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IN QUESTO NUMERO Dossier: Emofilia, la malattia dei Re PAG. 13 Speciali: Hiroshima, 60 anni dopo PAG. 17 Periodico di informazione e divulgazione medica dell’Associazione Malattie del Sangue Luglio 2005 n.2 • anno I Periodico di A.M.S. onlus Divisione di Ematologia Ospedale Niguarda Ca’ Granda • Milano SPED. IN ABB. POST. - 45% COMMA 20/b LEGGE 662/96 - FILIALE DI MILANO

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IN QUESTO NUMERO

Dossier: Emofilia, la malattia dei Re PAG. 13

Speciali: Hiroshima, 60 anni dopo PAG. 17

Periodico di informazione e divulgazione medica dell’Associazione Malattie del Sangue

Luglio 2005

n.2 • anno I

Periodico di A.M.S. onlusDivisione di EmatologiaOspedale NiguardaCa’ Granda • Milano

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SERVIZI

il punto su...

10 La leucemia (II parte)di Marco Montillo

l’esperto risponde

12 Antidoti contro i velenidi Paola D’Amico

dossier

13 Emofilia,la malattia dei Redi Francesco Baudo

speciali

17 Hiroshima, 60 anni dopodi Paola D’Amico

A.M.S. news

22 Assistenza domiciliare ematologicadi Sonia Ribera

uno sguardo sul mondo

20 Davide e Golia e la sfera di cristallo

di Maria Rita Gismondo

EMATOS

AA..MM..SS.. oonnlluussOspedale NiguardaCa’ GrandaPiazza Ospedale Maggiore 320162 – Milanottee ll // ffaaxx :: 02 6444-2668ee--mmaaii ll :: [email protected]

wwwwww..aammssoonnlluuss..oorrgg

DDiirreett ttoorree RReessppoonnssaabbii llee ::Paola D’Amico

DDiirreett ttoorree SScciieenntt ii ff iiccoo::Enrica Morra

RReeddaazz iioonnee::Michele Nichelatti (Capo Servizio)Silvia CantoniFrancesco BaudoMarco MontilloGiuliana MutiSonia RiberaAlessandra Tedeschi

GGrraaff iiccaa ee iimmppaaggiinnaazz iioonnee::Andrea Albanese

FFoottoo ::istockphoto.com

SSttaammppaa::

EEddii ttoorree ::AMS – Associazione Malattiedel Sangue ONLUS

Registro periodicidel Tribunale di Milanon.646 del 17 novembre 2003

Rivista periodica pubblicata daA.M.S. onlusStampata in Italia - 30/07/2005

Copyright©2005 by A.M.S.Piazza Ospedale Maggiore 320162 – Milano

RUBR

ICHE

Ematos 000022Luglio 2005

n.2 • anno I

Periodico di A.M.S. onlusDivisione di EmatologiaOspedale Niguarda - Ca’ Granda • Milano

SOMMARIO

editoriale 04

ematosnews 05

dedicato al paziente 06

juxta propria principia 07

lo sapevate che... 08

scrivete a:[email protected]

iinn ccooppeerr tt iinnaa:: Queen Victoria monument, Londra - istockphoto.com

4 ematos •• NNuummeerroo 22 •• AAnnnnoo 11

Puntuale come al solito, Giuseppe arriva per la dispensa. Iltempo di un saluto alla caposala per un aggiornamento suicasi nuovi o più urgenti, ed è già al lavoro. Alcuni tra i piùanziani devono essere aiutati a pranzare, cambiarsi, o an-che solo sgranchirsi un po’ le gambe. Per i più soli, c’è labiancheria pulita da consegnare o quella da portare in la-

vanderia. Per tutti un piccolo servizio, l’occasione di scambiareuna parola, il calore di un sorriso. Giuseppe è senza età. Come lui sono tanti, centinaia solo aNiguarda. Gente preparata, perché volontari non si nasce: ci sonoi corsi, e un addestramento continuo che non fa sconti perché de-ve introdurre alla quotidianità complessa e un po’ artificiale delreparto. Li vediamo lavorare instancabili, disponibili, attenti, es-senziali. Una presenza quasi imbarazzante per l’Ospedale.Possibile che non si possa fare a meno di loro? E’ poi così carente ilservizio? Manca il personale di supporto? Servono più infermieri?Ma in realtà non sono lì per questo, per fornire un supplemento diassistenza a zero costi sul bilancio aziendale. Il loro gesto è insieme con-creto e simbolico. Sono lì a ri-cordare che lo scopo dellamedicina non è anzitutto tec-nico, ma umanitario. E’ oc-cuparsi non della malattia inquanto tale, ma dell’uomoammalato che nella corsia diun ospedale sperimenta l’e-sperienza del limite, del do-lore e della morte. Nella ca-pacità dei volontari di anda-re incontro ad altre personein quanto persone trova im-mediata accoglienza la do-manda di senso aperta dal bi-sogno di tornare a stare beneanche quando non si può, edeborda dal quadro dei para-metri clinici che sappiamo (edobbiamo) controllare. Chi sidedica al volontariato, quin-di, lo fa un po’ anche per tut-ti i medici, gli infermieri, itecnici che nella loro dedi-zione e professionalità cer-cano di testimoniare all’am-malato che, oltre l’esito della terapia, c’è ancora molto da fare.“Guarire talvolta, alleviare spesso, consolare sempre”, prescriveTrudeau. In epoche di limitate risorse tecnologiche, questa con-cezione di servizio ha fatto costruire gli ospedali come Grandi Case.Oggi non è in conflitto con gli obiettivi di efficacia, efficienza, in-novazione, anche se la sintesi chiede molto alla responsabilità diciascuno. A tutti noi, che in ospedale non siamo solo per mestiere, la pre-senza amica dei volontari ricorda la componente del lavoro che nonè remunerata dal contratto: contribuire con la propria opera a rea-lizzare il bene per sé e per gli altri uomini.

editorialedi Luca Munari*

*Direttore SanitarioAzienda OspedalieraNiguarda Ca’ Granda

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FF inalmente cominciano a com-parire in letteratura i primi im-portanti risultati relativi all'effi-

cacia di un nuovo farmaco, ilBortezomib, nel trattamento dei pa-zienti affetti da Mieloma Multiplo. Adifferenza dei chemioterapici ilBortezomib agisce inibendo l'attivitàdei proteasomi che sono i siti dovenormalmente avviene a livello cellula-re la degradazione delle proteine.Recentemente è stato pubblicatosulla rivista New England Journal ofMedicine (vol.352, N° 24, 2005)uno studio multicentrico condottosia da centri Europei che Americaniin cui è stato messo a confronto ilBortezomib con il desametasone ad alte dosinei pazienti affetti da Mieloma Multiplorecidivati che avevano effettuato da una atre linee di terapia.Rispetto ai pazienti trattati condesametasone i pazienti trattati conBortezomib hanno presentato tassi dirisposta più elevati, periodo più prolungatofino alla progressione, e una sopravvivenzapiù lunga.Se l'efficacia di questo farmaco saràconfermata anche da altri studi si avrà adisposizione per questa patologia unaterapia che si allontana dal trattamentoconvenzionale con agenti alchilanti che perdecenni hanno rappresentato la migliorestrategia terapeutica per questa patologia.

Prime pubblicazioni sul Bortezomib

Il Mieloma Multiplo e’ una neoplasia a carico dei linfociti B, che ha un’incidenza di 3 nuovicasi all’anno per ogni 100 mila persone (ma ultimamente sembra in aumento), e che pre-senta delle caratteristiche infiltrazioni di plasmacellule monoclonali nel midollo osseo. Ilrisultato è una produzione di immunoglobuline, anch’esse monoclonali, che vengono poirinvenute nel sangue e nelle urine. Oggi si stanno proponendo nuove alternative terapeuti-che per questa malattia, ed i primi risultati sembrano promettenti.

Il trattamento del Mieloma Multiplo

R U B R I C H E

a cura di

Alessandra Tedeschi

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6 ematos •• NNuummeerroo 22 •• AAnnnnoo 11

a cura di

Giuliana Muti

Pagine da un diario

Quando una persona viene a trovarsi nella nuova dimensione di “paziente” inevitabilmentesi trova ad affrontare eventi, problemi, emozioni e interrogativi nuovi, spesso considerati“collaterali”, rispetto al problema “principale” della malattia, e, pertanto, di secondariaimportanza. E’ necessario, invece, dare la giusta rilevanza agli “effetti collaterali” di unamalattia, conoscerli e affrontarli con la stessa attenzione dedicata alla cura della patologia.Infatti il paziente che affronta con consapevolezza e serenità l’impatto emotivo e organiz-zativo della malattia sulla sua vita personale, saprà meglio affrontare anche il percorso dicura che lo aspetta. Questa rubrica vuole essere uno spazio dedicato proprio agli “effetti collaterali”, e chi,meglio di un paziente, può raccontarli? Abbiamo pertanto riportato dei brani da una paginadel diario scritto da una nostra paziente, Chiara, pubblicato dalla Editrice Berti con il titolo“Di che colore è la mia paura”, con la cortese autorizzazione dei familiari, che ringraziamoancora sinceramente.

66 aaggoossttoo 11999977,, mmeerrccoolleeddii

Ciao buon dio. Domani è il mio compleanno.26 anni. Sono in ospedale a Niguarda. Ho laleucemia. Tra due, tre giorni si inizia la che-mioterapia.Ho pochissimi globuli bianchi, 1900, pochis-sime piastrine, 7000 su 350.000 di ieri.Sembra tutto un film, un sogno o non so be-ne che cosa.Sembra una sfiga tanto grande da non poteressere vera. Ci sono un po’ di dolori ma pas-seranno, ormai ci si abitua a tutto. Sembra ungioco, uno scherzo, non so, non sembra pos-sibile che una cosa così sia realmente succes-sa, a me, che sia vero. Mi accorgerò giorno pergiorno, vivendo le prossime 24 ore. Che tut-to vada a finire bene. Speriamo. Non ci credo,ci credo ed ho un po’ di paura. Tanta paura.60-75% delle persone reagiscono bene, già,è una bella percentuale. E le 35-40% sfigateche non reagiscono bene?Sono piccola, ho 26 anni, cazzo. Non ci pos-so credere. Ecco.Ho vissuto tante esperienze nuove…Viaggiare in ospedale in ambulanza, in ba-rella, con la febbre, svenire, tanti dolori qua elà, l’ecografia, l’ecocardiogramma, radio-grafie varie, il prelievo del midollo, una 50inadi prelievi del sangue in due giorni e le fle-bo…Dover chiamare aiuto, doversi difende-re da chi offre troppo aiuto. Aspettare, abi-tuarsi ai ritmi, cercare di capire come muo-vermi…Mi dico “che sfiga” ed è tutto. Mi di-co “voglio vivere, io non muoio”. Non so per-ché, ma non sto a chiedermi “perché”.Perché non c’è. È così. È la vita. Nella vita c’è

anche questo e lo so bene.Già, chi lo sa. Forse è più facile viverlo io chevederlo in qualcuno a cui voglio bene. Poi sitrovano in tasca tante risorse ed energie nuo-ve che chi lo sapeva di avere? Se la vita ti met-te davanti qualcosa, ti dà anche le risorse perviverlo. Non può essere così bastarda la vita,no?Ho deciso che dovevo fermarmi qua e capirecosa succede.OK, stop. Cosa mi è capitato addosso?Capiamo, viviamo.È una posizione privilegiata, tutti che ti coc-colano, nessuno ti nega nulla…che scandalo.E domani è il mio compleanno……Eppure se mi chiedono “come stai?” dico“bene”. Strano è. E ancora credo molto fer-mamente che la vita è una cosa meravigliosa.Vero. Non sono incazzata con la vita.Aspettiamo di stare molto peggio forse…ma-le male starò… Domani la mia dottoressa mispiega che cosa mi succederà in che mio.Bene, voglio sapere, avere a che fare con real-tà e non con fantasmi…Chissà se già lo sapevo. Chissà se è scritto sul-le righe ritorte della mia mano…Faccio già progetti, voglio scrivere, leggere,dipingere, cose belle attorno. Faccio progettiper l’ospedale, ma sono matta? Ma la vita èdavvero così forte? Pare di sì.

….OK. è buio. Continuo domani. Buona not-te, buon dio, mondo, veglia e proteggi.

Amen

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cato

alppaa

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CC ome molte delle sostan-ze ad attività vitaminicao pro-vitaminica, i caro-

tenoidi sono degli anti-ossidan-ti, ovvero impediscono che strut-ture biologiche intracellulari oextracellulari vengano danneg-giate dalle sostanze ossidantiche le stesse cellule producononel corso delle trasformazionimetaboliche: si pensi ai radicaliderivanti dall’ossigeno (reactiveoxygen species, ROS) che vengo-no prodotti in quantità moltoelevate nei mitocondri, dai qualivengono poi espulsi verso il cito-plasma (e da qui, eventualmen-te nel compartimento extracel-lulare). I mitocondri sono organelliabbastanza strani che vivono al-l’interno delle nostre cellule:hanno un DNA proprio, di formacircolare (non a doppia elica,quindi), si replicano autonoma-mente, e soprattutto si eredita-no solo dalla madre (e non dal

padre). In realtà, si tratta di antichissimi batteri, che all’e-sordio della vita hanno imparato a convivere con le nostrecellule, traendone vantaggi concreti (un ambiente ripara-to, con nutrimento sempre disponibile in grande quanti-tà) e dandoci in cambio energia. Infatti questi mitocondrisono in grado di utilizzare una sostanza molto tossica co-me l’ossigeno per “bruciare” in forma completa le so-stanze nutritive che vengono fornite dalla cellula, produ-cendo una quantità di energia che la cellula da sola nonpotrebbe nemmeno sognarsi di possedere. E con questaenergia disponibile, noi abbiamo imparato a lavorare conefficienza con le macchine (muscoli) e i calcolatori (cer-vello), che ci hanno aiutato a salire la scala evolutiva perarrivare dove siamo oggi. Ed il tutto con una spesa moltomodesta: l’uomo infatti consuma energia (ed eroga po-tenza) come una lampadina da 70 watt tenuta sempre ac-cesa: non è molto, tutto sommato. Certo, abbiamo dovuto pagare un dazio: come i motoridelle automobili – pure avendo una loro utilità – produ-cono l’inquinamento atmosferico, così i mitocondri pro-ducono grandi quantità di pericolose sostanze inquinan-

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Divagazioni su carote, olio, eccetera

Alimentazione e Tumori

R U B R I C H E

a cura di

Michele Nichelatti

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pprriiaa

prin

cipia

ti che che hannoun forte potereossidante e chedanneggianole nostre cellu-le, i radicali li-beri (in parti-colare quelloche viene chia-mato dai chimi-ci “O-2 biradica-le”), che possonouscire nelle cellule-perché – purtroppo –non è detto che i mitocon-dri siano a tenuta stagna.L’invecchiamento, in pratica, è un pro-cesso di ossidazione in cui il contributo dei mitocondri ètutt’altro che trascurabile. I radicali liberi inoltre, hanno unruolo molto evidente nell’insorgenza di svariati tipi di tu-more.Ovviamente, vanno considerateanche le sostanze os-sidanti che introduciamo nel nostro organismo dall’ester-no, in particolare con l’alimentazione. Tra queste sonoparticolarmente pericolosi i radicali che derivano dalla os-sidazione dei lipidi: questo processo (conosciuto anchecon il nome di irrancidimento) è autocatalitico, cioè, si au-toalimenta con un meccanismo a cascata molto efficien-te: più i lipidi sono ossidati, più velocemente tendono adaumentare la loro ossidazione. I fattori scatenanti sono laluce, il calore e (ovviamente, dato che il processo è auto-catalitico) la presenza di altre molecole lipidiche ossidate.Quindi, teniamo sempre l’olio d’oliva in un luogo fresco eprotetto dalla luce, magari avvolgendo la bottiglia nellacarta stagnola (tenendo la parte lucida della stagnola sem-pre rivolta verso l’esterno!). E non si usi mai lo stesso olioper friggere due volte: alla seconda frittura si farebbe unpieno di formaldeide, sostanza fortemente cancerogenae prodotto finale dell’ossidazione dei lipidi.I carotenoidi sono dei lipidi anch’essi, ma possonoimpedire o ritardare la formazione dei radicali. Sonosensibili alla luce e al calore (le carote mangiamole cru-de, e non cotte), ma proprio per essere dei lipidi, si me-scolano perfettamente con gli altri lipidi, e impedisco-no – per quanto possono – la formazione di sostanzetossiche.Dimenticavo: i carotenoidi ci permettono anche di farefunzionare i nostri occhi, ma questa è un’altra storia.

I carotenoidi, è pleonastico, si chiamano così perché le prime molecole scoperte sono stateisolate dalle carote. Sono sostanze naturali ad attività pro-vitaminica, dal caratteristico colo-re giallo intenso, tendente all’arancione: tutta la verdura di colore giallo-arancio (zucche,carote, peperoni) è naturalmente ricca in carotenoidi.

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LA FEBBRE…

è una efficace misura difensiva nei con-fronti delle infezioni: l’aumento della tempe-ratura corporea, anche di pochi gradi, mi-gliora l’efficienza dei leucociti nell’uccisionedei microrganismi e facilita l’attivazione delsistema immunitario. Inoltre, interferisce conil metabolismo e con la replicazione di moltivirus e batteri: la maggior parte dei microrga-nismi cresce infatti meglio alle basse tempe-rature.È una risposta biologica che si è conservatanel corso dell’evoluzione: anche gli animalisono in grado di rispondere con la febbre aun’infezione.Si definisce come un incremento della tem-peratura corporea di 1-4°C; la temperaturabasale normale è di circa 37°C, ma sono daconsiderare nei limiti di norma escursionigiornaliere di 1-1,5°C, con va-lori massimi generalmentenelle ore serali. Le misureconvenzionali con il termo-metro non corrispondono per-fettamente alla temperatura interna,cioè a quella del sangue circolante nei vasiprofondi come l’aorta: la temperatura ascel-lare è inferiore di circa 1°C a quella del san-gue, mentre per la temperatura orale la diffe-renza è pari a circa 0,4°C in meno; la tempe-ratura misurata invece per via rettale è supe-riore fino a circa 1°C a quella del sangue perproduzione locale di calore legata al metabo-lismo della flora batterica intestinale.Si sviluppa attraverso gli stessi meccanismioperativi nel mantenere costante la tempera-tura corporea in un ambiente freddo: il cen-tro termoregolatore presente a livello dell’i-potalamo – una delle strutture che compon-gono il sistema nervoso centrale – si “fissa”su una temperatura corporea superiore, pro-prio come se si trattasse di un termostato. Daquesto centro partono direttive verso la peri-feria: i muscoli si contraggono e queste con-trazioni subentranti, che si manifestano co-me brivido, producono calore; il calore pro-dotto resta “intrappolato” nell’organismograzie alla vasocostrizione dei vasi sanguigniche irrorano la cute: la riduzione di calibro diquesti vasi, e il conseguente minor afflusso disangue, riduce la dispersione di calore dallacute verso l’ambiente esterno e rende ragio-

ne del pallore che spesso si associa alla feb-bre. Viene inoltre ridotta la sudorazione, unaltro efficace mezzo a disposizione dell’orga-nismo per disperdere calore.Si associa anche a sonnolenza e ricerca di unambiente caldo: si tratta di modificazionicomportamentali non casuali,ma indotte daalcune sostenze ( interleuchina 1 e interleu-china 6, tumor necrosis factor) prodotte dal-l’organismo in risposta ai microrganismi eparte integrante delle complesse misure di-fensive messe in atto nei confronti dei mi-crorganismi.Le stesse sostane sono anche responsabili dialtri sintomi come malessere generale, dolo-ri a muscoli e articolazioni, cefalea, mancan-za di appetito.Può divenire pericolosa se supera i 40°C.Queste temperature interferiscono infatticon il corretto funzionamento dei neuroni edelle cellule del cuore che ne stimolano la con-trazione ritmica. Per questo, la febbre eleva-

ta può complicarsi con l’insorgenza diconvulsioni e aritmie. Da

qui la necessità, so-prattutto nei

bambini e in chi soffredi aritmie, di ridurre la febbrecon farmaci antipiretici che agisco-no bloccando il mediatore (la prostaglan-dina E2) utilizzato dal centro termoregolato-re ipotalamico per indurre quelle modifica-zioni (brividi, vasocostrizione ecc) che porta-no allo sviluppo della febbre.

LA MIGLIORE DIFESA VERSOGLI AGENTI INFETTIVI…

è costituita proprio dalla nostra struttu-ra corporea, forniti come siamo di una seriedi barriere anatomiche e fisico-chimiche ca-paci di fronteggiare e tenere sotto controlloogni giorno l’enorme varietà di agenti infet-tivi con cui veniamo a contatto. Si tratta dimeccanismi aspecifici: se falliscono, entra ingioco il sistema immunitario che riconosce in-

Lo ssaappeevvaattee che...

a cura di

Silvia Cantoni

alimenti, “digerisce” anche le proteine dieventuali germi che possono contaminare icibi. Anche la peristalsi intestinale giocaun ruolo importante. Il movimento ritmicoche fa progredire lungo l’intestino i cibi dige-riti diviene progressivamente meno intensoandando dal duodeno all’intestino retto:parallelamente, anche la flora intestinale au-menta progressivamente e viene poi espulsacon le feci.L’apparato genitourinario trova un’impor-tante punto di difesa nel flusso dell’urina:il malcapitato battere che si trovasse a volerrisalire le vie urinarie nel tentativo di coloniz-zare vescica o rene, verrebbe travolto edespulso dal flusso dell’urina. In vagina, inve-ce, è ancora una volta l’ambiente acido aesercitare un’azione antibatterica.Inaspettatamente infine, un aiuto ci viene daimicrorganismi stessi che fisiologicamentecolonizzano cute, apparato gastroenterico egenitale, la cosiddetta flora saprofita: que-sti microrganismi “buoni” impediscono losviluppo di germi patogeni competendo conquesti ultimi per le sostanze nutritive.

9ematos •• NNuummeerroo 22 •• AAnnnnoo 11

vece specificamente i microrganismi.Un ruolo fondamentale gioca l’integrità dicute e membrane mucose formate da cel-lule strettamente connesse l’una all’altra equindi difficilmente superabili dai germi. Ladimostrazione dell’efficacia di questa primalinea di difesa è costituita dalla facilità con cuiuna lesione (per esempio un taglio, anche po-co profondo) si infetta o diviene una facileporta di ingresso verso il sangue per i micro-bi, come nel caso di pazienti portatori di ca-tetere venoso centrale. In generale, i micro-bi colonizzano più rapidamente le superficimucose caratterizzate da una temperatura eun livello di umidità più favorevoli rispetto al-la cute, fredda e asciutta. La cute è inoltreprotetta da un sottile strato di lipidi chehanno azione antibatterica. Infine, nel suocontesto sono presenti ghiandole sudoripa-re: uno dei componenti del sudore è il lisozi-ma, un’altra sostanza antibatterica. Piani di clivaggio (per esempio, le fasce ditessuto connettivo che avvolgono i muscoli)e sierose (la pleura che avvolge i polmoni e ilperitoneo che avvolge invece l’intestino). Sitratta di strutture anatomiche che delimita-no i vari tessuti, organi e apparati del nostroorganismo; una delle loro funzioni è quella diarginare l’infezione, confinandola a uno spe-cifico distretto anatomico impedendone, al-meno inizialmente, la diffusione.Gli occhi sono protetti da sopracciglia e ci-glia che ostacolano il contatto di materiale,potenzialmente infetto o genericamente ir-ritante, con la congiuntiva. Inoltre, le lacrimedetergono meccanicamente la congiuntivaoltre a contenere una specifica sostanza, il li-sozima, che ha attività antibatterica. A livello dell’apparato respiratorio due mec-canismi sono operativi: da una parte, il flus-so stesso dell’aria che entra e esce da tra-chea e albero bronchiale trascina con sé an-che i germi presenti nell’aria che respiriamoimpedendone il contatto con la mucosa.Inoltre, le cellule che tappezzano questestrutture producono muco e sono dotate dicigliache si muovono in un solo senso, e cioèverso l’alto sospingendo così il muco che in-trappola i microrganismi verso il cavo orale.Da qui, il muco può o essere espettorato op-pure deglutito e nello stomaco incontraun’altra difesa aspecifica costituita dall’aci-dità gastrica.Anche il tratto gastroenterico è ben equi-paggiato per difendersi dalle infezioni. La sa-liva contiene lisozima, mentre, come accen-nato, nello stomaco è presente succo gastri-co molto acido e che contiene pepsina, unenzima che, oltre a digerire le proteine degli

L O S A P E V A T E C H E . . .

10 ematos •• NNuummeerroo 22 •• AAnnnnoo 11

LL e leucemie mieloidi o sindromi mielo-proliferative sono malattie neoplasti-che del sistema emopoietico caratte-

rizzate da una abnorme produzione di cellu-le, mature od immature, delle linee mieloidi:granulo-monocitaria, piastrinica ed eritroci-taria. Talora queste neoplasie hanno origine inuna cellula staminale già orientata o differen-ziata in senso mieloide. Più frequentementehanno origine in una cellula multipotente nonancora orientata. In questi casi la neoplasiadovrebbe essere definita come leucemia del-le cellule staminali e la loro definizione come:“mieloblastica”, “megacarioblastica” o eri-troblastica “ corrisponde al fenotipo esclusi-vo o prevalente degli elementi che originanodalla cellula staminale trasformata e che co-stituiscono il substrato cellulare della malattia.Le sindromi mieloproliferative si possono di-stinguere, a loro volta in: acute, subacute ecroniche. Questa distinzione ha basi cliniche,che si riferiscono alla storia naturale della ma-lattia, e caratteristiche biologiche differenti.Infatti nelle sindromi mieloproliferative croni-che le cellule del clone neoplastico differen-ziano e maturano come le loro contropartinormali, determinando una eccesiva produ-zione di granuloblasti e granulociti maturi(leucemia mieloide cronica) o di megacarioci-ti o piastrine (trombocitemia primitiva) o di eri-troblasti ed eritrociti(policitemia vera).Nelle sindromi mieloproliferative acute,invece, la maturazione delle cellule è aborti-va,e la malattia è caratterizzata da un abnor-me accumulo di precursori o blasti mieloidi(mieloblasti, monoblasti, megacarioblasti,proeritroblasti)con difettiva produzione digranulociti, monociti, piastrine ed eritrociti(leucemie acute mieloidi). Quando l’accumu-lo di blasti è meno pronunciata ed il difettomaturativo è meno marcato la sindrome mie-loproliferativa si definisce subacuta (sindromimielodisplastiche). Queste distinzioni sonoutili sul piano clinico, prognostico e terapeu-tico.ed implicano talvolta delle consistenti dif-ferenze biologiche.Le leucemie acute sono malattie che hannoorigine da una cellula staminale. La trasfor-mazione neoplastica altera i meccanismi cheregolano la proliferazione e la differenziazio-ne della cellula staminale impedendo la ma-turazione della sua progenie. Ne consegue unaccumulo, primariamente nel midollo osseo epoi nel sangue periferico ed in altri organi etessuti, di cellule blastiche che proliferano au-

tonomamente. Questi blasti sono totalmenteo parzialmente incapaci di dare origine a cel-lule completamente mature (granulociti, pia-strine etc), ma esprimono quasi sempre alcu-ne caratteristiche che permettono morfologi-che, citochimiche ed immunfenotipiche checonsentono quasi sempre di stabilirne l’ap-partenenza ad una o ad un’altra linea, per so-miglianza con le rispettive cellule staminalinormali o con i primi precursori normali mor-fologicamente riconoscibili e pertanto si defi-niscono usualmente mieloblasti o mono bla-sti o megacariociti o eritroblasti.Le leucemie acute mieloidi (LAM) insorgo-no ad ogni età, ma la loro frequenza aumen-ta considerevolmente con il passare degli an-ni ( l’età mediana è compresa fra 50 e 60 an-ni). La distribuzione e la fre-quenza delle LAM in diversearee geografiche ed in di-verse popolazioni cambiasostanzialmente, sia perfattori genetici sia per fatto-ri ambientali. Infatti l’espo-sizione ambientale, profes-sionale o iatrogenicaa dagenti potenzialmente leu-cemogeniaumenta signifi-cativamente la probabilitàdi ammalare di LAM.Queste malattie vanno divi-se sul piano biologico, clinico e prognostico,in tre grandi categorie. Vi sono le LAM”pri-marie” o “de novo”, che compaiono acuta-mente in soggetti per i quali non è dimostra-bile una significativa esposizione ad agentileucemogeni. Vi sono le LAM “secondarie adesposizione nota ad agenti leucemogeni” efraqueste vanno segnalate in particolare quel-le che insorgono come secondo tumore in pa-zienti precedentemente esposti a chemio oradioterapia per una precedente neoplasia. Visono infine, le LAM secvondarie ad una pre-cedente sindrome mielodisplastica” dellaquale costituiscono l’evoluzione.Il quadro clinico delle LAM dipende da :1) insufficiente e difettiva produzione di cel-

lule ematiche mature: eritrociti (anemia),granulociti neutrofili (infezioni) e piastrine(emorragie)

2) infiltrazione dei tessuti e degli organi nonemopoietici da parte delle cellule leucemi-che (organomegalia, danno funzionale).

3) Liberazione, in parte dalle cellule leucemi-che ed in parte dalle cellule del sistema mo-

a cura di

Marco Montillo

La leucemia (II parte)

Le malattie neoplastiche delle cellule staminali

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...

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nocito-macrofagico, di mediatori chimici, dettecitochine, responsabili di sintomi generali (feb-bre, dolori, etc).

Il quadro clinico delle LAM è fondamentalmente se-condario all’insufficienza midollare, cioè alla difet-tiva produzione di eritrociti, piastrine e granulociti.Esso si stabilisce rapidamente: il tempo che inter-corre fra i primi sintomi e la diagnosi va da 2-3 set-timane a 2-3 mesi. Quando la storia che precede ladiagnosi è più lunga, spesso si tratta di una LAM se-condaria ad una sindrome mielodisplastica e non diuna LAM insorta “de novo”.L’insufficiente produzione di eritrociti si mani-festa con i sintomi dell’anemia: astenia facile affa-ticabilità, cardiopalmo e dispnea dopo sforzi anchepiccoli. L’insufficiente produzione di piastrine siconcretizza in manifestazioni emorragiche : por-pora, ecchimosi, epistassi, gengivorragie, disturbidel visus per emorragie retiniche, ipermenorrea,metrorragie e più raramente macroematuria,emorragie del tubo digestivo ed emorragie a loca-lizzazione nel sistema nervoso centrale.L’insufficiente produzione di granulociti neutrofilisi concretizza in infezioni, che inizialmente sono

quasi sempre batteri-che e localizzate preva-lentemente al cavoorale e all’orofaringe,alla’appararto respira-torio, alla cute. Fin dal-l’inizio l’infezione puòavere carattere settice-mico, con emocolturepositive. In molti casifebbrili tuttavia la infe-zione non può esseredocumentata, ne perquanto riguarda la se-

de ne per quanto riguarda l’agente infettivo re-sponsabile della febbre. I sintomi della insufficien-za midollare possono essere presenti tutti assieme,con gradi molto diversi di gravità, oppure possonoessere esclusive o prevalenti le manifestazioni del-lanemia o della granulocitopenia o della tromboci-topenia.La terapia della LAM si basa sulla somministra-zione di agenti citotossici con la finalità di ridurre aiminimi termini e, possibilmente di eradicare la po-polazione leucemica, consentendo alle cellule sta-minali normali residue di ripopolare normalmenteil midollo. Gli schemi terapeutici utilizzati in questafase, detta di induzione, associano normalmenteuna antraciclina alla citosina arabinoside con la fi-nalità, appunto, di “indurre” una remissione. Perremissione si intende la scomparsa delle cellule leu-cemiche e la normalizzazione del quadro ematolo-gico periferico e midollare. La remissione è il primotraguardo da raggiungere ma ciò non equivale aguarigione. Al fine di ridurre ulteriormente la ma-lattia residua, lo schema polichemioterapico vieneripetuto 1 o 2 volte. Questa fase viene definita con-solidamento.

Al termine di questa prima fase terapeutica si apro-no quattro opzioni principali:a) Nessuna terapia: la durata media della remissio-

ne varia da 6 a 12 mesi; il 10-20% dei pazientisopravvive a cinque anni e può guarire.

b) Continuazione della polichemioterapia: la dura-ta media della remissione varia da 8 a 24 mesi; il10-30% dei pazienti sopravvive a cinque anni epuò guarire.

c) Trapianto di midollo autologo:la durata mediadella remissione è superiore a 24 mesi; il 30-40%sopravvive a 5 anni e può guarire

d) Trapianto di midollo allogenico: il 10-30% deipazienti muore per la procedura trapiantologi-ca; la durata mediana della remissione è supe-riore ai 24 mesi; 30-60% dei casi restanti so-pravvive a 5 anni e può guarire.

Questo inquadramento può far ritenere che lascelta terapeutica sia sostanzialmente facile ma inrealtà ognuna di queste scelte presenta dei limiti: laprosecuzione della polichemioterapia comportaun peggioramento della qualità di vita del pazien-te e diminuisce la probabilità di ottenere una se-conda remissione in caso di recidiva.Il trapianto di midollo autologo può rivelarsi effica-ce in soggetti che hanno ottenuto una remissionedi buona qualità, più le cellule reinfuse sono con-taminate dai residui della malattia più breve sarà ladurata della risposta e meno probabile l’evento del-la guarigione. Al momento attuale l’età limite perla escuzione di un trapianto di midollo autologo so-no 65 anni.Il trapianto di midollo allogenico è una proce-dura gravata da una potenziale elevata letalità. Seil donatore è un consanguineo che presenta le ca-ratteristiche di compatibilità con il ricevente il ri-schio di una tossicità letale possono essere definitistandard. Se il donatore non è un consanguineo ilrischio aumenta. Eseguito in pazienti di età inferio-re ai 50 anni il coefficiente globale di mortalità è in-feriore a quello che si osserva tra 50-55 anni, que-st’ultima considerata l’età limite per la esecuzionedi un trapianto allogenico. Recentemente la intro-duzione del cosiddetto “mini-trapianto” ha per-messo l’applicazione di questa procedura da do-natore anche in soggetti con età compresa fra i 55ed i 65 anni.Le conseguenze di una ricaduta sono sempregravi. Il raggiungimento di una seconda remissio-ne completa è meno frequente, con sola chemio-terapia, di quanto non lo fosse al momento dellaprima terapia di induzione. Le procedure trapian-tologiche applicate al momento di una recidiva nonsono spesso in grado di offrire una potenzialità cu-rativa al paziente. La recente introduzione degli an-ticorpi monoclonali, uno dei cosiddetti”farmaci in-telligenti” o “pallottole magiche” sta alimentandole speranze, dei ricercatori e dei pazienti, di ottene-re un seconda remissione di lunga durata. Il loro uti-lizzo nel programma terapeutico dall’inizio del trat-tamento sembra offrire un terreno di sicuro svilup-po nei prossimi anni.

S E R V I Z I

EE lide Pastorello, da un an-no dirige il Servizio diAllergologia di Niguarda

dopo una lunga carriera alPoliclinico. Sua la descrizione(scoperta) di nuove proteine al-lergeniche importantissime,quelle del kiwi e della pesca. Haanche identificato l'allergene delsesamo, ha inventato il calenda-rio pollinico. Ma è stata una deiprimi ricercatori ad utilizzare itest di provocazione in doppiocieco contro placebo nelle aller-gie alimentari (1984) e la primaad introdurre in Italia il veleno de-gli imenotteri per la vaccinazio-ne dei soggetti con reazioni ana-filattiche E' professore associatodell'Università Statale di Milano.

Professoressa Pastorello, co-sa offre il servizio diAllergologia?Una struttura unica nella

Regione, con letti di degenzadedicati e quindi la possibili-

tà di vedere pazienti com-plessi, un riferimento pertutta Italia, tanto che il 41per cento dei pazienti ar-riva da fuori regione.

Le allergie sono in au-mento?

Eccome. La patologia colpiscecirca il 20 per cento della popola-

zione. Ed è in crescita negli ultimi ven-t'anni. Possiamo dire che la frequenza è rad-

doppiata. Con alcuni tipi di allergia, alimentare e asma neigiovani, in fortissimo aumento.

La specificità del servizio?A Niguarda si affronta ogni tipo di allergia. E' il primo cen-tro anche per l'allergia da farmaci, svolgiamo un serviziocompleto per il paziente, dal semplice inquadramento cli-nico ai test per trovare farmaci alternativi. E poi si seguo-no le allergie alimentari, ma qui arrivano anche casi di ana-filassi molto gravi in soggetti che hanno mastocistosi si-stemica.

Cioè?

Si tratta di una proliferazione anomala di mastociti, le cel-lule spazzino, che dà sintomi che possono essere confusicon allergia ma non lo sono.

Ora somministrate anche il vaccino contro gli ime-notteri?Sì, abbiamo cominciato da qualche mese e vaccinato piùdi 35 persone. L'allergia al veleno di imenotteri interessail 2 per cento della popolazione generale ma pochi sannoche è possibile questa strategia di difesa.

In cosa consiste?Nella somministrazione a dosi progressive di veleno per viasottocutanea, fino all raggiungimento della dose protet-tiva, 100 microgrammi, in 7 settimane. Poi si continua condosi di mantenimento per almeno 5 anni.

Questo cosa provoca nell'organismo?La produzione di anticorpi protettivi, induce uno stato ditolleranza favorito da produzione di interleuchina 10 checonsente una perdita progressiva della reattività allergicaal veleno e l'instaurazione dello stato di tolleranza.

Si può morire per la puntura di un imenottero?Sì, per shock anafilattico o edema della glottide.

Come arrivano i pazienti?C'è chi si dà da fare e cerca un centro. Pochi sono inviatidai medici che non ci credono. C'è ancora poca informa-zione, nonostante al Policlinico si effettuasse dall'80.

Perchè è importante?Perchè questa allergia non colpisce gli allergici in genera-le ma persone che non sanno cosa sia allergia. Non si ca-pisce gravità. Invece è importante vaccinarsi perché se nonci si protegge è possibile ad una seconda puntura avereuna reazione violenta.

Cosa deve allarmare?Una reazione anomala, più di 20 centimetri di diametroattorno alla puntura, va vaccinato chi ha una reazione ge-neralizzata anche solo una orticaria o reazioni distanti dalluogo della puntura e poi chi ha avuto perdita di sensi, sof-focamento, una trasformazione.

Chi è più esposto, adulti o bambini?Gli adulti, hanno reazioni più gravi più si cresce con l'età,più a rischio sono gli anziani, che si curano meno.

Per informazioni: 02-6444.2751-2167

Intervista a cura di Paola D’Amico

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intervista a

Elide Pastorello

Antidoti contro i veleniil Servizio di Allergologia di Niguarda

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LL’’ emofilia è una malattia geneticache causa un difetto della coagu-lazione del sangue con prolunga-

to sanguinamento. E’ legata ad una caren-za o ad un difetto funzionale di una protei-na del sangue: il fattore VIII (emofilia A) o IX(emofilia B). I geni che codificano le dueproteine sono localizzati sul braccio lungodel cromosoma X (cromosoma del sesso),rispettivamente alla banda q2 per il fattoreVIII, in una posizione più lontana per il fat-tore IX. La malattia si manifesta pertantosolo nei maschi che ereditano il gene emofi-lia (Xh) dalla madre ed il cromosoma Y dalpadre ed è trasmessa dalle madri (portatrici)che ereditano il gene Xh da un genitore edun gene normale (X) dall’altro genitore. I fi-gli di una portatrice hanno quindi la proba-bilità del 50% di essere affetti da emofilia,mentre le figlie hanno il 50% di probabilitàdi essere delle portatrici. Un padre emofili-co non può trasmettere la malattia ai figlimaschi (a cui, infatti, fornisce il cromosomaY normale), ma tutte le sue figlie sarannoportatrici, perché da lui riceveranno il cro-mosoma Xh con la mutazione. Circa il 30%dei casi di emofilia non hanno una storia fa-migliare, per cui la malattia deriva da unamutazione ex novo nel codice genetico del-la madre o del nonno materno. La prevalenza dell’emofilia A è di un pazien-te ogni 10 mila persone senza variazionigeografiche o etniche; si può stimare chenel mondo i pazienti con la forma grave omoderata di questa anomalia siano circa450 mila. L’emofilia B è invece più rara (pre-valenza uno ogni 60 mila circa). Sulla basedel livello plasmatico del fattore carente ipazienti possono essere suddivisi in gravi

(<1%), moderati (2-5%), lievi (6-30%). Ilquadro clinico è caratte-rizzato da emorragie,prevalentemente artico-lari, che si manifestanoin genere nel bambinoquando inizia a cammi-nare; possono esserepresenti anche emorra-gie gravi in altre sedi,muscolari, profonde, diorgani interni.

Cenni storici

L’emofilia è conosciutafin dai tempi antichi. IlRabbino Simon ben Ga-maliel, nel Talmud (rac-colta delle scrittureebraiche risalente al II se-colo dopo Cristo), stabilìche non dovevano esse-re circoncisi i bambinicon due fratelli decedutiper emorragia seconda-ria a questo intervento.Maimonides, medico efilosofo ebraico, ne parlanei suoi scritti. Nel XII secolo il medico ara-bo Albucasis descrisse una famiglia nellaquale i maschi erano morti per emorragiadopo traumi lievi. Nel 1803, John ConradOtto, medico di Filadelfia, descrisse in alcu-ne famiglie una predisposizione ereditariaalle emorragie nei maschi ("hemorrhagicdisposition existing in certain families"), inparticolare ricostruì la storia di tre genera-

Emofilia:la malattia dei Redi Francesco Baudo

Dossier 2

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zioni risalendo fino ad una donna residentea Plymouth nel New Hampshire riconoscen-do la natura ereditaria della malattia. La pri-ma descrizione sistematica della malattia(che ancora non aveva un nome ben defini-to) venne effettuata da Nasse, nel 1820, masolo alcuni anni dopo, nel 1828, la parola“emofilia” venne utilizzata per la prima vol-ta in una pubblicazione di Hopff dell’Univer-sità di Zurigo. Nel 1839 Schönlein dà la pri-ma descrizione moderna dell’emofilia.

Perché l’emofiliaè chiamata la malattia dei ReL’emofilia ha fortemente influenzato la sto-ria Europea durante il IXX ed il XX secolo.Vittoria, regina d’Inghilterra dal 1837 al1901, era portatrice dell’emofilia ed attra-verso la sua discendenza trasmise la malattiaalle famiglie reali di Russia, Prussia e Spa-gna. Vittoria, nata nel 1819, era unica figliadi Edoardo, Duca di Kent e di Vittoria (la ma-dre si chiamava come la figlia), principessadi Sassonia-Coburgo. Nel 1837 Vittoria erasalita al trono d’Inghilterra alla morte dellozio Guglielmo IV e tre anni dopo aveva spo-sato Alberto, figlio del Duca di Sassonia-Co-burgo-Gotha. Dall’unione erano nati novefigli, quattro maschi e cinque femmine: diessi, un maschio (Leopoldo, l’ultimo nato)era malato di emofilia e due femmine (Alicee Beatrice) erano portatrici. In Leopoldo, nato nel 1853 (la sua nascitaha rilevanza storica anche perché avvenne

con parto in anestesia generale grazie adun’inalazione di cloroformio effettuata dalmedico John Snow) la sintomatologia eraevidente: frequenti ematomi cutanei ed ar-tropatia alle ginocchia. Il quadro clinico saràoggetto di pubblicazione in un articolocomparso nel 1868 sul British Medical Jour-nal. Nel 1882, all’età di 29 anni, Leopoldosposò Elena di Waldeck, da cui ebbe una fi-glia, Alice, che era portatrice. A 31 anni, su-bito prima della nascita del secondogenito,Leopoldo morì. Alice ebbe un figlio emofili-co, Rupert, morto in un incidente stradalenel 1928, mentre per gli altri due figli (unmaschio ed una femmina) non vi sono cer-tezze circa la presenza del gene patologico. Delle cinque figlie della regina Vittoria, Ali-ce e Beatrice, come già detto, erano porta-trici. Alice ebbe sette figli, tra cui un ma-schio emofilico (Federick, morto all’età di 3anni) e due femmine portatrici (Alix ed Ire-ne). Alix sposò lo Zar Nicola II nel 1894,cambiando il suo nome in Alexandra Fedo-rovna ed ebbe cinque figli, un maschioemofilico (lo Tsarevich Alexei) e quattrofemmine (forse portatrici). Il monaco Ra-sputin ebbe una grande influenza sulla cor-te russa anche perché era il solo che potevaaiutare il piccolo Zar: usava l’ipnosi per alle-viare il dolore ma era anche capace di ral-lentare o fermare le emorragie. La malattiadell’erede al trono, l’apprensione della fa-miglia reale ed il potere del pazzo Rasputinsono alcuni dei fattori che hanno portato

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alla rivoluzione. L’intera famiglia regnantevenne giustiziata a Jekaterinburg nel 1918,durante il primo periodo della rivoluzionerussa; i resti di alcuni membri della famigliareale sono stati recentemente identificati,ma non hanno permesso di verificare l’e-ventuale stato di portatrici delle figlie. Irenesposò invece il cugino Enrico di Prussia, dacui ebbe tre figli maschi, di cui due (Henry,morto per un’emorragia all’età di 4 anni eWaldemar, morto a 56 anni nel 1945) emo-filici, mentre il terzo (Sigmund) era sano. Beatrice, seconda figlia della regina Vitto-ria, sposò il Principe Battenberg nel 1885. Ilcognome, con quel “sound” così teutoni-co, venne cambiato in Mountbatten alloscoppio della I Guerra mondiale per ordinedi Re Giorgio V (e quindi, Filippo Mountbat-ten, Duca di Edimburgo, già principe diGrecia e di Danimarca e Principe Consortedella regina Elisabetta II, ne è anche un cu-gino). Beatrice ebbe quattro figli (tre maschied una femmina). Dei maschi, due (Leopol-do, morto a 33 anni nel corso di un’opera-zione chirurgica e Maurice, morto nella bat-taglia di Ypres nel 1914) erano emofilici,mentre la figlia Vittoria Eugenia, portatrice,sposò Alfonso XIII, re di Spagna. L’amba-sciata di Spagna a Londra aveva informatola famiglia reale spagnola del possibile ri-schio di trasmissione genetica della malattia(l’identificazione delle portatrici era alloraimpossibile) ma il matrimonio si effettuòugualmente. Vittoria Eugenia ebbe cinque

figli maschi e due femmine: tra i maschi,due erano emofilici (Gonzalo e Alfonso,morti ambedue per incidente, rispettiva-mente nel 1934 e nel 1938). Secondo lostorico spagnolo Borrás-Betriu, il re AlfonsoXIII avrebbe fatto uno dei più gravi errori delsuo regno quando sposò Vittoria EugeniaBattenberg. Questa unione non solo ebbegravi conseguenze sulla successione macausò un danno irreparabile alla famigliareale spagnola: il risentimento antibritanni-co degli spagnoli per l’inquinamento delsangue della Spagna da parte della princi-pessa inglese fu infatti accentuato dalla leg-ge spagnola sulla successione dinastica, cheimpediva il passaggio del Trono ad un prin-cipe fisicamente compromesso. Il gene del-l’emofilia che aveva fortemente influenzatoi destini d’Europa per due secoli, sembra es-sersi estinto definitivamente nel 1945, conla morte del Principe Waldemar di Prussia.Rimane tuttavia la possibilità che il gene ri-compaia nelle discendenti delle figlie dellaregina Vittoria o del figlio Leopoldo. Sicura-mente l’attuale famiglia regnante di Inghil-terra, discendendo da Edoardo VII (che nonera emofilico), è esente dalla malattia.

La storia dell’emofilianel XX secoloFino all’inizio del XX secolo l’emofilia eraconsiderata la conseguenza di una aumen-tata fragilità vasale; negli anni 30 venne in-vece attribuita ad un difetto delle piastrine.

le nostre storie

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Nel 1937, Patek e Taylor, due medici di Har-vard, scoprirono che il difetto della coagula-zione poteva essere corretto da una sostan-za contenuta nel plasma, allora chiamataglobulina anti emofilica. Nel 1944, Pavloskydimostrò che il sangue di un paziente emo-filico poteva correggere il difetto di un altroemofilico e viceversa, identificando due di-fetti da due diverse proteine, che determi-navano la stessa sintomatologia: grazie aquesta scoperta, si giunse all’identificazionedell’emofilia A e B nel 1952. Nel 1960 ven-nero identificati i fattori della coagulazionee si poté quindi procedere alla loro nomen-clatura.Il processo della coagulazione venne de-scritto in tutti i suoi principali dettagli (ca-scata coagulativa ed interazione tra i diversifattori) nel 1964 in un lavoro pubblicatosulla rivista Nature. Fino all’inizio degli anni’60, gli emofilici erano trattati con sangueintero o plasma fresco, ma questo tratta-mento non era sufficiente ad arrestare leemorragie più gravi e molti pazienti aveva-no gravi alterazioni articolari o morivano ingiovane età. Nel 1965, Judith Pool identifi-cò nei crioprecipitati (materiale attenutodalla centrifugazione a temperatura am-biente del plasma fresco congelato) unaproteina che, infusa nei pazienti con emofi-lia A, poteva arrestare le emorragie e assi-curava l’emostasi in chirurgia. Altri metodidi purificazione sono stati utilizzati per laproduzione di concentrati di fattore IX. Trala fine degli anni ‘60 ed l’inizio degli anni’70 con la disponibilità dei concentrati liofi-lizzati di fattore VIII e IX si è reso possibile iltrattamento domiciliare. La preparazione diquesti concentrati dal plasma umano com-portava il rischio di trasmissione di malattielegate al sangue, in particolare quelle da vi-rus dell’epatite e dell’HIV. Dal 1984-85,con l’applicazione del processo di inattiva-zione virale al calore secco, non si sono piùverificati casi di siero conversione HIV. Lapossibilità di trasmissione dell’epatite Cvenne abolita con l’inattivazione virale convapore e solvente detergente, con produ-zione di concentrati di FVIII e FIX ad elevatapurezza. Negli anni ’80 i geni del fattore VIIIe IX sono stati clonati e dagli anni 1993-98le tecniche di ingegneria genetica hannoreso possibile la produzione di concentratiricombinanti, ad elevato purezza e sicurez-za, attualmente ottenuti in mezzi di colturaprivi di proteine di origine animale.

Problemi attualie prospettive futureLa sicurezza e l’efficacia della terapia dell’e-mofilia sono ormai provate. Con l’applica-zione di metodi virucidici ai concentrati pla-smatici di fattore VIII e IX non sono state piùregistrate siero conversioni a malattie virali,in particolare all’epatite ed alla malattia daHIV. L’artropatia rimane invece ancora unproblema rilevante e non è diminuita con iltrattamento degli episodi emorragici (tera-pia “on demand”). Studi clinici hanno di-mostrato che l’artropatia può essere invecesignificativamente ridotta con il trattamentoprofilattico (infusione di concentrato ogni 2-3 giorni) senza un aumento globale dei co-sti. Il razionale della profilassi si basa sull’os-servazione che l’artropatia è rara nei pazien-ti con emofilia moderata (fattore VIII/IX 1-5%) e la National Hemophilia Foundationdegli Stati Uniti ha raccomandato la profilas-si come trattamento ottimale nell’emofiliasevera. Lo sviluppo di inibitori è un altro aspetto rile-vante nel trattamento dell’emofilia. La pre-senza di anticorpi anti fattore VIII e IX rendeinefficace la terapia con concentrati di fatto-ri. La disponibilità di concentrati attivati delcomplesso protrombinico e del fattore VIIattivato ricombinante ha reso possibile ilcontrollo dell’emorragie, la chirurgia e laprofilassi anche nei pazienti con inibitori.L’immunotolleranza, infusione quotidiana oa giorni alterni di concentrati di fattore, èun’altra opzione terapeutica e induce lascomparsa dell’inibitore in una elevata per-centuale di pazienti anche se non sono an-cora definite le dosi ed il tipo di concentratoda impiegare. Nuove prospettive terapeutiche sarannopossibili nei prossimi anni. La terapia geni-ca, nonostante le premesse iniziali, non èancora però un’opzione a breve termine.Sono invece prevedibili miglioramenti tec-nologici sia nei prodotti di derivazione pla-smatica che ricombinante. La conservazio-ne a temperatura ambiente del prodotto,una resa maggiore nel processo di purifica-zione dal plasma, una emivita più prolunga-ta (attualmente il fattore VIII infuso dura incircolo circa 12 ore), la produzione di eleva-te quantità di fattore sia con tecnica ricom-binante che transgenica nel maiale e lasomministrazione per via orale potrannomigliorare certamente la qualità di vita de-gli emofilici.

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70 mila morti istantanee, altre 50 mila entro 4mesi, e 500 morti di leucemie ed altri tumori neisuccessivi 30 anni.

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Alle 8 e un quarto del 6 agosto di 60 anni fa, il B-29 EnolaGay sgancia sulla città giapponese di Hiroshima la primabomba atomica della storia mai utilizzata in operazioni diguerra. I tecnici statunitensi hanno preparato tutto nei mini-mi particolari. L’esplosione dell’ordigno si deve innescare apoche centinaia di metri di altezza. Se avvenisse a terra per-derebbe potere distruttivo, scavando un gigantesco cratere,mentre uno scoppio a quota troppo alta causerebbe una dis-persione radioattiva. Gli effetti di Little Boy, questo il nomi-gnolo dato dai militari al loro gingillo, devono essere massi-mi. Hiroshima, l’obiettivo selezionato, è una cavia, unimmenso animale da laboratorio sul quale sperimentare unamedicina per debellare la guerra in corso. E’ un importantedeposito di armi, all’interno della cintura urbana comprendediverse installazioni industriali, le colline alle sue spalle pos-sono concentrare e amplificare gli effetti della deflagrazio-ne. Hiroshima è stata finora preservata dai bombardamenticonvenzionali. Solo il comandante Paul Tibbets sa che abordo del B-29 c’è un’atomica. Informerà i suoi uomini fraun tramezzino al prosciutto e una tazza di caffè, mentregiungono in vista di Hiroshima. La sirena dell’allarme antiaereo non entra infunzione. Un unico aereo, avvistato dai ricognitori, non è considerato un peri-colo. Alle 8.15 e 17 secondi Little Boy viene sganciata. Tre giorni dopo, il 9agosto, un secondo ordigno al plutonio sarà sganciato su Nagasaki, “FatMan”, il Ciccione, come l’avevano battezzato i militari. Oggi, a guerra freddaconclusa, l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi dell’incubo atomico. Nelmondo sono conservati quasi 48 mila ordigni nucleari.

(Paola D’Amico)

Hiroshima,60 anni dopo

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Intervista a Michele Nichelatti

60 anni fa scoppiava la bomba atomica di HiroshimaLa storia cambiava (ma era già cambiata dopo la primaesplosione sperimentale di una bomba atomica, avvenutanel deserto di Alamogordo, nel Nuovo Messico, poco pri-ma di Hiroshima): si realizzava l’ultima fase del “ProgettoManhattan”, partito alcuni anni prima, con la famosa let-tera di Einstein a Roosevelt, in cui lo scienziato avvertiva ilpresidente americano del rischio concreto che i tedeschiarrivassero a costruire una bomba atomica, che avrebbe

concluso la seconda guerra mondiale in maniera oppostaa quanto è fortunatamente avvenuto.

I tedeschi stavano costruendo l’atomica? Se molti scienziati erano fuggiti dalla Germania per moti-vi politici o razziali, va ricordato che altrettanti, e di gran-dissimo prestigio, come Johannes Stark, WernerHeisenberg, Max Planck (tutti premi Nobel per la fisica) eArnold Sommerfeld (fondatore della fisica quantistica),erano rimasti in patria, in alcuni casi collaborando attiva-mente con il nazismo, ed avevano le conoscenze sufficienti

Il colonnello Paul W. Tibbets Jr.pilota dell’ENOLA GAY

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e le disponibilità tecniche (ricordiamoci del-l’impianto di Telemark per la produzione diacqua pesante) per arrivare all’atomica.Fortunatamente il gruppo di scienziati chesi occupava del progetto subiva la forte in-

fluenza di Otto Hahn (altro premio Nobel), che non era pernulla un nazista (dopo la guerra diventerà un antinuclea-rista e fervente pacifista), e che con la sua autorità scienti-fica riusciva a dirottarne gli sforzi scientifici ed economiciin progetti inutili, destinati ad arenarsi, bloccando di fattola realizzazione della bomba fino dai suoi stadi iniziali.

Quindi sono arrivati prima gli americani…Si, ma hanno usato le atomiche quando non c’era più al-cuna necessità di farlo. Il Giappone era allo stremo, e pri-vato delle conquiste d’oltremare, non disponeva più dimaterie prime per la produzione bellica; la sua marina mi-litare e mercantile era stata distrutta, e lo stesso impera-tore si era pronunciato per la cessazione delle ostilità. Ecome se non bastasse, occupata Berlino, i russi avevanocominciato a rivolgere le loro attenzioni al Giappone,strappando loro l’ultimo territorio rimasto nel continen-te, la Manciuria, ed iniziando una martellante attività dibombardamenti aerei, che come quelli americani non ve-nivano contrastati in alcun modo, perché l’aviazionegiapponese non aveva più carburante, e l’attività con-traerea da terra era inesistente. La resa del Giappone sa-rebbe stata questione di pochi giorni, senza alcuna ne-cessità di invasione, come dicono tutti gli studiosi di stra-tegia militare.

Perché allora hanno lanciato le atomiche?Il lancio della prima atomica avvenne quasi alla chetichel-la: non si voleva dare eccessiva pubblicità alla cosa, nel ca-so la bomba non avesse avuto gli effetti devastanti che pro-

metteva. Ma la politica imperante negli ambienti ameri-cani, come riconosce la moderna storiografia militare (siveda ad esempio History of the Second World War diLiddell Hart), era quella di usare la bomba proprio perchésu di essa erano stati effettuati enormi investimenti in de-naro, e si voleva vedere che cosa sarebbe accaduto usan-dola in corpore vili. Quindi il lancio venne fatto suHiroshima, e – visto il successo ottenuto – venne ripetutotre giorni dopo, lanciando su Nagasaki una bomba ato-mica di tipo diverso.

Fatta un po’ di chiarezza sul contesto storico, veniamo al-le bombe di Hiroshima e Nagasaki: che danni ne sono de-rivati?Innanzi tutto, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasakierano differenti: la prima (chiamata little boy, lanciata il 6agosto 1945) era una bomba all’uranio, la seconda (fatman, lanciata il 9 agosto) era invece una bomba al pluto-nio. Ciascuna ha sviluppato un’energia distruttiva pari a20 kilotoni (pari a 20 mila tonnellate di tritolo) ed ha cau-sato dei danni alle strutture e danni biologici. I primi pos-sono essere suddivisi nelle seguenti categorie: 1) dannicausati dall’onda d’urto (crolli); 2) danni da incendi pri-mari (cioè causati dal calore dell’esplosione) e secondari(incendi sviluppati in conseguenza dei danni agli edifici edalle loro strutture elettriche, o per il gas). Il secondo tipodi danno, quello alla popolazione colpita, può essere sud-diviso in tre grandi categorie: 1) ustioni causate dalle ra-diazioni rilasciate istantaneamente dall’esplosione; 2)danni da radiazione veri e propri, iniziati durante i primiminuti dell’esplosione, e prolungatisi per un periodo ditempo lungo anche decenni; 3) danni indiretti come de-cessi per crollo di edifici o per ustioni causate da incendialle strutture.

In cosa consistono i danni biologici da radiazioni?Cominciamo col dire che la radioattività, cioè l’emissionedi particelle ed energia da particolari sostanze, dette ap-punto radioattive, è un fenomeno del tutto naturale, e chel’universo è fortemente radioattivo, per nostra fortuna, al-trimenti nelle esplosioni delle supernove non si formereb-be il ferro che abbiamo nell’emoglobina del nostro san-gue. L’uomo, ma sarebbe più giusto dire la vita intera nelsuo complesso, si è sviluppato in un ambiente fortemen-te radioattivo, ed ha imparato a convivere con la radioat-tività ambientale, sviluppando anche dei meccanismi diprotezione contro di essa. E comunque, ogni essere vi-vente è radioattivo. Infatti, in ogni kg di peso corporeo pos-siamo stimare che vi siano 1026 atomi (cento milioni di mi-liardi di miliardi di atomi). Dato che il 10% di questi (in pe-so) è dato dall’idrogeno, e dato che ogni 1017 atomi (ogni100 milioni di miliardi) di idrogeno “normale”, se ne tro-va uno del suo isotopo radioattivo chiamato trizio (o 3H),tanto che nel nostro organismo abbiamo circa 50 miliardidi questi atomi di idrogeno “cattivo”, allora possiamo sti-mare che nel nostro corpo avvengano circa 100 decadi-menti radioattivi al secondo solo per la presenza di questa

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L’esplosione sperimentalenell’atollo di Bikini

(24 luglio 1946)

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sostanza. Ma non è tutto: il 20% del nostro peso è costi-tuito da carbonio, ed ogni 1012 atomi (ogni mille miliardi)di atomi di carbonio “nomale”, c’è un atomo di carbonioradioattivo (il carbonio-14, o 14C), così che sono generaticirca 3000 decadimenti al secondo. Infine (trascurando al-tre sostanza radioattive minori), c’è il potassio, che costi-tuisce circa il 3‰ del nostro peso corporeo: ogni 10 milaatomi di potassio “normale” c’è un atomo di potassio-40(40K) radioattivo (l’elemento radioattivo più forte nel no-stro organismo), che nel suo complesso produce circa5000 decadimenti al secondo. Circa i 2/3 dell’energia ge-nerata dalla nostra radioattività “interna” escono dal no-stro organismo, mentre 1/3 circa resta al nostro interno.L’energia assorbita dal nostro corpo a causa della nostraradioattività “interna” è pari a circa 0.18 mSv (millisievert)all’anno, ovvero una quantità che consente di stimare cheogni 10 mila morti ve ne sia circa uno deceduto in conse-guenza della sua stessa radioattività. Ciò premesso, va det-to che una emissione di radioattività “concentrata” in unpunto specifico nello spazio e nel tempo (come nel casodelle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, o del disastro diChernobyl, dove – per inciso – è stata rilasciata una ra-dioattività equivalente a 400 bombe di Hiroshima) è inve-ce un fenomeno molto dannoso è preoccupante, controil quale non possono essere erette delle difese efficaci. Idanni, in questo caso vanno dalla morte istantanea (prin-cipalmente per ustioni) a quella dilazionata in pochi gior-ni (a causa delle radiazioni vere e proprie), fino all’insor-genza di malattie croniche come i tumori a distanza anchedi molti anni. In Ucraina, ad esempio, a causa del disastrodi Chernobyl, tra il 1991 e il 1994 i casi di cancro alla tiroi-de nei bambini è aumentato di 7 volte, mentre in alcunearee della Bielorussia, l’aumento è di circa 100 volte.

Quanti sono i morti che si sono avuti a Hiroshima eNagasaki?In entrambe le città l’onda d’urto ha immediatamente di-strutto tutto quanto si trovasse entro 2 km dal centro del-l’esplosione (ricordiamo che le bombe erano state fatteesplodere a circa 700 metri di altezza). Mentre Hiroshimaè stata letteralmente rasa al suolo, Nagasaki, grazie allecolline che avvolgevano la zona bombardata ha subitodanni minori nella sua periferia. In entrambi i casi, tutta-via, si stima che un quarto degli abitanti siano morti im-mediatamente, ed una altro quarto sia rimasto ferito inmodo molto grave. I decessi sono stati determinati princi-palmente dall’emissione quasi istantanea di energia al mo-mento dell’esplosione, e poco ai prodotti di fissione origi-nati dai materiali radioattivi, che in gran parte non si sonodepositati al suolo perché sono stati trasportati nella par-te superiore dell’atmosfera dal calore della stessa esplo-sione (il fungo). I prodotti di fissione sono stati trasportatidalle correnti atmosferiche e sono caduti come pioggia ra-dioattiva in aree anche molto distanti. A Hiroshima gli abi-tanti erano circa 250,000, di cui 45,000 sono deceduti im-mediatamente e 20,000 entro i 4 mesi successivi, mentrea Nagasaki vivevano 180,000 persone, di cui 25,000 sono

morte immediatamente e altre 20,000 nei 4 mesi succes-sivi, per un totale di 110,000 civili morti, cui va aggiuntoun numero imprecisato di militari e – specialmente aNagasaki, città con una altissima concentrazione dell’in-dustria pesante – di lavoratori provenienti da altre città: sistima che in tal modo i morti possano salire a circa 120,000mila. A queste morti vanno aggiunte quelle avvenute an-che dopo molti anni. Nei 30 anni successivi all’esplosionesi sono contati circa 500 decessi, sicuramente determina-ti dall’esposizione alle radiazioni ed avvenuti per leucemiaod altri tumori. Vanno poi contati i numerosi aborti, i bam-bini nati morti (non esiste un numero ufficiale) e quelli na-ti invece vivi ma con gravissime deformazioni, che si sonoverificati nel primo anno successivo all’esplosione. Nonsembra invece che siano emerse mutazioni genetiche par-ticolari, almeno fino ad adesso. Le morti osservate nelledue città sono in massima parte dovute alle radiazionigamma e (solo a Hiroshima) ai neutroni emessi durante edopo la fissione. L’esposizione alle sorgenti radioattive èstata accentuata dalla pioggia nera, caduta successiva-mente all’esplosione, che ha trascinato al suolo gran par-te dei prodotti di fissione trascinati negli strati superiori del-l’atmosfera dal fungo. Tra questi componenti del fallout,il più rilevante, sia quantitativamente, sia per la forte peri-colosità, è stato il cesio-137 (137Cs). I neutroni, invece han-no causato danni biologici sia immediati, sia ritardati, per-ché hanno trasformato materiali inerti, come le leghe a ba-se di ferro degli edifici di cemento armato e delle tettoiedelle industrie in materiali ad alta radioattività (cobalto, peresempio). L’esposizione a queste sostanze radioattive “diritorno” è stata particolarmente grave (benché non facil-mente quantificabile) per le persone entrate nelle città neigiorni successivi al bombardamento.

C’è ancora rischio per chi vive a Hiroshima?No, gli effetti dell’esplosione sono in gran parte estinti, an-che se non sappiamo ancora nulla sull’insorgenza even-tuale di mutazioni genetiche nelle prossime generazioni:il nostro organismo ha imparato a convivere con la ra-dioattività, ha imparato persino a sfruttarla, ma alle dosi“naturali” e non è affatto abituato a quantità così elevateconcentrate nel tempo e nello spazio. Ricordiamoci poiche gli esseri viventi non avevano mai affrontato il feno-meno della fissione nucleare, che è un evento artificiale.Infatti, l’unico caso noto di fissione spontanea, che ha ge-nerato una piccola centrale atomica naturale, è avvenutocirca 1 miliardo e 700 milioni di anni fa, e le sue tracce (informa di materiali radioattivi specifici) sono state trovatein alcune rocce del Transvaal, in Sudafrica. Ma 1700 milio-ni di anni fa non c’erano gli organismi viventi complessi (eper questo delicatissimi) che ci sono oggi. Gli effetti dellafissione sono quindi una specie di lotteria, in particolarenel lungo termine.

Dobbiamo quindi preoccuparci ancora per Hiroshima? Diciamo che sarebbe molto meglio preoccuparsi perChernobyl: tra pochi mesi saranno venti anni.

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QQ uando mi fermo un attimo a pen-sare che ho impiegato ormai quasitrent’anni della mia vita a lottare

contro un nemico microscopico ed imprendi-bile, mi pervade un senso di amara sconfitta.Il mio curriculum è ormai di 36 pagine, segnoche tempo ne è passato davvero. Leggo il ti-tolo della mia prima pubblicazione, è datata1987. Ricordo di averla scritta su una Olivetti,tre copie con la carta carbone tra un foglio el’altro. Cosa è cambiato da allora inInfettivologia? Tanto e nulla, dipende …..di-pende anche se guardiamo il mondo dal PoloNord in giù o dal Polo Sud in su.Nel primo caso si sono fatti passi da gigantenella diagnostica sempre più rapida, nella te-rapia più efficace, confermando un trend di al-lungamento della vita mai così significativonella storia dell’uomo. Nel secondo caso (dalPolo Sud in su) si è assistito ancora una voltaal dilagare di nuove e ricorrenti epidemie chein Africa ed in certe zone dell’Asia trovano ilpalcoscenico più appropriato. In termini ge-nerali, non è sostanzialmente cambiato nulla,i poveri continuano a vivere sporchi, si infet-tano e muoiono perché non hanno la possibi-lità neanche di curarsi. I ricchi continuano astar bene e a vivere sempre più a lungo.Mentre nel Sud si cercafaticosamente di ap-prontare programmi che assicurino almeno lasopravivenza della popolazione, al Nordpreoccupano l’obesità e l’invecchiamentodella popolazione. Davanti a questo puzzlemondiale “impazzito”, nel quale, a prima vi-sta, i due e emisferi sembrano diventati duelontane galassie, si intravede invece un sotti-le, invisibile filo che mantiene, malgrado tut-to, un nesso inscindibile tra tutta la gente del-la terra. Qualcuno interpreta questo fenome-no nel progetto di un Intelligenza superiore,un Grande Architetto, altri agnosticamente,lo attribuiscono al caso o alle ancora inspie-gabili leggi di natura. Purtuttavia, benchél’uomo sembri operare per aumentare il diva-

rio tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud, tra bian-chi e neri, tra cristiani ed islamici, questo filoimpercettibile non ci lascia sfuggire dal sentir-ci comunque tutti in un unico, non più tantogrande, contenitore che è il nostro pianeta.Questo continuano a rammentarci l’insor-genza di epidemie che, come la SARS, ci han-no fatto sentire gomito a gomito con popola-zioni che ci sembravano lontane. La guerra tral’uomo ed il virus, senza fine, interessa tutti equell’entità invisibile, quella struttura essen-ziale che non gode nemmeno di vita autono-ma (il virus), tiene scacco ad esseri sofisticaticome l’uomo.I virus si adattano e sembrano sfruttare glistessi progressi dell’uomo. Due casi per tutti,SARS e HIV. Quali migliori esempi di globaliz-zazione “infettivologica”? Da un focolaio diHIV in Africa, probabilmente da un singolocontatto uomo-scimmia infetta, dopo ven-t’anni, milioni di morti e milioni di infetti in tut-to il mondo. La SARS, ricordo ancora recente,non ha avutoeguali per rapidità di infezione econseguenze impreviste. Certo i virus, sono imicrorganismi che ci spaventano di più manon possiamo certo dimenticare batteri e pro-tozoi, responsabili di meningiti, malarie e tan-te altre non meno temibili infezioni.La globa-lizzazione resta oggi il fattore condizionante(positivo e negativo) più importante del qua-dro infettivologico mondiale.Oggi ci si muove rapidamente, in ventiquattroore siamo praticamente in grado di raggiun-gere qualsiasi parte del mondo equindi…..anche i virus, i batteri e i parassitiche vi vivono.Ma quali sono oggi le minacce più con-crete? Vediamo di darne un panoramico con-creto ma non allarmistico. L’incubo notturnodi microbiologi ed infettivologi è la tanto at-tesa pandemia influenzale (probabilmente laforma aviaria) che, siamo abbastanza certi,prima o poi arriverà. Questo virus normal-mente non infetta altre specie al di fuori di

Davide e Goliae la sfera di cristallo a cura di Maria Rita Gismondo*

* Direttore Microbiologia Clinica – Polo Universitario L. Sacco, Milano ([email protected])

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U N O S G U A R D O S U L M O N D O

maiali e uccelli, ma ad Hong Kong nel 1997,ha cominciato ad aggredire l’uomo, causan-do malattie respiratorie in 18 persone, di cui 6morti. Il virus H5N1 fu isolato contempora-neamente nei soggetti colpiti e nel pollame.La rapida distruzione, entro tre giorni, dell’in-tera popolazione di polli a Hong Kong, bloc-co’ la potenziale pandemia. Da allora, primavolta che un virus influenzale aviaria fosse ri-uscito a colpire l’uomo, l’allarme dell’OMS èstato lanciato per altri episodi simili: nel 2003ancora a Hong Kong ed in Olanda, nel 2004 enel 2005 in Vietnam ed in Tailandia. Cosa ci at-tende? Siamo proprio destinati a soccomberea causa di una nuova pandemia influenzale?Potenzialmente no, ma in pratica è molto pro-babile , malgrado i progressi della ricerca de-gli ultimi decenni. Infatti, mentre siamo in gra-do di identificare in pochissimo tempo il vac-cino efficace, resta il problema di averne unnumero di dosi sufficienti. Sembra impossibi-le, ma nel mondo le aziende capaci di produr-re vaccini sono molto poche: è più facile pro-durre armi che vaccini! Risultato atteso: solouna parte della popolazione mondiale potràvaccinarsi in caso di epidemia.L’OMS sta facendo molto in tal senso, maci auguriamo che il virus non bruci i tempi.In attesa, si fa per dire, del virus dell’influenzaaviaria, o in attesa, speriamo, del suo vaccino,certo il panorama non è esente da altre preoc-cupazioni. Circa 300 milioni di uomini al mon-do è affetto da malaria e 1 milione e mezzo ne

muore. Fino alloscorso secolo lamalaria era diffu-sa in tutto il mon-do, oggi è ende-mica in Africa,Asia ed AmericaLatina. Viaggi inquelle zone sonoa rischio.Non esiste unvaccino e la profi-lassi e la terapia sistanno rivelandosempre più pro-blematiche acausa di una cre-

scente resistenza. Non resta che affidarsi allaprotezione cosiddetta “meccanica”, cioèspruzzare sulle parti del corpo esposte inset-torepellenti, usare indumenti che coprano piùpossibile, evitare di visitare zone al alto rischio,come quelle dei safari.Un altro problema che sta emergendo in ma-niera sempre più pressante, sono le febbri

emorragiche (Marburg, Ebola, Lassa). Al 5giugno di quest’anno il Ministro della Salutedell’Angola ha dichiarato che nel suo Paesesono stati registrati 423 casi di Marburg (deiquali 357 morti).Con simili sintomi, modalità di contagio(sangue, sperma, secrezioni, vomito) e mor-talità (88%) si sta anche diffondendo l’Ebola,,probabilmente contagiata alla nostra speciedalle scimmie. A oggi si sono registrate quat-tro epidemie di Ebola: nello Zaire, nel Sudan,nel Gabon e nella Costa d’Avorio. I primi sin-tomi sono febbre, vomito ed eruzioni cuta-nee: il virus attacca preferibilmente i reni, il fe-gato e la milza, sedi di emorragie interne ecompaiono 4-16 giorni dopo l’esposizione al-l’agente.Le perdite emorragiche dopo pochi giorni so-no generalizzate a tutti i vasi arteriosi e il san-gue fuoriesce da occhi, naso e orecchie.Attualmente non si conosce una cura all’infe-zione di Ebola, né un vaccino. Recentementeun gruppo di ricercatori (canadesi, americanie francesi) ha provato con un certo successoun prototipo di vaccino per Ebola e Marburgsu scimmie. Si aspettano ulteriori studi cherendano possibile il passaggio della speri-mentazione sull’uomo.Le emergenze infettivologiche riconduci-bili a Malaria, febbri emorragiche, in parte an-che al virus dell’influenza aviaria, ci induconoquasi a pensare che il problema rimanga di fat-to confinato ad aree geografiche, che possa-no rimanere escluse dai nostri interessi, dainostri itinerari. In realtà non è così.Innanzitutto perché queste aree sono semprepiù spesso raggiunte a scopo turistico o anchecommerciale (Cina e Medio Oriente), vuoiperché in realtà neanche il mondoOccidentale è esente da infezioni che rivesto-no una loro severità da non trascurare. Fraqueste la meningite West Nile, presente an-che negli Stati Uniti, le parassitosi intestinali,le epatiti. Insomma la guerra da Davide e Goliacontinua e via via appaiono sempre nuovi mi-crorganismi pronti ad aggredire l’uomo.Previsioni? Tante, tutte valide nel rispetto diparametri statistici ed infettivologici, ma as-solutamente smentibili alla prima nuova epi-demia. L’infettivologo ed il microbiologo con-tinuano nel loro percorso scientifico per ac-corciare sempre più i tempi e prevenire l’in-sorgenza delle infezioni, senza trascurare diprendere in considerazione le modificazioniclimatiche e la crescente frequenza degli spo-stamenti di persone da un capo all’altro delmondo, ma fra provette, bevute e mascheri-ne non abbiamo sfere di cristallo.

SARSCoronavirus

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DD opo il rodaggio, il programma diHome Care ematologico che fa ca-po alla Divisione di Ematologia del-

l’ospedale Niguarda Ca’ Granda sta comin-ciando a funzionare a regime. L’obiettivo è no-to: erogare l’assistenza medica e infermieristi-ca al domicilio di pazienti affetti da malattieematologiche. Al momento, la zona di coper-tura del servizio è Milano città e il settore norddella provincia. Terminato il periodo di avviamento, è giunto ilmomento di effettuare le prime valutazioniqualitative e quantitative sul servizio e sulla suapercezione, elaborando i dati relativi agli anni2003 e 2004. L’analisi ad interim dei risultatiraggiunti è servita come verifica, ma anche co-me sponda da utilizzare per indirizzare gliobiettivi futuri. I pazienti inseriti nel programma di assistenzadomiciliare appartengono a tre tipologie prin-cipali: a) pazienti cronici affetti da handicap equindi non in grado di recarsi autonomamen-te in ospedale; b) pazienti terminali, che altri-menti dovrebbero essere trattati in regime di

day-hospital; c) pazienti acuti congedati dopoil trattamento ospedaliero con chemioterapi-ci, oppure dopo complicanze settiche. Il supporto trasfusionale del paziente è sempreavvenuto in ospedale, mentre tutti i test ema-tici, gli altri test biochimici e biologici, la ma-nutenzione del catetere, le medicazioni ed icontrolli clinici periodici (sempre effettuati dainfermieri e da medici specialisti in ematologia)sono stati effettuati al domicilio del paziente. I dati clinici e quelli logistici (come il numero, iltipo e la durata delle visite) sono stati analizza-ti statisticamente per ricavare i risultati per cia-scuno dei due anni, e per permettere il con-fronto.

Qualche numeroNel 2003 e nel 2004 sono stati arruolati nelprogramma rispettivamente 56 e 57 pazienti,affetti da varie patologie, riassunte nella ta-bella fornita di seguito. Come si osserva im-mediatamente, non si sono registrate sostan-ziali mutazioni nel numero dei malati, né nellaloro distribuzione territoriale.

E’ invece interessante notare l’incrementodelle visite da parte dei medici e degli infer-mieri. Tale incremento non è dovuto ad un au-mento del personale addetto, né alla riduzio-ne della durata delle visite stesse, bensì al-l’ottimizzazione del sistema, che ha consen-tito di aumentarne l’efficienza e di effettuarele visite necessarie sulla scorta della “com-plessità clinica” dei pazienti, che nel 2004 èrisultata mediamente superiore a quella deipazienti assistiti durante il 2003. In generale, i pazienti hanno mostrato di ap-

prezzare in modo significativo la qualità e laquantità dei servizi erogati, come è risultatoda un apposito questionario che è stato rac-colto in forma anonima dal personale, dopoessere stato compilato dagli assistiti, oppure(in caso di impedimento di questi ultimi) dailoro familiari.

E’ quindi ipotizzabile che – facendo tesorodell’esperienza e dei risultati ottenuti negli ul-timi due anni – il 2005 possa mostrarsi anco-ra migliore degli anni precedenti.

Assistenza domiciliare ematologica:due anni a confrontodi Sonia Ribera

A.M

.S.n

ews

2003 2004pazienti con leucemia linfoide cronica 6 10pazienti con leucemia acuta mieloide e linfoide 6 7pazienti con linfoma Hodgkin e non-Hodgkin 6 6pazienti con sindrome mielodisplastica 5 5pazienti con mieloma multiplo 22 19pazienti con sindrome mieloproliferativa 10 7pazienti con altre patologie 1 3totale pazienti assistiti a domicilio 56 57numero di visite effettuate dai medici 137 220numero di visite effettuate dagli infermieri 554 587numero totale di visite al domicilio del paziente 691 807