Vivendocontro natura, l’uomoincivilito ha assunto una«natura nuova», una

«seconda natura». Dunque ècontro la «natura primitiva»l’uccidersi; ma, uccidendosi,l’uomo incivilito non vacontro la sua «secondanatura», da cui è ormaiavvoltoepenetrato.

Plotino è d’accordo.«Così è veramente, Porfiriomio.»SulpianodellaragioneildiscorsodiPorfirioèancheper lui inconfutabile.Nelsuoultimo e conclusivo

intervento, infatti, egli«prega» Porfirio; a propositodel suo disegno di uccidersilo prega di affidarsiall’illusione: «piuttosto allanatura che alla ragione».Mariferendosi alla «naturaprimitiva», la intende come«madre nostra edell’universo». Unisce cioè(conungestocheperaltrogiàserpeggia nelle parole diPorfirio) la «natura» come

desiderio di felicità alla«natura» che nella Ginestrasarà chiamata «empiamadre».Aprimavistaquestodiscorso è sorprendente.Pregando Porfirio di dareascolto alla natura e non allaragione, aggiunge infatti: «Edicoaquellanaturaprimitiva,a quella madre nostra edell’universo; la quale sebene non ha mostrato diamarci e se bene ci ha fatti

infelici, tuttavia […] si èsforzata ella di medicare lanostra infelicità conoccultarcene, o contrasfigurarcene, la maggiorparte».

Tuttavia, quandocompone queste pagine,Leopardi ha già scritto ilDialogodellaNaturaediunIslandese,dovelanaturadicedinonconoscereciòcheessaproduce. Non conosce

l’uomo. Non conosce la«natura» come desiderioinfinito di piacere. D’altraparteanchequesta«natura»èunasuacreatura,unacreaturadell’inconsapevole «madrenostra»,ossiadelgiocosenzaperchédeldivenire.

In questo senso Plotinopuò unire l’«empia madre»alla sua creatura, che perquantoleèpossibilesisforzadi allontanare da sé

l’infelicità chenecessariamente la avvolgeproprio in quanto è creaturadelnulla,destinataalnulla.Ildivenire è «empio»,«nemico» dell’uomo nonperché abbia l’intenzione direndere l’uomo infelice, maperché non ha alcunaintenzione,nonhaalcunuditoche gli consenta di intendereil desiderio dell’uomo diessere felice. Nella sventura

l’uomo può attribuire delleintenzioniaciòcheproduceedistrugge tutte le cose senzaalcuna intenzione e alcunperché. Ma è l’uomo chepatiscelasventuraecherestadeluso dopo aver operatoquesta attribuzione: non lanobile natura. O anche: è lanobile natura quando ricadenelle illusioni che, diversedall’illusione in cui consistela potenza del suo canto,

restanosmentitedallarealtàea loro subentra la delusione,che in quanto conseguenzaresa possibile dall’essersiillusièasuavoltaillusione.

Questo secondoè forse ilcaso dell’abbozzo, lasciatoincompiuto, dell’inno AdArimane, il dio del male,secondo il mazdeismo: «Redelle cose, autor del mondo,arcana / malvagità, sommopotereesomma/intelligenza,

eterno / dator de’ mali ereggitor del moto» (ilrovesciodelDiocristianoche«move il sole e l’altrestelle»). Sia pure in formarovesciata, l’eternaintelligenza malvagia simantiene pur sempreall’interno dell’errore delplatonismocheanticipa in séil divenire delle cose, ossiatrasforma in un prototipodelle cose il nulla da cui è

tuttavia evidente che le coseprovengono (cfr. cap. 5).Leopardinonpuònonaverlocompreso. Il canto adArimane è rimasto infattiincompiuto.

Plotino ha «pregato»Porfirio di desistere dal suointento.Oragliricordacheleillusioni hanno bisogno dipocoperritornare.Illasciarsiprendere da esse è errore,riconosce Plotino:

«veramente errore, e nonmeno grande che palpabile»,che «pur si commette dicontinuo; e non dagli stupidisolamente e dagl’idioti, madagl’ingegnosi, dai dotti, daisaggi; e si commetterà ineterno[…].Ecrediame,chenon è fastidio della vita, nondisperazione,non sensodellanullitàdellecose,dellavanitàdelle cure, della solitudinedell’uomo, non odio del

mondoedisemedesimo,chepossa durare assai: benchéqueste disposizionidell’animo sianoragionevolissime e le lorcontrarie irragionevoli [altraconferma dell’accordo traPlotino e Porfirio intorno alcontenuto della verità]. Macontuttociò, passato un pocoditempo;mutataleggermentela disposizion del corpo; apocoapoco;espessevoltein

un subito, per cagionimenomissime e appenapossibili a notare; rifassi ilgusto della vita, nasce orquesta or quella speranzanuova, e le cose umaneripigliano quella lorapparenza, e mostransi nonindegne di qualche cura».Comelacuraperchisiamaeche soffrirebbe per il nostroesserci tolta la vita. Cosìbrevedanonaverbisognodi

essereaccorciatadanoi.

10

Ilsuicidioeilcristianesimo

Nel Dialogo, rivolgendosi aPlatone che proibisce il

suicidio, Porfirio grida: «Tuhaivintodicrudeltà[…]ognitiranno più fiero, e ogni piùspietato carnefice». MaLeopardi sta guardandosoprattuttoaldilàdellespalledi Platone: ha in mente ilcristianesimo. Non lo puòdire pubblicamente. Ma neiPensieri è esplicito. Aproposito del modo in cui siconfigura il rapporto trareligioneesuicidioneltipodi

civiltà in cui egli si trova avivere, scrive: «Se laReligione non è vera, s’ellanon è se non un’ideaconcepita dalla nostramiseraragione, quest’idea è la piùbarbara cosa che possa essernatanellamentedell’uomo:èil parto mostruoso dellaragione il più spietato; è ilmassimo dei danni di questanostra capitale nemica, dicola ragione», che «mette il

colmo alla disperatadisperazionedell’infelice» (P816-17). La «natura» rendeinfelice l’uomo,magli lascialapossibilitàditogliersidallavita e dall’infelicità; laragione «corrompe» il«sistema» primitivo dellanatura e il risultato è unanatura corrotta che proibisceilsuicidio.

La «Religione»appartiene alla natura

corrotta. Leopardi lo mostrainP 420-32.Ma in relazioneal passoP 816-17, qui soprariportato, si osserviinnanzitutto che la«Religione» è ilcristianesimo. Il passo infattisi era aperto considerando la«nostra condizione oggidì»,cheè«peggiorediquelladeibruti» perché la Religione,dovelanaturaècorrottadallaragione, proibisce il suicidio.

E, nella nostra condizioneoggi, la«Religione»nonpuòesserecheilcristianesimo.

In secondo luogo, leprime righe appena lette diquel passo non esprimonoun’ipotesi: il «se» significa«poiché»; poiché ilcristianesimo non è vero,poiché esso non è cheun’idea, eccetera. Vera èinfatti la ragione. È laragione, ma non certo il

cristianesimo,adaffermarelanullità di tutte le cose. Ilcristianesimo crede nellaverità di ciò che per laragione è illusione. Ilcristianesimo è illusione.D’altrondeilpassodicecheilcristianesimo è «un’ideaconcepita dalla nostramiseraragione». Inquanto illusione,ilcristianesimostadallapartedellanatura(einciòstailsuoaspetto positivo); ma non è

più natura primitiva, bensì,come si è detto, naturacorrotta dalla ragione.Corrompendo la natura, laragione concepiscequell’«idea», «la piùbarbara», nella quale ilcristianesimoconsiste.

Il passo 816-17 dicedunque che, poiché ilcristianesimo non è vero epoiché esso è un’ideaconcepita dalla ragione, esso

è il parto più spietato emostruoso e il massimo deidanni. La critica delGiocatore Nero alcristianesimo non è di nonesser vero. Anzi. Ilcristianesimo è «mostruoso»perché in esso l’illusionedella natura, che rifiuta lamorte ma lascia che l’uomosialiberodiuccidersi,nonsaopporsi all’irruzione dellaragione; e d’altra parte si

presenta come ragione cheproibisce il suicidiominacciando un’infinita penafutura per chi lo compia.Leopardi giustifica in varimodi la dipendenza delcristianesimo dalla ragione,ma si può dire storicamenteaccertato che ben presto ilcristianesimo si è innestatosul tronco della filosofiagreca e che il riferimento aPlatone, nel Dialogo di

Plotino e di Porfirio, ètutt’altrocheimproprio.

È esistita sì una «vera eprimitiva forza delCristianesimo», «quel primofuoco febbrile della nuovadottrina» (P 338), che perLeopardi coincideinnanzitutto con la figura diGesù, che«ravvivò ilmondoillanguidito dal sapere» (P337)eincuilanaturasifecein qualchemodo sentire.Ma

era una natura attivata e incerto modo partorita dalsapere («dai lumi»): nonpartorita dal non sapere edalla natura («nondall’ignoranza e dallanatura»,ibid.).Perquesto,«lavita e la forza ch’ei [cioè ilcristianesimo] diede almondo, fu come la forza cheun corpo debole e malato[ossia «il mondo illanguiditodalsapere»]riceveda’liquori

spiritosi,forzanonsolamenteeffimera, ma nociva eproduttrice di maggiordebolezza» (ibid.). Una«forza» diversa, quindi, dalla«forza» con cui l’opera delgenio sente la morte di tuttelecose,ossiadalla«forza»dacui «l’anima riceve vita» (P261).

Il cristianesimo puòapparirecomeilmassimodeidannisoloperchiconosce la

verità. Se egli spera che leillusioni, dunque anchel’illusione cristiana, torninoin lui «a rifiorire» (comePlotino crede che possaaccadere nell’animo diPorfirio),eglinonèancoralanobile natura, che si illudesolamente con la potenza delproprio canto. È nell’operadella nobile natura del genioche il cristianesimo puòapparireautenticamentecome

ilmassimodeidanni.Perchicredeinvececheil

cristianesimo sia verità, lecose stanno in modocompletamente diverso. Eglinon può sapere che ilcristianesimo è il massimodei danni perché gliimpediscedi togliersi la vita.Per lui il suicidio è unatentazione da respingere.Inoltre, dopo aver detto che«l’uomo era più felice prima

chedopoilCristianesimo»,inP 431 (scritto circa un annoprima di P 816-17) siaggiunge: «Ma oggidì nonessendo più possibile tornareallostatodiciviltàantica,pelmaggiore incremento dellaragione, sostengo che il piùfelicepossibile inquestavitaè lo stato di vero e purocristianesimo». «Vero e purocristianesimo» è appuntoquello di chi, illudendosi,

crede che la verità siacontenuta nella Rivelazionedivina. In lui il cristianesimoè, senza che egli possasaperlo, la natura in quantoancora in qualche modocapace di occultare la veritàautentica e angosciante dellaragione; e dove d’altra partelanaturaèqualcosacheglisipresenta come ragionevole.(Rationabile obsequium, diceineffettil’apostoloPaolo;eil

pensiero filosofico,soprattutto di Tommasod’Aquino, intenderàmostrarel’armonia di ragione e fedecristiana.)

Lanobilenaturadelgeniosta comunque al di sopradell’alternativa che è venutaalla luce: quella tra ilcristianesimocome«massimodei danni» e il cristianesimocome lo stato «più felice inquesta vita». (Non sembra

cheLeopardiabbiasviluppatoil discorso in questadirezione, ma lo sviluppo èimplicito.) La nobile naturadel fiore del deserto è sì,anch’essa, una unione diragione e natura (anche nelcristianesimo si produceun’aggregazione di questedueoppostepotenze),ma,sièvisto(capp.6-8),nelfioredeldesertolanaturaè lapotenzadell’illusione poetica, il

«profumo» che consola ildeserto. E che quindi è deltutto estraneo a quella formadisperata di «consolazione»incuiconsisteilsuicidio.

D’altra parte, anche lanobilenaturaèilmodoincui,dopol’irruzionedellaragionenellanatura,quest’ultimapuòfar sentire inmaniera ancorapiù più potente la propriavoce, avvicinandosimaggiormente al poeta

antico, che rivolge il propriocanto al popolo peraccrescere in lui il desideriodivita,dipotenza,difelicità,e dunque presentandogli leproprie opere come destinatea esser godute per l’eternità.(«L’immaginazione e legrandi illusioni onde gliantichi erano governati, el’amordellagloria che in lorbolliva, li facea sempremirare alla posterità e

all’eternità, e cercare in ogniloro opera la perpetuità, eprocurarsemprel’immortalitàloro e delle opere loro» P3435.) L’opera del genioentusiasma, dà vita, «apre ilcuore e ravviva», conduce ilpiù lontano dalla noia, ossiadalla condizionefondamentaledelsuicidio.

È dunque dovutoall’originalitàdell’interpretazione data da

Leopardi del cristianesimo ilpassodeiPensierichestiamoperriportare.Apparentementesconcertante e incompatibilecol contesto che abbiamomesso in luce, il passo aprel’importante gruppo diPensieri (393-435)scrittoneldicembre 1820 e dedicatosoprattutto al racconto dellaGenesi: «Il mio sistemaintorno alle cose e agliuomini e l’attribuir ch’io fo

tuttooquasituttoallanatura,e pochissimo o nulla allaragione, ossia all’operadell’uomo o della creatura,non si oppone alCristianesimo» (P 393,corsivo mio). In breve, ilsenso è il seguente(prevedibilecomunque,enonsconcertante, se si tienepresente quanto si è dettonellepagineprecedenti):aldilàdellapropriafedediessere

verità,eanzilaveritàsomma–aldilàdellaconfigurazionedel cristianesimo che essogeneralmente assume aipropri occhi–, è tuttaviabenvisibile, per chi vogliaguardare,qualcosadibenpiùprofondo. La proibizione diDioadAdamodimangiareilfrutto della conoscenza delbene e del male è cioè lastessa «misericordia» che lanatura, in quanto desiderio

infinito di piacere, ha perl’uomo.Èlastessavolontàdisalvezza da parte dell’uomo.Impedendogli di mangiarequel frutto, la natura, cosìintesa, compie il massimosforzo per impedire chel’uomo,conoscendoilbeneeil male, conoscendo cioè laverità, ne veda l’orrore edivenga infelice,massimamente infelice. Dio(ilcuiprincipio,comeditutte

le cose, è ilnulla) èpienodimisericordia.

Subito dopo il passoriportato all’inizio di questocapoverso,iltestodiceinfatti:«La natura è lo stesso cheDio».Nel suo significatopiùprofondo, il Dio delcristianesimo non è l’Essereeterno e perfetto costruitodalla ragione. Questo Diorazionale, che per Leopardiha la più compiuta

espressione nell’Idea diPlatone, rende impossibile laproduzione e creazione dellecose, il divenire, e quindi èimpossibile.Nonpuòesisterenulla di eterno. Tutto è «inmezzo al nulla». Il Dio-natura, invece, vuolnascondere adAdamoquestaverità devastante. Lo stessoinfinito desiderio che l’uomohadelpiacere edella felicitàavvolge l’uomonell’illusione

salvifica.Maauncertopuntoegli ha invece volutoconoscere ed è stato cacciatode paradiso voluptatis,dall’illusione del piacere edella felicità; Leopardisottolinea che con talevoluptas «s’intende voluttà efelicità terrena, contro quelloche si vuol sostenere cheall’uomo non sia destinatanaturalmente se non se unafelicità spirituale e d’un’altra

vita» (P 395): la voluptas è,appunto, la natura dell’uomocome desiderio infinito dipiacere. La voluptas è Dio,cioè il senso autentico di ciòche nel testo biblico èchiamato«Dio».

D’altra parte –osserviamo – a sapere tuttoquesto dell’essenza profondadel cristianesimo non puòessere questa essenza stessa;altrimenti essa conoscerebbe

il rapporto che sussiste tra lanatura e la ragione,conoscerebbe la ragione,sarebbe ragione, e sapendoquel che l’uomo non devesapere, saprebbe quel cheessastessanondevesapere.

11

LaconoscenzainAdamoenella

filosofia

Vaanchechiaritoilsensoche

la morte può avere perAdamoquandoDiominacciadidarglielaqualoraegliabbiaa mangiare il frutto dellaconoscenza del bene e delmale.Leopardinonsiaccostaesplicitamente a questoproblema. Ma, anche qui, lasua risposta è implicita. (Perscorgerla non c’è bisogno diuna sapienza diversa daquella che il GiocatoreBianco e quello Nero

posseggono. Basta la loro. IlTerzoGiocatorepuò starseneancoraindisparteaosservaree narrare come si svolge lapartita tra i due.A propositodella morte minacciata daDio, il problema riguardainfattientrambi.)

Dio può minacciareAdamo della punizionesuprema solo in quanto ècerto che Adamo, pur nonavendola mai sperimentata,

conoscachecosasialamorte.Bisogna che Adamo sappiache la morte è il male piùtemibileechequindilatema.E deve anche sapere che lavita che egli sta vivendo è ilmassimo bene. Conosceallora ilbenee ilmaleprimadi aver mangiato il fruttodella conoscenza del bene edelmale?Diolominacciadelmassimomaleedellaperditadel massimo bene e lui

capiscelaminaccia;nondicedi non avere capito le paroledi Dio. Che cosa allora puòvenire a sapere di piùmangiando quel frutto?Leopardi può rispondere aquestadomanda.Piùdifficileche il racconto biblico dellacaduta sia in grado di farealtrettanto.

Leopardi può risponderedicendo che Adamo sa già,prima di mangiare il frutto

proibito, che la morte è ilmale più grande per chi puòmorire. E sa già che da ognimaleequindianchedaquellomassimo è libero Dio, che èimmortale.Quandomangia ilfruttoproibito,vieneinveceasapere che tutto viene dalnulla e vi ritorna, tutto èdestinato alla morte, ancheDio: il nulla è il «principio»anche di Dio. Prima dellacaduta, l’uomo ha una

conoscenza «naturale»:«l’uomo sapeva giàabbastanza per natura» (cioèperoperadi«Dio»)«tuttociòche gli conveniva sapere. Lacolpa dell’uomo fu volerlosapereperoperasua,cioènonpiù per natura, ma perragione, e conseguentementesaper più di quello che gliconveniva[…].Questoenonaltro fu il peccato disuperbia»: «nell’aver voluto

sapere quello che nondovevano e impiegare allacognizione un mezzo eun’opera propria, cioè laragione,inluogodell’istinto»(P396-97).

La caduta dell’uomo nonconsiste dunque nel«decadimento della ragione»(P 398), nella «ribellionedella carne allo spirito» (P433), ma «nell’incremento»,nel rafforzamento della

ragione e dello spirito, enell’indebolimento dellacarne.Equestorafforzamentoe indebolimento non sonostati illusori, ma reali. Ilserpente dice alla donna chelei e il suo compagno,conoscendo, non moriranno,ma saranno come Dio (eritissicutdii).ELeopardiosservache se, col peccato, essidiventano preda della morte,tuttavia essi riescono

veramenteaconoscereilbenee il male, e a essere dunque«come Dio». «Dunquel’uomo restò veramentesimile per la [quanto alla]ragione, restò più sapienteassai di quando era statocreato» (P 398). Dopo averriportato le parole di Dio:«Ecco, Adamo è divenutocome uno di noi [quasi unusex nobis factus est],conoscendo il bene e il

male», Leopardi osserva che«sebben l’uomo ottenneprecisamente quello che ilserpente aveva promesso aEva, cioè la scienzadelbenee del male, non però questaaccrebbe la sua felicità, anziladistrusse»(ibid.).Ancheseil testonon lodice,LeopardisottintendecheilDioalqualeAdamo è riuscito a diventarsimile (quasi unus ex eo)attraverso la conoscenza non

può essere il Dio che è lastessa natura in quantodesiderio infinito del piaceree che quindi non può essereragione.IlDioallacuialtezzaAdamohasaputoportarsièilDio che egli conosce sin daquando è stato creato. Èl’Onnipotente. Peccando,Adamoèdiventatofilosofo.

A proposito diquest’ultima affermazione,possono essere opportuni

alcuni chiarimenti sul modoin cui Leopardi intende losviluppo storico del pensierofilosofico. Innanzitutto, lafilosofia è certamente, sindall’inizio, la pura ragioneche mostra il carattereillusorio, la non verità dellavita,diogniformadellavita.Primadella filosofia lavitaèesistere standoall’internodelmito. Appunto perché lafilosofia è sin dall’inizio

negazionedelleillusioni,essapuòpartorireilcristianesimo.«Laragioneprimadiarrivarea quell’estremo al quale ègiunta oggidì [cioè allasituazioneincuilaragione,adifferenza di quanto accadenella nobile natura, intendetenersi assolutamenteseparata dall’illusione],doveva naturalmentespaventarsi di se stessa; evedendosi sparir dagli occhi

la realtà delle cose e quindivenirsiadistruggere lavitaeil mondo, doveva considerarse stessa come assurda, econcludere che ci dovevaessere qualche verità ignota[cioè un contenuto comequello proposto dallarivelazionecristiana] laqualedasse alle cose quella realtàch’essa non poteva piùscoprire né ammettere» (P429). Già la ragione antica,

dunque, si vede spariredavanti agli occhi la realtàdellecose,vedecioèlanullitàdituttelecose.Malaragioneantica è anche la filosofia diPlatone, cioè l’affermazionepiùpotentedellarealtàeternadelle idee, l’affermazione diquell’eternità originaria checostituisce il fondamentodella realtàdellecoseedellaquale, tuttavia, il GiocatoreNero ha mostrato

l’impossibilità(cfr.cap.5).Ma nemmeno qui si è in

presenza di unacontraddizione in cui eglisarebbecaduto.Anchesenonprende esplicitamente inconsiderazione il problemache stiamo analizzando,Leopardi sta cioè, di fatto,mettendoinluceunatensione– che infine è un’antinomia,unacontraddizione–laqualeesiste non nel suo pensiero,

ma all’interno della formainiziale della tradizionefilosofica, ossia all’internodella filosofia greca.Vediamo.

Rivolgendosi alla vita –all’esistenzaumananeltempodelmito–lafilosofianevedeil carattere illusorio, la nonverità.Quel che lavita crededi essere non è. È nulla.Questo esser nulla differisceperò dall’esser nulla di tutte

le cose che la ragione scorgevedendo che tutte sporgonoprovvisoriamente dal nulla edunquevedendosele anche inquesto senso sparir davantiagli occhi. Tuttavia, comeappunto si dice in P 429,anchenell’altrosenso(quellonel quale la ragione rifiuta ilmito)laragionesivedesparirdagli occhi la realtà dellecose.

Intendo dire che, nei

Pensieri, il Giocatore Neroconsidera esplicitamente unadelle due mosse che ilGiocatoreBiancocompieperriprendersidallo«spaventodisé stesso» nel vedersiresponsabilediquelladupliceforma di annullamento esparizione delle cose. IlGiocatore Nero consideracioèesplicitamentesoltantolaproduzione del cristianesimoda parte della ragione

spaventata di se stessa.L’altra mossa del GiocatoreBianco (peraltro presuppostadallaprima)èl’affermazione,da parte della ragione,dell’esistenza del Principioeternoedivinodacuituttelecoseprovengonoeincuitutteritornano. La filosofia,allontanando da sé il mito,incomincia con questaaffermazione. Separate dalPrincipio, lavitae lecoseda

cui essa è composta sononulla (nel duplice senso quisoprarilevato);ma,inquantouniteal loroPrincipioeterno,la loro realtà è salvata dalnulla. Il mondo delle Ideeeterne di Platone può esserconsiderato come la formaparadigmatica di talePrincipio. E appunto inquesto modo lo intendeLeopardi.MalagrandezzadiLeopardi,inquantoGiocatore

Nero,consistenelmostrareilfallimento di questa volontàdisalvarelecosedelnulla.SedunqueLeopardipuòpensareche, nonostantel’affermazione dell’esistenzadelmondo eterno delle Idee,la filosofia di Platone – inquanto filosofia, cioènegazione delle illusioni delmito–siaannullamentodellecose,cisipuòspiegarecomeLeopardi possa giungere a

vedere nella filosofiamoderna «quell’estremo alquale è giunta oggidì» laragione. «Paragonando lafilosofia antica collamoderna, si trova che questaè tanto superiore a quella,principalmente perché ifilosofi antichi volevano tuttiinsegnare e fabbricare[insegnare e fabbricare,appunto,l’Eterno]:laddovelafilosofia moderna non fa

ordinariamente altro chedisingannare e atterrare.» «Ifilosofi moderni, sempretogliendo, nientesostituiscono. E questo è ilvero modo di filosofare […]perché in effetto lacognizione del vero non èaltro che lo spogliarsi deglierrori» (P 2709-10, maggio1823). E il toglier sempredalle cose del mondo senzasostituir niente è vedere in

modo sempre più chiaro laloro nullità. Il vedere chegetta nella disperazione enellanoia.Ma–osserviamo–anche qui Leopardi rendeesplicitosolounodeiduelatidella tradizione filosofica e,certo, quello destinato a farsilargo e ad affermarsi. Infatti,anche la filosofia modernafino a Hegel non intenderinunciare al Principio eternodelmondoepertanto intende

salvare le cose dal nulla:affermandoilloroesserunitea tale Principio. Nel mito diAdamo, interpretato daLeopardi, l’uomo vuoldiventare Dio in quantoeterno e pertanto vuoldistruggerlo, «atterrarlo», edè «disingannato» rispetto aciò che Dio vuole farglicredere;ma in realtà apregliocchi e vede quel che la suanatura (ossia Dio come

desideriodifelicità)gliavevanascosto: vede la veritàangosciantedellamorteedelnulla. E in questo senso giàlui è filosofo. Nel proprioinconscio,ilraccontobiblico-cristianodelpeccatooriginaleafferma,perLeopardi, quellostesso stato di cose che eglivederealizzarsinellafilosofiamoderna.

Nel 1820 Leopardi avevascritto – anticipando il tema

dell’unitàdipoesiaefilosofianell’opera del genio – che,per evitare l’esito a cuiconducelafilosofiamoderna,l’unica «rigenerazione»possibile dipende da una«ultrafilosofia, checonoscendo l’intiero el’intimo delle cose [cioè«nulla al ver detraendo»] ciravvicini alla natura», ossiaunisca la verità alla potenzadell’illusione poetica. E

l’«ultrafilosofia» non puòessere nemmeno, ripetiamo,l’unionedellafilosofiaedellareligione, perché se «lafilosofia indipendente dallareligione, in sostanza, non èaltro che la dottrina dellascelleraggine ragionata» (P125), dal momento che nonpuòesserecheladottrinadelpurodesideriodipiacere,cioèdel puro egoismo, della puravolontàdipotenza,tuttaviala

filosofia, unita alla religione,non è il fiore gentile checonsola il deserto nell’unicomodo autenticamenteefficace, ma è unaconsolazione che insiemeproduce il «massimo deidanni».

12

L’etàdellemacchine

«Ferrate vie», «moltiplicicommerci», «i mercati e leofficine». È cioè

enormemente cresciuta lapotenza dellemacchine e deirapporti economici che esserendono possibili: «Tanto lapossa / infin qui de’lambicchiedellestorte,/elemacchinealcieloemulatrici/crebbero, e tantocrescerannoaltempo/cheseguirà».Sonoespressioni che nellaPalinodia al marchese GinoCapponi indicano ilprogressivo affermarsi della

tecnica nel secolo XIX. Nelquale, per Leopardi, ci siillude di potersi opporre allosviluppo dove la ragioneraggiunge il suo inevitabilecompimento.Raggiungendolo, essapervienealpurodisincanto:sisepara totalmentedall’incantamento dellanatura (l’incantamento«mostruoso» e tuttavia a suomodo salvifico che «oggidì»

si fa ancora sentire nelcristianesimo) e non è altroche visione della nullità ditutte le cose e genitrice dellanoia. Il secolo XIX (che sicrede «aureo») si illude dipoter prendere una stradadiversa, quella del«progresso».Siilludedipoterguardare con sufficienza chisiannoia.

Eppurela«noia»nonèunsemplice stato d’animo. La

parola stessa è densa disignificato,moltodipiùdellaparola «nausea» (Sartre), odella parola «angoscia»(Kierkegaard, Heidegger):«noia» è riconducibile a inodio habere. Dal punto divista delle istanze dellaragione significa l’avere inodio l’incantamento (operatodallanatura)chedàallecose,chesononulla,l’apparenzadiesser reali; dalpuntodi vista

delle istanze della naturasignifica invece odio per laragione che atterra edisinganna, distruggendo ciòche, solo, può rendere felicela vita: l’incanto delleillusioni che fanno credereall’uomo di poter vivere unavitareale.

In relazione alla storiadella ragione il pensiero diLeopardisiconfiguradunquenel modo seguente: nel suo

sviluppo, la ragione èdestinata a diventare dottrinadella noia che avvolge esoffoca l’uomo, infineannientandolo. Ma il secoloXIXsi illudedipotervoltarele spalle a questo processo.Intende essere la forma piùradicale di dottrina dellavolontà di potenza: crede dipoteressereragionecapacediguidare e dominare losviluppo del mondo. E la

ragione può farlo perché èdiventata soprattutto ragionescientifico-matematica,ragionetecnica.

Nel proprio secoloLeopardi vede dunque l’etàdella tecnica. «Età dell’oro»dice ironicamente nellaPalinodia. «Età dellemacchine», la chiama nellaProposta di premi fattadall’AccademiadeiSillografi,altro scritto satirico. Nel

qualesidiceperòche ilXIXsecolo può esser chiamato«etàdellemacchine,nonsoloperché gli uomini di oggidìprocedonoevivonoforsepiùmeccanicamente di tutti ipassati, ma eziandio perrispetto al grandissimonumero delle macchineinventate di fresco eaccomodate[…]atantiecosìvari esercizi, che oramai nongliuominimalemacchine,si

può dire, trattano le coseumanee fanno leoperedellavita», tanto da non farsembrareutopicounfuturoincui «gli uffici e gli usi dellemacchine» abbiano a«comprendere oltre le cosemateriali,anchelespirituali».

È chiaro che la potenzadellaragionetecnicanonèlapotenza della natura, lapotenza cioè delle illusioni.La potenza della ragione

tecnica è piuttosto il puntopiùaltoacuipuòspingersilapotenza della ragione che,«spaventata di sé stessa»,ossia della nullità del tuttoche essa è riuscita a vedere,aveva pensato di liberarsidallo spavento evocando ilPrincipioeternodacuituttelecoseprocedonoe in cui tutteritornano.La potenza tecnicainfatti – dove le macchinepossono gestire non solo le

cose materiali ma anchequelle spirituali – non puòessere nemmeno la potenzache risulta dall’unione dellaragione alla rivelazionecristiana.

Tanto meno quella dellatecnicapuòessere lapotenzadella nobile natura checompeteallaginestra.IlcantoLa ginestra è in propositopotentemente esplicito. Ilfuoco del vulcano – la «dura

nutrice» – può annullare daun momento all’altro la vitadell’uomo. Dunque può«annichilare in tutto» laciviltà del secolo «superbo esciocco». Le sorti di questo,checrededipoterrealizzareil«progresso», sono «dipinte»nel deserto che il fuocoannientantehafattoattornoasé («Dipinte in queste rive /son dell’umana gente / lemagnifiche sorti e

progressive»). La potenzadell’etàdellatecnicaèdipintaneldeserto.Ècioèundeserto.Nelqualeessapuòguardareespecchiarsievederesestessa:«Quimiraequitispecchia,/secolsuperboesciocco».Neldesertol’etàdellatecnicapuòvedere lo «scheletro» a cuiessa è destinata. Quello diPompei non è soltanto il«sepolto scheletro» diun’antica città distrutta dalla

«duranutrice»:è loscheletrodell’età della tecnica. E ilgrande e terribile notturnodella Ginestra, dove la«sinistra face» si aggira ecorre tra le rovine della città(cfr.cap.8),puòesser rilettocome il bagliore funereo chesiaggiraecorre tra le rovinedella ragione tecnica.Illumina lo scheletro dellapotenzatecno-scientifica.

Tuttavia, se il fuoco del

vulcano ha fatto il desertoattorno a sé, il fiore deldesertoviveancoraeconsolail deserto. Per il GiocatoreNero la potenza del canto,ossia dell’unità di ragione epoesia, è capace disopravvivere ancora, siapureper poco, alla potenza dellaragione tecnica; anche se i«mondi» (Palinodia, v. 88),le città che ritengono di nonaver nulla da temere dal

vulcano, ignoranocompletatamente il fioregentile o ne possono irriderel’impotenza. È, questa, lasfida che il Giocatore Nerorivolge alla tecnocrazia, allaconvinzione cioè che latecnica sia la forma supremadi civiltà oltre la qualel’uomo non può spingersi.Una sfida, comunque, moltomenoutopicadiquantopossasembrare,sesi tienecontodi

quantosi èdettonelcapitolo8.

Il Giocatore Nero metteanticipatamente in luce quelche l’età della tecnica delXIX secolo non era ancorariuscita a scorgere: che,nonostante ogni sicurezza epotenza date all’uomo dalprogresso del saperescientifico, la Natura, inquanto «empia madre» diogni produzione e

distruzione, può distruggereogni sicurezzaepotenzaedifatto le distrugge. È quantooggi il sapere scientificoriconosce più o menoesplicitamente quandoesclude che le proprie leggiabbiano una verità definitivaechedefinitivasialapotenzadaessoraggiunta.

Anche nella Palinodia, eanche qui potentemente,viene in luce lamancanza di

ogniperché rispettoaquantoaccade nella storiadell’universo. Come nelDialogo la Natura,indolentemente, diceall’Islandese di non saperequali conseguenzeabbiano leproprie azioni per l’uomo,così la Palinodia chiama«gioco reo» l’immaneprocesso di produzione edistruzione delle cose. Nonesistono ragioni che lo

producano e che l’uomopossa comprendere («giocoreo, la cui ragion gli èchiusa») e tuttavia distruggel’uomo (e pertanto è «reo»).Non esiste una ragione del«gioco» che non sia a suavoltagioco,perchéaltrimentiessa sarebbe Ragione divinaedeterna(quell’Eternodicuiil Giocatore Nero ha ormaimostrato l’impossibilità). Il«gioco» è senza perché,

terribile «capriccio» di un«fanciullo» che distruggel’oggetto da lui appenacostruito.Inquestosuogiocoimperscrutabile

la naturacrudel,fanciulloinvitto,il suocapriccioadempie, e

senzaposadistruggendo eformando sitrastulla.(vv.170-72)

L’impossibilità di unaRagione eterna che abbia acontenere in se stessa ilperché del gioco èl’impossibilità di trovarequalcosa in ciò da cui laformazione delle cose

proviene e in ciò a cui ladistruzione conduce. Poichétutte le cose sono «inmezzoalnulla», ilnulladacui tutteprovengono e in cui tutteritornano non può contenerealcunché, è assolutamentenulla, dunque non puòcontenere nemmeno alcunaspiegazione del loroimprovviso venireall’esistenza e del lorouscirne.

L’età della tecnica siillude di dominare il mondo,ma è completamente in balìadi questo gioco. Per quantosia «d’alto artificio» e perquanto la sua opera siaelaborata «con dotta man»,non può nemmeno essariscattare l’uomo dalle«miserie estreme» del suostato mortale e la natura loferisce,«edentroilfere/edifuor daogni lato» fino a che

egli «giace / alfin dall’empiamadre oppresso e spento»(vv. 173-97). La tecnica èimpotenteperchéè anch’essauno degli edifici prodotti edistrutti dal gioco dellanatura.Èunodiquestiedificiperché è il culmine dellaragione quale dottrina dellavolontà di potenza; e laragione irrompe anch’essasenzaalcunperchénell’uomo(cioè nella natura come

desiderio infinito di piacere),gettatavi a caso dal giocodella«duranutrice».

Elaragione,facendoluceattorno a sé, finisce colvedere la nullità di tutto;quindi col distruggere lavolontàdipotenza.Distruggese stessa in quanto dottrinadella volontà di potenza. Daultimo distrugge se stessa inquantotale,perchédiventalosguardo che odia la pretesa

delle cose di essere reali, eabbandona l’uomo alla noia,al«sentimentomortifero»cheuccidendo l’uomo uccideanche la ragione. In questosenso, la ragione è un’alleatadellapropria«empiamadre»,perché «ferisce» e spegnel’uomo stando al suo stessointerno. Nella Palinodia nonlosidice inmodoesplicitoesi mette in risalto, oltre alleavversità che colpiscono il

mortale dall’esterno, la suainterna decadenza fisica: la«forza / ostil, distruggitrice»,cheferisce l’uomo,«edentroil fere / e di fuor da ognilato».

13

Gliitalianielafilosofia

Il Giocatore Nero ha avutopartita vinta.Ma è la vittoria

della desolazione. Se nonesiste alcun Eterno, cadeanche ogni fondamento dellamoraledegliindividuiedegliStati. Tutto questo èinevitabile, data la premessada cui entrambi i Giocatoriprocedono: la convinzionechel’annullamentodellecosee il loro uscire dal nulla sial’evidenza sovrana. Leopardimostra i molteplici aspetti diquesta desolazione, ritenendo

tuttavia che essa abbia giàavvolto le società. Tra gliaspetti sociali delladesolazione (studiati a fondonei Pensieri), Leopardi dàspiccoaquellicheriguardanolasocietàitaliana.

IlDiscorsosopra lostatopresente dei costumidegl’Italiani, forse compostonel 1824 (ma pubblicatopostumo), intende mostrareche, dopo la Rivoluzione

francese, l’Italia «è dicostumi notabilmente diversadagli altri popoli civili». «Lealtre nazioni civili, cioèprincipalmente la Francia,l’Inghilterra e la Germania,hanno un principioconservatore della morale equindi della società, chebenché paiaminimo, e quasivile rispetto ai grandiprincipii morali e d’illusioneche si sono perduti, pure è

d’un grandissimo effetto.» IlDiscorso si riferiscesoprattutto a coloro che sono«forniti del necessario allavita col mezzo delle fatichealtrui», e che non avendo«bisogniprimi»,cioèprimari,hanno però il bisogno «ditrovare qualche altraoccupazione che riempia lalorovita»,«ilvuotodellavitacagionatodallamancanzade’bisogni primi».NelDiscorso

si ritiene che tale bisognofacciaaumentareirapportitragli individui, ossia che peresso (o anche per esso) lesocietàdivengano«strette».

In tali società ognunoconsidera necessaria allapropria felicità la stima deglialtri e per ottenerla mostra asua volta di stimarli. Questosentimentoèl’ambizione,chenei tempi moderni haprodotto il sentimento

dell’onore:«un’illusioneessostesso», però «potentissima»nei popoli civili diversidall’italiano. L’onore o«stima dell’opinionepubblica» è appunto quel«principio» «minimo» e«quasivile»,dicuisièdettoqui sopra, che però è capacedi «rimpiazzare i principiimorali» che anche glistranieri hanno perduto e a«servire di legame» alla

società. «Gli uomini politicidi quelle nazioni sivergognano di fare il malecome di comparire in unaconversazione con unamacchia sul vestito o con unpanno logoro e lacero.»«Stimano una buona battutadi spirito o un bell’abito népiù né meno di una buonaazione.»Staperòdifattocheilbonton,inquestenazioni,è«non solo il più forte, ma

l’unico fondamento che restia’ buoni costumi» e allatenutasociale.

Tutto questo, anche se èpocacosadifronteallegrandiillusioni degli antichi,mancaagli italiani (si parla sempredi quelli che non hannobisognodilavorareperviveremahannobisognodiriempireil vuoto della vita, peròqualche pagina dopo diceche: «il popolaccio italiano è

il più cinico de’ popolacci»).Gli italiani non hannonemmeno questo poco. Èvero che essi, sul pianomorale, sono «filosofi, cioèragionevoli e geometri»quanto e «forse più» deglialtri popoli. Ma la nazioneitalianadelXIXsecolononèuna società «stretta», nelsensosopraindicato:siaperilclima, che spinge a vivereall’aperto piuttosto che

passare il tempo nelle«conversazioni» dove lo«spirito» resta sollecitato («ilpasseggio, gli spettacoli, e leChiese sono le principalioccasioni di società chehannogl’italiani»),siaperchél’Italianonèunanazionemauninsiemedinazioni.

Non essendo «societàstretta», l’Italiaèprivadiciòche, sièvisto,di tale societàè conseguenza: ambizione,

sensodell’onore,bonton.Mailmotivodifondochespiegala differenza degli italianiviene espresso nel Discorsodicendo che se, da un lato, ècertissimo che «l’Italia infattodiscienzafilosoficaedicognizionematuraeprofondadell’uomo e del mondo èincomparabilmente inferiorealla Francia, all’Inghilterra,alla Germania», dall’altro èanche certissimo che

«gl’italiani nella pratica sonomille volte più filosofi delmaggior filosofo che si troviin qualunque delle dettenazioni». Il motivo? Hannointuìtolanullitàdellecose,lavanità delle illusioni e dellavita, l’infelicità che laaccompagna, l’inevitabilitàquindichesiridadituttoeditutti.Lesuddettenazionisonoancora delle illuse, anche sela loro illusione è cosa

«minima» e «quasi vile»rispetto alle grandi illusioni.Nelle loro «conversazioni»,perquantospiritualieelevate,nonsonriusciteacapirequelche il cinismo del«popolaccio» italiano ha benintuìto«nellapratica».

Il Discorso sviluppaun’ampia analisi dellamancanzadi«società stretta»inItalia,manonindica(comenon li indicava il canto

All’Italia) imotivichehannocondotto a questa singolarecapacità intuitiva degliitaliani e quindi allo stato didisfacimento della lorosocietà. Probabilmente èsottintesa: molto più di altripopoli, essi hanno visto esperimentato più storia, piùmutazioni di assetti politici,più vanità di ciò che erariuscito a imporsi, piùvicinanza alla corruzione del

sacro.Questa–osserviamo–che pur compete agli italianiche non hanno bisogno diprovvedere ai propri bisogni,è pur sempre un’intuizione,un esser «filosofi nellapratica», non«nell’intelletto». È filosofiain senso improprio.L’implicazione necessaria tral’andare nel nulla da cui si èvenuti e l’impossibilità diogni Eterno e di ogni Legge

eterna è infatti unadimensione che, e non solonei primi decenni del secoloXX, è del tutto inaccessibilealleélitescheinItaliaenellealtre nazioni non hannobisogno di lavorare (e amaggior ragione èinaccessibile ai «popolacci»di ogni nazione che inveceoccupano la loro vita persoddisfare questo bisogno).Tale dimensione rimane cioè

ancora un «sottosuolo»rispetto alle forme visibili edominantidellastessaculturafilosofica e scientifica delXXIsecolo,ilcuirifiutodellefondamenta della tradizioneoccidentale è altrettantodogmatico della maggiorpartedelleformeculturalicheinvece intendono tener fermetalifondamenta.

Sulla base di questosignificato polisemico della

parola«filosofo», ilDiscorsopuòdirechelaconnessionedi«società stretta», ambizione,senso dell’onore, rispettodell’opinione pubblica, fa sìche «niuna cosa, ancorchémenomissima, è disposto unitaliano di mondo asacrificare all’opinionepubblica». E «italiani dimondo» sono «quelli chepartecipano di quella pocavita che in Italia si trova»

(«passeggiano, vanno aglispettacoli e divertimenti, allamessaeallapredica,allefestesacre e profane»). «Non sipuò negare chefilosoficamente egeometricamente parlando,essi non abbiano assai piùragione de’ francesi e deglialtri che pensano e operanodiversamente, e che perconseguenza in questa parteessi non sieno, quanto alla

pratica,assaipiùfilosofi.» Inuna «totale mancanzad’industria, e d’ogni sorta diattività», «senza prospettiva»e«senzascopo»,edunque,ingenerale, senza «societàstretta» (nel DiscorsoLeopardi non insiste sullacircostanza che la mancanzadi «società stretta» è in granparte dovuta alla divisionepolitica dell’Italia del suotempo),la«vitadegl’italiani»

è priva di «uno de’grandissimieprincipalimezziche restano oggi agli uominiper non avvedersi affattodellanullitàdellecose lorooper non sentirla, benchéconoscendola, per non esserenella pratica persuasi dellatotal frivolezza delle lorooccupazioni». La societàrende cioè possibile che, purconoscendo la nullità dellecose, non la si senta e in

qualche modo, e in certimomenti o tempi, ci sicontinui a illudere e a darpesoepregioallavita.Magliitaliani non hanno società equindisono«filosofi».

D’altra parte il caratterepolisemicodiquestoconcettodi «filosofia» tende a esserericonosciutoeridottoinpassicome questo: «Ed ecco chegl’italiani sono dunque nellapratica, e in parte eziandio

nell’intelletto, molto piùfilosofi di qualunque filosofostraniero, poiché essi sonotantopiùaddomesticati,epercosì dire convivono e sonoimmedesimati con quellaopinione e cognizione che èlasommadituttalafilosofia,cioè la cognizione dellavanitàd’ognicosa,esecondoquestacognizione,cheinessiè piuttosto opinione osentimento, sono al tutto e

praticamente disposti assaipiù dell’altre nazioni». La«cognizione» è la filosofiaautenticadelGiocatoreNero.È contenuto o attodell’«intelletto». E differiscedall’«opinioneosentimento».Leopardi sostiene cioè che«intelletto» e «sentimento»possono avere lo stessocontenuto,cheinquestocasoè «la somma di tutta lafilosofia»:lanullitàdituttele

cose. E implicitamentesostiene che se modi diversidi aver presente lo stessocontenutofannosìcheinessitale contenuto non sia lostesso, tuttavia è purnecessario che questi diversicontenutiabbianoqualcosaincomune, e che questoqualcosa sia lo stesso neidiversi modi di averlopresente.E se esso è il vero,la verità è presente in modi

diversi che però sporgono daunabasecomune.

Dunque «gl’italianiridono della vita: ne ridonoassai più, e con più verità epersuasione intima didisprezzo e freddezza» deglialtri popoli. Sì che, in Italia,prima ancora del«popolaccio», sono le«classisuperiori» a essere «le piùciniche» rispetto a quelledelle altre nazioni.

«Incalcolabiliidanni»causatidaquestocinismo,sebbeneilcinismo sia l’abito «piùconveniente a uno spirito altutto disingannato eintimamente e praticamentefilosofo». Tutto questo nonsignifica che i difetti degliitaliani siano assenti neglialtri popoli, ma che negliitaliani sono «dominanti» epiù«dannosi».

Il Giocatore Nero prende

lamaggioredistanzapossibiledalle élites del propriopopolo, alle quali purappartiene; ma è insiemeinevitabilecheegliinqualchemodo si trovi rispecchiatonella vocazione filosoficadegliitalianievedainessilamatrice dei tratti di Eleandroe di Tristano.D’altra parte èconsapevole di aver vinto lapartitadecisivaenonpuònonpensare che, se all’estero

sono apparse le grandifilosofie che portano alleforme più potentidell’epistéme messa in operadalGiocatoreBianco,tuttaviale mosse che hanno fattovincerelui,ilGiocatoreNero,sono qualcosa di unico, dimai prima apparso nellastoria del pensiero filosofico;e non può non vedere chequestoeventounicoappareinItalia. Dal dirlo apertamente

lo trattiene forsel’interpretazione che egli dàdella filosofia moderna, giàcapace di mostrare la nullitàdel mondo in cui l’uomovive. Ma egli non può nonscorgere che altro è lafilosofia come messa inquestione e infine negazionedelle opinioni comunidell’uomo (e, certamente,questo la filosofia modernariesce a essere), altro è la

filosofia che, in baseall’evidenza del ritornare nelnulla da cui le coseprovengono, mostral’impossibilitàdiogniEternoe di ogni fondamento eternodella morale individuale esociale(e,questo, lafilosofiamodernanonriesceaesserlo,e all’estero dovrà attendereNietzsche per riprendere esviluppare le mosse diLeopardi).

Restainfineunproblema,cheLeopardinonaffrontamache forse spiega uno deimotivi per cui egli non hapubblicato il Discorso sopralo stato presente dei costumidegl’Italiani (uno deimotivi,diciamo, insieme a quellichiaramente intuibili aproposito di uno scritto chepuò sembrare unadenigrazione). Si tratta delproblema della perdurante

coesistenza delle condizioniche hanno condotto allamiseria e al cinismo degliitaliani,daunlato,edall’altrodella potenza e superioritàdella loro lingua, cosìdecisamente affermate eanalizzate nei Pensieri.Questo, anche se «il secolodel cinquecento è il vero esolosecoloaureodellanostralingua e della nostraletteratura[…],anziinquesto

pregiosuperinonsolotuttiglialtri secoli italiani,ma anchetutti i migliori secoli delleletterature straniere» (P 690-95). La lingua italiana «è lapiù simile alle antiche, e alcarattere antico» (P 1003).Lingua, dunque, delle grandie nobili illusioni. Come puòessereancoraparlata(siapurenoncomenel«secoloaureo»)dalpopolochepiùdituttiglialtri quelle illusioni le ha

completamenteperdute?

14

Feliceinfelice:l’uomo

Rifiutandoilmito,lafilosofiasi presenta come epistémedella verità (cfr. cap. 4),

conoscenza assolutamentenonsmentibileedefinitiva.El’epistémedellaveritàponealproprio fondamento, oltreall’evidenza del diveniredell’essere,ciòcheAristotelechiama«ilprincipiopiùsaldoditutti».Taleprincipiononsiappoggia su un piùfondamentale sapere; ognialtro sapere può essere verosolo se è implicato da taleprincipio e pertanto solo se

non ne è la negazione. Piùtardi, questo principio verràchiamato «principio di noncontraddizione».

Se ne danno molteformulazioni. Nellaformulazione aristotelicasuona così: «È impossibilecheallostesso[ente]competae non competa di essere lostesso [ente] secondo lostessorispetto».(Peresempioè impossibile che a una

superficie competa e noncompetacontemporaneamente diessere bianca.) AncheLeopardi lo formula in modidiversi. Per esempio, in P4129 ne dà la formulazionelatina: non potest idem simulesse et non esse («èimpossibile che lo stesso[ente] sia e non sia»). Ilrapportodella filosofiacon il«principio di non

contraddizione» si costituiscenella dimensione piùprofonda del pensare.Leopardi lo esplora sindall’inizio delle sueriflessioni. Si può dire anziche tale esplorazionecostituisca il loro percorsoessenziale.

D’altra parte, per il«principio di noncontraddizione» – che èprincipio dell’ente in quanto

ente, ossia di ogni ente –l’ente è ciò che, in quantoente, può uscire dal nonessere e ritornarvi: puòoscillaretrailnullael’essere,e l’ente che ha questaproprietà (gli enti immutabilinon l’hanno) è, perl’Occidente, l’evidenzasuprema che dunque, si èdetto,insiemeal«principiodinon contraddizione» (cheinvece regola ogni ente)

costituisce il fondamentodell’epistémedellaverità.

Infatti, se è impossibilechelostessoente(idem)siaenon sia (esista e non esista,siabiancoenonsiabianco),èperò possibile che lo stessoenteprimanonsiaepoisia,oprima sia e poi non sia(questo essere enonessere ècioè possibile in tempidiversi, secondo «rispettidiversi»). E questo essere e

nonesseredeglientinonsoloè possibile, ma, perl’epistéme della verità (e poiperl’interaciviltàoccidentalee,ormai,perl’interoPianeta),è supremamente evidente einnegabile che gli enti cheappaiono nel mondo sonoappunto questo oscillare tral’essereeilnulla.

Prima di indicare i trattidell’esplorazione,condottadaLeopardi, del rapporto tra

l’evidenza del divenire e ilprincipio di noncontraddizione,siosservichequest’ultimo è «principio» insensodiversodaquelloperilquale il «Principio» èl’Eterno, cioè il Dio che ilGiocatoreBiancoaffermaedicui Leopardi mostral’impossibilità. E a Leopardiquesta diversità è del tuttochiara. Il «principio di noncontraddizione» è infatti

fondamento del sapere; ilPrincipio eterno è invecefondamento dell’essere. IlGiocatore Bianco ritiene dipoter mostrare che sulfondamento del «principio dinon contraddizione» ènecessario affermarel’esistenza del Principioeterno. Il Giocatore Neroriesce a mostrare chel’esistenza di un qualsiasiPrincipio eterno implica la

negazioneditale«principio»,ossia è impossibile, e chequindi il Principio di tutte lecose è il nulla. E riesce amostrarlo assumendo comefondamento, da un lato,l’evidenza del divenire, cioèil «principio di noncontraddizione» in quantoprincipio degli enti il cuioscillaretral’essereeilnullaè supremamente evidente (echeancheilGiocatoreBianco

riconosce comesupremamente evidente), edall’altro latoassumendo tale«principio» come ciò in baseal quale è necessarioescludere che l’esistenzadell’Eterno trasformi in unente il nulla da cui gli entivengono e in cui vanno (cfr.cap.5).

L’esplorazione compiutada Leopardi del senso del«principio di non

contraddizione»–sièdetto–è il tratto essenziale del suopensiero. Ne esprime laparabola complessiva. Eglitien fermo che, se qualcosaimplica la negazione diquesto principio, talequalcosa è l’assurdo piùradicale, l’impossibile, ilnulla, ciò che assolutamentenonpuòesistere.

Tuttavia i Pensiericredono,quasisindall’inizio,

di poter mostrare per qualemotivo è necessarioaffermare che l’assurdo,l’impossibile, esiste. Ciò chenon può esistere esiste.Dapprima mostrano chel’assurdo esiste all’interno diun àmbito particolare dellatotalità delle cose: l’uomo;poi mostrano che l’assurdoesiste in ogni cosa, cioè cheognicosaèunassurdo.

Quali contraccolpi

produca sullo stesso pensierodi Leopardi questaprogressiva dominazionedell’assurdo verrà indicatopiùavanti.OravannosentitiimotiviperiqualineiPensieriquesta dominazione vieneaffermata.

E viene affermata, si èdetto, quasi sin dall’inizio.Ciòsignificache,all’inizio, iPensieri escludono,aristotelicamente, che l’ente

in quanto ente siacontraddittorio. Infatti, seLeopardi si allontana benpresto dalla tradizionefilosofica e religiosadell’Occidente, la rigidaeducazione cattolica in cuicrescenellacasapaternasifasentire ancora nelle primepagine dei Pensieri. Nellequali,delresto,ilrapportotrail «principio di noncontraddizione» e la

dimensione metafisica(soprattuttoquelladeldivino)compare nel modo piùautentico, giacché si affermal’esistenza di quelladimensione perché altrimentiil «principio di noncontraddizione» resterebbenegato.

E infatti in quelle paginesi afferma quella certadimensione metafisica che èl’immortalità dell’anima

perché altrimenti la realtàumana sarebbecontraddittoria. «Una dellegrandi provedell’immortalitàdell’anima è la infelicitàdell’uomo […],l’impossibilità di appagare ipropri desideri»: «la nostraesistenza non è finita dentroquesto spazio temporale»,perchéilsuofinirquisarebbe«una contraddizione formalecoldesideriodiesistere»edi

essere felice. Sapendosiridotto a questa vita, l’uomola detesta fino a uccidersi.«L’uccidersidell’uomoèunagran prova della suaimmortalità»(P 40). L’uomoè essenzialmente desiderio difelicità;manellavitapresenteè infelice; se quindi nonesistesse un’altra vita l’uomosarebbe una naturacontraddittoria.Ma ancora inP 375 si afferma che «nella

natura non si trovanocontraddizioni»–nellanaturain quanto «natura primitiva».In P 40 la ragione è sì giàvista come antitetica alla«naturaprimitiva»,tuttavialaragione è allo stesso tempoquel «principio di noncontraddizione» che,spingendo il pensieroall’affermazionedell’immortalità dell’anima,liberalanaturadall’assurdo.

Ma, poco dopo la stesuradi P 40, la ragione vienepresentata,neiPensieri,comela visione della nullità dellecose. Leopardi sta per direche «tutto è nulla» (P 85).Intanto, inP 56, non si dicepiù che l’infelicità dell’uomoimplica l’immortalitàdell’anima perché altrimentila realtà umana (in quantodesiderio di felicità) sarebbecontraddittoria; ma si

rovescia il discorso, e cioè sidice che l’uomo è una realtàcontraddittoria perché il suodesiderio di felicità è incontraddizione con la suainfelicità. «Tutti gli esseri»hanno «cura di conservare lapropria esistenza»e l’essernesoddisfatti;«el’odiarlaononsoddisfarsene» è «unprincipio contraddittorio; ilquale non può stare innatura». «Ora vediamo»,

ossia è evidentissimo, chenell’uomo «è tanta lascontentezza dell’esistenza,che non solo si opponeall’istintodellaconservazionedi lei, ma giunge a troncarlavolontariamente», cosa «chenon può stare in natura senon corrotta totalmente»(corsivi miei). E ciò checorrompelanatura(inquanto«natura primitiva») è laragione. Irrompendo nella

natura e unendosi a lei, laragioneproduceun«principiocontraddittorio», un luogo –la realtà umana – in cuil’assurdo, cioè la negazionedel «principio di noncontraddizione», esiste. Noinon siamo più capaci diquella felicità che solo lanatura può darci, «da cheabbiamo conosciuto il vòtodelle cose e le illusioni e ilniente»della felicitàstessa,e

questa conoscenza è appuntola ragione che, accadendo,rende non solo possibile, mareale, nell’uomo, l’assurdo,l’impossibile,ciòcheessendoin se stesso contraddittorio èl’impossibile.

Inmargine.Puòsembrarechesoloinapparenza,dunquein modo arbitrario, Leopardisia giunto a questo risultato.Egli afferma che conl’accadimentodellaragioneil

«principio contraddittorio»diventareale–riescea«stareinnatura»–perchél’uomoè,essenzialmente, desiderio diessere e di esser felice, e ciònonostante l’uomo è infelicee desidera di non esser più esiuccide.Èfeliceeinfelice.

Sipuòalloraobiettarechequestodiscorsodimenticaunadelle clausole fondamentalidel principio di noncontraddizione:

l’impossibilitàcheallostessoconvengalostessosecondolostesso rispetto. Non si negaquesto principio (dicel’obiezione)sesiaffermachequesta superficie è (stata)bianca ieri e non è biancaoggi: appunto perché taleaffermazione afferma sì chequesta superficie è e non èbianca, ma non afferma chelo sia «secondo lo stessorispetto»: il «rispetto», il

«riferimento» che in questocaso è il tempo.Nello stessomodo (continua l’obiezione),anche ammesso che l’uomosia essenzialmente desideriodi esistere e di felicità – equindi è sempre questodesiderio –, tuttavia l’uomonon è sempre infelice, comelo stesso Leopardi riconoscequando afferma che nellostato naturale le illusionipossono rendere felice

l’uomo,eche,anchedopo lasventura, l’infelicità, ladelusione più profonda, leillusioni «tornano a rifiorire»e basta poco perché ciòaccada. L’uomo non è cioèfelice e infelice nello stessotempo. Non c’è dunque un«principio contraddittorio»,un assurdo, che divengarealtà.

Leopardi ignora questaobiezione. Quindi nemmeno

le risponde. Eppure essa nonriesce a colpire cosìfacilmente. Leopardi puòtener fermo cioè il suodiscorso sulla realtàdell’assurdo. Infatti, sel’uomo è felice e infelice intempidiversi, tuttaviaènellostessotempocheeglisi trovaadaverelapossibilitàreale,lareale capacità di diventarefelice e infelice. Aristotelechiama «potenza» questa

possibilità, onde si dice chel’uomoè, inpotenza,feliceeinfelice, e lo è nello stessotempo. Richiamando qui inbreve quanto altrove hodeterminatamenteconsiderato(cfr. per esempioFondamento dellacontraddizione), va rilevatoche l’essere inpotenza feliceè il non essere in potenzainfelice: propriamente,l’«essere in potenza felice»

sta all’«essere in potenzainfelice» così come «bianco»sta a «nero», sicché come èimpossibile che la stessasuperficie sia nello stessotempo bianca e nera così èimpossibilechel’uomosiainpotenza felice e infelice,perché è nello stesso tempoche egli si trova ad averequesta duplice e oppostacapacità.

Leopardi e l’intero

pensiero dell’Occidentecredono che tale capacità sitrasformi in realtà, ossia chel’essere effettivamente felicee infelice siano il risultato diundivenire dove la felicità el’infelicità dell’uomo esconodal loro non essere ancorareali (perché erano ancorasoltanto la capacità direalizzarsi) e dopo esserdiventatirealisenevannonelloro non esser più reali. Ma

Leopardi scorge, sia pure dalontano(perchénonconsideral’obiezione qui sopraindicata),chelacompresenzadi felicità e infelicitànell’uomo è il diventar realedell’assurdo, l’esistenzadell’impossibile.

Si aggiungacheLeopardiusa come sinonimi i termini«contraddizione» e«contraddittorio». Quandoparla,cioè,del farsi realtàda

parte dell’impossibile in cuila contraddizione consiste, siriferisce al contenutocontraddittorio dellacontraddizione in quanto attodel contraddirsi. Atto che èreale (e in questa realtànemmeno Leopardi scorgealcunché di scandaloso),giacché il contraddirsidell’uomo esiste; ma il«principio di noncontraddizione» richiede

l’inesistenza del contenutocontraddittorio, impossibile,del contraddirsi, e inveceLeopardi afferma (in unprimo tempo) l’esistenza ditale contenuto, in relazione aquell’àmbito circoscrittodell’essere che è la realtàumana. (Poi estenderà taleaffermazione a ogni àmbitodell’essere.)

15

Natura«saviaecoerente»,ilpiacere,la«contraddizionein

natura»

Come ogni cosa, la ragioneaccade senza «perché». Maesiste il perché del suoaccadere senza «perché».Tale esistente perché èl’evidenza stessa del veniredal nulla e dell’andarvi, daparte delle cose: è perchéquesto andare e venire èconsiderato come l’evidenzaassolutamente innegabile (edè così considerato sindall’inizio della storia

dell’Occidente) che non puòesistere alcun «perché»capacediindicareilPrincipioda cui le cose provengono eincuiritornano.

Ma esiste anche unmotivo (unperché) specificoper cui la ragione irrompesenza «perché» nella natura.La ragione, infatti, mostra lanullitàditutto,lanullitàdellanatura,espingeciòcheesisteanonessere;maselaragione

fosseimplicatadallanatura–se l’uomo fosse per essenzaragione, cioè conoscenzadella verità –, la natura, inquanto essere e volontà diessere, implicherebbe ilproprio non essere, sarebbeessa, in quanto tale, un«principio contraddittorio».Dunqueèsenza«perché»chel’uomo venga a essereragione, conoscenza dellaverità.Ciòchenonpuòessere

necessariamente implicatodalla natura e che dunque èopera del caso non sonoinfatti le conoscenze prive diverità (quali le illusioni dellanatura, quelle che Adamopossedeva anche prima dipeccare),malaconoscenzainquanto conoscenza dellaverità. La natura, in quantonatura, che è «tanto savia ecoerenteintuttoilresto»,nonpuò essere così «pazza e

contraddittoria» nell’uomo,facendogli conoscere ciò dicui egli «non doveva pernessun conto accorgersi»,ossia «della sua assoluta enecessaria infelicità inquestavita», sì che «l’esserseneaccorto è contro natura,ripugna ai suoi principi» (P66), rende reale ciò che è inse stesso contraddittorio eimpossibile. «Nella naturanon si trovano

contraddizioni»(P375).Questa natura «savia e

coerente», che in nessunmodo può esser «pazza econtraddittoria» è l’esistenzastessa, considerata in quantotale, quindi senza ciò che è«contro» di essa (ossia laragione). «Ella stessa ama lavita,eprocura in tutti imodila vita […]. Perciocch’ellaesiste e vive. Se la naturafossemorte [se implicasse la

ragione, che, mostrando lamorte, è “mortifera”], ellanon sarebbe. Esser [e] morteson termini contraddittori.S’ellatendesseinalcunmodoallamorte, se in alcunmodola proccurasse, ellatenderebbe e procurerebbecontro se stessa […]. Quelloche noi chiamiamo naturanon è principalmente altroche l’esistenza, l’essere, lavita,sensitivaononsensitiva,

delle cose» (P 3813, ottobre1823).

A proposito del modo incui Leopardi afferma cheessere e morte sono terminicontraddittori, si ribadiscache «morte» significa per lui(come per l’intero sviluppodellaciviltàoccidentale)«nonessere», «annientamento»,l’esser diventato nulla daparte di ciò che «mai più»tornerà a essere. Leopardi

vede che la morte è «contronatura», nel senso che ècontro natura il suo essereconosciuta dall’uomo, ilquale pur appartiene allanatura. Per il Leopardi deiPensieri 3813, 375, 66, lamorte-annientamento, inquanto tale (in quanto tale,ossia non in quantoconosciuta) non è in alcunmodo «contro natura», cioèqualcosadicontraddittorio.E

nonsoloperLeopardi,maperl’interopensieroeperl’interoagire dell’Occidente, dove lamorte-annientamento è anziintesa–stiamocontinuandoaripeterlo –, come la supremaevidenza, la realtàsupremamenteevidente.

Nello sviluppo deiPensieri, la realtà dellacontraddizione nell’uomoviene ampiamente chiaritacome contraddizione della

società (sivedaCosaarcanae stupenda. L’Occidente eLeopardi, X). «Il dir societàstretta [cioè costruita ad artedalla ragione e, quindi,diversa dalla coesistenzanaturaledipiùindividuidellastessa specie], massimeumana, è contraddizione» (P3788). Nonostante questaspecie di ampliamento, chepiù che all’individuo guardaall’associarsi degli individui,

la dimensione in cui lacontraddizioneèrealerimanecircoscrittaalla realtàumana.Eppure tale ampliamentocontribuisce a spingere ilpensiero di Leopardi versouna direzione dove la realtàdell’assurdo non competeall’essere in quanto essereumano, cioè in quanto essereche è invaso dalla ragione,maall’essereinquantoessere(anche se dapprima si tratta

dell’essere umano, ma,appunto, nel suo non venireinvasodallaragione).

Se la morte che annientalavitanonèinquantotale(inquanto tale, e non in quantoconosciuta) «contro natura»,ossia non è qualcosa dicontraddittorio, tuttavia nelPensiero 4043 si dice che,essendo l’uomo sempreinfelice («occupato odivertito»,cioè«disoccupato»

che sia), «la vita è per sestessa un male», cosicché ilsuo sentirsi e conoscersimenoè ilminormale,eanzi«il non vivere […] èsemplicemente un bene, […]preferibile di per sé eassolutamente alla vita». Malavita è lanatura: l’abbiamorisentitoquisopra;lanaturaè«savia e coerente», non vacontro se stessa. Sembra cheinP4043–esipotrebbedire

all’improvviso, se non sitenesse conto dell’intensità eampiezza dei Pensieri sullarealtà della contraddizionenellasocietà–si incomincianegarlo.

Eppure nemmeno inquesto caso Leopardi stasmentendo se stesso. Stainvece incominciando arivolgersi alla natura, intesanoncomedesiderioinfinitodipiacere,macome«giocoreo»

chenonpuòessereenonpuòprodurre altro che male. LavitacheèmalediP4043,sipuò dire dunque, è la natura,considerata appunto comecreata da tale gioco. Ilconcetto di natura comedesiderioinfinitodipiacereele conseguenze di taleconcetto permangono, ma dilì apoco, inunPensierochefa esplicito riferimento a P4043, il piacere riceve una

configurazione nuova, chenoncancellalaprecedentemale aggiunge qualcosa cherafforza la configurazionedella vita come male: «Ilpiacere non è che unabbandono e un oblio dellavita, e una specie di sonno edimorte.Ilpiacereèpiuttostouna privazione o unadepressionedisentimentocheunsentimento, emoltomenoun sentimento vivo. Egli è

quasi un’imitazionedell’insensibilità e dellamorte, un accostarsi più chesi possa allo stato contrarioalla vita e alla privazione diessa, perché la vita per suanatura è dolore […] Dunquela vita è un male e undispiacere per sé, perché laprivazionediessainquantosipuò è naturalmente piacere.Infatti la vita è naturalmenteuno stato violento, poiché

naturalmente priva del suosommo e naturale bisogno,desiderio, fine, e perfezionecheèlafelicità»(P4074).

Qui rimane fermo che lanatura «primitiva» e«assoluta»,consideratapersestessa, non è contraddittoria(«nella natura non si trovanocontraddizioni»); e che arenderla contraddittoria èl’accadimento per il quale laragione fa irruzione

nell’uomo come individuo ecome essere sociale. Ma lanatura, considerata comecreatura del «gioco» dellaproduzione e distruzionesenzaperché–ossiadelgiocoin cui soltanto la morte èeterna –, è male, dispiacere,dolore: «Sola nel mondoeterna, a cui si volve / Ognicreata cosa, / in te,morte, siposa /nostra ignudanatura; /lieta no, ma sicura /

dall’antico dolor […]», cioèdal dolore che essa è inquanto creata dal gioco deldivenire. È in un brevePensiero (P 4087), l’unicoscrittol’11maggio1824,cheviene introdotta in modoesplicito la novità radicale,quella che segna questoulteriore senso della natura,presente sino alla fine negliscritti di Leopardi: la naturacome creatura e aspetto

dell’«empia madre». Lanovità è determinata da unapprofondimento dellaportata e del senso dellacontraddizione. Appuntoquesto approfondimentoandràorachiarito.

Il Pensiero 4087 suonacosì: «Non è forse cosa chetanto consumi e abbrevi orenda nel futuro infelice lavita, quanto i piaceri. E daaltra parte la vita non è fatta

cheperilpiacere,poichénonèfattasenonperlafelicità,laquale consiste nel piacere, esenza di esso è imperfetta lavita, perché manca del suofine, ed èuna continuapena,perch’ella è naturalmente enecessariamente un continuoe non mai interrotto bisognodifelicitàcioèdipiacere.Chimi sa spiegare questacontraddizione in natura?»(corsivomio).

La vita è desiderio dipiacere mai soddisfatto,quindièdolore;mailpiacerestesso produce dolore, rendeinfelice la vita. Anche quelmodo di chiudere lariflessione è insolito.Leopardi sta accorgendosidella svolta che il propriopensiero sta operando. Ora,infatti, non sidicepiùche lanatura è contraddittoria inquantocorrottadalla ragione,

macheècontraddittoriainsestessa: «Chi mi sa spiegarequesta contraddizione innatura?». E in qualchemodola domanda si ripresenta nelDialogodellaNaturaediunIslandese («Io soglioprendere non piccolaammirazione»:l’«ammirazione» comestupore provato di fronteall’incomprensibile), cheLeopardi compone pochi

giorni dopo la stesura di P4087. Proviamo a sondare laportatadiquestopasso.

16

«L’orribilemisterodellecoseedella

esistenzauniversale»

Il piacere, la felicità,

consuma, abbrevia, rende infuturoinfelicelavita.Iltestodi P 4087 non sta parlando,banalmente, delleconseguenze degli straviziche alcuni, pochi, possonopermettersi. Il «piacere» è il«desiderio infinito» delpiacere, sempre inteso,sappiamo, nel senso piùampio, che è innanzitutto lasoddisfazione dei bisogniprimari dell’uomo, la quale,

una volta ottenuta, diventadesiderio di soddisfarebisogni ulteriori, e cosìall’infinito. (D’altra parte,«quellichenonhannobisognisono ordinariamente moltopiùbisognosidicolorochenehanno», perché «uno de’grandissimi e principalissimibisognidell’uomoèquellodioccuparelavita»,P4075).

Si può aggiungere chepiacere e felicità sono

illusione, e all’illusione tienedietroladelusione,esebbenebasti poco perché le illusioni«rifioriscano», tuttavia èproprio questo continuoalternarsi di illusione edelusione a consumare ilpiacere e la felicità, adistruggere la vita. La vita èdunquedistruzionedellavita;la vita è non vita. L’essere èdistruzione dell’essere;l’essere è non essere. La

natura in quanto natura ècontronatura.Esitrattadellanatura umana in quantonatura, non in quanto invasadalla ragione: della natura inquanto creatura e aspettodell’«empia madre». NelDialogodellaNaturaediunIslandese,questoledice:«Seicarnefice della tua propriafamiglia, de’ tuoi figliuoli e,perdircosì,del tuosangueedelle tue viscere»: sangue e

viscere che quindi nonpossono che essere essestesse contro di sé,contraddizioni (impossibilitàdi essere realtà) che sonorealtà.

Che le cose stiano inquesto modo è d’altra partedovuto, per Leopardi, allaconvinzione (in lui ereditatadall’inizio e dall’interopercorso filosofico-ontologico dell’Occidente)

che la produzione edistruzione delle cose, in cuiconsiste l’opera del carneficedella propria famiglia, sial’evidenza più innegabile.Laproduzione-distruzione è ildivenire del mondo e unavolta che lui, in quantoGiocatore Nero, ha mostratol’impossibilità di un Eternoche sia causa e scopo deldivenire, allora ogni cosa ènecessariamente nel divenire

eneltempo,epertantoèessa,il principio della propriadistruzione,ilfondamentodelproprio non essere: è ilprincipiodelproprioesseree– poiché essa ènecessariamente un divenire,un diventar altro, ediventandoaltrovadistrutta–alcontempoèilprincipiodelpropriononessere:èenonè.

Edaccapononsipuòdirecheprimasiaepoinonsia,sì

chelacontraddizionesarebbeevitata:nonlosipuòdireperquanto già si è rilevato nelpassoInmarginedelcapitoloprecedente.Giacché, anche aproposito di una cosa cheprima è, la fede nel diveniredeveaffermareche,inquestosuo esser prima, essa ècapace di essere, ossia è «inpotenza» il continuare aessere e, insieme e nellostesso tempo, è «in potenza»

il non esser più; e, si èrichiamato in quel passo,l’essere in potenza dueopposti è qualcosa dicontraddittorio, diimpossibile. Leopardipercepisce in qualche modoquesta contraddizione(contraddittorietà)ehaquindibenmotivodichiedere:«Chimi sa spiegare questacontraddizioneinnatura?».

Stando all’interno della

fede dell’Occidentenell’esistenza del divenire,nessuno può spiegargliela.Glielo può spiegare il TerzoGiocatore, ma conducendoloal di fuori di quella fede neldivenire che il GiocatoreNero è il primo e comunquetra i pochi che nelmodo piùrigoroso si rifiutano diconsiderare come fede maassumono come la veritàsupremamente evidente che

implica l’inesistenza di ogniEterno.EinfattisoloilTerzoGiocatore può considerarecome «fede» quel divenire equel diventar altro che nellasua forma ontologica (cioècome venire e andare nelnulla)èevocatodalGiocatoreBianco (alleato, in questaevocazione, al GiocatoreNero), e che nella sua formapreontologica incomincia daquandol’uomoiniziaavivere

sullaTerra.Il passo P 3813 («La

natura è vita. Ella èesistenza», eccetera) cheabbiamoriportatonelcapitoloprecedente non resta dunquesmentito da tutte questeconsiderazioni;essodefinisceuno dei due lati della«contraddizione in vita» cheora è venuta alla luce: il latoper il quale la natura è vita,essere, esistenza, vuole se

stessa. In essa (ossia inquanto primo lato) «essere emorte son terminicontraddittori», dunque nontendeallamorte,nonècontrose stessa. O di tale passo èsmentitalapretesadidefinirein modo completo la natura.IlPensiero4087indical’altrolato, radicalmente opposto alprimo, e cioè indica chenonostantel’identitàdinaturae di essere, la natura (ogni

cosa)hainsé,insieme,lapiùradicale negazione di sestessa. P 4087 indica cioèl’intera – e inspiegabile –«contraddizioneinnatura».

Ciò che Leopardi staportando alla luce diventacompletamente esplicito inP4099-101.Alla domanda chechiude P 4087 («Chi mi saspiegare questacontraddizioneinnatura?»)leprime righe di P 4099

rispondono esplicitamenteindicando il concetto con cui«non si può meglio spiegarel’orribilemisterodellecoseedella esistenza universale»(corsivo mio). Dove, già inpartenza, il testo dice che,ora, in questione non èl’essereinquantoumano,mal’essereinquantoessere,cioèla totalità dell’essere; inquestionesono,appunto,«le»cose e l’«esistenza

universale»:«Non si può meglio

spiegare l’orribile misterodelle cose e della esistenzauniversale» (vedi il mioDialogodellaNaturaediunIslandese, massime in fine)che dicendo essereinsufficientieanchefalsi,nonsololaestensione,laportataele forze [della ragione],ma iprincipi stessi fondamentalidella nostra ragione. Per

esempio quel principio,estirpato il quale cade ogninostro discorso eragionamento e ogni nostraproposizione, e la facoltàistessa di poterne fare econcepire dei veri, dico quelprincipio non può una cosainsieme essere e non essere,pare assolutamente falsoquando si considerino lecontraddizioni palpabili chesonoinnatura».

Questo principio – il«principio di noncontraddizione» appunto – èorasmentitononsoloinedauna regione particolaredell’essere (quella umana, lanaturacomedesiderioinfinitodipiacere),mainogniessere:la totalità dell’essere (lanatura come «esistenzauniversale», gioco deldivenire) lo smentisce. Lecontraddizioni esistenti «in

natura» – ossia in ogni partedel gioco del divenire in cuil’«esistenza universale»consiste – sono infatti«palpabili». La loro«palpabilità» è la loroevidenza assolutamenteinnegabile. E poichél’esistenza dellecontraddizioni del divenirepossiede un’evidenzaassolutamente innegabile, ilprincipio di non

contraddizione è«assolutamentefalso».

Questa tesi, covata sinquasi dai primi Pensieri, oraesplode. Le sue ripercussionisul gioco delGiocatoreNerosonogigantesche.Informainun certo senso rovesciata esiapureattraverso lanebbia,il Giocatore Nero staintravedendo il Luogo che ilTerzo Giocatore vede eindica (cioè il «destino della

verità», cfr. Istruzioni per lalettura).

Il Giocatore Nero dice:l’esistenza dellacontraddizione del divenire èevidente; dunque il principiodinoncontraddizioneèfalso.IlTerzoGiocatoredicealtro.Ora limitiamoci a un cennosenza indicarne ilfondamento. Egli dice: perquanto a prima vista la cosapossa sembrare inaccettabile,

l’esistenza del divenire,inteso come diventar altro ediventare da nullaridiventando nulla, non èaffatto evidente, non è«palpabile»: non è ed èimpossibile che sia uncontenuto dell’«esperienza»,un che di «osservabile», uncontenuto «fenomenologico»quale è impossibile cheappaia; quindi lacontraddizione del divenire –

la quale si manifesta, nelTerzo Giocatore, al di fuoridella nebbia che avvolge ilGiocatoreNero–nonimplicalafalsitàdellanegazionedellacontraddizione, ma confermal’inesistenza del divenire. Inbreve:ilTerzoGiocatorediceche, non potendoci essereesperienza dell’esistenza deldivenire, la contraddittorietàdel divenire non implical’esistenzadelcontenutodella

contraddizione, ma è ilsintomodell’impossibilitàdeldivenire.

E si avverta che per ilTerzoGiocatore lanegazioneautentica dellacontraddizione non è, comegià si è rilevato, il«principiodi non contraddizione».Infattiquestoprincipio(cheèprincipio dell’ente in quantotale) pensa l’ente andandogliincontro con la convinzione

che l’entepuòessereunenteche diviene. Ma il TerzoGiocatore mostra chel’esistenza del divenire(inteso come diventar altro edaaltro)nonpuòapparire.Èquindi allo stesso tempoimpossibile che gli enti chedivengono appaiano nel loroesser regolati dal «principiodi non contraddizione», ilquale,apropositoditalienti,afferma da un lato che

quando un ente è èimpossibile che esso sia einsieme non sia, e dall’altrolato afferma la necessità cheessoprimasiaepoinonsia.

Il testo di P 4099-101continua ribadendo che:«L’essere effettivamente, e ilnon potere in alcun modoessere felice, e ciò perimpotenza innata einseparabile dall’esistenza[…]sonodueveritàtantoben

dimostrate e certe intornoall’uomo e a ogni vivente,quanto possa esserlo veritàalcuna secondo i nostriprincipii e la nostraesperienza». L’«essereeffettivamente» è l’esserecomecreaturedivenienti,cioèprodotteedistrutte;equestaè«verità secondo la nostraesperienza», la «palpabilità»del divenire. Il non poteressere felici è la

contraddizione che avvolgel’«essere effettivamente».Contraddizione che a suavolta è «verità», ossia esisteveramente:siaperchéèasuavolta «palpabile», sia perchéèinbaseaipropri«principii»,ossia, da ultimo, in base al«principo di noncontraddizione» che l’uomopuò vedere nellacontraddizione ciò chedev’essere rifiutato.E d’altra

parte, proprio perché vedel’evidente esistenza dellacontraddizione, l’uomo vedela contraddizione tra lacontraddizione esistente e il«principio di noncontraddizione», il principio,tuttavia, «estirpato il qualecade ogni nostro discorso eragionamento».

Il testo aggiunge che se«l’essere, unito all’infelicità,e unitovi necessariamente e

per propria essenza, è cosacontraria dirittamente a sestessa» – se «l’essere deiviventi è in contraddizionenaturale essenziale enecessaria con semedesimo»–, d’altra parte non si trattasolodiquestacontraddizione,ma della contraddizionedell’«esistenza universale:«Del resto e in generale ècertissimo che nella naturadellecose si scuopronomille

contraddizioni […]; e tantoevidentipernoiquantoloèlaveritàdellaproposizioneNonpuò una cosa a un tempoessere e non essere. Onde cibisogna rinunziare allacredenza o di questa o diquelle. E in ambo i modirinunzieremo alla nostraragione». Posto anche –sembra dire il testo – che inbase al principio di noncontraddizione si debba

rinunciare o all’evidenteesistenzadellacontraddizioneo all’evidenza di taleprincipio (ma, osserviamo,comeèpossibile rinunciareatale principio se è esso a farcompiere questa rinuncia?),«in ambo i modirinunzieremo alla nostraragione».Èinfattipursemprela ragione a vedere che nonsolo le cose del mondo, matutte lecosedivengono, sono

nulla perché sono «inmezzoalnulla».

17

L’oscuritàcheavvolgela«vettadella

contemplazione»

Le vicende del pensiero

filosofico non riguardano unmondo «astratto», di cui la«realtà» abbia ben poco arisentire. Esse guidano lastoriaconcretadell’Occidentee ormai del Pianeta. Lecategorie filosofiche, al cuiinterno si dispongono ipensieri e le operedell’Occidente,sonodivenutele categorie dell’interoPianeta. Per esempio ilcomunismo marxista e il

capitalismo, impensabilialdifuori del loro contestofilosofico, e da ultimoriconducibili,comeognialtracategoria,alsensogrecodellapoiesis e dunque al sensogreco della cosa comeoscillazione tra l’essere e ilnulla.

Il Giocatore Bianco e ilGiocatore Nero esprimono idue grandi tempi della storiaoccidentale. Il Giocatore

Nero,propriamente,haapertola stradaal secondodiquestidue tempi. Nonostante lavisibilità del fanatismoreligioso, che del resto è unaforma di negazionedell’altezza raggiunta daldivino lungo la tradizionedell’Occidente, i popolistanno progressivamenteallontanandosi dalla fede cheesista un Essere immutabile,eterno,divino, e che esso sia

il Rimedio contro la morte.La filosofia fa da battistrada,ma il tramonto degliimmutabili è percepibile incampo politico-sociale,economico, scientifico,artistico, giuridico, neicostumi morali degliindividuiedellemasse.

Tuttavia il pensiero diLeopardi perviene a un esitoanalogo aquellodovealcunidecenni più tardi giungerà il

pensiero di Nietzsche; e lostesso discorso si potrebbefareperilpensierodiGentile.Nonstoriferendomi,ora,allagrande analogia relativa alladistruzione di ogni veritàdefinitiva e di ogni eterno,compiuta da questi trepensatori (che dunque sonotreincarnazionidelGiocatoreNero), ma all’esito, appunto,di questa distruzione. Aquesto esito e allo sguardo

che è capace di decifrarlo sirivolgono questo capitolo e idueseguenti.

Nietzsche chiama «vettadellacontemplazione»–ossiail punto più alto al quale ilpensiero può portarsi – lapropria dottrina dell’«eternoritorno delle stesse cose». Adifferenza di Leopardi,Nietzsche non pensa ildivenire (che è la totalitàdell’essere) come produzione

e distruzione casuale dimondi e stati di cose semprediversi, ma come l’eternoritornodiquell’insiemefinitodi cose che casualmente sisono prodotte e sono andatedistrutte(sivedaL’anellodelritorno). Heidegger haosservato che questa vetta«rimane avvolta in densenuvole: non soltanto per noi,ma anche per il pensiero piùgrave di Nietzsche»; «è

avvolta in un’oscurità difronteacuipersinoNietzschedovette indietreggiarespaventato».

I motivi autentici diquesto spavento non sonoquelli indicati da Heidegger,o quelli cheNietzsche stessoha presumibilmente indicato,ma sono dovuti a qualcosachenessunodeiduenéalcunaltro abitatore dell’Occidentepossono aver visto, sebbene

nonsipossaescludereche,inqualche modo, esso trapelidalle parole di Nietzsche.Sono dovuti alla circostanzacheèpropriol’estremorigorecol quale Nietzsche mostral’inevitabilità della morte diogni Eterno a condurre connecessitàaquell’Eternocheèl’Eterno ritorno delle stessecose.Rigorosamentepensato,il concetto del diveniredistrugge se stesso. La fede

nell’esistenza del divenire,inteso grecamente comepoíesis – e ormai dominanteogni pensiero e operadell’uomo – distrugge sestessa. (Qui non è possibilegiustificare questaaffermazione, e si rinvia alsaggio qui sopra citato e aquelli che riguardanol’attualismogentiliano.)

Orbene, l’analogia di cuiabbiamo incominciato a

parlare qui sopra consisteappuntonellacircostanzacheanche, e prima di tutti,Leopardi perviene allapropria «vetta dellacontemplazione»deldivenire,e che anch’egli, di fronte aessa, arretra spaventato. Maanchequi ilmotivoprofondodi questo spavento non èquello indicato da Leopardi;sebbene,forse,essotrapeliinciò che egli vede come

spaventoso.Ciòcheper luièspaventoso («spaventevole»)è la contraddizione (ossia lacontraddittorietà)diciòcheèreale: la contraddizionedell’essere, l’esistenza di ciòche non può esistere,l’esistenzadell’assurdo(dellaquale Leopardi indica tuttauna molteplicità di aspetti emodi). «Contraddizioneevidente e innegabilenell’ordine delle cose e nel

modo della esistenza,contraddizione spaventevole[corsivomio];manonperciòmenvera:misteriogrande,danon potersi mai spiegare, senon negando (giusta il miosistema) ogni verità o falsitàassoluta, e rinunziando incertomodoanchealprincipiodicognizionenonpotestidemsimul esse et non esse» (P4129, aprile 1825), «èimpossibilechelostessosiae

insiemenonsia».La vetta della

contemplazione,qui,secondoLeopardi, è la negazione diquesto principio: la necessitàdi negarlo perché è l’«ordinedellecose», l’esistenzastessa(cioè il divenire) ad apparireevidentemente comecontraddittoria:«contraddizione evidente einnegabile». L’«oscurità» diquesta vetta è estrema

(«misterio grande») espaventosa.

Si tratta tuttavia discorgere,aldi làdiquanto ilGiocatore Nero riconoscecome spaventoso, ciò cheproduce in lui uno spaventoessenzialmente più profondo.Egli è capace di reggere lospettacolo della infelicitàuniversale: «Non gli uominisolamente, ma il genereumano fu e sarà sempre

infelice di necessità. Non ilgenere umano solamente matutti gli animali. Non glianimali soltanto ma tutti glialtriesserialloromodo.Nongli individui, ma le specie, igeneri, i regni, i globi, isistemi, i mondi» (P 4175,aprile 1826). Egli avràl’ardimento di Tristano edella nobile natura «che asollevar s’ardisce / gli occhimortali incontra / al comun

fato,echeconfranca lingua,nulla al ver detraendo, /confessailmalchecifudatoin sorte». Ma già sei anniprima, sappiamo, avevascritto: «Io era spaventato[corsivomio]nel trovarmi inmezzo al nulla, un nulla iomedesimo. Io mi sentivacome soffocare considerandoe sentendo che tutto è nulla,solidonulla».

Si tratta dunque di

mettereinluceinchesensoilGiocatore Nero può essereavvolto da uno spaventoessenzialmente più profondo.Egli non dà alcun esplicitoaiuto per capirlo. E non puòdarlo perché altrimenti,vedremo, dovrebbeabbandonare se stesso elasciare la parola al TerzoGiocatore, cheincomincerebbe la suapartita(cfr.capp.18-20).

Intanto va notato che lastesura dei Pensieri rallentaman mano che Leopardi vapubblicando le Operettemorali. Inoltre,neiPensieri iriferimenti espliciti alla«contraddizionespaventevole»,di cui siparlanell’aprile1825,diventanoinseguito rari. D’altra partepassa quasi un anno da P4099-101 a P 4129. Passaancora un altro anno prima

che i Pensieri ritorninoesplicitamente sul tema della«contraddizionespaventevole». È infatti inP4169 (marzo 1826) che siparladella«spaventevole,mavera proposizione econchiusione di tutta lametafisica»:chel’esistenzadiciò che esiste producenecessariamente l’inesistenzadell’esistente, che l’esseredell’enteèilprincipiodelnon

essere dell’ente. Questacontraddizione«spaventevole» è la«conchiusione di tutta lametafisica».È la «vetta dellacontemplazione». La vetta èraggiunta da tempo, e infattiLeopardi si limita aconstatarne l’aspettospaventoso e in sostanza adaffermare che questaconstatazione è laconclusionedelpensare.

Si capisce allora come,giunto a quella«conchiusione», egli decida,pubblicando le OperettemoralieiCantidal1826(Alconte Carlo Pepoli) allaGinestra, di ripercorrerel’intero arco del suo«sistema» (così egli lochiama).Maper un verso nemaschera la radicalità, perl’altro unisce alla filosofia lapotenzadelgrande stile, cioè

del canto (una potenza chedelrestoèspessogiàpresentenella«prosa»deiPensieri).EsipuòanchecapireperchénelLeopardi delle Operettemorali Nietzsche abbia vistoil «maggior prosatore» delXIX secolo – prosatore, nonfilosofo –, traendo però daquesta «prosa» ampietematiche del propriofilosofare, e dunque facendotortoaLeopardifilosofo.Del

quale Nietzsche era ben ingrado di scorgere il voltosottolamaschera.

Ma,ancora, sipuòcapireperchéilsensodelleOperettemorali e dei Canti siafortemente ambiguo.Giacché,daun lato, l’intentodelloroautoreèdipresentarliailettoriindipendentementeeseparatamente dai Pensieri,dall’altro sono appuntoquest’ultimi a conferire alle

Operettemorali e aiCanti lapotenza e densità concettualechelorospetta.Nonèuncasoche un mese dopo la stesuradiP 4087, delmaggio 1824,in cui chiede chi gli sappiaspiegare come possa darsi la«contraddizione in natura»(cfr.cap.15),Leopardiscrivail dialogo dove Eleandro,dopo aver affermato che lafilosofia è «dannosissima», eda «estirpare dal mondo» e

che le sue verità debbonoessere «ignorate odimenticatedatutti»(cfr.cap.7), aggiunge: «se ne’ mieiscrittiioricordoalcuneveritàdure e triste, o per sfogodell’animo o perconsolarmene col riso, e nonper altro; io non lasciotuttavia negli stessi libri dideplorare, sconsigliare eriprendere lo studio di quelmisero e freddo vero […]:

laddove, per lo contrario,lodoedesaltoquelleopinioni,benché false, che generanoatti e pensieri nobili, forti emagnanimi […]; quelleimmaginazioni, belle e felici,ancorché vane, che dannopregioallavita».

18

ChecosaspaventailGiocatoreNeroela

primamossadelTerzoGiocatore

Non è un caso che Eleandroparli come abbiamo sentitoalla fine del capitoloprecedente, perché «quelmisero e freddo vero» a cuieglisi riferisceèappuntociòche ai suoi occhi debbonosembrare le considerazionisvolte neiPensieri. Eleandrosta esaltando quell’unità difilosofia e di poesia checostituirà l’essenza dellanobile natura del fiore del

deserto. Dimenticatadev’essere la filosofiaseparata dalla poesia, non laloro unione. Che anche perEleandro dev’essersalvaguardata. Egli riconosceinfattidi«ricordare»neisuoiscrittileverità«dureetriste»,e di dichiarar «false» e«vane» quelle «opinioni» e«immaginazioni» cherafforzano la vita rendendo«nobile», «forte» e

«magnanimo» l’uomo.Riconosce il caratterefilosoficodeisuoiscritti.Ciòchepuòrisultaredannosoperillettore,Eleandro(Leopardi)lotienepersé,chiusoneisuoiPensieri. Soprattutto quandoil danno è diventato estremoperché la verità è giunta amostrare la «spaventevole»esistenzadellacontraddizionedovel’essereinquantoessereè il principio del proprio

annullamento e non essere.Nelle Operette e nei Cantiquesta estremacontraddizione è presentesoloinmodoindiretto.

Tale contraddizione, poi,èmassimamentediversadallacontraddizione dialetticahegeliana. La contraddizionedialetticaèilcontraddirsidelpensiero in quanto intellettoastrattocheseparalecose–o«determinazioni» – dal loro

contesto. La contraddizionedialettica è l’errare dellaconoscenza, non è lacontraddittorietà dell’esserein quanto essere. E altro èconsiderare come errare ilcontraddirsi del pensiero,altro è affermare che sono lecose stesse a essere in sestessecontraddittorie.Altroèconsiderare la pazziadell’uomo folle, altro èaffermare, come Leopardi

appuntogiungea fare, che lapazziaènellecosestesse.Lanegazione del «principio dinon contraddizione» allaquale Leopardi perviene èquindimassimamentediversaanche dall’opposizione diforze che agiscono nellostessoente,comeperesempiolo scontro tra due oppostetendenze della volontà odell’istinto all’interno dellostesso individuo, oppure

come l’opposizione di amoree odio (eros, neíkos othánatos) secondo lapsicoanalisi di Freud, osecondo la metafisica diEmpedocle, alla quale Freudsirichiamaesplicitamente.

Per il Terzo Giocatore,dissipare l’oscurità che nelpensiero diLeopardi avvolgela «vetta dellacontemplazione»del divenire– cioè la contraddizione

«spaventevole» – è la primamossa di questa sua partita.Non è ancora la mossafondamentale. Tuttavia èquesta prima mossa che oravamessainluce.

Si tratta di comprendere,insieme al Terzo Giocatore,che quanto è autenticamentespaventoso per lasopravvivenza del GiocatoreNero è che, se l’essere inquanto tale, cioèogni ente, è

contraddittorio, alloral’immane distruzione da luicompiuta dell’interatradizione occidentale restaessa stessa distrutta. IlGiocatore Nero distrugge sestesso. (Ma ciò non significanemmeno che, per questo, ilGiocatore Bianco abbiapartita vinta. Il TerzoGiocatore glielo impedisce.Comevedremo.)

Nel capitolo 5 si è

mostrato perché il GiocatoreNero è vincente rispetto aquello Bianco. Egli mostrache se esistesse un Dioeterno, e dunque un«Prototipo» delle cose delmondo – delle cose, cioè, ilcui venire dal nulla e andarenel nulla è assolutamenteevidenteeinnegabile–,allorail nulla da cui esseprovengonoeincuiritornanosarebbe trasformato in un

ente che partecipa dellapositività del Prototipo. Ilnulladacuilecosevengonoein cui vanno diventerebbeinfatti un suddito delPrototipo eterno: un sudditoche segue le Regole delmondonellequaliilPrototipoeterno fa sentire il propriodominio, e questo suddito lesegue sia prima di diventarel’essere delle cose, sia dopoaver finito di esserlo. Se

esiste l’Eterno, il nulladovrebbe esserne il suddito.Maè impossibile che il nullasia un suddito, che sottostiaalla Legge di tutte le cosepresenti,passate,future,nellaquale il Prototipo consiste. Ilnullanonsotto-stàperchénonèuno«stare».SeesistesseunEterno, dunque, il nullasarebbeunente,ilnonesseresarebbe essere. A questopunto il Giocatore Bianco

soccombeperchésialuisiailGiocatore Nero sonoassolutamente convintidell’impossibilitàchel’esseresia non essere: sonoassolutamente convintidell’inviolabilitàdelprincipiodi non contraddizione.Quando vince questa partita,ilGiocatoreNerononèinfattiancora pervenutoall’affermazione dellacontraddittorietà di tutte le

cose.Ma a un certo punto il

Giocatore Nero si convincechelarealtàdelmondo,lacuiesistenza è assolutamenteevidente, smentisce il«principio di noncontraddizione». Ritiene dipoter rilevare che è la realtàstessaamostrarechel’essereènonessere,chelostessoèeinsiemenonè.Èquicheeglidistrugge la propria vittoria

sulGiocatore Bianco. Infatti,come può il Giocatore Neroancora negare l’esistenza diogniEterno inbaseal rilievoche, se l’Eterno esistesse, ilnon essere sarebbe identicoall’essere, e cioè che il«principio di noncontraddizione resterebbeviolato»? Negando questoprincipio, egli nega ilfondamento della propriavittoriasull’avversario.

È in questo modo (cioèdicendoquelchediconoiduecapoversi precedenti) che ilTerzo Giocatore dissipal’oscurità che avvolge la«vetta della contemplazione»del Giocatore Nero e mostrail tratto che propriamentedeve farlo arretrarespaventato.

Il Terzo Giocatoreosserva inoltre che ogniforma di pensiero

occidentale, affermandol’evidenza del divenire,afferma necessariamente ladifferenza tra il punto dipartenza e il punto di arrivodel divenire stesso. Se sipensa che la legna divengacenere,osesistacostruendounacasa, si èconvintiche lalegna, prima di bruciare, nonècenere,echeimaterialiconcuisicostruisceunacasanonsono la casa ormai costruita.

Ma questa convinzione è unmodo di affermare il«principio di noncontraddizione». Anche tutticoloro che, lungo la storiadell’Occidente, si pongono aguardia del divenire dellecose e ritengono che persalvaguardarlo si debbanegaretaleprincipio,inrealtàlo affermano. La loronegazione di esso è soltantoun’intenzione.

Eancora:ilmodoincuiilTerzo Giocatore dissipal’oscurità che nel pensiero diLeopardi avvolge la «vettadella contemplazione» deldivenire–lavettaconsistentenell’affermazione dellacontraddittorietà di tutte lecose – è determinato dallacircostanzachequelpensieroè il Giocatore Nero.Intendiamo dire che questodissipare non può ridursi

all’obiezione di carattereformalechepuòesser rivoltaancheatutticoloroche,senzaessere il Giocatore Nero,affermanolacontraddittorietàdiognicosa:l’obiezionecioèche, se ogni ente ècontraddittorio, allora anchetale affermazione è un entecontraddittorio, ossia è e nonèsiffattaaffermazione.

D’altra parte Leopardipuò replicare dicendo che

l’unico ente noncontraddittorio è appuntoquesta affermazione e il«sistema» da essa implicato.In effetti, Leopardi continuafino alla fine a sostenere laverità e quindi la noncontraddittorietà del proprio«sistema». Per esempio,ancoranellugliodel1826,inP 4185, mostra ciò che è ingrado di escludere un certotratto concettuale che «pare

affattocontraddittorionelmiosistemasopralafelicità».

Ma anche questaprospettiva,cheanticipacerteconfigurazioni della logicacontemporanea, sostienequalcosa di contraddittorio.Infatti,selatotalitàdeglientisi divide in una dimensionecontraddittoria e in una noncontraddittoria (la qualeaffermalacontraddittorietàdiquella prima dimensione),

allora la dimensione noncontraddittoria non potràavere alcuna relazione conquella contraddittoria, perchétale relazione si riferirebbe aqualcosa che è e non è, equindi la relazione stessasarebbe e non sarebbe. Il«sistema» di Leopardi nonpuò avere pertanto nemmenoquella relazione con ladimensione contraddittoria,che consiste nel conoscerla,

perché conoscerebbequalcosa che è e non è equindi tale«sistema»sarebbeunconoscereenonconoscerequelqualcosa.

Tuttavia, comesi èdetto,non è a questo tipo didifficoltà che il TerzoGiocatore intendeprimariamente rivolgersiquandosiriferisceaciòcheèautenticamente spaventosoper il Giocatore Nero, e del

quale quest’ultimo hamostratodinonaccorgersi.

D’altra parte l’analogiatra il pensiero di Leopardi equellodiNietzsche,dicuisièparlato nella prima parte delcapitolo precedente, vatuttaviaprecisata.

Il pensiero di Nietzschearriva alla dottrinadell’eterno ritorno.Considerandoquestadottrina,ilTerzoGiocatorerilevache,

identificando il divenire e latotalitàdell’essere,ilpensierodi Nietzsche mostra, senzarendersene conto, che ildivenire implica quell’Eternoche invece tale pensierointende radicalmenteescludere, e intendeescluderlo proprio medianteladottrinadell’eternoritorno.Il Terzo Giocatore porta allaluce che il pensiero diNietzsche mostra, senza

rendersene conto, lacontraddittorietà, cioèl’impossibilità del divenire.Infatti, da un lato, talepensiero mostra col rigoremassimo (quello che si puòesercitare sul fondamentodella convinzione che ildivenireèl’evidenzasupremae che le cose che esistonosono unicamente cosedivenienti e «Dio è morto»)che nessun Eterno esiste;

dall’altro lato tale pensierogiungeadaffermarequelnondiveniente che è l’EternoRitorno, e daccapo vi giungeinevitabilmente, cioè conaltrettanto rigore. Nietzschenonsenerendeconto,ma inveritàciòdifronteacuiilsuopensiero arretra spaventato èil trapelare dellacontraddittorietàdeldivenire.

Anche Leopardi, e benprimadiNietzsche,pensache

iltuttocoincidaconlatotalitàdeldivenire.«Tuttoènulla»,cioè, perché tutto viene dalnulla e vi ritorna. Ma adifferenza di Nietzsche egligiunge ad affermareesplicitamente che tutte lecose sono contraddittorie. Èquesto il significatodell’affermazioneche«tuttoèmale» (P 4174). E a questadensità di significato siriferisce«ilmalchecifudato

insorte»,chelanobilenaturahal’ardimentodiguardare.

NelpensierodiNietzscheè l’inevitabile dottrinadell’eternoritornoafarsìchela distruzione di ogni eternoabbia a implicareinevitabilmente (anche se aldilàdiciòdicuitalepensieroriesce a essere consapevole)la contraddittorietà delconcettodidivenire.Noncosìnel pensiero di Leopardi,

dove l’esplicita affermazionedellacontraddittorietàdiognicosavieneagiustapporsialladistruzionedeglieterni,ecioèdove questa distruzione nonrichiede necessariamentequell’affermazione, ma anzipuòreggersisolonellamisurain cui la esclude. Fermorestando che il «sistema» diLeopardi ha la pretesa dipoter mostrare che quelladistruzione è inscindibile dal

rilevamento dellacontraddittorietà di tutte lecose. E, sappiamo, questorilevamento è la convinzioneche tale contraddittorietà sia«evidente»: «Nessuna cosacredo sia più manifesta epalpabile, che l’infelicitànecessaria di tutti i viventi»,dice Eleandro; ma due annidopo, si è visto, P 4175afferma che «infelice dinecessità» è ogni cosa. Quel

cheEleandro non dice e nonvuoldire inmodoesplicito èche l’«infelicità necessaria»consiste nella necessità cheogni cosa diveniente sia ilprincipio della propriadistruzione, ossia è lanegazione del «principio»fondamentaledellaragione,il«principio di noncontraddizione». La stessareticenza è riscontrabileanche nelle altre opere

pubblicate.Il passo avanti di

Nietzsche rispetto aLeopardiè dunque dato dalla dottrinadell’eternoritorno.Maquestadottrina, si è detto, porta aldissolversi del concetto didivenire.Finoaquestopuntoil TerzoGiocatore lascia chesianogli stessi abitatoridellafede nell’esistenza deldivenire a mostrare,consapevolmente o no, la

contraddittorietà dello stessodivenire. Porta soltanto allaluceciòcheessinonpossonoriconoscere.

19

IlterzoGiocatore,ildestino,ilnonapparire

deldiventaraltro

SièdettonelleIstruzioniper

la lettura che il TerzoGiocatore, a differenza deglialtri due che giocano sullastessascacchiera,vedeche lascacchiera è l’Errare.L’Errare estremo.Essenzialmente più profondodi ogni «peccato originale».Lascacchieranonsiappoggiaad alcunché ed è l’Errareestremo; e nondimeno è ilsostegnosucuisiappoggiaedi cui si alimenta tutto

l’errare e la violenza dellaciviltà occidentale e ormai dituttalaTerra.

Ma il Terzo Giocatorepuò vedere l’Errare solo inquantovedelaVerità.Nonla«Verità» affermata dalGiocatoreBiancoenegatadaquello Nero, ma il sensoinaudito della Verità.Propriamente, il TerzoGiocatore è il testimone delvedersi della Verità. Egli, si

diceva in quelle Istruzioni, èil dito che indica l’Immenso,il linguaggio che tenta diesprimerlo. Tale linguaggio,aggiungevamo, tenta diindicare ciò che non è untentativo,mastaaldisopradiogni tentativo di stare.Appunto per questo lochiamiamo «de-stino dellaVerità»(intendendodunqueil«de» del prefisso comeindicante non un moto da

luogo, ma unaintensificazione, comeaccade, per esempio, in «de-amare»e«de-vincere»).

Il destino è l’innegabile,l’assolutamente innegabile.Non può essere smentito néda uomini né da dèi. NessunOnnipotente può piegarlo. Èinfattiaffermato(losimostraneimieiscritti)anchedatuttele forze e sapienze cheintendononegarloepiegarlo.

Giacchéèessoa sorreggerle,a esserne il fondamento. Ildestinoèlaverità.

Da più di due secoli,certo, l’Occidente ènegazione di ogni veritàdefinitivaediogniEterno.Ènegazione a partireinnanzitutto dal propriosottosuolo filosofico, abitatodalle poche incarnazioni delGiocatoreNero.Diessesistaconsiderando, in queste

pagine, Leopardi. Il TerzoGiocatore può indicare ildestino della verità perché ildestino – come stiamo permettere in luce – mostra lanonveritàdellabaseapartiredalla quale l’Occidentegiungeallanegazionediogniverità definitiva e di ogniEterno; ossia mostra la nonverità della fede chel’esistenza del divenire sial’evidenza assolutamentenon

smentibile.Stiamo parlando cioè del

rovesciamento più profondorispetto al centrodell’Occidente–anzi,rispettoalcentrodiciòincuil’uomocrededacheegliapparesullaTerra – il centro costituitoappunto dalla fedenell’evidenza del diventaraltro.

Non si dovrà dire, allora,che l’uomo è lo scontro tra

questasuafede,dovelaTerrasi mostra nel suo essereisolata dal destino, el’appariredeldestino?

Qui si aggiunga soltantoquestadefinizione formale: ildestinoè l’appariredell’essersé e non altro da sé degliessenti in quanto tali,l’apparire che è il Luogo lacui negazione èautonegazione e dove l’essersé appare nel suo esser

necessariamente implicantel’eternità di ogni essente,ossia dell’essente in quantotale, l’eternità dunque chenon spetta soltanto a unEternoprivilegiatoedivino,ilquale sia convinto dellanullità originaria di tutto ilresto anche quando egli sipropone di trarre fuori dalnullaqualcosadiesso.

L’eternitàdiogniessente!Diognicosa, relazione, stato

del mondo e dell’anima, diogni attimo, del contenuto diogniistante,delpiacereedeldolore, e del lorosuperamento.L’eternità che imortali credono impossibileperché credono evidente chele cose del mondo o tutte lecose siano prede o figlie delnulla.

La cultura non solofilosofico-scientifica

dell’Occidentecontrapponelecose che si possono«osservare, «sperimentare»,«constatare», «percepire incarne e ossa» – le cose chesono«fenomenologicamente»affermabili: le cose«palpabili», dice Leopardi –alle cose che invece simostrano all’interno delfantasticare,dell’immaginare,del supporre, del presagire,del pensiero separato

dall’esperienza. Per esempio,che ora sia giorno o chequesti libri abbiano coloridiversi sono cose del primotipo; che tra gli dèidell’Olimpo vi sia Apollo,invece, del secondo. (Fermorestando che anche le nostrefantasie sono osservabili, manon lo sono le cose che nelfantasticare a volte si credeche esistano nello stessomodo in cui esistono questa

giornata o questi libri, o checomunque a volte non sicrede nel loro caratterefantastico.)

Se lungo la storiadell’Occidente possonoessere insorti dubbi intornoall’esistenza di cose ritenutein un primo tempoosservabili, tuttavia nessundubbioèmaisorto intornoaldivenire (diventar altro)dellecose. Il divenire – abbiamo

continuato a ripetere – èl’evidenza assolutamenteinnegabile. L’eleatismo hacertamente affermatol’illusorietà del divenire, maha creduto che, all’internodell’illusione che avvolge imortali, ciò che èsupremamente osservabile edevidenteèchelecoseesconodal nulla e vi ritornano. Maanche nella preistoriadell’Occidentesicredeche il

diventaraltrodellecosesialasuprema evidenza. Neparlano le teogonie, lecosmogonie, le metamorfosi.Il peccato di Adamo è unvoler diventar altro. Ognipreistoria è preistoriadell’Occidente.Inessanonsipensaancorailsensoradicaledell’«essere»edel«nulla»(ilsenso che viene portato allalucedall’Occidente),equindiildiventaraltroedaaltronon

èancoraildiventarnullaedanulla, e tuttavia il diventaraltroedaaltro,dapartedellecose, è la cova in cuimaturail senso radicale(«ontologico»)cheilpensierodell’Occidente conferisceall’altro da cui le coseprovengonoeincuivanno.

Seguiremooraquestafasedella partita tra il TerzoGiocatoreegliabitatoridellafede nel diventar altro e da

altro,dapartedellecose.Allaloro testa stanno ormai gliabitatori dell’Occidente. E ilGiocatore Bianco, prima, epoi il Giocatore Nero – cheora considereremo comeespressione di tutte le sueincarnazioni – guidano gliabitatori dell’Occidente.Indicheremo conl’espressione Giocatori deldiventar altro l’immensafalange degli abitatori della

fede nel diventar altro e daaltro, in quanto guidata dalGiocatore Bianco e dalGiocatore Nero (in quantoguidati dall’animadell’Occidente).

Terzo Giocatore –(rivolgendosiaiGiocatorideldiventar altro) – Voi sietegiunti ad affermare che lecose(alcuneotutte)vengonodalnullaealnulla ritornano;echequestolorodivenireèla

supremaevidenza.Giocatori del diventar

altro – C’è bisogno diripeterlo?Comunque sarebbepreferibile dire che sitrasformano,perchélacenere,peresempio,nonhaprimadisé il nulla, ma la legna cheverràbruciata(etuttociòcheesiste prima della cenere); ela legna, a sua volta, non hadopo di sé il nulla, ma lacenere (e il calore, e tutte

quelle altre forme di energiache si producono con lacombustione della legna equelle che continuano aesistere).La scienzadicechela quantità di energiadell’universorimanecostante,maassumeformediverse.

Terzo Giocatore – Sì. El’esempio della legna chediventa cenere è ottimo perindicare la morte di tutte lecose.Maprimachelacenere

venisseaprodursi,cheneeradi essa? Esisteva già? Equando la legna saràdiventata cenere, che ne è diessa?Esisteancora?

Giocatori del diventaraltro – Ovviamente no. Nonvenirci a chiedere quello cheinsegniamodaduemillenniemezzo.

Terzo Giocatore –Dunque, dire che la cenerenon esiste già prima di

prodursi e che la legna nonesiste più quando è diventatacenere, significa dire che,prima di prodursi, la cenere,in quanto cenere, è ancoranulla, e che, dopo esserdiventata cenere, la legna, inquanto legna, è ormai nulla.(Dico «la cenere in quantocenere»e«lalegnainquantolegna», perché invece – sevogliamo tener conto dellalegge di conservazione

dell’energia –, in quanto lalegna e la cenere sono unacertaquantitàdienergia,essenon diventano nulla e nonesconodalnulla).

Maorachiedo:quandolalegna (in quanto legna) èdiventata nulla, continuaforse a essere osservabile,sperimentabile, constatabile?Continua forse, cioè, adapparire così come apparivaprima di diventar cenere?

Della legna ci si ricorda,certo,quandoessaèdiventatacenere; ma nel ricordo essaappare forse così comeappariva prima di bruciare emorire?

Giocatori del diventaraltro–Certamenteno!

TerzoGiocatore–Eforsedobbiamo dire che, prima, lalegnadiventanullaepoinonappare più come apparivaprima; o che prima non

appare più come apparivaprimaepoidiventanulla? Inmodo che, daccapo, cisarebbe un tempo in cui èdiventata nulla, ma appareancora con tutti i tratti cheessa mostrava prima diannullarsi; oun tempo in cuiessa non appare più comeappariva prima, ma non èancoradiventatanulla?

Giocatori del diventaraltro – Se vuoi dire che

l’annullarsi della legna èinsiemeilsuononapparirpiùcome appariva prima diannullarsi, e viceversa, allorati rispondiamodi sì, checioèè necessario sostenere questasimultaneità, e che ènecessario risponderenegativamente a queste tueultimedomande.

TerzoGiocatore – Certo,se si crede che le cose siannullinoènecessariocredere

che, nella misura in cui essesi annullano, esse non sianopiù osservabili,sperimentabili, constatabilicosìcomeloeranoprima.

Se si credeche le cose siannullino, è necessariocredere che, nella misura incui si annullano, esse escanodall’esperienza, cioè escanodalla totalità di ciò che èsperimentato. Sperimentare èsperimentare un ente: è

impossibile sperimentare ciòcheormaièniente.

Giocatori del diventaraltro – Vediamo dove vuoiarrivare.

TerzoGiocatore–Voglioinnanzitutto ricordare quelche voi sostenete: chel’andare nel nulla e l’uscirneè l’evidenza suprema, ilsupremamente osservabile,constatabile, sperimentabile,palpabile. E che sul

fondamento di questaconvinzione cresce l’interastoriadell’Occidente.

Ora, poiché abbiamoconvenuto che il nulla che lalegna diventa non èsperimentabile, ne segue chenonpuòesseresperimentabilenemmeno l’annullamentodella legna e di tutte le coseche si annullano e, ognuna asuomodo,diventanocenere.

Inaltri termini,quandola

legna brucia appareindubbiamenteunvariare,mase non appare che il variareconduce al nulla delle coseche vanno variando, alloranon si può nemmenoaffermare che il loro variaresiailloroannullamento.

Vedochenonrispondete.Continuerò allora,

concludendocosì.Poiché ciò che si annulla

esce dall’esperienza nella

misura in cui si annulla, èimpossibile che l’esperienzaattesti che ne sia di ciò chesecondo voi è andato nelnulla.L’esperienza tacedellasorte di ciò che è uscito daessa, così come la volta delcielo tacedella sortedel soledopoiltramonto.

Solo in un secondomomentol’uomodelleoriginiparla del suo «tramonto» nelnostro senso. Dapprima egli

assiste a quella che per lui èlamorte del sole. Quando ilsoleseneva,ilmondointerosparisce. La notte è ilcadavere del giorno, cioèdellavita.Benpiùspaventosodei cadaveri in cui ci siimbattedigiorno.Quandopoiimortalisiabituanoalritornodel sole, all’alba, allora essichiamano «tramonto» quellamorte.

Mainveceditantecose,e

tra esse molte gli stanno acuore, sperimenta che,quando non si mostrano piùcon i tratti che primamostravano, non ritornanopiù, non hanno più le loroalbe. Chiama allora«cadavere» il corpo più omeno amato. Una parola,questa, connessa alla parola«cadere»:ilcaderedichinonsirialza«maipiù».

E quanto ho detto del

presunto annullamento dellecose (ossia del tramonto delsole) va ripetuto del loropresunto uscire dal nulla.Come la volta del cielo nonpuò che tacere intorno allasorte del sole dopo iltramonto, così essa non puòdire alcunché di quel che nesiadelsoleprimacheessosifaccia vedere alle prime lucidell’alba. Accade pertantochedellecosechenasconosi

giungaadirechesonouscitedalnullaperchéprimanonsieranomaiviste:quasichechile vede nascere abbia lacapacità di sperimentare gliinfiniti tempi passati (ecomunque la totalità delpassato), scorgendo che inessi ciò che è«nato»proprionon c’era, non è mai stato,ossiaeranulla.

Con le considerazioni svolte,

il Terzo Giocatore staindicando un Luogo maiesplorato dai mortali. Essisono convinti che, sia nellasua forma preontologica siain quella ontologica, ildiventar altro sia evidente,sommamente sperimentabile.MailTerzoGiocatoremostrache questa millenariaconvinzione implica essastessalanegazionediciòchesostiene,cioèriconoscecheil

diventaraltroedaaltrononèevidenza, non appartieneall’esperienza. Ciò significache il diventar altro è ilcontenuto di una teoriacostruita sulla base delladelusione provocata dalmancato ritorno di ciò chenon appare più. (Ma qualeuomo ha sperimentatol’infinità dei tempi futuri, ecomunque la totalità delfuturo,cosìdapotersostenere

che quanto è tramontato nonritorneràmaipiù?)

Una teoria non affermaqualcosa che si mostranell’esperienza,ma interpretal’esperienza.Affermarecheildiventar altro e da altro e ildiventar nulla e da nulla è ilsommamente sperimentabilesignifica dunque negaresommamentequell’esperienza che si vuolesalvaguardare; significa

affermare l’apparire di ciòche non appare e il nonapparire di ciò che appare.Come se di giorno siaffermasse che è notte e dinottecheègiorno. (Leopardigiunge sì ad affermare chetutte le cose sonocontraddittorie, ma non puòammetterecheciòcheappareed è evidente – e per lui ciòche appare ed è evidente èl’infelicità e contraddittorietà

di tutte lecose–nonappaia.Eppure, pur non potendorendersene conto, è costrettoadammetterlo.)

Certo, appare il variaredello spettacolo in cuil’esperienzaconsiste;manonappare l’annullamento, e ilvenire dal nulla, da parte diciòchevaviaviaoccupandola scena dell’apparire.Appare, come prima fasedella variazione, la legna nel

camino prima di esserebruciata, poi appare il suoprimo fiammeggiare, epoi lediverse fasi di esso, il suoridursi, il suo spegnersilasciando che sia soltanto lacenere a occupare la scena.Ma, ripetiamo: poiché nonpuòapparirechetalifasi,nonapparendo più comeapparivano quandooccupavano la scena, sianodiventate nulla, ne consegue

che non può nemmenoapparireilloroannullamento,ossial’annullamentodiquestistati dell’essere, di questiessenti; e nemmeno puòapparire il loro uscire dalnulla.

20

Ilnullaeildestino

Si è detto che nel destinodella verità appare che ogniessente è se stesso – così

continuailTerzoGiocatore–e non è altro da sé. Adifferenza del «principio dinon contraddizione», questoessere sé non solo non è undogma, ma non è nemmenoun principio che (comeappuntoaccadenel«principiodi non contraddizione»)regola un essere sé di enti dicui si crede che appaia ciòchenonpuòapparire,ossiailloro uscire dal nulla e

ritornarvi. Non è un dogmaperché appare unitoall’autonegazione della suanegazione (si veda inproposito La strutturaoriginaria,Tautotes,Essenzadelnichilismo).

Qui ci si deve limitare auna metafora, dicendo chel’essere sé che appare neldestinodellaveritàècomeunbersaglio che non può esserecolpito perché ogni freccia

scagliata contro di essocolpisce se stessa, senzaquindi riuscire a colpire ilbersaglio. (Agli scrittirichiamati e agli altri a essiconnessi si rinvia percomprendereperchésialecitoesprimere con questametafora l’essere sé cheappare nel destino, e percomprendere il sensoconcretodiquantosegue.)

Ma l’esser-sé-e-non-

altro-da-sé degli essenti cheappaiono nel destino implicacon necessità l’eternità diogni essente. (Questoimplicare con necessitàsignifica che la negazionedell’eternità di tutto ènegazionedell’esseresédegliessenti che appare neldestino,nelbersagliochenonpuòessercolpito.)Conquesteparole si sta indicando ilcuoredeldestino.

E il cuore, mostrandosi,mostra un senso inauditodell’uomo, il suo sensoautentico. L’uomo è l’eternoapparire del destino dellaverità: l’eterno appariredell’eternitàdiogniessente.

Sia pure per cenni,indichiamo perché tuttoquestovieneaffermato.

Imortalicredonoche lecoseescano dal nulla e vi

ritornino. Sono guidati dalGiocatoreBiancoedalNero.

Ma se un essente va nelnulla, il risultato del suoannullamento non èsemplicemente il nulla, ilpuronulla.

Infatti il nulla,come tale,pensato cioèindipendentementedall’essente che si annulla,nonè ilnulla incui l’essenteè giunto. Pensare il nulla in

quantonullanonèpensare ilnullainquantoèciòincuiilqualsiasiessentesièperduto.PensareilnullanonèpensareSilviacheèdiventatanulla.

È dunque necessarioaffermare che un qualsiasiessente,annullandosi,diventailnulla-di-questo-essente.

E il nulla da cui unqualsiasi essente provienenon è, daccapo, il puro nulla– pensato cioè

indipendentementedall’essente che da essoproviene –, ma è il nulla-di-questo-essente.

La fede che un essentequalsiasi vada nel nulla e neprovenga è dunque la fedecheesistauntempo(ilfuturoe il passato di quell’essente)in cui tale essente è nulla.L’espressione nulla-di-questo-essente significainfatti che questo essente è

nulla. Questa fede identifical’essenteeilnulla.

Il Giocatore Nero giungea sostenere che l’identitàdell’essere (ente, essente) edel niente è evidente,«palpabile», perché èevidente l’uscire dal nulla el’andare nel nulla. Ma ilTerzo Giocatore ha mostratoche questa «evidenza» è una«teoria»incuivienenegatoilcontenutocheautenticamente

appare.Ora,illinguaggiochetestimoniaildestino(ilTerzoGiocatore)mostra che questateoria non è soltantoun’interpretazione che infuturo potrebbe risultarefondata, ma è la negazionedell’innegabile essere sé cheappare nel destino dellaverità: è la pretesa di colpireilbersaglioinviolabile.

Questa «teoria» èl’essenza del nichilismo. Il

Giocatore Nero incomincia aconferireataleessenzalasuaformapiùrigorosa.

Esplicitamente, ilnichilismoaffermal’evidenzadello sporgere provvisoriodelle cose dal nulla, il loroesserne preda e l’essenzialeinfelicità dell’uomo, maesclude perentoriamente cheil nulla da cui le coseprovengonoeincuivannosiaidentico all’essere che loro

compete durante il tempo incui riescono a sporgere dalnulla. L’affermazionedell’evidenza del diventaraltro esclude che l’ente sianiente. Esclude lacontraddittorietà dell’ente. Èper questa esclusione che vaadeguatamente inteso (cfr.cap.21) il discorso col qualeil Giocatore Nero afferma lacontraddittorietà di ogni cosae la presenza del nulla

nell’esserestesso.Ma va anche rilevato che

seilnichilismo,affermandoildiventar dell’essere, hal’intenzione di nonidentificarel’essereeilnulla,tuttavia la fede che l’esserediviene implicanecessariamente – come si èmostrato – l’identitàdell’essere (ossia delle cose,deglienti)edelnulla.

È abissalmente difficile

smascherare l’essenza delnichilismo,proprioperché,damillenni, essa sta sotto gliocchi,sottosemprepiùocchi,vicinissima, ossia perché èciòchel’Occidenteconsideracome l’assoluta eassolutamente innegabileevidenza:ilritornarenelnulladacuisiproviene.

Nella sua concretezza,l’esser sé che appare neldestino della verità è invece

l’impossibilità che gli essentiescano dal nulla e viritornino. Questaimpossibilità è il sensoautenticodell’eternitàdiogniessente.

IlGiocatoreNeroaffermache la contraddittorietà ditutte le cose e quindil’identità di essere e nonessere sono evidentementesperimentabiliechequindi il«principio di non

contraddizione» è falso. IlTerzo Giocatore mostra chel’esser sé che appare neldestino, e pertantol’opposizione di essere enulla, è l’autenticamenteinnegabileecheèimpossibileche l’identità di essere e nonessere sia qualcosa dievidentementesperimentabile, qualcosa cheappare.

Ripercorriamo il nostrocammino prolungandoloanche,conalcunicenni,oltreiltrattocostituitodallapartitacolGiocatoreNero.

La filosofia nasce comevolontà di indicare laconoscenza che non possaessere in alcun modosmentita: la veritàincontrovertibile, definitiva.Dopo due millenni e mezzosembra che la filosofia abbia

rinunciato a questo compito,adottando sempre più imetodi ipotetico-sperimentalidella conoscenza scientifica.Se però si è capaci digiungere alnucleo essenzialecomune a ogni filosofia delnostrotempo,sipuòscorgerechelafilosofianonripropone,dopo un lungo giro, loscetticismo ingenuo. Sindall’inizio la filosofia pensache il divenire, cioè la

temporalità e caducità dellecose del mondo, sial’evidenzaeveritàimmediata,indubitabile.Sulla base dellafede in questa evidenza, daiGreciaHegel,lametafisica–il Giocatore Bianco – ritienedi poter affermare l’esistenzadi un Ente (o Ordinamento)perfetto, immutabile, eterno,e pertanto l’esistenza di unaverità immutabile ulteriorealla verità del divenire. Nel

suo nucleo essenziale lafilosofiadelnostrotempo–ilGiocatore Nero (cioè le suerare incarnazioni) – mostrache se quell’Ente perfetto equesta ulteriore veritàesistessero non potrebbeesistereildiveniredellecose,che tuttavia, e anche per lametafisica del GiocatoreBianco, è l’evidenzaimmediata e indiscutibile.Infatti, nel divenire, ciò che

ancoranon è (ossia è ancoranulla) incomincia a essere, equando non è più diventanulla;pertantounEnteounaverità immutabile sarebberola Legge di ogni futuro epassato, la qualeanticiperebbe (econserverebbe)insétuttociòche diviene e che dunque, inquanto anticipato (econservato), non potrebbeessere un nulla. Sulla base

dellafedeneldivenirequestorisultato è inevitabile. (Lomostro concretamente in piùmodi, a partire dal 1978, inalcune mie pubblicazionicomeGliabitatorideltempo,Il nulla e la poesia, Cosaarcana e stupenda, L’anellodel ritorno enell’«Introduzione» aL’attualismo.)

Si è mostrato che,tuttavia, il Terzo Giocatore

indica la dimensione che staessenzialmenteal di là dellavicenda che conduce aquell’inevitabile risultato. Intale dimensione – nel«destino della verità» – nonsolo appare che laconvinzione che il diventaraltrosial’evidenzaimmediatae indubitabile; è, appunto,soltanto una fede, ma appareanchechecrederechelecosedivengano altro da ciò che

esse sono, e divengano daaltro, è credere nellacontraddizione più profonda:nella più profonda Follia;quella che d’altra partedominalastoriadell’uomo.

Il pensiero filosofico-ontologico dell’Occidentecostituisce la forma piùrigorosa di questacontraddizione, perché, inesso, l’altro (da cui le coseprovengono e in cui vanno)

viene inteso comequell’assolutamente altro cheè il non-essere (il nulla) diciò che diventa altro e daaltro.Neldestinodellaveritàappare pertanto la radicaleinconsistenza della fede sullacui base è inevitabile che lafilosofia del nostro tempogiunga a negare ogni veritàincontrovertibile e ogni Enteeterno.

Si può così comprendere

perché il Terzo Giocatore,indicando il destino, possariferirsi nuovamente allaverità assolutamenteincontrovertibile e chiamarla«destino». Il suo contenuto èradicalmente diverso da tuttociò che lungo la storiadell’uomoèstatointesocome«verità». Infatti, poichécrederechel’essente(ciòcheè) sia stato nulla e torni aesserlo è credere nella

contraddizione più profonda,è allora necessario che ogniessente sia eterno: ogniessente, e non soltanto unEnte privilegiato rispetto atuttociòche,diversodalui,èabbandonatoalnulla.

La strutturaoriginariadeldestino è l’appariredell’esser-sé-e-non-altro-da-sé, da parte dell’essente inquanto essente, cioè di ogniessente (pertanto anche da

parte di quell’essente che èl’apparire degli essenti), aqualsiasi «mondo» essoappartenga. Le tesi chesostengono la «relativitàontologica» (alla Quine) osono forme di scetticismoingenuo (che pretende disalvare se stesso dalla«relatività»),osonoontologieassolute che presumono dipoter indicare il carattererelativo di ogni ontologia.

Ma, si èmostrato, l’esser-sé-e-non-altro-da-sé che apparenella struttura originaria deldestino è anche radicalmentediverso dal «principio diidentità» e di «noncontraddizione» che si sonopresentatilungolastoriadellafilosofia e delle scienzenaturali e logico-matematiche, e quasi semprepresenti con la pretesa diavere valore assoluto. Quei

«princìpi» affermano infattiche,soloquandoèesintantocheè,unente(inquantotale)èsestessoenonèaltrodasé;giacché quando esso non è,ossiaquandoènulla,unentenon è nemmeno se stesso enon-altrodasé.

Nella struttura originariaappare invece che crederenell’esistenza di un tempo incuiun(qualsiasi)essentenonèancoraenonèpiùsignifica

credere nell’esistenza di untempo in cui un essente,diventato nulla, è nulla.(L’affermazione «la giornatadi ieri è diventata nulla»differisce infattidall’affermazione: «il nulla èdiventato nulla»; entrambequeste affermazioni sonocontraddizioni, macontraddizionidiverse perchéla giornata di ieri non è unnulla.I«principidiidentitàe

di non contraddizione»apparsi lungo la storia dellacultura occidentale sonopertanto affermazionicontraddittorie). Il sensoautentico del nichilismo(essenzialmente più radicaledel modo in cui Nietzsche eHeidegger intendono ilnichilismo) è la fede che gliessenti divengano altrosporgendo provvisoriamentedalnulla.

L’impossibilità che unessente sia nulla implica connecessità l’eternità di ogniessente.Maimplicaancheunsenso essenzialmente nuovodel tempo e pertanto delvariare del mondo. Laconvinzione che il passaggiodal non essere all’essere eviceversa sia evidenzaimmediataeindubitabile–uncontenuto di esperienza, o«fenomenologico» – è

soltantounafede(perchésesicrede che cose e eventidivengano nulla, si credeanchecheessinoncontinuinoad apparire nell’esperienzacosì come apparivano primadidiventarnulla,echequindiessi escano dall’esperienzanella misura in cui siannientano). L’esperienzanonpuòessereilfondamentoin base al quale si affermache essi sono diventati nulla.

Tale affermazione, quindi,non solo è soltanto una fede,ma è a sua volta una fedecontraddittoria. L’«uomo» acui si riferiscono le diverseforme storiche di civiltà èquesta fede, che dapprima sipresenta nella suaconfigurazione preontologicaepoi inquellaontologicadelpensiero filosofico, e quindidell’intera civiltà occidentaleeormaidelPianeta.

Ora si aggiunga che –poiché ogni essente è eternoed è impossibile che l’usciredal nulla e l’annientamentodegli essenti appaianell’esperienza – il variaredell’esperienza non puòessere che il comparire e loscompariredeglieterni,ossiaè il loro entrare e uscire dalcerchio (eterno)dell’apparire.

Questo cerchio non è nel

tempo,maincludeiltempo,èl’apparire di tutto ciò chediciamo «passato»,«presente»,«futuro».Sièperlo più convinti che lacoscienza umana compaiasolo a un certo puntodell’evoluzione e che sispengamoltoprimadellafinedell’universo; ma questaconvinzione può sussisteresolo in quanto essa si fondasull’appariredellatotalitàdei

tempi all’interno della qualesi intende collocare lacoscienza umana. E taleapparire non solo include iltempo,maanchetuttelecoseritenute esistenti al di làdell’apparire, giacché di essedi può affermare che stannoal di là dell’apparire solo seinqualchemodoappaiono.

Taleapparireèappuntoilcerchio in cui entrano edescono gli eterni, variando il

suo contenuto. La variazionenon è il diventar altro degliessenti. L’apparire in cuiconsistequestocerchioeternoè l’apparire stesso dellastruttura originaria deldestino. Essa è appuntol’apparire dell’essere sé diogniessenteepertantoanchee innanzitutto degli essentiche appaiono, e checompaiono e scompaiono. Inquesto cerchio consiste

l’essenza più profondadell’uomo – peraltrocontrastata ed emarginatadalla fede che cose ed eventisiano un diventar altro (e undiventarnullaedanulla).

Sièdettoa)chel’essentenonèl’altrodasé(nonesisteidentità traessoe il suoaltro– quindi non può diventarealtro),eb)checiòcheappareesiste. Ma nella strutturaoriginaria del destino questi

duetrattinonsonoundogma,perché appaiono nel loroesser ciò la cui negazionenegasestessa.

Infatti l’identità di questalampada e di questo libro ènegazione della strutturaoriginaria del destino solo sela loro differenza appare.Pertanto la negazione dellaloro differenza si fondasull’apparire della lorodifferenza: tale negazione

nega se stessa.Analogamente, la negazionedell’esistenza di questalampada è negazione dellastrutturaoriginariadeldestinosolo se in tale negazionequestalampadaappare:anchequi tale negazione si fondasull’apparire dell’esistenza diquesta lampada, e pertantonega se stessa. (Questodiscorso, d’altra parte, non èuna «fondazione» dia) e b):

come il Terzo Giocatoremostranei suoi scritti, che lanegazione di a) e b) siaautonegazione è unaindividuazione, o un insiemedi individuazioni di a), ossiaèunmodospecifico incuisipresenta il non esser altro dasé – sicché quest’ultimo èincontrovertibile solo inquanto appare nel suoincluderetalemodo).

Nel cerchio eterno

dell’apparire entra, inposizione dominante, la fedechelecosedivenganoaltro–echela«natura»e l’«uomo»abbiano una storia. Il TerzoGiocatore chiama «Terra»l’insieme degli essenti(natura, uomini, dèi) chesopraggiungono in quelcerchio. La forma originariadella fede è innanzitutto lapersuasione che la storia deldiventar altro sia la regione

con cui l’uomo hasicuramente a che fare: lapersuasione che isola laTerradallaveritàdeldestino.La Terra isolata contrastapertanto il destino e loemargina:nonpuòriuscireadannientarlo,maattirasudiséil linguaggio, lo vuole tuttoper sé e non gli lasciatestimoniare la verità deldestino. I «mortali» sono gliabitatoridellaTerraisolata.

Molto in margine. Quanto èstato accennato intorno allastrutturaoriginariadeldestinoè altrove determinatamenteconsiderato dal TerzoGiocatore. (Si veda inparticolare La strutturaoriginaria, Studi di filosofiadella prassi, Essenza delnichilismo,TautoteseIntornoal senso del nulla.) Vi sonopoileulteriorideterminazionideldestinochevannooltre il

trattodistradaincuiilTerzoGiocatore gioca e chiude lapartita incuimostra laFolliadelle grandi mosse delGiocatore Nero e quindianche del Giocatore Bianco.Determinazioni checonducono molto lontano.Quanto segue è «molto inmargine» non perché abbiaun’importanza minore, masolo perché talideterminazioni vanno molto

oltre il tratto di strada checostituisce il tema di questosaggio. Se ne può quindiomettere la lettura qualoranon si voglia uscire da queltema.

Una di talideterminazioni, per esempio,è il senso autentico dellavolontà:poichéogniessenteèeterno,impossibileènonsoloil diventar altro,ma anche lavolontà quale è intesa

all’interno della Terra isolatadaldestino–intesacioècomeforza capace di far diventaraltro le cose. La volontà èimpossibile perché vuolel’impossibile.Ciòcheaccade(appare), quando la volontàcrede di ottenere ciò che havoluto, è quindinecessariamente altro da ciòcheessacredediottenere.

Altro esempio: poichéogni essente è eterno, esiste

una relazione necessaria traun essente qualsiasi e ognialtroessente;maselavolontàavesse potuto prenderedecisioni diverse da quellecheessahadi fattoprese (secioè esistesse il cosiddetto«libero arbitrio), nonpotrebbeesserciunarelazionenecessaria tra quell’essentecheèladecisionepresaetuttiglialtriessenti).Tuttociòcheaccade è cioè necessario che

accada (si veda in propositoDestinodellanecessità).

E, terzo esempio, ilcontrasto tra destino e Terraisolata è destinato a essereoltrepassato. È infattinecessario che nessuno degliessentichesopraggiungono–e l’isolamento della Terra èun essente siffatto – arrestidefinitivamente ilsopraggiungere. (Che ilcontenuto di questa

affermazione sia necessariosignificachelasuanegazioneimplica necessariamente lanegazione della strutturaoriginaria del destino. Quelcontrasto è oltrepassato,perché altri essentisopraggiungono nel cerchiodell’apparire del destino; mainsieme è conservato, perchéogni essente, quindi anche ilsuo apparire, è eterno).Nessuno degli essenti che

sopraggiungonopuòarrestaredefinitivamente ilsopraggiungere, diciamo,perché l’apparire dellastrutturaoriginariadeldestinoe di tutte le determinazioniche essa implicanecessariamente è la veritàdell’essente in quantoessente, e pertanto taleapparire è il «predicato»necessario di ogni essente,ossia è ciò senza di cui

nessun essente (quindinemmeno la Terra) potrebbeapparire nel cerchio dellastruttura originaria (taleapparire è lo sfondo eternocheaccoglie laTerra);maseun essente, sopraggiungendo,arrestasse definitivamente ilsopraggiungere della Terra,incomincerebbe ad apparireun nesso necessario tra taleessente e lo sfondo;sennonché è impossibile che

un nesso necessarioincominciadappariree tantomenoaessere;dunquenessunsopraggiungentepuòarrestaredefinitivamente ilsopraggiungere, e pertanto èoltrepassato; e poichél’oltrepassante è a sua voltaun sopraggiungente, ilsopraggiungereèinfinito.

Anche l’isolamento dellaTerra – che è il fondamentodellafedeneldiventaraltroe

diventar nulla, ossia dellafede nell’esistenza del doloree della morte – è quindinecessariamente oltrepassato.Dunque oltrepassato da unaTerra che salva da esso enella quale tutto ciò chesopraggiunge manifestasempre più concretamente lasalvezza. La «Gloria»autentica è questo infinitodispiegamento, nello sguardodel destino, della Terra che

salva. D’altra parte ildispiegamento può essereinfinito solo in quanto ènecessario che il destino nonsia soltanto la costellazioneinfinita dei cerchi cheaccolgonolaTerra,maanchegiàdasemprel’appariredellatotalità degli essenti, dellatotalitàchelungoilcamminoinfinito della Gloria vaapparendo in quei cerchi eche tuttavia continua a

trascendere tutto ciò che diessa in quei cerchi vaapparendo. È infattinecessario che i cerchi deldestinosianounamolteplicitàinfinita e che a essicorrisponda ciò che nellaTerraisolataèintesocomelamolteplicità degli individuiumani.Edènecessariochelamorte, che non può essereannientamento, sia un eventocheappareall’internodiogni

cerchio (all’internodell’essenza di ogni esseruomo), e in ogni cerchioappare come il compimentodella Terra isolata e ildispiegamento infinito dellaTerra che salva. Ogni uomomuoreall’internodisestesso.Muore come volontàall’internodisécomecerchiodell’apparire del destino (sivedaLaGloria,OltrepassareeLamorteelaterra).

Oltrepassare la Terraisolata è oltrepassare lastruttura dell’errore. Alculminediquestastruttura,latecnica guidata dalla scienzamoderna è la forma piùcoerente alla fedenell’esistenza del diventarenulla e uscirne e del fardiventarenullaefarneuscire.Oggi si comprende che lapotenza della tecnica sussistesolo in quanto è

accompagnata dalriconoscimento pubblicodellasuaesistenza;manonsiavverte che talericonoscimento è a sua voltail contenuto di una fede.All’interno di questa fede loscopo della tecnica èdestinatoadiventareloscopodi tutte le forze dellatradizione (capitalismo,comunismo, cristianesimo,islam, totalitarismi,

democrazia, eccetera) cheoggi intendono servirsi dellatecnica come mezzo. Latradizione è destinata altramonto. Lo scopo dellatecnica è l’incrementoindefinito della capacità direalizzare scopi. Poiché ilGiocatore Bianco rimproveraallatecnicadivolerfaretuttociò che si può fare,dimenticando che esistonoLimiti inviolabili («divini»),

latecnicapuòrisponderesolose non si appoggiasemplicemente sul saperescientifico (che oggiriconosce tuttavia il propriocarattere ipotetico), ma sulsottosuolo essenziale dellafilosofia del nostro tempo,cioè sulla dimensione abitatadalGiocatoreNero(cioèdallesue diverse configurazioni),che mostra l’impossibilità diogni Limite e di ogni

Ordinamento immutabile (siveda, La filosofia futura,Declino del capitalismo, Latendenza fondamentale delnostrotempo, Ildestinodellatecnica, Capitalismo senzafuturo). L’essenza dellafilosofia del nostro tempoconferisce alla tecnica lapotenza che a quest’ultimapuò competere all’internodella fede nel diventar altro.Tuttavia, nemmeno

all’interno della Terra isolatala tecnica ha l’ultima parola:il linguaggio che testimoniala verità del destino èdestinato a diventare illinguaggiodeipopoli.Inessi,prima del tramontodell’isolamentodellaTerra,ècioè destinata ad apparire laconsapevolezza che il loroagire – il quale è del restoinevitabile prima di queltramonto–èl’alienazionepiù

profondadellaverità.D’altraparteillinguaggio

è una forma del voler fardiventar altro le cose.Ancheil linguaggio che testimoniala verità del destino è unaforma siffatta. Il linguaggiovuole che certi eventi(soprattutto visibili e udibili)divenganosegnidicose,cioèaltro da ciò che essi sono; eche le cose divengano deidesignatiecioèdaccapoaltro

da ciò che esse sono. Nellinguaggio che testimonia ildestino, la cosa che talelinguaggio vuol far diventare(ha fede che diventi) undesignato, cioè altro da sé, èil destino stesso. Il tramontodella Terra isolata è pertantoil tramonto del linguaggio.Nel tempo del contrasto tradestino e Terra isolata, ildestino appare avvolto dallaparola, ma in questo caso la

storicità della parola nonimplica la storicità e dunquela smentibilità del suocontenuto,perchéildestinoèl’unica parola la cuinegazione è autonegazione:l’unico innegabile (si vedaOltreillinguaggio).

Ma ritorniamo, perchiudere queste pagine, allapartitacolGiocatoreNero.

21

«Cosachenonècosa»

«Tutto è nulla», diceLeopardi. «Tutto è eterno»,dice il Terzo Giocatore,

testimoniando ildestinodellaverità. La distanza delGiocatoreNero dal destino èinfinita: la distanza delGiocatore Nero e delcadavere del GiocatoreBianco che egli si è caricatosullespalle.

Già dicendo che «tutto ènulla», Leopardi afferma checiòchenonèunnullaènulla,ossia che l’essere è nulla.«Un nulla io medesimo»: un

nulla io che, essendo un io,nonsonounnulla.GiàquestoPensiero del 1819 potrebbefar presagire l’affermazionedella contraddizione di ogniessere, alla quale giungono iPensieri qualche anno dopo.Non più che un presagio,tuttavia, perché tutto è nullanel senso che sporgeprovvisoriamentedalnulla.

Riprendendo uno spuntogià apparso nel capitolo 16,

chiediamoci:maseauncertopunto Leopardi giunge adaffermare che lacontraddizione (intesa comecontraddittorietà, non comeatto del contraddirsi) esiste,che cioè esiste il non esseredell’essere, e che tutto ècontraddizione, e affermaquestaesistenzaperchéessaè«evidente», «palpabile»,questa contraddizione non èforse, allora, la stessa che il

destino nega?Non è forse lastessa contraddizione a venirintesa come necessariamenteesistentedalGiocatoreNeroecome necessariamenteinesistente dal TerzoGiocatore? Ma, allora,Leopardi non è forse riuscitoa scoprire la contraddizioneabissale del divenire, cioèdellosporgereprovvisoriodalnulla (lacontraddizioneche imortali ignorano e che

soltantoildestinopuòvederee negare) – salvo poi aconsiderarla come esistente,anzi come l’unico esistente,perché è convinto di vederlaesistente? E non si dovràaggiungere che egli è ancoratroppo vicino ai cadaveridegli Eterni della tradizionedell’Occidente (degli Eternida lui stesso annientati),perchéeglipossapensarechela contraddizione suprema –

l’identità di essere e nulla –,presente nel divenire dellecose, abbia a implicare queltrattoinauditocheèl’eternitàdiogniesseree,appunto,nonabbia a implicare l’esistenzadella contraddizione, comeinvece egli ha effettivamentepensato?

La risposta è negativa.No,Leopardinonèriuscitoascoprire la contraddizioneabissaledeldivenire–quella

che per lui sarebbenecessariamente esistente,mentre sarebbenecessariamente inesistenteperilTerzoGiocatore.Nonlascopre, anche se si dovràinoltre dire che lacontraddizione che perLeopardièesistenteèunodeipunti più avanzati fino aiquali il nichilismo puòspingersi senza doverimbattersi nella propria

Follia, nell’impossibilità diciò che esso afferma. Perchiarirequesteaffermazioniiltesto di P 4174-4175 èparticolarmentesignificativo.

«Infelici» non sonosoltanto i viventi, ma anche«tutti gli altri esseri al loromodo» (P 4175): «tutto èmale» (P 4174): «Non v’èaltro bene che il non essere;non v’ha altro di buono chequel che non è; le cose che

non son cose». Tuttavia, «inmetafisica», ossia dal puntodi vista che va oltre ogniconfine, «il tutto esistente[…] non è che un neo, unbruscolo»: «L’esistenza èun’imperfezione,un’irregolarità, unamostruosità»; ma questaimperfezione è una«piccolissima cosa», e anzi«il tutto esistente èinfinitamente piccolo a

paragone dell’infinità vera,perdircosì,delnonesistente,delnulla»(P4174).

Per ogni cosa, «non v’èaltrobenecheilnonessere»,il non esser cosa, l’esser«cosachenonècosa».(Tuttoèinfeliceperchéè«inmezzoalnulla»,ossiaaognicosasideve dire addio «persempre», «non tornerà maipiù»,P2243;peròlacosacheseneèandatapersemprenel

nulla ha raggiunto il suobene, «lieta no, ma sicura /dall’anticodolor».)InP4174sidicedunqueche l’«infinitàvera» del non esistente, delnulla, finirà con l’includeretutto l’esistente, quando essosarà tutto diventato nulla:quando l’esistente sarà nonesistente,quandolacosasarànon cosa, la totalitàdell’essere sarà nulla. Nel«silenzio nudo» e nella

«quiete altissima» del nulla«questo arcano mirabile espaventoso dell’esistenzauniversale […]sidilegueràeperderassi»(Canticodelgallosilvestre). La morte a cui sirivolge il Coro di morti nelDialogodiFedericoRuyschedelle sue mummie diventacosì la morte dell’esistenzauniversale: «Sola nel mondoeterna» e infinita, el’esistenzatuttasarà«lietano,

masicura/dall’anticodolor.»Il Pensiero 4174, dell’aprile1826, non è dunqueun’eccezione, ma unaprospettiva che il GiocatoreNero ha già acquisito datempo e in cui si è collocatostabilmente.

È tenendopresentiquestemossedelGiocatoreNerochesi è ingradodi rispondere, eappunto negativamente, alledomande che sono state

formulate in precedenza:appunto perché l’«infinitàvera del nulla» include ilnulladi tutto ciò che è stato,includel’esserdiventatonulladell’essere (l’esser diventatonulla da parte dell’essere).Per il Giocatore Nero la«verità» è il diventar nullache conduce all’inclusionedell’esistenza universale(ossia della totalitàdell’essere) nella «infinità

vera del non esistente, delnulla». Ossia per lui ilprodursi di tale inclusione,dove l’essere diventa nonessere, non è lacontraddizione abissale doveil diventar nulla implicanecessariamente che l’esseresia nulla, non è lacontraddizione che è negatadaldestinodellaverità,nonèla contraddizione (delnichilismo)chesoloildestino

può scorgere. All’opposto, ildiventar nulla è l’unico«bene» perché è ilsuperamento di tutte lecontraddizioni, e appuntoperquestol’infinitàdelnulla,cheverrà a includere l’esistenzauniversale,è«vera»rispettoaquel «punto acerbo» che nonè più soltanto la vita (comenel Dialogo qui soprarichiamato), ma l’esistenzauniversale: un «punto»

rispettoall’infinito.Infatti per il Giocatore

Nero la contraddizione è unmale che affligge soltantol’esistenza, il suo contenuto,non il nulla, l’esser nulladell’esistenza.Non riuscendoa vedere che lacontraddizioneautenticamente abissale ècredere che l’esistenza(l’essere) divenga, sporgaprovvisoriamente dal nulla e

vi sia quindi un tempo(passato e futuro di ciò cheesiste provvisoriamente) incuil’essereènulla,allora,perscorgere che il divenire ditutte le cose (il divenire,peraltro, che per lui èevidentemente esistente)implica che esse siano e nonsiano, ha bisogno diconsiderare qualcosa d’altrodal loro divenire in quantotale, per esempio l’irruzione

della ragione nel desiderioinfinito di piacere, o ilrapporto tra l’infelicità ditutte le cose e il loro essere(«l’essere, unito all’infelicità,e unitovi necessariamente eper propria essenza, è cosacontraria dirittamente a sestessa»,P4099).

In relazione all’«infinitàvera del nulla», dunque, lacontraddizionedelnonesseredell’essere, quella che per

Leopardi è veramenteesistente, non è la stessa diquella che il destino nega(non è la stessacontraddizione a venir intesacome necessariamenteesistentedalGiocatoreNeroecome necessariamenteinesistente dal TerzoGiocatore: Leopardi non èriuscito a scoprire lacontraddizione abissale che imortali ignorano e che

soltantoildestinopuòvederee negare). In altri termini, ilGiocatore Nero dice chel’esistenzaènullaintendendoche essa esce dal nulla e viritorna:nondiceche,proprioperché si crede chel’esistenzaescadalnullaeviritorni, proprio per questo sipensa e si crede chel’esistenza sia nulla e chequesto sporgereprovvisoriamentedalnullasia

pertanto la contraddizioneestrema.

Lomostra ilmodo in cuiegli, si è visto,mette in lucel’esistenza dellacontraddizione di tutte lecose. Per esempio, la natura«misericordiosa»nasconde laverità,ma la ragione irrompenella natura e allontana,indebolisce la misericordiafino a cancellarla: invasadalla ragione, la natura

(l’esistenza) è contro sestessa. Oppure: la vita èdesiderio di piacere, ma èdolore. Oppure: la vita èdesiderio di piacere, ma ilpiacereènegazionedellavita(«un abbandono e un obliodella vita», «stato contrarioalla vita», cfr. cap. 15).Oppure: «L’essereeffettivamente,eilnonpoterein alcun modo essere felice»(«due verità […] ben

dimostrate»)implicanochelastessa cosa sia e non sia (P4099-101,cfr.cap.16).

Sono esempi dicontraddizioni che,certamente, per Leopardiscaturiscono dal diventaraltro, dall’andare delle cosenel nulla da cui provengono,ma che, appunto, riguardanol’esistenza,lecosedivenienti,l’esistenza del divenire.Proprio per questo la

contraddizione esistente nonè dovuta al loro andare nelnulla, ma al loro venireall’essere. È il loro essere aprodurre la contraddizione:«L’esistenza èun’imperfezione,un’irregolarità, unamostruosità»: l’imperfezione,l’irregolarità, la mostruositàdella contraddizione,dell’impossibile, dell’assurdofattisi realtà. Cosicché, per

ognicosa,«nonv’èaltrobeneche il non essere», il nonesser cosa, l’esser «cosa chenonècosa»,ilnonessercosacheè l’«infinitàveradelnonesistente,delnulla»(P4174).

Il pensiero di Leopardipassa vicinissimo alla «cosache non è cosa» che èimplicata dal divenire, lanomina, ma la nomina senzatrasalire, senza scorgere,appunto,che«cosachenonè

cosa» è l’assolutamenteimpossibile, necessariamenteimplicato dal divenire.Afferma invece che «il nonessere», inteso come «cosache non è cosa», è l’unicobene («non v’è altro bene»).A trattenerloeachiuderlo inquesta cecità vi sono duemillenni emezzo di filosofiaediciviltà,edietroaessiv’èl’intera storia dell’uomo. Eancora: comepretendere che,

dopo la grande partita vintacol Giocatore Bianco, egliabbia anche la forza ditrasformarsi nel TerzoGiocatore e giungere ariveder le stelle e dire cheproprio il diventar altroimplical’esser«cosachenonè cosa», cioè l’assolutamenteimpossibile, che proprio perquesto tutte le cose sonoeterne?

Tuttavia Leopardi,identificando il non essere(delle cose) e l’esser «cosachenonècosa»,èinqualchemodoinprocintodivoltareilcapoversolestelle.Masenzasaperlo. Il Terzo Giocatore,infatti, hagiàmostrato che ilrisultato dell’annullamentononèilpuronulla,ilnullainquantotale,maèl’essernullada parte della cosa che èdiventata nulla. Questo

risultato non è il nulla che ènulla, bensì è la cosa che ènulla,ilnon-nullacheènulla:è appunto la cosa che non ècosa,ilnonesseredellacosa.La contraddizione abissaledeldivenirestasottogliocchidiLeopardi,inqualchemodoegli l’ha snidata, ma senzasaperlo, quindi non la vede.Crede anzi che sia l’unico«bene».

Nonlapuòvedere,carico

com’è della fede chel’annullamento delle coseuscitedalnullasial’evidenzaassolutamentenonsmentibile.Egli è in qualche modo inprocinto di voltare il capoverso le stelle, perché questaimminenza rimane congelata.Nonvolta ilcapoperchénongli è possibile negarel’evidenzadeldiventaraltroeaffermarel’eternitàditutto.Ed’altra parte è in procinto di

voltarlo: sia perché lecontraddizioni dell’esistenza,che egli scorge, le intendecome conseguenzadall’andare nel nulla da cuil’esistenza proviene; siaperché – lo si è appenarilevato–vedecheilnullaincui le cose vanno e da cuivengonoè il loro nulla, vedeche il non essere, implicatodal divenire, è identicoall’esser «cosa che non è

cosa».Pensare l’assurdo come

esistente e il nulladellecosesignificaportarsiinunodegliestremi avamposti fino aiqualil’essenzadelnichilismopuòspingersirimanendotale:oltre di essi questa essenzaentrerebbe in un territoriodove sarebbe costretta asvanire. Non potrebbenemmeno riconoscere lapropriaFollia,perchésarebbe

ildestinoamostrarla,giacchésolo il destino potrebbemostrarlaconverità.

Perquestosipuòdirechese il Giocatore Nero èinfinitamente lontano dalTerzo Giocatore, del TerzoGiocatore egli è anche uninterlocutore privilegiato. Glièinqualchemodovicino.Chiè sceso nelle estremeprofondità della Terra si èallontanato dal Cielo.Ma, se

avesse proseguito ancora, eavesse quindi rovesciato ilcapo, le stelle avrebbe infinepotuto giungere a rivederle,lasciandocadereaterralesuevesti nere e lasciandoapparire il destino dellaverità, che eternamenteappare.

Indice

Istruzioniperlalettura1.Piangereimorti2.«Inmezzoalnulla»e«il

naufragarm’èdolceinquestomare»

3.Dal«desiderioinfinitodel

piacere»al«fiorgentile»

4.LapartitatrailMitoeilGiocatoreBianco

5.LapartitatrailGiocatoreBiancoeilGiocatoreNero

6.Ilfilosofo,ilpoeta;loroseparazioneelorounità

7.Lucidellamorteedelcanto8.Lapotenzadellanobile

natura

9.Ilsuicidio10.Ilsuicidioeilcristianesimo11.LaconoscenzainAdamoe

nellafilosofia12.L’etàdellemacchine13.Gliitalianielafilosofia14.Feliceinfelice:l’uomo15.Natura«saviaecoerente»,

ilpiacere,la«contraddizioneinnatura»

16.«L’orribilemisterodelle

coseedellaesistenzauniversale»

17.L’oscuritàcheavvolgela«vettadellacontemplazione»

18.ChecosaspaventailGiocatoreNeroelaprimamossadelTerzoGiocatore

19.IlterzoGiocatore,ildestino,ilnonappariredeldiventaraltro

20.Ilnullaeildestino

21.«Cosachenonècosa»